XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 194 di giovedì 20 marzo 2014

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

      La seduta comincia alle 10.

      ANNALISA PANNARALE, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
      (È approvato).

Missioni.

      PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alfreider, Amici, Bellanova, Bindi, Boccia, Caparini, Ferranti, Fico, Fontanelli, Fraccaro, Giancarlo Giorgetti, Guerra, Pes, Gianluca Pini, Ravetto, Andrea Romano, Sani, Scalfarotto, Schullian, Sisto e Speranza sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
      I deputati in missione sono complessivamente ottantanove come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

      Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione delle mozioni Bergamini ed altri n. 1-00217, Schirò ed altri n. 1-00345, Pannarale ed altri n. 1-00353, Gianluca Pini ed altri n. 1-00359, Colonnese ed altri n. 1-00361, Galgano ed altri n. 1-00366 e Berlinghieri ed altri n. 1-00384 concernenti iniziative per un efficace utilizzo degli strumenti finanziari messi a disposizione dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e per favorire l'integrazione tra tali risorse e quelle dell'Unione europea (ore 10,05).

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Bergamini ed altri n. 1-00217 (Nuova formulazione), Schirò ed altri n. 1-00345, Pannarale ed altri n. 1-00353, Gianluca Pini ed altri n. 1-00359, Colonnese ed altri n. 1-00361, Galgano ed altri n. 1-00366 e Berlinghieri ed altri n. 1-00384 concernenti iniziative per un efficace utilizzo degli strumenti finanziari messi a disposizione dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e per favorire l'integrazione tra tali risorse e quelle dell'Unione europea (Vedi l'allegato A – Mozioni).
      Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

      PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
      È iscritta a parlare l'onorevole Savino, che illustrerà anche la mozione Bergamini ed altri n. 1-00217 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

      ELVIRA SAVINO. Signor Presidente, la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB) è una banca multilaterale a vocazione esclusivamente sociale e una delle più antiche istituzioni finanziarie internazionali Pag. 2europee. Quando fu creata, sulla base di un accordo parziale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa, il 14 aprile del 1956, lo scopo prioritario era quello di fornire aiuti finalizzati e risolvere i problemi dei rifugiati. Da allora il suo campo d'azione si è progressivamente esteso ed oggi contribuisce in modo significativo al rafforzamento della coesione sociale in Europa ed è uno strumento chiave della politica di solidarietà europea, che opera aiutando gli Stati membri – attualmente quaranta – a perseguire una crescita sostenibile ed equa, finanziando progetti di investimento sociale suddivisi in tre ambiti, stabiliti nel 2006 dal consiglio d'amministrazione dell'istituzione: il rafforzamento dell'integrazione sociale, la gestione ambientale e il sostegno alle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale. Per la sua attività la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa non riceve aiuti o sovvenzioni dagli Stati membri e basa la propria attività su fondi e riserve propri. In particolare, interviene in favore dei 21 Paesi d'Europa centrale, orientale e del sud-est, che costituiscono, conformemente agli orientamenti strategici del piano di sviluppo 2010-2014, un obiettivo «prioritario». Nel decennio 2002-2011 sono stati approvati progetti per oltre 21 miliardi di euro ed erogati oltre 16 miliardi di euro di prestiti. Tra i principali Paesi beneficiari vi sono la Polonia, l'Ungheria e la Romania. L'interlocutore della Banca è comunque sempre uno Stato membro, mai direttamente le imprese.
      Vi è una forte cooperazione della CEB con la Commissione europea e con altre banche regionali e istituzioni finanziarie multilaterali, come la Banca europea per gli investimenti (BEI), il Western Balkans investment framework, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, la Banca mondiale, la Nordic investment bank e la Banca Kfw.
      La CEB è chiamata a uno sforzo straordinario volto ad assicurare, da un lato, il contenimento dei profili di rischio e, dall'altro, il completo rispetto del mandato statutario-sociale. Il 4 febbraio 2011 il consiglio di direzione della CEB, con la risoluzione n.  386, ha approvato il sesto aumento di capitale della banca, finalizzato a sostenere i principali campi d'intervento, che ha portato il capitale totale sottoscritto da 3,3 miliardi di euro a 5,5 miliardi di euro. Con la legge 6 luglio 2012, n.  117, l'Italia ha aderito a tale aumento di capitale, per un importo complessivo di 366.078.000 euro, senza obbligo di versamento immediato, in quanto la sottoscrizione di una quota di capitale «a chiamata» non comporta esborsi finanziari effettivi. L'Italia ha mantenuto la misura attuale di partecipazione di diritto di voto e continua a svolgere un ruolo centrale nel processo decisionale, dal momento che, in quanto azionista della CEB, partecipa alle riunioni degli organi di governo della banca stessa, con rappresentanti dei Ministeri dell'economia e delle finanze e degli affari esteri. Il nostro Paese, assieme a Francia e Germania, è il maggior azionista della Banca visto che al 31 dicembre 2012 deteneva il 16,77 per cento del capitale sottoscritto, in una quota superiore rispetto alla partecipazione ad altri organismi multilaterali di intervento finanziario.
      Nel decennio 2002-2011 il consiglio d'amministrazione della CEB ha approvato prestiti a favore dell'Italia per un volume totale di 1,9 miliardi di euro, di cui 1,6 miliardi già erogati, principalmente a favore di PMI, per interventi di ricostruzione a seguito di catastrofi naturali, nel campo dell'istruzione, nella sanità e nelle infrastrutture locali, ma anche a favore di interventi finalizzati a migliorare il patrimonio storico, l'edilizia sociale ed aiuti a favore di rifugiati e migranti. Purtroppo, però, l'ultimo progetto di sviluppo della banca in Italia risale al biennio 2007-2009.
      Nel 2011, su 2,11 miliardi di euro di progetti approvati, nessuno coinvolgeva l'Italia e, su 1,85 miliardi di euro di prestiti approvati, 16 milioni (quindi lo 0,9 per cento) riguardavano il nostro Paese. Analogamente, dei 28 progetti approvati nel 2012 dal consiglio di amministrazione della CEB, per un totale di 1.798 milioni di euro, nessuno riguardava l'Italia.
      Negli anni 2011 e 2013 sono stati approvati 11 progetti (per circa 515 milioni Pag. 3di euro) a favore di altrettante sussidiarie banche italiane (Intesa Sanpaolo e gruppo Unicredit) in Europa centrale, orientale e sudorientale (quindi, non in Italia) e nel primo quadrimestre del 2013 sono state approvate undici richieste di finanziamento, per un importo complessivo di 613,9 milioni di euro.
      La questione della coesione sociale e del suo rafforzamento all'interno dell'Unione europea è uno dei temi centrali della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
      Infatti la Commissione europea, il 20 febbraio 2013, nella comunicazione «Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020» (COM (2013) 83), ha elencato le sfide che la politica sociale dell'Unione dovrà affrontare nei prossimi anni, obiettivo fondamentale da perseguire attraverso una piena integrazione tra utilizzo dei fondi europei, azioni ricomprese nella Strategia Europa 2020 e programmi nazionali di riforma e l'utilizzo con la massima efficacia dei fondi europei. In particolare, gli Stati membri sono invitati a ricercare i modi per integrare le risorse dell'Unione europea mediante finanziamenti provenienti dalla Banca mondiale, dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e dal gruppo della Banca europea degli investimenti.
      È evidente che negli ultimi anni il nostro Paese non ha usufruito dei prestiti provenienti dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, al cui finanziamento contribuisce in maniera sostanziosa.
      L'allocazione dei fondi del Fondo sociale europeo prevede che una quota minima di investimenti sia riservata ad ogni Stato membro dell'Unione europea e che la distribuzione dei restanti fondi avvenga in base alle esigenze regionali e non nazionali, tenendo in questo modo conto delle differenze, anche profonde, tra i livelli di benessere presenti all'interno di uno stesso Stato.
      I settori di intervento riguardano, infatti, aree che rispondono ad esigenze su cui l'attenzione è particolarmente alta in questo momento nel nostro Paese: su tutti, il tema della prevenzione di catastrofi naturali e di protezione del territorio ed interventi di ricostruzione; azioni in favore di rifugiati e migranti; istituti penitenziari; salvaguardia e protezione del patrimonio storico e culturale.
      Di fronte a una crisi economico-finanziaria di portata mondiale, bisognerebbe altresì rivedere la strategia di intervento della stessa Banca europea degli investimenti. La fissazione degli obiettivi prioritari dovrebbe essere tematica e non su base geografica, ovvero la Banca centrale europea dovrebbe adattare i propri obiettivi alle nuove priorità e necessità del continente europeo.
      Chiediamo dunque al Governo di intervenire con determinazione, anche attraverso il coinvolgimento degli altri Stati aderenti alla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, per promuovere un cambio di rotta nella strategia di azione della CEB, incentivando, già a partire dal 2014, programmi di intervento trasversali basati su specifiche aree tematiche, per incentivare, nell'ottica di una migliore integrazione con gli altri strumenti finanziari dell'Unione europea, una omogeneizzazione dei criteri di allocazione dei fondi e di adottare ogni opportuna iniziativa per favorire una maggiore trasparenza delle attività della CEB.
      Si richiede che il Governo si attivi per promuovere una migliore conoscenza della CEB in Italia, per incentivare in Italia l'utilizzo degli strumenti finanziari messi a disposizione degli Stati aderenti e l'utilizzo di tutti quei programmi volti a creare dinamiche e prospettive d'investimento, di crescita e di occupazione a livello nazionale e regionale e che prevedono la partnership delle maggiori istituzioni politico-finanziarie europee e internazionali, con le autorità nazionali e regionali. Ciò al fine di dare attuazione a quanto indicato dalle istituzioni europee, favorendo il più possibile l'integrazione delle risorse dell'Unione europea, con i finanziamenti provenienti dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, sostenendo la promozione di un cambiamento degli statuti, affinché Pag. 4la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa possa adottare politiche di sostegno ed erogare finanziamenti diretti ad istituzioni ed enti pubblici, senza ricorrere all'intermediazione degli istituti bancari privati (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Schirò, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00345. Ne ha facoltà.

      GEA SCHIRÒ. Signor Presidente, ovviamente molti degli argomenti illustrati dalla collega si sovrapporranno. Credo e penso che le nostre mozioni siano animate dalle stesse buone intenzioni. Per fortuna, questa discussione avviene all'indomani della discussione in Aula sulle linee programmatiche per il Consiglio europeo, per cui risulta quasi utile e strumentale ottimizzare le forze che dovremo usare durante il prossimo semestre europeo. Che cosa succede, allora ?
      Il Consiglio d'Europa nasce nel 1949 all'indomani della Seconda guerra mondiale ed è la prima grande istituzione europea che si occupa di diritti dell'uomo, di minoranze, ed è un'organizzazione sovranazionale di cui fanno parte 47 Stati membri, quindi non i soli 28 dell'Unione europea. In questo momento possiamo apprezzare la lungimiranza dei padri fondatori che decisero di allargarla in questo modo. Che cosa è successo ? Giusto per storicizzare e capire un po’ il senso della Banca di sviluppo, ricordiamo che nel 1956 viene fondata questa Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, che è l'organo economico del Consiglio d'Europa, per dare sostanza alle buone intenzioni, semplificando, degli obiettivi umanitari dello stesso Consiglio d'Europa. La Banca è, inoltre, senz'altro un presidio dei diritti umani.
      La Banca di sviluppo è, quindi, l'organo di diretta espressione del Consiglio d'Europa e ha come – scusate l'anglicismo – mission l'edilizia sociale, l'istruzione, il rimedio alle catastrofi naturali e, non ultimo, l'assistenza e l'aiuto ai rifugiati. Capiamo, quindi, l'attualità del senso del lavoro della Banca che, oltretutto, è un'istituzione che, non come è capitato per tante iniziative, soprattutto di spirito comunitario, non dà soldi a fondo perduto, ma eroga prestiti. E, come già ricordato dalla collega Savino, collabora con gli Stati e non con singoli imprenditori. È anche un organo di garanzia, quindi.
      Detto questo, è stata allargata, con il Western Balkans investment framework, ai Paesi dell'Est dove, adesso, negli ultimi anni, si sono focalizzati il 61 per cento degli investimenti della Banca. Il nuovo consiglio di amministrazione ha già fatto il piano di interventi per gli anni 2014-2016, però dal 2009 la Banca è entrata in una forte crisi, nonostante l'aumento di capitale, appena sottoscritto anche dall'Italia, che ha fatto salire dai 4 ai 5,8 miliardi di euro il capitale di investimenti della Banca. L'Italia partecipa, insieme alla Francia e alla Germania, con un 16 per cento, con un investimento minimo all'inizio e, soprattutto, non dobbiamo rispondere in solido, ma esclusivamente con dei fondi di garanzia. Quindi, è una delle associazioni virtuose meno costose per l'Italia e questo è molto importante.
      Che cosa succede ? Che dal 2012 i cosiddetti target countries, che fanno parte non necessariamente dell'Unione europea, ma sono Paesi europei, che vanno dall'Albania, alla Macedonia, alla Bulgaria, insomma tutti i Paesi che afferiscono a quell'area, stanno assorbendo il 61 per cento degli investimenti di capitale. È questo quello che poi domanderemo negli impegni al Governo. Mi sembra un punto estremamente importante. L'aumento del 25 per cento, appunto, è servito ad aiutare sempre i Paesi del gruppo dei cosiddetti target countries, opzione assolutamente ineludibile per la vocazione della Banca.
      Però, che cosa succede adesso ? Che noi ci troviamo – e questo è il punto, secondo me, estremamente importante – a ridosso del Consiglio europeo di oggi e domani e quello è uno strumento che potremmo utilizzare anche in futuro nell'implementare le decisioni e le conclusioni del Consiglio europeo.Pag. 5
      Anzitutto, le competenze della CEB sono poco conosciute e poco utilizzate nelle istituzioni italiane. Noi abbiamo avuto (adesso è inutile fare nomi che possono suonare quasi retorici) da Lampedusa a vari terremoti che si sono verificati in Italia, a Sarno: tutte le regioni e le istituzioni deputate avrebbero potuto chiedere l'intervento immediato non gratuito, perché non è secondario il fatto di essere impegnati a dover restituire parte dei fondi. Le emergenze carcerarie: quest'Aula è stata impegnata per giorni a parlare, in modo a volte un po’ surrettizio, sulla giustezza delle iniziative riguardanti le misure cautelari e c’è l'ipotesi di costruire nuove carceri; io non sono d'accordo, perché trovo che si potrebbero utilizzare meglio anche le piccole che esistono e un po’ mi sembra anche un'operazione di cementificazione, però è una mia opinione personale che non intendo far pesare in nessuna opzione al Governo, ma, in ogni caso, per migliorare le condizioni delle carceri si potrebbero usare questi fondi. L'aiuto per le adozioni internazionali: adesso cerco di illustrare a braccio le opzioni sensibili, le opzioni pratiche, proprio al fine di stimolare il Governo a valutare e a impegnarsi in un'opera di divulgazione – ad esempio, la Presidenza del Consiglio dei ministri supporta in genere queste campagne di divulgazione – affinché non si usino solo gli strumenti statali e di finanziamento tradizionali, ma su alcune cose si usino tali finanziamenti e la partecipazione dell'Italia aumenti. Infatti, d'altronde (e questo però è anche colpa nostra), noi siamo quelli che hanno quasi meno di tutti: nel 2011, su 2,11 miliardi di euro di progetti approvati, quasi non abbiamo partecipato; su 1,8 miliardi di prestiti, noi siamo in minima parte presenti. È necessario che le istituzioni italiane deputate si facciano carico anche di questi strumenti virtuosi che esistono in Europa.
       Ritorno un attimo, perché vorrei sottolinearlo, sottosegretario, alle adozioni internazionali. Abbiamo avuto di recente il caso delle famiglie bloccate in Congo, che non solo hanno avuto degli oggettivi problemi economici, ma c’è anche il problema del dialogo costoso, purtroppo, con gli istituti di adozioni internazionali, ad esempio. Quindi per le attività sociali sarebbe un grande e importante supporto; dobbiamo imparare ad usarlo e a gestirlo. E, non ultimo, pregherei il Governo di controllare che con questo allargamento ai Paesi dei target countries la nostra quota di partecipazione al consiglio di amministrazione della Banca non venga ridotta, non venga ridimensionata. Infatti, che rimanga stabile il numero dei membri italiani presenti nel consiglio di amministrazione della CEB è una garanzia per l'Italia e, spero, per l'utilizzo di questi fondi che ho appena illustrato (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia)

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pannarale, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00353. Ne ha facoltà.

      ANNALISA PANNARALE. Signor Presidente, Governo, colleghe e colleghi deputati, sono diverse le ragioni che oggi rendono, a mio parere, particolarmente utile questa discussione sulle mozioni sulla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e ne individuerei sostanzialmente due.
      La prima, le grandi potenzialità di questa istituzione non adeguatamente espresse e non opportunamente utilizzate dall'Italia, nonostante quei tanti bisogni sociali che scontano l'assenza di politiche strutturali di investimento da parte dei nostri ultimi Governi e che troverebbero qualche ristoro se questo strumento finanziario europeo fosse impiegato in maniera virtuosa e in tutte le sue possibilità.
      La seconda: l'opportunità, attraverso questa discussione, di contribuire a diffondere un'adeguata conoscenza delle istituzioni europee, peraltro nello stesso giorno in cui inizia il Consiglio europeo, di cui ieri abbiamo abbondantemente discusso in quest'Aula.
      Per molti, devo dire, ancora l'Unione europea e il Consiglio d'Europa sono un po’ la stessa cosa, persino i titoli dei giornali, a volte, tendono a confondere i due ordinamenti. È vero che l'articolazione Pag. 6istituzionale dei due sistemi, in qualche modo, si lascia confondere agli occhi di una opinione pubblica un po’ disattenta, tuttavia si tratta di universi che sono ben distinti. Il Consiglio d'Europa è l'organo supremo ed esecutivo di un Trattato internazionale che è molto diverso dai trattati istitutivi dell'Unione europea: si tratta, come sappiamo, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950, fondamento costitutivo di un'Europa che sappia battersi sempre per i diritti e le libertà fondamentali. Al Consiglio d'Europa aderiscono 47 Paesi, tra cui Svizzera, Russia e Turchia, che, come sappiamo, non aderiscono all'Unione europea.
      È vero, sia l'ordinamento comunitario sia quello del Consiglio d'Europa comprendono delle banche, ma – e qui veniamo al punto – si tratta di banche diverse. La Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, infatti, non ha, come la Banca centrale di Francoforte, compiti di politica monetaria e di indirizzo di quei perversi meccanismi di stabilità che, in ragione di vincoli aspri, impongono tagli alla spesa sociale e continuano a sottrarre risorse nazionali al welfare, all'edilizia scolastica e alla manutenzione del territorio. La Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, invece, esercita le sue prerogative su un terreno peculiare: quello, potremmo dire, della statuizione dei diritti: il diritto alla democrazia, alla qualità della vita, il diritto di voto, il diritto alla libera manifestazione delle idee, il rispetto dei diritti umani e contro ogni forma di discriminazione e di intolleranza. Dunque, diritti civili e politici che hanno bisogno di stare saldamente insieme alla promozione dei diritti sociali, ossia il diritto al lavoro, all'istruzione, alla salute, direi al futuro, perché altrimenti sarebbero appannaggio solo di chi possa permetterseli.
      E allora la Banca di sviluppo – che, come hanno già ricordato le mie colleghe prima, è nata nel 1956 per fornire gli aiuti ai rifugiati – si propone esattamente questo: attuare, con finanziamenti mirati, politiche di solidarietà, di crescita sociale e ambientale equa e sostenibile, di infrastrutturazione pubblica, e i testi delle mozioni oggi in discussione sottolineano tutte bene questo aspetto e giustamente impegnano il Governo ad un uso più efficace delle risorse messe a disposizione dalla Banca di sviluppo.
      Più in particolare, la nostra mozione lo impegna ad attivarsi al fine di promuovere e fornire adeguata assistenza presso tutti i soggetti potenzialmente destinatari dei finanziamenti erogati dalla Banca, per una migliore conoscenza della stessa quale istituto finanziario vocato al finanziamento di progetti di coesione sociale e come ulteriore importante strumento per la riduzione della disoccupazione giovanile, per il miglioramento e la riqualificazione delle strutture scolastiche e carcerarie, di quelle per i rifugiati e i senza tetto, che – lo sappiamo – in genere sono fatiscenti e incompatibili con la loro funzione costituzionale, per la bonifica di quelle parti di Paese inquinate dalla criminalità organizzata in questi anni e compromesse nella loro sicurezza alimentare e nella sicurezza di quel diritto universale alla salute delle cittadine e dei cittadini.
      Sono – devo dire – un po’ perplessa da alcune curvature nazionaliste e antisolidaristiche presenti nella mozione della Lega Nord, come se interventi di promozione sociale o ambientale in Paesi europei fragili non fossero un vantaggio per tutte e per tutti noi, per un'Europa più equa, democratica e sostenibile, peraltro in ossequio a quelli che sono gli obiettivi della politica di coesione. Nei testi, ad esempio, dell'onorevole Bergamini e dell'onorevole Schirò ritrovo l'auspicio al finanziamento di filiere settoriali e tematiche, più che per aree geografiche, ed è questo un auspicio che si può condividere a patto che si legga con accuratezza il Piano di sviluppo 2014-2016 che la Banca di sviluppo ha di recente approvato.
      In questo Piano, in sostanza, si legge che la massa di denaro disponibile per i Paesi diversi da quelli dell'Est, che sono esattamente i Paesi cui è mirata una peculiare attenzione, è di circa 800 milioni di euro all'anno. Infatti, per il triennio, la Banca pensa di spendere 5 miliardi e 400 milioni di euro, di cui il 60 per cento per Pag. 7i cosiddetti Paesi del target group, cioè quelli, appunto, dell'Est europeo, inclusa la Turchia, e rimane, per il resto, un ammontare non particolarmente consistente.
      Come sappiamo, la Banca di sviluppo non finanzia a fondo perduto, ma presta denaro: queste risorse non possono essere per una copertura integrale di progetti, ma, appunto, partecipano come prestiti al finanziamento di questi progetti. È pur vero che, nel piano di sviluppo, la Banca, in alcuni casi, si dimostra disponibile ad alzare il finanziamento dal 50 al 90 per cento, ad esempio. E, allora, tutto ciò, per quanto ci riguarda, rende evidentemente cogente e reciproco l'integrarsi dei finanziamenti comunitari e dei contributi delle altre istituzioni, come la Banca di sviluppo.
      E qui dovrebbe entrare in gioco la capacità del Governo, delle regioni, degli enti locali di sapersi attrezzare per la redazione di progetti credibili, ben strutturati, efficaci nei settori di elezione della Banca di sviluppo. Questi settori, devo dire, sono esattamente il terreno su cui insistono le inadempienze, le assenze, le ingiustizie nel nostro Paese, e li potremmo ricordare in maniera velocissima: noi abbiamo una disoccupazione giovanile che ha superato la soglia del 40 per cento e abbiamo le nostre piccole e medie imprese, che sono peraltro la stragrande maggioranza delle imprese nell'Unione europea, che assicurano l'80 per cento dell'occupazione in Italia e che sono quelle che registrano i maggiori cali nell'Unione europea sia per fatturato sia per profitti.
      Ancora, un altro settore di elezione: il 40 per cento degli edifici scolastici nel nostro Paese ha bisogno di interventi di manutenzione urgente o non ha il certificato di agibilità; le carceri italiane sono contenitori lesivi di ogni forma di dignità umana, sono degradanti, incompatibili con quello che è il principio costituzionale del reinserimento sociale del detenuto. L'82 per cento del territorio italiano è a rischio, in condizioni di dissesto e noi, ogni anno, spendiamo dieci volte di più per le emergenze rispetto a quanto servirebbe, invece, se riuscissimo a porre in essere un'adeguata attività di prevenzione.
      E, poi, i senza tetto, di cui dovrebbe ancora occuparsi la Banca di sviluppo: sono circa 48 mila nel nostro Paese e sono, peraltro, per la maggior parte, maschi, stranieri e con un'età media di soli 42 anni. Devo dire che su questo dato incide moltissimo l'inadeguatezza strutturale di un sistema di seconda accoglienza – il nostro –, che produce in maniera strutturale rifugiati o titolari di protezione internazionale che non hanno la possibilità di una fissa dimora, di un tetto sulla loro testa.
      Allora, è chiaro come tutto questo sia la conseguenza di politiche strategiche assenti, perché assente è un punto di vista, perché assente è un'idea di Paese e, di fronte a questo, la Banca di sviluppo è un piccolo supporto, che certo non può colmare tutto quello che manca in fatto di investimento strutturale; però la Banca va utilizzata e, prima ancora, va conosciuta affinché l'uso possa essere intelligente ed appropriato.
      Peraltro, come è stato già ricordato, l'Italia concorre al capitale per circa il 17 per cento insieme a Francia e Germania, però, negli ultimi tre anni, a parte i 6 miseri milioni di euro verso la fine del 2013, nessun progetto italiano è stato finanziato dalla Banca di sviluppo. Il nostro pensiero corre automaticamente, mi verrebbe da dire, ad un patrimonio storico, culturale e architettonico che frana, a scuole che crollano, a terre che sono avvelenate da traffici illeciti oppure dall'incapacità di coniugare diritto al lavoro e diritto alla salute. E molto potrebbe essere fatto per migliorare le infrastrutture culturali attraverso opere di distribuzione, accesso, digitalizzazione; migliorare la competitività delle pubbliche e medie imprese, riqualificare il patrimonio culturale, oppure riuscire a rigenerare quello urbano con progetti di turismo sostenibile.
      Insomma, i settori di intervento sarebbero davvero molti, però questo Paese, come peraltro accade al di là di regioni particolarmente virtuose per i fondi strutturali, Pag. 8continua a non utilizzare in maniera adeguata gli strumenti a cui può accedere. E, allora, la nostra mozione si propone esattamente questo: impegnare il Governo a fare ogni sforzo affinché gli apparati preposti mobilitino le loro migliori energie per diffondere la conoscenza della Banca di sviluppo, per stendere progetti di recupero ambientale, start up innovative, formazione avanzata. Andrebbero promossi workshop, corsi di formazione e aggiornamento attraverso, ad esempio, delle strutture ministeriali dedicate, affinché questo sforzo coinvolga le competenze dei territori e favorisca un dialogo proficuo tra i vari livelli di Governo. Vanno condivise strategie, iniziative, peraltro in direzione di quella che è una più efficace politica di coesione 2014-2020. Insomma, spesso, ci sono le idee, ma mancano non gli strumenti, ma la conoscenza degli stessi per un uso assolutamente appropriato.
      Peraltro, nello stesso piano si vede come la Banca di sviluppo prevede di offrire ai Paesi aderenti anche l'assistenza tecnica, intellettuale e professionale per la realizzazione dei progetti.
      Allora, e mi avvio a concludere, credo che sia molto importante, poi, all'atto del voto su queste mozioni, che si registri una larga convergenza sulle mozioni stesse e che ci sia un impegno del Governo che possa, finalmente, essere autentico e, soprattutto, efficace, nel senso di un'Europa che possa davvero essere attraversata, trasformata e resa finalmente un pochino più equa, più giusta e più a misura dei popoli che dovrebbero essere, appunto, protagonisti di questo nuovo orizzonte.

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Colonnese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00361. Ne ha facoltà.

      VEGA COLONNESE. Signor Presidente, uno dei cardini dell'attività politica del Consiglio d'Europa è la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa che partecipa, attraverso prestiti, al finanziamento di progetti sociali, risponde a condizioni di emergenza, concorre al miglioramento delle condizioni di vita e alla coesione sociale nelle regioni meno avvantaggiate del continente europeo.
      Abbiamo già ricordato che è stata creata nel 1956 per fornire aiuti volti a risolvere le problematiche dei rifugiati, il suo campo d'azione si è successivamente esteso anche ad altri settori, per contribuire in maniera sempre più determinante al rafforzamento della coesione sociale in Europa; attualmente essa conta quaranta Stati membri. L'Italia, con una quota percentuale di partecipazione pari a circa l'11 per cento, rientra, assieme a Francia e Germania, tra i cosiddetti grandi pagatori.
      Creata sulla base di un accordo parziale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa, la banca del Consiglio d'Europa gode, comunque, di un autonoma personalità giuridica e di una piena autonomia finanziaria. Di fatto, basa la sua attività su fondi e riserve propri e non riceve dagli Stati membri alcun aiuto o sovvenzione. Gli indirizzi politici della Banca, le strategie, gli orientamenti generali dell'attività, le decisioni in merito agli aumenti di capitale, ed altri compiti come l'approvazione del rapporto annuale, i conti e il bilancio generale della Banca, sono determinati dal consiglio di direzione, che è composto da un presidente e dai rappresentanti permanenti degli Stati membri. Il rappresentante legale della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa è il governatore, che, con la supervisione del consiglio di amministrazione, guida la politica finanziaria ed è a capo del personale dei servizi operativi. Il consiglio di amministrazione, invece, è l'organo operativo che si occupa dei programmi d'intervento, in particolare nei cosiddetti Paesi-obiettivo ovvero nei 21 Paesi soprattutto dell'Europa centro-meridionale.
      In particolare, la Banca aiuta gli Stati membri finanziando dei progetti di investimento sociale che sono suddivisi in tre ambiti: rafforzamento dell'integrazione; gestione ambientale; sostegno delle infrastrutture pubbliche ad utilizzo sociale. Un elemento di criticità, a nostro avviso, potrebbe già configurarsi nella destinazione di una grande quantità di fondi gestiti Pag. 9dalla Banca a Paesi dell'Europa centro-meridionale, senza considerare la grave crisi che stanno attraversando Paesi come il Portogallo, nazione attualmente in difficoltà dell'Europa occidentale. Nel decennio 2002-2011 sono stati, infatti, approvati progetti per oltre 21 miliardi di euro ed erogati oltre 16 miliardi di euro di prestiti. Tra i principali Paesi beneficiari vi sono la Polonia, l'Ungheria e la Romania. Ora la situazione macroeconomica del Portogallo non è tanto diversa rispetto a quella della Polonia. Sarebbe forse più opportuno inserire fra le priorità di questo organismo quella di rispondere alle condizioni di emergenza e contribuire al rafforzamento della coesione sociale di tutti i Paesi effettivamente in crisi ovvero nelle aree specifiche di maggior disagio, senza distinzioni geografiche.

      PRESIDENTE. Onorevole Schirò, deve liberare i banchi del Governo, per favore.
      Prego, onorevole Colonnese.

      VEGA COLONNESE. Condividiamo anche noi questa esigenza di «operare chirurgicamente» là dove la situazione richiede un intervento.
      Si ravvisa, inoltre, una sorta di discriminazione nei confronti del nostro Paese, circa il fatto che, pur rientrando fra i cosiddetti grandi pagatori, l'ultimo progetto di sviluppo della Banca d'Italia risale al biennio 2007-2009. Nel 2011, su 2,11 miliardi di euro di progetti approvati, nessuno coinvolgeva l'Italia. Come se non bastasse, dei 28 progetti approvati nel 2012 dal consiglio di amministrazione della Banca, per un totale di 1.798 milioni di euro, nessuno, ancora una volta, riguardava l'Italia ! Fra il 2011 e il 2013 sono stati approvati 11 progetti (per circa mezzo miliardo di euro) a favore di altrettante banche italiane (Intesa Sanpaolo e Gruppo Unicredit) in Europa centrale, orientale e sudorientale, quindi, non in Italia.
      Emerge il fatto che negli ultimi anni il nostro Paese non ha usufruito dei prestiti provenienti dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa; ci chiediamo come mai. Inoltre, ci auguriamo che la funzionalità e le potenzialità della CEB vengano ampiamente diffuse, anche perché oggi risultano a molti sconosciute, anche allo scopo di aprire i nostri orizzonti ad ogni tipo di finanziamento e per poter attingere quanto ci è permesso dalla rosa delle possibilità effettivamente esistenti.
      Considerata un'opportunità preziosa per supportare la piccola e media impresa e per favorire gli investimenti esteri, la Banca nacque negli anni Cinquanta come fondo utilizzato soprattutto per aiutare le popolazioni rifugiate a tornare nei Paesi d'origine dopo la Seconda guerra mondiale. Oggi, per la natura dei progetti e per i settori in cui opera, essa rappresenta uno strumento in cui si estrinseca la solidarietà europea. Alla speranza di diffusione delle funzionalità della CEB aggiungiamo la necessità di trasparenza in merito alle procedure, alle strategie, agli orientamenti generali dell'attività, all'approvazione del rapporto annuale, ai conti di bilancio generale della Banca. Questo sarebbe per noi un impegno importante che speriamo il Governo accorderà al popolo italiano, cittadini di un Paese misconosciuto dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa nonostante questo ne rappresenti uno dei maggiori azionisti. L'auspicio per una collaborazione più stretta con la delegazione parlamentare presso il Consiglio d'Europa va nella direzione di una maggiore coerenza delle risorse e i finanziamenti dell'Unione europea con i finanziamenti provenienti dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, in ossequio ai principi dei programmi dei piani di azione comunitaria in materia di ambiente e di coesione sociale. Questo rappresenta senz'altro un importante obiettivo che crediamo necessario raggiungere al fine di gestire tutti i fondi disponibili nel miglior modo possibile e di avere un ritorno in termini di benefici proporzionale al contributo offerto alla CEB.
      Ultima nota, che vorrei fosse interpretata come una riflessione da fare insieme, soprattutto con i cittadini: alla luce del fatto che il nostro gruppo si fa portavoce della volontà di quanti italiani credono Pag. 10fermamente nella necessità di cambiare i personaggi della vecchia politica, quale unica opportunità per ripartire con fiducia e ricostruire insieme questo Paese, intendo ricordare che i personaggi che gravitano intorno agli interessi finanziari di questo Paese sono sempre gli stessi. Cambiano i Governi ma certo non cambiano i personaggi che continuano ad avere ruoli di spicco, e il risultato del riciclaggio di risorse umane è quello appena esposto, ma soprattutto è quello che tutti noi viviamo. Ne è un esempio l'attuale Vicegovernatore della CEB, Nunzio Guglielmini, lo stesso che tre anni fa fu implicato nel caso Orsi. Nel 1998 è stato dirigente superiore del Ministero del Tesoro, per nove anni a Bruxelles ha lavorato nella Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea come consigliere per gli affari economici e monetari dal 1984 al 1993; membro del consiglio di amministrazione della Banca Europea per gli Investimenti (BEI); membro della Cassa depositi e prestiti; consigliere di amministrazione di Poste Italiane nel 1992; membro italiano del gruppo di lavoro che ha redatto la parte relativa all'Unione economica e monetaria del nuovo Trattato sull'Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992; membro del comitato ad alto livello delle autorità di sorveglianza dei mercati dei valori mobiliari dell'Unione europea; Vicegovernatore della CEB dal 2000 e confermato con quasi tutti i Governi.
      Vogliamo che non solo la politica cambi passo, ci impegneremo affinché questo Paese venga coinvolto da un rinnovamento totale. Gli interessi dei cittadini dovranno avere la priorità su tutto, solo così la gente avrà di nuovo fiducia nelle istituzioni. Intendiamo quindi vigilare sull'impiego dei finanziamenti, sui bilanci, sui progetti, e soprattutto sulle attività del Governatore come su quelle del Vicegovernatore. Anche in ragione di quanto appena esposto, ribadiamo la necessità di impegnare questo Governo ad adottare la massima trasparenza sulla CEB in merito a procedure, strategie e politiche finanziarie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Galgano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00366. Ne ha facoltà.

