XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 15 gennaio 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 15 gennaio 2014.

      Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Baretta, Berretta, Bindi, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Brambilla, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carbone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, D'Incà, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Epifani, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Galati, Gasbarra, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Gitti, Gozi, Guerra, Kyenge, La Russa, Lauricella, Legnini, Leone, Letta, Lombardi, Lorenzin, Lupi, Mannino, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Orlando, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Portas, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Sani, Schullian, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Valeria Valente, Vito.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

      Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Baretta, Berretta, Bindi, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Brambilla, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, D'Incà, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Galati, Gasbarra, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Gitti, Gozi, Guerra, Kyenge, La Russa, Lauricella, Legnini, Leone, Letta, Lombardi, Lorenzin, Lupi, Mannino, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Portas, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Sani, Schullian, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Valeria Valente, Vito.

Annunzio di proposte di legge.

      In data 14 gennaio 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
          LAURICELLA: «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.  361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n.  533. Introduzione del doppio turno di coalizione per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica» (1946);
          MICHELE BORDO: «Modifiche al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n.  361» (1947);
          CARRESCIA: «Modifica all'articolo 266 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, recante interpretazione autentica delle disposizioni concernenti le attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante» (1948);
          MOLEA: «Disposizioni per favorire l'integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l'ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali» (1949);
          SBERNA ed altri: «Istituzione della Giornata nazionale della famiglia» (1950).

      Saranno stampate e distribuite.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

      A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

          II Commissione (Giustizia):
      BOCCIA: «Modifiche al regio decreto 16 marzo 1942, n.  267, in materia di revocatoria fallimentare, di prededucibilità dei crediti e di concordato preventivo con prenotazione» (1580) Parere delle Commissioni I, VI e X.

          VI Commissione (Finanze):
      BOCCIA: «Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  602, in materia di pagamenti delle pubbliche amministrazioni» (1584) Parere delle Commissioni I, II, V, VIII, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
      BOCCIA: «Modifica all'articolo 8 del decreto-legge 13 maggio 2011, n.  70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n.  106, concernente la competenza per la vigilanza sull'Ente nazionale per il microcredito» (1600) Parere delle Commissioni I, III, V, X e XII;
      BOCCIA: «Modifica al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n.  131, in materia di atti soggetti a registrazione in caso d'uso» (1601) Parere delle Commissioni I, II, V e X;
      BOCCIA ed altri: «Modifica all'articolo 120-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n.  385, in materia di estinzione e di portabilità del conto corrente bancario» (1607) Parere delle Commissioni I, II, X e XIV.

          VIII Commissione (Ambiente):
      BOCCIA: «Modifica all'articolo 176 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.  163, in materia di esecuzione dei pagamenti a favore del contraente generale» (1602) Parere delle Commissioni I, V, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

          XI Commissione (Lavoro):
      FEDRIGA ed altri: «Disposizioni per l'organizzazione del sistema di previdenza e assistenza sociale su base regionale» (1402) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), XI, XII, XIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
      FAENZI ed altri: «Disposizioni riguardanti l'inquadramento professionale e previdenziale dei lavoratori dipendenti presso scuderie, maneggi e allevamenti ippici» (1586) Parere delle Commissioni I, V, VII e XIII;
      MOSCA e CENTEMERO: «Modifiche alla legge 8 novembre 1991, n.  381, e alla legge 22 giugno 2000, n.  193, in materia di agevolazioni per le imprese e le cooperative sociali che favoriscono l'inserimento lavorativo dei detenuti» (1665) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), X, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

          Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali):
      BOCCIA: «Modifiche all'allegato XV al decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81, in materia di inclusione dei costi per indagini e prove di laboratorio sui materiali nella stima dei costi di sicurezza» (1603) Parere delle Commissioni I, V, VIII, X e XIV.

Trasmissione dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.

      Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con lettera in data 3 gennaio 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 10, comma 8, della legge 8 ottobre 1997, n.  352, la relazione sull'attività svolta dalla Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo - Arcus Spa nell'anno 2012 (Doc. CCX, n.  l).

      Questa relazione è trasmessa alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dal Ministro per gli affari europei.

      Il Ministro per gli affari europei, con lettera in data 10 gennaio 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n.  234, l'elenco delle procedure giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea, riferito al quarto trimestre del 2013 (Doc.  LXXIII-bis, n.  4).
      Questo documento è trasmesso a tutte le Commissioni permanenti e alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissioni dal Ministro dell'economia e delle finanze.

      Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 13 gennaio 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 14, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n.  196, la relazione sul conto consolidato di cassa delle amministrazioni pubbliche, comprensiva del raffronto con i risultati del precedente biennio, aggiornata al 30 settembre 2013 (Doc. XXV, n.  3).

      Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).

      Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 13 gennaio 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 14, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n.  234, la relazione concernente l'impatto finanziario derivante dagli atti e dalle procedure giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea, riferita al primo semestre 2013 (Doc. LXXIII, n.  3).

      Questo documento è trasmesso a tutte le Commissioni permanenti.

Trasmissioni dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.

      Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 14 gennaio 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n.  234, le seguenti relazioni concernenti progetti di atti dell'Unione europea:
          relazione in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura e alla qualità delle statistiche per la procedura per gli squilibri macroeconomici (COM(2013) 342 final), che è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
          relazione in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n.  91/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2002, relativo alle statistiche dei trasporti ferroviari, per quanto riguarda la raccolta dei dati relativi alle merci, ai passeggeri e agli incidenti (COM(2013) 611 final), che è trasmessa alla IX Commissione (Trasporti) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
          relazione in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l'acquisizione, l'utilizzo e la divulgazione illeciti (COM(2013) 813 final), che è trasmessa alla II Commissione (Giustizia) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

      Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 14 gennaio 2014, ha trasmesso una rettifica concernente la relazione in merito alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'attivazione dello strumento di flessibilità (COM(2013) 559 final), di cui è stato dato annuncio nell’Allegato A al resoconto della seduta del 20 dicembre 2013.

      Questa documentazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

      La Commissione europea, in data 14 gennaio 2014, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Ripristinare un clima di fiducia negli scambi di dati fra l'Unione europea e gli USA (COM(2013) 846 final), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni riunite II (Giustizia) e III (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

      Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 14 gennaio 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n.  234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

      Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico.

      Il presidente dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico, con lettera in data 27 dicembre 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 81, comma 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, la relazione sull'attività di vigilanza svolta dalla medesima Autorità nell'anno 2013 ai fini del rispetto del divieto di traslazione sui prezzi al consumo dell'onere della maggiorazione dell'imposta sui redditi delle società (Doc. XXVII, n.  9).

      Questa relazione è trasmessa alla X Commissione (Attività produttive).

Atti di controllo e di indirizzo.

      Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI CIPRINI ED ALTRI N. 1-00292, MARCON ED ALTRI N. 1-00298, GUIDESI ED ALTRI N. 1-00303, PISO E DORINA BIANCHI N. 1-00305, MARTELLA, BUTTIGLIONE ED ALTRI N.  1-00310 E ZANETTI ED ALTRI N. 1-00312 CONCERNENTI INIZIATIVE IN AMBITO EUROPEO E NAZIONALE PER LA REVISIONE DEI VINCOLI DERIVANTI DAL TRATTATO NOTO COME «FISCAL COMPACT»

Mozioni

      La Camera,
          premesso che:
              come noto, il Consiglio europeo nel 2011 ha varato un nuovo sistema di governance economica europea. Esso è imperniato su sei pilastri principali:
                  a) un meccanismo di discussione e coordinamento ex ante delle politiche economiche e di bilancio nazionali, realizzato mediante l'adozione a livello nazionale di un ciclo di procedure e strumenti di programmazione previsto e disciplinato a livello comunitario e concentrato nei primi sei mesi dell'anno (da qui la denominazione di «semestre europeo»), che vede una più stringente interazione tra istituzioni comunitarie e nazionali e che è destinato a integrarsi con i cicli di programmazione e di bilancio nazionali, al fine di consentire di valutare contemporaneamente le politiche strutturali e le misure di bilancio in un quadro di complessiva coerenza e sostenibilità, quale presupposto per una più efficace vigilanza e integrazione delle politiche economiche e di bilancio nazionali nell'Eurozona e nell'Unione europea;
                  b) una più stringente applicazione del patto di stabilità e crescita, realizzata in virtù del rafforzamento sia del suo braccio preventivo sia di quello correttivo, attraverso l'adozione di tre appositi regolamenti;
                  c) l'introduzione, mediante due appositi regolamenti, di una sorveglianza sugli squilibri macroeconomici degli Stati membri che include meccanismi di monitoraggio, allerta, correzione e sanzione;
                  d) l'introduzione di requisiti comuni per i quadri nazionali di bilancio, mediante l'adozione di un'apposita direttiva;
                  e) l'istituzione di un meccanismo permanente per la stabilità finanziaria della zona euro (MSE), attraverso una modifica dell'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, adottata dal Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011 e da recepirsi ad opera degli ordinamenti nazionali;
                  f) il patto «Europlus», adottato con una dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo dell'11 marzo 2011, che impegna gli Stati aderenti (dell'Eurozona e alcuni altri Stati) a porre in essere ulteriori interventi in materia di crescita, occupazione, sostenibilità delle finanze pubbliche, competitività e coordinamento delle politiche fiscali;
              tali principi sono stati tradotti in corrispondenti cinque regolamenti e una direttiva (cosiddetta six pack). Inoltre, il 23 novembre 2011 la Commissione europea ha presentato due ulteriori proposte di regolamento (two pack) volte al rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri che affrontano o sono minacciati da serie difficoltà per la propria stabilità finanziaria, nonché il monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio che assicurino la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri dell'Eurozona. In tale contesto, ha visto luce il «Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria», noto anche come «fiscal compact», firmato a Bruxelles il 2 marzo 2012, che prevede, tra l'altro, l'introduzione della regola del pareggio di bilancio, oltre ad un meccanismo automatico per l'adozione di misure correttive, qualora necessarie;
              nel più ampio silenzio mediatico che si sia mai registrato (con l'assenza di servizi radiotelevisivi pressoché assoluta e il silenzio della quasi totalità dei giornali), il Parlamento italiano ha ratificato, sul finire del 2012, il cosiddetto fiscal compact, con grande zelo e senza alcun dibattito significativo e con l'opposizione o l'astensione di un gruppo assai sparuto di parlamentari;
              in linea molto generale e prima di entrare nei dettagli del suo contenuto, si può affermare che il meccanismo introdotto dal Trattato significa, per il nostro Paese, la definitiva cancellazione di ogni ipotesi di ruolo pubblico nello sviluppo, con un preciso obbligo al rientro del 50 per cento dell'ammontare complessivo del debito pubblico che eccede il 60 per cento del prodotto interno lordo;
              dal 2013, oltre alle normali manovre di riduzione del deficit di bilancio, al finanziamento del meccanismo europeo di stabilità e di probabili altre misure a salvataggio di altri Paesi della «zona euro», l'Italia è chiamata ad aggiungere la somma impressionante di ulteriori 50 miliardi di euro all'anno;
              il meccanismo del Trattato renderà vincolante questo obbligo, non per un anno, ma per i prossimi venti anni, con il risultato evidente che il futuro di due e più generazioni di italiani è ipotecato e ancorato ad una nuova e permanente dimensione di miseria sociale;
              accanto a questa ratifica, peraltro, con la legge 24 dicembre 2012, n.  243, approvata a maggioranza assoluta dai componenti di ciascuna Camera ai sensi del nuovo sesto comma dell'articolo 81 della Costituzione, sono state dettate le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni;
              la legge citata reca disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio, ai sensi del nuovo sesto comma dell'articolo 81 della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n.  1, il quale prevede che il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni siano stabiliti da una apposita legge «rinforzata», in quanto deve essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale;
              il capo VII della legge reca l'istituzione dell'organismo indipendente previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera f), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n.  1, che viene denominato «Ufficio parlamentare di bilancio», avente le funzioni di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio;
              l'ufficio ha una composizione collegiale di tre membri, di cui uno con funzioni di presidente, nominati d'intesa dai Presidenti delle Camere nell'ambito di un elenco di dieci soggetti con competenza a livello sia nazionale che internazionale in materia di economia e finanza pubblica indicati dalle Commissioni bilancio di ciascuna Camera, a maggioranza dei due terzi dei rispettivi componenti; i membri durano in carica 6 anni, salvo che siano revocati per gravi violazioni dei doveri d'ufficio, e non possono essere confermati;
              tutto il complesso legislativo posto in essere con l'approvazione della ratifica del Trattato sul «fiscal compact», unito alle legge costituzionali e ordinarie sopra richiamate, finisce per introdurre vincoli penetranti all'attività del legislatore nazionale;
              occorre, dunque, ripensare il contenuto del Trattato del marzo 2012;
              entrando nel dettaglio del suo contenuto, si osserva che il Trattato è composto da un preambolo e da 16 articoli, suddivisi in un titolo I, relativo all'oggetto e all'ambito di applicazione, in un titolo II, relativo alla coerenza e al rapporto con il diritto dell'Unione europea, in un titolo III, relativo proprio al «fiscal compact» o patto di bilancio, in un titolo IV, relativo al coordinamento delle politiche economiche e convergenza, in un titolo V, relativo alla governance della zona euro, e in un titolo VI, relativo alle disposizioni generali e finali. Il Trattato non è stato sottoscritto dal Regno Unito, come emerso nel Consiglio europeo del 9 dicembre 2011, dalla Repubblica Ceca, che ha negato il suo consenso dal momento dell'approvazione del Trattato, il 30 gennaio 2012, in occasione del Consiglio europeo informale a Bruxelles;
              è da rilevare che, al riguardo, il Parlamento europeo, il 18 gennaio 2012, nell'approvare una risoluzione fortemente critica nei confronti del testo sino allora disponibile, ha espresso perplessità su un siffatto accordo intergovernativo, ritenendo più efficace il quadro del diritto dell'Unione europea e il «metodo comunitario» per realizzare gli stessi obiettivi di disciplina di bilancio e per realizzare una vera unione economica e fiscale. In tale occasione il Parlamento ha richiesto una maggiore valorizzazione del proprio ruolo e di quello dei Parlamenti nazionali in tutti gli aspetti del coordinamento e della governance in ambito economico. Il Parlamento ha, inoltre, richiesto l'impegno a integrare l'accordo nei trattati europei al più tardi entro cinque anni, ha reiterato i propri appelli per un'Unione europea improntata non solo alla stabilità, ma anche alla crescita sostenibile, attraverso misure destinate alla convergenza e competitività, project bond, un'imposta sulle transazioni finanziarie ed ha espresso formalmente la riserva di avvalersi di tutti gli strumenti politici e giuridici per difendere il diritto dell'Unione europea qualora l'accordo definitivo dovesse prevedere elementi incompatibili con il diritto dell'Unione europea;
              il sopra detto monito del Parlamento europeo è rimasto però inascoltato, nonostante la strada intrapresa lasci ormai chiaramente emergere tutta una serie di squilibri in Europa tra i Paesi del Nord, in particolar modo la Germania, che guadagnano in termini di competitività ed eccedenze commerciali, e i Paesi del Sud, travolti da una bolla immobiliare e dall'aumento del debito privato;
              le principali disposizioni del nuovo Trattato, infatti, estendono e radicalizzano i trattati precedenti, in particolare il patto di stabilità e crescita. Nell'articolo 1, il Trattato riprende, infatti, le affermazioni abituali degli organismi europei. Le regole sono «volte a rafforzare il coordinamento delle politiche economiche». Ma vincoli numerici sui debiti e sui deficit pubblici, che non tengono conto delle differenti situazioni economiche, non possono di certo favorire un reale coordinamento di politiche economiche. Allo stesso modo, il Trattato afferma di rafforzare «il pilastro economico dell'Unione europea al fine di realizzare gli obiettivi in materia di crescita duratura, occupazione, competitività e coesione sociale», ma, al di là delle parole, niente di concreto viene previsto per facilitare la realizzazione di tali obiettivi, anzi si favorisce il contrario. Il «fiscal compact» richiede ai Paesi di seguire un sentiero di convergenza rapida verso l'equilibrio di bilancio, definito dalla Commissione europea, senza tener conto della situazione congiunturale;
              i Paesi perdono, dunque, ogni possibile libertà d'azione. Come precauzione supplementare, un meccanismo «automatico» dovrà essere messo in pratica per ridurre il deficit. Se la Commissione europea stabilisce che un Paese ha raggiunto per esempio un «deficit strutturale» pari a tre punti percentuali del prodotto interno lordo, questo dovrà mantenere un «deficit strutturale» limitato al 2 per cento l'anno successivo, amputando in tal modo la domanda (attraverso una riduzione delle spese e un aumento delle imposte) di un punto del prodotto interno lordo, indipendentemente dal livello di disoccupazione;
              certamente, come per il patto di stabilità e crescita, sarebbe comunque possibile prevedere uno scarto temporaneo in caso di circostanze eccezionali, come in caso di un «tasso di crescita negativo o un declino cumulativo della produzione per un periodo prolungato», ma le misure correttive dovrebbero essere sempre pianificate e adottate rapidamente. Quando un Paese ha superato i limiti prescritti ed è soggetto a una procedura per deficit eccessivi, deve presentare un programma di riforme strutturali alla Commissione europea e al Consiglio, i quali dovranno approvarlo e monitorarne l'attuazione;
              oggi, la quasi totalità dei Paesi dell'Unione europea (23 su 27) è soggetta a una procedura per deficit eccessivi. Oltre ai piani di riforma delle pensioni (aumento dell'età pensionabile), si vogliono imporre un abbassamento del salario minimo, minori prestazioni sociali (Irlanda, Grecia, Portogallo), la riduzione delle protezioni contro il licenziamento (Grecia, Spagna, Portogallo), la sospensione della contrattazione collettiva a favore della contrattazione d'impresa, più favorevole ai datori di lavoro (Italia, Spagna e altri) e la deregolamentazione delle professioni chiuse;
              la convinzione è che queste «riforme strutturali» creeranno un nuovo potenziale di crescita economica nel lungo periodo. Tuttavia, niente assicura che sarà così. Ciò che è certo, invece, è che nella situazione attuale queste riforme determineranno un aumento delle disuguaglianze, della precarietà e della disoccupazione;
              in nessun passaggio, purtroppo, l'espressione «riforma strutturale» riguarda l'adozione di misure volte a rompere il dominio dei mercati finanziari, ad aumentare l'imposizione fiscale sui più ricchi e sulle grandi imprese e a organizzare e finanziare la transizione ecologica;
              il risultato di dette strategie è l'annullamento delle politiche fiscali e la rinuncia a politiche economiche con qualsiasi potere discrezionale;
              il Trattato secondo i firmatari del presente atto di indirizzo non ha alcun altro obiettivo se non quello di ostacolare le politiche di bilancio nazionali. Ciascun Paese deve, quindi, adottare misure restrittive: ridurre le pensioni, ridurre le prestazioni sociali e il numero dei funzionari, aumentare le imposte (principalmente l'iva, che pesa sulle famiglie più povere). Non si prende minimamente in considerazione la situazione congiunturale specifica di ciascun Paese, né i bisogni sociali in termini d'investimenti e occupazione, né le politiche degli altri Paesi. Ciò implica che, oggi, tutti i Paesi stanno adottando, di fatto, politiche di austerità, mentre i deficit sono dovuti alla recessione che ha avuto origine con lo scoppio della bolla finanziaria e all'aumento degli squilibri causati dall'errata architettura della zona euro;
              il rischio concreto, oramai tradottosi in realtà, è che le teorie che ispirano il «fiscal compact» propongono, di fatto, di limitare gli interventi anticiclici dello Stato talora ritenuti responsabili dell'inflazione e soprattutto della riduzione della quota dei profitti sul reddito nazionale; si vuole convincere i cittadini a rinunciare definitivamente all'obiettivo di piena occupazione, considerato causa di un aumento dell'inflazione;
              questo genere di politica è teso a sottrarre le politiche economiche dalle mani dei Governi democraticamente eletti, mentre tutto è affidato ad organismi indipendenti composti da esperti e tecnocrati, che non sono responsabili di fronte al popolo e ai cittadini. La politica economica deve essere paralizzata con regole vincolanti. Pertanto, la Banca centrale europea, dichiarata «indipendente», ha il principale obiettivo di mantenere l'inflazione al di sotto del 2 per cento ogni anno. E in futuro la politica di bilancio sarà affidata a commissioni indipendenti, sotto l'egida del patto e della Commissione europea, con il solo obiettivo di garantire il mantenimento dell'equilibrio di bilancio;
              l'instabilità dell'economia renderebbe invece necessaria una politica attiva. Per questo, negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha abbassato praticamente a zero il tasso di interesse e ha comprato massicciamente titoli privati e pubblici, in totale contrasto con tutto il pensiero ortodosso: il deficit pubblico ha superato il 10 per cento del prodotto interno lordo nel periodo tra il 2009 e il 2011 senza sollevare alcun allarme;
              nonostante tutto ciò, gli attuali fini delle autorità europee vengono costantemente ribaditi e concettualmente alimentati attraverso l'imposizione di politiche «automatiche» e soglie che determinano l'applicazione di misure che stanno «affamando» i cittadini comprimendo i consumi,

impegna il Governo:

          ad avviare da subito negoziati in ambito europeo per rivedere l'impostazione del complesso dei vincoli derivanti all'Italia dal Trattato sul «fiscal compact» e dagli altri strumenti giuridici ed economici (a partire dal meccanismo europeo di stabilità) ad esso correlati, in modo da avviare una politica di crescita sostenibile e di ripresa economica e produttiva, in assenza della quale il Paese rischia di piombare in una situazione finanziaria e di bilancio, ma soprattutto in una crisi economica e sociale, di livello insostenibile;
          a sostenere in ogni possibile sede europea e internazionale, anche a livello bilaterale, la necessità di un alleggerimento dei vincoli finanziari e di recupero di politiche di sviluppo e di crescita;
          ad assumere una propria, forte, iniziativa per la revisione della legislazione italiana sulla materia di cui in premessa, con particolare riferimento all'esigenza di rendere meno opachi e più fruibili, anche per i cittadini italiani, i meccanismi introdotti con la legge costituzionale n.  1 del 2012 e con la legge n.  243 del 2012, in questo ambito promuovendo una revisione degli strumenti di controllo affidati al Parlamento dalla predetta legge n.  243 del 2012, anche intervenendo, sempre in via normativa, per una maggiore funzionalità dell'Ufficio parlamentare di bilancio, che dovrà rappresentare un reale strumento democratico a disposizione delle Camere, ai fini dell'esercizio della propria sovranità.
(1-00292) «Ciprini, Tripiedi, Rizzetto, Rostellato, Cominardi, Baldassarre, Bechis, Chimienti, Cancelleri, Barbanti, Agostinelli, Alberti, Artini, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Catalano, Cecconi, Colletti, Colonnese, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».


      La Camera,
          premesso che:
              nell'ambito di un quadro di recessione globale, la zona euro mostra particolari difficoltà e il peggioramento dell'economia si è accompagnato a una crisi sociale senza precedenti, mentre si sviluppano movimenti xenofobi e antieuropei;
              l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010, sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle politiche di austerità;
              è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre questi ultimi sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione, l'aumento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo è stato nei Paesi periferici solo leggermente superiore alla media dell'Eurozona. La sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci, in prospettiva, di onorare i propri debiti pubblici;
              per questi motivi è stato, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, un errore, nella XVI legislatura, inserire in Costituzione, con le modifiche all'articolo 81, il pareggio di bilancio come previsto dal cosiddetto fiscal compact;
              non si risolverà certo la crisi con le politiche di «austerità espansiva» che l'hanno provocata. Pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall'esperienza pratica (si veda la Grecia), il moltiplicatore fiscale in una fase di recessione è positivo e l'austerità porterà, quindi, ad un calo del prodotto interno lordo maggiore del calo del debito, rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo;
              diversi documenti dell'Unione europea testimoniano una transizione dei poteri dagli Stati nazionali all'oligarchia dell'Unione europea, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo una vera espropriazione della democrazia a favore di una tecnocrazia che risponde, di fatto, solo ai poteri finanziari ed a ristretti gruppi sociali che di tali politiche di austerità si stanno avvantaggiando in maniera scandalosa;
              tra il 1976 e il 2006, la quota dei salari (incluso il reddito dei lavoratori autonomi) sul prodotto interno lordo è diminuita in media di 10 punti, scendendo dal 67 al 57 per cento circa. In Italia è andata peggio: il calo ha toccato i 15 punti, dal 68 al 53 per cento (dati Ocse), un trasferimento di ricchezza a favore soprattutto del capitale finanziario, pari – in moneta attuale – a 240 miliardi di euro;
              di tale processo, si possono individuare sette tappe:
                  a) innanzitutto, l'articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea consolidato (1992-2007), il quale inibisce alla Banca centrale europea la funzione principale di ogni banca centrale, ossia quella di creare il denaro necessario per coprire i disavanzi del bilancio statale, ripagare i debiti pubblici giunti a scadenza, finanziare la spesa sociale e promuovere l'occupazione. Se gli Stati europei della zona euro hanno bisogno di denaro debbono rivolgersi alle banche private, pagando tassi d'interesse del 3-6 per cento, mentre le banche pagano alla Banca centrale europea un tasso dell'uno per cento. Allo stesso tasso il servizio del debito dello Stato italiano potrebbe ridursi di circa 20 miliardi di euro;
                  b) il patto «Euro Plus» (25 marzo 2011) che impegna gli Stati aderenti (Eurozona e alcuni altri Stati) a realizzare i seguenti obiettivi: stimolare la competitività e l'occupazione; concorrere ulteriormente alla sostenibilità delle finanze pubbliche; rafforzare la stabilità finanziaria. L'articolato dei quattro obiettivi anticipava i contenuti delle controriforme che sarebbero poi state introdotte dai Governi Berlusconi e Monti, in particolare per quanto concerne la previdenza e il mercato del lavoro. Il patto suggeriva, inoltre, di eliminare i contratti nazionali di lavoro e di valutare anche la sostenibilità del sistema di assistenza sanitaria;
                  c) la lettera del Commissario all'economia, Olli Rehn, inviata al Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore Tremonti il 4 novembre 2011, nella quale con un «questionario» in 39 punti si compendiavano le richieste particolareggiate della Commissione europea al Governo italiano. Le corrispondenze tra il dettato della Commissione europea e le riforme del Governo Monti sono impressionanti (allungamento dell'età pensionabile; abolizione delle pensioni d'anzianità; spostamento dell'onere fiscale sui consumi e sulla proprietà immobiliare; riforma del mercato del lavoro, riduzione dei pubblici dipendenti);
                  d) il «six pack» (cinque regolamenti ed una direttiva), entrato in vigore il 13 dicembre 2011, contiene misure per rafforzare la sorveglianza economica e fiscale di tutti gli Stati membri: una versione rivista e corretta del patto per la stabilità e la crescita della fine degli anni novanta. Prevede sanzioni praticamente automatiche (procedura di voto «rovesciata»: le sanzioni non vengono applicate solo se una maggioranza qualificata degli Stati membri vota contro) per i Paesi che non rispettano i limiti riguardanti il deficit di bilancio ed i piani da porre in opera, per ridurre, nell'arco di un ventennio, a non più del 60 per cento del prodotto interno lordo l'ammontare del debito. Più una serie di indicatori attestanti che i piani di rientro siano effettivamente in via di progressiva attuazione;
                  e) il 2 febbraio 2012 è stato firmato il meccanismo europeo di stabilità (mes): una sorta di banca (capitale pari a 700 miliardi di euro a regime, 500 miliardi di euro per iniziare), atta a fornire – ponendo a ciò condizioni durissime – assistenza finanziaria agli Stati membri che presentino difficoltà di bilancio. L'Italia dovrà contribuire con 125,4 miliardi di euro, da versare in cinque rate annuali. Il meccanismo europeo di stabilità ha facoltà di chiedere prestiti alla banche private, per poi prestare denaro agli Stati che fanno domanda a un tasso che sarà inevitabilmente superiore a quello praticato dalle banche;
                  f) il 9 febbraio 2012 la cosiddetta troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) inviavano al Governo greco un memorandum d'intesa sulle politiche economiche da adottare e quali condizioni per ricevere assistenza finanziaria. Un documento molto dettagliato che espropria il popolo greco della propria potestà politica ed economica, con misure eccezionalmente pesanti per i lavoratori ed i cittadini e che limita «massicciamente» (l'espressione è di Jean-Claude Juncker, Presidente dell'Eurogruppo) la sovranità di quel Paese;
                  g) il 2 marzo 2012, veniva invece firmato il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, il cosiddetto «fiscal compact», che è entrato in vigore il 1o gennaio 2013. Si stabilisce che il bilancio pubblico consolidato deve essere in pareggio o mostrare un sopravanzo. Le regole debbono essere recepite «in modo vincolante e durevole» nella legislazione dei contraenti, «preferibilmente a livello costituzionale». Si prescrive che se uno Stato contraente presenta un debito pubblico superiore al limite fissato (il 60 per cento del prodotto interno lordo), esso ha l'obbligo di ricondurlo entro tale limite al ritmo di un ventesimo l'anno in media. Per l'Italia una riduzione pari a circa 50 miliardi l'anno per 20 anni: una meta impossibile da raggiungere pena la distruzione delle possibilità di avere una vita decente per il 90 per cento dei componenti di una o due generazioni di cittadini italiani. La Commissione europea verifica, valuta, soppesa, decide ed eroga le misure punitive (vere e proprie pesantissime ammende);
              tutte queste misure hanno accresciuto in misura notevole i poteri della Commissione europea, a paragone dei poteri sia del Parlamento europeo sia dei Parlamenti nazionali. Si è così instaurato un processo burocratico, nel corso del quale dei funzionari irresponsabili decidono di irrogare o meno sanzioni in base ad indicatori meccanicamente ed arbitrariamente stabiliti. Si affida poi alla Corte di giustizia europea nientemeno che il compito di regolare le vertenze tra gli Stati, laddove il suo compito dovrebbe limitarsi a sorvegliare il rispetto della legislazione dell'Unione europea;
              queste misure e le politiche di austerità stanno distruggendo l'economia europea sottraendole domanda interna, stabilità dei conti, occupazione e speranza. La stabilità dei conti pubblici, in questa crisi che tanto assomiglia a quella degli anni trenta, si nutre di crescita e l'austerità uccide sia la crescita che la stabilità;
              sono, inoltre, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, scellerate ed ottuse le normative ordinarie italiane a cui la Costituzione rimanda (la cosiddetta «legge rinforzata»: la legge 24 dicembre 2012, n.  243), che declinano i concetti della sostenibilità del debito pubblico con formule matematiche rigide ed arbitrarie derivanti, peraltro, da regole europee che non hanno valenza di trattato internazionale, perché approvate senza l'accordo di alcuni Stati membri come il Regno unito e la Repubblica ceca;
              come ormai rileva anche il Fondo monetario internazionale, oggi si sa che in realtà le politiche di austerity hanno accentuato la crisi, provocando un tracollo dei redditi superiore alle attese prevalenti. Una stretta violenta su entrata e spesa, che affonda le spese pubbliche d'investimento e comunque produttive, ha effetti depressivi sia sul breve che sul medio termine. È da considerare più efficace un percorso di stabilizzazione del debito più selettivo, stabile e controllato. Il Trattato di Lisbona non ha funzionato perché rimaneva l'asimmetria tra il controllo della moneta e il vuoto delle politiche fiscali, bancarie e di bilancio comunitario;
              tuttavia le autorità europee stanno commettendo un nuovo errore. Esse appaiono persuase dall'idea che i Paesi periferici dell'Unione europea potrebbero risolvere i loro problemi attraverso le cosiddette «riforme strutturali». Tali riforme dovrebbero ridurre i costi e i prezzi, aumentare la competitività e favorire, quindi, una ripresa trainata dalle esportazioni e una riduzione dei debiti verso l'estero. Questa tesi coglie alcuni problemi reali, ma è illusorio pensare che la soluzione prospettata possa salvaguardare l'unità europea. Le politiche deflattive attuate in Germania (tra il 2000 e il 2010 ha visto la mancata crescita dei salari nominali nell'ordine del 15 per cento, ossia inferiore rispetto alla crescita salariale media dell'Eurozona) e altrove, per far accrescere l'avanzo commerciale hanno, di fatto, contribuito per anni, unitamente ad altri fattori, all'accumulo di enormi squilibri nei rapporti di debito e credito tra i Paesi della zona euro. Il riassorbimento di tali squilibri richiederebbe un'azione coordinata da parte di tutti i membri dell'Unione europea. Pensare che i soli Paesi periferici debbano farsi carico del problema significa pretendere da questi una caduta dei salari e dei prezzi di tale portata da determinare un crollo ancora più accentuato dei redditi e una violenta deflazione da debiti, con il rischio concreto di nuove crisi bancarie e di una desertificazione produttiva di intere regioni europee;
              occorre essere consapevoli che, proseguendo con le politiche di «austerità» e affidando il riequilibrio alle sole «riforme strutturali», il destino dell'euro sarà segnato e l'esperienza della moneta unica si esaurirà, con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico europeo. In assenza di condizioni per una riforma del sistema finanziario e della politica monetaria e fiscale, che diano vita ad un piano di rilancio degli investimenti pubblici e privati e contrasti le sperequazioni tra i redditi e tra i territori e che risollevi l'occupazione nelle periferie dell'Unione europea, ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall'euro;
              nel quadro istituzionale sopra descritto, le politiche di austerità promosse dai Paesi dell'Unione europea, inclusa l'Italia, hanno portato ad una recessione che oggi ha dimostrato tutti i suoi effetti devastanti inducendo quegli stessi Governi a invocare la crescita come rimedio alla crisi e al problema dell'aumento della disoccupazione;
              ma le imprese aumentano la produzione, aumentando conseguentemente l'occupazione, solo se cresce la domanda o vi sono concreti elementi che indichino che essa crescerà;
              i 25 milioni di disoccupati nell'Unione europea al 2013 comportano una riduzione del prodotto interno lordo potenziale dell'intera Unione europea dell'ordine del 5 per cento l'anno, corrispondente a circa 800 miliardi di euro. Per l'Italia, si tratta di 80 miliardi di euro di ricchezza reale che non viene creata. Inoltre, la disoccupazione di lunga durata genera ulteriori costi derivanti dalla perdita di produttività del lavoro e comporta costi sociali quali povertà, perdita della casa, criminalità, denutrizione, abbandoni scolastici, antagonismo etnico, crisi familiari e tensioni sociali potenzialmente esplosive;
              il lavoro come diritto è solennemente sancito da tutte le carte fondamentali nazionali e sovranazionali, inclusa la Costituzione italiana che include, tra i principi fondamentali, non solo il riconoscimento a tutti i cittadini del diritto al lavoro, ma anche la promozione effettiva da parte della Repubblica delle condizioni che rendano effettivo questo diritto (articolo 4);
              è giunto il momento che il Governo italiano prenda l'iniziativa per sollecitare le istituzioni dell'Unione europea e gli altri Paesi membri dell'Unione europea affinché i trattati e il diritto dell'Unione europea vengano modificati nel senso di includere la lotta alla disoccupazione tra gli obiettivi principali delle politiche dell'Unione europea, più che il pareggio di bilancio;
              a tal proposito merita ricordare che nelle versioni consolidate del Trattato sull'Unione europea (Tue) e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue), l'espressione promuovere «un elevato livello di occupazione» ricorre pochissime volte. Inoltre, i testi rendono chiaro che essa non è un impegno dell'Unione europea, bensì dovrebbe essere l'esito dell'economia sociale di mercato fortemente competitiva, di stampo neo-liberale, che purtroppo l'Unione europea e le sue istituzioni (Banca centrale europea in testa) hanno promosso;
              di fronte alla vera e propria emergenza nazionale ed europea rappresentata dalla disoccupazione, occorre un'inversione di tendenza che abbandoni l'ideologia neo-liberale per contrastare i populismi crescenti, ponendo finalmente la piena occupazione come obiettivo della politica dell'Unione europea e che venga riconosciuto il principio che essa può essere perseguita efficacemente con politiche pubbliche;
              tra i piani su cui si potrebbe procedere andrebbero collocati integrazioni e modifiche del Trattato sull'Unione europea, nonché dello statuto del Sistema europeo di banche centrali (Sebc) e della Banca centrale europea, al fine di collocare la piena occupazione tra i fini preminenti dell'Unione europea e delle sue istituzioni finanziarie. Inoltre, alla Banca centrale europea andrebbe richiesto di includere tra i principi generali per le operazioni di credito a banche dell'Eurozona la condizione per cui un credito viene concesso soltanto se appare sicuramente promuovere l'occupazione netta nel Paese dell'ente richiedente,

