XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Risoluzione in Commissione:
La VI e VIII Commissione,
premesso che:
la lotta alle patologie correlate all'esposizione delle fibre di amianto deve proseguire ed è urgente dare delle risposte efficaci a chi le aspetta da anni;
i dati nazionali legati alla pericolosità dell'amianto, a oltre venti anni dall'entrata in vigore della legge 27 marzo 1992, n. 257, che ha sancito il divieto di estrazione, commercializzazione e produzione di amianto, sono ancora drammatici: l'Ufficio internazionale del lavoro calcola che i casi di morte dovuti all'asbesto, patologia correlata all'esposizione all'amianto, sono circa 120.000 all'anno. A livello nazionale sono stimati dall'Osservatorio nazionale amianto (ONA) in circa 1.500 all'anno i casi di mesotelioma (per i diversi organi colpiti), e in circa 3.000 i casi di neoplasie polmonari asbesto correlate, per un totale di circa 5.000 decessi per patologie asbesto correlate, comprendendo le fibrosi polmonari e le altre patologie asbesto correlate;
è necessario, anche in linea con il recepimento della direttiva 2009/148/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con l'esposizione all'amianto, di ridurre il rischio per l'incolumità e per la salute pubbliche conseguente alla presenza di amianto nei luoghi di vita e di lavoro;
le vicende giudiziarie e sanitarie strettamente correlate con le progressive acquisizioni scientifiche legate al riconoscimento della pericolosità dell'esposizione all'amianto o a materiali contenenti amianto risalgono all'inizio del novecento. Già il tribunale di Torino, con una sentenza del 1908, che aveva definito la causa iscritta al n. 1197/1906, promossa dalla società anonima The British Asbestos company Limited contro l'avvocato Carlo Pich, aveva rigettato la domanda risarcitoria sul presupposto che «Le acquisizioni del Congresso internazionale di Milano sulle malattie professionali in cui venne riconosciuto che fra le attività più pericolose sulla mortalità dei lavoratori vi sono quelle indicate col nome di polverose e fra queste in prima linea quelle in cui si sollevano polveri minerali e tra le polveri minerali le più pericolose sono quelle provenienti da sostanze silicee come l'amianto perché ledono le vie respiratorie quando non giungono fino al polmone»;
com’è noto, l'inalazione da amianto (il cui uso è stato vietato in assoluto dalla legge 27 marzo 1992, n. 257) è ritenuta, da ben oltre i tempi citati, di grande lesività della salute (se ne fa cenno nel regio decreto 14 giugno 1909, n. 442 in tema di lavori ritenuti insalubri per donne e fanciulli ed esistono precedenti giurisprudenziali risalenti al 1906) e la malattia da inalazione da amianto, ovvero l'asbestosi (conosciuta fin dai primi del ’900 ed inserita nelle malattie professionali dalla legge 12 aprile 1943, n. 455), è ritenuta conseguenza diretta, potenzialmente mortale, e comunque sicuramente produttrice di una significativa abbreviazione della vita se non altro per le patologie respiratorie e cardiocircolatorie ad essa correlate;
già il nostro Paese è stato lungamente inadempiente, tanto che dovettero intervenire le istituzioni europee, in quanto l'Italia non aveva recepito la direttiva 83/477/CEE, «Sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con una esposizione ad amianto durante il lavoro», entro il termine del 1o gennaio 1987, cui seguì la procedura di infrazione n. 240/89, che fu definita con la decisione di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea del 13 dicembre 1990 e che reca il seguente tenore letterale: «(...) la Corte dichiara e statuisce: 1) La Repubblica italiana, non adottando nei termini prescritti i provvedimenti, diversi da quelli relativi alle attività estrattive dell'amianto, necessari per conformarsi alla direttiva del Consiglio 19 settembre 1983, 83/477/CEE, sulla tutela dei lavoratori contro i rischi connessi ad un'esposizione all'amianto durante il lavoro, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza del Trattato CEE (...)»;
l'ultima «Conferenza governativa sull'amianto e le patologie asbesto correlate: stato dell'arte e prospettive» che si è svolta a Venezia dal 22 al 24 novembre 2012 ha fatto emergere fra l'altro la presenza di oltre 40 mila siti con presenza di amianto in Italia, di cui 400 a rischio molto alto; la ricognizione sullo stato di attuazione della legge 257 ha evidenziato un'omogeneità nazionale di non attuazione: mancano linee guida in molte regioni, la progressione delle bonifiche è di circa l'1 per cento all'anno dell'amianto presente in Italia nel 1992 (si parla del solo smaltimento legale), e con il ritmo che si è tenuto in questi vent'anni si ritiene che siano necessari ancora almeno 60 anni di lavoro. Dati decisamente approssimativi se si pensa che Sicilia e Calabria non avevano comunicato alcun dato al momento della conferenza di Venezia e che gli utilizzatori indiretti di amianto nelle attività produttive non redigono sistematicamente la relazione annuale. Mancano ancora dati di mappatura dell'amianto nelle scuole per oltre la metà della regioni italiane e ciò non è accettabile se si pensa che le patologie asbesto correlate hanno una latenza prolungata e che potrebbero colpire in particolare le fasce di minore età. Per quanto riguarda la mappatura si segnala che esistono sistemi di individuazione dell'amianto visibile dall'alto anche a costi decisamente bassi. Si segnala che i Centri Operativi Regionali (COR) afferenti al Registro nazionale mesoteliomi hanno subìto un depotenziamento che determina la riduzione delle informazioni ottenute da parte degli esposti e che non consente di compilare un registro degli esposti, aggravando la carenza generale di dati in merito ai siti e alle attività produttive contaminate e impedendo la corretta sorveglianza epidemiologica;
è da rilevare che oltre l'80 per cento delle circa 440 mila tonnellate di amianto smaltite negli ultimi anni in Italia è stata spedita all'estero, con costi aggiuntivi e incremento dei rischi durante il trasporto. Il costo medio di smaltimento dell'amianto è di 900 euro a tonnellata se esportato (550 per la rimozione, 250 per il conferimento in discarica e 100 euro per il trasporto). L'individuazione di siti regionali compatibili con lo smaltimento che rispondano a criteri di idoneità geologica, paesaggistica e ambientale potrebbe portare a una bonifica a «kilometri zero», che dovrebbe passare naturalmente per il coinvolgimento delle popolazioni interessate anche in merito alla necessità di riduzione del rischio in relazione al progressivo deterioramento dei materiali contenenti amianto presenti in tutto il Paese e garantendo la massima trasparenza dei dati dei controlli dell'inquinamento delle matrici ambientali circostanti gli impianti, coinvolgendo personale di età prossima alla pensione negli impianti stessi per i già citati dati di latenza dello sviluppo di patologie;
il piano nazionale amianto del Governo Monti, scaturito anche dalla Conferenza di Venezia, seppur contenga buoni spunti, deve ancora essere approvato dalla Conferenza Stato/regioni ed è bloccato al Ministero dell'economia e delle finanze per la mancanza di coperture; stante l'urgenza che l'attuale Governo attui i provvedimenti necessari a far fronte a questo tema;
nel corso della recente seconda conferenza internazionale dell'Osservatorio nazionale amianto (ONA onlus) tenutasi nell'aula dei gruppi della Camera il 20 marzo 2014, dove è stata data voce alle Istituzioni, alle associazioni di esposti, ai cittadini e a eminenti scienziati, è emersa oltretutto la necessità di un piano amianto alternativo a quello governativo, che miri in maniera più decisa alla prevenzione primaria, alla ricerca scientifica, alla interdizione dei crimini ambientali lesivi della dignità e dell'incolumità della persona, e che attraverso la valorizzazione delle associazioni e delle autonomie locali possa permettere di affrontare e risolvere questo enorme problema;
è necessario che, in linea con il piano governativo e i piani delle associazioni di esposti all'amianto, siano stabiliti altresì termini specifici e tassativi per eseguire e per portare a termine la mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, nonché la bonifica, ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 93 del 2001 e del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 101 del 2003, atteso che l'assenza di termine finale rischia di prorogare sine die gli interventi di bonifica e di esporre a rischio cittadini e lavoratori, con maggior rischio di insorgenza di malattie e lesione della pubblica incolumità e con maggiori oneri sociali e sanitari; è urgente stabilire, inoltre, i termini perentori per la decontaminazione dei luoghi di lavoro in ambito civile e militare, e per il divieto di esposizione all'amianto,
impegna il Governo:
a verificare, d'intesa con le regioni, che entro il 30 giugno 2015 sia eseguita la mappatura dell'amianto contenuto nelle scuole, per tutte le regioni italiane, e si proceda entro il 1o gennaio 2020 alla rimozione dello stesso;
a verificare che sia terminata la mappatura dell'amianto in tutti gli altri locali pubblici e aperti al pubblico entro il 31 dicembre 2016;
a fare in modo che le amministrazioni competenti e i proprietari privati provvedano alla bonifica dell'amianto o dei materiali contenenti amianto entro il 1o gennaio 2020, anche assumendo iniziative normative per introdurre nel codice penale, specifiche fattispecie di reato che puniscano la violazione di tali obblighi e prevedendo l'inasprimento delle sanzioni per fattispecie penali già vigenti;
a verificare, d'intesa con le Regioni, che sia terminata la mappatura dell'amianto nei luoghi di lavoro dove i lavoratori sono, o possono essere, esposti alla polvere proveniente da amianto o da materiali contenenti amianto ivi presente, e a verificare in particolare la presenza di amianto dispersibile in ciascuna attività professionale civile e militare entro il 31 dicembre 2015, verificando, altresì, che il datore di lavoro, indipendentemente dalla concentrazione di amianto in sospensione e dal periodo di esposizione del lavoratore, provveda alla bonifica di tali materiali entro il 1o gennaio 2020, anche utilizzando fondi propri del finanziamento dello specifico settore, anche assumendo iniziative per introdurre nel codice penale, specifiche fattispecie di reato che puniscano la violazione di tali obblighi o prevedendo l'inasprimento delle sanzioni per fattispecie penali già vigenti;
ad assumere iniziative affinché per le coperture installate a seguito di sostituzione di opere contenenti amianto siano utilizzati materiali idonei al loro recupero e al loro riciclo in caso di successiva rimozione e ad obbligare la progressiva sostituzione dei materiali in amianto con altri prodotti di uso equivalente non contenenti amianto e altre sostanze cancerogene, con divieto assoluto di esposizione;
ad assumere iniziative affinché entro il 1o gennaio 2015, la presenza di amianto, in qualunque luogo, sia evidenziata con l'apposizione di un'etichetta chiara e visibile recante l'indicazione della presenza di amianto e il simbolo del teschio raffigurante la morte;
a verificare per quanto di competenza l'effettiva emanazione di linee guida regionali che comprendano l'informatizzazione dei processi di bonifica, la georeferenziazione e l'individuazione di siti idonei allo stoccaggio dell'amianto in ciascuna regione italiana entro il 1o gennaio 2015, in un'ottica di filiera corta di gestione, di riduzione del rischio e dei costi;
a determinare la sicurezza delle varie tipologie di siti di stoccaggio proposti, a partire da quelli che consentano una minore dispersione in qualsiasi elemento (ad esempio gallerie stradali o ferroviarie dismesse);
a verificare i sistemi di tracciabilità dell'amianto, determinando con precisione quantitativi e costi dello smaltimento estero, al fine anche di consentire investimenti nazionali per la messa in sicurezza dell'amianto, che stimolino a uno smaltimento sostenibile;
a determinare un prezziario nazionale sulle singole tipologie di opere di bonifica;
a predisporre misure di defiscalizzazione per gli interventi di rimozione dell'amianto dagli edifici privati;
a prevedere per gli interventi eseguiti entro il 31 dicembre 2019, anche su capannoni agricoli e strutture montane che dall'imposta lorda si detragga un importo pari al 72 per cento delle spese documentate, fino a un ammontare complessivo delle spese non superiore a 96.000 euro per unità immobiliare;
a individuare forme di incentivazione e sostegno selettive e mirate finalizzate agli interventi di rimozione dell'amianto, anche contestualmente alla realizzazione di pannelli fotovoltaici, garantendo l'accesso a tali forme di finanziamento anche alle imprese;
a prorogare, stabilizzandole, le detrazioni per interventi di ristrutturazione e di efficientamento energetico che riguardano la bonifica dell'amianto;
a prevedere in via prioritaria, le attività di bonifica nei siti ad alto rischio in contesto urbano quali scuole, caserme ed ospedali attraverso specifiche risorse allocate in un apposito fondo statale gestito dai Ministeri della salute, dell'ambiente e del lavoro così come indicato anche nel Piano nazionale amianto del Ministero della salute.
(7-00335) «Zolezzi, D'Incà, Luigi Di Maio, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Segoni, Terzoni, Pisano, Pesco».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
nel corso della puntata dello scorso 3 aprile del programma televisivo Otto e mezzo in onda su La7, il Presidente del Consiglio dei ministri interpellato ha rilasciato un'intervista in cui ha parlato, tra l'altro, di nomine ai vertici delle aziende pubbliche;
nel corso dell'intervista il Presidente del Consiglio, riferendosi al gruppo ENI, ha dichiarato: «L'Eni è oggi un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della nostra politica di intelligence, e quando dico intelligence dico i servizi, oltre che un pezzo fondamentale della nostra credibilità nel mondo»;
l'affermazione del Presidente del Consiglio è, a parere dell'interpellante, inqualificabile e pericolosa, perché potrebbe lasciare intendere che il gruppo ENI ha stretti legami con gli uomini dei servizi segreti;
si tratta, a parere dell'interpellante, di una frase sconcertante a livello nazionale e internazionale, in particolare perché rivolta ad una grande multinazionale dell'energia quotata in borsa; le parole del Presidente del Consiglio potrebbero infatti essere utilizzate da qualunque concorrente, soprattutto all'estero, per bloccare contratti o gare. Per non parlare del fatto che potrebbe addirittura configurarsi l'ipotesi di rivelazione di segreto di Stato –:
se intenda chiarire con urgenza il significato delle parole pronunciate nel corso dell'intervista riportata in premessa in merito a «politica di intelligence» e «servizi» in relazione al gruppo Eni.
(2-00498) «Brunetta».
Interrogazioni a risposta scritta:
GULLO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
la società TERNA è proprietaria della Rete elettrica di trasmissione nazionale;
nell'ambito delle sue funzioni ha previsto nel piano di sviluppo (PdS 2006) della Rete elettrica nazionale un nuovo collegamento elettrico a 380 kV tra la Sicilia e la Calabria, da realizzare tra le stazioni di Sorgente (ME) e Rizziconi (RC);
il nuovo elettrodotto a 380kV in doppia terna, costituito parte in linea aerea, parte in cavo sottomarino e parte in cavo terrestre, connetterà l'esistente stazione elettrica di Sorgente, ubicata nel territorio del comune di San Filippo del Mela (ME), con l'esistente stazione elettrica di Rizziconi (RC), ricadente nell'omonimo comune;
a seguito delle notizie di stampa e delle segnalazioni effettuate dall'associazione consumatori siciliani e dal coordinamento ambientale del Tirreno appaiono evidenti delle problematiche non valutate e/o non adeguatamente considerate in fase di progettazione e di autorizzazione;
in particolare: non appaiono considerati gli aspetti inerenti le distanze della abitazioni, l'impatto paesaggistico-ambientale, la salvaguardia della salute dei cittadini dell'area;
infatti, in merito alla tutela della salute dei cittadini, visto il continuo sviluppo delle conoscenze scientifiche e i dubbi di diversi studiosi, non è possibile escludere che in futuro, al di là delle attuali conoscenze, si possa pervenire a risultati differenti. Cosa che richiederebbe atteggiamenti ben più prudenziali rispetto agli attuali;
inoltre, le indennità proposte da Terna appaiono irrisorie rispetto alle effettive possibilità di utilizzo ed alla commerciabilità nei confronti dei proprietari dei terreni soggetti al procedimento ablativo;
infine, non viene considerata la situazione di soggetti proprietari di beni limitrofi all'opera e soggetti, nella realtà effettiva alla difficoltà e/o impossibilità di alienare e/o utilizzare il bene secondo le normali potenzialità dello stesso –:
quali misure urgenti si intendano prendere per:
a) tutelare la salute dei cittadini dell'intera area, con effettivo monitoraggio ambientale sotto il controllo delle associazioni che rappresentano i cittadini;
b) verificare sui luoghi le problematiche evidenziate;
c) garantire il rispetto del paesaggio ed il corretto impatto sull'ambiente;
d) garantire, nell'eventuale scelta di prosecuzione del progetto, ristoro adeguato ai proprietari dei terreni interessati direttamente e indirettamente. (4-04404)
GULLO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
il risparmio energetico è essenziale per il rispetto dell'ambiente, la riduzione dell'inquinamento e la conservazione delle fonti non rinnovabili;
una corretta fruizione delle fonti richiede sia la modifica dei processi energetici, sia che vi siano meno sprechi;
la Presidenza del Consiglio dei ministri ha più volte, ed anche di recente, predisposto campagne per la sensibilizzazione dei cittadini al fine di ridurre gli sprechi;
le molteplici campagne stanno contribuendo gradualmente a sensibilizzare i cittadini e, rispetto a qualche anno fa, si sono ridotte abitudini erronee;
in ambito privato, si notano pertanto dei miglioramenti ed una maggiore attenzione alla problematica;
diversamente, in ambito pubblico, non appaiono esservi significativi miglioramenti;
spesso, le sedi degli uffici pubblici non rispettano i più semplici accorgimenti previsti dalle più elementari regole sul risparmio energetico;
in particolare, durante le ore notturne molti edifici a causa della dimenticanza degli addetti sono internamente illuminati;
per evitare siffatti problemi basterebbe dotare tutti gli uffici di sistemi timer predisposti allo spegnimento –:
quali misure urgenti si intendano assumere per:
a) sensibilizzare i pubblici dipendenti ed evitare lo speco di energia elettrica da parte degli uffici pubblici;
b) individuare risorse specifiche per predisporre sistemi timer di spegnimento delle luci presso tutti gli uffici pubblici. (4-04405)
MATTEO BRAGANTINI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
il Corpo nazionale dei vigili del fuoco lamenta non soltanto una significativa carenza di organici, ma altresì importanti deficit di mezzi ed equipaggiamenti, al punto che in taluni casi è stato segnalato in passato il tentativo del personale di provvedere in proprio agli acquisti degli elementi di prima necessità per la propria attività;
tale situazione sta anche generando pericoli, come prova la circostanza che il 6 aprile 2014 un'autobotte da sette tonnellate, con oltre 230 mila chilometri alle spalle, abbia perso le ruote posteriori mentre si accingeva ad entrare in autostrada dal casello di Brescia Centro, provocando un incidente che avrebbe potuto anche avere gravissime conseguenze;
di contro, lo scorso 24 marzo l'agenzia Ansamed ha dato notizia dell'avvenuta consegna al Governo egiziano di ben 56 veicoli antincendio – 3 di grandi, 46 di medie e 7 di piccole dimensioni – di valore complessivamente pari a ben 11 milioni di euro, nel quadro del programma di aiuto alla bilancia dei pagamenti del Cairo, gestito dalla Cooperazione italiana e denominato «Commodity Aid» –:
per quali ragioni il Governo ritenga di dover anteporre le esigenze della politica di cooperazione allo sviluppo al soddisfacimento delle esigenze primarie del soccorso tecnico urgente nazionale, che scarseggia ormai in uomini e mezzi, e rischia di subire nuovi drastici tagli per effetto della spending review. (4-04409)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
nel territorio di Porto Tolle, al limite orientale della provincia di Rovigo, esiste da anni una centrale termoelettrica di proprietà di Enel spa su cui l'azienda ha da tempo presentato un progetto di riconversione a carbone autorizzato in data 5 gennaio 2011 da parte della direzione generale per l'energia nucleare, le energie rinnovabili e l'efficienza energetica del Ministero dello sviluppo economico, d'intesa con la regione Veneto;
l'impianto in questione unitamente a quelli di Brindisi e Civitavecchia (peraltro già riconvertiti e pienamente operativi) risulta essere non solo tra i siti più grandi del Paese usa anche tra i primi in Europa, forte dei suoi quattro gruppi da 660 megawatt l'uno, per una potenza complessiva di 2640 megawatt e capace di generare circa l'8 per cento del fabbisogno energetico nazionale;
in data 17 maggio 2011, con sentenza del Consiglio di Stato viene annullata la decisione del Tar del Lazio che con il decreto del 29 luglio 2009 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva dato parere positivo alla valutazione di impatto ambientale per la nuova opera;
l'intervento di riconversione, una volta a regime, potrebbe dare lavoro a 800 persone circa tra dipendenti e indotto, per un investimento complessivo di circa 2,5 miliardi di euro, senza dimenticare che il solo cantiere per i lavori darebbe nel tempo lavoro ad ulteriori 1500 persone con punte di 3000;
Enel spa ha chiesto nel frattempo di poter demolire uno dei quattro gruppi dell'impianto, intervento già previsto nel progetto di riconversione e che potrebbe rappresentare al contempo una prima anche se parziale risposta dal punto di vista occupazionale (80/100 persone per un anno a costo zero, considerato che le circa 20 mila tonnellate di ferro del manufatto potrebbero garantire la copertura economica);
questo fattore non appare certo secondario specie se considerata la peculiarità del territorio in cui l'impianto insiste, con un'economia votata in larghissima pane solo all'attività ittica e turistica;
questa richiesta avanzata da parte di Enel spa e condivisa dal comune di Porto Tolle non ha ricevuto ancora risposta da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
alla luce di tutto ciò l'intervento di demolizione assume dunque carattere di urgenza sia di tipo economico che occupazionale;
la questione dell'approvvigionamento energetico in generale risulta essere un elemento strategico e in particolare sulla vicenda di Porto Tolle si è registrata, sin dal primo momento del suo insediamento, una notevole attenzione e sensibilità da parte dell'Esecutivo –:
come e se il Governo intenda attivarsi per sbloccare almeno i lavori per il primo dei quattro gruppi, considerate le ricadute positive in termini occupazionali e non solo che questa decisione comporterebbe per il territorio.
(2-00499) «Crivellari, Tullo, Rossomando, Braga, Sbrollini, Giovanna Sanna, Mura, Pagani, Cardinale, Rosato, La Marca».
