XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
lo studio «Sentieri» (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento finanziato dal Ministero della salute e svoltosi tra il 2007 e il 2010) inserisce ben 77 comuni del litorale domizio flegreo e agro aversano (Acerra, Arienzo, Aversa, Bacoli, Brusciano, Caivano, Camposano, Cancello ed Arnone, Capodrise, Capua, Carinaro, Carinola, Casagiove, Casal di Principe, Casaluce, Casamarciano, Casapesenna, Casapulla, Caserta, Castel Volturno, Castello di Cisterna, Cellole, Cervino, Cesa, Cicciano, Cimitile, Comiziano, Curti, Falciano del Massico, Francolise, Frignano, Giugliano in Campania, Grazzanise, Gricignano di Aversa, Lusciano, Macerata Campania, Maddaloni, Marcianise, Mariglianella, Marigliano, Melito di Napoli, Mondragone, Monte di Procida, Nola, Orta di Atella, Parete, Pomigliano d'Arco, Portico di Caserta, Pozzuoli, Qualiano, Quarto, Recale, Roccarainola, San Cipriano d'Aversa, San Felice a Cancello, San Marcellino, San Marco Evangelista, San Nicola la Strada, San Paolo Bel Sito, San Prisco, San Tammaro, San Vitaliano, Santa Maria a Vico, Santa Maria Capua Vetere, Santa Maria la Fossa, Sant'Arpino, Saviano, Scisciano, Sessa Aurunca, Succivo, Teverola, Trentola-Ducenta, Tufino, Villa di Briano, Villa Literno, Villaricca, Visciano) e ben 11 comuni dell'area del litorale vesuviano (Boscoreale, Boscotrecase, Castellammare di Stabia, Ercolano, Pompei, Portici, San Giorgio a Cremano, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase) tra i SIN, ovvero siti di interesse che necessitano con urgenza di un piano di bonifica;
gran parte di questi siti sono collocati nella cosiddetta «Terra dei Fuochi», dove da anni si consuma uno dei delitti ambientali più atroci: lo sversamento illegale, incessante e continuo di rifiuti industriali pericolosi e tossici sulla terra, dentro la terra, che vengono poi dati alle fiamme per occultare le prove. Roghi che rimettono in circolazione nell'aria i rifiuti: è la morte dello Stato, il trionfo dell'illegalità, una condanna per gli abitanti, per l'economia, la terra, l'acqua e l'aria;
tutto questo è la cosiddetta «Terra dei Fuochi» quell'area compresa tra il litorale domitio-flegreo, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, dove ogni giorno, più volte il giorno, tonnellate di rifiuti industriali, urbani e speciali, sono abbandonati incontrollatamente ai margini delle strade o nelle campagne e poi dati alle fiamme. Uno smaltimento a basso costo per chi compie questi atti illeciti, che ha però un costo altissimo in termini di salute per chi lo subisce;
la combustione di materiali eterogenei e pericolosi, infatti, sprigiona una quantità enorme di fumi tossici che, oltre ad avvelenare l'aria di tutta la zona e dei territori limitrofi, ricadendo al suolo compromette irrimediabilmente le colture e gli allevamenti presenti, immettendo attraverso la catena alimentare, un'enorme quantità d'inquinanti tossici, incontrollati e incontrollabili, fortemente nocivi per la salute umana. Molti di questi prodotti alimentari, sottoposti a controlli insufficienti, sono poi commercializzati su tutto il territorio nazionale, con conseguenze nocive per la salute di chi li mangia e per le economie sane della Campania;
gli abitanti dell'intera area, una delle più densamente popolate d'Europa, in molti casi senza percepire il reale pericolo, sono costretti a vivere in un luogo altamente inquinato da sostanze molto tossiche (diossine, pcb, pcbdl, e altro) e ad altissime percentuali;
tali sostanze procurano una serie di malattie a partire dalla semplice «depressione» fino a quelle più gravi e serie, come le malattie tumorali, SLA, sclerosi, lupus, e altro. L'inquinamento ambientale, infatti, procura uno stress ossidativo cellulare e mitocondriale che a sua volta produce una serie di danni seri ed irreversibili all'organismo umano;
recenti studi statunitensi del professor Martin Pall della Washington State University, avrebbero accertato che gli agenti inquinanti innestano un circolo vizioso in cui le sostanze tossiche con le quali veniamo in contatto a livello «locale» (attraverso la cute, gli occhi, nel tratto delle alte vie respiratorie o anche di quello gastrico-intestinale), e cioè molte sostanze chimiche o anche altri fattori stressogeni di tipo «naturale» come i virus o i batteri e le muffe, attivando a più livelli i recettori NMDA (N-Metil-D-Aspartato), molecole presenti in diversi organi, portano alla trasformazione continua di NO (Ossido nitrico) in ONOO (perossinitrito). Tale trasformazione – sempre secondo il professor Pall – una volta «cronicizzatasi», genera, poi, processi di tipo infiammatorio e ossidativo e la diminuzione delle capacità «detossificante» negli organi deputati allo smaltimento delle scorie metaboliche, processi difficili da fermare e che scatenano meccanismi di sensibilizzazione locale che agiscono, di fatto, «aprendo la porta» a pesanti patologie di tipo sistemico;
in altre parole, tali reazioni – denominate ciclo NO-ONOO – rovinerebbero la membrana cellulare che da impermeabile diventa permeabile permettendo, in questo modo, di far entrare nella cellula sostanze che non dovrebbero esserci, alterando il funzionamento della cellula stessa, formando mutazioni epigenetiche e bloccando il funzionamento di alcuni geni. Tali mutazioni epigenetiche si trasformerebbero in mutazioni genetiche per le future generazioni causando nascite di bambini già ammalati o predisposti ad una serie di terribili malattie;
sono pochissime le famiglie della zona risparmiate da malattie e soprattutto le percentuali di tumori, cancri, leucemie e linfomi sono aumentate in maniera considerevole: è sufficiente controllare le percentuali di casi in tutto il territorio per rendersi conto che nella zona c’è il più alto tasso di questi tipi di malattie e una riduzione della vita media rispetto al resto dell'Italia;
alla luce di quanto esposto, è di tutta evidenza come sia urgentissimo procedere ad interventi di bonifica del territorio, anche perché la situazione dei danni genetici, che aumenteranno di padre in figlio, causerà un «genocidio»: è stato infatti stimato che rebus sic stantibus restano circa 5 generazioni prima che il «genocidio» si compia;
peraltro, l'ultima stima sui tempi di eventuali bonifiche fatta dal Ministro della salute pro tempore Renato Balduzzi ha rilevato che, partendo subito, ci vorranno circa 50 anni per decontaminare il territorio in oggetto e che comunque il carico tossico maggiore, pur eliminando da subito tutte le cause, ci sarà nei prossimi 25-35 anni: un'intera generazione, pur non colpevole, dovrà pagare un conto salatissimo per gli errori fatti dalle istituzioni e da chi ha permesso questo orribile scempio;
a conferma di quanto esposto, si segnalano gli studi che la NATO di prassi svolge sulla condizione ambientale dei luoghi dove risiedono e lavorano i suoi dipendenti civili e militari. Da tali studi, che rappresentano uno dei pochi rapporti pubblici sulla condizione ambientale campana, emerge che molti comuni della zona sono indicati come luoghi nei quali è assolutamente sconsigliabile vivere e che il famoso «triangolo della morte» è diventato una figura geometrica molto più complessa. Le zone altamente tossiche sono aumentate a dismisura negli ultimi decenni e sono molto vicine tra di loro: tutta la provincia di Napoli, la zona del vesuviano, il casertano fino al confine con il Lazio risultano essere territori fortemente contaminati da sostanze tossiche;
in tale gravissimo contesto, con decreto del Ministro dell'interno del 26 novembre 2012 è stato nominato «Commissario ai Roghi» il viceprefetto Donato Cafagna, per supportare e coordinare le azioni intraprese nel perseguimento dell'obiettivo di contrasto a questo fenomeno delittuoso; nell'ambito delle attività condotte dai soggetti coinvolti (viceprefetto, prefetture di Napoli e Caserta, forze di polizia, regione, province, comuni, ARPAC, ASL, associazioni ambientaliste, comitati di cittadini), è stato sottoscritto un patto per la Terra dei Fuochi che prevede una serie di azioni finalizzate al contrasto del fenomeno. Tra le misure adottate, si segnalano: l'attivazione presso le prefetture di Napoli e Caserta di gruppi operativi interforze di contrasto alle condotte e alle attività illecite; la costituzione di una cabina di regia presso la prefettura di Napoli per l'attivazione degli interventi amministrativi d'integrazione e necessario corollario all'azione di contrasto delle forze dell'ordine (tale cabina di regia ha stabilito di avviare alcune pratiche per supportare i comuni, quali la predisposizione di linee guida elaborate da ARPAC per la rimozione dei rifiuti abbandonati e la prevenzione dei roghi); l'attivazione sul sito della prefettura del portale «Prometeo» per la trasparenza sull'operato e per la comunicazione e le segnalazioni da parte dei cittadini; l'avvio di corsi di formazione per comandanti e operatori di polizia municipale; l'attivazione di finanziamenti regionali per implementare videosorveglianza e telecontrollo; l'esclusione dal calcolo delle percentuali di differenziata raggiunta dai comuni dei rifiuti abbandonati raccolti; l'impegno ad attivare un comitato di coordinamento dei flussi per il trattamento e conferimento della frazione combusta, per fornire tempestivamente indicazioni ai Comuni interessati;
purtroppo le attività intraprese, da oltre un anno ormai, non rappresentano una risposta efficace e strutturale al problema. Si tratta ancora una volta di una struttura commissariale ed eccezionale, di per sé costosa, che non muta la gestione ordinaria del monitoraggio e del controllo, non ha espresso risultati significativi e non è garanzia di un cambiamento strutturale nell'approccio al problema;
è necessario che dette attività siano invece accompagnate da importanti azioni complementari, così da dimostrare la ferrea volontà di sconfiggere una volta per tutte la criminalità e l'illegalità che genera questo fenomeno;
relativamente al patto che è stato sottoscritto nel mese di maggio 2013, questo prevede l'impegno da parte dei comuni interessati al monitoraggio e alla rimozione dei rifiuti illecitamente abbandonati. È predisposto da parte dell'ARPAC un manuale di linee guida delle procedure per la rimozione ma, come noto, il problema principale, non è stabilire come fare, ma è la volontà delle istituzioni locali di provvedere agli interventi;
non essendo previsti nel patto tempi certi e sanzioni forti per i comuni e gli amministratori che non provvedano a intervenire repentinamente a seguito di segnalazioni, da parte delle forze dell'ordine o dei cittadini, nei siti di rifiuti illecitamente abbandonati, l'impegno assunto in linea teorica si traduce sostanzialmente in un nulla di fatto. Stando così le cose risultano inefficaci le azioni volte a prevenire i roghi, i traffici illeciti dei rifiuti industriali pericolosi e non e dei rifiuti urbani e speciali;
peraltro, gli interventi destinati alla prevenzione dei roghi e dei traffici illeciti di rifiuti urbani e speciali non sarà possibile fino a quando non si consentirà ai comuni l'allentamento del patto di stabilità, per il capitolo relativo alla realizzazione di tali interventi in ambito ambientale (monitoraggio, rimozione rifiuti abbandonati e loro corretto smaltimento),
impegna il Governo:
alla luce dell'atroce situazione delineata in premessa:
a porre in essere tutte le forme di controllo incisivo del territorio campano atte a far cessare il criminale e illecito sversamento di rifiuti tossici in zone agricole e ad alta densità abitativa;
ad intraprendere gli improrogabili interventi di bonifica del territorio campano, al fine di cercare almeno di limitare i danni di decenni di scellerate politiche di gestione ambientale del territorio;
ad avviare, con un adeguato coinvolgimento del Ministero della salute, una massiccia campagna di indagini epidemiologiche finalizzate a fare luce sull'impatto delle contaminazioni sulla salute delle popolazioni residenti, anche dando ampia pubblicità ai risultati al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla nocività di certi comportamenti criminali, non essendo concepibile che gli unici dati a disposizione siano quelli forniti dalla NATO;
ad istituire un tavolo tecnico permanente, che funga da cabina di regia, presso il Ministero dell'ambiente e per la tutela del territorio e del mare nel quale siano coinvolte le associazioni e i comitati di cittadini da anni impegnati nelle lotte a difesa del territorio, personalità del mondo scientifico competenti in materia e rappresentanti di regione ed enti locali, al fine di monitorare la ingravescente situazione sopra illustrata e valutare le soluzioni più adatte alla risoluzione dei disastrosi problemi, in particolare, tale tavolo tecnico permanente dovrebbe essere finalizzato:
a) a svolgere attività di impulso, promozione e definizione di strumenti volti alla bonifica e al risanamento dei territori contaminati, nonché al monitoraggio e al controllo sull'esecuzione di tali strumenti;
b) a rappresentare una sede di confronto istituzionale tra il Ministero, gli enti territoriali e le associazioni portatrici degli interessi diffusi delle popolazioni coinvolte, con particolare riferimento al punto di vista della comunità scientifica, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti legati all'impatto sulla salute;
c) a promuovere le suddette indagini epidemiologiche volte a fare luce sull'impatto delle contaminazioni sulla salute delle popolazioni residenti;
ad assumere iniziative normative per consentire ai comuni interessati l'allentamento del patto di stabilità, indispensabile con riferimento esclusivamente ai capitoli relativo alla realizzazione di tali interventi in ambito ambientale (monitoraggio, rimozione rifiuti abbandonati e loro corretto smaltimento).
(1-00150) «Luigi Di Maio, Nuti, Agostinelli, Artini, Alberti, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Paolo Bernini, Massimiliano Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Catalano, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Furnari, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
La Camera,
premesso che,
la celiachia, intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale, è una patologia autoimmune con predisposizione genetica. Chi ne è affetto, deve seguire una dieta senza glutine per tutta la vita, essendo quest'ultima, l'unica terapia a oggi conosciuta. Un celiaco che assume anche solo tracce di glutine mette gravemente a rischio la propria salute;
secondo quanto previsto dal Regolamento 41/2009, e secondo quanto definito dal Codex nel 2008, possono definirsi «senza glutine» solo gli alimenti con contenuto di glutine « 20ppm, sia che si tratti di prodotti dietetici (cioè destinati all'alimentazione particolare di specifiche categorie), sia che si tratti di prodotti di libero consumo, che, pur non essendo stati prodotti specificamente per i celiaci, possono da questi essere consumati;
in Italia dal 2001 i prodotti dietetici senza glutine sono contenuti in un elenco, il Registro nazionale degli alimenti, redatto ed aggiornato dal Ministero della salute, è l'unica fonte per l'erogazione gratuita degli alimenti senza glutine ai celiaci;
il Parlamento europeo, l'11 giugno 2013, ha approvato definitivamente il Regolamento COM 353/2011 che abroga il concetto di prodotto dietetico ed esclude i celiaci dalle categorie vulnerabili della popolazione con esigenze nutrizionali tutelate (lattanti, prima infanzia, fini medici speciali e persone che devono perdere peso);
la celiachia, non è una «moda» alimentare, i circa 140.000 pazienti diagnosticati devono necessariamente sottoporsi a diete prive di glutine come unica terapia alla loro patologia autoimmune. Pertanto, la dieta aglutinata è di fatto terapia salva vita per i celiaci. Ogni anno sono effettuate 10.000 nuove diagnosi e gli studi epidemiologici, in Italia e nel mondo, confermano che l'incidenza della celiachia è di 1:100 - 150;
la Commissione europea, fin dalla prima proposta del COM 353 nel giugno 2011, ha considerato i celiaci come meri consumatori e la dieta senza glutine come un'alimentazione comune, con l'unica necessità per i prodotti di ben evidenziare in etichetta l'assenza di glutine. Banalizzare la dieta senza glutine a dieta di moda, ha portato l'Europa a non riconoscere più le esigenze nutrizionali dei celiaci;
si ritiene che a tale superficiale approccio alla celiachia e alla dieta senza glutine abbia contribuito anche la confusione tra celiachia, malattia irreversibile ed autoimmune, sensibilità al glutine non ancora meglio identificata e dieta salutista. L'equivoco è che molti, pensando di avere sensibilità al glutine, consumano cibi speciali. Ciò comporta anche una spesa considerevole: 600.000 famiglie italiane spendono circa 6 milioni di euro al mese per acquistare prodotti senza glutine di cui non hanno bisogno. Una scelta pericolosa, perché può impedire di diagnosticare adeguatamente casi di vera celiachia. Secondo alcune informazioni diffuse dai media, la sensibilità al glutine sarebbe presente nel 2-6 per cento della popolazione mondiale, ma non si tratta di stime realistiche, perché i numeri derivano da studi condotti sui pazienti di ambulatori gatroenterologici, per cui selezionati e non rappresentativi della popolazione generale;
tutto ciò ha portato a un clamore mediatico che spinge molti a scorrette autodiagnosi d'intolleranza al glutine, imponendosi poi una dieta specifica e inutilmente costosa: per un prodotto per celiaci, infatti, si spendono in media tre volte di più rispetto all'analogo senza glutine. Ogni anno in Italia si spendono 250 milioni di Euro per prodotti aglutinati, ma solo 190 milioni sono quelli erogati gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale per pazienti con celiachia diagnosticata;
di contro, in Italia ci sono circa 465.000 celiaci che non sanno di esserlo. Per loro l'alimentazione fai da te senza glutine è rischiosa, perché assumendo cibi senza glutine mettono a rischio la loro salute. La situazione italiana, poi, è ancora di più a rischio, in quanto, il Regolamento approvato in sede europea, porterà, con decorrenza giugno 2016, all'abrogazione del decreto legislativo n. 111 del 1992, (Norma nazionale di recepimento delle direttive europee sui dietetici) e del Regolamento 41/2009, mettendo in serio rischio quindi il Registro nazionale dei «prodotti dietetici» senza glutine, categoria abrogata dal Regolamento 609/2013 (COM 353/13);
l'articolo 1 della legge 4 luglio 2005, n. 123, recante «Norme per la protezione dei soggetti malati di celiachia», ha riconosciuto la celiachia come malattia sociale;
la Commissione europea non ha ritenuto di dover tutelare alcune categorie sensibili e vulnerabili di consumatori, come quella dei celiaci, e ciò comporta una serie di rischi: il regolamento rimuove la speciale salvaguardia riservata ai celiaci garantita da una normativa rigorosa sui requisiti nutrizionali e sui relativi controlli;
non è possibile tutelare i pazienti celiaci, affetti da una patologia cronica con un Regolamento che non garantisce gli specifici apporti nutrizionali e salutistici. Ciò è inadeguato e inammissibile;
al fine di attuare una delle più rilevanti finalità della legge n. 123 del 2005, la diagnosi precoce, è stato definito il Protocollo di diagnosi e follow-up per la celiachia dal «Gruppo Celiachia» presso il Ministero della salute, cui ha contribuito il Comitato scientifico nazionale dell'Associazione Italiana Celiachia che oggi conta circa 62.000 soci;
l'articolo 4, comma 1, della legge n. 123 del 2005 afferma che «al fine di garantire un'alimentazione equilibrata, ai soggetti affetti da celiachia è riconosciuto il diritto all'erogazione gratuita di prodotti dietoterapeutici senza glutine». Il diritto, introdotto per la prima volta con il decreto del Ministro della sanità, 1o luglio 1982, e progressivamente modificato nella norma di attuazione, è definito con legge dello Stato;
spetta alle regioni mediante le aziende sanitarie nazionali, l'erogazione gratuita degli alimenti ai pazienti affetti da celiachia con tetti di spesa suddivisi tra età, uomini e donne;
il Parlamento Europeo, riunito a Bruxelles il 14 giugno 2012 in seduta plenaria ha adottato il Rapporto Ries (l'introduzione degli alimenti per celiaci nella proposta di regolamento della Commissione, COM 353/2011, accanto agli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini, agli alimenti destinati a fini medici speciali e a quelli destinati a diete a basso (LCD) e a bassissimo contenuto calorico), VLCD;
il 14 novembre 2012 in sede Europea, si è svolto un confronto tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo sulla proposta di regolamento della Commissione COM 353/2011 e da suddetto confronto è emersa la versione finale del testo di regolamento;
nonostante la lunga e consistente battaglia dell'Italia (Governo e AIC), il COM 353/2011 è uscito dal dibattito istituzionale europeo escludendo dal campo di applicazione delle categorie di prodotti giudicati essenziali per categorie vulnerabili della popolazione, i prodotti senza glutine destinati ai celiaci, che ne rimanda la regolamentazione al regolamento 1169/2011, il cosiddetto Food Information to consumers (FIC),
impegna il Governo:
ad assumere urgenti iniziative affinché sia scongiurata l'applicazione del Regolamento Europeo senza l'introduzione di modifiche migliorative;
a tutelare, con misure di propria competenza, i celiaci, categoria vulnerabile della popolazione, da provvedimenti molto restrittivi;
a formulare, nell'ambito dei nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA), una linea d'indirizzo nazionale che imponga alle regioni il rispetto dei termini della legge dello Stato, garantendo perlomeno i tetti di spesa del decreto del Ministro della sanità dell'8 giugno 2001 e l'applicazione del principio del fabbisogno calorico sulla base dei recenti LARN della SINU;
constatato che il fabbisogno energetico dei giovani pazienti celiaci che praticano attività sportiva agonistica è superiore rispetto a chi non la pratica, e equiparare in tutte le regioni i tetti di spesa, (previa certificazione comprovante lo svolgimento dell'attività sportiva agonistica svolta dai pazienti celiaci) alla fascia superiore di erogazione di prodotti senza glutine;
a farsi carico del problema della distribuzione di prodotti in erogazione, oggi fruibili per il paziente nella sola provincia o/e regione di residenza, cosicché i celiaci che si muovono per motivi di studio, lavoro o vacanza, sono attualmente costretti a portare con sé gli alimenti per il fabbisogno quotidiano;
a tener presente, in attesa dell'approvazione del Lea (dal 2008 è previsto il passaggio della celiachia dall'elenco delle malattie rare alle croniche), i rischi per la perdita dell'importante tutela della diagnosi che il regolamento delle malattie rare di cui al decreto del Ministro della sanità n. 279 del 2001 prevede con l'esenzione del ticket, per una malattia il cui esame precoce richiede ancora, mediamente, 6 anni di tempo e indagini (dati della Relazione annuale al Parlamento);
a promuovere la diagnosi precoce, riducendo sensibilmente i costi socio-sanitari, che dovrà essere perseguita con strumenti alternativi, già indicati dalla legge n. 123 del 2005, in considerazione di quanto previsto dal protocollo di diagnosi e follow up, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale nel febbraio 2007 per il trattamento e follow up della celiachia;
a garantire che la normativa italiana, da sempre all'avanguardia per i diritti e le tutele dei celiaci, anche a seguito della presentazione della proposta di regolamento del Parlamento europeo concernente gli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini e agli alimenti destinati a fini medici speciali, continui a tutelare la sicurezza del prodotto rivolto ai celiaci, per la produzione, notifica delle etichette e piano di campionamento di controllo, e mantenga anche il registro nazionale degli alimenti, quale unica fonte per l'erogazione gratuita, anche con l'attuazione della revisione del registro già discussa ai tavoli tecnici del Ministero della salute.
(1-00151) «Vezzali, Cesa, Marazziti, Valeria Valente, Carrescia, Tartaglione, Iacono, Rampelli, Tullo, Carocci, Fitzgerald Nissoli, Zardini, D'Incecco, Binetti, D'Agostino, Rubinato, Cimmino, Antezza, Librandi, Ginoble, Melilli, Antimo Cesaro, Rabino, Vecchio, Balduzzi, Caruso, Capua, Luciano Agostini, Lodolini, Realacci, Catania, Schirò Planeta».
Risoluzioni in Commissione:
La VI Commissione,
premesso che:
con l'acuirsi delle difficoltà economiche ed occupazionali si registra un consistente aumento di contribuenti che attualmente si trovano senza impiego e che, avendo lavorato nel 2012, possono trovarsi nella condizione di dovere presentare la dichiarazione dei redditi per richiedere rimborsi di imposte pagate in eccedenza;
ai lavoratori dipendenti e ai lavoratori cassintegrati è consentito di presentare la dichiarazione dei redditi con il modello 730, così che il sostituto d'imposta, ossia il datore di lavoro, ovvero, nel caso dei lavoratori cassa integrati, l'Inps o l'istituto di previdenza di iscrizione, provvede a saldare direttamente in busta paga le posizioni a credito e a debito nei confronti dell'erario;
al contrario, i contribuenti licenziati che hanno lavorato nel 2012, ovvero quelli che nell'anno passato hanno beneficiato di un trattamento di cassa integrazione o di altri ammortizzatori, non esistendo più il datore di lavoro, ovvero l'ente previdenziale che opera da sostituto di imposta, devono presentare la dichiarazione con il modello Unico, la qualcosa determina che il sostituto d'imposta diviene l'Agenzia delle entrate che, prima di procedere alla liquidazione dei rimborsi dei crediti accumulati e degli anticipi versati, è tenuta a svolgere tutti i controlli per la verifica della sussistenza della pretesa creditoria;
è profondamente ingiusto che coloro che hanno perso il lavoro, e probabilmente si trovano in gravi difficoltà anche familiari, dovendo necessariamente attendere i tempi previsti dall'erario per il rimborso delle somme, vengano inopinatamente penalizzati rispetto ai contribuenti che presentano la dichiarazione dei redditi con il modello 730;
come risulta dalle risposte rese dal rappresentante del Governo ad atti di sindacato ispettivo presentati sulla questione che qui interessa, l'Agenzia delle entrate ha evidenziato che, per coloro che hanno cessato il rapporto di lavoro senza trovare un nuovo impiego, si potrebbe prevedere, limitatamente ai casi in cui la liquidazione risulta a credito, che i CAF e i professionisti abilitati trasmettano alla stessa, secondo le attuali procedure, l'importo da rimborsare e le coordinate bancarie su cui accreditare le somme;
per l'anno d'imposta 2012, la campagna dichiarativa dei modelli 730 è già terminata il 10 giugno 2013, mentre è attualmente in corso la presentazione del modello Unico persone fisiche,
impegna il Governo
ad adottare tempestivi interventi, anche di natura normativa, per accelerare i rimborsi spettanti ai contribuenti di cui in premessa.
(7-00069) «Maietta».
La X Commissione,
premesso che:
i dati forniti da INDICAM, WTO e OCSE, stimano il peso delle vendite di merci contraffatte tra il 7 ed il 20 per cento dell'intero commercio mondiale, il 20 per cento del mercato illegale mondiale riguarda tessile, moda e abbigliamento;
la Camera commercio internazionale (ICC) stima che entro l'anno 2015, il settore del falso costerà agli Stati circa 1.700 miliardi di dollari e che il fenomeno dilagherà, mettendo a rischio ogni anno circa 2,5 milioni di posti di lavoro regolari;
da una ricerca realizzata lo scorso ottobre dal Censis per il Ministero dello sviluppo economico sull'impatto della contraffazione sul sistema-Paese, emerge che il fatturato del mercato del falso in Italia vale 6,9 miliardi di euro; i settori più colpiti sono l'abbigliamento e gli accessori (2,5 miliardi di euro), il comparto cd, dvd e software (1,8 miliardi di euro) e i prodotti alimentari (1,1 miliardi di euro);
da tale ricerca emerge, inoltre, che l'impatto della contraffazione sull'economia legale è pesantissimo, se i prodotti contraffatti fossero venduti sul mercato legale si avrebbero 13,7 miliardi di euro di produzione aggiuntiva, con conseguenti 5,5 miliardi di euro di valore aggiunto;
la produzione aggiuntiva genererebbe acquisti di materie prime, semilavorati e servizi dall'estero per un valore delle importazioni pari a 4,2 miliardi di euro e la produzione complessiva degli stessi beni in canali ufficiali assorbirebbe circa 110.000 unità di lavoro a tempo pieno;
il mercato dei prodotti contraffatti genera un mancato gettito fiscale di 1,7 miliardi di euro, riportare sul mercato legale la produzione dei beni contraffatti significherebbe anche avere un gettito aggiuntivo per imposte dirette e indirette (compresa la produzione indotta) di 4,6 miliardi di euro;
l'Unione europea non ha approvato disposizioni armonizzate sul marchio di origine nell'Unione europea e le disparità fra le regolamentazioni in vigore negli Stati membri, nonché l'assenza di regole chiare in materia a livello comunitario, comportano una frammentazione del quadro giuridico;
tale mancanza denota un grave limite strategico, poiché alcuni dei maggiori partner commerciali dell'Unione europea, come gli Stati Uniti, la Cina, il Giappone il Canada, l'India, l'Arabia Saudita hanno introdotto l'obbligo dell'indicazione del paese dell'origine sul prodotto e sul relativo imballaggio;
la situazione attuale pone, quindi, l'Unione europea in condizioni di svantaggio rispetto ai suoi partner commerciali, ma soprattutto sono i cittadini comunitari a trovarsi in condizioni di svantaggio non potendo avere tutte le indicazioni che consentirebbero loro di poter effettuare acquisti consapevoli;
in un momento di crisi profonda e perdurante come quella attuale, il danno per l'economia italiana e soprattutto per il settore manifatturiero, composto per la grande maggioranza da micro e piccole imprese, è ancora più schiacciante poiché comporta una condizione di concorrenza sleale per le aziende dell'autentico made in Italy che hanno deciso di continuare a produrre in Italia e che devono sopportare un pesantissimo gap competitivo;
lo scorso 23 ottobre 2012 la Commissione europea ha deciso di ritirare, a causa della forte opposizione in seno al Consiglio dei Paesi del Nord Europa, la proposta di regolamento sul «made in», un testo il cui esame era stato avviato sin dal 2002 e che il Parlamento dell'Unione europea nella seduta del 21 ottobre 2010 aveva approvato a larghissima maggioranza, tale regolamento prevedeva l'obbligo dell'indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi, in modo da fornire al consumatore una chiara indicazione sull'origine extra Unione europea del prodotto;
attualmente è in discussione presso il Parlamento europeo il cosiddetto «Pacchetto sicurezza prodotti e vigilanza del mercato» composto da due proposte di regolamento (COM(2013)75 relativo alla sorveglianza del mercato dei prodotti e COM(2013)78 relativo alla sicurezza dei prodotti per i consumatori);
in particolare la proposta di Regolamento sulla sicurezza dei prodotti definisce una serie di norme volte ad assicurare la piena tracciabilità dei beni e prevede degli obblighi, proporzionati e calibrati, per tutti gli attori della filiera (fabbricanti, importatori e distributori);
la proposta di Regolamento prevede in particolare all'articolo 7, l'obbligo i fornire l'indicazione di origine dei prodotti, previsione voluta dal Commissario europeo all'industria Antonio Tajani, Vicepresidente della Commissione europea;
in tale articolo si definiscono nuove disposizioni in materia di made in e, fermo restando per l'individuazione del Paese di origine quanto stabilito dal Regolamento CEE n. 2913/92 istitutivo del codice doganale comunitario, si prevede che nel caso di beni prodotti nell'Unione europea, l'impresa possa scegliere se apporre l'indicazione made in Europe o made in (più il nome dello Stato membro) e che nel caso di beni prodotti in Paesi terzi sia presente l'indicazione made in (più il Paese di origine). Tutti i prodotti dovranno quindi presentare obbligatoriamente, l'indicazione made in sulla propria etichetta per essere immessi nel mercato interno;
la suddetta norma riveste una particolare importanza per la tutela dei consumatori, poiché fissa l'obbligo di indicare da dove un prodotto provenga, sia se fabbricato in Europa, sia in Paesi extra Unione europea;
il «pacchetto sicurezza prodotti e vigilanza del mercato» è stato trasmesso ai Parlamenti nazionali per i rispettivi pareri, ma il Parlamento italiano non ha espresso alcun parere e le 8 settimane previste sono scadute;
è fondamentale per il nostro sistema produttivo, ma soprattutto per i nostri consumatori, che le norme previste dal «pacchetto sicurezza prodotti e vigilanza del mercato» siano adottate in tempi rapidi, al fine di dare finalmente adeguata tutela al consumatore;
la tutela dei consumatori dalla contraffazione anche dell'indicazione di origine è quanto mai necessaria poiché numerose ricerche dimostrano che molte merci provenienti da Paesi extra Unione europea sono risultate dannose per la salute e la sicurezza del consumatore;
l'articolo 16 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, stabilisce che si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano;
in base al comma 2 del medesimo articolo possono essere emanati decreti per definire le modalità di applicazione del comma 1;
poiché secondo quanto previsto nel suddetto comma 1 è ben chiaro che si può considerare fabbricato in Italia solo il prodotto o la merce che nel suo intero ciclo produttivo, comprese ideazione e progettazione, con la sola esclusione della materia prima, è stato eseguito interamente sul suolo italiano, i decreti attuativi dovrebbero essere finalizzati alla sola individuazione delle materie prime e quindi non rientranti nelle previsioni del citato decreto-legge 135 del 2009,
impegna il Governo:
ad assumere in sede europea una forte posizione a favore delle due citate proposte di regolamento e ad attivarsi con ogni strumento possibile affinché si arrivi ad una rapida approvazione di tali regolamenti, salvaguardando in particolare il contenuto dell'articolo 7 della proposta di regolamento sulla sicurezza dei prodotti per i consumatori COM(2013)78 relativo alla piena tracciabilità dei prodotti con la definizione delle nuove disposizioni in materia di made in;
a istituire tavoli di lavoro con le categorie interessate al fine di predispone i decreti previsti dal comma 2 dell'articolo 16 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, diretti ad individuare e ad elencare per ciascun settore produttivo quelle che sono da considerare materie prime;
nell'ottica della crescita e dello sviluppo dell'economia, ad assumere sia in sede nazionale che europea iniziative, anche di carattere normativo, dirette sia al rilancio del settore manifatturiero, sia alla promozione e alla tutela delle produzioni nazionali.
(7-00070) «Donati, Senaldi, Vignali, Nesi, Nardella».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
MATTEO BRAGANTINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
sono più di due milioni i lavoratori stranieri in Italia. Diversi indicatori convergono nel segnalare come la crisi abbia colpito in misura relativamente più accentuata proprio la componente immigrata, con un numero di disoccupati pari a quasi quattrocentomila unità (circa un terzo comunitari e il restante extracomunitari). Lo rileva un rapporto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sul mercato del lavoro degli immigrati;
nel 2012, rispetto all'anno precedente, c’è stata una crescita dell'occupazione straniera di circa 82 mila persone, accompagnata da una diminuzione di 151 mila occupati italiani, generando così un saldo negativo di 69 mila unità;
la popolazione straniera in età di lavoro (da 15 anni in su) nel 2012 è composta da 1,2 milioni di cittadini di provenienza da paesi dell'Unione europea e da 2,7 milioni di provenienza extracomumtaria. I lavoratori stranieri occupati nel 2008 erano 1,75 milioni. A distanza di cinque anni il loro numero è salito a 2,3 milioni pari al 10 per cento del totale. L'aumento ha riguardato sia la componente maschile, cresciuta di 250 mila unità che quella femminile, passato dalle 701 mila unità del 2008 a oltre un milione nel 2012;
tutte le previsioni macroeconomiche degli istituti ed organismi accreditati fotografano un Paese in una situazione di vera e propria recessione;
la grave congiuntura economico-finanziaria che sta attraversando il nostro Paese ha determinato e determinerà ancora di più nei prossimi mesi rilevanti ricadute negative sull'occupazione. I lavoratori più a rischio – anche per la tipologia delle loro mansioni e dei relativi contratti – saranno sicuramente i lavoratori stranieri. Tale situazione creerà rilevanti problemi non solo sotto il profilo strettamente occupazionale, ma anche dal punto di vista della sicurezza pubblica, considerato il rischio attuale che molti stranieri, perdendo il posto di lavoro – in assenza di altri ammortizzatori sociali quali la famiglia e la comunità di appartenenza – finiscano per incrementare le fila della criminalità;
è necessario avviare uno studio sui flussi migratori che proceda: alla raccolta di dati ed all'elaborazione di statistiche sulle migrazioni internazionali, sulla popolazione dimorante abitualmente e sull'acquisizione della cittadinanza, sui permessi di soggiorno e sul soggiorno di cittadini di Paesi extracomunitari, nonché sui rimpatri; al monitoraggio del fenomeno della disoccupazione degli stranieri titolari di permesso di soggiorno conseguente alla crisi economica in atto e alla formulazione di politiche attive di reinserimento di tali categorie di lavoratori; all'analisi della capacità recettiva del Paese, in rapporto alle singole realtà territoriali, in riferimento ai posti di lavoro disponibili nei diversi settori occupazionali, alla disponibilità di alloggi, alla disponibilità e al costo dei servizi garantiti; all'analisi dell'impatto dell'immigrazione sotto il profilo del rapporto tra costi e benefici con particolare riguardo ai pubblici servizi; all'analisi del grado di integrazione degli stranieri presenti sul territorio nazionale anche in rapporto ai Paesi di provenienza; alla formulazione di proposte per la revisione del meccanismo dei flussi di ingresso di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, finalizzate ad includere nelle quote annualmente stabilite anche gli ingressi nel territorio dello Stato per motivi di ricongiungimento familiare;
è necessario intervenire al fine di prevedere misure alternative agli esistenti ammortizzatori sociali finalizzate ad incentivare il rimpatrio degli immigrati che hanno perso il lavoro –:
quali interventi il Governo intenda adottare al fine di assumere iniziative volte a contenere l'arrivo di nuova manodopera immigrata nel nostro Paese, e se non ritenga necessario farsi promotore di un intervento normativo d'urgenza finalizzato a sospendere temporaneamente l'adozione dei decreti che determinano i flussi di ingresso per i lavoratori extracomunitari e che preveda particolari formule incentivanti per il rimpatrio degli extracomunitari che hanno perso il lavoro.