      ADRIANA GALGANO. Signora Presidente, la nostra mozione parte dalla considerazione che la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa è lo strumento finanziario della politica sociale del Consiglio d'Europa. Come è già stato ricordato dai miei colleghi, è partecipata da 41 Stati e ha come obiettivo quello di promuovere la coesione sociale e di far fronte a situazioni di emergenza, in modo da migliorare le condizioni delle popolazioni più disagiate d'Europa.
      Interviene lungo quattro linee di intervento: la coesione sociale, la gestione dell'ambiente, il sostegno alle infrastrutture pubbliche a scopo sociale e il sostegno alle piccole e medie imprese.
      È partecipata dall'Italia per una quota rilevante: l'Italia detiene il 16,77 per cento del capitale sociale e, a fronte di questa partecipazione finanziaria ingente, negli ultimi anni, che sono stati anni di difficoltà per l'economia europea ma in particolare del nostro Paese, non ha ricevuto finanziamenti; negli ultimi tre anni in particolare non ci sono stati finanziamenti in Italia.
      Questo, a fronte del fatto che anche la Commissione europea consiglia i Paesi membri di integrare le risorse messe a disposizione dei fondi con le altre possibilità finanziarie offerte da altre istituzioni europee.
      Quindi: finanziamo in maniera significativa, non otteniamo finanziamenti per progetti in Italia e, nel contempo, quello che noi finanziamo viene computato nei parametri del fiscal compact, in particolare per quanto riguarda le soglie di debito.
      Quindi, è chiaro che, per il nostro Paese, è in una situazione non conveniente e anche non sostenibile. Quindi, chiediamo al Governo che si impegni a garantire una conoscenza di questi strumenti, a verificare la possibilità, con la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, di progetti finanziati in Italia che riguardino la situazione delle carceri (che tutti noi sappiamo Pag. 11qual è) e mi riferisco anche all'edilizia scolastica, che è un'altra delle nostre emergenze, ma anche alla tutela delle zone ambientali a rischio, al sostegno delle piccole e medie aziende nonché ai contratti di riallocazione dei lavoratori che, sempre in questo momento, rappresentano una esigenza forte.
      Inoltre, chiediamo al Governo che si impegni a porre sul tavolo europeo, con forza, il suddetto tema: nel momento in cui noi finanziamo istituzioni di solidarietà in Europa che, in particolare, in questo caso, riguardano 41 membri, quello che noi finanziamo va a peggiorare la nostra situazione relativamente ai carichi del fiscal compact e riduce la nostra possibilità di intervento.
      Quindi, noi chiediamo al Governo di verificare la possibilità che i finanziamenti, che noi diamo ad istituzioni di solidarietà, non vengano considerati nell'ambito dei parametri e delle soglie del fiscal compact.
      Infine, una considerazione, rispetto alla nostra capacità di utilizzare le opportunità che l'Europa ci offre. Noi, come sappiamo, leggendo tutti i giornali, non siamo stati capaci di spendere i fondi europei, quelli che il nostro Paese aveva a disposizione nel periodo tra il 2007 e il 2013. Praticamente non abbiamo speso 28 miliardi di euro e se noi confrontiamo questa cifra con l'entità della manovra di stabilità vediamo che è circa tre volte. Adesso abbiamo da spendere la quota 2014-2020 e quindi da questo punto di vista ci deve essere un grande impegno.
      Quindi, un impegno forte che noi chiediamo al Governo è quello anche di attivarsi per verificare la possibilità di cofinanziamento dei progetti che possiamo sviluppare grazie ai fondi europei, anche con i finanziamenti della Banca di sviluppo d'Europa.
      Chiudo con una considerazione: molto spesso, leggiamo sui giornali che la nostra incapacità di spendere i fondi strutturali europei dipende dalle modalità complicate di richiesta e di gestione. Questo va bene, però in realtà poi che cosa scopriamo ? Che non siamo neanche in grado di usufruire delle opportunità che ci offre la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa.
      Allora, il punto forte che poniamo al Governo è il fatto che, da tutto questo, rileviamo un'incapacità del nostro sistema di usufruire di queste opportunità, che evidentemente hanno più a che fare con le modalità di funzionamento del sistema rispetto alle difficoltà di richiesta dei fondi strutturali e europei.
      Quindi, è molto importante che noi ci attiviamo, Governo e Parlamento, per migliorare la nostra situazione perché non si gioca solo una questione economica, ma anche una questione importante di credibilità perché, chiaramente, diventa difficile che ci concedano margini di flessibilità nel momento in cui non siamo neanche capaci di impiegare tutto ciò che è impiegabile per migliorare la nostra situazione.
      Quindi, chiediamo veramente, sotto questo punto di vista, un grande impegno al Governo (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Berlinghieri, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00384. Ne ha facoltà.

      MARINA BERLINGHIERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il sistema mondo sta vivendo una gravissima crisi, che investe con particolare virulenza anche aree regionali ed economie tradizionalmente considerate solide e sviluppate.
      La crescita mondiale, negli ultimi anni, sorretta prevalentemente dalle economie emergenti, ha evidenziato nel 2012 una sensibile riduzione, che si è palesata drammatica in alcune aree del nostro continente.
      I Paesi dell'area dell'euro hanno evidenziato addirittura una crescita negativa e – come rileva il rapporto Svimez 2013 – il PIL è fortemente diminuito soprattutto nel sud Europa, in Grecia, Portogallo e Spagna; in Italia la recessione ha colpito l'economia più che nel resto d'Europa con un meno 2,4 per cento.
      Come ha giustamente sostenuto il Presidente della Repubblica e come ha ribadito Pag. 12con forza il Presidente del Consiglio nell'ambito dei suoi incontri con i leader delle principali nazioni europee, l'Europa non può più sottrarsi di fronte alla sfida dello sviluppo e della crescita economica, che sono le precondizioni per dare risposte concrete ed efficaci ai bisogni di popolazioni che finora sono state chiamate soprattutto a contribuire, in termini di tagli e sacrifici, ai programmi di risanamento e di rigore finanziario decisi dalle banche centrali.
      Servono risposte politiche all'altezza dei bisogni: la politica del puro rigore finanziario rischia di soffocare il progetto di un'Europa che non risponda solo alle esigenze dei mercati, ma sappia implementare quegli adeguati standard di occupazione, istruzione, inclusione e coesione sociale che, da sempre, sono le bandiere del modello europeo di welfare.
      Nell'attuale situazione è fondamentale che i Governi nazionali e le istituzioni politiche europee assumano iniziative positive capaci di imprimere uno shock benefico all'economia e, nel contempo, di rafforzare la coesione sociale, un asset immateriale non misurabile con indici finanziari, ma, in realtà, strategico per creare quel clima di convivenza serena e di fiducia che costituisce un presupposto essenziale perché un sistema economico possa funzionare correttamente e creare ricchezza.
      Non mancano gli strumenti e le risorse per dare concretezza a questi obiettivi, ambiziosi ma irrinunciabili; particolare rilievo ed importanza assume la disponibilità di leve finanziarie capaci di incentivare prospettive di investimento, sviluppo e crescita.
      È il caso, per esempio, delle banche multilaterali e, in particolare, di alcune banche di sviluppo e di investimento o a vocazione sociale, operanti specificamente in ambito europeo, anche con la partecipazione del nostro Paese al loro capitale.
      La mozione che oggi discutiamo ha come oggetto la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, una banca multilaterale dalle peculiari finalità sociali, istituita nel 1956 con la denominazione «Fondo per lo sviluppo sociale del Consiglio d'Europa» e dal 1999 rinominata «Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa».
      Nata sulla base di un accordo parziale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa, dotata di piena autonomia finanziaria con lo scopo precipuo di fornire aiuto ai rifugiati, ha progressivamente ampliato il suo campo d'azione rispetto ai suoi originari scopi, contribuendo, in misura sempre più significativa, al rafforzamento delle politiche di coesione sociale, al miglioramento delle condizioni di vita nelle regioni più svantaggiate e si è così rivelata un efficace strumento per combattere il crescente fenomeno della povertà e del disagio sociale nel continente europeo.
      Stiamo, dunque, parlando dello strumento chiave delle azioni di solidarietà europea. La CEB supporta i suoi Stati membri nel conseguire politiche orientate alla crescita sostenibile ed equa e contribuisce alla realizzazione di progetti di investimento sociale, attraverso tre linee principali di intervento settoriale: il rafforzamento dell'integrazione sociale, la gestione ambientale e il sostegno alle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale.
      La CEB, che attualmente conta 40 Stati membri, dalla Turchia all'Islanda e dal Portogallo alla Georgia, ha potenziato, negli ultimi anni, la cooperazione con le maggiori istituzioni europee, in particolare con la Commissione europea e con altre banche regionali e istituzioni finanziarie multilaterali, come, per esempio, il Western Balkans, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, la Banca mondiale, la Nordic Investment Bank, la Banca KFW e la Banca europea per gli investimenti, di proprietà dei Paesi membri dell'UE, e con la partecipazione dell'Italia al 16 per cento del capitale.
      Tra i suoi compiti è importante ricordare il sostegno finanziario di progetti volti a migliorare infrastrutture, approvvigionamento energetico o sostenibilità ambientale all'interno dell'UE. È opportuno richiamare il ruolo che le banche europee dovranno svolgere alla luce delle sfide impegnative che l'Europa è chiamata ad affrontare nei prossimi anni. Con la comunicazione Pag. 13«Strategia Europa 2020», la Commissione europea ha definito una strategia ambiziosa che punta a realizzare un'economia europea intelligente, sostenibile e inclusiva, caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. Tuttavia, la riduzione della spesa complessiva delle risorse del bilancio europeo – per l'UE a 28 è del 3,4 per cento in termini reali rispetto al periodo 2007-2013 e con un budget di circa 960 miliardi –, congiuntamente alle politiche di contenimento dei bilanci a livello nazionale, rischia di mettere in seria difficoltà il perseguimento degli stessi obiettivi, le cosiddette «iniziative faro», della «Strategia Europa 2020», con il rischio che, in molti Stati membri, tra cui l'Italia, si aggravi la situazione di spirale di recessione e depressione che ha caratterizzato, in questi anni, lo scenario economico.
      In questo contesto, va ricordato che nel 2012 il Consiglio europeo ha approvato l'aumento del capitale sociale della BEI, contribuendo, in tal modo, ad integrare le risorse del bilancio europeo per favorire interventi anticiclici sull'economia europea. A partire da giugno 2013, la BEI costituisce, dunque, la maggiore finanziatrice delle iniziative volte a promuovere un nuovo sviluppo europeo per uscire dalla crisi, quali l'apertura delle linee di credito a favore delle piccole e medie imprese, l'emissione di project bond o il project financing di interventi di grande dimensione nei settore energetico e autostradale. A tal proposito, vale anche la pena di ricordare che il primo project bond è stato realizzato in Spagna per il gas storage, mentre è ancora in fase di definizione la collaborazione fra la Cassa depositi e prestiti e BEI per la realizzazione di project bond in Italia.
      Secondo i dati forniti dall'ex Ministro dell'Economia e delle finanze Saccomanni, nel 2013 il sostegno finanziario della BEI in Italia ha riguardato progetti del valore totale di circa 30 miliardi, per un più 50 per cento; ne hanno beneficiato oltre 8.400 piccole e medie imprese, che hanno ricevuto finanziamenti per 3,3 miliardi, pari al 34 per cento del totale. La BEI è intervenuta su energia, telecomunicazioni, trasporti, industria, acqua e sanità; ha sostenuto progetti di ricerca e di sviluppo e per l'ammodernamento infrastrutturale del nostro Paese, compreso lo sviluppo della banda larga. Sono stati avviati anche nuovi settori di attività, tra cui il primo finanziamento del social housing in Italia, in favore di progetti di edilizia sociale e di «abitare equo». Si tratta di passi avanti importanti, ma è necessario rafforzare l'uso di tali strumenti finanziari per sfruttarne pienamente le potenzialità.
      Proprio da questa consapevolezza prende le mosse la mozione in discussione oggi. È evidente che il peggioramento della situazione economica e sociale interna a molti Stati membri, in particolare della fascia del sud Europa, in assenza di interventi mirati potrebbe compromettere in futuro la partecipazione degli Stati medesimi alla CEB, indebolendone così la solidità finanziaria, pregiudicando quantità e qualità degli interventi improntati all'integrazione nelle aree di crisi in ambito europeo.
      Va sottolineato che l'Italia è tra i Paesi membri più importanti della CEB – i cosiddetti grandi pagatori – in quanto detiene, al pari della Francia e della Germania, una quota percentuale di partecipazione al capitale della CEB pari a circa l'11 per cento. Il nostro Paese ha sottoscritto tutti gli aumenti di capitale della CEB intervenuti negli anni 1978, 1982, 1988, 1991, 2001 e 2012, per continuare a svolgere un ruolo centrale nei processi decisionali, partecipando agli organi di governo della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa con propri rappresentanti dei Ministeri dell'economia e delle finanze e anche degli affari esteri. L'ultimo aumento di capitale della Banca ha portato il capitale totale sottoscritto da 3,3 a 5,5 miliardi di euro nel 2012; l'Italia vi ha aderito all'aumento con sottoscrizione di nuovi titoli, con conseguente incremento della quota detenuta, mantenendo inalterata la misura di partecipazione e il diritto di voto. Se dunque il nostro Paese si è rivelato virtuoso e responsabile nel sostenere gli oneri di partecipazione al capitale Pag. 14della CEB, non altrettanto si può dire purtroppo circa la capacità di cogliere, soprattutto negli ultimi anni, le opportunità offerte dalla Banca al punto che nel 2013 non risultano richieste di finanziamenti per progetti provenienti dall'Italia.
      Proprio per questo motivo la mozione che presentiamo impegna il Governo ad attivarsi su alcuni obiettivi ben precisi: in primo luogo ad assumere e promuovere ogni iniziativa utile a favorire ed accrescere l'utilizzo da parte del nostro Paese degli strumenti finanziari messi a disposizione dalla CEB e atti a favorire la creazione di nuovi posti di lavoro, il mantenimento in vita di piccole e medie imprese, il sostegno all'integrazione sociale, gli interventi infrastrutturali a vocazione sociale e ambientale.
      Si tratta di promuovere il coordinamento dei diversi strumenti di leva finanziaria disponibili all'interno dell'Unione europea, intensificando le sinergie e le iniziative congiunte tra le diverse banche europee di garanzia e di investimento, sostenendo ed estendendo alcune forme pilota di garanzia per incoraggiare le banche a erogare prestiti alle piccole e medie imprese e alle imprese innovative, nella convinzione che ciò possa tornare utile alla competitività del nostro sistema, allo sviluppo economico e alla crescita dell'occupazione.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pagano. Ne ha facoltà.

      ALESSANDRO PAGANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, preliminarmente giova conoscere un po’ della storia della Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa, comunemente chiamata CEB. Originariamente si chiamava Fondo di ristabilimento del Consiglio d'Europa per i profughi nazionali e le eccedenze di popolazione in Europa ed era affiliazione, datata 1956, del Consiglio d'Europa. Quindi, si tratta di una delle più antiche istituzioni finanziarie a vocazione europea e l'unica orientata da un punto di vista finanziario verso il sociale. Pur cambiando nome e struttura nel 1999, il Fondo non ha modificato il proprio scopo sociale, per cui oggi è il principale braccio operativo del Consiglio d'Europa per gli interventi di coesione sociale e per il sostegno delle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale in ambito europeo. Spesso si tende a sovrapporre le diverse realtà europee e, quindi, è opportuno chiarire che il Consiglio d'Europa non fa parte dell'Unione europea, come in maniera erronea molti pensano, non va confuso con gli organi di quest'ultima.
      Il Consiglio d'Europa è un'organizzazione internazionale di modello tradizionale, cioè con libertà di adesione e di recesso – e questa sottolineatura mia non è casuale – il cui scopo è promuovere la democrazia, i diritti dell'uomo, l'identità culturale europea, la ricerca di soluzioni ai problemi sociali del nostro continente. Si tratta di una delle prime aggregazioni dell'Europa dopo che uscì dalla guerra e nata grazie alla lungimiranza dei padri fondatori. Ora, se ci caliamo nel contesto storico, ci ritroveremo nel periodo in cui, nel nostro Paese, fu fatta una precisa scelta. Era il periodo post 18 aprile 1948; l'Italia faceva una scelta ben precisa: nell'arco di due mesi noi aderivamo, tra giugno e agosto del 1949, al Trattato di amicizia con gli Stati Uniti d'America, al Consiglio d'Europa ed al Patto Atlantico; tre atti di contrapposizione al blocco sovietico che, in quegli anni, mostrava in pieno la sua natura aggressiva ed egemonica. Ma mentre con il Trattato di amicizia con gli Stati Uniti e il Patto atlantico le scelte erano di tipo difensivo, economico e militare, l'approvazione del Trattato del Consiglio d'Europa rappresentò invece una scelta di tipo etico, la qual cosa è importante ribadire oggi. Perché nel Trattato non si parla né di armi né di alleanze né di rapporti commerciali. In un mondo tutto finalizzato a logiche di tipo economico e finanziarie, qui invece dal 1949 parliamo di altro: parliamo del primato dell'uomo.
      È una visione realmente antropologica, per cui lo sviluppo dell'identità europea, i valori condivisi, la capacità di saper coniugare Pag. 15le diverse identità culturali sono sostanzialmente da sempre la mission di questa entità.
      L'Italia è parte integrante di tutto questo, come è stato già sottolineati in altri interventi, non lo ripeto. E la CEB, ovvero la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, dopo oltre sessant'anni, non ha perso il suo spirito originario.
      Dopo la caduta del Muro di Berlino, il suo ruolo è stato quello di assistere i Paesi dell'Europa centrale, ed orientale soprattutto, ad attuare e a consolidare le riforme di politica legislativa e costituzionali parallelamente alle riforme economiche e rifornire gli Stati post-sovietici di competenze in settori quali i diritti dell'uomo, la democrazia locale, l'educazione, la cultura e l'ambiente.
      Ora, io non mi sono lanciato in questa premessa che forse potrebbe anche apparire stucchevole per un fatto casuale. È stata una premessa importante, perché è bene avere ben chiaro il contesto in cui stiamo operando, giacché le confusioni sono all'ordine del giorno. Si immagina infatti che il Consiglio d'Europa equivalga all'Unione europea e ciò anche tra ambienti che dovrebbero essere lontani da questo tipo di confusione e spesso proprio per tale confusione non si riesce a trovare piena attuazione delle finalità pur essendo tale Ente dotato di risorse finanziarie non indifferenti.
      Ora, entrando nel merito, la mozione Bergamini ed altri n. 1-00217 (Nuova formulazione), firmata anche da molti componenti del Nuovo Centrodestra, sottolinea un dato essenziale, ribadito anche oggi negli altri interventi, ovvero che l'Italia nella CEB non è solo membro fondatore, non è soltanto detentore di una quota importante, il 16,77 per cento, non è soltanto detentore di un capitale di circa 915 milioni di euro, non «bruscolini», ma è anche qualcosa in più, tant’è che con un atto recente del Governo Monti, la legge n.  117 del 2012, fu stanziata un'ulteriore somma di circa 366 milioni e la cosa carina – e lo dico con un pizzico d'ironia – è che nella relazione introduttiva del disegno di legge è scritto che la «CEB era chiamata a uno sforzo straordinario per riuscire ad assicurare il rispetto del proprio mandato strutturale e sociale a fronte delle difficili sfide dell'attuale contesto economico che implicano una crescita importante della domanda di prestiti da parte dei Paesi membri». Ma quali sono questi Paesi membri ? Gli altri evidentemente, ma non noi. E dire che noi siamo tra i contribuenti più importanti, che sediamo nel consiglio di amministrazione, che abbiamo la possibilità di poter dire la nostra e poi che siamo in un momento storico tale che potremmo anche chiedere ed esigere risposte concrete da parte della CEB a favore dei bisogni dell'Italia.
      Se, infatti, vi è un appunto che possiamo fare a quella legge del 2012 è il fatto che le quote erano a «chiamata», nel senso che quando c'era bisogno, bisognava mettere le risorse. Noi invece siamo sempre «splendidi», quando c’è da fare bella figura da questo punto di vista siamo unici. Siamo stati capaci di mettere tutti i soldi cash e non creare le condizioni perché avessimo un ritorno per il nostro Paese.
      Il problema serio è che se ne ricordano di questa generosità gli altri quando devono incassare, ma non ce le riconoscono mai (e anche qui ci sono allusioni ovviamente di politica internazionale europea) quando ne abbiamo bisogno. Al contrario, ritengo che sia arrivato il momento – ecco il senso di questa mozione che per fortuna è bipartisan quindi abbondantemente condivisa – in cui questo ragionamento sia affrontato in termini diversi. E, quindi, esigiamo che questo Governo, di cui siamo parte integrante per scelta ben precisa, cominci anche ad operare concretamente, in questo caso nel Consiglio d'Europa, per esigere.
      Ecco perché il nostro gruppo sta valutando e ha valutato positivamente questo tipo di intervento, anche perché (cito qualche dato che va a integrare i dati che sono stati dati dai colleghi), quanto all'assenza di progetti italiani approvati, ricordo che siamo a 16 milioni, lo 0,9 per cento del budget complessivo nell'anno 2011; nel 2012 è andata peggio perché non c’è un Pag. 16progetto uno, e nel 2013 siamo a 6 milioni. Insomma, stiamo sfiorando il ridicolo. Le risorse sono ingenti, vanno dappertutto ma non vanno verso di noi. E dire che la mission della Banca è esattamente tagliata per quelle che sono le nostre esigenze. La CEB opera per aree geografiche che hanno bisogno di crescita da un punto di vista sociale, culturale e antropologico. Ma il nostro gruppo ritiene che ci siano oggi delle aree fortissime del nostro Paese che hanno bisogno di essere supportate. Non bisogna andare lontano per scorrere i giornali e leggere quello che è successo a Pompei. Stiamo parlando di un degrado vero e le risorse potrebbero essere tranquillamente attinte lì, visto che il problema è sicuramente all'interno di una disfunzione del sistema di controllo di quell'area, ma anche dovuto all'assenza di risorse che in questo momento non consentono un intervento diretto e concreto. E, quindi, in ambito culturale potremmo fare moltissimo.
      Oppure, che dire della dichiarazione, pensate un po’, dello stesso Governatore della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa rilasciata non più tardi di due anni fa, subito dopo il terremoto in Emilia-Romagna ? Ebbe a dire, leggo testualmente: «Apprendo con enorme dispiacere la tragedia che è avvenuta in Emilia Romagna e vi manifesto la nostra intera disponibilità a studiare con priorità ogni domanda di finanziamento – attenzione Governo – che ci sarà rivolta al fine di contribuire a rimediare alle conseguenze materiali di questo avvenimento tragico».
      Per gli interventi in Emilia, l'Italia avrebbe potuto chiedere i finanziamenti, questa era la disponibilità del Governatore della CEB, pari a 300 milioni di euro, con tassi di interesse inferiori pure a quelli della BEI. Ma noi siamo splendidi a dare soldi agli altri, e quando gli altri ce li mettono a disposizione a costo zero, diciamo «no grazie». Se non è follia questa, poco ci manca.
      «Nel nostro programma di Governo è espressamente detto – così si è espresso il nostro Presidente del Consiglio – che dobbiamo dare priorità all'edilizia scolastica». Guarda caso, una delle missioni che ha la CEB.
      E che dire, poi, dell'edilizia carceraria ? Io ricordo a tutti che oltre il 50 per cento dei detenuti del nostro Paese sono extra UE. Ma quale migliore occasione per andare a chiedere risorse per ristrutturare le nostre carceri, che non sono esattamente il fiore all'occhiello del nostro Paese, e per andare a realizzare quel moderno sistema carcerario che è indispensabile per poterci definire civili, ma nello stesso tempo anche per dare risposte vere ? Eppure, neanche da questo punto di vista, abbiamo avuto la capacità di drenare risorse.
      La CEB si è posta come obiettivo strategico per la programmazione 2014-2016 l'affiancamento degli Stati membri dell'Unione europea al fine di un migliore utilizzo dei fondi strutturali europei a cominciare dal Fondo sociale, nell'ambito del quale la gran parte delle risorse sarà distribuita in base alle esigenze regionali e non nazionali. Sottolineo anche questo aspetto: i finanziamenti saranno su base regionale e non nazionale, quindi non dobbiamo più pensare a quelle macroaree che in passato hanno fatto il pieno. Ci fu un momento storico in cui, giustamente, bisognava appoggiare altri Paesi, ma oggi anche noi ne abbiamo bisogno. Quante regioni italiane o quante macroaree regionali italiane hanno bisogno di finanziamenti di questo tipo ? Lascio a voi stessi la considerazione e in generale la risposta.
      Da qui, la principale delle richieste di impegno al Governo, che ringrazio per l'attenzione, da parte del nostro gruppo. A partire dal 2014 la definizione delle aree di finanziamento prioritarie sarà basata su confini regionali – ripeto, siamo in un momento di programmazione, quindi ora o mai più – e non nazionali. Gli interventi saranno tutti giustificati: edilizia scolastica, edilizia carceraria, cultura, patrimonio storico e, ahimè, vista la propensione alle catastrofi naturali, anche questo tipo di intervento.
      Insomma, mi pare di poter dire che ci sono tutti gli elementi perché, in sede di programmazione europea, per la prima Pag. 17volta alla CEB si facciano realmente gli interessi del nostro Paese. Come è stato già detto anche dal nostro Primo Ministro, non andando con il cappello in mano, ma chiedendo ed esigendo quello che è nei nostri diritti. Sulla base di quanto esposto, il gruppo del Nuovo Centrodestra chiede convintamente agli altri gruppi un voto favorevole alla mozione Bergamini ed altri n. 1-00217 (Nuova formulazione).

      PRESIDENTE. Saluto gli alunni e i docenti dell'Istituto tecnico «Antonio Zanon» di Udine, dell'Istituto comprensivo «Beppe Fenoglio» di Bagnolo e i ragazzi che seguono la formazione, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
      È iscritto a parlare l'onorevole Pastorino. Ne ha facoltà.

      LUCA PASTORINO. Signor Presidente, l'Italia, in applicazione dell'articolo 11 della Costituzione, è impegnata con un ruolo di primo piano in varie banche multilaterali a vocazione di sviluppo e investimento oppure a vocazione sociale. Tra queste rilevano due istituzioni in ambito europeo di cui abbiamo parlato questa mattina: la Banca europea per gli investimenti (BEI) e la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB).
      La BEI e la CEB possono costituire una risorsa per aiutare i Paesi europei a uscire dalla crisi, procurando i finanziamenti per interventi di sostegno al lavoro e allo sviluppo economico e sociale. Infatti, l'Unione europea ha disegnato una strategia precisa, «Europa 2020», corredata da obiettivi specifici (le cosiddette «iniziative faro») per realizzare in questa decade un sistema economico e sociale intelligente, sostenibile e inclusivo. La strategia Europa 2020, tuttavia, non decolla ed è anzi messa a rischio da contraddittorie e sproporzionate politiche di rigore che fanno mancare gli investimenti necessari.
      L'intento di sostenere azioni coordinate per lo sviluppo economico e sociale è proprio sia della BEI, sia della CEB.
      La BEI è un'istituzione finanziaria dell'Unione europea, cui l'Italia partecipa con la più grande quota di capitale, allo stesso livello di Germania, Francia e Regno Unito, cioè 39 miliardi di euro (pari al 16 per cento del totale). In base all'articolo 308 del Trattato sul funzionamento dell'Unione, la BEI ha il compito di «contribuire, facendo appello al mercato dei capitali ed alle proprie risorse, allo sviluppo equilibrato e senza scosse del mercato interno nell'interesse dell'Unione». Nel perseguire questo scopo deve facilitare il finanziamento di progetti per valorizzare le regioni meno sviluppate, per determinati interventi a favore di imprese connesse al funzionamento del mercato interno o che non possono essere interamente finanziati dagli Stati membri, per altre azioni d'interesse comune per più Stati membri che non possono essere completamente finanziate dagli Stati medesimi.
      In concreto, la BEI finanzia interventi nei Paesi dell'Unione, tra cui l'Italia, per ammodernare le infrastrutture e le telecomunicazioni, migliorare l'approvvigionamento energetico e i trasporti, sostenere l'industria, investire in sostenibilità ambientale, sanità, edilizia sociale e ricerca e sviluppo scientifico e tecnologico. La BEI contribuisce, inoltre, all'attuazione delle politiche di vicinato nei Paesi terzi dell'area del Mediterraneo, America Latina e Caraibi, Africa, Asia e area del Pacifico. È esplicitamente previsto che la BEI sviluppi le sue azioni in modo coordinato con gli interventi dei fondi strutturali e degli altri strumenti finanziari dell'Unione europea.
      La CEB è un'istituzione finanziaria del Consiglio d'Europa, cui, di nuovo, l'Italia partecipa con la più grande quota di capitale, assieme a Francia e Germania, pari circa al 17 per cento su 5,5 miliardi di euro. Oggi, la CEB finanzia interventi negli Stati membri, volti in particolare a sostenere la coesione sociale, migliorare le condizioni di vita nelle regioni svantaggiate e contrastare la povertà e il disagio sociale, che si svolgono lungo tre linee d'intervento settoriale: rafforzamento dell'integrazione Pag. 18sociale, gestione ambientale e sostegno alle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale.
      Rispetto alla BEI, si pone la questione di ampliarne il ruolo come strumento di finanziamento delle politiche di sviluppo nell'Unione europea e di cogliere appieno le sue potenzialità in questo senso. In effetti, per finanziare politiche di contrasto della crisi economica, dal 2012 il capitale della BEI è stato aumentato e la Banca ha iniziato a finanziare dei project bond in via sperimentale.
      La cosiddetta Europe 2020 Project Bond Initiative dovrebbe concludersi con la chiusura della programmazione 2007-2013 dei fondi europei ed è stata finanziata con 230 milioni di euro per consentire alla BEI di procurare finanziamenti per un valore fino a 4 miliardi. In Italia è ancora in fase di definizione un accordo di collaborazione tra la BEI e la Cassa depositi e prestiti per il finanziamento di project bond nel nostro Paese. Questo ritardo si traduce in un danno per l'Italia e per l'intera sperimentazione dei project bond; perciò la mozione chiede al Governo di intervenire per favorire la definizione dell'accordo tra BEI e Cassa depositi e prestiti.
      Inoltre, per sfruttare il più possibile le potenzialità della BEI in Italia, devono essere semplificate le procedure per accedere ai suoi finanziamenti ed è necessario che siano estese le forme di garanzia, tra cui lo strumento di condivisione dei rischi, per incoraggiare le banche a erogare prestiti alle piccole e medie imprese in sostegno di attività di ricerca e sviluppo, anche in considerazione del fatto che gli investimenti privati in Italia nel settore della ricerca e dello sviluppo sono tra i più bassi in Europa. La mozione chiede un impegno al Governo anche rispetto a questi due profili.
      Per quanto riguarda la CEB, è necessario un intervento per sfruttarne in Italia i finanziamenti, sia in ragione del fatto che il nostro Paese è tra i principali finanziatori, sia perché viviamo una delle situazioni più gravi di crisi. Per questo, la mozione chiede un intervento al Governo per rimuovere ogni ostacolo all'impiego dei fondi, a partire da quelli di natura burocratica, e per promuovere la conoscenza e l'uso dei fondi nel territorio nazionale.
      Sarebbe necessario, per quanto possibile, che gli interventi di finanziamento della CEB fossero semplificati e coordinati con quelli più cospicui che avvengono per tramite delle istituzioni europee, per migliorarne l'efficacia. Anche su questo la mozione chiede un impegno al Governo.
      Ci avviciniamo alle elezioni europee in un clima di grande sfiducia verso quel progetto ambizioso di una casa comune per tutti gli europei. Sta alla politica rilanciare gli aspetti di progresso e solidarietà che devono stare alla base dell'Unione europea. Sta all'Italia come Paese fondatore che più ha patito l'approccio tecnocratico e rigorista degli ultimi tempi.
      Le banche d'investimento sono un'occasione di ripartenza per dimostrare che esiste un'Europa utile, che si preoccupa di migliorare la vita quotidiana di tutti noi. L'Italia deve rimuovere i ritardi nell'impiego di questi strumenti e, anzi, distinguersi come uno dei più virtuosi beneficiari. Al contempo, chiedere a gran voce che questi strumenti siano rafforzati e ampliati, investendo in particolare su un progetto ambizioso e dalle grandi potenzialità come la Europe 2020 Project Bond Initiative. Solo così potremo giocare un ruolo da protagonisti per uscire dalla crisi politica, sociale ed economica, e rilanciare la costruzione europea su più solide basi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

      PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
      Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di parere sulle mozioni.
      Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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Discussione delle mozioni Castelli ed altri n. 1-00348, Marcon ed altri n. 1-00362, Guidesi ed altri n. 1-00363 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-00372 concernenti lo scostamento dai parametri europei in materia di deficit pubblico (ore 11,20).

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Castelli ed altri n. 1-00348, Marcon ed altri n. 1-00362, Guidesi ed altri n. 1-00363 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-00372 concernenti lo scostamento dai parametri europei in materia di deficit pubblico (Vedi l'allegato A – Mozioni).
      Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato nel calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
      Avverto che è stata testé presentata la mozione Marchi ed altri n. 1-00386 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

      PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
      È iscritta a parlare l'onorevole Carla Ruocco, che illustrerà anche la mozione Castelli ed altri n. 1-00348, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

      CARLA RUOCCO. Signor Presidente, l'obiettivo della presente mozione è dare un impulso nuovo e diverso alla politica economica del Governo, un impulso che differisca sia qualitativamente che quantitativamente dalle fallimentari ricette di austerità finora perseguite, la cui validità pratica e teorica è stata fortemente messa in discussione a livello accademico perfino da istituzioni come il Fondo...

      PRESIDENTE. Onorevole Schirò, mi scusi ma... Prego, onorevole Ruocco.