Interrogazione a risposta in Commissione:
ZOLEZZI, TERZONI, DE ROSA, BUSTO, DAGA, MICILLO, MANNINO e SEGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
l'azienda «Mantovagricoltura» di Burato Fernando e c. s.n.c. con sede in località Fossato di Rodigo (provincia di Mantova), dal 1998, primo impianto autorizzato per sottoprodotti organici animali (SOA) si occupa della trasformazione degli scarti della macellazione e della lavorazione conciaria delle pelli in ammendante agricolo (idrobios);
nell'ambito della sua attività dal 1998 ha causato notevoli problemi di inquinamento dell'aria e di emissioni odorigene nell'area circostante allo stabilimento, oltre ad aver compiuto numerosi illeciti, alcuni in corso di indagine (vedi oltre), sta proseguendo la sua attività, nonostante i vari provvedimenti adottati dal comune di Rodigo, nonostante l'interessamento degli organi sanitari locali e regionali, nonostante numerose interrogazioni parlamentari rivolte ai Ministri competenti e nonostante le numerose denunce presentate all'autorità giudiziaria;
in particolare si riporta che nel marzo del 1998 il comune di Rodigo concedeva alla stessa ditta il nulla-osta per svolgere attività di trasformazione di sottoprodotti della lavorazione conciaria e della macellazione in fertilizzanti agricoli. Il Ministero della sanità nel giugno 1998 con decreto riconosceva tale impianto quale stabilimento per la produzione di prodotti tecnici, comprensivi anche di fertilizzanti, utilizzando a tal fine rifiuti di origine animale ai sensi del decreto legislativo n. 508 del 14 dicembre 1992;
nell'aprile 2001 la ditta comunicava l'inizio dell'attività alla provincia di Mantova che la iscriveva nel registro delle imprese che svolgono attività in regime di procedura semplificata di messa in riserva e recupero di varie tipologie di rifiuti ricomprese nel decreto ministeriale 5 febbraio 1998 al punto 18 «Rifiuti destinati alla produzione di fertilizzanti». Nel corso di varie ispezioni effettuate dalle competenti strutture dell'ASI, dall'assessorato all'ambiente dell'amministrazione provinciale di Mantova e dell'ARPA, in una circostanza si è potuto procedere alla condanna della ditta «Mantovagricoltura S.n.c.» per l'irregolare smaltimento del materiale di scarto in agricoltura. La vicenda si è conclusa il 6 aprile 2001 con una sentenza della pretura di Castiglione delle Stiviere (Mantova) che ha condannato l'azienda al pagamento di un'ammenda di 132 milioni di lire. Anche il personale del CCTA intervenuto ai sensi dell'articolo 195, comma 5 e dell'ARPA Lombardia ha provveduto ad effettuare controlli presso l'azienda in oggetto fornendo i seguenti riscontri: 21 giugno e 6 novembre 2002 – denunciato il titolare per violazione dell'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 203 del 1988 (emissioni in atmosfera) nonché per violazione dell'articolo 674 del codice penale (getto pericoloso di cose); 17 dicembre 2002 denunciato il titolare per le violazioni precedenti anche per violazione dell'articolo 650 del codice penale (inottemperanza ad un ordine dell'autorità), non avendo la stessa ditta ottemperato ad una serie di prescrizioni impartite dal sindaco di Rodigo (ordinanza di sospensione dell'attività n. 19(02) e dell'ARPA stessa. Il sopralluogo effettuato in data 16 e 17 gennaio 2002 ha confermato quanto constatato dall'ARPA nei precedenti sopralluoghi. In particolare veniva accertato che l'impianto è in esercizio senza che siano state terminate ed attivate completamente le varie linee di convogliamento degli effluenti gassosi. Il sistema di abbattimento dello sfiato dell'autoclave mediante l'eiettore ad acqua risultava tecnicamente inidoneo. Lo scrubber mancava del riempimento necessario ad assicurare una buona efficienza dell'abbattimento degli inquinanti solubili in acqua previsto nell'autorizzazione;
il 9 novembre 2002 il comune di Rodigo, considerati gli esiti dei ripetuti sopralluoghi effettuati nell'impianto in questione dal personale tecnico dell'ARPA Lombardia, da cui risulta che «la Ditta effettua l'attività di trasformazione degli scarti della macellazione in ammendante agricolo senza essere in possesso dell'autorizzazione regionale alla emissione in atmosfera prevista dalla legge 203 del 1988», disponeva la sospensione dell'attività suddetta. L'11 novembre 2002 la regione Lombardia, dando seguito alla richiesta presentata in data 15 aprile 2002 dalla ditta, la autorizzava alla costruzione di un impianto per la trasformazione di scarti e residui di macellazione per l'impiego in agricoltura, alle condizioni riportate nell'allegato tecnico;
l'azienda dispone inoltre dell'autorizzazione del Ministero per le risorse agricole e forestali per la produzione di fertilizzanti, ed è risultata in regola con le direttive CEE. Il recupero di materiale avviene, per la maggior parte, ritirando il rifiuto speciale non pericoloso detto «carniccio» prevalentemente dall'industria conciaria e dalla macellazione (ad oggi risultano circa 20.000 le tonnellate annue ritirate). Tali dati sono riscontrabili anche nell'interrogazione parlamentare dell'onorevole Ruggeri del 2003 (n. 4-04639 presentata giovedì 28 novembre 2002 nella seduta n. 231) a seguito della quale il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Matteoli rispose come l'adozione di provvedimenti contingibili ed urgenti, finalizzati ad invitare la ditta ad adottare ogni utile accorgimento tecnico atto ad eliminare i cattivi odori prodotti dall'impianto, a tutela della salute dei cittadini, è del sindaco di Rodigo, mentre il potere di vigilanza ed il controllo sanitario di tale stabilimento è di competenza del servizio veterinario della regione Lombardia;
si rileva, inoltre, che nel corso del 2009, in seguito a controlli per odori molesti provenienti dalla centrale, gli operatori ASL si imbatterono in cumuli di materiale inerte (circa 80 mila tonnellate) stoccati irregolarmente su area agricola; successive analisi verificarono la presenza di amianto in tali cumuli, in quantitativo omogeneo, considerando tutto il materiale come materiale contenente amianto (MCA) e solo nel 2012 si iniziò il corretto smaltimento di tale materiale cancerogeno, per le resistenze della ditta a sanare il pericoloso illecito;
in data 27 febbraio 2012, con atto dirigenziale n. 21/42, la provincia di Mantova autorizzava la costruzione di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili della ditta società agricola Curtatone biogas SRL, con sede legale e impianto in Curtatone, strada Sacca 24/A. Dal 1o giugno 2012 risulta l'ingresso nella compagine societaria di Burato Fernando;
nel corso del 2013 si apprende da fonti di stampa che Fernando Burato, di Mantova Agricoltura, è indagato insieme ad altre 26 persone per presunto traffico illecito di rifiuti in merito allo sversamento di oltre 150 mila metri cubi di scorie di acciaieria non bonificate e quindi potenzialmente nocive sotto l'autostrada A3, VALDASTICO, il Gip di Venezia ha incaricato dell'accertamento tre periti che hanno iniziato la loro analisi il 5 febbraio 2014; a far partire l'indagine è stata la segnalazione di un'associazione ambientalista: nell'esposto si riferisce di un episodio denunciato ad Albettone dal proprietario di un cane che morì dopo aver bevuto da una pozza d'acqua vicina al cantiere;
per quanto riguarda in particolare l'idrobios, esso è definito nell'allegato tecnico alla pratica di approvazione delle modifiche come ammendante animale idrolizzato (idrolizzato proteico animale), che verrebbe conferito da Mantovagricoltura all'impianto di Buscoldo nel quantitativo di 6.000 tonnellate annue mediante autocisterne (la stessa ditta acquisisce annualmente circa 20 mila tonnellate di tale materiale ed è ipotizzabile una richiesta di incremento dell'utilizzo di tale matrice);
anche in sedie scientifica (si veda, in occasione del Chemistry day, del 12 dicembre 2011, la lezione «Nulla si crea, nulla si distrugge tutto si ri-genera» tenuta dal prof. Mauro Grandi all'istituto superiore «E. Fermi» di Mantova, ove si è chiarito come per carniccio nell'impianto di Rodigo si intenda un generico scarto di conceria e non solo lo scarto di una precisa fase del trattamento (quella del calcinaio, che prevede l'utilizzo di sostanze comunque tossiche alcaline), e che nel digestato proveniente dall'impianto sia necessario misurare il cromo, [a differenza di quanto indicato nell'allegato A1 del documento finale di approvazione provinciale (PD 2100)];
in proposito all'utilizzo di idrolizzati proteici animali va detto che gli esami preliminari in corso presso il Centro ricerca e sperimentazione in agricoltura (CRA), ente vigilato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali che deve sottoporre i risultati alla Commissione Europea, hanno già riscontrato una elevatissima presenza di cromo nei campioni di idrolizzato, dato che porta a rivalutare tutta la filiera di questi rifiuti compreso chiaramente l'utilizzo come matrice degli impianti a biogas. Il cromo, infatti, insieme alle altre sostanze tossiche presenti nel digestato, tende a depositarsi nei primi centimetri di suolo, che ha spesso caratteristiche acide mantenendo il cromo stesso nella forma esavalente, tossica e cancerogena;
è da rilevare come all'interrogazione del senatore Filippi presentata in XVI legislatura (n. 4/04317 ma vedi anche n. 4-06393 concernente l'esclusione dei sottoprodotti e gli scarti di lavorazione dell'industria conciaria dalle materie prime per la produzione di biogas) abbia dato risposta il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Romano Francesco Saverio, riportando che «...il carniccio è da considerarsi rifiuto ai sensi dell'allegato D al decreto legislativo n. 205 del 2010. D'altro canto, all'articolo 13, comma 2, lettera b) (che modifica l'articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006), considera come sottoprodotti di origine animale, quindi non rifiuti, i prodotti trasformati contemplati nel regolamento (CE) n. 1774/2002, a condizione che gli stessi non siano destinati all'incenerimento, allo smaltimento in discarica o all'utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio. Tra l'altro, il carniccio non sembra assimilabile nemmeno alla categoria “residui delle attività di lavorazione dei prodotti agroalimentari, zootecnici e forestali” di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), della tabella D del decreto ministeriale 2 marzo 2010, in quanto residuo dell'industria conciaria» –:
se, alla luce di quanto detto in premessa, intenda disporre ai sensi dell'articolo 195, comma 5 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 urgenti accertamenti ispettivi da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di verificare eventuali condizioni di danno ambientale e di pregiudizio per la salute pubblica, in particolare verificando la tracciabilità dei composti che giungono a Mantovagricoltura di Rodigo, con specifica attenzione ai reflui di conceria valutando la corrispondenza dei codici CER al materiale detenuto, verificando il dosaggio degli interferenti endocrini (tra cui le diossine) sulle emissioni aeree e sui reflui provenienti dagli impianti a biogas che trattino matrici animali fra cui gli scarti di macellazione e disponendo analisi suppletive sulle acque dei canali limitrofi agli impianti;
se intenda assumere gli opportuni provvedimenti al fine di sospendere la possibilità di utilizzare come matrici per gli impianti a biogas i reflui di conceria su tutto il territorio nazionale, chiarendo se ad oggi tale pratica sia stata lecita, anche in considerazione della citata risposta del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Saverio Romano all'atto di sindacato ispettivo n. 4/04317 e se con proprio decreto intenda stabilire il dosaggio del cromo sul digestato in uscita dagli impianti a biogas (come nel caso degli impianti di Rodigo e di Curtatone) dove è previsto lo spandimento del digestato;
se il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, attraverso il Centro ricerca e sperimentazione in agricoltura (CRA), intenda approfondire le analisi sugli idrolizzati proteici animali presentati per l'utilizzo come ammendanti in agricoltura biologica. (5-02593)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
la copia privata è il compenso che si applica, tramite una royalty, sui supporti vergini fonografici o audiovisivi in cambio della possibilità di effettuare registrazioni di opere protette dal diritto d'autore; il compenso è corrisposto alla SIAE, la quale provvede a ripartirlo al netto delle spese anche tramite le associazioni di categoria; a dicembre 2013 la Società degli autori ed editori ha presentato una proposta di revisione degli importi dovuti per l'equo compenso per copia privata, prevedendo un cospicuo rialzo rispetto alle tariffe indicate dall'ultimo decreto di adeguamento adottato sulla materia, ossia il decreto ministeriale 30 dicembre 2009;
nel mese di gennaio 2014, il Ministro dei beni e delle attività culturali del turismo pro tempore Massimo Bray ha commissionato un'indagine ad hoc sulle abitudini dei consumatori per verificare se le cosiddette copie private di opere musicali e cinematografiche siano davvero cresciute negli ultimi tre anni, nonché l'entità di tale crescita, nell'ottica di garantire l'effettiva coerenza della revisione dei compensi in oggetto; recentemente, 500 nomi illustri del mondo dello spettacolo, nonché beneficiari diretti dei proventi da equo compenso per copia privata, hanno sottoscritto e presentato al Ministro una petizione per chiedere l'approvazione con la massima urgenza dell'adeguamento dell'equo compenso per copia privata;
primarie associazioni di consumatori, hanno già avuto modo di contestare nel merito, nel metodo e nel quantum la legittimità nonché l'opportunità delle richieste di aggiornamento tariffario provenienti dalla SIAE, anche e soprattutto per il fatto che l'equo compenso per copia privata esatto dai produttori e distributori di dispositivi elettronici finisce con l'essere riaddebitato ai consumatori finali, peraltro senza che questo sia evidenziato nello scontrino;
nel dicembre 2013, presso il Ministero dei beni e le attività culturali sono state depositate oltre 10.000 firme di persone che hanno sottoscritto la petizione lanciata da Altroconsumo con la quale si chiedeva al Ministro pro tempore Massimo Bray di non aumentare l'equo compenso, le cui adesioni hanno ad oggi superato quota 14.500; secondo quanto riportato dall'esperto di impatti della regolamentazione Diego Menegon «la cosa meno opportuna che potrebbe fare il nuovo Ministro è quello di partire dalla bozza proposta a dicembre dalla Siae: bozza che risente di un ovvio conflitto di interessi. Semmai sarà bene dar seguito alle intenzioni enunciate dall'allora Ministro Bray di svolgere preliminarmente un'analisi di mercato per avere una stima più precisa di quanto, in effetti, i supporti a cui si applica l'equo compenso siano impiegati per creare copie private di opere tutelate dalla Siae»;
il compenso per copia privata appare ben poco equo nella sua indiscriminata applicazione a chi non utilizza i telefonini e computer per ascoltare e memorizzare film e canzoni, una sua accettazione non può implicare la previsione di importi completamente sconnessi all'evoluzione tecnologica e degli stili di consumo, che oggi giustificherebbero, anziché un aumento, una riduzione delle tariffe vigenti;
a quanto si apprende, il Ministro interpellato, sulla base delle richieste presentate dalla SIAE, intende approvare il decreto con la massima urgenza senza attendere l'esito dell'indagine commissionata dal suo predecessore –:
se il Ministro interpellato non ritenga doveroso rendere pubblici gli esiti della suddetta indagine ad hoc sulle abitudini dei consumatori commissionata dal Ministro dei beni e le attività culturali pro tempore Bray, al fine di verificare se le cosiddette copie private di opere musicali e cinematografiche siano davvero cresciute negli ultimi tre anni tanto da legittimare addirittura un aumento del cosiddetto equo compenso del 500 per cento come richiesto dalla Siae;
se il Ministro interpellato intenda approvare il decreto di adeguamento dell'equo compenso per copia privata senza prima aver completato l’iter istruttorio deciso dal suo predecessore e volto ad appurare le reali dinamiche quantitative del mercato.
(2-00495) «Quintarelli, Andrea Romano, Bargero, Bonaccorsi, Catalano, Coppola, Marco Di Maio, Gadda, Tinagli, Peluffo».
DIFESA
Interrogazioni a risposta in Commissione:
PIRAS e DURANTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
la legge n. 86 del 26 marzo 2001, all'articolo 3, fissava «ab origine» i criteri generali a cui attenersi per sospendere la disciplina generale in materia di orario di lavoro ed i connessi «istituti» nel caso il personale militare venisse impegnato in esercitazioni ed operazioni militari caratterizzate da particolari condizioni di impiego prolungato e continuativo oltre il normale orario di lavoro a condizioni che tali attività si protraessero senza soluzione di continuità per almeno quarantotto ore, demandando la determinazione di tali esercitazioni ed operazioni al capo di Stato Maggiore della Difesa, ai Capi di Stato Maggiore delle singole Forze armate ed ai comandanti generali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza;
dai documenti e dalle linee di indirizzo dettate dallo Stato Maggiore della difesa e dagli stati maggiori/comandi generali le esercitazioni sono previste per ciascuna amministrazione dalle apposite «direttive piani per le esercitazioni», mentre per le operazioni militari si deve far riferimento all'assolvimento dei compiti istituzionali di carattere militare, tutte e due opzioni da pianificare comunque attraverso un «ordine di operazioni» da emanare a cura del comandante dell'unità organizzativa interessata;
tale normativa, quindi, introduce un principio di deroga all'articolazione del normale orario di lavoro, in particolari condizioni di impiego, all'interno della cosiddetta «finestra operativa» per operazioni non inferiore alle 48 ore, fermo restando l'obbligo del recupero delle energie psico-fisiche e la fruizione di adeguati turni di riposo oltre al recupero delle giornate festive e non lavorative ed il divieto di impiegare il singolo militare per periodi superiori alle 12 ore continuative;
risulta agli interroganti che il Cocer dell’ Aeronautica militare, con delibera n.1 del 5 marzo 2014, ha chiesto l'avvio della procedura di raffreddamento dei conflitti prevista dall'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo n. 195 del 1995 per l'esame di una controversa questione interpretativa della norma;
si ha notizia, infatti, che alcuni reparti dell'Aeronautica militare quali il reparto sperimentale di standardizzazione tiro aereo di Decimomannu, il 41o stormo di Sigonella, il 36o stormo di Gioia del Colle, il comando aeroporto di Capodichino ed altri hanno posto in essere procedure coattive di recupero di somme percepite dal personale a titolo di compenso forfettario d'impiego. Ciò in applicazione di una recente disposizione pervenuta con lettera del servizio di commissariato e amministrazione del comando logistico dell'Aeronautica militare (protocollo n. M–D ARM003/ 0026737 dell'11 marzo 2014) a firma del colonnello DE ROSA Antonio che ha disposto l'immediato addebito di diverse centinaia di migliaia di euro a seguito di rilievi ispettivi concernenti l'impiego del personale per periodi di tempo inferiori alle 48 ore continuative;
va precisato, inoltre, che la direttiva SMA-ORD 32 edita nel mese di maggio 2012 dallo Stato Maggiore dell'Aeronautica ha recepito tale orientamento retroattivamente con decorrenza gennaio 2012, mettendo pertanto in grossa difficoltà i comandanti periferici che nel frattempo avevano già disposto l'impiego del personale e che, inoltre, con tale innovazione è stato introdotto un principio di anti economicità ed illogicità allorquando un comandante intendesse impiegare un militare per una sola giornata ciò non sarebbe possibile proprio in virtù della paradossale interpretazione che obbliga l'impiego per almeno 48 ore del personale;
appare, infine, contraddittoria l'azione di recupero coattivo posta in essere dall'amministrazione, considerato che l'attività lavorativa è stata effettuata dal personale a seguito di ordini formalmente legittimi e che le somme ricevute non possono essere considerate «indebitamente percepite», suscitando pertanto grosse perplessità l'adozione di procedure di recupero in automatico, senza contraddittorio e messa in mora degli interessati;
l'addebito operato nei confronti del personale militare risulterebbe, quindi, in palese contrasto con il decreto del Presidente della Repubblica n. 163 del 2002 che, nell'istituire il compenso forfettario di impiego, all'articolo 9, impone che sia solo l'operazione addestrativa/operativa ad avere una durata non inferiore alle 48 ore e non già l'impegno del militare medesimo all'interno della stessa –:
se intenda assumere iniziative per l'immediata sospensione degli addebiti nei confronti del personale militare interessato e attendere l'esito della procedura del raffreddamento dei conflitti prevista dal decreto legislativo n. 195 del 1995, articolo 8 comma 3, come richiesto dal COCER, massimo organo della rappresentanza del personale dell'Aeronautica militare;
se corrisponda al vero che il personale volontario in ferma prefissata non in servizio permanente dovrà restituire gli interi importi di compenso forfettario d'impiego ricevuti, senza nemmeno poter compensare con il pagamento del lavoro straordinario;
se corrisponda al vero che i tenenti colonnelli, XIII fascia, incasseranno cospicue somme dovute alla differenza tra il compenso forfettario d'impiego percepito che sarà restituito ed il corrispettivo straordinario che, in sostituzione, verrà loro elargito;
se si intendano intraprendere urgenti iniziative nei confronti di coloro che, tra l'altro, hanno improvvidamente disposto l'addebito senza nemmeno attendere l'esito della procedura avviata dal Cocer dell'Aeronautica in tema di «raffreddamento dei conflitti». (5-02587)
SCOTTO, FAVA, DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
nell'immaginario collettivo della quasi totalità del nostro Paese l'attentato terroristico alla base militare italiana di Nassiriya, in Iraq, è uno degli episodi più drammatici del dopoguerra, certamente il più terribile della storia italiana più recente;
quelle scene di morte e di dolore restano tuttora vivide nella memoria comune, ed anche tanti che di quella guerra non condividono proprio nulla si sono stretti nella disperazione delle famiglie di quei 19 cittadini italiani;
nel racconto che da sempre viene proposto attraverso i media, non solo mainstream, la presenza italiana era stata accettata con gioia e speranza dalla popolazione locale, e nostro compito era mantenere la pace nel popolo iracheno, distribuire viveri ed altri generi di conforto, consegnare medicinali, costruire scuole, recuperare armamenti e sorvegliare i pozzi di petrolio: tutte operazioni di supporto e sostegno alle donne, agli uomini ed ai bambini che soffrivano gli effetti di quella terribile guerra;
un servizio del programma televisivo d'inchiesta «Le Iene» mandato in onda il 2 aprile 2014 ha svelato uno scenario terribile ed inquietante legato all'attività dei militari italiani nella missione di Nassiriya, che mette in dubbio ogni convinzione al riguardo;
un'intervista a Leonardo Bitti, ex militare italiano che ha prestato servizio anche a Nassiriya, ha fatto emergere la possibilità che i soldati italiani in quel contesto abbiano portato avanti operazioni di interrogatorio violento e tortura del tutto simili a quelle sperimentate dai militari americani in luoghi come Abu Ghraib;
il soldato in questione, infatti, sarebbe stato in diverse occasioni nel corso di due mesi inviato presso una piccola struttura isolata nei pressi della base (come risulta anche dalle immagini rilevate dall'alto) per consegnare una cisterna d'acqua, e in quella occasione avrebbe riconosciuto un folto numero di militari del Battaglione San Marco e membri delle forze speciali (paracadutisti d'assalto ed incursori della Marina);
secondo quanto dichiarato, Bitti, entrando nella struttura, si sarebbe trovato di fronte ad una situazione spaventosa: divisa in tre ambienti (uno molto piccolo, uno di misura media ed infine uno stanzone), la casa appariva completamente buia, poiché l'unica finestra era oscurata, con forti odori di urina, escrementi e sangue. Mentre i militari delle forze speciali lavavano l'interno di questo luogo, chiamato «White House» e destinato ad interrogatori, Leonardo Bitti poteva sistematicamente osservare sul pavimento residui di abbigliamento, ed all'esterno, in alcune tende, persone inginocchiate, con i polsi legati da fascette da elettricista e sacchetti in testa, sorvegliati da militari italiani. Alcuni di questi erano nudi, con evidenti segni di manganellate lungo tutto il corpo, e spesso in pessime condizioni di salute;
tutto questo racconto coincide con quanto rivelato in passato da un membro delle forze speciali, rimasto anonimo, alle stesse «Iene». Quest'ultimo aveva spiegato che è del tutto usuale che presunti colpevoli di terrorismo o fiancheggiatori di forze terroristiche vengano rapiti e condotti in luoghi considerati idonei per interrogatori basati sull'uso della violenza, in cui la tortura era (e probabilmente è tuttora) considerata nient'altro che uno strumento idoneo a raccogliere informazioni laddove il prigioniero non sveli immediatamente tutto ciò di cui è a conoscenza;
il «trattamento», come lo definisce il militare delle forze speciali in questione, consisterebbe in calci, pugni, manganellate, scariche di corrente, soffocamento, waterboarding e qualsiasi altra umiliazione fisica o psicologica che possa essere considerata utile per ottenere il risultato sperato;
esisterebbero addirittura manuali, corsi ed esami per perfezionarsi in tali tecniche, ma a potervi accedere sarebbero solo le persone direttamente coinvolte;
affermazioni di questo tipo non possono in alcun modo lasciare indifferenti: laddove corrispondessero a verità, rappresenterebbero un'enorme vergogna di cui primo colpevole non potrebbe che essere considerato lo Stato, insieme con tutti gli organismi istituzionali che hanno autorizzato tali vili violenze;
se confermate, tali pratiche sarebbero una violazione dei più basilari diritti umani che non potrebbero in alcun modo essere ritenute accettabile o anche solo giustificabili, ed è quindi indispensabile, a parere degli interroganti, fare chiarezza su quanto accaduto lì come altrove, e su se e quando tali procedure siano state utilizzate da militari italiani;
chiunque abbia avuto un ruolo in tali vicende o situazioni analoghe, a qualunque livello, deve risponderne e il Governo ha il dovere di attivarsi immediatamente e senza alcun tentennamento –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali urgenti iniziative intendano intraprendere in merito. (5-02594)
Interrogazione a risposta scritta:
CORSARO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
nel comune di Arbus, sulla costa sud occidentale della Sardegna, dalla metà degli anni cinquanta sorge il poligono di tiro di Capo Frasca, che con un'area di 14 km quadrati è il terzo d'Europa per estensione territoriale;