impegna il Governo:

          a sostenere la radicale modifica del Trattato sulla convergenza dei bilanci, il cosiddetto «fiscal compact», una delle cause della recessione, concordando con i partner europei misure sostanziali a favore dello sviluppo sostenibile, a partire da un'europeizzazione non parziale del debito sovrano almeno per la quota che supera il 60 per cento del prodotto interno lordo, secondo le proposte avanzate da diversi economisti anche italiani, e a chiedere nell'immediato lo slittamento della scadenza per il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali e per l'avvio della riduzione dello stock del debito e/o l'esclusione di alcune spese per investimenti dai saldi del patto di stabilità;
          a proporre la realizzazione di una vera unione politica del continente in senso federale al fine di realizzare l'obiettivo degli Stati uniti d'Europa ed a sostenere il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo, giungendo anche all'elezione diretta del presidente della Commissione europea;
          a prendere le opportune iniziative al fine di modificare i meccanismi di cui alla cosiddetta «legge rinforzata», la legge 24 dicembre 2012, n.  243, con particolare riguardo alla definizione del saldo strutturale, alla cosiddetta «regola del debito» per quanto concerne i fattori rilevanti, alla cosiddetta «regola della spesa», alle modalità del monitoraggio da parte del Ministro dell'economia e delle finanze del livello della spesa, alla definizione di eventi eccezionali, alle norme concernenti gli enti territoriali, al ruolo dell'Ufficio parlamentare di bilancio che dovrà essere di supporto del ruolo democratico e sovrano del Parlamento;
          a proporre che si garantisca, come è stato deciso in favore della Spagna, la possibilità di un rientro più morbido e dilazionato nel tempo del debito sovrano, in quanto in particolare appare irrealistico per l'Italia il rientro dal 2015 di oltre 15 miliardi di euro all'anno attraverso dismissioni immobiliari;
          a concordare con gli organismi dell'Unione europea l'applicazione della golden rule che escluda dalle regole di spesa, introdotte dal patto di stabilità e crescita rivisto nel 2011, gli investimenti degli enti territoriali nei seguenti campi:
              a) politiche pubbliche per la creazione di occupazione;
              b) riqualificazione delle periferie attraverso piani di recupero;
              c) interventi di salvaguardia dell'assetto idrogeologico dei territori;
              d) messa in sicurezza degli edifici scolastici;
              e) recupero, salvaguardia e sviluppo del patrimonio artistico e ambientale;
              f) interventi di risanamento delle reti di distribuzione delle acque potabili;
              g) potenziamento del trasporto pubblico locale, con particolare riguardo al pendolarismo ragionale e al trasporto su ferro;
              h) interventi di risparmio energetico attraverso l'utilizzo delle energie rinnovabili;
          a proporre di rafforzare gli impegni degli Stati membri per raggiungere rapidamente una quota di energia da fonti rinnovabili pari al 20 per cento del consumo finale di energia e a definire un nuovo accordo che porti al superamento di tale quota entro il 2020, perché inadeguata alle esigenze energetiche dell'intera comunità, anche rispetto alla situazione di crisi e alla potenzialità di lavoro che gli investimenti in energia rinnovabile possono creare;
          a proporre l'utilizzazione, a livello europeo, di una quota del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie, unitamente all'emissione di eurobond e project bond, per finanziare e promuovere l'occupazione giovanile e la riconversione ecologica del sistema produttivo;
          a proporre la ridefinizione del ruolo della Banca centrale europea come prestatrice di ultima istanza;
          a proporre un programma europeo, una sorta di «social compact», per lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale, la lotta alle disuguaglianze ed alla povertà, da concordare con gli altri partner continentali.
(1-00298) «Marcon, Paglia, Ricciatti, Migliore, Boccadutri, Lavagno, Melilla, Di Salvo, Pannarale».


      La Camera,
          premesso che:
              in Italia il dibattito sulla costruzione dell'Europa unita è stato condotto con grande superficialità, sia da parte della classe politica che dai mass media in generale, forse nell'errata convinzione che il tema riscuotesse poco interesse nell'opinione pubblica. Soprattutto nelle fasi di elaborazione e poi di ratifica dei trattati che progressivamente hanno dato vita all'impianto normativo ed istituzionale dell'Unione europea, è stato fatto uno sforzo del tutto insufficiente per capire fino in fondo e poi per diffondere tra i cittadini i contenuti dei Trattati e dei Consigli europei, e soprattutto per prendere coscienza della posta in gioco, limitandosi a classificazioni manichee: chi è pro o contro l'Europa, chi è pro o contro l'euro, chi ha vinto e chi ha perso nel braccio di ferro con la Merkel;
              solo la Lega Nord, coerentemente in tutti i passaggi parlamentari che hanno investito il dibattito europeo, non si è mai lasciata coinvolgere nell'europeismo ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo falso e incosciente, nell'assenso a trattati di oscuro significato, nell'accettazione acritica di ogni dictat proveniente da Bruxelles. Tanti e ripetuti sono stati i tentativi della Lega Nord di «suonare una sveglia» verso la classe politica e l'opinione pubblica, per chiamarli a leggere, ad approfondire e a capire cosa si stava decidendo veramente ed irrevocabilmente per il nostro futuro;
              più volte è stato chiesto, anche con puntuali proposte di legge costituzionali, di potere coinvolgere il popolo tramite referendum sulla ratifica di trattati che avrebbero inciso sulla dimensione non solo economica ma anche etica dell'Europa, dal Trattato di Nizza alla Costituzione europea. Trattati che, laddove sono stati sottoposti a giudizio popolare, sono stati sonoramente bocciati dai cittadini dell'Europa. Un diritto di espressione che è stato, invece, sempre negato ai cittadini del nostro Paese;
              la ratifica del «fiscal compact» nel 2012 ha comportato la ratifica di un sistema di governance dell'area euro messo a punto per stratificazioni successive, e quasi sempre come risposta – tardiva – ad emergenze non adeguatamente previste e per le quali il «sistema euro» si è rivelato ben presto impreparato. Il «fiscal compact» incorpora i meccanismi di rientro del debito e di rigore di bilancio già previsti dal patto di stabilità e dal six pack già in vigore dal novembre 2011, il Mes mette a regime i sistemi provvisori già operativi per la crisi greca dal maggio 2010. Questo significa che la costruzione di questo impianto normativo non è avvenuta con la visione lungimirante di costruire un sistema che previene le crisi e fa funzionare al meglio il sistema monetario. Al contrario, si è proceduto per stratificazioni successive, spesso anche tra loro incongruenti, di «toppe» ad un sistema non efficace, concepite da burocrati che evidentemente non si sono dimostrati all'altezza del loro compito, che nel sommarsi rendono sempre più farraginosi ed avvitati i meccanismi di decisione, i passaggi da compiere per giungere alle decisioni, la burocrazia ed i rituali. Se poniamo tutto questo di fronte ai mercati finanziari che operano alla velocità della luce, di giorno e di notte, il confronto è evidentemente ridicolo e ovviamente perdente per l'Europa;
              il grande assente di tutto questo dibattito, assente purtroppo dai dibattiti europei da molti anni, forse proprio da quando si è concepito l'euro, è proprio il progetto, il progetto di un'Europa, con il quale si era partiti più di 50 anni fa, sostenuto da pensatori, intellettuali, politici e cittadini, e che ha iniziato a morire lentamente quando si è deciso di fare una moneta senza uno Stato, come se la prima potesse essere autosufficiente e soppiantare e compensare il secondo. Questa idea assurda ha rivelato alla fine tutti i suoi limiti: l'omologazione monetaria ha esaltato, anziché sopire, gli squilibri interni dei Paesi membri, ha premiato i sistemi produttivi più dinamici, ma allo stesso tempo ha permesso ad altre economie di vivere al di sopra delle proprie possibilità protette dall'illusione della moneta forte, senza riformarsi, gonfiando i debiti pubblici, finché è saltato tutto;
              la risposta eurocratica alla più grande crisi finanziaria ed economica della sua storia è stata ancora una volta una risposta tecnocratica, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo ottusa e non democratica, elaborata alle spalle del popolo sul quale esplicherà i suoi effetti;
              il «fiscal compact», sottoscritto nel marzo 2012, è un trattato internazionale e non un atto comunitario. La scelta è stata resa obbligatoria dal fatto che Repubblica Ceca e Regno Unito non l'hanno sottoscritto. È, dunque, un trattato che impegna solo chi lo ha firmato. Il «fiscal compact» non solo impone di inserire in Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio, già previsto nel nostro Paese con legge costituzionale n.  1 del 2012;
              lo stesso trattato impone di ridurre il nostro debito pubblico al ritmo di 1/20 l'anno, per ricondurlo al parametro del 60 per cento del prodotto interno lordo in 20 anni, quindi l'Italia dovrebbe diminuire il suo debito di più di 40 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni. Questa cifra era stata calcolata con una crescita del Pil del 2 per cento. Con il perdurare della crisi ed un prodotto interno lordo inferiore o in decrescita, l'entità delle manovre correttive crescerebbe proporzionalmente, deprimendo ancora di più la situazione economica del Paese, in una spirale suicida;
              con il «fiscal compact», inoltre, ben al di là della nostra modifica costituzionale «interna» l'Italia si espone al giudizio di tutti gli altri membri: infatti, ogni altro Stato membro del «fiscal compact», se dovesse a suo giudizio ritenere i conti italiani «non in regola», potrà adire la Corte di giustizia dell'Unione europea contro l'Italia, anche in assenza di un giudizio negativo da parte della Commissione europea;
              contestualmente al «fiscal compact» il nostro Paese ha ratificato, con l'unica opposizione della Lega Nord, l'introduzione del meccanismo del Mes, European stability mechanism, cioè la messa a regime del sistema attraverso il quale, a fronte di un fondo di salvataggio per Paesi in difficoltà erogati dagli altri Paesi europei, come è accaduto per la Grecia, il Mes interviene nei bilanci dei Paesi «aiutati», decidendo, di fatto, che politiche di taglio e di rigore essi debbano seguire all'interno del proprio Paese. Un fondo, il Mes, al quale tutti sono tenuti a contribuire, anche Paesi come l'Italia con bilanci già sotto pressione, mentre non è chiaro poi chi decide i prestiti e, soprattutto, le condizioni da imporre ai beneficiari;
              il meccanismo provvisorio (Efsm), preludio del costituendo Mes, ha finora garantito prestiti per 180 miliardi di euro alla Grecia, 62 miliardi di euro all'Irlanda, 52 miliardi di euro al Portogallo, 100 miliardi di euro alle banche spagnole. Per contro, per contribuire al fondo l'Italia ha dovuto prevedere l'emissione di quote di debito pubblico ulteriore pari a 45,9 miliardi di euro tra il 2010 ed il 2014. A regime, dovremo sottoscrivere quote per 125 miliardi di euro;
              mentre è obbligatorio versare, la possibilità di ricevere aiuto dal Mes è, invece, subordinata ad un negoziato e, soprattutto, prevede l'imposizione di precisi elementi di condizionalità, come sta già avvenendo in Grecia o in Spagna, che non si limitano a disposizioni a carattere finanziario, ma entrano pesantemente nelle scelte di politica economica e sociale dello Stato beneficiario, mettendo ovviamente a dura prova la tenuta dei Governi che devono gestire l'applicazione dei memorandum;
              il Mes, come è noto, non ha nessun meccanismo di controllo democratico del proprio operato. Esso è gestito da un Consiglio dei Governatori e da un vero e proprio consiglio di amministrazione;
              il Consiglio dei Governatori è composto dai Ministri delle finanze degli Stati membri. L'attività operativa è però svolta dal consiglio di amministrazione, nominato tra persone di competenza economica e finanziaria. Saranno, quindi, esperti di finanza senza alcuna elezione popolare a decidere, ad esempio, le normative in materia di lavoro o di sanità, che dovranno applicare i Paesi beneficiari;
              lo sforzo finanziario per la partecipazione al Mes si aggiunge al contributo importante che l'Italia dà al bilancio comunitario. Nonostante la situazione delicata delle finanze pubbliche italiane e a dispetto delle critiche impietose di esponenti della Commissione europea alla gestione economica del nostro Paese, l'Italia resta uno dei pochi contributori netti al bilancio dell'Unione europea e continuerà ad esserlo anche per il periodo pianificato dal nuovo bilancio comunitario 2014-2020; nel 2011 addirittura l'Italia è stato «il primo contribuente netto» al bilancio europeo e «negli ultimi dieci anni ha pagato più di quanto fosse giustificato». Sono dichiarazioni di un europeista convinto, Mario Monti. In quell'anno, scelto a titolo esemplificativo, mentre il nostro Paese più di altri era sofferente a causa della la crisi finanziaria internazionale, l'Italia ha versato al bilancio comunitario ben 6 miliardi di euro in più di quanto ne ha ricevuti;
              la sostanza di questi trattati è, dunque, che la cessione di sovranità dagli Stati nazionali verso l'Unione europea, in nome di un alto ideale comunitario e di una solidarietà economica tra zone più e meno floride dell'Unione stessa, si sta tramutando in una delega all'eurocrazia a decidere della vita dei cittadini, del sistema di diritti, di welfare, di previdenza in nome dell'unico idolo del rigore e della stabilità dei mercati finanziari;
              gli Stati nazionali, come storicamente intesi, di fatto già non esistono più. Sono involucri vuoti, senza sovranità monetaria, senza il controllo delle politiche fiscali, di bilancio, quindi senza la possibilità di fare politiche economiche e sociali autonome. Svuotare gli Stati senza creare un contropotere significa davvero consegnare il popolo alla finanza, con conseguenze davvero devastanti per la gente. È strano come ad essere tacciati di anti-europeismo siano quelli che come la Lega Nord che invece chiedono una vera «Europa politica», politica e democratica, dunque costruita con il consenso popolare, attraverso le forme intermedie che più permettono ai popoli di esprimere la propria identità: un'Europa delle regioni, che travalicano i confini tradizionali e mettono in comune mentalità, cultura, ma anche metodi di lavoro e capacità produttive ed imprenditoriali, non più ingabbiate in criteri e parametri nazionali non corrispondenti alla realtà, elementi su cui potrebbe anche fondarsi una nuova e diversa dinamica economica, che forse ci porterebbe fuori da questa crisi,

impegna il Governo:

          ad avviare urgentemente in sede comunitaria, durante il semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, una revisione dei meccanismi di stabilità e rigore che stanno strozzando l'economia dell'Europa, dei suoi cittadini e delle sue imprese, per orientarsi nel più breve tempo possibile verso politiche di crescita, di conservazione del patrimonio industriale e delle peculiarità produttive dei Paesi europei e del nostro in particolare;
          a farsi promotore di una revisione dell'intero impianto economico ed istituzionale dell'Unione europea, che superi il principio del rigore come unico orientamento dell'azione comunitaria, che sia orientato allo sviluppo e al bene della persona, rifondando un'Europa politica e non economico burocratica, sulle fondamenta solide della democrazia e del coinvolgimento del popolo;
(1-00303) «Guidesi, Borghesi, Allasia, Attaguile, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


      La Camera,
          premesso che:
              il patto di bilancio europeo o Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria, («fiscal compact»), è un accordo approvato il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 Stati membri dell'Unione europea, entrato in vigore il 1o gennaio 2013 e riguarda principalmente i Paesi dell'Unione europea il cui sistema monetario è basato sull'euro. Il trattato non è stato sottoscritto dal Regno Unito e dalla Repubblica Ceca;
              il patto contiene una serie di regole, chiamate «regole d'oro», che sono vincolanti nell'Unione europea per il principio dell'equilibrio di bilancio; la maggior parte delle decisioni riguardanti l'imposizione fiscale e la spesa pubblica rimane di competenza dei Governi nazionali; il controllo sulla politica fiscale è tradizionalmente considerato centrale per la sovranità nazionale;
              l'Italia ha ampiamente dimostrato la propria buona volontà di procedere nel percorso di risanamento del bilancio, approvando, ben prima della gran parte degli Stati dell'Unione europea, le norme interne attuative del Patto di bilancio europeo:
                  a) con la legge costituzionale n.  1 del 2012 ha recepito nel proprio ordinamento la regola del pareggio di bilancio;
                  b) con le leggi nn.  114, 115 e 116 del 23 luglio 2012 sono stati ratificati i contenuti del «fiscal compact» e cioè la modifica all'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea relativamente a un «meccanismo di stabilità per gli Stati membri la cui moneta è l'euro», il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'unione economica e monetaria e il Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (Esm o Mes);
                  c) con la legge 24 dicembre 2012, n.  243, si è modificato il ciclo annuale di bilancio per conformarlo alle esigenze comunitarie e sono stati introdotti più stringenti criteri per assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci pubblici e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni;
              gli accordi comunitari prevedono l'inserimento, in ciascun ordinamento statale (con norme di rango costituzionale, o comunque nella legislazione nazionale ordinaria), di diverse clausole o vincoli tra le quali:
                  a) l'obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio;
                  b) la significativa riduzione del debito pubblico al ritmo di un ventesimo (5 per cento) all'anno, fino al rapporto del 60 per cento sul prodotto interno lordo nell'arco di un ventennio;
                  c) l'impegno a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell'Unione e con la Commissione europea;
                  d) l'obbligo di mantenere il deficit pubblico sempre al di sotto del 3 per cento del prodotto interno lordo, come previsto dal Patto di stabilità e crescita; in caso contrario, sono previste sanzioni semi-automatiche;
              il limite del 3 per cento del rapporto del rapporto deficit/prodotto interno lordo sussiste da circa 20 anni. Nel 1992 era uno dei criteri (cosiddetti di Maastricht) per l'accesso all'unione monetaria europea; nel 1997 è diventato la prescrizione del Patto di stabilità e crescita, lo strumento di coordinamento delle politiche fiscali tra i Paesi membri dell'area euro ed è sopravvissuto alle due riforme del 2005 e del 2011. È rimasto immutato anche con l'entrata in vigore del «fiscal compact» (il 1o gennaio 2013), nonostante quest'ultimo vincolo si riferisca ad un diverso aggregato di finanza pubblica, vale a dire il disavanzo corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum;
              i premi Nobel per l'economia Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow, in un appello rivolto al Presidente Obama, hanno affermato che: « (...) inserire nella costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida (...) aggiungere ulteriori restrizioni, quale un tetto rigido della spesa pubblica, avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà diminuisce infatti il gettito fiscale e aumentano alcune spese pubbliche tra cui i sussidi di disoccupazione e le spese assistenziali. Queste spese fanno aumentare il deficit pubblico, anche se limitano la contrazione del reddito disponibile, del potere di acquisto e di conseguenza dei consumi; (...) in una economia recessiva (...)», sostengono i Nobel «(...) è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa economica già di per sé debole»;
              secondo l'economista e premio Nobel Paul Krugman, l'inserimento in Costituzione del vincolo di pareggio del bilancio può portare alla dissoluzione dello stato sociale; tuttavia, per la particolare natura della struttura della spesa italiana, nella quale sono assicurati anche sotto il profilo costituzionale i «livelli essenziali di assistenza» e le spese sociali e assistenziali sono considerate, anche in termini contabili, obbligatorie e non comprimibili, il rischio può consistere anche nella riduzione, sino a termini di insignificanza, di tutte le altre categorie di spesa; ove si esaminino i trend di spesa, comunque, ripartiti, da anni si registra una diminuzione di tutte le categorie di spesa: dagli investimenti, ai consumi intermedi, alle spese di funzionamento delle amministrazioni, alle spese dei comuni e delle regioni; per i dipendenti pubblici, che sono numericamente in diminuzione, da tre anni sussiste il blocco dei rinnovi contrattuali; solo la spesa sociale (e la connessa spesa sanitaria) crescono in media del 2 per cento l'anno; gioverà ricordare che l'eccesso di spesa sociale è stato determinante nel crollo economico della Grecia;
              nel mese di giugno 2013 l'Italia è uscita dalla procedura d'infrazione comunitaria per il superamento del vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/prodotto interno lordo; tuttavia, anche il solo provvedimento di restituzione alle imprese delle somme dovute dalla pubblica amministrazione per appalti e forniture, ha riportato l'Italia in prossimità della suddetta soglia e nell'autunno del 2013 il Governo Letta è dovuto intervenire con una «manovrina correttiva» al fine di evitare ulteriori rischi di sforamento; peraltro, la gran parte dei Paesi dell'Unione europea (23 su 27) è soggetta a una procedura per deficit eccessivi, mentre alcuni di essi hanno potuto, su autorizzazione comunitaria, sforare il tetto del 3 per cento, sia pure in presenza di un debito pubblico assoluto assai inferiore a quello italiano;
              il meccanismo di rientro del debito pubblico al ritmo di un ventesimo (5 per cento) all'anno, fino al rapporto del 60 per cento sul prodotto interno lordo nell'arco di un ventennio, oltre al finanziamento del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), comportano la possibilità che, oltre alle normali manovre di riduzione del deficit di bilanci, l'Italia possa essere obbligata a manovre da 40-50 miliardi di euro all'anno, a seconda dei tassi che il Paese dovrà pagare per finanziare il debito sovrano;
              in termini pratici, per cittadini e imprese, il complesso dei vincoli comunitari e delle norme sopra descritte potrebbe comportare una crescita non controllabile, per non dire automatica, della pressione fiscale, in presenza di una riduzione dei servizi,

impegna il Governo:

          ad intervenire in sede di Unione europea, con tutta l'autorità che deriva dall'aver svolto a pieno, prima e meglio di altri Paesi dell'Unione europea, tutti gli impegni assunti con il Trattato comunitario sulla stabilità, coordinamento e governance, al fine di provvedere alla sollecita revisione dei vincoli derivanti dal Trattato sul «fiscal compact» e dal pareggio di bilancio, al fine di liberare risorse da destinare alle politiche di sviluppo economico, nonché ad attenuare l'attuale rigidità delle metodologie con le quali è calcolato il vincolo del 3 per cento del rapporto debito/prodotto interno lordo;
          ad individuare in sede comunitaria meccanismi che consentano di escludere le spese destinate allo sviluppo economico, ivi comprese quelle che consentano la riduzione del carico fiscale sulle imprese, dai vincoli del Patto di stabilità comunitario;
          ad individuare meccanismi interni, ivi compresa la modifica della classificazione contabile, che consentano di tenere sotto controllo la crescita automatica della spesa sociale ed assistenziale.
(1-00305) «Piso, Dorina Bianchi».