      CARLA RUOCCO. ...come il Fondo monetario internazionale, dicevo.
      A distanza di ben sei anni dal manifestarsi della crisi economica, il nostro Paese, infatti, è ben lontano dall'aver trovato una via di uscita. La tanto decantata luce alla fine del tunnel non si vede affatto. Sono i principali indicatori economici a rammentarcelo ogni giorno: il tasso di disoccupazione e il livello dei consumi sono tornati allo stadio di trent'anni fa, mancano gli investimenti, di cui abbiamo disperato bisogno, soprattutto per tutelare il territorio e la sicurezza dei cittadini, per proteggere l'inestimabile valore del nostro capitale artistico e culturale e dare impulso alla creazione di quel capitale umano necessario a fronteggiare le sfide della globalizzazione.
      Va rimarcato con fermezza che sei anni di durissima austerità, costellata da iniziative fiscali di tipo regressivo – vedi la tassazione immobiliare, vedi l'aumento delle aliquote IVA, solo per citarne alcune – hanno solo peggiorato i problemi, precipitando il Paese nella deflazione e comportando l'aggiustamento del sistema economico verso un equilibrio subottimale delle risorse, in cui pochi consumano, ancor meno lavorano ed investono, e il fisco opprime e al contempo fatica a drenare risorse per il risanamento del bilancio pubblico, con un debito pubblico giunto ormai al livello record del 130 per cento del PIL. Perché ci avete portato a questo punto, infliggendo tanto dolore e miseria ai nostri concittadini e a noi, e decimando l'apparato produttivo del Paese ? La soluzione normativa c'era e noi con questa mozione chiediamo che venga immediatamente attuata.
      Anche il punto di vista prevalente tra gli economisti ormai punta il dito sulle ideologie neoliberiste, che sono alla base della politica di austerità attuata con tanta pervicacia dai Governi nazionali in perfetta continuità: Berlusconi, Monti, Letta, adesso Renzi, vediamo. Da molto tempo, prima che la crisi si manifestasse in tutta la sua violenza, chi ci ha governato ha progressivamente ridotto i salari e deregolamentato Pag. 20i rapporti di lavoro, e la tendenza non è cambiata, come vediamo, con gli ultimi provvedimenti.
      La riforma Biagi del 2003 e la più recente riforma Fornero del 2012 sono gli esempi più drammatici: entrambe le manovre hanno indebolito la protezione dei posti di lavoro e decurtato la remunerazione a vantaggio di rendite e profitti. Ne è derivata una profonda trasformazione del nostro sistema industriale, che ha portato miseria e disagi ai lavoratori e a tutta la popolazione. La stagnazione dei salari, a sua volta, ha generato, sin dal decennio precedente, una carenza sistemica di domanda aggregata, di cui tutti hanno fatto le spese, anche le imprese orientate al mercato interno, l'intera economia reale e produttiva e, perfino, le multinazionali, che, però, si difendono delocalizzando e, quindi, spostando le loro sedi produttive e abbandonando il nostro Paese.
      La domanda interna dei prodotti, poi, è stata compressa ulteriormente dal credit crunch che, come sappiamo, è la difficoltà, per le imprese ma anche per le famiglie, di reperire risorse finanziarie per vivere, per sopravvivere. La finanza si è spostata, le risorse finanziarie si sono spostate tutte lontano dall'economia reale e dalle nostre vite: ci hanno totalmente abbandonati. Quindi, l'instabilità finanziaria ha definitivamente ridotto l'ultima risorsa a disposizione delle famiglie per il finanziamento dei programmi di spesa e di investimento, appunto, il credito.
      A questa ricostruzione, basata, ribadisco, non solo sulle analisi accademiche prevalenti, ma anche sull'osservazione dei fatti orientata al buonsenso, si contrappongono, invece, le misure di ulteriore compressione e deflazione postulate dal Patto di stabilità e crescita, che ci impone il conseguimento di continui avanzi strutturali di bilancio, a svantaggio della ripresa del ciclo economico.
      Il punto di vista dell'austerità è basato su un assurdo principio privo di qualsiasi fondamento scientifico, ossia che, se l'economia di un Paese va male, le cause vanno ricercate nello stile di vita e nell'improduttività delle popolazioni. L'austerità è una cura medievale: è inefficace, oltre che antiscientifica. È davvero come la medicina del Medioevo: si salassavano i pazienti per curare i loro malanni e, quando il sanguinamento li faceva star peggio, li salassavano ancora di più. La scienza economica evidenza che, se l'economia italiana è scarsamente produttiva, la causa sta proprio nella medicina neoliberista, che, da oltre un decennio a questa parte, ha portato il sistema produttivo verso l'opzione labour intensive, con la falsa promessa di moltiplicare i posti di lavoro svaniti oggi come neve al sole.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 11,25)

      CARLA RUOCCO. Volete continuare, dunque, in questa direzione, nonostante sia evidente che è disfunzionale ? Questa mozione dice «no» e intende fornire al Governo l'apparato giuridico necessario per un'inversione di percorso, che non sia lesiva dell'ordinamento giuridico interno e comunitario. Infatti, la legge n.  243 del 2012, ricordiamolo, reca disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione e, all'articolo 6, comma 2, autorizza la previsione di scostamenti dall'obiettivo programmatico e strutturale in caso di eventi eccezionali. Infatti, recita così: «(...) periodi di grave recessione economica relativi anche all'area euro o all'intera Unione europea; eventi straordinari al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse le gravi crisi finanziarie, nonché le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese». Ci sta tutto, direi.
      Tra le cause che possono, quindi, giustificare i suddetti scostamenti, ribadisco, ci sono periodi di grave recessione economica relativi anche all'area euro – lo voglio ripetere – o all'intera Unione europea ed eventi straordinari al di fuori del controllo dello Stato, incluse le gravi crisi finanziarie, nonché le calamità naturali, Pag. 21con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese. Ci voleva il MoVimento 5 Stelle per mettere in evidenza questa legge.
      L'Italia, insomma, deve avere dall'Europa più spazi di manovra, ce ne siamo accorti: non si possono applicare i parametri come se fossero dei dogmi, perché l'economia nel frattempo sprofonda, le aziende chiudono, i disoccupati aumentano e ci è inibito investire correttamente le nostre risorse.
      La cronaca di tutti i giorni fornisce più di una prova conclamata del fatto che queste cause, di fatto, sussistono. Non è necessario che vi descriva lo stato pietoso del territorio, del patrimonio culturale e della condizione di povertà assoluta in cui versano, ormai, milioni di persone. Rammento, invece, che in democrazia, compito del Governo – ed è questo, proprio, che chiediamo al Governo a gran voce – è occuparsi attivamente della vita dei cittadini che esso dovrebbe rappresentare, assicurando loro un presente di benessere e una concreta e reale prospettiva per il futuro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Rivolgo un saluto alla delegazione di funzionari del Consiglio legislativo palestinese che stanno svolgendo una visita di studio alla Camera per conoscere il funzionamento della nostra istituzione parlamentare (Applausi).
      È iscritto a parlare il deputato Marcon, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00362 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

      GIULIO MARCON. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi e colleghe, le mozioni che discutiamo oggi, e la mozione che propone Sinistra Ecologia Libertà, affrontano un tema che è riconosciuto come cruciale non solo per la crescita del nostro Paese, ma per il futuro e la crescita dell'intera zona europea.
      La possibilità di rivedere e di intervenire sulle regole del cosiddetto fiscal compact, e in particolare sullo scostamento dal 3 per cento rispetto al rapporto deficit-PIL, ci rimanda a una discussione su un tema importante, centrale per la nostra politica economica e che riguarda l'interesse e la possibilità di rivedere tali regole, non solo di un singolo Paese, ma del meccanismo complessivo di interpretazione e di applicazione del Patto di stabilità e crescita, che è la causa principale non solo delle difficoltà economiche e finanziarie di molti Paesi dell'Unione, ma della prolungata depressione dell'economia europea, degli squilibri macroeconomici che affliggono le diverse aree geografiche dell'Unione e minano le possibilità di crescita e di uscita dalla crisi della nostra economia.
      Tra l'altro, non si capisce perché ci si ostini a chiamarlo Patto di stabilità e crescita quando le politiche per la crescita in questi anni sono state praticamente assenti e gli obbiettivi del cosiddetto Piano della strategia Europa 2020 sono stati ridotti al rango di inviti e di buoni propositi, spesso non rispettati dai Paesi e sicuramente non rispettati dall'Italia. Vedremo cosa ci sarà scritto nel prossimo Documento di economia e finanza che consegneremo a Bruxelles entro il 15 aprile. Già l'anno scorso per diversi degli obiettivi della strategia Europa 2020 – ne ricordo alcuni: la lotta all'abbandono scolastico, gli investimenti per l'innovazione, la percentuale di laureati – abbiamo indicato obiettivi decisamente inferiori rispetto a quelli che ci chiede l'Europa, che però non ci darà alcuna multa o sanzione per il nostro mancato impegno nella direzione richiesta.
      Allora, quando si parla di lavoro, di istruzione, di pari opportunità e di crescita, non ci sono mai impegni vincolanti, non ci sono multe, non ci sono sanzioni, mentre ci sono sempre quando bisogna ridurre la spesa pubblica, quando bisogna tagliare le pensioni e precarizzare il lavoro. È questo il segno di un'Italia e di un'Europa mercantilista e liberista che sta distruggendo il suo modello sociale, aumentando gli squilibri macroeconomici che sono alla base e a fondamento di questa crisi, prolungando la sua crisi, per Pag. 22l'appunto, e la depressione economica, favorendo e continuando a favorire i mercati finanziari e le aree di privilegio dei più forti. È un'Europa che, in assenza di democrazia e anche di trasparenza nelle decisioni che vengono prese e continuando ad essere subalterna ad una costruzione tecnocratica, mercantilista e intergovernativa delle sue politiche e del suo futuro, sta venendo meno ai sogni e ai progetti dei suoi padri fondatori.
      Ecco perché la nostra mozione, e altre mozioni che vengono discusse oggi sul possibile scostamento dal 3 per cento del rapporto deficit-PIL, acquistano un valore paradigmatico, accanto all'importanza concreta nel dare più spazio a risorse pubbliche sia per la crescita che per la risposta a importanti bisogni sociali della comunità. Rimettere in discussione quel parametro e le altre disposizioni contenute nei vari trattati è un modo, è uno strumento per superare il paradigma delle politiche di austerità così dannose per l'economia e per le persone in carne ed ossa.
      Per questo noi chiediamo al nostro Governo, con la nostra mozione, di farsi in modo più determinato interprete di queste richieste di cambiamento delle regole europee e delle politiche seguite fino ad oggi, non solo nei dibattiti e negli incontri bilaterali, non solo nelle dichiarazioni stampa, ma con atti e iniziative politiche concrete. Per questo nella nostra mozione, nella mozione di SEL, chiediamo al Governo di scorporare nel bilancio 2014, per le spese della pubblica amministrazione, gli investimenti pubblici relativi ad alcuni settori di intervento che per noi sono fondamentali e cruciali (la messa in sicurezza delle scuole, la pubblica istruzione, la riqualificazione delle periferie nelle grandi città, il potenziamento del trasporto pubblico locale, l'innovazione e la ricerca, il riassetto idrogeologico del territorio ed altro) dalle regole del 3 per cento, e chiediamo di praticare la cosiddetta golden rule per gli investimenti.
      Abbiamo visto che il Presidente del Consiglio più volte ha dimostrato di essere consapevole di questo problema, ma non si capisce poi come questa consapevolezza si concili con le proposte di tagli, lacrime e sangue modello Grecia che il Governo si appresterebbe a valutare e a fare sulla base delle proposte della spending review del dottor Cottarelli e che riguardano la sanità, il lavoro nel pubblico impiego, i servizi per i cittadini.
      Nella nostra mozione chiediamo altresì al Governo di attivarsi in sede europea perché tale piano di investimenti pubblici sia finanziato su scala europea per consentire all'intera Unione europea di uscire dalla crisi. Tre potrebbero essere le modalità di finanziamento che noi indichiamo nella nostra mozione: la prima è la concessione di crediti da parte della BCE al tasso di interesse più basso per le istituzioni finanziarie pubbliche – ad esempio, in Italia, per la Cassa depositi e prestiti – impegnate a realizzare programmi di investimenti pubblici necessari alla crescita e all'uscita dalla crisi; la seconda modalità di finanziamento che noi proponiamo è l'emissione di titoli garantiti dall'Eurozona, i famosi eurobond, finalizzati alla realizzazione degli investimenti; la terza modalità che proponiamo è l'emissione di liquidità in modalità non convenzionale da parte della BCE a copertura di tale programma di investimenti. Serve, in definitiva, rispetto a questa terza modalità, una politica monetaria più aggressiva che sia capace di rimettere l'euro su condizioni di migliore performance rispetto al rapporto con il dollaro, favorendo così le nostre economie, le economie dei Paesi dell'Unione europea.
      In assenza di queste condizioni, però, noi diciamo che il Governo e l'Italia dovrebbero procedere a superare il tetto del 3 per cento per l'indebitamento netto della pubblica amministrazione nel bilancio del 2014. Si tratta ormai di una scelta improcrastinabile se vogliamo salvare non solo l'Italia ma l'Europa.
      Proprio ieri si è tenuto a Bruxelles, vorrei ricordarlo, un importante convegno della rete europea degli economisti progressisti cui ha partecipato anche una delegazione di questo Parlamento – alcuni deputati italiani erano presenti –, e nel Pag. 23documento finale di questo convegno questi economisti hanno riassunto in quattro punti gli obiettivi da perseguire in Europa nei prossimi mesi: il primo è ovviamente la fine delle politiche di austerità, il ribaltamento di queste politiche; il secondo, il controllo della finanza e della politica monetaria, perché in questi anni invece di fare il contropelo ai mercati finanziari gli abbiamo lisciato il pelo agevolandoli; terzo punto: la soluzione e quindi il superamento delle disuguaglianze economiche e sociali e il superamento degli squilibri macroeconomici tra il sud dell'Europa e il centro-nord dell'Europa, che sono, ripeto, alla base di molte delle difficoltà che stiamo attraversando; il quarto punto, anche questo fondamentale e che è un banco di prova anche per le prossime elezioni al Parlamento europeo, è la democratizzazione delle istituzioni europee, soggette troppo spesso al diktat delle tecnocrazie e delle decisioni intergovernative.
      Questo potrebbe essere anche il programma del nostro Paese nella prossima Presidenza italiana del semestre europeo, ma si può cominciare proprio dalla regola del 3 per cento e anche, in modo limitato, tirando fuori dal fiscal compact e da queste regole in particolare le spese per gli investimenti pubblici, per il lavoro, per l'ambiente, per il welfare, per l'istruzione. Il potere assoluto della tecnocrazia, del mercantilismo e della finanza deve essere sostituito da quello della politica, delle politiche economiche e dalla democrazia. Non dobbiamo rimandare ad un lontano domani le scelte che possiamo fare oggi con tutta la efficacia e la concretezza che possiamo mettere in queste scelte. Dobbiamo essere capaci anche di mettere in campo un'iniziativa autonoma ed indipendente, come hanno fatto altri Paesi capaci di rompere il tabù del 3 per cento, a favore di una visione sociale e democratica dell'economia capace di farci uscire dalla crisi.
      Noi crediamo che discutendo e approvando queste mozioni possiamo dare un contributo non solo a far uscire il nostro Paese dalla crisi, ma anche a far uscire l'Europa da quel tunnel in cui è da troppo tempo e che tutti noi dobbiamo aiutare a superare.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Guidesi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00363. Ne ha facoltà.

      GUIDO GUIDESI. Signor Presidente, credo che la discussione generale di oggi sia coerente e comunque avvenga giustappunto rispetto alle comunicazioni rese ieri dal Presidente del Consiglio, perché si nota anche nella discussione di ieri che tutte le forze presenti in quest'Aula, di maggioranza e di opposizione, anche se differentemente, chiedono un po’ le stesse cose al Governo italiano nel rapporto con l'Unione europea.
      Chiedono le stesse cose principalmente dettate da due cause. La crisi economica e sociale, che si è tramutata poi in una crisi occupazionale, o viceversa, se vogliamo, una crisi occupazionale tramutatasi in una crisi sociale notevole e, dall'altra parte, una condizione di rispetto dei vincoli imposti dall'Unione europea, vincoli tecnici e burocratici che non rispecchiano le esigenze che ha il Paese o che ha la situazione economica reale, per fare in modo di avere una stagione di crescita e di sviluppo e di aiuto perlomeno all'occupazione.
      Stante questa situazione, noi chiediamo attraverso la nostra mozione tre condizioni nel rapporto con l'Unione europea, tre richieste che noi pensiamo il Governo italiano debba assolutamente portare sul tavolo dell'Unione europea ma debba soprattutto portarle a casa, perché per noi sono l'unica possibilità per disporre delle risorse che possono servire ad avviare una stagione di crescita in questo Paese, che potrebbe aprire anche una stagione di nuova occupazione.
      Se non si farà questo, dal nostro punto di vista, il Paese rischia il fallimento, rischia il default, rischia una crisi sociale che aumenterà ancora di più e che sarà effettivamente irrecuperabile, vista la situazione che c’è in questo momento.
      Le condizioni che noi chiediamo, le richieste che noi facciamo e gli impegni Pag. 24per cui noi chiediamo il Governo si assuma rispetto all'Unione europea essenzialmente sono tre. Noi chiediamo al Governo di negoziare in sede comunitaria la possibilità di effettuare investimenti in alcuni settori chiave di immediata e inderogabile urgenza, facendo in modo di superare i vincoli del rapporto deficit/PIL del 3 per cento, limiti del Patto di stabilità nel rapporto tra Stati e Unione europea; investimenti che noi riteniamo urgenti rispetto al rischio idrogeologico, rispetto alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, la crisi occupazionale, la ripresa della crescita economica e anche la sicurezza dei cittadini.
      Noi pensiamo che questi siano i temi fondamentali sui quali c’è l'esigenza e il bisogno di investire; quando parliamo di crescita economica e occupazionale parliamo principalmente di detassazione e defiscalizzazione, per cui noi riscontriamo anche alcuni impegni che chiediamo al Governo rispetto al rapporto con l'Unione europea e lo riscontriamo anche in alcuni discorsi fatti ieri dal Presidente del Consiglio, anche se poi continua a dire che in un modo o nell'altro dovrà rispettare quei vincoli, rifiutandosi quasi di andare ad aprire un tavolo di confronto e di vera trattativa con l'Unione europea.
      In più, noi riteniamo assolutamente opportuno che quegli strumenti tecnici e burocratici imposti dall'Unione europea rispetto ai vincoli di bilancio da parte dei Paesi dell'Unione europea ante crisi economica, che non tengono conto della situazione dell'economia reale e del disagio sociale che stiamo vivendo, non solo siano ridiscussi ma perlomeno tutto quello che avverrà dopo deve essere sottoposto al voto popolare.
      Noi diciamo questo nel referendum, per cui noi diciamo questo principalmente per due questioni. La prima è che questi vincoli, queste stesure di tecnicismi sono scritte da burocrati che fanno parte dell'Unione europea, che non sono stati assolutamente eletti dal popolo, che non sono passati attraverso un voto democratico. Riteniamo sia opportuno, quindi sottoporre al voto quegli strumenti e sentire se i cittadini sono realmente d'accordo; in quest'Aula abbiamo parlato di legge elettorale, di preferenze e di riavvicinamento dei cittadini alla politica e agli eletti, noi riteniamo opportuno che anche gli strumenti dell'Unione europea siano condivisi e supportati dalle decisioni dei cittadini. Così dovrebbe funzionare una vera democrazia.
      L'altra cosa che chiediamo – questa fa parte più che altro di una situazione interna al nostro Paese, che però rispecchia una situazione causata dal rapporto sempre con l'Unione europea – riguarda il Patto di stabilità interno, per cui il rapporto tra lo Stato centrale e le autonomie, gli enti locali. Se vogliamo dare impulso anche a quegli interventi che abbiamo citato precedentemente, c’è assolutamente bisogno che si svincolino dal Patto di stabilità interno, dal Patto di stabilità degli enti locali, queste tipologie di intervento, anche perché, se diamo la possibilità agli enti locali e ai comuni di spendere i soldi che effettivamente hanno in cassa ma che per i limiti del Patto di stabilità interno non possono spendere, dando impulso agli investimenti daremmo un impulso anche all'economia interna, ai consumi interni. Tutti sappiamo che quando gira il denaro in modo equo ne beneficiamo assolutamente tutti.
      Queste sono le richieste che facciamo nella nostra mozione e auspichiamo che il Governo cambi atteggiamento rispetto alla remissività che ha dimostrato in quest'ultima settimana nel rapporto con i partner europei; parlo soprattutto del rapporto con la Germania in quanto, come ho già avuto modo di osservare ieri durante la discussione sulla relazione del Presidente del Consiglio per il prossimo Consiglio d'Europa, dopo aver dipinto la situazione reale ai partner europei, principalmente la Germania, se la risposta di contraltare è «dovete rispettare il fiscal compact», io penso sia giusto in quest'Aula e in questo Parlamento fare una dovuta riflessione sulla continuità di questo metodo di rapporto. Infatti, tutti sappiamo che non siamo in grado di rispettare i vincoli che ci vengono imposti dall'Unione europea Pag. 25ma soprattutto, se rispetteremo quei vincoli, daremo un altro segnale negativo e un'altra mazzata all'economia reale.

      PRESIDENTE. Saluto gli studenti della II classe del Liceo classico a indirizzo musicale Walther von der Vogelweide, di Bolzano, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
      Constato l'assenza del deputato Totaro, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
      È iscritto a parlare il deputato Giampaolo Galli, che illustrerà anche la mozione Marchi n. 1-00386, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

      GIAMPAOLO GALLI. Signor Presidente, condivido quello che ha detto poco fa l'onorevole Guidesi, che c’è un certo consenso, un po’ più ampio del solito, sui temi oggi in discussione, anche alla luce del dibattito svoltosi ieri alla presenza del Presidente del Consiglio; quindi vorrei sottolineare i punti di consenso ma anche quelli di dissenso. Comincio per chiarezza da quelli di dissenso, che sono di meno.
      La mozione che noi abbiamo depositato dice che occorre contemperare il tema della crescita con quello della stabilità finanziaria e quindi del debito pubblico, non discostarsi e basta ma contemperare. Dice inoltre che è opportuno rimanere all'interno del vincolo obiettivo, che è del 3 per cento, e non di farlo saltare.
      Le cose che sono in comune con molte delle altre mozioni che sono state presentate hanno a che fare con quell'Europa diversa che un po’ tutti auspicheremmo, un'Europa che volesse dare più rilievo e spazio agli investimenti pubblici e privati – e molti fanno riferimento, anche noi, al tema del golden rule –, un'Europa che assicurasse meccanismi di aggiustamento tali da pesare un po’ anche sui Paesi in surplus e non solo sui Paesi in deficit, un'Europa capace di usare il bilancio europeo per sostenere l'economia in difficoltà, specie sotto il profilo dell'occupazione, in particolare dell'occupazione giovanile; in prospettiva, un'Europa che vada verso una vera unione politica e che consentirebbe e comporterebbe la mutualizzazione dei debiti, o almeno di una parte dei debiti.
      Su questi punti – ripeto – c’è un consenso piuttosto ampio, però – diciamoci anche la verità – è un consenso un po’ facile, un po’ a buon mercato perché è un consenso – come dire – fra di noi, che non fa i conti con l'oste, cioè con gli altri Paesi che, con tutta evidenza, queste cose non le vogliono perché altrimenti già ce le avremmo. Qui dissento dall'onorevole Guidesi: non è un problema di burocrati e di tecnocrati, ma è un problema di Paesi democraticamente eletti e democraticamente legittimati che a certe cose dicono di no perché i loro elettori verosimilmente non le approverebbero.
      È un consenso facile anche perché molte delle mozioni che ho visto e dei discorsi che ho sentito qui non fanno veramente i conti con il tema del debito pubblico e della stabilità finanziaria, e questa è una cosa che non possiamo accettare. Capiamo bene che questa è una posizione di forte consenso sia nell'opinione pubblica, sia in una parte dell'opinione colta. È sicuramente una posizione – lo dico senza alcuna accento critico – che paga politicamente e consente di andare dagli elettori e di dire che c’è un Governo incapace di fare certe cose perché basterebbe discostarsi, sforare, fregarsene dei vincoli e tutto diventa più facile.
      Direi che la differenza tra «contemperare», che è il concetto che sta nella nostra mozione, e «sforare» è il tema centrale di tutto il nostro dibattito di questi giorni.
      Mi ha colpito, per esempio, nella discussione che abbiamo fatto ieri che c'erano degli emendamenti che riguardavano cose terribili, e cioè misure a favore delle popolazioni colpite da terribili eventi naturali, ed è assolutamente ovvio che i deputati di maggioranza che hanno votato contro quegli emendamenti si trovino un po’ in difficoltà nel momento in cui vanno a parlare con quelle popolazioni. Nessun politico è contento di votare contro emendamenti che danno delle provvidenze probabilmente utili, ma il problema è che c’è Pag. 26un più profondo senso di responsabilità che ha animato il voto dei deputati di maggioranza, ed è la consapevolezza che c’è un tema molto serio che è quello del debito pubblico e delle coperture.
      Mi ha colpito che qualcuno abbia fatto appello al senso di responsabilità della maggioranza, ma il senso di responsabilità non è quello – come dire – di fare una cosa che tutti vorremmo fare, e cioè aiutare queste popolazioni che sono in difficoltà e aiutarle senza limiti. Il senso di responsabilità è il contrario: è la consapevolezza che c’è un problema che riguarda l'intera nazione, c’è un problema di chi paga, c’è un problema di vincolo di risorse, che esiste sempre e comunque, può essere più o meno acuto a seconda di quanto è il debito pubblico, ma esiste sempre.
      Le risorse sono date – forse vale la pena di dircelo anche se è una cosa ovvia –, o meglio il vincolo di risorse non c’è perché c’è un vincolo europeo, ma perché ogni Paese, in ogni momento, ha una data produttività che dipende dal capitale e dalle conoscenze accumulate, dal capitale umano, dall'organizzazione sociale e dall'organizzazione del lavoro.
      Le risorse sono il sudore della nostra fronte, null'altro; nulla ci viene regalato.
      È ovviamente vero – e qui vengo al punto di molte delle mozioni che sono state presentate – che nel breve periodo, 1-2 anni, lungo il ciclo economico possiamo usare il disavanzo pubblico e la moneta per avvicinarci al pieno utilizzo dei fattori produttivi. Ma con disavanzi pubblici e moneta, e a differenza di quello che sembra apparentemente leggersi in una parte della letteratura che va per la maggiore, non si fa crescita. Questo è un insegnamento antico che Keynes condividerebbe, perché qui vedo, diciamo, a destra, a sinistra, che tutti sono diventati non keynesiani ma iperkeynesiani. Se con il deficit e la moneta si potesse fare più crescita, non si capirebbe perché ci sono nazioni più ricche e nazioni più povere, semplicemente, e perché le differenze persistono nel tempo. A nessuno viene in mente che facendo più disavanzo e creando moneta – che ne so – la Libia supera come PIL pro capite l'Olanda o il Messico supera gli Stati Uniti. Questa è una colossale sciocchezza.
      Eppure, buona parte delle teorie e delle storie di chi dice che vuole discostarsi anziché contemperare sono basate su queste idee. Ne spiego il perché e concludo. La storia è: facciamo più disavanzo; questo è vero, perché aumenterà il debito ma aumenterà ancora di più il PIL, quindi il denominatore, e quindi il rapporto debito-PIL diminuirà. È molto controverso se questo possa avvenire, perché questo dipende dai valori dei moltiplicatori e così via. Ma se avviene, avviene nell'arco di un anno o di due anni. Se io faccio disavanzo adesso, non avrò più PIL fra cinque o dieci anni. Cioè, in altre parole, non faccio più crescita attraverso il disavanzo pubblico. Questo è come una persona che si voglia mettere in un secchio e che poi tira il manico del secchio pensando di volare. Questa è, sostanzialmente, la cosa che sembra che alcuni abbiano in mente.
      Quindi, il tema diventa, ovviamente, che, se io faccio più disavanzo adesso, devo chiedermi come faccio il piano di rientro, e chiunque gestisce un'azienda, una comunità o una famiglia sa che se fa debito oggi poi deve fare il piano di rientro. Ora, qui viene il tema. Nel 2009 tutti i Paesi occidentali hanno fatto più debito e più disavanzi per salvare le banche, certo, per salvare le imprese, per aiutare i disoccupati, e in quasi tutti i Paesi è aumentata la spesa pubblica. Il 2009 – e anche qui malgrado, come dire, il rumore di fondo di tanti sia un po’ diverso – è stato il più colossale esperimento di politiche espansive keynesiane mai provato nella storia. A confronto, il New Deal di Roosevelt sparisce, sparirà nei libri di storia. Quello è stato il grande esperimento, tra l'altro assolutamente sincrono fra tutti i Paesi, e dal 2009 in poi si è posto il problema della velocità di rientro e su questo punto si possono avere opinioni diverse. Per esempio, io penso che con il senno di poi, diciamo, il rientro sia stato un po’ troppo rapido e un po’ troppo sincrono, in particolare nei Paesi europei Pag. 27e forse in Italia, ripeto, con il senno di poi sarebbe stato utile nel 2012 fare un aggiustamento un pochino più graduale, perché naturalmente poi l'aggiustamento rischia di creare e ha creato recessione. Ma questo lo si dice con il senno di poi, perché le misure prese nel 2011-2012 sono quelle che, in quella situazione, apparivano assolutamente necessarie per salvare l'Italia.
      Nel 2013 non abbiamo fatto un ulteriore aggiustamento. Adesso, nel 2014, noi riteniamo che sia giunto il momento di dare una spinta all'economia, di ridare fiducia dopo una lunga recessione. Da qui il piano, che però è un piano coperto e che, come ha detto il Presidente del Consiglio, non va certamente oltre il limite del 3 per cento in termini di disavanzo. È un piano che ci è stato qui presentato dal Presidente del Consiglio e che, tuttavia, pone il tema del rientro negli anni successivi, per cui quando verrà presentato il DEF sono assolutamente certo che negli anni successivi noi vedremo un aggiustamento. In che direzione ? Qui possiamo, come dire, fare delle congetture.
      Però, è abbastanza facile immaginare che il piano dovrà essere tale da consentire quello cui ci eravamo impegnati, cioè una riduzione, sia pure graduale sia pure minima sia pure iniziale, del rapporto debito-PIL forse già nel 2014, se non nel 2014, nel 2015. E questo comporta – basta, come dire, guardare i numeri – che si vada verso un avanzo primario nell'ordine del 4-5 per cento, il che significa andare nella direzione del pareggio aggiustato per il ciclo, e così via. Quindi, noi oggi possiamo e dobbiamo lavorare perché l'Europa cambi, perché l'Europa faccia delle cose diverse da quelle che ha fatto fino adesso, sapendo che abbiamo dei partner che hanno legittimi interessi diversi. Non andiamo in Europa con il cappello in mano, ma non andiamo in Europa con il cappello in mano perché siamo consapevoli, noi per primi, dei problemi che abbiamo, dei problemi cui dobbiamo mettere mano; siamo consapevoli, noi per primi, che non c’è la bacchetta magica che ci risolve con il disavanzo, o non so che cosa, i problemi della crescita, e siamo noi per primi che sappiamo quali sono i cosiddetti compiti a casa che dobbiamo fare.
      Naturalmente, tutti questi discorsi sono irrilevanti per chi ha proposto la prima delle mozioni che sono state qui messe in discussione, cioè che dice: tanto l'Italia è fallita. Bene, allora se siamo falliti, diciamo, la discussione finisce lì. Io vorrei dire solo che il fallimento di uno Stato moderno, con risparmio diffuso di massa nella forma di titoli di Stato, di depositi bancari, è un evento che non è mai successo nella storia, il fallimento vero e proprio. Perché, persino nel caso della Grecia, c’è stato un salvataggio tardivo, molto costoso dal punto di vista sociale, ma c’è stato un salvataggio.
      Nel passato – è vero, è stato anche ricordato – l'Italia ha ristrutturato il proprio debito prima e dopo la Prima guerra mondiale, ma erano tempi in cui il debito di una nazione come l'Italia era detenuto da poche famiglie, i Morgan, i Rothshild, e quindi si ristrutturava come si potrebbe ristrutturare con una banca una azienda. Oggi una ristrutturazione del debito sarebbe una catastrofe per milioni di famiglie che hanno titoli o depositi di banche che al loro attivo, a loro volta, hanno titoli. Alcuni anche stranamente autorevoli personaggi, in Italia e fuori, dicono: mettete una patrimoniale straordinaria. Io vorrei dire che, dato che le patrimoniali straordinarie devono essere non nell'ordine dell'1 per cento del PIL, ma del 30-40-50 per cento, ritengo questa sia una assoluta follia.

      PRESIDENTE. La prego di concludere.

      GIAMPAOLO GALLI. Credo che la nostra posizione – e termino, Presidente – debba essere molto ferma contro ipotesi di questo genere. Una patrimoniale del genere ucciderebbe assolutamente l'economia. Quindi, alla fine, non ci sono molte alternative, se non quella di farci carico del senso di responsabilità che consiste nel contemperare.

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      PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Palese. Ne ha facoltà.

      ROCCO PALESE. Signor Presidente, l'Aula discute queste mozioni, mozioni importanti, il giorno dopo che si è svolta un'altra discussione estremamente approfondita sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio, con le risoluzioni che sono state presentate da vari gruppi e la relativa discussione. E penso che, per poter dare un valore ulteriore e aggiuntivo a quanto propongono le varie mozioni presentate oggi, ci sia una grande necessità.
      Dobbiamo partire da un'analisi cruda del perché oggi il nostro Paese si trova nelle condizioni di dover fare i compiti a casa, perché non è in discussione la nascita di un grande patrimonio, di un grande sogno, che è quello dell'Europa, l'Europa dei popoli, dei cittadini, e anche l'Europa monetaria che è stata costruita. Quello l'hanno fatto i padri dell'Europa stessa, a partire da quelli conosciuti da noi, da De Gasperi, ma anche da tanti Capi di Stato che ci sono stati, come Kohl, Mitterrand, per citare alcuni esempi importanti.
      E così come le varie fasi, da quella antecedente al 1966, quella della Convenzione europea dei primi sei Stati, del MEC, cito queste cose in maniera flash. Ma il momento in cui gli Stati membri, soprattutto gli Stati fondatori dell'Europa, decidono veramente di dare una grande prospettiva accade nel 1992, quando si creano le condizioni perché ci potesse essere la moneta unica, l'euro, e una grande Europa. Il nostro Paese, nel 1992, sia per questo grande progetto, per questo grande obiettivo, e sia anche, e soprattutto, per un'altra crisi fortemente speculativa, fu costretto a fare, con il Governo Amato, una grande manovra monetaria e strutturale. Molti italiani ricorderanno sicuramente quella monetaria, che ebbe un grande impatto: il prelievo sui conti correnti, 95 mila miliardi di vecchie lire di manovra finanziaria in sei mesi e via seguitando. Pochi ricordano, invece, che i benefici maggiori per poter poi entrare in Europa e nella moneta unica nel primo step che fu creato di 12 Paesi, arrivarono dalle riforme strutturali: la legge delega, fatta dal Governo Amato, da quel Parlamento, è stata la pietra miliare su cui si è costruita la prospettiva dell'Europa e l'ingresso del nostro Paese in Europa, ovvero la riforma della sanità con l'aziendalizzazione (la legge n.  421 del 1992 che diede vita a questa delega legge), la riforma del pubblico impiego, con la trasformazione del rapporto di lavoro (allora, un sindacato responsabile accettò la sfida che ha dato i suoi frutti, a differenza di oggi dove vedo molte resistenze sulla riforma del mercato del lavoro), la riforma della finanza territoriale e quella previdenziale. A più di 20 anni gli effetti di quelle riforme strutturali sono state completamente vanificati. Ora, oltre a questi aspetti, a cui facevo riferimento, nel contesto di tutto quello che noi avremmo dovuto fare e che non abbiamo fatto, oggi è facile dire «sfondiamo» i vincoli, manca la crescita. Ci mancherebbe, è un dato reale, però intanto partiamo da quello che non abbiamo fatto. Parliamo dei vincoli, quelli che noi abbiamo avuto dal Patto di stabilità interno, e qui sono d'accordo con chi richiama questo grande aspetto, questa grande riforma. Ci fu una grande lotta, anche all'epoca, tra burocrati, banchieri e Germania e Francia e Italia ed altri. La Germania e i banchieri anche all'epoca, la Bundesbank in particolare, volevano solamente il Patto di stabilità e basta; c’è chi invece, con Jacques Delors, nel 1993 – lo ricordavo pure ieri – ha invece preteso che l'Europa fosse costituita, sì, sul Patto di stabilità finanziaria, ma anche sulla crescita. Ahimè, a 20 anni di distanza sulla stabilità finanziaria, sappiamo come stanno le cose nel contesto dei Paesi dell'Europa: a causa della gravissima crisi aggiuntiva rispetto a tutto quello che c’è stato nel 2008 sulla crescita ancora non ci siamo. Nel nostro Paese, però, il Patto di stabilità introdotto, dal punto di vista dell'ordinamento, dall'articolo 28 della legge n.  448 del 1998 per dieci anni è stato disatteso; per dieci anni, non essendovi sanzioni su chi non rispettava il Patto di Pag. 29stabilità, i comuni, le province, le regioni, forse anche lo stesso Stato se sono altamente «fregati» di rispettare i vincoli del Patto. Quando ci si è accorti che, nel nostro Paese, occorreva da parte delle pubbliche amministrazioni rispettare il Patto di stabilità ? Quando nel decreto-legge n.  112 del 2008 furono introdotte le sanzioni.
      Allora, a quel punto, tutti i sindaci, i presidenti di provincia e quant'altro, che avevano sfasciato la finanza pubblica territoriale, aumentando le addizionali «a tutta birra», iniziarono a scoprire che nel nostro Paese c'era un grande problema, quello del Patto di stabilità che noi, insieme agli altri Stati, avevamo sottoscritto con l'Europa: non l'Europa lo imponeva a noi, ma noi lo abbiamo sottoscritto, ma era stato disatteso per dieci anni; non era stato rispettato e bisognava farlo.
      Ora, se aggiungiamo a questo l'impreparazione enorme dei comuni soprattutto sulla spesa pubblica e poi introduciamo anche il fatto che, nel frattempo, la spesa pubblica nel nostro Paese è aumentata spaventosamente, e non solo è aumentata, ma, soprattutto, è aumentata quella improduttiva e che non abbiamo fatto neanche le riforme strutturali, neanche una, per sbaglio, siamo andati a finire nella procedura di infrazione, da cui poi siamo usciti con i sacrifici degli italiani, enormi, perché, per poter entrare nell'euro, tra le varie manovre finanziarie degli anni che si sono succeduti, dal 1992 al 1999, 400.000 miliardi di vecchie lire di manovre finanziarie sono state fatte, più altre per poter continuare a rimanere all'interno dell'euro, oltre poi ai problemi del debito pubblico e quant'altro.
      Quindi, io penso che, ad oggi, noi non abbiamo nessun margine, se non quello di procedere alla «qualificazione» della spesa pubblica immediatamente. Noi siamo di nuovo qui all'annuncio di Cottarelli, ogni giorno ci sono annunci, controannunci, riannunci, conferenze stampa e quant'altro, da sei mesi, ma, da sei mesi, non viene ridotto un euro di spesa pubblica. Ci sono solamente tante notizie da dare in pasto all'antipolitica e basta. Noi siamo qui fermi, pronti a voler approvare queste situazioni di spesa improduttiva che c’è.
      Ora, l'altro problema riguarda le riforme elettorali, che siano legate o meno alla legge elettorale. Lo sappiamo perfettamente che la modifica del titolo V, fatta nel 2001 dalla sinistra, ha provocato, dal punto di vista della finanza pubblica, nel nostro Paese, più danni delle due guerre mondiali messe insieme. Lo sappiamo, lo sappiamo tutti che devono essere riformate. Lo sappiamo perfettamente che è stata quella riforma che ha provocato l'esplosione delle tasse locali, perché, invece di dare un grande valore a ciò che doveva essere l'autonomia, la responsabilità, il cosiddetto federalismo, perché è un valore l'autonomia e la responsabilità, nel nostro Paese è stata recepita come anarchia, che ognuno poteva fare quello che voleva e spendere come e quanto più voleva per poter fare le sue clientele e quant'altro. L'unico federalismo che è andato in porto nel nostro Paese è stato solo quello della corruzione. Ora, noi dobbiamo procedere.
      Che aspetta il Governo a proporre la modifica del titolo V, che è stata mille volte annunciata e senza che nessuno lo sapesse ? Il cittadino, con un'unica tasca, è stanco di pagare tasse comunali, tasse provinciali, tasse regionali, tasse centrali, tariffe, addizionali e quant'altro. Quindi iniziamo a recuperare risorse da questo punto di vista e sicuramente anche in Europa sia il Presidente del Consiglio, oggi e domani, nel Consiglio Europeo, sia questo Parlamento e questa classe dirigente avranno più rispetto, ma soprattutto avremo più rispetto delle nuove generazioni. Noi abbiamo avuto la fortuna di avere una generazione sopra di noi molto più attenta e molto più corretta nell'utilizzo delle risorse pubbliche e dei valori di questo Paese. Noi dovremmo essere capaci di fare altrettanto, cercando di imitarli.

      PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti dell'Istituto comprensivo di Sant'Elia Pag. 30Fiumerapido, in provincia di Frosinone, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
      È iscritto a parlare il collega Librandi. Ne ha facoltà.

