XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 9 aprile 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              in data 25 marzo 2014, la Corte di Cassazione, con una sentenza delle Sezioni Unite Civili (n.  8055-14), ha rigettato il ricorso presentato dagli eredi di alcuni esuli giuliano-dalmati contro la decisione della corte d'appello di Trieste di non concedere loro alcun indennizzo o riconoscimento di danni oltre a quello concesso negli anni Cinquanta;
              la Corte era chiamata a decidere sul ricorso presentato da alcuni esuli, e loro eredi, che avevano fatto causa alla presidenza del Consiglio e al Ministero dell'economia e delle finanze giudicando le somme versate loro come indennizzo tardive (furono stabilite solo con il trattato di Osimo del 1975, reso esecutivo negli anni ’80) e «irrisorie»;
              gli esuli giuliano-dalmati non avrebbero dunque, secondo la giustizia italiana, diritto ad alcun ulteriore indennizzo da parte dello Stato italiano per i beni di loro proprietà che sono stati espropriati o nazionalizzati dalla ex Jugoslavia, perché si trovavano sui terreni ceduti a seguito del trattato di pace del 1947 al termine del secondo conflitto mondiale;
              la Corte di Cassazione (sentenza n.  8055, udienza del 25 marzo 2014) ha sottolineato come in effetti ci sia «un diritto soggettivo della parte nei confronti della pubblica amministrazione», ma come questo «non limita le scelte del legislatore nel determinare la misura dell'indennizzo» che è un intervento «ispirato a criteri di solidarietà della comunità nazionale», e non a «un obbligo di natura risarcitoria per un fatto illecito, non imputabile allo Stato italiano»;
              la logica che sottende alla sentenza è che fu l'allora Jugoslavia con la propria politica di nazionalizzazione, a procedere all'espropriazione anche dei beni appartenenti a cittadini di nazionalità italiana: quindi lo Stato italiano «non è autore della violazione», «poiché la privazione dei beni dei cittadini italiani si è verificata a opera di uno Stato straniero, al quale il territorio su cui essi si trovavano è stato ceduto dall'Italia, soccombente nel conflitto bellico»;
              tuttavia, se è vero che prima del 1945 e fino al trattato pace di Parigi del 1947 la Jugoslavia aveva nazionalizzato i beni degli italiani, è vero anche che con l'accordo del 1948 a Belgrado tra Italia e Jugoslavia, l'Italia si assumeva l'onere di risarcire gli esuli dei «mandati a vendere» alla Jugoslavia, trasformando di fatto la questione degli esuli giuliano-dalmati in una questione prettamente politica,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa di competenza, in particolare di carattere normativo, al fine di risolvere in modo chiaro, univoco e definitivo la questione degli indennizzi agli esuli giuliano-dalmati, affrontando il dramma dell'esodo come questione politica fondante del nostro Paese al termine del secondo conflitto mondiale.
(1-00428) «Sandra Savino, Marti, Fucci, Petrenga, Lainati, Latronico, Faenzi, Polidori, Parisi, Riccardo Gallo, Romele, Laffranco, Marotta, Palese».


      La Camera,
          due anni fa, con la conversione del decreto-legge 6 giugno 2012, n.  95, è stato approvato un ambizioso provvedimento mirante alla revisione della spesa pubblica, premessa indispensabile della necessaria eliminazione delle sorgenti di uscita non più rispondenti alle effettive necessità del Paese;
          si stanno moltiplicando le indiscrezioni, in larga misura raccolte e rilanciate dalle organizzazioni sindacali della polizia di Stato, secondo le quali l'amministrazione dell'interno starebbe definendo il piano di riassetto e revisione delle proprie strutture, dando attuazione per le parti di propria competenza alla Spending Review;
          da tale riassetto e revisione discenderanno certamente ulteriori contrazioni di personale, destinate a riverberarsi anche sugli organici della Polizia di Stato, già scesi a circa 95mila unità negli scorsi anni, in seguito alla politica di blocco del turn over adottata dai Governi che si sono succeduti in questi anni;
          le indiscrezioni concordano nell'anticipare che la razionalizzazione allo studio comporterà interventi sud presidi di tutte le specialità della Polizia di Stato, vale a dire la stradale, la ferroviaria, quella di frontiera e quella postale. Specialmente preoccupanti appaiono proprio i tagli ipotizzati su quest'ultima specialità, in ragione della crescita del crimine cibernetico e della necessità, più volte prospettata, di potenziare le difese dell'ordinamento rispetto alla minaccia cyber;
          agli interventi sui presidi della polizia di Stato sia inoltre associata una rivisitazione sul territorio della dislocazione delle compagnie dell'Arma dei carabinieri e dei reparti speciali;
          i firmatari del presente atto di indirizzo esprimono preoccupazione per il fatto che le razionalizzazioni e soppressioni in itinere coincidano con una fase espansiva delle attività della criminalità, che ormai si allargano in tutto il Paese, interessando anche aree che ne erano rimaste libere fino a qualche anno fa, forse anche per effetto della grave crisi economica;
          va stigmatizzata in particolare, la circostanza che, secondo gli ultimi dati ufficiali elaborati dallo stesso Ministero dell'interno e riferiti al 2012, i crimini denunciati complessivamente risultavano aumentati dell'1,3 per cento ed ormai pari a circa 2,8 milioni, ossia 36 mila in più rispetto al 2011, mentre l'analisi per tipologia di reato evidenziava come il peggioramento più pesante si stesse registrando sul versante dei cosiddetti reati predatori, spesso perpetrati con modalità particolarmente violente, senza che il Governo abbia ritenuto di adottare alcuna misura specifica di contrasto;
          oltre la metà delle denunce ha riguardato la sottrazione di beni, ossia i furti: oltre 1,5 milioni, in aumento del 4 per cento rispetto al 2011, in particolare quelli in casa, sia come numero (se ne sono registrati quasi 273 mila) che come incremento (sono stati circa il 16 per cento in più); seguono i borseggi, che si avvicinano a 150 mila, con un aumento dell'11 per cento, le frodi (114 mila, con un aumento dell'8 per cento, le rapine (42 mila, con un incremento del 5 per cento) e gli scippi (20 mila, con una lievitazione del 14 per cento);
          con riguardo all'anno 2013, in assenza di dati ufficiali ed omogenei definitivi, risultano già acquisiti elementi significativi che confermano un trend negativo in continua accentuazione: si è infatti registrato un ulteriore incremento del 30 per cento dei furti in abitazione a Crema e risulta apprezzabile anche l'impennata di piccoli furti nei negozi, nei supermercati e nei bar denunciata dalla Confesercenti di Padova;
          ad aggravare le condizioni di insicurezza dei cittadini, si aggiungi anche l'allarmante numero di clandestini che continuano ad arrivare senza alcun controllo sul nostro territorio: dal 18 ottobre ad oggi, in soli 5 mesi, l'operazione Mare Nostrum ha tratto sulle coste italiane 13.500 immigrati clandestini. Se lo scorso anno i clandestini giunti in Italia sono stati 42.925, solo dall'inizio di quest'anno gli arrivi hanno già superato quota 8.500 e il Viminale ha fatto sapere che il dato è di oltre dieci volte maggiore a quello registrato nello stesso periodo del 2013: un vero e proprio record. Con riguardo all'espulsione dei sempre più numerosi clandestini presenti sul territorio, risultano inoltre a tutt'oggi ancora chiusi ben 6 degli 11 centri di identificazione ed espulsione esistenti;
          il grado di allarme sociale per l'incremento delle attività malavitose sia a sua volta in significativo aumento, incentivando tra i cittadini esasperati la tentazione di far da sé, anche promuovendo forme più o meno strutturate di neighborhood watch;
          lascia perplessi il fatto che mentre si prospettano tagli importanti ai presidi sul territorio ed alle specialità delle forze dell'ordine, non sarebbero invece previste riduzioni significative nel numero delle direzioni centrali del Ministero, attualmente diciannove, nelle quali si concentrano gli amministrativi, lasciando così intravedere un'operazione di snellimento interamente o comunque prevalentemente scaricata sulle unità operative, inopinatamente condivisa o avallata dalla direzione politica del dicastero;
          permane insoddisfacente il coordinamento tra le forze di polizia nazionali, ad ordinamento civile o militare, e le polizie locali,

impegna il Governo:

          a rendere noti al più presto i propri intendimenti in materia di revisione della spesa nell'ambito del Ministero dell'interno, in costante confronto con i competenti organi parlamentari e con le forze politiche;
          a tener conto, nella fase di revisione della spesa, dell'evoluzione delle minacce da affrontare sul territorio;
          a realizzare conseguentemente il grosso dei risparmi colpendo le funzioni amministrative del Ministero dell'interno       evitando di coinvolgere invece le strutture operative delle forze dell'ordine;
          a garantire in ogni caso l'efficace e capillare controllo del territorio, anche migliorando il coordinamento con le polizie locali, ed il monitoraggio dello spazio cibernetico, rinunciando in particolare al proposito di ridurre gli organici della polizia postale, essenziale presidio di legalità sulla rete.
(1-00429) «Matteo Bragantini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


      La Camera,
          premesso che:
              dagli ultimi dati disponibili, risalenti al 2010, contenuti in uno studio di settore realizzato dalla cassa depositi e prestiti nel 2012, il comparto del trasporto marittimo nel 2012 ha realizzato un volume di affari di oltre 40 miliardi di euro, con una incidenza sul prodotto interno lordo di 2,6 punti percentuali e la capacità di occupare circa 210.000 addetti tra le varie figure professionali richieste;
              una quota consistente di tali addetti è rappresentata da personale qualificato e non, impiegato in veicoli destinati alla navigazione internazionale, la quale, sempre da dati del 2010, contribuisce al 60 per cento delle esportazioni nazionali e al 45 per cento delle importazioni;      
              il decreto-legge 30 dicembre 1997, n.  457, convertito dalla legge del 27 febbraio 1998, n.  30, istituisce il registro internazionale della navigazione, introduce una serie di provvedimenti volti a favorire la competitività del sistema marittimo italiano e un osservatorio del mercato del lavoro marittimo, norme che effettivamente ottengono il risultato di aumentare le navi battenti bandiera italiana;
              con l'approvazione della legge del 16 marzo 2001, n.  88, il legislatore di fatto inverte gli effetti del comma 2 dell'articolo 318 del codice della navigazione introducendo la possibilità per il datore di lavoro di assumere personale marittimo non comunitario, provocando la drastica riduzione delle assunzioni di personale italiano a causa della cospicua differenza del costo della manodopera tra i lavoratori comunitari e i lavoratori stranieri;
              la convenzione OIL MCL 2006 n.  186 impone ai Paesi aderenti di eliminare le discriminazioni in materia di impiego e di occupazione, di garantire alla gente di mare condizioni eque di impiego e di costituire un sistema per trovare impiego adeguato ed efficace;
              le tariffe minime e massime utilizzate per calcolare i compensi dovuti ai raccomandatari sono state eliminate per effetto dei commi 8 e 9, lettera h), dell'articolo 3 del decreto-legge n.  138 del 2011 convertito dalla legge 14 settembre 2011, n.  148, dell'articolo 34, comma 3, lettera f), del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, e dell'abrogazione del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 11 febbraio 2011, con la conseguenza che i compensi dovuti ai raccomandatari vengono stabiliti consensualmente tra le parti, mentre precedentemente la legge stabiliva un tetto minimo e un tetto massimo di compenso per ogni ingaggio, nonché le tariffe obbligatorie per le prestazioni rese dai raccomandatari,

impegna il Governo:

          ad assumere le necessarie iniziative affinché si renda operativo e funzionante l'osservatorio del mercato del lavoro marittimo previsto dalla legge 27 febbraio 1998, n.  30;
          ad adoperarsi affinché vengano rispettati i principi di equità di impiego e di eliminazione delle discriminazioni in materia di impiego e occupazione, come stabilito dalla convenzione OIL MCL 2006, anche tramite iniziative volte:
              a) all'introduzione per i marittimi di un salario minimo obbligatorio, non inferiore al costo medio della manodopera dei marittimi comunitari, controbilanciando l'aggravio sulle compagnie con un aumento dei benefici fiscali;
              b) all'individuazione di un sistema di calcolo degli oneri dovuti ai raccomandatari per gli ingaggi dei marittimi, che sia proporzionale all'importo mensile che la compagnia di navigazione eroga al marittimo come salario lavorativo.
(1-00430) «Luigi Gallo, Da Villa, Nicola Bianchi, Tripiedi, Frusone, Rizzo, Basilio, Paolo Bernini, Corda, Rizzetto».

Risoluzioni in Commissione:


      La VII Commissione,
          premesso che:
              tra le molte criticità della legge 30 dicembre 2010, n.  240, (Norme in materia di organizzazione delle università di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario) vi è la disciplina del reclutamento del personale docente: articolo 16 (Istituzione dell'abilitazione scientifica nazionale);
              l'abilitazione scientifica nazionale (ASN) nella sua prima tornata ha mostrato numerose criticità e suscitato un contenzioso significativo e sintomatico;
              il sistema di reclutamento a regime prevedeva un sistema di ingresso con posti di ricercatore a tempo determinato per i quali si prevedeva la possibilità della tenure track; si introduceva poi la possibilità dell’upgrading per i vecchi ricercatori del molo messo ad esaurimento (a tempo indeterminato) e degli associati tramite un sistema di abilitazione scientifica con cadenza annuale per l'accesso alle posizioni di professore associato ed ordinario; la disciplina delle procedure di chiamata degli abilitati veniva poi affidata ai regolamenti dei singoli atenei;
              il primo elemento venuto meno dall'entrata in vigore della legge è stata l'immissione nel sistema del reclutamento di «nuova linfa», visto che sono mancati pressoché ovunque i bandi da ricercatore di tipo «B», costringendo un'intera generazione di studiosi a rinunciare alla via della ricerca o ad abbandonare il nostro Paese con una perdita secca per l'università italiana, anche in ragione dell'investimento fatto nella loro formazione. A giudizio dei proponenti da questo punto di vista non si può che constatare che la cosiddetta legge «Gelmini» – n.  240 del 2010 – si sta rivelando un castello di carte che si sta ripiegando su se stesso, sul quale occorrerà intervenire;
              le modalità di reclutamento degli associati a regime si dimostreranno quindi inutilizzabili, se non da parte dei ricercatori a tempo indeterminato, che dopo anni di blocco dei concorsi vedono nuovamente riaprirsi la possibilità della progressione di carriera, ma nuovamente con una procedura che lascia ampio margine all'arbitrio dei baronati locali. Se, infatti, l'abilitazione scientifica nazionale ha mostrato sin qui «la corda» di una gestione che ha messo insieme un sistema poco credibile di fissazione di mediane e criteri da parte dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) che in molti settori hanno prodotti risultati la cui iniquità è abnorme, la fase delle cosiddette chiamate, a causa della scelta improvvida di affidare a regolamenti di ateneo la disciplina delle stesse, dato il disegno accentratore della governance degli atenei statali, sarà rimessa all'arbitrio di pochissimi;
              ulteriore conseguenza della scelta fatta, anche dalla citata legge, di non risolvere il nodo dello stato giuridico dei ricercatori a tempo indeterminato, è quella per cui la moltitudine dei non abilitati (bocciati nella prima tornata) non sta tardando a trarre le conseguenze da tale giudizio negativo, rifiutando di svolgere tutte quelle attività sin qui svolte dai ricercatori a titolo di volontariato, tra cui l'attività didattica. Non è un problema di poco conto poiché negli atenei italiani si calcola che circa il 40 per cento della didattica sia svolta a titolo volontario da ricercatori. La regola secondo cui i «bocciati» all'abilitazione non possono partecipare nuovamente alle procedure per i due anni successivi non fa che aggravare questo problema;
              nella prima tornata le procedure di abilitazione in molti settori scientifici, ma non solo, si sono svolte mostrando numerose irregolarità nei lavori e negli esiti, come ampiamente documentato più volte su tutti i principali quotidiani. Si va dal caso di candidati bocciati alla seconda fascia e promossi alla prima, a quelli di settori in cui la pletora di abilitati si affianca all'esclusione di studiosi illustri e riconosciuti a livello internazionale, ai molti casi di commissari che hanno autocertificato titoli che non possedevano per poter essere sorteggiati nelle commissioni, ai sorteggi che, in violazione del regolamento non si sono svolti tutti in un'unica sequenza, alle commissioni di dimensioni troppo ridotte per poter rappresentare le diverse aree scientifiche culturali e i diversi settori disciplinari compresi nel settore concorsuale (con l'assurdo di commissari stranieri che in alcuni casi non conoscevano l'italiano, provenienti da elenchi formati su basi poco chiare), infine alle conseguenze delle regole dell'ANVUR per cui del lungo percorso di produzione scientifica di candidati che hanno dedicato la vita all'università, viene «fotografato» solo l'ultimo tratto conclusivo, mettendo sullo stesso piano chi è nella fase di espansione produttiva nella ricerca e chi, subendo lunghi anni di blocco dei concorsi, si presenta all'abilitazione con titoli che in alcuni casi non vengono neanche ritenuti ammissibili;
              le risorse sin qui messe a disposizione dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nell'ambito del piano straordinario degli associati hanno coperto solo il primo triennio di un periodo che doveva servire a «smaltire» le chiamate di una significativa percentuale di ricercatori a tempo indeterminato, e che invece si sono comunque dimostrate del tutto insufficienti rispetto al numero degli abilitati, anche perché nel primo anno sono state utilizzate anche per chiamare i «vecchi» idonei dell'ultima tornata di concorsi locali, con un'ulteriore chiamata di candidati non sottoposti a una valutazione seria di livello nazionale;
              a parere dei proponenti occorre finanziare un nuovo triennio per coprire le chiamate degli abilitati prodotti sin qui tenendo conto, tra le necessarie modifiche della disciplina del reclutamento dei professori, che l'attuale sistema delle chiamate privilegia la chiamata degli interni, disincentivando la circolazione degli studiosi e dimenticando totalmente gli abilitati provenienti dagli enti di ricerca,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di promuovere un'iniziativa normativa correttiva puntuale alla luce delle problematiche prodotte dalla disciplina del reclutamento e dalla procedura di abilitazione scientifica nazionale nella sua prima tornata;
          a valutare, attraverso un opportuno intervento normativo, un ridimensionamento dei poteri dell'ANVUR, anche con riferimento alla sua composizione, e una correzione delle procedure di abilitazione al fine di collegare le procedure di abilitazione alla programmazione triennale degli atenei, onde non creare un esercito di «abilitati-illusi» che non saranno mai chiamati;
          a valutare, infine, anche dal punto di vista di un recupero di credibilità ed autorevolezza del corpo docente delle nostre università, ogni intervento e misura opportuna per recuperare sulla disciplina normativa relativa alle procedure di chiamata, oggi affidate direttamente dai rettori e dai rispettivi consigli di amministrazione.
(7-00336) «Fratoianni, Costantino, Giancarlo Giordano».