      La Camera,
          premesso che:
              la crisi economica e finanziaria, registrata a partire dal 2009, ha spinto l'Unione europea verso un'ampia revisione della propria governante, con l'obiettivo di rafforzare gli strumenti e le procedure per una più rigorosa politica di bilancio, garantire la solidità finanziaria dell'area europea e rilanciare le proprie prospettive di sviluppo;
              il nuovo sistema di governance economica europea si fonda su un complesso di misure, di natura legislativa e non legislativa, finalizzate a rafforzare i vincoli di finanza pubblica dell'unione economica e monetaria, ma anche a introdurre una cornice comune per le politiche economiche degli Stati membri, in particolare per quanto riguarda la crescita e l'occupazione;
              il sistema si articola in sette principali assi di intervento:
                  a) un meccanismo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche nazionali, mediante un ciclo di procedure e strumenti europei e nazionali concentrato nel primo semestre di ogni anno (semestre europeo);
                  b) il patto «Euro plus», che impegna gli Stati membri dell'area euro e alcuni altri Stati aderenti a porre in essere ulteriori interventi in materia di politica economica, il cui eventuale inadempimento non comporta l'adozione di sanzioni;
                  c) il trattato per il coordinamento delle politiche di bilancio (cosiddetto «fiscal compact») entrato in vigore il 1o gennaio 2013;
                  d) le modifiche al Patto di stabilità (contenute in parte nel cosiddetto six pack, in parte nel cosiddetto two pack);
                  e) la sorveglianza sugli squilibri macroeconomici (derivante dall'applicazione del six pack);
                  f) i meccanismi di stabilizzazione dell'eurozona;
                  g) il Patto per la crescita (cosiddetto Growth pact, accordo non vincolante stipulato dal Consiglio europeo di giugno 2012);
              in materia fiscale, in particolare, il «fiscal compact» introduce la regola del pareggio di bilancio, stabilendo che esso si consideri realizzato qualora il saldo strutturale (definito come saldo corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum) delle amministrazioni pubbliche sia pari all'obiettivo di medio termine specifico per il Paese, come definito nel Patto di stabilità e crescita, con un limite inferiore di disavanzo strutturale dello 0,5 per cento del prodotto interno lordo; deviazioni temporanee dall'obiettivo di medio termine sono consentite solo in caso di circostanze eccezionali o di gravi crisi economico-finanziarie e, comunque, nella misura in cui tale deroga non comprometta la sostenibilità del debito di lungo periodo; inoltre, gli Stati firmatari del Trattato si impegnano all'inserimento della regola del bilancio in pareggio (in termini strutturali) all'interno del quadro legislativo nazionale con modifiche di carattere vincolante e permanente, preferibilmente a livello costituzionale, e a recepire gli specifici meccanismi di correzione da attivare nel caso di scostamenti tra i risultati conseguiti e l'obiettivo di medio termine;
              l'allineamento del sistema di regole interne con le nuove disposizioni europee è avvenuto per l'Italia con l'approvazione della legge costituzionale n.  1 del 2012, che introduce nell'ordinamento un principio di carattere generale, secondo il quale tutte le amministrazioni pubbliche devono assicurare l'equilibrio tra entrate e spese del bilancio e la sostenibilità del debito, nell'osservanza delle regole dell'Unione europea in materia economico-finanziaria;
              la legge n.  243 del 2012 ha successivamente disciplinato i principi e le regole di bilancio riferite al complesso delle amministrazioni pubbliche, che riguardano, in particolare, la definizione dell'equilibrio di bilancio, l'introduzione di una regola sull'evoluzione della spesa e le regole in materia di sostenibilità del debito pubblico, disciplinando, altresì, specifiche deroghe al principio dell'equilibrio, nonché i necessari meccanismi correttivi da adottare in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi;
              nel 2014 è previsto un importante processo di riesame da parte della Commissione europea dei provvedimenti più recenti in materia di coordinamento delle politiche macroeconomiche e di bilancio (six pack e two pack): i rapporti sulla clausola di revisione, inserita negli articolati dei provvedimenti legislativi in questione, dovrebbero essere inviati dalla Commissione europea al Consiglio e al Parlamento Europeo entro il 14 dicembre 2014 e sarà valutata l'efficacia delle disposizioni, soprattutto riguardo ai meccanismi di voto, includendo, ove necessario, proposte di revisione;
              se le condizioni finanziarie nell'area dell'euro sono oggi molto meno tese rispetto alla fine del 2011, il raggiungimento di un equilibrio stabile è tuttavia ancora lontano, poiché continua a mancare un meccanismo di riduzione delle divergenze nelle strutture economiche dei Paesi dell'area euro, in assenza del quale non sarà possibile dare definitiva soluzione neanche ai problemi dei debiti sovrani; al tempo stesso, risultano ancora in gran parte irrisolti i problemi relativi alle asimmetrie del ciclo economico, che privilegiano alcuni Paesi a danno di altri e che devono essere affrontati con uno sforzo comune, teso a riequilibrare le tendenze spontanee del mercato, con un vero coordinamento delle politiche economiche dell'eurozona che contempli strumenti adeguati a fronteggiare le asimmetrie del ciclo nei singoli Paesi;
              la questione cruciale è il rafforzamento della governance dell'unione economica e monetaria, dal momento che solo 18 Paesi su 28 adottano l'euro: l'attuale asimmetria tra eurozona e Unione europea costituisce, infatti, uno dei principali argomenti a sostegno di una governance imperniata sul metodo intergovernativo e su strumenti e organismi esterni al quadro istituzionale dell'Unione europea, come il «fiscal compact» e il Mes (il cosiddetto Fondo salva Stati);
              in sostanza, la crisi ha dimostrato la necessità di dotare la moneta unica di un vero governo economico, governo che va, però, collocato all'interno del quadro giuridico e istituzionale dell'Unione europea e imperniato sulle sue istituzioni;
              approvando con una larga maggioranza il rapporto Gualtieri-Trzaskowski sui problemi costituzionali della governance multilivello nell'Unione europea, il Parlamento europeo è entrato con forza nel dibattito sul futuro delle istituzioni europee e del governo dell'euro: il rapporto, infatti, sottolinea la necessità di avviare da subito le riforme possibili sulla base degli attuali trattati e dell'utilizzo dei numerosi strumenti di flessibilità presenti al loro interno, a partire dalla costituzione di una «capacità fiscale» aggiuntiva per l'eurozona da collocare all'interno del bilancio dell'Unione europea;
              in questo quadro, il rapporto propone un modello di coordinamento rafforzato delle politiche economiche diverso da quello contenuto nella proposta di «accordi contrattuali», che sarà in discussione al prossimo Consiglio europeo e che trova nella costituzione di un chiaro sistema di incentivi attraverso l'istituzione di uno strumento finanziario, che del bilancio dell'eurozona dovrebbe essere l'embrione (oltre che in un maggiore legittimazione democratica a livello europeo e nazionale e in una maggiore attenzione alla dimensione sociale), i suoi tratti distintivi;
              all'interno della discussione sul future dell'unione economica e monetaria, l'unione bancaria rappresenta un passaggio di fondamentale importanza e si compone di tre elementi: un meccanismo unico di supervisione, un meccanismo unico di risoluzione delle crisi e, nella prospettiva dell'unione di bilancio, un'assicurazione unica dei depositi;
              poiché l'unione bancaria è essenziale per contribuire al raggiungimento di condizioni più distese sui mercati finanziari nell'area dell'euro e nel nostro Paese e all'interruzione della spirale negativa tra rischio sovrano e attivi bancari, è necessario completare il meccanismo di supervisione con un sistema unico di risoluzione delle crisi bancarie, insistendo per il raggiungimento di un accordo tra Consiglio e Parlamento sul meccanismo unico di risoluzione delle crisi che includa anche un fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie e una regolamentazione per la garanzie dei depositi bancari il più possibile armonizzata;
              è di particolare rilevanza l'evoluzione della discussione relativa alla mutualizzazione del debito pubblico a livello europeo: entro il marzo 2014, infatti, è attesa la pubblicazione di un rapporto che ne analizzerà le prospettive; anche su questo versante, è importante insistere sulla necessità di collocare i nuovi meccanismi all'interno del quadro giuridico e istituzionale dell'Unione europea, soprattutto alla luce della prossima scadenza per l'elezione di un nuovo Parlamento e dell'impegno delle principali forze politiche europee a legare più fortemente l'esito della competizione democratica con la composizione della futura Commissione europea;
              se va vista con favore la cosiddetta investment clause (sancita dal Consiglio europeo su proposta italiana), sulla base della quale può essere consentito ai Paesi non sottoposti a una procedura per disavanzo eccessivo, ovvero a un programma di aiuti, di versare la quota di cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali dell'Unione europea, in deroga all'obiettivo di pareggio del bilancio, continua ad essere assente una vera e propria golden rule estesa all'insieme degli investimenti che possano esercitare un impatto positivo sulla crescita territoriale e sulla riduzione della disoccupazione;
              dopo i risultati conseguiti nei campi della stabilità finanziaria, della sorveglianza delle politiche economiche e dell'unione bancaria, è importante che la discussione non si areni su quei temi più delicati, come gli incentivi alle riforme strutturali, la mutualizzazione dei debiti e l'unione fiscale, essenziali per la realizzazione di un'unione economica e monetaria efficace ed equilibrata,

impegna il Governo:

          ad attivarsi affinché tutte le decisioni relative al rafforzamento dell'unione economica e monetaria siano adottate sulla base del Trattato sull'Unione europea;
          ad avviare un negoziato con le istituzioni europee finalizzato a far sì che, a seguito del riesame dei provvedimenti in materia di governance economica da parte della Commissione europea per il 2014, sia concessa una maggiore flessibilità degli obiettivi di bilancio a medio termine, per tenere conto del ciclo economico;
          per quanto riguarda l'unione bancaria, ad affermare con forza la necessità di un presidio istituzionale in Europa nella fase di messa a punto della vigilanza bancaria unica e di costruzione del meccanismo di risoluzione delle crisi, per evitare scelte e indirizzi contrari all'interesse del Paese, in particolare in materia di valutazione dei titoli pubblici posseduti dalle banche e dalle assicurazioni e di metodi di vigilanza sulle piccole banche territoriali;
          a promuovere nelle sedi europee l'introduzione di meccanismi asimmetrici e anticiclici incardinati nel bilancio europeo per il finanziamento dei sussidi alla disoccupazione e per il sostegno dell'occupazione, in particolare giovanile;
          a sostenere l'estensione della golden rule in modo da permettere lo scomputo di alcune voci di spesa per investimenti che possano esercitare un impatto a breve positivo sulla crescita territoriale e sulla riduzione della disoccupazione dai parametri finanziari rilevanti nel processo europeo di coordinamento dei bilanci pubblici nazionali;
          a favorire la costituzione di un fondo europeo di remissione del debito (debt redemption fund) e di strumenti di debito europeo a breve termine (eurobills) senza ricorrere a ulteriori trattati intergovernativi, ma utilizzando il quadro giuridico e istituzionale esistente dell'Unione europea;
          a sostenere la necessità di costruire un'adeguata implementazione, nelle procedure e negli strumenti di incentivo/disincentivo, della procedura per gli squilibri macroeconomici (Macroeconomic imbalance procedure-Mip), con l'obiettivo di responsabilizzare i Paesi dell'eurozona eccedentari all'attivazione al loro interno delle misure necessarie per l'assorbimento degli squilibri, come più volte chiesto all'Unione europea dai più importanti partner internazionali, a partire dagli Stati Uniti;
          in materia di unione economica e monetaria, a richiamare l'esigenza di compiere progressi in modo equilibrato e bilanciato su tutte e quattro le direttrici poste dal rapporto dei quattro Presidenti «Verso un'autentica unione economica e monetaria», così da arrivare progressivamente a definire una vera e propria politica economica della zona euro, in modo da assicurare un aggiustamento più equilibrato tra i Paesi in deficit e i Paesi in surplus.
(1-00310) «Martella, Buttiglione, Causi, Marchi, Mosca, Bobba, Bonavitacola, Capodicasa, Censore, De Micheli, Fanucci, Giampaolo Galli, Genovese, Giulietti, Guerra, Laforgia, Losacco, Marchetti, Melilli, Misiani, Parrini, Preziosi, Rubinato, Rughetti, Bargero, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Colaninno, De Maria, De Menech, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Lorenzo Guerini, Gutgeld, Lodolini, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Rostan, Sanga, Amoddio, Basso».


      La Camera,
          premesso che:
              sin dal 1992 il Trattato di Maastricht richiede agli Stati membri dell'Unione europea il rispetto di due regole di bilancio: un rapporto indebitamento netto/prodotto interno lordo inferiore al 3 per cento e un rapporto debito/prodotto interno lordo inferiore al 60 per cento o, comunque, tendente a questo;
              con il Patto di stabilità e crescita (Psc), sottoscritto nel 1997, la governance europea si è strutturata maggiormente, costituendo il principale fondamento giuridico della regolamentazione delle politiche di bilancio;
              con successive revisioni, prima nel 2005, poi nel 2011 con il cosiddetto six pack e nel 2012 con il cosiddetto two pack, l'Unione europea ha stabilito con maggiore dettaglio il modo con cui le norme previste dal Trattato debbano essere attuate, definendo obiettivi e procedure delle regole di bilancio richieste agli Stati membri;
              la crisi finanziaria del 2008 e la recessione dell'economia globale del 2009 hanno determinato un forte deterioramento delle finanze pubbliche in tutti i Paesi europei e hanno riproposto con forza il problema del governo economico dell'Europa, attivando un ciclo di modifiche della governance europea;
              le azioni intraprese hanno mirato a delineare un'architettura delle politiche di bilancio dell'Unione europea in generale più vincolante per gli Stati membri, istituendo un quadro più rigido per il coordinamento e il controllo delle politiche di bilancio;
              la crisi economica e finanziaria, ma soprattutto la crisi del debito pubblico, che negli ultimi anni ha severamente colpito i Paesi dell'Unione Europea e, in particolare, dell'Eurozona, proprio nel momento in cui si concludeva un quasi decennale processo di modifica dei trattati con l'entrata in vigore della Strategia di Lisbona, ha evidenziato con chiarezza non solo la debolezza strutturale del modello di unione economica e monetaria, le carenze del sistema di governance dell'euro e i limiti dei meccanismi di controllo ex ante ed ex post della moneta unica (così come erano stati disegnati con il Trattato di Maastricht, con il Patto di stabilità e crescita e successivamente con il Trattato di Lisbona), la consapevolezza del rischio di destabilizzare l'intera area dell'euro, ma anche la necessità di introduzione di nuovi sistemi di sorveglianza delle politiche economiche e di bilancio, di adozione di nuovi strumenti e procedure volti a garantire un maggiore coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, una maggiore convergenza delle loro economie e un meccanismo di salvataggio dei Paesi economicamente più deboli;
              la riforma della governance mira a prevenire il formarsi degli squilibri macroeconomici, introducendo un meccanismo in grado di affrontare le debolezze dell'area monetaria, di favorire una crescita equilibrata nei diversi Paesi e di impedire il formarsi di dinamiche divergenti di costi e produttività;
              il nuovo sistema di governance economica si articola in un complesso di misure di natura legislativa e non legislativa che mirano, da un lato, a rafforzare i vincoli di finanza pubblica introdotti sin dalla creazione, nel 1993, dell'unione economica e monetaria e, dall'altro, a introdurre una cornice comune anche per le politiche economiche degli Stati membri e, in particolare, per le misure finalizzate alla crescita e all'occupazione;
              tale sistema si articola in sette principali assi di intervento:
                  a) un meccanismo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche nazionali, mediante un ciclo di procedure e strumenti europei e nazionali concentrato nel primo semestre di ogni anno (cosiddetto semestre europeo, operativo già dal 2011);
                  b) il patto «Euro Plus», che impegna gli Stati membri dell'area euro e altri Stati aderenti a porre in essere ulteriori interventi in materia di politica economica, il cui eventuale inadempimento non comporta l'adozione di sanzioni;
                  c) il trattato per il coordinamento delle politiche di bilancio (cosiddetto fiscal compact, entrato in vigore il 1o gennaio 2013);
                  d) le modifiche al patto di stabilità (in parte introdotte con il cosiddetto six pack e in parte con il cosiddetto two pack);
                  e) la sorveglianza sugli squilibri macroeconomici (già applicata in base a due regolamenti del cosiddetto two pack);
                  f) i meccanismi di stabilizzazione dell'Eurozona;
                  g) il patto per la crescita (cosiddetto growth pact, accordo non vincolante stipulato dal Consiglio europeo di giugno 2012);
              l'introduzione della procedura del «semestre europeo» è un primo passo nella direzione di un maggiore coordinamento ex ante delle politiche economiche europee e un'adeguata sorveglianza delle politiche economiche e di bilancio nell'Eurozona e nell'Unione europea a 27 da parte del Consiglio Europeo, su impulso della Commissione europea, requisiti essenziali per il buon funzionamento di un'area monetaria: esso prevede un ciclo di programmazione comune a tutti i Paesi dell'Unione europea, volto a garantire la coerenza delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri, da approvare nella seconda metà dell'anno con le rispettive leggi di bilancio, con le raccomandazioni e gli indirizzi approvati dalle istituzioni dell'Unione europea nella prima metà dell'anno;
              l'esigenza di salvaguardare la stabilità finanziaria dell'area dell'euro, a seguito dell'aggravarsi delle tensioni sui mercati in alcuni Paesi, ha spinto verso la creazione di protezioni di ultima istanza (tale funzione è stata esercitata a partire dal 2010 su base temporanea tramite il sostegno finanziario alla Grecia, all'Irlanda e al Portogallo) e, dopo la creazione di meccanismi temporanei di gestione delle crisi finanziarie, è stata ridefinita l'architettura della vigilanza su intermediari e mercati, istituendo il Comitato europeo per il rischio sistemico, al quale sono state affidate funzioni di vigilanza macroprudenziale, e tre autorità di vigilanza europee, cui sono attribuiti compiti di vigilanza microprudenziale in coordinamento con le autorità nazionali, nonché un meccanismo permanente di risoluzione delle crisi che si è concretizzato nel Meccanismo europeo di stabilità (European Stability Mechanism - Esm), istituito da un Trattato sottoscritto dai Paesi membri dell'area euro nel febbraio 2012, che può assistere Paesi in difficoltà con varie forme di interventi: prestiti diretti a Paesi nell'area dell'euro a rischio di default, acquisti sui mercati secondari di titoli del debito pubblico di Paesi ugualmente a rischio di default, linee di credito precauzionale e interventi di ricapitalizzazione di banche;
              la strategia europa 2020, definita dal Consiglio europeo nelle riunioni di marzo e giugno 2010, delinea gli obiettivi e gli strumenti dell'Unione europea e degli Stati membri in materia di crescita e di occupazione per il decennio 2011-2020 e si articola in cinque obiettivi principali: portare il tasso di disoccupazione al 75 per cento, migliorare le condizioni per la ricerca e lo sviluppo, ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20 per cento, migliorare i livelli di istruzione, riducendo i tassi di dispersione scolastica, promuovere l'inclusione sociale attraverso la riduzione della povertà;
              il Patto per la crescita e l'occupazione, approvato dal Consiglio europeo di giugno 2012, costituisce il quadro generale (ma non vincolante giuridicamente) per l'adozione di misure di stimolo della crescita, di natura legislativa e non legislativa, a livello nazionale, di area euro e dell'Unione europea a 27. In particolare, tale patto prevede l'aumento del capitale versato dalla Banca europea per gli investimenti allo scopo di accrescere la capacità totale di prestito, l'avvio della fase pilota relativa ai prestiti obbligazionari per il finanziamento di progetti infrastrutturali nei settori dei trasporti, dell'energia e delle infrastrutture a banda larga, la riprogrammazione dei fondi strutturali non spesi, l'ampliamento dell'intervento del fondo europeo per gli investimenti, il completamento del mercato unico digitale e del mercato interno dell'energia, il rafforzamento dello Spazio europeo della ricerca, il consolidamento della politica fiscale al risanamento di bilancio e alla crescita, lo sviluppo del commercio internazionale;
              la riforma del Patto di stabilità e crescita, adottata con i sei provvedimenti legislativi (cinque regolamenti e una direttiva) noti come «six pack» (approvati nel novembre 2011) e successivamente con altri due regolamenti destinati ai soli membri dell'euro, è stata caratterizzata per alcune importanti novità: la prima è la previsione di maggiori automatismi nei meccanismi decisionali delle procedure per deficit eccessivi e la previsione di sanzioni finanziarie più pesanti che intervengono fin dalle fasi preliminari delle procedure per deficit eccessivi e per debiti eccessivi, la seconda caratteristica è l'attenzione specifica al tema del debito pubblico, con la previsione di procedure per quei Paesi con un debito al di sopra del 60 per cento del prodotto interno lordo e con la possibilità di richiedere piani di rientro nei parametri, nonché con la creazione di una nuova procedura di sorveglianza multilaterale sugli squilibri eccessivi, che dovrebbe consentire di tenere sotto controllo le dinamiche di evoluzione dei tassi di competitività dei sistemi Paese;
              il cosiddetto two pack (entrato in vigore nel maggio 2013) ha completato e rafforzato il six pack, rendendo più efficaci sia la procedura del semestre europeo sia la parte preventiva e correttiva del Patto di stabilità e crescita, attraverso un regolamento sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri che affrontano o sono minacciati da serie difficoltà per la propria stabilità finanziaria nell'Eurozona e un regolamento recante disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio e per assicurare la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri nell'Eurozona, prevedendo la sorveglianza automatica per i Paesi che ricevono aiuti finanziari dai fondi salva Stati costituiti a livello sovranazionale, così come previsti dal Fondo europeo di stabilità finanziaria e dal Meccanismo di stabilità;
              il Patto di stabilità e crescita, oltre ad essere stato riformato mediante il six pack e il two pack, è stato rafforzato dal Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria (cosiddetto fiscal compact), firmato da tutti gli Stati membri dell'Unione europea, ad eccezione di Regno Unito e Repubblica Ceca, in occasione del Consiglio europeo del 1o-2 marzo 2012, che incorpora e integra in una cornice unitaria alcune delle regole di finanza pubblica e delle procedure per il coordinamento delle politiche economiche, in gran parte già introdotte o in via di introduzione in via legislativa nel quadro della nuova governante economica europea;
              i punti principali del Trattato, entrato in vigore il 1o gennaio 2013, riguardano:
                  a) l'impegno delle parti contraenti ad applicare e ad introdurre, entro un anno dall'entrata in vigore del Trattato, con norme costituzionali o di rango equivalente, la «regola aurea» per cui il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo;
                  b) qualora il rapporto debito pubblico/prodotto interno lordo superi il 60 per cento, le parti contraenti si impegnano a ridurlo mediante 1/20 all'anno per la parte eccedente tale misura, tenendo tuttavia conto di alcuni fattori rilevanti quali la sostenibilità dei sistemi pensionistici e il livello di indebitamento del settore privato;
                  c) qualsiasi parte contraente che consideri un'altra inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti dal patto di bilancio potrebbe adire la Corte di giustizia dell'Unione europea;
                  d) le parti contraenti possono fare ricorso alle cooperazioni rafforzate nei settori essenziali per il buon funzionamento dell'Eurozona, senza tuttavia recare pregiudizio al mercato interno;
              il 17 aprile 2012 è stata approvata la legge costituzionale n.  1 del 2012, volta ad introdurre nella Costituzione italiana il rispetto dei vincoli sul pareggio di bilancio derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea; tale legge modifica gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione, incidendo sulla disciplina di bilancio dell'intero aggregato delle pubbliche amministrazioni, compresi gli enti territoriali;
              la legge n.  243 del 2012 ha successivamente disciplinato i principi e le regole di bilancio del complesso delle amministrazioni pubbliche che riguardano, in particolare, la definizione dell'equilibrio di bilancio e le norme in materia di sostenibilità del debito pubblico, disciplinando specifiche deroghe al principio dell'equilibrio, nonché i necessari meccanismi correttivi da adottare in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, l'istituzione dell'Ufficio parlamentare di bilancio, organismo indipendente per le analisi di finanza pubblica, la cui operatività è prevista decorrere dal gennaio 2014;
              per garantire coerenza e compiuta integrazione del settore finanziario, nonché per spezzare il circolo vizioso che si è spesso determinato tra debito sovrano e debito bancario, nel settembre del 2012, su impulso del Consiglio europeo, la Commissione europea ha prospettato la creazione di un'unione bancaria basata su quattro pilastri: un sistema centralizzato di vigilanza sul settore bancario incentrato sulla Banca centrale europea; un quadro comune sugli strumenti nazionali di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi; un sistema armonizzato di garanzia dei depositi bancari; un meccanismo unico europeo per la risoluzione delle crisi bancarie nell'area euro e per gli altri Paesi aderenti al sistema di vigilanza unico;
              allo stato attuale, è stato portato a compimento soltanto il primo pilastro (sistema unico di vigilanza), che prospetta l'attribuzione alla Banca centrale europea di compiti specifici di vigilanza prudenziale degli enti creditizi stabiliti negli Stati membri la cui moneta è l'euro, mantenendo le competenze residue in capo alle autorità nazionali di vigilanza, l'istituzione di un comitato di sorveglianza (supervisory board) per assicurare che le funzioni di politica monetaria e quelle di vigilanza prudenziale siano rigorosamente separate, la responsabilità della Banca centrale europea per i compiti ad essa attribuiti dinanzi al Parlamento europeo, la rigorosa separazione dei compiti di politica monetaria da quelli di vigilanza per scongiurare potenziali conflitti di interesse. L'entrata in vigore del sistema unico di vigilanza bancaria consentirà la ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del Meccanismo europeo di stabilità (European stability mechanism, Esm),

impegna il Governo:

          a perseguire le priorità dell'Unione europea su una credibile ed efficace strategia per la crescita e lo sviluppo, nel rispetto delle decisioni e degli impegni assunti in materia di disciplina di bilancio, di contenimento della spesa pubblica e di riduzione di deficit e debiti pubblici;
          a garantire che le politiche di consolidamento dei conti pubblici e le misure di attuazione dell'equilibrio di bilancio, inclusi i meccanismi di coordinamento tra i diversi livelli amministrativi e la definizione di meccanismi di correzione e delle clausole di salvaguarda, siano conformi al diritto dell'Unione europea;
          ad attivarsi affinché tutte le decisioni relative al rafforzamento dell'Unione economica e monetaria siano adottate sulla base del trattato sull'Unione europea;
          a far sì che, nel corso del riesame dei provvedimenti in materia di governance economica da parte della Commissione europea per il 2014, sia concessa una maggiore flessibilità degli obiettivi di bilancio a medio termine, per tenere conto del ciclo economico;
          a favorire la costituzione di un fondo europeo di remissione del debito (debt redemption fund) e di strumenti di debito europeo a breve termine (eurobills);
          a portare a compimento gli interventi per la creazione di un'unione bancaria, monitorando la fase di messa a punto della vigilanza bancaria unica e di costruzione del meccanismo di risoluzione delle crisi, per evitare scelte e indirizzi contrari all'interesse del Paese, in particolare in materia di valutazione dei titoli pubblici posseduti dalle banche e dalle assicurazioni e di metodi di vigilanza sulle piccole banche territoriali;
          ad assicurare una maggiore coordinamento ex ante dei progetti di riforma importanti degli Stati membri dell'Unione Europea;
          a promuovere nelle sedi europee l'introduzione di meccanismi asimmetrici e anticiclici incardinati nel bilancio europeo per il finanziamento dei sussidi alla disoccupazione e per il sostegno dell'occupazione, in particolare giovanile;
          a sostenere l'estensione della golden rule in modo da permettere lo scomputo di alcune voci di spesa per investimenti che possano esercitare un impatto a breve positivo sulla crescita territoriale e sulla riduzione della disoccupazione dai parametri finanziari rilevanti nel processo europeo di coordinamento dei bilanci pubblici nazionali.
(1-00312) «Zanetti, Andrea Romano, Sottanelli, Librandi».


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Problematiche riguardanti i criteri di selezione dei docenti universitari con particolare riguardo all'oggettività della valutazione del merito dei candidati – 3-00549

      MIGLIORE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          con la legge n.  240 del 2010 il Parlamento ha riformato la materia dell'organizzazione delle università, del personale accademico e del relativo reclutamento, delegando il Governo ad emanare misure per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario;
          nelle intenzioni del legislatore il principio informatore della riforma è la promozione del merito, intesa sia come promozione della singola università in termini di ricerca competitiva sia, conseguentemente, come reclutamento del personale accademico;
          questi principi, mutuati dalla migliore esperienza internazionale, si sono tradotti in una profonda riforma dei sistemi di reclutamento del personale accademico;
          in primo luogo è stato abbandonato il cosiddetto localismo accademico indotto dalla previgente normativa, che – prevedendo l'indizione da parte di ogni singolo ateneo di concorsi universitari – permetteva il proliferare di ben noti fenomeni di «nepotismo»;
          in luogo dei concorsi locali è stato, quindi, previsto un sistema di abilitazione scientifica nazionale, che – una volta conseguita – permette ai singoli abilitati di prendere parte ai concorsi per chiamata indetti dai singoli atenei;
          in questo contesto è evidente che, se da un lato l'abilitazione scientifica certifica l'idoneità del candidato, dall'altro il singolo ateneo ne risulta responsabilizzato nella fase di reclutamento, atteso che alla scelta più felice conseguirà l'accrescimento del prestigio dell'ateneo stesso nel mondo scientifico e della ricerca anche in termini di capacità di attrarre finanziamenti pubblici e privati;
          questo spiega – a differenza di quanto previsto nel previgente sistema – l'espressa previsione di ricorrere nelle procedure di abilitazione scientifica nazionale a parametri oggettivi e universalmente accettati dal mondo scientifico internazionale, quali gli indicatori bibliometrici;
          il decreto ministeriale 7 luglio 2012, n.  76, emanato in attuazione della delega di cui all'articolo 16 della legge n.  240 del 2010, prevede espressamente questi indicatori bibliometrici e aggiunge che «ottengono una valutazione positiva dell'importanza e dell'impatto della produzione scientifica complessiva i candidati all'abilitazione i cui indicatori sono superiori alla mediana in almeno due indicatori (...)»;
          su questi presupposti normativi, con decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 20 luglio 2012, n.  222, è stata indetta la procedura per conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia per numerose aree disciplinari;
          con deliberazione dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) 13 agosto 2012, n.  64, sono state deliberate le mediane per la valutazione dei candidati;
          tuttavia, in spregio a tutto quanto fin qui considerato con riguardo all'oggettività della valutazione e del merito dei candidati, successivamente all'indizione delle procedura, con la circolare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 11 gennaio 2013, n.  754, è stata data indicazione alle commissioni esaminatrici nel senso opposto alla ratio normativa riformatrice; la circolare, infatti, specifica che anche i canditati privi di indicatori bibliometrici superiori alle mediane avrebbero potuto conseguire l'abilitazione e, viceversa, non conseguirla candidati titolari di indicatori superiori alle mediane;
          la circolare, in sostanza, ha vanificato i principi informatori della riforma, accordando alle commissioni un potere discrezionale del tutto sganciato dai parametri oggettivi, quali sono gli indicatori bibliometrici;
          le improvvide indicazioni contenute nella circolare, non rispondenti alle previsioni di legge, ripristinano quelle discriminazioni, quelle incongruenze e, soprattutto, quei fenomeni nepotistici che la riforma intendeva debellare;
          in particolare, si deve rilevare che, con riferimento agli esiti della tornata 2013 per l'area concorsuale E/06, si registrano dati oggettivamente inspiegabili:
              a) su 96 candidati a professore di prima fascia, solo 28 (il 29 per cento) candidati sono risultati abilitati;
              b) su 193 candidati a professore di seconda fascia, solo 72 (il 37 per cento) candidati sono risultati abilitati;
              c) dei soggetti non risultati abilitati, 29/68 (il 43 per cento) di coloro i quali non hanno conseguito l'abilitazione in prima fascia e 40/121 (il 30 per cento) di coloro i quali non hanno conseguito l'abilitazione in seconda fascia erano titolari di indicatori bibliometrici superiori a tutte e tre le mediane concorsuali. D'altro canto, dei soggetti risultati abilitati, 5/28 (il 18 per cento) degli abilitati in prima fascia e 10/72 (il 14 per cento) degli abilitati in seconda fascia presentavano uno o due indicatori bibliometrici inferiori alle mediane concorsuali;
              d) in numerosi casi non risultano abilitati candidati altamente accreditati scientificamente a livello internazionale, titolari di indicatori bibliometrici quasi dieci volte superiori alle mediane concorsuali;
          il che risulta vieppiù inspiegabile sol che si consideri che gli stessi commissari avrebbero dovuto essere selezionati per il sol fatto di godere di indicatori bibliometrici superiori alle mediane concorsuali per professori di prima fascia;
          consta, inoltre, che quanto verificatosi nell'area concorsuale citata si sia replicato in varie altre aree concorsuali;
          vi è – in sostanza – qualcosa di più di un fondato timore che la nota circolare citata abbia legittimato un operato da parte delle commissioni esaminatrici tutt'altro che trasparente ed imparziale, gravemente dannoso per il futuro delle università italiane, considerandosi che quantomeno per i prossimi quattro anni (periodo di validità dell'abilitazione) buona parte della ricerca nazionale, così come accreditata e riconosciuta dal mondo scientifico internazionale, non potrà partecipare ai concorsi per chiamata dei diversi atenei, lasciando il campo libero a candidati pressoché ignoti alla comunità scientifica e della ricerca  –:
          quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto in premessa per ristabilire i criteri di selezione dei docenti universitari legati effettivamente al merito e ad indicatori oggettivi accettati dalla comunità scientifica a fronte di rischi di arbitrarietà e nepotismo emersi, a parere degli interroganti, anche in queste procedure, specificando quali strumenti di indagine intenda adottare il Governo per accertare se l'operato delle commissioni esaminatrici nelle procedure di abilitazione anzidette sia stato improntato effettivamente ad incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario. (3-00549)


Iniziative in merito alla vicenda del blocco degli automatismi stipendiali per il personale del comparto scuola – 3-00550

      LUIGI GALLO, BRESCIA, MARZANA, VACCA, D'UVA, BATTELLI, DI BENEDETTO e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n.  122, ha prorogato fino al 31 dicembre 2013 le disposizioni recate dall'articolo 9, comma 23, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni, dalle legge 30 luglio 2010, n.  122, comportando, di fatto, non solo il blocco degli automatismi stipendiali per il personale del comparto scuola, ma anche la restituzione forzosa della quota relativa agli automatismi di cui sopra, percepiti dagli aventi diritto a decorrere dal 2 gennaio 2013;
          la restituzione forzosa sancita dal decreto del Presidente della Repubblica di cui sopra è stata palesemente smentita solo per gli insegnanti, a mezzo stampa, dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro dell'economia e delle finanze, ma non risulta chiaro come si procederà per le restanti categorie lavorative del comparto scuola;
          con nota del 7 gennaio 2014, protocollo 0000002, il dipartimento per l'istruzione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca informa i direttori generali degli uffici scolastici regionali del blocco dell'erogazione del beneficio economico e del recupero delle somme erogate per la liquidazione del beneficio con decorrenza 1o settembre 2011, ed annualità successive, relative al personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ata) di prima e seconda posizione economica;
          alla stessa stregua della vicenda riguardante i docenti prima menzionata, anche se determinata da norme differenti, la vicenda che coinvolge il personale amministrativo, tecnico e ausiliario manifesta una palese violazione degli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione, in quanto si impone la restituzione forzosa di un diritto quesito, in quanto si tratta di una quota retributiva già entrata a far parte del patrimonio del lavoratore in qualità di corrispettivo relativo a prestazioni già rese, nell'ambito di un rapporto lavorativo già espletato;
          il Ministro interrogato, sulla vicenda del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, ha riferito agli organi di stampa che «anche il personale ata può stare tranquillo»  –:
          con quali modalità normative e con quale tempistica il Ministro interrogato intenda risolvere le questioni riguardanti il personale docente e il personale amministrativo, tecnico e ausiliario del comparto scuola sin qui descritti. (3-00550)