      GIANFRANCO LIBRANDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi e illustrissimo sottosegretario, le mozioni presentate dai colleghi delle opposizioni hanno il merito di promuovere in quest'aula un dibattito approfondito sui vincoli di finanza pubblica cui l'Italia, al pari di altri Paesi, si è volontariamente sottoposta nell'ambito dell'unione monetaria europea. È un fatto positivo quando il Parlamento è investito di una discussione che, troppo spesso, occupa i giornali e le televisioni in termini però semplicistici e a volte demagogici, poco utili per l'opinione pubblica e dannosi per un confronto tra maggioranza e opposizione.
      Le quattro mozioni – analizzate nel dettaglio – hanno un'impostazione simile: a fronte di una descrizione articolata dell'impianto complessivo del patto di stabilità e crescita, i colleghi chiedono al Governo uno sforamento del limite della soglia del 3 per cento del rapporto deficit-Pil, come frutto di una decisione unilaterale nazionale o come negoziazione in sede comunitaria.
      Tra le altre, la mozione del MoVimento 5 Stelle critica l'uso del PIL come indicatore. La mozione di Fratelli d'Italia richiama le tesi di autorevoli economisti secondo cui non c’è alcuna evidenza empirica che assegni a quel numero, il 3 per cento, un significato assoluto. Tutti i proponenti criticano l'arbitrarietà del limite del 3 per cento e chiedono un suo sforamento, implicitamente o esplicitamente affermando che solo con politiche di maggior deficit l'Italia può ritrovare la crescita economica e che il vincolo imposto dal fiscal compact sta invece inibendo la ripresa. Con le dovute differenze, tutte le mozioni motivano la scelta con la necessità di finanziare politiche di investimento in campo infrastrutturale, tecnologico, sociale, ambientale e scolastico, oppure misure selettive di detassazione, allo scopo di riattivare una dinamica virtuosa di crescita economica. Sgombriamo il campo da un equivoco: chi difende il rispetto del 3 per cento del rapporto deficit-PIL, come certamente noi di Scelta Civica, non è contrario alle diverse misure di rilancio che i colleghi includono nei dispositivi delle mozioni, ad esempio a molte di quelle ben elencate nella mozione di SEL a prima firma Marcon o ad interventi di riduzione delle imposte. Anzi, molte di quelle misure sono opportune e meritorie, ma, a nostro parere, è sbagliato legare quei provvedimenti e la loro attuabilità ad un ipotetico allentamento dei vincoli di finanza pubblica. Ci sono ampi margini di riqualificazione della spesa pubblica, che potrebbe essere riequilibrata per funzioni e obiettivi, anche a totale invariato. E ci sono importanti riforme a costo zero: la riforma del lavoro e le liberalizzazioni, che valgono più di qualsiasi intervento di spesa pubblica, perché incidono direttamente sul potenziale di competitività e crescita.
      Non ci sono, invece, margini perché lo Stato italiano riprenda a spendere più di quanto incassa, come accaduto nei decenni in cui abbiamo scaricato sulla creazione di nuovo debito pubblico, cioè sulle generazioni future, cioè l'oggi, e sulla svalutazione competitiva le difficoltà dell'economia italiana a innovarsi. Non ci sono margini, non perché lo impone la Commissione europea o una fantomatica ideologia neoliberista, ma perché l'Italia non sarebbe in grado di sostenere un debito pubblico superiore all'attuale 133 per cento. Il Paese è ancora un sorvegliato speciale agli occhi degli investitori e degli analisti finanziari, sulla base delle cui scelte noi riusciamo a piazzare sui mercati, a prezzi contenuti, le centinaia di miliardi di debito pubblico che annualmente rinnoviamo. Saremmo una nazione senza memoria, e questa sarebbe una classe politica scellerata, se dimenticassimo che, nel novembre del 2011, abbiamo rischiato di non riuscire più a collocare il debito a prezzi ragionevoli. Quali conseguenze ci sarebbero state allora per le pensioni o per i salari pubblici degli insegnanti Pag. 31o dei medici ? I critici dell'austerità fiscale, quelli che attribuiscono la responsabilità della crisi all'Europa, alla Germania e ai vincoli sulle politiche di bilancio nazionali, sono sempre più numerosi in Italia. Come ha scritto qualcuno, si va dai critici moderati, che si battono per qualche grado in più di discrezionalità fiscale, ai critici radicali, disposti ad uscire dall'euro pur di riavere indietro la sovranità sul bilancio pubblico nazionale. Sembra diventato uno sport nazionale, ma è la riproposizione dei peggiori vizi italici dei decenni finali della Prima Repubblica: più debito pubblico e svalutazioni della moneta.
      Tutti ricordano che, per comodità di Francia e Germania, più o meno dieci anni fa, la Commissione europea sospese le sanzioni per il mancato rispetto dei parametri di Maastricht. Questo avrebbe dovuto consentire ai due Paesi di mantenere per un po’ il deficit sopra al 3 per cento del PIL. Era soprattutto la Germania ad avere bisogno della moratoria, perché attraversava una crisi di bassa crescita. Andò tutto liscio, senza contraccolpi, perché non c'erano turbolenze sui mercati, perché Francia e Germania avevano un debito pubblico basso ed erano entrambi credibili sotto il profilo della disciplina fiscale. Oggi andrebbe ancora tutto liscio per l'Italia ? Purtroppo no. Nelle condizioni attuali sui mercati finanziari, con un debito pubblico elevatissimo e a causa della scarsa credibilità sulla disciplina fiscale, l'Italia non potrebbe proporre uno scambio simile. Le condizioni dei mercati finanziari e l'alto debito si spiegano da sé.
      Il nostro Paese ha sempre gestito il proprio bilancio pubblico in modo pro-ciclico. In altri termini, quando l'economia va male facciamo manovre correttive per mantenere la stabilità dei conti. Quando l'economia va bene allarghiamo i cordoni della borsa e redistribuiamo «tesoretti» a destra e a manca con spesa pubblica a pioggia. Un esempio macroscopico è il modo in cui abbiamo dilapidato il «dividendo della moneta unica» prodotto dalla riduzione dei tassi di interesse e del costo del debito registrati dopo il 1996: circa 700 miliardi di euro in 12 anni. Nel giro di qualche anno la minore spesa per interessi è stata quasi integralmente sostituita da maggiore spesa corrente primaria.
      Non possiamo permetterci nemmeno il sospetto di allentare l'austerità. Lo pagheremmo con l'aumento del costo del debito pubblico senza avere in contropartita nessun miglioramento della congiuntura economica. Non è vero che l'Europa ci priva della discrezionalità fiscale. Siamo stati noi a dilapidare la nostra credibilità. Ora è il momento di ritrovarla, con un piano dettagliato e coraggioso di riforme, che per fortuna questa maggioranza e il Governo che questa sostiene hanno intrapreso di gran lena.

      PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
      Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.
      Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00340, Zan ed altri n. 1-00354, Gigli ed altri n. 1-00364, Brunetta ed altri n. 1-00365, Ferraresi ed altri n. 1-00367, Pizzolante e Dorina Bianchi n. 1-00370 e Moretto ed altri n. 1-00385 concernenti iniziative in merito agli eccezionali eventi meteorologici che hanno colpito di recente il Veneto e l'Emilia Romagna (ore 12,20).

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00340, Zan ed altri n. 1-00354, Gigli ed altri n. 1-00364, Brunetta ed altri n. 1-00365, Ferraresi ed altri n. 1-00367, Pizzolante e Dorina Bianchi n. 1-00370 e Moretto ed altri n. 1-00385 concernenti iniziative in merito agli eccezionali eventi meteorologici che hanno colpito di recente il Veneto e l'Emilia Romagna (Vedi l'allegato A – Mozioni).
      La ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicata in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

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(Discussione sulle linee generali)

      PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
      È iscritto a parlare l'onorevole Caon, che illustrerà anche la mozione Giancarlo Giorgetti n. 1-00340, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

      ROBERTO CAON. Signor Presidente, tra gli ultimi giorni del mese di gennaio e i primi giorni di febbraio 2014, in Veneto ed in Emilia si sono verificati eventi atmosferici di grandissima intensità, piogge persistenti e nevicate anche a bassa quota: si è visto naturalmente in tutti i telegiornali e in tutti gli organi di informazione.
      Nel modenese si è resa necessaria l'evacuazione dei cittadini residenti in aree particolarmente esposte alle esondazioni, in particolare nei territori compresi nei comuni di Bastiglia, Bomporto, Sorbara, Bosco di San Felice, Finale Emilia, Camposanto, Albareto, e tali calamità hanno provocato allagamenti e frane in vaste zone della bassa modenese ed altre zone emiliano-romagnole.
      In Veneto le precipitazioni piovose e nevose hanno causato l'interruzione delle comunicazioni e della viabilità, esondazione di fiumi, allagamenti di terreni agricoli e di centri abitati, di sottopassi e di garage privati, frane e smottamenti su strade, chiusura di molti passi dolomitici, un blackout elettrico prolungato dovuto alle linee dell'alta tensione, in particolare tra le aree del Cadore, dello Zoldano, del Comelico e dell'Agordino, mentre numerose aree del Veneto orientale ed occidentale, del basso padovano e del vicentino erano interessate da allagamenti ed inondazioni.
      Le calamità nevose nella zona dolomitica e prealpina del Veneto, con interruzione dell'erogazione dell'energia elettrica in Cadore e chiusura di passi e impianti sciistici, hanno avuto contraccolpi particolarmente pesanti perché hanno compromesso, in alcuni casi in modo definitivo, la stagione turistica invernale, che per quelle zone rappresenta l'unica fonte di reddito.
      Per contro, la costa veneta e le spiagge di Rosolina, Sottomarina, Lido di Venezia, Cavallino-Treporti, Jesolo, Eraclea, Caorle e Bibione hanno subito gli effetti del maltempo con l'accumulo di rifiuti e detriti, la cui pulizia e ripristino delle spiagge deve essere operata con celerità per garantire l'avvio degli stabilimenti balneari della stagione turistica estiva alle porte.
      Mentre numerose zone della montagna veneta erano bloccate dalle abbonanti nevicate, in pianura il maltempo faceva crescere repentinamente il livello dei principali fiumi emiliani, vicentini e padovani, come il Secchia, il Bacchiglione ed il Brenta, esondati in alcuni punti del loro corso e tanto da costringere, in alcune località, tra cui Bovolenta, Battaglia Terme, Montegrotto Terme, Chioggia ed alcuni quartieri di Padova, a sgomberare le case, sfollando centinaia di famiglie.
      A Montegrotto Terme una donna a causa del maltempo è deceduta.
      Nel periodo compreso tra il 30 gennaio ed il 10 febbraio la provincia di Verona è stata colpita da precipitazioni importanti, che hanno messo in crisi l'intera rete di scolo. Particolarmente colpita la bassa veronese, con allagamenti importanti nei comuni di Legnago, Cerea, Terrazzo, Bevilacqua e Boschi Sant'Anna, causa la tracimazione di alcuni corsi d'acqua ed il reflusso della rete fognaria. Sono stati rilevati gravi danni al manto stradale (buche di vario genere ed entità); danni ad abitazioni private (allagamenti seminterrati, allagamenti pian terreni); gravi sofferenze (asfissia) ai seminativi invernali e alle piantagioni di vigneti e frutteti (in particolar modo nei comuni di Terrazzo, Bevilacqua e Boschi Sant'Anna, dove gli allagamenti si sono protratti per sette giorni consecutivi); danni alle scarpate dei corsi d'acqua (frane) con pericolo per la pubblica incolumità, anche in considerazione che spesso in sommità ci sono strade provinciali o comunali.
      Nel modenese l'alluvione ha ulteriormente aggravato la situazione sociale ed economica di parte del territorio emiliano-romagnolo, già compromessa dagli eventi sismici del 2012 e dagli eventi atmosferici Pag. 33del 2013, con danni diretti e indiretti, provocati dall'allagamento di oltre dieci mila ettari di terreni coltivati ed abitati, ad oggi incalcolabili.
      In data 3 febbraio 2014, il presidente della giunta regionale del Veneto dichiarava lo «stato di crisi» per gli eccezionali eventi atmosferici verificatesi in Veneto a partire dal 30 gennaio 2014 provvedendo, altresì, a chiedere al Consiglio dei ministri la dichiarazione dello «stato di emergenza», ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n.  225, e successive modificazioni e integrazioni, e tale richiesta è motivata anche dalle pesanti conseguenze che l'evento calamitoso ha determinato sull'economia locale veneta, come nel settore turistico montano, con danni enormi agli impianti di risalita sepolti dalla neve.
      Complessivamente tra le province di Treviso, Venezia, Vicenza, Verona e Padova, sono diverse centinaia le abitazioni civili e le attività economiche che hanno subito danni strutturali agli edifici, rendendoli parzialmente o completamente inagibili, e oggi i comuni veneti ed emiliani interessati dalle calamità stanno predisponendo una stima precisa dei danni riscontrati, così da impegnare, conseguentemente, le necessarie somme per ripristinare le infrastrutture danneggiate, quali principalmente strade, ponti ed edifici pubblici.
      I danni prodotti alle abitazioni e alle imprese giustificano il ricorso anche al Fondo di solidarietà dell'Unione europea, giacché i danni diretti stimati potrebbero nel loro complesso raggiungere i 3 miliardi di euro indicati dal regolamento CE 11 novembre 2002, n.  2012/2002, e, in conformità a quanto disposto dal menzionato regolamento la domanda di contributo deve pervenire alla Commissione europea entro dieci settimane a partire dal primo danno subito.
      Qualora l'ammontare dei danni fosse al di sotto della predetta soglia comunitaria, è necessario, comunque, che lo Stato intervenga a favore delle popolazioni e delle imprese colpite tramite la defiscalizzazione e la decontribuzione, per il biennio 2014-2015, tanto più che la sola regione Veneto contribuisce alle entrate dello Stato con un «residuo fiscale» di oltre 20 miliardi di euro.
      Nell'ambito dei richiesti interventi statali deve essere prevista anche l'esclusione dal Patto di stabilità interno dei fondi occorrenti ai comuni per la manutenzione e la messa in sicurezza idraulica dei rispettivi territori colpiti dagli eccezionali eventi atmosferici di gennaio e febbraio 2014.
      Il Governo, così come in analoghe vicende accadute nel recente passato, ha già fatto ricorso allo strumento del decreto-legge per disporre interventi, anche finanziari, immediati.
      Dunque, si impegna il Governo a deliberare lo «stato di emergenza» per gli eccezionali eventi atmosferici verificatesi nelle aree comprese tra l'Emilia-Romagna ed il Veneto a partire dal gennaio 2014, ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n.  225, e successive modificazioni e integrazioni.
      Si impegna, inoltre, il Governo ad assumere iniziative normative finalizzate a sostenere le popolazioni e le imprese colpite dagli eccezionali eventi atmosferici di gennaio e febbraio 2014 tramite la defiscalizzazione e la decontribuzione per il triennio 2014-2016 sospendendo immediatamente ogni adempimento fiscale, contributivo e assicurativo relativo a persone fisiche e giuridiche, nonché i mutui, per i contribuenti e le imprese dei comuni veneti ed emiliani interessati dagli eventi calamitosi.
      Si impegna altresì il Governo ad assumere iniziative per stanziare, nell'ambito delle prossime iniziative normative, risorse da destinare alle persone fisiche e alle attività d'impresa per il ristoro dei danni derivanti dalla perdita di beni come la prima abitazione o i mobili strumentali all'esercizio delle attività stesse, assumendo altresì iniziative per incrementare le ulteriori risorse a favore degli enti locali contro il dissesto idrogeologico e prevedendo, altresì, che le somme provenienti dallo Stato e le relative spese di parte corrente e in conto capitale sostenute dalle province e dai comuni, nonché le risorse proprie di tali enti impiegate per far Pag. 34fronte all'emergenza alluvionale e alle conseguenti opere di ripristino, siano escluse dai limiti imposti dal Patto di stabilità, sia delle regioni che degli enti locali.
      Io con questo ho concluso, però vorrei anche dire qualcosa in più di quello che vi ho detto. Oggi, il Veneto sta subendo veramente una grossa crisi anche economica, derivata dal fatto che il mondo è cambiato. Allora, tengo a precisare che il Governo deve fare veramente un'opera di solidarietà nei confronti di queste terre, veramente colpite e che, purtroppo, non è la prima volta in pochi anni che vengono colpite. Oltre all'emergenza, dobbiamo veramente, con i prossimi mesi, studiare un piano di manutenzione e di nuovi lavori, che, come è già stato menzionato in altre occasioni, possono anche dare lavoro a tutte quelle aziende che sicuramente oggi soffrono di mancanza di lavoro, per cercare di «anticipare» questi eventi atmosferici che sono sempre più gravosi e sempre più imminenti ogni anno che passa.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paglia, che illustrerà anche la mozione Zan ed altri n. 1-00354, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

      GIOVANNI PAGLIA. Signor Presidente, premetto che nessuno vorrebbe mai parlare della propria terra, della terra da cui viene perché è costretto, come in questo caso, da eventi catastrofici, come è un'alluvione. Io, in particolare, sono anche imbarazzato a farlo per ragioni caratteriali e non sono mai a mio agio nell'intervenire per ricordare il dolore che può causare a delle persone un disastro naturale e nemmeno i danni che subiscono le persone e le cose in casi come questo. Però devo aggiungere che quelli di cui parliamo non sono cataclismi, non sono nemmeno punizioni divine, non sono capricci della natura. Quelli di cui parliamo oggi sono, invece, prodotti dell'uomo, nella sua responsabilità di soggetto che agisce o che non agisce, che trasforma il territorio incurante di stravolgerne l'equilibrio o che dimentica di agire in quelle che sono le necessarie manutenzioni, dimentica in altre parole di avere cura del territorio di cui vive.
      Quindi, dobbiamo parlarne e io credo che la Camera dei deputati sia il luogo giusto per farlo, perché è, poi, dalle leggi che noi facciamo e dalle risorse che noi impegniamo o neghiamo, che può dipendere il verificarsi di tragedie come quella che ha colpito la provincia di Modena e, in particolare, più di tutti gli altri, i comuni di Bomporto e di Bastiglia. E non vorrei che la giusta e forte attenzione che noi oggi mettiamo nel sollecitare aiuti per le popolazioni colpite e per il risarcimento dei danni economici subiti facesse passare, poi, in secondo piano, invece, il tema delle responsabilità e della prevenzione.
      Infatti, credo che non sia più tollerabile vivere in un Paese che dedica risorse straordinarie e ingenti alla ricostruzione, ma solo perché dimentica sempre di dedicare risorse ordinarie alla manutenzione. È sempre il giorno dopo che ci ricordiamo quanto importante sarebbe stato comportarsi correttamente il giorno prima, anche quando, come accade negli ultimi anni, non c’è più nulla di imprevisto né di imprevedibile, dato che la stagione autunnale coincide con la stagione dei crolli, delle frane e degli allagamenti.
      Questo non accade, naturalmente, perché sia cambiato il ciclo delle stagioni, nonostante l'impegno messo in questa direzione da un modello economico che continua imperterrito ad ignorare le domande poste dal riscaldamento globale e dai cambiamenti climatici, conseguenti, anche in questo caso, all'azione dell'uomo. No, questo accade perché è la nostra attenzione per la manutenzione del territorio ad essere ogni anno più bassa, nonostante esso sia ogni anno più fragile. Patto di stabilità, fiscal compact, tagli degli investimenti agli enti locali, austerità: tutte queste possono sembrare sillabe di una litania ripetuta tanto spesso da aver perso il proprio significato, da non riuscire a descrivere la realtà e quanto sia necessario agire per cambiarla radicalmente.
      Invece, non sono una litania, ma la causa prima degli argini che si spezzano Pag. 35perché le risorse sono insufficienti a garantire un adeguato monitoraggio e manutenzione, perché si è costretti – e lo dico fra pesanti virgolette – a razionalizzare i piani di intervento ovvero a dimezzarne la portata, perché nelle scelte di politica pubblica si devono mettere in concorrenza la tutela del territorio e quella della salute o della non autosufficienza. Questo fanno i nostri enti locali e le nostre regioni.
      L'Emilia Romagna è una terra che ha certamente dato troppo al consumo di suolo, di questo siamo tutti consapevoli, ha consentito un'eccessiva antropizzazione del territorio, però saprebbe ancora cosa significa pianificare il controllo dei propri alvei fluviali; eppure, deve vivere questa esperienza, perché nonostante sappia cosa sarebbe necessario, è costretta a fare i conti con mezzi insufficienti a garantire fino in fondo la sicurezza dei propri cittadini, perché quello Stato che ora è pronto con un decreto-legge d'urgenza che abbiamo appena approvato a riconoscere i danni, non era pronto, prima, a finanziare in via ordinaria la manutenzione.
      Sinistra Ecologia Libertà ha depositato un piano per il lavoro che si basa esattamente sull'idea che questo Paese abbia bisogno di un grande investimento sulla messa in sicurezza dei fiumi, delle montagne, delle spiagge e che di questo investimento solo lo Stato debba e possa farsi carico e che, se lo facesse, sarebbe possibile creare in tre anni un milione e mezzo di posti di lavoro. Perché, ammesso che sia vero che il lavoro non si crea per legge, è altrettanto vero che sono i bisogni a crearlo e che i bisogni, oggi, nel nostro Paese, sono pubblici molto più che privati e non è quindi il mercato a poterli soddisfare.
      Quindi, vorremmo che di questa nostra idea si potesse discutere se è vero che disoccupazione e drammi ambientali sono le vere emergenze di questo Paese, di un Paese che va a pezzi sul piano sociale e sul piano ambientale e non vorremmo che venisse invece derubricata a vantaggio di ipotesi ideologiche come il taglio delle tasse che sono facili da vendere però di dubbia efficacia.
      Se non lo si farà, se non si avrà la forza di superare il pregiudizio ideologico contro ogni tipo di intervento pubblico, io credo che non si avrà nemmeno il diritto di continuare a piangere le solite lacrime di coccodrillo e a recitare il rosario della solidarietà ad ogni inondazione, ad ogni frana, né si avrà il diritto di stupirsi quando, dopo un anno di sgravi fiscali, il barometro della disoccupazione segnerà esattamente il punto di partenza.
      Non servirà, allora, riprendere un dibattito surreale sulle responsabilità faunistiche del disastro, come quello a cui abbiamo dovuto assistere in Emilia Romagna in cui ad un certo punto, nelle ore immediatamente successive alla rottura di quell'argine, sembrava si trattasse di capire se addossarne la responsabilità alle nutrie, ai tassi, alle volpi o a chissà quale altro animale, come se, peraltro, questo togliesse qualcosa alle nostre responsabilità, di chi ha consentito lo stravolgimento degli habitat naturali e pensato che un ciclo di manutenzione o due fossero la stessa cosa.
      Non si tratta di avere impossibili nostalgie per gli equilibri naturali di cui non resiste nemmeno il ricordo, ma almeno di riacquisire la consapevolezza che tanto più si allontana un territorio fragile dalla sua ecologia «storica» tanto più è necessario investire continuamente nella sua cura e questo ha a che fare con la politica, non con l'idraulica e nemmeno con l'etologia.
      Veniamo quindi nello specifico all'esondazione che ha colpito la mia regione. Parliamo di circa 10 mila ettari allagati, sia di terreno agricolo che abitato che di insediamenti industriali, con danni già stimabili in decine di milioni di euro. Parliamo di quasi mille persone sfollate fra Sorbara, Albareto, Bastiglia e Bomporto e di una attività economica che si è bloccata in una zona già interessata anche dal sisma del 2012. Parliamo di 1.175 lavoratori in cassa integrazione, come prima stima, di cui 450 in deroga, per non parlare degli addetti all'agricoltura che Pag. 36non sono conteggiati. Anche se recenti stime sindacali di ieri ci dicono che cominciano già ad essere vicino alle duemila le persone che sono in cassa integrazione.
      Questi sono gli effetti sulle cose e sugli uomini di un evento che Paride Antolini, consigliere nazionale dell'ordine dei geologi, ha definito senza ombra di dubbio normale e prevedibile, ovvero 300-400 millimetri di piogge su un bacino idrografico perfettamente in grado di contenerli. E ha aggiunto che l'antropizzazione dei terreni che nel corso delle ere geologiche sono stati utilizzati dal fiume per il suo dilagare probabilmente non è stata una scelta saggia. Ora, quindi, ci troviamo per l'ennesima volta a fare la conta dei danni e a chiedere di assistere nella riparazione.
      Chiediamo che al più presto sia consentita l'esclusione dal Patto di stabilità interno delle spese sostenute dai comuni interessati dallo stato di emergenza sia quando queste siano sostenute con risorse proprie che con risorse dotate da terzi; chiediamo che sia modificato celermente il comma 8-bis dell'articolo 31 della legge n.  183 del 2011 così da rendere automatica questa esclusione in caso di calamità naturale, senza che sia necessario come oggi approvare ogni volta un'apposita norma di legge.
      Chiediamo che siano sospesi i termini per gli adempimenti e per i versamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria, ma soprattutto che questa sospensione riguardi anche il pagamento delle rate derivanti da obblighi contrattuali come i mutui e che questa sospensione sia valida per tutti coloro che abbiano subito danni dall'alluvione.
      Chiediamo anche che in questo periodo di sospensione non maturino interessi né sanzioni e che eventualmente sia possibile prevedere una rateizzazione degli arretrati.
      Chiediamo che siano reperite senza indugio le risorse necessarie al sostegno delle attività produttive che insistono nelle zone coinvolte, prevedendo contributi che arrivino senza dubbio al 100 per cento del danno subito e che sia possibile ottenere e spendere rapidamente per non pregiudicare la continuità produttiva. Chiediamo, infine, che vengano garantite tutte le disponibilità necessarie a finanziare gli ammortizzatori sociali nelle aree coinvolte, garantendo anche la cassa in deroga. Altrimenti, infatti, come dicevo, sono 2 mila i lavoratori che rischierebbero di rimanere senza un reddito per causa diretta dell'alluvione.
      Ma soprattutto, chiediamo che in tempi utili, che significa in tempi rapidissimi, sia attivato un piano di investimenti nella messa in sicurezza del territorio e nel riassetto idrogeologico da finanziarsi con risorse escluse dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del Patto di stabilità interno, anche utilizzando a questo fine le risorse messe a disposizione dal bilancio dell'Unione Europea. Parliamo molto di golden rule, di spazi finanziari da recuperare, di compiti da fare o da non fare a casa, ma è su questo che dovremmo portare l'Europa a concentrare l'attenzione, sul fatto che non si può permettere che l'Italia frani, che la nostra bellezza si disperda nel nome del rispetto di assurdi vincoli finanziari. «Ci sta venendo giù la Regione», ha detto a microfono aperto un uomo prudente come Vasco Errani, pochi giorni fa, invocando risorse per la cura del territorio. La sua, purtroppo, non era una paura, ma la constatazione di una realtà a cui porre rimedio oggi, non domani. Ci sta venendo giù San Leo, per essere chiari, una montagna sopra cui c’è un Paese storico.
      Questa è l'urgenza vera su cui vorremmo sperimentare la rapidità, quasi la fretta, del Governo, molto più che sulla legge elettorale, che invece potrebbe avere anche momenti di riflessione più lunghi. Per il momento possiamo solo constatare con piacere, al di là degli annunci, che due delle richieste contenute in questa nostra mozione, la sospensione dei pagamenti tributari e quella delle rate dei mutui, sono già legge dello Stato, grazie al decreto-legge approvato ieri anche con il nostro contributo, e questo è un bel segnale, perché per una volta la discussione politica, anche se fatta in ritardo, segue Pag. 37comunque le decisioni che nel frattempo sono state assunte. Però non possiamo che constatare che si tratta proprio delle misure che seguono un'emergenza, non di quelle che ne impediscono l'esistenza, che invece continuano a latitare. La sfida vera, invece, si gioca su queste, così come sulla capacità e volontà di dotarci finalmente di una legge quadro sulle calamita naturali che ci liberi dalla necessità di inseguire ogni volta il problema lasciando sindaci e amministratori locali appesi alla tempistica del Governo di turno, con decreti che si succedono, con scadenze brevi a cui immancabili seguono le proroghe in questo ciclo continuo di proroghe-scadenze-proroghe-scadenze. Non credo sia un volo di fantasia pensare che anche in Italia chi abbia la sfortuna di vivere il dramma di una calamità naturale sappia da subito semplicemente quali siano i suoi diritti e quali le modalità per esercitarli, anziché dover attendere regole sempre diverse, anche in relazione allo stesso caso.
      In conclusione, mi si perdonerà se ho trascurato il Veneto e mi sono soffermato soprattutto sull'Emilia Romagna (rimedierà qualche collega). È normale, perché si è toccati particolarmente dalle vicende che ti riguardano da vicino; però il problema vero è che del Veneto avrei potuto dire esattamente le stesse cose, utilizzando le stesse parole, semplicemente sostituendo a Sorbara, Albareto, Bomporto e Bastiglia, Bovolenta, Battaglia Terme, Montegrotto Terme e Selvazzano. Ma avremmo potuto parlare anche di Sardegna oggi, come ne abbiamo parlato colpevolmente ieri, per dimenticarcela.
      Infatti, alla fine parliamo di un tema che è nazionale, che ci coinvolge tutti, e questo ci dice molto di un Paese che è stato capace di permettere il consolidamento di grandi disuguaglianze fra i diversi territori, ma li ha unificati tutti in un modello sbagliato di sviluppo e di utilizzo delle risorse, che li rende tutti esposti e ugualmente fragili. È una strana unità nazionale quella che si costruisce sulle negatività e non sulle eccellenze, sulla solidarietà che segue le tragedie e non su quella che ci protegge dal rischio. Per questo, francamente, mi auguro di non dover più presentare mozioni di questo tipo, ma di approvare finalmente leggi che diano a questo Paese più sicurezza e più lavoro, come quella, appunto, che noi abbiamo già presentato per un green new deal, sempre in attesa naturalmente che anche la maggioranza ed il Governo si decidano finalmente a fare un passo (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gigli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00364. Ne ha facoltà.

      GIAN LUIGI GIGLI. Signor Presidente, il nostro Paese ha certamente attraversato nei mesi di gennaio e febbraio un periodo di gravi eventi atmosferici con un'ondata di maltempo che è stata fuori dal comune e che ha comportato serie criticità dal punto di vista dell'assetto idrogeologico in diverse regioni.
      Il collega Paglia ha appena finito di richiamare la situazione in particolare dell'Emilia Romagna, io vorrei soffermarmi di più, appunto, su quella della regione Veneto dove i persistenti rovesci piovaschi hanno prodotto gravissimi danni alle persone, alle cose, alle strade, agli edifici pubblici e privati, al territorio nel suo complesso. In alcune zone della montagna veneta, particolarmente nel Cadore, nella Valle d'Agordo, nella Val Zoldana, a causa dell'abbondanza delle precipitazioni nevose e del successivo appesantimento della neve per la pioggia che le è succeduta, alcune località – ne cito una sola, Sappada, per esempio – sono rimaste per molti giorni senza elettricità, con enorme danno per la vita dei residenti, con compromissione del turismo che costituisce l'unica vera risorsa economica del luogo. I black-out elettrici che si sono verificati sono tanto più inaccettabili se si considera che essi tendono a riprodursi nel tempo (l'ultimo di essi si era verificato soltanto alla fine del 2013) e che sono stati provocati dall'inadeguatezza della rete di distribuzione locale, in zone peraltro che sono produttrici di abbondante energia Pag. 38elettrica, il cui convogliamento nella rete di distribuzione nazionale non ha invece subito alcuna compromissione. Nel Comune di Rocca Pietore, ai piedi della Marmolada, una valanga prodottasi per le eccezionali nevicate ha distrutto gli impianti di risalita, compromettendo del tutto la stagione turistica.
      I danni prodotti, la cui entità – voglio ricordare – sarà possibile accertare in via definitiva con opportuni sopralluoghi solo dopo il disgelo e dopo la completa scomparsa del manto nevoso che ancora grava sugli edifici, hanno costretto i comuni interessati a sottoporsi a notevoli spese per sgombrare la neve, per manutenzionare le strade, per ripristinare i collegamenti, con consumi eccezionali di carburanti, con ricorso massiccio alle ore straordinarie del personale dipendente e con necessità di ricorrere anche a ditte appaltatrici esterne, senza contare i vincoli di spesa legati al Patto di stabilità e non tenendo conto, altresì, dei danni ingenti prodottisi a carico dei privati. A causa dei danni prodotti dalla neve e dalle piogge particolarmente abbondanti, la regione Veneto si è vista costretta a dichiarare lo stato di crisi con decreto del Presidente della giunta regionale datato 3 febbraio 2014.
      Accanto al Veneto, lo abbiamo appena ascoltato dal collega Paglia, gli eventi atmosferici eccezionali hanno particolarmente colpito anche l'Emilia Romagna, regione nella quale nel mese di gennaio si è assistito ad una alluvione di pianura di dimensioni molto preoccupanti che ha raggiunto l'estensione di circa diecimila ettari e che ha prodotto ingenti danni economici in una regione, che peraltro era già stata colpita duramente da recenti fenomeni di natura tellurica. Particolarmente emblematica, appunto, la situazione prodottasi nel Modenese.
      Purtroppo queste situazioni non hanno nulla di episodico o di localistico, ma interessano tutto il territorio nazionale e si ripresentano periodicamente in maniera diversa e sempre più preoccupante in varie aree, dal nord al sud del Paese.
      Il dissesto della montagna, peraltro, se è aggravato dagli eventi atmosferici eccezionali, risente tuttavia della perdurante scarsa valorizzazione dell'ambiente montano, depauperato dei servizi essenziali dai tagli alla spesa, privato di opportunità di lavoro e costretto allo spopolamento progressivo. L'abbandono della montagna assume un ruolo di primo piano anche come causa del dissesto idrogeologico e dei danni ingenti che si producono nei territori a valle, sui quali spesso la massa d'acqua si riversa dalla montagna in maniera incontrollabile. Balza agli occhi, a questo riguardo, la profonda differenza che si ha tra la nostra montagna, tra la montagna del bellunese, e aggiungerei anche la montagna friulana, e la montagna della vicina Austria o di quella regione particolarmente benedetta del nostro Paese e che è l'Alto Adige, il Sud Tirol.
      Tali criticità oltre ad arrecare ingenti danni a persone e proprietà private, hanno peraltro seriamente compromesso anche il nostro patrimonio artistico e architettonico che rappresenta il volano potenziale per un nuovo sviluppo economico ed imprenditoriale incentrato sul turismo di alta qualità.
      Non siamo in Veneto, non siamo in Emilia Romagna ma occorre citare, con amarezza e sgomento, i crolli delle mura perimetrali prodottesi nella città di Volterra, unico ed irripetibile esempio di commistione tra architettura medievale ed etrusca, per un danno complessivo di oltre due milioni di euro.
      Anche nel Lazio si è assistito a continue frane, smottamenti, allagamenti a danno di intere comunità, che hanno messo a rischio l'incolumità dei cittadini, nonché l'inestimabile patrimonio artistico della città di Roma e di tutto il territorio regionale.
      Ancora oggi vi sono dei pezzi di strada coinvolti dalle frane nella città di Roma e tutt'ora chiusi. Abbiamo assistito impotenti ad ulteriori crolli nell'area archeologica di Pompei, riferibili probabilmente anch'essi alle forti precipitazioni che producono sia l'ennesimo danno ad un patrimonio artistico unico nel mondo che Pag. 39una profonda lacerazione all'immagine del nostro Paese, da sanare con estrema urgenza.
      Questi avvenimenti richiedono certamente interventi urgenti al fine di riparare i danni subiti da cose e persone, ma ciò non può rimediare in via definitiva al degrado complessivo del tessuto idrogeologico del nostro Paese, che necessita invece di un intervento ben più ampio e di lungo respiro. Gli interventi emergenziali, infatti, sono chiaramente molto meno efficienti di un intervento costante e razionale di manutenzione ordinaria del territorio, che comporta sul lungo periodo spese molto minori e consente di evitare ripetuti e ingenti danni alle persone, ai patrimoni privati, al patrimonio architettonico ed artistico delle comunità.
      I vincoli del patto di stabilità pongono persistenti ostacoli ad un intervento efficiente e razionalizzato degli enti locali in materia, in quanto tali interventi spesso non rientrano nelle regole eccessivamente rigide che sono alla base di un patto che ha imbrigliato la spesa pubblica anche in settori così cruciali. Per questo la mozione dei Popolari per l'Italia chiede con forza al Governo di predisporre iniziative, certamente di natura anche normativa, finalizzate al sostegno delle comunità colpite dagli eventi atmosferici eccezionali di gennaio e febbraio 2014, se possibile anche attraverso interventi sospensivi in materia tributaria, contributiva e similari. Registriamo a tale proposito positivamente la sospensione che è stata oggetto del decreto-legge approvato ieri. Chiede però anche di pianificare interventi volti ad attenuare i vincoli del patto di stabilità, in particolare per quanto riguarda i capitoli di spesa inerenti al dissesto del territorio, alla manutenzione degli edifici, alla messa in sicurezza della rete stradale.
      Chiede infine, e soprattutto, di prendere in considerazione iniziative di natura normativa volte a garantire maggiori risorse finalizzate a ridurre il consumo di territorio, a valorizzare la montagna, a contrastare il dissesto idrogeologico, anche con riguardo alle aree di particolare interesse storico-artistico e anche considerando il potenziale grave pregiudizio per un settore economico cruciale per il nostro Paese. Ci auguriamo che il Governo vorrà assumersi questi impegni seriamente tra le sue priorità di breve, medio e lungo termine.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Palese, che illustrerà anche la mozione Brunetta ed altri n. 1-00365, che ha testé sottoscritto. Ne ha facoltà.

