XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 5 maggio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              già nel corso della «Conferenza internazionale del lavoro» del 1919 è stato adottato per la prima volta un provvedimento di carattere internazionale sulla tutela dei diritti dell'infanzia attraverso l'elaborazione della «Convenzione sull'età minima»;
              il primo significativo documento relativo ai diritti dell'infanzia è, comunque, costituito dalla Dichiarazione dei diritti del bambino, o Dichiarazione di Ginevra, adottata dalla Quinta Assemblea generale della Società delle Nazioni nel 1924;
              questi primi strumenti sono stati adottati in termini piuttosto generici, concependo i bambini non come titolari ma come soggetti passivi di diritti e sollecitando gli Stati non a specifici obblighi, ma a generica e premurosa protezione;
              il 20 novembre 1959 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato all'unanimità e senza astensioni la Dichiarazione dei diritti del fanciullo nella quale, fermi restando i principi dei precedenti documenti, ha impegnato gli Stati membri a riconoscere i termini della dichiarazione stessa assumendo, peraltro, l'impegno ad applicarli e diffonderli;
              nel citato documento, pur costituendo esso una semplice dichiarazione di principi (prevede, tra l'altro, il divieto di ammissione al lavoro per i minori, il divieto di impiego dei bambini in attività lavorative che ne possano minare la salute fisica e compromettere l'armonico sviluppo mentale e comportamentale, il diritto del minore disabile a ricevere cure speciali), il minore viene formalmente considerato «soggetto di diritti» a tutti gli effetti;
              finalmente il 20 novembre 1989 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato a New York la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia: un concreto programma di protezione complessiva dei minori che impegna gli Stati che l'hanno ratificata a porre in essere strumenti e ad effettuare controlli che consentano, anche attraverso l'adeguamento delle legislazioni nazionali, la realizzazione effettiva delle linee guida e dei principi adottati dalla Convenzione;
              l'Italia ha ratificato la Convenzione internazionale sui diritti sull'infanzia con la legge 27 maggio 1991, n.  176;
              il 23 ottobre 2012 è entrata in vigore la legge 1o ottobre 2012, n.  172, con la quale l'Italia ha ratificato la Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale;
              tale strumento, che ha natura vincolante, impone agli Stati firmatari di prevenire, contrastare e reprimere ogni azione o manifestazione che costituiscano abuso o sfruttamento sessuale dei minori;
              secondo un'indagine conoscitiva condotta da una rete di 11 organizzazioni nazionali impegnate nella difesa dei diritti dei bambini e nella promozione di uno sviluppo equo, senza alcuna discriminazione etnica, religiosa, politica, culturale o di genere, in Italia un bambino su 100 è vittima di maltrattamenti ed abusi. In numeri assoluti, significa che quasi 100.000 bambini in Italia vivono un'infanzia violata. In più della metà dei casi si tratta di femmine (il 52,5 per cento contro il 47,5 per cento dei maschi);
              sempre secondo l'indagine condotta dalla stessa rete di organizzazioni nazionali di cui in precedenza, emerge che il maltrattamento riveste un ruolo di primo piano tra le cause che comportano l'intervento dei servizi sociali, coprendone il 15,46 per cento del totale dei minori presi in carico. Dai dati dello studio emerge anche come le bambine e le ragazze siano le più esposte al fenomeno del maltrattamento e come 6 bambini su 1000 subiscano abusi sessuali;
              stando ai dati riportati dal dossier «Indifesa» sulla condizione delle minorenni italiane, messo a punto dall'agenzia Ansa insieme alla rete di organizzazioni cui si è già fatto riferimento, in occasione della Giornata mondiale delle bambine e delle ragazze indetta dall'ONU, nel 2012 è cresciuto il numero dei reati che vedono i minori nel ruolo di vittime e, nell'80 per cento dei casi, le vittime sono state bambine;
              per quanto riguarda i dati degli abusi nello specifico, si rileva che il pericolo maggiore per bambini e adolescenti è in casa: il 63,1 per cento delle situazioni d'emergenza seguite dal servizio 114 di Telefono Azzurro, dal 2006 a oggi, non esce dalle mura domestiche;
              dalla ricerca si evince che i bambini corrono rischi anche per strada (18,3 per cento) e in percentuale minore a scuola (5,7 per cento) o a casa di amici e parenti (3,7 per cento);
              in generale nel 78,3 per cento dei casi il presunto responsabile del disagio è uno dei genitori del minore (nel 44,8 per cento dei casi la madre, nel 33,5 per cento il padre);
              negli ultimi sei anni le richieste d'aiuto hanno riguardato quasi in egual misura maschi (51,6 per cento) e femmine (48,4 per cento), ma prevalentemente bambini fino ai dieci anni (64,2 per cento dei casi);
              il 50 per cento dei minori per cui è richiesto aiuto vive con entrambi i genitori, il 33,1 per cento con la sola madre: nell'88,9 per cento dei casi è un adulto a chiamare per segnalare una situazione di disagio vissuta da un bambino;
              seppure di poco, crescono anche le segnalazioni di elevata conflittualità familiare e violenza domestica tra genitori (il 9,7 per cento delle chiamate nel 2012; il 7,9 per cento nel 2006) e raddoppiano, oggi rispetto al 2006, le denunce per disagi emotivi comportamentali: si va dal 2,2 per cento al 5,2 per cento;
              si assiste invece alla riduzione delle segnalazioni che riguardano situazioni di accattonaggio (15,7 per cento del 2006; 8,5 per cento del 2011; 4,4 per cento del 2012);
              nel 2006 le segnalazioni al servizio 114 di Telefono Azzurro per abusi fisici erano il 5,2 per cento del totale delle denunce. In pochi anni sono cresciute in modo esponenziale, passando all'11,3 per cento nel 2010 al 13,2 per cento nel 2011 e ad un allarmante 17,1 per cento nel 2012;
              nello stesso arco di tempo è, inoltre, raddoppiato il numero di denunce per casi di grave trascuratezza (5,7 per cento nel 2006; 10,4 per cento nel 2012) e inadeguatezza genitoriale, cioè l'incapacità a svolgere il ruolo educativo di padre o madre, che registra un aumento passando dal 6,3 per cento del 2006 al 10,2 per cento del 2012;
              occorre intraprendere, quindi, e con un rinnovato vigore, una seria politica di sostegno alle famiglie, da intendere come nucleo principale dell'educazione dei minori, soprattutto in anni come questi in cui spesso si parla di crisi delle famiglie nel ruolo educativo dei giovani e dei minori in genere;
              nel 2012 il 19,5 per cento delle segnalazioni gestite dal servizio 114 ha riguardato un bambino straniero, in molti casi (36 per cento) nato in Italia. Secondo l'indagine di Telefono Azzurro, il numero dell'emergenza è stato però chiamato anche per profughi e rifugiati (33 per cento dei casi seguiti), per figli di coppia mista (10,7 per cento) e per minori ricongiunti (8,8 per cento);
              i dati della ricerca condotta da Ipsos per Save the children dimostrano come l'81 per cento degli italiani tra i 25 ed i 65 anni ritenga l'incontro sessuale tra giovani ed adulti, tramite la rete, un fenomeno diffuso. Inoltre, il 38 per cento degli italiani si dichiara favorevole alle relazioni sessuali tra adulti e minori: un dato, quest'ultimo, che deve fare riflettere sulla necessità di evitare che prenda il sopravvento la cultura del consenso del minore come elemento di legittimazione della pratica sessuale con un soggetto adulto;
              non va dimenticato, inoltre, che gli italiani si trovano ai primi posti nella classifica del turismo sessuale in Paesi asiatici e che i rapporti ivi consumati avvengono con soggetti minori: una ragione in più per impedire il diffondersi di una cultura dell'autodeterminazione del minore ad intrattenere rapporti di natura sessuale con adulti;
              diversa è la tipologia di problemi denunciati dagli stranieri rispetto a quelli manifestati dai bambini con cittadinanza italiana: gli stranieri devono fare i conti soprattutto con complicazioni legate al percorso migratorio, allo sfruttamento minorile o a situazioni di fuga;
              per quanto riguarda il fenomeno della pedofilia, non è facile purtroppo quantificarlo ma, ad esempio, nell'arco temporale compreso tra il 1o aprile 2010 ed il 30 settembre 2011 il Centro nazionale di ascolto di Telefono Azzurro è intervenuto complessivamente su 3956 casi segnalati all'interno del territorio nazionale, che hanno richiesto una consulenza su problematiche rilevanti: i casi che hanno riferito di situazioni di abuso sessuale, per il periodo considerato, sono stati 158 (ovvero il 4 per cento) sul totale delle consulenze gestite;
              in assenza di una banca dati a livello nazionale che permetta una rilevazione omogenea ed un sistematico monitoraggio della casistica relativa al reato di pedofilia, i dati disponibili sono pochi e non esaustivi. Inoltre, le statistiche a disposizione derivano da denunce presentate all'autorità giudiziaria,

impegna il Governo:

          ad attivarsi per l'effettiva applicazione e il rispetto di quanto previsto dalla Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, per assicurare un apparato normativo che incardini i principi ed i diritti nell'ordinamento italiano nonché per arginare il più possibile il fenomeno degli abusi e dei maltrattamenti sui minori nella sua generalità;
          a monitorare il fenomeno delle violenze e degli abusi sui minori, con particolare riguardo agli adescamenti tramite Internet, tenendo presente la necessità di creare un sistema nazionale di sorveglianza allo scopo di rilevare il maltrattamento e di valutare l'efficacia delle politiche e delle strategie attuate per combattere il fenomeno dell'abuso e del maltrattamento dei minori;
          ad assumere ogni iniziativa di competenza per potenziare le attività dei servizi sociali, in modo da favorire una maggiore protezione e prevenzione dei bambini maltrattati;
          ad assumere iniziative per implementare e rilanciare la formazione degli operatori che si occupano dei maltrattamenti e degli abusi sui minori, favorendo la diffusione della cultura dell'approccio al trauma in modo da riconoscerlo e trattarlo con gli strumenti adeguati;
          a predisporre una campagna di informazione e sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulla materia delle violenze ai minori, attraverso un maggiore coinvolgimento dei media e delle scuole;
          a potenziare le occasioni di formazione di bambini ed adolescenti mirate a prevenire gli abusi;
          ad assumere iniziative per prevedere programmi di trattamento realmente efficaci per gli autori di reati sessuali, come potrebbero essere i centri per l'ascolto cui rivolgersi per manifestare i propri disturbi legati alla pedofilia, come già avviene in altri Paesi europei.
(1-00446) «Dorina Bianchi, Calabrò, Roccella, Leone, Pagano».


      La Camera,
          premesso che:
              la legge 4 maggio 2009, n.  41, ha istituito la Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia;
              il 5 maggio è la data indicata come Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, una giornata che deve essere un momento di riflessione per la lotta contro gli abusi sui minori;
              il 19 settembre 2012 l'Italia ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento;
              di recente il fenomeno della pedopornografia tramite Internet è divenuto un argomento di estrema attualità a causa della sconcertante diffusione di questo fenomeno illecito attraverso la rete;
              il Parlamento è intervenuto sin dal 1998 per scoraggiarne la diffusione su larga scala, come pure gli analoghi comportamenti come il cosiddetto turismo sessuale, ossia la pratica all'estero, in Paesi oltremodo tolleranti dello sfruttamento sessuale dei minori;
              di fronte al moltiplicarsi dei siti pedopornografici è stata approvata la legge 6 febbraio 2006, n.  38, recante «Norme contro la pedofilia e la pedopornografia anche a mezzo Internet»;
              con la legge 6 febbraio 2006, n.  38, sono state approvate norme in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e di contrasto al fenomeno della diffusione della pornografia infantile anche a mezzo Internet. Fra le novità introdotte dalla legge 6 febbraio 2006, n.  38, tra le altre:
                  a) l'ampliamento della nozione di pornografia infantile e del suo ambito;
                  b) l'estensione della protezione accordata al minore sino al compimento del diciottesimo anno di età;
                  c) l'interdizione perpetua dall'attività nelle scuole e negli uffici o servizi in istituzioni o strutture prevalentemente frequentate da minori per le persone condannate per questo tipo di reati e l'esclusione del patteggiamento per i reati di sfruttamento sessuale;
                  d) l'individuazione degli elementi costitutivi del reato di sfruttamento sessuale di minori, comuni a tutti gli Stati dell'Unione europea;
                  e) iniziative finalizzate ad impedire la diffusione e la commercializzazione dei prodotti pedopornografici via Internet: tra queste ha particolare rilievo un sistema di controllo e disattivazione di mezzi informatizzati di pagamento, carte di credito ed altro;
              con la legge 6 febbraio 2006, n.  38, è stato, inoltre, istituito presso il Ministero dell'interno il Centro nazionale per il monitoraggio della pornografia minorile su Internet, con il compito di raccogliere segnalazioni, anche provenienti dall'estero, sull'andamento del fenomeno su rete;
              secondo dati forniti da Telefono arcobaleno, oltre 36.000 bambini sono stati scambiati in Internet 20 miliardi di volte per alimentare il turpe mercato della pedofilia on line;
              i Paesi del G8 sono l'epicentro del mercato dei bambini. Circa la metà delle vittime del traffico pedofilo mondiale ha meno di 7 anni. Il 77 per cento ne ha meno di 9. Un mercato illegale solo in teoria, ma di fatto libero. Perché la realtà è che chiunque, in qualunque momento, a Roma o a Francoforte, a Mosca o a Boston, a Lisbona o a Marsiglia può, con la propria carta di credito, scegliere razza, età, genere di perversione sessuale, tratti somatici della bambina o bambino e acquistare, sicuro dell'assoluta impunità, la propria collezione di foto o il proprio film pedofilo;
              i Paesi coinvolti, Stati Uniti, Germania, Russia, Regno Unito, Italia, Francia, Canada e Giappone – il cosiddetto G8, cioè i Paesi industrializzati, assieme a Spagna e Polonia – rappresentano i tre quarti dei clienti del pedo-business, dell'unico mercato al mondo capace di porsi, senza regole, al di sopra della morale;
              Telefono arcobaleno – in possesso di una black list di oltre 200 mila siti pedopornografici – ha effettuato 228.079 segnalazioni; solo nell'ultimo anno ne ha inoltrate più di 3.500 al mese, con punte di oltre 300 in un solo giorno che, nell'84 per cento dei casi, hanno portato alla chiusura dei siti nel giro di 48 ore. Particolarmente aggressiva, in questo ultimo anno è risultata la presenza di ben 7.639 siti legati al pedo-business, componenti di una galassia ben più vasta di 42.396 siti a contenuto pedopornografico;
              nonostante l'Italia abbia proceduto, a volte con ritardi ingiustificati nella tempistica, a dotarsi di normative adeguate, la situazione relativa agli abusi sui minori e sulla pedofilia appare ancora molto critica;
              il rapporto della Commissione Onu per i diritti dei minori, che denuncia le responsabilità del Vaticano rispetto agli abusi compiuti sui minori da parte di religiosi, conferma l'assoluta necessità di predisporre procedure efficaci per la tutela di bambini e adolescenti nei luoghi organizzati che frequentano abitualmente, tra cui anche oratori, parrocchie, così come i luoghi dello sport pubblici o privati o la scuola, puntando innanzitutto sulla prevenzione;
              solo offrendo ai minori stessi riferimenti e strumenti certi e riconosciuti per segnalare il sospetto o il rischio di abusi si può ottenere un effetto deterrente e rompere il muro di paure e imbarazzo che rende difficile, o a volte impossibile, intervenire tempestivamente a loro protezione;
              i dati diffusi da Save the children dicono che per il 43 per cento dei genitori italiani e per il 40 per cento dei ragazzi i luoghi maggiormente a rischio di abusi sui minori da parte degli adulti di riferimento sono i centri sportivi; ma ci sono anche oratori e parrocchie (per il 39 per cento dei genitori italiani e per il 29 per cento dei ragazzi) e poi la scuola (per il 38 per cento dei genitori italiani e per il 31 per cento dei ragazzi);
              è necessario un sistema di prevenzione e tutela adeguato, condiviso e conosciuto, che in oratori e parrocchie non esiste secondo la maggioranza dei genitori, 84 per cento, e dei ragazzi, 87 per cento;
              mancanza che si registra anche nei luoghi dello sport organizzato (per il 75 per cento dei genitori italiani e per il 73 per cento dei ragazzi), un po’ meno a scuola (per il 43 per cento dei genitori italiani e per il 57 per cento dei ragazzi), mentre sarebbe quasi assoluta nei vari centri ludico-ricreativi (per il 91 per cento dei genitori italiani e per il 91 per cento dei ragazzi);
              secondo l'ultima rilevazione del Ministero della giustizia (febbraio 2008), il numero di pedofili detenuti nelle carceri italiane è 1.322, di cui 400 stranieri e 98 donne;
              secondo il rapporto Onu del 2006 sono 223 mila i minori costretti a rapporti sessuali o a contatti fisici forzati: 1,8 milioni sono vittime del giro della prostituzione e della pornografia; 1,2 milioni risultano essere vittime del traffico di esseri umani;
              è stato rilevato durante un convegno della Direzione centrale anticrimine un notevole aumento del fenomeno della pedofilia pari al 10,8 per cento ogni anno. Si stima che in Italia ogni anno i casi di pedofilia superino i 20 mila e sono oltre mille i processi svolti per reati di abuso e maltrattamento sui minori;
              il nostro è il secondo Paese al mondo per viaggi all'estero legati al turismo sessuale;
              sul versante della pedopornografia on line sono 18.185 da inizio 2011 i nuovi siti pedofili e più di 12.000 al mese i consumatori di pedopornografia, come emerge dal report dell'osservatorio di Telefono arcobaleno. L'attività dell'associazione ha consentito di individuare la costante crescita: +15 per cento rispetto allo stesso periodo del 2010 ed attualmente il trend è in ulteriore crescita;
              secondo alcuni studi, una rilevante percentuale dei condannati per pedofilia ha a sua volta subito abusi durante l'infanzia. È stato osservato che i bambini che sono stati oggetto di attenzioni pedofiliache mostrano da adulti un comportamento analogo con maggior frequenza rispetto alla popolazione generale;
              sono, infatti, pochissimi i minori sfruttati per la produzione di immagini pedopornografiche che vengono identificati, rispetto alla quantità di materiale sequestrato. Si consideri che, nel 2010, sono stati in tutto solo 12 i minori identificati. L'identificazione delle vittime è di vitale importanza per porre fine ad una violenza che potrebbe essere ancora in corso;
              un'ulteriore problematica è rappresentata dalle famiglie multiproblematiche, ovvero famiglie che non sono assistite ma dove sono presenti problemi diversi, che vanno dall'alcolismo di uno dei genitori, alla presenza di componenti del nucleo famigliare con disagio mentale, o con tossicodipendenza, un contesto dove sembra più facile l'emergere dell'abuso,

impegna il Governo:

          a valutare la possibilità di assumere iniziative per escludere il reato di pedofilia dai reati che godono del beneficio degli arresti domiciliari;
          ad adoperarsi in sede europea affinché venga valutata la possibilità di sospendere ogni rapporto economico con tutti quei Paesi che non hanno proceduto alla ratifica della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
          ad assumere iniziative, nel più breve tempo possibile, volte alla definizione dei criteri per la realizzazione di corsi di formazione per il personale docente e non docente nelle scuole, nonché di azioni di formazione ed assistenza per i genitori, finalizzate ad una puntuale informazione sul tema dell'abuso sessuale;
          ad assumere iniziative finalizzate ad istituire all'interno delle scuole «un punto d'ascolto» per alunni e genitori, gestito da insegnanti, adeguatamente formato in stretto contatto con gli assistenti sociali;
          a prevedere, attraverso apposite iniziative normative, l'esclusione della possibilità di chiedere il patteggiamento per gli imputati dei reati di cui agli articoli 609-bis (violenza sessuale), 609-quater (atti sessuali con minorenne) e 609-quinquies (corruzione di minorenne) del codice penale;
          ad assumere tutti gli strumenti, nonché ad avviare tutte le iniziative necessarie al fine di identificare le piccole vittime di pedopornografia, per garantire loro un immediato progetto di recupero e per porre fine ad una violenza che potrebbe essere ancora in corso;
          a promuovere all'interno dei luoghi frequentati dai bambini, come oratori, campi sportivi, scuole ed altri, un sistema di prevenzione e tutela adeguato, condiviso e conosciuto, anche attraverso incontri con personale competente e qualificato finalizzato ad informare i minori sulla prevenzione degli abusi;
          ad assumere iniziative per istituire una banca dati nazionale per il censimento dei minori in condizione di residenzialità assistita sul territorio nazionale.
(1-00447) «Silvia Giordano, Lupo, Sorial, Lorefice, Grillo, Mantero, Baroni, Dall'Osso, Cecconi, Di Vita».


      La Camera,
          premesso che:
              la necessità di concedere una protezione speciale ai minori è stata enunciata nella «Dichiarazione di Ginevra del 1924 sui diritti del bambino» e nella «Dichiarazione dei diritti del fanciullo», adottata dall'Assemblea generale dell'Onu il 20 novembre 1959 e riconosciuta nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici - in particolare agli articoli 23 e 24 - e negli statuti e strumenti pertinenti delle istituzioni specializzate e delle organizzazioni internazionali che si preoccupano del benessere dell'infanzia;
              la Dichiarazione dei diritti dell'uomo riconosce che il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica e intellettuale, necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa un'appropriata protezione legale;
              con la «Convenzione ONU sui diritti del fanciullo» del 1989, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n.  176, le parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella Convenzione stessa, a garantirli a ogni fanciullo e ad assicurare agli stessi la protezione e le cure necessarie al loro benessere, adottando a tal fine tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi necessari;
              manca, tuttavia, negli strumenti di diritto internazionale, il riconoscimento della pedofilia quale «crimine contro l'umanità», auspicabile per eliminare, a livello globale, ogni ambiguità culturale sul tema, per esercitare un'efficace pressione politica su tutti gli Stati e per coordinare la lotta contro reati di cui è palese la dimensione sovranazionale;
              nonostante la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo costituisca da molti anni un obbligo legalmente vincolante per gli Stati che l'hanno ratificata, sono ancora milioni i minori che ovunque vivono il dramma del maltrattamento e dell'abuso. Secondo il Consiglio d'Europa, nel Vecchio continente sarebbe vittima di qualche forma di abuso, dal maltrattamento alla pedopornografia, un bambino ogni cinque, tra gli otto e i dodici anni;
              l'Italia, purtroppo, non fa eccezione, nonostante abbia una legislazione d'avanguardia. Nella pratica, infatti, vi sono ancora enormi carenze applicative, differenze territoriali, ostacoli alla reale promozione e tutela dei diritti. D'altronde, trasformare le dichiarazioni di principio in strategie operative è sempre un processo lungo e complesso, soprattutto quando queste ultime richiedono il cambiamento di un modo di pensare e di agire consolidato;
              con legge 4 maggio 2009, n.  41, la Repubblica italiana ha riconosciuto il 5 maggio come Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, quale momento di riflessione per la lotta contro gli abusi sui minori;
              in questa occasione possono essere organizzate iniziative volte a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla lotta contro gli abusi sui minori, per abbattere il muro di silenzio che troppo spesso si forma intorno a questo fenomeno di assoluta gravità. Risulta essenziale, invece, svolgere un'azione di sensibilizzazione e di educazione ai diversi livelli sociali, nonché divulgare il maggior numero di elementi di conoscenza;
              per porre in essere politiche di prevenzione e protezione adeguate alla problematica in esame, sono necessarie forme appropriate di monitoraggio del fenomeno su tutto il territorio nazionale. Lo ha riconosciuto e richiesto anche il Comitato Onu per la CRC, Convention on the right of the child (CRC/C/ITA/CO/3-4), che ha sollecitato il Governo italiano «a garantire che il sistema informativo nazionale sull'assistenza e la tutela dei minori e delle loro famiglie raggiunga la piena operatività e disponga delle necessarie risorse umane, tecniche e finanziarie per essere efficace nella raccolta delle informazioni pertinenti in tutto il Paese, rafforzando così la capacità dello Stato parte di promuovere e tutelare i diritti dei minori»;
              il dossier elaborato da Terre des hommes e Cismai (Coordinamento italiano servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia), con il coinvolgimento dei comuni, valuta a livello nazionale la dimensione quantitativa del fenomeno del maltrattamento sui minori – comprendente trascuratezza materiale e/o affettiva, maltrattamento fisico, violenza assistita, maltrattamento psicologico, abuso sessuale, patologia delle cure (discuria-ipercura-incuria) – su un campione di quasi 5 milioni di cittadini residenti, di cui oltre 750.000 residenti minorenni, dal primo semestre del 2012 al primo trimestre 2013. Vi sono riportati dati fortemente critici: 1 minore su 100 fra la popolazione residente risulta vittima di maltrattamento e l'incidenza appare maggiore nei confronti di bambine e ragazze, concretizzandosi nel 52,7 per cento dei casi in trascuratezza materiale e affettiva, nel 16,6 per cento in violenza consumata in ambito familiare, nel 12,8 per cento in maltrattamento psicologico, nel 6,7 per cento in abuso sessuale, nel 6,1 per cento in patologie delle cure, nel 4,8 per cento in maltrattamento fisico;
              l'abuso sessuale sui minori, in particolare, porta con sé conseguenze tali da mettere a rischio la salute della vittima per tutta la sua esistenza;
              desta, inoltre, allarme il numero crescente di denunce relative all'adescamento da parte di adulti e alla divulgazione di foto e video personali tramite le tecnologie informatiche ed i social network. Questi mezzi, di cui bambini e adolescenti normalmente dispongono, moltiplicano il rischio di imbattersi in contenuti inadeguati all'età o di interagire, soprattutto nelle chat, con soggetti criminali;
              in occasione della giornata Safer Internet 2010 è stata firmata un'intesa a livello europeo con le maggiori società di gestione dei social network per aumentare la sicurezza dei minorenni che utilizzano la rete e far fronte comune proprio contro i rischi a cui sono esposti i minori, ma purtroppo a tutt'oggi è molto difficile valutarne l'efficacia;
              vi è poi il fondato sospetto che in Italia molti abusi non vengano denunciati per paura, vergogna o sottomissione, perché i casi segnalati in altri Paesi europei sono di gran lunga più numerosi di quelli registrati nel nostro Paese;
              oltre al rafforzamento dell'attività repressiva, è altrettanto fondamentale prevenire il fenomeno, anche attraverso forme adeguate di reclutamento, formazione e sensibilizzazione dei soggetti che hanno regolari contatti con bambini e ragazzi;
              a tale scopo la direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, in materia di lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio, chiede agli Stati membri di adottare «le misure necessarie per assicurare che i datori di lavoro, al momento dell'assunzione di una persona per attività professionali o attività volontarie organizzate che comportano contatti diretti e regolari con minori, abbiano il diritto di chiedere informazioni, conformemente alla normativa nazionale e con ogni mezzo appropriato, quali l'accesso su richiesta tramite l'interessato, sull'esistenza di condanne penali per i reati di cui agli articoli da 3 a 7, iscritte nel casellario giudiziario, o dell'esistenza di eventuali misure interdittive dell'esercizio di attività che comportano contatti diretti e regolari con minori derivanti da tali condanne penali» (articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2011/93/UE);
              negli ultimi anni ripetuti interventi normativi hanno rafforzato la tutela penale offerta dal nostro ordinamento contro i fenomeni dell'abuso, dello sfruttamento sessuale dei minori, della pedofilia e della pornografia minorile: da ultimo la legge 1o ottobre 2012, n.  172, che ha ratificato e dato esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, e il decreto legislativo 4 marzo 2014, n.  39, attuativo della sopra citata direttiva 2011/93/UE. Quest'ultimo ha apportato delle novità riguardanti la disciplina delle circostanze aggravanti per i reati di cui agli articoli 609-bis e 609-quater (violenza sessuale ed atti sessuali ai danni di minorenne), 609-quinquies (corruzione di minorenne), 609-octies (violenza sessuale di gruppo), 609-undecies (adescamento di minorenni), 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quater (detenzione di materiale pornografico), 600-quater (pornografia virtuale) e 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile) del codice penale. Dunque, la nostra legislazione, anche se perfettibile, può essere, nel complesso, considerata adeguata e severa. Occorre, invece, vigilare sulla sua corretta applicazione,

impegna il Governo:

          a farsi promotore, nelle opportune sedi internazionali, del riconoscimento dell'abuso sui minori e della pedofilia, in tutte le loro forme, quali crimini contro l'umanità;
          ad adottare iniziative normative finalizzate alla predisposizione di un percorso obbligatorio di cura psicologica del pedofilo condannato in via definitiva;
          a predisporre adeguate iniziative, sia di natura normativa che di politica criminale, per rendere più incisiva l'applicazione delle norme penali in materia di violenza contro i minori;
          a far sì, promuovendo politiche formative mirate, che le persone regolarmente a contatto con i minori, per lavoro o per altre ragioni, abbiano piena consapevolezza dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, riconoscano gli indizi di abuso e adottino i protocolli di comportamento più moderni e più efficaci per prevenire e contrastare il fenomeno;
          a rafforzare, nell'ambito dei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado, i percorsi didattici già previsti per richiamare l'attenzione di alunni e studenti sui rischi della navigazione in rete e, in particolare, su quelli legati alla diffusione di immagini personali;
          a predisporre un sistema informativo di raccolta dati su tutte le forme di maltrattamento nei confronti dei minori, in raccordo con le autorità pubbliche competenti e le organizzazioni di volontariato operanti nel settore;
          a rafforzare gli strumenti a disposizione delle forze dell'ordine, assumendo iniziative per estendere la possibilità di ricorrere ad indagini sotto copertura;
          ad assumere iniziative per destinare alla polizia delle telecomunicazioni risorse sufficienti per cancellare i tagli previsti dalla spending review.
(1-00448) «Brambilla, Petrenga, Calabria, Giammanco, Carfagna, Centemero, Fucci, Bergamini, Milanato, Palese».

