XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 29 ottobre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              l'Italia sta pagando un prezzo molto alto alla profonda e lunga recessione il cui impatto sull'apparato manifatturiero è stato devastante;
              l'Italia è ancora un grande Paese sviluppato, con un tessuto manifatturiero di livello mondiale ma numerosi indicatori evidenziano il costante arretramento nel contesto internazionale;
              è dei giorni scorsi la notizia che l'Italia è scivolata dal quinto posto conquistato nel 1986 all'attuale nono posto tra i Paesi del mondo con un maggiore prodotto interno lordo;
              dopo la Cina nel 2000 e il Brasile nel 2010, la Russia è cresciuta posizionandosi sopra il nostro Paese che, fra non più di cinque anni, rischia di essere scavalcato da Canada e India ed estromesso anche dai primi dieci;
              la crisi ha distrutto una parte importante del potenziale manifatturiero, oltre il 15 per cento con una punta del 40 per cento negli autoveicoli e cali di almeno un quinto in 14 settori su 22 (dati Centro studi Confindustria);
              l'Italia resta tra i maggiori Paesi che producono ricchezza ma perde costantemente posizioni nei confronti dei Paesi emergenti, in particolare dei cosiddetti BRICS, e vede ampliare il gap nei confronti degli altri Paesi maggiormente sviluppati che pure soffrono, ma in misura inferiore all'Italia, la riduzione delle loro quote percentuali di prodotto interno lordo mondiale;
              tra il 2007 e il 2012, inoltre, la caduta di occupati nel manifatturiero è stata pari a 539.000 unità, superando in tal modo la caduta di 490.000 rilevata tra il 1990 e il 1994 e rischiando di superare quella registrata tra il 1980 e il 1985 (-724.000);
              anche le aziende manifatturiere più sane sono a rischio a causa del credit crunch, che per l'industria ha determinato una riduzione dei prestiti del 10,1 per cento (-26 miliardi di euro) tra il 2011 e il 2013;
              nel manifatturiero la disponibilità di liquidità è risalita negli ultimi mesi, ma resta molto ridotta rispetto alle esigenze operative e le aziende continuano a prevedere liquidità in calo;
              l’export italiano, prima della crisi, si basava su un settore manifatturiero la cui vasta gamma di prodotti era in grado di generare un elevato valore negli scambi con l'estero; per tornare ai livelli pre-crisi, sarà necessario ricreare interi pezzi del manifatturiero nazionale che, tra delocalizzazioni, fallimenti e chiusure è diminuito tra la fine del 2007 e la fine del 2012 dell'8,3 per cento, con un saldo, tra imprese nate e imprese cessate, di -32 mila;
              nonostante ciò, l'unico dato positivo viene proprio dall’export e dalla competitività delle imprese italiane sui mercati esteri, con un aumento del 5 per cento del valore delle esportazioni (nel complesso stimato a oltre 470 miliardi di euro nel 2012) e a una contrazione delle importazioni grazie ai quali, nell'anno appena concluso, il nostro Paese ha conseguito un saldo commerciale positivo di circa 10 miliardi di euro, risultato che non veniva raggiunto da circa 10 anni;
              il sistema produttivo italiano si compone di pochi grandi gruppi industriali, la cui dimensione è mediamente inferiore a quella dei loro competitori esteri, ed è caratterizzato da un alto numero di piccole e medie imprese fortemente dinamiche e flessibili ma più esposte ai danni di una lunga recessione;
              la presenza di grandi imprese manifatturiere capaci di competere a livello internazionale è un pilastro fondamentale della politica industriale, anche per sostenere le piccole e medie imprese e accrescere la competitività del sistema messo a dura prova dall'apertura dei mercati e dall'altissimo livello di concorrenza sul piano globale;
              nonostante il rallentamento della domanda internazionale, l’export rappresenta ancora oltre la metà del fatturato delle imprese dei distretti, ad essi fa riferimento ancora oggi più di un quarto delle vendite estere;
              malgrado le difficoltà, queste realtà produttive hanno realizzato un risultato complessivamente positivo nel 2012 e per il 2013 il 37,4 per cento delle imprese appartenenti alle filiere distrettuali attende un andamento crescente delle esportazioni;
              alla tenuta dell’export, si accompagna tuttavia una domanda interna ancora in forte contrazione che porta a un calo stimato del fatturato complessivo a chiusura del 2012 pari a -2,8 per cento, solo in parte bilanciato dalla debole ripresa prevista nel 2013 (+1,1 per cento);
              sono ancora molto consistenti (47) i distretti che nei primi nove mesi del 2012 hanno superato i livelli di export registrati nel 2008, prima della crisi: di questi ben 17 appartengono al comparto abbigliamento moda, 13 al comparto alimentare e 9 all'automazione meccanica; inoltre, 20 distretti hanno aumentato l’export del 2008 più del 20 per cento, con punte dell'80 per cento per i prodotti dell'industria casearia di Parma, del 77 per cento per l'elettronica di Catania, del 35,9 per cento per la pelletteria fiorentina;
              le potenzialità del manifatturiero italiano basato in larga parte sulla forza del made in, non possono far dimenticare la debolezza del sistema che si può far risalire a molteplici fattori:
                  gli eccessivi costi dell'energia;
                  un sistema fiscale farraginoso e tendenzialmente spostato sulle imprese e sulle famiglie;
                  un'insufficiente dotazione infrastrutturale con particolare riguardo ai settori del trasporto, della logistica e della banda larga;
                  una burocrazia ancora troppo lenta;
                  uno scarso collegamento tra formazione, ricerca e imprese;
                  un costo elevato dei servizi bancari, delle assicurazioni, delle professioni e dei servizi in genere;
                  un mercato del lavoro ancora troppo caratterizzato da un'occupazione scarsamente posizionata nei settori tecnologici e della green economy;
                  il permanere di forti squilibri territoriali tra Nord e Sud;
              è necessario impostare un'adeguata politica industriale investendo sui settori più importanti dalla produzione di macchinari, alla meccanica di precisione, al settore dell'auto e avionico, al settore metallurgico e dell'acciaio, al settore della chimica fine e intermedia, a quello dell'abbigliamento, del mobile, all'agroalimentare;
              il rilancio del settore manifatturiero è il perno di una ripresa che non potrà essere realizzata senza affrontare le debolezze strutturali e le arretratezze che limitano il dinamismo del sistema, assicurando riforme, strumenti innovativi e risorse in grado di avviare un nuovo ciclo di crescita basato sullo sviluppo dell'occupazione, sulla compatibilità ambientale e sociale, sull'internazionalizzazione dell'apparato produttivo, sull'attrazione degli investimenti esteri, riposizionando l'Italia all'interno dell'economia globale, con le proprie peculiarità imprenditoriali e creative,

impegna il Governo:

          ad attuare un programma nazionale di politica industriale che punti rafforzamento del sistema produttivo ed all'innalzamento della competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali;
          per quanto riguarda il tema energetico, a realizzare una politica più concorrenziale, in linea con le direttive dell'Unione europea, fondata sull'efficienza e sul risparmio energetico, sulla diversificazione delle fonti, sulla riduzione dei combustibili fossili, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, sul potenziamento delle infrastrutture;
          a sostenere la competitività delle imprese nazionali puntando ad una maggiore differenziazione delle fonti energetiche e a ridurre in particolare il differenziale di costo del gas naturale (metano), rispetto ai competitori europei, che penalizza pesantemente le imprese industriali energivore;
          a favorire la concorrenzialità nel mercato del gas, dell'accesso alle reti, dei potenziamento della capacità di stoccaggio, per garantire una maggiore pluralità e differenziazione sul lato dell'offerta, in modo da ridurre il costo del gas, principale materia prima di molte industrie manifatturiere, in particolare di quella delle ceramiche;
          per quanto riguarda il tema dell'accesso al credito, ad assumere iniziative per garantire alle imprese un adeguato flusso di finanziamenti, rendendo più moderne e trasparenti le relazioni tra banche e imprese così da consentire alle singole aziende di beneficiare di condizioni dipendenti dalla propria qualità creditizia, senza dover scontare inefficienze di altri;
          a rendere più spedite le procedure di accesso da parte delle imprese agli strumenti di sostegno del reddito;
          per quanto riguarda la semplificazione amministrativa, a ottenere un effettivo snellimento burocratico, in un contesto caratterizzato da un eccesso di leggi, scarsità o duplicazione dei controlli, sovrapposizione di competenze;
          per quanto riguarda la tutela delle produzioni nazionali, a promuovere le iniziative necessarie in sede comunitaria per adottare una normativa in materia di anticontraffazione e made in che introduca l'obbligo di indicazione di origine per tutti i prodotti per i quali non esista già una regolamentazione specifica in materia;
          a intervenire presso l'Unione europea per promuovere, su scala mondiale, l'adozione di standard di reciprocità a livello sociale e ambientale, per evitare fenomeni di dumping, e affinché gli Stati membri del WTO rimuovano le barriere non tariffarie che ostacolano l'accesso ai mercati;
          a garantire il rafforzamento delle misure di riduzione del costo del lavoro sulle imprese e sui lavoratori, in modo da incrementare l'occupazione e i redditi disponibili;
          ad affiancare a queste azioni di contesto interventi più mirati che consentano al sistema produttivo di recuperare competitività sui mercati internazionali, e in particolare a sviluppare nuove tecnologie, processi, prodotti, servizi e sistemi che possano offrire interessanti sbocchi occupazionali e di crescita economica;
          a sostenere l'ingresso delle filiere produttive nazionali nelle catene del valore globali, anche attraverso il sostegno all'aggregazione di imprese;
          ad adottare adeguate politiche industriali per il rilancio competitivo di alcuni grandi player strategici nazionali quali, ad esempio, Finmeccanica ed in particolare Ansaldo Breda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e Breda Menarini;
          a intervenire in settori strategici come l’automotive al fine di consentirne un processo di transizione verso lo sviluppo di una mobilità sostenibile, rafforzando in particolare l'innalzamento tecnologico della filiera della componentistica;
          a riorganizzare il sistema degli incentivi alle imprese, orientando le risorse pubbliche verso la realizzazione di grandi progetti di ricerca e innovazione industriale, anche tramite importanti interventi di domanda pubblica innovativa;
          a favorire la costruzione di grandi reti e infrastrutture di ricerca con radicamento locale anche in partnership pubblico-privata;
          a rafforzare la finanza specializzata per l'innovazione, anche attraverso l'azione delle fondazioni bancarie più radicate nei territori;
          a promuovere la crescita di un capitale umano altamente qualificato anche tramite l'adozione di provvedimenti che ne favoriscano l'assunzione da parte del sistema delle imprese;
          a garantire l'effettiva applicazione dello small business act, in particolare applicando la norma che prevede la presentazione al Parlamento di un disegno di legge annuale per le micro, piccole e medie imprese.
(1-00225) «Benamati, Basso, Bini, Cani, Civati, Del Basso De Caro, Donati, Folino, Galperti, Ginefra, Impegno, Mariano, Martella, Montroni, Nardella, Peluffo, Petitti, Portas, Senaldi, Taranto, Carra».

Risoluzione in Commissione:


      Le Commissioni I e XII,
          premesso che:
              in data 29 ottobre 2009 è stato emanato il decreto di modifica al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 luglio 2002 recante: «Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio di Ministri e rideterminazione delle dotazioni organiche dirigenziali» che contestualmente all'istituzione del Dipartimento per le politiche della famiglia come struttura generale della Presidenza del Consiglio ai sensi del suddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri definisce le competenze proprie della medesima;
          risulta che ad oggi il Presidente del Consiglio dei ministri non abbia provveduto all'assegnazione della delega concernente la famiglia ad alcun membro del Governo, risultando quindi nelle mani del Presidente del Consiglio stesso che per evidenti ragioni innanzitutto di ordine pratico non riesce ad esercitare in maniera efficace tale competenza;
          le cronache di tutti i giorni inducono a ritenere che quello della famiglia sia un settore che necessita di un impegno governativo costante al fine di prevenire le situazioni di degrado che nei casi peggiori sfociano addirittura in casi drammatici;
          la senatrice Maria Cecilia Guerra, dopo aver ricoperto la carica di sottosegretario durante il Governo Monti, in data 3 maggio 2013 con decreto del Presidente della Repubblica, veniva confermata nell'incarico e nominata in qualità di Vice Ministro del Ministero del lavoro e della politiche sociali, con delega alle politiche sociali;
          in data 26 giugno 2013 al medesimo Vice Ministro Maria Cecilia Guerra veniva in aggiunta conferita dal Presidente del Consiglio Enrico Letta la delega alle pari opportunità, in passato assegnata al Ministro dimissionario Josefa Idem. Non è ben chiaro – e risulta anzi misterioso – per quale ragione il Presidente del Consiglio abbia ritenuto che con le dimissioni del Ministro Idem la delega alle pari opportunità abbia perso di importanza e delicatezza a tal punto da non avvertire la necessità logistica e politica di nominare un nuovo Ministro;
          al Vice Ministro Guerra in questo modo sono assegnate deleghe onerose e amplissime che – al netto di qualsiasi valutazione politica – rischiano di non essere seguite in maniera completa ed efficace, mentre, come si è visto, resta tuttora senza alcuna assegnazione precisa la delega alla famiglia;
          proprio a questo proposito, i presentatori segnalano come il Viceministro Guerra in questo momento, esclusa la sanità, materia peraltro di competenza largamente regionale, sia sostanzialmente l'unico interlocutore governativo della Commissione XII (Affari sociali) nella materia delle politiche sociali in senso lato; tutto ciò, a parere dei firmatari, rischia di creare anche rilevanti ostacoli all'ordinaria attività della XII Commissione (Affari sociali);
          le deleghe alla famiglia e alle pari opportunità riguardano competenze ed argomenti importantissimi e centrali nel welfare e nella difesa dei diritti delle donne in particolare, e a detta dei presentatori, dovrebbero essere oggetto di una specifica delega, eventualmente anche presso la Presidenza del Consiglio,

impegnano il Governo

a proporre nel più breve tempo possibile la nomina di un Ministro senza portafoglio cui affidare le deleghe relative alle politiche della famiglia e alle pari opportunità, anche al fine di riunire questioni tra loro intimamente collegate e centrali nella vita dei cittadini e individuando così un nuovo membro del Governo, che possa rappresentare un solido punto di riferimento, operativo ed efficace, nel dispiego delle necessarie iniziative sociali che ai temi citati fanno riferimento.
(7-00147) «Di Vita, Cecconi, Dall'Osso, Grillo, Lorefice, Baroni, Silvia Giordano, Mantero, Dadone, Nuti, Fraccaro, Dieni, Toninelli, Cozzolino, Luigi Di Maio, Di Benedetto, Spadoni, Mucci, Ferraresi, Businarolo, Agostinelli, Nesci, Colonnese, Spessotto, Vignaroli».

    *    *    *

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


      PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo del quotidiano Il Piccolo di Trieste intitolato «Barra nucleare trovata spezzata a Krško», pubblicato il 25 ottobre 2013, ha rilevato che durante gli ordinari lavori di manutenzione in corso nella centrale nucleare di comproprietà slovena e croata — che dista circa 130 chilometri dal territorio italiano — sono stati rilevati danni di natura meccanica all'impianto;
          in particolare, alcune barre di carburante nucleare contenute nei tre elementi di combustibile del reattore si sarebbero incrinate e addirittura spezzate. La parte rotta di una di esse, lunga mezzo metro, sarebbe stata rinvenuta sul fondo del bacino di raffreddamento del reattore durante le ispezioni dell'Agenzia slovena per la sicurezza nucleare (Ursjv);
          l'agenzia di stampa slovena «Sta», inoltre, ha segnalato che la possibilità di danni alle barre sarebbe stata «presupposta» mesi fa dal management di Krško, quando la centrale nucleare era ancora in funzione, ma il sospetto non poteva essere verificato fino al momento della manutenzione iniziata ad ottobre;
          secondo Andrej Stritar, direttore dell'Ursjv, né le operazioni né la sicurezza dell'impianto sarebbero state compromesse;
          John H. Large, fra i massimi esperti mondiali di energia nucleare, ha espresso preoccupazione per l'accaduto, sostenendo che lo stato delle barre di combustibile nucleare di Krško desta preoccupazione e il loro deterioramento sarebbe legato a un «problema molto serio». Con la scoperta delle barre rotte, ha concluso Large, dovranno essere estratti tutti gli elementi e decontaminato il circuito del reattore stesso con lavori che potrebbero durare dai tre ai sei mesi;
          da anni gli ambientalisti locali denunciano il pericolo costituito da questo vecchio impianto da 690 megawatt, costruito in una zona sismica certificata, che in più occasioni è stato al centro di sospette fuoriuscite di materiale radioattivo come quella registrata nel 2008;
          secondo le ultime notizie diffuse il 26 ottobre 2013 dal direttore della centrale Stane Rožman, la «frattura» delle tre barre di uranio — causata da eccessive vibrazioni — non avrebbe compromesso la sicurezza dell'impianto e la riparazione definitiva dovrebbe essere effettuata entro il 2015;
          gli interventi urgenti in via di adozione riguardano il rinforzo delle barre di carburante con elementi di acciaio per garantirne l'integrità, mentre l'intervento più a lungo termine riguarda una piccola ricostruzione delle parti interne del reattore;
          i danni riscontrati nel funzionamento del reattore destano preoccupazione anche per la circostanza che la società Gen Energija, responsabile dell'impianto, è stata incaricata della costruzione di un nuovo reattore Krško 2, progetto che presenterebbe serie criticità come riscontrato da uno studio francese, riportato nelle interrogazioni n.  4-01177 e 4-00417 a prima firma dell'interrogante  –:
          se il Governo intenda chiedere informazioni dettagliate alla Repubblica di Slovenia sullo stato attuale della centrale nucleare di Krško, sui danni causati alla struttura dalla contaminazione del circuito del reattore e sull'eventuale fuoriuscita di radiazioni, rendendo pubbliche le informazioni relative alla tutela della salute della popolazione italiana limitrofa.
(4-02329)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PELUFFO e DANIELE FARINA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel territorio del Comune di Pregnana Milanese (Mi) sono ubicati due capannoni industriali di proprietà della società Sanistar Srl, sottoposta a procedura fallimentare, già titolare di un'apposita autorizzazione provinciale al deposito di rifiuti sanitari speciali e pericolosi, tra cui strumentazioni per studi dentistici, solventi chimici, farmaci chemioterapici e medicinali vari;
          i capannoni e i rifiuti furono messi sotto sequestro dalla polizia provinciale nel mese di febbraio 2013;
          alla data attuale, a distanza di otto mesi dal sequestro i rifiuti sono ancora nella stessa locazione ove furono inizialmente rinvenuti e, a quanto risulta, nulla è stato ancora avviato a smaltimento;
          ciò determina una situazione di notevole disagio per la popolazione residente, soggetta alle esalazioni di tali depositi, nonché di potenziale pericolo per la salute delle persone e per l'ambiente in costanza di esalazioni e percolamenti  –:
          se si intenda disporre l'intervento del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente ovvero del Comando dei carabinieri per la tutela della salute ovvero di altro organo deputato ad accedere al luogo al fine di accertarne le effettive condizioni di insalubrità e di pregiudizio per la salute pubblica. (5-01311)

Interrogazione a risposta scritta:


      MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          si apprende a mezzo stampa che un'orsa di circa 4 anni è stata investita, ed è morta subito dopo i soccorsi, da un'auto tra Villalago e Anversa degli Abruzzi, lungo la strada della Valle del Sagittario, ai limiti della zona di protezione esterna del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise;
          muore così l'ennesimo esemplare di Orso bruno marsicano: il fatto è molto grave essendo ridotta la popolazione di questi rari plantigradi a circa 60 unità ed è quindi a rischio la conservazione di questa specie;
          quest'ultimo episodio segnala una progressione preoccupante: se dividiamo infatti l'intervallo temporale, della statistica relativa agli orsi rinvenuti morti tra il 1971 ed il 2012, in periodi di sette anni, notiamo come ai primi due cicli turbolenti della vita del parco con rispettivamente 22 e 26 decessi, ne sono seguiti altri due dei quali il primo con «soli» 12 morti ed il secondo in ripresa con 17 vittime;
          l'ultimo che stiamo vivendo (2006-2013), registra una brutta accelerazione con ben 20 perdite di cui quattro nel solo anno 2013;
          il commissario straordinario del parco, Giuseppe Rossi, subito dopo l'episodio ha posto all'attenzione delle istituzioni locali e nazionali, il problema della conservazione dell'orso bruno marsicano come grande emergenza sottolineando che il Parco, da solo, non è in grado di gestirla;
          si rende urgente e non più rinviabile, dinanzi al ripetersi di simili incidenti, adottare in tempi brevi una incisiva azione di conservazione attraverso la costituzione di una banca del seme dell'orso bruno marsicano, valutando con un pool di esperti internazionali la fattibilità di un programma di conservation breeding;
          è necessaria dunque una forte mobilitazione della comunità scientifica e ambientalista per scongiurare il pericolo della scomparsa di questa straordinaria specie appenninica di orsi  –:
          quali iniziative intenda assumere il Governo per sostenere l'azione dell'Ente parco nazionale d'Abruzzo a tutela della conservazione dell'orso bruno marsicano e in particolare se non ritenga necessario adottare in tempi brevi la costituzione di una banca del seme. (4-02324)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta immediata:


      PICCOLI NARDELLI, GHIZZONI, COSCIA, CAROCCI, RAMPI, MANZI, NARDUOLO, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il dibattito sorto su un eventuale riordino degli Archivi di Stato – a causa del quale sono state già avviate sul web iniziative di petizione e interventi di illustri studiosi – sta generando nel settore grande preoccupazione, che rimanda alla paventata possibilità di un'ulteriore contrazione della capacità operativa degli istituti archivistici;
          gli istituti archivistici tutelano un ingentissimo patrimonio materiale di documentazione di interesse storico e ricoprono un ruolo, in termini non solo di conservazione ma di valorizzazione e promozione culturale, quanto mai rilevante, specialmente laddove essi sono i principali, se non unici, siti archivistici funzionanti – come veri e propri «poli» – che permettono la fruizione di un patrimonio inestimabile e unico al mondo;
          è indiscutibile il valore di tutti gli archivi, la loro articolazione, la vantata rete capillare – priva di doppioni – che deve essere considerata funzionalmente ed economicamente sostenibile;
          si ritiene utile l'avvio di un confronto che coinvolga le istituzioni e il settore per un processo di riforma che tuteli gli archivi nelle loro due principali specificità: sia quella del patrimonio culturale, archivi per la memoria storica, per la fruizione e valorizzazione della cultura del territorio, sia quella della governance, archivi come strumenti di democrazia e diritto –:
          se e come il Ministro interrogato intenda procedere al riordino del sistema archivistico e se, in tal caso, non ritenga ineludibile avviare un confronto che coinvolga le istituzioni e il settore e se sia altresì allo studio una riforma articolata che prenda in considerazione la documentazione amministrativa delle varie articolazioni della pubblica amministrazione, ormai prodotta quasi integralmente in formato digitale e bisognosa di adeguate infrastrutture, regolamentazione e professionalità per la sua gestione e conservazione. (3-00404)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BOSSA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          la villa d'Elboeuf è un palazzo settecentesco di Portici (Napoli), sita nelle immediate vicinanze del porto del Granatello. È la prima, in ordine cronologico, delle 122 ville vesuviane del Miglio d'oro;
          fu fatta costruire nel 1711 dal duca d'Elboeuf, su disegno di Ferdinando Sanfelice. Pochi anni dopo la fine della costruzione, nel 1716, il palazzo fu ceduto a Giacinto Falletti, duca di Cannalonga; nel 1738 ospitò Carlo di Borbone, che si innamorò di quei luoghi e fece costruire nelle vicinanze la Reggia di Portici;
          attualmente la villa versa in grave stato d'abbandono e decadenza; sta crescendo sul territorio una mobilitazione per chiedere di acquisire al patrimonio dello Stato la Villa dopo che essa è stata venduta all'asta ad una cordata di imprenditori;
          sulla vicenda si è già pronunciato favorevolmente il consiglio comunale di Portici, e si stanno mobilitando – come riporta il quotidiano Il Mattino in data 24 ottobre 2013 – anche le associazioni ambientaliste «Articolo 9 – salviamo il Paesaggio» e «Italia Nostra», oltre all'Ascom-Confcommercio;
          secondo quanto riportato dal quotidiano napoletano, le associazioni, in una nota inviata al Ministro dei beni e le attività culturali e del turismo sottolineano che «anche Villa d'Elboeuf di Portici è uno dei primati della bellezza italiana, da valorizzare assolutamente ma in un'ottica di fruizione collettiva del bene. La proposta di esercitare il diritto di prelazione per salvare questo luogo prezioso, espressa a maggioranza dal consiglio comunale di Portici, va decisamente in questa direzione e quindi merita di essere sostenuta in coerenza con i contenuti dell'articolo 9, principio fondamentale della nostra Costituzione»;
          la delibera approvata dal consiglio comunale prevede che, in caso di acquisto «il complesso immobiliare sarà destinato ad Urban center metropolitano, con funzioni e destinazioni molteplici di riferimento per l'intero ambito vesuviano nonché a funzioni di rappresentanza dell'Amministrazione comunale»;
          nei prossimi giorni si passerà alle fasi successive dell’iter, tra cui la ricerca delle risorse necessarie a concludere l'acquisto, che ammontano a 4 milioni ed 11 mila euro, tanto quanto è il prezzo d'asta cui la cordata di imprenditori privati si è aggiudicato il bene, in via provvisoria  –:
          se sia a conoscenza di quanto sopra esposto, e se non ritenga, nell'ambito delle sue competenze, di garantire un intervento del Ministero nella vicenda al fine di avviare il recupero e la tutela di un bene culturale di indubbia valenza pubblica, che versa in condizioni di abbandono.
(5-01308)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


      CAPEZZONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le modifiche apportate alla disciplina sulla rateazione delle somme iscritte a ruolo dall'articolo 52, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, consentono al debitore che, per ragioni estranee alla propria responsabilità, si trovi in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, di richiedere l'ampliamento della rateazione, fino a un massimo di centoventi rate mensili;
          in tale contesto il comma 3 del predetto articolo 52, stabilisce, che «Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, sono stabilite le modalità di attuazione e monitoraggio degli effetti derivanti dall'applicazione del meccanismo di rateazione di cui al comma 1, lettera a)»;
          l'attuazione della predetta norma, e la conseguente facoltà di fruire dei più ampi termini di rateazione, pertanto, sarà possibile solo dopo l'emanazione del decreto ministeriale, che, tuttavia, al momento, non è stato adottato, nonostante siano passati ormai più di due mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto-legge n.  69;
          la problematica relativa alla mancata attuazione delle predette modifiche normative è stata di recente oggetto di ripetuti atti di sindacato ispettivo;
          dapprima la questione è stata affrontata dall'interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-01055, svolta presso la Commissione Finanze della Camera il 16 ottobre scorso, in risposta alla quale il rappresentante del Governo si è limitato ad affermare che «sono in fase avanzata gli approfondimenti necessari alla stesura del provvedimento in argomento» e che «l'Agenzia delle entrate ed Equitalia S.p.A. stanno collaborando con il Dipartimento delle finanze ed il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato alla predisposizione di una bozza di decreto»;
          successivamente, sul tema è intervenuta l'interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-01259, svolta presso la Commissione Finanze della Camera il 24 ottobre scorso, in risposta alla quale il rappresentante del Governo ha affermato che «lo slittamento dei termini di adozione del decreto, (...), è derivato dalla complessità delle misure tecnico-operative volte ad assicurare che il nuovo meccanismo di rateazione sia inserito e coerentemente raccordato alle variegate disposizioni già vigenti in materia»;
          le giustificazioni addotte a motivazione del notevole ritardo accumulato appaiono evidentemente del tutto insufficienti, se non addirittura pretestuose, soprattutto ove si consideri che la complessità della materia era ben conosciuta dall'Esecutivo almeno dall'entrata in vigore delle citate norme;
          come già anticipato in sede di replica alle richiamate interrogazioni, in assenza di una compiuta e soddisfacente risposta da parte del Governo, è necessario riproporre ulteriormente il quesito, anche al fine di sottolineare l'esigenza imprescindibile che l'Esecutivo emani il predetto decreto attuativo, rendendo finalmente effettivamente operativa la normativa;
          occorre infatti sottolineare come la mancata attuazione delle norme in materia di rateazione recate dall'articolo 52 del decreto-legge n.  69 del 2013, oltre a costituire una grave ed illegittima disapplicazione delle scelte compiute dal legislatore, nonché un segnale di scarsa attenzione per il ruolo del Parlamento, rappresentati soprattutto una violazione inaccettabile dei diritti che tale normativa attribuisce all'amplissima platea dei contribuenti interessati dalla più ampia facoltà di rateazione  –:
          se intenda finalmente fornire al Parlamento indicazioni chiare e definitive in ordine all'emanazione del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze previsto dal comma 3 dell'articolo 52 del decreto-legge n.  69 del 2013, dando in tal modo doverosa, seppur tardiva, attuazione alla normativa in materia di rateazione dei debiti tributari di cui all'articolo 52 comma 1, lettera a), del predetto decreto-legge n.  69. (5-01316)


      BARBANTI, LUIGI GALLO, PESCO, RUOCCO, PISANO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la sezione del tribunale civile di Torre Annunziata, con sentenza del 10 maggio 2013, ha dichiarato il fallimento della «società di fatto» costituita dai signori Michele Iuliano, fondatore della «Deiulemar Compagnia di Navigazione S.p.A.», Maria Luigia Lembo e Giovanna Iuliano, rispettivamente vedova e figlia di Michele Iuliano, dai fratelli Angelo, Pasquale e Micaela Della Gatta e da Lucia Boccia, vedova di Giovanni Battista Della Gatta, co-fondatore della suddetta «Deiulemar Compagnia di Navigazione S.p.A.», dal terzo co-fondatore della medesima Giuseppe Lembo e suo figlio Leonardo Lembo;
          diversamente da quanto affermato in sede di risposta all'interpellanza urgente n.  2/00031 dalla Consob sulla base della documentazione in suo possesso, dalle prescrizioni della suddetta sentenza si desume che l'esclusiva operatività della «Deiulemar Compagnia di Navigazione S.p.A.», non sia ascrivibile all'ex amministratore unico Michele Iuliano ma alla richiamata «società di fatto», alla quale risulta altresì ascrivibile tutta la contabilità, regolare ed irregolare, della società;
          dalle indagini effettuate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Torre Annunziata si evince che, dal 2005 al 2012, sui conti correnti dell'ex amministratore delegato Michele Iuliano e dei suddetti soggetti riconducibili alla «società di fatto», si riscontrano flussi finanziari per circa 400 milioni di euro;
          il decreto legislativo n.  231 del 2007, in attuazione della direttiva 2005/60/CE, conferisce all'Unità di informazione finanziaria (UIF), istituita presso la Banca d'Italia, l'analisi dei flussi finanziari al fine di individuare e prevenire fenomeni di riciclaggio di denaro, nonché l'analisi finanziaria delle operazioni sospette segnalate;
          l'articolo 41 del decreto legislativo n.  231 del 2007 prevede una procedura per la segnalazione, obbligatoria, delle operazioni sospette;
          in sede di risposta all'interpellanza n.  2/00031 il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Alberto Giorgetti ha affermato che l'Unità di informazione finanziaria ha ricevuto dai soggetti obbligati alla collaborazione attiva, a partire dal 1o gennaio 2008, unitamente all'Ufficio italiano dei cambi, numerose segnalazioni di operazioni sospette che sono state oggetto di analisi finanziaria ed inviate al nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, alla direzione investigativa antimafia e all'autorità giudiziaria;
          non si ha conoscenza se le comunicazioni effettuate all'Unità di informazione finanziaria dai soggetti obbligati alla collaborazione attiva corrispondano ai flussi finanziari accertati dalla magistratura  –:
          se, sulla base delle comunicazioni effettuate all'Unità di informazione finanziaria da parte dei soggetti obbligati alla collaborazione attiva, al Ministro interrogato risulti che siano state poste in essere tutte le azioni prescritte dalla normativa vigente, e, in caso contrario, quali iniziative di competenza intenda assumere.
(5-01317)


      CAUSI, DALLAI, CENNI, CARRA e MARTELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il Gruppo Monte dei Paschi (Mps) rappresenta il terzo gruppo bancario italiano; la Banca nata nel 1472, è attiva sull'intero territorio italiano e sui principali centri economici e finanziari mondiali, con un'operatività che spazia dall'attività bancaria tradizionale al private banking ed alla finanza d'impresa;
          il maggiore azionista del Gruppo Mps è, ad oggi con il 33,56 per cento, la Fondazione Monte dei Paschi di Siena (ente no profit di natura giuridica privata, istituito con decreto del Ministro del Tesoro dell'8 agosto 1995); l'organo di indirizzo della Fondazione Mps è la deputazione generale i cui membri vengono nominati dagli enti e dalle istituzioni territoriali e nazionali;
          nel corso degli ultimi anni il Gruppo Mps è stato duramente colpito dalle conseguenze della crisi internazionale e dei mercati, ulteriormente aggravate da errori gestionali e strategici, sia da parte della Fondazione, nella governance della Banca, sia da parte del management;
          per superare le criticità causate dalle perdite finanziarie (il bilancio del 2011 si è chiuso con una perdita netta di 4,69 miliardi di euro) Banca Mps ha ricevuto nel 2011 (Governo Monti), un prestito di 4,07 miliardi di euro da rimborsare in contanti o azioni (i cosiddetti «Monti bond»);
          il 27 giugno 2012 è stato approvato il nuovo piano di riassetto del gruppo Monte dei Paschi di Siena, fortemente improntato alla riduzione dei costi e alla razionalizzazione, l'operazione prevede la soppressione di oltre 4.600 posti di lavoro, con incorporazione delle controllate e chiusura di 400 filiali entro il 2015;
          questi tagli accolti con preoccupazione dalle associazioni sindacali, dagli enti locali e dalle forze politiche territoriali, sono già stati in parte attuati, anche grazie a politiche di prepensionamento e contratti di solidarietà che hanno salvaguardato i livelli occupazionali;
          il bilancio per il 2012 della Banca Mps si è chiuso con una perdita di 3,17 miliardi di euro;
          nel corso di questi ultimi mesi la Fondazione Mps ha modificato il proprio statuto per promuovere una governance rinnovata della banca che, oltre a mantenere lo storico legame con l'ampio e diversificato tessuto territoriale, potesse cogliere con maggiore incisività ed efficacia le attuali opportunità del panorama economico e finanziario internazionale; con il nuovo statuto viene modificato il numero degli enti che nominano la deputazione generale e viene ampliata la serie di competenze e qualifiche dei soggetti preposti (comune di Siena provincia di Siena, regione Toscana, università degli Studi di Siena, università per Stranieri, Arcidiocesi di Siena, camera di commercio di Siena, consulta provinciale del volontariato di Siena, consiglio nazionale delle ricerche, Ministero dei beni e delle attività culturali);
          il 18 luglio 2013 l'assemblea straordinaria dei soci ha deliberato la rimozione del tetto del 4 per cento al possesso di azioni Mps, per soci diversi dalla Fondazione stessa: una norma, proposta dal Ministero dell'economia e delle finanze, per incentivare il potenziale ingresso di investitori interessati e facilitare l'aumento di capitale della banca;
          nei suoi più recenti orientamenti la Fondazione ha modificato le precedenti strategie e si è dichiarata disponibile a diluire ulteriormente la sua quota di possesso azionario nella banca;
          la banca ha chiuso il primo semestre 2013 con un risultato netto negativo di 380 milioni di euro;
          il Commissario dell'Unione europea per la concorrenza Jacquin Almunia, in una lettera inviata il 16 luglio 2013 al Ministro dell'economia e delle finanze Fabrizio Saccomanni, ha manifestato la sua preoccupazione «per la stabilità del Monte Paschi», ritenendo che «per assicurare la fattibilità a lungo termine» del progetto di risanamento dell'istituto «l'attuale piano di ristrutturazione deve ancora essere migliorato»;
          è emerso quindi il rischio che l'Ue possa aprire nei confronti dell'Italia una procedura di infrazione della durata di sei mesi, che potrebbe portare a sanzioni o al rimborso forzato dei «Monti bond»;
          il Ministero dell'economia e delle finanze, in merito alla lettera sopracitata ha dichiarato che non c’è stata «nessuna bocciatura per il piano di Mps; l'esame da parte della Commissione Ue prosegue come di prassi, in un rapporto di reciproca collaborazione con le istituzione italiane»;
          secondo quanto è emerso dagli organi di informazione, a seguito di alcuni incontri tra il Ministero dell'economia italiano e l'Unione europea, per evitare la procedura di infrazione Mps dovrà restituire, nel 2014 2,5 miliardi dei «Monti Bond» (e non 1 miliardo come inizialmente previsto) e rivedere il piano industriale 2013-2017, introducendo ulteriori tagli a filiali e personale, nonché introducendo un tetto alle retribuzioni del top management;
          nel corso della riunione del Consiglio di amministrazione, svolta il 13 settembre, il presidente del Gruppo – dottor Alessandro Profumo – ha dichiarato la disponibilità ad apportare tutte le necessarie modifiche richieste dal Ministero e dalla Commissione dell'Unione europea; il 7 ottobre scorso, il Consiglio di amministrazione della Banca ha quindi approvato le modifiche al piano industriale con l'obiettivo di tornare a produrre utili entro il 2017;
          secondo il citato piano, gli esuberi previsti per razionalizzare le spese salirebbe da 4.600 a circa 8.000, di cui circa 2.900 prepensionamenti; conseguentemente la riduzione dei dipendenti riguarda complessivamente oltre 5.100 unità di personale, comprensive degli addetti delle società controllate già cedute;
          alla luce di quanto esposto, è opportuno valutare se gli ulteriori tagli al personale possano vanificare i sacrifici fatti fino ad oggi dai dipendenti della banca ed incidere negativamente sul pieno rilancio dell'istituto di credito  –:
          se l'accordo sul nuovo piano industriale sia stato definito preventivamente con l'intervento della Commissione europea e del Ministero dell'economia e delle finanze e come si intenda garantire la sostenibilità del nuovo piano industriale alla luce della complessiva riduzione del personale. (5-01318)


      PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          è in corso di ridefinizione il regime di riscossione crediti degli enti locali, che dovrà trovare un ambito definitivo in sede di decreti legislativi di attuazione della delega fiscale;
          attualmente il panorama appare piuttosto diversificato, fra concessioni ad Equitalia, gestione diretta degli enti locali, gestione tramite società in house, concessione a società private;
          appare chiaro l'indirizzo del legislatore in merito al collegamento fra aggio riconosciuto al riscossore ed effettiva copertura dei costi sostenuti nell'attività;
          tale collegamento è l'unica giustificazione possibile di quello che sarebbe altrimenti un onere improprio gravante sul debitore;
          esso è attualmente fissato per Equitalia nella misura dell'8 per cento, con l'impegno a verificarlo sulla base dei costi riportati a bilancio;
          non appare pertanto improprio intendere tale misura dell'aggio come soglia massima esigibile anche sul piano dei servizi locali, stante la possibilità di addivenire altrimenti a convenzioni con Equitalia spa;
          particolare attenzione deve essere posta all'aggio eventualmente riscosso da comuni che gestiscano in proprio il servizio, soprattutto se impiegando personale, uffici e dotazioni impegnati anche in altre attività;
          non apparirebbe d'altra parte in alcun modo giustificabile la scelta di avvalersi di società esterne all'amministrazione che imponessero un aggio superiore all'8 per cento  –:
          se ritenga legittima oltre che opportuna, in relazione alle fattispecie di riscossione dei crediti locali diverse da quelle in affidamento a Equitalia spa, l'applicazione di aggi superiori a quelli riconosciuti per legge al riscossore nazionale, qualora sia a conoscenza di casi siffatti e come intenda eventualmente porre rimedio sul piano normativo a questa distorsione. (5-01319)