il poligono di Capo Frasca costituisce una articolazione logistico-organizzativa dell'aeroporto militare di Decimomannu, la base militare più attiva e trafficata d'Europa, ed è utilizzato da aeronautica e marina militare italiane, Nato e tedesche, per esercitazioni di tiro a fuoco aria-terra e mare-terra;
il poligono impegna una vasta area di sicurezza a mare interdetta alla navigazione e la segnalata presenza di ordigni inesplosi a terra e, soprattutto, in mare, fanno ricadere su ampia parte del territorio circostante il divieto di esercitare la pesca, coinvolgendo e penalizzando quindi in maniera diretta le popolazioni e i pescatori della zona;
inoltre, il turismo in quella parte dell'isola è gravemente penalizzato dal continuo sorvolo degli arerei militari;
le villae maritimae romane, due importanti pezzi di cultura e storia, essendo situate all'interno del poligono non sono visitabili o in altro modo fruibili per uno sviluppo turistico e culturale in quanto ricadono nel territorio in concessione alla NATO;
nonostante il fatto che il territorio del poligono subisca da cinquanta anni i bombardamenti delle esercitazioni militari su di esso non è mai stata effettuata alcuna analisi epidemiologica e ambientale;
il comune di Arbus non riceve alcun vantaggio dalla presenza militare e dalla servitù su un'area vastissima, se non la poco più che simbolica cifra di 1.400.000 euro corrisposta circa ogni cinque anni a titolo d'indennizzo, ai sensi della legge n. 898 del 1976;
la Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito, che ha svolto i propri lavori nel corso della XVI legislatura, nella «Relazione intermedia sulla situazione dei poligoni di tiro», approvata nel maggio 2012, ha rilevato come occorra «chiedersi se l'attuale sistema di poligoni di tiro sia ancora necessario alle esigenze di difesa del territorio nazionale ed all'adempimento degli obblighi derivanti dalle alleanze sottoscritte con accordi internazionali», tenendo presente che «un tale sistema è stato progettato e realizzato a metà degli anni ’50, in un quadro internazionale dominato dalla divisione bipolare del mondo, in cui la frontiera orientale dell'Italia costituiva una delle frontiere del blocco occidentale e la Sardegna era concepita come un grande retroterra operativo»;
nella relazione, inoltre, la Commissione ha formulato alcune proposte ed indicazioni, tra cui: il «ridimensionamento delle servitù militari in Sardegna, anche mediante la progressiva riduzione dei poligoni di Capo Frasca e di Capo Teulada»; l'individuazione, «nell'ambito dello Stato Maggiore della Difesa ed eventualmente degli Stati Maggiori di Arma, le funzioni preposte alla programmazione, al coordinamento ed all'attuazione delle bonifiche dei poligoni di tiro, in tutta Italia, procedendo ad una ricognizione a carattere nazionale sulla situazione ambientale delle aree dove sono insediate tali installazioni»; il coordinamento con le altre amministrazioni, con le regioni e con gli enti locali, il pieno mantenimento dei livelli occupazionali presenti nelle aree e nelle zone limitrofe ai poligoni interessati a forme di riconversione o di ristrutturazione; l'impegno al Governo per l'inserimento nelle leggi di stabilità di un congruo ed adeguato finanziamento pluriennale dedicato alle opere di bonifica dei poligoni militari;
anche tenuto conto delle proposte formulate dalla citata Commissione, si pone per i comuni sardi interessati dalla presenza di servitù militari l'esigenza di impostare da subito azioni strategiche, concordate ai diversi livelli istituzionali, nella prospettiva del superamento delle stesse servitù, e al fine di prevedere gli stanziamenti adeguati per la costruzione di un nuovo modello di sviluppo dei territori;
sotto altro profilo appare necessario che siano estese anche alle aree interessate dal poligono di Capo Frasca le indagini ambientali e il lavoro di caratterizzazione già svolto per gli altri poligoni siti in Sardegna, al fine di poter poi realizzare la bonifica del territorio;
inoltre, sarebbe opportuno che fosse disposta la cessazione delle esercitazioni militari di sorvolo almeno nel corso del quadrimestre giugno-settembre, al fine di permettere lo sviluppo del turismo costiero;
infine, l'indennizzo corrisposto in base alla legge n. 898 del 1976 sulla regolamentazione delle servitù militari, dovrebbe essere rivalutato in considerazione dell'importanza strategica del poligono e del mancato guadagno che la sua esistenza determina per le comunità locali, nonché dovrebbe essere escluso dai vincoli del patto di stabilità interno –:
se non ritenga di predisporre un piano operativo per la progressiva riduzione delle aree della regione Sardegna soggette a servitù militare, e per la dismissione del poligono di Capo Frasca;
quali iniziative urgenti intendano adottare per la bonifica delle aree sinora sottoposte ad intensa attività militare e per la contestuale riqualificazione delle aree non più soggette a vincolo, prevedendo anche l'insediamento di attività alternative di adeguato livello qualitativo che garantiscano il mantenimento degli attuali livelli occupazionali;
se e con quale tempistica intenda disporre l'equiparazione delle marinerie della costa arburese e del golfo di Oristano alle altre marinerie operanti in aree soggette a servitù militari in termini di indennizzi, come già formalmente richiesto dalle locali autorità. (4-04407)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazione a risposta orale:
RABINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 1, comma 530, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, prevede alla lettera b) che «il canone di concessione previsto dalla convenzione di concessione per la conduzione operativa della rete telematica di cui all'articolo 14-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 640 del 1972, è fissato nella misura dello 0,8 per cento delle somme giocate a decorrere dal 1o gennaio 2007, mentre alla lettera c) che «l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, a decorrere dal 1o gennaio 2007, riconosce ai concessionari della rete telematica un compenso, fino ad un importo massimo dello 0,5 per cento delle somme giocate, definito in relazione:
1) agli investimenti effettuati;
2) ai livelli di servizio conseguiti nella raccolta dei dati di funzionamento degli apparecchi di gioco»;
l'interpretazione autentica del sopracitato comma, fornita dall'articolo 1-ter, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2008, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 novembre 2008, n. 18 4, ha disposto che: «L'articolo 1, comma 530, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che l'importo dello 0,5 per cento di cui alla lettera c) del predetto comma costituisce importo aggiuntivo e distinto dal canone di concessione fissato contrattualmente nello 0,3 per cento, il cui totale è dato dallo 0,8 per cento di cui alla lettera b) del medesimo comma. Tale importo dello 0,5 per cento è dovuto, a decorrere dal 1° gennaio 2007, a titolo di deposito cauzionale a garanzia dell'effettuazione degli investimenti e del conseguimento dei livelli di servizio di cui ai numeri 1) e 2) della citata lettera c), ed è restituito ai concessionari, ai sensi di tale ultima lettera, alle condizioni e nella proporzione in cui gli investimenti e i livelli di servizio risultano effettivamente conseguiti. Le conseguenti condizioni applicative sono regolate con appositi decreti dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e contenute in atti integrativi delle convenzioni accessive alle concessioni, che i concessionari sottoscrivono entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto;
in sintesi, le società concessionarie che gestiscono le ricevitorie (sisal, lotto e altro) pagano allo Stato lo 0,8 per cento che a sua volta restituisce loro lo 0,5 per cento per gli investimenti effettuati e l'operato svolto per il buon funzionamento degli apparecchi di gioco –:
quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati, se non ritengano un'anomalia quella descritta in premessa e quali urgenti iniziative intendano porre in essere per evitare o limitare una così cospicua sperequazione dei premi di promozione erogati alle società concessionarie che gestiscono le ricevitorie. (3-00746)
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:
VILLAROSA, SPADONI, CANCELLERI, RUOCCO, ALBERTI, PESCO, BARBANTI e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere — premesso che:
il fenomeno del gioco d'azzardo oggi in Italia si presenta come uno dei giochi più allarmanti, anche e soprattutto dal punto di vista della pericolosità sociale, che ha subito una notevole espansione senza precedenti;
secondo il Centro nazionale delle ricerche, nel nostro Paese il 42 per cento delle persone comprese tra i 15 e i 64 anni (circa 17 milioni di persone) ha giocato almeno una volta nell'ultimo anno;
i dati EURISPES mostrano la relazione inversamente proporzionale fra investimento nel gioco e reddito familiare: giocano il 47 per cento degli indigenti, il 56 per cento degli appartenenti al ceto medio – basso, il 66 per cento dei disoccupati;
l'infiltrazione nel mercato legale dei giochi può avvenire con modalità ed in momenti differenti, a partire dalla gara per l'aggiudicazione delle concessioni, e richiede, pertanto, grande attenzione da parte sia delle autorità deputate al controllo ed alla vigilanza del settore sia di quelle tenute alla prevenzione e repressione delle attività criminali in generale;
nel caso delle videolottery (VLT – Video Lottery Terminal) il legislatore e le autorità di controllo dovrebbero riflettere ed intervenire;
i rischi maggiori sono legati ai costanti tentativi da parte della criminalità di imporsi o accreditarsi quali gestori apparentemente puliti delle attività economiche legate al gioco con l'obiettivo invece di riciclare i capitali frutto di attività illecite;
il riciclaggio e l'evasione nel settore dei giochi può essere commesso con facilità sia dalla grande criminalità che da persone comuni;
stato dimostrato che nelle sale delle VLT è sufficiente che la banconota venga inserita nella macchina per poi ottenere un ticket valido con il quale alla cassa si può ritirare il denaro ripulito; la banconota sporca rimane, quindi, nella macchina del gestore e il truffatore con il regolare ticket ritira invece il contante alla cassa della sala, riciclando appunto del denaro proveniente da attività illecita;
il tagliando riporta solamente il giorno e la data di emissione con la relativa cifra della vincita e l'utente ha la possibilità di decidere quando far emettere il tagliando alla macchinetta;
al momento dell'incasso non emerge quanto effettivamente sia stato vinto, infatti la cifra indica solo il denaro spettante al giocatore, a prescindere dal fatto che possa trattarsi del risultato di una vincita, della parte residua di una giocata o semplicemente della cifra inserita nella macchinetta;
il legame fra criminalità organizzata e gioco d'azzardo sicuramente molto stretto, non a caso sul gioco, legale e illegale, gli interessi delle mafie sono nell'ordine di quasi 80 miliardi di euro all'anno;
il decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, non sembra predisporre adeguate misure volte a prevenire il fenomeno del riciclaggio del denaro sporco e frutto di attività illecite —:
quali iniziative, anche di carattere normativo, intende assumere al fine di evitare il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite e l'elusione della normativa fiscale all'interno delle sale giochi VLT. (5-02588)
CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
dai dati a disposizione relativi all'esercizio 2008 si apprendeva che, in un momento di grande sofferenza per le casse italiane e di assoluta necessità di risorse da destinare a politiche pubbliche in funzione anti-crisi, la società ENI spa aveva versato all'erario italiano poco più di 300 milioni di imposte nette annue a fronte di un utile ante – tasse di oltre 7 miliardi di euro, con un'incidenza fiscale inferiore al 5 per cento, mentre parallelamente erano cresciute le imposte che ENI spa versava all'estero, erogando dividendi alle società controllate aventi sede in Stati e territori a regime fiscale privilegiato;
in particolare, le principali aziende che avevano provveduto ad erogare dividendi alla controllante ENI spa erano state, nel medesimo esercizio, la ENI International BV, per euro 3 miliardi e 235 milioni e la ENI Investments plc, per 917 mila euro;
la prima società che risulta avere sede ad Amsterdam e la seconda a Londra controllano, poi, 48 società residenti o con filiali in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, o residenti in Stati o territori elencati nell'articolo 3 del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 21 novembre 2001;
ENI, quindi, pur realizzando cospicui ricavi sul territorio italiano (a valere sulle bollette di famiglie e imprese italiane), si è strutturata, da un punto di vista fiscale e societario, in modo tale da pagare la maggioranza delle imposte relative ai propri ricavi all'estero, per sfruttare regimi fiscali più favorevoli, con ciò sottraendo di fatto all'erario italiano risorse fondamentali per fronteggiare la difficile congiuntura internazionale, la crisi occupazionale e la connessa e crescente domanda di politiche e tutele sociali;
all'alto costo di gas, benzina e gasolio per autotrazione (i cui prezzi, al netto delle tasse, si pongono oggi ai primissimi posti in Europa) pagato dai cittadini e dalle imprese italiane che limita oggettivamente la competitività sul panorama internazionale, si contrappongono ogni anno elevati profitti da parte dell'operatore dominante ENI spa, dovuti in primis ad una posizione di incumbent nel settore del gas e di primo player nel settore combustibili;
tali profitti finiscono da una parte per essere distribuiti come dividendi ad azionisti ed investitori in gran parte internazionali – peraltro a ciò legittimamente interessati – e dall'altra per alimentare le casse pubbliche di Paesi dotati di regimi fiscali più favorevoli di quello italiano;
per gli anni successivi, i dati relativi alle imposte versate risultano essere di difficile reperimento;
l'articolo 6 dello Statuto di Eni spa attribuisce al Ministero dell'economia e delle finanze una golden share in virtù della quale nessun azionista diverso dal Ministero «può possedere, a qualsiasi titolo, azioni della Società che comportino una partecipazione superiore al 3 per cento del capitale sociale» non solo: attualmente l'azionariato di ENI spa vede ulteriormente incrementata, rispetto al 2009 (in ragione del riassetto societario derivante dalla separazione proprietaria di Snam da Eni), la presenza diretta del socio pubblico Ministero, tanto che il Consiglio di amministrazione di ENI spa è composto, complessivamente, da nove amministratori di cui ben sei tratti dalla lista presentata dal Ministero dell'economia e delle finanze –:
se il Ministro, in qualità di azionista di maggioranza relativa di ENI, non ritenga urgente verificare se in tali comportamenti possano ravvisarsi profili di elusione fiscale e se questi si siano protratti nel tempo anche proponendo interventi, dando indirizzo in tal senso al management dell'azienda di nomina pubblica, qualora tale verifica dia esito positivo, per porre fine a pratiche elusive che, con l'intento di massimizzare i ricavi per gli azionisti (in gran parte, stranieri) di fatto, sottraggono ingenti risorse allo Stato. (5-02589)
PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
in data 29 gennaio 2014 il Consiglio di amministrazione di Fiat spa deliberava il definitivo abbandono dell'Italia da parte del gruppo attraverso la fusione con Chrysler Group nella società Fiat Chrysler Automobiles N.V. (FCA), stabilendone, contestualmente, sede legale in Olanda e residenza fiscale in Gran Bretagna;
la suddetta scelta seguiva quella analoga già operata nel contesto della fusione fra Fiat Industrial e CNH, quando fu chiarito che la Newco sarebbe stata costituita nei Paesi Bassi, e che di conseguenza sarebbe stata proposta una procedura amichevole affinché le rispettive autorità competenti concordassero che la società fosse considerata fiscalmente residente esclusivamente nel Regno Unito;
quest'ultimo precedente, tutto interno allo stesso gruppo multinazionale, dovrebbe oramai consentire di compiere una valutazione più puntuale del reale impatto fiscale delle due operazioni societarie;
contestualmente, riguardo ai rapporti con l'Italia, si invocava il rispetto del trattato vigente fra il nostro Paese e lo stesso Regno Unito contro le doppie imposizioni;
a seguito dell'operazione di fusione, in prima battuta, il Governo italiano e l'Agenzia delle entrate si limitavano a rassicurare che avrebbero vigilato sul pieno rispetto, da parte della nuova società, della normativa fiscale italiana;
quest'ultimo approccio da parte del Governo italiano appare all'interrogante limitativo ed insufficiente, e dovrebbe piuttosto spingersi oltre, fino alla verifica della compatibilità e dell'adeguatezza dell'operazione con la normativa propria e con quella europea, anche in vista dell'imminente semestre di presidenza europeo che lo vedrà impegnato, insieme all'esercizio della delega fiscale, a fronteggiare fenomeni di dumping e di evasione fiscale –:
se, a distanza di 4 mesi dalla nascita di FCA, e sulla base dei dati in possesso del Ministro, il Governo possa fornire, in merito agli effetti fiscali derivanti dalla suddetta operazione di fusione, un giudizio più puntuale di quello fornito dal Governo precedente. (5-02590)
BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
la legge 27 dicembre 2013, n. 147, (legge di stabilità 2014), all'articolo 1, comma 63, stabilisce che il notaio o altro pubblico ufficiale è tenuto a versare su un conto corrente dedicato, tra l'altro, le somme di denaro, costituenti corrispettivi a saldo dei contratti di trasferimento della proprietà o di trasferimento, costituzione od estinzione di altro diritto reale su immobili o aziende nonché le somme dovute a titolo di tributo; le ragioni sottese all'introduzione di siffatte norme sembrano finalizzate a garantire il compratore dal rischio di trascrizione di atti successivamente stipulati;
le disposizioni in esame, tuttavia, così come oggi formulate, non sembrano offrire certezze per i cedenti-venditori, sia in ragione di eventuali comportamenti non conformi da parte del notaio, e che ne inficerebbero la procedura, sia nel caso in cui quest'ultimo incorra in un qualche impedimento, così che eredi, sostituti, tutori/curatori del professionista dovrebbero agire, sotto il controllo della magistratura, per disporre la liberazione delle somme dal conto corrente dedicato, con un notevole dispendio di tempo e di denaro;
se la finalità della normativa è quella di garantire il compratore dal rischio di trascrizione di atti successivamente stipulati questa potrebbe essere meglio raggiunta prevedendo la costituzione di uno speciale conto corrente bancario, intestato al cedente-venditore o sotto la responsabilità della banca e comunque con ogni cautela necessaria, dalla impignorabilità, alla non ereditabilità, sul quale versare le somme rappresentanti il corrispettivo della vendita, senza disponibilità materiale, da parte del cedente, delle stesse sino a benestare liberatorio del notaio;
in realtà, la finalità di tale normativa risulta, come evidenziato dal dettato del comma 66 della citata legge n. 147 del 2013, quella di finanziare in modo surrettizio i fondi di credito agevolato: infatti, il predetto comma 66 stabilisce che «gli interessi sulle somme depositate, al netto delle spese di gestione del servizio, sono finalizzati a rifinanziare i fondi di credito agevolato, riducendo i tassi della provvista dedicata, destinati ai finanziamenti alle piccole e medie imprese»;
l'esigenza di incrementare l'accesso al credito per gli operatori economici, e, in particolare, per le piccole e medie imprese, risulta particolarmente pressante nell'attuale fase di crisi economico-finanziaria, ma non appare condivisibile lo strumento che il Governo ha ritenuto di introdurre a tal fine attraverso i commi da 63 a 67 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014 –:
quali siano le reali finalità della normativa di cui ai commi da 63 a 67 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013, se non ritenga opportuno individuare più proprie forme di copertura per la condivisibile finalità di aumentare la disponibilità di credito in favore delle piccole e medie imprese e se non ritenga opportuno, conseguentemente, assumere iniziative per modificare le predette norme onde evitare aggravi per i cittadini. (5-02591)
Interrogazione a risposta scritta:
FEDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
per un elevato numero di contratti di locazione, non registrati presso l'Agenzia delle entrate per responsabilità dei locatori, si era proceduto, in base alle disposizioni del comma 346 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, alla dichiarazione di nullità degli stessi;
a tutela dei conduttori, in applicazione del comma 8 del decreto legislativo n. 23 del 14 marzo 2011, si era arrivati alla formulazione e registrazione di un nuovo contratto;
la sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2014, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), ha creato una condizione di sostanziale inapplicabilità di queste norme –:
quali immediate iniziative normative si intendano adottare per colmare il vuoto normativo evitando che un numero elevato di conduttori si ritrovi con contratti di locazione nulli e con la prospettiva di sentenze contrastanti da parte del giudice unico competente. (4-04408)
GIUSTIZIA
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
il giorno 15 marzo 2013 con l'uso di ben dieci volanti della polizia, con un vero e proprio blitz a sorpresa, a Battipaglia sono stati portati in casa famiglia due fratellini, strappati alle cure materne e con il divieto per la madre di vedere i suoi figli (l'isolamento totale è durato ben 73 giorni);
nel decreto del tribunale per i minorenni di Salerno del 15 marzo 2013 tale estrema e forzata soluzione si giustificava con il fatto che le consulenti del tribunale avevano diagnosticato la PAS (sindrome di alienazione parentale);
il difensore della signora Cipriani madre dei due bambini presentava istanza con la quale chiedeva il ritorno a casa dei due fratellini, dimostrando che la Pas è una sindrome scientificamente inesistente;
il tribunale per i minorenni di Salerno, con decreto 16 settembre 2013, respingeva detta istanza accantonando di fatto la diagnosi di PAS ma giustificando il permanere dei fratellini presso la comunità (vedono la madre una volta la settimana per due ore con incontri protetti ed è stato loro vietato di frequentare amici, parenti e vecchi compagni di scuola) sul presupposto di una generica inadeguatezza delle capacità genitoriali e dell'esercizio del diritto alla bigenitorialità;
la difesa Cipriani presentava reclamo presso la corte d'appello di Salerno sostenendo che:
a) la diagnosi di PAS era il costrutto portante della consulenza del tribunale e che, tolta tale erronea diagnosi, cadevano le ragioni di un penoso e drammatico allontanamento dei minori dalla madre;
b) nella consulenza tecnica d'ufficio e di conseguenza nei decreti del tribunale dei minori erano stati rimossi gli indicatori di trauma (sintomi da stress post traumatico) e di abuso sessuale (ipersessualizzazione), in un primo tempo invece rilevati (i fratellini hanno dichiarato di avere subito abusi sessuali dal padre);
c) nel processo civile, a differenza di quello penale, ove vige il principio della prova oltre ogni ragionevole dubbio, vige il principio della probabilità nell'accertamento dei fatti (Cass. Pen. Sez. III Sentenza n. 29612/2010) e pertanto doveva essere tenuto in considerazione il rischio di probabilità della veridicità degli abusi in forza degli indicatori e dei persistenti racconti dei bambini;
la corte d'appello di Salerno respingeva il reclamo della difesa Cipriani, scrivendo che l'allontanamento dei minori (una volta caduta l'ipotesi della PAS) si reggeva sulla personalità labile e precaria della signora Cipriani, sul non positivo giudizio sulle capacità genitoriali della stessa e sull'esistenza di una sindrome di obesità di cui avrebbero sofferto i due figli della signora Cipriani;
le consulenti tecniche del giudice avevano trovato importanti indicatori di abuso sessuale ma, in ragione della scellerata diagnosi di PAS, avevano, ad avviso degli interpellanti, ingiustamente, svalutato i racconti dei bambini e rimosso gli indicatori di abuso trovati;
il tribunale per i minorenni, nell'esclusivo interesse dei fanciulli, doveva interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione e proteggere i minori, secondo criteri di probabilità, dal rischio che i fatti, raccontati dai bambini, siano autentici;
nei provvedimenti del tribunale per i minorenni e della corte d'appello non vi è traccia alcuna di una valutazione o risposta alle argomentazioni della difesa Cipriani in tal senso;
non è accettabile che dei minori vengano drammaticamente e per un periodo di tempo lungo e indefinito tolti alle cure familiari sulla scorta di valutazioni psicologiche vaghe, generiche e prive di alcuna rilevanza psichiatrica e pediatrica (sindrome di obesità – personalità labile e precaria, carenze sulla genitorialità);
i fratellini sono in casa famiglia da più di nove mesi e chiedono incessantemente di tornare a vivere con la loro madre;
il 15 marzo 2013, sono stati traumatizzati (portati via con la forza in maniera drammatica), senza che ne esistessero i presupposti (la diagnosi di PAS);
nell'ultimo incontro (3 dicembre 2013) i minori hanno pianto disperatamente per 40 minuti di fila chiedendo alla madre di portarli a casa e urlando: mamma voglio morire, voglio svenire, non ce la faccio più, voglio tornare a casa;
non appare tollerabile per una nazione civile, che ha firmato la convenzione di New York sui diritti dei fanciulli, che dei minori vengano tolti drammaticamente alle cure familiari senza motivazioni serie, ma con la superficialità riscontrata in questo caso;
non si comprende come sia possibile che l'ipotesi di maltrattamenti o abuso sessuale a danno di minori sia stata rimossa a favore del diritto della bigenitorialità, diritto quest'ultimo vicario innanzi al diritto all'integrità psicofisica dei minori;
sarebbe infine necessario acquisire comunque direttamente e in maniera indipendente informazioni sullo stato di salute e psicologico dei minori, sui loro bisogni, sui traumi causati dalle drammatiche modalità di allontanamento e sull'isolamento dalla figura materna anche per valutare il rischio che i minori corrono nella permanenza presso la casa famiglia –:
se si intenda disporre una approfondita indagine e un'ispezione ministeriale presso il tribunale dei minori di Salerno al fine di acquisire informazioni sul caso in esame e sull'esistenza di eventuali casi analoghi;
se sussistano casi di diagnosi di malattie inesistenti come la PAS e se queste o altre diagnosi simili abbiano fondato decisioni giudiziarie in base alle quali bambini siano stati tolti alle famiglie.
(2-00496) «Cera, Dellai».