      ROCCO PALESE. Signor Presidente, mi limiterò ad un'illustrazione della mozione, una sintesi, poi depositerò anche l'intervento completo e articolato che era stato predisposto.
      È evidente che la serie storica degli eventi climatici estremi o di livello eccezionale avvenuti lo scorso anno in Toscana e nel corso dell'inizio dell'anno in Emilia-Romagna e in contemporaneità nelle regioni del Veneto e del Friuli Venezia Giulia conferma l'indicazione di due elementi dominanti: da un lato un evidente aumento della frequenza degli eventi verificatisi negli ultimi trent'anni e dall'altro la persistente vulnerabilità di territori fortemente antropizzati. È fin troppo evidente che le cause sono varie, comprese anche quelle soprattutto di un cattivo utilizzo del territorio.
      Gli atti di indirizzo e di controllo ripropongono nuovamente la almeno duplice esigenza di intervenire in modo tempestivo al verificarsi di tali calamità atmosferiche, sia nei riguardi delle popolazioni colpite da questi «uragani del Mediterraneo» – terminologia specifica recentemente utilizzata dai climatologi per specificare meglio questi eventi climatici – le cui precipitazioni sono concentrate in un tempo molto breve, le cosiddette «bombe d'acqua», che per sostenere quelle amministrazioni che, avendo già attivato sistemi di valutazione del territorio, si trovano senza risorse.
      Gli eventi pluviali di particolare intensità, che hanno interessato le regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna, hanno determinato una serie di complesse difficoltà di livello emergenziale, Pag. 40in estese parti degli insediamenti abitati nelle località implicate, provocando frane, allagamenti, esondazioni ed interruzioni della viabilità ordinaria e dei collegamenti ferroviari, causando addirittura vittime.
      Numerosissime comunità locali ad alta densità abitativa i cui insediamenti produttivi, commerciali ed agricoli, fondamentali per il tessuto socioeconomico delle aree territoriali regionali coinvolte, sono state infatti completamente devastate dall'alluvione e versano tutt'oggi a distanza di circa un mese e mezzo dall'accaduto, in condizioni di estrema gravità.
      Gli interventi stanziati a livello regionale dalla giunta regionale del Veneto e dalla deliberazione dello stato di emergenza per l'alluvione del gennaio 2014 in provincia di Modena dal Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2014, non sono in grado di fronteggiare da soli, neanche in minima parte, i gravissimi danni infrastrutturali e ambientali, derivanti dal dissesto idrogeologico, che ha provocato frane e smottamenti in vaste porzioni di aree interessate dall'evento, né conseguentemente le esigue misure finanziarie al momento previste, appaiono sufficienti per avviare il ripristino delle condizioni di normalità.
      La sospensione del pagamento dei tributi e dei contributi per i comuni veneti interessati dalle piogge torrenziali, che hanno subito danni gravissimi, prevista all'interno del decreto-legge sul rientro dei capitali è solo un primo passo necessario ma non sufficiente per alleviare le sofferenze patite dalle famiglie e delle imprese delle aree interessate e non c’è dubbio che, al di là di questi aspetti specifici, ieri è emersa nel dibattito – e non solo ieri – la grande necessità che il Governo procedesse ad attuare un disegno di legge di una legge quadro di riordino all'interno dell'ordinamento italiano legislativo per poter avere una programmazione annuale, sia di risorse e sia di interventi, senza tenere all'interno del Parlamento sedute, come si sono verificate ieri, con grandi contraddizioni all'interno stesso e non solo per le risorse, ma anche di competizione all'interno dei territori.
      Le sollecitazioni che provengono dalle molteplici amministrazioni locali, del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e dall'Emilia Romagna, descrivono uno scenario complessivo che tuttora permane di estrema gravità e quindi è necessario che non sono per la parte delle infrastrutture, delle strade, delle ferrovie e quant'altro ci sia un intervento molto forte. Così come, nelle province di Udine e Pordenone, le forti precipitazioni, hanno causato l'esondazione del fiume Sile, determinando ingenti danni per numerosi comuni interessati all'interno di abitazioni private, edifici pubblici e attività commerciali. Anche nell'alto Friuli in particolare a Tarvisio, risultano di particolare rilevanza, i danni causati dal maltempo. Nella confinante regione Veneto, in contemporaneità con quanto avvenuto in Friuli Venezia Giulia, la ricognizione dei danni è veramente di grandi cifre su cui bisogna essenzialmente intervenire. L'eccezionale ondata di maltempo che ha attraversato gran parte del territorio veneto, i cui danni finanziari risultano provvisoriamente quantificati dallo stesso Presidente Zaia, pari a 475 milioni di euro – questa è la prima stima – ha coinvolto anche l'area dolomitica e prealpina, causando l'interruzione dell'erogazione dell'energia elettrica nei Paesi dell'alto Cadore, rimasti isolati, e la chiusura di passi e impianti sciistici.
      Uno scenario di evidente gravità, le cui straordinarie precipitazioni hanno saturato fin quasi al collasso, le opere di difesa idraulica, causato centinaia di frane con numerose interruzioni della viabilità in tutte le zone montane fin qui citate di queste regioni, ma anche nel contesto del territorio nazionale. La deliberazione regionale dello stato di calamità, decisa dal Presidente Zaia e la conseguente richiesta della dichiarazione dello «stato di emergenza», come previsto dalla normativa vigente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri a seguito delle nevicate eccezionali e dai pericoli derivanti dalla tenuta Pag. 41dell'intero sistema fluviale, è stato un altro intervento insieme agli stanziamenti fatti a livello locale
      Così come l'Emilia Romagna, nelle giornate dal 17 al 19 gennaio 2014, ed in particolare il territorio della provincia di Modena è stato colpito da gravi eventi alluvionali, dove anche qui la prima stima che viene effettuata è di circa 400 milioni di euro. Sul fronte dei risarcimenti, in questo caso il Consiglio dei Ministri è intervenuto lo scorso 31 gennaio dichiarando lo stato di emergenza nel territorio della provincia di Modena, attribuendo per l'attuazione dei primi interventi nelle more della ricognizione in ordine agli effettivi ed indispensabili fabbisogni, 11 milioni di euro, a valere sul Fondo per le emergenze nazionali.
      Pertanto signor Presidente, onorevoli colleghi, avviandomi alla conclusione, rilevo come all'interno della dettagliata mozione presentata dal nostro gruppo di Forza Italia, emerge anche nei confronti di questi ultimi eventi calamitosi, la necessità di prevedere da parte del Governo e delle istituzioni comunitarie, un cambio di passo nei riguardi della difesa del suolo e della sua tutela a seguito del verificarsi di alluvioni di così grave intensità come oramai si verificano negli ultimi anni. Occorre una nuova strategia volta ad imprimere una svolta alle politiche di gestione del territorio. I soliti interventi di manutenzione e riparazione dovrebbero essere inquadrati in una strategia pluridisciplinare che ha come presupposto l'individuazione del modello di insediamento antropico che si vuole favorire sul territorio e quindi delle forme di sostegno alle comunità, anche di quelle che abitano nelle aree marginali.
      In questo schema ripetitivo di emergenza perenne, trova la spiegazione di una sempre più ridotta disponibilità di risorse pubbliche a disposizione delle regioni e del Ministero dell'Ambiente per la protezione dal dissesto idrogeologico.
      È il caso di perseguire alla elaborazione e all'effettiva introduzione di un programma nazionale per la manutenzione, la sicurezza e la revisione degli usi sul territorio, che sia fondato sulle competenze esistenti a livello nazionale, regionale e locale, sostenuto da risorse certe e su base regionale e non su interventi sporadici, insufficienti, che sanno di beffa come i 30 milioni previsti nella legge di stabilità per il 2014 per la prevenzione dei rischi per le frane e le alluvioni.
      Pertanto, concludo il mio intervento evidenziando come la filiera degli interventi, richiesti all'interno della mozione presentata dal gruppo di Forza Italia, nei confronti delle aree alluvionali che hanno colpito nei mesi scorsi il Veneto, il Friuli Venezia-Giulia e l'Emilia Romagna, sia coerente e indispensabile per fronteggiare l'attuale fase emergenziale e la domanda di aiuto proveniente dalle comunità locali e dalle amministrazioni coinvolte. Una filiera di misure che si inseriscono all'interno di un più ampio piano nazionale di prevenzione del territorio e di messa in sicurezza che il Governo dovrebbe in tempi rapidi introdurre in modo concreto e approvare.
      Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

      PRESIDENTE. A questo punto, colleghi, abbiamo una ricorrenza da commemorare.

In ricordo di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (ore 13).

      PRESIDENTE. (Si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea e i membri del Governo) Come sapete, colleghi, oggi ricorre il ventesimo anniversario della barbara uccisione a Mogadiscio di Ilaria Alpi, inviata del Tg3 Rai in Somalia, e dell'operatore tv Miran Hrovatin, che si trovavano nel Corno d'Africa per seguire la guerra tra fazioni che stava insanguinando il Paese africano e per svolgere un'inchiesta su un traffico d'armi e di rifiuti tossici illegali.Pag. 42
      La loro memoria e la loro storia sono state ieri ricordate qui alla Camera in una significativa cerimonia, a cui hanno partecipato i familiari e moltissimi colleghi.
      Purtroppo, ancora oggi restano non chiariti i moventi e i contorni dell'uccisione dei nostri connazionali.
      Per parte sua, la Presidenza, come specificato anche ieri, è impegnata affinché dalla Camera possa venire un forte impulso a soddisfare la legittima richiesta di giustizia dei familiari e dell'opinione pubblica.
      Oggi qui in Aula rendiamo ulteriore omaggio alle figure di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che hanno pagato con la vita il loro impegno professionale alla ricerca della verità. Ma insieme a loro cogliamo l'occasione per ringraziare i giornalisti e gli altri operatori dell'informazione che, per consentire all'opinione pubblica di conoscere ciò che avviene nelle zone del mondo devastate dai conflitti armati, non esitano a correre rischi elevati, talvolta mortali. È un compito, il loro, che nessuno sviluppo tecnologico dei media può sostituire: ci sarà sempre bisogno di qualche testimone che vada di persona sul luogo delle guerre, sfidando le armi e le propagande per permetterci di sapere.
      Ha chiesto di parlare il deputato Angelo Tofalo. Ne ha facoltà.

      ANGELO TOFALO. Signor Presidente, non è semplice in questi momenti trovare le parole giuste senza eccedere in qualche affermazione troppo forte, perché Ilaria aveva 32 anni, quasi 33, proprio l'età mia (d'altronde, l'età media che ha il mio gruppo parlamentare). Sappiamo che a quest'età, Presidente, si ha dentro quell'energia per la quale nulla sembra impossibile. Andiamo avanti come dei treni, credendo di potere superare qualsiasi ostacolo abbiamo davanti, di sfondare qualsiasi muro. Ilaria era un treno, un treno di grinta e di passione nel perseguire l'obiettivo, voglia di trasparenza e di raccontare la verità.
      Insieme a Miran Hrovatin aveva raccolto prove inconfutabili e probabilmente aveva scoperto il traffico di rifiuti tossici, in cambio di armi e soldi, che avveniva in Somalia, durante le cosiddette «missioni di pace» in cui erano coinvolti anche esercito ed istituzioni italiane e per questo furono uccisi. Oggi conosciamo la verità storica ma non quella giuridica e le istituzioni sono in grandissimo debito con Ilaria, con la sua famiglia e con quella di Miran.
      All'epoca dei fatti avevo solo 13 anni. Ricordo che si parlò molto di quella vicenda, ma se ancora oggi ci troviamo qui, dopo vent'anni, a ricordarla e a ricordare anche Miran è grazie a Giorgio, il padre ora scomparso, e la madre, Luciana, che hanno avuto la forza di tenere in vita Ilaria e la sua storia a distanza di tanto tempo.
      Mi sono sfogliato in questi giorni le oltre 1.400 pagine della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso, che produsse bene tre relazioni, una di maggioranza e due di minoranza. In questi giorni, tra l'altro, ho sentito tante belle parole. Ora, però, ci vogliono i fatti, perché se il segreto di Stato si appone quando si mette a rischio la sicurezza della Repubblica, è altrettanto vero che non si può nascondere la verità sulla vita di vittime innocenti, una donna e un uomo che dovrebbero essere onorati da tutti semplicemente e solo portando alla luce la verità.
      Tante belle parole. La Ministra Mogherini ha detto che Ilaria è stata un suo modello, la Ministra Pinotti era nella Commissione di inchiesta e insieme alla collega Bindi partecipò all'elaborazione di ottimi documenti. La Presidente Boldrini anche ha speso parole condivisibili e giuste. Parliamo di donne della maggioranza, dell'attuale Presidente della Commissione antimafia, la Bindi, parliamo dei Ministri della difesa e degli affari esteri, che – vorrei ricordare – fanno parte del Governo e sono seduti al tavolo della CISR, Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica. Quindi ci sono tutte le carte in regola per procedere senza indugi. Quindi mi rivolgo all'ultimo tassello, l'ultimissimo, ovvero al Presidente Matteo Renzi, che ora deve decidere se essere la faccia acqua e sapone che cela traffici di Pag. 43armi, rifiuti e omicidi o «rottamare» davvero con i fatti per la prima volta qualcosa usando i suoi poteri. Proprio qui a pochi metri da noi ci sono i fascicoli con le verità nascoste. Basta avere la volontà politica di alzare la mano, metterla in quegli archivi e aprire questi fascicoli. Basta avere il coraggio di assumersi le proprie responsabilità. E concludo con una domanda a lei, Presidente, e a tutti i presenti in Aula e anche a quelli che magari girano ancora nei corridoi di questo Palazzo e sanno qualcosa più di noi. Mi domando: se Ilaria all'epoca avesse potuto twittare, se Ilaria all'epoca avesse potuto scrivere uno status su Facebook o postare una foto, oggi sarebbe ancora viva ? Forse no, ma forse avremmo sicuramente qualche informazione in più su quella verità che lei con grande passione voleva raccontarci. Ciao Ilaria, ciao Miran (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Petitti. Ne ha facoltà.

      EMMA PETITTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei rivolgere innanzitutto un sentito ringraziamento alla Presidente della Camera, Laura Boldrini, che con grande sensibilità e vicinanza ha consentito ieri la realizzazione, per la prima volta in assoluto, di un momento pubblico dedicato a Ilaria Alpi e a Miran Hrovatin nella cornice della Sala della Regina. Oggi, sono trascorsi vent'anni esatti dal giorno in cui la giornalista Ilaria Alpi e il collega Miran Hrovatin, due professionisti appassionati del loro lavoro e dei luoghi che per lavoro hanno frequentato, furono tragicamente uccisi a Mogadiscio, in Somalia. Ricordare Ilaria e Miran significa parlare di giornalismo di inchiesta, di malaffare, di mafie. Significa fare tesoro degli insegnamenti della storia del nostro Paese, affinché certi episodi non accadano più, significa oggi esigere verità e giustizia. Uno dei tanti casi italiani che non ha ancora trovato verità giudiziarie: un complicato mosaico analogo a quello di altri misteriosi morti che hanno insanguinato la storia della nostra Repubblica, caratterizzati da omertà e depistaggi. E come è accaduto in tanti di quelli che vengono chiamati misteri italiani, fra noi e la verità si frappone un muro di gomma. Le istituzioni si sono occupate del caso, con i lavori di tre commissioni di inchiesta e con l'ultima, presieduta da Taormina, che si è conclusa nel febbraio 2006, sono state tre le relazioni diverse che hanno sancito un iter complesso e contraddittorio, durante il quale addirittura è stata messa in discussione la relazione tra l'omicidio e il lavoro svolto da Ilaria, arrivando ad ipotizzare che i due inviati RAI fossero in Somalia in villeggiatura. Tesi a cui noi non abbiamo mai creduto, ritenendola offensiva nei confronti di due appassionati e impegnati professionisti. Che oggi poi sussista un desiderio diffuso di fare chiarezza è confermato anche dalla recente raccolta di firme promossa da Articolo 21, che in pochi giorni ha raggiunto più di cinquantamila adesioni. Noi oggi riteniamo sia doveroso che il Governo assuma tutte le iniziative di competenza per mettere a disposizione della giustizia le informazioni e i documenti del servizio segreto civile, affinché si giunga finalmente all'individuazione dei mandanti del duplice omicidio. Siamo sulla buona strada, lo sappiamo, perché l'accoglimento da parte della Presidente Boldrini della richiesta di Greenpeace di desecretare i documenti acquisiti in oltre dieci anni sui traffici internazionali di rifiuti, incluse le navi dei veleni, è sintomo dell'inizio di un percorso che auspichiamo possa essere celere.
      E mentre oggi, alla presenza del Ministro degli affari esteri Mogherini si inaugura al Maxxi la mostra fotografica dedicata a Ilaria Alpi, è importante che venga realizzato anche un archivio organico sul caso Ilaria Alpi, che deve diventare uno status di archivio da parte della sovrintendenza archivistica, in considerazione dell'unicità del valore sociale e civile dei documenti che sono stati conservati per anni dall'associazione Ilaria Alpi, e che possano essere anche resi pubblici a più persone possibili.Pag. 44
      Un pensiero infine voglio rivolgerlo all'associazione Ilaria Alpi, che dal 1995, grazie all'impegno anche della regione Emilia Romagna e del comune di Riccione, è diventato uno dei concorsi giornalistici più prestigiosi in Italia.
      Grazie alla presenza di Luciana e Giorgio Alpi, e al padre di Ilaria, a cui noi oggi ci vogliamo stringere in un abbraccio ideale, rappresenta non solo un modo per omaggiare la memoria di colei che ha pagato con la vita la ricerca della verità, ma uno strumento per valorizzare il lavoro di coloro che svolgono con la stessa passione civile ed etica la professione e che vogliono raccontare la realtà.
      Concludo, dunque dicendo che verità, giustizia e memoria noi oggi le dobbiamo a Ilaria Alpi, a Miran Hrovatin e alle loro famiglie. Lo dobbiamo all'Associazione Ilaria Alpi e al Premio che lavorano con passione e impegno civile esemplari e a tutti coloro che nella ricerca della verità e della giustizia, nel senso etico e nell'impegno, trovano in lei e nel suo lavoro un punto di riferimento e un tesoro da custodire e tramandare (Applausi).

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il collega Bernardo. Ne ha facoltà.

      MAURIZIO BERNARDO. Signor Presidente, ancora una data tragica e simbolica, ancora una commemorazione, ancora rimpianti, ma soprattutto ancora un mistero. È il mistero della morte di Ilaria Alpi stavolta, della giornalista italiana del TG3 assassinata da un commando a Mogadiscio il 20 marzo del 1994 insieme all'operatore Miran Hrovatin.  Perché quel giorno davanti all'hotel Amana non si verificò un fatto qualsiasi, quello non fu uno dei soliti e barbari ed episodi che si verificano in zone del pianeta instabili, sconvolte, confuse. Ilaria tornava da un periodo trascorso nel nord est della Somalia e questa era la settima volta che si recava in quel Paese. Aveva osservato, indagato, compreso, cercava dati, fatti che facessero chiarezza sul traffico illecito di armi su una lunga e complessa storia dei rifiuti. Su una storia, dunque, difficile e complicata, ma di grande impatto sociale ed etico. Su una brutta, bruttissima storia. Aveva da poco incontrato il sultano del Bosaso, conosciuto dati, fatti, elementi di grande significato. Ma da una Land Rover parcheggiata poco lontano scese un commando di sette uomini e un colpo di kalashnikov alla tempia uccise sul colpo Ilaria ed una raffica chiuse per sempre gli occhi di Hrovatin.  E lì in quel giorno, in quel momento preciso, morirono Ilaria e l'operatore, ma nacque nello stesso tempo un mistero che le tante inchieste, le indagini del Parlamento, le ricerche di ogni tipo non sono riuscite ad oggi a chiarire. Alla Camera sono partite le procedure per desecretare i documenti che potrebbero far luce sull'episodio. Tante iniziative, un film, libri, articoli e inchieste e dissertazioni non hanno mai finito di accompagnare questo mistero. A questo punto, dobbiamo anche qui arrivare alla verità e proprio nello sforzo per raggiungere la verità vera, risiede non solo il nostro dovere degli uomini delle istituzioni, ma anche la domanda che ogni cittadino di questo Paese rivolge a noi e all'autorità del nostro Stato (Applausi).

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Locatelli. Ne ha facoltà.

      PIA ELDA LOCATELLI. Signor Presidente, nel parlare di Ilaria Alpi vorrei in primo luogo ricordare che il suo fu uno dei rarissimi casi di assunzioni alla RAI tramite concorso pubblico. Ilaria fu assunta non perché figlia di qualche potente, perché raccomandata, ma perché era brava e perché sapeva l'arabo; una bravura e una professionalità che purtroppo l'hanno portata alla morte. La sua inchiesta sulle armi e sul traffico illegale di rifiuti tossici hanno dato fastidio a qualcuno e adesso, come ha chiesto la Presidente Boldrini, è giusto che si faccia piena chiarezza su quanto avvenuto e che si tolga il segreto sugli atti relativi all'omicidio di Alpi e di Hrovatin.
      Ilaria cercava la verità, il minimo che le dobbiamo è cercare, anzi pretendere la verità sulla sua morte. La vicenda di Ilaria Pag. 45si affianca a quella di tanti giornalisti e giornaliste, reporter, cameraman e camerawoman, che vengono sequestrati, torturati e a volte uccisi perché svolgono il loro lavoro in maniera seria ed onesta. Secondo l'ultimo rapporto dell'organizzazione Reporters without borders, solo nel 2013 sono stati assassinati 71 giornalisti e giornaliste, 39 blogger, mentre altre 87 giornalisti e 389 blogger sono stati sequestrati.
      Sono loro che riabilitano una professione che, quando va oltre il gossip della politica o quando non è al servizio dei potenti, ha un'alta e nobile funzione sociale.
      A loro va il nostro ricordo, il nostro omaggio e il nostro profondo «grazie» (Applausi).

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Palese. Ne ha facoltà.

      ROCCO PALESE. Signor Presidente, il 20 marzo 1994 un comando somalo uccide a Mogadiscio la giornalista Ilaria Alpi, inviata del TG3 in Somalia, e l'operatore Miran Hrovatin.  Erano nel Corno d'Africa per seguire la guerra tra fazioni che stava insanguinando il Paese africano e la missione delle Nazioni Unite, concordata con gli Stati Uniti, con l'appoggio di numerose nazioni alleate, compresa l'Italia, per porre fine alla guerra interna e ristabilire la legalità nello scenario somalo.
      Rimpatriati i loro corpi, a Trieste viene effettuata l'autopsia di Miran Hrovatin.  A Roma, sul corpo di Ilaria Alpi, non viene disposta nessuna autopsia, ma solo un esame medico esterno. Spariscono alcune delle cassette girate da Miran Hrovatin e i taccuini con gli punti di Ilaria Alpi. A Roma arrivano solo i due taccuini, ancora intonsi, e i bagagli arrivano con i sigilli violati.
      L'ambasciatore sottrae il foglio di protocollo che era contenuto nel taschino della camicia di Ilaria, con appuntati dei numeri telefonici.
      Secondo la seconda perizia balistica, il colpo che ha raggiunto Ilaria Alpi fu sparato da lontano. I periti della famiglia Alpi sono contrari. Il magistrato ordina quindi una superperizia, effettuata da un collegio di periti. Le conclusioni stabiliscono che il colpo che ha raggiunto Ilaria e Miran è stato sparato a bruciapelo. Per i periti si tratta dunque di un'esecuzione.
      Non voglio entrare qui nel merito di una vicenda processuale che dura da vent'anni ed in cui le contrapposte perizie dimostrano la complessità del percorso che dovrebbe condurci alla verità. Di questo percorso fa parte anche l'istituzione, il 13 luglio 2003, da parte della Camera dei deputati, della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e che è sfociata, dopo tre anni, nell'approvazione di due opposte relazioni.
      L'unica cosa che chiedo è che la figura di due giovani ragazzi, che amavano la propria professione tanto da sacrificare la loro vita, sia onorata dal rispetto che si deve ai morti e dall'accertamento della verità sul loro omicidio (Applausi).

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Migliore. Ne ha facoltà.

      GENNARO MIGLIORE. Signor Presidente, a vent'anni dal barbaro omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, credo che la pura commemorazione non sia sufficiente per onorare la memoria, che viene ogni anno ricordata attraverso un premio importante e straordinario, che mantiene una continuità relativamente all'impegno che questo difficile mestiere, quello dell'inviato e del giornalista, propone nel nostro tempo. Un tempo di conflitti, un tempo nel quale l'accertamento della verità, per questo come per altri segreti della nostra Repubblica, non è stato adeguatamente perseguito.
      E quindi quella indagine, quella indagine le cui prove documentali non sono state completamente acquisite – perché è noto che ci siano state oltre due ore di registrazione con il sultano, che avrebbe denunciato la presenza di un commercio illecito, che avrebbe determinato un passaggio dall'Italia di armi e rifiuti tossici, in cambio del mantenimento di un potere dei Pag. 46signori della guerra, in un'epoca nella quale la Somalia era stata così barbaramente devastata dalla guerra civile, che non è ancora finita – e quelle prove documentali, che sono state ridotte a 37 minuti di girato – come ieri è stato anche ricordato, in una meritevole ed importante iniziativa, che ha visto la presenza della madre di Ilaria Alpi, Luciana, e di alcuni testimoni e di rappresentanti dell'associazione Ilaria Alpi – rappresentano una ferita nella storia della nostra Repubblica.
      Una ferita che non è stata rimarginata – ed è importante dirlo in questa sede – neppure dalla presenza di una Commissione d'inchiesta, che nel nostro Parlamento si è tenuta, che non ha accertato definitivamente le responsabilità che, non solo dal punto di vista processuale, ma anche dal punto di vista politico, dovevano essere ancora chiarite. Tutto ciò, nel nome di tanti e tante giornalisti e giornaliste che hanno sacrificato la loro vita, tutta la loro vita, nella ricerca della verità, nella ricerca delle verità scomode, nella ricerca delle verità celate da un Paese che non è stato neanche capace – cosa che aveva visto la signora Luciana Alpi – di vedere che, nel trasporto dei bagagli della stessa Luciana Alpi, erano stati violati i sigilli, cosa di cui si è resa conto la madre guardando un filmato. All'inizio, nel carico dei bagagli, c'erano i sigilli; alla fine, nel trasporto della salma e dei bagagli, quei bagagli erano stati violati con la scomparsa di taccuini e documenti. Ebbene, dal punto di vista del processo, ci sarà un iter, ma, dal punto di vista politico, io penso sia arrivato il momento di riaprire, ancora una volta, questa pagina perché lo dobbiamo alla verità, al nostro Paese e a tutti coloro i quali, a partire dai familiari e dall'Associazione Ilaria Alpi, hanno lavorato nel corso di questi anni per restituirci una verità che ci è stata fino ad oggi negata (Applausi).

      SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Chiedo di parlare.

      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

      SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, sia nella giornata di ieri che anche oggi abbiamo voluto raccontare, per mantenerne vivo il ricordo, una vicenda che rimane scolpita nella storia nazionale, non solo per l'impegno straordinario degli inviati speciali in teatri di guerra, ma anche per la drammaticità della vicenda medesima. Drammatica, come ha ricordato il collega Tofalo all'inizio del suo intervento, non solo per l'età della giovanissima inviata speciale, ma soprattutto perché i contorni di quella vicenda avvennero dentro un quadro di guerra drammatico, crudo per la sua violenza, e soprattutto per quegli intrecci che, in quella parte del mondo così drammaticamente provata, mettevano insieme il commercio di armi e rifiuti tossici. Fu una vicenda, quindi, che colpì molti di noi, che in quegli anni, ricordavano l'impegno che, invece, c'era da parte dell'Italia e mi riferisco alla visione intorno alla pace e alle questioni importanti, nella nostra missione, in quei territori per garantire anche un minimo di legalità. Io credo che, alla luce non solo dell'iniziativa di ieri, ma anche di una richiesta che proviene unanime da parte di tutti i gruppi, sia arrivato il momento, dopo vent'anni trascorsi, che sono anche un tempo sufficiente per mantenere i livelli della sicurezza dello Stato nazionale – e su questo il Governo sarà fortemente impegnato –, di aprire e togliere la secretazione sul caso di Ilaria Alpi. Credo, infatti, che lo si debba, non solo alla memoria di una vittima nazionale, una collega di molti inviati speciali, ma soprattutto all'idea di una giustizia, che non è la giustizia che si restituisce ad una memoria e alla sua famiglia, ma è la giustizia di uno Stato di diritto che deve tutelare i propri cittadini, anche di fronte alle situazioni drammatiche che l'hanno coinvolta. Per questo, il Governo ha ritenuto di dover intervenire in questa fase, assicurando l'impegno di avviare tutte le procedure all'interno di questa questione. Io credo che, come per tante questioni che ancora rimangono ignote in questo Paese, abbiamo la necessità e il dovere, morale e Pag. 47politico, proprio di corrispondere ad un'idea di giustizia che sia la giustizia per tutti (Applausi).

Sull'ordine dei lavori (ore 13,20).

      PAOLO BERNINI. Chiedo di parlare.

      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

      PAOLO BERNINI. Signor Presidente, abbiamo appurato come lo stile renziano, condito da slogan e slanci propagandistici, abbia recentemente contagiato anche i suoi Ministri. Premettendo che non è mia consuetudine guardare la TV, ieri sera io e i miei colleghi ci siamo imbattuti in un siparietto piuttosto curioso e controverso. La Ministra Pinotti, che riguardo al programma di riduzione degli F35 da giorni e persegue una linea di vaghezza non indifferente, ha forse ritenuto più opportuno esprimere la propria opinione sul taglio dei cacciabombardieri e sulla sospensione dei pagamenti in un talk show televisivo piuttosto che in Parlamento. Ci teniamo a ricordare che, martedì, durante la sua audizione alle Commissioni difesa congiunte di Camera e Senato, noi del MoVimento 5 Stelle le abbiamo chiesto chiarimenti sui tagli ventilati di recente. Le abbiamo chiesto che i primi tagli siano effettivi già sui prossimi lotti e non tra dieci anni.
      Il Ministro ci ha girato intorno, ha glissato, ci ha risposto che nella fattispecie non si riferiva agli F35 ma ai sistemi d'arma in generale: un passo indietro che non ci ha stupiti.
      Ciò che ci ha sorpreso, invece, sono state le sue esternazioni di ieri sera in TV, esternazioni che tra l'altro hanno palesato il suo spirito contraddittorio. Ieri sera il Ministro, infatti, ha ammesso che il mancato passaggio in Parlamento riguardo al tour della portaerei Cavour, che in questi giorni sta circumnavigando l'Africa vendendo armi, tra l'altro, è stato un errore. Ha detto testualmente che il passaggio al giudizio delle Camere su un tema così sensibile è fondamentale. Bene, allora ci spieghi: perché sugli F35 mantiene una sorta di silenzio stampa in Commissione e poi si fa pubblicità in un talk show televisivo in prima serata ?
      Vorrei ricordare a chi ci ascolta che il Ministro, come da lei stesso evidenziato, ha un motto che sono le tre «r»: ridurre, rivedere e ripensare. Forse è il caso di aggiungere una quarta «r»: rispondere. Ed è per questo che, in nome di tutti i cittadini italiani, chiediamo al Ministro che venga a riferire in Aula nel dettaglio sulle reali intenzioni del Governo circa il ridimensionamento del programma F35, chiedendo anche alla Presidenza di farsi carico di questa richiesta. Basta fuffa, vogliamo cominciare a vedere i fatti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !

      PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Micillo. Ne ha facoltà.

      SALVATORE MICILLO. Signor Presidente, Alberto Vallefuoco, Gianluca Cimminiello, Dario Scherillo, Simonetta Lamberti, Marcello Torre, Giancarlo Siani, Don Peppe Diana, Mena Morlando, Antonio Landieri, Gaetano Montanino, Palma Scamardella, Gigi Sequino e Paolo Castaldi, Attilio Romanò, Teresa Buonocore, Giuseppe Veropalumbo, Paolino Avella, Daniele Del Core. Nomi che scavano nelle nostre memorie, colpiscono le nostre coscienze esattamente come i proiettili che hanno spezzato le loro vite. Le loro vite di uomini, le loro vite di madri, le loro vite di bambini, le loro vite innocenti.
      Sì, queste persone sono solo alcune, solo poche, del lunghissimo elenco di vittime innocenti di criminalità. Più di 900 vite spezzate per aver avuto il coraggio di denunciare, di non essere sopraffatti dal malaffare o il coraggio di fare il proprio mestiere e, ancora, semplicemente il coraggio di condurre la propria vita e trovarsi coinvolti in agguati o scambi di persona.
      Il 22 marzo, nella giornata dedicata alla Memoria e all'impegno per le vittime innocenti di criminalità, ricorderemo tutti loro a Latina. Vittime delle mafie ma Pag. 48vittime di tutti noi, della nostra omertà e del nostro silenzio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Sospendo ora la seduta che riprenderà alle ore 14,30.

      La seduta, sospesa alle 13,25, è ripresa alle 14,30.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

Missioni.

      PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
      I deputati in missione sono complessivamente ottantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione delle mozioni concernenti iniziative in merito agli eccezionali eventi meteorologici che hanno colpito di recente il Veneto e l'Emilia Romagna.

(Ripresa discussione sulle linee generali)

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dell'Orco, che illustrerà anche la mozione Ferraresi ed altri n. 1-00367, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

      MICHELE DELL'ORCO. Signor Presidente, oggi siamo qui a parlare sempre della mozione sull'alluvione che riguarda l'Emilia e il Veneto. Io, generalmente, sono ottimista, però, in questo caso, vorrei spiegare anche a chi seguirà il mio intervento che stiamo parlando di una mozione. Per chi non lo conosce, è un classico iter parlamentare: tra gli atti parlamentari che vengono presentati alla Camera, a differenza di una proposta di legge, di un decreto o di un emendamento che va a modificare un decreto, una mozione è un semplice impegno che il Parlamento, che l'Aula fa assumere al Governo. È un impegno che non ha un vincolo temporale. Già dall'inizio della legislatura – vado a memoria – indicativamente sono state approvate oltre trenta mozioni che non hanno avuto un seguito, e non oso immaginare nella scorsa legislatura quante altre mozioni sono state approvate e non hanno avuto un seguito. La stessa cosa vale per decreti emanati, ma soprattutto per proposte di legge che, poi, non hanno avuto un seguito. Quanti decreti attuativi ancora mancano ! Quindi, non vorrei che questa discussione fosse l'ennesima discussione sul nulla, giusto per dire: ce ne siamo occupati, ma concretamente non abbiamo fatto un accidente.
      Noi, concretamente, a parte queste mozioni, abbiamo già depositato delle proposte su questo tema: una proposta di legge sullo svincolo dal Patto di stabilità; una proposta di legge sul dissesto idrogeologico, che, tra l'altro, è già incardinata in Commissione bilancio; una proposta di legge sul geo bonus, che sarebbe un bonus fiscale per le attività produttive che spendono per prevenire il dissesto idrogeologico.
      Poi, continuando questa premessa, volevo ricordare che ieri siamo riusciti ad ottenere qualche garanzia in più per i territori in difficoltà di Emilia e Veneto. Il MoVimento 5 Stelle ha firmato l'emendamento del PD al decreto-legge per il rientro dei capitali dall'estero, approvato ieri sera, che consente di ottenere una proroga per la restituzione dei finanziamenti per il sisma 2012 in Emilia e una proroga delle scadenze tributarie e contributive per gli alluvionati, appunto dell'Emilia e del Veneto, fino alla fine di ottobre, nonché la possibilità di sospendere, fino alla fine dell'anno, le rate dei mutui nei comuni alluvionati.
      Inizialmente avevamo presentato nostri emendamenti, ma quando abbiamo visto che il solo modo per ottenere un risultato non era tanto continuare a spingere gli emendamenti del MoVimento 5 stelle, perché Pag. 49sarebbero stati «abbattuti», abbiamo unito le forze, abbiamo unito le firme e sottoscritto anche emendamenti di altre forze politiche, che hanno assorbito le nostre proposte, e questi emendamenti sono passati anche nel decreto-legge. Si è trattato, quindi, di una battaglia congiunta con altre forze politiche, che dimostra per l'ennesima volta a chi ci dipinge sempre come distruttivi che, quando si tratta di questioni serie e proposte di buon senso, non neghiamo mai il nostro voto, ma diamo il nostro contributo.
      È assurdo dover ogni volta ricominciare da capo e dover dibattere del singolo caso della Liguria, della Sardegna, del Veneto, dell'Emilia e così via. C’è bisogno di una legge organica sulle grandi emergenze in cui siano, una volta per tutte, definiti chiaramente i tempi degli interventi e i diritti delle popolazioni interessate. Dobbiamo, quindi, tenere in considerazione che ad essere in difficoltà sono, forse, le zone più produttive del Paese. Ciò significa che siamo di fronte ad un danno economico che non riguarda solo quei territori strettamente interessati, ma che riguarda tutta l'Italia.
      Veneto ed Emilia Romagna sono, rispettivamente, anche la terza e la settima regione europea per numero di occupati nel settore manifatturiero. Ad oggi, purtroppo, solo nel modenese risultano già 1.175 lavoratori in cassa integrazione a causa dei danni subiti dalle imprese per l'alluvione. Inoltre, sui lavoratori dell'agricoltura, lavoratori autonomi, artigiani e persone con forme di lavoro diverse, mancano ancora dati precisi.
      Per questo, si stima che il totale dei lavoratori che hanno dovuto fermarsi possa avvicinarsi, complessivamente, alle 2 mila unità.