      La IX Commissione,
          premesso che:
              l'area dello Stretto di Messina, composta dai comuni di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni, rappresenta di fatto un nucleo urbano unico di oltre 400 mila abitanti situato al centro del Mediterraneo;
              nell'area immediatamente adiacente insistono 200 comuni, la cui densità abitativa raggiunge complessivamente, il numero di un milione e mezzo di abitanti, che danno vita di fatto all’«Area metropolitana integrata dello Stretto»;
              assolutamente fondamentale è quindi il ruolo svolto dal sistema dei collegamenti marittimi, ferroviari e stradali al fine di realizzare lo sviluppo economico e territoriale dell'area;
              lo sviluppo dell'area metropolitana è stato negli anni ostacolato, oltre che dalla particolare conformazione territoriale, dalla mancanza di un adeguato e competitivo sistema di opere e di collegamenti infrastrutturali;
              il sistema attuale nell'area, infatti, si rivela essere inadeguato, sotto diversi profili: continui aumenti delle tariffe massime nei collegamenti marittimi con le isole minori; costante incremento dell'inefficienza qualitativa dei servizi ferroviari e marittimi resi agli utenti, in particolare pendolari;
              il progetto relativo alla realizzazione di un ponte sullo Stretto di Messina ha aggravato la situazione di cui sopra, impedendo all'amministrazione locale e nazionale di valutare l'opportunità di realizzare opere e interventi alternativi dal basso impatto ambientale;
              su tale opera si sono riversate negli ultimi 40 anni tutte le speranze (e i soldi) di sviluppo della mobilità e dell'economia della zona, a discapito della realizzazione di opere di minor impatto mediatico ma più economiche e facilmente realizzabili;
              si segnala inoltre che risulta totalmente assente una politica di programmazione e pianificazione dello sviluppo urbanistico nelle zone interessate dal progetto, oltre alla quasi totale assenza di un servizio pubblico locale e alla perdurante incapacità di portare a termine i lavori di adeguamento, messa in sicurezza e ammodernamento della principale arteria di scorrimento che collega la Sicilia e le estreme regioni meridionali tirreniche, ovvero l'autostrada A3 Salerno - Reggio Calabria;
              nonostante i tentativi succedutisi nel tempo di dare nuova linfa all'opera, il peso delle obiezioni, di natura tecnica e finanziaria, ha determinato nel 2013 la decisione da parte del Governo Monti di sospendere la realizzazione del ponte sullo stretto e di mettere in liquidazione la società concessionaria «Stretto di Messina Spa»;
              gli sforzi economici rivolti in un solo senso hanno impedito lo sviluppo di alternative valide al ponte sullo Stretto, in particolar modo la creazione di un sistema intermodale che realizzasse una sinergia tra le infrastrutture già presenti nell'area;
              in tale direzione, vi è da segnalare la decisione da parte del gruppo Ferrovie dello Stato di attuare un ridimensionamento del piano industriale e degli investimenti nell'area dello Stretto;
              questa scelta non potrà che incrementare lo spostamento del flusso dei trasporti sulla rete stradale e autostradale siciliana con inevitabili ripercussioni sull'impatto ambientale e aumento delle emissioni inquinanti dei veicoli – acustiche ed atmosferiche – a carico soprattutto delle aree urbane di Messina e Villa San Giovanni;
              il sistema di attraversamento dello stretto è stato di fatto lasciato in mano a pochi vettori privati, che hanno costituito un cartello a danno degli utenti;
              le condizioni complessive del sistema di trasporto nell'area dello Stretto, impongono, in definitiva, una profonda e radicale rivisitazione delle politiche d'intervento nel territorio siciliano, attraverso l'ammodernamento dei servizi di collegamento marittimi, ferroviari e stradali, che consenta di rendere più efficiente lo spostamento del flusso complessivo del traffico dei pendolari e delle merci, attraverso lo sviluppo del trasporto intermodale e delle «autostrade del mare» in una logica di sistema,

impegna il Governo:

          ad avviare, in tempi rapidi, iniziative volte ad accrescere i livelli di competitività ed efficienza dell'offerta di servizi disponibili per le diverse modalità di trasporto, nell'ambito della mobilità nell'area dello Stretto;
          a definire un quadro generale multimodale in grado di potenziare, in particolare, i sistemi di collegamento marittimi, ferroviari e intermodali, anche attraverso la gestione diretta del servizio che assicuri l'eguaglianza sostanziale dei cittadini.
(7-00337) «Cristian Iannuzzi, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Liuzzi, Dell'Orco, Spessotto, Paolo Nicolò Romano».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SPESSOTTO e FRUSONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 26 della direttiva CE 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, prevede, per le chiamate di emergenza, il numero unico 112 in ambito europeo (NUE); sulla base del citato articolo 26 della direttiva 2002/22/CE, spetta ai singoli Stati membri adottare le opportune misure di attuazione relative all'attivazione del 112;
          la medesima direttiva prevede altresì di rendere disponibili i dati di localizzazione del chiamante per migliorare i servizi di emergenza, e l'obbligo per gli Stati membri di informare adeguatamente i propri cittadini circa l'esistenza del numero 112 quale numero unico europeo per tutte le emergenze, nonché sul tipo e numero di servizi di emergenza ai quali si ha accesso;
          secondo quanto previsto dalla citata direttiva europea, componendo il 112, sia da telefono fisso sia da cellulare, dovrebbe essere possibile chiedere l'intervento di polizia, carabinieri, vigili del fuoco e 118, con possibilità di allertare anche protezione civile e polizie locali, essendo compito della centrale operativa quello di smistare la richiesta al terminale adeguato;
          a seguito dell'apertura da parte della Commissione europea, nell'aprile del 2006, di una procedura di infrazione, l'Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia dell'UE nel gennaio del 2009 per il mancato rispetto delle prescrizioni relative alla corretta attuazione del sistema del numero di emergenza 112;
          tale procedura di infrazione è stata poi archiviata il 14 marzo del 2011, a seguito dell'attivazione della prima Centrale 112 a Varese: la sperimentazione del NUE 112 viene quindi avviata presso la provincia di Varese, attraverso l'Areu, l'agenzia regionale per l'emergenza, secondo il modello del call center laico;
          a seguito della stipula di una convenzione tra la regione Lombardia e il Ministero dell'interno, il servizio è stato poi esteso a tutto il territorio della regione ed è stata parimenti attivata la centrale unica per le emergenze 112, un servizio che gestisce tutte le chiamate che arrivano ai vari numeri di emergenza, mentre non risulta ancora essere stata introdotta una centrale unica di soccorso sul restante territorio nazionale;
          l'introduzione da parte dell'Italia di tale sistema di informazione nazionale provvisorio e sperimentale per l'identificazione delle chiamate al 112, costituisce una soluzione temporanea che vede l'attuale coinvolgimento delle sole centrali operative dei Carabinieri i quali forniscono il servizio di localizzazione del chiamante, ma per le sole richieste afferenti al 112, con il mantenimento degli altri numeri telefonici dedicati alle emergenze: 112, 113, 115, 117, 118;
          il metodo utilizzato consiste nell'inoltro, da parte della centrale operativa dei Carabinieri contattata, del numero chiamante attraverso la compilazione manuale di un modulo web al Centro elaborazione dati interforze che, a sua volta, inoltra a tutti gli operatori telefonici la richiesta di informazioni sulla localizzazione. Tali informazioni vengono poi successivamente trasferite alla centrale operativa dei Carabinieri richiedente;
          la soluzione-ponte adottata dall'Italia appare agli interroganti pertanto poco efficace dal momento che, nel resto del territorio nazionale, al 112 risponde l'Arma dei Carabinieri, la quale, si è fatta carico anche del numero unico europeo, con evidenti disagi legati agli innumerevoli trasferimenti di chiamata;
          come riportato da un servizio della trasmissione «Report», andato in onda nel dicembre 2013, il Governo ha stanziato a partire dal 2003, oltre 50 milioni di euro per l'attivazione del 112 nelle province lombarde, ed è stato altresì calcolato che, a regime, il 112 lombardo costerà quasi 10 milioni di euro l'anno;
          l'adozione del numero unico europeo sull'intero territorio nazionale presenta numerosi vantaggi tra cui la localizzazione immediata del chiamante, completa dei dati verificabili a cura dell'operatore, l'abbattimento del numero di chiamate fasulle, oltre ad evitare eventi duplicati e chiamate senza risposta;
          inoltre, il numero unico europeo presenta indubbi vantaggi anche per l'utente, dal momento che esso deve rammentare un solo numero in tutta Europa, riesce ad esprimere i suoi problemi nella lingua di origine, e ottiene tempi di soccorso più brevi;
          stando agli ultimi sondaggi interni in materia di comunicazione elettronica e mercato delle telecomunicazioni condotti dalla Commissione europea, il numero unico europeo è conosciuto solo da un cittadino europeo su quattro e solo il 33 per cento degli italiani sarebbe a conoscenza della possibilità di utilizzare il 112 come numero unico in Europa  –:
          quali iniziative, anche normative, il Governo intenda attuare per dare piena applicazione, su tutto il territorio nazionale, e nel minore tempo possibile, alla direttiva europea sul numero unico delle emergenze 112 e ai successivi documenti attuativi, al fine espresso di evitare la concreta possibilità della riapertura della procedura di infrazione contro l'Italia, in assenza di misure infrastrutturali concrete, e scongiurare il rischio di nuove sanzioni economiche;
          se il Governo non ritenga che l'istituzione di un'unica centrale integrata, che riunisca le varie componenti istituzionali del soccorso, su tutto il territorio nazionale, come peraltro già avviene nella maggior parte dei Paesi dell'Unione europea, costituisca il modello organizzativo più efficiente ed efficace e, allo stesso tempo, comporti un risparmio della spesa pubblica e un relativo favorevole impatto economico sul nostro Paese;
          se non ritengano altresì opportuno predisporre, parallelamente alla piena realizzazione del numero unico di emergenza su base nazionale, un piano nazionale atto a ridurre gli sprechi di risorse economiche, legati agli stanziamenti per l'attivazione parziale del 112; (5-02597)


      COPPOLA e GIACHETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          è stato stimato da uno studio del Politecnico di Milano che la dematerializzazione della pubblica amministrazione, ovvero il passaggio da una struttura organizzativa basata sulla circolazione di documenti cartacei ad una struttura interamente digitale, può portare alle casse dello Stato un risparmio di oltre 200 miliardi di euro all'anno;
          un forte ostacolo alla dematerializzazione è rappresentato certamente dalla difficoltà attuale di dare autenticità ai documenti digitali in assenza di pratiche semplici e sicure che consentano la firma digitale;
          esistono e sono già a disposizioni tecnologie che permettono un superamento del problema sopracitato e che rispettano le disposizioni di legge vigenti, utilizzando la procedura per la certificazione emanata dall'Organismo per la certificazione della sicurezza informatica (OCSI), il 2 novembre 2012. Gli HSM (hardware security module) infatti sono server di firma che sostituiscono le smart card nell'utilizzo della firma digitale e sono normati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 febbraio 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  117 del 21 maggio 2013;
          con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 luglio 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  237 del 10 ottobre 2012, il Governo italiano ha regolato in via definitiva la scadenza dei termini per la certificazione dei dispositivi automatici di firma entro la data del 25 luglio 2014;
          sulla base di tale scadenza i produttori interessati hanno avuto ventuno mesi di tempo per adeguare correttamente i propri servizi e alcuni di essi hanno investito risorse cospicue per poter rispettare i parametri e i termini prestabiliti dalle normative vigenti;
          la proposta di regolamento dell'Unione europea in materia – 2012/0146 (COD), in votazione al Parlamento europeo il 3 aprile 2014, mantiene l'obbligatorietà della certificazione di sicurezza dei dispositivi di firma e lascia inalterata la necessità del controllo esclusivo, non modificando quanto già stabilito dalla legislazione nazionale. Inoltre i nuovi standard di sicurezza su cui fare la certificazione saranno pronti alla fine del 2015, con un margine di tempo dato agli Stati membri per adeguarsi di 24 mesi;
          pare, senza avere conferme ufficiali, che il Governo nazionale sia intenzionato a prorogare la scadenza del 25 luglio 2014, sulla base del nuovo regolamento europeo, creando un danno economico alle aziende che hanno provveduto a rispettare gli standard precedentemente stabiliti;
          infine, non si è in presenza di alcun monopolio di aziende certificatrici visto che il settore di competenza non prevede in alcun modo alte barriere d'ingresso;
          non appare corretto da un punto di vista etico e d'immagine per il Paese intero, penalizzare le aziende virtuose che si sono adoperate per rispettare i termini e i parametri stabiliti dalla legge a vantaggio di chi, al contrario, non ha ancora regolarizzato i propri servizi  –:
          se non si valuti come necessario un chiarimento ufficiale e definitivo da parte del Governo riguardo i termini di scadenza del periodo di «autocertificazione» oggi vigente e se davvero sia ritenuta opportuna un'ulteriore proroga di tale periodo prima dell'entrata a regime ottimale, come stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 luglio 2012;
          se intenda provvedere al rafforzamento delle strutture di vigilanza dell'Agenzia dell'Italia digitale e dell'OCSI che, nonostante le competenze al proprio interno, hanno difficoltà a fare fronte ai crescenti compiti relativi. (5-02600)