Interrogazione a risposta in Commissione:
ROSTAN, MANFREDI, VENTRICELLI, CASELLATO, VENITTELLI e TIDEI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
nell'ambito della riforma della geografia giudiziaria, l'interpello distrettuale del 15 dicembre 2012 ha disposto, a far data dal 3 aprile 2014, il trasferimento del personale amministrativo dagli uffici dei giudici di Pace soppressi a quelli di destinazione;
tale interpello è stato recepito – negli effetti amministrativi – dalla direzione generale del personale e della formazione del Ministero della giustizia che, con nota del 28 marzo 2014, ha comunicato a tutte le corti d'appello interessate, di aver adottato i provvedimenti finalizzati al trasferimento di n. 702 unità di personale amministrativo risultanti vincitrici dell'interpello prima indicato, dagli uffici dei giudici di Pace soppressi a quelli di nuova assegnazione;
tale interpello ha riguardato anche la maggior parte del personale amministrativo attualmente in servizio presso gli uffici dei giudici di pace ricadenti nel circondario del tribunale di Napoli e del tribunale di Napoli nord;
con la medesima nota del 28 marzo 2014 il Ministero della giustizia, ha invitato, altresì, i presidenti delle Corti d'appello, ad adottare i provvedimenti volti a garantire il funzionamento degli uffici soppressi fino alla data di loro effettiva «chiusura», prevedendo l'impiego, in tali sedi, del personale nel frattempo trasferito ed in presa di possesso negli uffici di destinazione definitiva;
in altre parole, i presidenti delle corti d'appello possono, per il periodo intercorrente tra la data del 3 aprile 2014 e quella di materiale soppressione degli uffici del giudice di pace, adottare i provvedimenti necessari all'impiego del personale trasferito a seguito dell'interpello di cui sopra da «riportarsi» – temporaneamente – di nuovo negli uffici dei giudici di pace presso i quali era inizialmente impiegato;
a prescindere dalla complessità di tali procedure, è assolutamente indispensabile il mantenimento dei dipendenti interessati dal predetto interpello presso gli uffici dei giudici di pace di provenienza e fino alla soppressione effettiva degli uffici stessi, onde evitare la totale paralisi e le gravissime disfunzioni nell'attività giudiziaria degli uffici predetti;
sarebbe quanto mai opportuno procedere all'urgente adozione dei provvedimenti necessari volti all'applicazione del personale amministrativo degli uffici dei giudici di pace interessati presso le sedi di provenienza, e tanto immediatamente dopo la presa di possesso dei nuovi uffici di destinazione, onde assicurare il regolare funzionamento degli uffici dei giudici di pace rientranti nel circondario dei tribunali di Napoli e Napoli nord;
sul punto, il Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Napoli ha richiesto al Presidente della Corte di appello di Napoli, al procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello di Napoli, al presidente del tribunale di sorveglianza, al presidente del tribunale di Napoli ed al curatore della Repubblica presso il tribunale di Napoli, ciascuno per quanto di competenza, di adottare ogni provvedimento utile a scongiurare la paralisi degli uffici giudiziari dei giudici di pace, quale conseguenza del trasferimento delle unità di personale ivi impiegate, a seguito dei provvedimenti adottati dalla direzione generale del personale e della formazione, in ottemperanza a quanto contenuto nell'interpello distrettuale del 15 dicembre 2012;
ad oggi, nonostante i termini per la definizione ed applicazione del nuovo assetto del personale trasferito siano in buona sostanza scaduti e tenuto conto del fatto che il Ministero ha fissato al 3 aprile 2014 la data a partire dalla quale avrebbero sortito i propri effetti gli atti amministrativi predisposti a seguito dell'interpello, alcun provvedimento è stato preso per consentire l'impiego del personale trasferito, presso gli uffici dei giudici di pace in via di soppressione –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda di cui in premessa e quali celeri ed oramai improcrastinabili iniziative intenda adottare al fine di evitare la possibile paralisi degli uffici dei giudici di pace soppressi, nel periodo intercorrente tra la data del 3 aprile 2014 a quella della effettiva e materiale chiusura degli stessi. (5-02585)
Interrogazioni a risposta scritta:
DELLA VALLE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
in Italia negli ultimi anni si sono manifestati numerosi episodi di sequestro di animali da compagnia, a scopo di estorsione;
oltre a numerosi articoli di associazioni animaliste che denunciano come in Italia ogni anni sono migliaia gli animali da compagnia, in maggior parte cani, che sono sequestrati a scopo di estorsione, ultimamente il problema è stato discusso durante il programma MEDIASET «L'Arca di Noè»;
gli animali da compagnia sono considerati come veri e propri membri di una famiglia e sono tutelati da vari atti come la legge n. 281 del 14 agosto 1991, o l'ordinanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 6 agosto 2008, recanti «misure per l'identificazione e la registrazione della popolazione canina»;
nonostante negli anni siano state approvate numerose leggi ed emanate ordinanze ministeriali a tutela degli animali, manca ad oggi un provvedimento che compari il reato di sequestro di animale, con il reato di sequestro di persona previsto dall'articolo 605 del codice penale –:
se siano allo studio iniziative atte ad introdurre nel codice penale il reato di sequestro di animale, comparandolo al reato di sequestro di persona;
se siano allo studio iniziative affinché l'articolo 629 del codice penale possa essere modificato al fine di renderlo applicabile anche alle fattispecie citate in premesse. (4-04412)
LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
l'interrogante ha ricevuto alcune preoccupanti segnalazioni circa una concentrazione di gas radon superiore ai limiti consentiti dalla legge nei locali del Consiglio superiore della magistratura di via Trastevere, 189, in Roma, nei quali vi è un deposito del medesimo Consiglio;
in tale sede avrebbero lavorato per anni alcune decine di dipendenti ad orario pieno;
secondo tali segnalazioni, a metà marzo 2009, si recò presso la sede del CSM un ingegnere dipendente del dipartimento prevenzione del servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro (SPRESAL, con sede in Roma, via Portuense 571); tale ingegnere cercò reiteratamente di entrare in contatto con il segretario generale del Consiglio, ma invano. Tuttavia, segnalò ad alcuni dipendenti la suddetta problematica;
sempre secondo le segnalazioni ricevute dall'interrogante, lo SPRESAL aveva rilevato una densità di gas radon sopra i 500 Bq/m3, limite massimo fissato dal decreto legislativo 26 maggio 2000, n. 241, emanato in «attuazione della direttiva 96/29/EURATOM in materia di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti»;
il datore di lavoro, in quel caso, non avrebbe effettuato i dovuti controlli, laddove la normativa vigente imporrebbe ai datori di lavoro di effettuare un monitoraggio per verificare la presenza di gas radon;
sempre secondo quanto segnalato all'interrogante, il Consiglio superiore della magistratura avrebbe invitato il personale dello SPRESAL a desistere dai controlli, dal momento che – essendo il Consiglio stesso un organo legato all'amministrazione della giustizia – l'organo di controllo per la tutela della salute dei suoi dipendenti sarebbe il Servizio di vigilanza sull'igiene e la sicurezza dell'amministrazione della giustizia (VISAG);
tale servizio di vigilanza è stato istituito con decreto del 10 aprile 2000 e ha la funzione di vigilanza sull'applicazione della legislazione che tutela la sicurezza e la salute dei lavoratori nei loro posti di lavoro e la sua competenza sarebbe estesa anche ai dipendenti del Consiglio superiore della magistratura;
peraltro, all'interrogante risulta altresì che il Consiglio superiore della magistratura abbia assunto tali locali in locazione dalle Poste italiane;
all'interrogante risulta inoltre, che siano state effettuate tra il 2009 e il 2012, su incarico dell'Amministrazione del Consiglio superiore della magistratura, alcune rilevazioni da parte del laboratorio radiazioni ionizzanti settore radioattività naturale del dipartimento igiene del lavoro dell'ISPESL, nonché da parte del responsabile del Servizio di prevenzione ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 2008 per le sedi del Consiglio medesimo. Tali rilevazioni avrebbero riscontrato un livello di concentrazione del radon, non trascurabile, ma entro i limiti di legge sopra indicati. Tuttavia, la loro autenticità è contestata da alcuni dipendenti che, preoccupati per aver lavorato molti anni e per molte ore al giorno in quei locali, sostengono che in concomitanza di tali rilevazioni quelle stanze siano state areate anormalmente, anche in conseguenza di lavori di ristrutturazione che avrebbero ampliato le dimensioni delle finestre;
all'interrogante è stato, infine, segnalato che nei locali in questione sarebbero attualmente impiegati dipendenti di ditte esterne –:
quali siano le informazioni in possesso dei Ministri interrogati in merito alle vicende sopra descritte;
quale sia l'organismo competente per la tutela della salute dei lavoratori dipendenti del Consiglio superiore della magistratura e delle ditte alle quali sono state esternalizzate funzioni in precedenza svolte da dipendenti del Consiglio medesimo;
quali iniziative il Governo, nell'ambito delle proprie competenze intenda assumere al fine di tutelare la salute dei dipendenti del Consiglio superiore della magistratura e delle ditte cui sono state esternalizzate funzioni in precedenza svolte da dipendenti del Consiglio stesso nella sede di via Trastevere, 189 in Roma. (4-04420)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
l'autostrada A3, Salerno – Pompei – Napoli, in concessione alla società autostrade meridionali (SAM), costituisce una infrastruttura fondamentale e di primaria rilevanza per il collegamento fra la città di Salerno, l'Agro Sarnese e Nocerino, l'area Stabiese e l'area Torrese e la città di Napoli;
si tratta di un collegamento essenziale anche per l'innesto sul sistema autostradale meridionale e verso Roma;
questa autostrada attraversa e collega territori e città popolate da più di due milioni di abitanti;
da troppi anni sono in corso lungo la tratta napoletana dell'autostrada lavori indispensabili di ammodernamento, di messa in sicurezza, di ampliamento della sede stradale con la realizzazione in alcuni tratti della terza corsia;
è necessario che tali lavori siano finalmente definiti e conclusi in tempi certi e ravvicinati, considerando il fortissimo pregiudizio che obiettivamente finiscono per arrecare alla circolazione ed alla sicurezza degli utenti, attesi il pericoloso restringimento della carreggiata in alcuni tratti e le lunghe code ed intasamenti di traffico che assai spesso si vengono a creare;
i lavori vanno definitivamente ultimati, anche perché la concessione ANAS-SAM è già scaduta il 31 dicembre 2012;
urge, pertanto, l'affidamento con gara pubblica della nuova concessione con massima urgenza;
fra l'altro, lungo la direzione Pompei – Scafati e San Giorgio a Cremano, in diversi tratti, pure ultimati con tre corsie funzionanti, rimangono i cartelli del limite di velocità a 60 chilometri che invece è pienamente giustificato ed indispensabile in quei tratti con due corsie ed a lavori in corso e con pericolosi restringimenti di carreggiata; troppi ritardi e troppi rinvii si sono accumulati nel corso di questi lavori;
l'interrogante ha presentato anche in questa legislatura due interrogazioni su questa specifica e così rilevante questione, alla quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha risposto in VIII Commissione nelle sedute del 30 luglio 2013 e del 14 gennaio 2014;
con tali risposte il Ministero ha fornito un quadro delle scadenze e dei termini per la conclusione dei lavori;
tale quadro è stato sempre non rispettato ed appare destinato a nuovi e francamente scandalosi rinvii, con ulteriori ritardi;
tale situazione è oramai insostenibile e del tutto ingiustificata ed esige un intervento risolutivo e deciso del Governo per porre fine una volta per tutte a questa continua serie di rinvii e di ritardi;
si profilano anche ipotesi di class action degli utenti, che lamentano giustamente il livello elevato dei pedaggi a fronte di una situazione della Autostrada di assoluta inadeguatezza e fonte di pesantissimi disagi per i cittadini e le comunità interessate;
la concessione con la SAM è scaduta fin dal 31 dicembre 2012 ed ancora si è ben lontani dall'individuare, con pubblica gara, il nuovo concessionario alle migliori condizioni per la tutela dell'interesse generale della comunità;
fra l'altro, nella risposta del 14 gennaio 2014, il Ministero precisò che non erano stati ancora approvati da parte del CIPE lo schema di convenzione ed i relativi allegati, compresi il piano economico – finanziario, previo parere del NARS –:
quale sia la situazione effettiva e reale dei lavori lungo l'autostrada Salerno – Pompei – Napoli, quale sia il programma ed il calendario aggiornato dei lavori in corso e di quelli ulteriori da eseguire, i relativi tempi di esecuzione, le scadenze che effettivamente e non solamente sulla carta possono essere rispettate, la data per davvero finale per la ultimazione di tutte le opere, le risorse finanziarie sino ad oggi impiegate ed il costo totale previsto per la realizzazione dell'intero progetto di ammodernamento, adeguamento e messa in sicurezza dell'autostrada;
quali iniziative il Ministro e l'ANAS intendono assumere per garantire la conclusione dei lavori anche con eventuale ricorso ad ogni misura consentita dalla normativa vigente per evitare nuovi, assurdi e gravissimi rinvii e ritardi, ancor più ingiustificati in considerazione del livello elevato dei pedaggi;
quali iniziative il Ministro abbia assunto e abbia in corso di concreta esecuzione per l'affidamento con massima sollecitudine ed attraverso gara pubblica della nuova concessione, essendo quella in corso con la SAM scaduta già dal 31 dicembre 2012 posto che è già più di un anno che la vecchia concessione è scaduta e la gara per il nuovo concessionario appare ben lungi dal concludersi in tempi ravvicinati, come è invece assolutamente necessario e urgente con la massima tutela dell'interesse pubblico delle comunità;
quali iniziative si intendano adottare visto che per diversi tratti dell'autostrada, fra Scafati – Pompei e San Giorgio a Cremano rimangono fermi oramai da tempo immemorabile i cartelli del limite di velocità a 60 chilometri benché quei tratti siano ultimati e quindi dispongono di tre corsie funzionanti. (5-02579)
TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
l'autostrada A3, Salerno-Reggio Calabria costituisce una grande infrastruttura di assoluta valenza nazionale, essenziale e strategica non solo per il Mezzogiorno, ma per l'intero Paese;
i lavori relativi al progetto di ammodernamento e messa in sicurezza dell'autostrada hanno raggiunto uno stadio rilevante e significativo, con circa 270 chilometri, ultimati e fruibili;
su circa 110 chilometri, i lavori sono in corso ovvero sono stati appaltati;
occorre accelerare i lavori in corso per addivenire rapidamente alla loro conclusione;
sono, invece, ancora da finanziare, progettare, ovvero in via di mera progettazione 12 interventi, per circa 58 chilometri, che ricomprenderanno alcuni lotti ed alcuni nuovi svincoli autostradali, per complessivi circa 3 miliardi di euro;
andrebbe ricompreso nelle opere da finanziare il raccordo Salerno-Avellino nel primo tratto Salerno-Fratte-Mercato San Severino, che funge da raccordo fra le autostrade A30 Caserta-Roma ed A3 Salerno-Reggio Calabria, il cui tracciato attuale è inadeguato e pericoloso per la sicurezza della circolazione e che, come tale, va potenziato con la costruzione della terza corsia e con la messa in sicurezza secondo le norme vigenti;
occorre completare con rapidità l'intera opera, strategica per il sistema dei collegamenti e delle modalità per lo sviluppo del sistema economico e produttivo, un'opera fondamentale per l'Italia –:
quale sia il quadro aggiornato, lotto per lotto, dei lavori lungo Autostrada A3, precisando – alla luce dell'abituale report sullo stato delle opere periodicamente curato dall'ANAS – la percentuale di esecuzione dei lavori per ciascun lotto, i termini previsti per la loro ultimazione, nonché i tempi e i provvedimenti con i quali il Governo intenda erogare i finanziamenti ancora mancanti. (5-02580)
Interrogazioni a risposta scritta:
CAPARINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il piano insediamento produttivo del comune di Concesio nasce negli anni novanta, quando venne inserito nel complesso dell'allora piano regolatore generale di Concesio; nel 1999 non appena divenuto esecutivo il piano regolatore generale, si è proceduto all'adozione del piano di insediamento produttivo e consecutivamente nel 2000 all'approvazione definitiva;
l'adozione del piano insediamento produttivo aveva, ed ha, alla base la motivazione, condivisa dalle varie amministrazioni succedutesi, della inderogabile necessità di portare fuori dal centro abitato numerose attività produttive, alcune anche inquinanti, fonte di gravi disturbi per la cittadinanza e nel contempo di dare nuovo slancio all'attività imprenditoriale presenti sul territorio comunale;
successivamente all'adozione due dei proprietari delle aree interessate al piano insediamento produttivo ha intentato una serie di ricorsi contro il comune di Concesio opponendosi alla determinazione del valore di esproprio e con l'ultimo ricorso la sentenza è stata a lui favorevole;
le amministrazioni comunali succedutesi hanno operato nella massima correttezza, sul piano amministrativo, ottenendo ben due sentenze favorevoli del Consiglio di Stato del 2004 e del 2005, oltre al pronunciamento favorevole della commissione provinciale espropri, che è giudice di primo grado, dell'ottobre 2005 riguardo alla determinazione del valore di esproprio;
l'amministrazione comunale, come ribadito nelle sentenze ha infatti, correttamente applicato l'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, che allora disciplinava la procedura di esproprio, ma a seguito del procrastinarsi della sentenza relativa al ricorso dei proprietari e della coincidenza temporale di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, avvenuta nel 2006, i cui principi sono stati recepiti dalla Corte costituzionale con sentenza n. 384 del 2007, si arrivava all'annullamento della legge sopra citata;
conseguentemente la corte d'appello ha colmato la lacuna normativa che si è venuta a creare utilizzando retroattivamente la legge n. 2359 del 1865, abrogata successivamente nel 2009, ma ancora in vigore alla data del decreto di esproprio;
l'annullamento della legge usato (allora in piena legittimità) per condurre e valorizzare l'esproprio ha condotto alla riesumazione di una legge di quasi 150 anni fa, promulgata agli albori dello Stato unitario, attribuendo quale valore di esproprio euro 150,00 per metro quadrato contro il valore di esproprio stabilito dalla commissione provinciale di euro 55,00 per metro quadrato;
niente da eccepire sull'operato della Corte d'Appello, ma in conseguenza di ciò e senza il verificarsi di alcuna responsabilità amministrativa, il comune di Concesio e conseguentemente gli assegnatari dell'area piano di insediamento produttivo dovranno sostenere un enorme costo aggiuntivo di quasi sette milioni di euro, con tutte le ricadute che si possono facilmente immaginare;
pur sapendo che la dichiarazione di incostituzionalità di una legge rende questa nulla con effetto retroattivo e nel rispetto dei diritti dei proprietari delle aree, appare ingiustamente penalizzante quanto accaduto, stante la regolarità del percorso amministrativo fatto nel legittimo perseguimento dell'interesse pubblico del piano di insediamento produttivo;
la nuova legge approvata dal Parlamento per mettere fine alla vacatio legis, non ha disposto un regime transitorio per le procedure già avviate che assicurasse un trattamento in deroga ed impedisse l'applicazione retroattiva della legge 2359 del 1865, almeno parzialmente. Sarebbe un intervento che il legislatore potrebbe opportunamente fare –:
se il Governo intenda predisporre un'iniziativa normativa per un regime transitorio, per le procedure già avviate che assicuri un trattamento in deroga per impedire, almeno parzialmente, l'applicazione retroattiva della legge n. 2359 del 1865. (4-04411)
CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
è in atto una forte riduzione degli organici della Motorizzazione civile di Nuoro che porterà gli uffici, entro la fine di quest'anno, ad assicurare il servizio con appena sette dipendenti;
questo non è altro, dal momento che gli organici sono stati progressivamente ridotti, il preludio alla prossima chiusura della sede e al trasferimento delle competenze alle sedi di Oristano, Sassari e Cagliari;
attualmente la Motorizzazione civile di Nuoro serve tutta la provincia statale compresi i territori dell'Ogliastra, dell'alto Oristanese e parte della Gallura per cui un'eventuale chiusura della sede creerebbe non solo forti disagi per i cittadini ma un'ulteriore aggravamento della crisi economica che ha colpito e colpisce questo particolare territorio dell'entroterra sardo;
non va dimenticato che queste zone pochi mesi or sono state colpite da una serie di eventi atmosferici che hanno ulteriormente compromesso il già precario equilibrio e che con questo ennesimo trasferimento di servizi – si pensi alla chiusura della sede della banca d'Italia, al trasferimento degli uffici della Telecom, persino allo smistamento della corrispondenza da parte delle Poste la cui competenza è stata demandata alla sede di Cagliari, all'accorpamento degli uffici del tesoro, la chiusura del tribunale di Macomer e di diversi uffici del giudice di pace e al dislocamento di diversi dipartimenti universitari presso la sede di Cagliari – tali zone si troveranno a dover subire, loro malgrado, ulteriori disagi;
il depotenziamento della sede di Nuoro sembra all'interrogante far pensare ad un chiaro disegno: rendere indispensabile il trasferimento degli uffici ad altre sedi. Cosa, tra l'altro, poco verosimile se si considera la mole di lavoro che attualmente la motorizzazione nuorese riceve giornalmente: 300 pratiche per patenti, 300 per foglio rosa, 350 revisioni la settimana, 100 esami di guida per patenti A e B e 20 per patenti professionali e circa 600 immatricolazioni la settimana;
la riduzione dell'organico ha già portato molteplici disagi se si pensa che l'ufficio immatricolazioni apre solo due volte la settimana e per le revisioni ed i collaudi dei mezzi pesanti c’è una lista d'attesa di almeno sette mesi, il che comporta anche evidenti problemi legati alla sicurezza di questi mezzi;
la paventata chiusura della sede della Motorizzazione civile di Nuoro comporterà un aggravio dei costi per le tante aziende ai trasporti, per le autoscuole, per le agenzie automobilistiche, per gli utenti che, oltre ad dover sostenere costi elevati per recarsi presso altri uffici dislocati sull'isola per il disbrigo delle pratiche, si troveranno a dover fare i conti con un territorio particolare dove le distanze, anche quando non eccessive, rendono difficili gli spostamenti a causa di una rete infrastrutturale, stradale e ferroviaria, decisamente insufficiente e obsoleta;
questo finirà inevitabilmente per isolare ancora di più un territorio ed una provincia che già costringe i giovani a fuggire in altre località dell'isola, della penisola o all'estero;
per impedire un ulteriore indebolimento della sede nuorese, si potrebbe concedere, a diversi lavoratori di altre amministrazioni, la mobilità volontaria chiesta con istanze presentate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e mai prese in considerazione –:
quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di potenziare la sede della Motorizzazione civile di Nuoro per consentire a tutto l'indotto di avere un servizio efficiente garantendo quel numero di impiegati tale da essere in grado di assolvere al proprio ruolo. (4-04413)
INTERNO
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
il 6 aprile 2014 si è svolta a Verona, al cospetto di diverse migliaia di persone, una pacifica manifestazione di solidarietà ai cittadini recentemente raggiunti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria in relazione a presunti reati commessi contro l'unità dello Stato;
la manifestazione era stata promossa dalla Lega Nord in un importante luogo scaligero, Piazza dei Signori, in prossimità della prefettura, palazzo che dispone di tre aste destinate, rispettivamente, alle bandiere dell'Unione europea, della Repubblica italiana e del Veneto;
il vessillo del Veneto, al contrario di quelli italiano ed europeo, non risultava al suo posto negli orari in cui ha avuto luogo la manifestazione, circostanza che è stata stigmatizzata da numerosi rappresentanti delle istituzioni presenti, incluso il presidente della regione, Luca Zaia –:
se il Governo sia o meno a conoscenza dei fatti generalizzati nella premessa ed in particolare, delle ragioni che hanno indotto la Prefettura a non esporre il vessillo del Veneto nel pomeriggio del 6 aprile 2014, mentre aveva luogo la manifestazione di solidarietà nei confronti di coloro che sono stati arrestati in ragione delle proprie convinzioni personali in materia di autonomia ed indipendenza dei territori veneti;
se si ritenga politicamente ed istituzionalmente opportuna la scelta fatta e non si giudichi necessario garantire l'applicazione rigorosa da parte delle prefetture delle circolari amministrative che disciplinano l'esposizione delle bandiere sui palazzi pubblici.
(2-00497) «Giancarlo Giorgetti, Prataviera, Matteo Bragantini, Marcolin, Caon, Busin, Allasia, Borghesi, Bossi, Buonanno, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».