      ZANETTI, SOTTANELLI e SBERNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  600, l'amministrazione finanziaria procede, entro l'inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all'anno successivo, alla liquidazione delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti, nonché dei rimborsi spettanti in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti di imposta;
          qualora dai controlli automatici eseguiti emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato in dichiarazione, i relativi esiti sono portati a conoscenza dei contribuenti e dei sostituti di imposta, per evitare la reiterazione degli errori e por consentire la regolarizzazione degli aspetti formali;
          l'amministrazione finanziaria comunica gli esiti dei «controlli automatizzati» tramite raccomandata, secondo quanto stabilito dall'articolo 6, comma 5, della legge n.  212 del 2000, direttamente al contribuente/sostituto d'imposta;
          in alternativa, alla comunicazione cartacea inviata direttamente al contribuente, è possibile trasmettere gli esiti della liquidazione delle dichiarazioni per via telematica, tramite il canale Entratel, all'intermediario abilitato che ha curato la trasmissione della relativa dichiarazione, a condizione che l'opzione dell'avviso telematico sia stata esplicitamente manifestata dal contribuente in sede di compilazione della dichiarazione e alla contestuale accettazione, da parte dell'intermediario, a riceverlo;
          in caso di esercizio di tale opzione il contribuente può usufruire di un termine più ampio (90 giorni invece di 30) entro il quale regolarizzare la propria posizione;
          l'intermediario può revocare la scelta espressa in dichiarazione solo se sussistono reali e gravi cause ostative alla ricezione dell'avviso telematico (quali la cessazione del rapporto di assistenza, l'impossibilità a reperire il contribuente): in questi casi vi è l'automatico invio della comunicazione cartacea al contribuente;
          nel caso di ricevimento della comunicazione in via cartacea, il contribuente o sostituto di imposta, qualora rilevi eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi, può fornire chiarimenti necessari o produrre i documenti mancanti all'amministrazione finanziaria entro i trenta giorni successivi al ricevimento dell'avviso, secondo quanto previsto dal comma 3 dell'articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 a n.  600; qualora la comunicazione di irregolarità sia corretta e le somme richieste con la comunicazione siano effettivamente dovute ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n.  462 del 1997, l'iscrizione a ruolo non è eseguita qualora il contribuente o il sostituto di imposta versi il relativo importo entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione o, nel caso in cui vengono forniti i chiarimenti, dal ricevimento della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione delle somme dovute; in entrambi i casi le sanzioni amministrative ordinarie dovute (pari al 30 per cento) sono ridotte ad un terzo;
          nel caso di comunicazione telematica, secondo quanto stabilito dall'articolo 2-bis, comma 1, lettera a), del decreto-legge n.  203 del 2005, l'intermediario che riceve un avviso telematico deve portare a conoscenza del contribuente gli esiti del controllo automatizzato in modo tempestivo, e comunque entro trenta giorni dalla data in cui l'avviso telematico è reso disponibile (non dalla data in cui l'avviso è «prelevato dall'intermediario»);
          il comma 3 del medesimo articolo 2-bis prevede che, a partire dal sessantesimo giorno successivo a quello dell'invio telematico a cura dell'amministrazione finanziaria, cominciano a decorrere i trenta giorni entro i quali o vengono forniti i necessari chiarimenti oppure deve essere eseguito il versamento, per poter beneficiare della riduzione ad un terzo della sanzione ordinaria;
          con la circolare 47/E/2009 l'Agenzia delle entrate ha illustrato i diversi passaggi procedurali che caratterizzano la trasmissione degli esiti del controllo automatizzato delle dichiarazioni in via telematica all'intermediario;
          i vantaggi dell'avviso telematico sono che il contribuente ha un termine più ampio di novanta giorni (rispetto ai trenta giorni riservati alla comunicazione cartacea) per effettuare il pagamento in acquiescenza delle somme richieste in relazione ai tardivi o agli omessi pagamenti fruendo della riduzione della sanzione ordinaria, nonché il fatto che l'intermediario abilitato assiste direttamente il contribuente, sia predisponendo la dichiarazione e trasmettendola in via telematica, sia ricevendo dall'Agenzia delle entrate gli esiti del controllo automatizzato della dichiarazione via mail e, nel caso di avviso di irregolarità, può contattare direttamente l'ufficio, mediante appositi canali telematici quali PEC e CIVIS, al fine di risolvere le problematiche riscontrate;
          si sono verificati casi in cui i contribuenti o gli intermediari stessi hanno dovuto pagare cartelle di pagamento, nonostante si siano attenuti al dispositivo normativo che concede al pagamento degli avvisi telematici con sanzioni ridotte il termine di novanta giorni;
          uno di questi casi segnalati è quello in cui veniva notificato ad un professionista iscritto all'ordine dei commercialisti di Brindisi, a mezzo canale Entratel, avviso di irregolarità per omesso pagamento di acconti di imposta, con conseguenti sanzioni e relativi interessi;
          il medesimo intermediano segnalava, a mezzo canale CIVIS, una piccola difformità sull'avviso richiedendone la rielaborazione e, dopo la consegna del nuovo avviso rielaborato, si procedeva con il pagamento dilazionato, con prima rata entro i novanta giorni di tempo concessi dall'avviso originario e con sanzioni ridotte;
          dopo un anno, l'amministrazione finanziaria notificava una cartella di pagamento sostenendo che l'elaborazione del nuovo avviso comportava l'obbligo di pagare entro trenta giorni, con conseguente caducazione dal termine originario;
          l'intermediario inviava istanza di sgravio in autotutela, sostenendo che nessuna norma prevede la caducazione, e che invece, con la concessione di ulteriori trenta giorni dal nuovo avviso, si intende dare al contribuente l'opportunità di pagare con adeguata tempistica;
          nonostante questo, l'ufficio territoriale delle entrate rifiutava lo sgravio e rimandava di fatto la questione al contenzioso, adducendo una nota di servizio interna all'Agenzia che precisava che, «in caso di rideterminazione in sede di autotutela di somme dovute su avviso telematico inviato all'intermediario, il pagamento deve avvenire entro trenta giorni dal ricevimento della nuova comunicazione (che di fatto determina un nuovo esito), non potendosi più fare riferimento al termine di novanta giorni originario»;
          successivamente Equitalia, ignara della imminente udienza di sospensione della cartella, richiedeva il pignoramento mobiliare e, al fine di bloccare l'esecuzione, si richiedeva la rateazione della cartella;
          l'itermediario veniva diffidato dal cliente a provvedere a proprie spese al pagamento di quanto dovuto, considerata la «giusta» estraneità ai fatti del cliente, e veniva esortato alla denuncia del sinistro con conseguenze sul proprio attestato di rischio professionale per qualcosa di cui non si riteneva responsabile;
          non si tratta di un caso isolato, casi simili capitano spesso in varie parti del territorio italiano a professionisti che quotidianamente sono posti di fronte ad adempimenti estenuanti per semplificare, in qualità di intermediari, l'attività di controllo degli uffici finanziari  –:
          se non ritenga opportuno l'emanazione di un'ulteriore circolare dell'Agenzia delle entrate per fare chiarezza su quanto esposto in premessa in merito ai passaggi procedurali e alla decorrenza dei termini relativi agli avvisi bonari telematici, al fine di evitare il verificarsi di altri casi analoghi. (5-01320)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      PELUFFO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          recentemente l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha ripetutamente attaccato i sistemi efficienti di utenza (SEU) che il decreto legislativo 30 maggio 2008, n.  115 ha introdotto per promuovere lo sviluppo dell'autoconsumo di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili o in assetto cogenerativo;
          a detta dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, i SEU comporterebbero un'erosione del gettito degli oneri generali di sistema a causa del diritto di poter regolare detti oneri a valere sull'energia elettrica prelevata dalla rete, anziché sull'energia elettrica consumata;
          l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha dichiarato di voler segnalare al Governo e al Parlamento la necessità di introdurre modifiche normative finalizzate a eliminare il trattamento di favore che il legislatore ha previsto per i SEU;
          la legge 23 luglio 2009, n.  99, articolo 33, comma 5, prevede che «... a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge i corrispettivi tariffari di trasmissione e di distribuzione, nonché quelli a copertura degli oneri generali di sistema [...] sono determinati facendo esclusivo riferimento al consumo di energia elettrica dei clienti finali o a parametri relativi al punto di connessione dei medesimi clienti finali»;
          il comma 6 del medesimo articolo prevede che «Limitatamente alle RIU [Reti Interne d'Utenza]..., i corrispettivi tariffari di cui al comma 5 si applicano esclusivamente all'energia elettrica prelevata nei punti di connessione»;
          il comma 7 del medesimo articolo prevede che: «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas adegua le proprie determinazioni tariffarie per dare attuazione a quanto disposto dai commi 5 e 6 del presente articolo»;
          il decreto legislativo 30 maggio 2008, n.  115, nella versione modificata dal decreto legislativo n.  56/10, all'articolo 10, comma 2, ha previsto che, nel caso dei SEU, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas «provvede inoltre affinché la regolazione dell'accesso al sistema elettrico sia effettuata in modo tale che i corrispettivi tariffari di trasmissione e di distribuzione, nonché quelli di dispacciamento e quelli a copertura degli oneri generali di sistema [...], siano applicati esclusivamente all'energia elettrica prelevata sul punto di connessione. In tale ambito, l'Autorità prevede meccanismi di salvaguardia per le realizzazioni avviate in data antecedente alla dato di entrata in vigore del presente decreto, in particolare estendendo il regime di regolazione dell'accesso al sistema elettrico di cui al precedente periodo almeno ai sistemi il cui assetto è conforme a tutte le seguenti condizioni:
              sono sistemi esistenti alla data di entrata in vigore del suddetto regime di regolazione, ovvero sono sistemi di cui, alla medesima data, sono stati avviati i lavori di realizzazione ovvero sono state ottenute tutte le autorizzazioni previste dalla normativa vigente;
              hanno una configurazione conforme allo definizione di cui all'articolo 2, comma 1, lettera t) [cioè alla definizione di SEU] o, in alternativa, connettono, per il tramite di un collegamento privato senza obbligo di connessione di terzi, esclusivamente unità di produzione e di consumo di energia elettrica nella titolarità del medesimo soggetto giuridico»;
          a distanza di 4 anni dall'entrata in vigore della legge n.  99 del 2009, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas non ha ancora dato attuazione alle disposizioni sopra riportate in quanto non ha mai stabilito in forma cogente che i corrispettivi tariffari di trasmissione e di distribuzione nonché quelli a copertura degli oneri generali di sistema, siano determinati facendo esclusivo riferimento al consumo di energia elettrica dei clienti finali o a parametri relativi al punto di connessione dei medesimi clienti finali;
          la mancata attuazione della legge n.  99 del 2009 fa sì che non solo le RIU, i SEU e i sistemi esistenti ad essi equiparati, ma anche tutti gli eventuali altri clienti che si producono l'energia elettrica in sito e non facenti parte delle predette categorie attualmente versino i corrispettivi di trasporto e gli oneri generali sull'energia elettrica prelevata dalla rete, anziché sull'energia elettrica consumata, comportando una riduzione della base imponibile su cui distribuire gli oneri generali di sistema;
          l'inerzia dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha comportato e tuttora comporta una riduzione del gettito degli oneri generali di sistema che la stessa Autorità invece denuncia come effetto negativo dei soli SEU;
          ad avviso dell'interrogante non si giustifica l'atteggiamento dell'Autorità indipendente che, mentre attacca la riduzione del gettito dovuta a configurazioni impiantistiche di autoconsumo di energia da fonti rinnovabili e cogenerazione consentita dalla legge, è la principale responsabile del mancato gettito derivante da benefici concessi a configurazioni impiantistiche che la legge ha stabilito di non agevolare;
          inoltre non appare compatibile con le sue finalità istitutive il comportamento dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas che non ha dato attuazione ad una disposizione di legge che avrebbe consentito di ridurre il costo dell'energia elettrica per i consumatori  –:
          a quanto ammonti il mancato gettito derivante dall'inerzia dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, che, non attuando l'articolo 33, comma 5, della legge n.  99 del 2009, ha consentito un trattamento privilegiato a sistemi non efficienti e ha impedito ai consumatori di beneficiare di una riduzione del costo dell'energia elettrica;
          quali iniziative intenda prendere il Governo a fronte della situazione sopra descritta. (5-01312)


      PELUFFO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il fondo strategico italiano spa (FSI), creato con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 3 maggio 2011, è una holding di partecipazioni il cui azionista strategico è la Cassa depositi e prestiti spa pubblica posseduta al 70 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
          si apprende dalla stampa nazionale che il fondo strategico italiano ha siglato un accordo con Canova 2007 spa, holding di controllo del gruppo Finiper, diventando così azionista di 26 ipermercati a insegna «iper, La Grande I» e di 170 supermercati a insegna «Unes» e che il perfezionamento di tale accordo è previsto nel prossimo luglio 2013;
          il fondo strategico italiano, come si rileva dalla presentazione del fondo presente sul sito internet http://www.fondostrategico.it, opera «acquisendo quote di minoranza in imprese di rilevante interesse nazionale che siano in equilibrio economico-finanziario e abbiano adeguate prospettive di redditività e significative prospettive di sviluppo»;
          con questa operazione il fondo strategico italiano dichiara di contribuire all'apertura dell'azionariato del gruppo ponendo le basi per la sua ulteriore crescita tramite consolidamento in un settore che, nel nostro Paese, è altamente frammentato e altamente concorrenziale;
          la tendenza alla concentrazione della grande distribuzione organizzata (GDO), secondo dati costanti, corrisponde a un progressivo depauperamento del commercio di vicinato, che rappresenta un valore economico e sociale, soprattutto per le più piccole realtà regionali;
          ai sensi dell'articolo 3 «oggetto strategico» dello statuto del fondo strategico italiano, si individua la possibilità per il fondo di assumere partecipazioni in società che «operino nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi»;
          nello stesso articolo si specifica che «i requisiti di cui sopra devono essere presenti e documentati al momento in cui l'operazione è deliberata dal consiglio di amministrazione della società»  –:
          sulla base di quali elementi si siano ritenuti sussistenti i requisiti di «rilevante interesse nazionale», di «equilibrio economico-finanziario» e di «adeguate prospettive di redditività e significative prospettive di sviluppo» nella società Canova 2007, al punto di sottoscrivere un aumento di capitale per una quota di minoranza qualificata fino al 20 per cento in Finiper;
          se, a seguito dell'acquisto di tale quota del 20 per cento sia previsto un successivo aumento della quota di proprietà di Finiper posseduta dal fondo strategico italiano, con il conseguente apporto di capitali, segnatamente in considerazione del fatto che tale società sta attualmente operando in settori esterni a quello della grande distribuzione organizzata, quali i citati interventi nelle aree di Cascina Merlata e Arese;
          se ritenga che il perseguimento di una logica di concentrazione nel settore della grande distribuzione organizzata sia effettivamente un valore cui mirare, anche in considerazione della contemporanea costante perdita di posti di lavoro nel commercio di vicinato e il conseguente impoverimento sociale e culturale dei centri storici cittadini e il vulnus arrecato alla libera concorrenza in un settore altamente frammentato come quello della grande distribuzione e della distruzione organizzata;
          se, alla luce delle considerazioni sinora esposte, ritenga che l'operato del fondo sia stato in linea con la missione, gli obiettivi e, segnatamente, l'oggetto strategico del fondo stesso come sopra richiamato e, in particolare, a quale dei settori di intervento o delle fattispecie elencati all'articolo 3, comma 1, sia da ascrivere la società Canova 2007;
          se i requisiti richiesti fossero presenti e documentati al momento in cui l'operazione è stata deliberata dal consiglio di amministrazione e se, in tal caso, sia stato acquisito dal consiglio di amministrazione il parere del comitato per gli investimenti e del comitato strategico previsti, rispettivamente, all'articolo 26 e all'articolo 27 del citato statuto di fondo strategico italiano spa. (5-01313)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
          la legge di stabilità 2014 prevede per il settore della giustizia tagli di risorse come, ad esempio, la riduzione del già esiguo compenso degli avvocati che prestano il gratuito patrocinio, che colpirà i cittadini meno abbienti che vedranno irrimediabilmente ridursi la qualità della difesa tecnica che spesso rimane l'unica difesa della quale possono beneficiare, ed aumenti di costi di accesso alla giustizia, quale l'aumento a 27 euro per i diritti di notifica, oggi a 8 euro;
          le predette misure, che si sommano alla cronica carenza di organico, dagli uffici giudiziari agli istituti penitenziari, di fatto costringeranno i più poveri a rinunciare preventivamente all'esercizio dei propri diritti, venendosi a creare un grave vulnus per la democrazia del nostro Paese;
          per restituire forza, dignità ed efficienza al sistema giudiziario, servono non solo riforme, ma soprattutto risorse da reperire sia eliminando sacche di spesa pubblica improduttiva sia riversando nel settore della giustizia la gran parte delle risorse del fondo unico della giustizia, anziché solo un terzo, come invece oggi previsto;
          la Commissione giustizia nel parere reso il 9 luglio 2013 sul cosiddetto decreto-legge del fare ha posto una condizione volta a portare da un terzo alla metà le risorse del fondo unico da destinare alla giustizia, in quanto appare incomprensibile la ragione per la quale un settore fortemente in crisi anche per la carenza di risorse non debba essere il beneficiario principale di quelle stesse risorse che il medesimo settore produce;
          per quel che riguarda le risorse del fondo unico giustizia, si ricorda che dal rendiconto generale dello Stato 2012 risulta che il totale delle risorse versate all'entrata nel 2013 (cap. 2414) è stato pari a 162,8 milioni di euro. Di questi: 72,3 milioni di euro derivanti da sequestri; 57,2 milioni di euro derivanti da confische; 33,3 milioni di euro da altre risorse, mentre nel medesimo capitolo del rendiconto 2011 si erano registrate entrate addirittura per oltre 400 milioni di euro (di cui 343 milioni derivanti da sequestri; 29,7 milioni da confische e 31,8 milioni da altre risorse);
          lo stato di grave crisi del settore giustizia richiede immediati e non più rinviabili investimenti in mezzi, strumenti e personale, quando invece vi è una oggettiva penuria di risorse disponibili, per cui sarebbe necessario, e non solo opportuno, che il Governo adotti tutte le iniziative di sua competenza per incrementare sensibilmente (non meno del cinquanta per cento) la quota del fondo unico della giustizia da destinare al settore della giustizia  –:
          quali siano gli interventi effettuati nell'ultimo triennio con le risorse del fondo unico versate al Ministero della giustizia e se il Ministro sia favorevole ad una eventuale iniziativa normativa volta a portare al cinquanta per cento le risorse del fondo unico da attribuire al Ministero della giustizia.
(2-00268) «Leva, Ferranti, Verini, De Maria».

Interrogazioni a risposta scritta:


      ALLASIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          un mese fa circa il direttore del carcere «Lorusso-Cotugno» di Torino ha indetto una conferenza stampa per presentare agli organi di informazione una apparecchiatura denominata «superwc»;
          nella stessa occasione, il direttore definì tale apparecchiatura «Un passo avanti per la sicurezza e la salute, ma anche per restituire professionalità alla polizia penitenziaria», poiché tale impianto, che filtra gli «ovuli» di droga dalle feci dei detenuti per recuperare così elementi di prova, aveva sostituito il vecchio impianto, una sorta di grande cestello-setaccio dove gli agenti invece erano costretti a svolgere l'operazione a mano;
          sempre nel corso della medesima conferenza stampa, il direttore aveva spiegato che tale apparecchiatura era in funzione nel carcere già da un mese;
          già ai tempi della sopra citata conferenza stampa, risulta invece che gli stessi agenti di polizia penitenziaria avessero segnalato più volte alla direzione del carcere il mancato funzionamento dell'impianto, dovuto probabilmente a problemi legati alla insufficiente pressione dell'acqua che non consentiva ai getti d'acqua di separare gli «ovuli» dalle feci;
          pertanto, l'apparecchiatura già allora non funzionante, benché costata ben 12 mila euro, è stata invece presentata lo stesso ai media dal direttore del carcere come già operativa;
          un'apparecchiatura del tutto simile è stata installata nell'aeroporto di Malpensa ed è perfettamente funzionante, così come quella sistemata al Cto di Torino e le decine di «gemelle» localizzate in numerosi aeroporti del mondo;
          il mancato funzionamento di tale sistema costringe, dunque, gli agenti ancora oggi ad effettuare il lavoro manualmente esponendoli, come anche denunciato sulla stampa dal segretario generale Osapp Leo Benedici e dal suo vice Gerardo Romano, al rischio di malattie di ogni tipo;
          a tali rischi si aggiunge la beffa, oltre che della sopra citata conferenza stampa, anche del fatto che l'apparecchiatura in avaria e non funzionante si trova nella stessa stanza dove c’è il vecchio impianto dove, appunto, gli agenti sono ancora costretti a svolgere l'operazione manualmente  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti, quali iniziative intenda adottare al fine di accertare eventuali responsabilità per la mancata messa in funzione dell'impianto cosiddetto «superw.c.», nonché per verificare le cause per cui un'apparecchiatura, presentata alla stampa come operativa, in realtà non è ancora oggi funzionante;
          quali iniziative, infine, intenda intraprendere per rendere operativo l'impianto, al fine anche, e soprattutto, di garantire e consentire, quanto prima, agli agenti di polizia penitenziaria decorose condizioni in cui poter svolgere il proprio lavoro. (4-02330)