(5-00663)
REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
l'interrogante ha presentato, nella passata legislatura e senza ottenere alcuna risposta, l'atto di sindacato ispettivo numero 4-19079 avente per oggetto la richiesta di descrizione al Parlamento da parte del Governo, anche per tramite del Commissario delegato per l'emergenza della Concordia Gabrielli, del piano di rimozione del relitto di Costa Concordia e della necessarie azioni di salvaguardia dell'ecosistema marino dell'isola del Giglio e della modalità di rottamazione della nave;
nell'ultimo periodo appare con alta frequenza sulle agenzie e sulle edizioni online dei maggiori quotidiani nazionali la forte preoccupazione sulle condizioni dello scafo del relitto: ancora adagiato nello spazio di mare antistante il porto del Giglio. In particolare si sottolinea la questione dei ritardi nelle operazioni di recupero e il corretto smaltimento di Concordia;
risulta poi che entro il termine di giugno 2013 la società Costa avrebbe dovuto presentare al Commissario delegato e alla regione Toscana il piano per la rimozione della nave naufragata la notte 13 gennaio 2012, ma così pare non sia accaduto –:
se il Presidente del Consiglio intenda in primis rendere note le condizioni necessarie per garantire che l'effettiva rimozione e il ricovero del relitto avvengano in sicurezza e senza ulteriori danni per l'ambiente;
se non si ritenga indispensabile chiarire le ragioni dei ritardi e quale sia attualmente lo stato dell'ecosistema marino dell'arcipelago Toscano interessato dall'incidente di nave Costa;
quali azioni intenda altresì mettere in campo il Governo per accelerare la rimozione dello scafo, quali siano i tempi di realizzazione dei lavori e quando sarà completata la rimozione totale del relitto, auspicando fortemente che ciò avvenga quanto prima;
quanti fondi siano effettivamente necessari all'espletamento della rimozione e della messa in sicurezza della nave e chiare assicurazioni sul fatto che i costi e i risarcimenti ricadranno in via esclusiva sui responsabili del disastro della Costa Concordia;
quale sia lo stato di avanzamento dei lavori necessari per l'allestimento del cantiere di lavoro del porto di Piombino, che risulterebbe il più idoneo per la rottamazione del relitto, stante la sua vicinanza geografica, la capacità delle maestranze e la presenza nel luogo di un polo siderurgico, utile alle operazioni di rottamazione della Costa Concordia. (5-00672)
PRODANI, CATALANO, RIZZETTO, FANTINATI, CRIPPA, DA VILLA, DELLA VALLE, MUCCI, PETRAROLI e VALLASCAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la liberalizzazione delle attività economiche costituisce un elemento fondamentale per garantire la libertà di concorrenza in condizioni di pari opportunità, il corretto funzionamento del mercato e per assicurare ai consumatori un livello minimo e uniforme di accessibilità a beni e servizi sul territorio nazionale;
l'articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 «Salva-Italia» (convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 2011), come modificato dall'articolo 36 del successivo decreto-legge n. 1 del 2012 sulle liberalizzazioni (convertito con modificazioni in legge n. 27 del 2012), ha istituito l'Autorità di regolazione nel settore dei trasporti a cui sono affidati importanti compiti di regolazione, promozione e tutela della concorrenza;
quest'organo ha natura collegiale ed è costituito da un presidente e due componenti, nominati con un decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente. Le designazioni devono essere sottoposte, in via preliminare, al parere vincolante espresso a maggioranza qualificata (due terzi) delle competenti Commissioni parlamentari;
la durata in carica dei membri – scelti in base al rispetto dei principi di moralità, indipendenza, comprovata professionalità e competenza nel settore – è stabilita in sette anni, senza possibilità di conferma;
tra le funzioni principali dell'Autorità figurano:
a) garantire condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali, alle reti autostradali e alla mobilità dei passeggeri e delle merci in ambito nazionale;
b) definire criteri per la fissazione di tariffe, canoni e pedaggi;
c) stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto nazionali e locali del servizio pubblico;
d) definire gli schemi dei bandi delle gare per l'assegnazione dei servizi di trasporto in esclusiva e delle convenzioni e stabilire i criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici;
e) verificare che nei bandi di gara per il trasporto ferroviario regionale non siano presenti condizioni discriminatorie o che impediscano l'accesso a concorrenti potenziali;
f) definire gli ambiti del servizio pubblico sulle tratte e le modalità di finanziamento del trasporto ferroviario, sentiti il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, le Regioni e gli enti locali interessati;
g) svolgere le funzioni di organismo di regolazione per l'accesso all'infrastruttura ferroviaria;
h) nel settore autostradale stabilire, per le nuove concessioni, sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap, con revisione quinquennale;
i) svolgere le funzioni di vigilanza in materia di diritti aeroportuali, approvando i sistemi di tariffazione e il loro ammontare;
j) monitorare e verificare la corrispondenza dei livelli di offerta del servizio taxi, delle tariffe e della qualità delle prestazioni alle esigenze dei diversi contesti urbani, secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità, allo scopo di garantire il diritto di mobilità degli utenti;
il 4 giugno 2013, il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella, è stato ascoltato in audizione dalla X Commissione Attività produttive in merito all'esame della Relazione sulla liberalizzazione delle attività economiche. Il professor Pitruzzella ha confermato l'importanza dell'autorità di regolazione nel settore dei trasporti, stigmatizzando i ritardi nella nomina dei suoi componenti;
ad oggi, infatti, con il decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) 11 maggio 2012, è stata individuata solo la sede dell'autorità, nella città di Roma, mentre per la sua composizione non si è concluso il necessario iter parlamentare;
la prima designazione dei componenti effettuata l'8 giugno 2012 dai Consiglio dei ministri – l'economista Mario Sebastiani come presidente, il consigliere di Stato Pasquale De Lise e l'allora direttore generale delle infrastrutture al Ministero del trasporti Barbara Marinali in qualità di membri – non ha infatti superato il vaglio dal Parlamento;
nella seduta della IX Commissione trasporti di Montecitorio del 19 settembre 2012, è stato proprio il rappresentante del governo – l'allora sottosegretario di Stato alle Infrastrutture Guido Improta – a chiedere un rinvio della votazione, considerando che il suo risultato non sarebbe stato «funzionale al buon esito della procedura» e rilevando la necessità di «ripensare alla composizione della terna» –:
se l'Esecutivo intenda avviare immediatamente la procedura di nomina dei componenti dell'Autorità di regolazione nel settore dei trasporti sottoponendo alle Camere una nuova terna di nomi, in modo da rendere operativa il prima possibile quest'authority chiamata a svolgere un ruolo fondamentale per il controllo e la liberalizzazione di un comparto fondamentale per i cittadini. (5-00682)
Interrogazioni a risposta scritta:
BARBANTI, CANCELLERI, MANNINO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DE ROSA, D'UVA, MASSIMILIANO BERNINI, DELLA VALLE, CECCONI, LOMBARDI, RUOCCO e NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
venerdì 12 luglio 2013 presso la rinomata città turistica di Scalea, i Carabinieri del comando provinciale di Cosenza, guidati dal colonnello Francesco Ferace, unitamente ai ROS, hanno fatto scattare l'operazione Plinius che ha prodotto l'arresto di 38 persone con altre 21 denunciate a piede libero;
i Carabinieri hanno provveduto all'arresto del sindaco di Scalea, Pasquale Basile, di cinque dei sei assessori componenti la giunta, di diversi tecnici comunali e del comandante della polizia municipale;
tra i reati contestati, con l'aggravante mafiosa, sono ricompresi: l'associazione a delinquere, il concorso esterno, la corruzione, la turbativa d'asta, le minacce e il sequestro di persona;
per quanto riportato dal Quotidiano della Calabria del 13 luglio 2013, gli inquirenti sostengono che il sindaco sia il perno sul quale ruota tutta l'attività criminale avente ad oggetto i grandi appalti: rifiuti, porto, aree demaniali, parcheggi a pagamento;
sembrerebbe che una serie di atti amministrativi comunali seguivano una logica criminale fatta di autorizzazioni compiacenti, appalti truccati e/o turbative d'asta;
il procuratore capo della Dda di Catanzaro, Antonio Vincenzo Lombardo, ha messo in risalto come al centro dell'indagine (cosa ribadita anche dal procuratore aggiunto Borrelli) non ci sia lo scambio di voti ma l'amministrazione del comune di Scalea da parte della ’ndrangheta;
contro chi provava a svolgere con correttezza il proprio incarico si scaricavano violenze e/o pesanti intimidazioni;
risulta all'interrogante che da più di due anni sia stata completata ma non risulta utilizzata la nuova sede della caserma dei Carabinieri nel comune di Cetraro, nonostante l'intervento del Consiglio regionale della Calabria, che nella seduta del 25 marzo 2013, mediante un apposito ordine del giorno in merito alla sua mancata operatività, ha invitato «la Giunta Regionale a mettere in atto tutte le azioni necessarie per superare gli impedimenti in essere e di rappresentare al Ministro dell'interno l'urgente necessità delle popolazioni del Tirreno cosentino ad avere in tempi brevi un presidio di legalità certo ed efficiente –:
quali mezzi si intendano predisporre per combattere queste commistioni tra politica e criminalità organizzata, visto che la spending review ha portato alla chiusura di molti tribunali;
se e come intenda rafforzare i presidi delle forze di pubblica sicurezza visto che tra Tortora e Campora San Giovanni (120 chilometri di costa) sono presenti solo un commissariato e due compagnie di carabinieri;
quali misure intenda assumere per provvedere alla tempestiva apertura della suddetta sede della Caserma dei Carabinieri. (4-01335)
GALLINELLA e CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il 15 dicembre 2009 un terremoto di magnitudo 4.2 ha gravemente lesionato la frazione di Spina nel comune di Marsciano (Perugia);
purtroppo si sta ripetendo un fatto simile a quanto già accaduto per l'esenzione dell'IMU a carico dei fabbricati resi inagibili dal sisma suddetto; infatti mentre tale esenzione era stata concessa per l'Abruzzo e successivamente per l'Emilia Romagna, per il terremoto di Marsciano, solo dopo molteplici sollecitazioni, gli organi deputati hanno previsto con un provvedimento normativo apposito, inserito nel decreto-legge denominato «Mille Proroghe», che ponesse uguaglianza di trattamento fra il terremoto di Marsciano e gli altri;
gli interventi di ricostruzione da realizzare da parte dei soggetti privati all'interno del PIR di Spina, saranno assoggettati, permanendo la legislazione vigente e qualora l'importo dei lavori superi un milione di euro, alle previsioni di cui all'articolo 32, comma 1, lettere d) ed e), del codice dei contratti 12 aprile 2006, n. 163, che prevede, per l'affidamento dei lavori, l'applicazione delle complesse procedure valide per i lavori pubblici mentre quelli già autorizzati per l'Abruzzo e l'Emilia Romagna da realizzare sugli immobili privati all'interno del Progetto integrato di recupero (PIR) in questione saranno svolti con atti di natura privatistica;
trattandosi di contributi in conto dei lavori necessari per le abitazioni danneggiate per portarle ad un livello di sicurezza di almeno il 60 per cento e che i proprietari dovranno comunque sostenere, con propri mezzi, il maggior costo necessario per il completamento degli stessi lavori, è quindi evidente che solo con contratti di natura privatistica sarà possibile garantire l'efficiente ed utile impiego di risorse pubbliche e si potrà garantire un rientro nelle proprie abitazioni in tempi accettabili e celeri;
a parere degli interroganti, sarebbe più agevole che per cittadini residenti in Umbria, colpiti dal sisma, che hanno subito lo stesso evento calamitoso non debbano sistematicamente richiedere appositi trattamenti in deroga alle leggi già vigenti –:
quali iniziative anche di tipo normativo in analogia a quanto già attuato per le altre aree colpite da analoghi eventi calamitosi, intenda adottare il Ministro interrogato per favorire e agevolare celermente i processi di ricostruzione e di rinascita delle zone del comune di Marsciano colpite dal recente sisma del 2009. (4-01343)
LUIGI DI MAIO, BARBANTI, CANCELLERI, PISANO e PESCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il buon funzionamento della CONSOB è condizione necessaria per assicurare la vigilanza sul sistema finanziario e societario e, di conseguenza, garantire il rispetto delle regole che incoraggiano e tutelano il risparmio. Ciò è fondamentale affinché i risparmiatori possano assumere scelte d'investimento maturate nella consapevolezza di poter agire in un ambiente affidabile, in cui gli operatori sono sottoposti ad un'azione di controllo efficace sulla trasparenza e sulla correttezza dei comportamenti;
proprio a tal fine, sono state create delle autorità indipendenti, come la CONSOB, i cui membri necessitano ontologicamente di due caratteristiche essenziali: la competenza, in quanto si trovano ad esercitare rilevanti poteri, anche regolamentari, sottratti ad altri ambiti istituzionali proprio in ragione della esasperata complessità tecnica delle norme e dei comportamenti in questione, e l'indipendenza dal Governo, che persegue obiettivi fisiologicamente cangianti proprio in omaggio all'alternanza democratica, mentre le finalità delle autorità che vigilano sui mercati finanziari sono cristallizzate dalla legge in diretta attuazione dei valori e principi espressi dalla Costituzione;
in questo contesto, analizzando l'operato dell'attuale Presidente della CONSOB, dottor Giuseppe Vegas, sembra legittimo nutrire dei dubbi sulla sua effettiva adeguatezza a rivestire tale ruolo, sia dal punto di vista della competenza che da quello dell'indipendenza. Se possiamo essere certi che il dottor Vegas sia in grado di orientarsi fra le procedure parlamentari, nell'ambiente «amministrato» della finanza pubblica e nelle più fitte trame del diritto ecclesiastico, tuttavia, finora non ha dato prova di conoscere il mondo liquido e sfuggente della finanza privata;
il presidente Vegas, infatti, travolto dal fiume in piena degli scandali finanziari e della recente crisi che ha messo a repentaglio la solidità del sistema, avrebbe dovuto concentrare la sua massima attenzione sulla vigilanza on-site, come recentemente ribadito dallo IOSCO nel suo rapporto sull'Italia, impedendo comportamenti opportunistici alle reti distributive bancarie (in memoria dei casi Cirio, Parmalat e Banca Popolare di Milano), controllando da vicino i soggetti i cui strumenti finanziari sono diffusi fra il pubblico in misura rilevante (vedi il caso «Deiulemar»), tutelando la posizione degli azionisti di minoranza (vedi caso «UNIPOL») e impedendo il consumarsi di un vero e proprio dramma nazionale (il caso «MPS», come sarà approfondito più avanti);
in particolare, quest'ultimo caso sarebbe avvenuto sotto gli occhi dell'autorità, a giudicare dai contenuti dell'esposto indirizzato alla Consob nel luglio 2011 e pubblicato da diversi organi di stampa: un documento così dettagliato da sembrare un saggio di finanza criminale, le cui denunce circostanziate non sembrano aver suscitato l'interesse della Consob, stando alle cronache dei suoi successivi accertamenti. Il Presidente Vegas, da politico consumato (come si argomenterà in seguito a proposito della sua indipendenza) ha invece concentrato i suoi sforzi sull'obiettivo, a giudizio di chi scrive inconferente con l'attuale contesto socioeconomico italiano, di potenziare la Borsa, favorendo la quotazione di imprese di piccole e medie dimensioni attraverso una riduzione degli oneri amministrativi a carico delle stesse. Risulta tuttavia agli interroganti che le imprese quotate sono diminuite invece di aumentare e, in più di qualche caso, quotazioni annunciate sono naufragate nel nulla;
l'avversione ai vincoli di trasparenza e correttezza che la quotazione comporta è un fenomeno da sempre documentato nella finanza italiana, che non si poteva risolvere istituendo dei tavoli di discussione, giacché richiede un'azione congiunta di più istituzioni che si concentri su leve in gran parte estranee all'attività della CONSOB, in quanto la maggiore spinta all'opacità dell'impresa deriva dalle distorsioni indotte dal sistema fiscale. Resta il fatto che secondo gli interroganti gli sforzi del presidente Vegas sono stati concentrati su obiettivi estranei al mandato istituzionale della CONSOB per i quali dunque essa non è dotata di strumenti adeguati, mentre nei suoi ambiti principali di intervento sono fioriti scandali finanziari;
sulla mancanza delle competenze necessarie da parte del presidente Vegas hanno iniziato a nutrire forti dubbi anche diversi accademici italiani (professor Cesari, professor Cherubini, professor Onado, professor Boeri) che hanno apertamente polemizzato con le scelte di vigilanza compiute dalla Consob sui maggiori quotidiani nazionali fino a dichiararsi allibiti di fronte alla lettura dell'ultima relazione annuale della CONSOB («e non per quello che c’è scritto, ma per ciò che non c’è. Era difficile riuscire a generare un vuoto pneumatico dopo sei anni di crisi finanziaria. Il presidente Vegas magistralmente ci è riuscito» così Tito Boeri alludendo chiaramente alla vicenda MPS in un articolo pubblicato il 7 maggio 2013;
gli effetti di tale conduzione amministrativa sono stati resi evidenti dalla già citata vicenda relativa al Monte dei Paschi di Siena, quando – a fronte della presentazione di un dettagliato esposto sulle irregolarità delle operazioni di tale banca – la Commissione non ha ritenuto di dover intervenire a tutela dei risparmiatori. Allo stesso modo, anche nel prosieguo della vicenda fino ai tragici avvenimenti degli ultimi mesi, è proseguita un'inaccettabile inerzia da parte della CONSOB con un grave nocumento per i risparmiatori, tanto che CGIL, FISAC e Federconsumatori hanno annunziato di promuovere ora una causa civile contro la stessa per omessa vigilanza;
ma sono diversi, come anticipato, i casi che sono giunti alla ribalta delle cronache. Da quello UNIPOL-Fonsai in cui è stata contestata la terzietà dell'Istituto rispetto al mercato e la prossimità con Mediobanca (rapporti frequenti e consolidati fra il professor Stefano Vincenzi e il responsabile divisione Informazione emittenti Angelo Apponi), a quello della Deiulemar, il cui amministratore unico (l'avvocato Roberto Caviglia) è il fratello di un dirigente della CONSOB (Renato Maviglia inquadrato nella medesima divisione informazione emittenti). Non a caso, forse, nel marzo del 2012 si diffuse sugli organi di stampa l'ipotesi di salvare la Deiulemar facendola sbarcare in borsa. Si sarebbe trattato dell'ennesimo danno per i piccoli risparmiatori;
in effetti il Presidente Vegas, che di fronte alla estrema complessità delle dinamiche della crisi finanziaria aveva preferito nel 2012 soffermarsi sulla «dittatura dello spread», nel suo ultimo discorso annuale non ha trovato di meglio che richiedere nuovi poteri, pur non utilizzando a pieno (come sottolineato anche da un articolo del giornalista Antonio Vannuzzo pubblicato il 6 maggio 2013 sulla nota testata giornalistica a diffusione on line, linkiesta, quelli che già possiede nei confronti dei «famigerati» mercati.
al pari della competenza, non è chiaro poi quale possa essere l'indipendenza politica del Presidente Vegas, più volte importante membro dei Governi Berlusconi, nonché parlamentare del centrodestra per 4 legislature (XIII-XVI) dal 1996 fino al momento della sua nomina (18 novembre 2010), occasione nella quale, da presidente nominato, ha seguitato a partecipare ai lavori della Camera dei deputati per quasi due mesi (fino al momento dell'effettiva assunzione delle funzioni di presidente il 3 gennaio 2011), votando, tra l'altro, la fiducia al Governo Berlusconi nella celebre seduta del 14 dicembre 2010;
secondo quanto risulta all'interrogante, l'incapacità tecnica e la sudditanza politica sono accompagnate da «scelte gestionali» caratterizzate da manifesta confusione e assenza di trasparenza, che parrebbe più legata a obiettivi personalistici e di conservazione di ruoli di potere che risultato di una corretta ponderazione degli obiettivi della Commissione. Questa circostanza è stata segnalata da diverse inchieste giornalistiche e sindacali (e ha causato anche un inedito sciopero da parte dei dipendenti della CONSOB). Dal momento dell'insediamento del nuovo Presidente (circa 36 mesi) si sono verificati ben 5 «riordini organizzativi». Questo dato certifica come la struttura tecnica della Commissione si muova ad avviso degli interroganti in un contesto poco chiaro, senza un preciso modello e in assenza di una logica concezione degli scopi dell'Istituto;
nel corso di questo periodo, l'organizzazione amministrativa della Commissione, che ha circa 500 dipendenti, ha visto una irragionevole superfetazione dei centri organizzativi che sono aumentati da 40 a oltre 70 e, in tale ambito, sono state segnalate ai deputati interroganti diverse irregolarità concernenti le nomine dei più alti vertici amministrativi della CONSOB;
come di recente riportato dagli organi di stampa (Il Fatto Quotidiano, 16 luglio 2013, p. 8) desta non poche perplessità la imminente stabilizzazione (rectius assunzione a tempo indeterminato in assenza di un concorso pubblico) in virtù della facoltà prevista dall'articolo 1, comma 166, della legge n. 228 del 2012 (esercitabile entro la fine del corrente anno) di ben 43 funzionari (alcuni dei quali assunti sulla base esclusiva di un «rapporto fiduciario») che andranno a ricoprire posizioni apicali all'interno dell'Istituto. La procedura adottata dalla CONSOB (e funzionale ad un presunto contenimento dei costi, tutto da dimostrare) appare connotata da una eccessiva opacità e da una tempistica immotivatamente stringente che, in linea con un diffuso «italico» malcostume, attribuisce un ruolo determinante in una decisione così straordinaria e importante per il futuro dell'Istituto a due commissari in scadenza di mandato: il professor Vittorio Conti (luglio 2013) e il dottor Michele Pezzinga (dicembre 2013). Considerato che la stessa legge istitutiva della CONSOB prevede come modalità di assunzione del personale il concorso pubblico (che si articola in una serie di prove particolarmente selettive) appare evidente come questa operazione opaca e dalla dubbia consistenza introduca elementi di iniquità e di inefficienza nel fondamentale processo di selezione e avanzamento professionale di coloro che debbono vigilare sui mercati a tutela dei risparmiatori;
inoltre, all'interrogante è stato segnalato che molte importanti professionalità hanno inspiegabilmente scelto di allontanarsi dalla CONSOB optando per altre carriere professionali, fino ad arrivare al caso del Commissario professor Luca Enriques, che ha rassegnato le sue dimissioni prima della fine del suo mandato;
a questo è seguito anche un importante contenzioso sia in sede amministrativa sia civile. Anche nella passata legislatura sono stati depositati molteplici atti di sindacato ispettivo finalizzati a fare luce sulla conduzione del presidente Vegas. A queste iniziative non sono seguiti gli opportuni chiarimenti e, anzi, tali comportamenti sembrerebbero proseguire ancora oggi;
come ben rappresentato dal commento del professor Onado pubblicato sulla prima pagina del Sole240re il 18 luglio 2013, «il clamoroso arresto di ieri della famiglia Ligresti è l'ultimo atto di una lunga vicenda emblematica dei vizi strutturali del capitalismo di relazione italiano e delle nostre strutture di controllo». La vicenda SaiFondiaria riassume infatti in sé la storia della «sistematica spoliazione» di una grande impresa italiana (in quel caso il secondo gruppo assicurativo italiano, ma potrebbe benissimo trattarsi della più antica banca del mondo), ai «danni in primo luogo degli azionisti di minoranza, ma anche dell'intera struttura produttiva nazionale» e obbliga evidentemente a riflettere su quale sia stato il ruolo dei soggetti preposti alla difesa degli interessi di questi ultimi (che coincidono con quelli del Paese stesso): cioè le Autorità di vigilanza. L'allora presidente dell'Autorità preposta al mercato delle assicurazioni (addirittura indagato per un'ipotesi di corruzione per omessa vigilanza) ha «sottovalutato» per anni il gravissimo indebolimento patrimoniale della società: a prescindere da ciò che stabilirà la magistratura, si tratta di un comportamento inaccettabile da parte di un soggetto tenuto a vigilare il mercato e a proteggere gli interessi più deboli (quelli dei risparmiatori). Anche alla Consob sono imputabili ritardi e inefficienze (che, si ripete, ancorché si dimostri che non costituiscono fattispecie di reato, sono decisamente da evitare considerato il grave danno che comportano ai risparmiatori e al Paese intero). Ritardi, omissioni e interventi di vigilanza meramente formali e superficiali, ma tali da apparire burocraticamente idonei, paiono connotare il modus agendi della Consob. L'attività di vigilanza quindi sembra svolta dalla Consob al fine di attivare una manleva per la propria responsabilità (magari di fronte a un giudice) e non per tutelare effettivamente e nella sostanza gli interessi dei risparmiatori, dei piccoli azionisti, dei mercati finanziari e dell'economia del Paese nel suo insieme. Anche per questi motivi non ci sono investitori disposti ad investire grandi capitali in Italia: occorre pertanto rimuovere questi ostacoli, facendo sì che l'Autorità di vigilanza sia presieduta, diretta e gestita da persone esperte, capaci, veramente indipendenti ed estranee al mondo poco pulito del capitalismo familiare italiano;
queste stesse considerazioni possono essere identicamente svolte con riguardo ad altre pagine tragiche della finanza nostrana: prima fra tutte quella sul caso MPS. Quanto ritardo, quanta superficialità nell'agire della Consob a fronte del già citato esposto (anonimo, ma accuratamente dettagliato e circostanziato) ricevuto nel luglio del 2011 una reazione a rilento che ricorda assai da vicino il caso Isvap/SaiFondiaria e che drammaticamente ha cagionato ingenti danni ai risparmiatori. È impellente chiarire nel dettaglio quali fazioni di vigilanza la Commissione ha deciso di porre in atto a seguito dell'esposto e che tipo di informativa al mercato ha richiesto venisse data: Vegas e i Commissari in carica nel luglio 2011 non hanno secondo i firmatari del presente atto agito da «paladini degli investitori»;
i fatti purtroppo sembrano andare in questa direzione: per questo motivo è urgente un approfondimento, perché l'inerzia colpevole non è più accettabile. Infatti, occorre prescindere dalle pur fondamentali pronunce giudiziarie: non è con i tempi della magistratura che si tutela il risparmio, ma con l'attivismo delle Authority che altrimenti divengono inutili;
l'articolo 1 della legge istitutiva della CONSOB (la n. 216 del 1974, di conversione del decreto-legge n. 95 del 1974) affida al Governo notevoli poteri con riferimento alla Commissione stessa. Non solo, infatti, al terzo comma si stabilisce che il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio, ha il potere di proporre al Presidente della Repubblica la nomina dei commissari (atto formalmente presidenziale, ma sostanzialmente governativo); ma addirittura, secondo quanto disposto dal comma 9 dello stesso articolo 1, i regolamenti interni della Commissione «sono sottoposti al Presidente del Consiglio dei ministri, il quale, sentito il Ministro del tesoro, ne verifica la legittimità in relazione alle norme del presente decreto, e successive modificazioni, e li rende esecutivi, con proprio decreto, entro il termine di venti giorni dal ricevimento, ove non intenda formulare, entro il termine suddetto, proprie eventuali osservazioni». Inoltre, «il presidente della Commissione tiene informato il Ministro del tesoro sugli atti e sugli eventi di maggior rilievo e gli trasmette le notizie e i dati di volta in volta richiesti. (...) Il Ministro del tesoro può formulare le proprie valutazioni alla Commissione, informando il Parlamento. Il Ministro del tesoro informa altresì il Parlamento degli atti e degli eventi di maggior rilievo dei quali abbia avuto notizia o comunicazione quando li ritenga rilevanti al fine del corretto funzionamento del mercato dei valori mobiliari (comma 12). E ancora: “Entro il 31 marzo di ciascun anno la Commissione trasmette al Ministro del tesoro una relazione sull'attività svolta, sulle questioni in corso e sugli indirizzi e le linee programmatiche che intende seguire. Entro il 31 maggio successivo il Ministro del tesoro trasmette detta relazione al Parlamento con le proprie eventuali valutazioni” (comma 13). Fino ad arrivare al comma 14, laddove si prevede che “nel caso di impossibilità di funzionamento o di continuata inattività, il Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro del tesoro, ove intenda proporre lo scioglimento della Commissione ne dà motivata comunicazione al Parlamento. Lo scioglimento, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, è disposto con decreto del Presidente della Repubblica. Con il decreto di scioglimento è nominato un commissario straordinario per l'esercizio dei poteri e delle attribuzioni della Commissione”» –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti e se abbiano a disposizione ulteriori informazioni in merito;
se ritengano che i fatti esposti configurino, oltre che uno snaturamento degli obiettivi istituzionali della Commissione, una inerzia non più sostenibile da parte di una Autorità di vigilanza di un settore fondamentale non solo per la tutela dei risparmiatori e degli investitori, ma anche per lo sviluppo dell'economia italiana e se non ritengano, pertanto, di dover azionare i penetranti poteri che la legge istitutiva conferisce loro, al fine di riportare l'attività della CONSOB nell'alveo dei compiti a cui è istituzionalmente preposta;
se ritengano intervenire su quanto disposto dall'articolo 1, comma 166 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 che ha attribuito alla CONSOB la facoltà di procedere alla menzionata stabilizzazione;
quanto ritenga opportuna la permanenza alla presidenza della CONSOB di una persona con una rilevante carriera politica alle spalle come il dottor Giuseppe Vegas, con riferimento alla «indiscussa indipendenza» cui fa riferimento l'articolo 1, comma 3 della legge istitutiva e alle problematiche concernenti il conflitto di interesse. (4-01353)
AFFARI ESTERI
Interrogazione a risposta in Commissione:
SCOTTO e FAVA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
nel 1994 è nata a Genova l'associazione «Creativi della notte – Music for Peace», con l'obiettivo di utilizzare momenti di svago ed eventi musicali anche come strumenti di impegno concreto;
da allora l'associazione ha dato vita ad una serie di azioni concrete, prima con la raccolta di generi di prima necessità e poi con la partenza di vere e proprie missioni umanitarie in Italia e all'estero (Bosnia, Kosovo, Afghanistan, Iraq, Palestina, Sri Lanka, Sudan ed altri territori);
nel 2002 l'associazione «Creativi della notte – Music for Peace» viene costituita in ONLUS, mantenendo inalterati i suoi obiettivi originari;
il 22 giugno, con l'arrivo a Il Cairo, in Egitto, è iniziata la ventunesima missione umanitaria promossa da «Creativi della notte – Music for Peace», diretta per la quinta volta a Gaza;
il 23 giugno 2013, nel corso di una visita presso l'Ambasciata d'Italia a Il Cairo, allo staff di missione sono stati consegnati i permessi, rilasciati dal Ministero degli affari esteri egiziano, in cui si avallava il transito dell'intera carovana umanitaria in base alle packing list fornite dall'associazione;
successivamente i partecipanti alla missione si sono diretti verso Alessandria d'Egitto per recuperare sei container, un'ambulanza ed un'autovettura inviati precedentemente via mare;
in data 24 giugno 2013, il gruppo si è recato presso la Ocean Express, agenzia di shipping di riferimento per la compagnia Messina, che effettua gratuitamente il trasporto dei container, per ottenere l'assegnazione di un clearence;
in data 25 giugno 2013, è stato eseguito alla dogana un controllo incrociato tra documenti e materiali facenti parte del convoglio, compresi i mezzi, ed è stata fornita la documentazione per il via libera al convoglio;
il 26 giugno, però, il Mukhabarat (ovvero il servizio di intelligence egiziano) del porto ha fermato la carovana, affermando che l'autovettura non fosse da considerarsi un aiuto umanitario, bensì un bene commerciale, come riportato anche dal quotidiano online «Mentelocale» nell'articolo del 30 giugno, intitolato «Music for Peace: volontari bloccati ad Alessandria d'Egitto»;
il carico è stato perciò fermato, giacché l’intelligence è autorità sovrana e indiscutibile;
il 1o luglio l'Ambasciata italiana a Il Cairo ha inviato una seconda nota verbale al Ministero degli affari esteri egiziano in cui si specificava che l'autovettura, una Mercedes station wagon, era parte integrante del convoglio umanitario su richiesta del Ministero egiziano, (riporta La Repubblica online nella sua edizione genovese il 29 giugno 2013 nell'articolo «Music for Peace, continua il blocco – cinque genovesi nel caos egiziano»);
nel frattempo, in Egitto è scoppiata la rivoluzione che ha deposto Morsi, lasciando di fatto le direttive del Paese in mano alle autorità militari;
il 10 luglio è stato concesso da parte del Mukhabarat il transito su territorio egiziano dei container e dell'ambulanza, mentre l'automezzo è stato definitivamente respinto;
l'11 luglio, ottenuto il permesso dell’intelligence egiziana, il convoglio umanitario ha richiesto alla dogana la possibilità di uscita dal porto;
la dogana ha comunicato che non avrebbe trasmesso parere positivo se prima non fosse stata presentata una lettera di garanzia (forma di assicurazione, a carico dell'associazione, che le agenzie preposte rilasciano per tutelare la dogana riguardo al fatto che il materiale trasportato non verrà venduto su suolo egiziano, ma semplicemente vi transiterà) per il convoglio, come riporta anche l'articolo «Music for Peace, ore cruciali – Fermi da 21 giorni, è allarme» dell'edizione genovese online del quotidiano La Repubblica del 13 luglio;
la dogana ha chiesto inoltre al convoglio di assicurare la presenza per ogni camion in transito di un doganiere, in modo che questi, al momento dell'ingresso al valico di Rafah, avrebbero potuto riportare indietro la lettera di garanzia a testimonianza dell'avvenuto transito in rispetto delle norme egiziane;
il 13 luglio, dunque, i membri di «Creativi della notte – Music for Peace» si sono recati in svariate agenzie, in primis quella segnalate dal clearence, ma nessuno degli uffici visitati ha acconsentito al rilascio della lettera di garanzia;
i problemi nascevano sistematicamente non appena pronunciata la meta, Rafah, e questo con ragioni inizialmente molto vaghe: il valico di Rafah è chiuso (falso), non vi era deposito sufficiente per coprire l'eventuale rischio (poco plausibile, come affermato da un'agenzia che si occupa di tali aspetti);
il 14 luglio 2013 è stato comunicato dai responsabili della missione umanitaria alla dogana che nessuna agenzia si era voluta rendere disponibile all'espletamento di una lettera di garanzia, e che il convoglio doveva e poteva partire, avendo ricevuto il permesso del Mukhabarat;
tuttavia la dogana rispondeva negando l'uscita del convoglio;
il 15 luglio 2013 l'agenzia preposta al rilascio delle lettere di garanzia richiedeva che un cittadino egiziano facesse da garante per l'intero valore della carovana umanitaria (valore stabilito dalla dogana per oltre 300.000 pound egiziani, ovvero 30.000 euro) e che si facesse carico di conseguenze civili e penali relative all'eventuale perdita della merce;
il Sinai, regione che il convoglio deve necessariamente attraversare, è in questo momento una zona molto calda, con frequenti scontri a fuoco e attentati, e dunque nessuno ha accettato di firmare;
è stato proposto che fosse il consolato italiano ad Alessandria d'Egitto a firmare detto documento, ma ciò non è possibile;
il 17 luglio 2013, nel corso di una giornata a dir poco surreale, è stata trovata una persona disponibile a farsi carico del rischio, ma, essendoci bisogno di una delega dei promotori della missione umanitaria, l'agenzia delle lettere di garanzia, Egytrans, ha mandato i responsabili del convoglio in un ufficio dove è stata segnalata la necessità di avere un traduttore certificato, figura presente presso il tribunale;
i membri della ONLUS in questione si sono recati presso il tribunale alle 13:00 dello stesso giorno (gli uffici competenti chiudono alle 14:00), ma gli è stato impedito l'ingresso, perché per accedere è necessario il permesso di soggiorno, a detta dei funzionari del tribunale;
i responsabili del convoglio si sono conseguentemente recati all'istante presso l'ufficio immigrazione per far apporre sul passaporto di Stefano Rebora, presidente di «Creativi della notte – Music for Peace», un timbro che permettesse la presenza in Egitto fino al 21 luglio, data di scadenza dei visti già in possesso del gruppo; una volta tornati in tribunale, tuttavia, hanno scoperto che il traduttore era nel frattempo andato via;
a poche ore dalla scadenza dei visti che gli permette di transitare sul territorio egiziano, il convoglio umanitario è tuttora bloccato;
le motivazioni della ONLUS «Creativi della notte – Music for Peace» sono nobili e da supportare;
il convoglio non può e non vuole rinunciare al compimento della propria missione umanitaria, perché il materiale portato in missione è stato donato pezzo per pezzo da cittadini italiani («Music for Peace» non raccoglie danaro privato, ma solo generi di prima necessità), ed ogni singolo frammento della carovana umanitaria è un gesto di solidarietà che migliaia di italiani intendono portare al popolo palestinese;
le istituzioni locali sono oggettivamente nel pieno di una fase caotica a causa degli eventi che hanno portato alla deposizione di Morsi;
l'atteggiamento delle autorità egiziane sembra indicare la volontà di bloccare la missione umanitaria, ponendo continui ostacoli burocratici e non rilasciando la documentazione di cui il convoglio necessiterebbe;
l'autorità egiziana, bloccando il transito dell'autovettura afferente al convoglio, ha di fatto messo in dubbio quanto dichiarato dalla nostra ambasciata, che più volte ha specificato, anche tramite nota verbale, che detta autovettura è da considerarsi a tutti gli effetti facente parte del carico umanitario;
quell'autovettura è destinata ad un ospedale che opera in una delle zone più povere di Gaza City, e verrà equipaggiata in loco per il trasporto di disabili;
alla richiesta di consigli sul da farsi, l'ambasciata ed il consolato hanno risposto consigliando il rientro in Italia e la rinuncia al proseguimento della missione umanitaria;
il sindaco di Genova, Marco Doria, ha chiesto il 29 giugno «un intervento rapido del ministero degli Esteri a supporto di quanto già stanno facendo i nostri diplomatici in Egitto», come riporta l'edizione online de Il Secolo XIX del 30 giugno 2013 nell'articolo «Music for Peace, volontari ancora bloccati»;
negli scorsi giorni è partita una raccolta di firme online per chiedere al Governo egiziano di rispettare quanto espresso dalla Convenzione di Ginevra e lasciare che il convoglio passi per il valico di Rafah e arrivi a Gaza, come riporta anche La Repubblica online, edizione genovese, in data 9 luglio 2013 nell'articolo «Music for Peace» l'appello «Fateci partire per Gaza» –:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per capire i motivi per i quali vi sia stato un atteggiamento da parte delle autorità egiziane che appare all'interrogante teso a bloccare il convoglio e ad impedire lo svolgimento di una missione umanitaria che ha l'obiettivo di andare a portare beni di prima necessità e strumenti di assistenza ai malati e ai disabili in una zona devastata dalla guerriglia e delicata come Gaza;
come sia possibile che le massime autorità diplomatiche italiane in Egitto l'Ambasciata d'Italia a Il Cairo e il consolato Italiano ad Alessandria d'Editto) si siano limitate a suggerire ai responsabili della ONLUS «Creativi della notte – Music for Peace» di abbandonare la missione e rientrare in Italia;
quali misure diplomatiche si possano e si debbano adottare al fine di sbloccare quest'incresciosa situazione e permettere ai cinque volontari di portare a termine la missione umanitaria che doveva averli già condotti a Gaza City. (5-00671)
Interrogazione a risposta scritta:
AIELLO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
il 2 giugno ogni anno la collettività italiana residente a Cordoba, Argentina, celebra la Festa della Repubblica con un evento a cui partecipano tutte le autorità della città italiane ed argentine;
l'evento prevede la deposizione di una corona di fiori al monumento a San Martin, alla quale segue un omaggio di un minuto di raccoglimento di ciascuna autorità governativa presente, e di ciascun rappresentante di associazione italiana e di personalità della collettività;
alla suddetta cerimonia, il 2 giugno 2013, tra le autorità, partecipavano alcuni Consiglieri del governo della Provincia di Cordoba, il Presidente del Comites, il Presidente della Federazione delle Associazioni Italiane di Cordoba-FAIC, vari funzionari municipali, esponenti dell'associazionismo italiano della città e un parlamentare italiano eletto in Sud America, nato e residente proprio a Cordoba;
l'incaricato a condurre la manifestazione organizzata dal consolato italiano ha invitato ciascuna autorità a rendere pubblico omaggio di fronte alla comunità italiana;
nello svolgimento della solenne cerimonia, tutti i presenti sono stati invitati a fare il saluto, tranne l'unico parlamentare italiano intervenuto;
diverse personalità presenti alla cerimonia hanno evidenziato il fatto che non si sia rispettato il cerimoniale e in particolare si sia disatteso da parte di un funzionario dello Stato italiano l'articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 aprile 2006 «Disposizioni generali in materia di cerimoniale di precedenza tra le cariche pubbliche»;
l'articolo 67 Costituzione Italiana cita che «Ogni membro del parlamento rappresenta la Nazione», quindi un'infrazione del cerimoniale, nel caso specifico di questa cerimonia pubblica, rappresenta una grave offesa allo Stato –:
se non ritenga di dover verificare quanto evidenziato nelle premesse e quali provvedimenti urgenti intenda assumere nei confronti del responsabile dei fatti summenzionati. (4-01323)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazioni a risposta in Commissione:
MARIANI, BORGHI, BRAGA, BRATTI e MARIANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
la diffusione di un cortometraggio dell'associazione ambientalista Greenpeace sui danni alla salute delle persone provocati dalle centrali a carbone, ha riportato all'attenzione dell'opinione pubblica l'opportunità di mantenere nel nostro Paese una quota consistente della produzione elettrica attraverso l'utilizzo del carbone, in luogo dell'olio combustibile o di altre fonti energetiche, come il gas, meno inquinanti;
secondo la tesi della citata associazione la produzione di energia dal carbone provocherebbe un decesso al giorno. La campagna che Greenpeace porta avanti, da anni, si basa sui dati forniti da un rapporto della fondazione olandese Somo e dallo studio della Eea (European environmental agency), l'agenzia per l'ambiente dell'Unione europea che individua i 20 impianti di produzione di energia più inquinanti in Europa. Per quanto riguarda l'Italia, al primo posto c’è la centrale a carbone dell'Enel «Federico II» di Brindisi, che causerebbe da sola 119 decessi all'anno, i cui costi esterni (calcolati dall'Eea) ammontavano a 707 milioni di euro nel 2009. Nel nostro Paese operano altre dodici centrali a carbone, tra le altre giova segnalare quelle di Fusina, Torrevaldaliga e La Spezia, fonti di non minori preoccupazioni tra le popolazioni residenti in quei luoghi. Nel rapporto diffuso dal gruppo ambientalista si legge: «I costi esterni delle centrali a carbone sono di 1,7 miliardi di euro, oltre il 40 per cento dell'utile che Enel ha ottenuto a livello consolidato, in tutto il mondo, nel 2011. Se alle attuali centrali si dovessero aggiungere quelle di Porto Tolle e Rossano Calabro – che potrebbero presto essere convertite da olio a carbone – i costi esterni potrebbero toccare i 2,5 miliardi di euro all'anno, suddivisi in costi per la salute, danni alle colture agricole, da inquinamento dell'aria e da emissioni di CO2»;
contro questa campagna, Enel ha avviato più di una azione legale. L'azienda, che definisce le accuse frutto di dati «non basati su una effettiva analisi delle emissioni delle centrali termoelettriche italiane», ma «su un astratto fattore di rischio che non considera il reale contributo delle centrali rispetto a tutte le fonti di inquinamento che incidono sulla qualità dell'aria», ha precisato che: «le attività sono sottoposte alle norme e ai controlli delle istituzioni locali, nazionali e internazionali e si svolgono nel pieno rispetto delle leggi»;
è necessario ricordare che sono attualmente in discussione in Italia, tra riconversioni e nuovi progetti, centrali a carbone per oltre 5mila megawatt, da Porto Tolle a Saline Ioniche, a Rossano. Iniziative che non sembrano corrispondere alle reali necessità del Paese. Dal 2002 ad oggi, infatti, l'entrata in funzione di nuove centrali a gas e la riconversione di centrali da olio combustibile a carbone ha portato, secondo i dati di Tema, il totale di centrali termoelettriche installate a 78mila megawatt, a cui si devono aggiungere almeno 45mila megawatt da fonti rinnovabili. Considerando che il record assoluto di consumi di elettricità in Italia è di 56.822 megawatt ore, richiesti complessivamente alla rete, si comprende come il tema della sicurezza, e quindi la necessità di valutare la realizzare nuove centrali, oggi in Italia appaia giustificata. Eppure le centrali in fase di realizzazione, secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico, sono 8, per 4.763 megawatt, e quelle in corso di autorizzazione, ben 38 tra gas, metano, carbone, per 23.810 megawatt;
tale ultima considerazione, come ha recentemente sottolineato in uno specifico rapporto l'associazione «Legambiente», non sembra essere stata oggetto di adeguata riflessione in sede di elaborazione della Strategia energetica nazionale, emanata nel marzo 2013 dai Ministri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
la strategia energetica normale, invece, dovrebbe tenere in conto anche questi elementi «perché è interesse del nostro Paese ridurre le emissioni di gas serra, nell'ambito della strategia europea, ridurre i costi delle bollette e contemporaneamente la sovrabbondanza di centrali alimentate a carbone che già oggi comportano effetti rilevanti in termini di costi per i cittadini e per l'ambiente –:
quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati su quanto esposto in premessa;
se non reputino opportuno chiarire quale sia l'impatto delle centrali a carbone, attualmente in produzione nel nostro Paese, sull'ambiente e sulla salute dei cittadini; con quali strumenti tale impatto (o danno) sia rilevato, monitorato e valutatole se tale monitoraggio sia giudicato efficace ed attendibile e se tale rilevazione sia omogenea in tutte le aree del Paese che ospitano centrali a carbone;
anche considerando l'evoluzione dello scenario europeo, che punta con chiarezza alla decarbonizzazione dell'economia e, in particolare, con riferimento agli obiettivi contenuti nella strategia energetica normale che vedono al 2020 un forte incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili, fino al 35-38 per cento quota paragonabile a quella ottenuta con il gas, se non reputino doveroso avviare una riflessione, coinvolgendo pienamente il Parlamento, sul mix energetico italiano che, nel rispetto degli obiettivi di contenimento delle emissioni di CO2, consideri realisticamente l'evoluzione della domanda e dell'offerta e le conseguenze per la salute delle scelte produttive.