Interrogazioni a risposta scritta:
CERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
l'assemblea legislativa delle Marche, con Mozione n. 628 della IX Legislatura, presentata il giorno 4 marzo 2014, successivamente approvata con modificazioni in data 25 marzo 2014 nella seduta antimeridiana n. 152, ha impegnato la giunta regionale a porre in essere tutte le possibili misure di propria competenza in quanto finalizzate a garantire la permanenza in essere della stazione di polstrada di Amandola;
con tale atto di indirizzo l'assemblea legislativa delle Marche ha altresì impegnato la giunta regionale a «manifestare al Ministero degli Interni la contrarietà [...] all'applicazione della proposta di spending review che prevede la soppressione di diversi presidi di Polizia e Carabinieri» della regione Marche;
il settore della sicurezza è da anni oggetto di tagli che hanno comportato la riduzione di oltre 40 mila unità, tra Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e Guardia di finanza, che precedentemente contribuivano a garantire la sicurezza nel nostro Paese;
il piano ministeriale di spending review, per quanto concerne in particolare il comparto sicurezza nella regione Marche, prevede la chiusura di 10 uffici di polizia, nonché il ridimensionamento del commissariato di Osimo;
da un lancio di agenzia del 24 marzo 2014, si apprende che «con i tagli degli uffici di polizia e dei commissariati previsti nelle Marche, si dovranno ricollocare almeno 200 addetti del comparto»;
in una nota congiunta, i sindacati di polizia Siulp, Siap-Anfp, Silp Ccgil, Ugl Polizia, Coisp, Consap-Adp, Uil Polizia-Anip hanno richiesto al Ministro in data 27 marzo 2014 l'apertura di un tavolo di confronto presso l'ufficio per il coordinamento e la pianificazione delle forze di polizia, al fine di pianificare in maniera più mirata ed accorta un «processo virtuoso di razionalizzazione»;
in particolare, la spending review del comparto va ad interessare il distaccamento di polizia stradale di Amandola, sito in provincia di Fermo, istituito nel 1957 in quanto snodo nevralgico ove trovano collocazione tre strade provinciali, le strade provinciali 237, 238, 239, e sono ubicati importanti stabilimenti industriali che attirano centinaia di lavoratori, contribuendo ad apportare un forte volume di traffico pesante e leggero sull'Autostrada A 14;
il distaccamento è inoltre situato al centro del Parco nazionale dei Monti Sibillini nonché prossimo ad importanti impianti sciistici e termali, pertanto interessato da consistente flusso di visitatori;
Amandola si trova vicino a diversi luoghi di culto, quale ad esempio il santuario dell'Ambro, capaci di attrarre un consistente numero di pellegrini e turisti che vanno ulteriormente a generare un apprezzabile volume di traffico;
il distaccamento di polizia stradale di Amandola è pertanto situato in posizione chiave per il controllo di un territorio montano e distante da altri distaccamenti, il che rende difficilmente immaginabile la garanzia del controllo del traffico stradale e del territorio qualora si ponga in essere la soppressione del presidio in parola;
nell'anno 2000, l'allora direttore centrale dottore Pansa, apprezzate le circostanze sinteticamente riportate in questa interrogazione, aveva comunicato, contrariamente agli indirizzi attuali del Ministero, di avere il volere di approfondire la questione il riordino del distaccamento, facendo presente in tal sede di prevedere il mantenimento dello stesso con un aumento dell'organico fino a «18 unità» «tale da poter garantire la sicurezza dell'utenza di quel bacino»;
in un documento a prima firma del sindaco del comune di Amandola e co-firmato in data 26 febbraio 2014 dal presidente della provincia di Fermo, dai sindaci dei comuni dell'area montana e dal presidente della comunità montana dei Monti Sibillini, si faceva presente la disponibilità del Comune a «rimodulare nei limiti delle disposizioni normative esistenti il canone di affitto dello stabile»;
con missiva inviata al Ministro in data 14 marzo 2014, il sindaco di Amandola ha posto all'attenzione del Ministro la questione di cui alla presente interrogazione, rilevando tutte le criticità del caso e ribadendo la sua disponibilità a venire incontro alle esigenze del Ministero, anche «ridiscutendo le spese relative all'affitto» che il Ministero deve sostenere per il mantenimento del distaccamento di polizia stradale –:
quali iniziative il Ministro intenda porre in essere al fine di garantire razionalizzazione della spesa nel comparto in parola;
se ritenga il Ministro praticabile l'attivazione di un processo virtuoso di razionalizzazione volto ad eliminare duplicazioni e sovrapposizioni, garantendo in tal modo un aumento dell'efficienza complessiva del sistema, peraltro andando ad evitare tagli e soppressioni indiscriminate;
quali iniziative ritenga il Ministro opportuno porre in essere al fine di salvaguardare la presenza sul territorio di Amandola di un distaccamento di polizia la cui rilevanza è stata peraltro sottolineata in passato dallo stesso direttore generale della pubblica sicurezza e della cui importanza si fanno attualmente portavoce gli esponenti istituzionali delle comunità interessate. (4-04401)
OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
da recenti notizie di stampa apparse sul Quotidiano della Calabria del 6 aprile 2014 si apprende che a Settingiano, in provincia di Catanzaro, sulla strada provinciale 49 che costeggia la statale 280 dei Due Mari, un restringimento della strada sta determinando un grande pericolo per la circolazione e l'incolumità delle persone;
la strada interessata dalla problematica, situata tra Sarrottino di Settingiano e Martelletto di Tiriolo a pochi chilometri da Catanzaro, risulta essere ridotta a causa di un muro di pietra che la costeggia e che mette a repentaglio l'incolumità degli automobilisti che quotidianamente la percorrono per recarsi a Catanzaro o a Lamezia Terme;
tale situazione è stata prontamente segnalata dalla popolazione, la quale si è riunita in un apposito comitato per chiedere aiuto alle autorità interessate per l'adozione delle opportune iniziative;
la popolazione che quotidianamente percorre questa importante arteria ritiene che sia un loro diritto avere delle infrastrutture che consentano una mobilità senza rischi. Senza queste strade i territori interessati dalla problematica sono costretti a vivere un forte isolamento che condiziona la vita degli abitanti che si vedono sempre più abbandonati;
i fatti esposti sono ad avviso dell'interrogante preoccupanti e richiedono una immediata verifica al fine di salvaguardare la popolazione di quel territorio –:
se il Governo sia a conoscenza delle notizie riportate in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere per garantire l'incolumità degli utenti della strada gravemente compromessa dalla situazione di cui in premessa. (4-04403)
LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in data 14 marzo 2013, il Ministro interrogato ha delegato il prefetto di Napoli ad esercitare i poteri di accesso ed accertamento di cui al decreto-legge n. 629 del 1982, affinché si avviassero le necessarie procedure per addivenire all'eventuale scioglimento del consiglio comunale di Torre Annunziata (Napoli) per condizionamento camorristico a norma dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
in data 27 marzo 2013, il Prefetto ha nominato la relativa Commissione, che il 1o agosto ha presentato il suo resoconto, consentendogli il 5 settembre di relazionare al Ministro, il quale il 7 novembre 2013 ha decretato la conclusione del procedimento per insussistenza dei presupposti di cui al secondo comma del summenzionato articolo 143;
il 15 novembre 2013 fonti di stampa locale hanno riportato la notizia, evidenziando che i commissari si erano espressi per l'epilogo dell'organo assembleare. Il 4 marzo 2014 una delle sopra citate fonti di stampa avrebbe addirittura riferito che il sindaco ha ricevuto dalla prefettura due elenchi: uno da comunicare ai consiglieri; uno riservato, contenenti prescrizioni, raccomandazioni e consigli. Quello pubblico riguarda i mancati abbattimenti degli abusi edilizi e i lavori di piazza San Luigi nel Rione carceri, notoriamente feudo del clan Gionta;
secondo quanto segnalato all'interrogante, sorge il dubbio di divergenze fra relazione commissariale, prefettizia e decreto ministeriale. Dubbio rafforzato dai recenti precetti disposti dal prefetto nei confronti del comune, che sembrerebbero avvalorare proprio l'ipotesi della posizione sfavorevole assunta dai commissari nella loro relazione e riportata tanto dalle testate giornalistiche, quanto da un esposto presentato al procuratore della Repubblica di Torre Annunziata in data 6 marzo 2014 dall'ex deputato ed ex magistrato Michele Del Gaudio. Esposto, questo, che faceva seguito già ad una prima istanza inoltrata al prefetto di Napoli il 4 agosto 2011 per sollecitare gli interventi necessari per lo scioglimento del consiglio comunale prima delle elezioni del 2012;
se questo scenario fosse corrispondente al vero, sarebbe lecito ipotizzare tre possibili ricostruzioni dell'accaduto. Secondo una prima ipotesi, il prefetto avrebbe smentito le conclusioni della commissione d'accesso, avvalendosi di ulteriori ed antitetiche indagini, allegate al suo rapporto al dicastero. Se al contrario, non avesse compiuto altre verifiche, avrebbe allora dedotto l'inverso dagli atti della commissione, sulla base di una diversa interpretazione e ricostruzione della relazione commissariale. Se infine, vi si fosse uniformato, optando per lo scioglimento, il Ministro o si sarebbe basato su dati in suo possesso differenti da quelli dei commissari, oppure avrebbe deciso in contrasto con gli elaborati prefettizi, pur richiamandoli, senza contraddirli, nel suo provvedimento;
all'interrogante appare opportuno dissipare i dubbi e l'allarme sociale che si stanno diffondendo nell'opinione pubblica e fornire i dovuti chiarimenti sulla vicenda, affinché sia chiarito con maggiore risolutezza e fermezza che il consiglio comunale di Torre Annunziata non è condizionato dalla camorra;
in effetti, nonostante dopo il primo esposto si siano svolte le elezioni, apparirebbe inverosimile che un cambiamento della giunta possa sanare un eventuale, costante e documentato condizionamento mafioso. Parimenti, nemmeno la sostituzione di un assessore potrebbe eventualmente assolvere una pressoché intera classe politica;
peraltro, sempre secondo quanto segnalato all'interrogante, il prefetto non sembrerebbe «completamente» convinto dell'assenza del condizionamento, dal momento che ha sollecitato pubblicamente provvedimenti di chiaro significato anticamorristico al comune di Torre Annunziata –:
quali siano le informazioni in possesso del Governo in merito alle vicende sopra esposte che stanno provocando non poco allarme nella comunità territoriale;
se il Ministro intenda rendere pubbliche le relazioni del prefetto e della commissione di accesso, nonché le recenti prescrizioni, con eventuali omissis per le notizie coperte da motivato segreto amministrativo o istruttorio;
se il Ministro intenda, ove possibile, rendere pubbliche almeno le conclusioni delle relazioni del prefetto e della commissione d'accesso, onde verificarne l'eventuale contrasto;
quali azioni intenda porre in essere il Governo per accertare e eventualmente monitorare eventuali condizionamenti camorristici nel comune di Torre Annunziata;
se il Ministro ravvisi i presupposti per procedere comunque a norma dell'articolo 141 decreto legislativo n. 267 del 2000, comma 1, lettera a), in ragione delle prescrizioni che comunque il prefetto ha dovuto disporre nei confronti del comune. (4-04416)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazioni a risposta in Commissione:
BURTONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
per l'anno scolastico 2014/2015 sarebbero previste circa 13 mila immissioni in ruolo per docenti di sostegno su tutto il territorio nazionale;
per la Sicilia ne sarebbero previste circa 747, un numero sottodimensionato rispetto alle reali esigenze e anche rispetto al parametro della popolazione scolastica se rapportata ad altre regioni come ad esempio la Lombardia che ne prevede quasi 3000;
il presente atto di sindacato ispettivo nasce dalle perplessità che sono state sollevate dagli stessi docenti circa i criteri utilizzati per la definizione del numero delle immissioni in ruolo;
rischia di diventare molto discriminatorio anche per alunni e famiglie programmare immissioni in ruolo basate solo su percentuali di riequilibrio di organici;
diventa pertanto indispensabile che il Ministro fornisca una risposta precisa rispetto a tali osservazioni –:
se e quali siano i criteri che sono stati adottati per la definizione del numero di immissioni in ruolo per docenti di sostegno in Sicilia, se il Ministro sia in possesso dei dati relativi ai numeri reali di alunni certificati in base alla legge n. 104 e se non ritenga di intervenire per rideterminare il numero degli insegnanti di sostegno in maniera più rispondente alle reali esigenze dei territori e della comunità scolastica. (5-02584)
PALMIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il decreto legislativo n. 30 del 2014, attuativo della direttiva comunitaria 93/2011 relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, prescrive che dal 6 aprile 2014 qualunque datore di lavoro che impiega una persona per lo svolgimento di attività professionali o volontarie che comportino contatti diretti e regolari con minori deve richiedere al lavoratore il certificato penale del casellario giudiziale, «al fine di verificare l'esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies del codice penale, ovvero l'irrogazione di sanzioni interdittive all'esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori»;
l'articolo 2 del decreto legislativo n. 39 del 2014 ha introdotto nel decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 2002, ossia nel Testo unico in materia di casellario giudiziale, l'articolo 25-bis, recante disposizioni per l'impiego al lavoro di persone che, in ragione delle mansioni attribuite, debbano avere contatti diretti e regolari con minori;
secondo l'articolo 25-bis di cui sopra, l'obbligo di tale adempimento, cioè la presentazione del certificato penale del casellario giudiziale, sorge soltanto ove il soggetto che intenda avvalersi dell'opera di terzi – soggetto che può anche essere individuato in un ente o in un'associazione che svolga attività di volontariato, seppure in forma organizzata e non occasionale e sporadica – si appresti alla stipula di un contratto di lavoro; l'obbligo non sorge, invece, ove si avvalga di forme di collaborazione che non si strutturino all'interno di un definito rapporto di lavoro;
di ciò si ha sicura conferma dalla lettura del comma 2 dell'articolo 25-bis, nella parte in cui riserva la sanzione amministrativa pecuniaria, per il caso di mancato adempimento dell'obbligo di richiedere il certificato del casellario giudiziale, al «datore di lavoro», espressione questa che non lascia margini di dubbi nell'individuazione dell'ambito di operatività delle nuove disposizioni;
esse – si ribadisce – valgono soltanto per l'ipotesi in cui si abbia l'instaurazione di un rapporto di lavoro, perché al di fuori di questo ambito non può dirsi che il soggetto, che si avvale dell'opera di terzi, assuma la qualità di «datore di lavoro»;
non è allora rispondente al contenuto precettivo di tali nuove disposizioni l'affermazione per la quale l'obbligo di richiedere il certificato del casellario giudiziale gravi su enti e associazioni di volontariato pur quando intendano avvalersi dell'opera di volontari; costoro, infatti esplicano un'attività che, all'evidenza, resta estranea ai confini del rapporto di lavoro –:
se il Ministro interrogato intenda fare chiarezza sulla questione per quanto riguarda il personale scolastico, perché c’è preoccupazione che i dirigenti scolastici possano richiedere «a tappeto» certificati antipedofilia a tutto il personale, insegnanti e bidelli, e si intenda assumere iniziative affinché la materia abbia per la scuola una sua specifica regolamentazione;
se il Ministro interrogato sia consapevole del fatto che il decreto legislativo andato in vigore il 6 aprile 2014 rischia di bloccare l'attività di centomila associazioni sportive;
se il Ministro interrogato intenda chiarire se l'obbligo in questione riguardi i soli rapporti «costituendi» o si estenda anche a quelli già costituiti. (5-02592)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta immediata:
PISICCHIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
in tema di occupazione, soprattutto giovanile, il nostro Paese si trova a vivere una condizione che lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri ha definito «sconvolgente», con un tasso di disoccupazione che, secondo gli ultimi dati, è salito addirittura al 13 per cento, con una perdita di circa 365.000 posti di lavoro rispetto al 2013. Una condizione che nell'area euro l'Italia soffre più di altri e che, come ha rilevato il Presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, frena la crescita. Si ritiene che il primo e principale campo d'intervento del Governo debba essere l'occupazione, in particolare quella giovanile, soprattutto per agganciare il treno della ripresa che altri Paesi europei hanno già preso –:
se e cosa intenda fare il Governo, in concreto, per affrontare in modo strutturale la piaga della disoccupazione, creare nuovi e stabili posti di lavoro ed evitare che la prossima rilevazione presenti una situazione ancor più drammatica.
(3-00748)
BRUNETTA, BALDELLI, PALMIERI e CENTEMERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il Consiglio dei ministri ha varato il decreto legislativo intitolato «Attuazione della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile» (decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 39);
il decreto legislativo, che è entrato in vigore il 6 aprile 2014, stabilisce l'obbligo, per chi dirige le strutture frequentate da bambini, di chiedere il certificato penale dei propri collaboratori: «il certificato penale deve essere richiesto dal soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, al fine di verificare l'esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies del codice penale»;
la sopra citata direttiva europea dispone che i Paesi sono vincolati a fare in modo che i datori di lavoro «abbiano il diritto di chiedere informazioni» sui propri collaboratori, ma in Italia tale diritto è diventato un obbligo che contrasta con un'altra norma: quello del divieto, per i datori di lavoro, di acquisire questo genere di informazioni sui dipendenti;
sulla vicenda si è ingenerata una sostanziale, rilevante e delicata questione interpretativa in relazione a quali e quante siano le categorie di lavoratori, dagli insegnanti di scuole pubbliche o private alle baby sitter, e di volontari, dalle associazioni sportive a quelle religiose, a dover adempiere agli obblighi previsti entro la data del 6 aprile 2014;
molti dei diretti interessati, o di coloro che ritengono di esserlo, giacché non vi è alcuna chiarezza sulla definizione esatta di tale platea, che comunque potrebbe consistere in diverse decine di migliaia di persone, si sono recati personalmente a richiedere i certificati presso gli uffici giudiziari, con conseguente disagio degli uffici stessi;
il costo economico per la richiesta della suddetta documentazione si quantifica in oltre 27 euro a persona;
i tempi ristretti e il costo della certificazione da richiedere hanno creato disagi tra i presidi e i dirigenti scolastici, ai quali soprattutto sembrava diretta la disposizione, ma hanno anche messo in allarme i responsabili di molte organizzazioni del terzo settore che temono di andare incontro a spese eccessive o alle sanzioni previste dal decreto legislativo;
il Ministro della giustizia è intervenuto solo nei giorni immediatamente precedenti all'entrata in vigore della norma, per chiarire intanto che i tanti volontari che operano a titolo gratuito presso parrocchie, onlus o associazioni sportive, e dunque non sono titolari di un vero e proprio contratto di lavoro, non sono tenuti all'accertamento previsto dal decreto legislativo;
altra precisazione riguarda la non retroattività della disposizione: l'obbligo del certificato sembrerebbe riguardare solo i nuovi assunti e non il personale già dipendente;
quanto ai tempi ed alle modalità di presentazione dei certificati del casellario giudiziale, il Ministero della giustizia ha precisato che «saranno rilasciati entro qualche giorno dalla richiesta», che a fare la richiesta possono essere i lavoratori interessati e i loro datori di lavoro su delega del dipendente e che i moduli per la domanda sono disponibili sul sito del ministero. In attesa del documento, i datori di lavoro potranno accettare un'autocertificazione sostitutiva in cui il lavoratore dichiara di non essere stato condannato per i reati contro i minori;
sul tema, erano scese in campo anche la Cei, il Coni e le associazioni dei datori di lavoro domestico. La Conferenza dei vescovi italiani aveva sottolineando le «incertezze interpretative» della norma e l'opportunità di richiedere ugualmente la certificazione antipedofili anche ai soggetti non obbligati;
secondo il presidente del Coni, Giovanni Malagò, la norma rischia di bloccare l'attività di centomila associazioni sportive. L'Assindatcolf, organizzazione di datori di lavoro domestico, aveva espresso simili preoccupazioni riguardo a colf e baby sitter, che, invece, sono escluse dall'obbligo;
dalla scuola, soprattutto, si sono levate proteste; Massimo Di Menna, leader della Uil scuola, ha riportato la necessità di una sua specifica regolamentazione proprio per le istituzioni scolastiche, per eliminare il rischio di una situazione di incertezza che rischia di creare tensioni tra il personale;
l'Associazione nazionale presidi ha, invece, ricordato che il certificato in questione è già prodotto obbligatoriamente da tutti i pubblici dipendenti (fra cui anche i docenti) all'atto della assunzione e che non deve essere ulteriormente ripresentato fino a quando non si verifichino variazioni suscettibili di incidere sullo status; in sostanza, i presidi non dovranno preoccuparsi del personale in ruolo, a cui il certificato viene richiesto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al momento dell'assunzione, ma dovranno, invece, ricordarsi di rinnovare i certificati tutte le volte che vengono aggiornate le graduatorie dei supplenti. Vale lo stesso discorso per gli ausiliari tecnici e amministrativi, tra cui i bidelli, che vengono assunti a tempo determinato nelle scuole. Tale affermazione non risolve, però, la questione per quanto riguarda l'incidenza e l'applicabilità alle scuole private;
anche diversi parlamentari, in particolare del gruppo Forza Italia, sono intervenuti per richiedere chiarimenti in merito all'applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 39 –:
quale sia la valutazione del Governo in merito alla caotica situazione descritta nella premessa e quali siano le iniziative che intenda immediatamente adottare per risolvere la gravissima situazione di cortocircuito informativo e procedurale che riguarda platea, adempimenti e termini prodotti dall'emanazione del decreto legislativo citato in premessa. (3-00749)
QUARTAPELLE PROCOPIO, ASCANI, CRIMÌ, BONOMO, PARIS, GADDA, COMINELLI, BRAGA, LATTUCA, VENTRICELLI, MORETTO, TENTORI, GRIBAUDO, GNECCHI, MARCO DI MAIO, PICIERNO, NARDUOLO, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il programma «Garanzia per i giovani» intende permettere a tutti i giovani di età inferiore ai 25 anni di ricevere un'offerta valida entro quattro mesi dalla fine degli studi o dall'inizio della disoccupazione. L'offerta può consistere in un impiego, apprendistato, tirocinio o ulteriore corso di studi e va adeguata alla situazione e alle esigenze dell'interessato;
questo piano assume enorme rilevanza in un momento di recessione economica come quello che sta vivendo il nostro Paese, dal momento che l'Istat ha certificato che nell'ultimo anno sono venuti meno 100.000 posti di lavoro tra i giovani;
l'impegno del Governo italiano è stato notevole, sia per incrementare le risorse stanziate, sia per ottenere delle modalità di spesa che si conciliassero con la situazione drammatica che il nostro Paese sta affrontando;
si apprende dalla stampa che all'interno di questo progetto una cifra elevata, 200 milioni di euro, è destinata per costruire una piattaforma web nazionale e social network per gli operatori;
rispetto alle previsioni del programma operativo nazionale della «Garanzia per i giovani», l'implementazione del programma segue un andamento a macchia di leopardo, con alcune regioni che hanno già avviato coerenti pacchetti occupazionali, mentre altre sono ancora indietro, non avendo ancora provveduto a varare adeguate misure attuative;
è molto importante sfruttare le risorse della «Garanzia per i giovani» in progetti mirati e specifici che possano essere funzionali all'obiettivo del piano e dare finalmente una risposta concreta al tema della disoccupazione giovanile –:
quali iniziative intenda assumere al fine di rendere omogeneo il progetto per consentire alle regioni di agire all'interno di ambiti ristretti e ben definiti, sulla scorta di quanto sta accadendo in Spagna, evitando il rischio che si verifichi il proliferare di azioni disomogenee tra regioni e, in caso di inerzia di una o più regioni, valutando anche la possibilità di esercitare poteri sostitutivi, limitati e coerenti ad una rapida ed omogenea implementazione della «Garanzia per i giovani» su tutto il territorio nazionale. (3-00750)
Interrogazione a risposta orale:
D'ATTORRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
questa mattina nel corso di una manifestazione da parte di un centinaio di lavoratori in mobilità in deroga ed ex lavoratori Phonemedia, davanti alla sede dell'assessorato regionale a lavoro a Catanzaro, si sono registrati momenti di tensione;
i lavoratori in attesa della indennità di mobilità chiedevano un incontro con l'assessore regionale;
un manifestante nel corso della manifestazione è stato investito per fortuna in maniera non grave dal tentativo da parte di un'auto di forzare il blocco messo in atto dai lavoratori e comunque ha dovuto far ricorso alle cure del 118;
l'episodio di oggi testimonia qual è il grado di esasperazione di una fascia considerevole di persone che vive in attesa della proroga degli ammortizzatori in deroga e che da mesi non percepisce alcun sostegno al reddito;
la situazione è molto complessa e presenta aspetti assolutamente da non sottovalutare dal punto di vista sociale;
si attende il riparto delle risorse per garantire quanto meno la mobilità in deroga;