      GRIMOLDI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'8 gennaio 2013 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato nuovamente l'Italia, concedendo al nostro Paese un anno di tempo per trovare una soluzione al problema del sovraffollamento carcerario;
          secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero della giustizia, a settembre 2013, la capienza regolamentare dei 205 istituti presenti nel nostro paese era di 47.615 posti, mentre i detenuti erano 64.758, di cui 22.770 stranieri;
          per risolvere il problema del sovraffollamento degli istituti di pena, nonostante ad agosto, con il voto contrario del gruppo Lega Nord Autonomie, sia stato approvato il decreto cosiddetto svuotacarceri, recentemente alcuni esponenti dell'attuale maggioranza e Governo hanno proposto l'adozione di un provvedimento di indulto o amnistia;
          anche in passato altri Governi, col pretesto di risolvere l'emergenza carceraria, hanno approvato provvedimenti di clemenza, quali amnistie e indulti, ma tali strumenti si sono sempre rivelati del tutto inidonei a risolvere il problema, tanto che le carceri sono tornate in breve tempo stracolme come prima;
          come emerso anche da notizie di stampa, esistono circa 40 immobili, a tutt'oggi inutilizzati, che potrebbero invece essere facilmente impiegati quali istituti di pena per alleggerire la situazione di sovraffollamento in cui versano le attuali 205 carceri in uso;
          tra questi immobili, vi sono il carcere di Gela, costato 5 milioni di euro e consegnato all'amministrazione penitenziaria nel 2009, che ad oggi ospita solo 18 detenuti, e quello di Agrigento, dove, in un'ala che potrebbe contenere 100 detenute, ve ne sono solo sei;
          oltre a questi risultano altre carceri costruite ma mai entrate in funzione, ad esempio, a Irsina (Matera), a San Valentino (Pescara), a Morcone (Benevento), a Bovino (Foggia), ad Accadia (Foggia), a Codigoro (Ferrara), a Castelnuovo della Daunia (Foggia), a Monopoli (Bari), a Gragnano (Napoli), a Villalba (Caltanisetta) e altre ancora;
          per altri istituti carcerari risultano invece già iniziati i lavori di ristrutturazione ma ancora inspiegabilmente non completati;
          per risolvere l'emergenza carceraria, dunque, non sono necessari provvedimenti di clemenza, né provvedimenti mascherati di indulto o amnistia, come l'ultimo cosiddetto «svuota carceri», che mettono solo in pericolo la sicurezza dei cittadini, bensì esistono alternative quali, ad esempio, l'uso degli immobili sopra citati  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti;
          se non ritenga opportuno procedere all'attivazione delle strutture carcerarie sopra indicate così che si possano evitare provvedimenti di clemenza, e quali siano le sue intenzioni con riguardo all'utilizzo e alla destinazione degli immobili sopra citati. (4-02331)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BRANDOLIN e COPPOLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la compagnia Alitalia attualmente, come già in passato, è oggetto di azioni diverse da parte del Governo, volte ad assicurare un servizio di collegamento aereo di interesse nazionale ed internazionale;
          a partire dal 27 ottobre 2013 è entrato in vigore l'orario invernale del trasporto e Alitalia ha previsto alcune revisioni operative e cancellazioni di voli da/per Trieste-Ronchi dei Legionari e Roma Fiumicino;
          ciò comporterà l'eliminazione di uno dei due voli in sosta notturna a Trieste per cui alla mattina partirà e alla sera arriverà un solo volo per/da Roma, anziché due a distanza ravvicinata come avviene ora; la cancellazione di uno dei voli in sosta notturna riduce in modo sostanziale (-39 per cento rispetto all'inverno 2012/13) i posti giornalieri offerti in partenza nella primissima mattina e in arrivo a tarda sera;
          l'ultimo rientro per Roma, previsto in partenza alle 17/17,25, non risponde alle esigenze della clientela che, arrivando a Trieste da Roma alle 10,30, ha necessità di trascorrere una giornata lavorativa in regione; inoltre, vengono perse molte coincidenze a Roma Fiumicino;
          le motivazioni che si adducono sarebbero relative ad una presunta non remuneratività dei voli;
          tale motivazione non è oggettivamente credibile, attesa la notevole affluenza che i voli registrano, infatti, molto spesso sono completamenti saturati e spesso chiusi alle vendite  –:
          se in ogni caso il Governo possa rassicurare sul fatto che saranno prese tutte le iniziative necessarie per garantire una copertura della rotta adeguata alle esigenze dell'utenza non solo della regione Friuli Venezia Giulia ma anche della vicina Slovenia e Croazia. (5-01314)

INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


      FRATOIANNI. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          l'Agenzia nazionale giovani è nata per facilitare l'attuazione del programma europeo Youth in Action. L'Agenzia si occupa di facilitare il Servizio volontario europeo, gli interscambi culturali fra i giovani europei, la cooperazione e la partecipazione delle giovani generazioni alla vita democratica delle loro comunità. Il programma coinvolge oltre 200 associazioni in tutta Italia;
          dal 29 luglio 2013, l'Agenzia nazionale giovani è priva del direttore generale. Il suo Ministero non si è ancora fatto carico della sostituzione o della nomina di un vicario, per cui di fatto, l'efficienza dell'Agenzia ne risulta fortemente compromessa;
          a causa della mancanza del direttore generale o di un vicario con delega di firma, molti progetti già approvati e firmati dalle associazioni interessate risultano sospesi;
          a partire da gennaio 2014, il programma Youth in Action, di cui l'Agenzia nazionale giovani è soggetto attuatore, rientrerà nel più ampio programma Erasmus plus, secondo le linee stabilite dalla nuova programmazione europea 2014-2020; pertanto anche l'Agenzia potrebbe e dovrebbe andare incontro a modificazioni e integrazioni con le altre agenzie e soggetti attuatori dei programmi inerenti al LLP (lifelong learning programme). La mancanza di un direttore, proprio in questa fase di transizione dei programmi, di integrazione e ridefinizione delle risorse e delle linee di intervento, di riorganizzazione dell'organico dei dipendenti, è chiaramente un problema per l'Agenzia, che rischia di vedere ridimensionati i finanziamenti e le sue attività  –:
          quali misure urgenti intenda adottare il Ministro per rilanciare il ruolo dell'Agenzia e sbloccare le linee di intervento attualmente bloccate. (4-02326)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          i provvedimenti normativi adottati negli ultimi due anni da parte del Governo italiano e finalizzati ad abbassare gli elevati livelli di spesa pubblica si sono concentrati soprattutto sugli Enti locali, e sui comuni in special modo, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero senza valutare adeguatamente le politiche di gestione virtuose e senza altresì valutare adeguatamente come il concorso degli enti locali alla creazione del deficit dell'amministrazione pubblica nazionale sia stato inferiore rispetto a quello creato da livelli di governo centrale;
          il decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, ha disposto la riduzione delle risorse destinate ai Comuni per un importo pari a 2 miliardi e 250 milioni di euro per l'anno 2013, così che la situazione della finanza pubblica locale risulta pertanto estremamente complessa, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione dei trasferimenti erariali, sia per il fatto che le amministrazioni locali, proprio per sopperire a tali deficit, in numerosi casi ricorreranno all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU;
          il dipartimento delle politiche fiscali del Ministero dell'economia e delle finanze ha diffuso (31 maggio 2013) le nuove quantificazioni del gettito dell'IMU 2012 ad aliquota di base, unitamente alle conseguenti rettifiche delle attribuzioni del Fondo di sperimentale di riequilibrio, e che la revisione delle stime del gettito Imu ad aliquota di base è stata effettuata, come disposto dalla legge di stabilità 2013 utilizzando, oltre che i pagamenti IMU comprensivi del saldo di dicembre, i dati relativi ai regimi di imposta deliberati dai singoli comuni raccolti e classificati dall'IFEL;
          è evidente un rilevante scostamento tra l'ammontare complessivo della stima dell'IMU standard, valutata dal Ministero dell'economia e delle finanze in 12,252 milioni di euro, e il gettito standard effettivamente incassato dai Comuni, pari a circa 11.703 milioni di euro (-549 milioni di euro), e che tale scostamento comprende, per un importo di oltre 300 milioni di euro, il gettito virtuale dell'IMU sugli immobili di proprietà comunale che non può in alcun modo essere considerato una risorsa sulla quale operare variazioni «compensative» a favore dello Stato;
          permane ancora, inoltre, una sostanziale differenza tra la provvisoria valutazione ISTAT dell'ICI 2010 – adottata dal Governo ai fini della quantificazione delle compensazioni ICI-IMU – e la valutazione revisionata dall'ISTAT nel maggio 2012, più elevata per ben 464 milioni di euro, e che fa non considerazione del nuovo ammontare dell'ICI comporta per i comuni una perdita complessiva di 464 milioni di euro, e che la diversa quantificazione sopra descritta ha determinato, a livello di singolo comune, delle variazioni inattese del fondo al ribasso che, a bilancio 2012 chiuso, condizionano l'equilibrio dell'esercizio 2013;
          la difficoltà attuale degli enti locali è ulteriormente acuita dai fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente variabile ed incerto, soprattutto con riferimento al gettito della imposta municipale propria, e che questo ha portato al differimento del termine per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013;
          il predetto termine, secondo il Testo unico degli enti locali, è infatti di norma fissato al 31 dicembre dell'anno precedente l'esercizio finanziario, ed è stato differito per il 2013 una prima volta al 30 giugno dell'anno ad opera dell'articolo 1, comma 381, della legge di stabilità 2013 e, successivamente, al 30 settembre del medesimo anno dall'articolo 10, comma 4-quater35 del 2013;
          il decreto legge 102 del 2013 reca una ulteriore proroga, rispetto a quelle già precedentemente intervenute, del termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2013 degli enti locali, fissandolo alla data del 30 novembre 2013, facendo così coincidere tale adempimento con l'approvazione dell'assestamento di bilancio, e che l'ulteriore proroga deriva dalla necessità di consentire agli enti locali di acquisire maggior certezza sull'entità delle proprie entrate, in considerazione delle numerose modifiche legislative apportate in corso d'anno nella materia;
          il decreto-legge n.  54 del 2013 ha sospeso – per l'anno 2013 – il versamento della prima rata dell'IMU, in scadenza il 16 giugno, per determinate categorie immobiliari e che, secondo quanto previsto dal decreto-legge stesso, tale sospensione operava nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, da realizzare sulla base di alcuni principi;
          il decreto-legge 102 del 2013 tratta complessivamente una modifica sostanziale all'applicazione dell'imposta IMU così come era prevista per l'anno 2013 dalla legge di stabilità 2013, nonché ne disciplina le modalità di rimborso verso i comuni, stabilendo con precisione l'ammontare della compensazione dovuto agli enti locali in ragione della sospensione operata ai sensi del decreto-legge n.  54 quantificata in 2.327,3 milioni di euro per l'anno 2013 e di 75,7 milioni a decorrere dall'anno 2014;
          la compensazione disposta copre solo parzialmente le risorse incassate dai Comuni per il gettito IMU complessivo incassato nel 2012 che, ad aliquota standard del 4 per mille, ammontava per il comparto a circa 3,8 miliardi di euro, e che gli effetti del provvedimento intervengono di fatto a poco più di due mesi dalla fine dell'esercizio di bilancio 2013, e che mentre i Comuni che hanno già approvato il bilancio di previsione ed impegnato, quando non spese, le risorse iscritte in funzione del gettito IMU previsto ad inizio anno, i Comuni che devono ancora predisporre i bilanci preventivi non hanno ad oggi conoscenza precisa delle risorse che saranno loro a disposizione come ristoro per il mancato incasso dell'Imposta Municipale Propria, e che questo potrebbe comportare gravi situazioni di squilibrio economico finanziario nel caso in cui il rimborso non fosse in linea con le previsioni attese;
          i comuni possono modificare le predette aliquote di base (sia per l'abitazione principale che per gli altri immobili), in aumento o diminuzione, entro margini stabiliti dalla legge, ma che alla luce delle evidenti difficoltà di redigere i bilanci previsionali, e che tale situazione è peraltro resa più complessa dal fatto che a fronte della vigente normativa sugli immobili D il cui gettito da quest'anno sarà Interamente riversato nelle casse dell'erario, è presumibile supporre come, proprio a fronte di un mancato incasso come quello derivante ai Comuni dal tributo sugli edifici D, numerosi Enti locali saranno costretti ad aumentare le aliquote su tutto gli altri immobili al fine di compensare il gettito oggi mancante dalle disposizioni dello Stato centrale, determinando così un aumento della pressione fiscale a carico dei cittadini  –:
          se non ritenga opportuno, alla luce del complesso quadro normativo vigente e dell'incertezza relativamente alle risorse economiche a disposizione degli enti locali:
              a) assumere iniziative affinché la quota effettiva di rimborso da parte dello Stato verso ogni singolo comune a ristoro della soppressione dell'IMU sia determinata in modo non inferiore a quanto accertato effettivamente a consuntivo sul gettito 2012 derivante dall'applicazione dell'imposta municipale sui medesimi immobili sui quali opera attualmente la soppressione della medesima imposta, così che la norma non determini, rispetto al precedente esercizio, alcuna riduzione sui bilanci degli enti;
              b) chiarire con precisione, e comunque con congruo anticipo rispetto alla data del 30 novembre, le risorse a disposizione di ogni comune per il fondo sperimentale comunale per l'anno 2013, provvedendo alle dovute spettanze, sia per quanto concerne il fondo sperimentale comunale che la compensazione IMU, specificando altresì se i dati riferiti al Fondo di riequilibrio 2012 presenti sui sito dal Ministero dell'interno debbano considerarsi consolidati e quali iniziative si intenda adottare qualora l'ammontare di tali risorse risulti inferiore a quanto previsto incassare dai medesimo comune, stante le proprie proiezioni.
(2-00269) «Giancarlo Giorgetti, Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella notte tra venerdì e sabato 25 e 26 ottobre 2013 si è sviluppato un incendio presso la zona pip (piano di insediamento produttivo) di Bernalda che ha coinvolto due mezzi adibiti alla raccolta rifiuti;
          i vigili del fuoco hanno impiegato ben quattro ore per avere ragione delle fiamme che hanno distrutto i due mezzi;
          sulle origini delle fiamme non vi sono ancora pronunciamenti ufficiali ma non si esclude la pista dolosa;
          il metapontino e la stessa Bernalda già nel recente passato sono stati teatro di episodi che hanno destato preoccupazione circa la loro origine  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda attivare per potenziare l'azione di controllo del territorio e rafforzare i dispositivi di sicurezza e prevenzione di eventuali azioni criminose contro il patrimonio e le attività economiche. (5-01310)


      BLAZINA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          da notizie a mezzo stampa si apprenderebbe che gli Uffici immigrazione di talune questure, tra le quali quello di Trieste, avrebbero negato il rilascio il permesso di soggiorno per lungo soggiornanti ai titolari del permesso di soggiorno per lavoro infermieristico ex articolo 27 del Testo unico immigrazione, nonostante il maturare dei requisiti soggettivi previsti dalla normativa vigente, quali il soggiorno legale di almeno cinque anni, la disponibilità di un alloggio idoneo e di un reddito sufficiente, la non pericolosità sociale e l'adeguata conoscenza della lingua italiana;
          la direttiva europea n.  109/2003/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo n.  3 del 2007, prevede, infatti, che i cittadini di Stati terzi non membri dell'Unione europea, al maturare di determinati requisiti soggettivi, tra cui cinque anni di soggiorno legale nel territorio dello Stato membro, possano accedere ad un permesso di soggiorno per lungo soggiornanti;
          la motivazione di tale diniego farebbe riferimento ad un'interpretazione dell'articolo 40, comma 23, del decreto del Presidente della Repubblica n.  394 del 1999 e successive modifiche — un regolamento attuativo del testo unico sull'immigrazione — che stabilisce che «i permessi di soggiorno rilasciati a norma del presente articolo non possono essere convertiti, salvo quanto previsto dall'articolo 14, comma 5»;
          tale motivazione sembrerebbe infondata, o comunque frutto di una non corretta interpretazione: l'articolo 9, comma 3, del decreto legislativo n.  286 del 1998, infatti, non include i permessi di soggiorno per lavoro infermieristico ex articolo 27, tra quelli che non consentono l'accesso allo status di lungo soggiornante;
          tale diniego sembrerebbe anche in contrasto con lo spirito della direttiva 109/2003 e con il parere della Corte di giustizia europea, che con sentenza del 18 ottobre 2012 (causa C-402/10), ha ribadito come tale direttiva si ponga come obiettivo l'integrazione dei cittadini di Paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri e, dunque, l'accesso allo status di lungo soggiornante può essere impedito solo nelle situazioni in cui il cittadino di Paese terzo usufruisca di un permesso di soggiorno che non permette l'insediamento stabile nel Paese membro;
          va altresì ricordato che l'infermiere extracomunitario, titolare del permesso di soggiorno per lavoro infermieristico, non può ricadere tra le categorie che svolgono lavori di natura temporanea, visto che la normativa vigente gli dà la possibilità di sottoscrivere contratti di impiego anche a tempo indeterminato ed egli è assimilato agli altri lavoratori di Paesi terzi per quanto concerne la possibilità di beneficiare di un numero indeterminato di rinnovi di permesso di soggiorno, come anche di un periodo di tolleranza dello stato di disoccupazione pari a sei mesi;
          tali lavoratori danno un contributo essenziale al sistema sanitario italiano, se si pensa che solo a Trieste gli infermieri stranieri non comunitari sono all'incirca duecento  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fatto che sul territorio nazionale, presso le diversi questure, vengono date interpretazioni diverse in merito all'applicabilità della direttiva 109/2003/CE sul rilascio del permesso di soggiorno per lungo soggiornanti, il che determina un'inammissibile diversità di trattamento sul territorio italiano tra soggetti aventi gli stessi requisiti;
          se tale comportamento possa costituire una violazione dell'obbligo delle autorità italiane di conformarsi al diritto dell'Unione europea, e come intendano garantire un'uniformità di interpretazione uniforme da parte delle questure, su tutto il territorio nazionale, che sia pienamente conforme ai vincoli derivanti dalla direttiva 109/2003/CE. (5-01315)

Interrogazione a risposta scritta:


      NASTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato sul quotidiano «Il Sole-24 Ore», del 27 ottobre 2013 i centri di identificazione ed espulsione – Cie sono un modello ormai fallito, in considerazione del fatto che dai dati aggiornati qualche giorno fa, si rileva che per il numero degli immigrati clandestini 1.851 posti in tutta Italia, i migranti rinchiusi sono meno di un terzo;
          il medesimo articolo evidenzia inoltre, che la tale problematica, sotto l'osservazione del Sottosegretario per l'interno con la delega all'immigrazione Domenico Manzione, è inserita in una bozza del testo di revisione di alcune norme della legge cosiddetta «Bossi-Fini», stilato dal Ministro per l'integrazione Cecile Kyenge, in cui si ipotizza la riduzione della permanenza degli immigrati nei centri, il cui periodo andava da 6 a 18 mesi quando il titolare del Viminale era Roberto Maroni;
          i dati attuali, prosegue il suddetto quotidiano, evidenziano che, l'attuale periodo così lungo determina, secondo il parere del medesimo Sottosegretario, perdita di lucidità e di controllo degli immigrati clandestini; molti di essi peraltro sono già abituati a vivere dietro le sbarre da diversi anni; pertanto, occorre ridurre il periodo di permanenza all'interno dei centri di identificazione ed espulsione;
          i danni e la distruzione di numerose strutture, continua l'articolo del «Sole-24 Ore», quali Bari, Crotone, Modena, Bologna, Brindisi, Torino, Gorizia ed altre città dove la capienza si è ridotta della metà, a causa dei locali danneggiati e delle sedi inagibili per lavori, confermano come il periodo di permanenza all'interno dei centri di identificazione ed espulsione e la gestione di un fenomeno così complesso ed articolato come l'immigrazione clandestina nel nostro Paese impongono a giudizio dell'interrogante, un'analisi sociale ed economica rigorosa ed approfondita;
          a parere dell'interrogante, se il problema, delle condizioni drammatiche più volte denunciate negli ex Cpt, attuali centri di identificazione ed espulsione le cui strutture, seppure con nomi analoghi, sono presenti in tutti gli Stati d'Europa, risulta indubbiamente importante, appare altrettanto rilevante conoscere quale siano le eventuali nuove forme di organizzazione a livello nazionale e i tempi di permanenza, relativi ai centri di trattenimento degli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera, nel caso in cui il provvedimento non sia immediatamente eseguibile, al fine della tutela e della sicurezza del territorio nazionale e della comunità non soltanto italiana  –:
          se trovi conferma quanto esposto in premessa e come intenda delineare le nuove strutture dei centri di identificazione ed espulsione ed i tempi di permanenza, al fine di un'adeguata ed efficiente conciliazione con la tutela e la sicurezza del territorio e della comunità esistente in Italia. (4-02325)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta immediata:


      SCHULLIAN, ALFREIDER, GEBHARD, PLANGGER e OTTOBRE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          le borse di studio per la scuola primaria e secondaria e per la formazione professionale sono soggette all'imposta sul reddito;
          ai sensi dell'articolo 4 della legge n.  476 del 1984, «sono esenti dall'imposta locale sui redditi e da quelle sul reddito delle persone fisiche le borse di studio cui all'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n.  382, e gli assegni di studio corrisposti dallo Stato ai sensi della legge 14 febbraio 1963, n.  80, e successive modificazioni, dalle regioni a statuto ordinario, in dipendenza del trasferimento alle stesse della materia concernente l'assistenza scolastica nell'ambito universitario, nonché dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome di Trento e Bolzano allo stesso titolo»;
          le borse di studio per la frequenza dei corsi di perfezionamento e di specializzazione post laurea (master di primo e secondo livello) nel resto d'Italia vengono concesse dalle università e queste per legge, come indicato sopra, sono già escluse dalla tassazione; non sono, invece, esentate le borse di studio per la formazione post laurea concesse dalle pubbliche amministrazioni e nella provincia autonoma di Bolzano è l'amministrazione provinciale competente a erogare tutte le forme di borse di studio;
          ne deriva che gli studenti della provincia di Bolzano risultano penalizzati rispetto al resto d'Italia poiché possono godere di un importo ridotto della borsa di studio a causa della tassazione ad essi applicata –:
          se il Governo intenda equiparare il trattamento fiscale di tutte le borse di studio erogate dagli enti pubblici di qualsiasi natura e dagli organismi di ricerca, in modo da renderle esenti dall'imposta locale sui redditi e da quella sul reddito delle persone fisiche e consentire così agli studenti di poter usufruire dell'intero importo della borsa di studio. (3-00403)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


      RIZZETTO, ROSTELLATO, BECHIS, CIPRINI, COMINARDI, TRIPIEDI e BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          secondo le previsioni di Bloomberg new energy – il ramo «energia» della multinazionale specializzata in mass media finanziari – le fonti rinnovabili si starebbero adattando al periodo post incentivo, misurandosi con un mercato mondiale che ne vede la crescita continua;
          a livello globale, nel 2013 il fotovoltaico supererà per potenza installata l'eolico, trend confermato anche da un recente studio del Worldwatch Institute sui Paesi che sostengono le rinnovabili, passati dai 48 del 2005 a 127 nella metà del 2013;
          l'Italia nel 2011 è stato il più grande mercato mondiale di riferimento, con 18.500 occupati diretti, che arrivano a oltre 100.000 unità includendo l'indotto;
          il comparto ora è in difficoltà a causa della crisi economica e del credito, del crollo del prezzo di celle e moduli, oltre che per il raggiungimento in pochi mesi del limite finanziabile con le risorse previste dal quinto «conto energia» (6,7 miliardi di euro);
          la grave situazione in cui versa il settore è testimoniata dalle aziende Mx group di Villasanta (Monza) e Solarday di Mezzago (Milano) che realizzavano pannelli fotovoltaici, poi fallite e messe in liquidazione, come riportato il 7 ottobre 2013 dalla testata online de Il Fatto quotidiano;
          i 200 lavoratori – impiegati nelle due imprese del distretto brianzolo legato alla produzione di apparecchiature utili per sfruttare le energie rinnovabili – sono in cassa integrazione e molti di loro, principalmente quelli della Solarday, da marzo 2013 devono ancora ricevere gli assegni relativi;
          alle sopra menzionate aziende brianzole se ne aggiungono oltre 200 del distretto più importante per il settore, quello in provincia di Padova, il cui indotto coinvolge circa 5.000 persone;
          in questo contesto sarebbe opportuno sostenere il comparto garantendo la stabilità al sistema incentivante previsto dal cosiddetto «decreto ecobonus» (decreto-legge n.  63 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  90 del 2013), che proroga al 31 dicembre 2013 le detrazioni fiscali del 50 per cento per gli interventi di ristrutturazione degli edifici, inclusi gli impianti fotovoltaici, considerandone, inoltre, un eventuale innalzamento percentuale –:
          se il Ministro interrogato intenda attivare immediatamente un tavolo di concertazione, con la partecipazione delle parti sociali e delle imprese interessate, per individuare una soluzione che consenta di salvaguardare i poli produttivi sopra menzionati e il livello occupazionale, fondamentali per mantenere la competitività in un settore cruciale come quello fotovoltaico. (3-00408)


      DI SALVO, MIGLIORE, PAGLIA, LAVAGNO, RAGOSTA, BOCCADUTRI e MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          gli istituti di credito italiani, oltre ad avere venduto titoli tossici ai cittadini (si vedano i casi Parmalat e Cirio, tra gli altri) e negato il credito a famiglie e imprese, hanno remunerato con decine di milioni di euro i propri dirigenti, dopo che questi avevano realizzato truffe ed ingenti danni patrimoniali;
          i Governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno provveduto a spendere denaro pubblico in soccorso degli istituti in difficoltà (Banca popolare di Milano, Monte dei Paschi di Siena ed altri);
          la Banca centrale europea, con le due long term refinancing operation, ha prestato ad un tasso dell'1 per cento circa 230 miliardi di euro alle banche italiane;
          nella stessa legge di stabilità per il 2014, per favorire le banche, il Governo ha previsto la deducibilità sui crediti bancari, abbreviandone il periodo rispetto alla normativa precedente da 18 a 5 anni;
          è stato istituito un comitato di esperti per valutare la possibilità di rivalutare a prezzi di «mercato» le quote azionarie della Banca d'Italia possedute dalle banche, ipotizzando, inoltre, un'aliquota ridotta per l'imposta sulle plusvalenze che ne deriverebbero;
          di fronte a tali impegni finanziati con risorse pubbliche, ci si sarebbe aspettato un diverso atteggiamento da parte dei dirigenti degli istituti di credito in merito alla concessione di credito alle famiglie ed alle imprese, nonché verso i propri dipendenti;
          viceversa, malgrado tutte queste misure di favore, gli istituti di credito italiani, tramite la loro associazione di categoria, l'Abi, hanno disdetto il contratto nazionale di lavoro, proponendo per ogni istituto un contratto aziendale, ed hanno disdetto – pur in vista di piani di ristrutturazione delle principali banche – il fondo di solidarietà di categoria, attraverso il quale negli anni scorsi si sono gestiti senza eccessivi traumi più di 50 mila «esuberi»;
          i sindacati di categoria per protestare contro queste disdette hanno proclamato per giovedì 31 ottobre 2013 uno sciopero di tutta la categoria –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per ricondurre gli istituti di credito ad un comportamento più consono al loro ruolo ed alle loro responsabilità economiche e sociali, nonché affinché siano ritirate le disdette del contratto nazionale di lavoro e del fondo di solidarietà della categoria. (3-00409)


      CERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  214 del 2011, ha stabilito i nuovi requisiti per il diritto alla pensione anticipata che, per l'anno 2012, si conseguivano alla maturazione del 42o anno ed un mese di anzianità contributiva per gli uomini e al 41o anno ed un mese per le donne;
          sono comunque rimasti soggetti al regime previgente l'entrata in vigore della legge citata i dipendenti che avevano maturato i requisiti per il pensionamento entro la data del 31 dicembre 2011, sia per età, sia per anzianità contributiva di 40 anni indipendentemente dall'età, sia per somma dei requisiti di età e di anzianità contributiva («quota 96»);
          l'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n.  243, tuttora vigente, prevede, fino al 2015 in via sperimentale e solo per le donne, l'opzione per il trattamento pensionistico con il sistema contributivo se in possesso del requisito dei 57 anni compiuti e di almeno 35 anni di contributi;
          le lavoratrici del comparto scuola in possesso di tali requisiti anagrafici e contributivi, a decorrere dal 1o gennaio 2012, potevano usufruire della finestra di cui all'articolo 1, comma 21, del decreto-legge n.  138 del 2011 e accedere al pensionamento solo a decorrere dal 1o settembre 2013;
          in tale contesto il personale femminile del comparto scuola, pur avendo maturato i requisiti entro il 31 agosto 2012, è rimasto bloccato a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011 («legge Fornero») e per potere andare in pensione gran parte di tale personale ha optato per la cessazione del servizio ed il trattamento pensionistico con il sistema contributivo;
          questa scelta comporta una forte penalizzazione dal punto di vista dell'importo della pensione, basti pensare che un docente cessato dal servizio con 40 anni di contributi ma non in possesso dei requisiti anagrafici al 31 dicembre 2011, subisce una decurtazione di 6-700 euro rispetto a quanti sono andati in pensione con il sistema retributivo;
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con la nota n.  2085 del 1o ottobre 2013, ha chiesto una quantificazione degli oneri per un'eventuale estensione dal 31 dicembre 2011 al 31 agosto 2012 del possesso dei requisiti pensionistici previgenti la «legge Fornero», per coloro che volessero cessare dal servizio dal 1o settembre 2014 usufruendo del sistema retributivo;
          questo produrrebbe un'ingiusta discriminazione nei confronti di coloro che hanno optato per il regime previsto dall'articolo 1, comma 9, della legge n.  243 del 23 agosto 2004 e che hanno subito una forte decurtazione dell'assegno pensionistico –:
          se il Ministro interrogato non ritenga di adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte a sanare una situazione che presenta evidenti disparità di trattamento e che sarebbe passibile di costosi ed inutili ricorsi che vedrebbero l'amministrazione soccombente. (3-00410)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


      RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sul presupposto dell'assenza di gravi effetti collaterali sui pazienti in cura presso gli Spedali civili di Brescia in base al trattamento a base di cellule staminali messo a punto dalla Stamina Foundation e al fine di accertare la validità della suddetta metodica, il Parlamento aveva approvato il decreto-legge 25 marzo 2013, n.  24, recante disposizioni urgenti in materia di sanità, successivamente convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2013, n.  57. Detta normativa, infatti, disciplina, tra l'altro, l'impiego di medicinali per terapie avanzate preparati su base non ripetitiva e l'impiego terapeutico dei medicinali sottoposti a sperimentazione clinica. In particolare, con il comma 2 dell'articolo 2 si autorizzano le strutture pubbliche in cui sono stati avviati, anteriormente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge, trattamenti su singoli pazienti con medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali, a completare i trattamenti medesimi, sotto la responsabilità del medico prescrittore;
          il comma 2-bis, invece, prevede che il Ministero della salute, avvalendosi dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e del Centro nazionale trapianti (Cnt), promuova lo svolgimento di una sperimentazione clinica, coordinata dall'Istituto superiore di sanità, da completarsi entro 18 mesi a decorrere dal 1o luglio 2013, concernente l'impiego di medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali;
          il 10 ottobre 2013 il Ministro interrogato ha comunicato la decisione di non proseguire la sperimentazione del «metodo Stamina» a seguito del parere negativo emesso dal comitato scientifico istituito dal decreto ministeriale del 18 giugno 2013. Tale blocco nasce, a detta del Ministro interrogato, nella non garanzia della replicabilità e sicurezza del metodo e dal fatto che mancherebbero i presupposti di scientificità e sicurezza per avviare la sperimentazione clinica;
          invero il decreto ministeriale del 18 giugno 2013 in nessun modo ha attribuito al comitato scientifico il potere di operare siffatte valutazioni. In base al suddetto decreto ministeriale, infatti, i compiti del comitato scientifico erano limitati:
              a) all'identificazione delle patologie da includere nella sperimentazione;
              b) alla definizione dei protocolli clinici per ciascuna delle patologie sottoposte a sperimentazione;
              c) all'identificazione delle officine di produzione da coinvolgere nella sperimentazione tra quelle autorizzate dell'Agenzia italiana del farmaco a produrre prodotti per terapie cellulari e degli sperimentatori e delle strutture ospedaliere pubbliche e private nelle quali trattare i pazienti;
          è evidente, dunque, il palese contrasto con il decreto-legge 25 marzo 2013, n.  24, che ha già previsto un preciso iter di avvio e conclusione della sperimentazione stessa; infatti, se mediante una legge è stato possibile autorizzare la sperimentazione, ogni modifica al riguardo deve essere apportata con una legge successiva e non a seguito di un parere non vincolante e nemmeno supportato da alcuna norma di legge;
          sempre in base al decreto-legge 25 marzo 2013, n.  24, inoltre, erano stati stanziati 3 milioni di euro per la sperimentazione; ebbene, appare chiaro all'interrogante che il Ministro interrogato non può decidere unilateralmente una diversa destinazione, ma deve essere sempre il Parlamento a doversi pronunciare in proposito;
          ci si chiede, quindi, se non sia opportuno proseguire e concludere l’iter della sperimentazione del «metodo Stamina», nel pieno rispetto di quanto previsto espressamente dal comma 2-bis dell'articolo 2 del decreto-legge 25 marzo 2013, n.  24;
          non è, inoltre, chiaro, a parere dell'interrogante, su che basi sia stata scelta l'associazione Eurordis come rappresentativa di pazienti in cura o in lista d'attesa a Brescia, visto che nessuno di loro è iscritto a tale associazione; mentre è risaputo che sono certamente rappresentative dei pazienti associazioni quali il Movimento Vite Sospese, Viva la Vita Onlus, Sicilia Risvegli, Orsa, Niemann Pick ed altre;
          ci si chiede, altresì, se sia opportuno emettere un giudizio in astratto sull'efficacia della metodica Stamina senza aver mai valutato i pazienti che si sono sottoposti alle infusioni e se sia opportuno siffatto giudizio, alla luce del fatto che molti dei membri del comitato scientifico si erano espressi negativamente già precedentemente, dando prova di poca imparzialità;
          rimane invero il dato incontrovertibile che in nessun caso i pazienti sotto la cura con il «metodo Stamina» hanno avuto effetti collaterali, ma anzi molti di loro hanno riportato addirittura miglioramenti, benché affetti da malattie neurodegenerative;
          si ritiene, quindi, indispensabile garantire un'adeguata valutazione del quadro clinico dei pazienti in cura presso l'ospedale di Brescia, specie dopo le affermazioni rilasciate pubblicamente dal Ministro interrogato relative all'assenza di miglioramenti desumibile dalle cartelle cliniche dell'ospedale di Brescia, affermazioni peraltro sconfessate da una nota trasmissione televisiva –:
          ai fini di una valutazione corretta e completa del quadro clinico dei pazienti, se si ritenga opportuna l'acquisizione non solo delle cartelle cliniche in possesso degli Spedali Civili di Brescia, ma anche quelle raccolte da altri ospedali e specialisti che hanno avuto in cura i pazienti. (3-00405)


      CALABRÒ, COSTA, FUCCI, MARTI, ROCCELLA e DORINA BIANCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 16 ottobre 2013 si è celebrata la Giornata mondiale dell'alimentazione e nella prestigiosa sede della Fao in Roma si è tenuto un convegno in cui sono stati affrontati i temi della disponibilità delle risorse alimentari tanto nei Paesi in via di sviluppo, quanto in quelli economicamente più avvantaggiati;
          in Italia, come nella maggior parte dei Paesi a più alto reddito pro capite, gli sprechi di alimenti sono aumentati e parimenti è aumentato anche il numero delle persone indigenti che non hanno le risorse economiche per poter accedere in maniera continuativa ed adeguata a cibo sufficiente;
          gli sprechi avvengono sia a livello familiare, come dimostra il fatto che ogni famiglia italiana spreca, in media, 49 chili di cibo ogni anno, sia a livello di ristorazione pubblica e privata;
          durante tutta la filiera agroalimentare numerose sono le perdite dovute a vari fattori, ma è sopratutto durante la fase della commercializzazione che una notevole quantità di prodotti invenduti, ancora idonei per il consumo umano, vengono destinati alla distruzione, provocando non solo lo spreco di alimenti, che potrebbero sostenere le necessità di persone indigenti, ma anche l'aggravamento delle problematiche relative al loro smaltimento;
          recenti ricerche dimostrano che nelle strutture ospedaliere pubbliche e private accreditate si realizza un enorme spreco di cibi e di pasti, pari a circa il 30 per cento, il che incide negativamente sia sulla qualità dei servizi di ristorazione che sui costi;
          nonostante l'approvazione della legge 25 giugno 2003, n.  155, che reca «Disciplina della distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale», non sembra che sia stato pienamente raggiunto lo scopo prefissato di permettere un efficace recupero di alimenti da operatori del settore alimentare e dalle strutture pubbliche e private in cui avviene la produzione, commercializzazione e distribuzione di alimenti, ai fini della distribuzione alle persone indigenti o alle associazioni che, senza fini di lucro, hanno finalità caritatevoli –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per consentire, eventualmente tramite una modifica della sopra citata legge n.  155 del 2003, da un lato, un'effettiva semplificazione delle procedure di cessione di alimenti da parte degli operatori del settore alimentare, in particolare nell'ambito della ristorazione svolta nelle strutture sanitarie pubbliche e private, e, dall'altro, la garanzia della sicurezza degli alimenti per i consumatori finali, approntando idonee misure relative allo stoccaggio temporaneo degli alimenti stessi e affidando alle competenti strutture del servizio sanitario nazionale le opportune verifiche affinché non sia messa in alcun modo a rischio la salute degli indigenti, consentendo loro di usufruire di un bene che, altrimenti, sarebbe destinato alla distruzione. (3-00406)


      TOTARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nell'ottobre 2011 presso l'azienda ospedaliera Spedali civili di Brescia è stata avviato su alcuni pazienti il trattamento con terapia cellulare compassionevole prodotta da Stamina;
          il metodo proposto prevede la cura di soggetti malati attraverso la conversione di cellule staminali mesenchimali;
          la sperimentazione presso l'ospedale di Brescia, avviata sulla base di un accordo di collaborazione sottoscritto da Spedali Brescia e il presidente di Stamina Foundation onlus, professor Vannoni, è stata successivamente interrotta in seguito ad un'ispezione nella struttura dei nuclei antisofisticazione e sanità e dell'Agenzia italiana del farmaco, nella quale l'Aifa aveva accertato che le terapie, con medicinali a base di cellule staminali mesenchimali preparati secondo il metodo della Stamina Foundation, erano preparate in un laboratorio dello stesso ospedale non autorizzato alla produzione di tale tipologia di medicinali;
          in seguito a diversi provvedimenti giurisdizionali, in esito a ricorsi proposti dai pazienti per vedersi riconosciuto il diritto a proseguire con la cura secondo il cosiddetto metodo Stamina, e ad alcuni provvedimenti legislativi, che hanno fatto salvo il diritto degli stessi pazienti già in cura di terminare la stessa, da ultimo con il decreto-legge 25 marzo 2013, n.  24, è stato previsto che fosse avviata una sperimentazione clinica «coordinata dall'Istituto superiore di sanità (ISS), condotta anche in deroga alla normativa vigente e da completarsi entro 18 mesi a decorrere dal 1o luglio 2013, concernente l'impiego di medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali», anche vincolando, a tal fine, un milione di euro per l'anno 2013 e due milioni di euro per l'anno 2014 del fondo sanitario nazionale;
          con successivo decreto ministeriale del 18 giugno 2013 è stato istituito il comitato scientifico della sperimentazione del «metodo Stamina», incaricato di svolgere l'attività preparatoria alla stessa procedura di sperimentazione;
          tra i compiti del comitato scientifico vi era, quindi, anche quello dell'acquisizione delle modalità di preparazione, al fine di poter garantire la ripetibilità delle terapie, e il relativo documento è stato depositato dal presidente della Stamina Foundation onlus in data 1o agosto 2013;
          il 10 ottobre 2013 il dipartimento della programmazione e dell'ordinamento del servizio sanitario nazionale ha emesso una «presa d'atto su impossibilità prosecuzione sperimentazione metodo Stamina», basando la propria decisione su alcune criticità riscontrate nel citato documento e, in particolare, sulla «inadeguata descrizione del metodo», sulla «insufficiente definizione del prodotto» e su «potenziali rischi» per i pazienti;
          la decisione di sospendere la sperimentazione clinica del «metodo Stamina», ad avviso dell'interrogante, non solo contravviene ad un atto avente forza di legge approvato dal Parlamento, ma, soprattutto, desta forte preoccupazione nei malati che si stavano curando con tale metodo e nelle loro famiglie;
          il «metodo Stamina», infatti, seppur sinora non sottoposto ad una sperimentazione clinica, ha dato dei risultati in moltissimi casi, creando miglioramenti in soggetti affetti da patologie molto gravi se non addirittura malati terminali, consentendo, inoltre, agli stessi di ritrovare la speranza di guarire o, almeno, di riguadagnare una vita degna di essere definita tale –:
          se non ritenga di dover assumere con urgenza le iniziative necessarie a consentire la prosecuzione della sperimentazione del «metodo Stamina». (3-00407)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          da diversi mesi si registrano una serie di disservizi per quanto riguarda il recapito della corrispondenza presso il comune di Vaglio di Basilicata;
          il centro lucano in provincia di Potenza conta meno di 3000 anime ed è uno dei centri dell’hinterland del capoluogo;
          pochi giorni fa è stato promosso un sit in di protesta da parte di cittadini esasperati dai disservizi e la protesta è stata riportata anche dagli organi di informazione;
          anziani, esercizi commerciali, liberi professionisti, sono costretti a sobbarcarsi ore di file presso l'ufficio postale per potersi far recapitare la posta;
          sono numerosi i casi segnalati di bollette non recapitate o giunte in ritardo, a rischio di distacco di utenze di mancati richiami per controlli sanitari e per vaccinazioni;
          è la solita storia che riguarda i centri minori con una politica aziendale che dimentica la funzione «pubblica» delle poste  –:
          se intenda verificare quanto sta accadendo a Vaglio di Basilicata e assumere le iniziative di competenza per procedere ad un potenziamento del servizio postale per il recapito della corrispondenza dando risposte alla protesta della comunità. (5-01309)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BATTAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          le stazioni sperimentali per l'industria, già enti pubblici economici sotto il controllo del Ministero dello sviluppo economico, sono state soppresse dal decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, al comma 20 dell'articolo 7;
          la normativa in questione ha previsto, anche il trasferimento delle competenze delle stazioni sperimentale per industria;
          per quanto riguarda il trasferimento dei compiti, delle funzioni e delle attribuzioni della stazione sperimentale per l'industria delle essenze e dei derivati dagli agrumi di Reggio Calabria esse sono state attribuite alla Camera di commercio di Reggio Calabria;
          per quanto riguarda il trattamento del personale già dipendente degli enti soppressi, è stato disciplinato sempre dal comma 20 dell'articolo 7 del decreto legge n.  78 del 2010;
          per l'effetto di quanto esposto, i rapporti del personale già dipendente della stazione sperimentale per l'industria delle essenze e dei derivati dagli agrumi di Reggio Calabria sono passati nelle competenze della Camera di Commercio di Reggio Calabria, la quale avrebbe dovuto procedere agli adempimenti consequenziali a partire dall'adeguamento delle proprie dotazioni organiche;
          in verità ad oggi, la camera di commercio di Reggio Calabria non ha ancora provveduto a dare esecuzione a quanto disposto dal legislatore, ma ha costituito un'azienda speciale;
          la stazione sperimentale di Reggio Calabria è proprietaria di un ingente patrimonio immobiliare, costituito dalla sede dell'istituto, collocato sul lungomare della città, di circa 3.000 metri quadrati, e di un orto botanico, poco distante, di circa 7.000 metri quadrati;
          ai dipendenti della stazione sperimentale di Reggio Calabria viene ancora ad essere applicato il contratto di lavoro in essere al momento del trasferimento alla camera di commercio senza modifiche o adeguamenti conseguenti ai rinnovi che si sono succeduti nel corso degli anni;
          la CGIL di Reggio Calabria ha aperto, sin da subito, un tavolo di trattativa con la dirigenza della camera di commercio-azienda speciale, relativamente alla mancata applicazione del rinnovo contrattuale e ad altre controversie legate alla particolare situazione in cui si vengono a trovare le citate maestranze;
          il giudice del lavoro presso il tribunale di Reggio Calabria, con sentenza n.  592/2011 del 2 aprile 2011, ordinava all'azienda speciale di «istituire, nel più breve tempo possibile, il tavolo tecnico concordato all'esito dell'incontro del 4 maggio 2011 per procedere agli adeguamenti contrattuali»;
          l'azienda speciale, inspiegabilmente, a quanto risulta all'interrogante non ha dato seguito alla sentenza sopra citata, non riattivando, a tutt'oggi, il tavolo di trattativa per come disposto dal giudice del lavoro;
          nel corso del periodo di gestione della camera di commercio, si è assistito ad una sistematica riduzione del personale della stazione sperimentale di Reggio Calabria, causata sia da trasferimenti sia a causa della mancata integrazione del personale cessato dal servizio per pensionamento;
          questa situazione ha indebolito le potenzialità della struttura di ricerca tant’è che nel corso del 2012 la stazione sperimentale ora azienda speciale della camera di commercio ha perso il ruolo di autorità pubblica di controllo della Denominazione di origine protetta (DOP) del «Bergamotto di Reggio Calabria – Olio essenziale», attribuito dal MIPAAF il 15 novembre 2005 (Gazzetta Ufficiale del 29 novembre 2005);
          questo comporta un grave danno per l'attività di ricerca e promozione di un prodotto peculiare del comprensorio indebolendo tutta la filiera legata a questa particolarissima produzione  –:
          quale sia il motivo per cui ancora non si è provveduto a dare ai dipendenti un nuovo inquadramento contrattuale dopo il passaggio previsto ai sensi del decreto legge n.  78 del 2010 considerata l'esigenza di tutelare il patrimonio di know how del personale nonché di quello immobiliare in modo da consentire alla struttura di poter operare al meglio al servizio del territorio. (4-02327)


      BORGHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          Poste Italiane spa è vincolata dal Contratto Di Programma con lo Stato che prevede oneri a carico dello stesso a copertura del servizio universale;
          l'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n.  261 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni ha affidato a Poste Italiane per 15 anni (fino al 2026) il servizio universale;
          l'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni, con delibera 236/13/CONS, ha avviato un procedimento volto a valutare la congruità dei criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica attualmente vigenti e l'opportunità di una loro eventuale modifica e/o integrazione, in modo da assicurare una regolare ed omogenea fruizione del servizio universale sul territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane come richiamato nella direttiva 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 febbraio 2008;
          il servizio universale deve garantire uguali servizi in tutti i punti del territorio nazionale per un minimo di:
              a) 5 giorni settimanali per il recapito;
              b) 18 ore settimanali minime di apertura per gli uffici postali;
              c) la presenza almeno di un ufficio postale in ogni comune;
              d) standard minimi degli uffici postali nei periodi estivi;
          nel territorio montano della provincia del Verbano Cusio Ossola da anni, con un aumento inaccettabile nell'ultimo anno, il servizio universale non è più garantito in quanto sia gli utenti delle zone montane sia gli utenti cittadini non ricevono la posta 5 giorni settimanali causa l'eccessivo ricorso allo straordinario (cosiddetta flessibilità operativa: il singolo portalettere titolare di zona è tenuto alla consegna non solo della corrispondenza della zona di sua competenza, ma anche pro quota, di quella di altra zona di collega assente non sostituito dall'azienda e tale prestazione rientra all'interno dell'orario d'ufficio), tale sistema di flessibilità all'interno dell'orario di lavoro rende impossibile completare il lavoro di distribuzione della corrispondenza;
          tale organizzazione del lavoro, nonostante interrompa il servizio universale in vaste zone del VCO, è diventata quotidiana per il 15 per cento delle zone di recapito tant’è che, in caso di presenza di tutti gli operatori addetti al recapito l'azienda impone ferie d'ufficio di un giorno, ad inizio/fine settimana, per poter ricorrere alla prestazione straordinaria di flessibilità. Le parti sociali hanno fatto un AG di significazione nel 2012 per tutelare i portalettere in quanto non responsabili dell'interruzione del servizio universale dovuto alla vastità delle zone di recapito;
          nel periodo estivo gli uffici postali di Intragna, Caprezzo (Valle Intrasca) e Gurro (Valle Cannobina) non hanno garantito l'apertura minima di 18 ore settimanali per cause organizzative che non possono essere assimilate a cause di «forza maggiore»;
          è stato disatteso il piano di rimodulazione delle aperture estive giornaliere presentato all'Agcom ad aprile 2013 che, prevedeva la chiusura di 9 uffici postali mentre, nella seconda metà del mese di luglio 2013, nel VCO sono stati chiusi 28 uffici postali oltre i 9 concordati con Agcom (sul totale di 86) per un totale di 46 giorni di chiusure forzate e ridotto il servizio di alcune ore giornaliere in altri 12 uffici postali;
          le parti sociali hanno segnalato le sopra menzionate criticità con lettere del 5 luglio e agosto 2013, i sindaci hanno inviato innumerevoli rimostranze a Poste italiane;
          appare inaccettabile che tali problemi perdurino e non vi sia una risposta di Poste italiane spa in merito al proprio operato e gli obblighi connessi all'espletamento del servizio universale né una posizione di salvaguardia o ravvedimento nel VCO in quanto le chiusure degli uffici postali e il ricorso alla flessibilità operativa in sostituzione degli operatori assenti in ferie d'ufficio perdura tutt'ora  –:
          quali iniziative si intendano assumere per richiamare Poste italiane spa, soggetto interamente posseduto dallo Stato, al rispetto della convenzione sul servizio universale per meglio tutelare l'utenza in termini di affidabilità e regolarità del servizio postale in generale e universale in particolare, con particolare riferimento ai territori montani oggetto di ampia dispersione e rarefazione abitativa per i quali i sovracosti strutturali, debbono essere coperti mediante efficienze di servizio e convenzione con lo Stato;
          se si condivida la proposta che il VCO, dal 1997 sito territoriale in cui Poste italiane spa ha sperimentato per prima e continua a sperimentare i progetti innovativi, diventi sede all'avanguardia di un modello organizzativo postale che assicuri, attraverso sinergie di collaborazione con gli attori territoriali (amministratori, rappresentanti la cittadinanza e i lavoratori) una regolare ed omogenea fruizione del servizio universale incluse le situazioni particolari delle zone rurali e montane non dimenticando il forte contributo dato da queste zone alle quote di risparmio postale che servono a garantire le infrastrutture nazionali attraverso la Cassa depositi e prestiti. (4-02328)

Apposizione di firme a mozioni.

      La mozione Vezzali e altri n.  1-00151, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amoddio.
          La mozione Mongiello e altri n.  1-00158, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tentori.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

      La risoluzione in Commissione Meta e altri n.  7-00138, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tidei.

Apposizione di firme ad interrogazioni.
          L'interrogazione a risposta scritta Spessotto e altri n.  4-01934, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 settembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cozzolino.
          L'interrogazione a risposta in commissione Fedriga n.  5-01215, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rostellato.
          L'interrogazione a risposta scritta Cozzolino e altri n.  4-02256, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Spessotto.
          L'interrogazione a risposta scritta Spessotto e altri n.  4-02262, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cozzolino.
          L'interrogazione a risposta scritta Spessotto e altri n.  4-02275, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cozzolino.

Pubblicazione di testi riformulati.

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Airaudo n.  1-00164, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  65 del 5 agosto 2013.