Risoluzioni in Commissione:


      Le Commissioni VIII e X,
          premesso che:
              in seguito al grave evento sismico che, nel maggio 2012, ha devastato parte del territorio dell'Emilia-Romagna, della Lombardia e del Veneto, il capo del dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio, dottor Franco Gabrielli, su proposta del Presidente della regione Emilia Romagna, Vasco Errani, in qualità di commissario delegato, istituiva una commissione composta di autorevoli scienziati (e segnatamente, l’International Commission on Hydrocarbon Exploration and Seismicity in the Emilia Region, cosiddetta «Commissione Ichese»), con il compito di valutare le possibili relazioni fra attività di esplorazione per idrocarburi e aumento dell'attività sismica nell'area interessata;
              tale Commissione si è espressa nel mese di febbraio 2014 con il «Report on the Hydrocarbon Exploration and Seismicity in Emilia Region» (cosiddetto «Rapporto Ichese») e, nell'ambito delle proprie conclusioni, ha rilevato che: «non è possibile provare e però neanche escludere che le azioni di sfruttamento del sottosuolo in atto, in prossimità dell'area colpita dalla sequenza sismica del 2012, abbiano contribuito ad “innescare” l'attività sismica registrata in Emilia nel 2012»;
              tale Commissione ha, inoltre, evidenziato come «la sismicità indotta e innescata dalle attività umane sia un campo di studio in rapido sviluppo, sebbene lo stato attuale delle conoscenze, e in particolare la mancanza di esperienza in Italia, non permetta l'elaborazione di protocolli di azione prontamente disponibili per la gestione del rischio sismico»;
              la politica Europea in materia ambientale è fondata sul principio di precauzione ai sensi dell'articolo 191 del Trattato che viene declinato, dalla Comunicazione esplicativa della Commissione europea del febbraio del 2000 (cfr. Comunicazione COM (2000) 01) come una strategia di gestione del rischio nei casi in cui si evidenzino indicazioni di effetti negativi sull'ambiente o sulla salute degli essere umani e i dati disponibili non consentano una valutazione completa del rischio; in particolare l'applicazione del principio richiede l'identificazione dei rischi potenziali, una valutazione scientifica realizzata in modo rigoroso e completo sulla base di tutti i dati esistenti e la mancanza di una certezza scientifica che permetta di escludere ragionevolmente la presenza dei rischi identificati;
              la giunta regionale dell'Emilia Romagna, già con la delibera 706/2013, richiamandosi al suddetto principio di precauzione, aveva disposto la sospensione «di qualsiasi decisione in merito ai progetti di ricerca e coltivazione idrocarburi che riguardino i territori colpiti dal sisma [...] fino a che non sarà noto l'esito della Commissione tecnico-scientifica»;
              in data 15 aprile 2014, l'Assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna, sentita la comunicazione della giunta regionale sugli esiti del lavoro della Commissione Ichese e considerata la necessità di approfondire i contenuti del lavoro e di partecipare all'elaborazione già in atto di ulteriori strumenti di indagine, ha valutato positivamente la proposta della giunta regionale di estendere a tutto il territorio della regione la sospensione di nuove attività di ricerca e sfruttamento del sottosuolo, chiedendo che, di concerto con i Ministeri competenti, venga data rigorosa attuazione alle linee guida, in corso di elaborazione, sul controllo e monitoraggio degli impianti già operanti, prevedendo la revoca della concessione in caso di rischio accertato. Inoltre, ritenendo necessario che la regione Emilia-Romagna chieda alle istituzioni nazionali di applicare questi strumenti in tutto il Paese ha impegnato la Commissione III «territorio, ambiente, mobilità» ha proseguire l'approfondimento in sede istituzionale finalizzato a future ulteriori decisioni;
              in buona sostanza, è stata quindi avanzata la richiesta di prevedere, di fatto, una moratoria su tutti i nuovi progetti estrattivi, almeno fino alla pubblicazione delle conclusioni delle ulteriori indagini messe in campo dal Gruppo di lavoro costituito il 27 febbraio 2014 presso il Ministero dello sviluppo economico in stretta relazione con la regione Emilia Romagna;
              si segnala, inoltre, che in data 18 settembre 2013 la Commissione VIII ha approvato la risoluzione 8-00012 a firma Zaratti, Zan, Pellegrino, Realacci, Iannuzzi, Borghi, Arlotti, Carrescia, Sanna, Cominelli, Zardini, Mariani, Morassut, Daga, Busto, Mazzoli, Gadda, Grimoldi, Castiello, Pastorelli, Matarrese, Zolezzi, De Rosa, Tofalo, Distaso, Decaro, che impegna il Governo ad a escludere l'utilizzo della fratturazione idraulica nel territorio italiano. Per fracking o fratturazione idraulica si intende la tecnica di estrazione di idrocarburi, come il petrolio ed il gas naturale conosciuto come shale gas, dalle rocce mediante l'iniezione ad alta pressione di acqua ed altri reagenti chimici nel sottosuolo, in modo da fratturare le rocce di scisto sottostanti incrementando in tal modo la liberazione e la migrazione in superficie dei fluidi contenenti idrocarburi liquidi o gassosi, per il successivo immagazzinamento. Tale tecnica, come si legge nella risoluzione in questione, può determinare effetti anche di tipo ambientale, in quanto modificando la struttura e le caratteristiche fisiche di trasmissività del sottosuolo, si può determinare la messa in comunicazione di falde con differenti qualità delle acque, utilizzate nel processo di fratturazione idraulica, spesso addizionate a diverse sostanze pericolose, tra le quali naftalene, benzene, toluene, xylene, etilbenzene, piombo, diesel, formaldeide, acido solforico, tiourea, cloruro di benzile, acido nitrilotriacetico, acrilamide, ossido di propilene, ossido di etilene, acetaldeide, ftalati, cromo, cobalto, iodio, zirconio, potassio, lanthanio, rubidio, scandio, iridio, krypton, zinco, xenon e manganese;
              una regione non può opporsi unilateralmente a procedimenti autorizzatori concernenti gli idrocarburi;
              è da considerarsi infatti costituzionalmente illegittimo il preventivo e generalizzato diniego regionale al rilascio dell'intesa Stato-regione per le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi;
              questo è, infatti, il principio espresso dalla Corte costituzionale con sentenza n.  117 del 5 giugno 2013 con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 37 della legge regionale della Basilicata 8 agosto 2012, n.  16, nel quale era previsto che «La Regione Basilicata nell'esercizio delle proprie competenze in materia di governo del territorio ed al fine di assicurare processi di sviluppo sostenibile, a far data dall'entrata in vigore della presente norma non rilascerà l'intesa, prevista dall'articolo 1, comma 7, lettera n), della legge 23 agosto 2004, n.  239, di cui all'accordo del 24 aprile 2001, al conferimento di nuovi titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi». Ai fini della comprensione della sentenza, è opportuno precisare come l'articolo 1, comma 7, della legge n.  219 del 2004 prevede che: «Sono esercitati dallo Stato, anche avvalendosi dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, i seguenti compiti e funzioni amministrativi: (...) n) le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, adottate, per la terraferma, di intesa con le regioni interessate». Ad avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri la regione Basilicata, stabilendo un preventivo e generale diniego al rilascio dell'intesa sopra indicata, avrebbe adottato una norma in contrasto con i principi generali dettati dallo Stato in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», con conseguente violazione dell'articolo 117 terzo comma della Costituzione. Ed infatti, con questa disposizione, la regione Basilicata avrebbe paralizzato, senza una preventiva valutazione delle singole situazioni, le funzioni che lo Stato deve esercitare in modo unitario in materia di energia. La Corte costituzionale, dopo aver chiarito che la disposizione censurata ricade sia nell'ambito della competenza legislativa «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», che in quello del «governo del territorio» (entrambe comprese nella disciplina di cui all'articolo 117, terzo comma, Costituzione) ha sottolineato come lo strumento dell'intesa rappresenta l'atto maggiormente espressivo del principio di leale collaborazione per risolvere i possibili conflitti che possono sorgere su questa materia tra Stato e regioni. In applicazione di questo principio ha osservato che: «Tale previsione legislativa si pone in aperto contrasto con la ratio stessa del principio di leale collaborazione, che impone il rispetto, caso per caso, di una procedura articolata, tale da assicurare lo svolgimento di reiterate trattative. La preventiva e generalizzata previsione legislativa di diniego di intesa vanifica la bilateralità della relativa procedura, che deve sempre trovare sviluppo nei casi concreti, e si pone in simmetrica corrispondenza con le norme che hanno introdotto la “drastica previsione” della forza decisiva della volontà di una sola parte – sia essa, di volta in volta, lo Stato, la regione o la provincia autonoma – ritenute costituzionalmente illegittime da questa Corte con giurisprudenza costante (ex plurimis, sentenze n.  39 del 2013, n.  179 del 2012, n.  33 del 2011, n.  121 del 2010, n.  24 del 2007)»;
              in conclusione, le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi devono essere oggetto di intesa tra Stato e regione, senza che una delle due parti possa imporre unilateralmente le proprie decisioni;
              ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sarebbe comunque un errore limitare alla sola Emilia Romagna, dopo la stesura del cosiddetto rapporto Ichese, l'applicazione del già richiamato principio di precauzione dall'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che impone di intervenire anche in assenza di una piena certezza scientifica e di prove sufficienti a dimostrare l'esistenza di un nesso causale tra l'esercizio di talune attività e gli effetti nocivi sull'ambiente e sul territorio (cfr al riguardo Corte di Giustizia, sentenza 5 maggio 1998, causa C-157/96, National Farmers’ Union e a., in Racc., 1998,1-2211 ss.);
              secondo quanto stabilito dall'articolo 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, è lo Stato ad esercitare la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali,

impegnano il Governo:

          ad adottare immediatamente apposite iniziative, anche normative, tese ad introdurre una moratoria su tutti i procedimenti autorizzativi ad oggi rilasciati di prospezione o estrazione di idrocarburi, in terra o in mare, su tutto il territorio nazionale;
          ad emanare con urgenza ogni provvedimento di competenza volto ad istituire una nuova Commissione scientifica con il compito di proseguire il lavoro svolto dalla cosiddetta «Commissione Ichese», in sostituzione del gruppo di lavoro attualmente insediato, e quindi di approfondire il problema della correlazione tra attività sismica e attività di ricerca ed estrazione degli idrocarburi liquidi e gassosi con riguardo all'intero territorio nazionale;
          ad informare i competenti organi parlamentari sullo stato di avanzamento dei lavori della nuova Commissione scientifica e ad assicurare che, sino alla conclusione dei lavori, venga sospesa l'efficacia di tutti i titoli in corso per le attività in terraferma e in relazione alle aree ad alto e medio rischio sismico, al fine di evitare che ci si limiti a proibire il solo rilascio di nuovi titoli minerari.
(7-00359) «Zan, Zaratti, Pellegrino, Paglia, Melilla, Ferrara».


      La III Commissione,
          premesso che:
              dal mese di febbraio 2014 il Venezuela è scosso da proteste popolari e studentesche e scontri con le forze dell'ordine e i sostenitori del Governo che hanno causato decine di morti e feriti e centinaia di arresti e detenzioni, che hanno coinvolto anche diversi cittadini italiani o italo-venezuelani;
              le manifestazioni, iniziate il 4 febbraio nella città occidentale di San Cristobal per denunciare l'insicurezza del Paese, si sono poi moltiplicate in tutto il Paese e hanno ampliato il raggio di protesta alla crisi economica, la mancanza di generi di prima necessità e il tasso di criminalità elevatissimo, nonché l'aumento dei livelli di corruzione e l'intimidazione dei mezzi di comunicazione e dell'opposizione democratica;
              è stata esercitata repressione anche nei confronti dei giornalisti, dei leader dell'opposizione e degli attivisti pacifici della società civile, che sono stati perseguitati e minacciati di essere privati della propria libertà e i mezzi di comunicazione sono soggetti a ripetute intimidazioni;
              il Governo ha imputato la mancanza di determinati prodotti a «sabotatori» e «affaristi corrotti e ambiziosi», e le autorità venezuelane, anziché contribuire al mantenimento della pace e della calma, hanno minacciato di radicalizzare il confronto inasprendo le misure repressive;
              il Governo italiano sta seguendo con grande attenzione e preoccupazione quanto accade in Venezuela, come dimostrano i colloqui avuti di recente dal Ministro degli affari esteri Mogherini con gli ambasciatori italiano in Venezuela e venezuelano in Italia e le recenti visite del Sottosegretario Mario Giro (due negli ultimi sei mesi);
              una recente missione dei parlamentari eletti nella ripartizione America meridionale della circoscrizione estero ha confermato la solidarietà del Parlamento italiano alla grande collettività italiana che vive in Venezuela e il sostegno dell'Italia ad una soluzione pacifica della grave crisi politica in corso;
              il Parlamento europeo ha condannato il fatto che parrebbe che «da lungo tempo sono attivi in Venezuela gruppi armati filogovernativi che agiscono in maniera violenta e incontrollata, e che tali gruppi godono dell'impunità; che l'opposizione ha accusato detti gruppi di aver incitato alla violenza in occasione delle manifestazioni pacifiche, provocando morti e numerosi feriti; che il governo venezuelano non ha ancora fatto luce sugli eventi»;
              la stessa comunità italiana, la terza numericamente del continente, è fortemente preoccupata della situazione di violenza, insicurezza, incertezza e difficoltà economica;
              inoltre analoghe preoccupazioni sono state espresse dalle numerose imprese italiane in Venezuela,

impegna il Governo:

          a condannare l'uso della violenza da ogni parte provenga, assumendo iniziative per assicurare in particolare che le autorità venezuelane rispettino il diritto alla libertà di espressione, associazione e riunione sia nei confronti dei singoli cittadini sia nei confronti dei rappresentanti parlamentari e dei mezzi di informazione, garantendo così il mantenimento del quadro di garanzie dello stato di diritto;
          a esortare le forze politiche di opposizione a continuare sulla strada del dialogo politico e a cooperare per il rafforzamento dei processi e delle istituzioni democratiche, confidando nel ruolo del Parlamento e degli eletti ed evitando un incontrollato aumento della tensione;
          a lavorare, attraverso la rappresentanza diplomatica italiana e nelle sedi multilaterali e regionali, perché vengano sostenuti tutti gli sforzi volti a promuovere una politica di riconciliazione e dialogo tra maggioranza e opposizione, volta a garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, che possa aiutare il Paese a uscire da questa grave crisi economica, politica e sociale.
(7-00360) «Porta, Amendola, Tidei, Burtone».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


      BIANCONI e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          la dottoressa Marta Dassù ha ricoperto nel recente passato il ruolo di Sottosegretario agli affari esteri nel Governo Monti, ed indi Viceministro agli affari esteri nel Governo Letta;
          essa poi è stata nominata dal Presidente del Consiglio membro del consiglio di amministrazione di Finmeccanica;
          in forza dell'articolo 2, comma 4, della legge n.  215 del 2004, essendo l'incarico di Governo perento nel febbraio 2014, e la nomina avvenuta nell'aprile dello stesso anno, questa rientra nei dodici mesi previsti per la cessazione dell'incompatibilità;
          la dottoressa Dassù vanta nel proprio curriculum l'incarico di consigliere dei Governi D'Alema I, D Alema II e Amato II (oggi giudice di Corte costituzionale di nomina presidenziale), la permanenza alla direzione delle attività internazionali di Aspen Institute Italia fino al 2011 nonché la qualità di membro autorevole della fondazione Italia-USA  –:
          a quali elementi sia dovuta questa nomina che agli interroganti appare in aperta violazione di legge. (3-00800)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ANTEZZA, IORI, ZAMPA, SCUVERA, GRASSI e CAPONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza è stato istituito con la legge n.  451 del 1997 ed è regolato dal decreto del Presidente della Repubblica del 14 maggio 2007, n.  103, con la funzione di promuovere il coordinamento tra amministrazioni centrali, regioni, enti locali, associazioni, ordini professionali e organizzazioni non governative che si occupano di infanzia e adolescenza;
          il Comitato ONU sui diritti dell'infanzia, nelle osservazioni conclusive rivolte all'Italia, ha raccomandato di rafforzare l'Osservatorio, garantendo tutte le risorse umane, tecniche e finanziarie necessarie per attuare politiche per l'infanzia organiche, coerenti e coordinate a livello nazionale, regionale e comunale;
          l'Osservatorio ha il compito di predisporre ogni due anni il piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva cosiddetto piano nazionale infanzia (PNI), un documento che contiene le linee strategiche fondamentali e gli impegni concreti che i diversi livelli di Governo intendono perseguire per sviluppare un'adeguata politica per l'infanzia e l'adolescenza;
          il piano nazionale infanzia ha l'obiettivo di conferire priorità ai programmi riferiti ai minorenni e di rafforzare la cooperazione per lo sviluppo dell'infanzia nel mondo;
          il 21 gennaio 2011 è stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica, dopo 7 anni di lacuna, il terzo piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, 2010-2011;
          il monitoraggio del piano nazionale infanzia, raccomandato anche dal Comitato Onu, ha costituito un importante elemento di novità per la modalità e la quantità dei dati raccolti;
          nello specifico, gli obiettivi del monitoraggio sono stati: valorizzare i risultati raggiunti e gli interventi effettuati a livello nazionale, regionale e locale in relazione ai bisogni e ai fenomeni emergenti segnalati nel Piano Infanzia; rilevare dati quantitativi e qualitativi che permettano di avere indicazioni utili per un'analisi delle condizioni dell'infanzia e dell'adolescenza; identificare esperienze significative e aree di maggiore criticità in relazione alla diversa tipologia delle azioni individuate nel piano; dare un supporto alle attività decisionali, a qualsiasi livello le stesse siano collocate;
          dal monitoraggio sono emersi elementi importanti rispetto all'attuazione del III piano nazionale infanzia e alla situazione in Italia relativamente alle politiche per l'infanzia e l'adolescenza tra le quali: l'insufficienza di risorse disponibili, in quanto è trasversale una progressiva riduzione delle risorse statali e regionali disponibili per il sistema del welfare; l'esigenza di coordinamento delle amministrazioni e degli organismi competenti; la pluralità di piani, protocolli e linee guida non integrati (sarebbe utile se l'Osservatorio disponesse di un panorama completo di questi interventi per favorire una lettura della coerenza rispetto al piano infanzia e una efficace circolazione delle informazioni tra tutti gli attori interessati; l'esigenza di formazione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza; l'assenza di sedi di confronto stabili tra i differenti livelli di governo;
          l'Italia è quindi attualmente senza un piano nazionale infanzia, previsto dalla legge n.  451 del 1997  –:
          quale sia lo stato dell’iter di nomina e costituzione del nuovo Osservatorio nazionale infanzia;
          come si intenda procedere per la risoluzione delle non più rinviabili attività dell'Osservatorio in merito alla definizione del nuovo piano nazionale infanzia.
(4-04696)


      DI GIOIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          ancora una volta, dalle istituzioni e dai cittadini della regione Sardegna, viene richiesto un intervento concreto e immediato per porre mano in maniera seria alla ricostruzione post alluvione del 18 novembre 2013;
          la giunta regionale ha approvato un documento che impegna il presidente ad intervenire presso il Governo per procedere a una stima più compiuta dei danni, affinché si ricorra anche a risorse nazionali e comunitarie per aiutare i privati a ripristinare, entro il 31 dicembre 2014, il proprio patrimonio danneggiato, le attività produttive e mettere rapidamente in sicurezza gli edifici scolastici;
          si chiede, in modo particolare, di verificare le risorse e gli interventi necessari da effettuare in seguito all'alluvione, stante il fatto che dalle stime fatte dalla regione ci si trova di fronte a danni infrastrutturali pari a 650 milioni di euro;
          a fronte di questa stima la Sardegna può, attualmente, contare, per gli interventi post alluvione, su 20 milioni di euro della contabilità speciale, su 23 milioni e mezzo di una delibera Cipe del 2012, esclusi dal patto stabilità interno, su 50 milioni di euro nel bilancio Anas, cui si dovrebbero aggiungere altri 60 milioni di euro con l'aggiornamento dell'11o allegato infrastrutture;
          stante questa situazione, appare del tutto legittima la richiesta, da parte del consiglio regionale della Sardegna, che vi sia parità di intervento rispetto a calamità avvenute in altre parti d'Italia  –:
          se non si ritenga opportuno, anche per confermare lo spirito di concretezza e rapidità che contraddistingue l'attuale Governo su altre questioni, procedere con rapidità, in accordo con la regione Sardegna, ad una stima reale dei danni prodotti dall'alluvione del 18 novembre 2013, allo scopo di definire i tempi e le risorse necessarie per porre rimedio ai danni infrastrutturali determinati da tale evento;
          se non si ritenga necessario, al contempo, assumere iniziative per escludere dai vincoli del patto di stabilità tutte le spese necessarie per gli interventi post alluvione. (4-04699)


      CAPARINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nei mesi scorsi sul sito storico della giustizia amministrativa (www. giustiziaamministrativa.it) era stata data comunicazione che dal 17 marzo i difensori, nonché le parti, non avrebbero avuto più accesso ad una serie di aree, tra cui quelle relative all'attività dei singoli TAR, ma che ciò non avrebbe comportato alcun disagio per gli avvocati e i loro assistiti in quanto per «interrogare la situazione dei ricorsi da loro patrocinati» avrebbero potuto accedere ai servizi del nuovo sito il quale sarebbe entrato in funzione simultaneamente alla cessazione del precedente;
          tuttavia, secondo diverse e numerose segnalazioni da parte dei difensori, agli stessi sarebbe negato l'accesso sia all'area portale dell'avvocato del nuovo sito, poiché ancora oggi non funzionante, sia all'area riservata del vecchio sito, perché ormai definitivamente disattivata;
          dalla data del 17 marzo di quest'anno, pertanto, gli avvocati di tutta Italia, non potendo accedere né al vecchio sito né al nuovo, non possono più verificare le date delle udienze, il deposito di atti ad opera di controparte, e tutti gli altri adempimenti processuali se non chiamando le cancellerie, le quali si trovano così oberate da ulteriori incombenze;
          il mancato funzionamento del portale della giustizia amministrativa sta, dunque, causando numerosi disagi sia agli operatori, che ai difensori ed in ultimo ai cittadini, per gli ulteriori oneri che ciò ha comportato nella gestione delle cause incardinate presso i Tar ed il Consiglio di Stato;
          il ricorso agli strumenti informatici ha proprio come finalità quella di ottimizzare i tempi e l'attività della pubblica amministrazione nel suo complesso –:
          se il Governo sia a conoscenza della situazione sopra esposta e dei motivi per cui gli avvocati non possono accedere ai servizi sia del nuovo sito sia del precedente e quali iniziative di competenza intenda porre in essere per rendere fruibile il nuovo portale nel più breve tempo possibile. (4-04701)


      GULLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 32 della Costituzione riconosce implicitamente allo sport un'importante funzione nel mantenere e tutelare l'integrità psico-fisica dell'individuo;
          il Governo italiano con diverse campagne di comunicazione ha promosso negli anni l'importanza di «trasmettere, soprattutto ai giovani, i principi legati al sano esercizio della pratica sportiva come il rispetto delle regole, il rispetto dell'avversario, lo spirito di squadra, la disciplina, l'autocontrollo, la lealtà e l'onestà», quali «valori positivi che devono ispirare l'educazione alla pratica sportiva dei giovani. Valori che anche nella vita possono significare molto di più di una semplice vittoria sul campo e i soli che possono consentire ai nostri giovani di crescere, come atleti, come tifosi e come uomini, con quello spirito di fratellanza e lealtà che caratterizza le solenni parole del giuramento olimpico»;
          il Consiglio d'Europa nel 1974 attraverso la Carta europea dello sport per tutti ha affermato che chiunque ha diritto a praticare lo sport e che esso è fattore importante di sviluppo umano che deve essere incoraggiato e sostenuto in maniera appropriata;
          il Trattato di Lisbona del 2007 attribuisce allo sport una preminente funzione sociale, considerandolo, come l'istruzione e la formazione professionale, un elemento fondamentale per l'equilibrata crescita psico-fisica di ciascun individuo;
          l'attività sportiva, quindi, è per la Repubblica italiana e l'Unione europea essenziale allo sviluppo dei valori basilari per la società così come «progettata» in ambito italiano ed europeo, in quanto permette la tutela ed il miglioramento delle condizioni di salute nonché lo sviluppo dello spirito di gruppo, di solidarietà, di tolleranza, di correttezza e di rispetto delle regole;
          obiettivo essenziale per incentivare la pratica sportiva è la corretta promozione dei valori e dell'importanza per la crescita dell'individuo;
          da ultimo, il 3 maggio 2014 la finale di Coppa Italia è stata caratterizzata da violenze ed atti intollerabili;
          settimanalmente si verificano azioni collegate a manifestazioni sportive che richiedono l'impiego di numerosissime componenti delle forze dell'ordine;
          i cittadini comuni e la famiglie che vogliono approfittare delle manifestazioni per passare ore di svago sono spesso coinvolti in atti violenti e, quindi, finiscono per evitare o limitare la partecipazione ad eventi sportivi;
          le forze dell'ordine sono continuamente vittima, bersaglio e/o oggetto della violenza dei diversi «supporter»;
          tali episodi di violenza, legati solo apparentemente allo sport, come gli avvenimenti inerenti alla finale di Coppa Italia del 3 maggio, hanno l'effetto opposto a quello di promozione;
          questi avvenimenti sottraggono, loro malgrado, un ingente quantitativo di componenti delle forze dell'ordine ad altre attività più importanti;
          i gravissimi episodi che, purtroppo, spesso caratterizzano eventi sportivi devono essere momento serio di riflessione per agire con efficace attività a tutela dei valori costituzionali, dei cittadini, delle forze dell'ordine e degli operatori del settore;
          nazioni europee con problematiche simili hanno risolto con opportune azioni le questioni legate alla violenza negli stadi e nei luoghi di manifestazioni sportive in particolare  –:
          quali misure urgenti si intendano intraprendere per:
              a) risolvere la questione inerente all'ordine pubblico e derivante dallo svolgimento di manifestazioni sportive;
              b) tutelare i cittadini, le forze dell'ordine, gli operatori sportivi, quelli sanitari e i soggetti a qualunque titolo impegnati per permettere lo svolgimento dei campionati sportivi;
              c) predisporre azioni efficaci volte a evitare che situazioni pericolose per l'incolumità dell'ordine pubblico si verifichino nuovamente in connessione ad eventi sportivi, calcistici in particolare. (4-04704)


      GULLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la tutela della salute costituisce principio fondamentale costituzionalmente garantito;
          l'Italia, con il decreto legislativo marzo 2014, n.  45, ha dato attuazione alla direttiva 2011/70/EURATOM che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi;
          il decreto legislativo n.  45 del 2014, istituisce l'ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione e fissa nuove regole per lo smaltimento in sicurezza dei rifiuti nucleari, modificando numerose normative di riferimento;
          lo stesso decreto legislativo prevede l'emanazione di specifici decreti interministeriali:
              1) entro 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo n.  45 del 2014 di un decreto interministeriale (Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare-Ministro dello sviluppo economico) per stabilire la classificazione dei rifiuti radioattivi, anche in relazione agli standard internazionali, tenendo conto delle loro proprietà e delle specifiche tipologie;
              2) entro il 31 dicembre 2014, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro dello sviluppo economico, sentiti il Ministro della salute, la Conferenza unificata e l'autorità di regolamentazione competente) definirà il programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi comprendente tutti i tipi di combustibile esaurito e di rifiuti radioattivi soggetti alla giurisdizione nazionale e tutte le fasi della gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, dalla generazione allo smaltimento. I contenuti del programma nazionale sono stabiliti nell'articolo 8 del decreto legislativo n.  45 del 2014;
          dovrà essere, pertanto, prevista la creazione di un deposito unico nazionale;
          da notizie di stampa trapela che per realizzare l'impianto di stoccaggio dei previsti 90 mila metri cubi di scorie nucleari dovrebbe essere individuata un'area del centro sud Italia, in particolare in Sicilia, Basilicata, Lazio, Sardegna o Puglia;
          l'area di ubicazione del mega impianto dovrebbe ottenere misure compensative pari a investimenti europei per 2,5 milioni di euro nonché 1.000 posti di lavoro;
          il pericolo potenziale determinato da tali scorie non è barattabile con alcuna misura compensativa;
          il territorio siciliano è stato martoriato ripetutamente da stabilimenti industriali e produttivi fortemente dannosi per l'ambiente e la salute dei cittadini;
          la Sicilia per la sua collocazione costituisce un unicum dal punto di vista storico, artistico, culturale, paesaggistico e ambientale e, pertanto, andrebbe valorizzata nell'ottica della promozione turistica e agroalimentare del territorio, invece che divenire nell'immaginario collettivo la discarica nucleare d'Italia;
          comunque le misure compensative disposte non potrebbero in alcun modo compensare un eventuale danno ambientale;
          l'isola è area a fortissimo rischio sismico, vulcanico e/o idrogeologico;
          sulla base di quanto esposto è evidente come l'eventuale inopinata ubicazione di impianti simili in Sicilia è decisamente sconsigliata e scorretta;
          indipendentemente dall'ubicazione nell'isola bisogna adottare misure straordinarie volte al controllo delle salute, della sicurezza e della tutela dell'ambiente, nonché al fine di evitare ogni ingerenza della criminalità  –:
          quali iniziative di competenza intendano intraprendere per:
              a) individuare aree più idonee della Sicilia all'ubicazione di impianti di stoccaggio di scorie nucleari, eliminando, comunque, i rischi per la salute di cittadini;
              b) tutelare, in ogni caso, adeguatamente la salute dei cittadini delle aree in cui si ubicheranno simili impianti;
              c) prevenire, comunque, infiltrazioni criminali e/o mafiose nella realizzazione di tali impianti e delle opere connesse. (4-04705)


      REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          Roberto Mancini fu tra i primi investigatori delle forze dell'ordine che denunciò quanto stava avvenendo nella tristemente famosa terra dei fuochi. La sua prima informativa alla magistratura è datata 1996. Un lavoro preciso, puntuale, tanto che la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, presieduta da Massimo Scalia, del decennio 1997-2001 ha utilizzato ampiamente le sue doti di investigatore per condurre un'intensa indagine sul disastro ambientale in atto in quel territorio campano a nord di Napoli;
          Roberto Mancini è morto, a fine aprile 2014, a 53 anni, dopo una battaglia lunga 12 anni contro la leucemia, diagnosticatagli nel 2002. Lascia una moglie e una figlia. Lo ha ucciso un linfoma non-Hodgkin, un cancro al sangue: accertata conseguenza dei veleni respirati durante anni di lavoro tra rifiuti tossici e radioattivi;
          il Ministero dell'interno ha certificato il suo cancro al sangue come «causa di servizio» e gli ha riconosciuto (Ministro pro tempore Cancellieri) un indennizzo irrisorio di 5000 euro. Secondo quanto riportato anche dalla stampa il 6 aprile 2014 è stato consegnato alla Camera dei deputati un appello di oltre 20mila firme in calce chiedendo che a Mancini sia riconosciuto il giusto risarcimento;
          a far data di redazione del presento atto di sindacato ispettivo la petizione promossa dal sito «www.change.org» è stata sottoscritta da più di 50 mila persone  –:
          se siano a conoscenza dei fatti esposti;
          se non si ritenga utile rivedere la procedura risarcitoria e l'ammontare del risarcimento nei confronti del fu Roberto Mancini e della sua famiglia;
          se il Governo da ultimo non intenda valutare l'opportunità di onorare la memoria di un integerrimo e valido servitore dello Stato con un'onorificenza alla memoria. (4-04710)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta orale:


      TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, DAGA, SEGONI, MICILLO e ZOLEZZI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          con l'articolo 2, comma 184, della legge 23 dicembre 2009, n.  191, legge finanziaria 2010, sono stati ridotti i componenti dei consigli comunali andando a modificare quanto indicato dall'articolo 37 del decreto-legge 18 agosto 2000, n.  267;
          al comma 10 dell'articolo 73 del suddetto decreto-legge è indicato che «Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al primo turno, alla lista o al gruppo di liste a lui collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, ma abbia ottenuto almeno il 40 per cento dei voti validi, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate abbia superato il 50 per cento dei voti validi. Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi. I restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste collegate ai sensi del comma 8;
          quanto riportato in questo comma unito alla riduzione del numero dei consiglieri ha portato a interpretazioni non omogenee sul numero di consiglieri spettanti ai due schieramenti e ha provocato numerosi ricorsi al Tar per stabilire la corretta composizione e divisione dei seggi tra maggioranza e minoranza;
          ricorsi sono stati presentati da tanti primi consiglieri non eletti in tutta Italia, appartenenti a tutte le forze politiche. Purtroppo i diversi tribunali amministrativi regionali, e lo stesso Consiglio di Stato, istanza superiore della giustizia amministrativa, hanno preso decisioni non omogenee. Il Tar della Toscana ha adottato una linea interpretativa che agli interroganti appare favorevole alle maggioranze, in nome del cosiddetto principio di governabilità; i Tar dell'Abruzzo, sede di Pescara, della Lombardia e delle Marche si sono espressi a favore dell'arrotondamento all'unità più vicina, in nome di un principio di logicità;
          non poche sono le implicazioni collegate all'interpretazione della norma. Infatti, nel caso in cui il Tar si è espresso in favore delle maggioranze il potere delle opposizioni è stato fortemente limitato. Questo, ad esempio, nella possibilità di presentare atti di sfiducia al sindaco che, sempre secondo il decreto-legge 18 agosto 2000, n.  267, all'articolo 52, prevede che tale documento debba essere sottoscritto da almeno 2/5 dei consiglieri calcolati escludendo il sindaco;
          questo comporta, per fare un esempio, che nei consigli comunali composti da 24 consiglieri (città con popolazione tra 30 mila e 100 mila abitanti) in caso di interpretazione della norma a favore delle maggioranza questa ha diritto a 15 consiglieri (sindaco escluso) e la minoranza a 9 mentre i 2/5 per la mozione di sfiducia risultano essere pari a 10 consiglieri  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato sopra;
          se il Governo sia in grado di dare indicazioni rispetto alla corretta applicazione di tale legge e, in caso, se non ritenga opportuno intraprendere tutte le iniziative necessarie a eliminare lo stato di ambiguità nell'interpretazione della norma consentendo alle opposizioni che siedono nei consigli comunali di poter adempiere in pieno al loro mandato. (3-00798)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


      CARIELLO, L'ABBATE, SCAGLIUSI, D'AMBROSIO, BRESCIA e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          presso l'ufficio ecologia della Regione Puglia è in corso la valutazione di impatto ambientale per il progetto di realizzazione della condotta sottomarina di scarico dei reflui dei comuni di Bisceglie, Corato, Moffetta, Ruvo e Terlizzi in località Torre Calderina, oasi protetta di migrazione avifaunistica, con sbocco sottomarino nell'area del sito SIC Parco nazionale della Posidonia oceanica San Vito di Barletta redatto dalla direzione industriale, progettazioni e costruzioni di Acquedotto Pugliese spa;
          i quattro impianti di depurazione coinvolti e serviti dalla realizzazione a progetto di canalizzazione sottomarina succitata sono stati nel tempo recente tutti coinvolti da indagini e sequestri su disposizioni della magistratura locale – procura della Repubblica di Trani – e specificatamente: l'impianto che serve la città di Bisceglie sequestrato nel settembre 2013, per la presenza nelle acque emerse del pericoloso batterio Escherichia Coli VTEC 026 principio causale dell'infezione della sindrome emolitica udremica; l'impianto che serve la città di Corato sequestrato nell'ottobre 2013, per inosservanza della normativa sugli scarichi e superamento dei limiti tabellari (secondo Tab. 4 Allegato 5 parte terza del decreto legislativo 152 del 2006 da dati ARPA Puglia e analisi da prelievi effettuati da parte delle guardie per l'ambiente locali e acquisiti nel procedimento), sequestro effettuato dal nucleo di polizia giudiziaria della capitaneria di porto guardia costiera di Bari; l'impianto che serve la città di Molfetta sequestrato nel maggio 2012 e nel luglio 2013, per inosservanza della normativa sugli scarichi (Tab. 1 Allegato 5 parte terza del decreto legislativo 152 del 2006), sequestro effettuato dalla capitaneria di Porto di Bari e Guardia di finanza di Barletta; rimpianto consortile che serve le città di Ruvo e Terlizzi sequestrato nell'ottobre 2011 e nel settembre 2012, per scarico nella falda freatica di acque non depurate accertato dal Corpo forestale dello Stato comando stazione Ruvo di Puglia;
          nel marzo 2010 sono stati ultimati i lavori a completamento dell'impianto di affinamento e riutilizzo in agricoltura delle acque reflue per gli impianti di Molfetta e Ruvo-Terlizzi. L'impianto non è mai entrato in esercizio e dunque risulta abbandonato da quattro anni anche a causa dell'inosservanza dei parametri stabiliti dalla normativa vigente decreto legislativo 152 del 2006 sui limiti dello scarico da parte degli impianti depuratori di Molfetta e Ruvo-Terlizzi»;
          la legge di stabilità 2014 «Legge 27 dicembre 2013, n. 147», al comma 116 dell'articolo 1 ha previsto l'inserimento dell'area marina delle Grotte di Ripalta-Torre Calderina nonché di quella di Capo Milazzo nell'ambito delle aree in cui possono essere istituiti parchi marini o riserve marine indicate dall'articolo 36, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n.  394, (legge quadro sulle aree protette), ovvero inserimento tra le aree marine di reperimento, autorizzando una spesa di 500,000 euro per l'anno 2014 e di 1 milione di euro per il 2015;
          la citata legge 6 dicembre 1991, n.  394, al comma 2 dell'articolo 6, recante «Misure di salvaguardia» recita che dalla pubblicazione del programma fino all'istituzione delle singole aree protette operano direttamente le misure di salvaguardia di cui al comma 3 «Sono vietati (fuori dei centri edificati di cui all'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n.  865, e, per gravi motivi di salvaguardia ambientale, con provvedimento motivato, anche nei centri edificati), l'esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti, qualsiasi mutamento dell'utilizzazione dei terreni con destinazione diversa da quella agricola e quant'altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell'area protetta»;
          ciononostante, la provincia di Bari, con delibera del consiglio provinciale n.  16 del 20 settembre 2013, ha approvato la riduzione dell'area protetta dell'oasi avifaunistica di Torre Calderina dichiarando edificabile una superficie su cui oltre ai divieti citati si devono aggiungere i divieti di inedificabilità, perché trattasi di aree sottoposte ad ulteriore vincolo paesaggistico in quanto appartenenti alle fasce di rispetto di Lama Marcinase (già Marcianise) posta, dai regi decreti del 1902 e del 1904 negli elenchi delle acque pubbliche italiane e di superfici dichiarate aree a forte rischio idrogeologico dal PAI (parere di assetto idrogeologico redatto dalla AdB (autorità di bacino) della legione Puglia del 2005) e dal PAI di cui alla delibera AdB n.  11 del 20 aprile 2009;
          la condotta dei reflui dei citati comuni viene realizzata oltre che nell'area della oasi protetta avifaunistica di Torre Calderina anche nel sito SIC (sito di interesse comunitario) denominato parco nazionale della Posidonia oceanica San Vito di Barletta  –:
          se non ritenga urgente e doveroso verificare la compatibilità dell'opera prevista da parte di Acquedotto Pugliese spa, della condotta sottomarina per lo scarico dei reflui delle città di Bisceglie, Corato, Molfetta, Ruvo, Terlizzi (per un totale di 60536 mc/d di reflui) e relativo impianto di pompaggio da 1000 metri quadrati e torrino piezometrico di 6,5 metri quadrati di altezza, con il sito SIC del parco nazionale della posidonia oceanica San Vito di Barletta, nonché con l'istituenda area marina protetta Grotte di Ripalta – Torre Calderina, ai sensi del novellato articolo 36, comma 1, lettera ee-quinquies, della legge 6 dicembre 1991, n.  394;
          se non ritenga urgente assumere ogni iniziativa di competenza ai fini della tutela delle superfici dichiarate acque pubbliche considerando che è stata approvata una riduzione dell'area protetta di cui alla delibera già citata, in corrispondenza del Lama Marcinase (già Marcianise) che risulta inserito nell'elenco delle acque pubbliche. (4-04706)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
          la legge n.  350 del 24 dicembre 2003, la cosiddetta «legge Genova», stabilisce un contributo straordinario riconosciuto a favore della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova;
          in tal senso, si prevede che dal 2004, anno in cui Genova è stata nominata «capitale europea della cultura», una quota fissa ripetibile e non percentualizzata di euro 2.500.000 sia mantenuta a sostegno del Teatro Carlo Felice, in aggiunta al riparto del fondo unico per lo spettacolo spettante alla Fondazione Teatro Carlo Felice;
          tuttavia, a partire dal 2010 tale contributo, stabilito per legge, ha subito una riduzione improvvisa di circa il 40 per cento arrivando a 1.128 mila euro nella scorsa stagione e quest'anno sarà, a seguito di ulteriori accantonamenti di 888 mila euro, con una ulteriore riduzione di 240.000 euro;
          tuttavia, è noto che la legge n.  350 del 2003 – tuttora in vigore – mantenga lo stanziamento originale di euro 2.500.000 e che quindi, come precedentemente sottolineato, le riduzioni subite siano dovute ad accantonamenti stabiliti anno per anno;
          tale decurtazione, aggiunta ai 650 mila euro di taglio previsti dalla legge n.  112 del 2013, porta ad una riduzione complessiva del fondo di 900 mila euro allontanando così la prospettiva di pareggio del bilancio nonostante il ricorso effettuato negli ultimi due anni a contratti di solidarietà fino al 40 per cento;
          infatti, la legge n.  112 del 2013 stabilisce un «bonus» destinato a quelle Fondazioni cosiddette virtuose, ovvero quelle che hanno ottenuto il pareggio di bilancio nel triennio 2011-2013;
          tale incentivo verrà distribuito tagliando ulteriormente del 5 per cento il Fondo unico per lo spettacolo destinato alle fondazioni: tale penalizzazione per la Fondazione Teatro Carlo Felice è stimabile in 650.000 euro;
          la legge n.  112 del 2013 stabilisce inoltre che le fondazioni in crisi economica che non possono far fronte ai debiti certi ed esigibili da parte dei terzi, o quelle commissariate da almeno due anni possano accedere a un fondo di rotazione di 75 milioni di euro per il 2014 per la concessione di finanziamenti di durata fino a un massimo di 30 anni;
          tuttavia, per accedere a tale fondo, gli ex enti lirici in crisi hanno dovuto presentare un piano di risanamento che doveva prevedere la riduzione fino al 50 per cento del personale tecnico e amministrativo in organico al 31 dicembre 2012, una razionalizzazione del personale artistico nonché la cessazione dell'efficacia dei contratti integrativi aziendali in vigore e, per quanto riguarda gli stipendi, l'applicazione del minimo sindacale;
          in tal senso, il Teatro sta vivendo una crisi occupazionale drammatica;
          l'organico della Fondazione Teatro Carlo Felice (FTCF), inferiore rispetto all'organico funzionale (-60 unità), non potrà essere ridotto ancora di molto in quanto ciò comprometterebbe il regolare funzionamento della struttura e i requisiti minimi in materia di sicurezza sul lavoro;
          nel dicembre 2013 sono stati erogati oltre 7 milioni di euro ai teatri di Firenze e Trieste. Gli ulteriori 18 andranno divisi tra le restanti fondazioni che, come evidente, non beneficeranno del trattamento riservato alle prime due;
          appare, dunque, chiaro come il ripristino della quota originale prevista dalla legge n.  350 del 2003 rappresenterebbe un apporto fondamentale nel percorso di ristrutturazione intrapreso dalla Fondazione  –:
          quali iniziative intenda adottare perché lo stanziamento originale previsto dalla cosiddetta legge Genova venga erogato nella sua totalità comprese le quote decurtate per accantonamento.
(2-00524) «Carocci, Tullo, Basso, Quaranta, Vazio, Coccia, Marco Meloni, Mariani, Giacobbe, Rocchi, Manzi, Ghizzoni, Bossa, Incerti, Pastorino, Piccoli Nardelli, Fiorio, D'Ottavio, Biasotti, Oliaro, Pes, Malisani, Carnevali, Carrescia, Narduolo, Orfini, Lainati, Rampi, Zampa, Crimì, Cimbro, Marchi».