(5-00664)
PRODANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
da anni desta preoccupazione il livello di inquinamento ambientale dell'area della città di Trieste, in cui insistono alcune realtà industriali come la Ferriera di Servola, uno degli stabilimenti del gruppo Lucchini specializzato nella produzione di ghisa e acciaio;
nel 2012 sono stati pubblicati i risultati del progetto SENTIERI (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento), finanziato dal Ministero della salute per l'analisi della mortalità delle popolazioni residenti vicino a grandi centri industriali attivi o dismessi e aree di smaltimento di rifiuti industriali e pericolosi. Queste zone presentano un quadro di contaminazione ambientale e di rischio sanitario tale da essere state riconosciute come «Siti di interesse nazionale per le bonifiche» (SIN);
lo studio ha preso in considerazione 44 dei 57 siti oggi compresi nel «Programma nazionale di bonifica», che coincidono con i maggiori agglomerati industriali nazionali e tra questi figurano anche quelli di Trieste (che include la Ferriera) e Taranto;
la mortalità è stata studiata per ogni sito, nel periodo 1995-2002, tramite numerosi indicatori e per quelli riferiti alla mortalità sono state considerate 63 cause singole o gruppi di cause;
le conclusioni relative al SIN di Trieste sono allarmanti: a differenza di Taranto, sono stati osservati più casi di decesso, quasi il doppio, sia per gli uomini (12.907 contro 7.585) che per le donne (13.573 contro 7.104) nell'analisi delle patologie riscontrate e monitorate;
il SIN di Trieste è costituito dal solo comune della città, con una popolazione di 211.184 abitanti, di poco inferiore a quello di Taranto costituito da due Comuni con una popolazione di 216.618 abitanti al Censimento 2001;
il 25 maggio 2012 è stato sottoscritto a Trieste l'Accordo di programma fra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la provincia di Trieste, i comuni di Muggia e Trieste, EZIT (l'Ente zona industriale di Trieste) e l'Autorità portuale di Trieste per gli «Interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel Sito di Interesse Nazionale (SIN) di Trieste»;
le relative procedure sembrano ferme alla sola caratterizzazione di alcune parti del SIN, peraltro su superfici di territorio ridotte, e non risulta ad oggi sia stata avviata alcuna opera di bonifica sotto la supervisione e la responsabilità del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
il 26 maggio 2012, durante la prima conferenza sulla salute della città organizzata dal comune, si è giunti alla conclusione che il numero di centraline disposte nel capoluogo giuliano è inferiore alle necessità di monitoraggio dell'inquinamento che proviene dalla fabbrica siderurgica e l'ARPA del Friuli Venezia Giulia ha elencato i dati ambientali di Servola, sito fortemente inquinato, tra l'altro, di idrocarburi, idrocarburi policiclici aromatici (Ipa), metalli e diossina;
secondo una serie di controlli ordinari e straordinari effettuati dall'ARPA il 27 novembre 2012 e nei giorni 19-20-21 dicembre 2012, ai sensi del Codice ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 29-decies), ci sarebbero numerose irregolarità legate al funzionamento della Ferriera e relative agli obblighi previsti dall'Autorizzazione integrata ambientale (AIA), in revisione dal 2008;
il 2 luglio 2013 l'assessore all'ambiente del comune di Trieste, Umberto Laureni, ha illustrato i contenuti della delibera della giunta del 27 giugno 2013 relativa alle azioni per migliorare le condizioni ambientali della città di Trieste;
durante l'esame in Parlamento del disegno di legge di conversione del decreto legge n. 43 del 2013 per il rilancio dell'area industriale di Piombino e il contrasto ad emergenze ambientali, è stato inserito all'articolo 1 il comma 7-bis, che riconosce la zona industriale di Trieste quale area di «crisi industriale complessa» ai sensi dell'articolo 27 del decreto-legge n. 83 del 2012 sulla crescita, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012;
la legge n. 71 del 2013 di conversione del decreto-legge per il rilancio dell'area industriale di Piombino e il contrasto ad emergenze ambientali è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 147 del 25 giugno 2013, entrando in vigore lo stesso giorno;
la riconversione della Ferriera, quindi, appare ancora come una procedura lontana e complessa, i cui esiti non sono ancora certi e stabiliti nel breve periodo;
dal 2010 si sta affermando sia nel settore pubblico che in quello privato, in un numero crescente di Paesi, il ricorso alla Valutazione d'impatto sulla Salute (VIS), definita dall'OMS come «una combinazione di procedure, metodi e strumenti con i quali si possono stimare gli effetti potenziali sulla salute di una popolazione di una politica, piano o progetto e la distribuzione di tali effetti all'interno della popolazione»;
la VIS è attualmente utilizzata in Europa, Canada, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda, mentre in Italia è stata proposta in tre diverse versioni dal progetto «Moniter» del 2010 dall'Arpa della Regione Emilia-Romagna –:
per quali motivi a distanza di più di un anno non sia stata ancora avviata la bonifica del SIN di Trieste, ampiamente insalubre come dimostrato dai risultati dello studio SENTIERI pubblicato nel 2012, e se s'intenda, d'intesa con gli enti locali preposti, istituzionalizzare la VIS avviandone immediatamente una relativa alla presenza e alla riconversione della Ferriera nel capoluogo giuliano. (5-00680)
Interrogazioni a risposta scritta:
D'INCÀ, DALL'OSSO, GRILLO, NICOLA BIANCHI, DA VILLA, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE ROSA, LIUZZI e DE LORENZIS. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il decreto-legge 3 dicembre 2012 n. 207, cosiddetto Salva-Ilva, convertito con modificazioni dalla legge il 24 dicembre 2012, n. 231, e modificato dal decreto-legge 61/2013, all'articolo 1, comma 3, stabilisce che «Fermo restando quanta previsto dagli articoli 29-decies e 29-quattuordecies del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dalle altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative contenute nelle normative di settore, la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di cui al comma 1 è punita con sanzione amministrativa pecuniaria, esclusa l'oblazione, da euro 50.000 fino al 10 per cento del fatturato della società risultante dall'ultimo bilancio approvato. La sanzione è irrogata, ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689, dal prefetto competente per territorio. Le attività di accertamento, contestazione e notificazione delle violazioni sono svolte dall'ISPRA. I proventi delle sanzioni irrogate sono versati ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati al pertinente capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il finanziamento degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e risanamento ambientale del territorio interessato;
l'Ispra ha accertato la violazione delle prescrizioni sia nella visita ispettiva presso l'Ilva del 5-6-7 marzo, sia nella seconda visita ispettiva del 28-29-30 maggio dove sono state riscontrate il protrarsi di alcune violazioni alle prescrizioni AIA e se ne sono aggiunte delle nuove;
l'articolo 29-decies al comma 9 del decreto legislativo n. 152 del 2006, a cui fa riferimento il decreto citato stabilisce che «9. In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, o di esercizio in assenza di autorizzazione, l'autorità competente procede secondo la gravità delle infrazioni:
a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità;
b) alla diffida e contestuale sospensione dell'attività autorizzata per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per l'ambiente;
c) alla revoca dell'autorizzazione integrata ambientale e alla chiusura dell'impianto, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo e di danno per l'ambiente»;
una prima diffida è già avvenuta;
inoltre l'articolo 29-decies al comma 10 del decreto legislativo n. 152 del 2006, a cui fa riferimento il decreto citato stabilisce che «10. In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, l'autorità competente, ove si manifestino situazioni di pericolo o dì danno per la salute, ne dà comunicazione al sindaco ai fini dell'assunzione delle eventuali misure ai sensi dell'articolo 217 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 –:
per quale motivo non si sia ancora irrogate le sanzioni e quando verranno irrogate in merito alle violazioni delle prescrizioni AIA riscontrate prima del commissariamento dello stabilimento;
per quale motivo, nonostante l'accertato pericolo per l'ambiente e la salute, pericolo accertato sia dalle perizie chimiche ed epidemiologiche utilizzate in sede di incidente probatorio dalla procura di Taranto e sia dai dati della valutazione del piano Sanitario dell'Arpa Puglia, alla quale non giunta, ne prima né dopo questi lavori, alcuna prova o studio scientifico di cessazione del péricolo, non si procede alla sospensione dell'attività prevista dalla lettera b, comma nove dell'articolo 29-decies del decreto legislativo n. 152 del 2006 e con quanto previsto dalla lettera c del suddetto comma;
per quale motivo, non si sia dato seguito a quanto previsto al comma 10 dell'articolo 29-decies del decreto legislativo n. 152 del 2006. (4-01337)
PELLEGRINO, ZAN e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
con legge 1o giugno 1971, n. 442 «allo scopo di tutelare, conservare e migliorare la flora, di conservare ed incrementare la fauna, di preservare le speciali formazioni geomorfologiche e le bellezze naturali del Carso triestino» sono state istituite le prime Riserve Naturali d'Italia;
la norma statale ha delegato alla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia i compiti attuativi e regolamentari;
dopo anni di inadempienza, finalmente nel 1996 con la legge regionale n. 42 la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia attuava parzialmente le funzioni delegategli dallo Stato, prevedendo l'istituzione del parco del Carso il cui perimetro «deve comprendere almeno le aree definite ai sensi della legge 1o giugno 1971, n. 442, e non già perimetrate ai sensi degli articoli 48, 49, 50, 51 e 52, assicurando continuità territoriale fra le stesse lungo la fascia di confine». Con la stessa norma la Regione prevedeva che «Nelle aree già previste dalla legge n. 442 del 1971 non istituite quali riserve ai sensi della presente legge vigono, fino alla definizione delle aree protette di cui ai commi 2, 3 e 4, le norme di salvaguardia di cui all'articolo 69, comma 1, lettere a) e b)»;
con la legge regionale 21 dicembre 2012, n. 26 la regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha abrogato le misure di salvaguardia previste dal comma 6 della legge regionale n. 42 del 1996, che prevedevano: «a) al di fuori delle delimitazioni dei centri edificati assunte ai sensi dell'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, non è consentita l'esecuzione di opere che provo chino la riduzione di superfici boscate o a prato naturale o che modifichino lo stato dei corsi d'acqua o la morfologia dei suoli, salvo l'esecuzione di opere di preminente interesse pubblico, sulle quali la Giunta regionale con propria deliberazione, su proposta dell'Assessore regionale ai parchi, esprime parere vincolante entro e non oltre sessanta giorni dal ricevimento della relativa richiesta; trascorso tale termine l'opera si intende assentita; b) non è consentita l'adozione di strumenti urbanistici e loro varianti che aumentino l'estensione delle aree edificabili, nonché all'interno di queste, gli indici di edificabilità, escluse le zone per attrezzature pubbliche» rimandando, in caso di violazione, alle sanzioni penali previste dall'articolo 30, comma 1, della legge 394 del 1991;
che come chiarito in diverse decisioni della Corte costituzionale anche in riferimento a questioni sollevate dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia (v. spec. sentt. nn. 223 del 1984; 1029 del 1988), il trasferimento alle regioni delle competenze in materia di protezione della natura riguarda anche i parchi nazionali e le riserve naturali appartenenti allo Stato; ma poiché l'esistenza di parchi nazionali e di riserve dello Stato risponde a un interesse dell'intera collettività (sul quale, non di rado, insistono anche interessi di natura inter-o sovra-nazionale), l'articolo 83 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, nel trasferire la materia alle regioni, ha conservato allo Stato significativi poteri a tutela dell'unitarietà di struttura e di disciplina dei parchi e delle riserve nazionali e al servizio dell'interesse ad una programmazione generale della difesa ambientale e dell'individuazione delle aree da sottoporre al regime differenziato proprio dei parchi e delle riserve;
l'ambito territoriale del Carso è caratterizzato da ampie aree con valore ecologico alto e molto alto, come documentato nella carta della natura edita dall'ISPRA in collaborazione con la regione autonoma Friuli Venezia Giulia e con l'università degli Studi di Trieste – dipartimento di scienze della vita – centro di eccellenza per la ricerca in telegeomatica;
la ricchezza ambientale e l'unicità del Carso sono note al mondo scientifico dell'intero pianeta –:
quali siano, allo stato, le misure di tutela vigenti nelle aree ricomprese nella perimetrazione allegata alla legge 442 del 1971;
quali azioni intenda intraprendere il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie prerogative costituzionali, nei confronti della regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, per evitare un ulteriore deterioramento delle aree istituite a riserva naturale con la legge n. 442 del 1971.
(4-01344)
REALACCI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere premesso che:
numerose agenzie di stampa e testate giornalistiche di informazione locale ed anche nazionale, come ad esempio un articolo de La Repubblica e un pezzo pubblicato dal Corriere della Sera e pubblicati l'8 luglio 2013, hanno riportato con grande enfasi la notizia dell'uccisione di un bellissimo esemplare di orso bruno marsicano, censito con il nome di Stefano, all'interno del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise;
l'orso bruno è stato trovato morto nella giornata del 7 luglio 2013, nella zona delle Mainarde, sul versante molisano del monte Morrone e del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise. L'animale, un giovane maschio, sarebbe stato attirato da una carcassa di cavallo usata come esca e ucciso a colpi di fucile da ignoti;
l'esame radiografico, eseguito alla facoltà di veterinaria dell'università di Teramo, ha rilevato tre pallottole di cui una, quella mortale, alla testa. Un'altra pallottola ha raggiunto l'omero destro dell'animale, mentre una terza, caricata a pallini, è stata rinvenuta sul corpo dell'animale. In base all'esame, dunque, si presume che a sparare siano state più armi quindi più bracconieri criminali;
come anche espresso dal commissario del sopraddetto Parco nazionale, Giuseppe Rossi, la gravità dell'episodio è enorme in quanto avvenuto in una zona del parco finora relativamente tranquilla rispetto ai fenomeni del bracconaggio;
il Parco nazionale d'Abruzzo è stato istituito nel 1922 al fine specifico di tutelare le specie faunistiche più rare e a rischio di estinzione, come l'orso bruno marsicano e il camoscio appenninico;
il parco ha sempre svolto, nel corso di questi 90 anni, la sua funzione di tutela delle suindicate specie faunistiche, salvandole dalla estinzione, nonché attività di promozione del territorio, di ricerca scientifica e didattico-educative;
per la tutela delle popolazioni di orso bruno marsicano è tuttora in atto lo specifico progetto Life Arctos, attuato nell'ambito del programma finanziario della Commissione europea Life + Natura, di cui l'ente parco è capofila, ovvero coordinatore, e tra i cui partner figurano, tra gli altri, le regioni Abruzzo e Lazio e l'università la Sapienza di Roma. Il sopraddetto progetto, che terminerà nel 2014, ha già consentito di pervenire a importanti risultati e indicazioni, per l'adozione di ulteriori indispensabili misure di salvaguardia del plantigrado, e per la soluzione di problematiche attinenti, quali la chiusura di talune strade montane forestali, la eliminazione del fenomeno del pascolo brado, i tagli boschivi, il controllo sanitario nel territorio;
l'orso bruno marsicano è oggetto, altresì, del PATOM (Piano d'azione per la tutela dell'orso marsicano) che si svolge sotto l'egida e il coordinamento del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare;
l'Ente parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise ha messo in atto importanti iniziative di contrasto di attività incompatibili e illegali e di tutela proattiva, quali ad esempio, l'assunzione in concessione diretta di territori comunali strategici per la tutela e la sopravvivenza della specie, il controllo sanitario di bestiame domestico, il miglioramento costante della regolamentazione degli indennizzi dei danni provocati dalla fauna protetta, il miglioramento delle relazioni con istituzioni e operatori locali, compresi allevatori e agricoltori;
tuttavia negli ultimi mesi si sono dovute purtroppo ancora registrare numerose uccisioni, in particolare per avvelenamenti, di altre specie di fauna protetta: segnatamente di Lupo Appenninico –:
se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare:
sia a conoscenza del grave fatto criminale compiuto ai danni di un prezioso esemplare di fauna protetta, nonché del preoccupante gesto intimidatorio nei confronti dell'Ente parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise; se non ritenga altresì opportuno, per quanto di competenza e per tramite dell'ente Parco, del CTA del Corpo Forestale dello Stato e del NOE del Ministero dell'Ambiente, anche al fine di istituire un coordinamento operativo, mettere in campo azioni concrete per coadiuvare, nel rispetto delle competenze della magistratura, le indagini in corso per trovare al più presto i responsabili del gesto; quali azioni intenda il Ministro intraprendere con l'Ente Parco per far sì che simili episodi, anche a danno di altre specie protette, come il lupo, non si verifichino in futuro;
se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, istituire un tavolo tecnico con le tre Regioni interessate al Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, affinché le stesse procedano sollecitamente alla approvazione del Piano del parco, ai sensi dell'articolo 12 della legge n. 394 del 1991 e l'adozione, da parte delle stesse, dei provvedimenti per l'approvazione dell'area contigua del parco, ai sensi dell'articolo 32 della legge n. 394 del 1991;
se ritenga di approvare, ai sensi dell'articolo 11 della stessa legge n. 394 del 1991, il Regolamento del Parco, adottato dall'ente Parco nel 2011 e superare la gestione commissariale, ad oggi, tuttora vigente. (4-01346)
DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, CRISTIAN IANNUZZI, CATALANO, LIUZZI, L'ABBATE, D'INCÀ, DALL'OSSO, GRILLO, DA VILLA, COMINARDI e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
da fonti stampa si apprende che il giorno 8 luglio 2013, in seguito ad un blackout nella raffineria ENI di Taranto, dovuto presumibilmente alle avverse condizioni metereologiche, un grosso quantitativo di idrocarburi si è riversato nel Mar Grande attraverso il canale A dell'Eni;
contestualmente dalle torce della raffineria si sono sviluppate imponenti fiammate che hanno prodotto grandi scie di fumo nero visibili a chilometri di distanza dagli impianti e che hanno reso l'aria della zona antistante la raffineria e del vicino quartiere Tamburi irrespirabile;
sempre da fonti stampa si è appreso che non sarebbero attive le centraline perimetrali (previste dall'Aia) dell'Eni e che quelle esistenti non sarebbero collegate telematicamente con l'Arpa, rendendo quindi impossibile controllare in tempo reale i valori registrati dalle centraline Eni e stabilire un contatto diretto tra Eni ed Arpa;
appare inaccettabile il fatto che le centraline di monitoraggio e controllo siano gestite e monitorate dall'azienda controllata senza un immediato riscontro dell'Arpa;
oltre alla nube di fumo che ha avvolto la città di Taranto in data 8 luglio 2013, anche il giorno seguente l'accaduto, ovvero il 9 luglio, un insopportabile fetore ha pervaso la città –:
quali siano le cause di suddetto incidente e se siano imputabili a fattori esterni o a negligenze interne all'azienda;
se i Ministri siano nelle condizioni di escludere danni alla salute dei cittadini e dei lavoratori di Taranto e all'ambiente derivanti dall'incidente di cui sopra;
come, ove venissero accertate responsabilità imputabili all'azienda, i Ministri interrogati intendano intervenire al fine di garantire che l'Eni si adoperi per evitare in futuro il ripetersi di analoghi incidenti e per sanare i danni provocati in data 8 luglio 2013;
se risulti che l'Eni stia rispettando quanto contenuto nell'AIA. (4-01347)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazione a risposta in Commissione:
BOSSA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
la città di Nola, in provincia di Napoli, con le aree limitrofe e circostanti, dispone di un patrimonio culturale di straordinario valore, innanzitutto di natura archeologica: vere e proprie testimonianze di civiltà;
vale la pena ricordare, nell'ambito dei siti culturali dell'area in questione, il Museo storico archeologico dell'antica Nola, che raccoglie ed espone numerosi reperti archeologici che ripercorrono le tappe dello sviluppo storico di una delle più importanti città della Campania antica;
al piano terra del Museo è collocata la sezione archeologica, che ripercorre la storia dell'antica Nola dalle origini all'epoca tardo-antica; una sezione è dedicata al villaggio preistorico di Nola, con la ricostruzione di una capanna rinvenuta nella zona;
all'interno del museo sono conservati i risultati di tanti scavi effettuati negli anni negli insediamenti dell'età del bronzo a Palma Campania, S. Paolo Belsito, Saviano e Nola;
altro sito significativo dell'area è il villaggio preistorico dell'età del bronzo antico in località Croce del Papa al confine tra i comuni di Nola e Saviano; denominato la «Pompei della Preistoria», il Villaggio è stato sepolto dall'eruzione del Vesuvio detta delle Pomici di Avellino (1860-1680 a. C.); il seppellimento ha garantito la conservazione delle capanne attraverso il loro calco nel fango e nella cenere consentendo poi di portare alla luce le strutture abitative con una testimonianza unica;
il villaggio preistorico, che emerse nel 2001 durante gli scavi per la realizzazione di un centro commerciale, e fu acquisito dalla regione Campania, non ha mai trovato una sua valorizzazione; al contrario si è rinunciato a farne un simbolo della cultura del territorio, anche a causa di una falda acquifera, il cui innalzamento ha provocato crolli e allagamenti, fino a valutare un nuovo interramento dei reperti al fine, almeno, di proteggerli;
altre situazioni di criticità si verificano presso le basiliche paleocristiane di Cimitile, fondamentale testimonianza nella storia della cristianità occidentale, che concentra in un'area di circa 9.000 metri quadrati ben sette edifici di culto, di età paleocristiana e medioevale, dedicati ai santi Felice, Calionio, Stefano, Tommaso e Giovanni, ai Ss. Martiri e alla Madonna degli Angeli; il nucleo originario del complesso è la tomba di San Felice prete che fu sepolto, alla fine del III secolo, nella necropoli a nord di Nola –:
se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali siano progetti e intenzioni del Governo rispetto alla necessità di tutelare i siti culturali dell'area nolana menzionati in premessa. (5-00677)
Interrogazioni a risposta scritta:
NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il territorio dell'Anglona (ampia zona del nord Sardegna, in provincia di Sassari) vive da tempo una situazione di estrema crisi, causata anche dalla carenza di infrastrutture in grado di connettere in tempi rapidi i paesi dell'area al capoluogo e alle località turistiche del territorio;
il comune di Nulvi è uno dei più colpiti dal problema in quanto le vie di comunicazione e trasporto sono assolutamente inefficienti non consentendo una normale mobilità che si ripercuote in maniera pesante sulle diverse aziende del territorio (la mancanza di infrastrutture adeguate ha ripercussioni gravi anche su sanità e diritto allo studio, l'ospedale più vicino è quello di Sassari e stessa cosa vale per le scuole superiori);
la popolazione del territorio attende da più di vent'anni il completamento del secondo lotto della «Strada dell'Anglona» una nuova e decisiva arteria che, collegando Sassari alla porzione nord-ovest della Gallura, affrancherebbe Nulvi, ma anche buona parte dell'Anglona, da un inadeguato sistema di strade che la discrimina e che concorre, con grave danno, ad impedire uno sviluppo concreto dell'area;
anche la Strada di Santa Giusta, che congiunge Nulvi alla Chiaramonti-Ploaghe ed alla strada di scorrimento veloce Tempio-Sassari, e la Nulvi-Sennori, versano in grave stato di degrado, completando il quadro più generale di una vera e propria questione viabilità in Anglona;
i lavori relativi al secondo lotto della strada dell'Anglona erano ripresi nei primi mesi del 2012 grazie alle forti pressioni della popolazione nulvese che stanca della situazione aveva costretto la provincia di Sassari ad attivarsi per gli appalti;
la soprintendenza per i beni architettonici ha chiesto una variazione sul progetto del terzo lotto della strada dell'Anglona (circonvallazione Nulvi) poiché la zona è interessata da un villaggio nuragico. La circonvallazione collega la fine del secondo lotto con la strada per Tergu, ed eviterebbe il transito all'interno di Nulvi, riducendo i tempi di collegamento con il 4o lotto (Sedini-Valledoria);
il quotidiano sardo La Nuova Sardegna riporta, il 2 luglio 2013, la notizia dell'allungamento dei tempi per la conclusione dei lavori relativi al secondo lotto della strada dell'Anglona spiegando che «a seguito di una perizia suppletiva e di variante elaborata dal Settore Viabilità della Provincia di Sassari per i lavori di costruzione del tratto Osilo-Nulvi della nuova strada sono stati prorogati i termini della consegna dei lavori, pertanto con apposito atto deliberativo della giunta si procederà alla successiva riapprovazione del progetto definitivo esecutivo. La perizia ha infatti evidenziato che durante l'esecuzione dei lavori si sono manifestate una serie di problematiche legate al degrado subito a causa degli eventi naturali che si sono manifestati nel periodo di interruzione dei lavori. C’è stata inoltre la necessità di venire incontro alle richieste avanzate da numerosi frontisti e quella di adeguare le opere di smaltimento e drenaggio delle acque alle nuove problematiche di carattere idrogeologico. Si è reso inoltre necessario aggiornare il piano parcellare di esproprio riferendosi non più al valore agricolo medio dei terreni ma a quello di mercato. Nel riappalto dei lavori non si è considerato che gli appoggi strutturali dei viadotti non ricomprendevano anche quelli del viadotto n. 2, rendendo conseguentemente necessario aumentare l'importo dei lavori a base d'asta. La perizia suppletiva ha comportato un aumento entro i limiti del 10 per cento dell'importo originario di contratto, pari a 711.355,23 euro» –:
se i Ministri interrogati, nell'ambito delle proprie competenze, siano a conoscenza della situazione descritta e se intendano intervenire salvaguardando i siti di interesse archeologico ma senza che sia compromesso il completamento dell'arteria stradale in modo che possano essere fornite risposte certe alla popolazione dei luoghi interessati. (4-01333)
PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
da quanto si apprende da un articolo pubblicato sul quotidiano «Il Piccolo» di Trieste del 14 luglio 2013, la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici del capoluogo giuliano dal 2012 ad oggi ha respinto o comunque bloccato, il 57,5 per cento nelle richieste per l'installazione di pannelli fotovoltaici o relativi ad impianti di solare termico sulle case che rientrano nelle zone soggette per legge al suo esame;
secondo una relazione tecnica degli uffici competenti del comune, resa nota dall'assessore all'edilizia privata Elena Marchigiani, i progetti di privati per gli interventi sopra descritti autorizzati dalla soprintendenza ammontano al 42,5 per cento del totale;
in pratica, dei 73 procedimenti di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, 22 (pari al 30,1 per cento) hanno ricevuto il parere contrario della Soprintendenza, 20 (il 27,4 per cento) il parere favorevole con pressioni che spesso rendono inattuabile l'intervento e 25 (il 34,3 per cento) sono stati approvati con la procedura del silenzio/assenso;
le ripercussioni di questa condotta, sono controproducenti per l'ambiente e per l'efficienza energetica degli edifici oltre ad aggravare i costi sostenuti dai cittadini per l'approvvigionamento energetico;
l'esecutivo Letta il 31 maggio 2013 ha varato il decreto-legge n. 63 del 2013, al vaglio del Parlamento per la sua conversione in legge, che prevede incentivi statali per gli interventi di riqualificazione ed efficienza energetica che prevedono, tra l'altro, la detrazione del 50 per cento sull'acquisto di sistemi fotovoltaici;
la mancata autorizzazione per l'installazione di impianti fotovoltaici non consentirà l'utilizzo di circa un milione di euro di cui avrebbe potuto beneficiare il territorio triestino, suddivisi tra gli incentivi statali e il quinto conto energia;
a seguito di numerosi esposti, la procura di Trieste ha aperto una procedura d'inchiesta per abuso d'ufficio nei confronti della dirigente della Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici Maria Giulia, Picchione accusata – insieme ad altri funzionari – di aver bloccato o rallentato irreparabilmente pratiche e autorizzazioni paesaggistiche, incluse quelle relative al fotovoltaico;
il Ministero per beni e le attività culturali, nel mese di giugno 2013, ha inviato tre ispettori per fare chiarezza sulla questione incontrando, tra gli altri, il direttore regionale dei beni culturali Giangiacomo Martines e il sindaco di Trieste, Roberto Cosolini;
la tutela del patrimonio artistico e architettonico deve essere una priorità ma la pubblica amministrazione non può impedire arbitrariamente investimenti privati soprattutto in un periodo di grave crisi economica –:
se il Ministro interrogato intenda riferire l'esito dell'indagine svolta dai propri ispettori e se sia intenzionato d'intesa con la regione Friuli Venezia Giulia e nel rispetto delle rispettive competenze, a partecipare all'immediata stesura del piano paesaggistico per consentire a tutti i cittadini di poter usufruire degli incentivi statali in favore dell'utilizzo del fotovoltaico. (4-01338)
COESIONE TERRITORIALE
Interrogazione a risposta in Commissione:
MADIA, BARUFFI, BELLANOVA, GRIBAUDO e PARIS. — Al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
da un articolo di stampa (Giuseppe Chiellino, Per l'Italia a rischio il 62 per cento dei fondi dell'Unione europea, Il Sole 24 ore, 15 luglio 2013) risulta agli interroganti che l'Italia avrebbe un basso livello di utilizzo, da parte delle regioni, dei fondi europei per lo sviluppo, l'occupazione e le politiche sociali;
dei fondi strutturali concessi alle regioni italiane nella programmazione 2007-2013 (Fondo europeo per lo sviluppo regionale – FESR e Fondo sociale europeo – FSE) sembrerebbe che le regioni italiane abbiano speso soltanto il 38 per cento dei fondi ad esse assegnati;
secondo i dati dell'Unione europea a pochi mesi dalla scadenza del programma l'Italia sarebbe penultima (peggio farebbe solo la Romania) tra i Paesi dell'Unione europea per capacità di spesa dei fondi;
tra risorse europee e cofinanziamento nazionale l'Italia deve ancora spendere circa 30 miliardi sino al dicembre 2015 (grazie alla regola N+2 che permette uno slittamento di 24 mesi) –:
se i dati su un tale sottoutilizzo corrispondano alle notizie in possesso del Governo e quali siano le cause di questa bassa performance delle regioni italiane e se ritenga che sia possibile un'inversione di tendenza nei prossimi 24 mesi concessi dalla normativa europea;
se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali non ritenga che, di concerto con le regioni, parte di questi fondi non possano essere utilizzati per stimolare quei programmi di sostegno all'occupazione giovanile e all'allargamento degli ammortizzatori sociali annunziati dal Governo nelle dichiarazioni programmatiche. (5-00668)
DIFESA
Interrogazioni a risposta in Commissione:
MAGORNO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
il territorio del Tirreno Cosentino è vasto, variegato e complesso e, come testimoniano gli ultimi fatti di cronaca, presenta, purtroppo, fenomeni dilaganti di criminalità organizzata;
le forze dell'ordine, nonostante svolgano un lavoro encomiabile a tutela della sicurezza dei cittadini ed a contrasto dei fenomeni delinquenziali, si trovano a operare nella carenza di mezzi, con organici esigui e senza la possibilità di usufruire di strutture adeguate;
in particolare, la caserma dei carabinieri di Cetraro, completata da due anni, è inutilizzata e la tenenza di Scalea è ancora incompiuta;
a parere dell'interrogante, soprattutto in un momento storico così delicato e difficile per il Tirreno Cosentino, è indispensabile e urgente rafforzare i presidi dello Stato dotandoli di organici e strutture più consistenti che rispondano, con efficienza, alle reali esigenze di questo territorio garantendone, pertanto, l'affermazione della legalità e dando così un chiaro segnale alla criminalità organizzata –:
se il Governo sia conoscenza di quanto sopra esposto;
se il Ministro, per quanto di competenza, intenda verificare i motivi effettivi per i quali la caserma dei carabinieri di Cetraro, completata da due anni, risulti ad oggi inutilizzata e la tenenza di Scalea sia ancora incompiuta;
quali iniziative, eventualmente, il Ministro, per quanto di competenza, intenda assumere in maniera urgente affinché la caserma dei carabinieri di Cetraro sia resa al più presto operativa e vengano iniziati e portati a termine, in tempi brevi, i lavori di costruzione della tenenza di Scalea.