      La Camera,
          premesso che:
              l'industria manifatturiera rappresenta il comparto economico più esposto alla concorrenza internazionale già da lungo tempo. Ciò trova causa nelle caratteristiche tecniche delle varie industrie, nelle quali non vi sono situazioni di monopolio naturale, e, comunque, nei processi di liberalizzazione del commercio dei beni avvenuti, in sede comunitaria, fin dal 1957 e sostanzialmente progrediti negli anni Settanta e Ottanta e, in sede internazionale, con l'Accordo generale sulle tariffe ed il commercio (Gatt) del 1947 e l'istituzione dell'Organizzazione mondiale del commercio del 1994;
              la progressiva riduzione dei dazi e delle altre restrizioni tecniche agli scambi ha determinato il contesto istituzionale adatto perché si potesse realizzare il libero gioco dei mercati internazionali nel selezionare i produttori più efficienti in grado di offrire i prodotti migliori e più economici;
              la ragione di un simile contesto istituzionale poggia sul processo di specializzazione e divisione internazionale del lavoro e lo favorisce contribuendo ad adeguarlo nel tempo. Di qui i vantaggi comparati nel commercio internazionale per ciascuno dei Paesi che partecipano a tali organizzazioni e la storia economica contemporanea ha dimostrato la verità di queste affermazioni: il benessere misurato in termini di crescita del prodotto interno lordo dei Paesi che aderiscono alle organizzazioni di libero scambio nel mondo e, in particolare, all'Unione europea, è andato sempre crescendo, almeno fino ad oggi;
              l'attuale crisi non dovrebbe rimettere in discussione i risultati raggiunti negli ultimi cinquantanni;
              il processo di divisione internazionale del lavoro, alimentato dall'operare della concorrenza nel quadro del commercio internazionale, ha consentito nel nostro Paese la selezione di comparti industriali vitali e duraturi nei quali si sono affermate, come protagoniste principali, le piccole e medie imprese che hanno trovato nei distretti industriali un luogo di sviluppo particolarmente favorevole;
              accanto a queste sussistono, e non vanno trascurate, realtà imprenditoriali anche di grandi dimensioni operanti come player di rilievo mondiale nei settori meccanici, aeronautici, dei sistemi spaziali e satellitari, delle apparecchiature militari, dell'ottica, dell'alimentare, delle costruzioni e della moda;
              in ogni caso, il modello delle piccole e medie imprese che esportano ha rappresentato, e rappresenta tuttora, un pilastro, stabile nel tempo, dell'organizzazione industriale del Paese, sia in termini di numero di addetti che in termini di contributo al prodotto interno lordo e di capacità di creazione di valore aggiunto;
              l'affermazione, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, di questo modello industriale fondato sulle esportazioni fu dovuta non solo all'esistenza di radicate tradizioni di eccellenza in alcuni settori (tessile, ceramica, arredamento, scarpe e pellami, moda e meccanica di precisione), ma anche a precise scelte di politica economica orientate a fornire quantomeno un quadro infrastrutturale idoneo a consentire lo sviluppo di simili attività;
              successivamente, si sono però cominciati a manifestare i segni di una sofferenza specifica di tali settori da ricondurre, in una prima fase, non tanto alla pressione concorrenziale esterna, ma essenzialmente a inefficienze del sistema economico interno;
              si pensi ai costi dell'energia che queste imprese hanno dovuto sopportare, nel corso del tempo, comparativamente maggiori di quelli pagati dai loro concorrenti specie comunitari; si pensi ai costi indotti dal sistema burocratico sempre più farraginoso, ai costi imposti dal sistema fiscale, non solo in termini di carico complessivo in senso stretto, ma anche di gestione dei rapporti amministrativi con il fisco; si pensi, ancora, al progressivo deterioramento della dotazione infrastrutturale del Paese (vie e mezzi di trasporto, logistica in generale); si consideri l'assenza di reti di collegamento tra la formazione professionale, la ricerca e le imprese, tanto più necessarie proprio perché le imprese del settore possono non raggiungere quella massa critica per esperire da sole attività di questo tipo; infine, si consideri l'insieme delle politiche industriali degli anni Settanta e Ottanta sostanzialmente a sostegno delle grandi imprese;
              l'insieme di questi fattori ha causato evidenti svantaggi competitivi alle imprese italiane del settore. Inoltre, questi impedimenti hanno assunto ormai carattere strutturale e, nella crisi, aumentano il proprio peso e ad essi si è aggiunto il problema dell'accesso al credito;
              per un certo periodo, gli svantaggi competitivi sono stati in parte compensati dalle periodiche svalutazioni della lira;
              da quando, però, non è stato più possibile ricorrere a questo strumento, a causa del progredire dell'integrazione monetaria europea, l'industria manifatturiera italiana non è stata in grado di mantenere il passo e si è assistito ad una lenta ma inesorabile diminuzione della quota delle esportazioni nazionali sui volumi delle esportazioni mondiali;
              a questo esito ha contribuito, da ultimo, l'affermazione sulla scena del commercio internazionale di nuovi agguerriti protagonisti come, ad esempio, l'India e la Cina (quest'ultima entrata formalmente nell'Organizzazione mondiale del commercio solo nel 2001). Questi Paesi beneficiano di due ordini di vantaggi: hanno la possibilità di applicare alle merci importate tariffe doganali comparativamente più alte di quelle che possono essere imposte sulle merci che essi esportano. Possono contare su costi di produzione inferiori essenzialmente a causa del minor costo del lavoro e, in genere, dei processi produttivi, che spesso non soggiacciono al rispetto dei medesimi standard di tutela ambientale e della salute che, invece, sono imposti alle imprese comunitarie;
              tra gennaio ed aprile 2013, sono 4.218 le aziende in Italia che hanno chiuso a causa della crisi. Ben 58 di queste aziende hanno dichiarato fallimento proprio nella data dell'8 aprile 2013. Si tratta del 13 per cento in più di aziende chiuse nello stesso periodo del 2012, dopo che l'anno appena passato ha segnato il triste record di fallimento di 34 aziende al giorno, cioè 1000 al mese, per un totale di 12.442 imprese che si sono arrese alla crisi;
              nel 2013 si è, quindi, passati da 34 aziende chiuse al giorno alla media di 43 imprese al giorno che dichiarano fallimento;
              le 4.218 aziende fallite di gennaio-aprile 2013 vanno ad aggiungersi ai 45.280 fallimenti registrati fra il 2009 e il 2012;
              tali cifre dipingono un quadro ancora più fosco se si pensa che nel 2007 è intervenuta una riforma della legge fallimentare che ha escluso dall'ambito di applicazione le imprese più piccole, ma il risultato, nonostante il crollo iniziale dei numeri, è stato quello di tornare ai livelli precedenti al 2007;
              l'industria soffre, dunque, in qualunque settore di ogni regione italiana;
              la Lombardia, il Veneto, il Lazio e la Campania nel 2012 sono le regioni con il numero più alto di società fallite tra il 2009 ed il 2012, secondo i dati Cerved, ma le regioni più sofferenti, se si tiene conto del rapporto tra le società fallite e quelle con bilanci in attivo, sono il Friuli Venezia Giulia e le Marche. E il trend di fallimenti sembra peggiorare nel 2013;
              la classifica stilata da Il Sole 24 Ore del numero di fallimenti regione per regione dal 2009 al 2012 (Dati Cerved group) indica: 2.817 imprese fallite in Lombardia (in aumento nel 2012), 1342 imprese nel Lazio (in aumento nel 2012), 1076 imprese in Veneto (in calo nel 2012), 1014 imprese in Campania (in calo nel 2012), 952 imprese in Piemonte (in aumento nel 2012), 866 imprese in Toscana (in calo nel 2012), 856 imprese in Emilia Romagna (in calo nel 2012), 648 imprese in Sicilia (in aumento nel 2012), 573 imprese in Puglia (in calo nel 2012), 434 imprese nelle Marche (in aumento nel 2012), 307 imprese in Abruzzo (in aumento nel 2012), 289 imprese in Calabria (in aumento nel 2012), 266 imprese in Liguria (in aumento nel 2012), 265 imprese in Friuli Venezia Giulia (in aumento nel 2012), 260 imprese in Sardegna (in aumento nel 2012), 222 imprese in Umbria (in aumento nel 2012), 144 imprese in Trentino Alto Adige (in aumento nel 2012), 52 imprese in Basilicata (in calo nel 2012), 44 imprese in Molise (in calo nel 2012) e 15 imprese in Valle d'Aosta (in aumento nel 2012);
              secondo la classifica stilata da dati Cerved group, le 10 province con il più alto numero di fallimenti sono: Milano (4.378), Roma (3.622), Napoli (2.081), Torino (1.932), Brescia (1.200), Bergamo (1.039), Bari (1.036), Treviso (995), Firenze (941) e Padova (829). Mentre le province con la più alta incidenza di fallimenti risultano essere: Pordenone (5,9 per cento), Teramo (5,3 per cento), Ancona (4,9 per cento), Vibo Valentia (4,8 per cento), Verbano (4,5 per cento), Mantova (4,5 per cento), Rovigo (4,4 per cento), Catanzaro (4,3 per cento), Crotone (4,2 per cento), Udine (4,2 per cento);
              numerosissime, inoltre, le aziende in crisi operanti nel settore manifatturiero in Italia. Nel Nord-Italia, in Lombardia ad esempio: la Schneider di Guardamiglio, la Giannoni di Santangelo Lodigiano, la MAC, la Bessel, la E.R.C. la Bettini, la Bonaiti, l'azienda Eicasting, la RSI, la VMC, la Riva Acciaio, l'Algat, l'Alko Kober, la Beco, la Camusso Tubi, la Castelli Pietro, la Defremm, la Helman, la Lucchini, la M.D.S., la Faip, la Koch, la Manni Sipre, la Carlo Colombo, la Faital, la S.I.B., la CAME, la Doppio Vetro, la ATP, la Coven, la Autorotor, la Stiliac, la Veryflon, l'azienda Anghinetti, la VA.RE.L, la LTE Solution, l'ORT Italia (settore metalmeccanico), la Brandt Italia (settore elettrodomestico), l'Alnor (profilati in alluminio), Rubinetterie Flero-Teorema (rubinetterie), Consorzio Agrario, ex Polenghi ora Newalat, Spumador, Cantine Soldo, Azienda Agricola Lombarda, Caseificio Meneghini (settore agroalimentare), Coop. Serramenti Dolcini di Codogno (serramenti), Zucchi, Dresser Cubo gas, Dresser misuratori, valt logistic, techinick, alexia, Altex, Calzificio il Gabbiano, Tintoria Europea, Tintoria Sonia (settore tessile), Scarne Mastaf, CF Gomma, Fapes, Bienne, Dinoplast, Taba, Luben Plast, Fb Tecnopolymeri (settore della gomma-Plastica), Invatec, Dott, Tamoil, Coim, Solchim, Abibes (chimica), Sedileexport (legno), Monier, Fornaci Laterizi Danesi (laterizi) Nicma, Compass (indotto Iveco), Cabloelettrica, subfornitore della Fiat (elettrica), Brasilia (macchine da caffè), Sea, Riello, Herte, Siderval, ring mill, fic, valtecne (imprese varie). Nel Centro-Italia, e segnatamente in Abruzzo: la Pilkington (settore vetro), Ex Air One Manutenzione di Pescara, ex Micron (Microprocessori) di Avezzano, il Polo elettronico dell'Aquila (nel settore informatico), la Golden lady e la Sixty (nel settore tessile), la Solvay (nel settore chimico), la Real Aromi (produzione di liquori), la Honda (moto), la Cartiera di Chieti (produzione di carta). E, infine, in Campania, come la FOS-Fibre ottiche, la Treofan, l'Alcatel, l'azienda Amato, per non parlare del comparto ceramica, del comparto dell'agroindustriale (Conservieri-Pastifici-Scatolifici e trasformazione prodotti agricoli), del comparto metalmeccanico (Brollo-Landys e Gir-Ideal Standard Fatmel) e, infine, del settore tessile (MCM);
              venendo poi alla regione Puglia, si segnala come in quattro anni, dal 2009 al 2013, si siano perse, solo in questa regione, ben 2.360 attività manifatturiere, pari all'11,7 per cento in meno. Ne esistevano 20.146 e, oggi, sono solo 17.786, rappresentando il 23,6 per cento circa della totalità delle imprese artigiane (circa 75.376). È questo quanto emerge dalla prima indagine congiunturale sull'artigianato manifatturiero, condotta dal Centro Studi di Confartigianato Imprese Puglia, secondo cui il settore vacilla sotto i colpi della crisi, le aziende chiudono, la produzione è quasi ferma, la domanda interna è scarsa, le esportazioni frenano e l'erogazione del credito è sempre più rarefatta. In particolare, le ditte e le società che si occupano di confezioni di articoli di abbigliamento sono crollate del 27,9 per cento. Prima erano 2.668, oggi sono solo 1.923, con un saldo negativo di 745 unità. Le fabbriche di mobili sono diminuite del 24 per cento (da 915 a 695). Il saldo è negativo di 220 unità. In questo comparto sono comprese numerose attività che rappresentano quasi tutte le tipologie di mobili (soggiorno, letto, cucina, ufficio, materassi ed altri), con una prevalenza per le poltrone e i divani. L'industria del legno e dei prodotti in legno e sughero conta 401 attività in meno, pari al 17,3 per cento in meno (da 2.313 a 1.912). Il settore comprende imprese che svolgono attività molto diverse tra loro: si tratta, in prevalenza, di produzioni di infissi o altri manufatti di falegnameria destinati all'edilizia a cui si affiancano altre lavorazioni che vanno dal taglio e la piallatura del legno, alla produzione di semilavorati sino alla fabbricazione di imballaggi. Segue l'industria tessile che ha perso 110 imprese, con un tasso negativo del 16,9 per cento (da 652 a 542). Le fabbriche di «altri prodotti della lavorazione di minerali» sono diminuite del 9,7 per cento: da 1.276 a 1.152. Ce ne sono 124 in meno. Si contano 329 fabbriche di prodotti in metallo (esclusi i macchinari) in meno rispetto a quattro anni fa (da 3.504 a 3.175). In termini percentuali, il 9,4 in meno. Ciò racchiude, prevalentemente, le unità che operano nella produzione di elementi da costruzione affiancate da lavorazioni di trattamento e rivestimento del metallo; poco significativa la metallurgia. Nello stesso quadriennio (2009-2013), la stampa e riproduzione di supporti registrati scende di 65 unità, pari al 7,6 per cento (da 857 a 792). Le altre industrie manifatturiere si sono contratte, in media, del 6,7 per cento (da 2.003 a 1.869). Questo settore è residuale rispetto ai precedenti e, di conseguenza, è molto variegato: le produzioni più significative sono quelle della lavorazione di minerali non metalliferi (vetro, ceramica, pietre) e della cartotecnica (stampa e lavorazione della carta e del cartone). Da segnalare anche le produzioni di attrezzature mediche e dentistiche, le lavorazioni di gioielleria e oreficeria, l'installazione, manutenzione e riparazione di macchinari industriali. Nel complesso, in collusione, gli indicatori congiunturali più rappresentativi dell'artigianato (produzione, ordinativi e fatturato) evidenziano segni negativi, con un netto peggioramento negli ultimi trimestri. Le difficoltà di mercato hanno indotto numerose imprese ad avviare processi di trasformazione orientati verso produzioni a valore aggiunto maggiore. Negli altri casi, invece, si assiste ad una riduzione dell'attività produttiva in termini di volume della produzione e addetti impiegati. La provincia di Bari, se confrontata con le altre, ha sofferto in modo più intenso gli effetti della recessione. Le imprese manifatturiere del capoluogo regionale, infatti, sono diminuite del 13,9 per cento (da 9.209 a 7.926). Segue Lecce che ha perso 569 attività (-11,2 per cento), Foggia 252 unità (-9,8 per cento), Brindisi 157 aziende (-9,6 per cento) e Taranto 99 società (-6 per cento);
              accanto al preoccupante fenomeno dei fallimenti e delle crisi aziendali che stanno fiaccando il sistema delle imprese italiane, un nuovo fenomeno, per certi aspetti più allarmante, sta emergendo con evidenza: ovverosia il numero in costante crescita delle aziende che scelgono la via della liquidazione volontaria. Un fenomeno entrato con prepotenza dall'autunno 2012 nelle analisi del Cerved, il leader nel settore business Information, che ha rilevato come nel 2012 le chiusure di aziende con i conti in ordine siano state 45mila con un incremento del 16 per cento sul 2011. Quel che allarma è la progressione costante degli imprenditori che, di fatto, rinunciano ad andare avanti con la loro attività e gettano la spugna;
              in sostanza, ci si trova in presenza di aziende che hanno bilanci in ordine, come per esempio la Cagiva recentemente acquistata dagli austriaci, che non hanno ferite aperte sul fronte dell'eccessivo indebitamento e che, ciononostante, chiudono per svariati motivi legati alle difficoltà connesse al passaggio generazionale, alla volontà di aprire all'estero, ma anche e soprattutto a ragioni che derivano dalla sfiducia generalizzata degli imprenditori per le prospettive future;
              la debolezza del sistema industriale italiano dipende da molteplici fattori quali; gli eccessivi costi dell'energia; un sistema fiscale farraginoso e tendenzialmente spostato sulle imprese e sulle famiglie; un'insufficiente dotazione infrastrutturale con particolare riguardo ai settori del trasporto, della logistica e della banda larga; una burocrazia lenta e ridondante; uno scarso collegamento tra formazione, ricerca e imprese; un costo elevato dei servizi bancari, delle assicurazioni, delle professioni e dei servizi in genere; un mercato del lavoro ancora troppo caratterizzato da un'occupazione scarsamente posizionata nei settori tecnologici e della green economy, nonché infine il permanere di forti squilibri territoriali;
              ciò che impedisce realmente una sensibile ripresa del nostro Paese è per altro dovuta alla limitata incidenza dell'intervento pubblico;
              con riferimento al settore energetico: l'Italia deve stare al passo con gli ambiziosi obiettivi europei individuati nel pacchetto clima-energia e, dato che il Paese soffre di un gap consistente dovuto all'elevato costo dell'energia rispetto ad altri competitori europei, in tale contesto le micro e piccole imprese hanno un ulteriore svantaggio nei confronti delle imprese di più grandi dimensioni. Inoltre, il costo dell'energia è stato segnalato come elemento strutturale di debolezza anche del mercato dei filati e delle calze, laddove in Italia si paga circa il 20-30 per cento in più degli altri concorrenti e rispetto alla Francia quasi il doppio;
              per il rilancio del settore manifatturiero, particolarmente sentito è indubbiamente il tema del credito. Le banche sono, infatti, determinanti per rendere la crisi meno profonda e duratura, ma non si considera ancora raggiunto l'obiettivo di conciliare il necessario equilibrio economico e patrimoniale con il sostegno finanziario alle imprese. I punti più critici sono innanzitutto la quantità di credito, che attualmente viene allocata sull'economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese e anche sulle famiglie, e il costo di tale credito;
              sul versante della fiscalità è stata da più parti sottolineata l'esigenza di misure eccezionali sul piano della riduzione del carico fiscale e contributivo, volte a garantire la sopravvivenza delle piccole e medie imprese;
              con riferimento alle problematiche relative all'effettiva implementazione dei distretti industriali nel nostro Paese, appare quanto mai necessario approvare provvedimenti volti ad agevolare le filiere produttive, in particolare per alcuni comparti, quali, ad esempio, il tessile-abbigliamento-calzaturiero, che risentono di situazioni di crisi «settoriali» precedenti a quella internazionale iniziata nella seconda metà del 2008;
              per quanto riguarda l'occupazione, il tema centrale è il sostegno al reddito in caso di perdita del lavoro e, più in generale, l'adozione di un progetto nazionale innovativo per il medio termine, nell'ambito del quale si possano individuare alcune priorità che puntino innanzitutto all'obiettivo primario della stabilità sociale e della valorizzazione della persona nel quadro di un intervento reale per il rilancio del Paese nel contesto europeo e internazionale, di cui la nota vicenda Ilva rappresenta un banco di prova di altissimo profilo, dalla cui risoluzione dipenderà il futuro non solo dell'Italia, ma probabilmente dell'intera costruzione europea di cui l'Italia è parte integrante, con l'annunciato piano europeo per l'acciaio ed il rilancio del settore manifatturiero;
              l'Italia è, inoltre, un Paese debole sotto il profilo dell'innovazione tecnologica, come emerge da alcune statistiche dell'Unione europea, soprattutto nei settori ad alta e medio-alta tecnologia. Un'ulteriore caratteristica distintiva del mondo italiano dell'innovazione è stata individuata nella debolezza della finanza specializzata per l'innovazione, una carenza di venture capital, per la quale si auspica un ruolo di maggior rilievo;
              dovrebbe essere, inoltre, sottolineata l'importanza strategica della ricerca e della formazione, per puntare sulla qualità dei prodotti e non sul semplice abbattimento dei costi di produzione; si propone, pertanto, la valorizzazione della ricerca universitaria, con particolare riferimento al trasferimento tecnologico e ai rapporti pubblico/privato;
              per quanto attiene alle problematiche relative alla semplificazione normativa, deve essere sottolineata la necessità di procedere sulla via della semplificazione normativa e amministrativa, attraverso uno snellimento burocratico effettivo ed efficace, prevedendo una fase finale in cui sia chiara la responsabilità della decisione, anche contro le indicazioni provenienti da altri enti;
              è emerso peraltro, e specie in questo ultimo decennio, il ruolo chiave della chimica per lo sviluppo economico e per il benessere, poiché dalla chimica sono rese disponibili in continuazione sostanze, prodotti, materiali innovativi e nuove soluzioni tecnologiche per tutti i settori economici. L'Italia, come previsto dall'Unione europea, deve promuovere un'industria chimica orientata alla sostenibilità. Per conseguire questo obiettivo, è necessario sostenere sia l'innovazione e la ricerca, che la qualità normativa e una corretta implementazione e applicazione della medesima. La chimica di base vive forti difficoltà, non solo a livello italiano, ma anche europeo. In Italia è stata incrementata la chimica fine, la chimica delle specialità, la chimica di formulazione, fondamentali perché più vicine al mercato. È, tuttavia, necessario intervenire per eliminare alcuni condizionamenti che pesano sulla chimica italiana per restituire competitività alle imprese attraverso: una politica industriale finalizzata a introdurre normative meno penalizzanti e in linea con quelle europee, la riduzione del costo dell'energia, le infrastrutture e il sostegno alla ricerca e, infine, l'avvio veloce di progetti di ricerca, con l'eliminazione delle barriere normativo-burocratiche che bloccano i programmi delle imprese;
              il settore delle macchine soffre di debolezze strutturali che rendono difficile la sperimentazione di idee coraggiose. E, dunque, indispensabile operare per rafforzare il sistema fieristico e di promozione all'estero, attraverso il coordinamento delle diverse iniziative, dando vita a un sistema di cooperazione comunitario, che aggreghi imprese costruttrici di beni strumentali, ma anche utilizzatori, centri di ricerca e università, finalizzato alla condivisione della conoscenza già esistente e allo sviluppo di nuove soluzioni tecnologiche;
              per quanto, infine, riguarda l'industria farmaceutica, si ritiene, in primo luogo, necessario incrementare gli investimenti delle imprese internazionali nel nostro Paese, un settore che non delocalizza ma, al contrario, può creare sviluppo,

impegna il Governo:

          ad adottare un programma nazionale che punti al rilancio del settore manifatturiero attraverso l'adozione di molteplici iniziative volte a:
          a) realizzare una politica energetica più concorrenziale, in linea con le direttive dell'Unione europea, fondata sull'efficienza e sul risparmio energetico, sulla diversificazione delle fonti, sulla riduzione dei combustibili fossili, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, sul potenziamento delle infrastrutture;
          b) riallocare le energie lavorative sui livelli più alti della filiera produttiva e sui livelli più raffinati dal punto di vista tecnologico;
          c) ottenere un effettivo snellimento burocratico, in un contesto caratterizzato da un eccesso di leggi, scarsità o duplicazione dei controlli, sovrapposizione di competenze;
          d) ridurre il carico fiscale e contributivo per liberare risorse da destinare alla produzione e al lavoro;
          e) sostenere concretamente la domanda interna procedendo velocemente alle liberalizzazioni dei settori protetti;
          f) allentare il patto di stabilità interno per rilanciare, in particolare, il settore dell'edilizia, garantendo, al contempo, un migliore utilizzo dei fondi strutturali europei;
          g) modernizzare il sistema produttivo con lo sviluppo delle tecnologie ambientali e dei servizi sociali, settori che possono offrire interessanti sbocchi occupazionali;
          h) adottare con urgenza specifiche misure di rilancio della politica industriale, affinché Finmeccanica modifichi la propria strategia industriale attraverso investimenti ed anche con trasferimento di tecnologie dal militare al civile, fermando qualsiasi ipotesi di cessione degli asset civili, a partire da AnsaldoBreda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e BredaMenariniBus, così da garantire che le scelte della società vadano nella direzione dello sviluppo e del rilancio produttivo dei settori e degli stabilimenti che rappresentano un'importantissima risorsa strategica per il Paese;
          i) adottare con urgenza specifiche misure volte a riqualificare il trasporto pubblico, utilizzando BredaMenariniBus e Irisbus, evitandone la chiusura, come polo di sviluppo della mobilità pubblica, nonché a porre in essere ogni atto di competenza volto a far sì che la Fiat condivida e persegua pienamente e chiaramente con l'Esecutivo ed il Paese impegni concreti in Italia in termini di investimenti, prodotti, allocazioni di risorse e tutela dell'occupazione, al fine di non rischiare di perdere, come nel caso di Finmeccanica, importanti segmenti di produzione industriale in Italia;
          ad adottare specifiche iniziative normative volte a:
              a) rivedere la disciplina che prevede l'annullamento dell'imposizione fiscale per le attività che superano la soglia dei duecentomila kilowattora al mese, a discapito delle attività che operano al di sotto di tale soglia;
              b) sostenere la competitività delle imprese nazionali con una politica mirante a una maggiore differenziazione delle fonti energetiche e a ridurre, in particolare, il differenziale di costo del gas naturale (metano), rispetto ai competitori europei, che penalizza pesantemente le imprese industriali energivore;
              c) favorire la concorrenzialità nel mercato del gas e nell'accesso alle reti, per garantire una maggiore pluralità e differenziazione sul lato dell'offerta, in modo da ridurre il costo del gas, principale materia prima di molte industrie manifatturiere, in particolare di quella delle ceramiche;
              d) rendere più moderne e trasparenti le relazioni tra banche e imprese, consentendo alle singole aziende di beneficiare di condizioni dipendenti dalla propria qualità creditizia, senza dover scontare inefficienze di altri;
              e) garantire la sopravvivenza delle piccole e medie imprese anche tramite: 1) la sospensione degli acconti fiscali; 2) il versamento dell'iva a fattura incassata, in particolare nei contratti di subfornitura; 3) l'abolizione dell'Irap o, in subordine, la diminuzione della percentuale di acconto dell'Irap, la deducibilità totale degli oneri finanziari ai fini Irap, la previsione della deducibilità totale o parziale dell'Irap dall'Ires e dall'Irpef; 4) l'aumento della deducibilità degli interessi passivi ai fini Ires; 5) la revisione del patto di stabilità interno al fine di liberare risorse per gli investimenti degli enti locali; 6) gli sgravi fiscali per gli investimenti sui beni strumentali compresi la ricerca e l'innovazione; 7) il ridimensionamento della portata degli studi di settore, riguardo agli accertamenti automatici nei quali debbono concorrere più elementi, rivedendo i metodi di calcolo ed i moltiplicatori per tener conto del peggioramento dell'andamento dell'economia;
              f) tutelare le risorse umane, adottando provvedimenti premianti non solo verso le aziende che assumono, ma anche verso le aziende che mantengono inalterati i livelli occupazionali;
              g) sostenere il made in Italy, anche attraverso l'adozione di apposite iniziative, anche normative, volte ad introdurre l'etichettatura dei prodotti made in Italy con obbligo di codice a barre e certificazione igienico-sanitaria e di sicurezza dei prodotti provenienti da Paesi non facenti parte dell'Unione europea, incentivando, al contempo, l'aggregazione tra imprese al fine di intervenire sull'assetto dimensionale del tessuto produttivo;
              h) intervenire sull'Unione europea per promuovere, su scala mondiale, l'adozione di standard di reciprocità a livello sociale e ambientale, per evitare fenomeni di dumping, e affinché gli Stati membri del WTO rimuovano le barriere non tariffarie che ostacolano l'accesso ai mercati;
              i) promuovere un tessile «etico» per rilanciare i distretti del tessile attraverso il sostegno alle imprese che producono tipi di tessuto senza emissione di gas ad effetto serra, l'innovazione e la formazione, con particolare riguardo alla realizzazione dei «tecnopoli»;
              l) destinare maggiori risorse agli ammortizzatori sociali, con particolare riferimento ad interventi di prolungamento della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, alla cassa integrazione in deroga, soprattutto per le imprese artigiane, e ai contratti di solidarietà;
              m) rendere più spedite le procedure di accesso da parte delle imprese agli strumenti di sostegno del reddito;
              n) sostenere la domanda interna di consumo attraverso un'ampia defiscalizzazione dei redditi di lavoro e del salario di produttività;
              o) adottare maggiori interventi a favore dei giovani alla prima occupazione e del reimpiego di chi ha perso il lavoro, soprattutto attraverso iniziative di formazione;
              p) ridimensionare nel settore dell'innovazione tecnologica gli incentivi individuali, modesti ma diffusi, spostando le risorse pubbliche sulla costruzione di grandi reti di collaborazione con radicamento locale;
              q) rafforzare la finanza specializzata per l'innovazione, anche attraverso l'azione delle fondazioni bancarie più radicate nei territori;
              r) promuovere costantemente la ricerca universitaria con maggiori potenzialità di ricadute sull'innovazione economica, per aumentare le attività di spin off e il numero di imprese coinvolte nei processi innovativi con le università;
              s) prevedere incentivi premiali per le università che investono maggiormente nei rapporti con l'economia locale;
              t) promuovere la ricerca di frontiera con finanziamenti adeguati, concessi con rigorosa valutazione di merito;
              u) favorire la competizione tra progetti di aggregazione costruiti volontariamente da imprese e mondo dell'università;
              v) collegare maggiormente le università meridionali con le imprese, evitando la distribuzione a pioggia dei fondi europei;
              z) prevedere incentivi fiscali per il trasferimento tecnologico a beneficio delle imprese che investono in azioni di trasferimento di conoscenza scientifica e tecnologica di origine pubblica;
              aa) prevedere finanziamenti o cofinanziamenti di nuovi centri realizzati anche in partnership pubblico-privato, dotati di strutture di trasferimento tecnologico e di trasferimento di conoscenza ed operanti per la massimizzazione dei risultati della ricerca;
              bb) fare chiarezza nel campo delle società spin-off, superando la legge finanziaria per il 2008 che, all'articolo 3, comma 27, ha vietato alle amministrazioni pubbliche di costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, e di mantenere o assumere partecipazioni direttamente o indirettamente, anche di minoranza, in tali società;
              cc) modificare il codice della proprietà industriale al fine di consentire una migliore gestione dell'invenzione nella ricerca pubblica, tutelando gli inventori e aumentando la capacità di trasferimento, in linea con quanto accade negli altri Paesi;
              dd) rendere efficienti i procedimenti amministrativi, evitando il meccanismo dello spoil system che crea una stretta dipendenza dell'alta dirigenza dal potere politico, puntando alla separazione tra responsabilità politica e responsabilità amministrativa;
              ee) disciplinare ed affrontare in modo organico e risolutivo il fenomeno della cosiddetta obsolescenza programmata dei prodotti commerciali, ovvero quel fenomeno in forza del quale un bene tecnologico – hardware o software – è deliberatamente progettato dal produttore per durare solo per un determinato periodo, al fine di imporre la sua sostituzione con un nuovo prodotto, più efficiente e funzionale, la cui carica innovativa viene pianificata in precedenza;
          ad attuare quanto previsto dal presente atto di indirizzo anche attingendo eventualmente alle seguenti fonti di finanziamento:
              a) la tassazione progressiva sui grandi patrimoni immobiliari oltre gli 800.000 euro;
              b) l'aumento delle aliquote del prelievo erariale unico sugli apparecchi da intrattenimento;
              c) l'aumento dei canoni di concessioni radiotelevisive;
              d) l'incremento del 15 per cento dell'aliquota dei capitali scudati;
              e) l'aumento della ritenuta sui redditi delle rendite finanziarie fino al 23 per cento;
              f) il definanziamento dei costi del programma F35, nonché i costi del programma di acquisto dei sommergibili, considerato che con riferimento a questi ultimi, dal Documento programmatico pluriennale per la difesa per il triennio 2013-2015, è previsto un impegno di spesa pari a circa 190 milioni di euro per l'anno 2013, a circa 152 milioni di euro per l'anno 2014 e a circa 113 milioni di euro per l'anno 2015, e che l'onere complessivo del programma è di circa 1.885 milioni di euro;
              g) l'adozione di nuove disposizioni per l'emersione di materia imponibile e contributiva con riferimento agli immigrati privi di permesso di soggiorno;
              h) l'eventuale soppressione di alcune misure di agevolazione fiscale eccessive e, comunque, non idonee ad incidere negativamente dal punto di vista redistributivo sul prelievo dei soggetti interessati, avviando, sin da subito, una seria ricognizione e revisione delle spese fiscali attuali, anche alla luce del fatto che l'ammontare complessivo degli effetti dei 263 regimi agevolativi indicato nell'allegato A del bilancio di previsione del 2013 è pari a 156.231 milioni di euro per il 2013, a 156.168 milioni di euro per il 2014 e a 155.423 milioni di euro per il 2015.
(1-00164)
    (Nuova formulazione)    «Airaudo, Lacquaniti, Ferrara, Giancarlo Giordano, Migliore, Di Salvo, Matarrelli, Placido, Aiello, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Fava, Fratoianni, Kronbichler, Lavagno, Marcon, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Benamati ed altri n.  1-00225, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  107 del 29 ottobre 2013.