Interrogazione a risposta scritta:


      FAVA e PIAZZONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nel territorio del comune di Anzio, sul litorale romano, è situato un importante manufatto archeologico denominato «Villa imperiale», i cui resti risalgono all'età repubblicana dell'antica Roma, caratterizzandosi in particolare per la presenza sul sito dell'imperatore Nerone;
          tali vestigia, di inestimabile valore storico e archeologico e di centrale importanza turistica per il comune di Anzio comprendono i resti, per lo più subacquei, dell'antico porto neroniano che si estendeva a partire dalla villa. Diversi eventi storici, l'azione delle intemperie e quella erosiva del mare hanno determinato la necessità di un intervento per la messa in sicurezza del sito, nonché per la sua tutela e la sua successiva valorizzazione;
          la regione Lazio ha autorizzato e finanziato la realizzazione di un molo protettivo dell'antico porto neroniano, affidando i lavori all'Agenzia regionale per la difesa del suolo (ARDIS) che ha commissionato questi ultimi alla ICEM s.r.l., società specializzata in lavori nelle zone costiere con sede a Minturno. L'affidamento in questione è avvenuto, in forza della determinazione regionale n.  A03291 del 17 aprile 2012, con esclusione del procedimento di valutazione d'impatto ambientale (VIA);
          i lavori in questione avevano destato perplessità e proteste da parte della cittadinanza per l'impatto paesaggistico dell'opera. Inoltre, la realizzazione parziale in calcestruzzo, insistente sui ruderi, versava nel periodo estivo in uno stato di abbandono ed incuria, contravvenendo alle prescrizioni sul cantiere rilasciate dall'ufficio circondariale marittimo in data 13 marzo 2013;
          le notizie recentemente riportate da diversi organi di stampa sulla società affidataria dei lavori aggraverebbero il quadro sopra descritto. Sulla società in questione penderebbero diversi problemi giudiziari. La procura di Pescara avrebbe indagato nel marzo 2014 il socio unico dell'impresa con l'accusa di turbativa d'asta nell'ambito di un'inchiesta sul dragaggio del porto. Successivamente, sarebbe stata documentata da un'informativa del nucleo operativo dei carabinieri di Crotone la presenza di lavoratori legati a delle cosche mafiose locali nell'ambito dei lavori della ICEM s.r.l. nel porto di Le Castella (Isola di Capo Rizzuto, provincia di Crotone). Tale informativa inviata alla prefettura di Latina ha determinato, nel novembre 2013, la predisposizione di una interdittiva antimafia nei confronti della società;
          nonostante ciò i lavori sul complesso archeologico sono proseguiti, con recenti interventi di dragaggio e di realizzazione di un manufatto di cemento in mare, a ridosso dell'area archeologica;
          solo in data 19 aprile 2014, da notizie diffuse da organi di stampa online, si apprendeva la decisione della direzione regionale ambiente della regione Lazio di sospendere l'opera, predisponendo gli atti necessari alla rescissione del contratto con la ICEM s.r.l.;
          nella vicenda in esame appaiono evidenti agli interroganti le responsabilità: dell'ARDIS nella realizzazione di un'opera a forte impatto ambientale, per la quale è stata esclusa la procedura di VIA, oltre che per la poca attenzione e vigilanza prestate nel commissionare i lavori a un'impresa implicata in vicende giudiziarie che ne minano alla base la serietà professionale e la trasparenza; della Soprintendenza archeologica che ha permesso interventi sul complesso senza vincoli di eseguibilità; dell'amministrazione comunale che ha mal vigilato sui lavori e non ha messo in campo idonee iniziative per tutela un fondamentale manufatto storico e archeologico della città  –:
          di quali elementi dispongono sulla vicenda, in particolare con riferimento alla prosecuzione dei lavori di cui in premessa;
          se non si ritenga opportuno valutare la correttezza dell'operato della soprintendenza archeologica di Roma sud e dell'area pontina riguardo all'autorizzazione e alle modalità degli interventi realizzati sul complesso archeologico, in relazione alle esigenze di tutela e valorizzazione di quest'ultimo. (4-04708)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      PALESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante rileva che, nel rispondere all'interrogazione a risposta immediata n.  5-01230, in merito alla riassegnazione delle risorse destinate ai patti territoriali ed ai contratti d'area, nonché all'ammontare complessivo delle risorse giacenti per le medesime finalità presso la Cassa depositi e prestiti, il viceministro pro tempore Fassina ha precisato che, alla data del 30 settembre 2013, l'ammontare complessivo delle risorse giacenti presso la tesoreria centrale dello Stato sui conti correnti n.  29851 e n.  29852 rispettivamente denominati «contratti d'area legge n.  662 del 1996» e «patti territoriali legge n.  662 del 1996» risulti essere pari ad euro 491.384.910,26;
          la titolarità dei due conti di tesoreria in particolare risulta essere del suindicato Ministero, ma la Cassa depositi e prestiti s.p.a. opera, in regime di traenza, prelevando le somme necessarie alla copertura delle contribuzioni statali erogate su indicazione del Ministero dello sviluppo economico e/o dei soggetti responsabili e pertanto, alla data del 30 settembre 2013 la consistenza dei suddetti conti risulta essere la seguente: c/c n.  29851 contratti d'area legge n.  662 del 1996 euro 295.287.272,35; c/c n.  29852 patti territoriali legge n.  662 del 1996 euro 196.097.637,91;
          l'articolo 3 del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n.  98, ha previsto il rifinanziamento dei contratti di sviluppo, utilizzando le disponibilità esistenti del fondo per la crescita sostenibile di cui all'articolo 23 del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  134, secondo le procedure e le modalità previste dal decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze 8 marzo 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 16 maggio 2013, n.  113;
          secondo informazioni in possesso all'interrogante, una parte delle risorse giacenti al 30 settembre 2013, presso la tesoreria centrale dello Stato ed indicate nei conti correnti in precedenza esposti, risulterebbe essere confluita all'interno del Fondo per la crescita sostenibile, come indicato dal comma 3 del suddetto articolo 3 –:
          se intenda confermare le indicazioni esposte in premessa, secondo le quali le risorse giacenti presso la tesoreria centrale dello Stato sui conti correnti n.  29851 e n.  29852 rispettivamente denominati «contratti d'area legge n.  662 del 1996» e «patti territoriali legge n.  662 del 1996» siano effettivamente riversate sul Fondo per la crescita sostenibile, previsto dall'articolo 3 del decreto-legge n.  69 del 2013 ed, in caso affermativo, a quanto risulti l'ammontare del trasferimento, e più in generale, quale sia attualmente l'importo complessivo delle risorse giacenti presso la Cassa depositi e prestiti destinate ai patti territoriali ed ai contratti d'area, indipendentemente dal trasferimento dalla contabilità speciale a quella ordinaria. (5-02729)


      MUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la SACE spa, acquistata da Cassa Depositi e prestiti in data 9 novembre 2013 e da essa controllata al 100 per cento, offre servizi di export credit, assicurazione del credito, protezione degli investimenti all'estero, garanzie finanziarie, cauzioni, factoring e sostiene la competitività delle imprese in Italia e all'estero, operando in 189 paesi e garantendo flussi di cassa stabili e trasformando i rischi di insolvenza delle imprese in opportunità di sviluppo;
          la Sace spa detiene Sace spa – compagnia di assicurazioni, vigilata da IVASS, operate nei rami dell'Assicurazione del credito breve termine, delle Cauzioni e dei Rischi della Costruzione - e la partecipata di questa, SACE SRV S.r.l, che offre servizi informativi, analisi e ricerche economiche e recupero crediti alla controllante e alle consociate;
          il Gruppo SACE, ai sensi del decreto legislativo n.  231 del 2001, in data 1o ottobre 2008, ha adottato un codice etico che raccomanda e promuove un elevato standard di professionalità e vieta i comportamenti in contrasto con disposizioni di legge e con i valori morali che ispirano i rapporti tra l'azienda e gli stakeholder;
          a fine novembre 2013, il Governo Letta aveva annunciato l'intenzione di raccogliere 12 miliardi di euro mettendo sul mercato alcuni gioielli di famiglia dello Stato una quota di controllo di Sace e Grandi Stazioni, poi quote non di maggioranza di Enav, Stm, Fincantieri, Cdp Reti, il gasdotto Tag e un 3 per cento di Eni. Erano queste le società inizialmente indicate, salvo poi vedere entrare nella partita anche le Poste Italiane spa;
          l'operazione di privatizzazione di Sace con l'obiettivo di ridurre il debito pubblico in realtà ricapitalizzerebbe la Cassa Depositi e Prestiti;
          in data 17 marzo 2014 sulla Gazzetta Ufficiale n.  63 è stato pubblicato il decreto ministeriale firmato dal ministro 2014 pro tempore Saccomanni relativo al regolamento sui compensi per gli amministratori delle società controllate dal ministero dell'economia non quotate e che non emettono strumenti finanziari quotati sui mercati regolamentati, entrato in vigore il primo aprile 2014;
          il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ha recentemente affermato che nessun manager pubblico può guadagnare più del Presidente della Repubblica, ovvero più di 239 mila euro annui;
          sembra che il Presidente di SACE, Giovanni Castellaneta, oltre a percepire la pensione come ex ambasciatore, non solo riceva uno stipendio di 200.000 euro ma anche un premio di produttività annuale pari a circa 100000 euro e un altro premio, di cui non è noto l'importo, da applicarsi «pro quota» per l'effettivo periodo di vigenza della carica;
          relativamente alle remunerazioni connesse alla produttività concesse ai ruoli apicali di SACE risulta che all'amministratore delegato Alessandro Castellano sia stato attribuito come premio di produttività triennale scaduto nel 2013 un importo di più di un milione e cinquecentomila euro e che a Roberto Taricco, dirigente e responsabile della finanza e della tesoreria, sia stato riconosciuto, come premio di produttività triennale, un importo pari ad oltre 650.000 euro  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se intenda chiarire quali siano gli importi corrisposti a qualsiasi titolo al presidente di SACE, all'amministratore delegato, al dirigente responsabile della struttura operativa e al dirigente responsabile della finanza e tesoreria;
          se il Governo intenda chiarire se il taglio del 25 per cento agli stipendi riguarderà tutti i compensi o soltanto la componente fissa;
          se il Ministro non ritenga di assumere urgentemente iniziative per definire una norma chiara in cui vengano indicate le società per cui non è prevista la soglia cennata;
          quali iniziative il Ministro interrogato per quanto di competenza, intenda assumere sul fronte della trasparenza affinché sia introdotto l'obbligo di indicare nei bilanci delle società non quotate le voci relative a stipendi, compensi ed emolumenti degli amministratori;
          se il Governo intenda chiarire se sia possibile cumulare la pensione con gli emolumenti corrisposti a fronte della nomina in ruoli apicali nelle società pubbliche;
          se il Ministro abbia intenzione di indicare quali siano i criteri di assegnazione dei premi di rendimento relativi al personale Sace. (5-02730)

Interrogazione a risposta scritta:


      BALDELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'accordo quadro sottoscritto il 24 luglio 2012 tra l'Agenzia delle entrate e l'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha l'intento di migliorare i rapporti tra i cittadini e il fisco ed in particolare l'ambito della comunicazione;
          l'Agenzia delle entrate mette a disposizione dei commercialisti, oltre ai consueti canali di contatto per richiedere assistenza e informazioni, anche il canale telematico «Civis» e una casella di posta elettronica certificata;
          questo accordo migliora certamente il ruolo di mediazione dei commercialisti, ma resta il fatto che i cittadini non hanno ancora a disposizione adeguati canali di comunicazione con il fisco e, in caso di mancata comunicazione da parte del loro commercialista in merito a scadenze e adempimenti, corrono il rischio di scoprire tardivamente situazioni debitorie gravemente compromesse  –:
          se il Governo non intenda studiare e adottare le opportune iniziative, al fine di evitare il verificarsi di questo genere di circostanze assai spiacevoli per contribuenti ed erario, anche valutando la possibilità che le comunicazioni del fisco nei confronti dei cittadini possano giungere, su richiesta, in doppia notifica, sia ai commercialisti, sia ai diretti interessati.
(4-04700)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
          la strada statale n.  340 «Regina», che percorre l'intera sponda occidentale del lago di Como, costituisce una importante arteria di collegamento internazionale con la Svizzera ed il nord Europa, oltre ad essere l'unica via di collegamento dei e tra i paesi del lago e via di accesso alla Valchiavenna ed alla Valtellina;
          la strada statale 340 è gravata anche da un intenso traffico turistico e commerciale che la conduce ormai regolarmente al collasso nel periodo estivo;
          la strada statale 340 è infatti, nel tratto della Tremezzina, ormai del tutto inadeguata sia sotto il profilo delle dimensioni, che per quanto riguarda il suo attraversamento dei centri storici degli abitati che per le sue condizioni strutturali in relazione anche alla situazione idrogeologica del sedime spondale su cui si appoggia;
          nel tratto della Tremezzina già in più occasioni cedimenti e franamenti ne hanno determinato la chiusura anche per lunghi periodi con la necessità di interventi di emergenza ed il blocco della circolazione sull'unica arteria di collegamento;
          in data 30 luglio 2007 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ANAS, la regione Lombardia, la provincia e la Camera di commercio di Como, è stata sottoscritta una convenzione recante impegni per la progettazione ed il successivo finanziamento della cosiddetta variante della Tremezzina della strada statale 340, tratto Colonno-Griante;
          in data 8 giugno 2012 ANAS spa ha approvato il progetto preliminare dell'intervento;
          in data 6 febbraio 2013 tra gli stessi enti è stato sottoscritto un atto aggiuntivo della convenzione che definisce impegni, modalità e tempistica della progettazione definitiva dell'opera, da concludersi entro il marzo 2014, e impegni per il suo inserimento tra le opere di interesse statale prioritarie nella programmazione ANAS, e per il reperimento delle risorse necessarie alla sua realizzazione;
          in particolare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è impegnato ad attivare ogni azione utile per il reperimento delle risorse occorrenti per il finanziamento dell'intervento, anche in relazione alla programmazione pluriennale ANAS, e ad indire ed espletare la conferenza di servizi sul progetto definitivo, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n.  383 del 1994;
          regione Lombardia ha inserito la variante della Tremezzina tra le opere infrastrutturali prioritarie del piano regionale di sviluppo;
          in occasione dell'esame della legge di stabilità il Governo ha accolto un ordine del giorno a prima firma Mauro Guerra che lo impegnava a dare seguito agli impegni assunti con gli atti convenzionali richiamati in premessa, anche attraverso la promozione di una verifica congiunta con gli enti sottoscrittori finalizzata a concordare tempistica, modalità procedimentali e di reperimento delle risorse necessarie alla realizzazione dell'opera;
          comunque, data la rilevanza anche economica dell'intervento ed i tempi necessari alla realizzazione, sono indispensabili interventi immediati e di breve medio periodo per consentire una fluidificazione del traffico nella tratta della strada statale 340 tra Colonno e Griante, sia con interventi di regolazione e limitazione del traffico pesante, sia con l'organizzazione di un sistema di movieri nelle strettoie, sia con il rifinanziamento di interventi mirati di allargamento e riduzione, laddove possibile, dei punti più critici;
          pochi giorni fa, a causa di franamenti che hanno interessato la strada statale 36, la stessa è stata chiusa;
          la deviazione del relativo traffico sulla strada statale 340 Regina, che già si trova nella citata condizione di emergenza permanente per la sua inadeguatezza strutturale a sostenere il traffico ordinario, ha determinato una drammatica situazione di blocco pressoché totale per tutta la giornata con disagi che tuttora proseguono;
          l'emergenza di questi giorni, che ripete una analoga situazione determinatasi lo scorso anno, impone anche che venga definito un piano di emergenza che scatti immediatamente in caso di blocco della strada statale 36, e che preveda il dirottamento del traffico pesante fuori dalla strada statale 340, e comunque l'attivazione immediata di un sistema di segnalazione e di movieri agli imbocchi e sulle strettoie della strada statale 340 che impedisca il ripetersi di condizioni di blocco e congestione totale quale quella determinatasi in questi giorni  –:
          se e come il Governo intenda attivarsi:
              a) per adempiere agli impegni già assunti in ordine alla verifica, con gli altri soggetti istituzionali interessati e parti delle convenzioni sottoscritte, delle condizioni di realizzazione della variante della Tremezzina;
              b) per promuovere nel frattempo, con gli altri enti interessati, un tavolo di lavoro permanente sulla situazione della strada statale 340 Regina, in grado di definire con urgenza misure di fluidificazione del traffico nella tratta Argegno Menaggio, con le ordinanze di regolazione e limitazione del traffico pesante già sperimentate e con la presenza di personale e strumentazione tecnica utile ad agevolare il transito nelle strettoie, nonché in relazione alla fattibilità di interventi mirati di limitato impatto per ridurre i punti più critici;
              c) per promuovere la definizione di un piano di emergenza in grado di operare immediatamente nel caso di interruzioni sulla strada statale 36.
(2-00525) «Guerra, Braga, Berlinghieri, Binetti, Borghi, Carnevali, Carra, Dell'Aringa, Fiano, Gadda, Giampaolo Galli, Galperti, Gasparini, Giulietti, Mariani, Mauri, Misiani, Mosca, Peluffo, Plangger, Pollastrini, Preziosi, Rampi, Sanga, Scuvera, Villecco Calipari, Schullian, Marantelli, Senaldi, Lorenzo Guerini, Ferrari, Marchetti, Alfreider, Giovanna Sanna».

Interrogazione a risposta scritta:


      DI GIOIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la stampa locale ha riportato, nei giorni passati, la notizia del possibile acquisto, da parte dell'armatore Onorato della quota di Cin (Tirrenia), detenuta dal fondo Clessidra;
          in tal modo, il patron di Moby, conquisterebbe la maggioranza dell'ex compagnia pubblica di navigazione, determinando ad avviso dell'interrogante una preoccupante concentrazione del trasporto via mare (intorno al 90 per cento) nelle mani di un unico operatore;
          se tale progetto si realizzasse si potrebbe venire a creare secondo l'interrogante una situazione altamente lesiva della libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo da e per la Sardegna, con il pericolo reale di ulteriori pesanti aumenti delle tariffe su tale tratta con le conseguenti ricadute negative sia per i cittadini sardi che per il turismo  –:
          come e se si intenda intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, affinché non siano compromessi i servizi di trasporto marittimo da e per la Sardegna e non si producano nuove devastanti ricadute sull'economia dell'isola fortemente legata ai flussi turistici. (4-04707)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


      COSTANTINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi i media hanno dato ampio risalto ad alcuni fatti gravi accaduti presso il liceo romano Giulio Cesare;
          i militanti di alcune associazioni di destra ed estrema destra hanno manifestato con bandiere, fumogeni e striscioni che riportavano le seguenti scritte: «Maschi selvatici, non checche isteriche» e «Emergenza omofollia»;
          l'azione sarebbe stata diretta contro la decisione di alcuni docenti di far leggere ai propri alunni il romanzo «Sei come sei» di Melania Mazzucco, che racconta la storia di una ragazzina, Eva, figlia di due papà, Christian e Giosé;
          si è appreso, altresì, che alcuni avvocati facenti parte di un'associazione che nel proprio statuto dichiara di voler difendere «la struttura naturale della famiglia, intesa come unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, il diritto dei genitori ad educare i propri figli, e la libertà di professare pubblicamente la propria fede religiosa», hanno denunciato gli insegnanti che hanno proposto la lettura del libro per i reati di diffusione di pubblicazioni oscene e di corruzione di minorenne;
          come se non bastasse, il Sottosegretario all'istruzione, dell'università e della ricerca Gabriele Toccafondi a Radio Vaticana, ha dichiarato che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca chiederà un’«approfondimento» sulla vicenda «per arrivare, anche attraverso l'ufficio scolastico regionale, alla verità delle cose» e che: «sulla scuola qualcuno sta giocando una battaglia ideologica. L'appello è a non giocare sulla pelle dei nostri ragazzi e dei nostri bambini battaglie ideologiche. Il problema educativo, l'emergenza educativa del nostro Paese ha bisogno di molta attenzione e di molto lavoro, ma non ha assolutamente bisogno di queste battaglie»;
          occorre fare molta chiarezza per comprendere quel che sta accadendo e per riuscire ad opporsi ad una battaglia «ideologica» che non è quella denunciata dal Sottosegretario Toccafondi, da organi di informazione religiosa e da una pletora di organizzazioni di destra, bensì è quella che tali soggetti stanno portando avanti battendosi contro la dignità e la piena cittadinanza delle persone gay e lesbiche, delle loro famiglie e dei loro figli;
          innanzitutto è opportuno sottolineare che il romanzo «Sei come sei» di Melania Mazzucco non è un'opera pornografica, ma racconta la storia di una famiglia formata da due papà e la loro figlia, piegata dal lutto per la morte di uno dei padri, l'abbandono della ragazza che undicenne viene affidata a uno zio perché il genitore superstite non viene riconosciuto come tale e le offese dei compagni di classe della ragazza che la scherniscono;
          il romanzo è opera letteraria, ma la famiglia di cui parla è una famiglia vera, come ne esistono tante nella nostra Italia; famiglie che oggi non vedono ancora garantiti i loro diritti a causa del mancato intervento del legislatore e nonostante il nostro ordinamento riconosca come diritto fondamentale la formazione della famiglia da parte di due persone dello stesso sesso (articolo 2 della Costituzione; Corte costituzionale, sentenza n.  138/2010), riconosca che non vi sono differenze tra le famiglie formate da persone omosessuali o da persone eterosessuali (Cassazione, sentenza 4184/2012; Corte europea dei diritti umani sentenza Schalk e Kopf contro Austria del giugno 2010 e X e altri contro Austria del febbraio 2013), riconosca che l'orientamento omosessuale e quello eterosessuali hanno pari dignità e statuto di cittadinanza;
          la colpa del romanzo, definito falsamente «osceno» dai suoi detrattori, è quella di raccontare la storia di persone che fanno parte di una minoranza esclusa, umiliata, vilipesa e ignorata fino a poco tempo fa e oggi ancora vittima di odio cieco da parte di soggetti che dimostrano di non avere rispetto della dignità personale e sociale di ogni persona e del pluralismo culturale che è alla base della nostra Costituzione;
          sostenere le ragioni delle proprie idee e della propria fede non può mai portare a negare in radice i diritti e la dignità degli altri, sia come individui, sia come componenti di formazioni sociali, qual è la famiglia. Oltretutto la difesa della famiglia non la si può condurre facendo la guerra ad altre famiglie, pena autocondannarsi a distruggere ciò in cui si crede;
          le persone omosessuali, le loro famiglie e i loro figli sono una realtà del nostro Paese e la scuola non può ignorarli: deve occuparsene nel senso di formare nelle giovani generazioni il rispetto per le minoranza e la condivisione delle differenze; deve occuparsene nel senso di integrare gli studenti gay e lesbiche prevenendo ogni forma di esclusione che si realizza anche quando si evita di parlare di loro o che se ne parli in maniera irrispettosa; deve occuparsene nel senso di integrare i figli delle persone omosessuali, partendo dal rispetto delle loro famiglie;
          le manifestazioni di oggi contro le persone omosessuali sono le stesse che si sono avute contro la parità di diritti per le donne, contro i diritti di chi ha un diverso colore della pelle o contro i matrimoni interraziali. Chi conduce queste battaglie sta sul lato sbagliato della storia, ma provoca tanto dolore e tanti danni;
          al centro della battaglia condotta da chi oggi è contro i diritti delle persone gay e lesbiche continua ad essere la Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere, redatto dall'Ufficio nazionale antidiscriminazione razziali in esecuzione della raccomandazione CM/REC (2010) 5 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa;
          tale Strategia, lungi dal dover essere avversata, ha il merito di aver posto per la prima volta, a livello istituzionale, il tema della integrazione e della cancellazione di ogni forma di discriminazione e violazione di diritti in base all'orientamento sessuale, impegnando ogni ramo dell'amministrazione pubblica;
          il romanzo della Mazzucco, ingiustamente accusato, diventa quindi il pretesto per lanciare un altro affondo contro la ragione, la giustizia e la civiltà dell'Italia che continua a crescere, nonostante la politica sia latitante  –:
          come intenda opporsi, anche a seguito dei fatti accaduti fuori del liceo Giulio Cesare di Roma, al tentativo di impedire che la scuola italiana si occupi delle persone omosessuali e delle famiglie, anche quelle formate da persone gay, lesbiche e dai loro figli;
          quali iniziative, di carattere normativo e regolamentare, intenda adottare per dare piena attuazione alla Strategia nazionale dell'UNAR;
          se non ritenga di dover intervenire a tutela dell'insegnamento e degli/delle insegnanti, contro manifestazioni dal contenuto omofobico, che vanno oltre la libertà di critica e di manifestazione del proprio pensiero e che possono arrecare fastidi alle persone coinvolte. (3-00799)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


      MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'azienda Pali Italia (ex Tecnopali), ditta specializzata nel settore illuminazione, telecomunicazioni e alta tensione che opera a Parma e ad Anagni (FR) da oltre trent'anni, a fronte del calo della domanda di mercato e della necessità di ristrutturare la propria posizione debitoria nei confronti delle banche, culminata nel gennaio 2013 con la richiesta di concordato preventivo, ha prospettato nei mesi scorsi la definizione di un nuovo piano industriale che avrebbe reso necessario un forte ridimensionamento dell'organico;
          il 12 febbraio 2014, al termine dell'incontro tra l'azienda e le organizzazioni sindacali, tenutosi presso la sede dell'Unione parmense degli industriali, Pali Italia ha assunto l'impegno di far ricorso, nei limiti resi possibili dalla legge, all'utilizzo degli ammortizzatori sociali (cigs) per attenuare l'impatto occupazionale della propria necessaria ristrutturazione;
          il 20 marzo 2014 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali si è svolto un incontro nel corso del quale l'azienda si è impegnata ad avanzare formale richiesta di proroga della cassa integrazione straordinaria in scadenza il 19 maggio;
          il 29 aprile 2014 le organizzazioni sindacali hanno denunciato l'intenzione dell'azienda di condizionare la richiesta di proroga della cassa integrazione guadagni straordinaria all'accordo sulle procedure di mobilità che prevedono 72 lavoratori in esubero nel solo polo produttivo di Parma  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopradescritta e se non ritenga di convocare con la massima sollecitudine l'azienda e le organizzazioni sindacali al fine di valutare ogni più utile azione che consenta di assicurare le condizioni per il mantenimento in attività del sito produttivo di Parma dell'azienda Pali Italia, di scongiurare i prospettati esuberi e di avviare le procedure per la proroga della cassa integrazione straordinaria. (4-04697)


      AMODDIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          i termini di liquidazione dei trattamenti di fine servizio e dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, sono stati modificati dal comma 22 dell'articolo 1 del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo» e convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n.  148;
          tale norma ha previsto che alla liquidazione dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni l'ente erogatore provvede decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell'amministrazione, decorsi 105 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro;
          la citata norma prevede che resta ferma l'applicazione della disciplina vigente prima dell'entrata in vigore del comma 22 per i soggetti che hanno maturato i requisiti per il pensionamento prima della data di entrata in vigore del decreto;
          la direzione generale dell'INPS, con circolare n.  37 del 14 marzo 2012, ha fornito ulteriori indicazioni in merito ai termini di pagamento dei TFS/TFR, a seguito delle modifiche introdotte dall'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  214 del 22 dicembre 2011;
          secondo la cita circolare, detta norma ha fatto venir meno, dal 1o gennaio 2012, la nozione di «anzianità massima contributiva» e la conseguente possibilità di maturare il diritto alla pensione con 40 anni di anzianità contributiva a prescindere dall'età anagrafica (ad eccezione di coloro che avessero già maturato tale requisito entro il 31 dicembre 2011);
          secondo l'interpretazione contenuta nella circolare menzionata i lavoratori che maturano un'anzianità contributiva di 40 anni successivamente al 31 dicembre 2011 riceveranno il TFS/TFR dopo 24 mesi, anche nel caso in cui successivamente abbiano raggiunto, al momento della cessazione dal servizio, i predetti requisiti di accesso per limiti di età ovvero anzianità massima contributiva (40 anni);
          l'interpretazione restrittiva contenuta nella circolare che discrimina rispetto al pagamento del TFS, tra chi ha maturato l'anzianità contributiva di 40 anni entro il 12 agosto 2011 e chi la raggiunge successivamente, penalizza fortemente questi ultimi e ciò senza alcuna ragione che giustifica la disparità di trattamento  –:
          se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative ritengano opportuno adottare per sanare la problematica denunciata, che colpisce pesantemente questa categoria di lavoratori. (4-04698)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 115, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  112, lo Stato adotta d'intesa con la Conferenza unificata, il piano sanitario nazionale, i piani di settore aventi rilievo ed applicazione nazionali e stabilisce il riparto delle relative risorse alle regioni, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
          l'articolo 1, comma 34 delle legge 23 dicembre 1996, n.  662 prevede che – in sede di ripartizione del Fondo sanitario nazionale – il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni stabilisce i pesi da attribuire a ciascuna regione in base ad una serie di criteri e può vincolarne alcune quote alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale;
          secondo l'articolo 34-bis della legge 23 dicembre 1996, n.  662 per il perseguimento degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale indicati nel Piano sanitario nazionale, le regioni elaborano specifici progetti. Al fine di agevolarne l'attuazione, si provvede ad erogare, a titolo di acconto, il 70 per cento dell'importo complessivo annuo spettante a ciascuna regione, mentre l'erogazione del restante 30 per cento è subordinata all'approvazione da parte della Conferenza Stato-regioni su proposta del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, dei progetti presentati dalle regioni, comprensivi di una relazione illustrativa dei risultati raggiunti nell'anno precedente. A decorrere dall'anno 2013, racconto del 70 per cento è erogato a seguito dell'intervenuta intesa, in sede di Conferenza Stato-regioni, sulla ripartizione delle predette quote vincolate;
          inoltre, secondo l'articolo 26, comma 1, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n.  68, sempre a decorrere dall'anno 2013 il fabbisogno sanitario nazionale standard è determinato, in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria, tramite intesa, coerentemente con il fabbisogno derivante dalla determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) erogati in condizioni di efficienza ed appropriatezza. In sede di determinazione, sono distinte la quota destinata complessivamente alle regioni a statuto ordinario, comprensiva delle risorse per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34-bis, della legge n.  662 del 1996, e le quote destinate ad enti diversi dalle regioni;
          in attuazione dei predetti articoli, il Ministero della salute ha trasmesso alla Conferenza Stato-regioni la proposta di riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale nell'anno 2013 sulla quale, il 19 dicembre 2013, si è raggiunta l'intesa;
          il fabbisogno standard delle singole regioni a statuto ordinario cumulativamente pari al livello di fabbisogno sanitario nazionale standard è stato determinato utilizzando per tutte le regioni i valori di costo rilevati nelle c.d. «regioni di riferimento» (quelle scelte per l'anno 2013 sono state Umbria, Emilia Romagna e Veneto);
          l'importo da ripartire è risultato pari a 104,082 miliardi, inferiore di 1,249 miliardi di euro rispetto a quello del 2012 (105,331 miliardi);
          sempre nell'anno 2013, ai fini del riparto tra le regioni, oltre all'impiego del meccanismo dei costi standard, è stato utilizzato il valore legale della popolazione residente nella determinazione del valore della popolazione pesata per classi di età con riferimento alle singole regioni. Il valore della popolazione legale utilizzato è quello risultante dalle operazioni del censimento dell'anno 2011;
          al 9 ottobre 2011, data di riferimento del 15o Censimento generale della popolazione e delle abitazioni, la popolazione residente nella regione Lazio è risultata pari a 5.502.886, mentre la popolazione ISTAT pre-censimento al 1o gennaio 2011 era pari a 5.728,688 unità. Si è rilevata, pertanto, una anomala e penalizzante riduzione della popolazione censita pari a 225.802 abitanti (il 3,94 per cento) posto che il valore della riduzione a livello nazionale della popolazione censita è stato, invece, pari all'1,97 per cento;
          l'utilizzo del dato della popolazione censuaria ha determinato la ridefinizione della quota di accesso al riparto del Fondo per la regione Lazio, dal 9,40 per cento dell'anno 2012 al 9,30 per cento dell'anno 2013. Su questa rideterminazione non influisce assolutamente il meccanismo dei costi standard, e questo è evidente dalla stessa proposta di riparto formulata dal Ministero della salute, nella quale è riportata la tabella della popolazione «pesata» per classi di età. Il peso relativo della popolazione pesata della regione Lazio (come per tutte le altre regioni) sul valore complessivo della popolazione «pesata» Italia è proprio pari a 9,30 per cento – stessa percentuale identificata successivamente nel provvedimento, all'interno delle tabelle di assegnazione, come quote di accesso al finanziamento. La riduzione di quest'ultima dipende pertanto esclusivamente dal dato di popolazione legale utilizzato (che a sua volta influisce sul dato di popolazione pesata);
          un valore assoluto così significativo di riduzione della popolazione – che può solo essere imputabile ad errori materiali nella compilazione del censimento – rischia di determinare un gravissimo pregiudizio in termini di erogazione di servizi nella regione Lazio posto che, la scelta di utilizzare il dato della popolazione post censimento 2011, ha sottratto 104 milioni di euro al territorio;
          se a questa cifra si aggiunge anche la riduzione del finanziamento determinata dalle minori risorse complessive stanziate per il fondo nel 2013, la differenza della quota di accesso al riparto del Fondo rispetto al 2012 ammonta a 221 milioni di euro;
          anche in considerazione della situazione determinatasi a seguito dell'utilizzo della popolazione post censimento 2011, le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 234, della legge di stabilità hanno innalzato dallo 0,25 allo 0,30 la quota premiale del finanziamento del servizio sanitario nazionale e stabilito, che esse fossero assegnate in via transitoria per gli anni 2012 e 2013 tenendo conto dei criteri di riequilibrio indicati dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome;
          nonostante raccordo intervenuto in sede di Conferenza abbia portato all'assegnazione di 99 milioni di euro alla regione Lazio il livello complessivo del finanziamento risulta ancora gravemente insufficiente  –:
          se il Ministro abbia contezza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda intraprendere per sanare l'inaccettabile pregiudizio arrecato ai cittadini della regione Lazio.
(2-00523) «Causi, Ferro, Tidei, Miccoli, Argentin, Marroni, Orfini, Marco Di Stefano, Mazzoli, Mariastella Bianchi, Coscia, Bray, Chaouki, Petrini, Pierdomenico Martino, Taranto, Morassut, Gentiloni Silveri, Bonaccorsi, Gutgeld, Fioroni, Roberta Agostini, Villecco Calipari, Stumpo, Carella, Piccoli Nardelli, Realacci, Lodolini, Melilli, Zoggia, Campana, Giachetti, Fassina».

Interrogazioni a risposta scritta:


      GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, CECCONI, MANTERO, DI VITA e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la Takeda Pharmaceutical Co. e la Eli Lilly & Co. sono state condannate al pagamento di una multa di 9 miliardi di dollari per aver tenuto nascosto a medici e autorità la pericolosità del loro farmaco, come riportato da alcuni articoli di stampa;
          tale farmaco provocherebbe tumori, in particolare, lo stesso ha provocato effetto cancerogeno durante i test effettuati per l'approvazione negli Stati Uniti;
          il medicinale in questione, commercializzato anche in Italia sotto il nome di Actos, aumenta infatti il rischio di tumore nei pazienti che lo assumono;
          un dramma che ha coinvolto circa 2.700 soggetti americani che, dopo aver assunto il farmaco e contratto il cancro, hanno denunciato le case farmaceutiche;
          la corte federale della Lousiana, presieduta dal giudice Rebecca Doherty, ha deciso di condannare le due aziende farmaceutiche al pagamento della maxi multa, la settima più onerosa di sempre;
          per la Takeda e la Eli Lilly & Co. non è certo la prima condanna, in quanto, sempre per aver tenuto nascosti gli effetti cancerogeni dell'Actos, hanno ricevuto già 10 sentenze di colpevolezza che riportavano testualmente: «le aziende hanno coscientemente esposto i loro clienti al rischio di contrarre tumori, nascondendo il pericolo sia ad autorità che a medici»;
          infatti, le due società hanno ammesso la pericolosità del farmaco solo dopo 7 anni che questa è divenuta nota;
          non solo, Actos, messo sul mercato americano nel 1999 e rapidamente diventato uno dei farmaci di punta di Takeda, con vendite per 3,85 miliardi di dollari al picco di marzo 2008 (cifre più che dimezzate dalla scadenza del brevetto nel 2011), già in passato aveva ricevuto dal tribunale l'ordinanza per il pagamento di danni per 1,5 milioni di dollari a un paziente a cui era stato diagnosticato un cancro alla vescica;
          dunque, oltre al danno derivante dall'inquinamento ambientale, la salute delle persone è esposta anche al rischio della beffa delle case farmaceutiche  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di cui in premessa, se il farmaco sia ancora in commercio o se sia stato ritirato, se siano stati segnalati eventi avversi in tema di cancerogenità;
          nel caso in cui il farmaco sia ancora in commercio, e non ritenga opportuno valutarne il ritiro immediato o altre misure precauzionali ritenute idonee dal Ministero. (4-04702)


      BARONI, DAGA, CECCONI, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, DALL'OSSO, MANTERO, GRILLO, ZOLEZZI, DE ROSA e TERZONI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la tutela della salute è un diritto fondamentale dell'individuo e rappresenta un interesse della collettività, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione italiana;
          nei mesi scorsi, esattamente il 28 febbraio 2014, una circolare dei sindacati Cisl e Uil di Atac, comunicava quanto segue: «Vi invitiamo a usare guanti di cotone o in lattice per la vendita dei biglietti»; il rischio è che siano nocivi, passando di mano in mano tra chi vende, chi ne usufruisce e le condizioni sulla salute non sono da sottovalutare;
          la circolare fu pubblicata dal quotidiano Il Tempo, che entrando nel dettaglio della pericolosità del prodotto, afferma: «Contiene Bisfenolo A», una sostanza ritenuta tossica. «Siamo venuti a conoscenza – si legge ancora – che i titoli di viaggio possono essere nocivi alla salute di chi li manipola quotidianamente nell'attività di vendita, soprattutto in quantità elevate, oltre che determinare condizioni di pericolo ambientale dovuto al mancato smaltimento dei biglietti usati»;
          «ciò avviene – spiega inoltre – perché nelle procedure di stampa viene usata una sostanza chiamata Bisfenolo A (Bpa), altamente tossica quando viene assunta in dosi superiori ai termini di tolleranza giornaliera indicata dalla legge europea (direttiva 2011/8/UE)»;
          numerosi studi, ricerche e sperimentazioni hanno dimostrato l'effetto particolarmente nocivo del Bisfenolo-A nei riguardi del sistema endocrino, in particolare l'apparato genitale maschile, e specialmente nei bambini e neonati, oltre che nella fase prenatale, questa sostanza si trasferisce agli esseri umani principalmente per contatto attraverso la pelle, tenendo fra le dita uno scontrino di carta termica per 5 secondi, si trasferiscono da 0,2 a 0,6 microgrammi di Bisfenolo-A se la pelle è alquanto secca, nel caso di pelle grassa, l'assorbimento risulta 10 volte maggiore, come indicato nella relazione tecnico investigativa sui titoli di viaggio dell'Atac Spa del 6 giugno 2012», consegnata ai componenti della commissione speciale «indagine amministrativa sull'Atac»;
          nonostante questa circolare e gli studi suddetti, l'azienda Atac, si difende, rigettando le accuse e negando la presenza di sostanze nocive nei biglietti; tuttavia il consiglio dei sindacati è quello di «usare, quale mera precauzione, guanti di cotone o in lattice, evitando di toccarsi il viso o gli occhi durante o dopo l'uso dei guanti stessi. Poiché l'eventuale assunzione e contagio avviene attraverso la pelle»;
          EFSA descrive in questa maniera il Bisfenolo-A: il Bpa è usato nella produzione di policarbonato (Pc), una plastica utilizzata per contenitori e bottiglie a contatto con gli alimenti, contenitori per cosmetici e nella manifattura di dispositivi medici. Il Bpa è usato anche nella produzione di resine epossidiche/epossifenoliche per strati interni protettivi di contenitori per alimenti e bevande (lattine e scatolame), cosmetici, coperchi metallici per vasetti e bottiglie di vetro e componenti di acquedottistica (tubature, serbatoi). Piccole quantità di Bpa possono essere rilasciate durante l'uso dal contenitore alla matrice in esso contenuta (cibi, bevande) o nei tessuti nei casi di dispositivi medici, quindi la sua pericolosità è trasmissibile su molti altri prodotti ad uso quotidiano della popolazione italiana;
          nel caso del biglietti Atac, si è di fronte ad un prodotto generato attraverso carta termica, una speciale tipologia di carta destinata alla stampa di tirature molto modeste. I fogli risultano semilucidi da un lato, sono ricoperti da un emulsionante formata dal colorante e dallo specifico reattivo, nella quale è contenuto il bisfenolo-A, come indicato nella relazione tecnico investigativa sui titoli di viaggio dell'Atac Spa del 6 giugno 2012, consegnata ai componenti della commissione speciale «indagine amministrativa sull'Atac»;
          Atac afferma che il contatto con la carta termica ripetuto per 10 ore al giorno, come accade ad esempio per il personale alle casse dei tabaccai, supermercati e punti di vendita, può provocare l'assorbimento di bisfenolo-A fino a 71 microgrammi, valore che risulterebbe 42 volte inferiore all'attuale soglia di tollerabilità giornaliera, fissata dai regolamenti vigenti in 0,05 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo (European Food Safety, Authority);
          nell'agosto del 2010 in America è stata bandita la fabbricazione di biberon e contenitori di cibi e bevande contenenti bisfenolo-A e il Canada nel settembre del 2010 ha dichiarato il bisfenolo-A sostanza tossica;
          nel gennaio del 2011 la Commissione europea ha adottato la direttiva 2011/8/UE che proibisce nell'Unione europea la produzione di biberon per l'infanzia e altri prodotti che contengono BPA e vieta la commercializzazione e importazione nell'Unione europea di tali prodotti;
          il Comitato per la valutazione del rischio dell'agenzia europea sulle sostanze chimiche (ECHA) ha unanimemente (19 marzo 2014) classificato il bisfenolo A in categoria 1b per la tossicità riproduttiva, cioè come sostanza che va considerata in grado di danneggiare la fertilità umana. Tale classificazione segnala la necessità di limitazioni d'uso che riducano al minimo la esposizione dei cittadini;
          l'autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha recentemente prodotto una bozza di parere scientifico in due parti sul bisfenolo A, indicendo su tale bozza una consultazione pubblica i cui risultati sono ora in corso di valutazione. In particolare: la prima parte (2013) ha valutato l'esposizione complessiva dei consumatori a fonti alimentari e non (comprese la carta termica e fonti ambientali come l'aria e la polvere); la conclusione di EFSA è che sono gli alimenti la principale fonte di bisfenolo A per i consumatori, ma anche la carta termica ha un ruolo importante (comunicato stampa dell'Autorità, http://www.efsa.europa.eu). Va sottolineato che la valutazione di EFSA riguarda i diversi aspetti dell'esposizione del consumatore, ma non l'esposizione attraverso attività lavorative, verosimilmente più intensa la seconda parte ha valutato i dati, sperimentali ed epidemiologici, sulla tossicità del bisfenolo focalizzandosi soprattutto sugli effetti su rene, fegato e mammella; sulla base di tali effetti, la dose giornaliera tollerabile (DGT) precedentemente definita da EFSA (2006) va abbassata di un fattore 10, cioè da 0,05 a 0,005 mg/kg/pc/die. L'Autorità ha inoltre osservato che permangono incertezze sulle dosi a cui si osservano altri effetti avversi, ad esempio quelli sullo sviluppo del sistema nervoso: tali incertezze rafforzano, pertanto, l'opportunità di un approccio cautelativo nella definizione della Dgt;
          riguardo alla carta da utilizzare, Atac nel capitolato speciale non fornisce alcuna restrizione, risulta soltanto indicata, ed a titolo informativo, la società che si è aggiudica e l'appalto, la MECSTAR Srl che impiega prevalentemente per le proprie lavorazioni, la carta termica della Mitsubishi (thermoscript) TM 1875 e R3400 contenenti bisfenolo-A e prodotta in Germania;
          le criticità sopra citate, sono racchiuse in questi punti: a) i titoli di viaggio al bisfenolo A sono tossici sia per chi li vende che per chi li usa, infatti, le edicole e tabaccherie che ne vendono la media di 1000 al giorno sono 300, quelle che ne vendono 500 sono 400, i punti vendita con la media di 100/300 titoli giornalieri sono 500; b) il fabbisogno annuo di titoli di viaggio Atac è di 116.120.000 che producono circa 100 tonnellate di carta non riciclabile; c) la necessità di non creare impurità nel riciclo della carta imporrebbe l'obbligo del distacco della banda magnetica e dell'ologramma;
          inoltre, i requisiti minimi del sistema di bigliettazione richiesti nel 1999 da Atac alle società che parteciparono alla gara per lo SBE (sistema di bigliettazione elettronica) prevedevano la carta filigranata che, al contrario, non venne mai usata; questa avrebbe dovuto essere acquistata dal Poligrafico dello Stato limitando le falsificazioni ed impedendo le clonazioni (o alterazioni); la conservazione dei documenti stampati sull'attuale carta termica necessita di cura e rispetto delle condizioni ambientali (umidità e temperature) imposte dal fabbricante, quindi la stampa risulta facilmente modificabile e/o cancellabile con additivi chimici e/o con luci particolari (lampade fluorescenti, raggi UV, e altro);
          si ritiene molto preoccupante il silenzio ad avviso degli interroganti inaccettabile dei dirigenti Atac riguardo le problematiche sopra evidenziate  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
          quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, i Ministri intendano adottare ed in quali tempi, affinché si giunga ad una puntuale verifica della situazione ambientale e sanitaria dei composti contenuti nei biglietti e riguardo alle questioni esposte in premessa;
          se i Ministri, venuti a conoscenza dei fatti esposti in premessa, non intendano adottare tutte le iniziative di propria competenza per valutare le problematiche sopra citate e per impegnarsi, nel breve tempo, a esplorare questa area di ricerca, che deve essere necessariamente approfondita;
          se i Ministri interrogati intendano porre in essere le iniziative di competenza per approvare e/o eliminare alcuni tipi di materiale e/o componenti che potrebbero causare danno alla salute dei cittadini e all'ambiente, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione italiana. (4-04703)


      DI GIOIA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'area sarda di Minciaredda, un tempo polmone verde di fronte al Golfo dell'Asinara, con una superficie complessiva di circa 29 ettari, è stata utilizzata negli anni come discarica abusiva, fino al 1982. La discarica, creata dalla Sir Rovelli, venne poi utilizzata dalle società che negli anni si sono succedute alla gestione del petrolchimico per scaricare le scorie industriali più tossiche e tutti gli altri scarti di raffineria;
          la discarica venne alla luce il 19 agosto 2003, quando un gruppo di indipendentisti sardi effettuarono un blitz nella collina di Minciaredda tra la centrale di Fiume Santo e il polo petrolchimico di Porto Torres, portando alla luce quella che poi venne soprannominata «la collina dei veleni»;
          le numerose indagini eseguite nel corso degli anni hanno rilevato un altissimo livello di contaminazione per quanto riguarda i terreni e le acque di falda che attraversano l'area di Minciaredda, determinato principalmente da idrocarburi, composti aromatici, metalli, cloro benzeni e composti clorurati cancerogeni;
          i residui radioattivi sono presenti non solo sottoterra, ma anche nell'aria in forma di palte fosfatiche, ovvero piccole isole di polvere bianca radioattiva, che costituiscono il residuo delle lavorazioni dell'acido fosforico. La loro presenza è dichiarata dai dati ufficiali dell'Eni. Il controllo periodico di radioattività conferma la dispersione pericolosissima di questo materiale, polvere che si sparge non appena si leva il vento; dal decadimento di tali residui si genera il radon, un materiale radioattivo pericolosissimo;
          gli enti territoriali hanno affidato il progetto di bonifica dell'area alla Syndial spa, società del gruppo ENI che fornisce un servizio integrato nel campo del risanamento ambientale, che avrebbe dovuto presentare un progetto definitivo entro l'inizio del 2012, ma che ad oggi non ha fatto altro che ripresentare più volte un progetto di sola messa in sicurezza permanente dell'area, più volte respinto dalle amministrazioni del territorio e contestato dagli enti tecnici della Ras, provincia, comune Porto Torres, Arpas e Ministero dell'ambiente nella conferenza di servizi del 2011;
          in questa situazione di grave pericolo per l'ambiente e per tutti gli abitanti dell'area, le operazioni di bonifica risultano ad oggi ancora ferme, mentre la popolazione chiede a gran voce che l'area venga completamente bonificata attraverso la rimozione dei residui industriali e del terreno contaminato  –:
          se siano a conoscenza dei dati preoccupanti, di cui alle premesse, sull'elevata presenza di residui radioattivi presenti nell'area di Minciaredda, che risultano contaminare non soltanto il terreno ma anche l'aria, attraverso la formazione di palte fosfatiche;
          se non ritengano opportuno assumere iniziative con immediatezza, per quanto di competenza e in accordo con le autorità e le istituzioni locali e regionali, al fine di tutelare l'ambiente e la salute dei cittadini, esposti a rischi gravissimi. (4-04709)

Apposizione di firme ad una mozione.

      La mozione Iori e altri n.  1-00427, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Vezzali, Tinagli.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

      La risoluzione in Commissione Dallai e altri n.  7-00203, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Famiglietti.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Agostinelli n.  5-02195, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cecconi.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      CAPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 18 novembre 2013 una violenta alluvione si è abbattuta sulla Sardegna; precipitazioni a carattere torrenziale, molto intense e persistenti hanno investito la parte orientate dell'isola, e, in particolare, le province di Olbia-Tempio e Nuoro e, in rapida successione, le province di Oristano, Cagliari, Medio Campidano e Ogliastra;
          sono 60 i comuni colpiti – 11 in Gallura, la zona più colpita, 16 nel Nuorese, 10 nell'Oristanese, 8 nel Cagliaritano, 8 nel Medio Campidano, 7 in Ogliastra;
          nell'arco di circa 12 ore sono state registrate, per la prima volta in Sardegna, precipitazioni superiori a 450 millimetri (il valore medio annuo è pari a circa 1.000 millimetri); l'evento alluvionale – eccezionale per intensità – ha provocato esondazioni diffuse, allagamenti, rottura di argini e il collasso del sistema idrogeologico e idraulico; ondate di piena hanno travolto i bacini idrografici del Flumendosa, del Fluminimanno, del Cedrino e di Posada;
          i vigili del fuoco hanno immediatamente messo in campo 350 uomini che hanno lavorato in doppio turno tanto che nel corso della giornata del 18 novembre 2013 e della nottata successiva hanno compiuto oltre 600 interventi, mentre altre centinaia di interventi si sono succeduti nei giorni successivi;
          nelle zone colpite dall'alluvione per soccorrere le molte persone che si sono trovate in difficoltà e per fronteggiare nelle primissime ore i danni ingentissimi provocati dell'eccezionale evento atmosferico i comandi provinciali dei vigili del fuoco sono stati costretti a richiedere l'intervento di effettivi dei vigili del fuoco da altre regioni del continente;
          i vigili del fuoco permanenti sardi che operano fuori dal territorio isolano sono circa 300, ma questi non sono stati richiamati nell'isola;
          la carenza di organico che si riscontra nei comandi provinciali in Sardegna sarebbe ben al di sopra di quella registrata nelle altre regioni d'Italia, come dimostrato in occasione dei recenti eventi alluvionali dove è stata la necessità di richiamare non solo i vigili di altre regioni ma anche ricorrere alla massima razionalizzazione dei turni dei vigili effettivi, al fine di garantire la copertura dei turni nei comandi isolani;
          alla carenza del personale consegue la mancanza di sicurezza in Sardegna, aggravata da altre problematiche, per esempio legate alla condizione di insularità, alla scarsa capillarità dei presidi rispetto al resto d'Italia, alla permanenza di pericolosità di stabilimenti petrolchimici non affiancati da presidi di vigili del fuoco (vedi i casi di Porto Torres e Sarroch), al mancato riconoscimento dello status di «zona disagiata» ai tanti centri urbani e aree in Sardegna che spesso sono presidiate da volontari e dove la media dei tempi d'intervento supera di gran lunga quella italiana (l'inadeguatezza della viabilità e le peculiarità orografiche del territorio sardo allungano notevolmente i tempi di azione, tanto che non si possono garantire tempi di intervento immediati o comunque celeri, previsti nel tempo massimo di trenta minuti per situazioni di urgenza come le alluvioni e i frequenti incendi estivi);
          le problematiche sopra esposte sono già state richiamare nell'atto di sindacato ispettivo n.  2/00123 con riferimento alla carenza di organico del comando di Olbia che costringeva i vigili del fuoco a turni particolari al fine di assicurare il soccorso tecnico urgente in caso di eventi calamitosi e rispetto a cui il Sottosegretario all'interno ha ribadito «la disponibilità da parte del dipartimento di fare un incontro per vedere tutte le fattispecie (...)  –:
          quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere anche alla luce della convenzione siglata il 12 luglio 2012 fra il Ministero dell'interno e la regione autonoma della Sardegna in materia di interventi di protezione civile, al fine di assicurare il rispetto della normativa vigente in materia di mobilità per tutti i vigili del fuoco del territorio italiano, quindi anche per quelli sardi, aggiungendo questo contingente di 300 unità a quelli già operanti nel territorio per potenziare una presenza che, come esposto in premessa, non garantisce la sicurezza dei residenti. (4-02890)