      PRESIDENTE. La invito a concludere.

      MICHELE DELL'ORCO. La conta complessiva dei danni, poi, è ancora in corso in entrambe le regioni, ma l'Emilia Romagna ha già in mano una prima significativa stima: si tratterebbe di non meno di 400 milioni di euro di danni. Inoltre, ricordiamo che in Emilia i territori colpiti dall'alluvione sono gli stessi, da quasi due anni, che devono pagare ancora i contributi e non hanno ancora avuto la ricostruzione per il terremoto.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pizzolante, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00370. Ne ha facoltà.

      SERGIO PIZZOLANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, fra gennaio e febbraio, le regioni Veneto ed Emilia Romagna sono state interessate da eventi calamitosi di portata eccezionale, che sono stati causa di ingentissimi danni a diversi settori, quali le infrastrutture, e l'intero apparato delle attività produttive delle due regioni.
      Per quanto concerne la regione Emilia Romagna, 10 mila sono gli ettari di territorio allagati e sono stati colpiti otto comuni e 1.800 aziende. In più, due paesi della Bassa sono rimasti sott'acqua per più di 48 ore. Circa 190 sono stati gli sfollati. I danni riportati da località quali Bomporto, Sorbara, Bosco di San Felice, Camposanto e Finale Emilia, già duramente provati, come si ricorda, dagli eventi sismici del 2012 e dai fortunali del 2013, ammontano a svariati milioni di euro.
      I dati contenuti nel rapporto sull'alluvione presentato ai Ministri Delrio e Orlando evidenziano che sono stati spesi quasi 15 milioni di euro per gli interventi urgenti di riparazione dell'argine del fiume e gli altri interventi idraulici e di soccorso e assistenza alla popolazione, ai quali dovranno aggiungersi i danni alle infrastrutture pubbliche, al patrimonio edilizio e alle attività produttive ed agricole. L'area colpita dall'evento alluvionale si estende per oltre 30 chilometri in linea d'aria; migliaia di persone hanno dovuto lasciare la loro casa nell'immediatezza dell'esondazione; almeno 2 mila sono rimaste intrappolate nei piani alti dei centri di Bastiglia e Bomporto; 190 sono state sfollate, e ospitate per lo più in strutture alberghiere.
      Per far fronte all'emergenza sono stati impiegati 176 vigili del fuoco, che hanno Pag. 50compiuto oltre 700 interventi di soccorso urgente e circa 900 salvataggi di persone, oltre 110 interventi con mezzi aerei.
      Il disastro si è abbattuto su zone già flagellate dal terremoto del 2012, come Camposanto e Medolla, ma soprattutto San Felice e Finale Emilia. Le regioni interessate hanno chiesto, infatti, lo stato d'emergenza, affermando che non siamo di fronte solo ad un'alluvione, ma di fronte ad una vera e propria emergenza che si sovrappone ad un terremoto. Quindi, è assolutamente indispensabile il riconoscimento di tutti i danni e valutare la fiscalità di vantaggio.
      Nel disegno di legge sul rientro dei capitali all'estero, che è stato approvato alla Camera e ora è in seconda lettura al Senato, è previsto che nei comuni nella provincia di Modena colpiti dall'alluvione del 17 gennaio 2014 e già colpiti dal sisma del 2012, sono sospesi i termini dei versamenti e adempimenti tributari nel periodo compreso tra il 17 gennaio e il 31 luglio 2014. Quindi, già qualcosa si è fatto, ma assolutamente non è sufficiente.
      In Veneto, invece, si sono registrate interruzioni della viabilità e delle comunicazioni, la sospensione dell'erogazione dell'energia elettrica, oltre che gravi pregiudizi alle attività turistico-alberghiere, dovuti alle eccezionali precipitazioni a carattere nevoso che hanno colpito la zona. Aggiungiamo, inoltre, che anche abitazioni private ed edifici scolastici rientrano nella lista di strutture seriamente danneggiate e per questi motivi dichiarate non agibili.
      Scopo della presente mozione, quindi, signor Presidente e rappresentante del Governo, è chiedere espressamente un impegno dell'Esecutivo affinché, innanzitutto, per le regioni Veneto ed Emilia Romagna venga dichiarato lo stato d'emergenza, ai sensi di quanto previsto dalla legge 24 febbraio 1992. Appare assolutamente prioritario, onde fornire un fattivo sostegno alle popolazioni così duramente colpite dagli eventi naturali descritti, attivarsi affinché si adottino iniziative che sospendano gli adempimenti fiscali, contributivi ed assicurativi, oltre che stanziare risorse finanziarie da destinare alla ricostruzione delle infrastrutture danneggiate e che consentano alle attività produttive, lungamente interrotte, di potersi riorganizzare in modo da avviarsi verso un'efficace ripresa.
      Non dimentichiamo, che tale ripresa consentirebbe non solo alle regioni in questione di mantenere le proprie capacità produttive, ma anche di salvaguardare livelli occupazionali, già seriamente compromessi dalla negativa congiuntura economica che il Paese sta attraversando. Visto che la priorità del Governo è quella, oltre che di tenere i conti in ordine, di avviare politiche e iniziative per spingere la crescita, lo sviluppo, la ripresa del Paese, è chiaro che non intervenire in regioni ad alto tasso di industrializzazione come l'Emilia Romagna e come il Veneto significherebbe non intervenire, in questo caso, verso la crescita, verso lo sviluppo e verso la ripresa. È lì che c’è la gran parte del nostro tessuto manifatturiero e imprenditoriale; se noi, oltre alle questioni che riguardano la crisi, non riusciamo ad intervenire per dare respiro sul piano fiscale e sul piano contributivo, ma anche sul piano delle risorse da mettere a disposizione lì dove il tessuto industriale e manifatturiero e così forte, è chiaro che non aiutiamo la ripresa e la crescita del PIL che è di fondamentale importanza per trovare risorse per tenere i conti in ordine e per spingere lo sviluppo.
      Concludendo, dico che il nuovo Governo, il Governo Renzi, anche su questo è chiamato a dimostrare una discontinuità rispetto ai Governi precedenti rispetto ai grandi eventi atmosferici che hanno interessato molte regioni italiane; penso in parte al terremoto dell'Emilia Romagna ma penso per esempio al «nevone» di due anni fa che ha bloccato per settimane e per mesi la Romagna e le Marche; visto che i governi precedenti poco o pochissimo hanno fatto per queste regioni in quelle occasioni, ebbene, anche su questo, il Governo Renzi dovrebbe dare un segno di discontinuità, un segno di novità rispetto a quello che è successo negli anni passati. Ciò è di fondamentale importanza per alleviare le sofferenze di quelle popolazioni Pag. 51ed è, lo ripeto, molto importante anche perché se noi aiutiamo quelle imprese, quel tessuto produttivo e manifatturiero, aiutiamo la crescita del PIL di tutto il Paese.

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Moretto, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00385. Ne ha facoltà.

      SARA MORETTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, tra il 17 gennaio e il 18 febbraio 2014 i territori del Veneto e dell'Emilia Romagna sono stati colpiti da un'ondata di maltempo che, qualche tempo fa, in Italia avremmo definito straordinaria. Purtroppo, si tratta certamente di eventi atmosferici non ordinari, ma che, in alcuni territori, in quei territori, non accadono per la prima volta e in Emilia colpiscono zone già danneggiate dal sisma del 2012.
      Nella nostra mozione descriviamo la complessità di quanto è accaduto; il maltempo e l'intensità della caduta di pioggia e neve hanno determinato varie situazioni di criticità, gravi disagi alla popolazione, danni consistenti ai beni pubblici e privati e alle attività economiche e produttive. Esondazioni di fiumi, fenomeni di dissesto idrogeologico, strutture arginali fortemente indebolite, innesco di valanghe e di movimenti franosi, interruzione di collegamenti viari e servizi essenziali, innalzamento delle falde freatiche, mareggiate sulla costa con erosione degli arenili. Durante quegli eventi per l'ennesima volta il territorio del Veneto e dell'Emilia Romagna ha mostrato tutta la sua fragilità. In quei giorni famiglie ed imprese hanno visto danneggiarsi, in molti casi irrimediabilmente, immobili e beni ottenuti con la fatica del proprio lavoro. Una persona ha perso la vita. In quegli stessi giorni la macchina di gestione delle emergenze ha dimostrato nuovamente di funzionare, comuni, protezione civile, vigili del fuoco, genio civile, consorzi di bonifica e tanti cittadini volontari hanno lavorato ininterrottamente in maniera coordinata per limitare i danni e dare aiuti alle comunità colpite. A loro va un ulteriore pubblico ringraziamento per il lavoro svolto e per l'importante sostegno fornito.
      La mozione che abbiamo presentato non intende certo affrontare – perché riteniamo non sia lo strumento corretto – il problema della difesa del territorio e della prevenzione del dissesto idrogeologico.
      Su questo tema il gruppo del Partito Democratico è impegnato non da ora per cercare una soluzione strutturale al problema. Riteniamo non sia accettabile che tali disastri si concretizzino in una corsa alla richiesta di risorse a Roma e in un braccio di ferro tra territori e Governo. Non è corretto né dignitoso.
      Auspichiamo che nel nostro Paese, che tra l'altro ambisce a fare del suo paesaggio uno dei biglietti da visita per presentarsi nel mondo, si rispetti il territorio e si diano strumenti per tutelarlo.
      Riteniamo doveroso che si pensi a quella che tempo fa avremmo chiamato «legge quadro», che definisca misure e criteri standard per affrontare le emergenze, come quella a cui ci riferiamo con i documenti in discussione. In tale contesto della legge quadro alla quale mi riferisco, il ristoro dei danni, le sospensioni dei pagamenti e gli altri interventi necessari dovrebbero essere definiti nelle modalità, nei tempi e nella quantità. Ciò, a garanzia anche che nel Paese non ci siano aree di serie A e aree di serie B, aree capaci di far valere le proprie richieste e aree meno capaci. Ciò per innestare una nuova concezione del rapporto fra territorio e governo centrale per responsabilizzare i diversi livelli istituzionali.
      Nell'ambito della prevenzione e quindi della riduzione del rischio idrogeologico, diversi sono i campi nei quali avremo anche a breve modo di agire: in quello della governance, prima di tutto, attraverso il collegato ambientale alla legge di stabilità, in quello della pianificazione urbanistica, che deve tenere conto del fatto che il territorio è una risorsa fragile che va rispettata e mi riferisco all'iter che si è avviato in Commissione per la legge sul consumo del suolo, con la quale spero si definiscono anche i criteri che evitino Pag. 52pianificazioni regionali. Mi riferisco in particolare anche a quella del Veneto e al piano casa, che vanno esattamente nella direzione contraria rispetto a quella del rispetto della fragilità del territorio. Si tratta di occasioni, queste, per delineare un contesto normativo coerente e funzionale alla ricerca di soluzioni strutturali appunto per affrontare un problema che, come dicevo in premessa, non può più definirsi così straordinario.
      Misure strutturali che necessitano evidentemente di risorse, ma che vanno inquadrate in piani a lungo termine nei quali i territori individuino priorità di intervento e graduale attuazione. Piani che però devono essere attuabili: gli enti locali (regioni e comuni) devono essere messi nelle condizioni di effettuare gli investimenti, soprattutto nei casi in cui dispongono di risorse bloccate per effetto di vincoli del Patto di stabilità.
      Anche in questo contesto, colgo l'occasione per rimarcare l'importanza del fatto che il Governo, nel rivedere le regole del Patto di stabilità, metta gli enti locali nelle condizioni di poter investire, soprattutto in opere funzionali alla messa in sicurezza dei territori.
      In assenza di quanto descritto finora, oggi però ci apprestiamo a discutere una mozione che affronta l'emergenza e descrivo brevemente gli impegni che desideriamo far assumere al Governo con l'eventuale approvazione della mozione.
      Prima di tutto chiediamo di deliberare – come già fatto per l'Emilia Romagna – il riconoscimento dello stato di emergenza anche per il territorio del Veneto: si tratta di una misura necessaria per dare attuazione a quanto inserito ieri alla Camera, in sede di conversione del decreto-legge n.  4 del 2014 e mi riferisco quindi alle agevolazioni fiscali e alla sospensione delle scadenze tributarie, che sono modifiche che sono state inserite anche grazie anche al lavoro di colleghi veneti del PD nelle Commissioni Finanze e Bilancio e anche grazie alla sensibilità del sottosegretario Zanetti. Si tratta questo di un passaggio fondamentale, doveroso e urgente.
      Per i territori dell'Emilia Romagna, già colpiti dal sisma del 2012, coerentemente con gli impegni assunti con l'ordine del giorno approvato sempre ieri in sede di conversione del decreto-legge n.  4 del 2014, sollecitiamo un provvedimento specifico al fine di assicurare procedure integrate e coerenti, che preveda anche agevolazioni fiscali, integrando quelle già contenute all'interno della legge di stabilità e per consentire alle amministrazioni comunali di queste zone doppiamente colpite un allentamento dei vincoli finanziari derivanti dalla legislazione vigente, al fine di consentire loro di dare delle risposte più concrete.
      Al fine poi di dare un tangibile ristoro dei danni subiti anche a causa della mancanza degli interventi pubblici strutturali di prevenzione del rischio a cui mi riferivo in premessa, chiediamo la predisposizione in tempi rapidissimi, della concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa ad uso produttivo, agricolo e zootecnico del Veneto e dell'Emilia.
      Per quanto riguarda i necessari interventi di messa in sicurezza del territorio, chiediamo di avviare rapidamente, con priorità per le zone alluvionate delle regioni Veneto ed Emilia, le opere immediatamente cantierabili indicate in appositi piani sul dissesto idrogeologico – che chiediamo quindi alle regioni di redigere al più presto – e di prevedere che tali interventi siano integralmente finanziati con risorse escluse dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del Patto di stabilità interno.
      In piena coerenza poi con quanto già previsto in analoghe situazioni e in attuazione oggi del decreto-legge n.  4 del 2014, in corso di conversione, proponiamo la sospensione dei termini di pagamento dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali, dei premi per l'assicurazione obbligatoria e i conseguenti adempimenti in scadenza tra il 15 gennaio 2014 e il 31 ottobre 2014 per tutti i contribuenti residenti nelle aree gravemente colpite, nonché la sospensione del pagamento delle rate di adempimenti contrattuali, compresi Pag. 53i mutui e i prestiti per l'anno 2014, assumendo le iniziative necessarie a garantire che il pagamento di tali adempimenti tributari e non tributari dopo la sospensione dei termini possa essere effettuato in forma rateale e senza applicazione di sanzioni e interessi.
      In considerazione dei fondi già stanziati chiediamo poi di dare una immediata attuazione al comma 7 della legge di stabilità recentemente approvata, destinando una quota significativa delle risorse del Fondo delle politiche di coesione ad interventi di messa in sicurezza del territorio e prevenzione del rischio idrogeologico, con l'obiettivo di garantire un flusso di risorse costanti e certe per tali interventi.
      Al fine quindi di agganciare i prossimi fondi comunitari messi a disposizione dalla Commissione europea, chiediamo anche di approvare in tempi brevi la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, con un sistema di incentivazione per lo sviluppo di politiche locali volte a costruire sistemi urbani, territori e città più resilienti.
      Allo scopo poi di garantire, invece, congrue risorse per il Fondo della Protezione civile per le alluvioni, si chiede di stanziare tali risorse valutando anche l'opportunità di istituire un fondo compartecipato da Stato, regioni ed enti locali per poter intervenire in maniera immediata ed automatica in favore delle popolazioni colpite in caso di eventi atmosferici straordinari.

      PRESIDENTE. Concluda.

      SARA MORETTO. Mi avvio alla conclusione. Si propone, infine, di valutare se questo tema non sia l'occasione per dare finalmente attuazione ai principi del federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, chiedendo quindi di valutare l'opportunità di prevedere per la regione Veneto e la regione Emilia Romagna dei meccanismi premiali in materia fiscale che generino risorse nuove vincolate alla messa in sicurezza del territorio.
      Mi auguro che, anche alla luce della conversione avvenuta ieri del decreto-legge con cui si sospendono gli adempimenti tributari e contributivi delle zone colpite dalle alluvioni in Veneto ed Emilia Romagna, non si perda l'occasione di dare ulteriori concrete risposte a comunità che chiedono allo Stato di non lasciarle sole di fronte ai tragici eventi che le hanno colpite.
      Auspico pertanto l'approvazione della mozione e soprattutto che gli impegni richiesti al Governo non rimangano sulla carta, ma diano avvio a processi normativi utili alla soluzione dei disagi delle popolazioni venete ed emiliane (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baruffi. Ne ha facoltà.

      DAVIDE BARUFFI. Signor Presidente, le mozioni che discutiamo oggi – quella che noi abbiamo proposto è stata appena illustrata dalla collega – non cadono nel vuoto, nel senso che hanno a monte certamente le emergenze ambientali del Veneto e dell'Emilia, che sono state ricordate, ma anche un provvedimento importante, il decreto-legge n.  4 del 2014, che è stato approvato da questa Camera proprio ieri, provvedimento che è stato anche migliorato dall'esame di questa Camera – come ho già avuto modo di dire in quest'Aula – estendendo la sospensione dei tributi alla regione Veneto, concedendo ulteriori tre mesi di proroga per il pagamento delle imposte e degli altri adempimenti tributari e contributivi, dando la possibilità anche di sospendere i mutui per le imprese e per le famiglie che sono state travolte da un'emergenza ambientale come quella dell'alluvione.
      La collega ricordava anche come in coda, a margine, collegato a questo decreto-legge, abbiamo approvato ieri un ordine del giorno impegnativo per affrontare le specificità del territorio della provincia di Modena, che è stata investita nel giro di venti mesi da due diverse calamità.
      Però, prima di discutere di specificità, vorrei spendere due parole – lo hanno Pag. 54fatto i colleghi, lo vorrei fare anch'io – sulla necessità di provvedimenti di carattere generale, perché anche nel dibattito di ieri abbiamo assistito in quest'Aula al rischio – in parte inevitabile, in parte forse evitabile – di uno scontro tra territori, che non va bene; non ci aiuta e non ci fa fare un passo in avanti.
      Il nostro Paese ha bisogno di provvedimenti di sistema e i primi due che dobbiamo segnalare, lo hanno fatto altri e lo faccio anch'io, sono appunto una legge-quadro per affrontare il mondo delle emergenze e, secondo, quello di mettere a disposizione fondi certi e definiti a cui attingere con modalità codificate, forse anche senza dover ricorrere al Parlamento per poterlo fare laddove c’è una legislazione quadro che consenta al Governo di intervenire.
      Ho fatto questi due riferimenti, e non ci spendo più parole, perché credo davvero che il nostro Paese sia chiamato a fare un passo in avanti tutto insieme prendendo atto della sua fragilità, prendendo atto del fatto che è venuto il tempo di investire molto di più in prevenzione, prendendo atto del fatto che da queste emergenze o ne usciamo tutti insieme o non ne viene fuori nessuno dentro questa penisola.
      Per quanto riguarda il mio territorio, la provincia di Modena, io tendo a rimarcare questo, lo voglio fare anche qui: in 20 mesi un terremoto devastante e un'alluvione come quella del 19 gennaio scorso, che hanno colpito sostanzialmente le stesse comunità, gli stessi territori, le stesse famiglie, le stesse imprese.
      Questo è un territorio che è sede di diversi distretti industriali di eccellenza anche nel Paese, dalla meccanica alla ceramica, al biomedicale, al tessile, all'agroalimentare; esiste anche, proprio perché distretti, una forte interconnessione economica tra le imprese che stanno dentro e fuori anche l'area del cratere dell'alluvione.
      Ancora, è la seconda provincia per esportazioni nel nostro Paese e quindi la presenza in quell'area anche di grandi imprese multinazionali, che abbiamo lavorato per tenere lì il giorno dopo il terremoto, rappresenta uno sforzo che non può finire in questo momento. C’è un presidio importante che va tenuto per queste imprese che sono quelle che meglio hanno retto in questi anni della crisi.
      Ancora, ci sono tantissime piccole e piccolissime imprese che hanno dimostrato nella crisi anche elementi, come dire, di resistenza, di flessibilità, di adattamento più alti di quelle grandi ma hanno mostrato anche più fragilità, ad esempio nell'accesso al finanziamento, quindi bassissima capitalizzazione, necessità ovviamente di rivolgersi alle banche.
      Ed è un territorio, e chiudo su questo, fatto anche di grandi eccellenze agroalimentari che ha nella provincia di Modena un numero di prodotti certificati che non ha eguali nel resto del Paese. Io ho sottolineato queste specificità stando dentro la premessa di prima; ogni territorio di questo Paese ha le sue peculiarità, lo rende unico, lo rende parte di un mosaico di un grande Paese. Provvedimenti che sono concepiti per rispondere a questi problemi devono essere assunti avendo chiaro in testa come è fatto quel territorio e riconoscerlo per quello che è e trovare, quindi, risposte puntuali a quelle caratteristiche.
      Noi abbiamo provato a metterlo in evidenza nel provvedimento che ieri abbiamo proposto che in qualche modo recuperiamo anche con questa mozione che rappresenta più un atto di indirizzo politico, naturalmente, di impegno verso il Governo, con impegni che per noi rappresentano senz'altro una risposta positiva oltre quelle che ieri abbiamo già dato, che io riconosco come positive e concrete. Certamente la sospensione delle imposte ma avere anche la possibilità, come fatto per il sisma, come fatto per la Sardegna, dell'accesso al credito per poter pagare in futuro queste imposte. C’è un provvedimento che ieri abbiamo inserito, credo che vada esteso anche ad altri pezzi del territorio. La possibilità certamente, come ricordava il collega, di avere indennizzi adeguati per i danni al patrimonio pubblico e privato, per le famiglie e per le imprese, con modalità certe dove la trasparenza Pag. 55non diventi un elemento impossibilitato dalla burocrazia; quindi, trovare modalità semplici. Qualcosa lo abbiamo sperimentato anche già in Emilia, purtroppo, con il terremoto e quindi credo che da qui non partiamo da zero.
      Accesso al credito, dicevo, per le imprese, soprattutto per quelle piccolissime.
      Penso, in particolare, agli artigiani e ai commercianti dei centri più colpiti. Io ho in testa due comunità (ma ce ne sono tante altre naturalmente): quelle di Bastiglia e di Bomporto, dove si rischia la desertificazione dei centri. Io credo che noi questa desertificazione la dobbiamo contrastare con tutti gli strumenti a disposizione, anche con leve di fiscalità di vantaggio che, senza regalare nulla a nessuno, consentano però a quei territori di riprendersi, di non spopolarsi, di avere – ripeto – quegli elementi di servizio che tengono viva una comunità. Possibilità reali di un intervento per i comuni, oltre che per le province e per le regioni, anche derogando temporaneamente e parzialmente ai vincoli di finanza pubblica.
      Penso, in particolare, al Patto di stabilità e agli obiettivi di revisione della spesa, che sono oggetto di discussione anche in questi giorni, oltre che nella gestione e nell'assunzione del personale. Parlo anche qui per esperienza, lo dico anche per gli altri territori naturalmente: riuscire ad avere qualche leva in più per assumere, in momenti straordinari, personale a tempo determinato per far fronte a emergenze anche di carattere amministrativo è indispensabile. Risorse adeguate, già impegnate nel bilancio dello Stato, da sbloccare però subito per risolvere le questioni strutturali, a partire nel nostro caso dal nodo idraulico, ma questo è un problema generalizzato per entrambe le regioni.
      Dicevo, c’è questa eccezionalità in questa sovrapposizione di sisma e alluvione che impone, come richiesto nella nostra mozione, procedure integrate per la ricostruzione. Noi abbiamo emesso più di cento ordinanze per la ricostruzione dopo il sisma, io non credo che potremo farne altre cento. Mancando una norma di riferimento nazionale, abbiamo almeno bisogno di recuperare quella fonte normativa e integrarla per consentire, ripeto, sia agli amministratori pubblici sia alle imprese di avere a che fare non con la moltiplicazione delle fonti normative stesse.
      Abbiamo detto ieri – vado a concludere – che serve un provvedimento ad hoc, che il Governo ha riconosciuto naturalmente, e che andrà «costruito» secondo me a partire da queste priorità. Abbiamo già discusso e approvato altre mozioni su questi problemi di carattere generale e in particolare sulla scorta di altre emergenze che sono intervenute nel corso degli ultimi mesi. Dico: bene le parole che ha espresso il Presidente del Consiglio anche in quest'Aula sul tema, bene le risorse e le misure che sono state indicate la settimana scorsa nel pacchetto di misure per il lavoro e la crescita da palazzo Chigi. Noi incalzeremo il Governo su questi provvedimenti specifici per il Veneto e per l'Emilia, ma soprattutto sui provvedimenti e le risorse generali che possono dare risposte di carattere strutturale e non possono più aspettare.
      Mettiamo risorse ma mettiamo anche ordine al sistema con una legge di riferimento all'altezza di un grande Paese moderno, che ha grandi fragilità. Io credo che il Governo dovrà assumere un impegno da questo punto di vista, al di là dell'approvazione o meno delle diverse mozioni. Serve in un tempo certo dare risposte certe e, quindi, una legge di sistema di iniziativa del Governo, al di là delle pregevoli e non in discussione iniziative dei singoli gruppi, è venuto il tempo di metterla in campo.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Brugnerotto. Ne ha facoltà.

      MARCO BRUGNEROTTO. Signor Presidente, colleghi, ci troviamo ancora oggi a parlare di quello che possiamo sicuramente definire un disastro «annunciato». Evidentemente far tesoro dell'esperienza del passato non è proprio dei Governi e delle istituzioni. Le persone sagge imparano Pag. 56dai propri errori, ne fanno tesoro affinché non si ripetano, e invece siamo qui a discutere di un'ennesima tragedia che si poteva tranquillamente evitare.
      Riporto quanto successo nel novembre del 2010, quattro anni fa, in alcuni comuni della provincia di Padova, solo per rinfrescarci la memoria.
      Alle prime ore del mattino del 2 novembre 2010 si verifica la rottura dell'argine del fiume Bacchiglione ed inizia l'incubo per molti residenti della zona, che vedono progressivamente le proprie abitazioni e numerosi insediamenti agricoli ed industriali sommersi dall'acqua. È incredibile rilevare come, rispetto ad un disastro di quella portata, già nel corso degli anni precedenti al 2010, si fossero susseguiti molteplici avvertimenti e richiami da parte di autorevoli tecnici, associazioni e cittadini privati, tutti concordi nel denunciare una grave situazione di rischio idrogeologico del territorio. Denunciando anche che i vari interventi effettuati fossero stati tutti e da tutti giudicati parziali e mal localizzati. Nel corso degli anni però le numerose richieste di interventi urgenti rimanevano inascoltate.
      Bene, quanto riportato appartiene al passato e pertanto ci si aspettava di non incorrere negli stessi errori. Purtroppo, però, e siamo ai giorni nostri, nei mesi scorsi la storia si ripete. Nel mese di gennaio il manifestarsi di un evento climatico assolutamente non eccezionale porta gli stessi posti a vivere le stesse ed identiche situazioni. Solo nella provincia di Padova la situazione nei giorni dell'alluvione si è dimostrata subito critica e drammatica. Case allagate nei comuni di Battaglia Terme, Selvazzano, Rubano, Bovolenta e Montegrotto, con centinaia di persone evacuate e abitazioni rimaste isolate e senza riscaldamento.
      Ho citato solo alcune delle situazioni verificatesi per far notare come tale elenco sembri in realtà un vero e proprio bollettino di guerra.
      Io stesso ho vissuto in prima persona i fatti sopra descritti e riporto la rabbia di chi ha visto finire case e attività sommersi dal fango e dall'acqua.
      Un disastro annunciato eppure inascoltato, allora come oggi, perché nulla è stato fatto tranne interventi inadeguati, nonostante quel dramma che ha mandato in rovina imprese e attività commerciali, mettendo in ginocchio famiglie ancora indebitate per ricostruire quanto perduto. Nessun intervento organico, nessuna misura seria di prevenzione, che non sia il solito e locale rattoppo di una striscia di argine o poco più.
      Per non parlare, poi, della gestione dell'emergenza in seguito agli avvenimenti, dove all'inadeguatezza delle autorità si è supplito solo grazie alla solidarietà di numerosi volontari e all'operosità della gente stessa. Il comitato «Alluvione 2010» ci fornisce un documento che conferma la inadeguatezza e incapacità delle autorità a gestire tali emergenze e, soprattutto, a cercare di evitarne il ripetersi in futuro. Si veda la responsabilità di tutti i soggetti preposti ad evitare il rischio nella regione Veneto, il suo assessore all'ambiente, il genio civile di Padova e la presidente della provincia, Barbara Degani, in scadenza di mandato e ora sottosegretario di Stato all'ambiente e altre autorità.
      Concludo, Presidente, dicendo che basterebbe, a volte, semplicemente usare il buon senso ed agire con raziocinio, mediante la realizzazione di opere che abbiano un carattere strutturale e duraturo.
      In tale ottica, appare inconcepibile il mancato completamento dell'idrovia «Padova mare», che fungerebbe da scolmatore delle piene dei fiumi Bacchiglione e Brenta. Tale opera ad oggi risulta completa per tre quarti circa e i costi di ultimazione risulterebbero altamente inferiori a quanto speso fino ad ora per le emergenze che non sono oramai più occasionali. L'idrovia, non inserita tra l'altro nel PTRC, nonostante siano già stati fatti diversi studi di fattibilità, comporterebbe oltre alla messa in sicurezza idraulica della gran parte del territorio Veneto...

      PRESIDENTE. La prego di concludere.

      MARCO BRUGNEROTTO. ...anche un risparmio – e concludo – di risorse finanziarie. Pag. 57In questo caso si attuerebbe una giusta politica sia di risanamento del territorio sia di risanamento finanziario, basta fare una semplicissima analisi costi/benefici (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Narduolo. Ne ha facoltà.

      GIULIA NARDUOLO. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, è passato poco più di un mese dai fatti alluvionali che si sono verificati in Veneto e che hanno colpito vaste zone della regione, con conseguenze nefaste per la popolazione e le attività produttive, come è stato descritto in dettaglio nel testo della mozione della collega Moretto, che ringrazio.
      Nei territori della mia regione, che si sono trovati a fronteggiare questa grave emergenza, il pensiero dei cittadini e degli amministratori è immediatamente corso a poco più di 3 anni fa, ai primi di novembre 2010, quando precipitazioni prolungate e abbondanti hanno provocato piene straordinarie dei fiumi Brenta, Bacchiglione e Frassine, con la rottura degli argini di questi ultimi e la conseguente devastazione di campi, aziende e abitazioni. La conta dei danni è stata molto ingente – intorno al miliardo di euro in tutta la regione – e ci è voluto molto tempo per iniziare a riprendere le normali attività.
      Immediatamente il commissario straordinario per l'alluvione, il presidente della regione Luca Zaia, si era profuso in promesse che mai più sarebbero successi in Veneto altri eventi traumatici di questo tipo, annunciando un imponente piano di opere ed interventi per la messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico. Opere che, però, sono rimaste, per la stragrande maggioranza, solo progetti su carta, di cui sono stati indicati i costi – alcuni finanziati e altri no – ma i cantieri veri e propri tardano a partire. Il Veneto, quindi, è già stato «scottato» una volta, anche se effettivamente «scottato» è un termine improprio quando si parla di acqua.
      Un mese fa ci siamo ritrovati a vivere la stessa identica apprensione del 2010 e ci siamo chiesti: cosa è cambiato ? Apparentemente nulla, visto che le cause di quanto accaduto a febbraio sono pressoché le stesse dell'alluvione di 3 anni fa, a parte le rotture arginali.
      Per inquadrare i fenomeni di cui parliamo dobbiamo considerare che essi sono la somma di eventi eccezionali – nella zona del Veneto da cui provengo, la bassa padovana, tra dicembre 2013 e febbraio 2014 sono caduti 900 millimetri di pioggia, cioè la quantità prevista per un intero anno – e quindi hanno pienamente il carattere di calamità naturali, ma scontano decenni e decenni di una visione miope, se non addirittura cieca, di dissennato sfruttamento del territorio. Il Veneto ha percentuali altissime di consumo del suolo, superiori a quelle nazionali e che, però, ancora oggi tendono ad aumentare (basti pensare ai progetti faraonici di Veneto City e al nuovo piano casa regionale). Contemporaneamente, gli effetti disastrosi sono amplificati anche dalla cronica mancanza di opere e di azioni indispensabili, come gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria dei letti e degli argini di fiumi e canali, che in forma coordinata interessino tutte le istituzioni, dal livello centrale sino ai comuni.
      Cosa fare dunque per affrontare definitivamente fenomeni disastrosi ed emergenze continue che ormai ogni anno si ripetono ? La mozione che stiamo qui discutendo impegna il Governo a mettere in atto le procedure di ristoro previste nei casi di calamità naturali, ed è un atto dovuto nei confronti delle zone colpite.
      Ma il compito più importante del Governo e del legislatore, sia nazionale che regionale, rispetto a questi fenomeni diventa quello di mettere in atto provvedimenti che introducano e promuovano politiche di ampio respiro tese a ridurre progressivamente i danni provocati, che sono, come nel caso degli eventi alluvionali di Emilia e Veneto di gennaio e febbraio, di centinaia e centinaia di milioni (500 solo in Veneto).Pag. 58
      Il Parlamento, e quindi noi tutti, deve portare rapidamente all'approvazione il disegno di legge di iniziativa governativa e le numerose proposte di legge di iniziativa parlamentare che introducono precise politiche contro il consumo del suolo e deve accelerare le procedure di discussione e approvazione di una legge quadro, di cui si è parlato anche prima, che introduca procedure automatiche, e non discrezionali, in caso di calamità.
      Così come ha ricordato ieri la collega Ghizzoni nel corso della dichiarazione di voto a nome del Partito Democratico sul decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero, nonché altre disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi, riferendosi in particolare all'articolo 3 che riguardava appunto le emergenze, oggi i territori, in assenza di una cornice legislativa nazionale, continuano ad incorrere in una disparità di trattamento al verificarsi di analoghe situazioni, come abbiamo visto in Emilia, Veneto, Sardegna, Liguria, Toscana.
      È possibile e necessario andare oltre l'emergenza perché non è solo con la logica dell'emergenza che bisogna affrontare questi giganteschi problemi.
      Il Governo, da parte sua, deve impegnarsi a garantire i fondi necessari per avviare un grande piano di tutela del suolo e, soprattutto, deve fare in modo di attenuare o togliere dagli obblighi stabiliti dal Patto di stabilità interno le spese per investimenti sul riassetto idrogeologico e ambientale, per evitare di dovere intervenire ogni volta con urgenza e riconoscere tanti stati di calamità naturale. Investire serve a prevenire le calamità. A questo proposito, all'indomani degli episodi alluvionali di febbraio, i senatori veneti del PD hanno presentato un'interpellanza urgente al Ministro dell'economia e delle finanze per chiedere proprio di valutare l'esclusione dal Patto di stabilità tutti gli interventi nelle aree maggiormente colpite e potenzialmente esposte a nuovi fenomeni alluvionali. Non mi risulta sia pervenuta una risposta ufficiale, ma le parole e gli intendimenti del Presidente del Consiglio nel corso della conferenza stampa al termine del Consiglio del ministri della settimana scorsa sono state molto chiare: un miliardo e mezzo messo a disposizione per progetti finalizzati alla tutela del territorio, gestiti e coordinati da un'apposita struttura di missione, che dovrà rendere utilizzabili le risorse già messe a bilancio per gli accordi di programma sottoscritti negli anni 2009-2010, e di cui è stato speso finora solamente il 4 per cento. All'interno di questo intervento, lo ripeto, deve assolutamente trovare spazio l'allentamento del Patto di stabilità per regioni e comuni, le cui difficoltà di programmazione degli investimenti sono dovute proprio alle ristrettezze economiche e dei vincoli imposti.
      Per quanto riguarda le regioni, oltre alla necessità di aumentare i finanziamenti che il Genio civile e i consorzi di bonifica possono utilizzare per le manutenzioni dei fiumi e dei canali – da troppo tempo ignorate – sarebbe quanto mai urgente che esse integrassero nei bilanci di previsione le risorse necessarie a sviluppare piani pluriennali di investimento, per esempio per la realizzazione di casse o bacini di laminazione.
      In particolare, per quanto riguarda il Veneto, la realizzazione dei bacini di laminazione è stata giudicata indispensabile per evitare nuove alluvioni e immediatamente dopo gli eventi del 2010 si sono individuati alcuni interventi prioritari, che cito brevemente: il bacino sul torrente Timonchio, nel comune di Caldogno in provincia di Vicenza; il bacino sul fiume Agno-Guà, nei comuni di Trissino e Arzignano in provincia di Vicenza; il bacino sul torrente Lastego-Muson, nei comuni di Riese Pio X e Fonte in provincia di Treviso. Sono altrettanto importanti anche i bacini individuati per salvaguardare i territori padovani e veronesi, in particolare il bacino Anconetta nei comuni di Sant'Urbano e Vighizzolo d'Este, in provincia di Padova, il bacino di San Lorenzo per il torrente Tramigna nei comuni di Soave e di San Bonifacio, in provincia di Pag. 59Verona, e il bacino di località Colombaretta a Montecchia di Corsara, di nuovo in provincia di Verona.
      Nonostante l'urgenza di mettere in sicurezza il territorio per scongiurare che altri disastri potessero accadere – e che poi si sono purtroppo verificati – i lavori di uno solo di questi bacini sono ufficialmente iniziati. Su questo la regione Veneto – e il Presidente Zaia in primis, dato che lui ha avuto per oltre due anni l'incarico di commissario straordinario all'alluvione – ha le sue principali responsabilità. Così come ha la responsabilità di continuare a consumare e cementificare impunemente il territorio, senza invece pensare ad un piano di recupero o riutilizzo delle centinaia di aree industriali che sono state quasi del tutto svuotate dalla crisi economica e che risultano oggi semidismesse.
      Infine, sempre le regioni potrebbero agevolare i comuni – anche quelli che non ne hanno l'obbligo – a corredare i loro strumenti urbanistici dei piani delle acque, al fine di mappare e preservare i corsi d'acqua terziari, i cosiddetti fossi non consortili. Piccoli e grandi interventi che se avviati effettivamente porterebbero un triplice sollievo: per i cittadini, non più costretti a temere per tre o quattro giorni di piogge abbondanti; per i territori, manutenzionati e controllati senza dover sopportare eccessive portate d'acqua, che mettono in crisi soprattutto la rete di canali e scoli minori; per le imprese, che sarebbero coinvolte nei tanti interventi sul territorio e potrebbero quindi beneficiare di investimenti pubblici per far ripartire l'occupazione.
      Concludo dicendo che non vorrei che ci ritrovassimo qui, il prossimo inverno, a ripetere queste stesse cose e mi auguro davvero che le mozioni che stiamo discutendo e che andremo a votare la prossima settimana possano effettivamente trovare una ricaduta concreta e pratica per salvaguardare le regioni colpite di cui stiamo discutendo oggi, ma il nostro Paese, più in generale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Businarolo. Ne ha facoltà.