si è in attesa, inoltre, della concretizzazione dello strumento del «sostegno di inclusione attiva» varato con la legge di stabilità 2014 e dell'impiego delle risorse dell'Unione europea per le politiche attive per il lavoro –:
se e quali iniziative il Governo intenda attivare con la massima urgenza per prorogare il beneficio degli ammortizzatori in deroga e quale sia il cronoprogramma per il varo del SIA (sostegno di inclusione attiva) e l'impiego per la Calabria delle politiche attive per il lavoro al fine di sostenere le persone più in difficoltà ad uscire da una marginalità umiliante. (3-00745)
Interrogazione a risposta in Commissione:
SBERNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la società Getek Ict srl (società facente parte al raggruppamento del consorzio Postelink di Poste italiane Spa), per cinque anni e fino al 2010, ha lavorato su una monocommessa per svolgere il servizio informativo Inps/Inail, rispondendo al numero verde nazionale (803164);
i 73 lavoratori assunti dalla società Getek Ict srl (prima Gepin spa) con sede legale a Roma e sito operativo del contact center Inps/Inail a Crotone, sono stati formati direttamente dai funzionari Inps per svolgere il servizio in una materia delicata come è quella previdenziale ed il sito operativo di Crotone, è risultato il migliore dal punto di vista della qualità professionale, riconosciuta anche dagli stessi enti Inps/Inail;
nell'anno 2010, la gara per svolgere il servizio informativo del contact center Inps/Inail, è stata aggiudicata alla società Transcom Worldwide spa con sede legale a L'Aquila;
gli operatori della Getek Ict Srl dal mese di settembre 2010, sono stati posti in cassa integrazione guadagni ordinaria per un anno, dal mese di ottobre 2011 in cassa integrazione guadagni straordinaria in attesa di sviluppi e al mese di ottobre 2012 ad oggi in mobilità ordinaria, e quindi prossimi alla disoccupazione;
nel bando della gara vinta dalla Transcom Worldwide spa non era stata inserita la clausola di salvaguardia dei posti di lavoro, tuttavia mentre tutti gli altri operatori dei vari siti sono stati assorbiti nella nuova commessa, quelli di Crotone sono stati esclusi, nonostante la riconosciuta professionalità;
il Direttore Generale dell'Inps dottor Mauro Nori, in un incontro organizzato dalla Cisl di Crotone il 14 aprile 2011, rivolgendosi ai lavoratori della Getek Ict srl presenti in sala, ha detto: «Preferisco fare poche promesse per poterne mantenere di più, ma a livello centrale stiamo lavorando insieme al mio collega dell'Inail dottor Lucibello, affinché il know-how dei 73 operatori Getek non vada perduto. La speranza è che l'incremento inevitabile dei servizi offerti tramite help-desk, induca le imprese vincitrici dell'appalto, ad affidarsi a chi è già formato in una materia complessa e delicata»;
ad oggi tutto ciò non è avvenuto e addirittura nel mese di dicembre 2011, mentre gli operatori di Crotone erano in cassa integrazione guadagni, in un altro sito, sono stati formati e assunti 250 nuovi operatori per svolgere il servizio Inps/Inail;
il 21 gennaio 2013 l'Inps ha comunicato, il raddoppio dei numeri a disposizione dei cittadini per chiamare il contact center Multicanale Inps/Inail ed il 1° giugno 2013, è partito un unico contact center telefonico Inps multicanale, che comprende anche gli assicurati e pensionati ex Enpals e ex Inpdap. Il giorno 30 luglio 2013, viene attivata la convenzione tra Inps, Inail e Equitalia spa, la gestione integrata dei servizi di contact center, dove si era prospettato la possibilità di impiego dei lavoratori crotonesi, ma non c’è stato finora nessun riscontro a riguardo;
sembrerebbe in corso una nuova gara per l'aggiudicazione del servizio informativo del contact center Inps/Inail –:
quali iniziative intenda adottare per dare soluzione alla vertenza lavorativa in corso con gli ex lavoratori della Getek Ict srl e se non ritenga opportuno che sia inserito nella prossima gara per l'aggiudicazione del servizio informativo del contact center Inps/Inail una clausola che preveda il reinserimento lavorativo nel sito operativo dei dipendenti della citata società, anche al fine di non disperdere la loro preziosa formazione ed esperienza professionale. (5-02581)
Interrogazione a risposta scritta:
POLVERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
trascorsi ormai circa tre anni dall'approvazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetta «decreto-legge Fornero», risulta ancora impossibile quantificare il numero dei lavoratori «esodati» privati contemporaneamente sia del lavoro che del diritto al trattamento pensionistico;
il 26 marzo 2014 alle ore 14:30 si è svolta, presso la XI Commissione permanente lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati, l'audizione del direttore generale dell'INPS, dottor Mauro Nori, in merito alla identificazione della platea dei lavoratori che non beneficiano di interventi di salvaguardia in materia pensionistica;
nell'audizione il direttore generale, dottor Mauro Nori, nonostante precise richieste avanzate da parte dell'interrogante e di tutta la Commissione parlamentare, non ha fornito tali dati, sostenendo che, codeste informazioni, potrebbero essere fornite in via primaria al Governo in caso di formale richiesta;
proprio in questi giorni la Commissione permanente lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati sta terminando di analizzare, in sede referente, un importante testo unico «Modifiche alla disciplina dei requisiti per la fruizione delle deroghe riguardanti l'accesso al trattamento pensionistico» finalizzato a garantire i diritti acquisiti e sanare la palese ingiustizia subita dai cosiddetti «esodati»;
risulta all'interrogante che neppure il Governo, come affermato dal Sottosegretario di Stato Onorevole Franca Biondelli, sia riuscito ad avere questi dati –:
quali iniziative il Ministro intenda adottare per avere formalmente i dati in possesso dell'istituto di previdenza in merito al numero reale di lavoratori da salvaguardare per poi comunicarli alla competente Commissione parlamentare. (4-04410)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta in Commissione:
OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
le notizie che emergono a seguito della relazione dell'Istituto superiore di sanità depositata nell'ambito del processo relativo all'inquinamento della Val Pescara in Abruzzo, destano notevole preoccupazione tra la popolazione;
vi è addirittura uno studio del 1972 nel quale i valori di mercurio dei pesci pescati alla foce del Pescara e nel mare antistante la foce risultavano ben 4,5 volte superiori alla norma;
sempre in base a questo studio di 42 anni fa, l'analisi dei capelli dei consumatori abituali di pesce riportava valori superiori di mercurio pari a 14 volte e in quelli occasionali di 5 volte;
nello studio del 1981 sui vegetali coltivati in prossimità del fiume, come grano, vite e olivo, emergevano in maniera evidente valori «medio alti» difformi dalla normativa vigente;
per queste ragioni si ravvisano pericoli concreti per la salute umana reiterati nel tempo rispetto al rischio di ingestione di mercurio, veicolato tramite suolo, sedimenti ed acque superficiali nella filiera alimentare;
occorre, quindi fare immediatamente chiarezza per verificare quali sono le reali condizioni di salubrità del comprensorio al fine di stabilire se siamo in presenza di un'area food o no food il che richiede un intervento diretto e senza tentennamenti da parte del Governo –:
al fine di dare certezze ad una intera comunità e alla stessa filiera agroalimentare del territorio in questione, quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda adottare con la massima urgenza per verificare quanto sopra esposto e fare luce su una questione che interessa circa 700 mila cittadini dell'Abruzzo con tutte le conseguenze sul piano economico e sociale, anche dal punto di vista della filiera agroalimentare. (5-02583)
SALUTE
Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
il settimanale l’Espresso in edicola da venerdì 4 aprile rende nota l'esistenza di una inchiesta, definita choc, dei carabinieri dei Nas e della procura di Roma, in relazione alla vicenda del virus dell'aviaria e ad un traffico internazionale di virus;
dall'inchiesta dei Nas sembrerebbe che virus dell'aviaria siano stati spediti dall'estero in Italia in plichi anonimi, senza alcuna autorizzazione e in violazione di tutte le norme sulla sicurezza vigenti;
il sospetto avanzato dagli investigatori dei Nas è che ci sia stato un business delle epidemie che viene attuato attraverso una cinica strategia commerciale;
la strategia commerciale si sarebbe basata sulla diffusione di notizie amplificate sul pericolo di diffusione e i rischi per l'uomo derivanti dall'aviaria, che avrebbero spinto le autorità sanitarie ad adottare provvedimenti d'urgenza;
i provvedimenti di urgenza si sarebbero trasformati in un affare da centinaia di milioni di euro per le industrie farmaceutiche;
sembrerebbe, a detta degli inquirenti, che si sia verificato anche un caso, di diffusione dell'influenza tra il pollame del Nord Italia direttamente legata alle attività illecite di alcuni manager;
l'indagine ricostruisce i retroscena sullo sfruttamento dell'allarme per l'aviaria nel nostro Paese, che nel 2005 portò il governo Berlusconi ad acquistare farmaci per 50 milioni di euro, rimasti inutilizzati, senza alcun approfondimento e con gravissime carenza nei controlli e nell'attendibilità delle informazioni e delle fonti;
l'inchiesta, in realtà è stata aperta dagli investigatori americani, che hanno ottenuto le confessioni di Paolo Candoli, manager della filiale italiana di Merial, sui ceppi patogeni di aviaria spediti illegalmente a casa sua in Italia e poi venduti ad aziende statunitensi. Nel 2005 la Homeland Security Usa ha trasmesso i documenti ai carabinieri del Nas, che già si erano occupati a Bologna di una organizzazione criminale dedita al traffico di virus ed alla produzione clandestina di vaccini;
la nuova inchiesta dell'Arma si è allargata, seguendo le intercettazioni disposte dai magistrati di Roma. Paolo Candoli nella capitale sa come muoversi: sponsorizza convegni medici organizzati da professori universitari, regala viaggi e distribuisce consulenze ben pagate e questo gli permette di avere «corsie preferenziali» al Ministero della salute per ottenere autorizzazioni, riesce a far cambiare parere alla commissione consultiva del farmaco veterinario per mettere in commercio prodotti della Merial;
tra i referenti più stretti di Paolo Candoli da quanto si apprende dall'articolo dell’Espresso risulta Ilaria Capua, virologa di fama internazionale, attualmente deputato di Scelta Civica e vice presidente della Commissione cultura alla Camera;
fino all'elezione alla Camera, Ilaria Capua era responsabile del dipartimento di scienze biomediche comparate dell'Istituto zooprofilattico sperimentale (Izs) delle Venezie con sede a Padova. Il risultato degli accertamenti del Nas ha portato il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, a ipotizzare reati gravissimi. La Capua e alcuni funzionari dell'Izs sono stati iscritti nel registro degli indagati per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, all'abuso di ufficio e inoltre per il traffico illecito di virus. Stessa contestazione per tre manager della Merial. Anche il marito della Capua, ex manager della Fort Dodge Animal di Aprilia, attiva nella produzione veterinaria, è indagato insieme ad altre 38 persone;
nell'elenco degli indagati figurano, a detta dell’Espresso, tre scienziati al vertice dell'Izs di Padova; funzionari e direttori generali del Ministero della salute; alcuni componenti della Commissione consultiva del farmaco veterinario; e sembrerebbe coinvolta anche Rita Pasquarelli, direttore generale dell'Unione nazionale avicoltura. I fatti risalgono a sette anni fa ma molti degli indagati lavorano ancora nello stesso istituto;
sempre stando a quanto scritto nell'articolo dell’Espresso, sembrerebbe che alcuni dei manager al telefono si vantavano dei metodi usati per trasferire i virus clandestinamente in tutto il mondo; dalla Francia al Brasile, nascondendoli in pacchi anonimi o tra gli abiti delle valigie. «Abbiamo fatto cose turche», dicono. Secondo gli investigatori del Nas, anche la Capua e l'Istituto zooprofilattico sono coinvolti nel traffico illegale: la scienziata sarebbe stata pagata per fornire agenti patogeni;
sembrerebbe che in una conversazione registrata sia la stessa virologa a farne esplicito riferimento, sostenendo di aver ceduto ceppi virali in favore di un veterinario americano. Contattata da l’Espresso, Ilaria Capua respinge tutte le accuse: conferma di conoscere Candoli ma spiega «di non aver mai venduto ceppi virali. Sono dipendente di un ente pubblico e non vendo nulla personalmente»;
ancora una volta emergono gravissime lacune da parte del Ministero della salute e ancora una volta inchieste portano ad inscrivere nel registro degli indagati, in questo caso in seguito ad una indagine dei carabinieri del Nas, funzionari del Ministero della salute, componenti della commissione consultiva del farmaco veterinario, funzionari dell'Istituto zooprofilattico sperimentale –:
se il Ministro della salute sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e dell'indagine dei carabinieri dei Nas che ha portato la procura di Roma ad iscrivere nel registro degli indagati 38 persone alcune delle quali funzionari del Ministero della salute;
se risulti agli atti sulla base di quali dati scientifici e di quali informazioni nel 2005 il Ministro della salute, decise di procedere all'acquisto di 50 milioni di farmaci tanto fondamentali che sono rimasti oltretutto inutilizzati;
quali iniziative intenda intraprendere, per le parti di propria competenza, per accertare quanto accaduto, per individuare le responsabilità e avviare le eventuali azioni di risarcimento al Servizio sanitario nazionale da parte delle aziende farmaceutiche, dato che nel 2005 furono acquistati 50 milioni di euro di farmaci a tutt'oggi mai utilizzati mediante, stante l'inchiesta dei Nas di Roma, una strategia «business delle epidemie» attuato attraverso una cinica strategia commerciale.
(2-00494) «Lorefice, Grillo, Silvia Giordano, Baroni, Di Benedetto, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Mantero, Nuti».
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
è stata autorizzata la commercializzazione su tutto il territorio nazionale di farmaci per la cosiddetta contraccezione di emergenza. Nel foglietto illustrativo che accompagnava la vendita di uno di tali farmaci, il Levonorgestrel (Norlevo), il farmaco stesso era definito «contraccettivo orale di emergenza», mentre la contraccezione di emergenza veniva definita come «un metodo di emergenza che ha lo scopo di prevenire la gravidanza dopo rapporto sessuale non protetto o in caso di mancato funzionamento di un metodo anticoncezionale»; la stessa informazione è riportata sostanzialmente nel foglietto illustrativo dell'altro farmaco, EllaOne (Ulpristal acetato). Norlevo, per essere efficace, può essere utilizzato fino a 72 ore (3 giorni) dopo un rapporto sessuale, cioè nel periodo in cui lo spermatozoo, ancora vitale, può dar luogo al concepimento, se si verifica l'ovulazione; per EllaOne il periodo di efficacia arriva invece fino a coprire 120 ore (5 giorni); nel foglietto illustrativo, a proposito del meccanismo d'azione del Norlevo, si riportava che, oltre all'azione antiovulatoria, «è probabile che siano coinvolti anche altri meccanismi come impedire l'impianto nell'utero dell'ovulo fecondato», mentre esso «non è efficace una volta che il processo di annidamento è iniziato», potendo dedursene che il farmaco può agire come antinidatorio, oltre che antiovulatorio; per quanto riguarda EllaOne, il foglietto illustrativo riporta invece solo che «si ritiene che EllaOne agisca bloccando l'ovulazione». Tuttavia, nel «Riassunto delle caratteristiche del prodotto», si riporta che l'inibizione o il ritardo dell'ovulazione sia da considerarsi il meccanismo d'azione «primario» del farmaco, lasciando intendere che possano esserci anche altri meccanismi. Tale interpretazione sembra essere avvalorata dal fatto che in altra parte dello stesso Allegato I, riportando i dati preclinici di sicurezza, l'azienda produttrice riferisce testualmente che «dato il suo meccanismo d'azione, ulipristal acetato ha un effetto embrioletale in ratti, conigli e scimmie»; nella sezione «informazioni nazionali» del foglietto illustrativo del Norlevo, a proposito dei fini dei metodi contraccettivi, si riportava anche quello di prevenire «l'impianto di un ovulo fecondato», aggiungendo poco oltre che la contraccezione di emergenza agisce «bloccando l'ovulazione o impedendo rimpianto dell'ovulo» (da intendersi, ovviamente, come ovulo fecondato). Niente di quanto sopra è riportato invece nel foglietto illustrativo di EllaOne;
è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 4 febbraio 2014 la revisione da parte dell'AIFA della scheda del Norlevo, adeguandola a quello di EllaOne ed eliminando ogni riferimento a possibili effetti di tipo antinidatorio;
con tale determinazione è stata cancellata la vecchia dicitura «il farmaco potrebbe anche prevenire l'impianto» sostituendola con «inibisce o ritarda l'ovulazione». Il farmaco è stato dunque tout-court classificato come farmaco antiovulatorio;
malgrado le forti pressioni in favore di tale riconoscimento, numerose sono le evidenze scientifiche sui meccanismi antinidatori delle pillole del/i giorno/i dopo;
per brevità si rimanda a tre pubblicazioni di revisione critica apparsi su riviste internazionali:
1) Ulipristal Acetate: Critical Review About Endometrial and Ovulatory Effects in Emergency Contraception. Mozzanega B., Gizzo S., Di Gangi S., Cosmi E., Nardelli GB., Reprod Sci. 2014 Jan 18;
2) Ulipristal acetate in emergency contraception: mechanism of action. Mozzanega B., Cosmi E., Nardelli GB. Trends Pharmacol Sci. 2013 Apr;
3) How do levonorgestrel-only emergency contraceptive pills prevent pregnancy? Some considerations. Mozzanega B., Cosmi E., Gynecol Endocrinol. 2011 Jun;
il riconoscimento dell'effetto abortivo di un preparato farmaceutico dovrebbe attuarsi sulla base delle evidenze scientifiche e non ha nulla a che fare con le discussioni filosofiche, biotiche, ideologiche o religiose circa il valore da riconoscere alla vita umana ai primi stadi del suo sviluppo, né tocca tantomeno la questione dell'annidamento dell'embrione in utero. Esso, inoltre, non dipende dal dibattito dall'interpretazione delle leggi effettuata dalla giurisprudenza; al riguardo si deve ricordare che la stessa terminologia di preembrione proposta dalla Commissione Warnock fa riferimento a una definizione convenzionale, indipendente dal dato scientifico ed è comunque sganciata dall'annidamento; paradossalmente, proprio da quando è possibile la fecondazione in vitro è divenuto evidente come l'annidamento in utero costituisca solo una tappa importante dello sviluppo del nuovo essere umano, senza tuttavia che essa permetta di identificare salti tali da compromettere la continuità dello sviluppo stesso, se non attraverso definizioni arbitrarie. Sono, infatti, proprio le tecniche di fecondazione in vitro a smentire l'esistenza di un cosiddetto pre-embrione, da contrapporre all'embrione umano, identificabile già dal concepimento; le conoscenze scientifiche degli ultimi decenni hanno dunque confermato che non esiste alcun salto nella continuità dello sviluppo dell'embrione umano; a nessuno stadio di tale sviluppo si determinano mutamenti qualitativi della natura dell'embrione umano stesso; infine, il suo patrimonio genetico è già interamente presente dopo il concepimento e tale rimarrà fino alla morte; la legge n. 40 del 2004 ha stabilito che il consenso della coppia richiedente la fecondazione in vitro non può essere revocato dopo l'avvenuta fecondazione, perché, appunto, con la fecondazione nasce una nuova vita umana; ha riconosciuto questa nuova vita «soggetto di diritto»; ha esplicitamente vietato la soppressione dell'embrione (oltre al suo congelamento), sanzionando penalmente tale condotta;
del resto la Corte europea di giustizia ha sentenziato, nella controversia Greenpeace vs. Bruestle che il nuovo essere umano incomincia dai concepimento, cioè dalla penetrazione del gamete maschile nell'ovulo femminile;
non dovrebbe dunque, a parere degli interpellanti, essere qualitativamente distinto l'effetto di un farmaco che induca chimicamente l'aborto dell'embrione prima dell'annidamento ed uno in grado di farlo dopo l'annidamento stesso –:
se ritenga opportuno che le cosiddette pillole del/dei giorno/i dopo possano essere definite semplicemente sostanze ad azione contraccettiva o se piuttosto non debba esserne riconosciuto e segnalato al consumatore anche l'effetto (almeno potenziale) di tipo abortivo attraverso l'ostacolo all'annidamento, quando l'azione farmacologica si produca dopo l'avvenuto concepimento;
sulla base di quali nuove evidenze scientifiche l'EMA abbia provveduto a modificare il foglietto illustrativo di Norlevo e da chi sia stata avanzata la richiesta di modifica;
se la passiva accettazione da parte dell'Agenzia italiana del farmaco della modifica proposta dall'EMA sia rispettosa delle prerogative nazionali garantite dalla direttiva europea 83/2001, che consente di non registrare farmaci abortivi in contrasto con le leggi italiane, e se tale decisione non sia altresì in contrasto con la direttiva 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno.
(2-00500) «Gigli, Dellai».
Interrogazione a risposta orale:
MONCHIERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
Il decreto legislativo n. 38 del 4 marzo 2014 recepisce la direttiva 2011/24/UE concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera nonché la direttiva 2012/52/UE comportante misure destinate ad agevolare il riconoscimento delle ricette mediche emesse in un altro Stato membro;
lo schema di decreto legislativo (atto del Governo n. 54) è stato trasmesso alla Camera dal Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento dell'attività di Governo ai sensi dell'articolo 1 della legge 6 agosto 2013, n. 96;
la Commissione XII affari sociali della Camera dei deputati è stata chiamata ad esprimere il parere di competenza al Governo su suddetto schema di decreto legislativo. In data 11 febbraio 2014 la Commissione XII affari sociali ha dato parere favorevole con condizioni e osservazioni;
nella medesima seduta dell'11 febbraio 2014, il sottosegretario pro tempore Paolo Fadda, intervenendo in Commissione XII affari sociali della Camera – in discussione in sede consultiva per i pareri al Governo – ha dichiarato di condividere il contenuto della proposta di parere presentata dal relatore, assicurando che il Governo ne avrebbe tenuto conto all'atto della emanazione del decreto legislativo;
alcune delle condizioni e delle osservazioni contenute nel parere approvato dalla Commissione XII non sono state recepite del decreto legislativo n. 38 del 2014, e in particolare:
a) la condizione posta dalla lettera b) di sopprimere all'articolo 10, comma 3, il secondo e il terzo periodo, non è stata recepita nel decreto legislativo n. 38 del 2014;
b) la condizione posta alla lettera c), ove si prevedeva che all'articolo 10, comma 8, dello schema di decreto di riferimento, venisse specificato che, nei casi in cui l'autorizzazione preventiva all'assistenza transfrontaliera fosse negata per i motivi di cui all'articolo 9, comma 6, lettera d), cioè in ragione del fatto che l'assistenza sanitaria richiesta potesse essere prestata nel territorio nazionale entro un termine giustificabile dal punto di vista clinico, tenuto presente lo stato di salute e il probabile decorso della malattia, l'ASL competente individuasse e comunicasse al paziente la specifica struttura sanitaria in grado di erogare la prestazione entro il predetto termine con le garanzie di sicurezza e qualità della prestazione offerta, è stata recepita solo in parte, eliminando proprio il riferimento alle garanzie di sicurezza e qualità;
c) non è stata recepita l'osservazione approvata nel parere e relativa alla lettera a) in cui, con riferimento all'articolo 4, comma 1, e all'articolo 12, comma 3, si chiedeva che il Governo valutasse l'opportunità di eliminare il riferimento ai «principi etici» cui si ispirerebbe la specifica normativa vigente nel nostro Paese;
d) non è stata recepita la condizione di cui alla lettera d) che invitava il Governo a sopprimere il secondo periodo del comma 8 dell'articolo 8 dello schema di decreto – che è stato invece mantenuto nel decreto legislativo n.38 – ove si prevede che misure limitative dell'accesso alle cure transfrontaliere potessero essere applicate ai cittadini di una o più regioni, o di singole regioni, o, addirittura, di singole aziende del servizio sanitario nazionale, su richiesta delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano;
e) solo in parte è stata presa in considerazione l'osservazione relativa alla lettera e), vale a dire quella di valutare l'opportunità di una riformulazione dell'articolo 18, che meglio tuteli il diritto di tutti i cittadini italiani di usufruire dei servizi assistenziali previsti dalle direttive e dallo schema di decreto legislativo, nel rispetto del generale principio di uguaglianza;
in tutti questi casi le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 38 sono volte a limitare gli spazi di libero accesso alla medicina transfrontaliera riconosciuti ai cittadini dell'Unione europea dalla direttiva di cui si dà attuazione –:
quali siano le ragioni del mancato recepimento nell'attuazione della direttiva n. 2011/24/UE, delle condizioni e delle osservazioni elencate in premessa nel parere approvato dalla Commissione XII Affari Sociali della Camera, in merito alle quali il Sottosegretario Fadda aveva, in Commissione, espresso parere favorevole. (3-00747)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
in un'azienda agricola della provincia di Crotone è nato nel mese di marzo 2014, un vitellino con tre occhi;
il vitellino in questione è infatti nato con un terzo occhio, non funzionante, posto in alto sulla fronte;
a darne la notizia è stata la stampa locale;
il veterinario che lo ha visitato ha parlato di una malformazione atipica, che si crea nella fase embrionale e si può verificare anche in altri animali; ma è la prima volta che si riscontra in questo territorio, caratterizzato da sempre da bovini di alta e pregiata qualità –:
al fine di evitare forme ingiustificate di allarmismo che potrebbero provocare solo inutili danni soprattutto ad un comparto già in difficoltà nelle aree in questione, se il Ministro interrogato non intenda approfondire la vicenda e affidare all'Istituto zooprofilattico competente territorialmente le indagini del caso per avere nei tempi più brevi delle risposte certe rispetto ad una evidente anomalia.