      Risposta. — In Sardegna, il dispositivo di soccorso del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è costituito dalla direzione regionale e da quattro comandi provinciali, dai quali dipendono oltre ad alcuni distaccamenti aventi specifiche competenze di intervento in ambito portuale o aeroportuale, anche 17 sedi territoriali distaccate permanenti (di cui due miste con personale volontario).
      Le presenze attuali del personale operativo non specialista (vigili del fuoco, capi squadra e capi reparto) non generano carenze rispetto all'organico teorico nella regione Sardegna. Le unità complessive presenti sono, infatti, 1190 a fronte di un organico teorico di 1176 e, dunque, in controtendenza rispetto alla media nazionale che registra invece una carenza dello 0,86 per cento. Tale dispositivo di soccorso è potenziato, nel periodo estivo, per lo svolgimento della campagna estiva antincendio, attraverso accordi di collaborazione con gli enti locali e richiami di vigili del fuoco discontinui, preordinati e finalizzati principalmente al rinforzo delle sedi permanenti ed alla costituzione di squadre miste presso i distaccamenti stagionali.
      Nella giornata del 18 novembre 2013, l'alluvione che ha colpito duramente la Sardegna ha provocato allagamenti di vaste proporzioni causati dalla tracimazione di corsi d'acqua e dall'apertura controllata delle paratie delle dighe ingrossate dalle piogge.
      Per far fronte a tale situazione critica, i turni di servizio dei vigili del fuoco sono stati raddoppiati ed è stato potenziato, inoltre, il dispositivo di soccorso con l'invio di quattro sezioni operative (versione alluvione) dalla Toscana e dal Lazio.
      La dislocazione ottimale delle risorse presenti in turno presso comandi provinciali dei vigili del fuoco della Sardegna e la risposta ai richiami in turno libero del personale operativo permanente sono stati tali da soddisfare pienamente le esigenze operative legate alla «emergenza alluvione» ed alla sua gestione; in nessuna fase dell'emergenza le risorse permanenti – impegnate peraltro in situazioni spesso di alto rischio – sono risultate insufficienti allo scopo.
      Nelle fasi più delicate dell'emergenza, ma anche nelle successive, le attività svolte dai vigili o loro affidate, in ambito del Centro coordinamento soccorso (Ccs), dalle autorità provinciali di Protezione civile sono state di tipo molto specialistico e hanno richiesto, in particolare, l'apporto di competenze specifiche, non in possesso di tutto personale (soccorritori acquatici «Smz»; soccorritori fluviali «Saf»; autisti di mezzi pesanti e movimento terra; operatori per i posti di comando avanzato «Pca», e per i centri operativi comunale «Coc», ecc.). Le quattro sezioni operative di colonne mobili regionali (Cmr), inviate dal Centro operativo nazionale sono intervenute anche perché risultavano necessari i mezzi alle stesse associate per fare lavorare il personale disponibile dopo il raddoppio turno.
      Infatti, si è successivamente provveduto a fare rientrare lo stesso personale delle Cmr, continuando a permanere sul territorio i mezzi dallo stesso condotti sul luogo dell'evento.
      Più in generale, circa la difficoltà a raggiungere le zone più colpite dall'emergenza, le criticità sono legate per lo più a cause esterne e oggettive che prescindono sia dalla prontezza di disponibilità delle diverse categorie professionali delle componenti del Corpo nazionale, sia dal numero degli stessi.
      Peraltro, in occasione di calamità naturali o catastrofi, si utilizza il personale volontario attraverso un servizio temporaneo nel rispetto e secondo la modalità prevista dall'articolo 9 del decreto legislativo 139 del 2006 («Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell'articolo 11 della legge 29 luglio 2003, n.  229»). Tale modalità è stata seguita anche in occasione della emergenza connessa all'alluvione che ha colpito la regione Sardegna, attraverso il richiamo di 2957 vigili volontari discontinui per periodi di 20 giorni ciascuno.
      Inoltre a seguito delle recenti mobilità avvenute nel mese di novembre 2013, vi è stato un aumento delle presenze sull'isola pari a n.  49 unità tra vigili e capi squadra, riducendo la carenza di personale operativo.
      Per sopperire alle carenze di organico, il decreto legge 31 agosto 2013, n.  101, ha previsto all'articolo 8, un incremento delle dotazioni organiche del Corpo di 1000 unità, nella qualifica iniziale di vigile del fuoco, di cui 400 da assumere entro il 2013 e 600 entro il primo semestre 2014, attingendo dalle risorse già assegnate per il richiamo del personale volontario.
      Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2013, sono state autorizzate le assunzioni di 399 unità di personale nella qualifica di vigile del fuoco ai sensi dell'articolo 66, comma 9-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112 relativo al turn over 2012 (pari al 20 per cento) e dell'articolo 1, commi 89, 90 e 91 della legge 24 dicembre 2012, n.  228 relativo all'incremento del turn over (pari al 30 per cento).
      Tali assunzioni dovranno essere individuate, in parti uguali, tra gli idonei della graduatoria della procedura di stabilizzazione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della graduatoria del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco, entrambe prorogate al 31 dicembre 2016 dal richiamato decreto legge 31 agosto 2013, n.  101, convertito in legge 30 ottobre 2013, n.  125.
      In sede di assegnazione delle unità di cui sopra, si potrà tener conto delle esigenze evidenziate dall'interrogante.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      CATANOSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il processo di automazione dei servizi e dello smaltimento dei prodotti postali è stato avviato dall'allora Ministero delle poste e telecomunicazioni negli anni settanta grazie anche all'assistenza tecnica della Selex ES già-Elsag, società del gruppo Finmeccanica;
          anche a Catania l'assistenza e la manutenzione degli impianti sono tuttora affidati in appalto alla Selex ES che li ha sub-appaltati a partire dal 2007 alla romana Logos spa;
          il 1° ottobre 2007, con il rinnovo della gara d'appalto e grazie anche all'impegno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, fu stilato un accordo con cui si garantivano i livelli occupazionali fino all'anno 2012;
          la collaborazione tra poste italiane, Selex ES e ditte subappaltatrici è stato rinnovato «automaticamente» fino al mese di ottobre 2007;
          su questo tema, l'interrogante ha presentato nella scorsa legislatura l'interrogazione n.  4-10611 a cui non è pervenuta mai risposta;
          dall'ottobre del 2007, Selex ES ha deciso, avendone facoltà, di affidare il subappalto a sole due ditte: Stac Italia Srl per il centro-nord e Logos spa per il centro-sud, isole comprese, in tutto il territorio nazionale;
          grazie ad un'azione di coordinamento con i lavoratori delle altre ditte e con il supporto delle organizzazioni sindacali si è giunti ad un accordo ministeriale che impegnava le due ditte subentranti ad assumere il personale già applicato nei vari centri dalle precedenti aziende rispettando i livelli occupazionali, economici e di anzianità;
          circa un mese prima della scadenza del bando di gara europeo (marzo 2013) promosso da poste italiane, la Selex ES ha deciso di disdire, con effetto immediato, gli appalti assegnati alle due società in subappalto: Logos, per i 10 uffici del centro-sud e Stac Italia, per i 9 uffici del centro-nord, senza prevedere alcuna tutela per i circa 300 tecnici e manutentori occupati nei vari centri;
          il tentativo della Selex ES di assegnare il subappalto ad una nuova azienda che non intende assorbire i lavoratori già impiegati è rientrato con la proroga dei contratti a Logos e Stac fino alla scadenza dell'appalto e quindi ulteriormente prolungato fino al 31 luglio 2013: attualmente i lavoratori sono in regime di proroga fino a quella data, senza nessuna prospettiva di impiego per il futuro;
          i lavoratori esprimono molte perplessità in ordine ai contenuti economici della proposta delle vincitrici della gara, Selex ES e PH Facility, in quanto si prefigura una riduzione degli attuali organici di circa il 30 per cento con la chiusura di alcuni centri di meccanizzazione, contravvenendo agli impegni assunti con l'accordo ministeriale del 2007 e con lo stesso obiettivo del bando di gara di poste italiane spa, che prevedevano il mantenimento dei livelli occupazionali  –:
          se il Ministro interrogato intenda convocare un tavolo con poste italiane spa, Selex ES, Logos, Stac, PH Facility e le organizzazioni sindacali al fine di approvare un protocollo d'intesa che salvaguardi l'occupazione dell'intera filiera o la riallocazione del personale eccedente in poste italiane;
          quali altre iniziative intende adottare il ministro interrogato per risolvere le problematiche descritte in premessa.
(4-01345)

      Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame anche sulla base degli elementi forniti dalla società Poste italiane che ha rappresentato quanto segue.
      I servizi di manutenzione ed assistenza tecnica, necessari per il funzionamento di impianti, macchine ed attrezzature presenti nei Centri di meccanizzazione postale (Cmp), sono attualmente assicurati dal contratto stipulato a seguito di gara comunitaria, indetta in data 28 dicembre 2012, per la definizione di un accordo quadro triennale, ai sensi del decreto legislativo n.  163 del 2006 e successive modificazioni.
      L'offerta economicamente più vantaggiosa è stata formulata dal Raggruppamento temporaneo d'impresa (Rti) Selex ES s.p.a. – PH Facility srl che, pertanto, è risultato aggiudicatario della procedura di gara.
      A tal proposito, Post italiane ha precisato che il relativo capitolato prevedeva, nell'ambito del meccanismo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, l'assegnazione di uno specifico punteggio tecnico per le imprese partecipanti che si impegnavano ad assumere e/o mantenere in servizio una quota del personale già operante.
      La società ha evidenziato, inoltre, che, nell'individuare la specifica assegnazione tra i vari siti dei servizi di manutenzione e assistenza tecnica, è stato necessario tenere conto anche dei vincoli organizzativi e delle modifiche previste dal complessivo Piano di riassetto delle rete logistica dei servizi postali, individuate con l'accordo del 28 febbraio 2013, che ha ridimensionato il numero degli stabilimenti, degli impianti di smistamento e, di conseguenza, delle relative attività e dei servizi di manutenzione necessari.
      Per quanto riguarda la situazione contrattuale, Poste italiane ha evidenziato che, precedentemente, i servizi di manutenzione ed assistenza tecnica degli impianti presso i Cmp erano assicurati, a seguito della procedura di gara espletata nel 2004, dal consorzio (Rti) Elsag spa – Finmek che, a partire dal 2007, si è avvalso, in regime di subappalto, principalmente delle imprese Stac Italia e Logos che attraverso una proroga del contratto hanno assicurato il servizio fino al 30 settembre 2013.
      L'avvicendamento nel contratto di manutenzione – avvenuto il 1o novembre 2013 – e l'ingresso del Raggruppamento temporaneo d'impresa (Rti) Selex ES spa – PH Facility srl aggiudicataria della gara, ha determinato l'avvio di una vertenza sindacale avente ad oggetto il mantenimento dei livelli occupazionali del personale delle ditte uscenti (Stac Italia Srl e Logos Spa).
      Tale vertenza è stata caratterizzata da scioperi e altre forme di protesta quali, ad esempio, la riduzione e il ritardo degli interventi di assistenza programmata e di manutenzione negli stabilimenti e l'abbandono senza preavviso del posto di lavoro da parte del personale tecnico di turno – dipendente delle società sub-fornitrici – negli impianti dei centri di meccanizzazione postale (Cmp).
      Dal mese di settembre 2013, la società PH Facility ha avviato un tavolo di confronto con le parti sociali di riferimento, per poter raggiungere un accordo complessivo, riguardante soprattutto i passaggi di risorse da realizzare al momento del subentro. Purtroppo da questo confronto non è emersa la possibilità di una intesa. Per questa ragione presso il Ministero dello sviluppo economico si è attivato un tavolo di concertazione per ricercare le condizioni di una intesa che coinvolga tutti i soggetti interessati, con la finalità, altresì, di offrire una opportunità di lavoro a tutti coloro che in precedenza erano occupati nei Cmp alle dipendenze di Logos e Stac.
      A tal riguardo si segnala che nell'incontro, svoltosi in data 19 novembre 2013, presso il Ministero dello sviluppo economico la società Poste italiane ha evidenziato che, a seguito dell'intesa del 28 febbraio 2013 riguardante la riorganizzazione del servizio di recapito, sono emerse complessivamente circa 6.000 eccedenze, delle quali circa 1.400 presso i Cmp. Pertanto non trovano giustificazione le richieste di inserimento di nuovo personale proveniente da altre aziende.
      Il confronto è tutt'ora in corso. Nell'incontro del 6 febbraio 2014 tenutosi presso il Ministero dello sviluppo economico è stato condiviso dalle aziende Selex ES, Stac, Logos e dalle organizzazioni sindacali di categoria un testo concordato volto a salvaguardare l'occupazione di cui si attende la definitiva sottoscrizione. Nel frattempo i lavoratori della società Stac e Logos sono protetti da un accordo di cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs) per cessazione di attività e si attende la disponibilità di PH Facility ad assumerne una parte importante nel quadro della piena occupazione di tutti i dipendenti, così come previsto nella citata bozza di intesa raggiunta il 6 febbraio 2014.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Antonello Giacomelli.


      CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la recente riforma del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, avvenuta con decreto legislativo n.  217 del 2005 sulla base della legge delega n.  252 del 2004 risulta, per molti osservatori attenti tra cui la Confsal-vigili del fuoco e per l'interrogante, legata ad un modello arcaico di amministrazione, con soluzioni che non possono reggere le moderne dinamiche che una pubblica amministrazione si trova ad affrontare quotidianamente;
          si tratta di un modello che mostra di non saper recepire princìpi quali l'efficacia, l'efficienza e l'effettività amministrativa dei risultati perseguiti, e del benessere organizzativo e delle pari opportunità e dignità;
          i vari Corpi dello Stato risultano essere formati da settori operativi e da settori tecnico-logistici e amministrativi che sono differenziati per le sole funzioni svolte, ma col riconoscimento dei medesimi diritti, mentre nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco si continuano a separare carriere e funzioni;
          nella Guardia di finanza o nell'Arma dei carabinieri settori come quelli tecnico-logistici e amministrativi prevedono sbocchi equiparabili a quelli dirigenziali e, invece, nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco ciò è precluso al personale dei ruoli amministrativo-contabili e informatici, per i quali è previsto come massimo livello quello di una vicedirigenza svuotata di ogni contenuto effettivo;
          per giustificarne il mantenimento nei ruoli direttivi e dirigenti del Corpo del personale ginnico e medico, questo personale viene inquadrato tout-court come operativo, mentre lo stesso non avviene per il personale direttivo amministrativo-contabile e informatico negando a quest'ultimo personale quel riconoscimento formale di operatività nei fatti previsto dallo stesso ordinamento che, invero, lo coinvolge anche nei campi base in operazioni emergenziali;
          troppi sono gli esempi di discriminazioni che il personale amministrativo-contabile e informatico dei vigili del fuoco soffre, come testimoniato anche in atti di quotidiana e minuta amministrazione (tra l'altro promozioni, tessere di riconoscimento, divise, tessere di servizio);
          il primo, come anticipato, riguarda l'immotivata e pervicace resistenza all'istituzione dei ruoli dirigenziali per il personale appartenente ai ruoli direttivi amministrativi e informatici del Corpo (personale con laurea magistrale ed altamente qualificato), con schiacciamento monopolistico dell'intera attività di gestione dell'intero Corpo a favore della sola componente tecnica a dispetto di una efficace e logica separazione delle competenze;
          la mancanza di percorsi professionali adeguati comporta l'assenza di merito e, conseguentemente, un appiattimento che induce dipendenti dei ruoli amministrativo-contabili e informatici del Corpo a cercare altrove, mediante concorsi, l'accesso a quelle qualifiche dirigenziali a loro precluse, a giudizio dell'interrogante, immotivatamente nell'amministrazione di appartenenza  –:
          quali iniziative di natura amministrativa e normativa intenda adottare il Ministro interrogato per porre fine a questa situazione e per restituire ai funzionari e al restante personale dei ruoli amministrativo-contabili e informatici del Corpo nazionale dei vigili del fuoco quella dignità e quella parità di diritti che l'amministrazione nega loro. (4-01909)


      CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          a fine aprile del 2013 un comitato appositamente costituito dal Capo dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile ha preso atto della necessità di inserire, tra le proposte di riforma del modello organizzativo e del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, lo sviluppo professionale dirigenziale anche per i ruoli dei funzionari amministrativo-contabili e informatici dei vigili del fuoco aventi il titolo della laurea magistrale;
          tale riconoscimento avrebbe dovuto costituire l'avvio di un nuovo corso teso a mettere fine ad una vicenda, conseguente all'entrata in vigore del nuovo ordinamento del personale del Corpo che aveva inspiegabilmente escluso l'inserimento del suddetto personale non solo dall'accesso ai ruoli direttivi ma anche dall'idoneo settore di contrattazione comprendente anche il personale direttivo;
          i funzionari laureati amministrativo-contabili e informatici, infatti, erano stati inseriti, nonostante le evidenti funzioni direttive svolte, nel settore di contrattazione riservato al personale non direttivo e non dirigente, quasi che si volesse fare una distinzione, all'interno dei vigili del fuoco, tra personale con lauree di «serie A» – ingegneri e architetti del settore direttivo e dirigenziale tecnico, medici e ginnici – e personale con lauree magistrali di «serie B» – funzionari amministrativo-contabili e informatici, appunto, con lauree magistrali in scienze politiche, giurisprudenza, economia, ingegneria informatica, matematica e fisica;
          questa distinzione continua inspiegabilmente a basarsi su un'accezione di operatività, riconosciuta sia al personale direttivo e dirigente tecnico sia a quello medico e ginnico ma non al personale dei ruoli dei funzionari amministrativo-contabili e informatici nonostante, nei fatti, l'ordinamento preveda la loro presenza diretta anche in teatri di natura emergenziale con compiti di diretto supporto alle operazioni di soccorso;
          sembrerebbe chi ha disegnato il nuovo ordinamento del Corpo nazionale abbia previsto l'esistenza non di un Corpo unico, ma di un Corpo al suo interno distinto in più anime non tutte degne della medesima considerazione;
          ciò non accade nei modelli utilizzati dagli altri Corpi dello Stato, dove le componenti sono distinte solo per le funzioni svolte ma non per gli istituti e i benefici riconosciuti a tutto il personale;
          dopo il giusto riconoscimento fatto pochi mesi orsono dal dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile, nell'aprire la discussione sulle priorità e sui nuovi interventi necessari a coprire le mancanze create dall'ordinamento entrato in vigore nel 2006, lo stesso dipartimento sembra all'interrogante, nel caso dei funzionari e di tutto il personale dei ruoli amministrativo-contabili e informatici, non assicurare una celere soluzione della problematica, indicando tempi e modalità che non consentono una risoluzione certa (disegno di legge) quando per altri casi e altre situazioni si intende, invece, delineare percorsi celeri e senza ostacoli (disegno di legge delega e addirittura decreto legge);
          tali rallentamenti non aiutano e non rassicurano il personale interessato e, certamente, non è più possibile ammettere giustificazioni legate a supposte scarsità di risorse;
          le organizzazioni sindacali di categoria hanno dimostrato che l'istituzione della dirigenza amministrativa e informatica del Corpo, oltre a essere un investimento per razionalizzare l'amministrazione, può avvenire a costo zero, o quasi, considerando le indicazioni fuoriuscite dal parere del Consiglio di Stato in merito al potenziamento dei posti di ufficiale superiore (generale) dei ruoli amministrativi tecnico logistici della Guardia di finanza;
          questi rallentamenti, uniti a tutta una serie di provvedimenti che sembrano voler peggiorare la situazione del personale dei ruoli amministrativo-contabili e informatici dei vigili del fuoco rispetto a tutto il restante personale del Corpo, potrebbero essere intesi come una volontà di penalizzare un settore considerato da qualcuno come un mero supporto e non come una risorsa fondamentale per aumentare l'efficienza del Corpo, quasi a voler continuare a perseguire modelli di amministrazione non più in linea coi tempi e con le necessità del moderno agire amministrativo  –:
          quali iniziativa di natura amministrativo-normativa intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere in tempi brevi e certi tale situazione, magari indicando un programma definito di interventi che possano eliminare tali discriminazioni ed agevolare la creazione di un modello di Corpo nazionale dei vigili del fuoco capace di funzionare secondo i parametri di efficienza, efficacia ed economicità.
(4-01950)

      Risposta. — Il personale appartenente ai ruoli amministrativo-contabili e informatici del Corpo nazionale dei vigili del fuoco supporta le strutture operative, anche in situazioni di emergenza, contribuendo con competenza e professionalità ad assicurare funzionalità ed efficienza al sistema.
      Questi ruoli tecnici sono stati istituiti con la legge 23 dicembre 1980, n.  930, mentre solo con il contratto collettivo nazionale di lavoro del 24 maggio 2000 è stata creata per essi un'area direttiva.
      Tuttavia le norme di prima applicazione del citato contratto collettivo hanno consentito l'inquadramento in tale area solo del personale diplomato, perché i primi laureati vennero assunti con concorso del 2004.
      Il decreto legislativo del 13 ottobre 2005, n.  217 ha poi istituito il ruolo dei funzionari amministrativo contabili e tecnico informatici, riservato ai laureati, con una dislocazione gerarchica sovraordinata a quelli dei ruoli dei collaboratori e degli operatori.
      La legge delega 252 del 2004 ha costituito, nel contempo, anche un limite per la collocazione di tale personale sia per le modalità che per i tempi dello sviluppo della carriera. Infatti, l'articolo 2 della citata legge ha previsto che l'accesso alla dirigenza fosse riservato al personale del Corpo nazionale in possesso dei requisiti di legge previsti, considerato che anche tale legge delega faceva riferimento alla dirigenza al momento prevista, che era solo quella tecnica, sanitaria e ginnico-sportiva.
      Si precisa, comunque, che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono attualmente oggetto di studio.
      Tra l'altro, l'analisi in corso attiene alle eventuali modifiche del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n.  217, recante l'ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di potenziarne l'efficienza organizzativa e valorizzarne tutte le componenti.
      Tali iniziative impongono, peraltro, un'attenta valutazione dei maggiori oneri per la finanza pubblica, conseguenti all'eventuale loro recepimento sul piano normativo.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      CERA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 142 – «Limitazione di cattura» – del decreto del Presidente della Repubblica 1639/1968, volto a regolamentare la pesca dei pescatori sportivi, testualmente recita: «Il pescatore sportivo non può catturare giornalmente pesci, molluschi e crostacei in quantità superiore ai 5 chilogrammi complessivi salvo il caso di pesce singolo di peso superiore  –:
          se possa essere considerata corretta l'interpretazione della normativa sopra citata, nel senso che, essendo la seppia considerato un «cefalopode», non protetta da alcuna normativa nazionale e comunitaria, nemmeno sulla «taglia minima consentita», ne possa essere consentita la pesca da parte del pescatore sportivo subacqueo, sempre che rientri nel limite massimo consentito di chilogrammi cinque come fissato dal predetto articolo 142 del decreto del Presidente della Repubblica 1639 del 1968. (4-03566)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si precisa che, con il termine «cefalopode» si individua una classe di molluschi marini a simmetria bilaterale, con o senza conchiglia, che possono essere quindi catturati da parte dei pescatori sportivi subacquei nel rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 142 del decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n.  1639, richiamate dall'interrogante.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la grave crisi economica e sociale che coinvolge l'Italia ha impegnato il Governo Berlusconi a mettere in atto delle strategie al fine di garantire i livelli retributivi ai dipendenti pubblici;
          infatti, in data 4 febbraio 2011 veniva sottoscritto dal Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, dal Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazioni pro tempore e dalle organizzazioni sindacali l'accordo avente ad oggetto «Intesa per la regolazione del regime transitorio conseguente al blocco del rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro nel pubblico impiego» concernente – tra l'altro – il sistema delle relazioni sindacali, il miglioramento delle condizioni lavorative e le conseguenze del blocco della contrattazione nel pubblico impiego a far data dal 2010 anche alla luce del decreto legislativo n.  150 del 2009;
          il blocco contrattuale, come è noto, è stato prorogato fino alla fine del 2014;
          nell'accordo le parti convenivano che «le retribuzioni complessive comprensive della parte accessoria, conseguite dai lavoratori nel corso del 2010 non devono diminuire per effetto dell'applicazione dell'articolo 19 del decreto legislativo n.  150 del 2009». In buona sostanza si prevede che il valore del trattamento economico comprensivo della parte relativa all'accessorio dei singoli dipendenti, non dovesse essere inferiore rispetto a quanto percepito nel 2010;
          in merito all'accordo raggiunto riguardante il salario accessorio, secondo quanto riferito da sigle sindacali, l'intesa veniva definita come un accordo importante perché avrebbe chiarito definitivamente che le buste paga del pubblico impiego sarebbero state esattamente quelle che erano e inoltre che pur nel blocco dei contratti, non avrebbe diminuito neanche di un euro le retribuzioni dei pubblici dipendenti dando la possibilità di erogazioni ulteriori;
          successivamente con decreto-legge n.  201 del 2011 il Governo Monti ha deciso di inglobare, sopprimendoli, gli enti previdenziali INPDAP e ENPALS all'interno dell'ente previdenziale INPS al fine di armonizzare il sistema pensionistico attraverso l'applicazione del metodo contributivo;
          l'Inps è subentrato in tutti i rapporti attivi e passivi dei due enti previdenziali. La scelta di tale unificazione è stata dettata dall'esigenza di realizzare un cospicuo risparmio delle spese di personale e di funzionamento attraverso il processo di razionalizzazione organizzativa che ne sarebbe conseguito;
          nonostante siano passati molti mesi dall'integrazione, accade che quanto previsto nell'accordo non viene rispettato, ponendo in essere una grave pratica discriminatoria;
          infatti, il personale soppresso ex Inpdap si troverebbe attualmente a percepire un importo accessorio, che risulterebbe inferiore a quello in precedenza percepito. Inoltre risulterebbe altresì messe in discussione altre voci accessorie della retribuzione per importi ulteriori;
          l'Inps non pare prendere una chiara soluzione in merito al salario accessorio. Tanto premesso, evidente che i dipendenti, in base a quanto previsto nell'accordo del 4 febbraio 2011, potrebbero intentare – legittimamente – numerose cause davanti al giudice del lavoro al fine di vedere riconosciuto il diritto al non subire la riduzione del trattamento economico del 2010;
          a ciò si aggiunga che, oltre alla pesante decurtazione economica che colpisce i dipendenti pubblici, gli stessi subiscono un'ulteriore penalizzazione legata al pagamento dei mutui le cui rate mensili sono calcolate sulla retribuzione comprensiva della parte accessoria  –:
          se il Governo sia a conoscenza della descritta situazione;
          quali iniziative – anche di tipo normativo – il Governo intenda adottare per far rispettare e dare attuazione all'accordo del 4 febbraio 2011 ed evitare che i dipendenti del settore pubblico, già duramente colpiti dal blocco contrattuale e dalla crisi, subiscano un ulteriore diminuzione della retribuzione. (4-02046)

      Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame con la quale si chiedono chiarimenti in merito all'intesa raggiunta il 4 febbraio 2011 da Governo e sindacati, concernente «la regolazione del regime transitorio conseguente al blocco del rinnovo dei contratti collettivi» in base alla quale «le retribuzioni complessive, comprensive della parte accessoria, conseguite nel corso del 2010, non devono diminuire per effetto dell'applicazione dell'articolo 19 del decreto legislativo n.  150/2009».
      Ai fini dell'attribuzione della quota di risorse destinata alla performance individuale, l'articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 27 ottobre 2009 n.  150 detta una disciplina per la distribuzione percentuale del personale in servizio in tre fasce di rendimento: ad ogni fascia è collegata la quota destinata a retribuire la produttività individuale in misura percentuale rispetto alle risorse disponibili. Come precisato nella lettera circolare 17 febbraio 2011, n.  1 del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, «l'Intesa prevede, altresì, che, per la retribuzione della produttività, possano essere utilizzate esclusivamente le risorse aggiuntive derivanti dall'applicazione del cosiddetto “dividendo dell'efficienza”».
      Nell'ambito dell'intesa le parti hanno infatti convenuto sulla necessità di evitare la diminuzione delle retribuzioni complessive, comprensive della parte accessoria, conseguite dai lavoratori nel corso del 2010; diminuzione che si determinerebbe per effetto dell'applicazione degli strumenti di differenziazione retributiva previsti dall'articolo 19 del decreto legislativo n.  150 del 2009. La ratio di tale sospensione, di prevalente natura politico-sindacale, va ricercata nella portata delle misure contenute nel decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, che, incidendo pesantemente sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, hanno consigliato di evitare l'automatica diminuzione dei trattamenti accessori così come sopra descritto.
      Il riferimento operato dall'intesa all'immutabilità delle «retribuzioni complessive», ferma restando la conferma della sospensione temporale del meccanismo di ripartizione in tre fasce di rendimento di tutto il personale, riguarda, quindi, solo l'ammontare complessivo delle risorse destinate alle retribuzioni e non anche la loro distribuzione differenziata sulla base dei contenuti qualitativi-quantitativi della prestazione individuale. Si tratta, peraltro, soltanto di una sospensione temporale dell'operatività dei meccanismi di cui al citato articolo 19, in quanto la stessa opera «in attesa della stipulazione dei nuovi contratti collettivi nazionali di lavoro».
      In ogni caso, l'intesa per la sua stessa natura non può derogare ad una norma di legge e dunque non incide sulla validità dei vari istituti finalizzati a premiare il merito e la professionalità. Resta quindi fermo l'obbligo, per la contrattazione integrativa, di rispettare i principi di premialità e di corrispettività tra compensi erogati e prestazioni effettivamente rese, contenuti nel decreto legislativo n.  150 del 2010, nonché nelle altre disposizioni normative precedenti alla data di sottoscrizione dell'accordo. Di conseguenza, anche nel regime transitorio, indipendentemente dalla ripartizione nelle fasce retributive, il dipendente, in presenza di una valutazione negativa della sua prestazione, potrebbe pertanto percepire un trattamento accessorio inferiore rispetto a quello percepito nel 2010.
Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione: Maria Anna Madia.


      COCCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il consigliere comunale del Popolo della libertà del comune di Bacoli (Napoli) Luigi Carannante è stato rinviato a giudizio per i reati di cui agli articoli 612 e 582, primo e secondo comma, con la seguente testuale imputazione: «con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, dapprima profferendo all'indirizzo la frase in dialetto «ti devo uccidere» e poi colpendolo con una testata al volto, minacciava il signor Roberto Della Ragione, cagionandogli una lesione personale dalla quale derivava una malattia nel corpo della durata superiore ai 20 giorni»;
          l'episodio fa riferimento all'aggressione subita lo scorso anno dal signor Roberto Della Ragione, sostenitore di una lista civica a sostegno del candidato sindaco di centrosinistra, negli uffici del servizio elettorale del comune di Bacoli, presso il comando di polizia municipale, in occasione della definizione degli adempimenti per «l'apparentamento» ai candidati sindaci in ballottaggio per il secondo turno alle elezioni comunali di Bacoli;
          il signor Della Ragione, dopo l'aggressione, era stato immediatamente soccorso e trasportato con l'ambulanza al pronto soccorso dell'ospedale Santa Maria delle Grazie, dove venivano debitamente certificate le rilevanti ferite riportate (frattura scomposta del setto nasale con necessità di intervento chirurgico, lesione delle ossa facciali, lacerazione interna del labbro, ematomi multipli al volto e alle braccia);
          tale proditoria e violenta aggressione, alla quale assistevano diversi testimoni, determinava l'apertura di un'inchiesta da parte della procura della Repubblica di Napoli dalla quale è scaturito il rinvio a giudizio del consigliere comunale Luigi Carannante, che dovrà comparire davanti al giudice monocratico il 10 maggio del 2012;
          il caso appare di una straordinaria gravità perché avvenuto in una sede del comune, durante una fase importante del procedimento elettorale, ad opera di un candidato al consiglio comunale successivamente eletto e si configura come un'aggressione con una chiara matrice politica e con un evidente obiettivo intimidatorio ai danni di un avversario politico;
          è evidente che l'increscioso ed inquietante episodio non può essere rimesso esclusivamente alla pur inevitabile e giusta sanzione che riterrà di adottare il giudice penale, ma merita un'attenta e rigorosa valutazione dal parte delle competenti autorità istituzionali al fine di salvaguardare il decoro ed il corretto funzionamento degli enti locali, nonché di assicurare il normale esercizio della rappresentanza democratica, nel rispetto puntuale dei precetti costituzionali e delle vigenti normative finalizzate – tra l'altro – ad impedire ogni eventuale condizionamento nell'espletamento delle funzioni pubbliche;
          l'articolo 142 del testo unico degli enti locali stabilisce che, con decreto del Ministro dell'interno, i componenti dei consigli «possono essere rimossi quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico»  –:
          se non reputi opportuno assumere urgenti determinazioni, per quanto di sua competenza, al fine di accertare le condizioni di agibilità democratica e politica dell'assemblea elettiva del comune di Bacoli (Napoli), dal momento che in tale consesso siede un consigliere rinviato a giudizio per aver aggredito e provocato lesioni personali ad un avversario politico;
          se non ritenga di valutare la possibilità di promuovere un'azione di sospensione o rimozione del consigliere Luigi Carannante, ai sensi del citato articolo 142 del testo unico degli enti locali, considerato che la permanenza in consiglio comunale del suddetto appare lesiva dell'immagine, della dignità e della funzione democratica e rappresentativa dell'istituzione locale. (4-00348)

      Risposta. — Come riferito dall'interrogante, a seguito dell'aggressione subita il 2 aprile 2010 da un consigliere comunale di Bacoli (Napoli), il signor Roberto Della Ragione, sostenitore di una lista civica presentata per le consultazioni amministrative del 28 e 29 maggio 2010, ha denunciato l'episodio all'Autorità giudiziaria.
      L'amministratore locale è stato pertanto rinviato a giudizio per i reati di lesioni e minacce (articoli 582 e 612 del codice penale).
      La pendenza di tale procedimento penale non integra alcuna delle fattispecie previste dall'articolo 142, comma 1, del decreto legislativo 267 del 2000 e dal decreto legislativo 235 del 2012 e non comporta pertanto la sospensione di diritto dalla carica rivestita, né la sua rimozione.
      Tali provvedimenti di rigore, infatti, si configurano quali strumenti di natura residuale che, per la loro forte incidenza sull'autonomia degli enti territoriali, possono essere adottati solo in ragione di presupposti che, anche nella loro formulazione, rimandano a fattispecie di particolare gravità.
      In ogni caso, la prefettura, nell'ambito dei poteri conferiti dalla legge, continuerà a seguire con la massima attenzione la vicenda e non mancherà di assumere ogni eventuale iniziativa ritenuta necessaria per garantire condizioni di trasparenza dell'azione amministrativa.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      CORDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          dopo solamente un anno di servizio alla cittadinanza è stata annunciata la chiusura del distaccamento dei vigili del fuoco nella cittadina sarda di Mandas;
          il territorio coperto dal distaccamento in questione, risulta oggi totalmente scoperto da un pronto intervento dei mezzi di soccorso che abbiano tempi di risposta adeguata, infatti questo territorio viene servito attualmente dal distaccamento vigili del fuoco Sanluri, che intervenendo non riesce a rientrare nei tempi di percorrenza dettati dalla normativa vigente riguardante il soccorso tecnico urgente;
          il distaccamento di Mandas in un anno di attività ha effettuato ben 450 interventi, dimostrando la sua indiscutibile utilità per quel territorio;
          la decisione di chiudere il distaccamento di Mandas appare ancora più irrazionale alla luce di una estate in cui la Sardegna è stata oggetto di violenti ed estesi incendi che hanno mandato in fumo parte consistente del patrimonio boschivo  –:
          se il Governo non reputi opportuno riconsiderare la decisione di chiudere il distaccamento di Mandas anche alla luce delle sollecitazioni in tal senso espresse dalla comunità locale e dagli enti territoriali coinvolti. (4-02278)

      Risposta. — In merito alla possibile chiusura del distaccamento dei vigili del fuoco sito nel comune di Mandas, inserito nel progetto «Soccorso Italia in 20 minuti», si rammenta che lo stesso è stato istituito con decreto 12 aprile 2006, n.  301 come distaccamento volontario dipendente dal comando provinciale dei vigili del fuoco di Cagliari.
      A causa della carenza di personale volontario, il suddetto distaccamento, tuttavia, ha potuto effettivamente operare solo nel periodo estivo, grazie al potenziamento del dispositivo di soccorso previsto dalle convenzioni antincendio boschivo (Aib) annualmente stipulate con la regione autonoma della Sardegna, finalizzate alla lotta attiva contro gli incendi di bosco.
      Nel 2012 – a completamento della formazione di un contingente di personale volontario – il comando provinciale dei vigili del fuoco di Cagliari ha potuto protrarre l'operatività del medesimo oltre il termine della «campagna estiva» con il temporaneo supporto del personale permanente (con le qualifiche di istruttore professionale ed istruttore autista) impegnato in un programma di formazione per vigili volontari denominato «on the job training».
      Dal 19 agosto 2013 la sede di Mandas non è però attiva, avendo avuto termine sia il predetto programma addestrativo che il potenziamento stagionale operato sulla base della convenzione Aib 2013 ed essendo, attualmente, il numero dei volontari non sufficiente a garantire il servizio operativo.
      Tali criticità hanno indotto questa Amministrazione a valutare l'ipotesi di riclassificare il distaccamento di Mandas, da volontario a misto, con l'apporto di ulteriori 16 vigili permanenti, anche se tale riclassificazione potrà comportare la corrispondente riduzione di categoria, attribuita ad altre sedi già attive o in via di attivazione.
      Inoltre, il decreto legge 31 agosto 2013, n.  101, convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n.  125, ha incrementato a mille unità, nella qualifica dei vigili del fuoco, l'organico del Corpo nazionale e, pertanto, a seguito di tale potenziamento, è in fase di definizione l'ipotesi di distribuzione territoriale delle stesse risorse umane.
      In tale ambito, le esigenze di riclassificazione del distaccamento di Mandas e di altre sedi operative dei vigili del fuoco che presentano analoghe necessità potranno essere prese in adeguata considerazione.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      D'AMBROSIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          la Food standards agency del Regno Unito ha assegnato il bollino rosso all'olio extra vergine d'oliva;
          nella Gran Bretagna è in vigore da qualche tempo un sistema grafico indicante la salubrità degli alimenti, gestito dalla Food standards agency. Dal colore verde al rosso, cioè dal più salubre e consigliato, al più malsano e da evitare, o quantomeno da utilizzare solo in maniera occasionale;
          la predetta agenzia inglese ha assegnato all'olio extra vergine d'oliva, re delle dieta mediterranea, il bollino rosso, catalogandolo sostanzialmente come un prodotto malsano;
          l'olio extra vergine di oliva è, come ricordato dal coordinatore dell'associazione «Città dell'olio» della regione Puglia, «alimento portante della nostra dieta mediterranea, recentemente riconosciuta patrimonio dell'umanità dall'Unesco»;
          tale classificazione quasi certamente produrrà una ricaduta negativa sulle esportazioni verso quel Paese, con danni per il settore olivicolo  –:
          quali interventi urgenti si intendano porre in essere a difesa dell'olio extra vergine di oliva, prodotto dalle indiscutibili qualità nutrizionali e salutistiche, e del comparto olivicolo italiano. (4-02596)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si evidenzia innanzitutto che, grazie al sostanziale impegno nazionale dell'Italia nelle sede europee, si è giunti all'emanazione del regolamento di esecuzione (UE) n.  299/2013 della Commissione del 26 marzo 2013 con il quale è stato modificato il regolamento (CEE) n.  2568/91, relativo alle caratteristiche degli oli di oliva e degli oli di sansa d'oliva, nonché ai metodi di analisi ad essi attinenti.
      In seguito all'emanazione di tale regolamento, sono state adottate, con decreto ministeriale del 23 dicembre 2013, le specifiche misure attuative a livello nazionale che prevedono l'intensificazione dei controlli in tutta la fase della filiera, a tutela qualità degli oli di oliva vergini nonché dei consumatori.
      In ambito internazionale, inoltre, presso il Consiglio oleicolo internazionale (Coi) è stata, inoltre, ottenuta la revisione di taluni parametri (etil esteri, cere e stigmastadieni) atti a migliorare il controllo della qualità e della genuinità degli oli, nonché ad ostacolare pratiche fraudolente ed ingannevoli. Tali norme tecniche sono state recepite dalla Commissione europea con il regolamento di esecuzione (UE) n.  1348/2013 della Commissione del 13 dicembre 2013 ed entreranno in vigore a partire dal 1o marzo 2014.
      Il nuovo quadro normativo di riferimento sopracitato consentirà una maggiore efficacia nelle azioni di difesa dell'olio di oliva extra vergine e di valorizzazione del comparto olivicolo italiano.
      Ricordo, peraltro, che il Governo ha espresso parere favorevole sulla mozione 1-311, approvata dalla Camera dei deputati il 14 gennaio 2014, contenente lo specifico impegno ad attivarsi affinché, a tutti i livelli, nazionale, europeo e internazionale, sia attuata una chiara e rigorosa politica di difesa delle produzioni agroalimentari made in Italy. Con l'approvazione della medesima mozione il Governo è inoltre impegnato a promuovere, in sede europea, una verifica sulla compatibilità del sistema di etichettatura inglese con la normativa europea relativa alle indicazioni nutrizionali degli alimenti, così come previste dal citato regolamento (CE) n.  1169/2011, nonché sul rispetto da parte del Governo britannico dell'obbligo di previa notifica previsto per l'introduzione di nuove regolamentazioni in materia di etichettatura, anche al fine di valutarne la sospensione in relazione alla possibilità di una turbativa del mercato. Ricordo inoltre che ho avuto anche modo di ribadire, dopo il mio insediamento, l'impegno del Governo a contrastare nelle sedi europee competenti il sistema di marchio britannico.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      DI GIOIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'Istituto di vigilanza «METROPOL» ha svolto la propria attività sul territorio pugliese per oltre venti anni, garantendo lavoro a 240 dipendenti, arrivando a collocarsi al secondo posto tra le aziende leader del settore della vigilanza in Puglia nonché al settimo posto in Italia;
          in data 15 febbraio 2013, la prefettura di Foggia, comunicava tramite raccomandata (protocollo n.  419272013/AREA 1° Bis), al signor Rizzi, legale rappresentante dell'istituto di vigilanza «METROPOL Srl» di Foggia, l'avvio di un procedimento per la revoca dell'autorizzazione ex articolo 134 TULPS;
          tale data corrispondeva a quella dell'aggiudicazione provvisoria, da parte dell'istituto di vigilanza in questione, della gara d'appalto presso il Poligrafico dello Stato per un valore complessivo di circa 4 milioni di euro;
          tale procedimento era avviato sul presupposto che, a seguito di accertamenti condotti dagli organi di polizia, sarebbe emerso che 6 dipendenti dell'istituto di vigilanza, dei quali due avevano già cessato la loro attività, avevano legami di parentela o frequentazioni con esponenti della criminalità organizzata;
          i restanti quattro dipendenti, ancora in servizio, venivano licenziati in data 20 marzo 2013;
          due delle dipendenti licenziate impugnavano tale provvedimento presso il tribunale del lavoro di Foggia che ne ordinava il reintegro nel posto di lavoro, con condanna per la «METROPOL Srl» al pagamento delle spese legali e delle mensilità arretrate;
          i giudici del lavoro evidenziarono, tra l'altro, che la parentela con eventuali soggetti collegati alla criminalità sia priva di riferimenti alla condotta del lavoratore e sia circostanza del tutto generica e non comprovata da circostanze probatorie concrete;
          la «METROPOL Srl» aveva, d'altronde, già fatto presente che, in ogni caso, la società era assolutamente all'oscuro di qualsivoglia legame di parentela o frequentazione degli stessi con soggetti legati alla criminalità organizzata;
          l'istituto aveva fatto presente che aveva 206 guardie particolari giurate, di queste 115 erano state assunte direttamente, conformemente alla disposizioni della legge vigente e alla prassi in uso presso la prefettura di Foggia, e 91 che erano state acquisite dopo l'acquisto del ramo d'azienda della cessata ex cooperativa «La Centotre», operazione questa autorizzata dal Ministero dello Sviluppo economico con nota protocollo n.  0126634 del 30 maggio 2012;
          METROPOL si era impegnato a tali assunzioni, a condizione che le guardie giurate fossero in regola con i titoli di polizia, a garanzia che gli stessi avessero già superato le verifiche della prefettura e della polizia;
          era stata cura della società verificare che tutti gli assunti non avessero carichi pendenti attraverso l'estrazione del relativo certificato;
          va ricordato, inoltre, che per le guardie giurate la licenza di porto d'armi viene rilasciata dal prefetto soltanto dopo l'effettuazione della verifica dei presupposti di buona condotta e illibata moralità da parte del Questore o degli organi di Polizia competenti;
          analogamente, ai sensi dell'articolo 134 TULPS, spetta alla prefettura il rilascio del decreto di nomina a guardia particolare giurata e l'avvio del procedimento che verifichi i presupposti per tale licenza;
          non a caso l'articolo 138 TULPS prevede che ogni due anni i titolari di porto d'armi debbano rinnovare il proprio titolo abilitativo;
          a tal proposito va rilevato che la METROPOL, nei rari casi in cui la prefettura, nel corso degli anni, ha negato il rilascio del decreto di nomina di guardia giurata, non ha mai assunto tale personale;
          al contrario nessun soggetto privato ha alcun potere o modo di verificare la condotta del proprio dipendente fuori dal posto di lavoro, né le sue frequentazioni o parentele;
          sarebbe singolare se corrispondesse al vero, come viene pubblicamente denunciato, che a nessuno delle persone ritenute pericolose dalla prefettura, non sia stato ancora revocato il porto d'armi;
          nello stesso periodo, sia al Poligrafico dello Stato che al direttore generale degli ospedali riuniti di Foggia venivano recapitati, a mezzo di plico postali anonimi, copie della comunicazione prefettizia, diretta al signor Rizzi, con la quale la prefettura avviava il procedimento di revoca della licenza;
          da ciò gli enti interessati comunicavano che avrebbero valutato l'interruzione di servizio con un provvedimento di autotutela;
          tale fuga di notizie ha rappresentato, sicuramente, una circostanza grave che ha creato notevoli danni economici e di immagine all'istituto «METROPOL Srl»;
          in data 18 giugno 2013, la prefettura di Foggia, attraverso il dirigente dell'area 1°, rispondeva ad una richiesta di informazioni antimafia ai sensi dell'articolo 91, del decreto legislativo 159/2011 avanzata dalla direzione qualità sicurezza, ambiente e servizi generali, sulla ditta «METROPOL Srl» e sul suo amministratore unico, Rizzi Leonardo, affermando che «non risultano tentativi di infiltrazione mafiosa nonché cause di divieto, di decadenza e di sospensione previste dall'articolo 67 del sopra citato decreto legislativo»;
          in data 23 luglio 2013, il signor Rizzi come amministratore unico di «METROPOL Srl» ha presentato una denuncia presso il tribunale di Foggia denunciando impedimenti e ritardi, ad opera di alcuni funzionari della prefettura, nei confronti della propria azienda nonché procedure non esattamente in linea con la legge vigente in occasione    di bandi pubblici;
          in data 29 gennaio 2014,    il prefetto della provincia di Foggia, dopo aver rigettato le numerose memorie difensive dell'interessato, decretava il ritiro dell'autorizzazione, rilasciata al signor Rizzi, in merito alla gestione dell'istituto di vigilanza privata «METROPOL Srl»  –:
          se non si ritenga opportuno ed urgente verificare tutte le circostanze sopra descritte al fine di accertare la reale dinamica dei fatti e gli elementi in base ai quali è stato deciso, dal prefetto di Foggia, il ritiro dell'autorizzazione alla società «METROPOL Srl» con il relativo prevedibile licenziamento di ben 240 dipendenti;
          per quale motivo il dirigente dell'area 1o, in data 18 giugno 2013, rispondendo ad una richiesta dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, abbia dichiarato che non risultavano tentativi di infiltrazione mafiosa nonché cause di divieto, di decadenza e di sospensione previste dall'articolo 67 del decreto legislativo n.  159 del 2011. (4-04354)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, riguardante i provvedimenti assunti dal prefetto di Foggia nei confronti dell'istituto di vigilanza privata Metropol, si ricorda che a seguito di alcune anomalie gestionali sono stati espletati approfondimenti investigativi che hanno determinato il deferimento all'autorità giudiziaria del legale rappresentante della società e di altri venti indagati per i reati di concorso in truffa e falso.
      Secondo le indagini, i medesimi avrebbero impiegato per il servizio di vigilanza presso il presidio ospedaliero cittadino personale con qualifica di portierato anziché guardie particolari giurate.
      Il giudice per le indagini preliminari, ha disposto l'archiviazione del procedimento.
      Gli accertamenti compiuti sono stati, comunque, oggetto di valutazione sotto il profilo dell'eventuale sussistenza del pericolo di infiltrazioni ambientali, ai sensi dell'articolo 257 del regio decreto 6 maggio 1940, n.  635, recante il regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi pubblica sicurezza.
      In particolare, in data 28 gennaio 2013, oltre alle suddette vicende, la questura ha segnalato alla prefettura la presenza di sei dipendenti – incardinati peraltro nella struttura organizzativa dell'istituto di vigilanza – che, in ragione dei loro precedenti penali, avrebbero potuto condizionarne la corretta gestione.
      Gli organi di polizia hanno effettuato accertamenti nei confronti di alcune guardie giurate e di personale amministrativo dell'istituto, con riferimento alla presenza di collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata locale, evidenziando rapporti di stretta parentela e, quindi, di frequentazione, fra dipendenti della Metropol e soggetti di spicco della criminalità organizzata locale.
      Alla luce di tali verifiche, il prefetto ha disposto la revoca dell'autorizzazione rilasciata ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in quanto le circostanze accertate integrano la fattispecie di cui al citato articolo 257 del Regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Tale previsione normativa si inserisce nel quadro delle misure di carattere straordinario per fronteggiare situazioni di condizionamento mafioso che non richiedono prove di condotte penalmente rilevanti a carico del soggetto destinatario del provvedimento.
      Per quanto riguarda alcune specifiche questioni sollevate dall'interrogante, preciso che in merito all'invio di buste anonime ad un istituto bancario e al Poligrafico e Zecca dello Stato – contenenti copia della comunicazione dell'avvio del procedimento di revoca della licenza rilasciata alla Metropol, – il fatto è stato denunciato all'autorità giudiziaria.
      Non vi è, peraltro, contraddittorietà del provvedimento di revoca della licenza con l'informativa antimafia del 18 giugno 2013, rilasciata all'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, dalla quale non risultano tentativi di infiltrazione mafiosa nonché cause di divieto, di decadenza e di sospensione.
      Ciò in quanto, all'epoca del rilascio dell'informativa antimafia, il procedimento che è culminato nella revoca della licenza era ancora in corso.
      Al termine del suddetto procedimento di revoca, è stato adottato – il 6 marzo scorso – il provvedimento interdittivo antimafia.
      Con riferimento alla valutazione dei requisiti soggettivi in capo alle guardie particolari giurate, in sede di riunione tecnica di coordinamento delle forze di polizia, presieduta dal Prefetto di Foggia, è stato da tempo assunto un indirizzo che prevede un sistema di accertamenti di tali requisiti anche con riferimento a frequentazioni o cointeressenze delle guardie stesse con soggetti legati alla criminalità organizzata. Ciò con l'evidente fine di attuare efficaci azioni preventive di contrasto in via amministrativa dei tentativi di ingerenza di organizzazioni criminali in settori di attività particolarmente delicate quali la vigilanza privata.
      Su questa stessa linea, a tutte le guardie giurate coinvolte nella vicenda Metropol, sospettate di frequentazioni con soggetti di spicco della criminalità organizzata, sono stati negati i titoli di polizia (nomina a guardia giurata e relativo porto d'arma) ed è stato intimato il divieto di detenzione di armi e munizioni, ai sensi dell'articolo 39.
      Quanto al licenziamento disciplinare delle due dipendenti, legate da vincoli di parentela con esponenti di clan malavitosi, si osserva che il giudice del lavoro ha reintegrato le suddette dipendenti nel rapporto di lavoro, «in assenza di condotte obiettivamente contestabili».
      È apparso, in effetti, pretestuoso il licenziamento «per motivi disciplinari» disposto sulla base delle «censure sollevate dalla Prefettura», che non si riferiscono a tali dipendenti e non assumono rilevanza in relazione al rapporto di lavoro delle stesse, come precisato dal giudice del lavoro, che le ha reintegrate.
      Si ricorda, inoltre, che il 13 febbraio 2014 il Questore di Foggia ha eseguito tre ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico, tra l'altro, di due guardie giurate che hanno avuto o che avevano ancora in essere rapporti di collaborazione con l'istituto Metropol.
      Ai predetti sono stati contestati, in concorso, i reati di truffa, estorsione e minaccia grave. Gli accertamenti esperiti hanno posto in luce una «dinamica di mercimonio» relativa a promesse di posti di lavoro nell'ambito dello stesso istituto di vigilanza e di gravi intimidazioni finalizzate a garantire l'impunità degli indagati.
      La situazione della vigilanza privata nella provincia di Foggia richiede che le vicende che coinvolgono non solo Metropol ma anche altri istituti, vengano valutate con la massima attenzione dai responsabili delle forze dell'ordine.
      Tali preoccupazioni hanno, a suo tempo, indotto il Prefetto a non sottoscrivere il protocollo «Mille occhi sulla città» – che presuppone un'attività di integrazione dell'azione di polizia da parte degli istituti privati – e ad avviare approfonditi accertamenti nei confronti di altre società di vigilanza.
      Nel frattempo, in merito alla revoca della licenza, si è pronunciato il T.A.R. Puglia il quale – il 27 febbraio 2014 – ha accolto «in via interinale e provvisoria» l'istanza cautelare e ha sospeso l'efficacia del provvedimento prefettizio, fino a quando – come deciso nel corso dell'udienza di ieri – il giudice non si pronuncerà sul merito.
      Le decisioni giurisdizionali consentiranno di attendere con maggiore serenità l'esame definitivo del giudice amministrativo anche sotto il profilo della salvaguardia dei diritti delle guardie particolari giurate e dei livelli occupazionali, per la tutela dei quali invero la prefettura si è tempestivamente adoperata, istituendo un tavolo di confronto permanente con tutte le parti interessate.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Filippo Bubbico.