Iniziative di competenza in relazione ad alcune dichiarazioni e comportamenti dei rettori delle università di Cagliari e di Sassari in vista delle prossime elezioni regionali in Sardegna – 3-00551

      CENTEMERO, CRIMI, LAINATI, PALMIERI, SANTELLI e PALESE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il rettore dell'Università di Sassari, Attilio Mastino, nei giorni scorsi ha dichiarato a mezzo stampa il proprio appoggio incondizionato al candidato alla carica di governatore del Partito democratico alle prossime elezioni amministrative, Francesco Pigliaru;
          mediante frasi riportate da tutti i media, del seguente tenore: «sostengo con convinzione la candidatura di Francesco Pigliaru» e «lavorerò per mettere al sicuro il risultato elettorale», un rettore di un ateneo pubblico, frequentato da decine di migliaia di giovani studenti, ha pubblicamente messo da canto le funzioni di indirizzo, d'iniziativa e coordinamento delle attività scientifiche e didattiche, nonché la responsabilità del perseguimento delle finalità dell'ateneo di promozione del merito, per lanciarsi in una campagna elettorale che non dovrebbe certo rientrare tra le competenze di un'istituzione accademica;
          come se non bastasse, il sito istituzionale dell'ateneo di Cagliari, retto dal professor Giovanni Melis, con un link in evidenza sulla propria homepage www.unica.it, dedica addirittura una pagina intera a Francesco Pigliaru, trasformando, di fatto, un sito istituzionale in uno strumento di campagna elettorale e di rassegna stampa quotidiana dedicata al candidato di centrosinistra;
          non sarà sicuramente necessario ricordare ai magnifici rettori quanto statuito dalla normativa nazionale sul rispetto di equità, imparzialità e correttezza in materia di diffusione di opinioni politiche da parte di enti di pubblico servizio. Solo a titolo esemplificativo, si ricorda, tra gli altri, l'articolo 5 della legge n.  28 del 2000, che chiede particolare rigore nella tutela del pluralismo, dell'imparzialità, dell'indipendenza e dell'obiettività e contro situazioni di vantaggio per alcuna delle parti in competizione, anche mediante l'irrogazione (ex articolo 1, comma 31, della legge 31 luglio 1997, n.  249) di sanzioni amministrative pecuniarie  –:
          se il Ministro interrogato non reputi opportuno difendere l'onorabilità e l'imparzialità delle istituzioni accademiche sarde ed italiane in generale, se del caso coinvolgendo anche la competente autorità giudiziaria e comunque assumendo seri e definitivi provvedimenti nei confronti dei rettori Attilio Mastino e Giovanni Melis, che con i loro comportamenti ad avviso degli interroganti hanno, di fatto, abusato dei propri poteri per condurre una campagna elettorale tuttora in corso. (3-00551)


Iniziative di competenza in merito alle modalità di reclutamento del personale docente da parte di alcune università non statali – 3-00552

      SANTERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1 della legge 4 novembre 2005, n.  230, prevede la figura del professore straordinario a tempo determinato «per realizzare specifici programmi di ricerca sulla base di convenzioni con imprese o fondazioni, o con altri soggetti pubblici o privati, della durata massima di tre anni, rinnovabili sulla base di una nuova convenzione», escludendo, quindi, la didattica e riconoscendo loro il medesimo trattamento giuridico ed economico dei professori ordinari con eventuali integrazioni economiche, ove previste dalla convenzione. L'articolo stabilisce, altresì, che i soggetti non possessori dell'abilitazione nazionale non possono partecipare al processo di formazione delle commissioni, né farne parte, e sono esclusi dall'elettorato attivo e passivo per l'accesso alle cariche di preside di facoltà e di rettore;
          alcune università – in particolare quelle telematiche – hanno utilizzato questa disposizione per assumere figure il cui curriculum non corrisponde al profilo prescritto dalla legge e ne hanno poi autorizzato, con delibere dei consigli di facoltà, l'impiego per la didattica;
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sulla base delle evidenti violazioni, ha vietato tale pratica, ma le università telematiche si sono opposte presentando il ricorso al tribunale amministrativo regionale;
          attualmente vi sono in servizio ben oltre 150 professori di questo tipo e pochissimi i docenti di chiara fama. Più precisamente, sarebbero 138 in atenei non statali (ma nessuno in Cattolica, Bocconi, Iulm, San Raffaele, Lumsa e Suor Orsola Benincasa), tra cui anche alcuni rinomati atenei non statali della capitale. Solo 19 in atenei statali  –:
          quali urgenti iniziative, anche di tipo normativo, intenda adottare per porre fine ad una pratica che risulta in violazione delle disposizioni vigenti e rischia di penalizzare gli studenti, fornendo una didattica non all'altezza delle loro aspettative e non corrispondente agli standard di qualità garantiti da docenti che hanno ottenuto l'abilitazione nazionale. (3-00552)


Modalità di utilizzo dei fondi europei destinati alla ricollocazione dei lavoratori disoccupati – 3-00553

      TINAGLI, ANTIMO CESARO e ANDREA ROMANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          in data 27 dicembre 2013, nel corso del Consiglio dei ministri è stata presentata l'informativa inerente «Interventi urgenti a sostegno della crescita», in cui sono previste misure di accelerazione dell'utilizzo delle risorse della politica di coesione;
          lo scopo della manovra, così come dichiarato dal Ministro per la coesione territoriale è quello di accelerare la spesa delle diverse politiche di coesione territoriale legate al ciclo dei fondi europei 2007-2013. Essa consente, da un lato, di ridurre i rischi di perdita delle risorse europee la cui spesa va certificata entro il 31 dicembre 2015 e, dall'altro, di dare impulso a misure antirecessive e di promozione dello sviluppo nelle regioni del Mezzogiorno, particolarmente colpite dalla crisi economica e occupazionale;
          nella riprogrammazione delle risorse sono previsti 700 milioni di euro che serviranno per la decontribuzione a sostegno dell'occupazione giovanile, femminile e dei lavoratori più anziani. Inoltre, verrà sperimentata una misura per il reinserimento lavorativo dei fruitori di ammortizzatori sociali anche in deroga, compresi i lavoratori socialmente utili;
          300 milioni di euro saranno destinati alle famiglie in grave stato di povertà attraverso il rafforzamento dello strumento per l'inclusione attiva (sia), che prevede forme di sostegno del reddito e politiche attive volte a favorire l'inserimento scolastico dei minori e l'inserimento lavorativo degli adulti;
          nell'ambito delle misure a sostegno all'occupazione per il rafforzamento della misura di decontribuzione per l'occupazione giovanile l'importo programmato è pari a 150 milioni di euro, mentre per il rafforzamento degli interventi per l'occupazione femminile e per i lavoratori più anziani l'importo programmato è pari a 200 milioni di euro. Per evitare il prolungarsi della permanenza dello stato di disoccupazione di individui che hanno perso da tempo una precedente occupazione è stato programmato – sempre nell'ambito dei 700 milioni di euro del piano di azione e coesione – un importo di 350 milioni di euro in favore della ricollocazione di lavoratori disoccupati (inclusi i beneficiari di ammortizzatori sociali e lavoratori socialmente utili)  –:
          attraverso quali misure e strumenti il Ministro interrogato intenda utilizzare l'importo programmato in favore della ricollocazione di lavoratori disoccupati e se non ritenga urgente destinare una quota cospicua al neonato fondo per le politiche attive del lavoro e intraprendere, quanto prima, le misure necessarie per attivare e diffondere lo strumento del contratto di ricollocazione. (3-00553)


Iniziative per aumentare le risorse finanziarie destinate all'assistenza delle persone diversamente abili, anche stornando le risorse necessarie da quelle destinate all'accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati – 3-00554

      BUONANNO, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo costituisce il finanziamento per la realizzazione di progetti di accoglienza da parte degli enti locali in seno al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati: vi possono accedere comuni, unioni di comuni, province – anche in forma di consorzio – in partenariato con le realtà del privato sociale. Questo fondo copre le spese finalizzate ad accogliere i rifugiati presenti nel nostro Paese che godono di protezione umanitaria. Il costo sostenuto dallo Stato per ogni rifugiato ammonta a ben 35 euro al giorno, circa 1.000 euro al mese;
          la crisi economica che ha investito il nostro Paese ha fatto emergere in tutta la sua gravità le profonde criticità nella gestione pubblica delle risorse finanziarie. È palese come sia inaccettabile che lo Stato spenda per la protezione umanitaria dei rifugiati politici presenti nel nostro Paese circa 35 euro al giorno, mentre le persone affette da grave disabilità hanno un sostegno economico che ammonta a meno di 15 euro giornalieri;
          se, da un lato, l'accoglienza è da sempre peculiarità dei popoli europei e può essere declinata in uno dei valori fondamentali sui quali si fonda la nostra tradizione, dall'altro lato è inaccettabile, in particolar modo in questo periodo di congiuntura economica, che i cittadini realmente bisognosi di aiuti vengano completamente abbandonati dallo Stato e nel migliore dei casi riescano a sopravvivere solo grazie alle proprie famiglie  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato ritenga opportuno adottare al fine di aumentare le risorse finanziare destinate alla presa in carico delle persone diversamente abili, anche, là dove necessario, stornando le risorse necessarie da quelle destinate all'assistenza dei rifugiati che godono di protezione umanitaria. (3-00554)


Iniziative per incrementare l'ammontare del trattamento di integrazione salariale per i contratti di solidarietà, con particolare riferimento ai lavoratori con redditi bassi – 3-00555

      VELO, BELLANOVA, GNECCHI, ALBANELLA, BARUFFI, GIACOBBE, GRIBAUDO, INCERTI, MADIA, MAESTRI, MARTELLI, PARIS, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nel corso degli ultimi anni - contrassegnati da una profonda e duratura crisi economica, che ha comportato gravi ricadute sui livelli occupazionali del Paese - i contratti di solidarietà hanno rappresentato un efficace, anche se limitato, strumento di preservazione di attività produttive a rischio di chiusura e di salvaguardia dei posti di lavoro;
          tali contratti, infatti, costituiti da accordi stipulati tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali, hanno ad oggetto la diminuzione dell'orario di lavoro e della retribuzione al fine di evitare procedure di licenziamento; questa particolare forma di ammortizzatore sociale costituisce una preziosa risorsa di tutela del reddito, che merita di essere sostenuta al fine di attenuare la portata di una congiuntura economica negativa, che solo ora mostra i primi segnali di rallentamento e che sta ancora riversando i suoi effetti sul mondo del lavoro;
          gli interventi legislativi adottati dal 2009 a oggi hanno tenuto conto di questa esigenza, stabilendo – oltre al finanziamento della misura – che l'ammontare del trattamento di integrazione salariale dei contratti di solidarietà fosse incrementato nella misura del 20 per cento del trattamento perso a seguito della riduzione di orario: il contributo erogato veniva conseguentemente aumentato dal 60 per cento all'80 per cento;
          l'articolo 1, comma 186, della legge 27 dicembre 2013, n.  147 (legge di stabilità 2014), recentemente entrata in vigore, ha disposto per l'anno 2014 uno stanziamento di 50 milioni di euro volto al finanziamento dei trattamenti di integrazione salariale per i contratti di solidarietà;
          la disposizione, a differenza degli ultimi interventi in materia, non ha, però, previsto la proroga della norma che consentiva l'innalzamento dell'integrazione salariale del 20 per cento, prescrivendo un aumento limitato – nella misura del 10 per cento – che attesta l'ammontare dell'importo al 70 per cento del trattamento perso a seguito della riduzione dell'orario di lavoro;
          tale scelta provocherà ricadute negative su migliaia di lavoratori già coinvolti da procedure di diminuzione del reddito;
          si rende necessario un ulteriore intervento in materia di contratti di solidarietà, con l'obiettivo di incrementarne l'ammontare del trattamento di integrazione salariale, con particolare riferimento a quello dei lavoratori con redditi più bassi  –:
          quali urgenti iniziative intenda adottare al fine di salvaguardare il reddito dei lavoratori interessati dai contratti di solidarietà, anche mediante la previsione di disposizioni che, incrementando l'ammontare del trattamento di integrazione salariale, tengano conto delle esigenze dei lavoratori con redditi bassi. (3-00555)


Iniziative in relazione alla disciplina riguardante i benefici ai fini pensionistici derivanti dall'esposizione all'amianto, con particolare riferimento al requisito della durata dell'esposizione medesima – 3-00556

      TAGLIALATELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'amianto è stato utilizzato fino agli anni ’80 prioritariamente nella coibentazione di edifici, tetti, navi e treni e come materiale da costruzione per l'edilizia, utilizzato per fabbricare tegole, pavimenti, tubazioni, vernici o canne fumarie;
          in seguito all'accertamento della sua natura altamente nociva e cancerogena si sono costituite numerose imprese impegnate nella bonifica dall'amianto e nello smaltimento dello stesso;
          in Italia la produzione e la lavorazione dell'amianto sono state dichiarate fuori legge all'inizio degli anni ’90, quando la legge 27 marzo 1992, n.  257, ha stabilito le norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto;
          la legge 27 marzo 1992, n.  257, oltre a stabilire termini e procedure per la dismissione delle attività inerenti all'estrazione e alla lavorazione dell'asbesto, ha previsto le prime disposizioni in favore dei lavoratori esposti all'amianto, introducendo diversi benefici per essi, consistenti sostanzialmente in una rivalutazione contributiva del 50 per cento ai fini pensionistici dei periodi lavorativi comportanti un'esposizione al minerale nocivo;
          in particolare, tale beneficio è stato previsto: per i lavoratori di cave e miniere di amianto, a prescindere dalla durata dell'esposizione, per i lavoratori che abbiano contratto una malattia professionale asbesto-correlata in riferimento al periodo di comprovata esposizione e per tutti i lavoratori che siano stati esposti per un periodo superiore ai 10 anni;
          i danni derivanti dall'esposizione all'amianto, tuttavia, hanno colpito anche lavoratori molto giovani, che non avevano ancora maturato il citato requisito di dieci anni di esposizione, ma sui quali i danni sono ancora peggior, perché sono in parte stati resi inabili al lavoro, rimanendo al contempo esclusi dai benefici per l'accesso pensionistico previsti dalla citata legge;
          sarebbe opportuno valutare l'introduzione di un criterio che permetta di calcolare il requisito temporale dell'esposizione all'amianto differentemente a seconda dell'età del lavoratore  –:
          quali iniziative intenda assumere rispetto alle tematiche esposte in premessa e se non ritenga opportuno valutare una modifica normativa al fine di introdurre un criterio di riequilibrio rispetto al mero requisito temporale, prevedendo che esso sia legato all'età anagrafica del lavoratore.
(3-00556)


Chiarimenti in ordine al regime giuridico degli attestati di prestazione energetica con riferimento ai contratti di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione – 3-00557

      SCHULLIAN, GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER e OTTOBRE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1, comma 139, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n.  147 (legge di stabilità 2014), ha modificato l'articolo 6, comma 3-bis, del decreto-legge 4 giugno 2013, n.  63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n.  90, nel senso di riconfermare – anche se con decorrenza differita – la nullità dei contratti di compravendita immobiliare in assenza dell'attestato di prestazione energetica;
          tale nullità era stata, però, recentemente soppressa dall'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n.  145, entrato in vigore il giorno successivo e in attesa di conversione in legge, sostituendo la nullità con una sanzione amministrativa;
          a seguito dei recenti interventi legislativi sulla stessa materia sembra, pertanto, di dover dedurre che i contratti di vendita, gli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o i nuovi contratti di locazione che siano sprovvisti dell'allegato contenente l'attestato di prestazione energetica saranno nulli, anche se con decorrenza differita alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di adeguamento previsto dall'articolo 6, comma 12, del decreto-legge 4 giugno 2013, n.  63, dal momento che l'articolo 1, comma 139, lettera a), della legge di stabilità 2014 è entrato in vigore il 1o gennaio 2014, mentre la norma che ha previsto la soppressione della nullità è da considerarsi precedente, in quanto contenuta nell'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n.  145, entrato in vigore il 24 dicembre 2013  –:
          se intenda chiarire quale sia il reale intento del Governo sul regime giuridico degli attestati di prestazione energetica con riferimento ai contratti di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione e come si coordinino le disposizioni dell'articolo 1, comma 139, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n.  147, con quelle del decreto-legge 23 dicembre 2013, n.  145.
(3-00557)


Intendimenti in ordine alla predisposizione di atti normativi in relazione al monitoraggio degli effetti della recente revisione delle circoscrizioni giudiziarie – 3-00558

      COSTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          con la finalità di realizzare risparmi di spesa ed incremento di efficienza, l'articolo 1 della legge n.  148 del 2011 ha delegato il Governo a rivedere la geografia giudiziaria, in modo da realizzare una riduzione complessiva degli uffici giudiziari presenti sul territorio del nostro Paese;
          in esercizio della delega, il Governo ha adottato due distinti decreti legislativi concernenti rispettivamente: la nuova distribuzione degli uffici del giudice di pace e la nuova organizzazione sul territorio degli uffici di tribunale e del pubblico ministero;
          la revisione delle circoscrizioni giudiziarie sta provocando disagi organizzativi e sta determinando forti problematiche in ordine al buon funzionamento degli uffici;
          è necessario, quindi, prestare sollecita attenzione al monitoraggio degli effetti dei primi mesi di applicazione della riforma e proporre soluzioni organizzative e normative per superare le eventuali criticità presenti nelle disposizioni approvate attraverso decreti legislativi correttivi  –:
          se il Governo ritenga di predisporre atti normativi previsti dalla legge delega alla luce del monitoraggio effettuato e delle criticità emerse nei primi mesi di applicazione della riforma. (3-00558)


PROPOSTA DI LEGGE: MADIA ED ALTRI: MODIFICHE AL CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO, DI CUI AL DECRETO LEGISLATIVO 22 GENNAIO 2004, N. 42, IN MATERIA DI PROFESSIONISTI DEI BENI CULTURALI, E ISTITUZIONE DI ELENCHI NAZIONALI DEI SUDDETTI PROFESSIONISTI (A.C. 362-A)

A.C. 362-A – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n.  1 e sull'emendamento 2.100 della Commissione (fascicolo n.  2).

A.C. 362-A – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO E SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

Sul testo del provvedimento elaborato dalla Commissione di merito:

PARERE FAVOREVOLE

Sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:

PARERE CONTRARIO

sull'articolo aggiuntivo 2.020 in quanto suscettibile di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica privi di idonea quantificazione e copertura;

NULLA OSTA

sulle restanti proposte emendative.

A.C. 362-A – Articolo 1

ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 1.
(Introduzione dell'articolo 9-bis del codice dei beni culturali e del paesaggio, in materia di professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali).

      1. Nella parte prima del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42, dopo l'articolo 9 è aggiunto il seguente:
      «Art. 9-bis. – (Professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali). – 1. In conformità a quanto disposto dagli articoli 4 e 7 e fatte salve le competenze degli operatori delle professioni già regolamentate, gli interventi operativi di tutela, protezione e conservazione dei beni culturali nonché quelli relativi alla valorizzazione e alla fruizione dei beni stessi, di cui ai titoli I e II della parte seconda del presente codice, sono affidati alla responsabilità e all'attuazione, secondo le rispettive competenze, di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi, restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell'arte, in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI LEGGE

ART. 1.
(Introduzione dell'articolo 9-bis del codice dei beni culturali e del paesaggio, in materia di professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali).

      Al comma 1, capoverso, comma 1, dopo le parole: interventi operativi di tutela aggiungere le seguenti: gestione.

      Conseguentemente:
          al medesimo comma 1, dopo le parole: storici dell'arte aggiungere le seguenti: nonché manager culturali;
          all'articolo 2, comma 1, dopo le parole: storici dell'arte aggiungere le seguenti: nonché manager culturali.
1. 20. Luigi Gallo, Simone Valente, Di Benedetto, Battelli, Brescia, Vacca, D'Uva, Marzana.

      Al comma 1, capoverso, comma 1, dopo la parola: antropologi aggiungere la seguente: fisici.

      Conseguentemente, all'articolo 2, comma 1, dopo la parola: antropologi aggiungere la seguente: fisici.
1. 100. La Commissione.
(Approvato)

      Al comma 1, capoverso, comma 1, dopo le parole: storici dell'arte aggiungere le seguenti: nonché professionisti di organizzazione e gestione del patrimonio culturale e ambientale

      Conseguentemente all'articolo 2, comma 1, dopo le parole: storici dell'arte aggiungere le seguenti: nonché professionisti di organizzazione e gestione del patrimonio culturale e ambientale
1. 21. Luigi Gallo, Simone Valente, Di Benedetto, Battelli, Brescia, Vacca, D'Uva, Marzana.

A.C. 362-A – Articolo 2

ARTICOLO 2 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 2.
(Elenchi dei professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali).

      1. Sono istituiti presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo elenchi nazionali di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell'arte, in possesso dei requisiti individuati ai sensi del comma 2.
      2. Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, sentito il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, per gli ambiti e nei limiti delle rispettive competenze, in conformità e nel rispetto della normativa dell'Unione europea e d'intesa con le rispettive associazioni professionali, individuate ai sensi dell'articolo 26 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n.  206, e successive modificazioni, e della legge 14 gennaio 2013, n.  4, stabilisce con proprio decreto, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, le modalità e i requisiti per l'iscrizione dei professionisti negli elenchi di cui al comma 1 del presente articolo, nonché le modalità per la loro tenuta in collaborazione con le predette associazioni professionali.
      3. Per i restauratori di beni culturali e per i collaboratori restauratori di beni culturali resta fermo quanto disposto dall'articolo 182 del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42, e successive modificazioni.
      4. All'attuazione del presente articolo si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 2 DELLA PROPOSTA DI LEGGE

ART. 2.
(Elenchi dei professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali).

      Al comma 1, sostituire le parole: requisiti individuati ai sensi del comma 2 con le seguenti: titoli di studio che conferiscono competenze per gli ambiti di cui all'articolo 1.

      Conseguentemente, al comma 2, sostituire le parole da: previo parere fino a: loro tenuta con le seguenti: le modalità per la tenuta degli elenchi di cui al comma 1 del presente articolo,
2. 25. Marzana, Simone Valente, Di Benedetto, Battelli.

      Al comma 2, sopprimere le parole da: e d'intesa con la Conferenza permanente fino alla fine del comma con le seguenti:, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nonché d'intesa con le rispettive associazioni professionali, individuate ai sensi dell'articolo 26 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n.  206, e successive modificazioni, e della legge 14 gennaio 2013, n.  4, e sentite le organizzazioni sindacali e imprenditoriali maggiormente rappresentative, per gli ambiti e nei limiti delle rispettive competenze, in conformità e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, stabilisce, con proprio decreto, le modalità e i requisiti per l'iscrizione dei professionisti negli elenchi di cui al comma 1 del presente articolo nonché le modalità per la tenuta degli elenchi nazionali in collaborazione con le associazioni professionali. I predetti elenchi sono pubblicati nel sito istituzionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Il decreto di cui al presente comma è emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, vincolante nelle parti in cui le Commissioni medesime formulano identiche condizioni.

      Conseguentemente, alla rubrica, dopo la parola: Elenchi aggiungere la seguente: nazionali.
2. 100. La Commissione.
(Approvato)

      Al comma 2, sopprimere le parole da: e d'intesa con le rispettive associazioni fino a: 2013, n.  4.
2. 21. Luigi Gallo, Simone Valente, Di Benedetto, Battelli, Brescia, Vacca, D'Uva, Marzana.

      Al comma 2, sostituire le parole: sei mesi con le seguenti: sessanta giorni
2. 26. Marzana, Simone Valente, Battelli, Di Benedetto.

      Aggiungere, in fine, il seguente comma:
      5. Gli elenchi di cui al comma 1 non costituiscono sotto alcuna forma albo professionale e l'assenza dai medesimi elenchi dei professionisti di cui al comma 1 non preclude in alcun modo la possibilità di esercitare la professione.
2. 23. Luigi Gallo, Simone Valente, Di Benedetto, Battelli, Brescia, Vacca, D'Uva, Marzana.

      Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
      3. Gli elenchi di cui al comma 1 non costituiscono sotto alcuna forma albo professionale e l'assenza dai medesimi elenchi dei professionisti di cui al comma 1 non preclude in alcun modo la possibilità di esercitare la professione.
2. 23.(Testo modificato nel corso della seduta) Luigi Gallo, Simone Valente, Di Benedetto, Battelli, Brescia, Vacca, D'Uva, Marzana.
(Approvato)

      Dopo l'articolo 2, aggiungere il seguente:
      Art. 3 – (Disposizioni transitorie e finali). – 1. In attesa del riordino organico e complessivo della normativa relativa all'esercizio della professione di guida turistica è sospesa l'efficacia dell'articolo 3 della legge 6 agosto 2013, n.  97.
2. 020. Prodani.
(Inammissibile)

A.C. 362-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

      La Camera,
          premesso che:
              il Consiglio dell'Unione europea ha approvato in data 15 novembre 2013 la direttiva n.  2013/55 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale CE il 28 dicembre 2013, che modifica la vigente legislazione europea sulle qualifiche professionali;
              la revisione punta a rendere il sistema del reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali più efficace per favorire una maggiore mobilità dei lavoratori all'interno dell'Unione europea;
              il testo adottato modifica, in particolare, la direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali e il regolamento (UE) n.  1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno («regolamento IMI»);
              la proposta di revisione, presentata dalla Commissione, era stata pubblicata il 19 dicembre 2011 e rientra tra le azioni del Single Market Act I considerate prioritarie per lo sviluppo del mercato interno, in particolare per far crescere la mobilità dei professionisti,

impegna il Governo

ad adottare opportune iniziative volte a recepire quanto prima la direttiva n.  2013/55 al fine di riconoscere la specificità della professione svolta dalla guida turistica in modo da prevedere un periodo del tirocinio e/o prova attitudinale per i cittadini europei che abbiano conseguito l'abilitazione della guida turistica in un paese dell'Unione europea che vogliano svolgere la professione in Italia.
9/362-A/1. «Mucci, Fantinati».


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 3 della legge 6 agosto 2013, n.  97 – legge europea 2013, è stato introdotto al fine di dare risposta alle contestazioni sollevate dalla Commissione europea nell'ambito del caso EU Pilot 4277/12/MARK, in materia di guide turistiche, per violazione degli obblighi imposti dalla direttiva servizi (2006/123/CE);
              il problema più urgente, nelle more della revisione organica della disciplina delle guide turistiche, è prevedere che i cittadini dell'Unione europea abilitati allo svolgimento dell'attività di guida turistica nell'ambito dell'ordinamento giuridico di un altro Stato membro operano in regime di libera prestazione dei servizi ai sensi del decreto legislativo 9 novembre 2007, n.  206 attuativo della Direttiva 2005/36/CE;
              già nella fase di discussione della predetta legge n.  97 del 2013 furono sollevate numerose obiezioni all'articolo 3 in questione che è da considerarsi sbagliato a partire dalla previsione secondo la quale l'abilitazione alla professione di guida turistica in Italia debba essere valida su tutto il territorio nazionale;
              dev'essere contestata in radice la posizione della Commissione europea che intende sottoporre le guide turistiche alla Direttiva servizi, in quanto con tutta evidenza esse debbono rientrare nella direttiva qualifiche quali soggetti professionali a tutti gli effetti,

impegna il Governo

ad adottare nel breve periodo un provvedimento di revisione organica e complessiva della disciplina relativa all'esercizio della professione di guida turistica, assicurando la valorizzazione e la tutela del patrimonio storico e artistico nazionale, nonché la tutela del turista e del fruitore dei beni culturali, e riconoscendo, anche sulla base della direttiva europea qualifiche in fase di modificazione, la specifica e peculiare professionalità delle guide turistiche abilitate in Italia.
9/362-A/2. «Petitti».