(5-00652)
BASILIO, CORDA, PAOLO BERNINI, RIZZO, ARTINI, FRUSONE e ALBERTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
il sottocapo Nocchiere di 3a classe della Marina militare Alessandro Nasta è morto tragicamente il 24 maggio 2012 sulla nave Amerigo Vespucci precipitando dall'albero di maestra, il più alto. Aveva solo 29 anni e cadde da una altezza di circa 15 metri urtando la testa sul ponte di coperta;
al momento dell'incidente, la nave era in navigazione isolata al largo dell'Argentario, 40 miglia a Nord di Civitavecchia. Il giovane, trasportato in elicottero, morì all'ospedale di Civitavecchia a seguito dell'aggravarsi delle condizioni cliniche e per le numerose fratture riportate;
sui fatti che hanno portato alla tragica morte del giovane militare è ancora in corso un'indagine della procura della Repubblica di Civitavecchia;
con decreto n. 115 del Ministero della difesa — Direzione generale della previdenza militare e della leva I Reparto 4a Divisione — Servizi Speciali Benefici si rigettava l'istanza presentata in data 19 luglio 2012 dal signor Pietro Nasta, padre del militare deceduto, che chiedeva che suo figlio venisse equiparato alle vittime del dovere;
nel decreto sopracitato si legge «per l'evento traumatico in esame non può ravvisarsi alcuna delle situazioni di cui all'articolo 1, comma 563, non ricoprendo l'incidente gli estremi né del contrasto ad ogni tipo di criminalità, né dell'ordine pubblico, né dell'operazione di soccorso, né della vigilanza ad infrastrutture civili o militari, né dell'attività di tutela della pubblica incolumità, né tanto meno di azione recata in un contesto internazionale non avente necessariamente la caratteristica dell'ostilità» e che «l'evento lesivo non può neanche inquadrarsi nel comma 564 attesa l'origine violenta dell'evento e non da infermità dello stesso»;
il comitato di verifica per le cause di servizio ha risolto la questione in modo assai contraddittorio sostenendo la violenta emorragia cerebrale per gravissimo trauma cranio facciale con fratture cranio facciali multiple sarebbero «sì dipendenti da causa di servizio» ma «non riconducibili alle particolari condizioni ambientali ed operative comunque implicanti l'esistenza od il sopravvenire di circostanze di servizio straordinarie» –:
se il Ministro non ritenga di promuovere la revisione della decisione assunta dalla direzione generale della previdenza militare e della leva, anche alla luce del fatto che è innegabile che il sottocapo Nocchiere Alessandro Nasta abbia perso la propria vita durante l'orario di servizio e mentre svolgeva le proprie mansioni in mare aperto a bordo della Vespucci e ad una altezza molto pericolosa;
quali provvedimenti siano stati assunti per impedire il ripetersi di incidenti mortali come quello in oggetto e segnatamente se il personale abilitato a salire sugli alberi della Vespucci sia dotato di tutta l'attrezzatura antinfortunistica del caso, vista l'altezza in cui il personale opera con nave per di più in movimento. (5-00656)
Interrogazione a risposta scritta:
ARTINI, BASILIO, ALBERTI, CORDA, RIZZO, PAOLO BERNINI e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
il Ministro della difesa dispone di una Scuola di formazione e perfezionamento del personale civile (indicata come CivilScuolaDife) ed ubicata in Roma, Via Mattia Battistini, n. 113-117, per lo svolgimento di corsi di aggiornamento e formazione per i dipendenti civili del predetto dicastero;
la scelta di docenti dotati di adeguati titoli culturali e scientifici al fine della formazione di dipendenti pubblici deve costituire un obiettivo imprescindibile dell'intera pubblica amministrazione, onde assicurare l'aggiornamento professionale del personale, ivi compreso quello ad ordinamento civile incardinato presso il Ministero della difesa e deputato a coadiuvare, nel suo complesso, il sistema della difesa nazionale;
il comitato direttivo costituito con decreto ministeriale 11 agosto 1970, deputato a fissare le direttive per il funzionamento della scuola nonché i criteri per l'organizzazione dei corsi, nel corso degli anni non si è mai più riunito, essendo venute meno parte delle figure che lo componevano con ovvia conseguenza che la tenuta di un albo docenti non ha avuto più, negli anni a seguire, il necessario e costante aggiornamento e attualmente l'attività dell'ex comitato direttivo, in via meramente surrogatoria, ma di fatto ormai costante, è svolta dalla divisione corsi e dall'ufficio corsi militari che provvedono all'acquisizione di personale docente, sulla base di curricula presentati dagli interessati e vagliati dai componenti uffici;
nel corso degli anni le docenze sono state peraltro in massima parte attribuite a personale militare, a sua volta non sempre con titoli di docenze esterne all'amministrazione difesa, e ciò anche nel caso di docenti per corsi destinati al personale civile dipendente del Ministero della difesa;
sulla scorta di quanto sopra: la scuola risulta non avere una struttura ad hoc deputata alla selezione dei docenti cui affidare lo svolgimento dei corsi di formazione per il personale civile, quale era l'ex comitato direttivo, organo del tutto distinto dagli uffici interni della scuola di formazione quali sono invece la divisione corsi e l'ufficio corsi militari che ora adempiono il suo ruolo;
l'albo della scuola non solo non risulta più essere stato aggiornato costantemente, ma vieppiù risulta difettare di qualsivoglia forma di ufficializzazione, anche attraverso la sua ostensione pubblica;
la scelta dei docenti risulta dunque avvenire in assenza di qualsivoglia procedura pubblica che garantisca la trasparenza ed imparzialità nell’iter attraverso la pubblicità di un bando di candidature, con relativa garanzia di pubblicità dei soggetti destinatari delle docenze attraverso la pubblicazione per via telematica del relativo albo docenti come avviene per altre scuole di formazione ministeriale, fra cui, per esempio, quelle del personale del personale dell'amministrazione dell'interno e del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del Ministero della giustizia –:
se il Ministro interrogato intenda o meno provvedere alla ricostituzione del comitato direttivo della scuola di formazione e perfezionamento del personale civile del Ministro della difesa (CivilScuolaDife), già istituito con decreto ministeriale 11 agosto 1970 e successivamente non più riunitosi, o comunque di altro organo collegiale, al fine di garantire che la scelta dei docenti affidatari di corsi avvenga da parte di corpo terzo ed indipendente dagli uffici interni della scuola medesima al fine di garantire la massima imparzialità nel vaglio delle candidature;
se e quali iniziative intenda assumere ai fine di assicurare la costituzione di un formale ed aggiornato albo dei docenti della predetta scuola, anche attraverso la pubblicazione di un avviso pubblico per la presentazione di candidature, onde garantire la relativa massima partecipazione di candidature e la relativa selezione e scelta di docenti in possesso di adeguati curricula scientifico-professionali in relazione ai corsi formativi da somministrare al personale;
se e quali iniziative intenda assumere al fine di garantire la massima trasparenza in sede di scelta dei docenti per la predetta scuola, in conformità con il possesso di adeguati titoli culturali e scientifici degli affidatari ed anche al fine della pubblicazione per via telematica sulle pagine del sito della scuola del relativo albo docenti, ufficiale ed aggiornato. (4-01330)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazione a risposta in Commissione:
BELLANOVA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
l'Agenzia delle Entrate il 27 maggio 2011 ha bandito un concorso pubblico per l'assunzione a tempo indeterminato di 220 unità per la seconda area funzionale, fascia retributiva F1, profilo professionale assistente, per attività amministrativo-tributaria, da destinare ai Centri operativi (COP) e ai Centri di assistenza multicanale (CAM);
il concorso ha visto partecipi circa 28.000 candidati nella prima prova, sono stati assunti in via diretta le prime 240 unità alle quali si sono aggiunte per scorrimento altre 12 unità;
la graduatoria finale di merito attualmente è composta da 188 idonei ed ha una validità di legge di 36 mesi con decorrenza settembre 2012;
nel mese di settembre 2012 si è costituito un comitato spontaneo di idonei, il comitato INV220AE, formato da concorrenti risultati idonei non vincitori. La finalità di costituzione del suddetto comitato risiede nell'auspicio di un esaurimento totale della graduatoria, con l'assorbimento di tutti gli idonei attualmente in attesa;
nel documento diffuso dal comitato si legge «l'Agenzia delle Entrate è un ente che con il suo lavoro porta introiti nelle casse dello Stato, lottando in prima linea, insieme con le forze di Guardia di Finanza, contro l'evasione. Un impiego di ulteriori risorse comporterebbe un miglioramento qualitativo, e la possibilità di aumentare il gettito in entrata. Ci risulta inoltre che l'Agenzia delle Entrate abbia carenza di personale negli Uffici Territoriali, dove è indispensabile mantenere un corretto funzionamento degli iter burocratici e dei servizi al cittadino» –:
se il Ministro interrogato non ritenga opportuno acclarare quanto sopra riportato in merito alla carenza di organico territoriale per l'ente citato e se non ritenga comunque utile disporre l'utilizzo della succitata graduatoria per l'eventuale impiego degli idonei non vincitori, prima della scadenza della medesima graduatoria prevista per il settembre 2015. (5-00661)
GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta in Commissione:
MORETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il decreto del Ministro della giustizia del 18 aprile 2013, con il quale sono state approvate le nuove piante organiche dei magistrati interessati dalle variazioni dell'assetto territoriale per effetto della riforma della geografia giudiziaria, avrebbe dovuto rappresentare il punto di arrivo di un lavoro iniziato dagli uffici del Ministero della giustizia che, in ossequio alla previsione di cui all'articolo 5, comma 4, del decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155, mirava a una necessaria rideterminazione delle piante organiche degli uffici giudiziari a seguito dei provvedimenti di riorganizzazione assunti;
il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria aveva svolto un approfondito studio preparatorio, dal quale emergevano alcune indubbie sperequazioni riguardanti l'attribuzione delle risorse (e lo stesso CSM, a quanto consta all'interrogante, ne ha dato atto nel provvedimento che accompagnava il decreto in via di approvazione);
sulla base degli studi del Ministero, il tribunale di Vicenza avrebbe ottenuto (rispetto alla mera sommatoria dei magistrati già in servizio nella provincia, Vicenza più Bassano) un aumento di 5 magistrati giudicanti (passando così a un totale di 41 magistrati) ed un aumento di 2 magistrati requirenti (con un ufficio del pubblico ministero complessivamente portato a 16 magistrati);
con tale assegnazione di risorse sarebbe stato possibile migliorare i tempi di decisione delle cause che, in particolare in questo momento di recessione, avrebbero rivestito un ruolo strategico soprattutto per una provincia come quella di Vicenza, che rappresenta uno dei distretti industriali più importanti sul territorio nazionale. In particolare, come recentemente denunciato anche dal presidente degli industriali di Vicenza Giuseppe Zigliotto, per il tribunale vicentino l'organico è cronicamente sottostimato con conseguenze pesantissime in termini di efficienza della macchina giudiziaria. Senza contare che, proprio a causa del sovraccarico di cause, moltissimi magistrati chiedono il trasferimento presso altre sedi. Tuttavia, in seguito a vari passaggi, si è inspiegabilmente tornati alle posizioni precedenti –:
se il Ministro, anche alla luce delle considerazioni suesposte, non ritenga di considerare, in sede di individuazione dei necessari correttivi nell'applicazione della normativa in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, anche previa consultazione degli operatori del diritto e dei rappresentanti del territorio, l'opportunità di modulare in modo diverso le scelte fatte, e, in particolare, se non ritenga necessario assumere ogni iniziativa, per quanto di competenza, per aumentare in maniera adeguata l'organico da destinare al tribunale di Vicenza. (5-00689)
Interrogazione a risposta scritta:
ALLASIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
da notizie di stampa si apprende che il giudice per le indagini preliminari di Torino ha disposto il dissequestro di una villetta abusiva, scoperta a maggio dai vigili di Moncalieri, in borgata Tetti Rolle e abitata da una coppia di nomadi di etnia sinti con i due figli minori;
la polizia municipale era, allora, intervenuta a seguito di un esposto dei residenti i quali avevano segnalato alle autorità competenti che l'abitazione era stata edificata su terreno ad uso agricolo ed era priva di alcun permesso;
il giudice per le indagini preliminari di Torino ha invece ora deciso di restituire l'immobile alla coppia di nomadi per la presenza in seno alla famiglia di figli minori, nonostante l'immobile non sia idoneo ad uso abitativo e sia stato edificato contro ogni normativa vigente;
il giudice per le indagini preliminari di Torino, nell'assumere la decisione di dissequestro dell'immobile e restituzione dello stesso agli originari occupanti, ha posto quale unica condizione di non apportare alcuna modifica all'edificio abusivo finora edificato dalla coppia di nomadi;
l'autorità giudiziaria, nel caso in esame, oltre ad aver in qualche modo autorizzato il mancato rispetto delle disposizioni normative in materia edilizia e di sicurezza, ha inoltre consentito e disposto che dei minori vivano in un edificio del tutto inidoneo ai fini abitativi;
decisioni di questo tipo da parte dell'autorità giudiziaria mortificano il lavoro del personale delle forze dell'ordine, le quali agiscono in risposta alle istanze presentate dai cittadini nonché per garantire il rispetto della legge;
è stato grande lo scalpore che tale decisione ha suscitato tra i cittadini di Tetti Rolle, nonché tra le forze dell'ordine locali;
se non intenda promuovere iniziative ispettive con riguardo alla vicenda descritta in premessa, ai fini dell'eventuale esercizio dei poteri di competenza.
(4-01352)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
in riferimento al conseguimento della patente di guida A e B, fino al 3 gennaio 2011, per i cittadini stranieri la procedura contemplava, per la parte riguardante il quiz teorico, traduzione delle domande nelle 7 lingue ufficiali ONU – inglese, francese, tedesco, spagnolo, russo, cinese, arabo;
questa esperienza fu ritenuta non positiva dal Ministero in quanto, oltre ai costi delle traduzioni ritenuti troppo alti, si evidenziarono inesattezze nella traduzione dei termini tecnici talvolta tradotti in maniera impropria o imprecisa;
dal 3 gennaio 2011 l’iter prevede quiz in sola lingua italiana con esclusione delle lingue a tutela delle minoranze linguistiche;
a seguito di ciò si è verificato un crollo nel superamento degli esami da parte degli allievi stranieri;
si registra un aumento di cittadini stranieri che ricorrono al mercato «nero» delle patenti, piaga, purtroppo, fiorente nel nostro Paese;
molti allievi stranieri ritengono che il supporto della lingua inglese, lingua attualmente più diffusa, possa essere di aiuto nel superamento della prova teorica –:
se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se ritenga necessario prevedere che i testi dei quiz relativi alla prova teorica per il conseguimento delle patenti A e B vengano affiancati almeno dalla relativa traduzione in lingua inglese.
(5-00659)
FEDRIGA e CAPARINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
la Rete Ferroviaria Italiana SpA, ex Ferrovie dello Stato, piazza della Croce Rossa 1, società con azionista unico il Ministero dell'economia e delle finanze per il tramite di due studi legali esterni, chiede a ex dipendenti in pensione negli anni novanta la restituzione di somme per riforma sentenza per un importo da 3mila ad oltre 15 mila euro;
intorno agli anni 1990/1991, numerosissimi pensionati dell'allora ente ferrovie ottennero dai vari giudici del lavoro il riconoscimento del diritto a percepire i miglioramenti contrattuali concessi al personale in servizio durante la vigenza del Contratto collettivo nazionale del lavoro che li riguardava;
portata la vicenda all'esame della Corte di cassazione, la sezione lavoro del supremo collegio, con sentenza n. 4677/03, riteneva infondata la richiesta dei pensionati, confermando la sentenza n. 19182/01 del Tribunale di Roma, che a sua volta aveva riformato la pronuncia del pretore di Roma del 30 ottobre 1996;
nessuna sentenza, comunque, ha mai condannato i pensionati alla restituzione delle somme percepite;
adesso, a distanza di quindici anni dall'ottenimento delle somme ed a oltre dieci anni dalla sentenza della Cassazione, la RFI, subentrata alle Ferrovie, sta facendo pervenire una miriade di diffide con richieste ultimative e minatorie di provvedere entro trenta giorni dal ricevimento della lettera al pagamento del credito restitutorio composto da: somme riscosse, rivalutazione, interessi e spese legali per la diffida;
la platea cui la RFI sta scrivendo è composta per lo più da modesti pensionati ultraottantenni, già in difficili condizioni fisiche e/o economiche; le suddette diffide finiscono con il creargli vere e proprie situazioni di stress emotivo, anche per il timore di lasciare il debito in eredità;
peraltro i termini di prescrizione del diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza, successivamente riformata in appello, iniziano a decorrere da tale pronuncia, nonostante la pendenza del giudizio innanzi alla Corte di cassazione;
nelle richieste avanzate dalla RFI si rileva, ad avviso degli interroganti, un comportamento vessatorio, ma soprattutto spregevole e biasimevole perché colpisce anziani pensionati –:
se e quali provvedimenti di propria competenza il Governo intenda adottare per risolvere urgentemente la vicenda esposta in premessa e se si intenda svolgere una attività di moral suasion in tal senso nei confronti della dirigenza;
se non debba, comunque, considerarsi estinto il credito per prescrizione del diritto. (5-00675)
FRUSONE, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, RIZZO, DELL'ORCO, ARTINI, NICOLA BIANCHI e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
in data 31 marzo 2004 L'Enac accoglie la richiesta della Società HFD di subentrare nella concessione dell'Aeroclub della Ciociaria su Aquino e comunica alla DCA (Ciampino) di riferimento di procedere alla cessazione della concessione dell'AEC della Ciociaria per mancato pagamento dei canoni demaniali. Canoni che poi saranno interamente pagati dalla HFD che, subentrando, si accolla i debiti pregressi del vecchio aeroclub;
in data 16 settembre 2004 L'HFD sollecita l'Enac per il subentro nella concessione su Aquino: suo scopo realizzare sull'Aeroporto un Centro federale polivalente di sport aeronautici;
in data 4 ottobre 2004 l'Enac area gestioni aeroportuali esprime alla DCA Ciampino parere favorevole al subentro dell'HFD nella concessione;
in data 19 settembre 2005 l'Enac invia all'HFD la pre accettazione della concessione che l'HFD firma, accettando conseguentemente il canone prestabilito unilateralmente dall'Enac e mai contestato dal demanio (canone ricognitorio);
in data 29 settembre 2005 il geometra Guerrini, in sostituzione del direttore della DCA Ciampino dottor Sergio Legnante, consegna come da verbale all'HFD i beni in concessione tenendo conto dell'accollo dei debiti pregressi dell'Aeroclub della Ciociaria ed alla manifestazione dell'HFD di realizzare a proprie spese sull'aeroporto un Centro federale polivalente di sport aeronautici;
in data 20 giugno 2006 l'HFD richiede il prolungamento temporale della concessione Enac ad un minimo di anni 6+6, per ammortizzare le notevoli spese di ripristino dell'area sostenute e da sostenere;
in data 7 agosto 2006 l'Enac valuta positivamente il rinnovo della concessione con aumento a 6+6 protocollo 1671 del 21 settembre 2005, a patto che l'HFD realizzi a sua cura e spese la rete di recinzione per la messa in sicurezza di tutto il sedime aeroportuale, la ristrutturazione completa dei manufatti in concessione visto l'alto degrado in cui versano, la riqualificazione della pista erbosa non più utilizzata per il traffico aereo da 15 anni;
in tale concessione si richiede al demanio di impartire le dovute istruzioni per l'introito del cennato canone annuo (Capitolo 3563 – Articolo XV – Capo 5 – cod.839/T) nonché di esprimere il proprio definitivo concordamento sul relativo ammontare, tali istruzioni ed il concordamene non sono mai giunte non certo per cause imputabili all'HFD (non è noto se siano giunte con posta interna demanio Enac a DCA Ciampino);
in data 5 febbraio 2008 L'HFD invia una lettera al dottor Vito Riggio, presidente Enac, evidenziando i problemi che la società sta avendo sull'aeroporto di Aquino, nel quale, nonostante abbia investito quasi 800.000 euro in opere, non può ancora svolgere attività di volo. L'HFD chiede, quindi, una concessione come gestore aeroportuale, visto che di fatto lo è;
in data 17 luglio 2012 Enac DCA, ad 8 anni dall'inizio della concessione, chiede ad HFD conto dell'iscrizione al Centro sportivo italiano (Ente di promozione sportivo), «condizione indispensabile per l'HFD», dichiara la DCA, per continuare a pagare i canoni demaniali al 10 per cento (canoni ricognitori); e in data 20 luglio 2012, l'HFD invia all'Enac DCA Ciampino tutti gli attestati d'iscrizione al Centro sportivo italiano (Ente di promozione Sportiva) dal 2005 al 2012, come richiesto dalla DCA Ciampino;
in data 11 ottobre 2012 Aeroclub d'Italia dà il suo benestare per procedere alla certificazione della scuola VDS dell'HFD sull'aeroporto di Aquino in attesa del nulla osta ad operare della DCA Ciampino;
in data 30 gennaio 2013 HFD, come da essa stessa dichiarato, riceve una strana ingiunzione di pagamento da parte di una società di consulenza;
in data 8 febbraio 2013 HFD riceve una raccomandata da Enac DCA Ciampino (datata 18 gennaio 2013) inerente il ricalcolo dei canoni demaniali, dove viene richiesto l'immediato pagamento di quasi 200.000 euro di adeguamento canoni passati e di pagamento per il futuro dei canoni pieni, poiché, dichiara la DCA, l'HFD, per la sua natura giuridica, non ha diritto ad alcuna agevolazione precisando, che le attestazioni richieste d'iscrizione al Centro sportivo italiano nella lettera del 17 luglio 2012 «indispensabili al riconoscimento del canone agevolato al 10 per cento», in realtà sono ininfluenti;
l'attuale direttore è lo stesso che ha firmato e rilasciato le concessioni all'HFD fin dal 2005;
in data 20 febbraio 2013 l'HFD ha risposto alla missiva del 18 gennaio 2013 precisando, punto per punto, tutte le motivazioni legislative e non, per cui avrebbe il pieno diritto a pagare un canone concessorio ricognitorio;
in data 20 marzo 2013 l'Enae DCA Ciampino comunica con raccomandata datata 26 febbraio 2013, ma spedita 19 marzo 2013, che non rinnova la concessione di alcune aree (a due anni) in scadenza all'HFD, perché questa risulta morosa, non avendo pagato i 200.000 euro di adeguamento dei canoni concessori dal 2005 ad oggi, come richiesto dall'Enac DCA Ciampino nella precedente missiva inviata, ricevuta dall'HFD l'8 febbraio 2013;
in data 23 maggio 2013 L'Aeroclub d'Italia certifica, con il n. 435, l'HFD come scuola di VDS/VM basico ed avanzato sull'Aeroporto di Aquino e il 31 maggio 2013 anche sul campo di volo di Giuliano di Roma;
i lavori realizzati dall'HFD tra 2005/2008 ammontano ad euro 849.044,14 come da computo metrico presentato ad Enac e demanio, ad euro 262.161,07 come da computo metrico 2009/2011, ad un valore tra 200.000 e 300.000 euro come da computo metrico in via di determinazione di lavori effettuati, e in via di conclusione per il computo metrico da presentare ad ENAC e demanio; tutto questo da aggiungere al costo di gestione societario e manutenzione ordinaria dell'aeroporto che ammonta a circa 70/80.000 euro l'anno;
nel 2012, a lavori ultimati, l'HFD viene a conoscenza che gli edifici dati in concessione non sono accatastati e pertanto l'Acea non può procedere all'allaccio dell'acqua;
come previsto dall'articolo 703 del Codice della navigazione in seguito alle modifiche apportate dal decreto legislativo 9 maggio 2005, n. 96 le opere non amovibili, costruite sull'area demaniale, restano acquisite allo Stato, fatto salvo l'obbligo di rimborsare, da parte dei concessionario subentrante, il valore contabile residuo non ammortizzato. Valore che dato l'utilizzo fatto si aggira attorno al 90 per cento del capitale investito;
una società sportiva dilettantistica senza fine di lucro, costituita a norma dell'articolo 90 della legge 289 del 2002 e successive modificazioni, e parificata alle associazioni sportive dilettantistiche dovrebbe rientrare a pieno titolo tra i soggetti senza scopo di lucro, così come stabilito dall'articolo 90 legge 289 del 2002;
è noto il regime di favore accordato dal demanio marittimo alle società sportive dilettantistiche, con applicazione del canone ricognitorio ridotto al 10 per cento nei casi in cui il concessionario non ritragga alcun utile o provento dalla concessione (cfr. circolare Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – direzione generale per i porti 25 maggio 2009 prot. n. MTRAIPDRTU6843);
la legislazione di settore (articolo 90 della legge 289 del 2002) nel rispetto del criterio di specialità (lex specialis derogat legi generali) riconosce il carattere di specialità del diritto delle società sportive senza scopo di lucro, ancorché costituite in forma di società di capitali, e la loro assimilazione alle associazioni senza scopo di lucro;
il comma 25 dell'articolo 90 della legge 289 del 2002 stabilisce che: nei casi in cui l'ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche;
l'impossibilità ad usufruire di un bene pubblico strategico per lo sviluppo economico del territorio va a ledere l'intera collettività –:
se non ritenga ingiustificata la richiesta del dottor Legnante, dirigente della direzione aeroportuale di Roma Ciampino, per conto dell'ENAC;
quali provvedimenti e iniziative intenda porre in essere per ovviare alla situazione di incertezza creatasi in relazione ai fatti sopra descritti. (5-00687)
DELL'ORCO, NICOLA BIANCHI, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI, LIUZZI e CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il 27 luglio del 2005 fu sottoscritto un accordo procedimentale tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Emilia-Romagna, la provincia di Bologna e il Comune di Bologna per la realizzazione del «Passante autostradale nord». L'opera, inserita tra le infrastrutture strategiche a livello nazionale e attualmente ancora in fase di progetto preliminare, può essere sinteticamente descritta come un semianello autostradale di collegamento con le autostrade A1, A13 e A14 da costruirsi a nord della città di Bologna per oltrepassarla senza immettersi nel contesto di viabilità cittadina della tangenziale;
l'idea di quest'opera nacque già nel 2002 e maturò nell'ambito del Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) della provincia di Bologna con l'intento di alleggerire e ammodernare il sistema territoriale felsineo. Lo studio di fattibilità per la riorganizzazione del sistema autostradale-tangenziale bolognese risale al 2003 e fu aggiornato nel 2004. Si descriveva il sistema viario territoriale come caratterizzato da una confluenza di flussi di traffico urbani ed extraurbani dovuta ad un tracciato complanare tra tangenziale cittadina e autostrada A14, con conseguente eccessiva congestione e inquinamento ambientale gravante sul nucleo urbano e una inadeguata strozzatura per i flussi di traffico in attraversamento. Il 19 dicembre 2003 fu così sottoscritta presso la Presidenza del Consiglio dei ministri l'intesa generale che individuava il passante autostradale Nord come opera di preminente interesse strategico a livello nazionale inserita nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001 (cosiddetta «legge obiettivo»);
il progetto, inserito nel Piano territoriale di coordinamento provinciale e presentato al Ministero, prevedeva la costruzione di un passante autostradale di oltre 40 chilometri all'interno di un corridoio tracciato a semianello nella pianura nord, avente per estremi, a ovest, Lavino di Mezzo (frazione di Anzola Emilia), a est, Ponte Rizzoli (frazione di Ozzano Emilia). Si prevedeva inoltre la cosiddetta «banalizzazione» del tratto autostradale complanare alla tangenziale, ossia la sua trasformazione in un sistema viario locale al fine di realizzare un unico asse-tangenziale più largo. Per spostare i flussi di traffico extraurbani sul sistema autostradale esterno si prevedeva l'introduzione di pedaggio aggiuntivo per l'accesso al nuovo sistema tangenziale. Il progetto puntava inoltre allo sviluppo delle attività produttive andando a rafforzare la tangenziale non solo a servizio dell'area urbana centrale ma anche per lo sviluppo dei poli funzionali localizzati lungo il tracciato quali l'aeroporto e la fiera, mentre il nuovo passante avrebbe servito direttamente i principali poli logistici (interporto, centergross), le aree produttive sovracomunali di cui si sarebbe previsto lo sviluppo, intercettando una quota rilevante del trasporto merci. Si trattava di un progetto del costo complessivo di 980 milioni di euro da realizzare in project financing (ex articolo 37-bis della legge Merloni) con copertura del 50 per cento pubblica e del 50 per cento a carico di un soggetto promotore;
il progetto, sebbene avesse messo d'accordo tutti gli enti locali, aveva alcuni punti deboli quali, in primis, la ricerca delle risorse e soprattutto la banalizzazione del tratto autostradale. Quest'ultima operazione avrebbe infatti richiesto l'esborso di 312 milioni di euro alla società Autostrade per l'Italia (ASPI) a titolo di indennizzo per la rinuncia all'esercizio della concessione fino alla sua naturale scadenza. Pertanto, dopo un tentativo fallito di realizzazione attraverso un finanziamento totalmente o parzialmente pubblico e con l'intendimento di richiedere un apposito capitolo di bilancio da inserire nella finanziaria, si ipotizzò di affidare direttamente ad Aspi la gestione e la realizzazione dell'opera senza contributi pubblici. La Società, sebbene si dichiari non interessata, si rende disponibile alla realizzazione dell'opera. Il costo come risulta nell'allegato 1 al DPEF del 2 luglio 2007 e relativo agli anni 2008-2011, è però stranamente salito a 1.450 milioni di euro che possono essere coperti «attraverso il ricorso al project financing, verificando l'importo dell'investimento e l'ipotesi di una sua totale copertura, in assenza di contributo pubblico»;
con questa soluzione trovata per le risorse vengono però a configurarsi i presupposti per una infrazione di normativa comunitaria: come risulterà anche dal vaglio europeo, il progetto così come concepito è una nuova infrastruttura destinata allo sviluppo di nuove aree produttive. In tal caso però la normativa nazionale ed europea non prevedono un affidamento diretto ma richiedono un bando di gara. Si tentò pertanto di classificare il progetto come una variante del tracciato e non di una nuova opera autostradale: con nota del 3 dicembre 2007, indirizzata alla Direzione generale mercato interno e servizi della Commissione europea, il Ministro delle infrastrutture ha formalmente chiesto il parere preventivo sulla possibilità di realizzare lo spostamento di un tratto dell'infrastruttura autostradale (A14) gestita da ASPI, declassando al contempo quest'ultimo a sistema viario locale di scorrimento, con affidamento della relativa costruzione e gestione direttamente all'ASPI;
il 15 luglio 2010 la Commissione europea con nota 463387 rende infine parere favorevole all'affidamento diretto ad Aspi a condizione che la realizzazione dell'infrastruttura sia oggetto di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici conformi alle regole europee e che il nuovo progetto si configuri come strumento ausiliario dell'autostrada A14, la cui sede e la cui natura debbono rimanere immutate prevedendo su entrambe le tratte la stessa tariffa;
in definitiva non rimane nulla dell'idea originaria del Piano territoriale di coordinamento provinciale, il nuovo tracciato deve essere solo sussidiario e non sostitutivo rispetto all'esistente. Non risulta neppure chiaro quale sia stato il progetto effettivamente sottoposto al vaglio della Commissione. Subito dopo l'approvazione, il Ministro rilascia infatti alla stampa alcune dichiarazioni in cui non si parla più di un tracciato di oltre 40 chilometri, come previsto dal Piano territoriale di coordinamento provinciale ma sostiene che, secondo le indicazioni della Commissione, dovrà essere rivisto il tracciato di 38 chilometri con uno più breve di 36 chilometri. Come rivelato successivamente dall'amministratore delegato di Autostrade in occasione dell'assemblea di Ance Bologna a luglio 2010, dopo la bocciatura del tracciato previsto dal Piano territoriale di coordinamento provinciale, che non aveva le caratteristiche per essere classificato come una variante di progetto. Aspi su richiesta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, presentò un'ipotesi di potenziamento fuori sede dell'attuale tracciato, «compatibile con le prescrizioni dell'Europa»;
a livello locale riprendono a questo punto le trattative e nuovamente la discussione si concentra sul tracciato e sulla banalizzazione della tratta autostradale e complanare sottesa al Passante. Il dibattito sul tracciato alternativo si fa acceso: un tracciato più breve passerà inevitabilmente a ridosso dell'abitato cittadino e attraverserà un territorio fortemente urbanizzato. Sebbene per lungo tempo il tracciato previsto da Autostrade non venga diffuso ufficialmente, il progetto trova opposizione da parte degli amministratori locali e il sindaco di Castelmaggiore definisce il caso passante nord la «nostra Valsusa». Secondo quanto dichiarato il 24 aprile 2012 dall'assessore regionale ai trasporti e infrastrutture in risposta ad interrogazione, Società Autostrade avrebbe effettuato un autonomo studio di fattibilità che non è stato fornito alla Regione e agli enti locali, ma che costituisce il presupposto sulla base del quale la concedente Anas potrà dare mandato alla concessionaria di sviluppare i successivi livelli progettuali;
nonostante le perplessità espresse da tutte le parti coinvolte, il progetto viene portato avanti e, a luglio 2012, si arriva alla firma di un nuovo verbale d'intesa tra ANAS, regione Emilia-Romagna, provincia di Bologna, comune di Bologna e società Autostrade per l'Italia che garantisce che i lavori saranno finanziati interamente con capitali privati da Autostrade per l'Italia per un importo complessivo di 1,3 miliardi di euro, che la proposta di tracciato definitivo e gli interventi di banalizzazione sul tracciato esistente dovranno essere condivisi e definiti entro il 30 novembre 2012, pena la perdita dei finanziamenti oggi vincolati nominalmente alla realizzazione del Passante Nord e, soprattutto, che ci sia rispetto per i principi tecnici, progettuali, realizzativi e di inserimento ambientale e territoriale già indicati nei lavori istruttori attraverso la definizione di un'ipotesi di tracciato condivisa e coerente con i principi di pianificazione ed organizzazione del territorio già adottati dagli stessi;
ad agosto 2012 finalmente la società Autostrade invia ufficialmente a comune, provincia e regione lo studio di fattibilità dell'opera. Il tracciato di Autostrade, che finalmente cessa di essere solo un'ipotesi, non riesce però a mettere d'accordo gli enti locali. Il cosiddetto Passantino, di 32,7 chilometri da Borgo Panigale a San Lazzaro (non più da Lavino a Ponte Rizzoli) non solo sarebbe più corto rispetto all'originale finendo a ridosso dei centri abitati di Castenaso, Granarolo e Castelmaggiore, ma avrebbe solo due corsie per senso di marcia e non avrebbe previsto la banalizzazione;
il 21 dicembre 2012 presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si è tenuto un ulteriore incontro tra regione Emilia-Romagna, provincia di Bologna, comune di Bologna, ASPI (Autostrade per l'Italia) e ANAS. Il vice ministro Ciaccia ha dichiarato che in tale sede sia stata raggiunta l'intesa sul tracciato e sul progetto e ha richiesto una rapidissima conclusione dell'accordo per la realizzazione dell'opera e che, a seguito della richiesta di un ulteriore approfondimento da parte di ASPI, si è convenuto di concludere il percorso di verifica con relativa decisione positiva entro il 20 gennaio 2013; secondo fonti stampa si sarebbe giunti in pratica ad un'ulteriore soluzione di tragitto di poco inferiore a quella prevista dal progetto originario del Piano territoriale di coordinamento provinciale;
il 2 aprile 2013 nel corso di un incontro che si è tenuto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si raggiunge una nuova intesa tra il viceministro, Mario Ciaccia, il presidente della regione Emilia Romagna Vasco Errani, l'assessore regionale per la mobilità e trasporti Alfredo Peri, il presidente della provincia di Bologna Beatrice Braghetti, l'assessore provinciale ai Trasporti Giacomo Venturi, il sindaco di Bologna Virginio Merola, l'ad di Autostrade per l'Italia Giovanni Castellucci e l'architetto Mauro Coletta, direttore dell'ispettorato vigilanza concessionarie autostradali. La validità della convenzione sottoscritta a luglio 2012 è stata, infatti, prorogata al 31 dicembre 2013: i fondi, 1,3 miliardi, rimangono pertanto a disposizione fino alla fine dell'anno. Inoltre la società Autostrade per l'Italia si è impegnata a presentare entro il prossimo mese di luglio il progetto preliminare dell'opera assumendo come riferimento il tracciato autostradale indicato dagli enti locali sulla base del quale verranno fatti tutti gli approfondimenti trasportistici e analizzate le possibili ottimizzazioni. Di questo incontro e accordo non esiste però nessun verbale come dichiarato dalla regione Emilia Romagna in risposta ad una richiesta del Comitato di cittadini con il Passante Autostradale Nord (PG 2013.0119039 del 15 maggio 2013);
mentre una parte degli amministratori accelera i passaggi verso l'avvio dei lavori crescono però le voci di dissenso sulla validità di un'opera di vecchia concezione e a servizio di un'idea di sviluppo non sostenibile, da realizzare fuori dei criteri di trasparenza previsti dalla comunità europea e soprattutto che non porterà nessun beneficio concreto per i cittadini. A gennaio 2013 Legambiente è ricorsa infatti nuovamente a una denuncia formale alla Commissione europea, a cui spetterà la decisione sulla legittimità della procedura di realizzazione dell'opera in quanto non si tratterebbe di un «adeguamento della viabilità esistente», ma di una vera e propria nuova infrastruttura autostradale e per la realizzazione della quale non si può procedere ad affidamento diretto sarebbe necessaria una gara di appalto;
oltre che subire i disagi derivanti dai cantieri, che si protrarranno per almeno 10 anni prima di poter usufruire degli eventuali benefici della nuova infrastruttura, i cittadini saranno vessati da un nuovo pedaggio sul sistema tangenziale, come discusso il 31 ottobre 2011 in un incontro al Ministero con la regione e la provincia e come riportato nel verbale dell'accordo del luglio 2012 sopra menzionato in cui si sarebbe parlato di un sistema di esazione di tipo aperto. Secondo quanto rivelato dal consigliere regionale Giuseppe Paruolo, con dichiarazioni pubblicate nel mese di marzo 2013 sul suo blog, esisterebbe anche uno studio sul passante nord prodotto da Autostrade a fine 2012 che prevede che «anche la tangenziale debba diventare a pagamento», tramite un sistema Free Flow Multilane con portali installati su ogni tratta elementare»;
al progetto Passante Nord sia nella versione prevista dal piano territoriale di coordinamento provinciale sia nell'ipotizzata versione breve di Autostrade si oppone da anni anche un Comitato di cittadini «Comitato per l'Alternativa al Passante Nord» che sostiene che la versione breve è troppo impattante sul sistema urbano e dunque non risolutiva mentre la versione del Piano territoriale di coordinamento provinciale comporta un consumo di suolo agricolo di circa 750 ettari e il declassamento qualitativo di circa 8000 ettari di terreno perché ad essi non verrà riconosciuta la coltivazione di prodotti agricoli di pregio e favorirebbe nuove speculazioni edilizie rendendo edificabili le aree attraversate. Questo dato va analizzato anche alla luce dell'ultimo rapporto del Centro ricerche sul consumo del suolo che ha rivelato che tra il 2003-2008 in Emilia Romagna si sono persi 19.822 ettari di suolo agricolo e si sono urbanizzati 15.445 ettari di suolo ad un ritmo di 84.000 mq al giorno. Bologna in particolare ha visto 2.865 ettari cementati ad una velocità di 15.000 metri quadrati al giorno e ha sottratto 3.322 ettari all'agricoltura;
il «Comitato per l'Alternativa al Passante Nord» mette in discussione anche la sostenibilità trasportistica dell'intervento sostenendo che sia stato progettato prevedendo un aumento esponenziale del traffico sul nodo di Bologna che non è verificato: il traffico del «nodo» bolognese è passato da 180mila vetture al giorno del 2003 a 150mila del 2011, cifra del 20 per cento inferiore ai dati di traffico 2003, anno di progettazione del Passante;
la validità del progetto in termini di sostenibilità trasportistica sembra essere messa in discussione anche dalla stessa società Autostrade in un suo studio di Autostrade del 2012 diffuso dal consigliere Paruolo che, citandolo sul suo blog, scrive: «dal nuovo documento di Autostrade emergerebbe inoltre che “gli studi di traffico dimostrerebbero che con quel Passante il beneficio per l'intasamento della tangenziale sarebbe comunque molto ridotto: sia al 2018 sia al 2035 non si evidenzia un netto miglioramento dei livelli di servizio delle complanari che si mantengono diffusamente su un LOS E. LOSE è il livello di servizio, espresso su una scala che va dal migliore A al peggiore F»;
lo stesso «Comitato per l'Alternativa al Passante Nord» propone di realizzare una soluzione alternativa alla congestione del nodo bolognese, ma più rispondente ai criteri di rispetto del territorio e realmente sostenibile, validata tecnicamente, nel corso di un convegno universitario alla facoltà di ingegneria di Bologna, organizzato da Italia Nostra, nel dicembre 2004. La proposta alternativa interviene in sede di tracciato attuale e agisce sulle scarpate laterali, senza esproprio di terreni, creando con la tecnica dei diaframmi l'allargamento della Tangenziale/Autostrada a 3+3 corsie e relative corsie di emergenza. Nello spazio sottostante si ricavano così due tunnel che si possono utilizzare in vari modi (trasporto in sede propria, piste ciclabili, eccetera). Il progetto alternativo avrebbe un costo stimato intorno ai 600 milioni e i tempi di realizzazione sarebbero notevolmente inferiori e consentirebbero l'uso parziale dell'opera a breve, contro l'impossibilità di utilizzare il Passante Nord fin tanto che quest'ultimo non sarà terminato nella sua intera estensione –:
se sia vero che i progetti di banalizzazione allo studio prevedano l'introduzione di un pedaggio sull'asse tangenziale;
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'esistenza di uno studio sul passante nord prodotto da Autostrade a fine 2012 in cui si mette in discussione l'utilità e validità del progetto in termini di benefici per l'intasamento della tangenziale;
se l'incontro previsto per l'8 maggio 2013 si sia effettivamente svolto e, in tal caso, quali siano le posizioni emerse nel medesimo considerato che i rappresentanti della regione Emilia Romagna avevano manifestato l'intenzione di chiedere un impegno sulle opere emiliano-romagnole di interesse nazionale ed in particolare sul passante nord;
se esista un verbale dell'incontro tenutosi il 21 dicembre 2012 presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in cui, contrariamente alle previsioni, secondo dichiarazioni stampa si è raggiunto un accordo tra le parti sulla realizzazione del passante Nord e se non si ritenga quanto meno inopportuno in termini di trasparenza che, come dichiarato dalla Regione Emilia-Romagna con nota al PG 2013.0119039 del 15 maggio 2013, non esista un verbale dell'incontro tenutosi il 2 aprile 2013 sempre presso il suddetto Ministero considerato anche il valore economico degli accordi verbali presi che impegnano Autostrade per 1,3 miliardi di euro;
quale sia l'intendimento del Ministro in merito alla realizzazione del passante nord considerato che lo stesso, nel corso di un audizione tenutasi il 21 maggio 2013 in Commissione ambiente alla Camera, ha espresso l'intenzione di aggiornare la legge obiettivo del 2001 individuando solo pochi nodi veramente strategici per il Paese;
se il Ministro non ritenga di voler approfondire lo studio del progetto alternativo «Comitato per l'Alternativa al Passante Nord» in funzione di dare allo sviluppo una linea maggiormente sostenibile;
considerando anche i passati pareri espressi dalla Commissione europea, se non si ritenga che il progetto, dato in affidamento diretto alla Società Autostrade e realizzato nelle forme e nei modi voluti dagli enti locali, si palesi come un vera e propria nuova infrastruttura destinata a sviluppare una nuova fascia di urbanizzazione e che pertanto sia a rischio di infrazione comunitaria considerato tra l'altro che tale posizione era stata espressa anche dalla stessa Società autostrade nello relazione allegata allo studio di fattibilità del progetto di Passantino in cui a proposito del progetto originario proposto dagli enti locali si sosteneva che: «La soluzione prospettata allora discende da scelte di carattere urbanistico piuttosto che rappresentare un'efficace alternativa all'uso dell'esistente sistema autostradale»;
se, come dimostra la lottizzazione di 22 ettari agricoli decisa dall'amministrazione di Granarolo, su cui sorgeranno nuovi insediamenti residenziali e il nuovo centro sportivo del Bologna calcio, il progetto del passante nord abbia poco a che fare con la razionalizzazione dei flussi di traffico e la riqualificazione urbana e rischia di smuovere interessi che poco hanno a che fare con la pubblica utilità. (5-00694)
Interrogazioni a risposta scritta:
SERENI, LODOLINI, GIULIETTI, LUCIANO AGOSTINI, MANZI, CARRESCIA, PETRINI, MARCHETTI e MORANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il trasporto pubblico su rotaia nelle Marche e nell'Umbria sta per giungere ad un ulteriore, articolato, degrado, in particolare per ciò che riguarda la tratta che collega Ancona a Roma;
appare sempre più plausibile, infatti, l'ipotesi di una possibile cancellazione nei prossimi mesi, in entrambe le tratte, dell'unico treno veloce che collega Ancona con la Capitale, il treno Frecciabianca Roma-Falconara-Ravenna;
con la soppressione del Frecciabianca il transito da Ravenna a Roma dovrebbe avvenire tramite lo snodo ferroviario di Bologna, in tal modo escludendo del tutto le Marche e l'Umbria, eliminando di fatto l'ultimo collegamento cosiddetto «veloce» tra l'Adriatico ed il Tirreno, danneggiando in tal modo gli utenti marchigiani a favore degli utenti;
grave è la mancanza, anche nel periodo estivo della fermata dei Freccia provenienti da Milano nella città di Senigallia prima città turistica del territorio marchigiano, così come è grave l'assenza in Umbria di fermate dell'Alta velocità nella città di Orvieto;
la mancata realizzazione del raddoppio delle linea ferroviaria Orte-Falconara — asse portante del sistema ferroviario umbro-marchigiano che assicura il collegamento tra la dorsale Milano-Roma e la direttrice Adriatica — sta producendo enormi disagi ai cittadini e gravi danni all'economia delle Marche e dell'Umbria;
dopo anni di continui e pesanti tagli al sistema ferroviario marchigiano ed umbro soprattutto per ciò che concerne i treni ad alta velocità, pensare di ridurre ulteriormente i collegamenti tra Ancona e Roma sarebbe una scelta miope ed estremamente grave, ancorché inaccettabile, che non tiene conto delle pesanti ricadute che questa produrrebbe sia sotto il profilo sociale che economico su un territorio già pesantemente provato dalla crisi di questi anni;
la mobilità rappresenta un essenziale diritto di cittadinanza tutelato e promosso dai principi Costituzionali –:
se la notizia relativa alla soppressione Frecciabianca Roma-Falconara-Ravenna corrisponda al vero e, in caso affermativo, se il Ministro non ritenga di dover intervenire con la massima urgenza presso i vertici di Trenitalia affinché rivedano tale decisione garantendo in tal modo il diritto alla mobilità agli utenti marchigiani ed umbri;
quali iniziative intenda adottare per rilanciare il progetto di potenziamento infrastrutturale Orte-Falconara favorendo in tal modo il necessario e non più rinviabile rafforzamento dell'offerta ferroviaria nelle regioni Marche ed Umbria.