(5-02582)
ROBERTA AGOSTINI e LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la legge n. 40 del 2004 non prevede alcun divieto di diagnosi preimpianto;
con il decreto 21 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 191 del 16 agosto 2004 contenente le linee guida sulla procreazione assistita, il Ministero della Salute ha tentato di colmare il vuoto lasciato dalla legge n. 40 e ha vietato, di fatto, con un atto amministrativo la diagnosi preimpianto prevedendo che essa sia di «tipo osservazionale». Un divieto, non deciso dal legislatore, e che ha costretto molte coppie a rivolgersi all'estero e molte altre ad intraprendere battaglie legali;
il 21 gennaio 2008 il Tar del Lazio dichiara illegittime le linee guida del 2004, ritenendo che la possibilità di indagine esclusivamente di tipo osservazionale sia un limite non coerente con quanto disposto dalla legge 40;
le nuove linee guida adottate dal Ministero della salute l'11 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile 2008, eliminano i commi delle precedenti linee guida che limitavano la possibilità di indagine a quella di tipo osservazionale;
negli anni diversi tribunali si sono espressi sulla vicenda: dalla sentenza 151/2009 della Corte costituzionale che implicitamente ha legittimato l'uso della diagnosi genetica (come riconosciuto dal tribunale di Bologna, ordinanza 29 giugno 2009) alle pronunce dei tribunali ordinari che hanno esplicitamente legittimato l'uso della diagnosi preimpianto (trib. Firenze, ordinanza 17 dicembre 2007; ord. trib. Salerno, 13 gennaio 2010). La Corte europea dei diritti dell'uomo, con sentenza del 28 agosto 2012 (poi confermata dalla sentenza 11 febbraio 2013 della Grande Camera), ha condannato lo stato italiano per l'ingerenza in scelte attinenti la vita privata e famigliare mediante talune disposizioni della legge 40 del 2004) e ha stabilito la legittimità della diagnosi preimpianto, essenzialmente in base alla coerenza che deve caratterizzare l'ordinamento nazionale. Siccome per tutelare la salute della donna ed al fine di permettere una volontà consapevole in materia procreativa, si possono legittimamente eseguire diagnosi prenatali per conoscere la salute del feto, analogamente, secondo la Corte europea, si possono eseguire diagnosi preimpianto per conoscere la salute dell'embrione. Infine, con ordinanza del 9 novembre 2012, il tribunale di Cagliari afferma che la procreazione medicalmente assistita costituisce un trattamento medico, che la coppia ha diritto a ricevere una completa informativa funzionale ad una procreazione libera e consapevole e la diagnosi preimpianto ha come scopo proprio quello di consentire alla donna una decisione informata e consapevole in ordine al trasferimento degli embrioni formati ovvero al rifiuto di detto trasferimento. Nell'ambito di tale prospettiva, la diagnosi preimpianto dovrà accertare le condizioni di salute dell'embrione che siano legate da uno stretto nesso eziologico con l'integrità psicofisica della donna. Pertanto l'azienda sanitaria locale deve eseguire, nell'ambito dell'intervento di procreazione medicalmente assistita, l'esame clinico e diagnostico sugli embrioni e trasferire in utero, qualora richiesto dalla donna, solo gli embrioni sani o portatori sani delle patologie da cui i genitori risultino affetti, mediante le metodologie previste in base alla scienza medica e con crioconservazione degli ulteriori embrioni; qualora la struttura sanitaria pubblica dovesse trovarsi nell'impossibilità di erogare la prestazione sanitaria tempestivamente in forma diretta, tale prestazione deve essere erogata in forma indiretta, mediante il ricorso ad altre strutture sanitarie; nonostante tutto ciò effettuare la diagnosi preimpianto nei centri pubblici presenti in Italia è molto difficile –:
se sia vero che nei centri pubblici non viene praticata la diagnosi preimpianto e quali iniziative intenda assumere il governo alla luce di quanto descritto in premessa per far sì che la diagnosi preimpianto venga garantita a tutti nei centri pubblici del sistema sanitario nazionale.
(5-02586)
Interrogazioni a risposta scritta:
VALERIA VALENTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la situazione di forte crisi che il Paese sta attraversando impone l'adozione di correttivi nel comparto del welfare sanitario intesi ad assicurare un uso più efficiente, efficace ed economico delle risorse disponibili, a garanzia del diritto alla salute dei cittadini e nel rispetto dei canoni di buona amministrazione;
si impone una analisi puntuale della spesa sanitaria, onde individuare i potenziali spazi di manovra su cui concretamente intervenire per eliminare ogni spesa ingiustificata e inadeguata, destinata a depauperare ulteriormente le scarse risorse disponibili;
recenti e studi hanno evidenziato la persistenza di comportamenti opportunistici, da parte delle aziende sanitarie, le quali, per ottenere rimborsi più elevati, tendono spesso a utilizzare protocolli assistenziali non necessari, evitando, nel contempo, l'utilizzo di procedure alternative di minor impatto per gli assistiti, pur risultando, dette misure alternative, perfettamente idonee al conseguimento del medesimo risultato clinico;
uno dei casi più significativi di ricorso a procedure non necessarie è rappresentato dall'indiscriminato, quanto, appunto, ingiustificato, ricorso al parto cesareo, anche nelle circostanze in cui le condizioni fisiche della paziente non lo richiederebbero affatto;
la percentuale di parti cesarei sul totale dei nati vivi, infatti, è probabilmente il dato più utilizzato, negli studi di settore, per misurare i fenomeni di sicura inappropriatezza del sistema sanitario nel nostro Paese;
si tratta, in verità, di una tendenza presente in tutta Europa, che, tuttavia, è preoccupantemente più elevata proprio in Italia, rispetto agli altri Paesi europei;
i parti effettuati mediante taglio cesareo risultano in costante aumento, raggiungendo proporzioni enormemente superiori ai criteri dettati dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ciò nonostante apposite stime sul rischio di mortalità materna per parto cesareo dimostrino che detta procedura presenta un fattore di rischio da 2 a 4 volte superiore rispetto al parto naturale;
se si guarda ai differenziali regionali, i dati raccolti dalle più recenti ricerche, segnalano che la Campania presenta una situazione del tutto precipua, nel panorama nazionale, ove si consideri che, nel 2011, l'età media delle madri al parto è risultata pari a 30,6 contro una media nazionale di 31,72, ma si è, nondimeno, registrato il più alto tasso di parti cesarei d'Italia (62,41 per cento);
la Campania ha innalzato la percentuale di parti cesarei praticati a partire dal 1992 e si è differenziata significativamente rispetto al trend nazionale a partire dal 1996;
le province che effettuano maggiormente parti cesarei risultano Napoli (65,16 su 100 parti totali) e Salerno (65,84 su 100 parti totali);
la medesima anomalia si registra in Sicilia con l'età media della madre al parto più bassa d'Italia (30,48) e seconda per numero di parti cesarei nel Paese (50,60);
di segno contrario i dati che emergono dai riscontri effettuati nelle regioni del Nord, che presentano un numero di parti cesarei minori, a parità di condizioni cliniche delle madri e di tutte le altre variabili strutturali;
emerge un dato ulteriore, dalle ricerche e dai dati statici raccolti presso le strutture sanitarie, e cioè che negli ospedali dove si registrano meno parti risultano più frequenti i cesarei, a testimonianza che un numero di nascite ridotto innesca una sostituzione tra parti naturali e cesarei e se ne è ipotizzata la causa nella minore esperienza organizzativa di dette ultime strutture, che si sottrarrebbero, ricorrendo al cesareo, al rischio di possibili complicazioni connesse ai parti naturali;
altro elemento che sembrerebbe favorire il ricorso al parto cesareo, è costituito dall'elevato numero di medici solitamente presente nelle strutture sanitarie rispetto al totale del personale sanitario, il che indurrebbe ad una preferenza di interventi di tipo chirurgico, come i parti cesarei, appunto, che possono essere effettuati solo dal personale medico, il che confermerebbe l'ipotesi che si verifichi una sorta di induzione della domanda, anche nell'ambito delle prestazioni sanitarie, da parte dell'offerta di prestazioni disponibili e preferite dal personale medico (cd. effetto SID, Supply Induced Demand);
accanto ai dati ora ricordati, si continua a registrare un limitato livello di diffusione delle informazioni che possano consentire a ogni donna di vivere con piena consapevolezza la propria gravidanza, il parto e il puerperio, anche attraverso corsi di preparazione al parto e per la diffusione di nozioni e pratiche in grado di concorrere alla salute della donna e del bambino;
risulta, altresì, decisamente scarso, o del tutto inesistente, l'utilizzo di tecniche e/o presidi per la migliore gestione del dolore durante il travaglio del parto;
la diffusione di corsi pre-parto continua a risultare davvero scarsa, con gravi diseguaglianze nelle diverse aree geografiche del Paese, più forte con forte penalizzazione per l'Italia meridionale e le isole –:
se e cosa il Governo intenda fare per monitorare e contenere l'eccessivo ricorso al taglio cesareo;
se il Governo intenda verificare i dati sulla morbilità e mortalità materne e neonatali e ad effettuare una rilevazione dei costi relativi alla pratica del taglio cesareo e ad un censimento delle strutture abilitate;
se il Governo intenda promuovere iniziative per la diffusione del ricorso al parto fisiologico, anche mediante corsi di accompagnamento alla nascita, volti a favorire la consapevole scelta, da parte delle gestanti, del tipo di assistenza, del luogo e delle modalità del parto, nonché per il controllo e la gestione del dolore nelle fasi del travaglio, anche attraverso il ricorso a tecniche avanzate di anestesia locale e di tipo epidurale. (4-04406)
DI VITA, DI BENEDETTO, GRILLO, DALL'OSSO, LOREFICE, BARONI, MANTERO, SILVIA GIORDANO e CECCONI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 7 del decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119, titolato «Attuazione dell'articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi. », consente ai lavoratori affetti da patologie per la quali sia stata riconosciuta una invalidità di almeno il 50 per cento di fruire di permessi retribuiti per sottoporsi a cure fino a un massimo di trenta giorni all'anno;
il comma 3 dello stesso articolo dispone che a tali permessi si applica il regime economico delle assenze per malattia che prevede la trattenuta per i primi dieci giorni per singolo evento;
in altri termini, quindi, la norma stabilisce che, nel caso in cui la malattia si prolungasse per venti giorni consecutivi, allora il lavoratore subirebbe trattenute solo sui primi dieci giorni lavorativi; mentre se il lavoratore fruisse di più periodi di malattia non consecutivi, la trattenuta verrebbe applicata invece sui primi dieci giorni di ciascun periodo;
riguardo ai permessi di cura, di cui alla norma citata, preme qui rappresentarsi l'enorme varietà di patologie che non di rado possono necessitare di cure assolutamente personalizzate, come disposto di volta in volta dal medico specialista;
nel caso di patologie rare, ad esempio, accade spesso che il medico specialista prescriva al lavoratore invalido un primo trattamento di cure riabilitative nel numero massimo di venti giorni, salvo rinnovarlo per altri venti giorni alla fine del periodo, previa valutazione funzionale. In dipendenza di una serie di fattori connessi allo stato funzionale del paziente lavoratore e alle disponibilità delle strutture sanitarie preposte alle cure, capita poi che i trattamenti indicati in tali prescrizioni siano non effettivamente erogati in giorni consecutivi;
si ravvisa che anche nel caso in cui si parla di cure erogate in giorni consecutivi, la stragrande maggioranza delle strutture sanitarie riabilitative eroga prestazioni solo dal lunedì al venerdì. Conseguentemente, non essendoci trattamento di cura nella giornata di sabato e domenica, verrebbe così meno la continuità;
accade altresì che il medico specialista che ha prescritto le cure, previa valutazione funzionale, decida in corsa di modificare l'intervallo di sottomissione alle cure da giorni consecutivi a giorni alterni o viceversa;
in questo quadro generale alcune amministrazioni stanno in maniera molto rigida considerando solo le date per le quali si è fruito del permesso, applicando le trattenute sui primi dieci giorni di ciascun periodo consecutivo. Ne consegue che, nel caso in cui il lavoratore invalido debba sottoporsi, a fronte di una unica prescrizione, a trenta sedute di cure a giorni alterni, tali amministrazioni effettuano la trattenuta su tutti e trenta i giorni;
si ritiene che tale impostazione sia assolutamente contraria alla ratio della norma che concilia il diritto/dovere al lavoro con il diritto/dovere alla cura. L'eterogeneità delle cure disponibili per le decine di migliaia di malattie esistenti non possono essere una ulteriore penalizzazione per chi, con tanti sacrifici personali e familiari, cerca di poter continuare a fare al meglio il proprio lavoro;
sembra invece più coerente, rispetto alla ratio della norma, che l'evento di discrimen debba considerarsi la prescrizione delle cure e non il giorno di fruizione. La trattenuta dovrebbe pertanto essere effettuata sui primi dieci giorni del totale dei giorni previsti nella prescrizione, indipendentemente dai giorni di calendario di fruizione;
l'applicazione, in ipotesi errata, della norma da parte di alcune amministrazioni locali appare non corretta anche alla luce del parere reso in data 8 marzo 2013 dalla direzione generale per l'attività ispettiva presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, proprio in ordine alla corretta interpretazione dell'articolo 7, decreto legislativo n. 119 del 2011 (Prot. n. 37/0004595), ove si legge: «appare possibile intendere la fruizione frazionata dei permessi come un solo episodio morboso di carattere continuativo, ai fini della corretta determinazione del trattamento economico corrispondente, in quanto connesso alla medesima infermità invalidante riconosciuta.»;
per dirimere la questione interpretativa sollevata, si ritiene estremamente urgente un intervento chiarificatore in tal senso da parte dei Ministri interrogati –:
tenuto conto del citato parere in materia reso dalla direzione generale per l'attività ispettiva presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, quali attività si intendano intraprendere al fine di garantire la corretta applicazione della norma citata da parte delle competenti amministrazioni locali. (4-04418)
DI VITA, DI BENEDETTO, GRILLO, DALL'OSSO, LOREFICE, BARONI, MANTERO, SILVIA GIORDANO e CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il 17 marzo 2014 la stampa ha diffuso la notizia che l'AIFA, l'agenzia italiana del farmaco, attraverso una nota informativa del 7 Febbraio 2014, ha comunicato che alcuni farmaci di uso comune contenenti il principio attivo tiocolchicoside, tra cui il Muscoril, potrebbero provocare danni importanti alla salute;
si legge in particolare nella nota: «Studi preclinici hanno evidenziato che uno dei metaboliti della tiocolchicoside (SL59.0955, noto anche come M2 o 3-demetiltiocolchicina) induce aneuploidia (formazione di un numero anomalo di cromosomi durante la divisione cellulare) a concentrazioni vicine a quelle osservate nell'uomo con l'assunzione della dose orale massima raccomandata di 8 mg due volte al giorno. L'aneuploidia è stata evidenziata come fattore di rischio di teratogenicità, embriofetotossicità aborto spontaneo, compromissione della fertilità maschile e come potenziale fattore di rischio di cancro. Il rischio è maggiore con l'esposizione a lungo termine»;
a fronte di ciò, preme tuttavia rilevare come i possibili rischi derivanti da una somministrazione non corretta di tali farmaci fossero noti, quantomeno tra gli addetti ai lavori, certamente già dal 22 novembre 2013, data in cui, con la nota EMA/706409/2013, l'Agenzia europea dei medicinali raccomandava restrizioni d'uso per i medicinali a base di tiocolchicoside per uso orale e iniettabile, precisando in particolare che tale categoria di medicinali dovesse essere utilizzata solo a basse dosi come terapia addizionale a breve termine per il trattamento delle contratture muscolari dolorose;
nella stessa nota dell'EMA si legge che la rivalutazione dei medicinali contenenti tiocolchicoside per uso sistemico venne avviata il 15 febbraio 2013 proprio su richiesta dell'Italia, ai sensi dell'articolo 31 della Direttiva 2001/83/CE. In tale data, infatti, l'AIFA aveva chiesto al CHMP (Committee for medicinal products for human use) di effettuare una rivalutazione complessiva del bilancio beneficio – rischio dei medicinali contenenti tiocolchicoside per via sistemica e di esprimere un parere sull'opportunità se le autorizzazioni all'immissione in commercio dovessero essere mantenute, modificate, sospese o revocate in tutta l'Unione europea, ciò in particolare a seguito di nuove evidenze provenienti da studi sperimentali effettuati da un titolare di un'autorizzazione all'immissione in commercio che hanno suggerito un effetto sui cromosomi da parte di un metabolita del tiocolchicoside;
in tal senso, preme e sconcerta rilevare il fatto grave che né dalla data di pubblicazione della nota EMA del 22 novembre 2013, né tantomeno, ancor prima, dalla richiesta di ulteriori studi e approfondimenti dell'AIFA al CHMP del 15 febbraio 2013, sia prontamente seguita alcuna opportuna campagna informativa o di sensibilizzazione da parte del Ministero della salute –:
se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa;
se intenda spiegare le ragioni per cui l'importante notizia sia passata del tutto in sordina, in mancanza oltretutto di qualsivoglia campagna ministeriale informativa o di sensibilizzazione;
come intenda agire, in un'ottica preventiva, affinché situazioni analoghe non abbiano più ad accadere e se preveda di disporre dei controlli straordinari a riguardo;
se, al netto delle note informative di AIFA ed EMA, che si limitano esclusivamente a specificare le modalità d'uso di tali farmaci, potenzialmente molto dannosi, intenda disporre ulteriori studi e approfondimenti al fine di valutare un loro eventuale ritiro dal mercato;
quali iniziative intenda avviare per informare la popolazione e se intenda richiedere nuovi controlli, anche straordinari, su altri principi attivi;
se risultino effettivamente riscontrati eventuali casi di cancro o sterilità maschile dovuti alla somministrazione del principio attivo suddetto, e come intenda agire per tutelare queste persone. (4-04419)
SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Interrogazione a risposta scritta:
LUIGI DI MAIO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
il quarto comma dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, stabilisce che i regolamenti «sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale»;
si tratta con tutta evidenza di una procedura che inserisce alcuni elementi di controllo e garanzia con riferimento ad atti governativi che non solo rappresentano una deroga all'ordinario regime di separazione dei poteri e che nel relativo iter di approvazione non vedono la previsione di particolari forme di pubblicità;
da alcuni anni è invalsa la deplorevole prassi di eludere tale procedura, inserendo nei testi di leggi e atti aventi forza di legge di iniziativa governativa la previsione di decreti ministeriali «non aventi natura regolamentare»;
in tal modo, il Governo non solo evita i controlli preventivi del giudice amministrativo, nonché di quello contabile, ma addirittura elude alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di tali decreti, creando un grave vulnus alla pubblicità di norme spesso di una certa rilevanza, con tutte le conseguenze del caso;
la scarsa chiarezza delle norme, nonché la loro disagevole conoscibilità, rappresentano un grave fardello per tutti i settori produttivi del Paese, oltre a dissuadere gli investitori stranieri –:
se il Ministro interrogato non abbia intenzione di impegnarsi al fine di far cessare questa disdicevole prassi.