      GRIBAUDO, PIAZZONI, GREGORI e PARIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la legge n.  233 del 2012 sull'equo compenso nel settore giornalistico è finalizzata (articolo 1) «a promuovere l'equità retributiva dei giornalisti (omissis) titolari di un rapporto di lavoro non subordinato»;
          i giornalisti «lavoratori autonomi» sono oltre il 60 per cento di quelli attivi, la maggior parte di loro guadagna meno di 5000 euro l'anno, spesso con compensi di pochi centesimi al rigo o di 1 euro ad articolo o servizio;
          la legge n.  233 del 2012 istituisce una commissione che ha il compito di definire l'equo compenso dei giornalisti lavoratori autonomi in coerenza con la contrattazione collettiva nazionale dei subordinati e redigere un elenco degli editori che lo rispettino. Gli editori che non risultino iscritti nell'elenco non possono accedere ad alcun beneficio pubblico;
          lo Stato con la legge n.  233 del 2012 stabilisce pertanto che tra i criteri per la concessione di eventuali contributi pubblici, vi è anche il principio di tutela dei lavoratori contro lo sfruttamento, consentendone quindi l'accesso solo alle aziende in cui il trattamento economico dei non subordinati è coerente, per equità retributiva, con quello dei subordinati, che viene stabilito sul libero mercato tra le parti sociali;
          tale legge non con le disposizioni di cui al decreto-legge «Bersani» del 2007 sulle liberalizzazioni e l'abrogazione delle tariffe minime sia in considerazione del fatto non si tratta di tariffe commerciali ma unicamente di compenso per il lavoro svolto in forma prevalentemente personale senza dipendenti né collaboratori e senza mezzi o beni che configurino un'impresa, sia perché l'ambito è soltanto quello delle aziende che chiedono benefici pubblici;
          in definitiva, i compiti chiaramente assegnati alla commissione (comma 3 dell'articolo 2, della legge n.  233 del 2012) sono due: definire l'equo compenso e redigere l'elenco degli editori che lo rispettano;
          la delibera della Commissione datata 29 gennaio 2014 ha inteso limitare l'applicazione del comma 1 dell'articolo 1 della legge n.  233 del 2012 – che recita: «In attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, la presente legge è finalizzata a promuovere l'equità retributiva dei giornalisti iscritti all'albo di cui all'articolo 27 della legge 3 febbraio 1963, n.  69, e successive modificazioni, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato – secondo questa formulazione: (l'equo compenso per il giornalista autonomo) «deve intendersi riferito alle prestazioni che presentino, sul piano concreto, carattere economicamente dipendente e non sporadico»;
          le espressioni «economicamente dipendente» e «non sporadico» non corrispondono ad alcuna definizione giuridico-amministrativa, essendo al contrario vaghe e di dubbia interpretazione. Averle introdotte senza specificare a cosa corrispondano potrebbe facilmente comportare numerosi contenziosi per il riconoscimento della natura di ciascun rapporto;
          la delibera non prescrive alcuna procedura rigorosa di tracciabilità del lavoro autonomo, indispensabile al fine di redigere il suddetto elenco degli editori che rispettino i criteri di un compenso equo  –:
          se la Commissione, cui è attribuito il preciso compito di «definire» l'equo compenso, sia titolata a stabilire limitazioni all'ambito di coloro cui si applichi la norma di legge, cosa che se confermata, renderebbe l'equo compenso nei fatti non applicabile a tutti i lavoratori non subordinati, al contrario di quanto testualmente previsto dalla legge n.  233 del 2012;
          quali iniziative si intendano intraprendere per garantire, insieme alla piena applicabilità della legge a tutti i soggetti non subordinati, una effettiva rigorosa procedura di tracciabilità di ciascuna prestazione autonoma, ovvero di ciascun singolo contenuto giornalistico prodotto. (5-02604)

Interrogazioni a risposta scritta:


      D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          lo Stato, oltre a non onorare gli impegni dettati dai regolamenti comunitari (si veda la direttiva sui pagamenti trenta giorni), non onora gli impegni assunti con la certificazione del credito effettuata tramite il MEF, causando danni talvolta irreparabili alle aziende;
          a questa situazione kafkiana si aggiunge una diminuzione degli appalti pubblici in generale, un ricorso massiccio al metodo di aggiudicazione cosiddetto «con l'offerta economicamente più vantaggiosa», che solitamente si conclude con ribassi di pochi punti percentuali, mentre le gare, cosiddette «al massimo ribasso», vanno in aggiudicazione con decine di punti percentuali di ribasso, nonché l'obbligo di mantenere operative costose SOA e relativa certificazione di qualità e, in ultimo, di effettuare versamenti per la mera partecipazione, alle poche gare «rimaste», all'Autorità di vigilanza;
          nessun genere di iniziativa al riguardo, a sostegno delle imprese, è stata prevista al momento dall'attuale Governo  –:
          quali iniziative concrete si intendano intraprendere per risolvere le problematiche segnalate in premessa. (4-04421)


      BUONANNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere:
          se il Governo sia a conoscenza delle difficoltà che le coppie eterosessuali italiane incontrano per l'adozione di un minore essendo sottoposte a procedure molto complicate e addirittura snervanti che durano anni e anni mettendo i bambini nella condizione di non essere subito accolti nella nuova famiglia e i futuri genitori di dover aspettare anni con costi economici notevoli e delusioni cocenti;
          se sia possibile assumere iniziative al fine di snellire le procedure pur mantenendo le giuste garanzie a tutela del minore. (4-04422)


      CARRESCIA e PREZIOSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          la conversione in legge del decreto-legge 18 maggio 2012, n.  63, recante «Disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale» ha riproposto il tema delle sovvenzioni pubbliche alle imprese editrici;
          è un problema annoso che la crisi di questi anni ha accentuato e che pone anche delicati rapporti fra diritto all'informazione e contenimento della spesa pubblica;
          la libertà di informazione costituisce infatti un principio di diritto internazionale generale come enunciato dall'articolo della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo;
          fra i possibili mezzi di espressione del pensiero, l'articolo 21 della Costituzione pone particolare tutela alla libertà di stampa che, come ha riconosciuto la stessa Corte Costituzionale è da considerarsi «mezzo di diffusione tradizionale e tuttora insostituibile ai fini dell'informazione dei cittadini e quindi della formazione di una pubblica opinione avvertita e consapevole»;
          il quinto comma dell'articolo 21 della Costituzione attribuisce alla legge il compito di «stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica»;
          in sostanza, sebbene la stampa sia un'attività economica privata, è interesse della collettività il pluralismo delle idee e la loro diffusione;
          la crisi economica in questi anni ha colpito anche il settore dell'editoria quotidiana e periodica, soprattutto quella di tipo cartaceo per i crescenti costi di stampa;
          la necessità di introdurre nuovi criteri di calcolo rispetto a quelli in essere a sostegno dell'editoria è stata colta dal decreto-legge n.  63 del 2012, che ha individuato i diversi destinatari dei benefici ed i criteri di calcolo;
          tali criteri, fissati dall'articolo 2 comma 2, non si applicano ai contributi in favore dei periodici editi da cooperative, fondazioni o enti morali, ovvero da società con maggioranza del capitale detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali che non abbiano scopo di lucro (articolo 3, comma 3, legge n.  250 del 1990) e per le quali è stabilito, invece che le risorse complessivamente destinabili siano pari al 5 per cento dell'importo stanziato per i contributi diretti alla stampa e previsti sul pertinente capitolo del bilancio autonomo del Dipartimento per l'informazione e l'editoria;
          in caso di insufficienza delle risorse stanziate si procede alla liquidazione del contributo mediante riparto proporzionale fra gli aventi diritto;
          questa norma ha comportato, negli anni, una costante riduzione delle risorse a favore delle società con maggioranza di capitale detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali che non hanno scopo di lucro;
          è evidente la penalizzazione per questo segmento editoriale che coinvolge centinaia di testate anche storiche e migliaia di lavoratori così come la necessità e l'opportunità di interventi correttivi quali l'incremento, a parità di spesa, dell'ormai esigua percentuale di riparto del 5 per cento della quota spettante sul fondo per l'editoria  –:
          quali nuove misure il Governo intenda adottare a sostegno della stampa di periodici editi da cooperative, fondazioni o enti morali che non hanno scopo di lucro e se sussistano ostacoli per elevare al 7 per cento, a parità di spesa, la percentuale di riparto del 5 per cento della quota spettante sul fondo per l'editoria spettante a tali società. (4-04428)


      D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          da oltre cinquant'anni, dopo innumerevoli dossier, gruppi di studio, annunci e impegni solenni, la giungla degli enti inutili non solo resiste a qualsiasi tentativo di disboscamento ma è più vitale che mai. Nonostante il lavoro capillare, ogni commissione d'indagine che si avvicenda sul tema finisce per scovare altri istituti sfuggiti ai setacci precedenti. Il Governo di Mario Monti ne aveva individuati 500 per un costo annuo di circa 10 miliardi di euro. Risultato: nonostante le varie spending review, dal 2008 sono stati soppressi solo 49 gli enti inutili;
          la prima legge per eliminarli risale al lontano 1956. Allora ne censirono più di 600. Il primo a essere cancellato fu il consorzio provinciale tra macellai per le carni di Napoli. Per sbarazzarsi definitivamente, ad esempio, delle Lati, linee aeree transcontinentali italiane fondate da Italo Balbo, ci sono voluti 49 anni;
          nel nuovo millennio sono state emanate, invano, otto leggi ad hoc contro questi emblemi dello spreco, la prima nel 2002;
          si è anche verificato il caso di istituti prima aboliti e poi recuperati, naturalmente salvando i dipendenti e soprattutto i membri del consiglio d'amministrazione, ma è anche accaduto che l'ente finito nel mirino del legislatore, per sopravvivere, abbia cambiato nome;
          i meccanismi per mettere al sicuro questi organismi «spreconi» sono ben collaudati. Appena scatta l'operazione dei tagli, vengono avviati riorganizzazioni, accorpamenti o cambio del nome, poi vi sono i ricorsi al Tar o al Consiglio di Stato. Infine, se si riesce a giungere al traguardo, bisogna nominare il liquidatore, censire il patrimonio, gestire crediti e debiti, risolvere i contenziosi  –:
          se si intendano assumere iniziative per procedere alla reale e completa soppressione dei cosiddetti «enti inutili».
(4-04435)


      D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la SIMEST nasce nel 1991 per supportare gli imprenditori italiani ad espandersi su nuovi mercati. È una società per azioni controllata dal novembre 2012 da Cassa depositi e prestiti con una presenza azionaria privata (banche e sistema imprenditoriale);
          fornisce assistenza alle imprese italiane nel processo di internazionalizzazione;
          la predetta partecipazione avviene sia tramite investimento diretto che attraverso la gestione del Fondo partecipativo di venture Capital (destinato alla promozione di investimenti esteri in paesi extra UE) e consente alle imprese italiane l'accesso alle agevolazioni (contributi agli interessi) per il finanziamento della propria quota di partecipazione nelle imprese fuori dall'Unione europea;
          la SIMEST può partecipare fino al 49 per cento anche al capitale sociale di imprese italiane o imprese controllate nell'Unione europea che sviluppino investimenti produttivi e di innovazione e ricerca. Tra le altre attività effettuate sono citate:
              sostegno ai crediti all'esportazione di beni di investimento prodotti in Italia;
              finanziamento di studi di fattibilità ed i programmi di assistenza tecnica collegati ad investimenti;
              finanziamento di programmi di inserimento sui mercati esteri;
              finanziamento di interventi a favore delle piccole e medie imprese esportatrici;
              assistenza finanziaria, legale e societaria relativa a progetti di investimento all'estero;
          si apprende, attraverso gli organi di informazione, che la SIMEST finanzia anche operazioni di delocalizzazione all'estero di imprese italiane che, nel nostro Paese, hanno avviato procedure di licenziamento, tra le quali quella riconducibile all'attuale Ministro dello sviluppo economico  –:
          se risponda al vero che la SIMEST abbia finanziato imprese che hanno delocalizzato all'estero, anche licenziando lavoratori in Italia, tra le quali quella/e riconducibile/i al Ministro interrogato. (4-04438)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


      FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la Convenzione tra la Repubblica italiana ed il Regno di Thailandia per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, Convenzione del 2 aprile 1980 n.  202, (Pubblicata in Gazzetta Ufficiale n.  148 del 31 maggio 1980), è basata sul modello OCSE e prevede trattamenti differenziati per le pensioni pubbliche e private;
          l'articolo 18 della Convenzione, in materia di pensioni, prevede:
              «1.    Salve le disposizioni del paragrafo 1 dell'articolo 19, le pensioni e le altre remunerazioni analoghe pagate ad un residente di uno Stato contraente in relazione ad un cessato impiego sono imponibili soltanto in questo Stato
              2.    Nonostante le disposizioni del paragrafo 1 le pensioni e le altre remunerazioni analoghe percepite da un residente di uno Stato contraente sono imponibili nell'altro Stato contraente se l'onere di tali pagamenti è sostenuto da un'impresa di detto altro Stato o da una stabile organizzazione ivi situata»;
          l'articolo 19 della Convenzione, in materia di funzioni pubbliche, prevede:
              «1.    Le remunerazioni, comprese le pensioni, pagate da uno Stato contraente o da una sua suddivisione amministrativa o da un suo ente locale, sia direttamente sia mediante prelevamento da fondi da essi costituiti, ad una persona fisica in corrispettivo di servizi resi a detto Stato o suddivisione od ente locale nell'esercizio di funzioni di carattere pubblico, sono imponibili in questo Stato
              2.    Le disposizione degli articoli 15, 16 e 18 si applicano alle remunerazioni o pensioni pagate in corrispettivo di servizi resi nell'ambito di attività commerciali o industriali esercitate da uno degli Stati contraenti o da una sua suddivisione politica o da un suo ente locale»;
          il modello OCSE per le Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali, agli articoli 18 e 19, prevede un trattamento distinto tra le pensioni private e quelle pubbliche, di ex dipendenti dello Stato  –:
          se non si ritenga indispensabile proporre una revisione del modello OCSE ritenendo sostanzialmente superata ogni distinzione tra pensioni pubbliche e private per quanto concerne i livelli contributivi, i trattamenti pensionistici e più in generale i criteri di accesso ai trattamenti pensionistici stessi;
          quali azioni si intendano adottare per proporre queste modifiche sostanziali di equità e di parità di trattamento tra regimi pensionistici sempre più unificati, anche nelle modalità di pagamento;
          quali urgenti iniziative si intendano adottare per trasferire analoghi principi di equità e di parità di trattamento tra i due regimi pensionistici sul piano della revisione della Convenzione tra Italia e Thailandia o sul piano della effettiva applicazione delle norme. (4-04426)