MOZIONI GIGLI, SERENI, CIMMINO ED ALTRI N. 1-00254, BOBBA, LUIGI CESARO, SCOTTO, ANTIMO CESARO, BINETTI ED ALTRI N. 1-00058, DI SALVO ED ALTRI N. 1-00295, CALABRIA ED ALTRI N. 1-00297, RONDINI ED ALTRI N. 1-00304, SILVIA GIORDANO ED ALTRI N. 1-00306, DORINA BIANCHI E ROCCELLA N. 1-00307 E GIGLI, PATRIARCA, DORINA BIANCHI ED ALTRI N. 1-00313 CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL CONTRASTO ALLA POVERTÀ

Mozioni

      La Camera,
          premesso che:
              in solo sette anni, dal 2005 al 2012, il numero degli italiani che vivono in povertà assoluta è raddoppiato. Nel 2012, anno a cui risalgono gli ultimi dati dell'Istat, le famiglie che versavano in una condizione di povertà assoluta erano un milione e 725 mila (il 6,8 per cento delle famiglie residenti) per un totale di oltre 4,8 milioni di persone (l'8 per cento della popolazione), di questi poco più di 2,3 milioni erano residenti al Sud;
              la perdurante crisi economica ha prodotto l'impoverimento di un'ampia parte della popolazione ma non ne ha impedito la fruizione dei beni e dei servizi essenziali, a differenza di chi non raggiunge «uno standard di vita minimamente accettabile» calcolato dall'Istat e legato a un'alimentazione adeguata, a una situazione abitativa decente e ad altre spese basilari come quelle per la salute, i vestiti e i trasporti;
              dal 2013, infatti, secondo il Food Security Risk Index (mappa che evidenzia le zone a rischio di tutto il mondo, aggiornata ogni anno dagli esperti della Maplecroft utilizzando i dati sulla sicurezza alimentare forniti dalla Fao), il nostro Paese non è più considerato «a basso rischio fame» ma «a rischio medio» e, a rendere la situazione ancora più instabile, si aggiunge un tasso di inattività tra i 15 e 64 anni pari al 36,6 per cento, dato che si attesta tra i più alti d'Europa;
              si stima che la ripresa potrà ridurre l'attuale percentuale di povertà assoluta ma non di molto, dato che la sua maggiore presenza è un fenomeno strutturale, così come il suo nuovo profilo, non concentrandosi più esclusivamente nel Meridione e tra le famiglie numerose (con almeno tre figli,) anche se queste rimangono le realtà dove risulta maggiormente presente;
              negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad un incremento sempre più crescente di tale fenomeno in segmenti della popolazione prima ritenuti immuni: il Nord – dove le persone in povertà assoluta sono aumentate dal 2,5 per cento (2005) al 6,4 per cento (2012) – e le famiglie con due figli (dal 4,7 per cento al 10 per cento);
              a comportare un maggiore rischio di povertà è anzitutto l'allargamento familiare: avere tre figli da crescere significa un rischio di povertà pari al 27,8 per cento e nel Sud questo valore sale al 42,7 per cento. Il passaggio da 3 a 4 componenti espone 4 famiglie su 10 alla possibilità di essere povere. Appartenere a una famiglia composta da 5 o più componenti aumenta il rischio di essere poveri del 135 per cento, rispetto al valore medio dell'Italia. Ogni nuovo figlio, dunque, costituisce per la famiglia, oltre che una speranza di vita, una crescita del rischio di impoverimento;
              è cresciuta anche l'insicurezza delle famiglie italiane di non essere in grado di far fronte a eventi negativi, come, per esempio, un'improvvisa malattia, associata a non autosufficienza, di un familiare, o l'instabilità del rapporto di lavoro, o gli oneri finanziari sempre maggiori;
              la diffusione del precariato fra le giovani generazioni rende questa categoria tra quelle a maggior rischio di povertà, rinviando le possibilità ed il desiderio di una vita in coppia e di procreare, con riflessi negativi sul tasso di natalità;
              per fronteggiare questa situazione, l'impegno dei comuni e delle tante realtà non profit impegnate nel territorio o di conoscenti o di altri, non è sufficiente ed i grandi numeri della povertà di oggi fanno sì che, nella maggior parte dei casi, chi sperimenta questa condizione debba innanzitutto contare sulle proprie forze;
              l'Italia è l'unico Paese dell'Europa a 15, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale a sostegno di chi si trova in questa condizione;
              anche se con differenze, le legislazioni degli altri Paesi membri dell'Unione europea prevedono fondamentalmente un contributo economico per affrontare le spese primarie, accompagnato da servizi alla persona (sociali, educativi, per l'impiego) che servono ad organizzare diversamente la vita di queste persone aiutandole a cercare di uscire dalla povertà;
              si tratta, null'altro, che della messa in opera del patto di cittadinanza tra lo Stato e il cittadino in difficoltà: chi è in povertà assoluta ha diritto al sostegno pubblico e il dovere d'impegnarsi a compiere ogni azione utile a superare tale situazione;
              alcune delle misure messe in atto dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, a partire dalla «social card», non hanno sortito gli effetti desiderati: si è trattato di «provvedimenti tampone» che non hanno intaccato il problema strutturalmente e contrastato adeguatamente i disagi derivanti dalla condizione di povertà assoluta;
              in uno Stato moderno la spesa sociale dovrebbe svolgere una funzione di perequazione delle differenze in termini di dotazione di servizi tra i territori, operando, in particolare, una redistribuzione delle risorse in base ai rischi specifici dei diversi comparti quali la povertà, le condizioni di salute per la sanità, il disagio per l'assistenza sociale e l'investimento in capitale umano per l'istruzione;
              recentemente sono state elaborate alcune iniziative per contrastare questo fenomeno tra le quali si distinguono quella elaborata da un gruppo di lavoro insediato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, presieduto dal Viceministro Guerra, volte all'introduzione di una nuova misura di contrasto alla povertà, il sia (sostegno all'inclusione attiva) e quella elaborata da Acli e Caritas che hanno proposto il reis (reddito di inclusione sociale), fino ad arrivare all'elaborazione del piano nazionale contro la povertà propugnato da Alleanza contro la povertà in Italia, un insieme di soggetti sociali che ha deciso di unirsi per contribuire alla costruzione di adeguate politiche pubbliche contro la povertà assoluta nel nostro Paese;
              il piano nazionale contro la povertà, da avviare nel 2014, conterrebbe le indicazioni concrete affinché venga gradualmente introdotta una misura nazionale, rivolta a tutte le persone in povertà assoluta nel nostro Paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell'intervento;
              sin dal 2014, la misura consisterebbe nel diritto ad una prestazione monetaria accompagnato dall'erogazione dei servizi necessari ad acquisire nuove competenze e/o organizzare diversamente la propria (servizi per l'impiego, contro il disagio psicologico e/o sociale per esigenze di cura e altro);
              in via sperimentale si procederebbe al varo di una «nuova social card» (12 grandi comuni), della «carta per l'inclusione sociale» (8 regioni del Sud), oltre dalla carta acquisti tradizionale (quella introdotta nel 2008);
              l'avvio della nuova misura sulla lotta alla povertà assoluta non dovrà considerarsi in alcun modo sostitutiva del necessario rifinanziamento del fondo nazionale per le politiche sociali e del fondo per la non autosufficienza, oggetto peraltro negli anni recenti di tagli radicali;
              evidenziare la necessità del finanziamento statale non significa assolutamente svilire tutto quello che è già stato realizzato nel territorio contro la povertà che, al contrario, dovrà essere valorizzato e confluire nella riforma, mentre dovranno rimanere comunque destinate alla spesa sociale per le famiglie in condizione disagiata le risorse attualmente impiegate nella lotta alla povertà a livello regionale e territoriale;
              allo stesso modo, tutto il patrimonio di esperienze maturate a livello territoriale, da parte di enti locali, terzo settore e organizzazioni sociali, dovrà essere valorizzato nella costruzione della riforma e confluire in essa;
              nel progetto del piano nazionale contro la povertà si prevede che l'apporto finanziario di donatori privati possa svolgere un ruolo di rilievo, con funzione complementare rispetto al necessario finanziamento statale del livello essenziale;
              occorre evitare che la povertà estrema diventi povertà strutturale, coinvolgendo anche le generazioni successive,

impegna il Governo:

          a promuovere adeguate iniziative condivise ed efficaci contro la povertà assoluta nel nostro Paese, considerandole un obiettivo primario della politica del Paese, nella direzione indicata nelle premesse, favorendo il pieno coinvolgimento delle organizzazioni sociali e del terzo settore con le istituzioni interessate, sia nella programmazione che nella progettazione e gestione degli interventi relativi;
          ad individuare adeguate risorse aggiuntive rispetto a quelle previste per il finanziamento dei fondi attualmente esistenti e destinati alla spesa sociale da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali, incoraggiando e facilitando anche l'impegno finanziario di donatori privati;
          sin dalle prossime iniziative normative, ad assicurare il finanziamento del piano nazionale contro la povertà.
(1-00254) «Gigli, Sereni, Cimmino, Sberna, Dellai, Marazziti, Albanella, Amato, Amoddio, Basso, Bazoli, Beni, Binetti, Biondelli, Borghi, Braga, Bruno Bossio, Buttiglione, Capodicasa, Capone, Carra, Casati, Casellato, Cenni, Colaninno, Cominelli, Coccia, Coscia, Covello, D'Agostino, D'Incecco, De Menech, De Mita, Marco Di Maio, Fauttilli, Gadda, Galperti, Grassi, Iacono, Lodolini, Marguerettaz, Mariani, Molea, Moscatt, Piccoli Nardelli, Fitzgerald Nissoli, Patriarca, Pellegrino, Piepoli, Giuditta Pini, Preziosi, Quartapelle Procopio, Rampi, Realacci, Rigoni, Santerini, Schirò, Senaldi, Terrosi, Vaccaro, Venittelli, Vargiu, Ventricelli, Vezzali, D'Ottavio, Marchi, Montroni, Fiano».


      La Camera,
          premesso che:
              vi è assoluta necessità e urgenza di porre mano alla questione del deterioramento delle condizioni economiche di una parte della popolazione in seguito alla crisi;
              i dati resi pubblici da Confcommercio il 4 aprile 2013 evidenziano un crollo dei consumi in misura pari al 3,6 per cento in un anno, che segue la diminuzione già riscontrata tra il 2011 e il 2012;
              come sottolineato anche da Codacons, la diminuzione dei consumi interessa in modo drammatico i consumi alimentari, scesi del 4,7 per cento rispetto al febbraio 2012, proseguendo una tendenza negativa che dura ormai da 5 anni: diminuzione dell'1,8 per cento nel 2007, del 3,3 nel 2008, del 3,1 per cento nel 2009, dello 0,7 nel 2010, dell'1,8 nel 2011 e del 3 per cento nel 2012;
              il deterioramento delle condizioni di vita dei cittadini era stato ben rappresentato dall'Istat, che constata come «nel 2011, il 28,4 per cento delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell'ambito della strategia Europa 2020» e che: «Rispetto al 2010 l'indicatore cresce di 3,8 punti percentuali a causa dall'aumento della quota di persone a rischio di povertà (dal 18,2 per cento al 19,6 per cento) e di quelle che soffrono di severa deprivazione (dal 6,9 per cento all'11,1 per cento)» (Istat, «Reddito e condizioni di vita», diffuso sul suo sito internet il 10 dicembre 2012);
              i dati resi noti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il 5 aprile 2013, desunti dalle comunicazioni obbligatorie circa avviamenti e cessazioni dei rapporti di lavoro, evidenziano come nel 2012 oltre un milione di persone abbia perso il proprio posto di lavoro, dato in costante aumento dal 2009 ad oggi, mentre le attivazioni diminuiscono; il numero degli occupati è sceso, secondo l'Istat, di oltre 700.000 unità dal febbraio 2012 al febbraio 2013;
              questi dati trovano conferma in un aumento del tasso di disoccupazione, che a partire dall'ottobre 2012 si è mantenuto al di sopra dell'11 per cento, aumentando di 1,5 punti percentuali rispetto all'anno precedente;
              un'altra conferma delle condizioni di vita di una parte crescente della popolazione sta nei dati diffusi da molte Caritas diocesane, sull'aumento del numero dei cittadini che richiedono aiuti di prima necessità come i pasti; nel rapporto diffuso nell'ottobre 2012, la Caritas evidenzia come tra le persone che si sono rivolte ai suoi centri nel 2011 vi sia un aumento tra categorie che sino a poco tempo fa non erano interessate in misura così pregnante dal rischio di povertà; aumentano tra il 2009 e il 2011 del 25,1 per cento i cittadini italiani, aumentano del 177,8 per cento le casalinghe, del 65,6 i pensionati e del 52,9 per cento le famiglie con minori conviventi;
              un'indagine Istat diffusa il 12 ottobre 2012 ha realizzato una prima stima delle persone senza fissa dimora, quantificandole in 47.000 unità; di questi, quasi i due terzi hanno un passato di relativa normalità, avendo vissuto in una propria abitazione sino ad un periodo che in media risale a 2 anni e mezzo prima;
              il 5 aprile 2013 una nota Eurispes ha evidenziato come «7 italiani su 10 hanno visto peggiorare la situazione economica personale (per il 40,2 per cento di molto, per il 33,3 per cento in parte), il 60,6 per cento, 3 su 5, è costretto a intaccare i propri risparmi per arrivare alla fine del mese; il 62,8 per cento ha grandi difficoltà ad affrontare la quarta (quando non la terza) settimana» e come questa situazione abbia determinato «un circolo vizioso: indebitamento, insolvenze, vendita dei propri beni e rischio usura»;
              recenti fatti di cronaca hanno evidenziato in modo drammatico la disperazione in cui versano i cittadini che subiscono questi processi di impoverimento;
              gli effetti della crisi si sono verificati in un contesto di progressivo smantellamento delle risposte del welfare locale;
              sul fronte delle risorse nazionali, il fondo nazionale per le politiche sociali trasferito alle regioni (e da queste agli enti gestori) per finanziare gli interventi sociali, che aveva avuto dotazioni anche superiori al miliardo di euro nel 2004, è diminuito dai 656 milioni di euro del 2008 ai 518 milioni di euro del 2009, ai 435 milioni di euro nel 2010, ai 218 milioni di euro nel 2011 e a soli 43 milioni di euro nel 2012, con la previsione, ante legge di stabilità 2013, di soli 44 milioni di euro per il 2013;
              l'aumento del fondo nazionale per le politiche sociali di 300 milioni di euro, determinato dall'articolo 1, comma 271, della legge n.  228 del 2012 («Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2013»), è sicuramente un fatto positivo che segna una controtendenza rispetto ai tagli ininterrotti praticati nell'ultimo quinquennio, ma non è sufficiente a ripristinare una dotazione adeguata, soprattutto vista la drammatica situazione;
              le politiche nazionali di sostegno all'abitazione hanno registrato un deciso ridimensionamento, spesso accompagnato dal disimpegno da parte delle regioni;
              appare inderogabile e urgente l'adozione di misure eccezionali, che abbiano un impatto significativo e sensibile sulle condizioni di vita dei cittadini in situazioni di povertà o a rischio di cadervi;
              il Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Enrico Letta, nella seduta n.  10 di lunedì 29 aprile 2013, presso la Camera dei deputati, durante le comunicazioni del Governo, così interveniva: «Il welfare tradizionale, schiacciato sul maschio adulto e su pensioni e sanità, non basta più, non stimola la crescita della persona e non basta a correggere le disuguaglianze. Non occorrono isterismi, occorre un cambiamento radicale: un welfare più universalistico e meno corporativo che sostenga tutti i bisognosi, aiutandoli a rialzarsi e a riattivarsi. Per un welfare attivo, più giovane e al femminile andranno migliorati gli ammortizzatori sociali, estendendoli a chi ne è privo, a partire dai precari. E si potranno studiare forme di reddito minimo, soprattutto, per famiglie bisognose con figli»,

impegna il Governo:

          ad adottare iniziative urgenti in materia di povertà, assegnando per il 2014:
              a) un incremento significativo delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali, da trasferirsi per il tramite delle regioni agli enti gestori, condizionando l'erogazione all'adozione entro tempi brevi di piani di azione per il contrasto dei fenomeni di povertà e impoverimento, facendo sì che gli interventi siano gestiti localmente in forma integrata con soggetti non profit con consolidata e comprovata esperienza nella raccolta e distribuzione di beni di prima necessità o nell'elargizione di aiuti per soddisfare bisogni primari;
              b) ulteriori risorse per estendere la sperimentazione della nuova social card, con speciale riguardo ai nuclei familiari poveri con figli minori, in modo da ampliare la platea dei beneficiari e consolidare le caratteristiche di misura universalistica di contrasto alla povertà, quale strumento preliminare alla definizione di un apposito programma di sostegno per l'inclusione attiva, volto al superamento della condizione di povertà, all'inserimento ed al reinserimento lavorativi ed all'inclusione sociale;
              c) ulteriori risorse da destinare, tramite le regioni, al sostegno della morosità incolpevole, per evitare che i fenomeni di impoverimento determinino la perdita dell'abitazione;
          ad assumere iniziative per introdurre nella normativa del nostro Paese i livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenziali, affinché si possa realizzare su tutto il territorio nazionale una rete integrata di servizi;
          ad inserire, nell'ambito del programma nazionale di riforma, interventi di riforma delle politiche sociali e abitative, con particolare riferimento alle azioni di contrasto della povertà, quali misure di sostegno al reddito e di supporto a percorsi di uscita dalla condizione di indigenza;
          ad assumere iniziative per reperire le risorse necessarie anche attraverso l'allineamento delle imposte sul gioco d'azzardo;
          ad assumere iniziative per potenziare l'utilizzo dello strumento delle deduzioni e delle detrazioni fiscali per le spese relative all'assistenza e al sostegno delle famiglie con componenti minori, persone non autosufficienti e anziani, al fine di facilitare l'accesso ai servizi per le famiglie meno abbienti e con maggior carico di bisogni e allo stesso tempo di ridurre forme di lavoro nero.
(1-00058)
(Nuova formulazione) «Bobba, Luigi Cesaro, Scotto, Antimo Cesaro, Binetti, Luciano Agostini, Albanella, Amato, Amoddio, Arlotti, Bargero, Bazoli, Bellanova, Benamati, Beni, Berlinghieri, Bini, Biondelli, Bonaccorsi, Bonifazi, Bonomo, Borghi, Boschi, Bossa, Braga, Capua, Cardinale, Carocci, Carra, Carrescia, Casati, Caruso, Causi, Cimbro, Coppola, Cova, Covello, Cuperlo, Culotta, D'Agostino, D'Incecco, D'Ottavio, Dal Moro, Marco Di Maio, Ermini, Fabbri, Fauttilli, Ferrari, Ferro, Fontanelli, Fregolent, Gasparini, Giacobbe, Giulietti, Gnecchi, Gozi, Giuseppe Guerini, Lorenzo Guerini, Gullo, Tino Iannuzzi, Incerti, Iori, Lenzi, Lodolini, Maestri, Magorno, Malpezzi, Manzi, Marazziti, Mariani, Martella, Martelli, Marzano, Mazzoli, Melilli, Montroni, Mura, Fitzgerald Nissoli, Oliverio, Patriarca, Quartapelle Procopio, Rabino, Rampi, Realacci, Ribaudo, Richetti, Rigoni, Rosato, Rubinato, Rughetti, Sanga, Giovanna Sanna, Santerini, Sberna, Sbrollini, Scanu, Senaldi, Simoni, Taricco, Tartaglione, Tidei, Tullo, Valiante, Venittelli, Zanin, Coscia, Morani, Basso, Cenni, Capodicasa, Fossati, Pes, Petitti, Capone, Mattiello, Mariano, Pastorino, Mauro Guerra, Lauricella, Coccia, Moretti, Burtone, Carnevali, Piccione, Argentin».


      La Camera,
          premesso che:
              è fin troppo nota la condizione di profonda crisi in cui tuttora versa la società italiana. I dati Istat del 2012 confermano un quadro allarmante in cui 9 milioni e 563.000 persone, pari al 15,8 per cento della popolazione italiana, versano in condizione di povertà relativa, mentre 4 milioni e 814.000 persone, pari al 7,9 per cento della popolazione, si trovano in condizioni di povertà assoluta. Il numero di famiglie in tale, drammatica, situazione sono aumentate, rispetto al 2011, del 33 per cento. Si tratta dell'incremento percentuale più rilevante degli ultimi dieci anni. Sempre stando ai dati del 2012, ben 8,6 milioni di individui fanno parte di nuclei familiari gravemente deprivati, ovvero, famiglie che presentano quattro o più segnali di deprivazione su un elenco di nove, comprendenti, tra l'altro: l'impossibilità di sostenere spese impreviste; non potersi permettere una settimana di ferie l'anno, lontano da casa; avere debiti arretrati per il pagamento di mutui, canoni di locazione e bollette; non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni; non poter riscaldare adeguatamente la propria abitazione; non potersi permettere essenziali elettrodomestici di uso comune; non potersi permettere un'automobile;
              l'incremento vertiginoso degli indicatori sulla povertà assoluta – 2 milioni di persone in più a rischio negli ultimi 5 anni – e di quelli sulla povertà relativa, trovano riscontro nell'aumento dell'indebitamento medio delle famiglie italiane, passato nell'arco temporale 2003-2011, secondo i dati della Banca d'Italia, dal 30,8 per cento al 53,2 per cento del reddito disponibile lordo. Le famiglie si indebitano sempre di più, basti pensare che nei soli primi mesi del 2012 le famiglie indebitate sono passate dal 2,3 per cento al 6,5 per cento e che, secondo l'indagine di Confcommercio e Censis, Outlook Italia 2013, 4,2 milioni di famiglie (il 17 per cento del totale) non riescono a coprire tutte le spese mensili;
              più in dettaglio, gli ultimi rilevamenti dell'Istituto nazionale di statistica (Istat) restituiscono ancora una volta un'immagine drammatica:
                  a) nel 2012, il 12,7 per cento delle famiglie è relativamente povero (per un totale di 3 milioni 232 mila) e il 6,8 per cento lo è in termini assoluti (1 milione 725 mila). Le persone in povertà relativa sono il 15,8 per cento della popolazione (9 milioni 563 mila), quelle in povertà assoluta l'8 per cento (4 milioni 814 mila);
                  b) tra il 2011 e il 2012 aumenta sia l'incidenza di povertà relativa (dall'11,1 per cento al 12,7 per cento) sia quella di povertà assoluta (dal 5,2 per cento al 6,8 per cento), in tutte e tre le ripartizioni territoriali;
                  c) la soglia di povertà relativa, per una famiglia di due componenti, è pari a 990,88 euro, circa 20 euro in meno di quella del 2011 (-2 per cento);
                  d) l'incidenza di povertà assoluta aumenta tra le famiglie con tre (dal 4,7 per cento al 6,6 per cento), quattro (dal 5,2 per cento all'8,3 per cento) e cinque o più componenti (dal 12,3 per cento al 17,2 per cento); tra le famiglie composte da coppie con tre o più figli, quelle in povertà assoluta passano dal 10,4 per cento al 16,2 per cento; se si tratta di tre figli minori, dal 10,9 per cento si raggiunge il 17,1 per cento;
                  e) aumenti della povertà assoluta vengono registrati anche nelle famiglie di monogenitori (dal 5,8 per cento al 9,1 per cento) e in quelle con membri aggregati (dal 10,4 per cento al 13,3 per cento);
                  f) oltre che tra le famiglie di operai (dal 7,5 per cento al 9,4 per cento) e di lavoratori in proprio (dal 4,2 per cento al 6 per cento), la povertà assoluta aumenta tra gli impiegati e i dirigenti (dall'1,3 per cento al 2,6 per cento) e tra le famiglie dove i redditi da lavoro si associano a redditi da pensione (dal 3,6 per cento al 5,3 per cento);
                  g) la crescita dell'incidenza di povertà assoluta è tuttavia più marcata per le famiglie con a capo una persona non occupata: dall'8,4 per cento è salita all'11,3 per cento se in condizione non professionale, dal 15,5 per cento al 23,6 per cento se in cerca di occupazione;
                  h) le dinamiche della povertà relativa confermano molti dei peggioramenti osservati per la povertà assoluta: famiglie con uno o due figli, soprattutto se minori (dal 13,5 per cento al 15,7 per cento quelle con un minore, dal 16,2 per cento al 20,1 per cento quelle con due); famiglie con tutti i componenti occupati (dal 4,1 per cento al 5,1 per cento), con occupati e ritirati dal lavoro (dal 9,3 per cento all'11,5 per cento), con persona di riferimento dirigente o impiegato (dal 4,4 per cento al 6,5 per cento, particolarmente marcata tra gli impiegati), ma soprattutto in cerca di occupazione (dal 27,8 per cento al 35,6 per cento);
                  i) l'aumento di fenomeni di pauperizzazione ha colpito soprattutto i giovani e le regioni meridionali: il panorama regionale mette in evidenza il forte svantaggio dell'Italia meridionale e insulare, con una percentuale di famiglie povere più che doppia rispetto alla media nazionale. Nel Mezzogiorno, le famiglie in povertà relativa sono il 23,3 per cento di quelle residenti (contro il 4,9 del Nord e il 6,4 del Centro) e quelle in povertà assoluta ne rappresentano l'8 per cento (contro il 3,7 per cento e il 4,1 per cento rispettivamente). Le situazioni più gravi si osservano tra le famiglie residenti in Sicilia (27,3 per cento) e Calabria (26,2 per cento) dove sono povere oltre un quarto delle famiglie. All'opposto, nel resto del Paese si registrano incidenze di povertà relativa decisamente più contenute: la provincia di Trento mostra l'incidenza più bassa (3,4 per cento), seguita da Lombardia (4,2 per cento), Valle d'Aosta e Veneto (4,3 per cento). Nel Mezzogiorno, inoltre, alla più ampia diffusione della povertà si associa anche una maggiore gravità del fenomeno: le famiglie povere sono di più e hanno livelli di spesa mediamente molto più bassi di quelli delle famiglie povere del Centro-Nord. L'intensità della povertà relativa è, infatti, pari al 22,3 per cento (contro il 18,2 per cento del Nord e il 20 per cento del Centro) e quella di povertà assoluta al 18,8 per cento (contro rispettivamente il 16,4 per cento e il 18,4 per cento);
              come riporta la relazione al Parlamento dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, presentata il 13 maggio 2013, il dato che più di altri aiuta ad individuare il fallimento delle politiche sinora adottate è quello relativo al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni: esso è pari al 70 per cento nel Mezzogiorno a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale. Settanta su cento minorenni che nascono in una famiglia numerosa del Mezzogiorno d'Italia rischiano di essere poveri;
              le peggiori condizioni di privazione ricadono, peraltro, sui figli degli immigrati, sui bambini delle famiglie giovani o i bambini con un solo genitore, spesso la madre, che, per il tasso di impiego delle donne molto più basso della media europea, non riesce a mantenere il bambino;
              già nella relazione dell'anno precedente l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza aveva sollevato la problematica relativa all'impatto negativo della mancanza di investimenti, da parte dello Stato, a favore dell'infanzia e dell'adolescenza;
              al forte ridimensionamento dell'intervento pubblico per quanto concerne le politiche sociali, si aggiunge la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale;
              i pesanti tagli agli enti locali attuati in questi ultimi anni non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista delle politiche sociali di contrasto alla povertà e della qualità dei relativi servizi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
              i dati relativi al tasso di disoccupazione nel nostro Paese mostrano un quadro di assoluta gravità che continua a peggiorare. Si tratta di una vera e propria emorragia di posti di lavoro, che colpisce gli under 30, ma non di meno tutte le altre fasce di età. Quello che più turba è l'enorme crescita di quanti si dicono «scoraggiati», che hanno smesso di cercare lavoro perché ritengono di non trovarlo. La disoccupazione continua a crescere anche nell'ambito del lavoro precario, a riprova del fatto che la scelta di favorire contratti non a tempo indeterminato ha poco o scarso impatto sul problema occupazionale, mentre priva i lavoratori di molti diritti fondamentali;
              sono 2,8 milioni i lavoratori precari; la disoccupazione è prossima ormai alla soglia inaudita del 12,2 per cento, con punte che sfiorano il 40 per cento tra i più giovani; tra i disoccupati solo uno su quattro riesce a trovare un lavoro, sempre più spesso precario, entro un anno;
              se la disoccupazione giovanile è oltre il 40 per cento, il resto dei giovani è per la maggior parte precario e senza diritti. Tali numeri mettono a rischio la tenuta del sistema Paese. Un'intera generazione di giovani, per la mancanza del lavoro o per la sua discontinuità, vive situazioni di precarietà strutturale;
              i furti dei generi di prima necessità nei supermercati sono aumentati del 7,8 per cento (dato tratto dal «Barometro dei furti nella vendita al dettaglio» a cura del Centre for Retail Research, ottobre 2011);
              la questione abitativa, aggravata dal costante aumento del numero di famiglie ed individui che, a causa della perdita del lavoro e della drastica contrazione del reddito, scendono al di sotto della soglia di povertà, sta assumendo i caratteri di una vera e propria emergenza nazionale. Si stimano in oltre 430.000 le famiglie in difficoltà per il costo dei mutui, mentre solo nel 2012 sono state ben 67.790 le sentenze di sfratto (oltre 250.000 negli ultimi 4 anni) di cui l'87 per cento per morosità. Una situazione di vero allarme che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane e per le regioni dell'Italia settentrionale, ove, per l'incidenza della crisi economica, le percentuali di sfratti per morosità incolpevole arrivano a superare il 90 per cento e riguardano spesso anche le locazioni di alloggi popolari;
              da quanto si desume dai dati menzionati, sempre più persone – in una composizione sociale mutata comprendente interi nuclei familiari e tutti quei soggetti che rientrano nella definizione di «nuove povertà» – hanno perso, o rischiano seriamente di perdere, la propria abitazione, incrementando il già considerevole e drammatico numero di utenti bisognosi di accoglienza;
              in Italia, i dati relativi alle sentenze di sfratto emesse, diffusi dal Ministero dell'interno, dicono che nel solo 2012 le sentenze di sfratto sono state circa 68 mila e gli sfratti per morosità incolpevole sono stati oltre 60 mila;
              la crisi economica da almeno cinque anni si sta facendo sentire anche nel settore delle locazioni e produce precarietà abitativa, riduzione dei redditi e disagio sociale che spesso sfociano in questioni di ordine pubblico;
              secondo un'indagine realizzata dalla Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, nel 2012 si stimavano in oltre 50.000 le persone senza fissa dimora, con la concreta possibilità che il numero reale si potesse attestare anche nel doppio, rasentando quasi lo 0,2 per cento della popolazione italiana. Le grandi città rispecchiano compiutamente tale tragico contesto: nella città di Milano si contavano oltre 4.000 adulti privi di una casa, nella città di Torino circa 1.300 persone si sono rivolte alle case di prima accoglienza notturna gestite dal comune e 1.500 persone hanno usufruito di interventi e prestazioni presso l'ambulatorio sociosanitario per persone senza fissa dimora. A Napoli, Bologna e Firenze è stata calcolata la presenza stabile di almeno 2.000 homeless, mentre nella capitale vivrebbero circa 8.000 persone senza fissa dimora, di cui ben 5.500 in strada e 2.500 ospitati nei centri di accoglienza notturni del comune e delle associazioni di volontariato;
              nel quadro delle politiche sociali, in Italia, il tema delle persone senza dimora e del grave disagio abitativo è sempre stato ai margini, in posizione analoga allo spazio occupato da queste persone e dai servizi che se ne occupano all'interno del contesto sociale. Questa dimensione di marginalità e separazione, sia nel quadro sociale, sia in quello politico e legislativo, ha impedito, da sempre, lo sviluppo di azioni programmatiche e di interventi che possono essere qualificati come «buone prassi» diffuse a livello nazionale;
              l'assenza di politiche nazionali strutturate e concrete per affrontare il problema di chi perde la propria abitazione o rimane senza fissa dimora sul territorio italiano sta lasciando sempre più in balia dell'emergenza i comuni;
              sebbene siano auspicabili nuove politiche sociali, capaci di non limitarsi a prevedere esclusivamente trasferimenti monetari verso le persone maggiormente in difficoltà, in un Paese fortemente diseguale come il l'Italia – secondo nei livelli di disparità nella distribuzione dei redditi solo al Regno Unito nell'Unione europea e con livelli di disparità superiori alla media dei Paesi Ocse – appare necessario prevedere stanziamenti adeguati finalizzati a garantire un alloggio a tutte quelle persone che ne sono prive;
              l'articolo 6, comma 5, della legge n.  124 del 2013, ha istituito un fondo nazionale per la morosità incolpevole e ha disposto che i comuni programmino azioni di accompagnamento sociale per il passaggio da casa a casa per sfrattati e ha disposto anche che i prefetti graduino gli sfratti sulla base delle attività di accompagnamento predisposte dai comuni. Resta da emanare il decreto attuativo di quanto disposto dall'articolo 6, comma 5, della legge n.  124 del 2013, in materia di ripartizione delle risorse del fondo contro la morosità incolpevole alle regioni e la definizione della morosità incolpevole valida per quelle regioni e comuni che ad oggi non hanno ancora proceduto alla definizione;
              le politiche messe in atto dagli ultimi Governi ruotano sostanzialmente intorno alla cosiddetta social card di impronta marcatamente assistenzialista e che ha dato scarsissimi risultati pratici;
              mercoledì 18 settembre 2013 è stata presentata a Roma la relazione finale: «Proposte per nuove misure di contrasto alla povertà», elaborata dal gruppo di studio appositamente istituito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali interrogato il 13 giugno 2013. Obiettivo della relazione è quello di descrivere una nuova misura nazionale di contrasto alla povertà assoluta e all'esclusione sociale, il «sostegno per l'inclusione attiva (sia)», che ancora non esiste nel sistema italiano e che dovrebbe rappresentare l'evoluzione naturale delle sperimentazioni già avviate con la carta acquisti;
              nonostante già dal 2008 la Commissione europea abbia emanato una raccomandazione a tutti i Paesi per l'adozione di una strategia d'inclusione attiva, articolata sui tre pilastri del sostegno economico, di mercati del lavoro inclusivi e di servizi personalizzati, e, in particolare, nonostante l'Italia sia stata anche oggetto di una raccomandazione specifica nell'ambito della Strategia Europa 2020, nella quale sia la Commissione europea che il Consiglio europeo hanno chiesto maggiori sforzi nella lotta alla povertà, pur nel contesto di rigore tuttora richiesto al nostro Paese, l'Italia è l'unico grande Paese europeo a non avere ancora una misura di questo tipo;
              secondo la relazione illustrativa, il sostegno per l'inclusione attiva si caratterizzerà: per l'universalità (non è cioè destinato solo ad alcune categorie, come l'assegno sociale o la pensione di invalidità civile, ma a tutti i poveri); per l'erogazione non solo di una semplice elargizione monetaria, ma per il collegamento di questa ad un percorso di inclusione e attivazione dei componenti del nucleo familiare; per la sua disponibilità a tutti i residenti legalmente in Italia da almeno due anni;
              l'Italia è uno dei pochissimi Paesi europei privi di un meccanismo di questo tipo, la cui assenza si è fatta fortemente sentire nel corso della crisi al punto tale che si hanno 5 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta. L'obiettivo del «sostegno per l'inclusione attiva (sia)» sarebbe dunque quello di permettere a tali soggetti l'acquisto di un paniere di beni e servizi ritenuto decoroso. Non si tratterebbe quindi di un reddito di cittadinanza rivolto a tutti indistintamente, ma di un sostegno rivolto ai poveri, identificati come tali da una prova dei mezzi. Al sostegno monetario si prevede di associare un progetto di attivazione e inclusione sociale;
              nella legge di stabilità 2014 è stata estesa la platea dei possibili beneficiari la sperimentazione della cosiddetta carta acquisti, o come ora viene anche chiamata: «Sostegno di inclusione attiva (SIA)» per il contrasto alla povertà, in primo luogo, ai familiari di cittadini italiani o comunitari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. I destinatari sono principalmente le famiglie povere con minori in cui uno degli adulti ha perso il lavoro negli ultimi tre anni. Si prevede, inoltre, una sorta di presa in carico della famiglia, selezionata dai comuni, in seguito a bandi, che poi verificano se i bimbi sono andati a scuola e dal medico, se il papà o la mamma hanno frequentato i corsi di formazione o fatto domanda di impiego ed altro;
              secondo Maria Cecilia Guerra, Viceministro del lavoro e delle politiche sociali, la norma consentirà di allargare la platea a 400 mila poveri nel 2014, ovvero 160-170 mila in più del previsto: solo per un minoranza del tutto minima;
              dando vita all'Alleanza contro la povertà in Italia, un insieme molto rappresentativo di soggetti sociali, sindacali, del terzo settore, istituzionali (Acli, Anci, Action Aid, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Cgil-Cisl-Uil, Cnca, Comunità di S. Egidio, Confcooperative, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Nazionale Italiano Onlus, Fio-PSD, Fondazione Banco Alimentare, Forum Nazionale del Terzo Settore, Lega delle Autonomie, Movimento dei Focolari, Save the Children, Jesuit Social Network) intende promuovere adeguate politiche contro la povertà assoluta, per far fronte al dilagare di questo grave fenomeno, che riguarda ormai l'8 per cento della popolazione;
              in un documento comune i soggetti che aderiscono all'Alleanza contro la povertà in Italia chiedono al Governo di avviare un piano nazionale contro la povertà, di durata pluriennale;
              questo piano, secondo l'Alleanza contro la povertà in Italia, «dovrebbe contenere le indicazioni concrete affinché venga gradualmente introdotta una misura nazionale, rivolta a tutte le persone in povertà assoluta nel nostro Paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell'intervento»;
              l'avvio sin dal 2014 del piano nazionale contro la povertà richiederà investimenti, sviluppo di competenze e programmazione: gli enti locali, il terzo settore e le organizzazioni sociali impegnati nel territorio potranno realizzarla solo se riceveranno adeguata risorse economiche;
              il 21 ottobre 2010 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul «reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa», con una maggioranza di 540 voti a favore e 30 contrari;
              tale risoluzione, in modo ancora più netto rispetto ad una precedente sullo stesso tema del 2008, sancisce in modo pieno il riconoscimento di un diritto dei cittadini dell'Unione europea e delle persone che vi risiedano stabilmente ad un reddito che ne salvaguardi la dignità sociale;
              in attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Carta di Nizza, il reddito minimo viene definito come un diritto sociale fondamentale, destinato a fungere da strumento di protezione della dignità della persona e della sua «possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale, culturale e politica»;
              il reddito minimo è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
              la piena partecipazione alla vita sociale è richiesta come obiettivo di garanzia della Repubblica italiana, dall'articolo 3 della Costituzione, e è stata richiamata dalla Corte costituzionale tedesca nella sentenza del 9 febbraio 2010, in materia di reddito minino;
              schemi di tutela del reddito sono presenti nella maggior parte dei Paesi europei: infatti, gli Stati membri dell'Unione europea hanno previsto nei loro rispettivi sistemi di protezione sociale un reddito base come fondamento del sistema stesso di integrazione e contrasto alla povertà. Attualmente, tra i ventisette Paesi dell'Unione europea la mancanza di un reddito base è una circostanza riscontrabile solo in Italia, Grecia ed Ungheria;
              la disoccupazione, in particolare quella giovanile, in Italia e in Europa ha raggiunto livelli non più sostenibili e tali da mettere a rischio la tenuta del sistema Paese nel futuro. Un'intera generazione di giovani, per la mancanza del lavoro o per la sua discontinuità, vive situazioni di precarietà strutturale;
              tale situazione non consente a molti giovani di studiare, di fare ricerca, di progettare e realizzarsi nella vita, di creare una famiglia e di mettere al mondo dei figli; li costringe a continuare a dipendere dalle famiglie di origine, anche quando le famiglie sono già, esse stesse, nell'impossibilità di continuare a sostenerli; gli impedisce di concorrere allo sviluppo sociale ed economico dell'Italia, incidendo sulla loro dignità sociale; li discrimina, oggi per il futuro, quando non avranno diritto ad una pensione che possa garantire loro un'esistenza libera e dignitosa;
              il reddito minimo è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
              il reddito minimo è anche uno strumento che tutela la cultura e la dignità del lavoro, perché aiuta ad impedire che lavoratrici e lavoratori siano costretti ad accettare un lavoro purchessia;
              nel corso del 2012, in Italia, è stata avviata una campagna per un reddito minimo garantito, per la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare, che ha visto il coinvolgimento di molte associazioni della società civile;
              tre proposte di legge d'iniziativa parlamentare di deputati appartenenti ai gruppi di Sinistra Ecologia Libertà, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, propongono l'istituzione anche nel nostro Paese di un reddito minimo garantito, sia pure con formulazioni parzialmente diverse,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per introdurre il reddito minimo garantito, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, con particolare riferimento alle situazioni di disagio sociale descritte in premessa;
          ad assumere iniziative per incrementare le risorse per le politiche sociali, per l'infanzia e l'adolescenza e per fornire adeguate risorse ai comuni per gli interventi di sostegno alle famiglie ed ai singoli in difficoltà;
          ad assumere iniziative per prevedere interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie in condizione di povertà estrema;
          nelle more degli adempimenti previsti dall'articolo 6, comma 5, della legge n.  124 del 2013 e per dare modo alle regioni e ai comuni di procedere alla programmazione e alle attività necessarie per affrontare la questione degli sfratti in maniera strutturale e basata sul passaggio da casa a casa, nonché per dare modo al Governo stesso di avviare i provvedimenti già illustrati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ad assumere iniziative per procedere alla proroga degli sfratti, compresi quelli per morosità incolpevole, per tutto l'anno 2014;
          a prevedere, con apposito provvedimento, un piano nazionale per la messa in atto di interventi di alloggiamento a favore di persone senza fissa dimora che preveda chiaramente che, in ogni contesto territoriale nel quale siano presenti delle persone senza dimora, sia affrontato e programmato un intervento a favore di queste persone che comprenda servizi di accoglienza di primo livello, a bassa soglia di accesso, e servizi alloggiativi di secondo livello, capaci di dare risposte che possano trasformarsi in interventi stabili e duraturi nel tempo;
          a prendere le opportune iniziative per:
              a) il recupero di decine di migliaia di case popolari oggi inutilizzate;
              b) sostenere gli affitti agevolati con una ulteriore riduzione della cedolare secca;
              c) un aumento delle risorse a favore del Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione (cosiddetto fondo affitti).
(1-00295) «Di Salvo, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Migliore, Airaudo, Placido».