(4-04417)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazioni a risposta immediata:
BOCCADUTRI, LACQUANITI, MIGLIORE, DI SALVO e PIAZZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
come si evince dalla stampa nazionale e locale, l’Assopetroli Assoenergia, con la collaborazione di Figisc Anisa Confcommercio, ha proseguito il monitoraggio «SIA – Stacco Italia accise» (accise e iva), rendendo noti i dati della rilevazione prezzi del differenziale sul costo dei carburanti al consumo tra Italia e resto dell'Europa e promuovendone la più ampia diffusione al fine di generare, nelle istituzioni pubbliche e nei consumatori, una maggiore consapevolezza «dell'anomalia italiana» rappresentata da un carico fiscale eccessivo sui carburanti, che, al netto delle addizionali regionali, è giunto nel mese di febbraio 2014 appena concluso al 61,09 per cento del prezzo al consumo;
secondo tale monitoraggio, a febbraio 2014, il consumatore italiano ha pagato in media la benzina 26,4 centesimi di euro per litro e il gasolio 25,1 centesimi di euro per litro, in più che nel resto d'Europa;
sulla base dei dati forniti dalla Commissione europea e dal Ministero dello sviluppo economico, nel mese di febbraio 2014, la media aritmetica del prezzo al consumo praticato nei Paesi dell'Unione europea pone in risalto che: per quanto riguarda la benzina, il prezzo italiano è più alto di 26,4 centesimi di euro per litro, di cui ben 25,1 centesimi di euro per litro sono dovuti alle maggiori imposte (accise e iva) e solo 1,3 centesimi di euro per litro ad un maggiore prezzo industriale; per quanto riguarda il gasolio, il prezzo italiano è più alto di 25,1 centesimi di euro per litro, di cui ben 24,6 centesimi di euro per litro sono dovuti alle maggiori imposte (accise e iva) e solo 0,5 centesimi di euro per litro ad un maggiore prezzo industriale;
dal 1o marzo 2014 sino al 31 dicembre 2014, è scattato il primo aumento su benzina e gasolio per autotrazione di 0,0024 centesimi di euro per litro (articolo 61, lettera e), del decreto-legge n. 69 del 2013), più iva;
altri due sono gli aumenti di accisa sui carburanti già programmati che, sino al dicembre 2018, comporteranno ulteriori aumenti per oltre 1.443 milioni di euro di accise (iva sulle accise compresa): il primo previsto dall'attivazione della clausola di salvaguardia contenuta nell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge n. 102 del 2013 (cosiddetto decreto-legge imu) e il secondo dalla legge di stabilità per il 2014 (articolo 1, comma 626, della legge n. 147 del 2013);
a partire da febbraio 2011 il Ministero dello sviluppo economico, attraverso la direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica, dovrebbe espletare azioni di sorveglianza e controllo, anche in attuazione dell'articolo 51 della legge 23 luglio 2009, n. 99, e del decreto ministeriale del 15 ottobre 2010, sui prezzi dei carburanti per autotrazione per uso civile realmente praticati –:
quali siano in dettaglio i meccanismi di sorveglianza da parte del Ministero dello sviluppo economico nel settore in questione e quali iniziative urgenti e non più procrastinabili il Governo, per quanto di competenza, intenda assumere alla luce di quanto descritto in premessa a tutela di tutti i cittadini utenti, anche considerata l'imminente presentazione da parte dell'Esecutivo del documento di economia e finanza 2014-2016. (3-00751)
DA VILLA, CRIPPA, DELLA VALLE, FANTINATI, MUCCI, PETRAROLI, PRODANI e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il Vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani, dopo un incontro con l'Ance e una risposta insoddisfacente da parte del Governo italiano, ha deciso di «avviare le pratiche necessarie per l'invio di una lettera di messa in mora» all'Italia, prima tappa dell'apertura di una procedura d'infrazione comunitaria, per il ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione;
la Commissione europea contesta al Governo italiano il mancato rispetto della direttiva dell'Unione europea sui tempi di pagamento, che impone un termine di 30-60 giorni, confermandosi l'Italia, invece, il «peggior pagatore dell'Unione europea»;
in Italia un'impresa su tre chiude perché lo Stato non paga i propri debiti. In base alle stime effettuate dalla Cgia di Mestre: «Tra il 2008 ed il 2012 sono più che raddoppiati (+114 per cento, pari a oltre 15.000 imprese) i fallimenti delle imprese vittime dei ritardi o dei mancati pagamenti da parte dei committenti pubblici»;
il Ministro interrogato ha dichiarato che l'obiettivo del suo dicastero è la centralità dell'impresa. Il Governo Renzi appena insediatosi aveva annunciato un provvedimento per sbloccare il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione ed evitare i ritardi nei pagamenti che sono letali per le imprese;
ad oggi non si è vista pubblicazione di alcun testo in merito. È prioritario ai fini del rilancio dell'economia italiana che il Governo faccia di tutto per accelerare il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, perché l'economia italiana si trova in una preoccupante situazione di recessione economica, che rischia di peggiorare ulteriormente e di avvitarsi in una spirale negativa tale da determinare gravi rischi anche per la tenuta della finanza pubblica –:
quali iniziative immediate, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare a favore delle imprese in relazione alla questione dei tempi e del completamento dei pagamenti della pubblica amministrazione, considerato che, fino ad ora, a parere degli interroganti da parte del Governo ci sono stati solo annunci, mai seguiti da atti concreti. (3-00752)
OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
i controlli radiometrici sui rottami e prodotti semilavorati metallici sono disciplinati dal decreto legislativo 20 febbraio 2009, n. 23, recante attuazione della direttiva 2006/117/Euratom, relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito, e dal decreto legislativo 1o giugno 2011, n. 100, recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 20 febbraio 2009, n. 23;
tali decreti estendono l'obbligo di controlli radiometrici, che prima del 2009 riguardava i soli rottami, anche alle importazioni di prodotti semilavorati metallici, al fine di rilevare la presenza di livelli anomali di radioattività o di eventuali sorgenti dismesse, per garantire la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione da eventi che possono comportare esposizioni alle radiazioni ionizzanti e per evitare la contaminazione dell'ambiente;
tale obbligo non si applica ai soggetti che svolgono attività riguardanti esclusivamente il trasporto e non effettuano operazioni doganali;
questa attività di sorveglianza radiometrica sulle importazioni si fonda sulla presentazione in frontiera del modello IRME 90, una documentazione attestante la non radioattività dei prodotti in discorso, e l'attestazione dell'avvenuto controllo è rilasciata da esperti qualificati iscritti in appositi albi;
nei casi in cui le misure radiometriche indichino la presenza di livelli anomali di radioattività, i soggetti che esercitano attività di importazione, raccolta, deposito o trasporto di tali materiali devono adottare le misure idonee ad evitare il rischio di esposizione delle persone e di contaminazione dell'ambiente e devono darne immediata comunicazione al prefetto, agli organi del servizio sanitario nazionale competenti per territorio, al comando provinciale dei vigili del fuoco, alla regione o province autonome ed all'agenzie delle regioni e delle province autonome per la protezione dell'ambiente competenti per territorio. Il prefetto, valutate le circostanze del caso, può adottare opportuni provvedimenti, compreso il rinvio dell'intero carico o di parte di esso all'eventuale soggetto estero responsabile del suo invio, con oneri a carico del soggetto venditore;
il decreto legislativo 1o giugno 2011, n. 100, prevede, inoltre, che con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con altri Ministri, sentiti l'Agenzia delle dogane e l'Ispra, devono essere elencati i prodotti semilavorati metallici oggetto della sorveglianza e che, nelle more dell'emanazione di tale provvedimento, il controllo deve essere effettuato su tutti i semilavorati elencati in via provvisoria nell'allegato I del medesimo decreto legislativo;
risulta che l'obbligo di controllo radiometrico delle importazioni di materiali e prodotti semilavorati metallici costituisca un onere supplementare che grava sulla procedura di sdoganamento in Italia, mentre non sussiste nelle procedure di altre dogane comunitarie;
inoltre, mentre la normativa europea prevede la sorveglianza radiometrica solo per i materiali e i prodotti semilavorati metallici destinati alla rifusione, la normativa italiana estende il controllo anche a quelli destinati all'assemblaggio, nonché ai prodotti finiti;
anche le associazioni imprenditoriali italiane interessate hanno più volte lamentato l'aumento dei costi dovuto all'allungamento delle operazioni, a fronte di pressoché nessun caso di riscontro positivo nei controlli effettuati;
a tutt'oggi non è stato ancora emanato il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con altri Ministri, per definire i prodotti semilavorati metallici oggetto della sorveglianza, con la conseguenza che il controllo radiometrico è attualmente esteso a molte categorie merceologiche –:
se non sia opportuno adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte ad armonizzare, in materia di controllo radiometrico, l'ordinamento nazionale con le direttive europee e con la prassi seguita dagli altri Stati europei, in modo da non gravare le importazioni in Italia di oneri supplementari, creando uno svantaggio competitivo per la logistica nazionale rispetto a quella degli altri Stati comunitari, e se non ritenga necessario emanare al più presto il decreto ministeriale volto ad elencare i prodotti semilavorati metallici oggetto della sorveglianza, limitando il più possibile le categorie merceologiche e mantenendo l'obbligo di controllo radiometrico sulle importazioni di prodotti semilavorati metallici presso le dogane solo per i semilavorati destinati alla rifusione e non anche per quelli destinati all'assemblaggio, al fine di ridurre i tempi di sdoganamento ed evitare costi superflui. (3-00753)
GIANLUCA PINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
nella puntata de La Gabbia del 6 aprile 2014 è emerso come di fatto il Ministero dell'economia e delle finanze stia finanziando, attraverso l'impiego di soldi pubblici, la delocalizzazione all'estero di aziende in crisi in Italia;
le operazioni di finanziamento avverrebbero attraverso i soldi dei libretti postali, i quali vengono fatti affluire alla Cassa depositi e prestiti, quest'ultima proprietaria della Simest, società di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero, la quale, a sua volta, finanzierebbe le aziende in crisi;
sono molte le aziende coinvolte e fra queste risulterebbe anche la Ducati energia spa, di proprietà della famiglia del Ministro interrogato, che, dal 2005 al 2009, secondo dati Ansa, avrebbe messo in cassa integrazione 95 dipendenti, ottenendo da parte della Simest un finanziamento di 6 milioni di euro per uno stabilimento in Croazia;
dietro le presunte operazioni di internazionalizzazione sembrerebbe si nascondano casi di licenziamenti di lavoratori in Italia da parte delle aziende in crisi e conseguenti assunzioni di personale all'estero, dove il costo del lavoro è più basso rispetto a quello sostenuto dalle stesse aziende in Italia;
la Montefibre spa, ad esempio, ha licenziato 10 dipendenti in Italia e ne ha messi 290 in cassa integrazione, ottenendo un finanziamento da parte della Simest di 2 milioni di euro per uno stabilimento in Cina, mentre il gruppo Marcegaglia, nel 2013, ha messo in mobilità 134 dipendenti ed ha ottenuto un finanziamento, sempre da parte della Simest, di 32 milioni di euro per gli stabilimenti in Russia, Brasile e Cina; l'elenco è fitto e riporta tanti altri casi di aziende che hanno ottenuto finanziamenti pubblici per delocalizzare all'estero;
è assurdo, a giudizio degli interroganti, che con i soldi dei contribuenti si favoriscano operazioni di delocalizzazione all'estero di lavoro, produzioni e competenze, causando in Italia la perdita di asset industriali strategici per la crescita economica del Paese;
la delocalizzazione sta portando ad un lento e profondo depauperamento delle risorse produttive ed occupazionali presenti sul territorio, con conseguenze disastrose sulla tenuta del sistema produttivo italiano, con particolare riferimento alle imprese che operano nell'indotto, le quali si sono sviluppate per fornire materie prime, servizi, forza lavoro e competenze alle imprese delocalizzanti –:
se il Ministro interrogato voglia far chiarezza in merito ai fatti descritti in premessa e fornire indicazioni puntuali su quali siano le aziende che hanno ottenuto i finanziamenti pubblici attraverso la Simest e delocalizzato la produzione all'estero, anche al fine di determinare l'eventuale annullamento dei finanziamenti medesimi. (3-00754)
CESA e DE MITA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il decreto-legge n. 145 del 2013 (cosiddetto Destinazione Italia), pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 300 del 23 dicembre 2013, ha modificato le norme che regolano la concessione delle agevolazioni di cui al decreto legislativo n. 185 del 2000, titolo I;
le agevolazioni, gestite da Invitalia e finalizzate alla creazione di nuove società o all'ampliamento di società già esistenti, sono destinate alle imprese, in cui la maggioranza dei soci e dei capitali è rappresentata da giovani tra i 18 e i 35 anni, e alle donne indipendentemente dall'età (e questa è una delle novità introdotte da «Destinazione Italia») e finanziano la produzione di beni e la fornitura di servizi in diversi settori;
la norma si estende all'intero territorio nazionale e non prevede più l'erogazione di contributi a fondo perduto, ma solo la concessione di mutui agevolati a tasso zero, per investimenti fino a 1,5 milioni di euro (per singola impresa);
al fine di scoraggiare eventuali comportamenti scorretti delle imprese beneficiarie, Invitalia valuta i progetti ed eroga i finanziamenti con un processo certificato ISO 9001 e controlla tutto il ciclo dei finanziamenti;
la misura è stata ulteriormente finanziata ma necessita dell'adozione del regolamento di attuazione, da parte del Ministero dello sviluppo economico, che indicherà anche le modalità di presentazione della domanda di ammissione alle agevolazioni. Con l'avvenuta emanazione del regolamento, sarà pubblicata, sul portale di Invitalia, la modulistica per la presentazione della domanda –:
se non ritenga di procedere senza ulteriori ritardi all'adozione del suddetto regolamento di attuazione, al fine di consentire l'avvio dei progetti presentati, eliminando l'attesa di quanti aspettano l'attuazione di una misura che potrebbe contribuire a diminuire la disoccupazione giovanile nel nostro Paese. (3-00755)
RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
i dati sui fallimenti delle imprese continuano ad essere molto allarmanti, soprattutto se si considera che per il 2014 è previsto un ulteriore picco;
tra il 2008 e il 2013 le imprese per cui è stato dichiarato lo stato di insolvenza sono raddoppiate, passando da settemila a quattordicimila, e nel 2014 dovrebbero ancora aumentare fino a 14.500;
il tessuto produttivo delle piccole e medie imprese risente pesantemente della crisi di liquidità, derivante sia dalla difficoltà ad incassare i propri crediti, sia dalla contrazione del credito operata dal sistema bancario;
i tempi medi d'incasso di un credito tra il 2014 e il 2013, effettuando una media tra i diversi settori produttivi, hanno registrato un miglioramento di un solo giorno;
le imprese soffrono, inoltre, il peso insostenibile dell'imposizione fiscale troppo elevata cui sono sottoposte, altro fattore che concorre a determinare l'uscita dal mercato delle aziende finanziariamente meno solide –:
quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di sostenere le imprese che versano in uno stato di sofferenza finanziaria, al fine di salvaguardare la loro stessa sopravvivenza, il tessuto produttivo nazionale e i livelli occupazionali. (3-00756)
Interrogazioni a risposta scritta:
TARTAGLIONE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
la Bagnolifutura spa è una società di trasformazione urbana (STU) costituita nell'aprile del 2002, interamente partecipata da enti pubblici e segnatamente dal comune di Napoli (91,77 per cento), dalla regione Campania (6,17 per cento) e dalla provincia di Napoli (2,06 per cento);
l'articolo 114, comma 19 della Legge n. 388 del 2000 (Finanziaria 2001), infatti, riconosceva al comune di Napoli «in considerazione del pubblico interesse alla bonifica, al recupero ed alla valorizzazione dell'area di Bagnoli» la facoltà di acquisire, entro il 31 dicembre 2001, «la proprietà delle aree oggetto degli interventi di bonifica (ndr da parte della Società Bagnoli spa – Gruppo Fintecna spa) anche attraverso una società di trasformazione urbana»;
in ossequio alla citata disposizione, nel mese di dicembre 2001, il comune di Napoli ha proceduto all'acquisizione delle aree de quibus in luogo delle due società proprietarie: CIMIMONTUBI spa e MEDEDIL spa (poi confluite in Fintecna);
con transazione del 2006 sono state definite tutte le azioni promosse, sia in sede civile che in sede amministrativa, dalle società ex proprietarie delle aree ed il debito della Bagnolifutura nei confronti della Fintecna è stato quantificato in 69 milioni di euro, da pagare entro il 30 giugno 2008;
il termine di adempimento è stato oggetto di proroghe, finché con l'accordo del 29 novembre 2012 è stato definito un piano di rientro del debito della Bagnolifutura con pagamento a partire dal 2013, le cui scadenze non sono state osservate;
quello nei confronti di Fintecna non è l'unico debito accumulato negli anni da Bagnolifutura e la situazione economica della Società di trasformazione urbana è andata progressivamente peggiorando, anche a causa delle difficoltà incontrate nel tentativo di vendere i terreni, con ben tre gare andate deserte;
nel dicembre 2013 il comune di Napoli ordinava a Fintecna di presentare entro trenta giorni un progetto per la rimozione integrale della colmata ai fini della messa in sicurezza dell'arenile di Bagnoli;
Fintecna, non considerandosi tenuta allo smaltimento della colmata, ha presentato ricorso al TAR Campania per chiedere la sospensiva dell'ordinanza, ma la sua domanda è stata rigettata;
Fintecna, nel gennaio 2014, ha chiesto al tribunale di Napoli di dichiarare il fallimento della Bagnolifutura spa;
la parte della debitoria di Bagnolifutura a favore di Fintecna potrebbe ben collocarsi quale investimento strategico per attuare dall'interno della Società di trasformazione urbana il piano di salvataggio e rilancio del PUE Bagnoli-Coroglio;
l'eventuale dichiarazione di fallimento della Bagnolifutura comporterebbe la perdita dell'intero compendio immobiliare di cui è proprietaria, atteso che gran parte dei terreni sono già ipotecati a garanzia di alcuni creditori –:
quali iniziative il Governo ed i singoli Ministri, per quanto di competenza, abbiano intenzione di assumere in merito e se vi sia in particolare volontà di aprire un tavolo interministeriale, in cui coinvolgere le parti interessate, al fine di risolvere la situazione così da salvaguardare la posizione dei lavoratori, la possibilità di completare le opere di bonifica del territorio e la sopravvivenza della società Bagnolifutura. (4-04402)
FIANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
cliccando sul www.simest.it sito della società Simest, Società italiana per le imprese all'estero, si legge che è una società che nasce nel 1991 per supportare gli imprenditori italiani ad espandersi su nuovi mercati;
è una società per azioni controllata, dal novembre 2012, da Cassa depositi e prestiti, 76 per cento con una presenza azionaria privata (banche e sistema imprenditoriale), tra cui Unicredit, Intesa san Paolo, BNL, Mps, Ubi banca, ed altri istituti, nonché Eni e altri soggetti industriali e sistema CONFINDUSTRIA e realtà associative imprenditoriali;
la società fornisce assistenza alle imprese italiane nel processo di internazionalizzazione e nella sua mission può acquisire partecipazioni nelle imprese all'estero fino al 49 per cento del capitale sociale;
la partecipazione di Simest può avvenire sia tramite investimento diretto che attraverso la gestione del fondo partecipativo di venture capital, destinato alla promozione di investimenti esteri in Paesi extra UE, e consente alle imprese italiane l'accesso alle agevolazioni (contributi agli interessi) per il finanziamento della propria quota di partecipazione nelle imprese fuori dall'Unione europea;
tra le linee di intervento della società ci sono:
sostegno ai crediti all'esportazione di beni di investimento prodotti in Italia;
finanziamento di studi di fattibilità ed i programmi di assistenza tecnica collegati ad investimenti;
finanziamento di programmi di inserimento sui mercati esteri;
finanziamento di interventi a favore delle piccole e medie imprese esportatrici;
assistenza finanziaria, legale e societaria relativa a progetti di investimento all'estero;
sono molti i soggetti industriali importanti del sistema produttivo italiano, tra cui diversi grandi aziende, a beneficiare del supporto della Simest per cosiddetti processi di «internazionalizzazione» del sistema imprese italiano;
in diversi casi, come evidenziato anche nell'ambito di alcuni servizi giornalistici, alcuni soggetti industriali italiani che hanno chiuso impianti nel nostro Paese ponendo dipendenti in cassa integrazione o addirittura in mobilità, hanno beneficiato del sostegno finanziario di Simest per apertura di impianti all'estero, ciò configurandosi quindi non come processo di «internazionalizzazione» bensì di vera e propria «delocalizzazione»;
appare pertanto abbastanza contraddittorio che gruppi industriali, molto spesso di grande rilevanza per il made in Italy, utilizzino uno strumento a capitale prevalente pubblico per aprire impianti all'estero, nel mentre si procede alla collocazione sotto ammortizzatori sociali di personale in Italia –:
quali siano stati dal 2012, anno in cui Cassa e depositi e prestiti ha preso il controllo di Simest, ad oggi, i finanziamenti erogati dalla società in favore delle imprese italiane, e se in rispondenza di ciascun finanziamento per investimenti esteri vi siano state, da parte delle imprese beneficiarie, azioni di chiusura o ridimensionamento di impianti presenti sul territorio nazionale;
quale sia, a giudizio del Ministro interrogato, il discrimine attraverso il quale si configura la differenza tra internazionalizzazione e delocalizzazione e se non intenda, di conseguenza, intervenire per porre delle clausole di salvaguardia al fine di evitare che si verifichino situazioni paradossali per cui aziende italiane beneficino di strumenti finanziari di sostegno con soldi pubblici per l'estero e pongano a carico dello Stato i costi della propria delocalizzazione parziale o totale dal territorio italiano, contemporaneamente beneficiando dei contributi per gli ammortizzatori sociali dovuti alla chiusura o ridimensionamento degli stabilimenti italiani. (4-04414)
PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
Sogin è la società costituita nel 1999, nell'ambito della riforma del sistema elettrico nazionale e ha come missione lo smantellamento (decommissioning) degli impianti nucleari e la gestione dei rifiuti radioattivi;
da anni si parla dell'individuazione del sito per la costruzione del deposito nazionale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi e del connesso parco tecnologico;
per quanto è a conoscenza dell'interrogante il procedimento per l'individuazione delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, incluso in un Parco Tecnologico, e alla realizzazione e messa in esercizio dello stesso è regolato dagli articoli 27 e 28 del decreto legislativo n. 31 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni che disciplinano anche le procedure autorizzative per la costruzione e l'esercizio del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e i benefici economici relativi alle attività di esercizio dello stesso da corrispondere in favore delle persone residenti, delle imprese operanti nel territorio circostante il sito e degli enti locali interessati;
in data 23 luglio 2012, il Ministero dello sviluppo economico, con una nota trasmessa al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e all'ISPRA, ha chiesto che l'ISPRA avviasse entro il 31 dicembre 2012, ai sensi dell'articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010, le attività per la definizione dei criteri tecnici per la localizzazione del deposito nazionale, precisando che tale struttura è ritenuta di urgente necessità per il Paese;
l'ISPRA – dipartimento nucleare, rischio tecnologico e industriale – ha predisposto nel dicembre 2012 una versione preliminare dei criteri tecnici per la localizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi scegliendo di elaborarli sotto forma di guida tecnica (guida tecnica n. 29, «Criteri per la localizzazione di un deposito superficiale di smaltimento dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività») ai sensi dell'articolo 153 del decreto legislativo n. 230 del 1995 e successive modificazioni e integrazioni. La versione preliminare della guida tecnica è stata inviata, in data 18 febbraio 2013, ai Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Successivamente l'ISPRA ha sottoposto la suddetta guida tecnica ad un processo di revisione internazionale;
in data 19 dicembre 2013 l'ISPRA avrebbe trasmesso ai Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una versione aggiornata della Guida Tecnica, predisposta sulla base degli esiti del confronto effettuato con le autorità di sicurezza nucleare di Paesi europei, che già eserciscono analoghe strutture di deposito, nonché di una revisione internazionale effettuata dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA);
la versione aggiornata della Guida Tecnica, sarebbe in una fase finale di consultazione con l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), l'Istituto superiore di sanità (ISS), l'Istituto geografico militare (IGM) e l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) affinché possano formulare eventuali osservazioni, come previsto dalla normativa vigente e dalle prassi internazionali, prima della sua emanazione definitiva;
l'ISPRA, da quanto apprende l'interrogante, avrebbe espresso richiesta di pubblicare sul proprio sito web, salvo diverso avviso da parte dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la versione aggiornata della Guida Tecnica, in linea con quanto indicato nell'articolo 10 (Trasparenza) della Direttiva 2011/70/Euratom, nonché in analogia alle prassi comunemente adottate in altri Paesi dell'Unione europea;
il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe espresso il proprio nulla osta in data 24 gennaio 2014;
ad oggi, e dopo reiterate richieste, non risulta espresso il nulla osta da parte del Ministro dello sviluppo economico;
l'ISPRA non ha proceduto ad effettuare la suddetta pubblicazione;
l'ISPRA avrebbe poi inteso trasmettere la versione aggiornata della Guida Tecnica alla Sogin SpA in qualità di soggetto attuatore ai sensi del decreto legislativo n. 31 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni, per eventuali motivate proposte di modifica e procederà all'emanazione definitiva della Guida Tecnica, a valle della fase di consultazione, tenendo conto delle osservazioni e delle proposte di modifica ricevute, ai fini dell'attuazione di quanto disposto dal comma 1 dell'articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni;
nell'ambito della predisposizione dello schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2011/70/Euratom, relativa alla istituzione di un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi, e per arrivare alla definizione di proposta per l'individuazione delle aree idonee alla costruzione del Deposito nazionale e del parco tecnologico in modo scientificamente corretto, oggettivo e trasparente, è stata introdotta anche la validazione dei risultati cartografici e la verifica della coerenza degli stessi con i criteri tecnici di localizzazione delle aree idonee, da parte dell'Autorità di regolamentazione competente, che sostituirà l'ISPRA – dipartimento nucleare, rischio tecnologico e industriale col nome di Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN);
lo schema di decreto legislativo, dopo il previsto iter parlamentare, è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri nella riunione del 28 febbraio 2014, firmato dal Presidente della Repubblica in data 4 marzo 2014;
conclusa la fase di validazione, la Sogin spa dovrebbe provvedere ad elaborare la Carta nazionale delle aree idonee ad ospitare il sito sul quale sorgerà il Parco tecnologico, comprendente il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi che, redatta sulla base dei criteri tecnici indicati dall'Autorità di regolamentazione competente, consentirà l'avvio delle fasi di analisi dirette del territorio –:
se il Ministro dello sviluppo economico non intenda autorizzare l'immediata pubblicazione della Guida Tecnica n. 29, «Criteri per la localizzazione di un deposito superficiale di smaltimento dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività»;
se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga di spiegare le ragioni di questo ritardo nell'autorizzazione alla pubblicazione;
se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga necessario dare un'autonoma autorizzazione alla pubblicazione dello studio;
se non ritengano i Ministri interrogati di rivedere la decisione di realizzare un deposito unico nazionale alla luce di valutazioni di natura scientifica, economica e di opportunità;
se non ritengano di dover affrontare questo tema con maggiore determinazione e se non si ritenga di prevedere nello stesso studio clausole di esclusione di regioni che hanno sia sul piano normativo che popolare escluso la volontà di ospitare tale sito unico nazionale. (4-04415)
Apposizione di una firma ad una mozione.
La mozione Braga e altri n. 1-00416, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Moscatt.
Apposizione di una firma ad una interpellanza.
L'interpellanza Marcon e altri n. 2-00493, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Duranti.
Apposizione di firme ad una interrogazione.
L'interrogazione a risposta scritta Tartaglione n. 4-04391, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Manfredi, Bossa, Rostan.
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
Interrogazione a risposta orale Gigli n. 3-00527 del 20 dicembre 2013;
Interrogazione a risposta scritta Cera n. 4-03115 del 10 gennaio 2014;
Interrogazione a risposta scritta Boccadutri n. 4-03855 del 6 marzo 2014;
Interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02503 del 28 marzo 2014;
Interrogazione a risposta scritta Nicola Bianchi n. 4-04364 del 4 aprile 2014;
Interrogazione a risposta orale Cesa n. 3-00744 del 7 aprile 2014.