(4-01326)
IMPEGNO, PAOLUCCI, AMENDOLA, BOSSA, DEL BASSO DE CARO, MANFREDI, PALMA, SALVATORE PICCOLO, ROSTAN, TARTAGLIONE e VALERIA VALENTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il sistema insediativo residenziale-produttivo dell'area metropolitana di Napoli, che comprende non solo la provincia di Napoli, ma anche ampie porzioni delle province di Caserta, Salerno ed Avellino, con i suoi 3.8 milioni di abitanti ha dimensioni demografiche confrontabili con quelle di Roma (4.5 milioni) e Milano (4.2 milioni), ma ben più ampie dimensioni spaziali, atteso che, per la presenza del mare, non si è potuto sviluppare in tutte le direzioni, ma quelle terrestri (si consideri che la distanza tra Villa Literno e Nocera è di oltre 80 km). Il risultato è che le dimensioni medie degli spostamenti per il lavoro, lo studio e le attività di servizi sono rilevanti, e senza un sistema di trasporti pubblici efficace, la mobilità sarebbe affidata sostanzialmente al trasporto su autovettura, con un costo che inciderebbe pesantemente sul già scarso budget finanziario disponibile e il sistema economico-sociale della regione Campania ne verrebbe pesantemente penalizzato, in una situazione già difficile per la crisi economica generale;
per antica tradizione (si pensi alla Napoli-Portici prima ferrovia d'Italia), quello dei trasporti è uno dei comparti portanti del sistema produttivo di beni e servizi, diretti ed indotti, della regione e dunque ogni problema del settore ha forti ripercussioni sul sistema economico e sociale regionale. La crisi in atto nel sistema dei trasporti della Campania e dell'area metropolitana di Napoli in particolare, con l'aumento del costo del pendolarismo e del costo della accessibilità ai servizi da un lato e la riduzione delle risorse destinate al settore, può dare il colpo di grazia al già traballante sistema produttivo e peggiorare ulteriormente il livello sociale della regione;
un processo di efficientamento delle aziende di trasporto è iniziato già dal 2001, quando con una legge del consiglio regionale della Campania nasce l'EAV HOLDING SRL con lo scopo specifico di coordinare le aziende (Circumvesuviana, MetroCampania NordEst e Sepsa) sotto il profilo gestionale. Con DGR n. 225 del 2005, EAV viene definito dalla giunta regionale soggetto in house della regione Campania per il coordinamento gestionale, economico e finanziario dell'esercizio di trasporto e degli investimenti. Nell'anno 2008, con una operazione di scissione societaria delle sopra citate società regionali, è costituita la EAVBUS SRL finalizzata ad una gestione dedicata al solo trasporto su gomma. Nel corso del 2011 la regione Campania ha dato indirizzi volti alla razionalizzazione ed efficientamento dell'attività di trasporto svolta dalle proprie società che effettuano i servizi di trasporto pubblico locale. In tal senso con delibera 424/2011 la giunta regionale ha dato mandato all'EAV, Holding del trasporto regionale, di realizzare gli interventi finalizzati all'efficienza ed alla riduzione dei costi di gestione aziendale. A tal fine l'EAV ha predisposto un preciso progetto industriale, approvato in assemblea dal socio unico regione Campania, che ha previsto, tra l'altro, la fusione in EAV delle società partecipate Circumvesuviana, Sepsa e Metrocampania Nordest;
negli ultimi anni la riduzione dei fondi regionali per il tpl, sia per la parte relativa alle risorse per il completamento delle infrastrutture ferroviarie sia per quelli relativi al finanziamento dei contratti di servizio necessari per assicurare il programma di esercizio, ha prodotto, tra l'altro, la riduzione dei servizi di trasporto su gomma e su ferro aumentando in modo esponenziale una situazione di estrema criticità, disservizi costanti e gravi malfunzionamenti, alimentando in tal modo disagi e proteste da parte di studenti, pendolari e cittadini. Tali disagi derivano chiaramente dalla precaria situazione finanziaria ed economica che le società esercenti il trasporto ferroviario e su gomma in Campania hanno dovuto affrontare anche in seguito alla citata riduzione di risorse finanziarie;
a fronte di tale situazione il decreto-legge n. 83 del 2012, ha previsto all'articolo 16, commi 5 e seguenti, la nomina di un commissario ad acta per far fronte al disavanzo delle società di trasporto pubblico locale e assicurare azioni volte al ripristino di condizioni di equilibrio economico e finanziario. Il 16 novembre 2012 si è proceduto all'insediamento del commissario ad acta nominato dal Governo per procedere alla razionalizzazione e al riordino delle società di trasporto su ferro e, in tal senso, nel corso del mese di dicembre 2012 ha avuto effetto la fusione per incorporazione in EAV delle preesistenti società di trasporto ferroviario regionale. Le attività ricognitive da parte del commissario ad acta di cui al decreto-legge n. 83 del 2012, che consistono nella predisposizione di due piani di rientro uno di tipo finanziario ed un secondo di carattere economico, sono completate e sono al vaglio dei competenti Ministeri, delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze, per la necessaria approvazione così come previsto dal citato decreto-legge. Solo dopo tale approvazione saranno rese disponibili le risorse previste dalla citata legge n. 134 del 2012, per la copertura del disavanzo accertato –:
se il Governo, considerato quanto in premessa, non ritenga di intervenire, per quanto di sua competenza, per favorire un'accelerazione delle attività previste dal decreto-legge n. 83 del 2012 per permettere l'immediata disponibilità ed erogazione delle risorse previste, al fine di far fronte alla situazione di vera e propria emergenza in cui versa il settore del trasporto pubblico locale campano, al limite del collasso di sistema, sia in termini di precarietà economico-patrimoniale delle società dell'indotto, oramai sull'orlo del fallimento, sia per migliorare la qualità del servizio, oggi necessario per garantire un'adeguata mobilità per lo sviluppo territoriale alternativo all'utilizzo del mezzo privato, e salvaguardare i posti di lavoro, quest'ultimi a evidente rischio anche in seguito alla sentenza di fallimento di dicembre 2012 della società della regione Campania EAVBUS Srl (servizio su gomma). (4-01327)
LA MARCA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
sono decine di migliaia le persone che ogni anno si recano per ragioni di turismo, lavoro o studio dall'Italia al Canada e viceversa ed in molti casi acquisiscono la residenza del nuovo Paese;
tra gli Stati con i quali l'Italia ha concluso accordi di reciprocità in materia di conversione di patenti di guida non è compreso il Canada, Paese dove risiedono oltre un milione di persone di origine italiana i quali spesso rientrano in Italia anche per lunghi periodi di tempo;
per conversione della patente si intende il rilascio, senza l'obbligo del superamento di esami teorici e pratici, di una patente dello Stato di nuova residenza corrispondente a quella di origine;
in Canada attualmente possono tuttavia convertire la patente italiana in patente canadese solo i cittadini facenti parte del personale diplomatico e consolare italiano che si trasferiscono per motivi di servizio in quel Paese;
purtroppo alla quasi totalità dei cittadini italiani che si recano in Canada e dei cittadini canadesi che si recano in Italia, e che per motivi di studio o di lavoro acquisiscono la nuova residenza, non viene riconosciuta né convertita la patente di guida italiana;
con la patente italiana si può, di norma, guidare in Canada per tre mesi, successivamente a tale periodo è necessario munirsi di patente canadese a seguito di esame;
in Italia invece per i titolari di una patente di guida non comunitaria è possibile guidare veicoli cui la patente abilita fino ad un anno dall'acquisizione della residenza; dopo un anno è necessario, per poter condurre veicoli sul territorio italiano, convertire la patente. Ciò è possibile ovviamente se lo Stato che ha rilasciato l'abilitazione alla guida ha sottoscritto accordi di reciprocità con l'Italia (non è il caso del Canada);
sembra quindi ovvio che un accordo di reciprocità tra Italia e Canada per la conversione delle patenti di guida renderebbe molto più semplice la possibilità di guidare nello Stato dove si è acquisita la nuova residenza;
la materia del rilascio delle patenti di guida in Canada non è prevista tra le competenze del Governo federale ma ciascuna delle province canadesi vi provvede secondo una normativa ad hoc approvata dai rispettivi Parlamenti;
il Governo italiano, tramite l'ambasciata d'Italia in Canada, all'inizio degli anni 2000 aveva avviato un primo tentativo di negoziato con alcune province canadesi che avrebbe dovuto portare alla firma di un'intesa amministrativa tra il nostro Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e tali province per il riconoscimento reciproco delle patenti di guida;
nel 2006 le autorità competenti canadesi avevano predisposto e inviato al Governo italiano una proposta di accordo quadro a livello federale che prevedeva la successiva stipula di protocolli tecnici attuativi a livello delle varie province canadesi e si era successivamente avviato a Roma un negoziato specifico tra esperti dei due Paesi per definire un testo comune la cui ultima versione è stata sottoposta nel luglio del 2011 ai negoziatori canadesi da parte della nostra ambasciata a Ottawa;
da allora, nonostante i tentativi compiuti nella scorsa legislatura da parlamentari eletti nella Ripartizione America centrale e settentrionale con numerose iniziative politiche e legislative, e voci non confermate di un prossimo accordo, le trattative sembrano essersi arenate –:
quali misure il Ministro interrogato intenda intraprendere per verificare lo stato dei negoziati e per eventualmente accelerarne l’iter, anche alla luce delle persistenti aspettative dei cittadini italiani e canadesi che si spostano da un Paese all'altro e che da anni attendono la stipula di un necessario accordo tra i due Paesi, e tra l'Italia e le province canadesi interessate, per la conversione delle patenti di guida. (4-01331)
MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
in base a un orientamento comunitario ormai consolidato, le opere di urbanizzazione primaria, anche se eseguite da parte di un operatore privato, sono opere pubbliche e in quanto tali devono essere assoggettate alle norme contenute nel Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE;
su questa materia, l'Italia è stata già condannata dalla Corte di giustizia europea (sentenza 21 febbraio 2008 causa C-414-/04 Commissione vs Italia) dal momento che la legislazione in materia allora vigente al momento della presentazione del ricorso da parte della Commissione, stabiliva che la medesima normativa non trovasse applicazione per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione di importo inferiore alla soglia comunitaria;
in ottemperanza alla sentenza sopra richiamata della Corte di giustizia europea il decreto legislativo n. 152 del 2008 (il cosiddetto terzo decreto correttivo) aveva emendato l'articolo 122 del Codice dei contratti, prevedendo che anche per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione «sotto soglia», il titolare del permesso di costruire avesse l'obbligo di avviare una procedura negoziata, senza pubblicazione del bando di gara, con l'invito a partecipare al confronto concorrenziale ad almeno 5 soggetti (cosiddetta «garetta»);
successivamente, nel quadro di interventi di liberalizzazione dell'economia italiana, l'articolo 45, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha aggiunto all'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) il comma 2-bis, in base al quale l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria, di importo inferiore alla soglia comunitaria, rimane a carico del titolare del permesso di costruire ma non trova applicazione il sopra menzionato Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163), di fatto esentando il privato dall'obbligo di procedura negoziata e riportando l'ordinamento giuridico italiano in uno stato di violazione del diritto comunitario;
il sopra richiamato articolo 16, al comma 1 prevede che all'atto del rilascio del permesso di costruire il titolare del permesso di costruire debba corrispondere al comune, a titolo di prestazione patrimoniale imposta di carattere non tributario, un contributo per oneri di urbanizzazione a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione ai benefici che il realizzando complesso edilizio ne trae;
il sopra richiamato articolo 16, al comma 2 stabilisce, altresì, che il corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del titolare del permesso di costruire può essere rateizzabile su richiesta dell'interessato e che «a scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune»;
con determinazione del 16 luglio 2009, n. 7, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, è intervenuta in merito alla spettanza dell'eventuale risparmio a seguito di ribasso d'asta affermando che gli eventuali risparmi di spesa, così come gli eventuali costi aggiuntivi, rimangono nella disponibilità (o a carico) del privato al quale – in forza di atti convenzionali stipulati ex articolo 28 comma 5 della legge n. 1150 del 1942 – è affidata l'esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo per il rilascio del permesso di costruire, dovuto in base all'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001;
in merito alla recente modifica normativa all'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, è intervenuta con la Deliberazione n. 43 Adunanza del 4 aprile 2012 avente ad oggetto «Piano delle Ispezioni 2011 – Opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione – Ispezioni svolte presso gli Uffici delle amministrazioni comunali di Roma e Milano»;
nella Deliberazione n. 43 del 4 aprile 2012, l'Autorità aveva ritenuto in diritto, tra le altre cose, quanto di seguito riportato: «Il campo di applicazione della norma recata dall'articolo 16, comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, così come introdotto dall'articolo 45, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito nella legge n. 214/2011, ovverosia la non applicabilità del Codice per le opere di urbanizzazione primaria sotto soglia eseguite dal privato titolare del permesso di costruire, appare eccessivamente ampio. La liberalizzazione introdotta consente all'operatore privato di gestire contratti fino ad un valore di 5 milioni di euro, senza tracciabilità degli eventuali, e consistenti, ribassi d'asta, subappalti, qualificazione delle imprese esecutrici dei lavori stessi, vigilanza dell'Autorità, per opere di urbanizzazione di pubblica utilità che saranno acquisite al patrimonio comunale. Si ritiene possa applicarsi, in sede convenzionale, una soglia più bassa rinvenibile in quella stabilita dall'articolo 122 comma 7 del decreto legislativo n. 163 del 2006, pari ad un milione di euro, al di sotto della quale liberare dagli obblighi di rispetto del Codice, mantenendo la procedura stabilita dall'articolo 122, comma 8, del Codice, per i lavori di importo superiore»;
la normativa derivante dalle innovazioni sopra riassunte sottrae un ingente ammontare di risorse pubbliche, tale è da considerare il contributo per le opere di urbanizzazione e l'equivalente in opera portato a suo scomputo, dalle procedure tipizzate dal codice dei contratti;
questa disposizione consente pratiche abusive e corruttive, dal momento che permette all'amministrazione di «condizionare» il rilascio di permessi di costruire all'impegno, da parte del titolare del permesso, di affidare direttamente l'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria a imprese «gradite/segnalate» dalla stessa amministrazione per importi, fino a 5 milioni di euro;
la stessa finalità liberalizzatrice – all'origine della scelta di novellare l'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 con l'inserimento del comma 2-bis – verrebbe vanificata dall'affidamento, di fatto a una sola impresa e senza gara competitiva, di lavori pubblici fino a una soglia di 5 milioni di euro, senza alcuna garanzia sull'adeguata qualificazione tecnico-economica degli esecutori e sulla qualità e l'effettiva rispondenza alle esigenze pubbliche delle opere di urbanizzazione che, una volta realizzate, vengono acquisite al patrimonio delle amministrazioni comunali;
il comma 2-bis dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 è stato oggetto di un reclamo alla Commissione europea per presunta violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici;
gli uffici della Commissione hanno stabilito di non dare seguito al reclamo formulando le seguenti osservazioni:
1. «l'interpretazione della norma non è univoca. In particolare non è chiaro se l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria “a carico” del titolare del permesso di costruire sia complementare o alternativa all'obbligo previsto dal comma 1 dello stesso articolo, e in particolare se anche in tal caso sia prevista la possibilità di scomputo totale o parziale della quota relativa agli oneri di urbanizzazione»;
2. l'obbligo – a carico degli Stati membri – di applicare le Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE vale soltanto per gli appalti di importo uguale o superiore alle soglie fissate dalle medesime direttive, e non per quelli di importo inferiore come quelli disciplinati dall'articolo 16 comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 ma «qualora vi sia un interesse trans-frontaliero» certo nell'esecuzione di opere di urbanizzazione primaria, un affidamento diretto dei lavori – in attuazione del citato comma 2-bis – «senza alcuna trasparenza ad un soggetto appartenente allo Stato membro» si può configurare come una violazione dei principi del Trattato;
3. l'articolo 29, comma 7 lettera a) del Codice dei contratti pubblici – in base al quale il valore da considerare, nel caso in cui un'opera possa dare luogo ad appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti distinti, è quello complessivo stimato della totalità di tali lotti – rappresenta una norma strumentale, da applicare a tutti gli appalti pubblici e dunque, indipendentemente da quanto scritto nell'articolo 16 comma 2-bis in merito all'inapplicabilità del Codice dei Contratti, il metodo di calcolo fissato da questa norma del citato Codice deve essere utilizzato comunque, e in ogni caso, per individuare gli appalti rispetto ai quali trova applicazione il regime derogatorio del citato comma 2-bis, e quelli rispetto ai quali continuerà a trovare applicazione, integralmente, il Codice dei contratti pubblici –:
se siano a conoscenza delle valutazioni e delle osservazioni formulate in merito all'articolo 16 comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 dagli uffici della commissione europea riportati in premessa;
se intendano promuovere, attraverso l'iniziativa legislativa del Governo, l'abrogazione ovvero la revisione dall'articolo 16 comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001;
se, nelle more della necessaria revisione della norma in questione, intendano intervenire al fine di fornire una interpretazione omogenea ed univoca dell'articolo 16, comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, anche alla luce delle osservazioni della Commissione europea, sopra riportate, con specifico riferimento alla necessità di:
a) precisare se con la locuzione «a carico» sia stata individuata una prestazione a carico del titolare del permesso di costruire complementare, e non sostitutiva, rispetto all'esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo per il rilascio del permesso di costruire;
b) stabilire che il metodo di calcolo, da utilizzare, per determinare l'importo delle opere oggetto della Convenzione urbanistica tra i proprietari delle aree e l'amministrazione comunale e dunque verificare la possibilità di applicare l'articolo 16 comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, è quello contenuto nell'articolo 29 comma 7 del codice dei contratti;
c) precisare che, in caso di interesse trans-frontaliero certo, l'affidamento dell'esecuzione di opere di urbanizzazione primaria – ancorché di importo inferiore alla soglia comunitaria – non può essere effettuata «senza alcuna trasparenza ad un soggetto appartenente allo Stato membro» e dunque che in questo caso non può trovare applicazione l'articolo 16 comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001;
se intendano procedere, all'emanazione di una disposizione regolamentare, con la quale stabilire che quanto affermato nella Deliberazione dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici n. 7 del 2009 – in merito alla destinazione delle economie e dei risparmi conseguiti in fase di esecuzione dei lavori – non possa trovare, in ogni caso, applicazione rispetto ai casi nei quali il titolare del permesso di costruire si avvalga della possibilità di eseguire le opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria, in base al comma 2-bis dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e dunque senza applicare il codice dei contratti. (4-01332)
MINARDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il settore dell'autotrasporto da tempo chiede un'attenzione particolare per le diverse problematiche che gravano sulla categoria per la quale occorrono misure urgenti ed indispensabili da adottare per risolvere i molteplici problemi strutturali e finanziari che non permettono più la prosecuzione delle attività;
la situazione in Sicilia è molto più grave rispetto al resto d'Italia in quanto il settore subisce l'aumento di altri costi, pedaggi autostradali e dei biglietti delle navi e a questi si aggiungono gli obblighi introdotti per aumentare la sicurezza stradale a cui si aggiunge il fatto che nella nostra isola ed in provincia di Ragusa si paga lo scotto dei costi di traghettamento e della mancanza di infrastrutture;
la questione è diventata più grave dal 2010 quanto stata bloccate derogazione dell'Ecobonus dalla Comunità europea, incentivo nazionale fondamentale diretto a tutti gli autotrasportatori con l'obiettivo di sostenere le imprese a fare il miglior uso possibile delle rotte marittime al fine di trasferire quote sempre maggiori di merci che viaggiano su mezzi pesanti dalla strada alle più convenienti vie del mare;
la dimensione nazionale di ingente crisi politica e finanziaria ha concorso alla negazione dell'incentivo, a partire dall'avvento del governo tecnico allo stop dell'operatività del Comitato centrale dell'albo dell'autotrasporto, facendo venir meno da un lato il meccanismo di tutela istituzionale di tale servizio o dall'altro appunto la sospensione del contributo provocando la chiusura di numerose aziende di trasporti;
le associazioni di categoria hanno indetto una settimana di fermo per il prossimo mese di agosto, fatti a cui non siamo nuovi e sappiamo quanti e quali disagi provoca uno stallo anche di un giorno;
per imprese siciliane ed in particolare per quelle della provincia di Ragusa dove il settore occupa un gran numero di lavoratori, il contributo e necessario in maggior misura perché, in alcuni casi coincide con il 30 per cento del loro fatturato perché l'impresa di autotrasporto siciliana è obbligata ad utilizzare la nave per andare sul continente –:
quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare affinché l'Unione europea consenta l'erogazione degli incentivi pregressi;
se il Governo, nell'ipotesi di un ulteriore irrigidimento delle posizioni dell'Unione europea intenda ricorrere ad altre forme di incentivi a favore delle imprese di autotrasporto per triennio 2013-2015 affinché sia offerta una serie di prerogative indispensabili per lo svolgimento della propria attività ai fini della redditività. (4-01334)
BOSSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
in data 10 maggio 2013 è stato proposto all'attenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un ricorso gerarchico dal signor Fioravante Somma, dell'associazione «Cittadinanza attiva», rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Pollio, avverso la deliberazione n. 26 del 5 marzo 2013 emanata dalla giunta comunale di Santa Maria la Carità, provincia di Napoli;
a seguito di tale ricorso, il Ministero, onde decidere sul predetto gravame, in applicazione delle norme contenute nell'articolo 37 del decreto legislativo 285 del 1992 e nell'articolo 74 del relativo Regolamento di esecuzione, ha chiesto al comune di Santa Maria la Carità di far pervenire, con cortese sollecitudine, le contro deduzioni, con esauriente relazione per ogni singolo motivo di ricorso, nonché ogni altro atto utile ai fini del decidere;
la comunicazione del Ministero ha, di fatto, salvo motivi di urgenza, bloccato l'esecutività dell'atto deliberativo;
la delibera della giunta comunale di Santa Maria La Carità (NA) sopra riportata prevede una rinnovata delimitazione e una nuova perimetrazione del centro abitato, ai sensi dell'articolo 4 del codice della Strada;
secondo la protesta dell'associazione «Cittadinanza attiva» la proposta della Giunta, con la nuova perimetrazione, procede a inglobare nel centro abitato anche strade di campagna, non edificate, perfino aree di terreno agricolo, con un provvedimento errato nella formulazione e nel diritto;
il timore è questa inspiegabile nuova perimetrazione così ampia sottenda una volontà di espansione edilizia e di massiccia cementificazione del territorio, che sarebbe un danno enorme per una zona già fortemente segnata da abusivismo edilizio e crescita urbanistica senza servizi –:
quali iniziative intenda assumere sulla questione posta in premessa, stante l'importanza del pronunciamento in ragione dei paventati rischi di cementificazione del territorio di cui sopra. (4-01340)
INTERNO
Interrogazione a risposta orale:
FERRO, GREGORI, TIDEI e CARELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nella notte tra il 15 e il 16 luglio, ad Ardea, cittadina del litorale laziale in provincia di Roma, sono state date alle fiamme due auto in sosta, una Smart e una Daewoo di proprietà del fratello e del nipote di Luigi Centore, affermato giornalista locale, che appena una settimana prima, quasi alla stessa ora della notte, aveva visto la propria macchina, una Fiat Panda, divorata dalle fiamme mentre era parcheggiata davanti casa;
Luigi Centore, insieme a un folto gruppo di cittadini onesti e coraggiosi, è impegnato da anni in una difficile battaglia civile per fare luce sulle opache iniziative realizzate su alcuni terreni gravati dal vincolo che si riferisce agli usi civici, in particolare quelli situati in località «Salzare», sui quali sono stati realizzati, anche in tempi recenti, numerosi abusi edilizi e notevoli operazioni urbanistiche di evidente natura speculativa;
episodi come questi, sulle cui dinamiche sono in corso le indagini delle autorità competenti, oltre a gettare nel terrore e nell'insicurezza gli abitanti di Ardea, rappresentano un chiaro tentativo di interferire pesantemente sull'attività amministrativa e di intimidire e ostacolare quanti vogliono fare chiarezza sullo sviluppo di quell'area;
pur essendo la criminalità organizzata un fenomeno assai diffuso e ben radicato in tutto il sud del Lazio, grandi e importanti città come Ardea e Pomezia, che annoverano insieme più di 100.000 residenti, per quanto concerne i presidi di pubblica sicurezza, dipendono ancora oggi da quelli di Anzio e di Ostia;
considerata la gravità dei fatti accaduti, attraverso il lavoro prezioso delle forze dell'ordine e della magistratura, sarebbe utile sollecitare una più incisiva iniziativa da parte dello Stato affinché i colpevoli siano fermati e assicurati alla giustizia, ripristinando in città e sull'intero territorio un clima di maggiore fiducia e sicurezza per tutti i cittadini;
a Luigi Centore, alla sua famiglia e a tutti quelli che nel tempo sono rimasti vittime di analoghi atti intimidatori, vanno il sostegno e la solidarietà del Parlamento e delle altre istituzioni democratiche di questo Paese –:
se alcuna informazione sia giunta al Governo in merito ai recenti gravissimi episodi di cronaca citati in premessa e quali iniziative ritenga necessario intraprendere per fermare i responsabili e consegnarli alla giustizia e se il Ministro interrogato intenda attivare ogni strumento utile per una presenza più efficace e organizzata di tutti gli organi deputati alla pubblica sicurezza e alla lotta all'illegalità nel litorale sud dell'area metropolitana romana. (3-00216)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
MAGORNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nella serata del 15 luglio 2013 il portone del municipio di Pizzo Calabro (VV) è stato dato alle fiamme;
sul posto sono accorsi i vigili del fuoco e l'Arma dei carabinieri per la verifica dei danni e l'avvio delle indagini;
nei mesi precedenti sempre a Pizzo Calabro (VV) si sono verificati altri atti intimidatori nei confronti di un assessore comunale a cui sono stati tagliati i pneumatici dell'auto e del vicesindaco al quale sono stati fatti esplodere alcuni colpi di pistola contro la saracinesca del proprio negozio;
a parere dell'interrogante, il fatto che i suddetti episodi si siano verificati sempre allo stesso orario, ovvero alle ore 21:00, fa pensare ad un atto intimidatorio dall'alto impatto simbolico essendo Pizzo Calabro (VV) un centro turistico molto noto e frequentato –:
se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
se e quali iniziative i Ministri in indirizzo intendano attivare per verificare quanto accaduto e conseguentemente rafforzare le misure di sicurezza a Pizzo Calabro (VV) garantendo all'amministrazione di poter svolgere il proprio lavoro nell'interesse dei cittadini e nell'affermazione della legalità e della democrazia.