      BUENO, MERLO, BORGHESE e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          nel 1946 il Ministro degli esteri del Brasile Joào Neves da Fontoura, giunto a Parigi per la Conferenza della Pace delle potenze vincitrici della guerra contro l'Italia (fra le quali vi era il Brasile) dichiarò in un'intervista, divenuta celebre rilasciata il 30 agosto al quotidiano Le Monde, che, nei riguardi dell'Italia prostrata, occorreva manifestare una solidarietà latina e, nello stesso tempo, lanciava l'idea della «ricostruzione del fronte latino»;
          dopo lunghe consultazioni a livello politico, nel 1951, sempre Neves da Fontoura, invitò per il 14 ottobre i paesi latini a Rio de Janeiro per un primo congresso mirante alla creazione di una «Unione Latina»;
          sempre per impulso del Brasile (cui si aggiunse la Spagna desiderosa di uscire dall'isolamento internazionale ove l'avevano confinata i paesi vincitori della guerra 1939-1945) si giunse al secondo congresso tenuto a Madrid nel 1954 e alla firma, il 15 maggio, del trattato istitutivo dell'Unione Latina quale ente di diritto internazionale e dotato di personalità giuridica internazionale;
          stati firmatari del Trattato di Madrid e Stati che aderirono in seguito sono in totale 39: dell'Europa: Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Romania, Moldavia, Repubblica di San Marino, Santa Sede, Ordine di Malta, Principato di Monaco, Principato di Andorra; dell'Africa: Angola, Mozambico, Capoverde, Senegal, Costa d'Avorio; dell'America Latina tutti i paesi di lingua spagnola e portoghese, compresa Cuba, Santo Domingo, Haiti; dell'Asia le Filippine e Timor Est;
          nel 1975 il III congresso, promosso dalla Francia, rilanciò l'Unione Latina con abbondante aumento dei contributi degli Stati membri e con la creazione di un Segretariato generale con sede a Parigi e con strutture proprie;
          iniziò così un'attività sempre crescente mirata alla difesa delle lingue neolatine, alla protezione e diffusione dei rispettivi patrimoni letterari, artistici, linguistici, al fomento di una cinematografia latina, alla tutela e diffusione del diritto romano e alla creazione di una terminologia neolatina;
          dopo 16 anni di una Segreteria generale gestita da un francese (Monsieur Rossillon) succedette un Segretario generale brasiliano per 4 anni (Ambasciatore Cavalcanti), un Segretario generale italiano per 8 anni (Ambasciatore Osio) e per 3 anni un Segretario generale spagnolo (Ambasciatore Dicenta);
          il Congresso straordinario del 26 giugno 2012 si è svolto secondo gli interroganti secondo modalità contrarie sia alle norme del diritto internazionale comune, sia a quelle del Trattato del 1954. Non vi fu alcuna consultazione preventiva fra i Governi dei Paesi membri, ma si giunse alle decisioni grazie ad una «intesa segreta» tra alcuni delegati (Francia, Italia e Spagna) che portarono al Congresso un «progetto di risoluzione» che ordinò, entro il giugno dello stesso anno, la dissoluzione del Segretariato Generale, l'azzeramento del bilancio e dei contributi annuali degli Stati membri, la chiusura degli uffici centrali e periferici nonché il licenziamento di tutto il personale;
          in sostanza sarebbe rimasto solo un segretario generale ad honorem, senza sede, senza un bilancio, senza personale e senza programmi. Si tiene a precisare che il segretario generale ad oggi non risulta ancora nominato;
          la risoluzione anzidetta è stata approvata di stretta misura: molti Paesi, colti di sorpresa, si sono astenuti non avendo avuto il tempo di consultare i rispettivi governi. Hanno protestato vivamente il Venezuela, Cuba, Ecuador, Senegal, Bolivia, Romania e Moldavia. Contro il diritto è stata vanificata un'organizzazione nota per le sue battaglie in difesa delle identità culturali dei suoi Paesi membri più esposti, per ragioni geografiche e di povertà, ai pericoli di una globalizzazione devastante;
          le attività dell'Unione Latina hanno mirato a proteggere e salvaguardare i patrimoni culturali dei Paesi membri diffondendo lo studio del diritto romano e della lingua latina, favorendo la creatività letteraria, l'editoria, il cinema e soprattutto la catalogazione dei beni culturali materiali e immateriali, formando catalogatori di beni culturali, non dimenticando che la catalogazione è il primo imprescindibile passo per la difesa delle rispettive radici culturali  –:
          quali iniziative intenda assumere il Governo per rilanciare l'Unione Latina e se non ritenga il caso di adoperarsi, con urgenza, al fine di nominare il Segretario generale che dal 2012, quando si è svolto l'ultimo Congresso, non è stato ancora designato. (4-04436)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      ROSTAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la nave da crociera Costa Allegra, dopo l'incidente del febbraio 2012, alle Seychelles, e i successivi «parcheggi genovesi» (prima da Fincantieri e poi da T. Mariotti), è stata trasferita in Turchia per il successivo smaltimento;
          lo smaltimento delle navi di grossa portata genera, da sempre, implicazioni e difficoltà tecniche di notevole entità, specie per quanto concerne la eco-sostenibilità delle operazioni di smantellamento ed i gravi rischi connessi al possibile inquinamento dei bacini di lavorazione, causato dai materiali altamente tossici di cui sono composte parti delle imbarcazioni; di recente, la questione e le problematiche indicate sono state oggetto di approfondimento da parte dell'Unione europea, che ha aggiornato la normativa vigente in materia di smaltimento delle navi da crociera e non solo, con l'obiettivo, in particolare, di contrastare il cosiddetto fenomeno del «beaching» verso spiagge asiatiche;
          nello specifico, la Costa Allegra è stata smaltita in Turchia e, dunque, in un Paese extra-UE, comunque bagnato dal Mediterraneo;
          la normativa italiana prevede che un rifiuto vada smaltito nel rispetto dei principi di «vicinanza e prossimità», che in questo caso all'interrogante non sembra siano stati rispettati  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda di cui in premessa e conoscano, quindi, le procedure attivate dalla società Costa per lo smaltimento della cruise ship Allegra;
          se e quale sia stato il ruolo di vigilanza svolto dai soggetti all'uopo preposti, al fine di garantire il rispetto della normativa nazionale ed europea, nell'ambito delle procedure che hanno consentito il trasferimento della Costa Allegra in Turchia;
          se tali procedure siano conformi a quanto previsto dalla normativa nazionale e comunitaria vigente in materia e, in ogni caso, se siano in grado di assicurare lo smaltimento corretto, in sicurezza ed eco-compatibile smaltimento della Costa Allegra. (5-02603)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DURANTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la bonifica e messa in sicurezza delle aree di competenza della marina militare (ex area Ip, area Gittata, zona 17 ettari) e della cava in località San Marco (Statte) è improcrastinabile, ma ancora non si è giunti ad una conclusione su come bonificare questi siti che continuano a contaminare l'acqua di falda e il Mar Piccolo a Taranto;
          l'area ex Ip è situata nel primo seno di mar Piccolo, ed è interessata da una pesante contaminazione (metalli pesanti, pcb, inquinanti inorganici) dovuta proprio alle attività passate dell'Arsenale militare, oltre all'inquinamento conseguente all'attività dell'Ilva di Taranto;
          il quotidiano on line TarantoOggi.it del 5 marzo scorso, in un articolo di Gianmario Leone, riprende in particolare la vicenda della bonifica del Mar Piccolo di Taranto nell'ambito della più vasta operazione di bonifica dell'area di Taranto, e degli altissimi danni recati dall'inquinamento all'ambiente marino del bacino e alla mitilicoltura tarantina;
          l'inquinamento prodotto dalle aree a terra in uso alla Marina continuano ad inquinare la falda (in particolar modo quella superficiale) e il mare;
          le aree a terra gestite dalla Marina Militare rappresentano, come indicato dalla «Relazione tecnica sullo stato di inquinamento da PCB nel SIN Taranto ed in aree limitrofe», redatta dal servizio ciclo dei rifiuti e bonifica della regione Puglia nel 2011, la fonte primaria accertata di inquinamento da PCB del Mar Piccolo: sia nei terreni che nella falda superficiale;
          parliamo di un sito esteso per circa 23.000 metri quadri in cui sin dal 1890 è stata svolta attività da parte di numerose aziende di supporto alla marina militare, mediante il ricorso di sostanze altamente impattanti dal punto di vista ambientale come vernici, solventi, olio di taglio, olio idraulico ed idrocarburi;
          la caratterizzazione realizzata dai tecnici della regione, condotta tra il maggio e il luglio 2009 ha evidenziato nei terreni una contaminazione da metalli pesanti (antimonio, arsenico, mercurio, piombo, rame, selenio, vanadio e zinco), da policlorobifenili e da idrocarburi (leggeri e pesanti);
          la consegna del Progetto definitivo per la messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda era prevista per il luglio del 2012. Doveva essere un passaggio cruciale, al termine di un iter piuttosto tortuoso che aveva visto il servizio ciclo dei rifiuti e bonifica della regione formulare una serie di osservazioni e prescrizioni sul progetto presentato da Marigenimil (direzione genio militare per la marina). Nel corso della conferenza dei servizi decisoria, tenuta l'8 marzo 2012, Marigenimil aveva assicurato una programmazione finanziaria che garantiva l'avvio delle procedure per l'esecuzione delle opere entro il 2012. Il 30 marzo del 2012, l'assessore regionale all'ambiente, Lorenzo Nicastro, aveva annunciato che il progetto di Marigenimil aveva ricevuto l'ok dei tecnici regionali affermando, inoltre, che l'iniziativa del genio militare avrebbe consentito di «contenere definitivamente la contaminazione accertata nella falda acquifera». Ma la data prevista per la consegna del progetto definitivo – luglio 2012 – non è mai stata rispettata;
          l'Arpa Puglia ha peraltro avviato da tempo uno studio al fine di fotografare l'attuale situazione della contaminazione e dell'inquinamento del Mar Piccolo, e individuare il livello e le caratteristiche dell'inquinamento  –:
          quali siano i motivi dei forti ritardi per la messa in sicurezza dell'area ex Ip dell'Arsenale militare di Taranto e se non si ritenga di intervenire al più presto per richiamare la Marina militare alle sue responsabilità al fine di pervenire in tempi rapidi alla soluzione del problema di cui in premessa. (4-04425)


      FURNARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          a distanza di cinque anni dal ritrovamento della pericolosa sostanza cancerogena nel formaggio prodotto in masserie ubicate nell'area industriale di Taranto, stavolta a destare preoccupazione è il latte bovino di alcuni allevamenti di Massafra, contenete quantità pari al doppio (11,72 picogrammi per grammo di grasso) rispetto al consentito (5,5);
          a Taranto, dunque da notizie apparse su diversi quotidiani, si aggrava e si allarga la contaminazione da diossina arrivando sino a Massafra (un comune che dista una quindicina di chilometri da Taranto) e per la prima volta colpisce i bovini;
          le analisi sono state effettuate dall'istituto zooprofilattico di Teramo, in seguito ai prelievi effettuati dalla ASL su un allevamento di Massafra. Avendo accertato per la diossina il superamento dei limiti di legge nel latte di mucca, ora si procederà all'analisi della carne. È molto probabile infatti che nelle carni dei bovini i valori della diossina saranno molto più alti, come ha insegnato l'esperienza delle pecore, nelle quali i valori riscontrati sono risultati anche dieci volte superiori rispetto al latte;
          diversi soggetti, dalle associazioni ambientaliste ai comitati di cittadini, chiedevano alla regione Puglia il controllo della diossina sulle carni macellate senza ottenere però che venisse effettuato. Eppure il tavolo tecnico regionale per la diossina conveniva sull'opportunità di un simile controllo sui macelli. Ora si dovrà procedere alla misurazione della diossina nelle carni bovine e questo è un passaggio importantissimo al fine di verificare la sicurezza alimentare di un settore rimasto fuori dai controlli diretti sulla carne, limitatisi fino ad ora solo alla carne di pecore e capre risultate positive al controllo della diossina sul latte;
          il dato che desta preoccupazione è la contaminazione transgenerazionale. Le mucche sembrano aver trasmesso anche ai vitellini la diossina che trattengono come carico corporeo elevato e tramite l'allattamento dei vitellini si sta determinando una catena di contaminazione a ciclo continuo. Sta avvenendo qualcosa di drammatico che trasmette di generazione in generazione un avvelenamento chimico che rischia di distruggere un pezzo pregiato dell'economia locale, la cui filiera comprende anche le mozzarelle e i pregiati formaggi di mucca locali  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative utili abbiano intenzione di intraprendere al fine di tutelare il territorio di Taranto e della provincia già così compromesso dal punto di vista ambientale, e quali iniziative, anche di carattere normativo, abbiano intenzione di adottare per tutelare la salute dei cittadini.
(4-04437)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


      PAOLO NICOLÒ ROMANO, D'UVA, TOFALO, SPESSOTTO, MANTERO, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI e LIUZZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il 6 marzo 2014 durante i lavori di scavo del cantiere del terzo valico di Radimero nel comune di Arquata Scrivia, in provincia di Alessandria, sono emersi importanti reperti archeologici. Sul luogo sono immediatamente intervenuti i tecnici e gli archeologi della Soprintendenza dei beni archeologici della regione Piemonte;
          tali ritrovamenti sono apparsi subito di eccezionale importanza trattandosi dei resti dell'antica città di Libarna, fondata dai romani nel I secolo a.C. in una posizione strategica per dominare la valle attraversata dai torrenti Scrivia e Volvera. Da fonti storiche la città ricevette grande impulso dai provvedimenti dell'89 a.C., con cui Roma concesse il diritto latino alle comunità della Traspadana ed ad alcuni centri liguri, mentre raggiunse la massima fioritura in piena età imperiale, fra il I ed il II secolo d.C.;
          tale scoperta dimostra che l'intera area si configura per essere per importanza e vastità uno dei principali siti archeologici non solo del Piemonte ma dell'intera Europa. Infatti, l'attuale area archeologica di Libarna, situata a sud dell'abitato di Serravalle Scrivia (AL) lungo la strada (ex strada statale 35 dei Giovi), che ricalca l'antico tracciato della via Postumia (148 a.C.) che collegava il porto di Genova con la pianura padana, protetta fin dal 1924 da vincolo archeologico, coincide solo in minima parte con la città antica;
          la presenza di rilevanti testimonianze archeologiche è conosciuta allo stesso general contractor dei lavori, il Consorzio collegamenti integrati veloci (Cociv), considerando che già nel progetto esecutivo della tratta A.V./A.C. terzo valico dei Giovi risulta documentato che: «Nel comune di Arquata Scrivia, nelle vicinanze delle opere interessate, NV 30 e C.O.P. 4 sono state localizzate aree centuriate e sono stati segnalati in zona tratti dell'acquedotto romano di Libarna e un tracciato viario romano», mentre nel comune limitrofo di Pozzolo Formigaro «sono stati raccolti dati relativi alla presenza di un insediamento di età del Bronzo e reperti sporadici di epoca romana»;
          a queste importanti notizie, motivo di orgoglio per la cittadinanza, ne sono seguite altre molto più preoccupanti come il mancato blocco dei lavori relativi alla costruzione della galleria di valico del cantiere di Radimero e l'assegnazione delle indagini archeologiche ad una ditta, Lande s.r.l. subappaltante del Cociv, il cui proprietario è sotto processo per violazione delle norme sulla sicurezza, reati ambientali, mancate autorizzazioni, distruzione o deturpamento di bellezze naturali;
          una scoperta di tale portata, ad avviso degli interroganti, non può essere affidata a soggetti sotto inchiesta dalla magistratura e su cui pendono pesanti capi d'accusa, ma, viceversa, è opportuno affidarla direttamente alla Soprintendenza archeologica territorialmente competente affinché siano assicurate accuratezza, competenza ed imparzialità delle indagini archeologiche. Solo in questo modo è possibile salvaguardare un patrimonio di inestimabile valore per il Paese e rassicurare la popolazione locale inquieta per il timore che le ricerche approssimative condotte e i lavori tuttora in corso del cantiere dell'A.V sul sito possano compromettere un patrimonio archeologico dall'inestimabile valore;
          la realizzazione del terzo valico presenta notevoli criticità economico finanziarie, ambientali e sociali tali da spingere lo stesso amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, ad esprimerne pubblicamente, il primo marzo 2014, la sua contrarietà ad un'opera, da egli stesso definita inutile, che per costi ed impatto ambientale non ha eguali. Infatti per 150 chilometri di tracciato per collegare Genova con Milano, quando esistono già due linee sotto utilizzate, si prevede un investimento pubblico di oltre 6 miliardi di euro e la devastazione di intere aeree con la costruzione di gallerie invasive che comporterà l'estrazione, come nel caso specifico del cantiere di Radimero, di milioni di metri cubi di smarino, roccia contenente amianto, di cui ancora non sono note le modalità di smaltimento;
          per denunciare tutto questo il 5 aprile 2014 è prevista una manifestazione dei comitati locali per chiedere il blocco dei lavori, in modo da permettere scavi archeologici accurati ed imparziali e per convertire tutta l'area dell'antica Libarna in un grande parco archeologico, uno dei più grandi del Paese, che rappresenterebbe uno straordinario volano economico per l'intero territorio  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali urgenti iniziative intenda intraprendere per bloccare i lavori, in modo che vengano eseguiti gli opportuni accertamenti archeologici, impedendo così il compimento di uno scempio annunciato; quali iniziative intenda intraprendere per valorizzare l'intera area archeologica di Libarna che, per importanza e vastità, potrebbe rappresentare un rilevante volano economico per l'intero territorio circostante. (3-00757)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MANZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          tra le misure a favore del personale docente, di ruolo o con contratto a termine, previste dal decreto-legge 12 settembre 2013, n.  104, convertito, con modificazioni dalla legge 8 novembre 2013, n.  128, e meglio noto come «decreto istruzione», c’è l'accesso gratuito ai musei statali e ai siti di interesse archeologico, storico e culturale gestiti dallo Stato;
          tale disposizione, da applicare in via sperimentale per il 2014, con lo stanziamento di dieci milioni di euro, ha come obiettivo la promozione della formazione culturale del personale scolastico;
          perché tale misura diventi operativa occorre tuttavia l'emanazione di un decreto interministeriale, in particolare del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione e quindi entro l'11 gennaio 2014;
          solo il 26 marzo 2014 è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto attuativo 19 febbraio 2014: «Modalità per l'accesso gratuito del personale docente nei musei statali e nei siti di interesse archeologico, storico e culturale», in base al quale si è stabilito che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo consente «l'accesso gratuito del personale docente della scuola, di ruolo e con contratto a termine, ai musei statali e ai siti di interesse archeologico, storico e culturale gestiti dallo Stato, a seguito di esibizione di idoneo documento attestante l'appartenenza alle suddette categorie nonché l'attività professionale in corso di svolgimento» e ancora che al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca spetta la predisposizione di un modello di documentazione che le istituzioni scolastiche potranno fornire ai docenti per consentirne l'identificazione  –:
          se i Ministri interrogati possano fornire un'indicazione, seppur sommaria, oltre che una garanzia sui tempi di effettiva predisposizione del modello identificativo, in considerazione del fatto che la gratuità dell'accesso ai musei è valida per il solo anno 2014 e che ad oggi sono passati già diversi mesi senza che i docenti abbiano potuto usufruire di tale possibilità;
          se ritengano opportuno adottare delle iniziative specifiche che permettano il rimborso, anche solo di una parte delle spese, che i docenti hanno dovuto e dovranno ancora sostenere fino a quando non saranno in possesso del documento identificativo che consentirà loro l'effettivo accesso gratuito ai musei. (5-02596)