      La Camera,
          premesso che:
              è fin troppo nota la condizione di profonda crisi in cui tuttora versa la società italiana. I dati Istat del 2012 confermano un quadro allarmante in cui 9 milioni e 563.000 persone, pari al 15,8 per cento della popolazione italiana, versano in condizione di povertà relativa, mentre 4 milioni e 814.000 persone, pari al 7,9 per cento della popolazione, si trovano in condizioni di povertà assoluta. Il numero di famiglie in tale, drammatica, situazione sono aumentate, rispetto al 2011, del 33 per cento. Si tratta dell'incremento percentuale più rilevante degli ultimi dieci anni. Sempre stando ai dati del 2012, ben 8,6 milioni di individui fanno parte di nuclei familiari gravemente deprivati, ovvero, famiglie che presentano quattro o più segnali di deprivazione su un elenco di nove, comprendenti, tra l'altro: l'impossibilità di sostenere spese impreviste; non potersi permettere una settimana di ferie l'anno, lontano da casa; avere debiti arretrati per il pagamento di mutui, canoni di locazione e bollette; non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni; non poter riscaldare adeguatamente la propria abitazione; non potersi permettere essenziali elettrodomestici di uso comune; non potersi permettere un'automobile;
              l'incremento vertiginoso degli indicatori sulla povertà assoluta – 2 milioni di persone in più a rischio negli ultimi 5 anni – e di quelli sulla povertà relativa, trovano riscontro nell'aumento dell'indebitamento medio delle famiglie italiane, passato nell'arco temporale 2003-2011, secondo i dati della Banca d'Italia, dal 30,8 per cento al 53,2 per cento del reddito disponibile lordo. Le famiglie si indebitano sempre di più, basti pensare che nei soli primi mesi del 2012 le famiglie indebitate sono passate dal 2,3 per cento al 6,5 per cento e che, secondo l'indagine di Confcommercio e Censis, Outlook Italia 2013, 4,2 milioni di famiglie (il 17 per cento del totale) non riescono a coprire tutte le spese mensili;
              più in dettaglio, gli ultimi rilevamenti dell'Istituto nazionale di statistica (Istat) restituiscono ancora una volta un'immagine drammatica:
                  a) nel 2012, il 12,7 per cento delle famiglie è relativamente povero (per un totale di 3 milioni 232 mila) e il 6,8 per cento lo è in termini assoluti (1 milione 725 mila). Le persone in povertà relativa sono il 15,8 per cento della popolazione (9 milioni 563 mila), quelle in povertà assoluta l'8 per cento (4 milioni 814 mila);
                  b) tra il 2011 e il 2012 aumenta sia l'incidenza di povertà relativa (dall'11,1 per cento al 12,7 per cento) sia quella di povertà assoluta (dal 5,2 per cento al 6,8 per cento), in tutte e tre le ripartizioni territoriali;
                  c) la soglia di povertà relativa, per una famiglia di due componenti, è pari a 990,88 euro, circa 20 euro in meno di quella del 2011 (-2 per cento);
                  d) l'incidenza di povertà assoluta aumenta tra le famiglie con tre (dal 4,7 per cento al 6,6 per cento), quattro (dal 5,2 per cento all'8,3 per cento) e cinque o più componenti (dal 12,3 per cento al 17,2 per cento); tra le famiglie composte da coppie con tre o più figli, quelle in povertà assoluta passano dal 10,4 per cento al 16,2 per cento; se si tratta di tre figli minori, dal 10,9 per cento si raggiunge il 17,1 per cento;
                  e) aumenti della povertà assoluta vengono registrati anche nelle famiglie di monogenitori (dal 5,8 per cento al 9,1 per cento) e in quelle con membri aggregati (dal 10,4 per cento al 13,3 per cento);
                  f) oltre che tra le famiglie di operai (dal 7,5 per cento al 9,4 per cento) e di lavoratori in proprio (dal 4,2 per cento al 6 per cento), la povertà assoluta aumenta tra gli impiegati e i dirigenti (dall'1,3 per cento al 2,6 per cento) e tra le famiglie dove i redditi da lavoro si associano a redditi da pensione (dal 3,6 per cento al 5,3 per cento);
                  g) la crescita dell'incidenza di povertà assoluta è tuttavia più marcata per le famiglie con a capo una persona non occupata: dall'8,4 per cento è salita all'11,3 per cento se in condizione non professionale, dal 15,5 per cento al 23,6 per cento se in cerca di occupazione;
                  h) le dinamiche della povertà relativa confermano molti dei peggioramenti osservati per la povertà assoluta: famiglie con uno o due figli, soprattutto se minori (dal 13,5 per cento al 15,7 per cento quelle con un minore, dal 16,2 per cento al 20,1 per cento quelle con due); famiglie con tutti i componenti occupati (dal 4,1 per cento al 5,1 per cento), con occupati e ritirati dal lavoro (dal 9,3 per cento all'11,5 per cento), con persona di riferimento dirigente o impiegato (dal 4,4 per cento al 6,5 per cento, particolarmente marcata tra gli impiegati), ma soprattutto in cerca di occupazione (dal 27,8 per cento al 35,6 per cento);
                  i) l'aumento di fenomeni di pauperizzazione ha colpito soprattutto i giovani e le regioni meridionali: il panorama regionale mette in evidenza il forte svantaggio dell'Italia meridionale e insulare, con una percentuale di famiglie povere più che doppia rispetto alla media nazionale. Nel Mezzogiorno, le famiglie in povertà relativa sono il 23,3 per cento di quelle residenti (contro il 4,9 del Nord e il 6,4 del Centro) e quelle in povertà assoluta ne rappresentano l'8 per cento (contro il 3,7 per cento e il 4,1 per cento rispettivamente). Le situazioni più gravi si osservano tra le famiglie residenti in Sicilia (27,3 per cento) e Calabria (26,2 per cento) dove sono povere oltre un quarto delle famiglie. All'opposto, nel resto del Paese si registrano incidenze di povertà relativa decisamente più contenute: la provincia di Trento mostra l'incidenza più bassa (3,4 per cento), seguita da Lombardia (4,2 per cento), Valle d'Aosta e Veneto (4,3 per cento). Nel Mezzogiorno, inoltre, alla più ampia diffusione della povertà si associa anche una maggiore gravità del fenomeno: le famiglie povere sono di più e hanno livelli di spesa mediamente molto più bassi di quelli delle famiglie povere del Centro-Nord. L'intensità della povertà relativa è, infatti, pari al 22,3 per cento (contro il 18,2 per cento del Nord e il 20 per cento del Centro) e quella di povertà assoluta al 18,8 per cento (contro rispettivamente il 16,4 per cento e il 18,4 per cento);
              come riporta la relazione al Parlamento dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, presentata il 13 maggio 2013, il dato che più di altri aiuta ad individuare il fallimento delle politiche sinora adottate è quello relativo al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni: esso è pari al 70 per cento nel Mezzogiorno a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale. Settanta su cento minorenni che nascono in una famiglia numerosa del Mezzogiorno d'Italia rischiano di essere poveri;
              le peggiori condizioni di privazione ricadono, peraltro, sui figli degli immigrati, sui bambini delle famiglie giovani o i bambini con un solo genitore, spesso la madre, che, per il tasso di impiego delle donne molto più basso della media europea, non riesce a mantenere il bambino;
              già nella relazione dell'anno precedente l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza aveva sollevato la problematica relativa all'impatto negativo della mancanza di investimenti, da parte dello Stato, a favore dell'infanzia e dell'adolescenza;
              al forte ridimensionamento dell'intervento pubblico per quanto concerne le politiche sociali, si aggiunge la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale;
              i pesanti tagli agli enti locali attuati in questi ultimi anni non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista delle politiche sociali di contrasto alla povertà e della qualità dei relativi servizi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
              i dati relativi al tasso di disoccupazione nel nostro Paese mostrano un quadro di assoluta gravità che continua a peggiorare. Si tratta di una vera e propria emorragia di posti di lavoro, che colpisce gli under 30, ma non di meno tutte le altre fasce di età. Quello che più turba è l'enorme crescita di quanti si dicono «scoraggiati», che hanno smesso di cercare lavoro perché ritengono di non trovarlo. La disoccupazione continua a crescere anche nell'ambito del lavoro precario, a riprova del fatto che la scelta di favorire contratti non a tempo indeterminato ha poco o scarso impatto sul problema occupazionale, mentre priva i lavoratori di molti diritti fondamentali;
              sono 2,8 milioni i lavoratori precari; la disoccupazione è prossima ormai alla soglia inaudita del 12,2 per cento, con punte che sfiorano il 40 per cento tra i più giovani; tra i disoccupati solo uno su quattro riesce a trovare un lavoro, sempre più spesso precario, entro un anno;
              se la disoccupazione giovanile è oltre il 40 per cento, il resto dei giovani è per la maggior parte precario e senza diritti. Tali numeri mettono a rischio la tenuta del sistema Paese. Un'intera generazione di giovani, per la mancanza del lavoro o per la sua discontinuità, vive situazioni di precarietà strutturale;
              i furti dei generi di prima necessità nei supermercati sono aumentati del 7,8 per cento (dato tratto dal «Barometro dei furti nella vendita al dettaglio» a cura del Centre for Retail Research, ottobre 2011);
              la questione abitativa, aggravata dal costante aumento del numero di famiglie ed individui che, a causa della perdita del lavoro e della drastica contrazione del reddito, scendono al di sotto della soglia di povertà, sta assumendo i caratteri di una vera e propria emergenza nazionale. Si stimano in oltre 430.000 le famiglie in difficoltà per il costo dei mutui, mentre solo nel 2012 sono state ben 67.790 le sentenze di sfratto (oltre 250.000 negli ultimi 4 anni) di cui l'87 per cento per morosità. Una situazione di vero allarme che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane e per le regioni dell'Italia settentrionale, ove, per l'incidenza della crisi economica, le percentuali di sfratti per morosità incolpevole arrivano a superare il 90 per cento e riguardano spesso anche le locazioni di alloggi popolari;
              da quanto si desume dai dati menzionati, sempre più persone – in una composizione sociale mutata comprendente interi nuclei familiari e tutti quei soggetti che rientrano nella definizione di «nuove povertà» – hanno perso, o rischiano seriamente di perdere, la propria abitazione, incrementando il già considerevole e drammatico numero di utenti bisognosi di accoglienza;
              in Italia, i dati relativi alle sentenze di sfratto emesse, diffusi dal Ministero dell'interno, dicono che nel solo 2012 le sentenze di sfratto sono state circa 68 mila e gli sfratti per morosità incolpevole sono stati oltre 60 mila;
              la crisi economica da almeno cinque anni si sta facendo sentire anche nel settore delle locazioni e produce precarietà abitativa, riduzione dei redditi e disagio sociale che spesso sfociano in questioni di ordine pubblico;
              secondo un'indagine realizzata dalla Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, nel 2012 si stimavano in oltre 50.000 le persone senza fissa dimora, con la concreta possibilità che il numero reale si potesse attestare anche nel doppio, rasentando quasi lo 0,2 per cento della popolazione italiana. Le grandi città rispecchiano compiutamente tale tragico contesto: nella città di Milano si contavano oltre 4.000 adulti privi di una casa, nella città di Torino circa 1.300 persone si sono rivolte alle case di prima accoglienza notturna gestite dal comune e 1.500 persone hanno usufruito di interventi e prestazioni presso l'ambulatorio sociosanitario per persone senza fissa dimora. A Napoli, Bologna e Firenze è stata calcolata la presenza stabile di almeno 2.000 homeless, mentre nella capitale vivrebbero circa 8.000 persone senza fissa dimora, di cui ben 5.500 in strada e 2.500 ospitati nei centri di accoglienza notturni del comune e delle associazioni di volontariato;
              nel quadro delle politiche sociali, in Italia, il tema delle persone senza dimora e del grave disagio abitativo è sempre stato ai margini, in posizione analoga allo spazio occupato da queste persone e dai servizi che se ne occupano all'interno del contesto sociale. Questa dimensione di marginalità e separazione, sia nel quadro sociale, sia in quello politico e legislativo, ha impedito, da sempre, lo sviluppo di azioni programmatiche e di interventi che possono essere qualificati come «buone prassi» diffuse a livello nazionale;
              l'assenza di politiche nazionali strutturate e concrete per affrontare il problema di chi perde la propria abitazione o rimane senza fissa dimora sul territorio italiano sta lasciando sempre più in balia dell'emergenza i comuni;
              sebbene siano auspicabili nuove politiche sociali, capaci di non limitarsi a prevedere esclusivamente trasferimenti monetari verso le persone maggiormente in difficoltà, in un Paese fortemente diseguale come il l'Italia – secondo nei livelli di disparità nella distribuzione dei redditi solo al Regno Unito nell'Unione europea e con livelli di disparità superiori alla media dei Paesi Ocse – appare necessario prevedere stanziamenti adeguati finalizzati a garantire un alloggio a tutte quelle persone che ne sono prive;
              l'articolo 6, comma 5, della legge n.  124 del 2013, ha istituito un fondo nazionale per la morosità incolpevole e ha disposto che i comuni programmino azioni di accompagnamento sociale per il passaggio da casa a casa per sfrattati e ha disposto anche che i prefetti graduino gli sfratti sulla base delle attività di accompagnamento predisposte dai comuni. Resta da emanare il decreto attuativo di quanto disposto dall'articolo 6, comma 5, della legge n.  124 del 2013, in materia di ripartizione delle risorse del fondo contro la morosità incolpevole alle regioni e la definizione della morosità incolpevole valida per quelle regioni e comuni che ad oggi non hanno ancora proceduto alla definizione;
              le politiche messe in atto dagli ultimi Governi ruotano sostanzialmente intorno alla cosiddetta social card di impronta marcatamente assistenzialista e che ha dato scarsissimi risultati pratici;
              mercoledì 18 settembre 2013 è stata presentata a Roma la relazione finale: «Proposte per nuove misure di contrasto alla povertà», elaborata dal gruppo di studio appositamente istituito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali interrogato il 13 giugno 2013. Obiettivo della relazione è quello di descrivere una nuova misura nazionale di contrasto alla povertà assoluta e all'esclusione sociale, il «sostegno per l'inclusione attiva (sia)», che ancora non esiste nel sistema italiano e che dovrebbe rappresentare l'evoluzione naturale delle sperimentazioni già avviate con la carta acquisti;
              nonostante già dal 2008 la Commissione europea abbia emanato una raccomandazione a tutti i Paesi per l'adozione di una strategia d'inclusione attiva, articolata sui tre pilastri del sostegno economico, di mercati del lavoro inclusivi e di servizi personalizzati, e, in particolare, nonostante l'Italia sia stata anche oggetto di una raccomandazione specifica nell'ambito della Strategia Europa 2020, nella quale sia la Commissione europea che il Consiglio europeo hanno chiesto maggiori sforzi nella lotta alla povertà, pur nel contesto di rigore tuttora richiesto al nostro Paese, l'Italia è l'unico grande Paese europeo a non avere ancora una misura di questo tipo;
              secondo la relazione illustrativa, il sostegno per l'inclusione attiva si caratterizzerà: per l'universalità (non è cioè destinato solo ad alcune categorie, come l'assegno sociale o la pensione di invalidità civile, ma a tutti i poveri); per l'erogazione non solo di una semplice elargizione monetaria, ma per il collegamento di questa ad un percorso di inclusione e attivazione dei componenti del nucleo familiare; per la sua disponibilità a tutti i residenti legalmente in Italia da almeno due anni;
              l'Italia è uno dei pochissimi Paesi europei privi di un meccanismo di questo tipo, la cui assenza si è fatta fortemente sentire nel corso della crisi al punto tale che si hanno 5 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta. L'obiettivo del «sostegno per l'inclusione attiva (sia)» sarebbe dunque quello di permettere a tali soggetti l'acquisto di un paniere di beni e servizi ritenuto decoroso. Non si tratterebbe quindi di un reddito di cittadinanza rivolto a tutti indistintamente, ma di un sostegno rivolto ai poveri, identificati come tali da una prova dei mezzi. Al sostegno monetario si prevede di associare un progetto di attivazione e inclusione sociale;
              nella legge di stabilità 2014 è stata estesa la platea dei possibili beneficiari la sperimentazione della cosiddetta carta acquisti, o come ora viene anche chiamata: «Sostegno di inclusione attiva (SIA)» per il contrasto alla povertà, in primo luogo, ai familiari di cittadini italiani o comunitari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. I destinatari sono principalmente le famiglie povere con minori in cui uno degli adulti ha perso il lavoro negli ultimi tre anni. Si prevede, inoltre, una sorta di presa in carico della famiglia, selezionata dai comuni, in seguito a bandi, che poi verificano se i bimbi sono andati a scuola e dal medico, se il papà o la mamma hanno frequentato i corsi di formazione o fatto domanda di impiego ed altro;
              secondo Maria Cecilia Guerra, Viceministro del lavoro e delle politiche sociali, la norma consentirà di allargare la platea a 400 mila poveri nel 2014, ovvero 160-170 mila in più del previsto: solo per un minoranza del tutto minima;
              dando vita all'Alleanza contro la povertà in Italia, un insieme molto rappresentativo di soggetti sociali, sindacali, del terzo settore, istituzionali (Acli, Anci, Action Aid, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Cgil-Cisl-Uil, Cnca, Comunità di S. Egidio, Confcooperative, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Nazionale Italiano Onlus, Fio-PSD, Fondazione Banco Alimentare, Forum Nazionale del Terzo Settore, Lega delle Autonomie, Movimento dei Focolari, Save the Children, Jesuit Social Network) intende promuovere adeguate politiche contro la povertà assoluta, per far fronte al dilagare di questo grave fenomeno, che riguarda ormai l'8 per cento della popolazione;
              in un documento comune i soggetti che aderiscono all'Alleanza contro la povertà in Italia chiedono al Governo di avviare un piano nazionale contro la povertà, di durata pluriennale;
              questo piano, secondo l'Alleanza contro la povertà in Italia, «dovrebbe contenere le indicazioni concrete affinché venga gradualmente introdotta una misura nazionale, rivolta a tutte le persone in povertà assoluta nel nostro Paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell'intervento»;
              l'avvio sin dal 2014 del piano nazionale contro la povertà richiederà investimenti, sviluppo di competenze e programmazione: gli enti locali, il terzo settore e le organizzazioni sociali impegnati nel territorio potranno realizzarla solo se riceveranno adeguata risorse economiche;
              il 21 ottobre 2010 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul «reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa», con una maggioranza di 540 voti a favore e 30 contrari;
              tale risoluzione, in modo ancora più netto rispetto ad una precedente sullo stesso tema del 2008, sancisce in modo pieno il riconoscimento di un diritto dei cittadini dell'Unione europea e delle persone che vi risiedano stabilmente ad un reddito che ne salvaguardi la dignità sociale;
              in attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Carta di Nizza, il reddito minimo viene definito come un diritto sociale fondamentale, destinato a fungere da strumento di protezione della dignità della persona e della sua «possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale, culturale e politica»;
              il reddito minimo è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
              la piena partecipazione alla vita sociale è richiesta come obiettivo di garanzia della Repubblica italiana, dall'articolo 3 della Costituzione, e è stata richiamata dalla Corte costituzionale tedesca nella sentenza del 9 febbraio 2010, in materia di reddito minino;
              schemi di tutela del reddito sono presenti nella maggior parte dei Paesi europei: infatti, gli Stati membri dell'Unione europea hanno previsto nei loro rispettivi sistemi di protezione sociale un reddito base come fondamento del sistema stesso di integrazione e contrasto alla povertà. Attualmente, tra i ventisette Paesi dell'Unione europea la mancanza di un reddito base è una circostanza riscontrabile solo in Italia, Grecia ed Ungheria;
              la disoccupazione, in particolare quella giovanile, in Italia e in Europa ha raggiunto livelli non più sostenibili e tali da mettere a rischio la tenuta del sistema Paese nel futuro. Un'intera generazione di giovani, per la mancanza del lavoro o per la sua discontinuità, vive situazioni di precarietà strutturale;
              tale situazione non consente a molti giovani di studiare, di fare ricerca, di progettare e realizzarsi nella vita, di creare una famiglia e di mettere al mondo dei figli; li costringe a continuare a dipendere dalle famiglie di origine, anche quando le famiglie sono già, esse stesse, nell'impossibilità di continuare a sostenerli; gli impedisce di concorrere allo sviluppo sociale ed economico dell'Italia, incidendo sulla loro dignità sociale; li discrimina, oggi per il futuro, quando non avranno diritto ad una pensione che possa garantire loro un'esistenza libera e dignitosa;
              il reddito minimo è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
              il reddito minimo è anche uno strumento che tutela la cultura e la dignità del lavoro, perché aiuta ad impedire che lavoratrici e lavoratori siano costretti ad accettare un lavoro purchessia;
              nel corso del 2012, in Italia, è stata avviata una campagna per un reddito minimo garantito, per la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare, che ha visto il coinvolgimento di molte associazioni della società civile;
              tre proposte di legge d'iniziativa parlamentare di deputati appartenenti ai gruppi di Sinistra Ecologia Libertà, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, propongono l'istituzione anche nel nostro Paese di un reddito minimo garantito, sia pure con formulazioni parzialmente diverse,

impegna il Governo:

          ad assumere, in coerenza con le risoluzioni europee del 2008 e del 2010, ulteriori iniziative per introdurre il reddito minimo garantito, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, con particolare riferimento alle situazioni di disagio sociale descritte in premessa;
          ad assumere iniziative per incrementare le risorse per le politiche sociali, per l'infanzia e l'adolescenza e per fornire adeguate risorse ai comuni per gli interventi di sostegno alle famiglie ed ai singoli in difficoltà;
          ad assumere iniziative per prevedere interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie in condizione di povertà estrema;
          nelle more degli adempimenti previsti dall'articolo 6, comma 5, della legge n.  124 del 2013 a valutare la possibilità di assumere iniziative per dare modo alle regioni e ai comuni di procedere alla programmazione e alle attività necessarie per affrontare la questione degli sfratti in maniera strutturale e basata sul passaggio da casa a casa, nonché per dare modo al Governo stesso di avviare i provvedimenti già illustrati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
          a valutare la possibilità di prevedere, compatibilmente con le prerogative dei diversi livelli di Governo e in coordinamento con tali enti, un piano nazionale per la messa in atto di interventi di alloggiamento a favore di persone senza fissa dimora che preveda chiaramente che, in ogni contesto territoriale nel quale siano presenti delle persone senza dimora, sia affrontato e programmato un intervento a favore di queste persone che comprenda servizi di accoglienza di primo livello, a bassa soglia di accesso, e servizi alloggiativi di secondo livello, capaci di dare risposte che possano trasformarsi in interventi stabili e duraturi nel tempo;
          a prendere le opportune iniziative per:
              a) il recupero di decine di migliaia di case popolari oggi inutilizzate;
              b) a valutare la possibilità di sostenere gli affitti agevolati con una ulteriore riduzione della cedolare secca;
              c) un aumento delle risorse a favore del Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione (cosiddetto fondo affitti).
(1-00295)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Di Salvo, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Migliore, Airaudo, Placido».