(5-00658)
COMINELLI, BAZOLI e BERLINGHIERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
la situazione allo sportello unico immigrati di via Lupi di Toscana di Brescia, sportello diretto dalla prefettura, con la collaborazione della direzione provinciale del lavoro e della questura, è sempre stata precaria;
il suddetto sportello unico immigrati presenta una logistica molto carente ed un organico insufficiente (cui si sopperisce con personale di sostegno da parte del comune di Brescia e della provincia), organico quasi tutto con contratti a termine;
da una decina di giorni un'indagine della procura di Brescia investe 130 persone che a vario titolo hanno operato nell'ufficio, configurando a loro carico reati di associazione per irregolarità nella gestione delle pratiche di sanatorie e di flussi di ingresso;
detta situazione ha provocato una vera destabilizzazione dell'ambiente;
la situazione aumenta il rischio di allungare oltre misura i tempi, già intollerabili, dello smaltimento delle pratiche e provocare ulteriori gravi disagi agli utenti (che per accedere al servizio hanno bisogno di permessi dal lavoro), creando caos e tensione;
da sempre, di fronte alla gravità dei problemi, le associazioni degli immigrati si sono rese disponibili alla collaborazione volontaria per «regolare il traffico», fare da filtro, dare informazioni;
detta disponibilità, più volte manifestata ed inoltrata, non è stata mai accolta;
proprio da situazioni come queste scaturiscono tensioni pericolose come quelle che tempo fa sono sfociate in episodi estremi (ultimo fatto di cronaca la vicenda che ha visto protagoniste alcune persone arrampicate pericolosamente su una gru di via San Faustino);
almeno ogni quindici giorni in città si svolgono proteste che richiedono la soluzione di sanatorie di anni fa e un'accoglienza decente per la popolazione immigrata;
nella provincia sono 175.000 i migranti regolari su una popolazione di 1.200.000, in città sono 38.000 su 183.000 residenti –:
se sia al corrente della situazione;
quali iniziative intenda promuovere al fine di adeguare l'organico in modo che la situazione venga al più presto sbloccata;
se intenda fornire un sostegno logistico che regoli gli accessi rispettando le persone e consentendo un normale colloquio agli sportelli;
se intenda rivedere l'attuale classificazione della questura, palesemente inadeguata, dotata di organici deficitari rispetto ai doveri, non solo di sicurezza, ma anche di rispetto dei diritti. (5-00690)
RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nei giorni scorsi è stato arrestato a Milano dagli agenti del commissariato milanese «Mecenate» un cittadino albanese di trentasette anni con l'accusa di violenza sessuale e maltrattamenti nei confronti della compagna, una quarantanovenne straniera;
l'arresto dell'uomo è stato effettuato a seguito della denuncia da parte della compagna, la quale, secondo quanto raccontato agli agenti di polizia, sarebbe stata sottoposta dal convivente per anni ad abusi e violenze, l'ultima delle quali avvenuta due giorni prima della denuncia: una violenza sessuale sul balcone di casa;
tali maltrattamenti, sia fisici che psicologici, si accompagnavano a minacce di morte in caso la donna si fosse rifiutata e rivolta alla pubblica autorità per denunciarlo;
dopo la denuncia da parte della donna, il trentasettenne albanese, benché resosi irreperibile, è stato finalmente rintracciato e arrestato dagli agenti di polizia;
l'uomo arrestato pare avesse otto identità diverse e già precedenti penali in Italia per svariati reati contro il patrimonio e per spaccio di stupefacenti;
inoltre risulta che fosse stato anche destinatario di un provvedimento di espulsione, mai eseguito, per cui ha potuto continuare per anni ad infliggere angherie, umiliazioni e maltrattamenti alla sua compagna, arrivando in più di un'occasione addirittura a schiacciarle la testa con i piedi sul pavimento;
nonostante la Camera dei deputati abbia recentemente votato una mozione mirata tra l'altro a promuovere la ratifica della Convenzione di Istanbul, si tratta dell'ennesimo episodio di violenza nei confronti delle donne riportato dalle cronache, che, nel caso di specie, si sarebbe potuto evitare se fossero state rispettate le norme previste dalla legge Bossi-Fini, in particolare l'esecuzione a tempestiva del provvedimento di espulsione di cui era già destinatario il cittadino albanese arrestato –:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto e se ritenga che questo poteva essere evitato tramite l'esecuzione a suo tempo dell'espulsione del trentasettenne albanese, quali siano le ragioni per cui nel caso specifico non siano state fatte rispettare le norme del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, ovvero il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 285, in particolare il motivo per cui il provvedimento di espulsione emesso nei confronti del cittadino albanese non sia stato eseguito. (5-00692)
Interrogazioni a risposta scritta:
CANI, MARROCU, MURA, PES, GIOVANNA SANNA, FRANCESCO SANNA, SCANU e DI GIOIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
con decreto del Presidente della regione Sardegna n. 9/E del 10 marzo 2012 sono stati indetti i referendum ai sensi della legge regionale 17 luglio 1957 n. 20 recante «Norme in materia di referendum popolare regionale», la consultazione referendaria svoltasi nella giornata del 6 maggio 2012 prevedeva 5 quesiti consultivi e 5 quesiti abrogativi;
successivamente, in esito alla consultazione referendaria, il 25 maggio 2012 il presidente della regione Sardegna ha provveduto, con decreti n. 66, n. 69, n. 71 e n. 73, ad abrogare le norme istitutive delle province di Carbonia Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia Tempio e le norme di modifica delle circoscrizioni provinciali;
sempre con decreto del 25 maggio 2012 n. 65, il presidente della regione Sardegna ha decretato il risultato del referendum consultivo n. 5 inerente 1 abolizione delle quattro province storiche della Sardegna: Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano;
la legge regionale 25 maggio 2012 n. 11 recante «Norme sul riordino delle autonomie locali e modifiche alla legge regionale 18 marzo 2011, n.10, ha disposto che «gli organi provinciali in carica assumono in via provvisoria, e sino al 28 febbraio 2013, la gestione delle funzioni amministrative attribuite alle otto province che saranno soppresse all'esito dei referendum svoltisi il 6 maggio 2012 e provvedono alla ricognizione di tutti i rapporti giuridici, dei beni e del personale dipendente ai fini del successivo trasferimento»;
con legge regionale del 27 febbraio 2012 è stata, successivamente, disposta la proroga fino al 30 giugno 2013 dei termini di cui all'articolo 1 della legge regionale 25 maggio 2012 n. 11 fissati dapprima al 28 febbraio 2013, è bene precisare che in tale arco temporale non sono sopravvenute delle modifiche in ordine all'assetto delle autonomie locali;
anche dopo il 27 febbraio 2013 gli organi regionali in carica non hanno attuato alcun provvedimento volto a modificare l'assetto degli enti locali attualmente vigente, anche se messo in discussione dagli esiti della consultazione referendaria del 6 maggio 2012, fino ad arrivare alla data del 28 giugno 2013 senza una proposta organica di riordino dell'assetto delle autonomie locali;
nonostante ciò con legge regionale del 28 giugno 2013 n. 15 recante «Disposizioni Transitorie in materia di riordino delle Province» in particolare con l'articolo 1, comma 3, è stata disposta la nomina di 5 commissari straordinari al fine di assicurare la continuità delle funzioni già svolte dalle province e per predisporre entro sessanta giorni dall'insediamento gli atti contabili, finanziari e patrimoniali ricognitivi e liquidatori necessari per le procedure conseguenti alla riforma;
appare utile precisare che la nomina di tali commissari è avvenuta, con delibera della Giunta regionale, su proposta del presidente della regione Sardegna al di fuori delle vigenti norme relative al commissariamento degli enti locali i cui casi sono previsti e disciplinati dall'articolo 141 del decreto legislativo 267 del 2000 (testo unico degli enti locali), e tra i quali non è contemplato quello della soppressione degli Enti medesimi;
inoltre, l'articolo 1 della legge regionale 28 giugno 2013 n. 15 ha disposto che il Consiglio regionale entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge medesima provveda ad approvare una proposta di legge costituzionale di riforma organica dell'ordinamento degli enti locali, ma ad oggi, trascorsi 18 giorni dall'approvazione di tale norma, non vi è ancora una proposta organica di riordino;
le scelte compiute dall'amministrazione regionale in particolare la nomina dei 5 commissari per le Province antecedentemente alla scadenza del mandato delle cariche elettive e soprattutto senza che ci fosse una proposta organica di riordino delle autonomie locali, ad oggi non ancora realizzata, stanno portando ad un grave incertezza nelle attività e nella gestione delle funzioni di competenza degli enti provinciali anche perché la legge approvata dalla maggioranza regionale non prevede una scadenza temporale per i commissariamenti;
i compiti dei commissari sono indicati al comma 3 dell'articolo 1 della citata legge regionale 28 giugno 2013 n. 15, laddove si precisa che per «assicurare la continuità dell'espletamento delle funzioni già svolte dalle province, nelle more dell'approvazione della legge di cui al comma 2, per le province, in relazione alle quali sono stati proposti i quesiti abrogativi, di Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio, soppresse a seguito dei referendum svoltisi il 6 maggio 2012, e del relativo decreto del Presidente della Regione 25 maggio 2012 n. 73, sono nominati, con delibera della giunta regionale, su proposta del Presidente della Regione, commissari straordinari che assicurano la continuità delle funzioni già svolte dalle province e predispongono entro sessanta giorni dall'insediamento gli atti contabili, finanziari e patrimoniali ricognitivi e liquidatori necessari per le procedure conseguenti alla riforma di cui al comma 2, con particolare riferimento a:
a) lo stato di consistenza dei beni immobili e mobili;
b) la ricognizione di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi;
c) la situazione di bilancio;
d) l'elenco dei procedimenti in corso;
e) le tabelle organiche, la composizione degli organici, l'elenco del personale per qualifiche e ogni altra indicazione utile a definirne la posizione giuridica –:
appare doveroso sottolineare il grave fatto che tale norma disponga la nomina di una figura monocratica che dovrebbe provvedere «all'amministrazione ordinaria dell'ente e garantire il proseguimento dell'esercizio delle funzioni e dell'erogazione dei servizi alla data di entrata in vigore della presente legge, anche attraverso l'affidamento diretto ad organismi a totale partecipazione pubblica, nel rispetto della normativa comunitaria»;
tale previsione legislativa stabilisce la totale sostituzione dell'organo politico collegiale democraticamente eletto con soggetti arbitrariamente nominati-:
è dubbia la legittimità della nomina dei commissari disposta dalla giunta regionale –:
considerata la singolarità della situazione descritta in premessa, se, una volta nominati i commissari, si possa e si debba ritenere che il segretario generale della provincia, dipendente del Ministero dell'interno, continui ad esercitare regolarmente tutte le sue funzioni, compresa quella di direttore generale, laddove conferite, e tutte le altre connesse alla sua figura, tra le quali in particolare l'incarico di responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. (4-01321)
GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
la cittadina di Jesolo, nota località balneare, nei mesi estivi passa da una popolazione di seicentomila persone a circa sei milioni;
ciononostante l'organico attualmente in servizio presso il locale commissariato di Polizia è di appena 38 agenti a fronte dei 52 previsti;
inoltre, in base ai dati forniti dai sindacati di polizia SIULP e SAP si sta verificando una drastica riduzione del numero dei turni di volante, che non possono più essere svolti a causa dell'esiguità sia del personale, sia dei mezzi a disposizione, che attesterebbe il numero dei turni sulla metà o meno di quelli necessari e previsti;
appare evidente come sia del tutto impossibile garantire la sicurezza laddove non sia possibile realizzare un adeguato controllo del territorio;
addirittura, nei primi giorni di giugno 2013, si è verificato che il commissariato di polizia, privo di volante e con il solo piantone in servizio, sia stato assaltato da tre tedeschi ubriachi, che hanno tenuto sotto assedio il commissariato per ore, con l'unico poliziotto presente rinchiuso a difesa dell'armeria –:
se non intenda disporre con urgenza la copertura dell'intera pianta organica degli agenti di polizia della cittadina di Jesolo, al fine di assicurare le imprescindibili esigenze di sicurezza sul territorio. (4-01324)
BIANCONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
a seguito di un esposto dovrebbe essere stato aperto dal prefetto di Livorno un procedimento per verificare la contrarietà alle norme di una rotatoria realizzata nei pressi del Centro commerciale CONAD «Le Sughere» in Castagneto Carducci (Livorno), ed a esclusivo servizio di esso, lungo il tratto della Via Aurelia che corre in tale comune, su autorizzazione del comune ma con il parere contrario della polizia municipale;
l'istruttoria, svolta dal comandante della polizia stradale di Livorno ha accertato, con relazioni del 22 novembre 2012 e dell'8 febbraio 2013 che:
1) la rotatoria è contra legem perché costruita sulla via pubblica all'esclusivo scopo di consentire l'accesso al parcheggio del centro commerciale CONAD;
2) la rotatoria è stata costruita in violazione delle regole tecniche in materia stabilite dal decreto ministeriale 19 aprile 2006;
3) la rotatoria è pericolosa per gli utenti;
visti i risultati dell'istruttoria, il prefetto di Livorno fu inutilmente sollecitato, in via formale, maggio 2013, a:
1) trasmettere rapporto sull'accaduto al pubblico ministero, in quanto il prefetto ne è obbligato ai sensi dell'articolo 331, comma 4, del codice di procedura penale;
2) adottare i provvedimenti necessari alla rimozione della rotonda perché pericolosa, specie in vista della stagione estiva che comporta un notevole aggravamento del traffico; eventualmente chiedendo l'intervento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, affinché tale organo, ai sensi dell'articolo 5 del Codice della strada e dell'articolo 6 del relativo regolamento di esecuzione:
a) diffidi il sindaco di Castagneto Carducci ad emettere il provvedimento di rimozione della rotatoria e di ripristino del precedente stato della pubblica via Vecchia Aurelia;
b) disponga in caso di inosservanza l'esecuzione delle opere necessarie alla rimozione ed al ripristino, con diritto di rivalsa nei confronti del comune di Castagneto Carducci;
il prefetto di Livorno, nonostante la situazione di pericolosità della rotonda, rappresentatagli dalla polizia stradale di Livorno fin dal 22 novembre 2012, ha mantenuto fin da allora un atteggiamento di assoluta inerzia –:
se l'inerte comportamento del prefetto di Livorno, sia coerente con il principio della buona amministrazione e se non ritenga di intervenire per conoscere tale situazione;
quali provvedimenti si intendano adottare a norma del codice della strada per ripristinare e/o modificare la sede della via Vecchia Aurelia nel tratto che attraversa la frazione di Donoratico (Castagneto Carducci). (4-01329)
BRAGA, GUERRA e GADDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
da fonti giornalistiche e dalla Rete internet si apprende che il prossimo 27 luglio 2013 sarebbe in programma un raduno organizzato dal gruppo «Militia» Como, in una località non ancora precisata della provincia di Como, tra le città di Erba e Canzo, a cui prenderanno parte estremisti di destra e membri di gruppi neonazisti locali e nazionali. All'iniziativa in preparazione hanno già infatti confermato la propria adesione Forza Nuova, tutto il circuito Hammerskin (l’elite degli skinhead), network internazionale neonazista, e di Lealtà Azione;
il raduno è organizzato dall'associazione «Militia» di Como, che non fa mistero delle sue simpatie politiche radicali di estrema destra, il cui obiettivo, come si può leggere sul sito, è quello «di essere il punto di riferimento di tutto il Comasco, [...] «la minoranza rumorosa» che propone «una logica Corporativa, la Socializzazione delle Aziende, la creazione dello Stato Nazionale del Lavoro, vogliamo creare un fronte comune che si riconosca nei nostri princìpi. [...] Questo è l'ululato che deve riecheggiare nei boschi. Ogni lupo solitario deve riuscire a sentire la voce di un altro suo simile perché ciò dà Forza per tornare branco e trasmette paura a chi ode questi ululati... di valle in valle, di bosco in bosco, da Wladivostok a Pantelleria. .... Fin quando i lupi torneranno famelici e vendicativi !»;
numerosi sono i fatti riconducibili agli ambienti neofascisti e neonazisti sul territorio comasco. Si cita ad esempio l'invito fatto qualche tempo da parte dello stesso gruppo Militia Como a Stefano Delle Chiaie, protagonista dell'inchiesta sull'eversione di destra negli anni Settanta e Giancarlo Rognoni, leader milanese di Ordine Nuovo, condannato per la tentata strage del 73 sul treno Rotino-Roma, a tenere conferenze sul territorio; la proiezione presso la sede di Forza Nuova a Como, il 27 gennaio 2012, del primo documentario negazionista edito in Italia sull'Olocausto, «Wissen macht frei», dove in quell'occasione si parlò del tremendo genocidio degli ebrei e quindi della Shoah come di un «pesce d'aprile ebraico»; oppure i sempre più frequenti episodi di delinquenza comune come l'imbrattare muri, sedi dell'Anpi e negozi gestiti da immigrati con insulti e scritte razziste o il ricoprire i manifesti affissi per le celebrazioni del 25 aprile;
in un recente documento l'Anpi e le associazioni antifasciste comasche hanno espresso tutta la loro preoccupazione per l'aumento delle attività da parte di organizzazioni neofasciste e neonaziste presenti sul territorio e insoddisfazione per la mancanza di interventi adeguati da parte delle autorità costituite soprattutto in riferimento agli episodi delinquenziali che spesso finiscono in un nonnulla;
se la notizia del raduno previsto per il 27 luglio prossimo, venisse confermata, sarebbe il terzo incontro di simpatizzanti e militanti della destra più radicale a tenersi in Lombardia in circa due mesi: lo scorso 20 aprile, giorno del compleanno di Hitler, gruppi neonazisti provenienti da mezza Europa si sono dati appuntamento per un concerto vicino a Varese; il 15 giugno scorso il copione si è ripetuto a Milano con un concerto organizzato da associazioni di skinhead;
il rischio evidente è il possibile ripetersi di appuntamenti il cui unico scopo è quello di marcare la presenza e rafforzare un'ideologia estremista ed eversiva volta a propagandare l'odio razziale –:
se il Ministro sia a conoscenza di tale programmato raduno in Lombardia e in particolare nella provincia di Como;
quali misure ed iniziative il Governo intenda assumere per prevenire ed evitare appuntamenti e raduni del genere volti ad inneggiare e istigare all'odio razziale, esaltando e propagandando un'ideologia eversiva neonazista e di estrema destra, che ad avviso degli interroganti mettono a repentaglio l'ordine pubblico. (4-01336)
PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
la libertà di culto è riconosciuta e garantita da diversi articoli della Costituzione, in particolare secondo l'articolo 19: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume»;
da numerosi organi di informazione si apprende che il sindaco di Bondeno (Ferrara) Alan Fabbri avrebbe prodotto in data 15 febbraio 2012 dichiarazioni testuali come «All'interno del Comune non abbiamo, dal punto di vista urbanistico, aree da dedicare a luoghi di culto, almeno per i prossimi 30 anni. Prenderemo lo stesso provvedimento in qualsiasi realtà del bondenese che si voglia insediare una struttura simile, naturalmente operando sempre nel pieno rispetto della legge. A Bondeno non vogliamo moschee. Se durante i controlli che vengono svolti regolarmente dovessimo trovare una simile realtà, prenderemo i provvedimenti del caso: se è la sede di un'associazione, allora lì non si prega, anche perché non c’è un concordato tra lo Stato italiano e il mondo islamico così come esiste con cattolici, ebrei e altre religioni»;
tali affermazioni lasciano intendere che agli organi di controllo e vigilanza del comune vengano o possano venire impartiti ordini finalizzati alla limitazione di un diritto fondamentale, quale la libertà di culto, previsto dalla nostra Costituzione e da numerose convenzioni internazionali di cui l'Italia è firmataria;
nel comune di Bondeno risiedevano al 1o gennaio 2011 1.431 cittadini stranieri, pari al 9,3 per cento della popolazione censita, di cui oltre il 50 per cento provenienti da paesi a prevalenza di religione islamica;
ad opinione dell'interrogante le dichiarazioni sopra citate sono di particolari gravità che appaiono lesive di diritti fondamentali costituzionalmente garantiti e sono inopportune considerando le funzioni di sicurezza ed ordine pubblico affidate ad un pubblico ufficiale come il sindaco –:
quali iniziative, di competenza, il Ministro intenda assumere per garantire le professione di tutte le religioni su tutto il territorio della nazione, incluso quello del comune di Bondeno. (4-01349)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazioni a risposta in Commissione:
TENTORI e MALPEZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il comune di Ballabio in provincia di Lecco con nota prot. n. 002623/VII/2 ha richiesto all'Ufficio scolastico provinciale l'apertura di una nuova sezione nella scuola dell'infanzia «Pianeta Bimbi» del comune;
infatti per il prossimo anno scolastico 2013/2014 è stata presentata domanda di iscrizione alla stessa da parte di 53 nuovi bambini residenti e di essi ben 23 sono stati collocati in lista d'attesa dalla Direzione del competente Istituto comprensivo, stante la presenza presso la scuola suddetta di sole quattro sezioni e la correlata oggettiva impossibilità di superare i limiti di capienza per ognuna;
l'USR, con nota prot. n. 1438 B14, ha comunicato che, nel convalidare l'assegnazione delle classi in organico di diritto, per l'anno scolastico 2013/2014, ha ridotto il numero degli iscritti da 53 a 30 assegnando a Ballabio 4 sezioni;
dunque, per il prossimo anno scolastico risultano in lista d'attesa per l'accesso alla scuola ben 23 bambini residenti;
tuttavia, per le famiglie è indispensabile l'attivazione di un'ulteriore quinta sezione, e dunque l'assegnazione dell'organico completo per la sua formazione, al fine di garantire l'accoglienza, la fruizione del servizio e il diritto all'offerta formativa a tutti i 53 bambini;
la struttura scolastica è già dotata di una quinta aula idonea ad accogliere i 23 bambini attualmente esclusi;
si ritiene che l'impossibilità di accogliere tutte le richieste di iscrizione determinerebbe una situazione di particolare difficoltà e disagio per le famiglie, soprattutto in un momento economicamente difficile come quello attuale;
inoltre, si segnala l'assenza di alternative sul territorio, non essendo presenti altre scuole statali né a Ballabio né nei comuni più vicini;
in questo modo verrà leso il diritto dei bambini esclusi di poter frequentare regolarmente la scuola dell'infanzia, così come quello dei genitori di poter usufruire di questo importante servizio –:
quali iniziative intenda assumere per garantire l'accesso alla scuola sopraindicata per i 23 bambini attualmente esclusi senza oneri aggiuntivi per le famiglie e per l'amministrazione comunale. (5-00654)
D'OTTAVIO, PAOLA BRAGANTINI, BONOMO e FREGOLENT. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
per l'anno 2013/2014 l'ufficio scolastico regionale prevede un consistente aumento di alunni della popolazione scolastica in Piemonte, confermata dai monitoraggi dei dati inseriti al SIDI, con 3.247 alunni in più soprattutto nella scuola primaria (+ 631 pari al 0,35 per cento) e nella scuola secondaria di secondo grado (+ 2.631 alunni, pari al + 1,60 per cento);
il Piemonte continua a registrare un costante aumento di alunni stranieri (nella quali totalità delle scuole sono il 5 per cento), un aumento delle richieste di tempo pieno nella scuola primaria (l'esigenza di classi a tempo pieno è del 45,76 per cento, con punte in provincia di Torino del 66 per cento), domande di tempo prolungato e di classi di strumento musicale nella scuola secondaria di primo grado (alle quali non è stato possibile rispondere, nell'anno scolastico concluso, per mancanza di personale docente) e di istituzione di nuove classi;
nell'anno scolastico 2012/13 sono venuti meno per mancanza di fondi gli interventi a favore della scuola piemontese finalizzati all'integrazione e al potenziamento dei servizi di istruzione, anche in virtù dell'accordo sottoscritto il 28 luglio 2011 dal Ministero con la regione Piemonte;
la circolare ministeriale n. 10 del 21 marzo 2013 ha assegnato al Piemonte complessivi 42.048 posti, equivalenti a 184 posti in più rispetto all'organico di diritto di personale docente relativo al corrente anno scolastico 2012/13, corrispondenti ad una percentuale di aumento pari a 0,43 per cento –:
se ritenga sufficiente l'assegnazione del personale docente prevista alla regione Piemonte e che cosa intenda fare per assegnare il personale docente necessario ad affrontare le nuove esigenze. (5-00655)
ZARDINI, DAL MORO, D'ARIENZO, MANZI e ROTTA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
Casa Boggian è una delle sedi del conservatorio dall'Abaco di Verona, nonché un prestigioso spazio di rappresentanza, utilizzato come sede didattica, in particolare per il dipartimento di musica antica, ma anche per attività concertistiche, conferenze e seminari di studio;
tale sede ospita i dipartimenti di percussioni, musica antica, jazz e qui si svolgono corsi di propedeutica musicale, frequentati fino a poche settimane fa da circa cento bambini;
da un mese in questi locali si lavora a luci spente perché la provincia ha dato ordine, lo scorso 11 giugno 2013, alla società di gestione Global Power, del consorzio Cev, di staccare l'utenza del conservatorio di Casa Boggian, lasciandola quindi senza luce, computer e telefoni;
la Global Power, infatti, ricevuta la comunicazione dal suo cliente, la provincia, non ha potuto far altro che trasmettere la comunicazione ad Agsm distribuzione, proprietaria della rete elettrica, che ha eseguito l'ordine;
alla base di tale decisione c’è un contenzioso tra Stato e provincia per la gestione dell'immobile che, secondo l'ente provinciale, spetterebbe allo Stato, diversamente da quanto avviene per le scuole superiori, in quanto i conservatori, in base alla normativa vigente, essendo equiparati alle università, rientrano di fatto tra le competenze del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
la provincia di Verona inoltre, appellandosi al parere dell'Avvocatura dello Stato, del 2000, al parere del Consiglio di Stato, datato 2007 e alla nota del nucleo operativo di Verona del 2010, ritiene, tra l'altro, il pagamento delle bollette di tale sede, ad oggi tutte regolarmente pagate, una spesa non giustificata e anche difficilmente giustificabile di fronte alla Corte dei conti ed avanza tutt'al più l'ipotesi di un intervento comunale, essendo Casa Boggian un lascito al comune;
la stessa provincia, successivamente, sostenendo di non avere la competenza su tutti gli edifici del conservatorio Dall'Abaco, ha chiesto di sospendere la fornitura di energia per entrambe le sedi del conservatorio e quindi potrebbe finire al buio anche la sede principale;
per cercare un confronto e anche una soluzione, è stata indetta qualche giorno fa, una conferenza dei servizi, cui hanno partecipato il presidente della provincia, l'assessore provinciale al patrimonio, il direttore del conservatorio e un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma sono mancati, benché invitati, i rappresentanti del Ministero dell'economia e di quello dell'istruzione;
in attesa che si chiarisca la vicenda nelle sede di Casa Boggian si continua a lavorare e studiare senza elettricità, leggendo le partiture spostando il clavicembalo sotto la finestra alla ricerca di un raggio di luce o attrezzandosi attaccando al leggio delle lucine alimentate a pile –:
se alla luce dei fatti descritti il Ministro interrogato concordi sulla interpretazione della provincia di Verona nel merito e se intenda accollarsi l'onere relativo a favore del conservatorio oppure se intenda adottare soluzioni diverse per risolvere quanto prima questa annosa questione. (5-00657)
BOBBA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 9 della legge 7 febbraio 1958, n. 88 prevede: «L'organizzazione e il coordinamento periferico del servizio di educazione fisica è di competenza dei provveditori agli studi, (oggi degli uffici scolastici regionali), che possono valersi della collaborazione di un preside o di un insegnante di ruolo di educazione fisica, il quale ultimo potrà essere dispensato in tutto o in parte dall'insegnamento.»;
alla luce del ruolo sempre più importante e riconosciuto del coordinatore di educazione fisica, già nel 1980, il Ministero competente emanava la circolare ministeriale del 23 gennaio, n. 22, recante l’«Organizzazione e coordinamento periferico del servizio di educazione fisica», cercando di supplire alla mancanza della normazione in materia e difatti così concludeva: «Le indicazioni sopra esposte non possono certo considerarsi esaustive in ordine a materia che richiederebbe più organica e precisa disciplina con lo strumento della legge. Esse intendono soprattutto richiamare l'attenzione dei provveditori agli studi sull'esigenza di assicurare la massima possibile funzionalità dell'ufficio scolastico provinciale in area che, ogni giorno di più, viene assumendo rilievo nel quadro dell'azione educativa della scuola»;
solo nel 1994, grazie al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 recante il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione, all'articolo 307 sui «Servizi periferici – coordinatore» si precisa che «L'organizzazione ed il coordinamento periferico del servizio di educazione fisica è di competenza dei provveditori agli studi che possono avvalersi della collaborazione di un preside o di un docente di ruolo di educazione fisica, il quale ultimo può essere dispensato in tutto o in parte dall'insegnamento.»;
le linee guida del 4 agosto del 2009, al capitolo recante «Il ruolo dell'amministrazione scolastica», danno ampio spazio al ruolo e ai compiti del coordinatore scolastico valorizzandone il profilo e considerandolo fondamentale, quale anello di congiunzione che permetta l'effettuazione delle attività sportive scolastiche e di altre funzioni istituzionali su tutto il territorio provinciale;
la nota a firma del vice-direttore Sergio Scala n. 5510 del 10 novembre e l'accordo sindacale MIUR/RRSS del 18 novembre, entrambi del 2009, per l'assegnazione delle quote al personale ATA, smentiscono le linee guida sopra citate, in quanto, al fine di razionalizzare la spesa pubblica, decurtano il compenso trentennale dei coordinatori provinciali, nonostante i presenti ai tavoli non fossero dotati di delega per poter rappresentare gli stessi coordinatori provinciali;
l'ANCEFS presentava un documento chiarificatore sugli accordi di cui in premessa, e il coordinatore di Cuneo relazionava via mail ai sindacalisti presenti alla contrattazione e al segretario generale CISL, signor Scrima, su modalità, attività e impostazione del lavoro del coordinatore di educazione fisica del territorio provinciale e nazionale;
la circolare ministeriale 8 aprile 2010, n. 2656, stabiliva che nelle scuole dove gli insegnanti di educazione fisica non effettuavano tutta l'attività sportiva scolastica, il corrispettivo monte ore poteva essere svolto da altri insegnanti di educazione fisica della stessa scuola e sempre nel rispetto dell'articolo 87, quindi non superando la quota delle 6 ore settimanali, comportando di fatto la possibilità che il supplente del coordinatore provinciale sarebbe riuscito ad avere un compenso nettamente superiore al titolare della cattedra sede di supplenza;
attualmente tale quota è stata drasticamente ridotta a circa 40 ore annuali pro-capite per insegnante ed è stata dimezzata la relativa quota per l'attività sportiva scolastica a livello nazionale;
l'articolo 87 del CCNL 2006/09, al comma 3, prevede: «Ai docenti coordinatori provinciali per l'educazione fisica è erogato, nel limite orario settimanale del precedente comma 1, il compenso per le ore eccedenti con la maggiorazione prevista dal presente articolo», tale aspetto non è considerato anzi viene reso inapplicabile da fuorvianti indicazioni del Ministero –:
se non si ritenga urgente e doveroso disciplinare in maniera più puntuale il ruolo dei docenti coordinatori provinciali per l'educazione fisica, anche al fine di non sminuirne il lavoro svolto, né economicamente né per le conseguenze sulla funzionalità dell'ufficio scolastico provinciale in area, vista l'importanza dell'educazione fisica nello sviluppo psicofisico degli studenti italiani. (5-00665)
IACONO e MALPEZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
le scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario (SSIS) sono state istituite nel 1990 ed attivate con decreto in data antecedente alla legge n. 124 del 3 maggio 1999 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico) e prima che fossero banditi il concorso ordinario e i tre successivi corsi riservati per conseguire l'abilitazione all'insegnamento;
la scuola di specializzazione all'insegnamento secondario (SSIS) era una scuola di specializzazione finalizzata alla formazione degli insegnanti delle scuole secondarie di primo e secondo grado;
è stata attivata nell'anno accademico 1999/2000 con il I ciclo, è stata chiusa definitivamente nell'anno accademico 2008-2009 a conclusione del IX ciclo;
alla scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario si accedeva con laurea di vecchio ordinamento (almeno quadriennale) o laurea specialistica di nuovo ordinamento, previo superamento di concorso;
al termine del percorso formativo, lo specializzando affrontava un esame di Stato conclusivo, avente anche valore di prova concorsuale per l'ammissione alle graduatorie provinciali del personale docente;
la legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006) ha trasformato le graduatorie permanenti provinciali degli insegnanti in graduatorie ad esaurimento, stabilendo che gli ultimi ad avere diritto ad iscriversi sarebbero stati gli specializzandi SSIS dell'VIII ciclo (organizzato negli anni accademici 2006-2007 e 2007-2008);
tuttavia il IX ciclo SSIS (anni 2007-2008 e 2008-2009) è partito ugualmente;
in seguito ai vari ricorsi, nel 2009 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha deciso di riaprire eccezionalmente le graduatorie, consentendo la regolare iscrizione anche degli abilitati col IX ciclo;
il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, all'articolo 64, comma 4-ter, ha disposto la sospensione per l'anno accademico 2008/2009 delle procedure per l'accesso alle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario attivate presso le università;
in tal senso, i vincitori dei concorsi di ammissione alla scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario e appartenenti a diversi cicli scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario, dopo aver sospeso temporaneamente la frequenza (congelato), attendono da anni di poter proseguire e completare il proprio percorso abilitante e di specializzazione all'insegnamento;
l'articolo 15, comma 17 del decreto ministeriale n. 249 del 2010 ha stabilito che «coloro che hanno superato l'esame di ammissione alle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario, che si sono iscritti e hanno in seguito sospeso la frequenza delle stesse conseguono l'abilitazione per le classi di concorso per le quali era stata effettuata l'iscrizione attraverso il compimento del tirocinio formativo attivo di cui all'articolo 10 senza dover sostenere l'esame di ammissione e con il riconoscimento degli eventuali crediti acquisiti»;
l'articolo 1 del decreto ministeriale n. 139 del 2011 ha stabilito che «a decorrere dall'a.a. 2011/2012 sono istituiti e attivati dalle università, in conformità al disposto del decreto ministeriale n. 249 del 2010 i tirocini formativi attivi (Tfa) per la formazione degli insegnanti di scuola secondaria di primo e secondo grado di cui all'articolo 15 commi 1 e 17, e successivamente i Tfa di cui all'articolo 10»;
l'articolo 1, comma 19, del decreto ministeriale n. 194 del 2011 ha stabilito che «sono ammessi in soprannumero ai percorsi di tirocinio formativo attivo, senza dover sostenere alcuna prova, i soggetti di cui all'articolo 15, comma 17 del decreto, ivi compresi coloro i quali fossero risultati idonei e in posizione utile in graduatoria ai fini di una seconda abilitazione da conseguirsi attraverso la frequenza di un secondo biennio di specializzazione o di uno o più semestri aggiuntivi»;
inoltre, proprio a proposito della posizione dei cosiddetti «congelati SSIS», il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con la nota protocollo n. 4924, del 27 giugno 2012, ha chiarito che «le posizioni di riserva devono essere conservate in attesa del loro scioglimento mediante la prevista, diversa modalità di conseguimento dell'abilitazione», e ha ribadito, con la nota protocollo n. 549 del 28 febbraio 2013, come «il TFA sia semplicemente lo strumento tecnico attraverso il quale il “congelato” completa il percorso SSIS, conservando pertanto i diritti precedentemente acquisiti in base all'ordinamento previgente in merito allo scioglimento della riserva e al conseguimento dei punteggi previsti nelle graduatorie in cui è inserito»;
a breve il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca emanerà il decreto con il quale sarà possibile sciogliere la riserva per il conseguimento del titolo;
i «congelati Ssis» scioglieranno la riserva se avranno conseguito l'abilitazione con tirocini formativi attivi;
a questi si aggiungono quei docenti che pur essendo congelati scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario, non sono inseriti nelle graduatorie a causa delle differenti interpretazioni date dagli uffici scolastici;
infatti, il sistema attualmente vigente permette di completare il percorso intrapreso anni fa con la scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario utilizzando il tirocini formativi attivi come strumento tecnico e conservando pertanto i diritti precedentemente acquisiti ma non permette loro di essere inseriti, una volta terminato il percorso, in graduatoria ad esaurimento. Solo chi, grazie alla solerzia degli uffici scolastici, è stato inserito con riserva potrà sciogliere la riserva e inserirsi a pieno titolo; le limitazioni alle quali sono sottoposti i «congelati SSIS» non inseriti con riserva, nella fattispecie l'inclusione nelle sole graduatorie d'istituto di II fascia, appaiono ingiuste e discriminatorie rispetto a diritti che dovrebbero essere già stati acquisiti, così come contemplato dalla nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca protocollo n. 549 del 28 febbraio 2013 –:
quali iniziative intenda assumere per inserire nelle graduatorie ad esaurimento i soprannumerari ai corsi tirocini formativi attivi che stanno concludendo il percorso abilitante iniziato nelle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario. (5-00666)
GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il nostro Paese ha sperimentato per primo in Europa la cultura dell'integrazione attraverso l'abolizione delle classi differenziali, il riconoscimento del diritto all'istruzione e alla formazione per gli studenti disabili grazie ad una serie di interventi normativi di indubbia rilevanza come la legge 118 del 1971, la legge 517 del 1997, la legge 104 del 1992 e non ultima la 170 del 2010 in direzione di un passaggio di paradigma dall'integrazione all'inclusione;
la legge 53 del 2004 introduce, accanto al concetto di individualizzazione, il concetto di «intervento educativo personalizzato»;
la direttiva ministeriale «Strumenti d'intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica» del 12 dicembre 2012:
a) prevede di adottare il modello diagnostico ICF consentendo di includere, attraverso la denominazione di bisogni educativi speciali dell'alunno, nell'area dello svantaggio scolastica, una più ampia serie di condizioni prive di tutela legislativa. Oltre la disabilità (legge 104 del 1992) e i disturbi evolutivi specifici (legge 170 del 2010) sono menzionati infatti anche i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, gli alunni con deficit da disturbo dell'attenzione e dell'iperattività, del funzionamento cognitivo limite, e dello svantaggio socio-economico, linguistico e culturale;
b) individua quale strategia di intervento l'elaborazione di un percorso individualizzato e personalizzato per alunni e studenti con BES anche attraverso la redazione di un Piano Didattico Personalizzato (PDP), individuale o anche riferito a tutti i bambini della classe con BES, ma articolato, che serva come strumento di lavoro in itinere per gli insegnanti ed abbia la funzione di documentare alle famiglie le strategie di intervento programmate;
la Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013:
a) attribuisce ai docenti, la responsabilità di: indicare in quali altri casi (oltre quelli stabiliti dalle leggi 104 del 1992 e 470 del 2010) sia opportuna e necessaria l'adozione di una personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative o dispensative anche attraverso la redazione di un PDP deliberato dal Consiglio di classe, o team docenti, firmato dal dirigente scolastico, dai docenti e dalla famiglia. Inoltre, ove non sia presente certificazione clinica o diagnosi, il Consiglio di classe o il team dei docenti motiveranno opportunamente, verbalizzandole, le decisioni assunte.
b) introduce nell'organizzazione scolastica il GLI (Gruppo di lavoro per l'inclusione) che affiancherebbe il GLHI con il compito di:
1. rilevazione dei BES presenti nella scuola;
2. raccolta e documentazione degli interventi didattico-educativi posti in essere anche in funzione di azioni di apprendimento organizzativo in rete tra scuole e/o in rapporto con azioni strategiche dell'Amministrazione;
3. focus/confronto sui casi, consulenza e supporto ai colleghi sulle strategie/metodologie di gestione delle classi;
4. rilevazione, monitoraggio e valutazione del livello di inclusività della scuola;
5. raccolta e coordinamento delle proposte formulate dai singoli GLH Operativi sulla base delle effettive esigenze, ai sensi dell'articolo 1, comma 605, lettera b, della legge 296 del 2006, tradotte in sede di definizione del PEI come stabilito dall'articolo 10 comma 5 della Legge 30 luglio 2010 n. 122;
6. elaborazione di una proposta di Piano Annuale per l'inclusività riferito a tutti gli alunni con BES, da redigere al termine di ogni anno scolastico (entro il mese di Giugno);
c) introduce nel piano dell'offerta formativa il piano annuale dell'inclusività che avrebbe dovuto essere:
1. discusso e deliberato in collegio dei docenti a giugno e inviato ai competenti uffici degli UUSSRR, nonché ai GLIP e al GLIR, per la richiesta di organico di sostegno, e alle altre istituzioni territoriali come proposta di assegnazione delle risorse di competenza;
2. adattato dal GLI a settembre in relazione alle risorse effettivamente assegnate alla scuola secondo – la previsione dell'articolo 50 della legge 35 del 2012 e sulla cui base il Dirigente scolastico, sempre a settembre, avrebbe dovuto procedere all'assegnazione definitiva delle risorse, sempre in termini «funzionali»;
la nota ministeriale del 27 giugno 2013 specifica che scopo del PAI è fornire un elemento di riflessione nella predisposizione del POF essendo uno strumento per una progettazione della propria offerta formativa in senso inclusivo e che l'anno scolastico 2013/14 sarà utilizzato per sperimentare e monitorare procedure, metodologie e pratiche anche organizzative ma il PAI non sostituisce le richieste di organico di sostegno;
la storia della scuola in Italia è anche la storia di una cultura educativa costantemente tesa ad includere, fondata su interventi legislativi sostanziali, difficilmente si comprende la scelta del precedente Ministro di attribuire a strumenti, quali una direttiva ed una circolare ministeriale, piuttosto che ad un più robusto e cogente impianto normativo, temi quali quello dell'implementazione di un sistema di inclusività maggiormente esteso e dunque ulteriore garanzia di equità del sistema di istruzione e formazione;
dalla direttiva 27 dicembre 2012 e dalla circolare ministeriale n. 8 del 2013 non si evince con chiarezza quali siano gli strumenti di rilevazione, con indicatori e descrittori che dovrebbero essere omogenei su territorio nazionale, soprattutto in relazione a quelle tipologie di BES non tutelate dalle leggi vigenti e quindi di più complessa individuazione;
l'indeterminatezza di alcune tipologie di BES come anche la loro incerta attribuzione alle fattispecie normate dalla legge 104 del 1992 ha alimentato il timore di una riduzione degli organici di sostegno;
a questa indeterminatezza di strumenti di rilevazione corrisponde anche una certa vaghezza nell'individuazione delle risorse che dovrebbero realizzare l'implementazione del sistema di inclusività dei BES, in numero ed in tipologia, poiché non appare sufficientemente esplicitato se sarà assegnato ai soli docenti di sostegno o anche a risorse aggiuntive di docenti non di sostegno il compito di supportare, insieme ai docenti curriculari, gli alunni con BES;
l'organico funzionale, richiamato dalla citazione della legge 35 del 2012, è un progetto organizzativo a venire e che quindi, ogni ulteriore risorsa che fosse pervenuta alle scuole a settembre 2013, non sarebbe andata oltre il mero organico di fatto e dunque oltre il mero adeguamento a situazioni nuove pervenute comunque nel rispetto dei vincoli del rapporto docente/alunni stabilito dalla circolare sugli organici per l'anno scolastico 2013/14;
tutto ciò ha generato disorientamento nel corpo degli operatori scolastici tutti soprattutto perché una reale cultura dell'inclusività richiederebbe come premessa necessaria la revisione decisa delle scelte di riduzione degli organici e del tempo scuola operate a partire dall'articolo 64 della legge 133 del 2008 e dalle riforme conseguenti –:
se il Ministro condivida e ritenga concluso l’iter normativo del sistema di inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali attraverso la direttiva 27 dicembre 2012 e la circolare ministeriale n. 8 del 2013 o se invece riterrà necessario, in accompagnamento alla sperimentazione, di cui alla nota ministeriale del 27 giugno 2013, assumere iniziative per irrobustire legislativamente questo intervento a sostegno della implementazione di un sistema di inclusione che possa porre le scuole del nostro Paese nelle condizioni di dare reale risposta a bisogni così differenziati, in realtà territoriali anche molto eterogenee;
quali interventi saranno realizzati per garantire omogeneità di formazione del personale nella sua interezza, di coinvolgimento di tutti gli ordini di scuola (inclusa la scuola dell'infanzia, che non appare menzionata), di dispositivi di rilevazione degli alunni con BES, soprattutto per quelle condizioni non tutelate finora da alcun intervento normativo;
quali risorse intenderà riservare all'ampliamento dell'organico, non solo del sostegno, alla conseguente realizzazione dell'organico funzionale, alla estensione del tempo scuola e a finanziamenti aggiuntivi a supporto specifico dell'inclusività. (5-00683)
GIANCARLO GIORDANO, SCOTTO, COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
con decreto ministeriale 6 agosto 1999 n. 201 è stata istituita la classe di concorso A077;
la legge 143 del 2004, previdente il conseguimento dell'abilitazione al termine di un corso di tre mesi fatto nei conservatori per chi avesse un anno di servizio, intendeva sanare a quella data le situazioni di precariato senza prospettive di stabilizzazione riguardanti questa classe di concorso;
il decreto ministeriale 28 settembre 2007, n. 137, che ha istituito il primo bi.for.doc, si muoveva nella stessa logica, prevedendo un percorso abbreviato di un solo anno per i 360isti;
dal biennio 2007/2009 in poi sono stati regolarmente attivati i bi.for.doc necessari al conseguimento dell'abilitazione: così nel 2008/2010 e 2009/2011, con la sola eccezione di quello 2010/2012;
la non attivazione del bi.for.doc corrispondente al biennio 2010/2012 è avvenuta perché, con Decreto Ministeriale del 10 settembre 2010 n. 249, è stato modificato il percorso formativo finalizzato al conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento nella scuola;
l'articolo 9 del medesimo decreto ministeriale disciplina espressamente la formazione degli insegnanti di materie artistiche, musicali, e coreutiche della scuola secondaria di primo e di secondo grado, articolando la stessa in biennio ad indirizzo didattico a numero programmato e relativa prova di accesso e successivo TFA;
nel 2012 il decreto ministeriale 29 novembre n. 192 ha definito la consistenza numerica dei posti disponibili per il corso di II livello A077;
il decreto ministeriale 21 dicembre 2012 n. 372 ha istituito il biennio di secondo livello per la formazione dei docenti nella classe di concorso A077 inserendosi nel quadro dei corsi previsti dal decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249;
sono stati parallelamente attivati i TFA speciali con regolamento recante modifiche al decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249;
per quanto riguarda la classe di concorso A077, chi aveva i requisiti per accedervi ha già potuto sanare la sua situazione nel 2004 e nel 2007;
chi non ha voluto o potuto abilitarsi in quelle due occasioni ha avuto poi la possibilità di farlo nei tre cicli di abilitazione regolarmente partiti ogni dal 2007, anno dell'ultima sanatoria, in poi, e nell'ultimo avviato solo pochi mesi fa, così come hanno fatto numerosi precari della scuola addossandosi i conseguenti oneri contributivi e di frequenza;
la tutela della condizione di chi, precario, si trova oggi senza alcuna prospettiva di stabilizzazione, è cosa giusta e doverosa;
non si deve, tuttavia, nel maldestro tentativo di risolvere un problema, correre il rischio di crearne un altro altrettanto grave passando sopra i diritti e le aspettative di chi ha regolarmente seguito i percorsi abilitativi previsti dallo Stato, spesso lunghi, onerosi e ingiustificati, ma cercare piuttosto forme che riescano a rendere compatibili entrambe le posizioni –:
quali misure il Ministro intenda adottare al fine di contemperare le succitate esigenze di chi ha insegnato da precario nella scuola con quelle di chi ha invece intrapreso il regolare percorso abilitativo. (5-00684)
MANZI e CARRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
da tempo le organizzazioni sindacali: FLC-CGIL, CISL SCUOLA, UIL SCUOLA, SNALS-CONFSAL delle Marche denunciano la grave situazione di difficoltà delle scuole marchigiane a seguito delle carenti risorse di organico assegnate;
di recente esse hanno segnalato come, a fronte di un aumento di alunni di circa 1.400 unità, solo per il prossimo anno scolastico, che si somma all'incremento già registrato lo scorso anno di 2.395 alunni, i dirigenti scolastici marchigiani, hanno chiesto di attivare 3.242 classi, mentre ad oggi l'Ufficio scolastico regionale ne ha autorizzate 3.074, lasciando inevase 168 richieste, pari, a 279 posti;
nello specifico i fatti denunciati fanno riferimento a: un generale incremento degli alunni per classe con punte di 32/33 alunni, come nel caso del Liceo linguistico di Pesaro con 7 prime classi di 32 alunni o l'ITC «Benincasa» di Ancona con la classe prima di 33 alunni o ancora l'IPSIA San Benedetto del Tronto con le classi prime di 30 alunni; un cambio di orientamento degli alunni per mancata attivazione delle classi come accade al liceo scienze umane Rinaldini di Ancona, con 36 alunni 1 classe o al liceo scientifico F. Filelfo di Tolentino con 37 alunni 1 classe; l'accorpamento di classi intermedie come avviene al liceo scientifico Savoia di Ancona – 95 alunni 3 classi 3o con una media di 32 alunni per classe o al liceo classico «Nolfi» di Fano con 61 alunni di cui 1 diversamente abile, con 2 classi 2o; un notevole incremento delle classi articolate: si passa da 82 dello scorso anno alle 100, previste ad oggi, dell'anno scolastico 2013/2014; la mancata attivazione delle classi iniziali dei corsi serali e della scuola in carcere; classi numerose, in particolare nei professionali, con una presenza di ragazzi diversamente abili superiore a quanto definito dalla normativa vigente ad esempio come accade all'IPCT Recanati con 56 alunni di cui 11 disabili distribuiti in due classi;
anche nella scuola primaria e nella scuola media permangono situazioni critiche, soprattutto per la presenza di più alunni disabili in classi numerose e per l'impossibilità di sdoppiare le classi per mancanza di organico;
la mancanza di personale docente nella scuola media è inoltre causa della scomparsa del tempo prolungato e dell'impossibilità di attivare ulteriori sezioni ad indirizzo musicale;
non migliore e sempre imputabile alla carenza di organico è la situazione nella scuola dell'infanzia dove: nel 2013-14 sono state assegnate 104 sezioni antimeridiane, nonostante le famiglie abbiano richiesto nella quasi totalità il tempo pieno; in alcuni comuni ci sono liste d'attesa dei bambini di 3 anni; molte scuole denunciano l'impossibilità di inserire i bambini anticipatari, a causa dell'elevato numero di bambini per sezione; si registrano 2.523 alunni in più in 6 anni ma sono state assegnate in totale solo 45 sezioni e 57 posti in più, insufficienti anche solo per garantire il tempo pieno in tutte;
progressivo, ma sistematico è l'impoverimento del sistema scuola delle Marche, evidenziato sia dal decremento delle risorse d'organico, con circa 170 docenti di ruolo perdenti posto, che dall'eccessivo aumento delle cattedre costituite con un numero di ore superiore a quanto previsto dall'ordinamento: basti pensare che circa 100 cattedre nella sola provincia di Ancona e 79 nella provincia di Ascoli Piceno sono costituite oltre le 20 ore;
la regione Marche è una delle poche che con propri fondi integra quelle del Ministero per garantire una maggiore presenza di personale;
un incremento sostanzioso dell'organico di diritto, anche di 40-50 unità su tutta la regione potrebbe rispondere alle gravi situazioni di disagio evidenziate, nel rispetto delle norme di legge in materia di costituzione delle classi, di tutela dei disabili e di edilizia scolastica, evitando la formazione di «classi pollaio», visto che nel 2012-13 le Marche sono state la regione con 25,9 bambini per sezione, il più alto d'Italia;
se anche nelle Marche si volesse garantire la media nazionale di 24 bambini per sezione dovrebbero essere assegnati altri 84 sezioni e 272 posti –:
se, alla luce delle situazioni di criticità evidenziate il Ministro interrogato intenda adottare opportuni provvedimenti per garantire un'offerta formativa adeguata alle richieste delle famiglie e rispondente ai bisogni del territorio marchigiano prima dell'avvio del nuovo anno scolastico e se in qualche modo queste esigenze possano essere soddisfatte con l'annunciata assunzione di nuovi 15.000 docenti a partire da settembre prossimo. (5-00686)
BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
con decreto n. 1044/2009, il rettore dell'università dell'Aquila rendeva noto che per i corsi di laurea in Odontoiatria, per l'anno accademico 2009/2010, si erano liberati 42 posti per gli anni di corso successivi al primo;
l'anzidetto decreto (articolo 1) prevedeva che «sono accolte le domande di proseguimento degli studi degli studenti provenienti da università di Paesi comunitari e pervenuti alla data del 9 settembre 2009»;
l'università dell'Aquila estendeva quindi anche agli studenti iscritti presso università di Paesi comunitari la possibilità di trasferirsi presso la propria facoltà di medicina e chirurgia;
di tale opportunità intesero beneficiare molti studenti, oggi riuniti in Comitato di protesta, che a quella data erano iscritti alla facoltà di Medicina (corso di odontoiatria) presso l'università di Arad in Romania; conseguentemente chiesero ed ottennero il trasferimento all'università dell'Aquila, vennero regolarmente immatricolati cominciando a svolgere tutte le attività didattiche: lezioni ed esami;
successivamente, con nota n. 26431 del 27 ottobre 2009, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca invitò il Rettore a ritirare il dr. 1044/2009 nella parte in cui consentiva anche agli studenti iscritti in università di paesi Comunitari di proseguire gli studi in Italia senza avere preventivamente superato il test d'ingresso nazionale previsto dalla legge n. 264 del 1999;
con decreto del rettore n. 1052, l'università accolse l'invito del MIUR adottando provvedimento di annullamento dell'iscrizione a tutti gli studenti provenienti da università di Paese comunitari ai quali in precedenza aveva accordato l'iscrizione;
questa scelta ha provocato inevitabilmente gravi effetti sulla situazione degli studenti che si erano avvalsi di tale opportunità; infatti l'effetto del combinato disposto del provvedimento ministeriale e del provvedimento rettorale fu quello, ovviamente assai grave, di fare perdere agli studenti in un sol colpo sia l'iscrizione nell'università rumena sia in quella italiana;
tutti gli studenti interessati dal provvedimento di cancellazione ne hanno poi chiesto l'annullamento: taluni con ricorso giurisdizionale al Tar del Lazio, taluni altri con ricorso al Tar dell'Abruzzo, altri ancora con ricorso straordinario al Capo dello Stato;
in molti casi i Tribunali amministrativi hanno accolto tali domande, il che ha permesso agli studenti – che erano stati «matricolati» dall'università italiana – di proseguire negli studi;
il Ministero e l'Università hanno proposto sempre appello avverso le varie sentenze rese dai Tar del Lazio e dell'Abruzzo;
il Consiglio di Stato, in alcuni ricorsi, ha già accolto le tesi sostenute dalle amministrazioni appellanti: in alcuni casi si è già pronunciato nel merito, in altri si è pronunciato sulle istanze cautelari; per i destinatari delle sentenze e delle ordinanze del Consiglio di Stato, la situazione allo stato è questa: di avere svolto un percorso di studi privo di base giuridica e di non poterlo quindi proseguire perché l'università impedisce ai ragazzi di sostenere gli esami;
altri vincitori in primo grado, ma destinatari di atto di appello privo dell'istanza di sospensione della sentenza, sono invece nella situazione di potere proseguire gli studi, ma sotto la spada di Damocle del pronunciamento del Consiglio di Stato che potrebbe vanificare tutti i loro sforzi, annullando il loro percorso di studi;
gli studenti che, a suo tempo, invece di proporre ricorso al Tar, hanno proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, vincendolo, sono in una posizione inattaccabile, tenuto conto che tali provvedimenti – com’è noto – hanno carattere definitivo –:
se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e come il Ministro interrogato intenda intervenire, anche con apposite iniziative normative, al fine di garantire omogeneità di trattamento e certezze procedurali per gli studenti che si trovano nell'insopportabile e inaccettabile situazione descritta in premessa, assicurando loro la possibilità di proseguire e concludere con serenità i percorsi di studio.