      La Camera,
          premesso che:
              l'Italia sta pagando un prezzo molto alto alla profonda e lunga recessione il cui impatto sull'apparato manifatturiero è stato devastante;
              l'Italia è ancora un grande Paese sviluppato, con un tessuto manifatturiero di livello mondiale ma numerosi indicatori evidenziano il costante arretramento nel contesto internazionale;
              è dei giorni scorsi la notizia che l'Italia è scivolata dal quinto posto conquistato nel 1986 all'attuale nono posto tra i Paesi del mondo con un maggior prodotto interno lordo;
              dopo la Cina nel 2000 e il Brasile nel 2010, la Russia è cresciuta posizionandosi sopra il nostro Paese che, fra non più di cinque anni, rischia di essere scavalcato da Canada e India ed estromesso anche dai primi dieci;
              la crisi ha distrutto una parte importante del potenziale manifatturiero, oltre il 15 per cento con una punta del 40 per cento negli autoveicoli e cali di almeno un quinto in 14 settori su 22 (dati Centro studi Confindustria);
              l'Italia resta tra i maggiori Paesi che producono ricchezza ma perde costantemente posizioni nei confronti dei Paesi emergenti, in particolare dei cosiddetti BRICS, e vede ampliare il gap nei confronti degli altri Paesi maggiormente sviluppati che pure soffrono, ma in misura inferiore all'Italia la riduzione delle loro quote percentuali di prodotto interno lordo mondiale;
              tra il 2007 e il 2012, inoltre, la caduta di occupati nel manifatturiero è stata pari a 539.000 unità, superando in tal modo la caduta di 490.000 rilevata tra il 1990 e il 1994 e rischiando di superare quella registrata tra il 1980 e il 1985 (-724.000);
              anche le aziende manifatturiere più sane sono a rischio a causa del credit crunch, che per l'industria ha determinato una riduzione dei prestiti del 10,1 per cento (-26 miliardi di euro) tra il 2011 e il 2013;
              nel manifatturiero la disponibilità di liquidità è risalita negli ultimi mesi, ma resta molto ridotta rispetto alle esigenze operative e le aziende continuano a prevedere liquidità in calo;
              l’export italiano, prima della crisi, si basava su un settore manifatturiero la cui vasta gamma di prodotti era in grado di generare un elevato valore negli scambi con l'estero; per tornare ai livelli pre-crisi, sarà necessario ricreare interi pezzi del manifatturiero nazionale che, tra delocalizzazioni, fallimenti e chiusure è diminuito tra la fine del 2007 e la fine del 2012 dell'8,3 per cento, con un saldo, tra imprese nate e imprese cessate, di -32 mila;
              nonostante ciò, l'unico dato positivo viene proprio dall’export e dalla competitività delle imprese italiane sui mercati esteri, con un aumento del 5 per cento del valore delle esportazioni (nel complesso stimato a oltre 470 miliardi di euro nel 2012) e a una contrazione delle importazioni grazie ai quali, nell'anno appena concluso, il nostro Paese ha conseguito un saldo commerciale positivo di circa 10 miliardi di euro, risultato che non veniva raggiunto da circa 10 anni;
              il sistema produttivo italiano si compone di pochi grandi gruppi industriali, la cui dimensione è mediamente inferiore a quella dei loro competitori esteri, ed è caratterizzato da un alto numero di piccole e medie imprese fortemente dinamiche e flessibili ma più esposte ai danni di una lunga recessione;
              la presenza di grandi imprese manifatturiere capaci di competere a livello internazionale è un pilastro fondamentale della politica industriale, anche per sostenere le piccole e medie imprese e accrescere la competitività del sistema messo a dura prova dall'apertura dei mercati e dall'altissimo livello di concorrenza sul piano globale;
              nonostante il rallentamento della domanda internazionale l’export rappresenta ancora oltre la metà del fatturato delle imprese dei distretti, ad essi fa riferimento ancora oggi più di un quarto delle vendite estere;
              malgrado le difficoltà, queste realtà produttive hanno realizzato un risultato complessivamente positivo nel 2012 e per il 2013 il 37,4 per cento delle imprese appartenenti alle filiere distrettuali attende un andamento crescente delle esportazioni;
              alla tenuta dell’export, si accompagna tuttavia una domanda interna ancora in forte contrazione che porta a un calo stimato del fatturato complessivo a chiusura del 2012 pari a -2,8 per cento, solo in parte bilanciato dalla debole ripresa prevista nel 2013 (+1,1 per cento);
              sono ancora molto consistenti (47) i distretti che nei primi nove mesi del 2012 hanno superato i livelli di export registrati nel 2008, prima della crisi: di questi ben 17 appartengono al comparto abbigliamento moda, 13 al comparto alimentare e 9 all'automazione meccanica; inoltre, 20 distretti hanno aumentato l’export del 2008 più del 20 per cento, con punte dell'80 per cento per i prodotti dell'industria casearia di Parma, del 77 per cento per l'elettronica di Catania, del 35,9 per cento per la pelletteria fiorentina;
              le potenzialità del manifatturiero italiano basato in larga parte sulla forza del made in, non possono fare dimenticare la debolezza del sistema che si può far risalire a molteplici fattori:
              gli eccessivi costi dell'energia;
              un sistema fiscale farraginoso e tendenzialmente spostato sulle imprese e sulle famiglie;
              un'insufficiente dotazione infrastrutturale con particolare riguardo ai settori del trasporto, della logistica e della banda larga;
              una burocrazia ancora troppo lenta;
              uno scarso collegamento tra formazione ricerca e imprese;
              un costo elevato dei servizi bancari, delle assicurazioni, delle professioni e dei servizi in genere;
              un mercato del lavoro ancora troppo caratterizzato da un'occupazione scarsamente posizionata nei settori tecnologici e della green economy;
              il permanere di forti squilibri territoriali tra Nord e Sud;
              è necessario impostare un'adeguata politica industriale investendo sui settori più importanti dalla produzione di macchinari, alla meccanica di precisione, al settore dell'auto e avionico, al settore metallurgico e dell'acciaio, al settore della chimica fine e intermedia, a quello dell'abbigliamento, del mobile, all'agroalimentare;
              il rilancio del settore manifatturiero è il perno di una ripresa che non potrà essere realizzata senza affrontare le debolezze strutturali e le arretratezze che limitano il dinamismo del sistema, assicurando riforme, strumenti innovativi e risorse in grado di avviare un nuovo ciclo di crescita basato sullo sviluppo dell'occupazione, sulla compatibilità ambientale e sociale, sull'internazionalizzazione dell'apparato produttivo, sull'attrazione degli investimenti esteri, riposizionando l'Italia all'interno dell'economia globale, con le proprie peculiarità imprenditoriali e creative,

impegna il Governo:

          ad attuare un programma nazionale di politica industriale che punti al rafforzamento del sistema produttivo ed all'innalzamento della competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali;
          per quanto riguarda il tema energetico, a realizzare una politica più concorrenziale, in linea con le direttive dell'Unione europea, fondata sull'efficienza e sul risparmio energetico, sulla diversificazione delle fonti, sulla riduzione dei combustibili fossili sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, sul potenziamento delle infrastrutture;
          a sostenere la competitività delle imprese nazionali puntando ad una maggiore differenziazione delle fonti energetiche e a ridurre in particolare il differenziale di costo del gas naturale (metano), rispetto ai competitori europei, che penalizza pesantemente le imprese industriali energivore;
          a favorire la concorrenzialità nel mercato del gas, dell'accesso alle reti, del potenziamento della capacità di stoccaggio, per garantire una maggiore pluralità e differenziazione sul lato dell'offerta in modo da ridurre il costo del gas, principale materia prima di molte industrie manifatturiere, in particolare di quella delle ceramiche;
          per quanto riguarda il tema dell'accesso al credito, ad assumere iniziative per garantire alle imprese un adeguato flusso di finanziamenti, rendendo più moderne e trasparenti le relazioni tra banche e imprese così da consentire alle singole aziende di beneficiare di condizioni dipendenti dalla propria qualità creditizia, senza dover scontare inefficienze di altri;
          a rendere più spedite le procedure di accesso da parte delle imprese agli strumenti di sostegno del reddito;
          per quanto riguarda la semplificazione amministrativa, a ottenere un effettivo snellimento burocratico, in un contesto caratterizzato da un eccesso di leggi, scarsità o duplicazione dei controlli, sovrapposizione di competenze;
          per quanto riguarda la tutela delle produzioni nazionali, a promuovere le iniziative necessarie in sede comunitaria per adottare una normativa in materia di anticontraffazione e made in che introduca l'obbligo di indicazione di origine per tutti i prodotti per i quali non esista già una regolamentazione specifica in materia;
          a intervenire presso l'Unione europea per promuovere, su scala mondiale, l'adozione di standard di reciprocità a livello sociale e ambientale, per evitare fenomeni di dumping, e affinché gli Stati membri del WTO rimuovano le barriere non tariffarie che ostacolano l'accesso ai mercati;
          a garantire il rafforzamento delle misure di riduzione del costo del lavoro sulle imprese e sui lavoratori, in modo da incrementare l'occupazione e i redditi disponibili;
          ad affiancare a queste azioni di contesto interventi più mirati che consentano al sistema produttivo di recuperare competitività sui mercati internazionali, e in particolare a sviluppare nuove tecnologie, processi, prodotti, servizi e sistemi che possano offrire interessanti sbocchi occupazionali e di crescita economica;
          a sostenere l'ingresso delle filiere produttive nazionali nelle catene del valore globali, anche attraverso il sostegno all'aggregazione di imprese;
          ad adottare adeguate politiche industriali per il rilancio competitivo di alcuni grandi player strategici nazionali quali, ad esempio, Finmeccanica ed in particolare Ansaldo Breda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e Breda Menarini;
          a intervenire in settori strategici come l’automotiv al fine di consentirne un processo di transizione verso lo sviluppo di una mobilità sostenibile, rafforzando in particolare l'innalzamento tecnologico della filiera della componentistica;
          a riorganizzare il sistema degli incentivi alle imprese, orientando le risorse pubbliche verso la realizzazione di grandi progetti di ricerca e innovazione industriale, anche tramite importanti interventi di domanda pubblica innovativa;
          a favorire la costruzione di grandi reti e infrastrutture di ricerca con radicamento locale anche in partnership pubblico-privata;
          a rafforzare la finanza specializzata per l'innovazione, anche attraverso l'azione delle fondazioni bancarie più radicate nei territori;
          a promuovere la crescita di un capitale umano altamente qualificato anche tramite l'adozione di provvedimenti che ne favoriscano l'assunzione da parte del sistema delle imprese;
          a garantire l'effettiva applicazione dello small business act, in particolare applicando la norma che prevede la presentazione al Parlamento di un disegno di legge annuale per le micro, piccole e medie imprese;
          a sostenere la ricostruzione del tessuto produttivo delle aree colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012, dove si concentra un numero rilevantissimo di imprese fortemente vocate all’export.
(1-00225)
«Benamati, Basso, Bini, Cani, Civati, Del Basso De Caro, Donati, Folino, Galperti, Ginefra, Impegno, Mariano, Martella, Montroni, Nardella, Peluffo, Petitti, Portas, Senaldi, Taranto, Carra.

      Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Garavini n.  5-00220, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  26 del 30 maggio 2013.

      GARAVINI, GNECCHI, MAESTRI, INCERTI e ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          già nella precedente legislatura è stato presentato su questa problematica l'atto di sindacato ispettivo n.  5-07156 senza che peraltro ci sia stata risposta del Governo;
          l'Ufficio europeo brevetti (UEB) annovera tra i suoi dipendenti quasi 500 funzionari italiani, una parte dei quali ha maturato una posizione contributiva presso l'INPS o, in casi isolati, un ente previdenziale equivalente, in precedenti rapporti di lavoro dipendente in Italia, tuttavia per un numero di anni ben inferiori al minimo necessario per poter ottenere una pensione in Italia al raggiungimento dell'età pensionabile;
          fino ad oggi lo Stato italiano non ha concesso la possibilità di trasferimento dei contributi previdenziali al fondo pensioni dell'Ufficio europeo brevetti come hanno fatto la maggior parte dei 34 Stati aderenti all'organizzazione europea dei brevetti, per cui tali contributi risultano totalmente persi per i funzionari che si trovano in questa situazione, poiché il codice legale dell'Ufficio europeo brevetti prevede, ai fini della salvaguardia dei periodi contributivi precedenti per la corresponsione del proprio trattamento pensionistico, solamente il trasferimento al fondo pensioni dell'Ufficio europeo brevetti dei contributi previdenziali versati ad altri enti prima dell'inizio dell'attività lavorativa all'Ufficio europeo brevetti;
          su detta questione è già stato presentato atto di sindacato ispettivo 4-01149 del 25 settembre 2008 a firma Di Biagio e nella relativa risposta scritta, a firma dell’ex sottosegretario al Lavoro Bellotti si sostiene che il trasferimento dei contributi non si ritiene percorribile per l'insostenibilità degli oneri finanziari e che comunque a tale riguardo occorre comunque una specifica norma di legge. Come alternativa, prosegue il Ministero interrogato, si propone a questi lavoratori di utilizzare l'istituto della totalizzazione;
          va, rimarcato che l'Italia permette già da qualche tempo il trasferimento dei contributi previdenziali per i funzionari italiani di altri organismi internazionali, come per esempio la Commissione europea, la Banca centrale europea, l'istituto universitario europeo, l'EFDA e quindi non si comprende, per quali reconditi motivi, visto che trattasi di contributi accreditati su posizioni individuali, questo percorso non possa essere adottato anche per i funzionari italiani dell'Ufficio europeo brevetti;
          il Ministero, sempre nella risposta al succitato atto ispettivo, continua a riproporre per questi funzionari, l'istituto della totalizzazione (o pro-rata) pur essendo a conoscenza che il dipartimento legale dell'Ufficio europeo brevetti non considera fattibile questo percorso basato sulla totalizzazione, perché sancirebbe una disparità di trattamento dei funzionari italiani nei confronti dei funzionari UEB di altre nazionalità che godono della possibilità di trasferimento;
          nell'ambito di una causa civile intentata da un funzionario italiano dell'UEB contro l'INPS e avente per oggetto il trasferimento dei contributi previdenziali detenuti dall'INPS al fondo pensioni dell'UEB, la Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE) si è pronunciata in data 4 luglio 2013 con una sentenza nella quale dichiara:
              gli articoli 45 TFUE e 48 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano alla normativa di uno Stato membro che non consenta ai suoi cittadini, dipendenti di un'organizzazione internazionale, quale l'Ufficio europeo dei brevetti, situata nel territorio di un altro Stato membro, di trasferire al regime previdenziale di tale organizzazione il capitale che rappresenta i diritti a pensione da essi maturati in precedenza nel territorio del loro Stato membro d'origine, in assenza di un accordo tra tale Stato membro e detta organizzazione internazionale che preveda la possibilità di tale trasferimento;
              nel caso in cui il meccanismo di trasferimento del capitale che rappresenta i diritti a pensione maturati in precedenza in uno Stato membro verso il regime pensionistico di un nuovo datore di lavoro in un altro Stato membro non sia applicabile, l'articolo 45 TFUE dev'essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro che non consenta di prendere in considerazione i periodi di lavoro che un cittadino dell'Unione europea ha compiuto presso un'organizzazione internazionale, quale l'Ufficio europeo dei brevetti, situata nel territorio di un altro Stato membro, ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di vecchiaia;
          con tale sentenza la CGUE ha confermato il diritto dei funzionari dell'UEB a non perdere i contributi previdenziali versati in Italia, che è invece ciò che accade attualmente per l'assenza di un quadro normativo; tale diritto viene garantito dando luogo o al trasferimento o alla totalizzazione, essendo entrambe le possibilità compatibili con il diritto comunitario;
          il trasferimento, come già richiamato sopra, è l'unica strada percorribile, in primis perché l'UEB non ritiene possibile un accordo basato sulla totalizzazione, dato che sancirebbe una disparità di trattamento dei funzionari italiani nei confronti dei funzionari UEB di altre nazionalità che godono della possibilità di trasferimento;
          il trasferimento presenta il vantaggio amministrativo, rispetto alla totalizzazione, di chiudere definitivamente la posizione pensionistica dei soggetti interessati; nel caso della totalizzazione, invece, la loro posizione pensionistica rimarrebbe aperta e si tradurrebbe nell'erogazione di una pensione mensile, magari di importo molto modesto (corrispondente per esempio a pochi anni di versamenti), con eventuali complicazioni di tipo amministrativo e fiscale, dato che una parte dei funzionari internazionali manterrà la propria residenza all'estero dopo il pensionamento;
          una soluzione non coerente alla suesposta problematica, rischia di attivare in prospettiva un contenzioso da parte dei soggetti interessati, che chiedono solo e unicamente venga rimossa questa assurda disparità di trattamento  –:
          quali provvedimenti intenda intraprendere il Ministro al fine di correggere la suddetta situazione che penalizza fortemente i funzionari italiani dell'Ufficio europeo brevetti e che non ha ragion d'essere, sia rispetto ad altri funzionari italiani operanti in altre istituzioni europee, che ai funzionari dell'Ufficio europeo brevetti degli altri Paesi della comunità europea. (5-00220)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Prataviera n.  4-02318 del 28 ottobre 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Peluffo n.  4-00235 del 16 aprile 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-01313.
          interrogazione a risposta scritta Peluffo n.  4-00916 del 18 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-01312.
          interrogazione a risposta scritta Peluffo e Daniele Farina n.  4-02294 del 24 ottobre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-01311.