      FRANCESCA BUSINAROLO. Signor Presidente, negli ultimi anni i fenomeni di dissesto idrogeologico sono molto frequenti in Italia e gli eventi meteorologici cosiddetti straordinari sono diventati ordinari, con drammatiche conseguenze sul territorio italiano. La primavera e l'autunno sono stagioni nelle quali ci siamo abituati a vedere esondazioni di fiumi, fenomeni di dissesto idrogeologico, valanghe e frane, interruzioni di collegamenti viari e servizi essenziali.
      Ci siamo abituati a vedere scene di persone che spalano il fango fuori dalle proprie abitazioni, di anziani trasportati fuori dalle loro case tra le braccia dei soccorritori, di animali lasciati morire in mezzo all'acqua e al fango. In queste occasioni, se non bastasse la crisi, i campi allagati perdono la produttività, le spiagge vengono invase dai detriti e le ditte subiscono gravi danni economici.
      Dal 30 gennaio al 18 febbraio 2014 il Veneto è stato colpito da insistenti eventi atmosferici eccezionali. Questa volta i comuni veneti coinvolti nell'alluvione sono stati almeno 130. Le aree montane della provincia di Belluno rimaste in black out elettrico con 35 mila utenze al buio, parte delle province di Vicenza, Treviso e Verona. Nel padovano, a Montegrotto, un'anziana è morta dopo una caduta, 400 persone sono state sfollate dal centro di Bovolenta, altre 200 dalla zona di Ortazzo, a Battaglia Terme, e altre ancora a Vighizzolo. Alcune scuole sono state chiuse.
      Il Veneto è la seconda regione più cementificata d'Italia, una regione dove la giunta Zaia vuole costruire ancora: nuove opere infrastrutturali, nuove autostrade, nuovi centri commerciali, nuovi capannoni, dimenticando sempre di considerare quanto delicato sia questo territorio. Anche nei consigli provinciali, come quello di Verona, si approvano piani territoriali di coordinamento provinciale insostenibili nei contenuti, con palesi errori e scritti in Pag. 60maniera dittatoriale – sì, dittatoriale – perché non vengono effettuate le previste consultazioni di legge.
      Io sono preoccupata per il futuro del territorio del Veneto e per la sicurezza di chi lo abita. Non voglio abituarmi alle scene drammatiche dell'acqua che invade le case e arriva a lambire anche un capannone in provincia di Padova dove sono stoccate tonnellate di rifiuti tossici e speciali. Il MoVimento 5 Stelle non vuole essere complice delle scelte scellerate che la giunta regionale e provinciale perseguono con spregiudicatezza.
      Per questo, chiediamo l'impegno del Governo: a disporre in tempi rapidi la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino e la ricostruzione degli immobili; a concedere indennizzi alle attività produttive danneggiate dagli eventi calamitosi per il ripristino delle riserve di magazzino e per il risarcimento dei danni derivanti dalla perdita di beni immobili legati alla produzione; a concedere alle popolazioni e alle imprese colpite dall'alluvione la sospensione immediata di ogni adempimento fiscale, contributivo, assicurativo relativo a persone fisiche e giuridiche, nonché i mutui per i contribuenti e le imprese tramite la defiscalizzazione e la decontribuzione per il triennio 2014-2016; a introdurre, poi, adeguate misure di finanziamento alle piccole e medie imprese, oltre che a rendere disponibili le risorse necessarie per far fronte ai danni prodotti dall'alluvione nel più breve tempo possibile.
      Ma, soprattutto, chiediamo al Governo di predisporre un programma di prevenzione ambientale di medio e lungo termine attraverso una normativa specifica, nazionale di messa in sicurezza del territorio e a delineare una disciplina della gestione delle grandi emergenze che, garantendo i diritti dei cittadini, definisca con chiarezza procedure, tempistiche e risorse in caso di eventi calamitosi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Busin, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
      È iscritta a parlare l'onorevole Mucci. Ne ha facoltà, per quattro minuti.

      MARA MUCCI. Signor Presidente, quattro minuti non basteranno per spiegare la mia preoccupazione in merito alle alluvioni che hanno interessato la mia terra, l'Emilia Romagna. I danni si vanno ad aggiungere a quelli, già ingenti, provocati dal terremoto del 2012, che, paradossalmente, in Emilia, ha colpito le stesse terre.
      Intere economie sono state distrutte, terre floride ridotte in ginocchio dal punto di vista economico e ambientale. Frane, alluvioni, sismi che hanno interessato circa 1.800 aziende che hanno interrotto la propria produzione, oltre 5 mila addetti rimasti senza lavoro e 2.500 ettari di produzione agricola invasi dall'acqua. La gestione delle acque di pioggia rimane ancora oggi uno dei grandi problemi ambientali. L'Italia è sempre più un colabrodo. Il nostro Paese presenta vaste aree a rischio, gli ultimi rapporti di Legambiente ne segnalano la pericolosità. Sulla base dell'ultimo dossier, relativo al 2013, su 1.354 comuni monitorati, ben 1.109, l'82 per cento, presenta una situazione di rischio per abilitazioni, fabbricati industriali, strutture sensibili e ricettive commerciali. Se al sud la costante aggressione al territorio continua a manifestarsi principalmente con l'abusivismo edilizio, al centro-nord ci si ostina ad intervenire nella gestione dei fiumi con infrastrutture rigide, piuttosto che con metodiche maggiormente rispettose e attente alle dinamiche e all’habitat fluviale. Argini realizzati senza uno studio serio sull'impatto a valle, alvei cementificati ed escavazione selvaggia. In particolare, si evidenzia che troppo spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire nelle aree d'esondazione. Circa due comuni su tre, infatti, hanno nel proprio territorio abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frane. In un terzo dei casi si tratta, addirittura, di interi quartieri.
      Fa poi rabbia pensare che l'Italia è la nazione con maggior numero di geologi. In Pag. 61Europa sono 30 mila, la metà sono italiani, in Europa ci sono 700 mila frane e di queste 500 mila si trovano in Italia. Anziché prevenire, urgentemente e strutturalmente, si continua a spendere per l'emergenza a danni avvenuti. Negli ultimi quattro anni la cifra stanziata per le emergenze supera il miliardo di euro, circa 800 mila euro al giorno, cifre che non basterebbero neanche lontanamente a ripristinare i servizi prioritari e coprire le spese dell'emergenza. È una follia se si pensa che nello stesso periodo di tempo la cifra effettivamente erogata per interventi di difesa del suolo è stata di circa 350 milioni, pari a un terzo di quanto abbiamo speso in emergenza.
      L'ultimo di una serie di stanziamenti è quello del Governo Renzi, che il 17 marzo scorso ha annunciato l'assegnazione di 600 milioni immediatamente disponibili attraverso il programma «Terraferma», peccato però che ai soliti annunci non siano seguiti i dettagli per la piena attuazione. Se potessimo decidere come adoperare questi fondi, come li utilizzeremmo ? Il MoVimento 5 Stelle adeguerebbe lo sviluppo territoriale alle mappe del rischio, evitando in particolare che la costruzione di strutture residenziali e produttive avvenga in aree a rischio geologico. Occorre che le modalità delle costruzione degli edifici tengano conto del livello, della tipologia del territorio su cui poggiano. È importante, è importantissimo stanziare soldi e fondi per far ripartire il lavoro delle aziende che adesso sono ferme, per introdurre da subito misure per il credito agevolato. C’è la necessità urgente di risorse immediate per far ripartire, quindi, le aziende, gli impianti, i macchinari di produzione, per ristabilire le scorte.

      PRESIDENTE. La invito a concludere.

      MARA MUCCI. Occorre prevedere immediatamente bonus fiscali per le attività produttive che investono in opere di mitigazione del rischio. È necessario sospendere le cartelle esattoriali e prorogare le scadenze fiscali. Che cosa ha fatto il MoVimento 5 Stelle fino adesso ? È depositata in Commissione finanze, e ne chiediamo la calendarizzazione, che ci ha aiutato in questo, una proposta di legge chiamata job bonus, che mira a destinare bonus fiscali per le attività produttive che investono in mitigazione del rischio idrogeologico. Terrazzamenti, muretti, drenaggi di acque superficiali, ottengono, quindi, un bonus fiscale. È importante svincolare dal Patto di stabilità le spese in emergenza e prevenzione dal rischio idrogeologico.
      L'Italia, per la sua conformazione, è destinata a frane e terremoti, ma le nostre politiche devono incidere attraverso la prevenzione e il sostegno alle attività produttive, altrimenti saremo spettatori passivi dei danni da alluvione e da dissesto idrogeologico ad ogni stagione dell'anno, a discapito del nostro meraviglioso Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Spadoni. Ne ha facoltà.

      MARIA EDERA SPADONI. Signor Presidente, il 19 gennaio 2014 l'argine del fiume Secchia ha ceduto a circa tre chilometri a valle della città di Modena e l'acqua fuoriuscita ha invaso il territorio circostante interessando otto comuni. È lo stesso territorio già colpito dai terremoti del maggio 2012. Anche il Veneto è stato messo in ginocchio dal maltempo, l'intensa caduta di pioggia e neve ha creato gravi disagi alla popolazione, danni consistenti ai beni pubblici e privati e alle attività economiche produttive, black out elettrico, tetti delle abitazioni crollati, strade bloccate, capannoni allagati e spiagge invase dai detriti: questo è il quadro. I fenomeni di dissesto idrogeologico e gli eventi meteorologici cosiddetti straordinari sono diventati ordinari. Gli eventi straordinari sono diventati un'emergenza continua.
      Molto spesso, però, si tratta di un disastro annunciato e non di un'emergenza. L'alluvione nel modenese era, infatti, stata prevista dal meteo, dai cittadini e dalle istituzioni. L'inondazione è passata negli stessi punti di alluvioni precedenti. I Pag. 62cittadini hanno sempre denunciato lo straripamento degli argini durante le piene. Perché nessuno ha mai ascoltato la loro denuncia ? Perché nessuno ha preso in considerazione la preoccupazione dei cittadini, i primi ad essere interessati alla cura del proprio territorio ?
      «Stato di calamità naturale» si dice, come se non dipendesse dalle scelte dell'uomo. L'uomo è, invece, responsabile di queste catastrofi. Il territorio è stato sfruttato per seguire, come sempre del resto, logiche di profitto a discapito dell'ambiente. Si continua a cementificare, a consumare suolo, a canalizzare i fiumi, a cementificare le sponde, a ridurre le zone di esondazione naturale e a non garantire l'indispensabile manutenzione ordinaria, spesso tagliando la vegetazione ed estraendo quantità ingenti di materiale dal letto dei fiumi. Inoltre, gli argini non vengono periodicamente controllati e rinforzati.
      E intanto ? Migliaia di sfollati, aziende che hanno interrotto la produzione, addetti senza lavoro, milioni di euro di danni, tante piccole e medie imprese in ginocchio senza la possibilità di ripartire. La politica in questi anni non si è spesa sul tema della prevenzione del dissesto idrogeologico. Aggiungerei anche che la politica decide di non investire per prevenire il dissesto idrogeologico e preferisce, per esempio, far passare la proroga delle missioni internazionali, dando 619 milioni di euro alle missioni all'estero per sei mesi.
      Abbiamo, invece, bisogno di una politica di difesa del territorio seria, che, senza costruire nuove infrastrutture, riesca a creare una chiara strategia di riduzione dei rischi. In questi anni non sono stati, invece, attuati programmi seri per mettere in sicurezza il territorio con un'adeguata pianificazione, che gestisca la fase di intervento e stabilisca i piani di manutenzione. Prevenzione è, dunque, la parola chiave. Operare in prevenzione costa meno dei soli costi di riparazione delle urgenze ambientali che ci attendono già in un breve futuro. Insomma, prevenire conviene.
      Ciò che chiediamo al Governo è, dunque, sicurezza, trasparenza e tempestività d'azione. Il Governo si deve impegnare affinché si arrivi a un provvedimento che, dalla gestione delle eterne emergenze, arrivi via via ad impegnare i suoi sforzi e le risorse sul piano della prevenzione. Fermiamo i disastri annunciati, agiamo subito per il bene del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Spessotto. Ne ha facoltà.

      ARIANNA SPESSOTTO. Signor Presidente, gli eventi meteorologici che nei mesi scorsi hanno colpito in maniera così drammatica alcune zone del Veneto e dell'Emilia-Romagna non si possono più definire emergenze. Anche se la dimensione del rischio che viviamo quotidianamente è, a dir poco, allarmante, come dimostrano i fenomeni alluvionali che recentemente hanno colpito le nostre regioni, la situazione di dissesto e di rischio vissuta dall'Italia si è talmente aggravata e questi episodi sono diventati talmente frequenti, purtroppo, che ormai possiamo definirli ordinari.
      Il dissesto idrogeologico, le inondazioni e le frane, a cui ci siamo tragicamente abituati, rappresentano le conseguenze tangibili della totale assenza di governo del territorio del nostro Paese. Il territorio italiano è esposto a rischio sismico e idrogeologico in misura maggiore rispetto ad ogni altro Paese europeo. I comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio ammontano ad oltre 6.600, circa l'82 per cento del totale dei comuni.
      Eppure, la dimensione della prevenzione del rischio è ancora largamente sottovalutata nel nostro Paese. La superficie delle aree ad alta criticità idrogeologica in Italia si estende per oltre 29 mila chilometri quadrati, ossia il 9,8 per cento dell'intero territorio italiano. Per avere un'idea della dimensione del problema, si pensi solo che, secondo le stime dell'ANCE e del Cresme, gli eventi di dissesto idrogeologico che si sono verificati negli ultimi dieci anni, oltre ad ingenti danni a persone, Pag. 63case e infrastrutture, hanno provocato più di 12.600 tra morti, dispersi o feriti, mentre il numero degli sfollati supera i 700 mila.
      Di fronte a questi fenomeni, continua senza sosta il processo di ulteriore urbanizzazione delle città e di scellerate previsioni edificatorie, frutto di anni di deregolamentazione e demolizione delle regole pubbliche, deroghe ai vincoli urbanistici e paesaggistici, ottenute tramite l'uso strumentale dell'accordo di programma e della corruzione tra politica e affari. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dall'analisi dei dati elaborati dall'Ispra, ha valutato che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi e alluvionali accaduti negli ultimi cinquant'anni risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa un miliardo di euro l'anno.
      Ma altri studi parlano di cifre molto più elevate. Parliamo quindi di costi umani ed economici che l'Italia non si può più permettere. Una politica lungimirante avrebbe investito risorse economiche adeguate nella prevenzione del dissesto, accompagnate da un'adeguata attività di informazione e formazione dei cittadini su queste tematiche strategiche, piuttosto che puntare solo sulla gestione delle emergenze. Invece, le speculazioni edilizie e la cementificazione selvaggia che da anni sconvolgono il nostro Paese e in maniera molto pesante la mia regione, il Veneto, hanno portato ad investire in opere inutili e costosissime, che ulteriormente distruggono il paesaggio e un patrimonio ambientale inestimabile, sottraendo ingenti risorse a servizi fondamentali e urgenti per la cittadinanza.
      È sufficiente citare, solo a titolo di esempio, lo stanziamento di 9,8 miliardi di euro per la Orte-Mestre, una grande opera ad impatto ambientale devastante per il territorio, con un consumo di suolo superiore a 331 ettari; oppure i 14 milioni di euro per un progetto di linea ad alta velocità-alta capacità che nessuno vuole e che costerà cifre ancora più ingenti quando verrà realizzato (se, e speriamo non venga realizzato); o le decine di miliardi per la realizzazione di nuove autostrade. Maxi progetti faraonici negli stessi luoghi inondati dalle acque negli ultimi anni e mesi. E non va meglio nelle altre regioni d'Italia.
      Dal 2001 ad oggi, gli aggiornamenti del piano delle infrastrutture strategiche, con successivi provvedimenti, hanno aumentato sino a 390 il numero delle opere definite strategiche. Tra l'altro, con questo termine immagino si volessero riferire alla strategicità per l'arricchimento dei soliti noti, perché per ora, per i cittadini, in queste opere di strategico non c’è stato proprio nulla.
      Anche il costo totale preventivato per queste opere è aumentato, lievitando a 374,81 miliardi di euro, a fronte di una disponibilità finanziaria effettiva pari a 78,34 miliardi.
      E cosa è stato fatto, invece, sul fronte della prevenzione del dissesto ? Invece di puntare sugli interventi di messa in sicurezza proposti nel 2013 dall'associazione bonifiche, pari a 3.342 interventi per 7,4 miliardi totali... Scusi, quanto tempo mi rimane ?

      PRESIDENTE. La bellezza di 35 secondi...

      ARIANNA SPESSOTTO. Grazie. Dicevo, si è scelto di aumentare irresponsabilmente i rischi introdotti da una cementificazione selvaggia, che devasteranno, tra le altre regioni, anche Veneto ed Emilia-Romagna, già in ginocchio per le recenti alluvioni, le frane e gli smottamenti.
      Gli investimenti per la prevenzione del rischio idrogeologico sono oggi un obbligo se vogliamo evitare tragedie, ridurre la spesa per interventi a posteriori e, allo stesso tempo, creare lavoro. Secondo le recenti stime del Ministero dell'ambiente, oggi servirebbero 1,2 miliardi all'anno per almeno 20 anni per attuare gli interventi previsti dai piani regionali per l'assetto idrogeologico. Ma lo Stato preferisce spendere più di 2 mila miliardi di euro ogni anno per tamponare i danni a tragedie avvenute.
      Con questa mozione, il MoVimento 5 Stelle chiede un impegno del Governo Pag. 64affinché vengano messi in atto interventi strutturali dettati da un chiaro indirizzo politico a difesa del territorio nazionale, stabilendo strumenti per tale intervento e risorse economiche adeguate. La prevenzione e la messa in sicurezza del territorio sono fondamentali per limitare l'impatto delle calamità naturali e per difendere la sicurezza dei cittadini, che non può più prescindere da una corretta gestione e protezione del territorio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Segoni. Ne ha facoltà.

      SAMUELE SEGONI. Signor Presidente, da questa discussione è emerso abbastanza chiaramente come il problema del dissesto idrogeologico vada a braccetto con il problema del dissesto finanziario delle casse dello Stato. Infatti, abbiamo visto benissimo come questo problema, che, in fin dei conti, è ambientale e territoriale, sia scivolato su tematiche prettamente economiche, dove il succo della questione è dove andare a trovare i soldi per intervenire, anche perché dobbiamo intervenire su due ordini di questioni, entrambe, a nostro modo di vedere, prioritarie: da una parte, abbiamo le emergenze, quindi cittadini e attività produttive che giustamente, essendo colpiti costantemente da eventi calamitosi naturali, chiedono contributi per poter far fronte a queste continue emergenze; dall'altra parte, però, occorre investire anche nella prevenzione. Questi due aspetti sono molto più correlati di quanto non si pensi, perché è abbastanza palese che meno si investe in prevenzione e più siamo costretti a spendere per far fronte alle emergenze.
      Noi del MoVimento 5 Stelle, in questa mozione, proponiamo un contributo al Governo per provare a risolvere il problema e a conciliare questi due aspetti.
      E visto che vanno di moda i meccanismi finanziari – si pensi alle varie golden rule, ai Patti di stabilità, eccetera, eccetera – proponiamo una cosa che in realtà è abbastanza semplice, cioè fissiamo un rapporto, ad esempio, il 50 per cento (mi tengo largo, poi ovviamente ne possiamo discutere), e facciamo che ogni anno il Governo investa in prevenzione il 50 per cento fisso di quello che l'anno precedente ha dovuto spendere per le emergenze.
      Secondo noi, in questo modo, a lungo termine, ma già nel medio periodo, potremmo innescare un meccanismo che va a retroalimentare il problema del rischio idrogeologico, andando via via a ridurlo nel tempo. Quindi, chiediamo alle altre forze politiche di appoggiarci, visto che proporremo una votazione per punti della nostra mozione, e al Governo di recepire questo input, che riteniamo possa essere utile per passare dalle parole – con cui tutti in quest'Aula ci siamo incensati fino ad ora – in maniera efficace ai fatti.

      PRESIDENTE. Grazie, onorevole Segoni, ha usato ampiamente meno dei minuti che aveva a disposizione e, quindi, ha pareggiato lo sforamento dei tempi dell'onorevole Spessotto. Abbiamo risolto il problema.
      Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
      Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
      Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Brunetta ed altri n. 1-00290, Roberta Agostini ed altri n. 1-00273, Vezzali ed altri n. 1-00319, Prataviera ed altri n. 1-00379 e Dorina Bianchi n. 1-00381 concernenti iniziative per promuovere la parità di genere nel settore dello sport (ore 15,40).

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Brunetta ed altri n. 1-00290, Roberta Agostini ed altri n. 1-00273, Vezzali ed altri n. 1-00319, Prataviera ed altri n. 1-00379 e Dorina Bianchi n. 1-00381 concernenti iniziative per promuovere la parità di genere nel settore dello sport (Vedi l'allegato A – Mozioni).Pag. 65
      Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

      PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
      È iscritta a parlare l'onorevole Coccia, che illustrerà anche la mozione Roberta Agostini ed altri n. 1-00273, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

      LAURA COCCIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Governo, si torna a parlare di parità di genere dopo la settimana scorsa. Mi auguro questa volta per arrivare a qualcosa di concreto. Per questo, spero che con questa mozione il Governo si impegni davvero a promuovere un atto importante come l'adozione della Carta dei diritti delle donne nello sport, lanciata dall'Uisp e presentata al Parlamento europeo nel 2011.
      La diffusione dello sport sociale per tutti rappresenta un passo indispensabile e un segno di grande civiltà perché promuove la cultura del rispetto e delle differenze. Il Governo proprio in questo senso deve fare la sua parte affinché il sistema sportivo recepisca una vera cultura delle pari opportunità.
      Sarebbe sconfortante se accadesse il contrario, soprattutto se pensassimo che l'Europa sta andando verso questa direzione e noi rimaniamo indietro. Dobbiamo parlare di pari opportunità sotto tanti punti di vista. Dobbiamo cambiare verso, anche da questo punto di vista. Dobbiamo parlare, ad esempio, di un nuovo concetto della donna anche sui media, nella pubblicità e in tutti i mezzi di comunicazione perché, vede, lo sport ricopre un ruolo sociale fondamentale e le donne che praticano sport sono ancora veramente molto poche, troppo poche.
      È anche difficile per una donna decidere di fare sport. La parità di genere tra uomini e donne in questo campo è veramente ai minimi termini e, dopo campagne mediatiche che in questi ultimi anni ci hanno rappresentato la perfezione femminile solamente come la perfezione dell'apparenza, è difficile per una donna decidere di fare sport, mostrarsi davanti ad uno stadio, in un palazzetto, in una piscina in tutta la nudità del suo corpo. Ricordiamo anche che l'abbigliamento sportivo delle donne da questo punto di vista è fatto per evidenziare le forme femminili.
      E, quindi, per chi, come me, non ha un corpo canonicamente perfetto, mostrarsi dentro uno stadio diventa un problema ancora più grande. Infatti, la partecipazione di atlete al femminile, se è bassa per i normodotati, è ancora più bassa tra i disabili, e io credo che le scorse Paralimpiadi di Sochi, da questo punto di vista, siano state un'occasione persa per gli italiani. I dati Auditel della RAI rappresentano dati di ascolto con percentuali da prefisso telefonico. Ecco, io credo che, invece, quella potesse essere l'occasione per mostrare delle donne che sono riuscite a superare gli ostacoli, nonostante la società ufficialmente le relegasse al ruolo di «poverine», quasi da mettere in un angolo.
      Io in quell'angolo c'ero, in quell'angolo buio in cui credevano che dovessi stare a svolgere il mio ruolo di donna in secondo piano e in subordine rispetto al mondo maschile e a quello dei normodotati. Io da quell'angolo sono uscita a undici anni, in prima media, grazie ad un professore di educazione fisica, che mi ha preso per mano e mi ha detto: «tu cominci a correre insieme ai tuoi compagni di classe».
      Abbiamo sfidato tutto il mondo, abbiamo sfidato i medici, abbiamo sfidato gli insegnanti, abbiamo sfidato i miei stessi compagni di classe, che, fino a due minuti prima, mi avevano visto in un angolo e, cinque minuti dopo, volevo correre ed essere come loro. Bene, io la mia sfida l'ho vinta: sono stata la prima in Italia a partecipare ai giochi sportivi studenteschi – la prima disabile – e con costanza, dal 1998 al 2004, ho partecipato a tutte le Pag. 66finali nazionali dei giochi sportivi studenteschi, aprendo da questo punto di vista una strada.
      Io credo che, da questo punto di vista, questa mozione rappresenti un passo importante per il nostro Governo e per il nostro Paese. La Carta dei diritti delle donne ha avuto uno sviluppo e una rivisitazione e la nuova Carta, elaborata dalla Uisp, in collaborazione con altri partner europei, nell'ambito del progetto «Olympia-Equal opportunities via and within sport», è indirizzata da tutti gli operatori sportivi alle associazioni ed organizzazioni sportive, alle istituzioni, ai Paesi dell'Unione europea, tifoserie e media, ed è stata presentata al Parlamento europeo il 25 maggio 2011. Purtroppo, la nuova Carta non è stata ancora approvata dal Parlamento europeo, nonostante l'interesse e l'impegno di diverse parlamentari.
      Nonostante tutto, nonostante il nostro impegno di donne e di atlete, le discriminazioni continuano. Molti dei circoli sportivi più esclusivi di Roma hanno ancora nei regolamenti il divieto di tesseramento per le donne. In Sardegna, la Lega Pro ha vietato l'uso di arbitri federali per una partita mista a sostegno degli alluvionati. Bene, ritengo che sia ora di dire «basta» a queste forti discriminazioni. E non è una questione di merito, perché le donne che erano in campo meritavano allo stesso modo dei loro colleghi uomini, eppure non sono state messe in condizione di gareggiare con pari opportunità.
      In più, i recenti dati ISTAT evidenziano che, rispetto agli anni Novanta, la quota di praticanti è cresciuta fra le donne, ma l'aumento è dovuto solamente alle bambine nella fascia di età tra i sei e i dieci anni; e dobbiamo stare attenti ai fenomeni di anoressia e bulimia, che iniziano proprio in quella fascia d'età. Partendo dai dati dei praticanti, in modo continuativo, nella fascia di età tra i 20 e i 44 anni, le sportive sono intorno al 20 per cento, contro oltre il 30 per cento dei coetanei maschi: il divario massimo, di circa il 24 per cento, è nella fascia tra i 20 e i 24 anni.
      La UE, nel 2010, ha pubblicato i seguenti dati: il 43 per cento degli uomini europei pratica sport, mentre le donne sono il 37 per cento. Coloro che non praticano sport sono il 49 per cento tra gli uomini, percentuale che sale al 57 per cento per le donne.
      Nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni i ragazzi che praticano sport con regolarità sono il 19 per cento, le ragazze sono l'8 per cento. Dati preoccupanti che hanno spinto le organizzazioni sportive di base a sollecitare l'Unione europea al fine di avviare le politiche sportive per favorire la pratica dello sport tra le donne; eppure, l'articolo 1 della Carta internazionale per l'educazione fisica e lo sport, adottata nel 1978 dall'UNESCO, sancisce che lo sport, oltre ad essere essenziale per il completo sviluppo della personalità di ogni essere umano, promuove un linguaggio universale in grado di colmare le disuguaglianze e combattere le discriminazioni. Per questo, l'accesso all'educazione fisica e alla pratica sportiva è un diritto fondamentale inalienabile e dobbiamo fare in modo che questo possa partire il prima possibile dalla scuola primaria, dalla scuola dell'infanzia, perché prima si inizia, prima si riescono a prevenire anche i fenomeni delle discriminazioni. I bambini alla nascita non discriminano nessuno, sono le sovrastrutture degli adulti che gli insegnano a notare le differenze.
      Entriamo nel merito della Carta. Essa riconosce il diritto delle donne e degli uomini ad avere le stesse opportunità di praticare sport a tutte le età e condizioni, senza distinzioni di provenienza sociale e culturale, in ambienti sani e che rispettino la dignità umana; il diritto di donne e di uomini ad avere pari opportunità nella partecipazione ai processi dirigenziali a tutti i livelli delle associazioni e federazioni e ad essere rappresentati in maniera equa nei diversi organismi dirigenziali e in tutti i ruoli decisionali e di potere del mondo dello sport; il diritto di donne e uomini a praticare diversi sport a qualsiasi età e sviluppare competenze nell'ambito dello studio dello sport e della pratica motoria, affinché, senza distinzione di genere, Pag. 67sia possibile ad entrambi sviluppare il proprio impegno sportivo durante tutto l'arco della vita; il diritto di donne e uomini ad un pari trattamento a tutti i livelli e in ogni campo delle scienze sportive, affinché possano diventare membri delle comunità scientifiche e influenzare teorie, metodi e sistemi di ricerca anche nel mondo dello sport; il dovere degli insegnanti di educazione fisica, degli educatori sportivi, degli allenatori e dei formatori è di combattere le discriminazioni di genere nello sport e di adottare e di implementare i principi dell'uguaglianza di genere e di valorizzazione delle differenze.
      A Vilnius, in Lituania, si è tenuta lo scorso dicembre una conferenza sulla parità tra uomo e donna. Ebbene, è stato stabilito un obiettivo ambizioso, e cioè che entro il 2020 il 40 per cento dei posti dirigenziali nello sport sarà assegnato alle donne. Attenzione, parità è 50 e 50; siamo ancora molto lontani. Non possiamo più perdere tempo, non possiamo lasciare che gli altri corrano mentre noi siamo sempre, perennemente, indietro ad arrancare. Le nostre donne atlete non hanno il riconoscimento di professioniste, la legge esiste, ma spesso per noi legislatori è difficile, abbiamo le mani legate, perché le leggi e i regolamenti esistono, bisogna solo applicarli.
      Allo stesso modo, la rappresentanza femminile in tutte le discipline dovrà rispecchiare le realtà sociali, ferma restando l'importanza della meritocrazia. Per questo chiediamo al Governo di impegnarsi ad attivarsi in tutte le sedi istituzionali europee affinché la nuova Carta europea delle donne nello sport, presentata il 25 maggio 2011, sia al più presto approvata e a recepire nell'ordinamento italiano la Carta dei diritti delle donne nello sport, approvata nell'ambito del progetto Olympia e presentata al Parlamento europeo il 25 maggio 2011, predisponendo tutte le iniziative necessarie affinché vi sia un'effettiva promozione delle pari opportunità nella pratica sportiva, nella fruizione paritaria degli impianti sportivi, nella ricerca di strumenti utili a promuovere la partecipazione femminile alle varie discipline sportive e ai processi decisionali attraverso l'inclusione delle donne nelle posizioni di dirigenza degli organismi federali delle varie discipline sportive. Ricordo che, ad oggi, nessuna donna è presidente di una federazione sportiva (Applausi).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Molea, che illustrerà anche la mozione Vezzali n. 1-00319, di cui è cofirmatario.
      Ne ha facoltà.