      BRUNO BOSSIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo il mese scorso ha stanziato 26,8 milioni di euro per finanziare opere di riqualificazione dei beni culturali in Calabria;
          di questi 26,8 milioni circa 10 milioni sono stati destinati ad interventi su siti della provincia di Cosenza (castelli di Rocca Imperiale ed Oriolo, il complesso monumentale di S'Agostino di Cosenza, il santuario di San Francesco di Paola, il museo della civiltà contadina delle saline di Lungro, i ruderi di Cirella, il centro storico di Cosenza);
          nel comune di Bisignano è allocato il santuario della Riforma, casa di Sant'Umile da Bisignano, il secondo santo calabrese;
          il santuario è un luogo di devozione popolare assai significativo e patrimonio turistico fondamentale del comune di Bisignano e custodisce opere d'arte di inestimabile valore artistico e storico;
          a causa di una frana che ha interessato la collina su cui sorge, il santuario è stato chiuso il 14 febbraio del 2010;
          da quel giorno poco e nulla è stato fatto per consentire la riapertura del santuario  –:
          se, nello specifico del santuario di Sant'Umile di Bisignano si siano verificate inadempienze che avrebbero potuto vanificare l'accesso al finanziamento;
          quali iniziative si possono assumere sin da subito per intervenire al più presto sul santuario di Sant'Umile di Bisignano e consentirne la riapertura in tempi brevi al fine di restituirlo alla piena fruizione da parte di fedeli e visitatori. (5-02601)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MAZZOLI, MANFREDI, GIOVANNA SANNA e BATTAGLIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          per «patrimonio culturale immateriale» si intende quell'insieme di pratiche sociali, rappresentazioni folcloristiche, espressioni orali, arti dello spettacolo e artigianato tradizionale, che contribuiscono a valorizzare l'identità dei popoli, a trasmettere il senso di continuità e a favorire il rispetto della diversità culturale e della creatività umana;
          è stata istituita un'apposita Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, approvata il 17 ottobre 2003 dalla Conferenza generale dell'UNESCO, entrata in vigore il 30 aprile 2006 e ratificata dall'Italia il 27 settembre 2007 con legge n.  167;
          lo scopo della Convenzione, negoziata tra i 190 Paesi membri dell'UNESCO, è quello di rafforzare e istituzionalizzare il sistema di protezione delle espressioni cosiddette «intangibili»;
          per ciascuno dei vari ambiti delle tradizioni orali e immateriali, l'UNESCO propone programmi specifici di salvaguardia, incoraggiando gli artisti, gli enti pubblici e le associazioni non governative a identificare e promuovere tale ricchezza;
          dal 2013 rientra nel patrimonio culturale immateriale dell'umanità dall'UNESCO anche La Rete delle grandi macchine a spalla italiane, un'associazione – promossa nel 2005 dall'attuale coordinatrice e responsabile Patrizia Nardi – che include quattro feste religiose cattoliche: la Macchina di Santa Rosa di Viterbo, la Festa dei Gigli di Nola, la Varia di Palmi e la Faradda di li Candareri di Sassari;
          la Rete, quindi, fa ora parte della «Representative List of the Intangible Cultural Heritage of Humanity» andando ad aggiungersi alle arti precedentemente incluse nella lista dei capolavori del patrimonio immateriale dell'umanità istituita nel 1999, quali i Liutai di Cremona, l'Opera dei Pupi Siciliani e il Canto a Tenores dei pastori della Sardegna;
          per finanziare programmi, progetti e iniziative, è istituito un Fondo per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale costituito prevalentemente da contributi degli Stati parte – da versarsi almeno ogni due anni –, da fondi stanziati dalla Conferenza generale dell'UNESCO e da altri contributi, donazioni o lasciti;
          la Rete delle grandi macchine a spalla non è solo emblema della spiritualità italiana ma anche una celebrazione capace di coniugare tradizione popolare e coesione sociale;
          al fine di mantenere, migliorare e pubblicizzare questa eccellenza immateriale – anche in qualità di vettore di sviluppo sostenibile a livello mondiale – si rende necessario un più adeguato supporto finanziario;
          la legge n.  77 del 20 febbraio 2006 «Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella “lista del patrimonio mondiale”, posti sotto la tutela dell'UNESCO» include misure di sostegno economico, rivolte però al solo patrimonio materiale dell'umanità;
          il decreto-legge n.  91 del 2013 del 3 ottobre 2013 sui 49 siti italiani patrimonio mondiale UNESCO ha modificato la legge n.  77 del 2006, per poter ampliare gli utilizzi delle risorse anche per progetti generali di «riqualificazione e valorizzazione», superando i precedenti vincoli  –:
          quali ulteriori disposizioni il Ministro interrogato intenda porre in essere affinché rientrino nelle misure di sostegno anche i siti del patrimonio immateriale, come la citata Rete delle grandi macchine a spalla. (4-04429)


      TAGLIALATELA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano La Repubblica del 31 marzo 2014 è comparso un articolo sull'ex direttore generale della società Promuovi Italia, azienda che è controllata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
          tra le notizie contenute nell'articolo, vi è quella relativa all'assunzione nella stessa società di un nipote del dottor Roberto Rocca, dirigente del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo a cui risultano essere affidate proprio le funzioni di controllo sulla suddetta società;
          l'assunzione sarebbe intervenuta quando al vertice della società c'era l'ex direttore generale citato dall'articolo di stampa, rispetto al quale vengono evidenziati anche gli atti illegittimi posti in essere per aumentarne la retribuzione, nonché per effettuare spese non autorizzate, ammontanti a svariate centinaia di migliaia di euro, paventando anche possibili responsabilità dei precedenti amministratori della società;
          il dottor Roberto Rocca ricopre attualmente l'importante incarico ministeriale di direttore generale alle politiche del turismo, ed in tale veste sta seguendo le complesse vicende della società Promuovi Italia, avendo elaborato il testo del nuovo statuto che si intende approvare nei prossimi giorni;
          le nuove norme statutarie, oltre a prevedere la decadenza dell'attuale consiglio di amministrazione, prevederebbero l'obbligatorio ricorso all'arbitrato per risolvere i contenziosi aventi natura economica, con modalità che appaiono tali da evitare all'ex direttore generale della società ed ai precedenti amministratori i rischi derivanti dalle azioni di responsabilità eventualmente poste in essere o che si intendessero avviare, a seguito dei gravissimi fatti emersi nella gestione aziendale degli anni passati;
          l'ENIT, azionista della Società, non si è presentato all'assemblea che si sarebbe dovuta tenere il 31 marzo 2014, così scegliendo di non deliberare l'avvio dell'azione di responsabilità;
          come emerso da documenti della società (relazione tecnica del consulente informatico predisposta nell'ambito delle indagini su accessi abusivi al sistema informatico) il dottor Rocca era perfettamente al corrente degli elevatissimi stipendi del direttore e dei vicedirettori generali di Promuovi Italia, sin dalla metà dello scorso anno, ma pare che non abbia fatto nulla per bloccare le elargizioni indebite e rideterminare l'ammontare delle retribuzioni fuori standard;
          sembrerebbe che l'organo di vigilanza di Promuovi Italia abbia aperto un fascicolo sull'ipotesi di assunzione del nipote del dottor Rocca proprio nell'azienda rispetto alla quale esercita le funzioni di controllo  –:
          se sia informato dei fatti esposti in premessa, se fosse informato della decisione dell'ENIT di non partecipare alla citata assemblea del 31 marzo, e, se del caso quali ne siano stati i motivi;
          quali azioni intenda esercitare nell'ambito dei propri poteri di vigilanza rispetto ai fatti esposti in premessa. (4-04440)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


      BUONANNO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere quali iniziative per quanto di competenza i Ministri interrogati intendano assumere per combattere il lavoro nero degli insegnanti con riferimento alle ripetizioni che avvengono a decine di migliaia ogni anno e che costituiscono una forma di evasione fiscale mentre le famiglie non possono detrarre le spese sostenute tramite la dichiarazione dei redditi. (4-04427)


      RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          gli Istituti di Credito sono aziende a tutti gli effetti che perseguono il profitto e la remunerazione del capitale investito, con bilanci che rispondono alle norme economiche ed impiegando personale dipendente, oltre ad avvalersi di soggetti esterni ad essi collegati;
          le banche di maggiori dimensioni svolgono non solo direttamente ma anche indirettamente una funzione primaria posto che la loro azione economica si riflette sulla vita delle imprese;
          nel corso degli ultimi anni c’è stato un reale restringimento del credito dovuto al notevole aumento delle condizioni praticate nel settore erogazione/affidamenti e con un notevole aumento del differenziale tra tassi attivi e passivi, giustificato dalla necessità degli istituti di credito di far quadrare i loro bilanci squilibrati dalla crisi economica;
          gli istituti di credito proprio in ragione della loro funzione di supporto all'economia nazionale godono di una normativa privilegiata;
          il nuovo piano economico triennale di Unicredit prevede esuberi di personale stimati nell'ordine di quasi seimila persone nel mercato italiano, nonostante lo stesso istituto fosse, fino a poco tempo fa, giudicato «in buona salute»;
          nel corso dei passati anni la Banca d'Italia ha emanato una serie di «normative e disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche» al fine di presidiare il rischio del credito e la natura stessa della attività bancaria;
          Banca d'Italia svolge nei confronti degli Istituti di Credito una funzione di controllo e verifica tesa a prevenire «fenomeni di ingestibilità» dei dati contabili all'interno del bilancio di un Istituto di Credito;
          l’internal audit di ciascuna banca (Unicredit inclusa) è preposto a svolgere un'azione ispettiva, preventiva, e di controllo e verifica del rispetto delle norme della disciplina bancaria, al fine di correggere in itinere tutte quelle posizioni che preludono alla presentazione di bilanci fortemente in perdita;
          l'istituto di credito non può usufruire di fondi pubblici, non essendo appunto un istituto di diritto pubblico ma piuttosto un ente privato che risponde a logiche privatistiche di profitto, e pertanto agevolazioni, facilitazioni fiscali e rivalutazioni dovrebbero costituire l'eccezione e non la regola;
          Unicredit ha recentemente beneficiato della rivalutazione della sua quota di proprietà di Banca d'Italia per un valore pari a 1,5 miliardi, e questo dato è stato registrato nel conto economico del quarto trimestre 2013, alla voce «profitti netti da investimenti»;
          sembrerebbe, infine, che la perdita denunciata da Unicredit per l'anno 2013 sia di gran lunga inferiore rispetto ai dati reali, stimati da alcuni osservatori nell'ordine di grandezza di alcune decine di miliardi  –:
          a quanto sarebbe ammontata la perdita del 2013 senza la rivalutazione della quota di Banca d'Italia che Unicredit ha recentemente ricevuto;
          se il Governo conosca quale sarebbe il piano degli esuberi di personale diviso per anno dal 2014 incluso fino a tutto il 2018;
          se tale piano di esuberi sia confermato e se lo stesso possa essere compatibile con le dichiarazioni del Consiglio di amministrazione dell'istituto secondo le quali a fine 2014 ci sarebbe un utile consistente, e, inoltre, se esso sarà realizzato solo attraverso la riduzione della forza lavoro, totalmente estranea alla negativa gestione della banca, o se invece si intenda svolgere anche un'azione di verifica e controllo nelle funzioni apicali, dirigenziali e di governance della banca. (4-04434)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


      PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          si è svolta nei giorni scorsi nei locali della scuola di formazione professionale del personale penitenziario di Monastir (Sardegna) una visita del prefetto di Cagliari con lo scopo di adibire quella struttura a centro di prima accoglienza di immigrati clandestini ponendo di fatto fine all'attività formativa con la chiusura del centro;
          l'increscioso ennesimo atto di chiusura è stato denunciato dal sindacato Ugl penitenziari attraverso il suo segretario regionale Alessandro Cara;
          chiudere la scuola di formazione professionale del personale penitenziario costituirebbe l'ennesimo attacco del Ministero della giustizia all'apparato penitenziario della Sardegna;
          tale decisione di fatto scellerata sarebbe ulteriormente aggravata dall'ipotesi di trasferire in quei locali il centro di prima accoglienza degli immigrati clandestini;
          si tratterebbe di una decisione che segnerebbe ancor di più l'atteggiamento negativo del dipartimento per l'amministrazione penitenziaria verso la Sardegna;
          si configurerebbe di fatto un atto palesemente contrario alla buona condotta della formazione professionale nei confronti del personale penitenziario che vedrebbe cancellata una struttura di primo livello che da sempre è la fucina degli agenti e del personale addetto alla sicurezza delle carceri;
          si tratta – secondo il sindacato Ugl – dell'ennesimo tentativo di colpire i servizi e le strutture carcerarie della Sardegna puntando questa volta al cuore della formazione professionale vero valore aggiunto in un sistema carcerario debole sul piano delle carenze d'organico e difficile da gestire;
          la visita alla struttura del prefetto di Cagliari per la dislocazione nella struttura formativa di Monastir del Centro di prima accoglienza di Elmas costituisce per l'interrogante l'ennesimo e ulteriore tentativo da parte del DPA di indebolire la struttura carceraria e formativa ai danni dei sardi e dei dipendenti dell'amministrazione penitenziaria, sia del Corpo di polizia penitenziaria che del Comparto Ministeri;
          è una chiusura che non può essere tollerata;
          la struttura formativa è un simbolo per il Corpo e per l'amministrazione di vitale importanza per tutto il comparto;
          alla nefasta decisione di chiudere gli Istituti di Iglesias e Macomer, nonostante le poco credibili smentite, si aggiunge la chiusura della scuola di Monastir, decisione che coinciderebbe con la fine dell'aggiornamento professionale di tutti i dipendenti dell'amministrazione penitenziaria in Sardegna e non solo;
          all'interno della stessa struttura è presente l'unico poligono di tiro chiuso di tutta la Sardegna, perfettamente funzionante e operativo della regione, che permette il regolare addestramento di tutti i poliziotti penitenziari della Sardegna;
          a questo si aggiunge l'impegno economico che il Ministero della giustizia ha affrontato per ristrutturare la struttura negli ultimi anni. Denaro sprecato di cui qualcuno dovrà obbligatoriamente rispondere;
          la possibilità, poi, che la struttura serva ad ospitare i clandestini sbarcati in Italia rende ancor più chiaro il disegno del Ministero di cancellare un servizio importantissimo sull'onda emozionale ed emergenziale legato al preventivato ulteriore sbarco di clandestini sulle coste italiane;
          il dissenso a questo progetto di chiusura manifestato dall'Ugl Sardegna e non solo è la conferma dell'importanza della formazione professionale per gli agenti perché costituisce un punto di aggiornamento formativo fondamentale per tutto il personale che opera in Sardegna, personale che altrimenti si vedrebbe precluso il possibile miglioramento professionale se non attraverso estenuanti e costosissimi spostamenti nel continente;
          con la trasformazione della scuola in struttura per ospitare i rifugiati anche di tipo politico, attualmente accolti in altre strutture insulari, non solo non si abbatterebbero i costi ma si genererebbe un aumento degli oneri di gestione della stessa struttura;
          il ricorso frenetico al risparmio non può essere utilizzato ovunque e indistintamente soprattutto quando vi è in gioco la formazione di un corpo, che per la delicatezza del comparto, avrebbe richiesto ben altro tipo di attenzione;
          con questa scellerata azione si mette a repentaglio l'esigenza di mantenere vivo un patrimonio strutturale e formativo che ha segnato negli anni il progresso formativo raggiunto dalla polizia penitenziaria  –:
          se non ritenga di dover scongiurare in tutti i modi la chiusura della scuola di formazione del personale penitenziario di Monastir;
          se non ritenga di dover evitare che la Sardegna per via della condizione insulare debba affrontare l'ennesima cancellazione di un servizio, in questo caso formativo, che costituirebbe un aggravio non solo finanziario per l'amministrazione statale;
          se non ritenga di dover predisporre un piano di rilancio della stessa struttura formativa di Monastir e scongiurare la trasformazione della stessa in un centro di prima accoglienza per clandestini;
          se non ritenga di dover coinvolgere i sindacati e le autorità locali nelle scelte che riguardano la struttura formativa di Monastir. (4-04424)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      SCUVERA e FERRARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          i ponti della provincia di Pavia che collegano l'Oltrepò, Pavia e Milano versano in condizioni tali da compromettere la corretta viabilità e necessitano di una manutenzione straordinaria;
          tale situazione è particolarmente grave con riferimento al ponte della Becca, attualmente chiuso al traffico pesante per ragioni di sicurezza, con conseguenti disagi per la popolazione ed evidenti danni all'economia locale, per il rallentamento dei traffici;
          la provincia di Pavia, al fine di limitare i disagi degli utilizzatori dei mezzi del trasporto pubblico per l'attraversamento del Po e ora costretti ad utilizzare il treno in alternativa all'autobus, si fa carico in alcuni casi di far fronte al problema valutando un sistema di rimborsi da erogare ai cittadini, in attesa di una risposta concreta dalla regione e dallo Stato;
          un collegamento funzionale ed efficace tra l'Oltrepò, Pavia e Milano è prioritario per il territorio pavese e per la regione tutta, sia sotto il profilo viabilistico che sotto quello economico;
          il completo ripristino della viabilità nel territorio pavese deve passare necessariamente per la manutenzione straordinaria di ponti e viadotti e per la costruzione di un nuovo ponte sul fiume Po, dal momento che quello della Becca versa in condizioni strutturali che ne impediscono una ristrutturazione efficace e definitiva;
          i fondi destinati al recupero della viabilità nella provincia pavese non sono sufficienti a coprire le spese per le succitate opere infrastrutturali, mentre per l'opera autostradale Broni-Mortara, osteggiata dalla popolazione e dalle amministrazioni locali, nonché a parere di vari esperti inutile e dannosa, si preventivano importanti investimenti  –:
          quali iniziative il Governo per quanto di proprie competenze abbia messo o abbia in programma di mettere in atto per riqualificare il sistema infrastrutturale pavese, far si che la viabilità sul fiume Po venga ripristinata in modo completo, efficace e definitivo e che la sicurezza dei cittadini che percorrono i ponti di collegamento tra l'Oltrepò, Pavia e Milano venga salvaguardata. (5-02598)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


      COZZOLINO e DA VILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 8 aprile 2014 presso gli uffici della questura di Marghera nella città di Venezia 25 profughi di nazionalità straniera si sono resi irreperibili dopo essere fuggiti dal pullman che, dalla Sicilia ha trasportato a Venezia un totale di 40 migranti. Fuga avvenuta nel momento in cui stavano per entrare nella questura di Marghera;
          i 40 profughi erano stati trasferiti dalla Sicilia per essere ospitati in parte a Mestre e in parte nel comune di Mira. Il trasferimento, a quanto dichiarato dai rappresentanti delle amministrazioni comunali di Venezia e di Mira è stato contrassegnato da gravi carenze di natura organizzativa e comunicativa da parte degli uffici preposti del Ministero dell'interno. L'arrivo dei profughi da ospitare è stato comunicato ufficialmente ai comuni di Venezia e Mira solo a poche ore dall'arrivo del pullman che li trasportava;
          in particolare per quanto riguarda il Comune di Mira, la prefettura nei mesi precedenti aveva chiesto ai comuni della Riviera del Brenta chi fosse disponibile ad ospitare i migranti da trasferire. Poiché nessuna delle amministrazioni comunali ha dato la propria disponibilità, la prefettura ha scavalcato le amministrazioni stesse rivolgendosi direttamente alle cooperative che si occupano di accoglienza, tra le quali ha dato la propria disponibilità la cooperativa Città Solare che gestisce l'ostello in località Giare;
          oltre che nel rapporto con le amministrazioni interessate le carenze organizzative relative al trasferimento dei 40 profughi sembrano emergere anche dal fatto che soli due agenti di polizia erano stati destinati alla scorta e controllo dei migranti trasportati, senza che fosse stato organizzato alcun dispositivo coordinato di tutela in grado di far fronte ad eventuali emergenze, come è poi stato dimostrato dalla fuga e dall'irreperibilità di ben 25 persone;
          per quanto riguarda Mira, in serata non era ancora stata comunicata la provenienza precisa dei profughi in modo tale da poter richiedere un mediatore, ne si sapeva se erano presenti donne e bambini;
          l'episodio, oltre che preoccupante per le lacune che sembrano emergere sul fronte organizzativo da parte delle strutture preposte del Ministero dell'interno, rischia fortemente di mettere a rischio la sicurezza della popolazione residente dal momento che sono a piede libero ben venticinque persone non identificate e senza alcun permesso di soggiorno  –:
          quali misure intenda adottare il Ministro interrogato al fine di chiarire la dinamica della sconcertante vicenda ed accertare le eventuali responsabilità al fine di adottare adeguati provvedimenti. (3-00758)

Interrogazione a risposta scritta:


      GIANCARLO GIORGETTI, PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI, MARCOLIN, CAON, BUSIN, ALLASIA, BORGHESI, BOSSI, BUONANNO, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI e RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 6 aprile 2014 si è svolta a Verona, al cospetto di diverse migliaia di persone, una pacifica manifestazione di solidarietà ai cittadini recentemente raggiunti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria in relazione a presunti reati commessi contro l'unità dello Stato;
          la manifestazione era stata promossa dalla Lega Nord in un importante luogo scaligero, Piazza dei Signori, in prossimità della prefettura, palazzo che dispone di tre aste destinate, rispettivamente, alle bandiere dell'Unione europea, della Repubblica italiana e del Veneto;
          il vessillo del Veneto, al contrario di quelli italiano ed europeo, non risultava al suo posto negli orari in cui ha avuto luogo la manifestazione, circostanza che è stata stigmatizzata da numerosi rappresentanti delle istituzioni presenti, incluso il presidente della regione, Luca Zaia  –:
          se il Governo sia o meno a conoscenza dei fatti generalizzati nella premessa ed in particolare, delle ragioni che hanno indotto la Prefettura a non esporre il vessillo del Veneto nel pomeriggio del 6 aprile 2014, mentre aveva luogo la manifestazione di solidarietà nei confronti di coloro che sono stati arrestati in ragione delle proprie convinzioni personali in materia di autonomia ed indipendenza dei territori veneti;
          se si ritenga politicamente ed istituzionalmente opportuna la scelta fatta e non si giudichi necessario garantire l'applicazione rigorosa da parte delle prefetture delle circolari amministrative che disciplinano l'esposizione delle bandiere sui palazzi pubblici. (4-04433)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GHIZZONI e LENZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 29, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n.  240, ha posto ad esaurimento il ruolo dei ricercatori universitari e ne ha sostituito la figura con quella dei ricercatori a tempo determinato introdotta dall'articolo 24 della medesima legge;
          i ricercatori a tempo determinato sono assunti dalle università per compiti di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti;
          i ricercatori a tempo determinato assunti ai sensi della lettera b) del comma 3 del citato articolo 24, che abbiano conseguito l'abilitazione scientifica nazionale, possono, al termine del contratto, essere inquadrati direttamente come professori associati, previa valutazione positiva della loro attività da parte dell'ateneo di appartenenza (meccanismo di tenure-track);
          per il personale universitario di discipline cliniche l'attività didattica e di ricerca è sempre inscindibile dall'attività assistenziale, in quanto è impossibile, e sarebbe anche controproducente, insegnare discipline cliniche o effettuare ricerche in campo clinico senza un adeguato accesso alle attività assistenziali;
          del resto l'inscindibilità tra attività didattiche e di ricerca e attività assistenziali è affermata da sempre nelle norme di legge sullo stato giuridico del personale docente e ricercatore universitario di materie cliniche: si vedano ad esempio l'articolo 2, comma 2, lettera c), della legge 30 dicembre 2010, n.  240, e l'articolo 1, comma 2, della legge 4 novembre 2005, n.  230;
          l'articolo 6 della stessa legge 240 del 2010 sopra citata, che ha riformato lo stato giuridico dei docenti universitari, stabilisce al comma 13 che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministero della salute, predispone, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge, lo schema-tipo delle convenzioni al quale devono attenersi le università e le regioni per regolare i rapporti in materia di attività sanitarie svolte per conto del Servizio sanitario nazionale;
          risulta all'interrogante che, almeno in alcune università tra cui quella di Roma “Sapienza”, ai ricercatori a tempo determinato di discipline cliniche, non sia permesso svolgere alcuna attività assistenziale, con grave nocumento per la loro attività didattica e di ricerca e, in prospettiva, per la loro carriera universitaria, oltre che della loro situazione stipendiale, ciò in quanto la figura di ricercatore a tempo determinato non è prevista nell'attuale convenzione che regola i rapporti dell'ateneo con l'azienda policlinico “Umberto I” di riferimento;
          appare paradossale che presso le aziende ospedaliere universitarie possa prestare servizio assistenziale personale medico assunto con contratto di collaborazione coordinata e continuativa o a progetto ma non il personale ricercatore universitario a tempo determinato, addirittura in tenure-track, il quale, tra l'altro, avrebbe un costo minore per l'azienda ospedaliera;
          la mancata indicazione nell'articolo 24 della legge 240 del 2010 dell'inscindibilità dell'attività didattica e di ricerca del ricercatore a tempo determinato di discipline cliniche dalla corrispondente attività assistenziale sembra essere più un'involontaria omissione legislativa che una voluta scelta normativa  –:
          quale sia la situazione nelle università italiane dell'attività assistenziale prestata dai ricercatori a tempo determinato di discipline cliniche;
          quale sia la situazione delle convenzioni di cui all'articolo 6, comma 13, della legge 30 dicembre 2010, n.  240;
          se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere urgentemente iniziative per chiarire la situazione e, se necessario, per apportare quelle modifiche normative che ripristinino il diritto dei ricercatori universitari a tempo determinato di discipline cliniche a prestare l'attività assistenziale necessaria per lo svolgimento delle proprie attività didattiche e di ricerca. (5-02595)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la legge 28 giugno 2012, n.  92, recante «interventi in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita», ha introdotto, all'articolo 4, commi da 1 a 7-ter, alcune disposizioni volte a facilitare l'uscita anticipata di lavoratori vicini al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento;
          il comma 1 dell'articolo dispone che nei casi di eccedenza di personale, accordi tra datori di lavoro che impieghino mediamente più di quindici dipendenti e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello aziendale possono prevedere che, al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori più anziani, il datore di lavoro si impegni a corrispondere ai lavoratori una prestazione di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti, ed a corrispondere all'INPS la contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento. La stessa prestazione può essere oggetto di accordi sindacali nell'ambito di procedure ex articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n.  223, ovvero nell'ambito di processi di riduzione di personale dirigente conclusi con accordo firmato da associazione sindacale stipulante il contratto collettivo di lavoro della categoria;
          il comma 2 stabilisce che i lavoratori interessati debbono raggiungere i requisiti minimi per il pensionamento, di vecchiaia o anticipato, nei quattro anni successivi alla cessazione dal rapporto di lavoro;
          la circolare n.  24 del 19 giugno 2013 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con riferimento alle gestioni pensionistiche interessate dalla norma, ne individua la riferibilità ai soggetti le cui prestazioni pensionistiche debbano essere liquidate a carico di qualsiasi gestione dell'Inps, ivi comprese quelle confluite in Inps a seguito della incorporazione di Inpdap ed Enpals di cui all'articolo 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito con modificazioni in legge 22 dicembre 2011, n.  214;
          successivamente, la circolare Inps n.  119 del 1o agosto 2013, ha definito le modalità di attuazione della norma, specificando che l'illustrazione riguarda esclusivamente i soggetti i cui trattamenti di pensione debbano essere liquidati a carico delle gestioni pensionistiche dell'INPS, con esclusione delle gestioni ex Inpdap ed ex Enpals, confluite recentemente in INPS, per le quali si fa riserva di successive indicazioni;
          l'assenza di indicazioni, da parte dell'Inps, relative alle modalità di applicazione delle norme in oggetto per le gestioni dei dipendenti pubblici e dei lavoratori dello spettacolo e dello sport professionistico, pone gli interessati in gravi difficoltà, poiché non consente loro di beneficiare di disposizioni che, soprattutto nell'attuale contesto economico e sociale, garantirebbero una sicurezza economica altrimenti minacciata dal protrarsi della crisi;
          si segnala, più specificamente, la condizione di disagio in cui versano i dipendenti delle emittenti televisive e radiofoniche – provocata dal crollo del mercato pubblicitario e dalle operazioni di ammodernamento tecnologico compiute dalle aziende a seguito del passaggio al digitale terrestre – sottoposti ovunque a procedure di riduzione di personale;
          l'interrogante ritiene indispensabile un intervento governativo finalizzato a sanare questa lacuna  –:
          quali urgenti iniziative intenda adottare per garantire l'immediata emanazione da parte dell'Inps delle modalità di attuazione delle norme di cui in premessa per le gestioni ex Inpdap ed ex Enpals, al fine di evitare un pregiudizio dei diritti dei dipendenti pubblici e dei lavoratori dello spettacolo e dello sport professionistico.
(5-02605)


      FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la società Pollina Auto srl di Trapani ha avuto notificato in data 15 marzo 2013 n.  5 provvedimenti di reiezione delle domande di «CIGO Res Reiezione domanda di integrazione salariale 07/03/2013»;
          la Pollina Auto srl ha presentato cinque domande di cassa integrazione ordinaria: la prima in data 24/11/2011 (periodo richiesto dal 26/09/2011 al 24/12/2011), la seconda il 23/01/2012 (periodo dal 26/12/2011 al 24/03/2012), la terza il 20/04/2012 (periodo dal 26/03/2012 al 23/06/2012), la quarta il 21/07/2012 (periodo dal 25/06/2012 al 22/09/2012) e l'ultima il 20/10/2012 (periodo dal 24/09/2012 al 22/12/2012);
          tutte le domande sono state respinte con la seguente motivazione: «in base alle risultanze ispettive e in base alle risultanze degli atti in possesso di questa sede, la situazione lavorativa denunciata e il fatturato dell'azienda non sono tali da giustificare il ricorso alla cig»;
          le domande non sono state esaminate nei periodi di presentazione, in quanto inoltrate alla commissione dopo circa due anni, ma sono state oggetto di segnalazione all'ufficio ispettivo. Il 14 giugno 2012 è stato effettuato l'accesso e l'11 dicembre 2012 è stato redatto un verbale unico di accertamento, notificato il 24 dicembre 2012;
          in questo verbale di accertamento è riportata la seguente motivazione: «A conclusione di tale verifica ...omississ..., per il periodo esaminato non sono state riscontrate omissioni contributive, per cui non si procede alla rilevazioni di addebiti. Tuttavia, si evidenzia il fatto che la società ha presentato diverse domande di cig, indicando sistematicamente l'impiego “a zero ore” dei propri dipendenti di ognuno dei periodi richiesti negli anni 2009, 2011 e 2012. Dall'esame della documentazione esaminata risulta invece un impiego ridotto di tutto il personale dipendente, occupato nei due settori mediamente 10/12 ore settimanali. Pertanto, si invita la Società a richiedere in futuro le sole ore di cig effettivamente utilizzabili, al fine di evitare discrepanze tra le ore concesse e le ore conguagliate, con l'accoglimento di una quantità di ore delle quali comunque non potrà beneficiare»;
          il 2 aprile del 2013 il legale rappresentante della società verificata la motivazione di reiezione delle domande respinte, non confacenti e non indicate nel verbale di accertamento, presentava istanza di accesso ai documenti amministrativi, in base alla legge n.  241 del 1990, con la seguente motivazione: «provvedimento di reiezione cassa integrazione industria ...omissis... relazione ispettiva, affinché fosse stato possibile verificare le esatte motivazioni riportate nella predetta relazione, per come indicato nella reiezione della cigo.»;
          la direzione provinciale di Trapani a firma del direttore Vicario, in data 24 aprile 2013, rispondeva scrivendo «si formula la presente per specificare quanto segue. In allegato alla presente si produce copia del provvedimento di reiezione della domanda di cassa integrazione ordinaria della Pollina Auto srl del 15 febbraio 2013 così come da voi richiesto con istanza del 24 aprile 2013. Si specifica inoltre che se il secondo documento da voi genericamente indicato come “relazione ispettiva” debba essere inteso come il verbale ispettivo dell'11 novembre 2012, se ne produce ulteriore copia. Tanto si doveva.»;
          rimane quindi di difficile interpretazione la motivazione per cui la Commissione CIGO ha deciso di respingere le domande;
          la motivazione che ha indotto la società a richiedere la cassa integrazione ordinaria, industria, è dovuta dal conto economico dell'officina che ha risentito in maniera inequivocabile della situazione complessiva della concessionaria. Nel verbale sottoscritto dall'azienda e dall'organizzazione sindacale, non si è fatto alcun riferimento al fatturato specifico dell'officina, ma solo l'indicazione della percentuale di riduzione delle vendite della concessionaria. Gli importi sono stati elencati in una nota trasmessa separatamente con l'indicazione dei fatturati mensili dell'officina degli anni 2009/2010/2011 e dal 1o gennaio 2012 al 30 aprile 2012. Gli importi riportati indicano un fatturato costante, senza che però vengono evidenziati gli importi relativi ai costi dell'officina. È necessario precisare che una delle condizioni del contratto di concessione sottoscritto con le case automobilistiche, di cui la Pollina Auto è concessionaria, impongono che i lavori effettuati in garanzia, sono a totale carico della concessionaria, ad eccezione del costo dei ricambi che invece vengono fatturati alla casa madre, dalla concessionaria, al costo di listino senza ricarico di alcuna percentuale di utile;
          il comparto delle concessionarie ha subito nell'ultimo triennio una caduta di vendita di autoveicoli, per come risulta dai dati ufficiali forniti dalla motorizzazione nazionale. La crisi finanziaria che attanaglia il Paese costringe l'utenza ad utilizzare le officine il minimo indispensabile e per interventi strettamente necessari. Inoltre bisogna precisare che le officine che sono al servizio delle concessionarie hanno l'obbligo di effettuare tagliandi e riparazioni in garanzia addebitando il costo alla casa madre, senza ricarico alcuno. Il mantenere gli stessi fatturati nel periodo in cui è stata richiesta la cassa integrazione ordinaria, come valore da solo non è significativo per una valutazione del conto economico;
          c’è da precisare che nel verbale di accertamento gli ispettori hanno invitato l'azienda, per il futuro a non richiedere cassa integrazione a zero ore quando invece sarebbe stata utilizzata solo per alcune ore la settimana per singolo soggetto. Non si ritiene che l'aver anticipato cassa integrazione per un numero di ore inferiore rispetto alla domanda, possa essere un fatto delittuoso ma possa essere invece considerato, a giudizio dell'interrogante, un fatto di assoluta correttezza, per quelle che sono state le difficoltà che nel periodo l'azienda stava affrontando, evitando di licenziare del personale, mantenendo quindi i livelli occupazionali, in dispregio di quello che è invece l'andamento delle aziende del settore che chiudono o riducono drasticamente il personale per evitare situazioni di crollo del proprio conto economico;
          le concessionarie hanno, da sempre, sostenuto le officine e le perdite, sono state assorbite dagli utili della parte commerciale, ammortamento che oggi non può più essere sostenuto in quanto anche le vendite hanno decisamente avuto un calo per come risulta dai dati forniti nel corso dell'accertamento di cui sopra e dalle statistiche nazionali. La crisi che ha attanagliato la vendita delle vetture ha indotto il ricorso alla cassa integrazione per i collaboratori dell'officina limitando al minimo l'attività, che in una prima valutazione aveva indotto a richiedere la cassa integrazione a zero ora ritenendo indispensabile chiudere l'attività stessa e chiedere alla casa madre la rinuncia al mandato dell'officina;
          ciò non è stato possibile averlo accolto per quanto previsto dal contratto di concessione della Pollina Auto, avendo avuto un diniego di anticipazione della scadenza. Sarebbe stato possibile farlo solo al momento della scadenza del contratto di concessione. In considerazione di ciò, in un primo periodo l'azienda ha cercato di ridurre parzialmente l'intervento della CIGO, successivamente e più esattamente dal 1o agosto 2012 il responsabile dell'officina è stato posto in CIGO in sospensione riducendo al restante personale le ore di lavoro, cercando di ridurre al minimo il costo della mano d'opera e limitando l'attività dell'officina al minimo indispensabile;
          le disposizioni che regolano l'intervento della cassa integrazione ordinaria precisano che le valutazioni che debbono essere alla base della richiesta vanno effettuate al momento della domanda, come fatto dalla Pollina Auto, ed eventualmente debbono essere modificate qualora si presentino condizioni diverse nel corso della richiesta. Le disposizioni impartite dall'istituto sono state, a giudizio dell'interrogante, seguite con molta attenzione senza volere mai strumentalizzare il momento di crisi che il settore sta vivendo, ma cercando di utilizzare lo strumento degli ammortizzatori sociali al minimo necessario per le difficoltà riscontrate nel corso del tempo;
          il 22 maggio 2013, la Pollina Auto presenta un ricorso al Comitato amministratore della gestione per le prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, ricorso che viene, a giudizio dell'odierno interrogante, respinto il 16 ottobre in maniera sconsiderata e senza tenere in alcun conto le conseguenze nei riguardi dell'azienda e dei lavoratori impiegati;
          a giudizio dell'interrogante vi sono alcuni gravi elementi che l'istituto non ha valutato correttamente e che fanno sorgere fondati sospetti sulla bontà dell'operato degli ispettori di vigilanza della sede provinciale di Trapani;
          in buona sostanza, la realtà è che la società è in grave crisi economica: bilanci in perdita, attività in calo e mancanza di nuovo fatturato e se si aggiunge anche la condotta degli organi e degli uffici dello Stato i danni sono evidenti;
          quanto riferito sopra comporta, di fatto, la chiusura dell'attività ed il licenziamento di quasi 10 lavoratori in una realtà depressa come quella della provincia di Trapani. La multa di 50 mila euro, poi, diventa la beffa di uno Stato che, anziché, dedicarsi alla crescita economica del proprio popolo lo «insegue» fino alle estreme conseguenze –:
          quali provvedimenti intende adottare il ministro interrogato nei riguardi dell'istituto nazionale della previdenza sociale, nello specifico per la sede provinciale di Trapani, per risolvere le problematiche esposte in premessa. (5-02606)

Interrogazioni a risposta scritta:


      NACCARATO, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 7 aprile 2014, i lavoratori della ditta Asfalti Piovese srl, con sede a Brugine, in provincia di Padova, hanno dato vita ad una manifestazione di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulla strada provinciale che collega Padova a Piove di Sacco, chiedendo di conoscere le scelte dell'azienda circa il futuro dei loro posti di lavoro;
          erano presenti i sindacati di categoria FILCA CISL e FILLEA CGIL, oltre ai Sindaci di Piove di Sacco e di Sant'Angelo di Piove di Sacco;
          la ditta è di proprietà del Gruppo Montesel, in particolare della società Ghiaia di Colfosco spa, con sede a Treviso e opera da decenni nel settore edile e nella produzione di bitume, calcestruzzi e malte nella nostra provincia e in tutto il Nord Est occupando cinquantadue lavoratori;
          lo scorso ottobre la proprietà ha presentato richiesta di concordato preventivo in continuità senza avvertire le organizzazioni dei lavoratori;
          nel gennaio di quest'anno è stata avviata la cassa integrazione straordinaria di 12 mesi attraverso la quale l'azienda ha messo in cassa circa una quarantina di dipendenti;
          il 18 marzo 2014 l'azienda ha depositato il concordato preventivo in continuità presso il tribunale di Treviso;
          le organizzazioni sindacali hanno richiesto da oltre 15 giorni un incontro per conoscere la volontà della proprietà circa il futuro dell'azienda;
          nel frattempo proprio ieri è giunta la notizia della disponibilità dell'amministrazione provinciale ad insediare un tavolo di trattativa presso la provincia di Padova;
          il prolungato silenzio dei vertici dell'azienda ha destato sconcerto e preoccupazione nei lavoratori e nel territorio, facendo temere per le sorti della società che, sino ad oggi, non ha risposto ai ripetuti appelli dei sindacati per conoscere le reali condizioni economiche e le eventuali volontà di cessione della stessa azienda;
          il territorio della provincia padovana è già stato colpito duramente dalla crisi economica e sta subendo in questi ultimi anni un progressivo calo delle attività produttive e industriali;
          accanto alla Asfalti Piovese, anche la Kerakoll di Piove di Sacco è da tempo in crisi, così come decine di piccole imprese dell'indotto che costituiscono il tessuto produttivo della zona e coinvolgono oltre 120 famiglie  –:
          se il Ministro sia al corrente dei fatti fin qui esposti;
          in che modo il Ministro intenda adoperarsi per prevenire la chiusura di aziende storiche del Piovese e per salvaguardare i posti di lavoro evitando il rischio di assistere alla desertificazione industriale di questo territorio della provincia di Padova. (4-04430)


      BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          secondo notizie riportate nell'edizione del giornale «Il Fatto Quotidiano» del 7 aprile 2014, l'INPDAP, avrebbe pagato degli importi «extra» ai propri dipendenti per perizie effettuate durante le pratiche per la concessione di mutui;
          dal suddetto articolo si apprende che architetti, geometri, ingegneri, svolgevano perizie tecniche per la concessione di mutui agli iscritti, ricevendo un compenso extra di circa 300 euro, che figuravano poi come «risarcimento»;
          dal suddetto articolo appare inoltre che la procedura indicata sarebbe stata prevista esplicitamente nel regolamento approvato nel 2010 dall'allora commissario straordinario dell'ente, denotando quindi che ai vertici dell'ente e all'interno del collegio sindacale erano a conoscenza di questa procedura anomala;
          dalle notizie emerse sembrerebbe quindi che tali somme erogate a titolo di «risarcimento», non fossero conformi alla normativa vigente sia sotto il profilo legittimità che sotto il profilo fiscale;
          come appare ragionevole pensare, non dovrebbero essere riconosciute retribuzioni aggiuntive per prestazioni che «rientrano nelle competenze dell'ufficio ricoperto»  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
          se il Ministro interrogato intenda porre in essere iniziative volte a verificare la sussistenza di irregolarità sulla base di quanto denunciato in premessa;
          se il Ministro interrogato intenda porre in essere iniziative volte a verificare le eventuali inadempienze dei relativi organi di vigilanza e di tutti i soggetti coinvolti. (4-04432)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      ANZALDI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          l'impiego di risorse comunitarie per l'avvio di progetti di promozione del vino sui mercati internazionali presenta luci e ombre;
          si tratta di una misura che ha preso il via nel 2009 con un budget di 5 milioni e mezzo di euro e si è arrivati a quota 102 milioni;
          apprendiamo dagli organi di stampa che il Ministero ha annunciato di aver già esaurito il plafond di risorse nazionali per gli anni 2014-2016;
          tra il 2009 e il 2013 sono stati utilizzati oltre 227 milioni di euro di risorse Unione europea;
          con la recente riforma dell'Organizzazione comune di mercato unica i fondi promozione che prima erano destinati a investimenti nei soli paesi extra Ue, ora potranno essere utilizzati anche in Europa, ma con precise limitazioni, in quanto i progetti all'interno della Ue potranno riguardare la sola promozione delle denominazioni d'origine o il consumo consapevole di vino e non potranno in alcun modo coinvolgere, a differenza dei progetti extra-Unione europea, i brand aziendali;
          l'esaurimento delle risorse del plafond nazionale non esclude che iniziative di promozione possano essere poste in essere dalle regioni;
          questo però è uno degli aspetti più complessi delle politiche di promozione del vino;
          è già previsto che il budget di fondi Unione europea venga utilizzato solo per un terzo dal Ministero per piani di promozione di profilo nazionale mentre per due terzi i fondi restano in capo alle regioni;
          questa ripartizione di fatto, anche a detta di molti produttori importanti, non ha favorito la veicolazione di un messaggio unitario sui mercati emergenti e più grandi come ad esempio la Cina in merito alla promozione del vino italiano;
          spesso ogni regione ha finito per giocare in proprio e di porsi in concorrenza con altri produttori e case vinicole italiane;
          diventa quindi prioritaria una nuova strategia di fronte alle sfide del mercato e della promozione del vino made in Italy di qualità che affidi al Ministero una regia unica sui mercati mondiali per i quali vale molto di più una immagine di sistema del settore italiano e diversificare l'offerta delle regioni concentrandola sul mercato interno sia nazionale che comunitario;
          andrebbe compreso qual è stato fino ad oggi il rapporto tra risorse investite e obiettivi conseguiti attraverso una analisi dettagliata dei progetti finanziati e ambiti di mercato conquistati dai vini italiani che sicuramente sarà a disposizione del Ministero delle politiche agricole  –:
          in considerazione dell'esaurimento del budget a disposizione delle politiche di promozione nazionale, se e quali iniziative il Governo, anche alla luce degli errori precedenti, intenda intraprendere per modificare l'attuale criterio di ripartizione delle risorse, per promuovere le prossime campagne di comunicazione, per razionalizzare ed evitare sovrapposizioni inutili e costose, privilegiando una indispensabile regia unica di promozione per uno dei settori chiave del made in Italy di qualità anche in relazione alla prossimità dell'evento espositivo mondiale Expo 2015. (5-02599)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


      BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la normativa statale di cui alla legge 9 gennaio 1989, n.  13 «Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati», e successive modifiche ed integrazioni prevede contributi da erogare ai soggetti disabili per l'eliminazione delle barriere architettoniche nelle abitazioni private;
          detti contributi sono finalizzati ad eliminare gli ostacoli sia afferenti all'accesso che alla fruibilità degli immobili, compresa la cosiddetta domotica cioè l'adozione di misure per adattare la casa alle necessità dei diversamente abili (ad esempio alza tapparelle elettrici, accessione luce mediante fotocellule, e altro);
          la condizione richiesta per l'erogazione è che i lavori non siano ancora iniziati;
          la competenza all'assegnazione delle somme è stata delegata alle regioni, che hanno poi incaricato dell'istruttoria i comuni, ai quali verranno trasmessi i proventi destinati agli aventi diritto;
          nella fattispecie il comune di Crescentino in Piemonte non ha erogato alcunché, in quanto, a suo dire, non aveva ricevuto fondi dalla regione Piemonte, che a quanto consta agli interroganti, avrebbe confermato la circostanza  –:
          considerato che detti fondi agli enti regionali vengono trasferiti dallo Stato tramite il Ministero della salute e sono strettamente vincolati e non distraibili, quanto abbia erogato per il biennio 2012- 2013 per tali scopi lo Stato alla regione Piemonte. (4-04439)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      OLIVERIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  134, ha novellato la normativa relativa alle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare e, in particolare, il regime autorizzatorio connesso alle medesime attività;
          il nuovo articolo 35 fissa un'unica e più rigida fascia per l'estrazione dell'olio e del gas, pari ad un'estensione di dodici miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione;
          rimane immutato il divieto di tali attività all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette sulla base di norme nazionali, comunitarie e internazionali;
          l'estrazione di petrolio è un processo altamente inquinante, in particolar modo nei pozzi petroliferi off-shore si usano dei fanghi del tipo SBM (synthetic based mud) costituiti da oli sintetici con un certo grado di tossicità, fluidi difficili e costosi da smaltire;
          a fronte di tali gravi rischi per l'ambiente marino, secondo alcuni studi il petrolio presente nei fondai italiani, oltre ad essere esiguo, sarebbe anche ricco di impurità, oltre ad essere di difficile estrazione;
          la società Enel Longanesi Developments s.r.l. ha ripresentato, il 24 febbraio 2014, l'istanza per il permesso di ricerca denominato «d 92 F.R-.EN», localizzato nel Golfo di Taranto ed esteso lungo le coste calabro-lucane del Mar Jonio;
          all'istanza, pubblicata sul Bollettino ufficiale idrocarburi e geotermia del mese di marzo 2014, si erano già opposte alcune associazioni ambientaliste nel settembre 2013, presentando le proprie osservazioni;
          la riproposizione della nuova istanza sarebbe conseguente al decreto di riperimetrazione delle aree offshore attuato dal Ministro dello sviluppo economico pro tempore Flavio Zanonato;
          le ricerche della società ENEL Longanesi prevedono prospezioni sismiche con la tecnica dell'Airgun, nonché la possibile perforazione di pozzi di idrocarburi a 12 miglia nautiche dalla costa Jonica, così come dichiarato nello studio d'impatto ambientale;
          il progetto dell'Enel Longanesi non è una semplice prospezione geologica, ma è un punto di partenza per una vera proposta di perforazione del Mar Jonio – Golfo di Taranto;
          se l'istanza sarà approvata, i pozzi potrebbero deturpare una delle zone più caratteristiche del Mar Jonio per almeno 20 o 30 anni con gravi implicazioni per la flora e la fauna marina, e il rischio di distruggere vocazioni turistiche, ambientali, paesaggistiche e della pesca;
          la costa jonica ultimamente è interessata da una serie di istanze similari a quella di Enel Longanesi Developments Srl; altri operatori sono intenzionati a trivellare il mar Jonio: Shell, ENI, Transunion Petroleum Italia, Nautical Petroleum, Northern Petroleum Ltd, Appenine Energy Srl addirittura con due istanze sulla battigia della costa Jonica, oltre alle tre concessioni presenti di Eni e Jonica Gas;
          nella fase di valutazione dell'istanza di Eni Longanesi andrebbero approfonditi gli eventuali impatti cumulativi che possono verificarsi a seguito di indagini sismiche in aree limitrofe di più operatori;
          l'attività offshore in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi presenta comunque aspetti problematici anche in riferimento all'attività sismica;
          non è da sottovalutare, infatti, l'ultima significativa scossa di terremoto registrata pochi giorni fa proprio al largo delle coste crotonesi già oggetto di attività di coltivazione di idrocarburi;
          alcuni studi scientifici mettono in relazione il possibile intensificarsi dell'attività sismica con l'implementazione delle attività di ricerca degli idrocarburi  –:
          se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per approfondire la questione riportata in premessa e se, nelle more, del richiesto approfondimento, intendano sospendere ogni ulteriore permesso di ricerca al fine di approfondire tutti gli aspetti legati alla tutela dell'ambiente di un comprensorio marino tra i più peculiari del Mediterraneo;
          quali iniziative intendano assumere per la sicurezza delle popolazioni, in merito al rischio derivante dalle trivellazioni in un territorio la cui spiccata fenomenologia sismica può essere incrementata da tali interventi. (5-02602)

Interrogazioni a risposta scritta:


      SPESSOTTO e FRUSONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83 recante misure urgenti per la crescita del Paese, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  134, ha previsto all'articolo 24 un contributo sotto forma di credito di imposta, pari al 35 per cento, a vantaggio delle imprese per le nuove assunzioni ai profili altamente qualificati;
          in particolare, il contributo è concesso per le assunzioni a tempo indeterminato di personale in possesso di un dottorato di ricerca universitario, ovvero di personale in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico, impiegato in attività di ricerca e sviluppo;
          secondo quanto disposto dal comma 1 dell'articolo 24, tale contributo per le nuove assunzioni di profili altamente qualificati, è destinato a tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dalle dimensioni aziendali, dal settore economico in cui operano, nonché dal regime contabile adottato;
          il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, ha emanato il decreto ministeriale 23 ottobre 2013 recante le «Disposizioni applicative necessarie a dare attuazione al contributo sotto forma di credito di imposta alle imprese, per l'assunzione a tempo indeterminato di personale impiegato in attività di Ricerca e Sviluppo»; tali disposizioni sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale del 21 gennaio 2014 e da tale data sono in vigore;
          l'articolo 3 del suddetto decreto interministeriale non definisce la procedura di richiesta dell'agevolazione fiscale alla quale sono tenute le imprese ma rinvia ad un successivo decreto direttoriale del Ministero dello sviluppo economico per la definizione dei contenuti della domanda di accesso all'agevolazione, nonché delle procedure per la presentazione delle istanze;
          al medesimo articolo, viene altresì prevista, per la gestione delle misure di agevolazione, una piattaforma informatica per la cui definizione il Ministero dello sviluppo economico assegnerà l'appalto sulla base di un'apposita procedura di gara pubblica;
          con decreto direttoriale da emanarsi sarà altresì determinato il contenuto minimo della certificazione contabile delle spese sostenute ed ammissibili al beneficio e l'eventuale ulteriore documentazione da allegare alla domanda, anche ai fini dei controlli  –:
          se il Ministro interrogato possa illustrare i motivi che sottendono, a quasi due anni dall'emanazione del decreto sviluppo, alla mancata emanazione da parte del Ministero dello sviluppo economico del decreto direttoriale, di cui all'articolo 3 comma 3, del decreto ministeriale 23 ottobre 2013, che si rende necessario per la fruizione del beneficio disposto a favore delle imprese dal suddetto decreto e se non ritenga oltremodo necessario procedere, con l'urgenza che il caso richiede, alla sua emanazione;
          quale sia lo stadio di avanzamento della procedura di assegnazione, tramite gara pubblica, dell'appalto per la piattaforma economica, di cui all'articolo 3, comma 1 del decreto ministeriale 23 ottobre 2013. (4-04423)


      PELUFFO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          La Frigoscandia, con sede in via Monzoro, Cornaredo (Mi), si occupa della movimentazione dei surgelati e del fresco per le catene della grande distribuzione. La maggior parte del lavoro di carico e scarico delle merci e preparazione dei bancali è affidato alla cooperativa Cogema che impiega 95 dipendenti;
          secondo quanto si apprende dalla stampa locale (articolo su «Il Giorno» Ed. Sud Milano-Rho Bollate del 30 marzo 2014 a firma di Roberta Rampi) e da comunicati e dai comunicati sindacali, nei giorni scorsi, senza nessuna contestazione disciplinare preventiva, la cooperativa ha licenziato quindici dipendenti affermando la sussistenza di un'incongruenza tra gli orari di lavoro effettivi e quelli dichiarati;
          secondo quanto affermato dai rappresentanti dei Cobas e riportato dalla stampa, i facchini in più sono stati licenziati per volontà della Frigoscandia in funzione del previsto cambio della cooperativa che fornisce gli addetti alla movimentazione dei carichi;
          dopo una prima protesta nella mattina di giovedì 27 marzo 2014 un primo incontro in prefettura a Milano nel pomeriggio di venerdì 28 marzo, all'alba del 29 marzo i lavoratori hanno bloccato i cancelli, impedendo ai camion di entrare a caricare la merce;
          nella giornata di venerdì 4 aprile ha avuto luogo un nuovo sciopero  –:
          se si sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
          quali iniziative si intendano intraprendere affinché si faccia chiarezza sulla vicenda e se siano stati rispettati i vincoli contrattuali, sindacali e di legge;
          quali iniziative si intendano intraprendere al fine di prevenire le ricadute sociali e occupazionali sul comparto lavorativo afferente al settore industriale interessato e al sito nel quale è presente il sito di Frigoscandia, dove alcuni lavoratori si trovano ora senza sostentamento e senza la possibilità di fare affidamento sulle passate e future trattative sindacali. (4-04431)

Apposizione di una firma ad una mozione.

      La mozione Braga e altri n.  1-00416, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

Apposizione di firme a risoluzioni.

      La risoluzione in Commissione Mariastella Bianchi e altri n.  7-00195, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Matarrese, D'Agostino.

      La risoluzione in Commissione Mariani e altri n.  7-00285, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Agostino.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

      L'interpellanza urgente Quintarelli e altri n.  2-00495, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palmieri.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Rampelli n.  3-00756, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Corsaro.

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Giorgia Meloni n.  4-04346, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  204 del 3 aprile 2014.

      GIORGIA MELONI e RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 21 del decreto-legge n.  104 del 2013, recante «Attuazione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CE», allo scopo di adeguare la disciplina concernente la formazione dei medici specialisti alla normativa europea in conformità al principio della libertà di stabilimento e alle correlate esigenze di reciproco riconoscimento dei titoli di formazione, ha previsto l'effettuazione di un concorso unico nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione, e la riduzione della durata dei relativi corsi per uniformarla alle regole comunitarie;
          ai sensi del medesimo articolo 21, l'attuazione della nuova disciplina è affidata a due distinti decreti che dovranno essere emanati dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e la nuova normativa dovrà essere applicata già a partire dal prossimo anno accademico;
          lo schema di regolamento predisposto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dispone l'abrogazione del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 6 marzo 2006, n.  172, recante «Regolamento concernente le modalità per l'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione in medicina», che prevedeva un sistema di accesso decentrato a livello di singole università, sostituendolo con un concorso nazionale, affidato ad una commissione unica, costituita presso il Ministero, e la formazione di un'unica graduatoria nazionale, in base alla quale i vincitori del concorso sono destinati alle sedi prescelte;
          l'articolo 2 dello schema di regolamento stabilisce le modalità di ammissione alle scuole, prevedendo, al comma 1, che ad esse possano accedere, attraverso un concorso annualmente bandito con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, coloro che si siano laureati in medicina e chirurgia in data anteriore al termine di scadenza per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso, e che abbiano superato l'esame di stato di abilitazione all'esercizio della professione di medico chirurgo entro il termine fissato per l'inizio delle attività didattiche nelle scuole;
          l'articolo 3 del medesimo schema disciplina criteri e modalità della prova d'esame, prevedendo che la prova, suddivisa in due parti e identica a livello nazionale per ogni tipologia di scuola, si svolga in un'unica data e nel medesimo orario e che consista nella soluzione di 120 quesiti a risposta multipla; la prima parte della prova consterà di 90 quesiti e sarà comune a tutte le tipologie di scuola, mentre la seconda, affidata a 30 quesiti, sarà differenziata per tipologia di scuola e si svolgerà secondo un calendario che consenta ai candidati di concorrere all'accesso di almeno due tipologie di scuola di specializzazione all'interno della stessa area (medica, chirurgica e servizi);
          l'articolo 5 contiene le disposizioni per la valutazione dei titoli e per la formazione della graduatoria finale, stabilendo che, per quanto concerne i punteggi, la Commissione attribuisca ai titoli, secondo una dettagliata scala valutativa, fino a 15 punti, di cui 2 per il voto di laurea e 13 per il curriculum degli studi, nonché fino a 3 punti per ulteriori titoli, quali la tesi sperimentale e il titolo di dottore di ricerca nella disciplina della tipologia di scuola per la quale si concorre;
          sulla base dell'esito della prova d'esame e del punteggio attribuito per i titoli, la Commissione giudicatrice elaborerà poi una graduatoria per ciascuna tipologia di scuola, e l'ammissione alla relativa scuola di specializzazione avverrà in relazione alla posizione conseguita nella graduatoria nazionale e in relazione all'ordine di preferenza delle sedi espresso dal candidato nella domanda di iscrizione al concorso;
          ai fini del punteggio rileveranno, quindi: la media aritmetica dei voti degli esami sostenuti durante il corso di laurea, il voto di laurea, gli esami fondamentali del corso di laurea e specifici per la tipologia di scuola di specializzazione, fino ad un massimo di cinque;
          in Italia, tuttavia, è noto che ciascun ateneo è dotato di autonomia e che i corsi di studio non sono uguali in tutte le sedi, sia sotto il profilo dei programmi, che dei contenuti e delle modalità di svolgimento, e, di conseguenza, la comparazione tra medesimi esami svolti in sedi diverse può dar luogo a non poche problematiche;
          inoltre, ai fini del punteggio saranno considerati eventuali titoli di dottorato attinenti alla scuola di specializzazione, titoli, tuttavia, che è difficile siano già in possesso di ragazzi neolaureati, che corrono il rischio, quindi, di essere scavalcati da soggetti più grandi;
          infine, la previsione che il test nazionale si svolga attraverso una serie di quiz contrasta con l'idea stessa di merito e di trasparenza che si intende riconoscere alle prove d'ingresso alle scuole di specializzazione, posto che affidare il destino di uno specializzando solo a delle crocette, prescindendo da un intero corso di studi svolto dal candidato, nel corso del quale egli può aver approfondito alcune tematiche o aver scritto delle tesi e pubblicato dei lavori, e frequentato dei reparti ospedalieri, appare quantomeno riduttivo;
          agli aspetti didattici si aggiunge poi la difficoltà per gli studenti derivante dal fatto che la centralizzazione delle modalità d'accesso alle scuole di specializzazione, può determinare per loro un trasferimento forzoso in un'altra città, con conseguenti disagi e costi, e la dispersione del patrimonio di formazione già acquisito presso la sede d'elezione  –:
          se non ritenga, alla luce delle considerazioni svolte in premessa, di apportare alcune modifiche al regolamento in corso di elaborazione, valutando sia l'opportunità di creare delle tabelle di comparazione per individuare uno schema di votazioni unitario che tenga conto delle specificità territoriali e delle sedi nelle quali il candidato ha svolto sinora il suo percorso didattico, sia l'opportunità di prevedere che ai fini del punteggio per l'ammissione alle scuole siano valutati anche altri aspetti relativi ai curricula dei candidati;
          se non ritenga opportuno, alla luce delle perplessità sin qui esposte sul nuovo sistema di accesso alle scuole di specializzazione medica, assumere iniziative per rinviare l'entrata in vigore della riforma al prossimo anno, consentendo un adeguato confronto anche con gli stessi studenti, al fine di pervenire ad una riforma condivisa, in grado di accogliere anche le istanze di questi ultimi. (4-04346)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo

      Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Giancarlo Giorgetti n.  2-00497 dell'8 aprile 2014.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Albanella n.  4-03323 del 27 gennaio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-02605.