(5-00695)
Interrogazioni a risposta scritta:
FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
l'ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) è un ente pubblico vigilato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, svolge le funzioni di agenzia nazionale di garanzia della qualità, così come previste dagli accordi europei in materia, nell'ambito della realizzazione degli spazi europei dell'istruzione superiore e della ricerca, operando in coerenza con le migliori prassi di valutazione dei risultati a livello internazionale e in base ai principi di autonomia, imparzialità, professionalità, trasparenza e pubblicità degli atti;
l'Agenzia valuta la qualità dei processi, i risultati e i prodotti delle attività di gestione, formazione e ricerca, compreso il trasferimento tecnologico, delle università e degli enti di ricerca vigilati dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. A tal fine, sono oggetto di valutazione, tra l'altro:
a) efficienza ed efficacia della didattica, anche con riferimento agli esiti dell'apprendimento ed al successivo inserimento lavorativo degli studenti;
b) qualità dei prodotti della ricerca, valutati principalmente tramite procedimenti tra pari (peer-review);
c) capacità di attrazione di finanziamenti esterni e di attivazione di collaborazioni e scambio di ricercatori;
d) adeguatezza della comunicazione pubblica relativa ad offerta formativa, servizi per gli studenti;
tutto ciò al fine di realizzare un programma di valutazione esterna della qualità delle attività delle università e degli enti di ricerca pubblici e privati destinatari di finanziamenti pubblici;
il 18 luglio 2013 a Roma l'Anvur ha presentato i risultati della valutazione della qualità della ricerca 2004-2010 alla presenza del ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca professor Maria Chiara Carrozza;
nel documento risulta che nel settore della ricerca prevalgono, in grandissima misura, per i risultati raggiunti, le università del Nord, mentre tra i primi enti di ricerca non risulta il Cnr;
tra le grandi università la migliore è risultata Padova che si attesta come prima in classifica in ben sette aree scientifiche fra le 14 complessive prese in considerazione per la valutazione che ha coinvolto 133 strutture su tutto il territorio nazionale, tra le quali 95 università, 12 enti di ricerca vigilati dal ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e 26 enti (volontari), di cui 9 sono enti di ricerca e 17 sono consorzi interuniversitari;
per realizzare la VQR (valutazione di qualità della ricerca) sono stati impiegati 20 mesi e sono stati analizzati, seguendo i criteri di rilevanza, originalità e grado d'internazionalizzazione, quasi 185mila progetti (tra articoli, monografie e saggi, atti di convegni, manufatti, note a sentenza, traduzioni, software, banche dati, mostre e performance e cartografie) –:
se questi risultati saranno utilizzati dal Ministro interrogato come indicatori e strumenti di attribuzione di finanziamenti in base al merito. (4-01339)
ANTEZZA, FOLINO, OLIVERIO, BIONDELLI, IACONO, ARLOTTI, VALIANTE e AMODDIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) degli enti locali in servizio nelle istituzioni scolastiche è transitato nei ruoli del personale dello Stato ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 124 del 3 maggio 1999;
nonostante il comma 2 del citato articolo 8 della legge n. 124 del 1999 stabilisce: «A detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l'anzianità maturata presso l'ente locale di provenienza» l'accordo tra l'ARAN e le organizzazioni sindacali del 20 luglio 2000, recepito poi dal decreto interministeriale 5 aprile 2001, ha introdotto, all'articolo 3, un criterio di inquadramento che si basa solo sul maturato economico al 31 dicembre 1999, senza tener conto dell'anzianità di servizio maturata presso l'ente locale, con ciò comportando per gli interessati un erroneo inquadramento di posizione stipendiale, con un notevole danno economico per gli stessi, danno che si protrae anche sul trattamento pensionistico per coloro che sono andati in quiescenza;
numerosi sono stati negli anni i ricorsi presentati dinnanzi al giudice del lavoro su tale questione con sentenze, in primo grado e in appello, favorevoli, nella quasi totalità dei casi, ai lavoratori che avevano proposto i ricorsi;
nel 2005, ovvero a cinque anni dal trasferimento dei lavoratori nei ruoli del personale dello Stato, con il comma 218 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (la legge finanziaria per il 2006), è stata fornita un'interpretazione autentica dell'articolo 8 della legge n. 124 del 1999 con ciò negando, con effetto retroattivo, il riconoscimento delle anzianità maturate e annullando di fatto gli effetti delle sentenze favorevoli ai lavoratori, la Corte costituzionale, con le sentenze n. 234 del 2007 e n. 311 del 2009 riconosceva la legittimità e la non contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo dell'intervento normativo operato nella legge finanziaria, anche alla luce dell'esigenza di armonizzare il sistema di retribuzione del personale ATA a prescindere dalla provenienza;
a seguito dell'approvazione della suddetta norma, la Cassazione, nei successivi pronunciamenti sui ricorsi pendenti si è espressa a sfavore dei lavoratori;
con sentenza del 6 giugno 2011 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha accolto il ricorso proposto da alcuni lavoratori appartenenti al personale ATA della scuola, transitati dagli enti locali allo Stato a norma della legge n. 124 del 1999, che avevano lamentato la violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU);
il 6 settembre 2011 anche la Corte di giustizia europea si è pronunciata favorevolmente sul ricorso proposto da un altro gruppo di lavoratori ATA che si trovavano nelle medesime condizioni;
da tali sentenze risulta infatti che lo Stato italiano, con la cosiddetta legge di interpretazione autentica (legge finanziaria per il 2006) che ha interpretato l'articolo 8 della legge n. 124 del 1999 nel senso di non riconoscere l'intera anzianità pregressa maturata presso l'Ente di provenienza, ha violato i diritti dei lavoratori interessati, infatti: si è creata una disparità di trattamento economico tra lavoratori con identica anzianità e profilo professionale;
il danno economico si protrae per tutta la vita lavorativa, fino alla riduzione dell'importo pensionistico;
molti dei transitati, nel frattempo, sono sotto minaccia di dover restituire le somme percepite, provvedimento che decurterebbe oltre il sopportabile le già basse retribuzioni di questi lavoratori;
inoltre, secondo quanto sostenuto dalla stessa Corte europea, l'intervento legislativo di cui alla citata legge finanziaria intervenendo in pendenza della procedura giudiziaria, si pone in contrasto con l'articolo 6 della Convenzione europea, che invece garantisce il diritto al giusto processo –:
quali urgenti iniziative il Governo intenda adottare al fine di addivenire in tempi rapidi ad una soluzione della vicenda che vede coinvolto il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario degli enti locali in servizio nelle istituzioni scolastiche transitato nei ruoli del personale dello Stato ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 124 del 3 maggio 1999, riconoscendo a tali lavoratori l'anzianità di servizio e la ricostruzione della carriera;
in che modo intenda dare esecuzione alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, a cui lo Stato italiano ha l'obbligo di uniformarsi, anche al fine di sanare questa macroscopica ingiustizia subita da migliaia di lavoratori della scuola, anche nel rispetto dei numerosi ordini del giorno presentati in Parlamenti sulla questione, regolarmente accolti dal Governo ma ai quali non è stata mai data attuazione;
se, a tal fine, non ritenga doveroso attivarsi con la massima urgenza per reperire i fondi per riconoscimento dell'anzianità maturata dal personale transitato dagli enti locali;
quale sia il numero esatto delle persone che hanno subito un erroneo inquadramento stipendiale a seguito dell'applicazione dell'accordo del 20 luglio 2000 citato ed a quanto ammonti il danno economico da loro subito. (4-01348)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta orale:
SOTTANELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
a gennaio 2013 l'Italia ha raggiunto il record di disoccupazione giovanile con il 38,7 per cento di giovani senza lavoro, Paese più colpito in Europa dopo la Spagna;
il Presidente del Consiglio, Letta, ha affermato che «la disoccupazione giovanile è il vero incubo del mio incarico»;
in considerazione delle funzioni attribuite all'INPS dalla normativa vigente in materia di accertamenti sanitari di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità e delle conseguenti ricadute funzionali sull'attività istituzionale dei Centri medico legali, l'istituto ha inteso ricorrere all'affidamento di 998 incarichi a medici esterni prioritariamente specialisti in medicina legale o in altre branche di interesse istituzionale al fine di garantire l'efficiente funzionamento delle Unita operative complesse/Unità operative semplici territoriali;
gli incarichi, non automaticamente rinnovabili, decorrono dal 1o giugno 2013 e scadono al 31 maggio 2014 e possono aspirarvi medici prioritariamente specialisti in medicina legale o in altre branche d'interesse istituzionale che non hanno compiuto il 67o anno di età alla data di pubblicazione del presente avviso e che, già appartenenti ai ruoli di amministrazioni pubbliche e collocati in quiescenza, non abbiano svolto, nel corso dell'ultimo anno di servizio, funzioni e attività medico legali in ambito previdenziale e/o assistenziale;
sono altresì previste altre incompatibilità: per esempio non potranno in ogni caso essere conferiti incarichi a medici che, al momento della sottoscrizione del contratto, si trovino nelle seguenti situazioni:
a) esercizio dell'attività di medico di medicina generale convenzionato con il SSN presso il territorio di competenza della UOC/UOS dell'attività oggetto del presente contratto;
b) esercizio dell'attività di medico pediatra convenzionato con il servizio sanitario nazionale presso il territorio di competenza della UOC/UOS dell'attività oggetto del presente contratto;
c) esercizio di un incarico analogo a quello oggetto del presente avviso presso commissioni mediche ASL anche se in qualità di rappresentante di associazione di categoria;
d) esercizio di consulenze tecniche di parte, per conto e nell'interesse di privati, attinenti all'attività dell'INPS ed esercizio di consulenze tecniche d'ufficio nei procedimenti giudiziari nei quali l'INPS figura quale legittimato passivo –:
se sia a conoscenza del bando suesposto e se non consideri oggettivamente in controtendenza rispetto alla strategia del Governo la decisione dell'INPS di estendere la possibilità di accedere agli incarichi anche a personale che ha compiuto il 67o anno di età alla data di pubblicazione del presente avviso e già appartenenti ai ruoli di amministrazioni pubbliche e collocati in quiescenza.
(3-00215)
OLIARO, BIASOTTI, GIACOBBE, BASSO, CAROCCI, QUARANTA, MANTERO, BATTELLI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
a seguito di un recente incontro tra le regioni e il Sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Carlo Dell'Aringa, si apprende che il miliardo di euro che doveva essere ripartito tra tutte le regioni italiane per assicurare la cassa integrazione e la mobilità in deroga per l'anno 2013 ai lavoratori è stato dimezzato e ridotto a 550 milioni di euro;
a causare la drastica riduzione delle risorse sarebbe stata da un lato la compensazione dei residui passivi, per 170 milioni di euro, che andranno a coprire le maggiori spese nel 2012 di alcune regioni (tra queste non figura la Liguria che invece in quell'anno aveva un saldo attivo di 24 milioni di euro che non possono essere utilizzati), dall'altro la decisione di lasciare i fondi di azione e coesione alle quattro regioni del sud e infine la scelta dell'esecutivo di destinare 40 milioni di euro esclusivamente alle aziende con sedi in più regioni;
si tratta di fondi assolutamente insufficienti per onorare gli impegni finora sottoscritti e dare certezze sull'erogazione delle risorse finanziarie per gli ammortizzatori sociali in deroga;
dalla ripartizione effettuata alla Liguria sono stati assegnati solo euro 11.443.458,87, invece dei 21 milioni di euro che erano attesi, e con tali risorse si riuscirà a pagare le indennità di cassa integrazione e mobilità in deroga solo per quanto concerne i mesi di marzo e aprile, mentre per il pagamento delle spettanze riferite al mese di maggio si dovrà attendere la verifica con l'INPS delle economie riscontrate;
l'accordo sul riparto dei fondi da destinare agli ammortizzatori sociali in deroga, che è stato siglato nei giorni scorsi in sede di Conferenza delle regioni, è stato penalizzante per la Liguria, in quanto basato quasi interamente sulla spesa storica, con un solo piccolo correttivo riguardante il numero dei lavoratori, senza tener conto del notevole aumento che in Liguria hanno avuto nell'ultimo anno le richieste di cassa integrazione e di mobilità in deroga;
pertanto, dal momento che il criterio di riparto degli stanziamenti non si fonda su dati aggiornati ma tiene conto della spesa storica relativa al periodo 2009-2012, il peso della regione Liguria in tema di ammortizzatori sociali risulta pari all'1,7 per cento sul totale nazionale, sebbene il peso reale sia del 3 per cento;
nel 2012 con la legge 28 giugno 2012, n. 92, (legge Fornero), che destinava, a livello nazionale, 630 milioni di euro per il finanziamento degli ammortizzatori in deroga, la regione Liguria ha ricevuto esattamente 9.106.534,02 euro;
a tale somma si sono aggiunti, per la medesima regione, euro 5.172.797,01 assegnati dalla legge di stabilità (che destinava al finanziamento degli ammortizzatori in deroga 360 milioni di euro a livello nazionale);
con tali risorse la regione Liguria è arrivata a liquidare, per quanto concerne la cassa integrazione in deroga, le spettanze di gennaio-febbraio 2013, per un totale di spesa di circa 12 milioni di euro; con i 2 milioni di euro residui è stata autorizzata l'INPS regionale a liquidare la mobilità in deroga relativa al mese di marzo 2013;
i versamenti relativi ai mesi successivi sarebbero eventualmente disposti solo a consuntivo delle risorse a disposizione;
in considerazione della difficile situazione che stanno attraversando le imprese e i lavoratori coinvolti, la regione Liguria, in attesa che siano assegnate nuove e indispensabili risorse, ha sottoscritto in data 8 aprile 2013 un Accordo quadro con le parti sociali, datoriali e istituzionali che prevede la possibilità di accettare comunque nuove richieste/proroghe di cig limitatamente ad un periodo massimo di tre mesi fatta salva la relativa autorizzazione unicamente in presenza di nuove risorse che al momento non sono disponibili –:
quali urgenti iniziative il Governo intenda adottare affinchè si risolva questa drammatica situazione e si trovino al più presto le risorse da destinare alle Regioni per gli ammortizzatori sociali in deroga almeno per coprire tutto il 2013, tenendo conto che la situazione occupazionale peggiora sempre più e non si possono lasciare per mesi migliaia di persone senza alcun sostegno al reddito;
se non sia opportuno adottare al più presto un nuovo sistema informatizzato o apportare le necessarie modifiche a quello tutt'ora in uso che consenta di snellire le tempistiche di erogazione delle risorse in quanto dall'emanazione del decreto da parte della Regione al momento in cui l'Inps paga effettivamente le indennità ai lavoratori trascorrono spesso parecchie settimane con evidenti ulteriori aggravi ai lavoratori medesimi;
quali iniziative intenda assumere, di concerto con la conferenza delle regioni, per la definizione di criteri di riparto aderenti alla reale situazione ed evoluzione della crisi occupazionale, superando il riferimento alla spesa storica. (3-00217)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
MICCOLI e DI SALVO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
l'IBM (International Business Machines) è un'azienda multinazionale storica nel campo dell'informatica che, ancora oggi, domina nel campo dei mainframe, sia nel settore pubblico che nel privato;
la dirigenza IBM & Sistemi informativi, sotto la pressione delle scadenze trimestrali, ha inteso socializzare le perdite derivanti dalla diminuzione degli ordini di circa il 40 per cento ed ha quindi avviato le procedure per la CIG e/o la CIGS, il 10 giugno 2013;
a causa delle citate perdite, IBM ha così annunciato esuberi, ammontanti a 355 unità. La fuoriuscita, prevista nei primi mesi dell'estate 2013, avverrà in due modi diversi: per 206 lavoratori del settore tecnico-commerciale sono previsti incentivi all'esodo; per altri 149 del settore dello staff, saranno effettuati licenziamenti collettivi individuati anche tra i dipendenti, dislocati lo scorso anno, dalle sedi di tutta Italia a Milano. Questi trasferimenti sono stati giustificati dall'azienda con l'ottimizzazione dei risultati derivante dalla centralizzazione;
secondo la previsione delle organizzazioni sindacali, i reali licenziamenti riguarderanno circa 300 lavoratori: 202 a Roma, 42 a Torino, 27 a Milano, 9 a Perugia, 8 a Padova, 4 a Bologna, di questi 193 saranno collocati in CIGS a zero ore, mentre i rimanenti 99 a riduzione massima di 16 ore settimanali;
risultano anche poco chiari i criteri utilizzati per la scelta delle figure professionali da inserire nelle liste degli esuberi annunciati;
l'azienda, ad oggi, ha rifiutato: le proposte avanzate da parte delle organizzazioni sindacali tese a gestire l'esodo in maniera volontaria; la riqualificazione del personale e l'utilizzo di ammortizzatori sociali non traumatici come i contratti di solidarietà. Da ciò è conseguita la rottura delle trattative con le stesse avvenuta in data 25 giugno 2013 –:
come il Governo intenda procedere, in merito alla avvenuta rottura delle trattative tra azienda e sindacati, al fine di scongiurare i licenziamenti collettivi senza l'utilizzo degli opportuni ammortizzatori sociali. (5-00653)
SBROLLINI, GINATO, MORETTI e CRIMÌ. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
Mcs è una storica realtà del tessile e dell'abbigliamento situata nel territorio di Valdagno, in provincia di Vicenza;
nato nel 1984 come Marlboro Classics, il marchio era in contratto di licenza al Gruppo Marzotto. Nel 2007 il marchio viene acquistato dal fondo Permira in cui la famiglia Marzotto ha una quota minoritaria. Nel 2010 viene lanciato il nuovo marchio MCS che sostituisce Marlboro Classics. Nell'aprile 2013 MCS viene acquistato da Emerisque Brands, investitore internazionale con esperienza nel settore moda;
dal 2008 ad oggi il fatturato e gli ordini sono in calo;
in risposta all'andamento economico negativo, la nuova proprietà Emerisque Brands ha elaborato un piano industriale che prevede il licenziamento di 99 lavoratori su 161 per snellire l'azienda e ridimensionare il business. Si presume una progressiva delocalizzazione all'estero;
la soluzione adottata dalla nuova proprietà non si cura della tutela dei livelli occupazionali;
si ritiene che il made in Italy sia un valore da difendere e implementare. In quest'ottica, una probabile delocalizzazione all'estero di alcuni segmenti dell'azienda influirebbe in modo negativo sull'italianità del marchio;
il nuovo piano industriale, una volta applicato, produrrebbe l'inevitabile impoverimento del territorio di Valdagno e la sua progressiva desertificazione –:
se i Ministri siano a conoscenza di quanto esposto;
se non ritengano di intervenire a tutela dei lavoratori licenziati – per lo più donne lontane dall'età pensionabile – e delle loro famiglie; a tutela del marchio storico e importante; a tutela del territorio di Valdagno e contro la sua desertificazione;
se e quali misure intendano adottare per frenare la delocalizzazione e i licenziamenti indiscriminati prodotti da società estere che subentrano a proprietà italiane acquisendo marchi storici, senza mostrare riguardo per la professionalità dei lavoratori, la valorizzatone del made in Italy e quella del territorio. (5-00660)
SIMONI, GNECCHI, MADIA, ALBANELLA, BARUFFI, GRIBAUDO, INCERTI e MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la maggior parte delle regioni ha sollevato la fortissima preoccupazione per la grave situazione di tensione sociale che si sta generando per l'insufficienza delle risorse relative agli ammortizzatori sociali in deroga;
nonostante la firma del decreto che ha assegnato alle regioni 550 milioni di euro per la concessione e la proroga della cassa integrazione in deroga, gli enti locali hanno confermato la necessità di bloccare le nuove autorizzazioni per carenza di risorse, anche se le domande per gli ammortizzatori sociali in deroga siano in costante aumento;
l'incertezza generata dal loro effettivo ammontare, stanno costringendo molte aziende a procedere con i licenziamenti proprio per evitare il rischio di presentare domande di cassa integrazione senza la certezza della copertura;
più volte le regioni hanno ribadito che, seppur indispensabili, le risorse stanziate sono assolutamente insufficienti a garantire la copertura finanziaria per il secondo semestre 2013, e sollecitato il Governo a chiarire se saranno previsti ulteriori fondi per il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga fino a fine anno;
gli enti locali hanno, inoltre richiesto, alla luce di quanto previsto dal decreto-legge n. 54 del 2013 in merito ai criteri per l'accesso agli ammortizzatori sociali in deroga, che venga predisposto un quadro delle risorse finanziarie fruibili nel prossimo biennio, indispensabile per la definizione dei suddetti criteri;
considerando il grave stato di crisi delle aziende e l'esaurimento delle risorse a disposizione delle regioni per gli ammortizzatori sociali in deroga è necessario intervenire con estrema urgenza al fine di prevedere risorse aggiuntive che permettano la copertura fino a fine anno –:
data l'insufficienza delle attuali risorse finanziarie stanziate a tal fine, quali urgenti iniziative intenda attivare al fine di reperire risorse aggiuntive, indispensabili per poter garantire la copertura finanziaria fino a fine anno;
se non ritenga necessario provvedere alla predisposizione di un quadro delle risorse finanziarie fruibili nel prossimo biennio, utile per la definizione dei criteri per l'accesso agli ammortizzatori sociali in deroga previsti dal decreto sopracitato, come richiesto dalle regioni. (5-00662)
MADIA, GRIBAUDO e PARIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la legge 28 giugno 2012, n. 92, prevede all'articolo 1, comma 23, lettera c), una novella dell'articolo 63 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, che stabilisce che «il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e, in relazione a ciò, nonché alla particolare natura della prestazione e del contratto che la regola, non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati. Al secondo comma si stabilisce che in assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto» –:
quale sia lo stato di attuazione dell'articolo 1, comma 23, lettera c), se il Governo sia a conoscenza di dati, a un anno dall'approvazione della normativa, sui compensi percepiti dai collaboratori a progetto rispetto all'obiettivo del legislatore di garantire un compenso equo e modellato almeno sui minimi dei lavoratori subordinati nei settori di riferimento. (5-00667)
MANZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
l'Inail, Istituto nazionale assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, è un Ente pubblico non economico sottoposto alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali italiano, che gestisce l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
tale istituto è presente su tutto il territorio nazionale ed opera attraverso le sedi locali, aventi un proprio portafoglio clienti, identificate come le responsabili della produzione ed erogazione sul territorio dei prodotti e dei servizi «core» dell'Istituto;
in base al «Nuovo modello organizzativo», previsto dall'Inail per la regione Marche, sembra prendere sempre più corpo l'idea di «declassare» la sede di Macerata, che rischierebbe di perdere la posizione dirigenziale per ricadere sotto la quella di Ascoli, mentre la sede di Civitanova Marche verrebbe assorbita in quella di Macerata;
tale decisione ha scatenato la pronta reazione dell'amministrazione provinciale e le vive proteste dei dipendenti, concordi nel definire la situazione paradossale, dato che si verrebbe a creare l'anomalia di avere una sede «dipendente», quella di Macerata, con un maggior carico di lavoro rispetto alla sede «principale», dal momento che Ascoli ha un «portafoglio» al di sotto dei 2/3 di quello maceratese;
Macerata, inoltre, intesa come singola unità territoriale, prescindendo cioè dalle sedi dipendenti, è addirittura la più rilevante di tutta la regione come: utenza servita, portafoglio complessivo, numero di lavorazioni, e anche sotto il profilo della consistenza immobiliare rappresenta un'assoluta eccellenza, tanto da essere stata individuata dalla direzione regionale Inail per l'apertura di un centro per prestazioni di fisiokinesiterapia;
la giunta provinciale, inoltre, in un documento ha chiesto ai vertici dell'Istituto di rivalutare l'ipotesi di riorganizzazione, in quanto tale declassamento, come si legge nel documento «comporterebbe anche la mancata presenza fissa in sede anche del dirigente medico di II livello e, almeno in prospettiva, un inevitabile indebolimento dell'intero organico, e che risulterebbe penalizzante nei confronti di un contesto produttivo che, nell'attuale momento di crisi, mantiene intatte le proprie assolute eccellenze e dimostra una capacità di tenuta superiore a quella di altri territori»;
anche la scelta di assorbire la sede di Civitanova in quella di Macerata appare sindacabile, in quanto per connotazione oro-geografica, la prima ha un bacino di utenza legato sia ad aziende del calzaturiero presenti in loco che per tutta la gestione degli infortuni della piccola pesca –:
se, alla luce dei fatti sopra menzionati, il Ministro interrogato non ritenga necessario intervenire, auspicando soluzioni organizzative che garantiscano una riorganizzazione dell'Istituto senza che questa comporti una diminuzione della qualità e della quantità dei servizi all'utenza. (5-00669)
ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
l'interpello n. 19/2012 della direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha definitivamente chiarito che l'obbligo imposto al lavoratore di comunicare all'INPS preventivamente lo svolgimento di una attività lavorativa, subordinata o autonoma, durante il periodo di fruizione di cassa integrazione, non trova più applicazione;
il suddetto interpello chiarisce inoltre che «non appare, possibile far conseguire dall'inosservanza di tale obbligo qualsivoglia conseguenza sanzionatoria a carico del soggetto obbligato»;
nonostante quanto sopra, in provincia di Messina sono circa 30 i lavoratori e le lavoratrici nei confronti dei quali l'INPS ha sospeso l'erogazione del trattamento di cassa integrazione guadagni in deroga, attenendosi rigidamente al dettato dell'articolo 8, comma 5, della legge n. 160 del 1988;
la direzione regionale INPS Sicilia ha sostenuto di non ritenere applicabile quanto espresso sopra in assenza di una precisa disposizione scritta della propria direzione nazionale –:
se non intenda intervenire sulla vicenda impegnando l'ente nella tempestiva ripresa dell'erogazione del trattamento della cassa integrazione guadagni in deroga e l'eventuale rimborso delle mensilità mancanti a causa dei problemi in premessa, anche di fronte alle difficoltà oggettive dei suddetti lavoratori e delle rispettive famiglie;
quali iniziative intenda adottare al fine di avviare un'istruttoria regionale volta a verificare l'esistenza di casi simili dovuti alle medesime disposizioni dell'ente;
se non intenda adoperarsi per incentivare la comunicazione interna dell'ente a fronte di quella che appare essere una situazione discriminante per i diritti e la tutela dei lavoratori siciliani, evidentemente penalizzati dalle carenze oggettive dell'ente stesso. (5-00670)
FIANO e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la legge n. 92 del 2012, cosiddetta riforma Fornero, ha fatto venire meno, tra le altre cose, la possibilità di stipulare i cosiddetti contratti di lavoro di inserimento, introdotti nel 2003 dalla precedente riforma Biagi, per agevolare l'assunzione di varie categorie di lavoratori, tra i quali giovani, donne, anziani, disoccupati;
al fine di porre rimedio alle criticità per alcune delle categorie più esposte, la medesima legge 92 del 2012 ha previsto per i giovani alcune norme in materia di apprendistato, e per gli ultracinquantenni e per le donne ha introdotto nuove agevolazioni contributive che possono comportare per i datori di lavoro un notevole risparmio di costi;
in particolare, il comma 8 dell'articolo 4 della legge 92 del 2012 ha previsto che a decorrere dal 1° gennaio 2013 per tutte le assunzioni di lavoratori ultra cinquantenni, disoccupati da più di dodici mesi, effettuate con contratto a termine, anche in somministrazione, spetti ad ogni datore di lavoro una riduzione del 50 per cento della quota contributiva a suo carico, per un massimo di dodici mesi;
ai sensi dei commi 9 e 10 del medesimo articolo, poi, se l'assunzione viene trasformata a tempo indeterminato, la riduzione viene prolungata per altri sei mesi, mentre se, «ab initio», è a tempo indeterminato, lo sgravio, che è del medesimo ammontare, è valido per diciotto mesi dalla data di inizio del rapporto;
il comma 11 dell'articolo 4, poi, ha previsto che queste disposizioni si applichino anche per l'assunzione di donne lavoratrici, di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, e che risultino residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell'ambito dei fondi strutturali dell'Unione europea e nelle aree di cui all'articolo 2, punto 18, lettera e) del regolamento (Ce) n. 800/2008, annualmente individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
da notizie a mezzo stampa risulta che ad oggi gli operatori del settore sono tuttora in attesa delle note operative INPS indispensabili per la definizione delle modalità di presentazione dell'istanza e soprattutto dei codici autorizzazione e delle causali da inserire in UNIEMENS, affinché l'azienda possa correttamente usufruire dell'agevolazione spettante, e a sua volta l'Inps sarebbe in attesa dell'adozione del sopra-citato decreto del Ministro interrogato che non risulta ancora pubblicato;
considerata la grave crisi economica e occupazionale in atto, appare grave che una norma così delicata inserita proprio al fine di sostenere i lavoratori cinquantenni disoccupati da almeno un anno non sia ancora entrata a regime –:
se i fatti riportati corrispondano al vero, e in caso affermativo, quali siano le ragioni per le quali il Ministro interrogato non abbia ancora adottato il decreto, e quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di rendere questa norma pienamente operativa nel più breve tempo possibile.