      BRUNO MOLEA. Signor Presidente, innanzitutto voglio esprimere la mia grande soddisfazione per il fatto che oggi la pratica sportiva è all'attenzione del Parlamento; non è un fatto di abitudine, quindi sono veramente contento che ciò avvenga.
      Lo sport ricopre un ruolo sociale fondamentale, è riconosciuto anche dal Libro bianco sullo sport dell'11 luglio 2007 presentato dalla Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale europeo e che ha messo al centro il tema dell'inclusione, della sostenibilità, delle pari opportunità per lo sport per tutti. Per sport si intende qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o meno, abbia per obiettivo l'espressione e il miglioramento della condizione fisica e mentale, con la promozione della socializzazione e con il perseguimento di risultati in competizione a tutti i livelli.
      La pratica sportiva moderna, dunque, coinvolge dimensioni diverse dell'esistenza individuale e collettiva: tempo libero, modelli di comportamento, aspetti economici. I numerosi benefici dell'attività fisica e dell'esercizio fisico nel corso dell'attività sono ormai noti e contribuiscono alla qualità della vita.
      Numerose ricerche confermano il ruolo che lo sport e l'attività fisica hanno nello sviluppo dei bambini e degli adolescenti e rilevano che la partecipazione ad un'attività fisica e sportiva nell'adolescenza è positivamente associata a livelli di attività fisica in età adulta. Il Trattato di Lisbona Pag. 68ha riconosciuto lo sport come settore di competenza dell'Unione europea in cui essa può sostenere le attività degli Stati membri.
      Lo sport, inoltre, ha effetti positivi sull'inclusione, sull'inclusione sociale, sull'istruzione, sulla salute pubblica e sull'invecchiamento attivo. Lo sport in questi anni è cambiato ed è cambiata la domanda di pratica sportiva da parte delle donne. La Carta europea dei diritti delle donne nello sport è stata proposta per la prima volta nel 1985 ed è stata successivamente trasformata nella risoluzione delle donne nello sport del 1987 dal Parlamento europeo. La Carta metteva in risalto una forte disparità numerica tra uomini e donne impiegati in questo settore, perciò esprimeva la necessità di risolvere tale discriminazione, rimuovendo le barriere culturali che impedivano il coinvolgimento della donna nella pratica sportiva.
      A distanza di quasi trent'anni da questa presentazione della prima Carta, permangono delle notevoli differenze in termini di pari opportunità. Nonostante i progressi, i risultati ottenuti e l'incremento della partecipazione delle donne nella pratica sportiva, in Italia i provvedimenti di legge relativi al contrasto della violenza e del razzismo nello sport possono essere tutti considerati come interventi che vedono nello sport una pratica solidale e di mutualità, ma che poco hanno ottenuto in termini di reale parità di genere proprio nello sport. Infatti, risulta ancora persistente una forte segregazione delle donne nello sport, specie all'interno delle organizzazioni sportive, dove latitano in maniera preoccupante le donne che occupano posizioni direttive. Sono spesso tutti di genere maschile i dirigenti di federazioni in cui, pure in proporzioni ridotte, sono presenti anche donne praticanti.
      Le donne rappresentano una percentuale di minoranza nelle posizioni di comando in tutte le discipline sportive, fatta eccezione per gli sport esclusivamente femminili, a tutti i livelli e in tutti i Paesi. La punta della gerarchia sportiva, la posizione del presidente, è occupata sempre da uomini, tranne qualche rara eccezione. Nel febbraio 2012, nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo sulla dimensione europea dello sport, si invitano la Commissione e gli Stati membri a sostenere gli organismi europei per l'attuazione delle raccomandazioni della Carta europea dei diritti delle donne nello sport.
      Dalla ricerca di una sociologa danese, Gertrud Pfister, risulta, ad esempio, che su 52 federazioni sportive europee soltanto quattro hanno donne nei rispettivi board, ovvero nei massimi organismi dirigenti. A livello mondiale, su 70 federazioni, soltanto cinque hanno un presidente donna. Questi dati appaiono ancora più sconfortanti se confrontati con il forte aumento della pratica sportiva femminile, soprattutto in questi ultimi anni. Lo sport non parla donna anche a livello dei media: abbondano gli stereotipi, l'uso dell'immagine femminile è strumentale, le giornaliste donne hanno poco spazio nelle redazioni sportive e gli sport femminili non vengono seguiti dai giornali. È diritto di ognuno praticare sport in ambienti sani che garantiscano la dignità umana. Donne e uomini di età diverse e di condizione sociale diverse devono avere le stesse opportunità di praticare attività sportiva di ogni genere.
      Le donne devono avere le stesse opportunità degli uomini per poter partecipare ai processi decisionali a qualsiasi livello nell'intero sistema sportivo e devono essere rappresentate con la pari eguaglianza nei diversi organismi dirigenziali e in tutte le posizioni di potere. Le donne devono avere le stesse possibilità degli uomini di diventare membri delle comunità scientifiche e influenzare teorie, metodi e sistemi di ricerca, nonché avere un uguale trattamento a tutti i livelli e in ogni campo delle scienze sportive, e l'Italia deve avvertire la stessa necessità dell'Europa a votare una risoluzione al fine di superare le barriere culturali e gli stereotipi che ancora dominano il mondo dello sport nonché i preconcetti oggi ancora esistenti nei confronti del giornalismo sportivo femminile.Pag. 69
      Ritengo che lo sport possa rappresentare un ottimo strumento di integrazione sociale tra i due sessi, soprattutto in un'epoca caratterizzata da un forte immigrazione che ha portato con sé anche differenti culture relative alla figura e alla condizione della donna.
      Con questa mozione si impegna, pertanto, il Governo a mettere sempre più frequentemente lo sport nella sua agenda e a sostenere, con ogni iniziativa utile, l'approvazione di una nuova Carta europea delle donne nello sport e a porre in essere tutte le possibili iniziative volte a incoraggiare una reale parità di genere nei board dirigenziali degli organismi federali delle varie discipline sportive, nonché a valorizzare la pratica dello sport da parte delle donne; ad adottare ogni iniziativa di competenza finalizzata a favorire una equilibrata rappresentanza di genere in seno agli organismi dirigenziali e decisionali delle organizzazioni sportive; a coordinare, insieme agli Stati membri, una campagna per la promozione e l'adozione della Carta europea dei diritti delle donne nello sport; a promuovere iniziative al fine di incoraggiare maggiormente la partecipazione delle donne alla pratica sportiva, garantendo la parità di accesso alle attività sportive, in particolare per quanto riguarda le ragazze e le donne, inclusi i gruppi svantaggiati; a promuovere iniziative per far sì che alle donne venga garantito lo stesso trattamento economico degli uomini, sia negli organismi dirigenziali e decisionali di enti e organizzazioni sportive, sia nelle discipline sportive praticate.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caon, che illustrerà anche la mozione Prataviera n. 1-00379, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

      ROBERTO CAON. Signor Presidente, premetto che nel 1985 l'Unione italiana sport per tutti, in collaborazione con altri partner internazionali nell'ambito del progetto «Olympia – Equal opportunities via and within sport», ha elaborato «La Carta europea dei diritti delle donne nello sport», trasformata in Risoluzione delle donne nello sport nel 1987 dal Parlamento Europeo, evidenziando una grave disparità numerica tra uomini e donne impiegate in questo settore. La Carta aveva lo scopo di incentivare campagne a favore delle pari opportunità fra uomini e donne nello sport e di rimuovere le barriere culturali che impediscono il reale coinvolgimento delle donne.
      A distanza, purtroppo, di quasi 30 anni, nonostante i progressi e l'incremento della partecipazione femminile al mondo dello sport, permangono le differenze in termini di pari opportunità: sia per quanto riguarda il coinvolgimento delle donne in ruoli e posizioni di vertice e leadership all'interno di enti, federazioni e società sportive, sia per la persistenza di stereotipi di genere nella stessa pratica sportiva.
      Sotto il profilo della pratica sportiva, la Carta specifica che «donne e uomini devono avere lo stesso diritto di praticare diversi sport e di sviluppare competenze nell'ambito di studio dello sport,» sottolineando che «entrambi i sessi devono essere in grado di sviluppare il proprio impegno sportivo nell'arco della vita». Sotto il profilo della leadership, donne e uomini devono avere le stesse opportunità di partecipare ai diversi livelli decisionali nell'intero sistema sportivo; devono essere rappresentati in maniera equa nei diversi organismi dirigenziali e in tutti i posti di potere.
      Nel gennaio 2011, la Commissione europea ha presentato la comunicazione «Sviluppare la dimensione europea dello sport», in cui individua azioni ed iniziative per la valorizzazione del ruolo dello sport nell'ambito delle singole politiche dell'Unione europea ed evidenzia i temi prioritari dell'agenda dell'Unione europea per lo sport: la promozione dell'attività fisica a vantaggio della salute; la lotta al doping; l'istruzione e la formazione; il volontariato e le organizzazioni sportive senza scopo di lucro; l'inclusione sociale nello sport e attraverso lo sport, compreso lo sport per i disabili e la parità dei sessi nello sport e il finanziamento sostenibile dello sport di base e la buona governance.Pag. 70
      Il 2 febbraio 2012, il Parlamento europeo ha approvato la Risoluzione sulla comunicazione della Commissione europea «Sviluppare la dimensione europea dello sport», in cui richiama espressamente la Carta europea dei diritti delle donne nello sport, facendo proprie alcune delle indicazioni in essa contenute e dando ampio spazio, nella parte relativa al ruolo sociale dello sport, al tema delle donne e delle pari opportunità sotto il profilo di genere nello sport.
      Nella Risoluzione, approvata dal Parlamento europeo il 2 febbraio 2012, sulla dimensione europea dello sport si invita la Commissione e gli altri Stati membri a sostenere gli organismi europei per la promozione e l'attuazione delle raccomandazioni della Carta europea dei diritti delle donne nello sport. Una nuova risoluzione, approvata dal Parlamento europeo il 12 marzo 2013, individua inoltre nell'attività motoria e sportiva un'importante risorsa per la promozione della salute, nonché il superamento degli stereotipi di genere.
      Con questa mozione, si intende impegnare il Governo a farsi promotore, nelle competenti sedi europee, di una campagna per la promozione e l'adozione della Carta europea dei diritti delle donne nello sport; a mettere in atto ogni iniziativa idonea a valorizzare ed incoraggiare la pratica dello sport da parte delle donne, garantendo la parità di accesso alle attività sportive; a creare, con gli appositi strumenti, le condizioni affinché, all'interno degli organismi dirigenziali e decisionali delle federazioni sportive, sia favorita un'equa presenza delle donne e un trattamento economico, a parità di incarico, uguale a quello degli uomini; a porre in essere tutte le opportune iniziative, anche normative, per ridurre la disparità di trattamento economico tra atleti di sesso diverso e per implementare ogni forma di tutela possibile ai fini di una paritaria contrattualizzazione senza discriminazioni legate al genere.
      Voglio anche aggiungere che, di questi tempi, visto che nelle varie leggi elettorali si parla tanto dell'equità tra donna e uomo, penso che, per maturare anche un discorso culturale, si debba partire proprio dalla fase dello sport; anche in tenera età si comincia a gareggiare o a confrontarsi e, se si pongano le basi, proprio in tenera età, di un sistema sportivo che incentiva la promozione dello sport e tutto quello che ho appena evidenziato, penso sia la cosa migliore per riuscire a portare nel nostro mondo quella pari dignità che tutti vogliamo.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fossati. Ne ha facoltà.

      FILIPPO FOSSATI. Signor Presidente, signori del Governo, intanto osservo, avendo ascoltato gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, che la discussione su queste tre mozioni è una discussione convergente negli obiettivi e nelle valutazioni e sarebbe il caso, nel tempo che ci separa da questo momento a quello della votazione, di valutare la possibilità di arrivare ad un pronunciamento unitario e unico da parte del Parlamento: sarebbe un bel segnale.
      Ci siamo soffermati sul tema degli ostacoli che tuttora sono presenti alla diffusione dell'attività motoria e sportiva tra le donne e sulle discriminazioni di genere che, nel modo sportivo, nella sua organizzazione e nella sua governance, sono ancora vive e ancora operanti. Molte cose sono state dette, io mi soffermo su alcuni esempi, tentando di collegarmi agli esempi e ai ragionamenti.
      Penso all'assegnazione di genere delle discipline sportive. Si dice, si sa, è cultura generale che il calcio è degli uomini. Ora, per i numeri sì, naturalmente, ma i numeri evolvono e ci sarebbe e c’è una domanda di attività femminile anche nel calcio. Ma per il calcio femminile non ci sono investimenti, non c’è logistica, non ci sono gli spogliatoi, non ci sono le ore di campo di gioco a disposizione, non c’è promozione, non c’è didattica. Nella cultura del calcio non c’è il misto, non c’è l'attività di bambini e bambine insieme, neanche da piccolissimi, come ormai è regola in altri sport di squadre (il basket, Pag. 71il volley e perfino il rude rugby, la cui cultura di fair-play e integrazione dovrebbe essere presa a modello). Questo è lo stereotipo, questo è l'atteggiamento discriminatorio.
      Ma ci si potrebbe domandare dove i numeri sono invece dalla parte delle donne. Anche in quel caso – e in particolare in quel caso – il comportamento delle istituzioni è particolarmente increscioso. Il fitness, le ginnastiche, la danza sportiva, hanno numeri straordinari. Per la prima volta, nel 2012, ginnastica e danza hanno superato il calcio in termini di diffusione in Italia e sono discipline a grande maggioranza di praticanti donne. Ora, chiunque di noi può aggirarsi sul territorio nazionale e contare le centinaia di impianti, piccoli e medi, di proprietà dei comuni, talvolta del CONI, spesso anche nuovi, recenti, dedicati al calcio e, con le dita di una mano, invece, cercare un qualche povero impianto pubblico dedicato alla ginnastica o al fitness o alla danza. Ma perché ? Perché se non per un riflesso discriminatorio ? Perché quando vado a costruire il piano delle opere pubbliche ci metto gli impianti sportivi e mai un impianto, in un comune o in una provincia, è destinato allo sport che sappiamo ha numeri così enormi nella parte femminile della popolazione ? Perché le donne devono pagare per fare sport e pagare il privato for profit ? Non è un destino. In Europa non funziona così. Le palestre multifunzionali per le ginnastiche sono invece, in tanti Paesi d'Europa, l'infrastruttura di base che segna il territorio e che, guardandosi in giro, appunto, troviamo.
      D'altra parte, un mondo come quello sportivo, a imbarazzante prevalenza maschile, non potrebbe fare diversamente (è già stato detto). Nessuna federazione in Italia è presieduta da donne. La povera presidente dell'equitazione è stata commissariata pochi mesi dopo l'elezione (e cito solo per il paradosso, perché non entro nel merito dei motivi sicuramente validi). Due donne presidenti di federazione in Europa e percentuali ridicole fra i dirigenti, gli istruttori e i tecnici, anche quando sono donne la maggioranza dei praticanti l'attività.
      Lo sport è un fenomeno sociale complesso, globale, che talvolta anticipa e talvolta esalta le contraddizioni sociali moderne. Sul tema della discriminazione di genere siamo di fronte ad un esempio di scuola della distanza dalle innovazioni che si affermano nella società e la permanenza, invece, di stereotipi che producono chiusura nelle istituzioni della governance sportiva, comprese le facoltà universitarie, le scuole del CONI, i media sportivi e i modelli sessisti di giornalismo e di televisione. Da una parte, nella società abbiamo l'esplosione dei nuovi sport informali di strada: il correre ovunque, il camminare ovunque, la bicicletta ovunque, il saltare ovunque, il parkour nelle città, il danzare ovunque, l’hip hop, gli skate, gli skateboard, generazioni nuove di sportivi, e nuove non solo in senso anagrafico ma anche persone che riscoprono, in questo modo, anche da anziani, la possibilità di mettersi in movimento, che vivono insieme la socialità, costruendo contesti adatti e rispettosi non solo delle differenze di genere, ma anche delle differenze di cultura, delle differenze di provenienza; dall'altra parte, invece, le strutture federali e olimpiche, con le regole complicate basate sulla separazione, sulla selezione. Tutti uomini a decidere e a parlare nei talk-show, con le donne relegate ai margini, dalle università alle curve degli stadi.
      Allora, bisogna fare quello che le emozioni dicono. Si deve promuovere la Carta dei diritti europea, grande intuizione della UISP, Unione italiana sport per tutti, negli anni Ottanta, aggiornata e riproposta nel 2011, strumento importante e Carta di ultima generazione.
      Non è un elenco di diritti, che sarebbe sempre naturalmente positivo, ma è un elenco di azioni, è uno strumento normativo dai risultati verificabili. E poi si deve operare una svolta.
      Ora, questo tema che solleviamo oggi dimostra clamorosamente quanto non sia più possibile per uno Stato moderno non occuparsi dell'attività fisica, dello sport, Pag. 72della sua diffusione, dei vantaggi sociali di inclusione, di comunità, che lo sport può costruire. Certo, se c’è una politica, se c’è un investimento, se si fanno delle scelte.
      Se invece si delega al CONI, come solo in Italia avviene, o ad altri, lo sport si chiuderà in se stesso, nei suoi risultati tecnici, quando ci saranno, nelle sue chiacchiere da tifosi. E ci ritroveremo, come siamo oggi in Italia, al 41 per cento della popolazione in una condizione di sedentarietà assoluta, che è un dato incivile, con i ragazzi diseducati al muoversi, al giocare, al socializzare, ragazzi più malati e più infelici dei loro coetanei europei.
      È vero che il Governo non ha molte competenze – se le è tolte, non se le è mai date – ma approva lo statuto del CONI, ma approva i principi fondamentali delle federazioni sportive. Allora, almeno questo facciamolo. È il momento di indicare allo sport italiano la necessità di inserire nei regolamenti e negli statuti del CONI e delle federazioni sportive norme e proposte che riconoscano e promuovano la parità di genere nello sport e norme antidiscriminatorie verso culture, provenienze, orientamenti sessuali dei cittadini dello sport (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Costantino. Ne ha facoltà.

      CELESTE COSTANTINO. Signor Presidente, signore del Governo, queste mozioni che, come ha appena detto l'onorevole Fossati, anch'io spero e auspico vengano unificate, rispondono tutte ad un assunto semplice: donne e uomini di età differenti e diverse provenienze sociali e culturali devono avere le stesse opportunità di praticare sport.
      Dagli anni Ottanta in poi la partecipazione delle donne nello sport è sicuramente cresciuta, così come è cresciuto anche il numero delle discipline praticate, anche se c’è ancora un grosso divario negli sport considerati solo e soltanto maschili.
      Quello che è indubbio è che sia cambiata la mentalità e che le donne che praticano sport siano meno discriminate del passato. Ma a livello professionistico e amatoriale, se entriamo nel merito dei numeri, possiamo notare come nella fascia tra i venticinque e i cinquanta anni si registrino tanti abbandoni.
      Madri, mogli, figlie, lavoratrici, continua ad essere sempre molto difficile per le donne conciliare tempi e ruoli con la pratica sportiva. Pure le atlete di alto livello hanno problemi connessi sia al loro desiderio di maternità che alla conciliazione con i tempi di allenamento.
      Come abbiamo più volte affermato, la qualità di una società si misura dai pari diritti per tutte le persone. Pensate a quanto ritardo in Italia ci sia ancora sull'attenzione agli spazi dello sport: spogliatoi, aree comuni, palestre, non sono ancora women friendly e non rispondono per niente alle aspettative delle donne.
      Per questo è importante chiedere di avere più flessibilità nelle strutture sportive facendo in modo di conciliare i tempi di lavoro e di pratica sportiva, così da combinare lo sport con la maternità, per esempio. La crescita del numero di donne provenienti da altre culture e religioni, inoltre, richiede che lo sport ripensi e adatti gli impianti sportivi, rispondendo così alle nuove esigenze culturali e religiose.
      Sulle leadership – e anche su questo è già intervenuta l'onorevole Coccia –, è importante sottolineare come le donne non abbiano le stesse opportunità di partecipare ai processi decisionali. Vale anche nell'intero sistema dello sport, dove ancora non vengono sostenute reti di supporto di donne dirigenti per ottenere un equilibrio di genere nei gruppi dirigenti sportivi.
      Tutte le società sportive sono strutturate secondo una mentalità maschile in termini di articolazione e tempo. Le parità di genere riguardano anche i membri delle comunità scientifiche sportive: teorie, metodi e temi di ricerca sono oggi tutti declinati solo al maschile, mentre servirebbe un uguale trattamento in ogni campo della scienza dello sport, perché la cultura sportiva femminile diventi oggetto della ricerca scientifica, approfondendo le abilità, le sensibilità e la pratica.Pag. 73
      Un altro tema riguarda la persistenza di stereotipi di genere e la discriminazione contro le persone a causa del proprio orientamento sessuale, pratica inaccettabile a tutti i livelli e in tutti gli sport. Crediamo debba essere posta maggiore attenzione ai diritti delle persone transessuali nelle società sportive, nelle federazioni e associazioni sportive. Si dovrebbe pensare, in particolare, alla creazione di opportunità di partecipazione alle varie competizioni sportive per persone transessuali, rispettando la loro dignità e i loro bisogni.
      Lo sport ha un potenziale enorme, ovvero quello di riunire e raggiungere tutti, indipendentemente da età, sesso e origine sociale, ed è compito dello Stato rimuovere tutte le barriere che, ancora oggi, impediscono a tante cittadine e cittadini di praticarlo. Il Governo, con questa mozione, deve impegnarsi a dare valore alla pratica dello sport da parte delle donne, promuovendo e garantendo la rappresentanza di genere negli organismi dirigenziali e decisionali delle organizzazioni sportive.
      L'idea di una campagna per la promozione e l'adozione della Carta europea dei diritti delle donne nello sport è il punto di partenza di tutta una serie di iniziative che possono incoraggiare la partecipazione delle donne alla pratica sportiva; una partecipazione che includa, finalmente, bambine, ragazze, donne: atlete dei successi italiani del futuro (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

      PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
      Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di parere sulle mozioni.
      Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
      Sospendo a questo punto la seduta, in attesa dell'esito della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, che è prevista per le ore 17; quindi, vi saranno le comunicazioni all'Aula.

      La seduta, sospesa alle 16,15, è ripresa alle 18,45.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

Sul calendario dei lavori dell'Assemblea e aggiornamento del programma.

      PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, i lavori dell'Assemblea della prossima settimana sono stati così rimodulati:

      Lunedì 24 marzo (ore 11 e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna)

      Discussione sulle linee generali delle proposte di legge:
          n.  204-B ed abbinate – Modifica dell'articolo 416-ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-mafioso (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato);
          n.  331-B ed abbinata – Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato).

      Discussione sulle linee generali delle mozioni:
          Chimienti ed altri n. 1-00341 concernente iniziative per la stabilizzazione del personale precario delle pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento al comparto scuola;

      Molea ed altri n. 1-00327 concernente iniziative a sostegno del settore del turismo;

Pag. 74

      Sarro e Brunetta n. 1-00387 concernente iniziative in relazione ai recenti terremoti che hanno colpito alcune aree della regione Campania e la provincia di Campobasso.

      Martedì 25 (ore 15, con eventuale prosecuzione notturna), mercoledì 26 e giovedì 27 marzo (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna e nella giornata di venerdì 28 marzo) (con votazioni)

      Seguito dell'esame delle mozioni Giancarlo Giorgetti, Giorgia Meloni ed altri n. 1-00340, Zan ed altri n. 1-00354, Gigli ed altri n. 1-00364, Brunetta ed altri n. 1-00365, Ferraresi ed altri n. 1-00367, Pizzolante e Dorina Bianchi n. 1-00370 e Moretto ed altri n. 1-00385 concernenti iniziative in merito agli eccezionali eventi meteorologici che hanno colpito di recente il Veneto e l'Emilia Romagna.

      Seguito dell'esame della proposta di legge n.  254 ed abbinata – Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione consensuale del contratto di lavoro per dimissioni volontarie.

      Esame della domanda di autorizzazione a procedere in giudizio ai sensi dell'articolo 96 della Costituzione, nei confronti della deputata Michela Vittoria Brambilla, nella sua qualità di ministro senza portafoglio per il turismo, pro tempore (Doc. IV-bis, n.  1).

      Seguito dell'esame delle proposte di legge:
          n.  204-B ed abbinate – Modifica dell'articolo 416-ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-mafioso (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato);
          n.  331-B ed abbinata – Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato).

      Seguito dell'esame delle mozioni:
          Bergamini ed altri n. 1-00217, Schirò ed altri n. 1-00345, Pannarale ed altri n. 1-00353, Gianluca Pini ed altri n. 1-00359, Colonnese ed altri n. 1-00361, Galgano ed altri n. 1-00366 e Berlinghieri ed altri n. 1-00384 concernenti iniziative per un efficace utilizzo degli strumenti finanziari messi a disposizione dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e per favorire l'integrazione tra tali risorse e quelle dell'Unione europea;
          Castelli ed altri n. 1-00348, Marcon ed altri n. 1-00362, Guidesi ed altri n. 1-00363, Giorgia Meloni ed altri n. 1-00372 e Marchi ed altri n. 1-00386 concernenti lo scostamento dai parametri europei in materia di deficit pubblico;
          Brunetta ed altri n. 1-00290, Roberta Agostini ed altri n. 1-00273, Vezzali ed altri n. 1-00319, Prataviera ed altri n. 1-00379 e Dorina Bianchi n. 1-00381 concernenti iniziative per promuovere la parità di genere nel settore dello sport;
          Chimienti ed altri n. 1-00341 concernente iniziative per la stabilizzazione del personale precario delle pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento al comparto scuola;
          Molea ed altri n. 1-00327 concernente iniziative a sostegno del settore del turismo;
          Sarro e Brunetta n. 1-00387 concernente iniziative in relazione ai recenti terremoti che hanno colpito alcune aree della regione Campania e la provincia di Campobasso.

      Nella mattina di martedì avrà luogo lo svolgimento di interpellanze e interrogazioni e nella giornata di venerdì lo svolgimento di interpellanze urgenti.

      Il programma si intende conseguentemente aggiornato.

      L'organizzazione dei tempi per l'esame della mozione Sarro e Brunetta n. 1-00387 concernente iniziative in relazione ai recenti terremoti che hanno colpito alcune aree della regione Campania e la Pag. 75provincia di Campobasso sarà pubblicata in calce al Resoconto stenografico della seduta odierna.
      Avverto altresì che la Commissione di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo, già convocata per giovedì 20 marzo, è nuovamente convocata, ai fini della sua costituzione, giovedì 27 marzo alle ore 14.

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

      PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla XI Commissione (Lavoro):
          «Conversione in legge del decreto-legge 20 marzo 2014, n.  34, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese» (2208) – Parere delle Commissioni I, II, V, VIII, X e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

      Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Ordine del giorno della seduta di domani.

      PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

      Venerdì 21 marzo 2014, alle 9:

      Svolgimento di interpellanze urgenti.

      La seduta termina alle 18,50.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO ROCCO PALESE IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MERITO AGLI ECCEZIONALI EVENTI METEOROLOGICI CHE HANNO COLPITO DI RECENTE IL VENETO E L'EMILIA ROMAGNA.

      ROCCO PALESE. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi ! La serie storica degli eventi climatici estremi o di livello eccezionale, avvenuti lo scorso anno in Toscana e nel corso dell'inizio dell'anno in Emilia Romagna e in contemporaneità nelle regioni del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, conferma l'indicazione di due elementi dominanti: da un lato, un evidente aumento della frequenza degli eventi verificatisi negli ultimi 30 anni e dall'altro, una persistente vulnerabilità di territori fortemente antropizzati.
      L'aumento della frequenza e dell'intensità degli eventi estremi, secondo le osservazioni dei climatologici e dei geologi, sembra essere riconducibile sia all'aumento della temperatura media, ovvero agli effetti dei cambiamenti climatici, che di una maggiore energetizzazione dell'atmosfera e la conseguente maggiore mobilità delle masse d'aria.
      In tale contesto l'alternanza di forti piogge a periodi di siccità, espone il territorio italiano, già sottoposto ad alto rischio di dissesto idrogeologico, ad eventi estremi che producono gravi danni soprattutto nelle aree più urbanizzate e quindi negli insediamenti produttivi.
      L'argomento sulla prevenzione del rischio idrogeologico e della messa in sicurezza del territorio, viene affrontato ancora una volta, dopo che eventi climatici avversi, hanno provocato una situazione di sofferenza e di difficoltà nelle regioni del nostro Paese, colpite da fenomeni alluvionali particolarmente intensi, sebbene bisogna riconoscere, come nel corso della presente legislatura, il Parlamento abbia richiamato l'attenzione sulle tematiche della difesa del suolo e della messa in Pag. 76sicurezza del territorio attraverso l'approvazione di alcuni atti di indirizzo, prima del verificarsi dei tragici eventi alluvionali accaduti nelle regioni dell'Emilia Romagna e nello stesso periodo in Veneto e nel Friuli Venezia Giulia agli inizi di quest'anno.
      Ciononostante le misure previste nel corso dei mesi precedenti al fine di contrastare il dissesto idrogeologico e della messa in sicurezza del territorio nazionale, da ultimo le norme inserite all'interno della legge di stabilità per il 2014, appaiono decisamente insufficienti, per fronteggiare efficacemente le emergenze alluvionali e contrastare in modo risoluto le pratiche di utilizzo aggressivo e dissennato del suolo sia agricolo che urbano.
      A tal fine rilevo, come nonostante le evidenti difficoltà di ordine finanziario, nel reperire le risorse necessarie per la copertura delle norme, gli interventi contenuti all'interno di un decreto – legge che non ha nulla ha che fare con la difesa del suolo e la tutela dei territori a seguito di eventi alluvionali, approvato ieri sera dall'Assemblea, possano per quanto in misura non risolutiva, consentire alle regioni colpite agli inizi di quest'anno da eccezionali ondate di maltempo mi riferisco all'Emilia Romagna e al Veneto, di fronteggiare gli adempimenti fiscali attraverso la sospensione delle scadenze tributarie e del pagamento delle cartelle Equitalia.
      Le mozioni all'esame dell'Assemblea, che riguardano iniziative in merito agli eccezionali eventi meteorologici, che hanno colpito proprio di recente le medesime regioni: il Veneto ma anche il Friuli Venezia Giulia a partire dalla giornata del 30 gennaio 2014 e la successiva prima settimana di febbraio ed in precedenza l'Emilia Romagna, nelle giornate dal 17 al 19 gennaio, s'inseriscono in un contesto più ampio delle politiche d'intervento emergenziale in materia di tutela dell'ambiente e di assetto del territorio a fronte di dissesti idrogeologici, eccezionali eventi meteorologici e più in generale emergenze di carattere ambientale.
      Gli atti di indirizzo e di controllo, ripropongono nuovamente l'almeno duplice l'esigenza, di intervenire in modo tempestivo al verificarsi di tali calamità atmosferiche, sia nei riguardi delle popolazioni colpite da questi «uragani del Mediterraneo», terminologia specifica recentemente utilizzata dai climatologi, per specificare meglio questi eventi climatici, le cui precipitazioni sono concentrate in un tempo molto breve: le cosiddette «bombe d'acqua», che per sostenere quelle amministrazioni che, avendo già attivato sistemi di protezione del territorio, si trovano senza risorse.
      Gli eventi pluviali di particolare e grave intensità, che hanno interessato le regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia – Romagna, hanno determinato una serie di complesse difficoltà di livello emergenziale, in estese parti degli insediamenti abitati nelle località implicate, provocando frane, allagamenti, esondazioni, ed interruzioni della viabilità ordinaria e dei collegamenti ferroviari, causando addirittura vittime.
      Numerosissime comunità locali ad alta densità abitativa i cui insediamenti produttivi, commerciali ed agricoli, fondamentali per il tessuto socioeconomico delle aree territoriali regionali coinvolte, sono stati infatti completamente devastati dall'alluvione e versano tutt'oggi a distanza di circa un mese e mezzo dall'accaduto, in condizioni di estrema gravità.
      Gli interventi stanziati a livello regionale dalla Giunta regionale del Veneto e dalla deliberazione dello stato di emergenza per l'alluvione del gennaio 2014 in provincia di Modena dal Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2014, non sono in grado di fronteggiare neanche in minima parte, i gravissimi danni infrastrutturali e ambientali, derivanti dal dissesto idrogeologico, che ha provocato frane e smottamenti in vaste porzioni di aree interessate dall'evento, né conseguentemente le esigue misure finanziarie al momento previste, appaiono sufficienti per avviare il ripristino delle condizioni di normalità.
      La sospensione del pagamento dei tributi e contributi per i comuni veneti interessati dalle piogge torrenziali, che hanno subito danni gravissimi, prevista Pag. 77all'interno del decreto – legge sul rientro dei capitali è solo un primo passo necessario ma non sufficiente per alleviare le sofferenze patite dalle famiglie e delle imprese delle aree interessate.
      Le sollecitazioni che provengono dalle molteplici amministrazioni locali, del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e dall'Emilia Romagna, descrivono uno scenario complessivo che tuttora permane di estrema gravità sia, in ordine alla restaurazione delle opere di collegamento stradale, in particolare per quelle di viabilità secondaria, che per quelle ferroviarie anch’ esse coinvolte dalle conseguenze nefaste dell'alluvione, come ad esempio gli allacciamenti tra i territori di Treviso e Venezia.
      Nelle province di Udine e Pordenone, le forti precipitazioni, hanno causato l'esondazione del fiume Sile, determinando ingenti danni per numerosi comuni interessati all'interno di abitazioni private, edifici pubblici e attività commerciali.
      Anche nell'alto Friuli, in particolare a Tarvisio, risultano di particolare rilevanza i danni causati dal maltempo a causa della straordinaria nevicata che nel periodo di fine gennaio ha comportato diverse e continue interruzioni del servizio di energia elettrica, procurando un grave danno agli afflussi turistici del fine settimana.
      Nella confinante regione Veneto, in contemporaneità con quanto avvenuto in Friuli Venezia Giulia, la ricognizione dei danni verificatisi e dei relativi fabbisogni finanziari, tali da formalizzare la dichiarazione dello stato di emergenza, per un evento calamitoso che, secondo quanto sostenuto dal medesimo Presidente, risulta addirittura peggiore rispetto all'alluvione dell'anno 2010, gli eventi atmosferici hanno assestato un duro colpo a numerosi distretti industriali già alle prese con la crisi economica, che nonostante le rassicurazioni del precedente Governo Letta il quale, a più riprese dichiarato che il peggio è alle spalle, persiste nel nostro Paese e in particolare nel Nord-Est.
      L'eccezionale ondata di maltempo che ha attraversato gran parte del territorio veneto, i cui danni finanziari risultano provvisoriamente quantificati dallo stesso Presidente Zaia, pari ad almeno 475 milioni di euro, ha coinvolto anche l'area dolomitica e prealpina, causando l'interruzione dell'erogazione dell'energia elettrica, nei Paesi dell'alto Cadore, rimasti isolati e la chiusura di passi e impianti sciistici.
      Gli effetti così devastanti, hanno determinato conseguenze particolarmente negative, per l'economia turistica veneta e friulana, in considerazione che, in alcuni casi, la stagione turistica invernale, che rappresenta peraltro in alcune aree montane l'unica fonte di reddito economico, si è interrotta in modo definitivo.
      Aggiungo come un curioso ed ulteriore effetto negativo causato dalla gravissima ondata di maltempo, è quello verificatosi a valle del versante interessato.
      Nei giorni immediatamente successivi all'evento, oltre 2 mila tonnellate di detriti si sono infatti spiaggiati sull'arenile di Jesolo e lungo l'intero litorale, deturpando le spiagge e la costa, i cui danni stimati soltanto per il recupero e lo smaltimento, secondo le amministrazioni locali coinvolte, ammonta ad oltre 1 milione di euro. Un bilancio, considerato le piene del Piave e del Sile, destinato tra l'altro ulteriormente ad aggravarsi.
      Uno scenario di evidente gravità, le cui straordinarie precipitazioni hanno saturato fin quasi al collasso, le opere di difesa idraulica, causato centinaia di frane con numerose interruzioni della viabilità in tutte le zone montane, pedemontane e collinari e la tracimazione della rete idraulica secondaria, che ha determinato l'evacuazione di centinaia di persone e diffusi danni ad abitazioni imprese, esercizi commerciali ed edifici pubblici con pesanti ripercussioni sull'intero tessuto socioeconomico.
      La deliberazione regionale dello stato di calamità, decisa dal Presidente Zaia e la conseguente richiesta della dichiarazione dello «stato di emergenza», come previsto dalla normativa vigente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri a seguito delle nevicate eccezionali e dai pericoli derivanti dalla tenuta dell'intero sistema fluviale, è Pag. 78stata resa indispensabile per sostenere una intera regione che ha subito gravissimi danni in montagna messa in ginocchio e una pianura che deve far fronte alla devastazione degli allagamenti, ed i cui stanziamenti come in precedenza rilevavo, sono nettamente insufficienti, nonostante le misure approvate ieri sera dal decreto – legge sul rientro dei capitali.
      Anche l'Emilia Romagna, nelle giornate dal 17 al 19 gennaio 2014, ed in particolare il territorio della provincia di Modena, è stata colpita da gravi eventi alluvionali, tali da causare una grave situazione di pericolo per l'incolumità delle persone, provocando l'evacuazione di numerose famiglie dalle loro abitazioni. L'ammontare dei danni, secondo una valutazione iniziale pari a 400 milioni di euro, è principalmente connessa ai danneggiamenti infrastrutturali verificatisi per le opere di difesa idraulica, nei riguardi degli edifici pubblici e privati, alle infrastrutture viarie e alle attività produttive.
      Sul fronte dei risarcimenti in questo caso il Consiglio dei Ministri è intervenuto lo scorso 31 gennaio dichiarando lo stato di emergenza nel territorio della provincia di Modena attribuendo per l'attuazione dei primi interventi nelle more della ricognizione in ordine agli effettivi ed indispensabili fabbisogni, 11 milioni di euro, a valere sul Fondo per le emergenze nazionali per le opere di ricostruzione delle aree alluvionate del modenese.
      Pertanto signor Presidente, onorevoli colleghi, avviandomi alla conclusione del mio intervento, rilevo come all'interno della dettagliata mozione presentata dal nostro Gruppo di Forza Italia, emerge anche nei confronti di questi ultimi eventi calamitosi, la necessità di prevedere da parte del Governo e delle istituzioni comunitarie, un cambio di passo nei riguardi della difesa del suolo e della sua tutela a seguito del verificarsi di alluvioni di così grave intensità come oramai accadono negli ultimi anni.
      Occorre una nuova strategia volta ad imprimere una svolta alle politiche di gestione del territorio: i soliti interventi di manutenzione e riparazione dovrebbero essere inquadrati in una strategia pluridisciplinare che ha come presupposto l'individuazione del modello di insediamento antropico che si vuole favorire sul territorio e quindi delle forme di sostegno alle comunità anche in quelle che abitano nelle aree marginali.
      In questo schema ripetitivo di emergenza perenne si trova la spiegazione di una sempre più ridotta disponibilità di risorse pubbliche a disposizione delle regioni e del Ministero dell'Ambiente per la protezione dal dissesto idrogeologico.
      È il caso di perseguire in ordine alla elaborazione e all'effettiva introduzione di un programma nazionale per la manutenzione, la sicurezza e la revisione degli usi sul territorio, che sia fondato sulle competenze esistenti a livello nazionale, regionale e locale sostenuto da risorse certe e su base regionale e non su interventi sporadici, insufficienti che sanno di beffa come i 30 milioni previsti nella legge di stabilità per il 2014 per la prevenzione dei rischi per le frane e le alluvioni.
      Pertanto concludo in mio intervento, evidenziando come la filiera degli interventi, richiesti all'interno della mozione presentata dal Gruppo di Forza Italia, nei confronti delle aree alluvionali che hanno colpito nei mesi scorsi il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e l'Emilia Romagna, sia coerente e indispensabile per fronteggiare l'attuale fase emergenziale e la domanda di aiuto proveniente dalle comunità locali e dalle amministrazioni coinvolte. Una filiera di misure che s'inseriscono all'interno di un più ampio piano nazionale di prevenzione del territorio e di messa in sicurezza che il Governo dovrebbe in tempi rapidi introdurre in modo concreto.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DELLA MOZIONE N. 1-00387

Mozione n. 1-00387 – Recenti terremoti regione Campania e provincia di Campobasso

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 1 minuto (con il limite massimo di 7 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 19 minuti
    Partito Democratico 1 ora e 13 minuti
    MoVimento 5 Stelle 34 minuti
    Forza Italia – Popolo della Libertà
    – Berlusconi Presidente
27 minuti
    Sinistra Ecologia Libertà 21 minuti
    Nuovo Centrodestra 19 minuti
    Scelta civica per l'Italia 19 minuti
    Lega Nord e Autonomie 18 minuti
    Per l'Italia 17 minuti
    Fratelli d'Italia 15 minuti
    Misto: 16 minuti
        Centro Democratico 5 minuti
        Minoranze Linguistiche 5 minuti
        MAIE – Movimento Associativo italiani all'estero – Alleanza per l'Italia (API) 3 minuti
        Partito Socialista Italiano (PSI)
        – Liberali per l'Italia (PLI)
3 minuti

(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione di ciascuna mozione.