      La Camera,
          premesso che:
              il 30 dicembre del 2013 è stato pubblicato il quarto rapporto sulla coesione sociale elaborato congiuntamente da Inps, Istat e Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il rapporto fotografa un Paese caratterizzato da disuguaglianze non trascurabili nelle opportunità di mobilità sociale, che contribuiscono al permanere di un elevato livello di disuguaglianza anche in termini di reddito;
              dal rapporto emergono almeno quattro gruppi caratteristici di nuclei poveri nel nostro Paese: le coppie anziane, le donne anziane sole, le famiglie con persone in cerca di occupazione nel Mezzogiorno e le famiglie con lavoratori a basso profilo professionale;
              nel 2012 si trovava in condizione di povertà relativa il 12,7 per cento delle famiglie residenti in Italia (+ 1,6 punti percentuali sul 2011) e il 15,8 per cento degli individui (+ 2,2 punti). Si tratta dei valori più alti dal 1997;
              la povertà assoluta colpisce, invece, il 6,8 per cento delle famiglie e l'8 per cento degli individui. I poveri in senso assoluto sono raddoppiati dal 2005 e triplicati nelle regioni del Nord (dal 2,5 per cento al 6,4 per cento);
              nel 2012 l'indicatore sintetico «Europa 2020», che considera le persone a rischio di povertà o esclusione sociale, ha quasi raggiunto in Italia il 30 per cento, soglia superata, tra i Paesi dell'Europa a 15, solo dalla Grecia;
              in Italia il sistema di trasferimenti sociali è meno efficace nel contenere il rischio di povertà rispetto ad altre realtà nazionali del contesto europeo: la quota di popolazione a rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali è più bassa solo del 5 per cento rispetto a quella prima dei trasferimenti. Nei Paesi scandinavi questa stessa differenza supera ampiamente il 10 per cento, mentre è vicina al 10 per cento in Francia e Germania;
              nel corso degli anni, a comportare un maggiore rischio di povertà è stato anzitutto l'allargamento familiare: avere tre figli da crescere significa aumentare e di molto il rischio di povertà, soprattutto se si tratta di figli minori, residenti nel Mezzogiorno e per le famiglie con membri aggregati, in cui convivono più generazioni;
              sempre dal rapporto, emerge che una famiglia su tre è relativamente povera e una su cinque lo è in senso assoluto. Un minore ogni cinque vive in una famiglia in condizione di povertà relativa e uno ogni dieci in una famiglia in condizione di povertà assoluta, quest'ultimo valore è più che raddoppiato dal 2005. In Italia, dunque, ogni nuovo figlio costituisce per la famiglia, oltre che una speranza di vita, una crescita del rischio di impoverimento;
              al di là delle percentuali e dei numeri, quando si parla di famiglie «a rischio di povertà», si fa riferimento a quelle famiglie che arrivano con difficoltà alla quarta settimana del mese e sono costrette a indebitarsi e a ricorrere ai centri assistenziali, nonostante abbiano un lavoro e un reddito, per permettersi una vita che sfiori la soglia della dignità;
              esponenzialmente cresce sempre di più l'insicurezza delle famiglie italiane che temono di non essere in grado di far fronte a eventi negativi, come, per esempio, un'improvvisa malattia, associata a non autosufficienza, di un familiare o l'instabilità del rapporto di lavoro o gli oneri finanziari sempre maggiori;
              il parlare di politiche sociali o di contrasto all'esclusione e alla povertà non è, tuttavia, solo una questione nominalistica o terminologica: le politiche sociali dovrebbero saper rispondere ad una molteplicità di problemi legati a diversi fattori, dai nuovi rischi sociali centrati sulla profonda modifica dei cicli di vita, a partire da quelli legati a famiglia e vecchiaia, alla ristrutturazione crescente delle forme di lavoro sempre più orientate alla flessibilità e alla precarizzazione, per arrivare alla presenza di nuove domande di integrazione sociale provenienti da persone che arrivano da altri Paesi;
              l'endemica diffusione del precariato e della disoccupazione fra le giovani generazioni, mai così diffusa dal 1977, rende questa categoria tra quelle a maggior rischio di povertà, rinviando le possibilità ed il desiderio di una vita quantomeno normale e di una progettualità di lungo termine;
              crescono le persone cadute nell'emarginazione senza neppure aver potuto sperimentare una vita lavorativa e familiare normale: persone con una traiettoria di mobilità discendente, contrassegnata dalla perdita del lavoro, dei legami familiari, della stabilità abitativa; persone senza famiglia che con l'avanzare degli anni si trovano senza sostegni; donne sole con bambini, prive del sostegno del coniuge o con compagni a loro volta colpiti dalla precarietà occupazionale, da malattie o inabilità o con genitori anziani da assistere; persone che subiscono a livello psicologico e relazionale i contraccolpi della disoccupazione o del fallimento e della cessazione di attività autonome;
              anche al fine di favorire una ripresa della fiducia nei confronti delle prospettive economiche e sociali del Paese, non si può prescindere da una particolare attenzione sulle politiche per la famiglia, con l'intento di fronteggiare la crisi demografica, che ha effetti negativi soprattutto nel medio e lungo termine, di arrestare l'aumento della povertà assoluta, di contrastare la disoccupazione giovanile, che ha raggiunto livelli assolutamente intollerabili, e di implementare quei servizi alla persona in grado di incrementare il tasso di occupazione femminile, anche attraverso la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro;
              le politiche sociali, e al loro interno le politiche per l'inclusione sociale e per il contrasto alla povertà, presentano, dunque, la crescente necessità di spingere verso una significativa ristrutturazione le agende politiche di Governi nazionali e locali. È necessario dare rilievo all'aspetto culturale e valoriale delle scelte, a partire dal riconoscimento della centralità della persona, di una maggiore attenzione alla primaria difesa della vita e alla concreta valorizzazione del ruolo della famiglia e dei minori, anche predisponendo forme nuove di reddito d'accompagnamento sulla base di progetti personalizzati e di attenzione particolare ai minori, attraverso una rete di collaborazione con i servizi abitativi, con i servizi di inserimento al lavoro, di istruzione e formazione attiva sul territorio;
              è doveroso ricordare che le uniche misure di lotta alla povertà e integrazione del reddito, che hanno finora sortito effetti concreti, furono quelle dirette al contenimento del carico fiscale delle famiglie, contenute nel decreto-legge 27 maggio 2008, n.  93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n.  126, nel corso del Governo Berlusconi: un provvedimento legislativo mirato anche al sostegno delle categorie sociali più deboli, con particolare attenzione alla rinegoziazione dei mutui a tasso variabile sulla prima casa, alla cancellazione dell'imposta comunale sugli immobili, alla detassazione degli straordinari e dei premi di produttività per i dipendenti del settore privato con un reddito non superiore ai trentamila euro. Il Governo di allora mantenne la promessa di «non mettere le mani in tasca agli italiani»;
              così come la manovra finanziaria per il 2009, anticipata con il decreto-legge n.  112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  133 del 2008, definì – secondo un ragionevole equilibrio – gli interventi di risanamento e di riduzione della spesa corrente insieme con importanti misure di redistribuzione del reddito, fra le quali la cosiddetta social card, che permise ai cittadini che versavano in gravi condizioni sociali di acquistare prodotti alimentari e di pagare le bollette;
              ad oggi, le risorse a valere sul fondo istituito con il pacchetto anticrisi 2008 per il finanziamento della social card restano le uniche misure contro la povertà ancora operative;
              analizzando nel dettaglio gli attuali livelli di spesa per interventi e servizi sociali a livello regionale, si registrano significativi divari, per cui permangono ampi divari territoriali di spesa sociale, con valori maggiori nelle regioni centro-settentrionali e minori in quelle meridionali, con punte di differenze pari a quasi 2 mila euro annui;
              il problema della disuguaglianza impatta fortemente su altri aspetti fondamentali del vivere e le condizioni di salute sono tra le più importanti. Politiche sui determinanti della salute e contro povertà ed esclusione sociale sono fondamentali per il miglioramento del benessere psicofisico della popolazione: i dati del rapporto Istat sulla salute mostrano che, scendendo lungo la scala sociale e passando da Nord a Sud, aumenta lo svantaggio degli individui e che i poveri del Sud versano in peggiori condizioni di salute rispetto a quelli del Nord;
              in uno Stato moderno la spesa sociale dovrebbe svolgere una funzione di perequazione delle differenze in termini di dotazione di servizi tra i territori, operando, in particolare, una redistribuzione delle risorse in base ai rischi specifici dei diversi comparti, quali la povertà, le condizioni di salute per la sanità, il disagio per l'assistenza sociale e l'investimento in capitale umano per l'istruzione,

impegna il Governo:

          ad adottare tutte le misure atte a prevenire le condizioni di povertà, assumendo come riferimento l'Agenda sociale europea, i cui obiettivi indicati sono:
              a) creare una strategia integrata che garantisca un'interazione positiva delle politiche economiche, sociali e dell'occupazione;
              b) promuovere la qualità dell'occupazione, della politica sociale e delle relazioni industriali, consentendo, quindi, il miglioramento del capitale umano e sociale;
              c) adeguare i sistemi di protezione sociale alle esigenze attuali, basandosi sulla solidarietà e potenziandone il ruolo di fattore produttivo;
              d) tenere conto del «costo dell'assenza di politiche sociali»;
          a prevenire e combattere tutte le forme di povertà, incidendo su alcuni aspetti strutturali del nostro Paese, attraverso la buona e piena occupazione femminile, l'adozione di misure fiscali e monetarie a sostegno dei figli, l'elaborazione di politiche di conciliazione tra lavoro nel mercato e responsabilità di cura per donne e uomini, l'accesso ai servizi socio-educativi per la prima infanzia, l'adozione di misure per prevenire, rallentare e prendere in carico la non autosufficienza.
(1-00297) «Calabria, Palese, Russo, Elvira Savino, Sandra Savino, Marti, Distaso, Chiarelli, Faenzi, Laffranco».


      La Camera,
          premesso che:
              l'attuale crisi economica, manifestatasi a livello globale soprattutto negli ultimi tre anni, ha investito tutti i Paesi d'Europa e ha avuto pesanti ripercussioni sull'intero sistema economico nazionale del nostro Paese;
              tale crisi ha avuto origine dal crollo dei mutui sub-prime dell'estate 2007 e il conseguente fallimento a catena di alcune banche di affari (la più importante, la Lehman brothers, quarta banca americana) che senza alcuna regolamentazione, e per giunta con la copertura ufficiale delle agenzie private di certificazione, attuavano una leva finanziaria di 1 a 30;
              gli esperti hanno individuato da subito tra le cause principali dell'attuale crisi economica il fallimento di un modello di mercato senza regole nel quale le istituzioni hanno abdicato al loro ruolo a favore del potere esercitato dalla finanza e dalla grande industria;
              la tanto decantata autoregolamentazione del mercato si è dimostrata totalmente incapace di mantenere il sistema su binari funzionanti;
              il sistema finanziario e monetario, sempre più deregolamentato e sottratto ai controlli preposti, ha minato ogni forma di governance, dando così origine ad una serie di bolle finanziarie, fagocitando i settori industriali, commerciali e agricoli produttivi;
              per evitare il fallimento delle banche e le inevitabili conseguenze, gli Stati sono stati costretti a varare interventi pubblici per la concessione di ingenti prestiti;
              è necessario, però, constatare come le banche, una volta ritrovata la stabilità grazie al sostegno pubblico, abbiano ricominciato a mettere in moto meccanismi speculativi, come se da questa crisi non si sia stati capaci di comprendere la necessità di cambiare rotta e di tornare ad una politica del fare, abbandonando per sempre il sistema viziato da una finanza creativa e dominatrice nel mercato;
              l'economista Röpke scrisse: «l'economia di mercato non è tutto; essa deve essere sorretta da un ordinamento generale, che non solo corregga con le leggi le imperfezioni e le asprezze della libertà economica, ma assicuri all'uomo un'esistenza consona alla sua natura. E l'uomo non può realizzare compiutamente se stesso se non quando si inserisce volontariamente in una comunità alla quale si senta solidamente legato. Se così non è, egli è condannato ad un'esistenza miserabile. E lo sa»;
              stando ai dati elaborati e pubblicati dai principali istituti scientifici, dalle associazioni di categoria e dei consumatori, nel nostro Paese diminuiscono in modo drastico i consumi, anche quelli riferiti ai beni alimentari, aumenta in modo esponenziale il numero dei disoccupati, degli inoccupati e dei cassaintegrati, delle famiglie in sovraindebitamento e in emergenza abitativa, degli anziani in condizione di grave indigenza, delle persone diversamente abili prive di adeguata assistenza;
              dal 2005 al 2012, il numero degli italiani che vivono in povertà assoluta è raddoppiato. Nel 2012, anno a cui risalgono gli ultimi dati dell'Istat, le famiglie che versavano in una condizione di povertà assoluta erano un milione e 725 mila (il 6,8 per cento delle famiglie residenti), per un totale di oltre 4,8 milioni di persone (l'8 per cento della popolazione), di questi poco più di 2,3 milioni erano residenti al Sud;
              la perdurante crisi economica ha prodotto l'impoverimento di un'ampia parte della popolazione, ma non ne ha impedito la fruizione dei beni e dei servizi essenziali, a differenza di chi non raggiunge «uno standard di vita minimamente accettabile» calcolato dall'Istat e legato a un'alimentazione adeguata, a una situazione abitativa decente e ad altre spese basilari, come quelle per la salute, i vestiti e i trasporti;
              negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad un incremento sempre più crescente di tale fenomeno in segmenti della popolazione prima ritenuti immuni: il Nord – dove le persone in povertà assoluta sono aumentate dal 2,5 per cento (2005) al 6,4 per cento (2012) – e le famiglie con due figli (dal 4,7 per cento al 10 per cento);
              l'attuale congiuntura economica, che ha investito l'Italia, ha imposto ai Governi che si sono succeduti una politica di contenimento dei costi che ha generato tagli ingenti ai finanziamenti diretti agli enti locali, con conseguente difficoltà da parte delle amministrazioni comunali nella gestione degli interventi diretti ai servizi ai cittadini secondo standard di qualità, efficienza ed efficacia;
              l'introduzione del federalismo fiscale, pur rappresentando un cambiamento epocale che segna finalmente una netta inversione di rotta in merito alle politiche sociali, nei fatti subisce un inspiegabile rallentamento nella sua effettiva applicazione;
              è fermo il convincimento, infatti, che l'autonomia impositiva regionale e locale disegnata dalla nuova legge delega sul federalismo fiscale, diretta a superare la logica dei trasferimenti vincolati ad alto tasso di burocrazia e a basso tasso d'incidenza sullo sviluppo reale, apra una nuova stagione anche per le politiche fiscali e a tutela dei cittadini e della famiglia;
              questa nuova autonomia regionale e locale sarà, infatti, guidata in base ai principi di coordinamento che sono elencati nella legge delega. Tra questi, quello del favor familiae: «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti»;
              si tratta di principi altamente innovativi che connotano questa riforma del federalismo fiscale nella direzione di un maggiore riconoscimento fiscale dei carichi familiari e, quindi, nella direzione di una maggiore attuazione di quel favor familiae che orienta il dettato costituzionale;
              in Italia il sistema fiscale si ostina ad operare come se la capacità contributiva delle famiglie non fosse influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli, mentre, di norma, in tutti gli altri Paesi europei, a parità di reddito, la differenza tra chi ha e chi non ha figli a carico è consistente. Il sistema di tassazione deve essere riformulato in modo tale da lasciare a disposizione del nucleo familiare una maggiore disponibilità di reddito, ponendo fine all'iniqua penalizzazione a cui è sottoposta dall'attuale sistema fiscale;
              al fine di contrastare la diffusa povertà è necessario che si sviluppi una rete di interventi diretti a sostenere l'attività di welfare territoriale, facendo sì che il Governo metta a disposizione delle regioni e dei comuni maggiori risorse finanziarie da destinare alle politiche sociali, con l'obiettivo di sviluppare programmi ed interventi straordinari finalizzati ad una reale presa in carico dei cittadini e delle famiglie più bisognose;
              in un momento drammatico, come quello che sta attraversando l'Europa colpita dalla grave crisi economico-finanziaria, è doveroso che il legislatore e il Governo siano capaci di tutelare quel sistema di garanzia che si fonda sul rispetto dei principi e valori che rappresentano il motore di un Paese civile. La politica di solidarietà deve essere inquadrata in un'azione ampia, finalizzata a garantire la coesione sociale come condizione stessa dello sviluppo. Per questo motivo è necessario mettere in moto una politica diretta a dare un segno decisivo di cambiamento, volta innanzitutto a far sì che la società italiana si riappropri di quei principi e valori insiti nella tradizione religiosa, etica e culturale italiana, certi che, anche attraverso una riforma della Stato in ottica federalista, si possa realizzare una società partecipata, dove il principio di sussidiarietà diventi strumento sinergico dell'attività amministrativa e politica del Governo e degli enti locali,

impegna il Governo:

          a promuovere, da un lato, nel breve periodo, interventi straordinari diretti ad incrementare le risorse del fondo nazionale per le politiche sociali, al fine di permettere agli enti locali di strutturare una rete di aiuti per i cittadini e le famiglie in stato di indigenza, e, dall'altro lato, ad avviare nel lungo periodo una politica di contrasto ai meccanismi speculativi del sistema finanziario, principale causa dell'attuale crisi economica;
          ad avviare, in tempi rapidi, tutti i necessari interventi per attuare immediatamente il federalismo fiscale, destinando le risorse che scaturiscono dall'applicazione del sistema virtuoso dei costi standard a politiche di crescita economica del Paese, e, in particolar modo, ad interventi destinati a migliorare le condizioni delle fasce deboli della popolazione, in primo luogo le famiglie numerose, e a contrastare la disoccupazione e l'emergenza abitativa;
          a porre in essere, nell'ambito delle proprie competenze, qualsiasi tipo di intervento finalizzato a sviluppare le condizioni per far sì che si avvii un cambiamento radicale della società, fondato sui principi di solidarietà, sussidiarietà e piena partecipazione nella ricerca del bene comune.
(1-00304) «Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».


      La Camera,
          premesso che:
              l'attuale crisi economica, manifestatasi a livello globale soprattutto negli ultimi tre anni, ha investito tutti i Paesi d'Europa e ha avuto pesanti ripercussioni sull'intero sistema economico nazionale del nostro Paese;
              tale crisi ha avuto origine dal crollo dei mutui sub-prime dell'estate 2007 e il conseguente fallimento a catena di alcune banche di affari (la più importante, la Lehman brothers, quarta banca americana) che senza alcuna regolamentazione, e per giunta con la copertura ufficiale delle agenzie private di certificazione, attuavano una leva finanziaria di 1 a 30;
              gli esperti hanno individuato da subito tra le cause principali dell'attuale crisi economica il fallimento di un modello di mercato senza regole nel quale le istituzioni hanno abdicato al loro ruolo a favore del potere esercitato dalla finanza e dalla grande industria;
              la tanto decantata autoregolamentazione del mercato si è dimostrata totalmente incapace di mantenere il sistema su binari funzionanti;
              il sistema finanziario e monetario, sempre più deregolamentato e sottratto ai controlli preposti, ha minato ogni forma di governance, dando così origine ad una serie di bolle finanziarie, fagocitando i settori industriali, commerciali e agricoli produttivi;
              per evitare il fallimento delle banche e le inevitabili conseguenze, gli Stati sono stati costretti a varare interventi pubblici per la concessione di ingenti prestiti;
              è necessario, però, constatare come le banche, una volta ritrovata la stabilità grazie al sostegno pubblico, abbiano ricominciato a mettere in moto meccanismi speculativi, come se da questa crisi non si sia stati capaci di comprendere la necessità di cambiare rotta e di tornare ad una politica del fare, abbandonando per sempre il sistema viziato da una finanza creativa e dominatrice nel mercato;
              l'economista Röpke scrisse: «l'economia di mercato non è tutto; essa deve essere sorretta da un ordinamento generale, che non solo corregga con le leggi le imperfezioni e le asprezze della libertà economica, ma assicuri all'uomo un'esistenza consona alla sua natura. E l'uomo non può realizzare compiutamente se stesso se non quando si inserisce volontariamente in una comunità alla quale si senta solidamente legato. Se così non è, egli è condannato ad un'esistenza miserabile. E lo sa»;
              stando ai dati elaborati e pubblicati dai principali istituti scientifici, dalle associazioni di categoria e dei consumatori, nel nostro Paese diminuiscono in modo drastico i consumi, anche quelli riferiti ai beni alimentari, aumenta in modo esponenziale il numero dei disoccupati, degli inoccupati e dei cassaintegrati, delle famiglie in sovraindebitamento e in emergenza abitativa, degli anziani in condizione di grave indigenza, delle persone diversamente abili prive di adeguata assistenza;
              dal 2005 al 2012, il numero degli italiani che vivono in povertà assoluta è raddoppiato. Nel 2012, anno a cui risalgono gli ultimi dati dell'Istat, le famiglie che versavano in una condizione di povertà assoluta erano un milione e 725 mila (il 6,8 per cento delle famiglie residenti), per un totale di oltre 4,8 milioni di persone (l'8 per cento della popolazione), di questi poco più di 2,3 milioni erano residenti al Sud;
              la perdurante crisi economica ha prodotto l'impoverimento di un'ampia parte della popolazione, ma non ne ha impedito la fruizione dei beni e dei servizi essenziali, a differenza di chi non raggiunge «uno standard di vita minimamente accettabile» calcolato dall'Istat e legato a un'alimentazione adeguata, a una situazione abitativa decente e ad altre spese basilari, come quelle per la salute, i vestiti e i trasporti;
              negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad un incremento sempre più crescente di tale fenomeno in segmenti della popolazione prima ritenuti immuni: il Nord – dove le persone in povertà assoluta sono aumentate dal 2,5 per cento (2005) al 6,4 per cento (2012) – e le famiglie con due figli (dal 4,7 per cento al 10 per cento);
              l'attuale congiuntura economica, che ha investito l'Italia, ha imposto ai Governi che si sono succeduti una politica di contenimento dei costi che ha generato tagli ingenti ai finanziamenti diretti agli enti locali, con conseguente difficoltà da parte delle amministrazioni comunali nella gestione degli interventi diretti ai servizi ai cittadini secondo standard di qualità, efficienza ed efficacia;
              l'introduzione del federalismo fiscale, pur rappresentando un cambiamento epocale che segna finalmente una netta inversione di rotta in merito alle politiche sociali, nei fatti subisce un inspiegabile rallentamento nella sua effettiva applicazione;
              è fermo il convincimento, infatti, che l'autonomia impositiva regionale e locale disegnata dalla nuova legge delega sul federalismo fiscale, diretta a superare la logica dei trasferimenti vincolati ad alto tasso di burocrazia e a basso tasso d'incidenza sullo sviluppo reale, apra una nuova stagione anche per le politiche fiscali e a tutela dei cittadini e della famiglia;
              questa nuova autonomia regionale e locale sarà, infatti, guidata in base ai principi di coordinamento che sono elencati nella legge delega. Tra questi, quello del favor familiae: «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti»;
              si tratta di principi altamente innovativi che connotano questa riforma del federalismo fiscale nella direzione di un maggiore riconoscimento fiscale dei carichi familiari e, quindi, nella direzione di una maggiore attuazione di quel favor familiae che orienta il dettato costituzionale;
              in Italia il sistema fiscale si ostina ad operare come se la capacità contributiva delle famiglie non fosse influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli, mentre, di norma, in tutti gli altri Paesi europei, a parità di reddito, la differenza tra chi ha e chi non ha figli a carico è consistente. Il sistema di tassazione deve essere riformulato in modo tale da lasciare a disposizione del nucleo familiare una maggiore disponibilità di reddito, ponendo fine all'iniqua penalizzazione a cui è sottoposta dall'attuale sistema fiscale;
              al fine di contrastare la diffusa povertà è necessario che si sviluppi una rete di interventi diretti a sostenere l'attività di welfare territoriale, facendo sì che il Governo metta a disposizione delle regioni e dei comuni maggiori risorse finanziarie da destinare alle politiche sociali, con l'obiettivo di sviluppare programmi ed interventi straordinari finalizzati ad una reale presa in carico dei cittadini e delle famiglie più bisognose;
              in un momento drammatico, come quello che sta attraversando l'Europa colpita dalla grave crisi economico-finanziaria, è doveroso che il legislatore e il Governo siano capaci di tutelare quel sistema di garanzia che si fonda sul rispetto dei principi e valori che rappresentano il motore di un Paese civile. La politica di solidarietà deve essere inquadrata in un'azione ampia, finalizzata a garantire la coesione sociale come condizione stessa dello sviluppo. Per questo motivo è necessario mettere in moto una politica diretta a dare un segno decisivo di cambiamento, volta innanzitutto a far sì che la società italiana si riappropri di quei principi e valori insiti nella tradizione religiosa, etica e culturale italiana, certi che, anche attraverso una riforma della Stato in ottica federalista, si possa realizzare una società partecipata, dove il principio di sussidiarietà diventi strumento sinergico dell'attività amministrativa e politica del Governo e degli enti locali,

impegna il Governo:

          a promuovere, da un lato, nel breve periodo, interventi straordinari diretti ad incrementare le risorse del fondo nazionale per le politiche sociali, al fine di permettere agli enti locali di strutturare una rete di aiuti per i cittadini e le famiglie in stato di indigenza, e, dall'altro lato, ad avviare nel lungo periodo una politica di contrasto ai meccanismi speculativi del sistema finanziario;
          ad avviare, in tempi rapidi, tutti i necessari interventi per rendere attuativo il federalismo fiscale, valutando la possibilità di interventi di revisione del titolo V della Costituzione e di altri interventi normativi che rendano possibile la destinazione delle risorse che scaturiscono dall'applicazione del sistema virtuoso dei costi standard a politiche di crescita economica del Paese, e, in particolar modo, ad interventi destinati a migliorare le condizioni delle fasce deboli della popolazione, in primo luogo le famiglie numerose, e a contrastare la disoccupazione e l'emergenza abitativa;
          a porre in essere, nell'ambito delle proprie competenze, qualsiasi tipo di intervento finalizzato a sviluppare le condizioni per far sì che si avvii un cambiamento radicale della società, fondato sui principi di solidarietà, sussidiarietà e piena partecipazione nella ricerca del bene comune.
(1-00304)
(Testo modificato nel corso della seduta)  «Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».


      La Camera,
          premesso che:
              i rapporti economici continuano a fotografare un'Italia in piena crisi: i dati sull'inattività e sull'occupazione sono tra i peggiori d'Europa;
              secondo i dati Istat aggiornati al novembre 2013, l'occupazione, su base annua, diminuisce del 2 per cento (con una diminuzione del 448.000 unità), mentre il tasso di disoccupazione si attesta al 12,7 per cento, in diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto a ottobre 2013, i senza lavoro a novembre 2013 erano 3 milioni e 254 mila unità;
              sotto i 25 anni la quota dei senza lavoro ha raggiunto la quota allarmante del 41,6 per cento, con un aumento di quattro punti percentuali rispetto al 2012;
              il potere di acquisto delle famiglie nei primi nove mesi è sceso di un ulteriore 1,5 per cento rispetto ai primi nove mesi del 2012;
              secondo il rapporto di Confcommercio «L'economia e il lavoro dentro la crisi», presentato il 22 marzo 2013, nel 2013 in Italia ci saranno oltre 4 milioni di poveri (verrà, dunque, superata la soglia di 3,5 milioni certificata ufficialmente dall'Istat per il 2011, pari a oltre il 6 per cento della popolazione) e una compressione dei consumi del 2,4 per cento; sono più di 9 milioni i cittadini italiani che non percepiscono alcun reddito e, quindi, a rischio di povertà ed esclusione sociale;
              l'Istat ha comunicato che in materia di consumi nella media del trimestre aprile-giugno 2013 l'indice registra una diminuzione dello 0,3 per cento rispetto ai tre mesi precedenti. Nel confronto con maggio 2013, diminuiscono dello 0,2 per cento sia le vendite di prodotti alimentari sia quelle di prodotti non alimentari;
              l'Istituto centrale di statistica (Istat) ha reso noti gli ultimi dati disponibili (relativi al 2012) sul reddito e sulle condizioni di vita della popolazione italiana. Secondo tali dati, nel 2012 era a rischio di povertà il 29,9 per cento dei residenti, con un aumento di 1,7 punti percentuali rispetto al 2011, dovuto soprattutto al diffondersi di situazioni «fortemente deprivate», a sua volta riconducibile al alcuni fenomeni, quali: l'aumento delle famiglie che non possono permettersi durante l'anno una settimana di ferie lontano da casa (dal 46,7 per cento al 50,8 per cento), che non hanno potuto riscaldare adeguatamente la propria abitazione (dal 18 per cento al 21,2 per cento), che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 38,6 per cento al 42,5 per cento);
              quasi la metà, il 48 per cento, dei residenti nelle regioni meridionali del Paese è a rischio di povertà ed esclusione ed è in tale ripartizione che l'aumento della severa deprivazione risulta più marcato: + 5,5 punti (dal 19,7 per cento al 25,2 per cento), contro + 2 punti del Nord (dal 6,3 per cento all'8,3 per cento) e +2,6 punti del Centro (dal 7,4 per cento al 10,1 per cento);
              il rischio di povertà o esclusione sociale è più alto per le famiglie numerose (39,5 per cento) o monoreddito (48,3 per cento); aumenti significativi, tra il 2011 e il 2012, si registrano tra gli anziani soli (dal 34,8 per cento al 38 per cento), i monogenitori (dal 39,4 per cento al 41,7 per cento), le famiglie con tre o più figli (dal 39,8 per cento al 48,3 per cento), se in famiglia vi sono almeno tre minori;
              dal bilancio sociale Inps si evidenzia che il 77 per cento dei pensionati ha una pensione sotto i 1.000 euro al mese, mentre il 17 per cento può contare su un reddito sotto i 500 euro e che vi è un grande divario non solo tra uomini e donne (in media gli uomini percepiscono una pensione pari a 1.366 euro, mentre le donne pari a 930), ma anche tra Nord e Sud Italia (al Nord la pensione media è di 1.238 euro, al Centro di 1.193, 920 al Sud);
              il numero dei cosiddetti esodati secondo i dati forniti dall'Inps ammonta a circa 390.000 e, nonostante ne siano stati, ad oggi, salvaguardati circa 130.000, il fenomeno resta comunque di dimensioni drammatiche;
              le politiche intraprese finora per sconfiggere la povertà, come il «bonus gas», il bonus per l'energia elettrica, i contributi per gli affitti, i libri scolastici gratuiti, l'assegno per la maternità, l'assegno per il nucleo familiare dal terzo figlio sono risultate insufficienti ed inorganiche, mentre è mancato un disegno organico di integrazione al reddito;
              misura altrettanto debole appare la prospettata sperimentazione della nuova social card (il cui avvio è previsto entro pochi mesi dal decreto 10 gennaio 2013 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali nelle 12 città con più di 250.000 abitanti) per l'acquisto di beni di primaria necessità per le famiglie in stato di bisogno;
              a fronte di un quadro così drammatico sarebbe necessario avviare una politica di lotta alla povertà che riprenda dai migliori esempi europei, preveda un rafforzamento dei competenti soggetti pubblici e istituisca un reddito minimo di cittadinanza;
              la crisi economica che ha investito il Paese si è riversata anche nel settore delle locazioni, settore nel quale il rapporto annuale del Ministero dell'interno ha registrato che nel solo 2012 su circa 68.000 sentenze emesse circa 61 mila sono motivate da morosità incolpevole, spesso si tratta di famiglie con minori, portatori di handicap e anziani, su tale questione è intervenuto l'articolo 6, comma 5, della legge n.  147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014), che al momento non appare ancora attuato;
              dal 21 ottobre 2010 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul «reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa», con una maggioranza di 540 voti a favore e 30 contrari;
              tale risoluzione, in modo ancora più netto rispetto ad una precedente sullo stesso tema del 2008, ha sancito in modo pieno il riconoscimento di un diritto dei cittadini dell'Unione europea e delle persone che vi risiedano stabilmente ad un reddito che ne salvaguardi la dignità sociale;
              in attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta di Nizza), il reddito minimo viene definito come un diritto sociale fondamentale, destinato a fungere da strumento di protezione della dignità della persona e della sua «possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale, culturale e politica»;
              la piena partecipazione alla vita sociale è richiesta come obiettivo da garantire alla Repubblica italiana dall'articolo 3 della Costituzione;
              misure di attuazione del cosiddetto reddito di cittadinanza sono presenti in tutti i Paesi dell'Unione europea, tranne che in Grecia, Ungheria ed Italia, e in molti Paesi non comunitari;
              il reddito di cittadinanza è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per introdurre il reddito minimo garantito, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, considerando come indicatore il numero di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà relativa, assumendo iniziative per abrogare interventi fallimentari senza alcuna incidenza sulla situazione reale, come quello della social card;
          a procedere al riparto delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali concordato in sede di conferenza delle regioni, al fine di rendere queste risorse immediatamente disponibili alle regioni stesse e quindi agli enti gestori;
          a reperire le risorse necessarie, anche attraverso la lotta all'evasione fiscale e l'incremento delle imposte sul gioco d'azzardo, e in particolare sulle scommesse on line, nonché attraverso specifiche disposizioni volte alla redistribuzione delle «pensioni d'oro»;
          ad attuare specifiche politiche sociali e dell'occupazione per inoccupati e disoccupati tra i 30 e i 54 anni in generale e, in particolare, per le donne inattive, in quanto categorie a più alto rischio di povertà ed esclusione sociale;
          ad assumere iniziative per prevedere la riduzione dell'iva per l'acquisto di prodotti di prima necessità da parte di singoli o famiglie con reddito inferiore alla soglia di povertà relativa come individuata annualmente dall'Istat;
          a procedere alla revisione dell'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n 214, garantendo che l'introduzione dell'isee per l'accesso alle agevolazioni fiscali e ai benefici assistenziali non diventi per le famiglie collocate nella soglia di povertà assoluta e sotto la soglia di povertà relativa o per i disoccupati motivo di esclusione dalle citate agevolazioni e benefici;
          a sostenere, per le parti di propria competenza e d'intesa con l'Anci, il coordinamento con gli enti locali per la distribuzione efficace e tempestiva di derrate alimentari destinate a persone e famiglie con redditi sotto la soglia di povertà relativa ovvero disoccupate;
          a promuovere e sostenere in relazione all'emergenza freddo la capillare distribuzione di materiale di conforto e, in particolare, di sacchi a pelo per i senza fissa dimora;
          a procedere, di intesa con l'Anci, al censimento ufficiale dei senza fissa dimora, in collaborazione con le associazioni di volontariato, prendendo a riferimento anche i dati relativi ai pasti forniti dalle mense;
          a promuovere la lotta alla povertà, sostenendo programmi e iniziative delle imprese sociali e del settore no profit;
          a prevedere agevolazioni per l'accesso al credito finalizzate al sostegno all'imprenditorialità sociale;
          a prevedere la destinazione, se necessario anche predisponendo interventi di modifica della normativa vigente, di una quota parte dell'8 per mille destinata allo Stato per il sostegno alle politiche sociali di contrasto alla povertà;
          a prevedere che la quota del 5 per mille destinata dai contribuenti al sostegno alle associazioni di volontariato sia erogata integralmente e in tempi certi, valutando nell'immediato di assumere iniziative per aumentare da 400 milioni di euro a 500 milioni di euro lo stanziamento disposto dalla legge di stabilità per l'anno 2014;
          ad avviare tutte le iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate all'istituzione e riconoscimento della figura del caregiver;
          ad inviare una relazione alle competenti commissioni parlamentari relativa al censimento di iniziative, quali dormitori, banchi alimentari, associazioni, cooperative ed altri soggetti impegnati nel campo del contrasto alla povertà, in particolare indicando il numero di persone assistite e interessate dalle iniziative di lotta alla povertà su base regionale e comunale;
          ad attivarsi, di intesa con l'Anci, affinché per i senza fissa dimora possa trovarsi una soluzione alla problematica dell'indirizzo di residenza, individuando indirizzi di residenza non fittizi, evitando problemi di discriminazione e preclusioni in particolare in ambito lavorativo, tenuto conto delle esperienze attivate dai comuni di Roma e Milano;
          a prevedere, anche con iniziative di carattere normativo, nell'ambito del riordino del sistema delle agevolazioni fiscali, il rafforzamento del sistema attualmente vigente di detrazioni per le famiglie con redditi inferiori alla soglia di povertà relativa come individuata dall'Istat;
          ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, per istituire un apposito fondo di garanzia su prestiti e microcredito da concedere a singoli o famiglie con reddito inferiore alla soglia di povertà relativa;
          a procedere alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, attuando quanto previsto dalla legge n.  328 del 2000, con particolare riferimento a singoli o famiglie con reddito inferiore alla soglia di povertà relativa;
          ad attivare le necessarie intese al fine di prevedere per i comuni, le amministrazioni dello Stato, le regioni ed altri enti o amministrazioni pubbliche l'utilizzo di quota parte degli immobili inutilizzati di proprietà pubblica, al fine di offrire ricovero alle persone senza fissa dimora e alle persone o alle famiglie in accertata e inaspettata difficoltà economica;
          ad attivare tutte le iniziative di propria competenza affinché in materia di sfratti per morosità incolpevole sia data attuazione integrale ed immediata a quanto previsto dall'articolo 6, comma 5, della legge 27 dicembre 2013, n 147, in materia di definizione della morosità incolpevole, di accompagnamento sociale da parte dei comuni al fine di garantire il passaggio da casa a casa, di graduazione degli sfratti per morosità incolpevole da parte dei prefetti.
(1-00306) «Silvia Giordano, Di Vita, Dall'Osso, Mantero, Baroni, Lorefice, Cecconi, Grillo, Pesco, Lupo, Sorial, Colonnese, Baldassarre, L'Abbate, Basilio, De Lorenzis, Spadoni, Dieni, Alberti, Gallinella, Luigi Di Maio, Fico, Tofalo, Artini».