(5-00674)
VENITTELLI e CASTRICONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
nel recente incontro che si è tenuto presso la Sevel (Società europea veicoli leggeri) di Val di Sangro, in provincia di Chieti, l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha annunciato il rilancio dello stabilimento con un investimento di settecento milioni di euro in cinque anni;
frutto di una joint-venture paritetica tra Fiat Group Automobiles e Psa (Peugeot-Citroën), la fabbrica è stata inaugurata il 28 novembre 1981 e attualmente produce i veicoli commerciali Fiat Ducato, Peugeot Boxer e Citroën Jumper, impiegando oltre 6.000 addetti e con una capacità produttiva di circa 300 mila veicoli all'anno;
grazie alle somme stanziate – 550 milioni di euro da Fiat-Chrysler e 150 milioni da Psa – si potrà ammodernare completamente l'impianto e predisporlo per una gamma di prodotti più ampia. In particolare, il piano prevede l'acquisto di 60 robot di lastratura, il rinnovo di 25 sistemi di spruzzatura nel reparto verniciatura, un nuovo impianto di assemblaggio e la riorganizzazione logistica;
da marzo 2007, con l'avvio della produzione ed il lancio del modello di furgone X2/50, furono stipulati contratti di somministrazione commerciale con diverse agenzie di lavoro interinale per circa 400 addetti, la gran parte dei quali provenienti dal Molise;
le Agenzie, a loro volta, stipularono, con i singoli lavoratori, almeno 4 contratti di somministrazione a termine, praticamente senza soluzione di continuità, in favore dell'utilizzatore soc.Sevel, per i seguenti in questi periodi: da metà marzo 2006 a metà luglio 2006; da metà luglio 2006 alla fine di dicembre 2006; da dicembre 2006 a luglio 2007; da luglio 2007 a gennaio 2008;
i contratti di somministrazione furono tutti giustificati dalla necessità di far fronte alle punte di più intensa attività per il lancio del modello X2/50, la cui produzione è aumentata in maniera esponenziale, tanto da raggiungere il livello di 245.000 furgoni prodotti nei primi sei mesi del 2007;
nel 2008, nonostante la produzione si fosse stabilizzata intorno ai 23-24.000 furgoni al mese, la Sevel ha proseguito il rapporto di lavoro con gli operai già «somministrati», ricorrendo alla diversa tipologia contrattuale dei contratti a termine per il periodo gennaio/luglio 2008, poi prorogati sino alla fine del mese di gennaio 2009, sempre motivandoli con le necessità legate alle «punte di più intensa attività per il lancio del modello X2/50», nonostante, nei fatti, la produzione si fosse da tempo assestata sui richiamati livelli. Dal gennaio 2009, i contratti non sono stati più rinnovati;
dal 2011 la Sevel è tornata a riassumere, ma – senza che ne sia stata fornita una motivazione plausibile e oggettiva – nessuno dei 400 lavoratori utilizzati dapprima tramite le agenzie di somministrazione e successivamente con i contratti a termine ha avuto la «fortuna» di rientrare in fabbrica, con il rischio che vadano disperse la loro professionalità acquisita nel corso dei tre anni in cui hanno prestato la loro opera presso lo stabilimento abruzzese;
molti di loro, sfiduciati per il trattamento riservato, si sono attivati con il contenzioso, che ha visto una prima sentenza, pronunciata dal giudice del tribunale di Lanciano, accogliere le richieste di trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, pronunciamento che, nel successivo giudizio d'appello presso la corte d'appello dell'Aquila, è stato riformato, accogliendo tutte le istanze difensive della Sevel e con il conseguente annullamento delle riammissioni;
molti dei contenziosi giurisprudenziali sono attualmente pendenti in sede di corte d'appello o in cassazione, protraendo un clima che, a parere degli interroganti, non facilità il consolidamento degli sforzi per il rilancio dello stabilimento di Val di Sangro;
sembrerebbe opportuno individuare una sede negoziale, anche con il coinvolgimento delle regioni e delle amministrazioni locali interessate, volta a ricomporre la vicenda e creare le condizioni perché le centinaia di lavoratori già impiegati presso la Sevel possano essere interessati dal processo di assunzioni che è già stato avviato, anche in considerazione delle competenze e delle professionalità acquisite dagli stessi –:
quali iniziative intendano assumere, anche attraverso la costituzione di un'apposita sede di confronto che veda la partecipazione delle regioni, delle amministrazioni locali interessate, dell'impresa e delle associazioni dei lavoratori in questione, al fine di individuare le possibili soluzioni che pongano termine al contenzioso giurisdizionale e che assicurino le condizioni per la riassunzione dei lavoratori che hanno già operato presso la Sevel negli anni 2006-2009. (5-00688)
Interrogazioni a risposta scritta:
GIORGIA MELONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
l'azienda romana d'informatica «AUSELDA AED GROUP S.p.a.» versa da oltre due anni in difficoltà economiche causa il venir meno di appalti di servizi informatici da parte di Ministeri ed enti pubblici;
tale situazione di crisi ha comportato prima l'applicazione dei contratti di solidarietà e poi della cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale;
in data 15 febbraio 2013, presso l'assessorato al lavoro della regione Lazio, si è svolto un incontro tra l'azienda, la rappresentanza sindacale unitaria e le organizzazioni sindacali di categoria al fine di definire le modalità della cassa integrazione da applicare;
per effetto di tale accordo è stato stabilito che, a decorrere dal 4 marzo 2013 e per un periodo di 12 mesi, saranno assoggettati a tale regime 141 lavoratori;
tuttavia, ad oggi, nonostante i solleciti effettuati presso i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, non è stato ancora sottoscritto il decreto di autorizzazione all'INPS per l'erogazione ai lavoratori interessati delle indennità relative alla cassa integrazione oggetto dell'accordo;
nel frattempo i lavoratori in questione non hanno percepito né stipendio né indennità dall'INPS e quindi si trovano in gravissima difficoltà personale e familiare –:
quali siano i motivi per cui il Ministero non abbia ancora emanato il previsto decreto per autorizzare l'INPS ad erogare la cassa integrazione guadagni straordinaria ai 141 lavoratori dell'azienda di cui in premessa, e se non intenda procedere con sollecitudine al fine di alleviare le condizioni economiche dei lavoratori interessati che versano in forte difficoltà. (4-01322)
BINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
in Italia lavora solo il 16 per cento (circa 300.000 individui) delle persone con disabilità fra i 15 e i 74 anni, contro il 49,9 per cento del totale della popolazione. Solo l'11 per cento, poi, delle persone con limitazioni funzionali che lavorano ha trovato occupazione attraverso un Centro Pubblico per l'Impiego. E ancora, le persone con limitazioni funzionali che sono inattive rappresentano una quota quasi doppia rispetto a quella osservata nell'intera popolazione (l'81,2 per cento contro il 45,4 per cento), mentre la percentuale di chi non è mai entrato nel mercato del lavoro e che non cerca di entrarvi (250.000 persone, per la quasi totalità donne) è molto più elevata tra chi ha limitazioni funzionali gravi (il 18,5 per cento) contro l'8,8 per cento di chi ha limitazioni funzionali lievi;
la stessa Corte di giustizia dell'Unione europea, che ha sonoramente bocciato il nostro Paese, stabilendo che esso «non ha adottato tutte le misure necessarie per garantire un adeguato inserimento professionale dei disabili nel mondo del lavoro e la invita a porre rimedio a questa situazione al più presto»;
la legge n. 68 del 1999 «Norme per il diritto al lavoro dei disabili», ha lo scopo di promuovere l'inserimento e l'integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso un collocamento mirato e, possono accedere agli appositi elenchi le persone che presentano tali requisiti:
le persone in età lavorative affette da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e i portatori di handicap intellettivo, che comportano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento, accertata dalle commissioni per il riconoscimento dell'invalidità civile;
gli invalidi del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33 per cento accertato dall'INAIL;
i non vedenti o i sordomuti di cui alle leggi n. 38 e 381 del 1970;
gli invalidi di guerra, invalidi civili di guerra, invalidi per servizio con minorazioni ascritte dalla prima alla ottava categoria del testo unico sulle pensioni di guerra;
le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata ed i loro familiari (legge n. 407 del 23 novembre 1998);
la direzione centrale delle prestazioni dell'INPS con circolare del 28 dicembre 2012, n. 149 (allegato n. 2) ha stabilito che l'assegno mensile pari a 275,87 per l'invalido civile parziale, cioè per colui che ha una invalidità compresa tra il 74 per cento e il 99 per cento è erogato solo se il reddito per il 2013 non è superiore a 4.738,63;
tale limite di reddito scoraggia molte persone, specialmente coloro che sono affette da disturbi psichici a cercare un'occupazione che molte volte produce un reddito analogo a quello percepito dall'indennità ma con molte più difficoltà logistiche, organizzative eccetera;
il lavoro per le persone disabili non è solo fonte di reddito ma è anche principalmente momento d'inserimento sociale;
sempre in base alla circolare del 28 dicembre 2012, n. 149 (Allegato n. 2) l'INPS ha fissato per gli invalidi totali il limite di reddito per il 2013 pari a 16.127,30 per percepirla pensione di invalidità di euro 275,87 mensile –:
se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire per predisporre ulteriori misure volte a favorire un inserimento reale dei lavoratori disabili nel mondo del lavoro anche valutando l'opportunità di modificare favorevolmente la normativa riguardante la tassazione dei redditi da lavoro degli invalidi civili parziali. (4-01350)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
FIORIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
sono presenti da tempo, nei mercati mondiali e nei Paesi dell'Unione europea, i cosiddetti wine kit: prodotti che promettono, con semplici polveri, di ottenere in pochi giorni vini dalle etichette prestigiose come Chianti, Valpolicella, Frascati, Primitivo, Gewurztraminer, Barolo, Lambrusco, Verdicchio e Montepulciano;
in data 17 luglio 2013 l'Interpool ha bloccato la vendita di wine kit nel Regno Unito: si è trattato del primo intervento di cooperazione di polizia internazionale a tutela del made in Italy;
secondo le denunce di alcuni media e delle associazioni agricole italiane questi wine kit vengono prodotti soprattutto in Canada ed in Svezia; molte confezioni fanno esplicito riferimento alla produzione italiana, ad un marchio di qualità tutelato dall'Unione europea, e promettono in soli cinque giorni di ottenere in casa vini tipici per i quali vengono addirittura fornite le etichette da apporre sulle bottiglie;
Coldiretti ha stimato che, solo nei paesi europei, almeno venti milioni di bottiglie di «pseudo» vino vengano ottenute attraverso wine kit;
anche il Commissario europeo all'agricoltura Dacian Ciolos, in risposta ad una interrogazione parlamentare sul tema, ha affermato che «la Commissione è stata informata delle pratiche commerciali a cui si fa riferimento nell'interrogazione e, durante l'ultima riunione del Comitato di gestione dell'Ocm unica, ha provveduto a informare le delegazioni degli Stati membri che tali pratiche violano le norme in materia di etichettatura nel settore vitivinicolo stabilite dalia legislazione europea. La Commissione ha precisato che i prodotti in questione non possono essere commercializzati utilizzando una denominazione di origine protetta (Dop) o un'indicazione geografica protetta (Igp), nemmeno attraverso una semplice evocazione del nome. Gli Stati membri devono adottare tutti i provvedimenti necessari a prevenire l'uso illecito del nome di una Dop o di un'Igp ritirando dal mercato tali prodotti»;
tale pratica illecita rischia di compromettere l'immagine e la credibilità dell'intero settore vitivinicolo italiano. Un prestigio conquistato nel tempo grazie agli sforzi fatti per la valorizzazione di un prodotto che esprime qualità, tradizione, cultura e territorio;
il vino è infatti uno dei maggiori settori produttivi italiani: rappresenta il 20 per cento dell’export agroalimentare nazionale per un fatturato oltreconfine di 4,7 miliardi di euro;
il made in Italy agroalimentare registra un danno medio di circa 60 miliardi di euro l'anno per colpa dell'invasione mondiale di prodotti contraffatti (soprattutto quelli a denominazione certificata), mentre made in Europe arriva a 100 miliardi;
nel caso degli alimentari la distribuzione di prodotti contraffatti assume aspetti ancora più gravi dal momento che la vendita avviene, nella maggior parte dei casi, all'insaputa dell'acquirente;
politiche maggiormente efficaci ed incisive contro la lotta alla contraffazione, sia a livello nazionale, che comunitario, sono state richieste dalle associazioni italiane di categoria. Per la Coldiretti sono una «priorità anche per chiedere più trasparenza a livello internazionale dove i prodotti alimentari italian sounding, sviluppano un fatturato di 60 miliardi di euro pari al doppio del valore delle esportazioni del prodotto originale»; per la Cia è necessario non solo «intensificare ancora la rete dei controlli e inasprire le sanzioni» ma «anche creare una task-force in ambito Ue per contrastare le falsificazioni alimentari» –:
quali iniziative urgenti intendano assumere i Ministri interrogati per contrastare con efficacia il commercio dei wine kit; citati in premessa;
se non ritenga opportuno intervenire in sede europea, per promuovere la creazione di un task-force per contrastare, a livello internazionale, le falsificazioni alimentari. (5-00685)
TERROSI, OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CARRA, CENNI, COVA, COVELLO, DAL MORO, FERRARI, FIORIO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, SANI, TARICCO, TENTORI, VALIANTE, VENITTELLI, ZANIN e VERINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
il settore agroalimentare è uno dei comparti produttivi nazionali più colpiti dalla contraffazione; i produttori stranieri di formaggio, di pomodoro e di pasta sfruttano la cultura gastronomica italiana per produrre alimenti che ricordano i prodotti italiani nella presentazione del contenuto, usando foto stilizzate del Duomo di Milano, del Colosseo e del Vesuvio, nel packaging o nella pubblicità e nomi come «Spicy thai pesto» statunitense; «Parma salami» del Messico; «salami calabrese» prodotto in Canada; «barbera bianco» rumeno; «provolone» del Wisconsin;
la forma più diffusa di contraffazione del made in Italy è il cosiddetto italian sounding ovvero la pirateria agroalimentare internazionale che utilizza denominazioni, marchi, parole o simboli che richiamano l'Italia per pubblicizzare e commercializzare prodotti che non appartengono alla realtà nazionale;
a contraddistinguere tali prodotti evocativi di una provenienza italiana non è certo la qualità dei prodotti agroalimentari made in Italy, ma il volume di affari di oltre 60 miliardi di euro che vi ruota intorno, a discapito dell'economia italiana;
l'8 luglio 2013, sul Corriere dell'Umbria, è stato pubblicato un articolo dal titolo «Clonato» il nome di Parrano per battezzare un formaggio, che racconta l'insolito caso di omonimia tra una località geografica umbra, il comune di Parrano, e il formaggio Parrano, prodotto in Olanda dalla Uniekaas (Paesi Bassi);
già il 20 maggio 2013, il sindaco del piccolo comune di Parrano di 600 abitanti (Terni), Vittorio Tarparelli, in una lettera indirizzata a diverse autorità indicava come il caso di omonimia fosse del tutto indipendente da un rapporto politico – culturale tra il comune di Parrano e l'azienda produttrice del formaggio olandese;
è volontà dell'azienda l'esplicito richiamo all'italianità del prodotto, presentato con etichetta tricolore, nome italiano e generica descrizione degli ingredienti senza alcuna specificazione della loro provenienza (articolo 7, n. 1, lettera g) del regolamento (CE n. 207 del 2009);
infatti, il formaggio olandese, che risulta commercializzato in particolare nel Regno Unito e negli Stati Uniti, viene pubblicizzato con la chiara intenzione di disorientare il consumatore inducendolo all'acquisto di un formaggio che di italiano ha soltanto il nome, violando l'articolo 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità;
nel sito internet www.parrano.com, interamente dedicato al prodotto, si specifica che il Parrano presenta le caratteristiche e le qualità tipiche di un parmigiano stagionato miscelato al formaggio olandese Gouda. Sebbene prodotto in Olanda, secondo l'azienda, il formaggio Parrano costituisce la personificazione dello stile di vita italiano «Parrano is an unforgettable cheese with a distinctly Italian temperament. It has the alluring nutty flavor and buttery aroma of a fine aged Parmigiano-Reggiano with the smooth creamy texture of a young Dutch Gouda» –:
se il Governo sia a conoscenza del fatto esposto in premessa relativo al formaggio olandese Parrano spacciato per prodotto italiano e se non ritenga urgente intervenire per mettere fine a tale frode a tutela dei prodotti nazionali;
se si stia adoperando affinché la Commissione europea dia efficacia nei tempi più brevi possibili all'estensione ad altri alimenti dell'etichettatura di origine obbligatoria per la quale il Regolamento 1169 del 2011 definisce una procedura per ciascun alimento da concludere entro il mese di dicembre 2014. (5-00693)
SALUTE
Interrogazioni a risposta in Commissione:
SBROLLINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la sensibilità chimica multipla (MCS) è una sindrome multisistemica di intolleranza ambientale totale alle sostanze chimiche, che può colpire vari apparati e organi del corpo umano. I sintomi si verificano in risposta all'esposizione a molti composti chimicamente indipendenti e presenti nell'ambiente in dosi anche di molto inferiori da quelle tollerate dalla popolazione in generale;
la MCS colpisce tra 1,5 e il 3 per cento della popolazione (studio Heuser 1998 USA), ed è causa di moltissime patologie disabilitanti che interessano vari sistemi fisiologici: sistema renale, gli apparati respiratorio, cardiocircolatorio, digerente, tegumentario, sistema neurologico, sistema muscolo scheletrico ed endocrino-immunitario;
si tratta di una sindrome che può colpire chiunque a qualsiasi età e classe sociale, ma soprattutto alcuni lavoratori particolarmente esposti a sostanze tossiche, in un rapporto uomini/donne di 1 a 3;
nell'arco di pochi anni dalla manifestazione di MCS i sintomi si cronicizzano e, senza un adeguato sostegno, la sindrome può avere conseguenze molto gravi sino a provocare emorragie, collassi, ictus o infarti. Ancora, l'infiammazione cronica, tipica dello stato di MCS, porta a sviluppare con alta incidenza forme tumorali e leucemiche. Questo evento clinico, ad esempio, è frequente nella sindrome del Golfo, ovvero dei Balcani;
la MCS è irreversibile, progressiva e non esiste, al momento, una cura per il ritorno allo stato originario di tolleranza;
la MCS non è riconosciuta in Italia come malattia e ciò rende la situazione dei malati insostenibile e drammatica. Essi non possono rivolgersi ad alcuna struttura medica in caso di necessità, nemmeno al pronto soccorso, dove la mancanza di ambienti adeguati e di competenze specifiche del personale medico comportano un rischio gravissimo per il paziente;
la MCS comporta una situazione di completa privazione della propria libertà e autonomia personale fino all'isolamento socio-relazionate;
il Ministro Balduzzi ha accolto il 18 ottobre 2012 presso la Camera dei deputati l'ordine del giorno dell'onorevole Daniela Sbrollini sul riconoscimento della sensibilità chimica multipla, con il quale si impegnava ad aggiornare l'elenco dei LEA, inserendovi anche la MCS –:
se il Ministro intenda dare seguito a quanto era previsto dall'ordine del giorno a firma Sbrollini accolto dal Ministro pro tempore Balduzzi aprendo la strada ad un percorso giuridico che conduca al riconoscimento della sensibilità chimica multipla e al suo inserimento nell'elenco dei livelli essenziali di assistenza. (5-00673)
MICCOLI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la recente sottoscrizione dell'accordo fra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria su democrazia e rappresentanza nel mondo del lavoro (31 maggio 2013) concretizza la speranza di un miglioramento delle condizioni dei lavoratori anche nell'ambito della sanità privata mancando, in questo settore una legge sulla rappresentanza a garanzia dell'uguaglianza e dell'uniformità del trattamento giuridico ed economico degli stessi lavoratori;
nel settore socio-sanitario e assistenziale, sempre più imprese regolano i propri interessi datoriali e di gruppo attraverso accordi nazionali stipulati da associazioni non sempre dotate di effettiva rappresentatività e senza la partecipazione delle associazioni dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
con tale pratica si vanifica il valore della contrattazione nazionale che in questo settore ha un ruolo fondamentale per l'affermazione di un sistema di regole condivise e partecipate capace di mobilitare soggetti e risorse del territorio per la realizzazione di una rete diffusa di servizi;
le scelte dei Governi regionali e delle autonomie locali, attori principali dello sviluppo del welfare sul territorio, non sempre guardano alle esperienze e presenze imprenditoriali valide ma, talvolta privilegiano la risoluzione dei problemi dei costi tramite il ricorso a pratiche che inducono a forme di deregolamentazione del lavoro e del settore, con serie ripercussioni sulla qualità dei servizi e sull'appropriatezza delle cure;
la proliferazione di associazioni datoriali non adeguatamente rappresentative degli interessi delle imprese del settore, sta determinando una disomogeneità di azioni sul territorio che si ripercuote negativamente sulla qualità dei servizi sanitari offerti ai cittadini;
sono gravi i limiti che questa situazione comporta all'esercizio dei diritti dei lavoratori e alle tutele loro riconosciute dal nostro Ordinamento giuridico –:
quali iniziative intendano adottare al fine di provvedere alla costituzione di un tavolo con le organizzazioni sindacali le associazioni datoriali per recepire l'esigenza di garantire stabilità alla contrattazione nel settore della sanità privata e regolamentare la rappresentatività di parte datoriale su base nazionale per evitare fenomeni di concorrenza sleale tra le imprese e garantire agli operatori condizioni economiche e giuridiche omogenee.
(5-00676)
SBROLLINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
per ludopatia si intende l'incapacità di resistere all'impulso di giocare d'azzardo o fare scommesse, nonostante l'individuo che ne è affetto sia consapevole che questo possa portare a gravi conseguenze;
per continuare a dedicarsi al gioco d'azzardo e alle scommesse, chi è affetto da ludopatia trascura lo studio o il lavoro e può arrivare a commettere furti o frodi. Questa patologia condivide alcuni tratti del disturbo ossessivo compulsivo, ma rappresenta un'entità a sé;
durante i periodi di stress o depressione, l'urgenza di dedicarsi al gioco d'azzardo per le persone che ne sono affette può diventare completamente incontrollabile, esponendoli a gravi conseguenze, personali e sociali;
la ludopatia può portare a rovesci finanziari, alla compromissione dei rapporti e al divorzio, alla perdita del lavoro, allo sviluppo di dipendenza da droghe o da alcol e alla violenza fino anche al suicidio;
secondo alcuni autori, la ludopatia è la patologia da dipendenza a più rapida crescita tra i giovani e gli adulti;
secondo alcune stime la ludopatia interessa circa il 4 per cento della popolazione, rappresentando dunque un importante problema di salute pubblica;
l'articolo 5, comma 2 del decreto-legge n. 158 del 2012 prevede: «Con la medesima procedura di cui al comma 1 e nel rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica, si provvede ad aggiornare i livelli essenziali di assistenza con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia, intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dall'Organizzazione mondiale della sanità (G.A.P.)» –:
in che tempi il Ministro intenda dare seguito a quanto era previsto dall'articolo 5, comma 2 del decreto legge n. 158 del 2012 con riferimento all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e in particolare all'inserimento delle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia. (5-00691)
Interrogazioni a risposta scritta:
GALAN. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il 12 luglio 2013 un decreto ministeriale a firma del Ministro della salute, del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e del Ministro dell'ambiente e delle tutela del territorio e del mare ha vietato la coltivazione di varietà di mais MON 810 provenienti da sementi geneticamente modificate fino all'adozione di misure comunitarie di cui all'articolo 54, comma 3 del regolamento (CE) 178/2002 del 28 gennaio 2002 e comunque per un periodo non superiore ai 18 mesi a decorrere dalla data del decreto;
il decreto è stato adottato in ritardo rispetto alla stagione di semina del mais ed in seguito alla semina di alcuni campi con mais MON 810;
nel decreto non si fa nessun riferimento ai campi seminati con mais MON 810;
le semine di mais MON 810 avvenute precedentemente alla vigenza del divieto di coltivazione istituito dal decreto debbano essere considerate legali in seguito delle pronunce della Corte di Giustizia europea nella sentenza del 6 settembre 2012 nel caso Pioneer Hi Bred Italia Srl contro Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e nell'ordinanza dell'8 maggio 2013 nel procedimento penale a carico di Giorgio Fidenato, della Corte di giustizia;
il giudice del tribunale di Pordenone ha assolto Giorgio Fidenato dall'accusa di aver seminato mais OGM «MON 810» senza la preventiva autorizzazione;
il decreto è una misura emergenziale che deve essere integrata da un quadro normativo specifico che regolamenti in maniera esaustiva la questione della coesistenza tra diverse colture convenzionali, biologiche e transgeniche;
non esistono dati sperimentali specifici per il territorio italiano sulla coesistenza delle colture convenzionali, biologiche e transgeniche;
la sentenza n. 183 del 2010 del Consiglio di Stato ha chiarito che la mancanza di regole di coesistenza non può costituire un impedimento alla semine di varietà geneticamente modificate autorizzate a livello dell'Unione europea e ha legittimato un eventuale intervento normativo dello Stato nel caso l'inazione delle regioni non permettesse la loro adozione;
da quanto risulta da fonti di stampa esiste già un gruppo di ricercatori italiani che stanno raccogliendo dati sui campi seminati con mais MON 810 a fini scientifici –:
se s'intendano utilizzare i campi seminati con Mais MON 810 per recuperare dei dati sperimentali nell'ambito di un adeguata supervisione scientifica da usare come evidenze tecniche nella redazione delle future regole di coesistenza.
(4-01328)
BIONDELLI. —Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la sclerosi multipla, o sclerosi a placche, è una grave malattia del sistema nervoso centrale, cronica e spesso progressivamente invalidante;
tale malattia può presentarsi durante quasi tutto l'arco della vita, tra i 15 e i 50 anni, anche se si manifesta soprattutto tra i giovani adulti, tra i 20 e i 30 anni, e tra le donne, in un rapporto di due a uno rispetto agli uomini;
ogni anno, in Italia, si verificano 1800 nuovi casi (1 ogni 5 ore) ed oggi è possibile formulare una rapida diagnosi della malattia, ma la strada per trovare una cura risolutiva è ancora lunga;
le persone malate di sclerosi multipla sono circa 2,5 milioni nel mondo, 520.000 in Europa e 400.000 negli Stati Uniti. In Italia i malati sono 58.500, 1 ogni 1026 abitanti, con picchi di 1 ogni 700 in Sardegna.
la sclerosi multipla oltre che per l'invalidità fisica vera e propria, lo stress derivante dalla malattia e dal fatto che i sintomi cambiano nel tempo spinge il 64 per cento dei malati a modificare la propria attività lavorativa e il 38 per cento la propria vita di relazione;
alcuni dati relativi allo stile di vita dei disabili di sclerosi multipla evidenziano che:
Il 95 per cento dei malati vive con la famiglia, il 5 per cento da solo.
Il 44 per cento degli individui con difficoltà di deambulazione e il 12,5 per cento di quelli in carrozzina continua ad uscire ogni giorno. Tra i disabili più gravi, il 17 per cento esce qualche volta al mese e il 23 per cento alcune volte l'anno;
Il 70-80 per cento dei malati con disabilità minore continua ad usare gli stessi mezzi di trasporto, ma all'aumentare della disabilità solo il 30-40 per cento mantiene le proprie abitudini;
Il 61 per cento presenta serie difficoltà di movimento all'esterno dovute alle barriere architettoniche: 36 per cento per marciapiedi impraticabili, 29 per cento per rampe d'accesso troppo ripide, 22 per cento per ascensori non accessibili;
il 43 per cento dei malati, anche in caso di disabilità minima, ha dovuto modificare le proprie abitudini in tema di vacanze, sia per questioni economiche sia per problemi di mobilita –:
quanti siano effettivamente i malati di sclerosi multipla in Italia e quale sia la loro percentuale nelle singole regioni ed in particolare a quanti di loro è stata riconosciuta la disabilità grave così come prevista dall'articolo 3, comma 3 della legge 104 del 1992;
se il ministro sia a conoscenza del fatto che molti malati di sclerosi multipla incontrano difficoltà a farsi riconoscere i benefici previsti dalla legge 104 dalle commissioni mediche dell'Inps e che anzi pur essendo la sclerosi multipla una malattia la cui diagnosi è chiaramente riconducibile a una patologia cronico-degenerative, che non può quindi che peggiorare nel tempo, accentuando lo stato di disabilità e di non autosufficienza alcuni di loro siano stati chiamati a visita di controllo all'interno dei piani di revisioni nei confronti dei titolari di pensione sociale. (4-01351)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
BERLINGHIERI, BENAMATI, BAZOLI, COMINELLI, GALPERTI, CAPARINI, LACQUANITI, ROMELE, SBERNA e GITTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
AGFA è una multinazionale con sede in Belgio che opera in due grandi settori:
lastre analogiche e digitali per la stampa (AGFA GRAPHICS)
apparecchiature medicali (AGFA HEALTH CARE);
nel 2004 AGFA ha rilevato la LASTRA di Manerbio in provincia di Brescia, azienda operante nel settore della produzione di lastre analogiche e digitali per la stampa, integrandola nel suo network di unità produttive in Europa e nel mondo;
in Italia AGFA è presente con due siti produttivi: uno a Manerbio con 123 dipendenti (la già citata ex LASTRA) e uno a Vallese, in provincia di Verona (circa 150 occupati);
dal 2010 ad oggi l'Azienda ha realizzato un grande investimento a Vallese potenziando gli impianti ed installandone di nuovi per il settore delle lastre digitali (che è in crescita rispetto a quelle analogiche);
martedì 9 luglio in un incontro con le rappresentanze unitarie dei lavoratori a cui hanno partecipato due dirigenti della casa madre (Mark Deutschman e Johan Buehlens rispettivamente Responsabile europeo risorse umane e responsabile degli stabilimenti a livello mondiale) è stata annunciata la decisione dell'azienda di cessare l'attività nel sito di Manerbio dal 19 agosto 2013, con richiesta di 1 anno di Cassa integrazione guadagni straordinaria per cessata attività;
le ragioni addotte a sostegno della decisione di cessare l'attività sono sostanzialmente:
a) sovracapacità produttiva rispetto alle possibilità di assorbimento da parte del mercato europeo;
b) elevato costo della produzione, soprattutto in relazione alla concorrenza dei produttori cinesi;
c) poca flessibilità tecnologica del sito di Manerbio;
le suddette ragioni sono state ribadite dalla dirigenza dell'azienda in un incontro con le rappresentanze sindacali territoriali di categoria svoltosi martedì 16 luglio 2013 presso la sede provinciale dell'Associazione Industriale Bresciana –:
se intenda assumere elementi ulteriori di informazione, in considerazione del fatto che nella grave situazione economica attuale la chiusura di un sito produttivo che occupa 123 persone rappresenta un fatto grave non solo per le ricadute sui lavoratori e le loro famiglie, ma per la tenuta complessiva del nostro sistema produttivo, già duramente provato;
se intenda convocare la dirigenza aziendale per conoscere il piano di riorganizzazione del gruppo a livello europeo e per acquisire dati concreti che dimostrino l'inevitabilità della scelta, dal momento che, a detta delle rappresentanze sindacali unitarie:
a) l'unità produttiva di Manerbio è efficiente e tutti gli obbiettivi fissati negli ultimi anni sono stati raggiunti;
b) il bilancio di AGFA, sia del gruppo che dello stabilimento è in positivo;
c) i risultati economici dello stabilimento di Manerbio, pur se ancora negativi, hanno fatto registrare nel 2013 un'inversione di tendenza, che autorizza previsioni positive per il 2014;
d) lo stabilimento potrebbe rimanere aperto con un carico ridotto di lavoro e utilizzando altri strumenti che sono tuttora a disposizione (solidarietà/Cassa integrazione guadagni straordinaria).
(5-00678)
FEDRIGA e ALLASIA. —Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
è notizia riportata dalla stampa il 17 luglio 2013 quella dell'intenzione della società Ideal Standard di chiudere lo stabilimento di Orcenico di Zoppola (Pordenone), che occupa ben 480 lavoratori;
la comunicazione sembra sia avvenuta per sms, durante il vertice in corso al Ministero dello sviluppo economico; «Ideal Standard chiude lo stabilimento di Orcenico e trasferisce gli impianti a Trichiana»: questo il messaggio che i sindacalisti hanno letto sul proprio telefonino mentre partecipavano al vertice romano, inviato dai dipendenti di Trichiana, Orcenico e Roccasecca, che avevano appena appreso dai capifabbrica le decisioni assunte dalla società;
conseguenza ovvia da parte delle organizzazioni sindacali è stata quella di far saltare il tavolo, sospendere ogni trattativa e proclamare un immediato sciopero, scattato verso le 13, che ha fermato le attività produttive in tutti gli stabilimenti;
altri scioperi sono stati annunciati per giovedì 18 luglio, con assemblea nello stabilimento pordenonese e probabili azioni forti di protesta come l'occupazione della Pontebbana, e per venerdì 19 luglio con presidio e blocco della piattaforma logistica di Brescia, che verrà replicato anche lunedì 22 e martedì 23 luglio;
la posizione dei sindacati è chiara e ferma: chiedono che l'azienda ritiri la decisione di chiudere Orcenico, altrimenti non ci sarà alcuna trattativa e proseguiranno nello sciopero ad oltranza, con il blocco delle attività produttive –:
se e quali iniziative di propria competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda adottare a soluzione della vicenda esposta in premessa;
quali siano le ipotesi al vaglio a tutela delle centinaia di lavoratori coinvolti dal rischio di perdita del posto di lavoro.
(5-00679)
PRODANI. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
la Ferriera di Servola (Trieste) è uno degli stabilimenti industriali del gruppo Lucchini per il quale il Governo ha avviato un tavolo di crisi il 22 gennaio 2013 a Roma, presso il Ministero dello sviluppo economico;
l'Esecutivo si è impegnato ad avviare il confronto con i territori in cui sono presenti gli stabilimenti Lucchini maggiori, Trieste inclusa, in modo da riconoscere lo stato di crisi industriale complessa e avviare il processo di riconversione produttiva;
lo scorso 24 gennaio 2013 la Conferenza Stato-Regioni ha espresso il proprio parere favorevole sullo schema di decreto del Ministro dello sviluppo economico di «Riordino della disciplina in materia di riconversione e riqualificazione produttiva delle aree di crisi industriale complessa»;
il 5 giugno 2013 la Commissione europea ha esaminato l’action plan sulla siderurgia – che interessa anche il gruppo Lucchini e la Ferriera di Servola – prevedendo, tra l'altro, interventi per controbattere la concorrenza sleale, la riduzione dei costi dell'energia, facilitazioni al commercio nei Paesi terzi, contributi per i progetti innovativi, per la ricerca e per le ristrutturazioni;
durante l'esame in Parlamento del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 43/2013 per il rilancio dell'area industriale di Piombino e il contrasto ad emergenze ambientali, è stato inserito all'articolo 1 il comma 7-bis, che riconosce la zona industriale di Trieste quale area di «crisi industriale complessa» ai sensi dell'articolo 27 del dl. n. 83/2012 sulla crescita, convertito con modificazioni dalla legge n. 134/2012;
la legge n. 71/2013 di conversione del decreto legge per il rilancio dell'area industriale di Piombino e il contrasto ad emergenze ambientali è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 147 del 25 giugno 2013, entrando in vigore lo stesso giorno –:
se il Ministro interrogato intenda chiarire quali iniziative saranno adottate a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 71/2013 – che include l'area produttiva triestina tra quelle di «crisi industriale complessa», e dal varo dell’action plan comunitario, per favorire la soluzione ad una grave crisi lavorativa ed occupazionale in grado di minare il tessuto produttivo del capoluogo giuliano. (5-00681)
Interrogazioni a risposta scritta:
DE LORENZIS, LIUZZI, DE ROSA, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DA VILLA, NICOLA BIANCHI, GRILLO, DALL'OSSO e D'INCÀ. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il decreto-legge 3 dicembre 2012 n.207, cosiddetto Salva-Ilva, convertito con modificazioni dalla legge il 24 dicembre 2012, n 231 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 gennaio 2013, all'articolo 3 comma 1-bis prevede che «entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Governo adotta una strategia industriale per la filiera produttiva dell'acciaio»;
i centottanta giorni sono ormai passati –:
per quale motivo, il Governo non abbia ancora adottato una strategia per la filiera industriale dell'acciaio. (4-01325)
DECARO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
nell'ambito dell'apertura del cosiddetto «Corridoio Sud», destinato ad implementare e diversificare le forniture energetiche dei mercati europei, la provincia di Lecce è interessata da due distinti progetti di realizzazione di condutture (pipeline) per importare gas in Italia dall'estero, Poseidon e TAP;
il progetto TAP prevede la costruzione di un gasdotto finalizzato al trasporto di gas naturale dalla fonte sita nella regione del Mar Caspio in Europa Occidentale tramite il «Corridoio Sud» che attraverserà il Mar Adriatico per approdare in provincia di Lecce, interessando il comune di Melendugno;
il terminal del gasdotto IGI-Poseidon (Itgi), che interessa il territorio del comune di Otranto, a pochi chilometri di distanza dal progetto TAP, è stato autorizzato con decreto del 2 maggio 2011, assunto d'intesa con la regione Puglia e concessione demaniale del marzo 2013;
il «Corridoio Sud» è identificato nella «Comunicazione sulle priorità per le infrastrutture energetiche per il 2020 e oltre» dell'Unione europea (adottata il 17 novembre 2010) e che l'obiettivo di questi progetti prioritari, come dichiarato nella suddetta comunicazione, è creare l'infrastruttura necessaria per permettere al gas proveniente da una qualsiasi fonte di essere acquistato e venduto ovunque nell'Unione europea, a prescindere dalle frontiere nazionali, al fine di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti;
l'opera si inserisce all'interno delle strategie europee di diversificazione delle fonti energetiche, con lo scopo di rafforzare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili;
la Puglia rappresenta un territorio geograficamente strategico per le predette strategie di diversificazione;
nonostante la disponibilità della regione Puglia ad accogliere sul proprio territorio infrastrutture necessarie alla diversificazione dell'approvvigionamento delle fonti per la produzione di energia, è necessario definire con attenzione prioritaria la tutela e la salvaguardia delle caratteristiche, dell'integrità e delle vocazioni dei territori interessati;
non appare ragionevole insediare due infrastrutture (peraltro di identica natura) a pochi chilometri di distanza l'una una dall'altra, per di più in un territorio di particolare pregio ambientale e paesaggistico ed a forte vocazione turistica –:
quali iniziative intendano assumere, d'intesa con la regione Puglia, per garantire che a valle di una puntuale verifica delle compatibilità ambientali e della migliore localizzazione possibile, venga realizzato un unico tratto terminale per le due infrastrutture previste. (4-01341)
BARGERO e FIORIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
F.N., società detenuta per il 98 per cento da Enea, che impiega 16 dipendenti che si dividono tra le due sedi di Saluggia (VC) e Bosco Marengo (AL) indirizza le proprie attività nell'ambito dello sviluppo e ricerca di nuovi materiali (celle a combustibile ad alta temperatura, materiali ceramici);
negli ultimi mesi si sono registrati preoccupanti ritardi nel pagamento degli stipendi e dei rimborsi, situazione legata al mancato incasso dei crediti, per cui le banche concedono a loro volta più prestiti a F.N, venendo così pregiudicata l'attività futura di F.N.;
il sito dove ora è collocata l'azienda è di proprietà di F.N. e le attività di ricerca sono svolte anche a Bosco Marengo;
i vertici aziendali ha esplicitamente chiesto alle parti sindacali di intervenire per avviare un confronto finalizzato all'assorbimento di F.N. da parte di Enea, e il trasferimento dei 16 dipendenti dalla sede di Bosco Marengo a quella di Saluggia;
la ricerca e l'innovazione tecnologica sono tra i fattori essenziali su cui il nostro paese deve puntare per uscire dalla crisi;
nel territorio Alessandrino è presente un polo tecnologico di eccellenza a Rivalta Scrivia, in collaborazione con il politecnico di Torino e l'università del Piemonte Orientale, dove si svolgono attività di ricerca simili, per cui il trasferimento di tali lavoratori, altamente specializzati, nel suddetto parco tecnologico permetterebbe di ottenere economie di scala e di scopo nell'ambito della ricerca –:
quali misure intendano mettere in atto a tutela dei lavoratori F.N., per evitare di perdere know how ed expertise in un settore essenziale quale quello della ricerca e per evitare che tali competenze, qualora assorbite da Enea stessa, si spostino dal territorio della provincia di Alessandria. (4-01342)
CATANOSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il processo di automazione dei servizi e dello smaltimento dei prodotti postali è stato avviato dall'allora Ministero delle poste e telecomunicazioni negli anni settanta grazie anche all'assistenza tecnica della Selex ES già-Elsag, società del gruppo Finmeccanica;
anche a Catania l'assistenza e la manutenzione degli impianti sono tuttora affidati in appalto alla Selex ES che li ha sub-appaltati a partire dal 2007 alla romana Logos spa;
il 1o ottobre 2007, con il rinnovo della gara d'appalto e grazie anche all'impegno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, fu stilato un accordo con cui si garantivano i livelli occupazionali fino all'anno 2012;
la collaborazione tra poste italiane, Selex ES e ditte subappaltatrici è stato rinnovato «automaticamente» fino al mese di ottobre 2007;
su questo tema, l'interrogante ha presentato nella scorsa legislatura l'interrogazione n. 4-10611 a cui non è pervenuta mai risposta;
dall'ottobre del 2007, Selex ES ha deciso, avendone facoltà, di affidare il subappalto a sole due ditte: Stac Italia Srl per il centro-nord e Logos spa per il centro-sud, isole comprese, in tutto il territorio nazionale;
grazie ad un'azione di coordinamento con i lavoratori delle altre ditte e con il supporto delle organizzazioni sindacali si è giunti ad un accordo ministeriale che impegnava le due ditte subentranti ad assumere il personale già applicato nei vari centri dalle precedenti aziende rispettando i livelli occupazionali, economici e di anzianità;
circa un mese prima della scadenza del bando di gara europeo (marzo 2013) promosso da poste italiane, la Selex ES ha deciso di disdire, con effetto immediato, gli appalti assegnati alle due società in subappalto: Logos, per i 10 uffici del centro-sud e Stac Italia, per i 9 uffici del centro-nord, senza prevedere alcuna tutela per i circa 300 tecnici e manutentori occupati nei vari centri;
il tentativo della Selex ES di assegnare il subappalto ad una nuova azienda che non intende assorbire i lavoratori già impiegati è rientrato con la proroga dei contratti a Logos e Stac fino alla scadenza dell'appalto e quindi ulteriormente prolungato fino al 31 luglio 2013: attualmente i lavoratori sono in regime di proroga fino a quella data, senza nessuna prospettiva di impiego per il futuro;
i lavoratori esprimono molte perplessità in ordine ai contenuti economici della proposta delle vincitrici della gara, Selex ES e PH Facility, in quanto si prefigura una riduzione degli attuali organici di circa il 30 per cento con la chiusura di alcuni centri di meccanizzazione, contravvenendo agli impegni assunti con l'accordo ministeriale del 2007 e con lo stesso obiettivo del bando di gara di poste italiane spa, che prevedevano il mantenimento dei livelli occupazionali –:
se il Ministro interrogato intenda convocare un tavolo con poste italiane spa, Selex ES, Logos, Stac, PH Facility e le organizzazioni sindacali al fine di approvare un protocollo d'intesa che salvaguardi l'occupazione dell'intera filiera o la riallocazione del personale eccedente in poste italiane;
quali altre iniziative intende adottare il ministro interrogato per risolvere le problematiche descritte in premessa.
(4-01345)
Apposizione di firme a interrogazioni.
L'interrogazione a risposta scritta Bruno n. 4-01178, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Aiello.
L'interrogazione a risposta scritta Basilio n. 4-01188, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Alberti, Corda, Sorial, Dall'Osso, Spadoni, Artini, Rizzo, Cominardi, Paolo Bernini, Frusone.
Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
interrogazione a risposta scritta Dell'Orco e altri n. 4-00682 del 3 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00694;
interrogazione a risposta scritta Mariani e altri n. 4-00920 del 19 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00664;
interrogazione a risposta scritta Moretti n. 4-01111 del 2 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00689;
interrogazione a risposta scritta Cominelli e altri n. 4-01126 del 3 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00690;
interrogazione a risposta scritta Realacci n. 4-01305 del 17 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00672.
ERRATA CORRIGE
Interrogazione a risposta scritta Basilio n. 4-01188 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 48 dell'8 luglio 2013. Alla pagina 3080, prima colonna, dalla riga trentacinquesima alla riga trentaseiesima deve leggersi: «se le informazioni riportate in premessa corrispondano al vero, quante siano» e non «se le informazioni riportate in premessa corrispondano al vero e quale siano», come stampato.
Interrogazione a risposta scritta Di Lello e Locatelli n. 4-01316 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 55 del 17 luglio 2013. Alla pagina 3433, prima colonna, dalla riga trentacinquesima alla riga trentaseiesima deve leggersi: «pur non mettendo in discussione il riconosciuto principio dell'autonomia del» e non «pur mettendo in discussione il riconosciuto principio dell'autonomia del», come stampato.