      La Camera,
          premesso che:
              i rapporti economici continuano a fotografare un'Italia in piena crisi: i dati sull'inattività e sull'occupazione sono tra i peggiori d'Europa;
              secondo i dati Istat aggiornati al novembre 2013, l'occupazione, su base annua, diminuisce del 2 per cento (con una diminuzione del 448.000 unità), mentre il tasso di disoccupazione si attesta al 12,7 per cento, in diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto a ottobre 2013, i senza lavoro a novembre 2013 erano 3 milioni e 254 mila unità;
              sotto i 25 anni la quota dei senza lavoro ha raggiunto la quota allarmante del 41,6 per cento, con un aumento di quattro punti percentuali rispetto al 2012;
              il potere di acquisto delle famiglie nei primi nove mesi è sceso di un ulteriore 1,5 per cento rispetto ai primi nove mesi del 2012;
              secondo il rapporto di Confcommercio «L'economia e il lavoro dentro la crisi», presentato il 22 marzo 2013, nel 2013 in Italia ci saranno oltre 4 milioni di poveri (verrà, dunque, superata la soglia di 3,5 milioni certificata ufficialmente dall'Istat per il 2011, pari a oltre il 6 per cento della popolazione) e una compressione dei consumi del 2,4 per cento; sono più di 9 milioni i cittadini italiani che non percepiscono alcun reddito e, quindi, a rischio di povertà ed esclusione sociale;
              l'Istat ha comunicato che in materia di consumi nella media del trimestre aprile-giugno 2013 l'indice registra una diminuzione dello 0,3 per cento rispetto ai tre mesi precedenti. Nel confronto con maggio 2013, diminuiscono dello 0,2 per cento sia le vendite di prodotti alimentari sia quelle di prodotti non alimentari;
              l'Istituto centrale di statistica (Istat) ha reso noti gli ultimi dati disponibili (relativi al 2012) sul reddito e sulle condizioni di vita della popolazione italiana. Secondo tali dati, nel 2012 era a rischio di povertà il 29,9 per cento dei residenti, con un aumento di 1,7 punti percentuali rispetto al 2011, dovuto soprattutto al diffondersi di situazioni «fortemente deprivate», a sua volta riconducibile al alcuni fenomeni, quali: l'aumento delle famiglie che non possono permettersi durante l'anno una settimana di ferie lontano da casa (dal 46,7 per cento al 50,8 per cento), che non hanno potuto riscaldare adeguatamente la propria abitazione (dal 18 per cento al 21,2 per cento), che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 38,6 per cento al 42,5 per cento);
              quasi la metà, il 48 per cento, dei residenti nelle regioni meridionali del Paese è a rischio di povertà ed esclusione ed è in tale ripartizione che l'aumento della severa deprivazione risulta più marcato: + 5,5 punti (dal 19,7 per cento al 25,2 per cento), contro + 2 punti del Nord (dal 6,3 per cento all'8,3 per cento) e +2,6 punti del Centro (dal 7,4 per cento al 10,1 per cento);
              il rischio di povertà o esclusione sociale è più alto per le famiglie numerose (39,5 per cento) o monoreddito (48,3 per cento); aumenti significativi, tra il 2011 e il 2012, si registrano tra gli anziani soli (dal 34,8 per cento al 38 per cento), i monogenitori (dal 39,4 per cento al 41,7 per cento), le famiglie con tre o più figli (dal 39,8 per cento al 48,3 per cento), se in famiglia vi sono almeno tre minori;
              dal bilancio sociale Inps si evidenzia che il 77 per cento dei pensionati ha una pensione sotto i 1.000 euro al mese, mentre il 17 per cento può contare su un reddito sotto i 500 euro e che vi è un grande divario non solo tra uomini e donne (in media gli uomini percepiscono una pensione pari a 1.366 euro, mentre le donne pari a 930), ma anche tra Nord e Sud Italia (al Nord la pensione media è di 1.238 euro, al Centro di 1.193, 920 al Sud);
              il numero dei cosiddetti esodati secondo i dati forniti dall'Inps ammonta a circa 390.000 e, nonostante ne siano stati, ad oggi, salvaguardati circa 130.000, il fenomeno resta comunque di dimensioni drammatiche;
              le politiche intraprese finora per sconfiggere la povertà, come il «bonus gas», il bonus per l'energia elettrica, i contributi per gli affitti, i libri scolastici gratuiti, l'assegno per la maternità, l'assegno per il nucleo familiare dal terzo figlio sono risultate insufficienti ed inorganiche, mentre è mancato un disegno organico di integrazione al reddito;
              misura altrettanto debole appare la prospettata sperimentazione della nuova social card (il cui avvio è previsto entro pochi mesi dal decreto 10 gennaio 2013 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali nelle 12 città con più di 250.000 abitanti) per l'acquisto di beni di primaria necessità per le famiglie in stato di bisogno;
              a fronte di un quadro così drammatico sarebbe necessario avviare una politica di lotta alla povertà che riprenda dai migliori esempi europei, preveda un rafforzamento dei competenti soggetti pubblici e istituisca un reddito minimo di cittadinanza;
              la crisi economica che ha investito il Paese si è riversata anche nel settore delle locazioni, settore nel quale il rapporto annuale del Ministero dell'interno ha registrato che nel solo 2012 su circa 68.000 sentenze emesse circa 61 mila sono motivate da morosità incolpevole, spesso si tratta di famiglie con minori, portatori di handicap e anziani, su tale questione è intervenuto l'articolo 6, comma 5, della legge n.  147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014), che al momento non appare ancora attuato;
              dal 21 ottobre 2010 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul «reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa», con una maggioranza di 540 voti a favore e 30 contrari;
              tale risoluzione, in modo ancora più netto rispetto ad una precedente sullo stesso tema del 2008, ha sancito in modo pieno il riconoscimento di un diritto dei cittadini dell'Unione europea e delle persone che vi risiedano stabilmente ad un reddito che ne salvaguardi la dignità sociale;
              in attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta di Nizza), il reddito minimo viene definito come un diritto sociale fondamentale, destinato a fungere da strumento di protezione della dignità della persona e della sua «possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale, culturale e politica»;
              la piena partecipazione alla vita sociale è richiesta come obiettivo da garantire alla Repubblica italiana dall'articolo 3 della Costituzione;
              misure di attuazione del cosiddetto reddito di cittadinanza sono presenti in tutti i Paesi dell'Unione europea, tranne che in Grecia, Ungheria ed Italia, e in molti Paesi non comunitari;
              il reddito di cittadinanza è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà,

impegna il Governo:

          ad assumere, in coerenza con le risoluzioni europee del 2008 e del 2010, ulteriori iniziative per introdurre il reddito minimo garantito, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, considerando come indicatore il numero di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà, assumendo iniziative per superare la social card tradizionale;
          a procedere al riparto delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali, previa intesa in sede di conferenza unificata, al fine di rendere queste risorse immediatamente disponibili alle regioni stesse e quindi agli enti gestori;
          ad attuare specifiche politiche sociali e dell'occupazione per inoccupati e disoccupati tra i 30 e i 54 anni in generale e, in particolare, per le donne inattive, in quanto categorie a più alto rischio di povertà ed esclusione sociale;
          a promuovere e sostenere, nel rispetto delle competenze dei diversi livelli di Governo, in relazione all'emergenza freddo la capillare distribuzione di materiale di conforto e, in particolare, di sacchi a pelo per i senza fissa dimora;
          a promuovere la lotta alla povertà, sostenendo programmi e iniziative delle imprese sociali e del settore no profit;
          a valutare la possibilità di prevedere agevolazioni per l'accesso al credito finalizzate al sostegno all'imprenditorialità sociale;
          a valutare la possibilità di prevedere la destinazione, se necessario anche predisponendo interventi di modifica della normativa vigente, di una quota parte dell'8 per mille destinata allo Stato per il sostegno alle politiche sociali di contrasto alla povertà;
          a prevedere che la quota del 5 per mille destinata dai contribuenti al sostegno alle associazioni di volontariato sia erogata integralmente e in tempi certi, valutando la possibilità di aumentare da 400 milioni di euro a 500 milioni di euro lo stanziamento disposto dalla legge di stabilità per l'anno 2014;
          a valutare la possibilità di avviare tutte le iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate all'istituzione e riconoscimento della figura del caregiver;
          ad inviare una relazione sulla povertà e le politiche di contrasto alle competenti commissioni parlamentari;
          ad attivarsi, in collaborazione con i comuni, affinché per i senza fissa dimora possa trovarsi una soluzione alla problematica dell'indirizzo di residenza, evitando problemi di discriminazione e preclusioni in particolare in ambito lavorativo, tenuto conto delle esperienze attivate dai comuni di Roma e Milano;
          a valutare la possibilità di prevedere, anche con iniziative di carattere normativo, nell'ambito del riordino del sistema delle agevolazioni fiscali, il rafforzamento del sistema attualmente vigente di detrazioni per le famiglie con redditi inferiori alla soglia di povertà relativa come individuata dall'Istat;
          a valutare la possibilità di assumere iniziative, anche di carattere normativo, per istituire un apposito fondo di garanzia su prestiti e microcredito da concedere a singoli o famiglie con reddito inferiore alla soglia di povertà relativa;
          a procedere alla definizione progressiva dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, attuando quanto previsto dalla legge n.  328 del 2000, con particolare riferimento a singoli o famiglie con reddito inferiore alla soglia di povertà;
          a valutare la possibilità di attivare le necessarie intese al fine di prevedere per i comuni, le amministrazioni dello Stato, le regioni ed altri enti o amministrazioni pubbliche l'utilizzo di quota parte degli immobili inutilizzati di proprietà pubblica, al fine di offrire ricovero alle persone senza fissa dimora e alle persone o alle famiglie in accertata e inaspettata difficoltà economica;
          ad attivare tutte le iniziative di propria competenza affinché in materia di sfratti per morosità incolpevole sia data attuazione integrale ed immediata a quanto previsto dal decreto-legge 31 agosto 2013, n.  102, come modificato dalla legge 28 ottobre 2013, n.  124, in materia di definizione della morosità incolpevole, di accompagnamento sociale da parte dei comuni al fine di garantire il passaggio da casa a casa, di graduazione degli sfratti per morosità incolpevole da parte dei prefetti.
(1-00306)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Silvia Giordano, Di Vita, Dall'Osso, Mantero, Baroni, Lorefice, Cecconi, Grillo, Pesco, Lupo, Sorial, Colonnese, Baldassarre, L'Abbate, Basilio, De Lorenzis, Spadoni, Dieni, Alberti, Gallinella, Luigi Di Maio, Fico, Tofalo, Artini».


      La Camera,
          premesso che:
              la crisi economica esplosa nel 2007 negli Stati Uniti e che ha finito per contagiare l'intero Occidente, sia in termini di fallimenti bancari che in termini di drastica diminuzione dei livelli occupazionali, ha prodotto, per quanto concerne il nostro Paese, un radicale cambiamento socio-economico, i cui effetti sono destinati a perdurare negli anni a venire ed a pesare inevitabilmente sulle generazioni future;
              classi sociali, che fino a pochi anni fa si potevano ritenere al riparo dal rischio povertà, potendo esse contare su una sicurezza economica legata alla stabilità lavorativa, si sono viste, con il passare del tempo, coinvolte in una spirale economico-finanziaria che ha finito col minacciare il loro tenore di vita;
              è inevitabile che, in un contesto del genere, in Italia sia aumentato il numero di nuclei familiari che oggi, loro malgrado, possono essere considerate a rischio povertà;
              sono recenti i dati Istat che parlano di 1.725.000 di famiglie che ormai vivono in una costante condizione di assoluta povertà, con una maggiore incidenza nel Meridione d'Italia, zona in cui ben 2,3 milioni di cittadini sono da considerarsi poveri;
              una tale situazione non può non comportare drammatici mutamenti allo strato sociale del nostro Paese: basti pensare alle giovani generazioni, che, in assenza di una sicurezza lavorativa, sono costrette, da una parte, a vivere sempre più a lungo presso le proprie famiglie originarie e, dall'altra, a posticipare o addirittura rimandare l'idea, il progetto di formarsene una propria: diventa difficile infatti, in queste condizioni, pensare ad avere dei figli;
              l'obiettivo dell'Italia non deve limitarsi a fornire assistenza a quanti non riescono a vivere con mezzi propri, ma deve e dovrà essere quello di presentare ai cittadini opportunità di lavoro, di crescita, di prosperità;
              risulta chiaro che il Governo deve attivarsi affinché questo mutamento in negativo del nostro Paese rallenti fino ad arrestarsi definitivamente;
              occorre, però, innanzitutto fornire l'adeguata assistenza a chi, già oggi, vive in condizioni di assoluta povertà in modo da fornire i mezzi necessari per superare un momento tanto difficile;
              occorre, poi, mettere in atto azioni in grado di cambiare radicalmente in positivo la realtà produttiva del nostro Paese e farlo soprattutto in maniera strutturale, evitando, quindi, quelle misure tampone che a nulla servirebbero per la soluzione del problema;
              è necessario sostenere l'apparato produttivo del nostro Paese, che spazia dalle grandi realtà industriali fino alle piccole e medie imprese, in modo da garantirne la ripresa dell'attività a pieno regime, così favorendo il recupero dei livelli occupazionali, la crescita dei redditi e, di conseguenza, dei consumi interni, soprattutto nelle aree del Paese maggiormente colpite dalla crisi in corso, come il Mezzogiorno;
          è necessario recuperare e sostenere il ruolo sociale del terzo settore, ovvero quel complesso di soggetti organizzativi di natura privata ma volti alla produzione di beni e servizi a destinazione pubblica o collettiva (cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, associazioni di volontariato, organizzazioni non governative, onlus ed altri), che sono elemento di vitalità della società civile e soggetti spesso in grado di farsi carico dei bisogni delle persone, generando relazioni positive e attivando reti di solidarietà;
              occorre, quindi, incentivare il recupero di risorse attraverso l'istituto del 5 per mille, in modo da poter disporre, attraverso le donazioni, di finanziamenti da destinare al sostegno delle classi meno abbienti e maggiormente bisognose di aiuto,

impegna il Governo:

          ad attivarsi affinché quanto rappresentato in premessa in materia di contrasto alla povertà e relativamente al sostegno effettivo di complessi come il terzo settore e al recupero di risorse attraverso il 5 per mille, trovi la necessaria ed urgente applicazione pratica in una situazione socio-economica di certo non semplice del nostro Paese;
          a coinvolgere l'Europa nell'adozione di politiche di sostegno alla povertà e, conseguentemente, di rilancio dell'economia dei Paesi dell'Unione europea maggiormente colpiti dalla sfavorevole congiuntura economica.
(1-00307) «Dorina Bianchi, Roccella».


      La Camera,
          premesso che:
              vi è assoluta necessità e urgenza di porre mano alla questione del deterioramento delle condizioni economiche di una parte della popolazione in seguito alla crisi;
              la crisi economica esplosa nel 2007 negli Stati Uniti e che ha finito per contagiare l'intero Occidente, sia in termini di fallimenti bancari che in termini di drastica diminuzione dei livelli occupazionali, ha prodotto, per quanto concerne il nostro Paese, un radicale cambiamento socioeconomico, i cui effetti sono destinati a perdurare negli anni a venire ed a pesare inevitabilmente sulle generazioni future;
              classi sociali, che fino a pochi anni fa si potevano ritenere al riparo dal rischio povertà, potendo esse contare su una sicurezza economica legata alla stabilità lavorativa, si sono viste, con il passare del tempo, coinvolte in una spirale economico-finanziaria che ha finito col minacciare il loro tenore di vita;
              recenti fatti di cronaca hanno evidenziato in modo drammatico la disperazione in cui versano i cittadini che subiscono questi processi di impoverimento;
              gli effetti della crisi si sono verificati in un contesto di progressivo smantellamento delle risposte del welfare locale;
              in solo sette anni, dal 2005 al 2012, il numero degli italiani che vivono in povertà assoluta è raddoppiato. Nel 2012, anno a cui risalgono gli ultimi dati dell'Istat le famiglie che versavano in una condizione di povertà assoluta erano un milione e 725 mila (il 6,8 per cento delle famiglie residenti) per un totale di oltre 4,8 milioni di persone (l'8 per cento, della popolazione), di questi poco più di 2,3 milioni erano residenti al Sud;
              la perdurante crisi economica ha prodotto l'impoverimento di un'ampia parte della popolazione, ma non ne ha impedito la fruizione dei beni e dei servizi essenziali, a differenza di chi non raggiunge «uno standard di vita minimamente accettabile» calcolato dall'Istat e legato a un'alimentazione adeguata, a una situazione abitativa decente e ad altre spese basilari come quelle per la salute, i vestiti e i trasporti;
              si stima che la ripresa potrà ridurre l'attuale percentuale di povertà assoluta ma non di molto dato che la sua maggiore presenza è un fenomeno strutturale, così come il suo nuovo profilo, non concentrandosi più esclusivamente nel meridione e tra le famiglie numerose (con almeno tre figli) anche se queste rimangono le realtà dove risulta maggiormente presente;
              negli ultimi anni si è assistito, infatti, ad un incremento sempre crescente di tale fenomeno in segmenti della popolazione prima ritenuti immuni: il Nord – dove le persone in povertà assoluta sono aumentate dal 2,5 per cento (2005) al 6,4 per cento (2012) – e le famiglie con due figli (dal 4,7 per cento al 10 per cento); è cresciuta anche l'insicurezza di non essere più in grado di far fronte a eventi negativi come per esempio una improvvisa malattia, associata a non autosufficienza, di un familiare, o l'instabilità del rapporto di lavoro, o gli oneri finanziari sempre maggiori;
              la diffusione del precariato fra le giovani generazioni rende questa categoria tra quelle a maggior rischio di povertà, rinviando le possibilità ed il desiderio di una vita in coppia e di procreare, con riflessi negativi sul tasso di natalità;
              per fronteggiare questa situazione, l'impegno dei comuni e delle tante realtà non profit impegnate nel territorio o dei conoscenti o ad altri, non è sufficiente ed i grandi numeri della povertà di oggi fanno sì che, nella maggior parte dei casi, chi sperimenta questa condizione debba innanzitutto contare sulle proprie forze;
              l'Italia è l'unico Paese dell'Europa a 15, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale a sostegno di chi si trova in questa condizione;
              anche se con differenze, le legislazioni degli altri paesi membri dell'Unione europea prevedono fondamentalmente un contributo economico per affrontare le spese primarie accompagnato da servizi alla persona (sociali, educativi, per l'impiego) che servono ad organizzare diversamente la vita di queste persone aiutandole a cercare di uscire dalla povertà;
              si tratta, null'altro, che della messa in opera del patto di cittadinanza tra lo Stato e il cittadino in difficoltà: chi è in povertà assoluta ha diritto al sostegno pubblico e il dovere d'impegnarsi a compiere ogni azione utile a superare tale situazione;
              alcune delle misure messe in atto dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, a partire dalla «social card», non hanno sortito gli effetti desiderati: si è trattato di provvedimenti tampone che non hanno intaccato il problema strutturalmente e contrastato adeguatamente i disagi derivanti dalla condizione di povertà assoluta;
              in uno Stato moderno la spesa sociale dovrebbe svolgere una funzione di perequazione delle differenze in termini di dotazione di servizi tra i territori, operando in particolare una redistribuzione delle risorse in base ai rischi specifici dei diversi comparti quali la povertà, le condizioni di salute per la sanità, il disagio per l'assistenza sociale e l'investimento in capitale umano per l'istruzione;
              recentemente sono state elaborate alcune iniziative per contrastare questo fenomeno tra le quali si distinguono quella elaborata da un gruppo di lavoro insediato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali presieduto dal Viceministro Guerra, volte all'introduzione di una nuova misura di contrasto alla povertà, il SIA (Sostegno all'inclusione attiva) e quella elaborata dalle Acli e Caritas che hanno proposto il REIS (Reddito d'inclusione sociale) fino ad arrivare all'elaborazione del Piano nazionale contro la povertà propugnato da Alleanza contro la Povertà in Italia, un insieme di soggetti sociali che ha deciso di unirsi per contribuire alla costruzione di adeguate politiche pubbliche contro la povertà assoluta nel nostro Paese;
              il Piano nazionale contro la povertà, da avviare nel 2014, contiene le indicazioni concrete affinché venga gradualmente introdotta una misura nazionale, rivolta a tutte le persone in povertà assoluta nel nostro Paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell'intervento;
              sin dal 2014, la misura consiste nel diritto ad una prestazione monetaria accompagnato dall'erogazione dei servizi necessari ad acquisire nuove competenze e/o organizzare diversamente la propria (servizi per l'impiego, contro il disagio psicologico e/o sociale per esigenze di cura e altro);
              in via sperimentale si procede al varo di una «Nuova Social Card» (12 grandi comuni), della «Carta per l'inclusione sociale» (8 regioni sud) e della Carta acquisti tradizionale (quella introdotta nel 2008);
              l'avvio della nuova misura sulla lotta alla povertà assoluta non dovrà considerarsi in alcun modo sostitutivo del necessario rifinanziamento del Fondo nazionale politiche sociali e del Fondo non autosufficienza, oggetto peraltro negli anni recenti di tagli radicali;
              evidenziare la necessità del finanziamento statale non significa assolutamente svilire tutto quello che è già stato realizzato nel territorio contro la povertà che, al contrario, dovrà essere valorizzato e confluire nella riforma, mentre dovranno rimanere comunque destinate alla spesa sociale per le famiglie in condizione disagiata le risorse attualmente impiegate nella lotta alla povertà a livello regionale e territoriale;
              allo stesso modo, tutto il patrimonio di esperienze maturate a livello territoriale, da parte di enti locali, terzo settore e organizzazioni sociali, dovrà essere valorizzato nella costruzione della riforma e confluire in essa;
              nel progetto del Piano nazionale contro la povertà si prevede che l'apporto finanziario di donatori privati possa svolgere un ruolo di rilievo, con funzione complementare rispetto al necessario finanziamento statale del livello essenziale,

impegna il Governo:

          a proseguire nella costruzione di una strategia di lungo respiro per la lotta alla povertà, inserendola tra le priorità delle politiche di Governo, mirante alla graduale introduzione di una misura nazionale, rivolta a tutte le persone in povertà assoluta nel nostro Paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell'intervento;
          a prevedere quindi che il beneficio, oltre a essere limitato nella sua estensione temporale, non si riduca a sole misure economiche, ma debba accompagnarsi a un patto virtuoso con il quale definire un piano personalizzato volto a reinserimento lavorativo e alla più generale inclusione sociale dell'intero nucleo familiare, prevedendo specifici impegni in termini di contatti con i servizi, ricerca attiva di lavoro, adesione a progetti di formazione, frequenza e impegno scolastico dei figli, assistenza ai membri disabili e tutela della salute della famiglia;
          a valutare la possibilità di assumere iniziative per potenziare l'utilizzo dello strumento delle deduzioni e delle detrazioni fiscali per le spese relative all'assistenza e al sostegno delle famiglie con componenti minori, persone non autosufficienti e anziani, al fine di facilitare l'accesso ai servizi per le famiglie meno abbienti e con maggior carico di bisogni e per ridurre allo stesso tempo le forme di lavoro nero e l'evasione fiscale, escludendo – con riferimento alla clausola di salvaguardia della legge di stabilità – le detrazioni per carichi familiari dalle previste riduzioni di aliquota;
          a procedere celermente, previa intesa in Conferenza unificata, alla firma del riparto delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali concordato in sede di Conferenza delle regioni, al fine di rendere queste risorse immediatamente disponibili alle regioni e quindi agli enti gestori;
          ad assumere iniziative per introdurre nella normativa del nostro Paese i livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenziali, affinché si possa realizzare su tutto il territorio nazionale una rete integrata di servizi;
          a stabilizzare gli strumenti per l'inclusione attiva già disponibili e accelerare l'avvio degli interventi già finanziati;
          a definire, nel rispetto dei vincoli di bilancio, il punto di arrivo della misura del SIA a regime, identificando una data di arrivo certa per l'universalizzazione dei benefici alla platea degli aventi diritto, a partire dalla quale tutte le famiglie in povertà assoluta beneficeranno dell'intervento;
          a definire, nel rispetto dei vincoli di bilancio, le tappe intermedie di un percorso pluriennale che contenga indicazioni concrete per la graduale estensione dei provvedimenti per l'inclusione attiva, fino al concreto raggiungimento dell'obiettivo, specificando l'ampliamento dell'utenza e il relativo finanziamento, previsto per ogni annualità;
          a definire i criteri per l'allargamento della platea dei beneficiari, secondo un ordine di priorità e valutare le seguenti condizioni tra i criteri di individuazione dei soggetti più fragili: famiglie numerose, presenza di disabili, famiglie monogenitoriali, povertà minorile, anziani soli;
          a destinare l'intervento di contrasto alla povertà al nucleo familiare, prevedendo che le azioni messe in atto vadano a beneficio dell'intero nucleo familiare cui appartiene il soggetto percettore e non solo del singolo;
          a valutare, al termine della fase biennale di sperimentazione, la possibilità di rivedere le scale di equivalenza dell'ISEE utilizzando i fattori di correzione suggeriti dall'ISTAT e dall'Osservatorio nazionale per la famiglia (fattore famiglia), mantenendo nel contempo gli incrementi per disabilità, monogenitorialità, vedovanza, disoccupazione, per fare in modo che tale strumento tenga conto di tutte le spese per i figli e per renderlo meglio corrispondente alla reale situazione socioeconomica ed al carico assistenziale delle famiglie;
          a promuovere la reale integrazione di tutti gli interventi (statali, delle regioni e degli enti locali) tale da costruire un piano nazionale contro la povertà assoluta in cui tali interventi siano coordinati;
          a pervenire ad uno strumento capace di integrare l'azione dello Stato con quella degli enti locali, del terzo settore e del volontariato, prevedendo il coinvolgimento attivo del terzo settore e del volontariato nella programmazione, nella progettazione e nella gestione degli interventi di accompagnamento e in particolare nell'affiancamento della persona e della famiglia;
          a sviluppare in particolare tra le misure di reinserimento quelle che permettono a una persona di mettere le sue capacità a servizio dei soggetti svantaggiati della società, come il servizio civile volontario o forme di lavoro socialmente utile;
          ad incoraggiare la partecipazione complementare dei donatori privati, favorendo attraverso opportuni meccanismi di detassazione;
          ad assumere iniziative, dirette a stabilizzare, anche in risposta alle recenti determinazioni della Corte dei conti e nel rispetto dei vincoli di bilancio, lo strumento del 5 per mille dell'IRPEF a favore delle organizzazioni no-profit, cancellandone il tetto per assicurare che tutto il ricavato del gettito sia effettivamente allocato secondo le indicazioni dei contribuenti;
          a mettere in atto opportuni interventi, anche attraverso il coinvolgimento del volontariato degli enti no-profit, per superare il problema dell'informazione nell'accesso ai servizi che potrebbe penalizzare proprio i soggetti più diseredati;
          a contrastare il gioco di azzardo, quale forma di prevenzione dell'impoverimento delle famiglie.
(1-00313) «Gigli, Patriarca, Dorina Bianchi, Bobba, Sberna, Roccella, Lenzi, Binetti, Dellai, Sereni, Cimmino, Preziosi, Marguerettaz, Paola Bragantini, Amato, Terrosi, Antezza».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)