      DI LELLO, LABRIOLA e PISICCHIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          in occasione dell'esposizione universale «Expo Milano 2015», per far fronte alle esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, il Ministro dell'interno, nei giorni scorsi, ha dichiarato come il blocco del turnover delle forze dell'ordine avrebbe subito una deroga del 55 per cento;
          la legge di stabilità per il 2014, legge n.  147 del 2013 prevede importanti risorse economiche anche per le dotazioni di mezzi e la logistica, per le strutture ed i servizi;
          a ciò si deve aggiungere che la forza disponibile, in base alle esigenze riscontrate dal Ministro, va utilizzata, da parte dell'amministrazione di PS, in ossequio alla direttiva del 2013 emanata dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione con apposito provvedimento a proposito dello scorrimento delle graduatorie dei concorsi pubblici, prorogabili sino al 31 dicembre 2015;
          le unità da assumere, per essere effettivamente disponibili entro la data di inizio dell'evento, dovrebbero iniziare il corso di allievi agenti entro e non oltre il mese di aprile 2014; pertanto, non sussistono i normali tempi tecnici per avviare una nuova procedura concorsuale (questa, infatti, terminerebbe a fine 2014 e renderebbe operativi i nuovi agenti nel dicembre 2015);
          a tal proposito si ricorda che vi sono ad oggi, diverse graduatorie di merito in corso di validità nelle quali risultano essere disponibili candidati idonei immediatamente arruolabili. Tra questi i 512 candidati idonei non vincitori, oltre alle seconde aliquote e VFP4 idonei dell'ultimo concorso per l'arruolamento di 964 allievi agenti bandito nel mese di marzo 2013;
          in tal senso nei giorni scorsi, l'Arma dei carabinieri, mediante decreto dirigenziale, ha avviato una procedura di arruolamento mediante scorrimento degli idonei della graduatoria 2012 per 1.886 allievi carabinieri. In particolare, sono stati assunti i vincitori ma anche i 48 idonei non vincitori, ossia i restanti idonei presenti in graduatoria e, pertanto, la stessa è stata del tutto esaurita;
          tale decreto cita testualmente: «Ravvisata l'esigenza di disporre, con immediatezza, di XXX Allievi Carabinieri, senza dover attendere i tempi tecnici richiesti per portare a termine una nuova procedura di reclutamento mediante il bando di un concorso pubblico. Tenuto conto dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa e della necessità di contenere i costi gravanti sull'amministrazione per la gestione delle procedure di reclutamento»;
          l'iniziativa assunta dall'Arma dei carabinieri risponde ai princìpi di economicità ed efficienza della pubblica amministrazione che, se adottati anche con riferimento alle forze di polizia permetterebbero l'immediata assunzione degli interessati evitando, per la recentissima idoneità conseguita, la necessità di effettuare anche le visite mediche di controllo per il mantenimento dell'idoneità psico-fisica  –:
          quali iniziative i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, abbiano intenzione di assumere, al fine di incrementare il numero delle forze dell'ordine per far fronte da un lato alle esigenze di sicurezza dell'intero Paese e dall'altro alla necessità di assumere nuovi agenti di polizia in vista della manifestazione di Expo 2015, alla luce delle considerazioni sopra esposte;
          se non ritengano opportuno, ai sensi del decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e al fine di ridurre i costi gravanti sull'amministrazione e consentire una celere disponibilità delle necessarie forze dell'ordine in tempo per l'evento sopra richiamato, procedere all'assunzione immediata delle 672 unità dichiarate idonee all'ultima procedura concorsuale per il concorso per 964 allievi agenti della polizia di Stato.
(4-04114)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, in ragione delle esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica connesse allo svolgimento dell'Expo 2015 a Milano, chiede al Governo di procedere all'assunzione immediata delle 672 unità dichiarate idonee all'ultima procedura concorsuale per il concorso a 964 allievi agenti della polizia di Stato.
      Il reclutamento nelle carriere iniziali delle forze di polizia è espressamente disciplinato del codice dell'ordinamento militare, recentemente rivisto attraverso il decreto legislativo n.  8 del 28 gennaio 2014, il quale stabilisce che fino al 31 dicembre 2015 i posti messi annualmente a concorso, determinati sulla base di una programmazione quinquennale predisposta annualmente da ciascuna delle amministrazioni interessate e trasmessa al Ministero della difesa, sono riservati ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale.
      Per quanto riguarda i concorrenti giudicati idonei e utilmente collocati nelle graduatorie, il 55 per cento (minimo) dei candidati è nominato allievo agente della polizia di Stato ed ammesso direttamente alla frequenza del prescritto corso di formazione (una volta completata la ferma prefissata di un anno) mentre il restante 45 per cento (massimo) dei candidati è nominato allievo agente solo dopo aver prestato servizio nelle Forze armate in ferma prefissata quadriennale.
      Analizzando la proposta di transito dei volontari in ferma prefissata quadriennale nella polizia di Stato prima della scadenza della leva prefissata, si deve precisare che l'amministrazione della pubblica sicurezza ha stilato la graduatoria finale del concorso per 964 agenti negli ultimi mesi del 2013 ed ha avviato il corso di formazione per 927 allievi agenti il 30 dicembre 2013. Successivamente, gli appartenenti alla cosiddetta «seconda aliquota», circa 160, sono stati avviati alle procedure di arruolamento presso la Difesa per l'immissione differita nella forza di polizia.
      Questi militari non possono essere ripresi e inquadrati nella polizia di Stato prima del tempo previsto, per non creare uno scompenso nell'apparato della difesa (nel rispetto del meccanismo della ripartizione percentuale di cui sopra) e per impedire effetti iniqui nei confronti dei vincitori della seconda aliquota dei precedenti concorsi, già in servizio nelle forze armate per la ferma quadriennale.
      Per quel che concerne gli idonei non vincitori fuori graduatoria, non trova possibilità d'applicazione l'istituto dello scorrimento, seppur previsto da norme generali, per le 512 unità risultanti dall'ultimo concorso, perché con la loro immissione immediata nei ruoli della polizia di Stato essi scavalcherebbero i volontari in ferma prefissata quadriennale.
      Sull'interpretazione e sull'ambito di applicabilità del principio di scorrimento delle graduatorie si è, inoltre, già espressa l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato – in particolare con sentenza n.  14 del 20 luglio 2011 – statuendo che la regola generale dello scorrimento «non è comunque assoluta e incondizionata», essendo individuabili casi in cui la determinazione di procedere al reclutamento mediante concorsi «risulta pienamente giustificabile».
      In tal contesto si collocano «le ipotesi in cui speciali disposizioni legislative impongono una precisa cadenza periodica del concorso collegata anche a peculiari meccanismi di progressione nelle carriere, tipiche di determinati settori del personale pubblico», quale è appunto da considerare l'ordinamento speciale della Polizia di Stato.
      Si ricorda, infine, che recentemente il Consiglio di Stato con sentenza pubblicata il 14 gennaio 2014, proprio in riferimento ad un contenzioso attivato da idonei non vincitori di precedenti procedure concorsuali, ha avuto modo di riaffermare il carattere peculiare della disciplina prevista per la polizia di Stato, riconoscendo che la previsione di legge del concorso a cadenza annuale rappresenta uno specifico caso di esenzione dall'obbligo di scorrimento delle graduatorie.
      L'Arma dei carabinieri, come ricordato dall'interrogante, ha potuto invece procedere allo scorrimento delle graduatorie di precedenti concorsi in quanto il codice dell'ordinamento militare consente di prorogare di diciotto mesi i termini di validità della graduatoria dei candidati risultati idonei ma non vincitori per il reclutamento del personale appartenente al ruolo di appuntati e carabinieri.
      In tale cornice legale e giurisprudenziale, il Governo è in ogni caso impegnato a svolgere una seria e approfondita riflessione in merito alla disciplina dell'accesso ai ruoli della polizia di Stato finalizzato a porre rimedio alle disfunzioni determinatesi dal ricorso all'arruolamento per il tramite della Difesa.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Filippo Bubbico.


      ERMINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la società PH FACILITV che in associazione temporanea di impresa con Selex ES (Finmeccanica) ha vinto la gara di appalto per lo svolgimento del servizio di manutenzione degli impianti automatizzati dei centri di meccanizzazione di Poste italiane ha proposto di assumere solo 150 lavoratori degli oltre 200 attualmente in forza;
          nel solo centro di Sesto Fiorentino ciò comporterebbe una diminuzione dell'occupazione del 50 per cento portando il numero degli addetti da 22 a 11;
          si rileva che l'accordo ministeriale del 2007 impegnava la ditta subentrante ad assumere il personale già occupato, circostanza che invece non si realizzerebbe con la proposta di PH FACILITY  –:
          quali siano le iniziative che intende porre in essere per salvaguardare i posti di lavoro e se non intenda convocare le parti per trovare una soluzione che tuteli i lavoratori. (4-02419)

      Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame anche sulla base degli elementi forniti dalla società Poste italiane che ha rappresentato quanto segue.
      I servizi di manutenzione ed assistenza tecnica, necessari per il funzionamento di impianti, macchine ed attrezzature presenti nei centri di meccanizzazione postale, (Cmp) sono attualmente assicurati dal contratto stipulato a seguito di gara comunitaria, indetta in data 28 dicembre 2012, per la definizione di un accordo quadro triennale, ai sensi del decreto legislativo n.  163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni.
      L'offerta economicamente più vantaggiosa è stata formulata dal Raggruppamento temporaneo d'impresa (Rti) Selex ES spa – PH Facility srl che, pertanto, è risultato aggiudicatario della procedura di gara.
      A tal proposito, Poste italiane ha precisato che il relativo capitolato prevedeva, nell'ambito del meccanismo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, l'assegnazione di uno specifico punteggio tecnico per le imprese partecipanti che si impegnavano ad assumere e/o mantenere in servizio una quota del personale già operante.
      La società ha evidenziato, inoltre, che, nell'individuare la specifica assegnazione tra i vari siti dei servizi di manutenzione e assistenza tecnica, è stato necessario tenere conto anche dei vincoli organizzativi e delle modifiche previste dal complessivo piano di riassetto delle rete logistica dei servizi postali, individuate con l'accordo del 28 febbraio 2013, che ha ridimensionato il numero degli stabilimenti, degli impianti di smistamento e, di conseguenza, delle relative attività e dei servizi di manutenzione necessari.
      Per quanto riguarda la situazione contrattuale, Poste italiane ha evidenziato che, precedentemente, i servizi di manutenzione ed assistenza tecnica degli impianti presso i Cmp erano assicurati, a seguito della procedura di gara espletata nel 2004, dal consorzio R.T.I. Elsag spa – Finmek che, a partire dal 2007, si è avvalso, in regime di subappalto, principalmente delle imprese Stac Italia e Logos che attraverso una proroga del contratto hanno assicurato il servizio fino al 30 settembre 2013.
      L'avvicendamento nel contratto di manutenzione – avvenuto lo scorso 1o novembre – e l'ingresso del Raggruppamento temporaneo d'impresa (Rti) Selex ES spa – PH Facility srl aggiudicataria della gara, ha determinato l'avvio di una vertenza sindacale avente ad oggetto il mantenimento dei livelli occupazionali del personale delle ditte uscenti (Stac Italia srl e Logos – spa).
      Tale vertenza è stata caratterizzata da scioperi e altre forme di protesta quali, ad esempio, la riduzione e il ritardo degli interventi di assistenza programmata e di manutenzione negli stabilimenti e l'abbandono senza preavviso del posto di lavoro da parte del personale tecnico di turno – dipendente delle società sub-fornitrici – negli impianti dei centri di meccanizzazione postale (Cmp).
      Dallo scorso mese di settembre, la società PH Facility ha avviato un tavolo di confronto con le parti sociali di riferimento, per poter raggiungere un accordo complessivo, riguardante soprattutto i passaggi di risorse da realizzare al momento del subentro. Purtroppo da questo confronto non è emersa la possibilità di una intesa. Per questa ragione presso il ministero dello sviluppo economico si è attivato un tavolo di concertazione per ricercare le condizioni di una intesa che coinvolga tutti i soggetti interessati, con la finalità, altresì, di offrire una opportunità di lavoro a tutti coloro che in precedenza erano occupati nei Cmp alle dipendenze di Logos e Stac.
      A tal riguardo si segnala che nell'incontro, svoltosi in data 19 novembre 2013, presso il Ministero dello sviluppo economico la società Poste italiane ha evidenziato che, a seguito dell'intesa del 28 febbraio 2013 riguardante la riorganizzazione del servizio di recapito, sono emerse complessivamente circa 6.000 eccedenze, delle quali circa 1.400 presso i Cmp. Pertanto non trovano giustificazione le richieste di inserimento di nuovo personale proveniente da altre aziende.
      Il confronto è tutt'ora in corso. Nell'incontro del 6 febbraio 2014 tenutosi presso il ministero dello sviluppo economico è stato condiviso dalle aziende Selex ES, Stac, Logos e dalle organizzazioni sindacali di categoria un testo concordato volto a salvaguardare l'occupazione di cui si attende la definitiva sottoscrizione. Nel frattempo i lavoratori della società Stac e Logos sono protetti da un accordo di cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs) per cessazione di attività e si attende la disponibilità di PH Facility ad assumerne una parte importante nel quadro della piena occupazione di tutti i dipendenti, così come previsto nella citata bozza di intesa raggiunta il 6 febbraio 2013.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Antonello Giacomelli.


      FANTINATI, BUSINAROLO e TURCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il 29 luglio 2013, il consiglio comunale di Negrar ha approvato il nuovo Piano degli interventi che, a giudizio dell'interrogante, presenta aspetti e decisioni in grado di stravolgere per sempre il patrimonio storico e paesaggistico della Valpolicella, lembo della provincia veronese tra i più belli, area ricca di cultura e tradizioni, custode di una delle produzioni vinicole più prestigiose d'Italia;
          il piano prevede la realizzazione di 393 appartamenti da 100 metri quadrati, per un totale di 110 mila metri cubi residenziali, cui vanno sommate altre cubature per un centro commerciale, un albergo e un parcheggio;
          ad essere interessata dal piano è in particolare l'area di Arbizzano, dove la distribuzione dei metri cubi di cemento e dei permessi di costruzione era stata definita dal Pat, il piano di assetto territoriale, redatto per favorire una distribuzione ragionata delle concessioni di costruzione a privati da parte del comune, prevedendo quindi un insediamento che poteva essere utilizzato per ripopolare frazioni collinari con la realizzazione di case ed edifici;
          il piano di assetto territoriale inoltre, mirava a salvaguardare le aree che nel passato erano state sottoposte a massiccia edificabilità, come nel caso di Arbizzano;
          a tal fine, il territorio comunale è stato suddiviso in 25 Ato (ambiti territoriali omogenei), con indicato il carico insediativo residenziale limite da non superare per ciascuno di essi;
          nel piano degli interventi, deliberato in prima battuta nel luglio 2013, i carichi insediativi massimi per ciascun ambito territoriale omogeneo hanno subito modifiche consistenti rispetti a quanto contenuto nel piano di assetto territoriale;
          ciò che ha reso possibile l'aumento di cubature previste è il meccanismo dei cosiddetti crediti edilizi, «una quantità volumetrica o di superficie edificabile riconosciuta a seguito di demolizione di opere incongrue, l'eliminazione di elementi di degrado, la realizzazione di interventi di miglioramento della qualità urbana, paesaggistica, architettonica e ambientale, anche all'interno degli ambiti di riqualificazione e riconversione urbanistica e ambientale»;
          sono circa 250 le richieste di edificabilità pervenute al comune da parte di privati e di queste una parte considerevole prevede il trasferimento dei crediti edilizi dalle aree montane — dove sono stati abbattuti capannoni fatiscenti — al territorio di Arbizzano, biglietto da visita della Valpolicella e zona commercialmente più appetibile;
          l'approvazione o il rigetto delle richieste di trasferimento del credito edilizio è a totale discrezione dell'Amministrazione comunale;
          il sindaco ha approvato tutte le richieste dei privati;
          è in dirittura d'arrivo l'approvazione definitiva del piano degli interventi prevista dopo la scadenza dei termini per le osservazioni al documento urbanistico;
          la zona maggiormente colpita da questa lottizzazione è quella che comprende le splendide ville venete: Villa Serego Alighieri, Villa Fedrigoni, Villa Beraldini, Villa Zamboni, e altri edifici di enorme interesse storico;
          il piano degli interventi è fortemente contestato dai residenti che hanno dato vita ad un comitato di cittadini «Salva Arbizzano» i quali stanno promuovendo anche una raccolta di firme per una petizione popolare;
          anche il Wwf si sta mobilitando a favore della tutela ambientale dell'area interessata alla lottizzazione;
          la Valpolicella, per i territori compresi nei comuni di Fumane, Marano, Negrar, Sant'Ambrogio di Valpolicella, Sant'Anna d'Alfaedo e San Pietro in Cariano è stata dichiarata, con decreto ministeriale 23 maggio 1957, zona di «... notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n.  1497», «... riconosciuto che la zona predetta, oltre a formare un quadro naturale di non comune bellezza panoramica con le sue ville e parchi famosi, con le chiese romaniche, con le sue quattrocentesche case coloniche e con il verde dei vigneti ed oliveti, che copre per intero la parte collinare della valle, costituisce un insieme di grande valore estetico e tradizionale per la spontanea fusione dell'opera della natura con quella dell'uomo»;
          l'11 giugno 2010 è stato presentato alla regione Veneto un progetto di legge d'iniziativa popolare per l'istituzione del parco regionale della Valpolicella, con l'obiettivo di tutelare un'area di grande valore ambientale e paesaggistico che nell'ultimo mezzo secolo è stata oggetto di un processo inarrestabile di urbanizzazione, antropizzazione e congestione, giunto ormai vicino al punto di non ritorno  –:
          quali iniziative s'intendono assumere con urgenze al fine di evitare una colata di cemento senza precedenti che rischia di condannare alla devastazione l'area di Arbizzano con conseguenze gravi e irreversibili sulla vivibilità dell'intera Valpolicella. (4-03437)

      Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede quali misure questa amministrazione intenda assumere «al fine di evitare una colata di cemento senza precedenti che rischia di condannare alla devastazione l'area di Arbizzano con conseguenze gravi e irreversibili sulla vivibilità dell'intera Valpolicella».
      Al riguardo si comunica quanto segue.
      Per l'adozione del piano degli interventi, il comune di Negrar ha seguito la procedura amministrativa prevista dall'articolo 18 della legge regionale 23 aprile 2004, n.  11, recante «Norme per il governo del territorio».
      Il consiglio comunale ha adottato, in data 27 aprile 2012, la deliberazione n.  23, recante Piano degli interventi del Comune di Negrar. Approvazione del documento ad oggetto: «Perequazione, contributo di solidarietà, credito edilizio. Documento per la presentazione delle manifestazioni di interesse», esecutiva ai sensi di legge, con la quale sono stati approvati i criteri di indirizzo per la formulazione degli accordi tra soggetti pubblici e privati, ai sensi dell'articolo 6 della legge regionale sopra citata, per assumere nella pianificazione proposte di progetti ed iniziative di rilevante interesse pubblico.
      A seguito di tale approvazione, in data 7 maggio 2012 sono stati pubblicati due bandi per la presentazione di proposte di accordo pubblico-privato con volume inferiore a 800 mc. (interventi per uso pressoché familiare) e superiore a 800 mc. (interventi per utilizzo di tipo imprenditoriale).
      Per i predetti due bandi, sono pervenute al comune di Negrar n.  250 proposte di accordo, da assumere nel piano degli interventi. A seguito di istruttoria tecnica, di queste domande 191 hanno avuto giudizio favorevole, 2 riguardavano interventi realizzabili con normative statali o regionali e, quindi, esulavano dall'inserimento nel piano degli interventi e 57 hanno avuto giudizio non favorevole.
      Relativamente alle 191 domande con giudizio favorevole, 36 non sono state confermate da parte dei proponenti o sono state stralciate e quindi non sono state inserite nel piano degli interventi, 27 hanno riguardato modifiche normative o cartografiche che non necessitano di accordi, 26 concernevano richieste per edifici non più funzionali al fondo rustico (ex annessi rustici) e le rimanenti 102 domande, con giudizio favorevole, verranno formalizzate, attraverso atto unilaterale da trasformarsi in convenzione, entro 60 giorni dall'approvazione del Piano degli interventi.
      La cubatura per nuovi interventi prevista dal piano degli interventi è, quindi, riassumibile in circa mc 46.000 per interventi sotto gli 800 mc e mc 78.000 per interventi sopra gli 800 mc.
      In data 29 luglio 2013, con deliberazione n.  48 del consiglio comunale, veniva adottato il piano degli interventi del comune di Negrar.
      A seguito delle procedure di pubblicazione, previste dalla predetta legge regionale 23 aprile 2004, n.  11, sono pervenute 83 osservazioni, controdedotte nella seduta del 18 novembre 2013, nella quale è stato approvato definitivamente il piano degli interventi, con deliberazione dell'organo consiliare n.  65, regolarmente esecutiva.
      L'approvazione del piano degli interventi non assicura, ai richiedenti, titolo diretto ad edificare, ma solo un «diritto urbanistico di edificare» di tipo generico, che potrà essere esercitato concretamente solo attraverso la successiva autorizzazione tramite singoli permessi di costruire.
      Le previsioni del piano degli interventi sono, inoltre, dimensionate, secondo gli intendimenti della legge regionale 23 aprile 2004, n.  11, programmandole in un arco temporale di cinque anni, in conformità con le indicazioni del piano di assetto del territorio (Pat).
      Il piano degli interventi, censurato dall'interrogante, è stato approvato dal Comune di Negrar senza l'intervento degli uffici periferici di questo Ministero in quanto, al presente, i piani di intervento non sono ricompresi tra i piani e i programmi da sottoporsi a valutazione ambientale strategica (Vas) ai sensi dell'articolo 4 della legge regionale del Veneto 23 aprile 2004, n.  11. Né sono stati sottoposti al parere preventivo ai piani attuativi previsto dall'articolo 16 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n.  1150.
      Le eventuali domande di permesso di costruire verranno sottoposte alle procedure di cui al testo unico in materia edilizia, ossia il decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001, e, nello specifico caso del comune di Negrar, comune vincolato ai sensi del decreto ministeriale 23 maggio 1957, saranno soggette anche alle procedure di cui all'articolo 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42, in merito alla verifica della compatibilità degli interventi rispetto al contesto ambientale, al fine di garantire il rispetto dei valori paesaggistici di cui al vincolo sopra citato.
      I progetti che perverranno alla competente Soprintendenza per i beni architettonici e i paesaggistici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza saranno esaminati con la massima attenzione e con il dovuto rigore, al fine di evitare ogni pregiudizio ai valori paesaggistici protetti.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo: Dario Franceschini.


      FANUCCI. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          il programma di aiuto alimentare introdotto dall'Unione europea per distribuire alle organizzazioni caritative le derrate alimentari provenienti dalle scorte d'intervento comunitarie si conclude il 31 dicembre 2013 e non sarà più attivo a partire dal 2014;
          in sua sostituzione, il finanziamento di 2,5 miliardi di euro, previsto nel periodo 2014-2020, ancora non specifica per quali condizioni di povertà potrà essere utilizzata la quota-parte a disposizione di ogni singolo Stato membro della Unione europea pertanto a decorrere dal 1° gennaio 2014, le derrate alimentari da distribuire in qualità di aiuti in favore degli indigenti in povertà assoluta o relativa potrebbero non essere più disponibili;
          questa situazione rischia di generare un'emergenza sociale per il nostro Paese, che coinvolgerebbe oltre 4 milioni di poveri e circa 15.000 strutture caritative attive oggi in Italia;
          il venir meno di questa fondamentale rete di supporto alimentare potrebbe pregiudicare l'intera rete del volontariato italiano, in grado di offrire importanti servizi suppletivi come il supporto economico, legale, amministrativo, sanitario e di ascolto;
          un serio programma di aiuti alimentari in favore degli indigenti del nostro Paese produrrebbe effetti moltiplicativi sui beneficiari finali, in quanto le derrate alimentari peserebbero per il solo costo di produzione senza intermediazioni o costi commerciali  –:
          quali iniziative abbia adottato il Governo per garantire la continuità della distribuzione di alimenti alle persone costrette alla povertà e se non ritenga opportuno attivare quanto prima il fondo nazionale di aiuti alimentari agli indigenti previsto dalla legge 7 agosto 2012, n.  134. (4-02001)

      Risposta. — Come è noto, il decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  134, ha istituito all'articolo 58, il fondo per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, e il successivo decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, del 17 dicembre 2012, all'articolo 2 ne stabilisce l'ambito di applicazione e le finalità disponendo:
          le modalità per la gestione del suddetto fondo;
          gli indirizzi e gli strumenti per favorire ed incrementare il recupero delle derrate alimentari e la successiva distribuzione agli indigenti;
          l'istituzione di un tavolo permanente di coordinamento tra istituzioni, organizzazioni caritatevoli e operatori della filiera agroalimentare;
          l'istituzione di un sistema informativo presso l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura a supporto della gestione dei dati.
      Il fondo è alimentato da risorse finanziarie pubbliche, nazionali e comunitarie e da erogazioni liberali di denaro da parte di soggetti privati, e gestito dall'Agea attraverso propri provvedimenti e nei limiti della disponibilità del fondo stesso, sulla base di atti di indirizzo emanati da questo Ministero dopo aver sentito il parere del tavolo permanente di coordinamento, che ha il compito di formulare proposte e pareri relativi alla gestione del fondo e alle erogazioni liberali di derrate alimentari, di beni e servizi.
      Nell'istituire il suddetto tavolo presieduto da un rappresentate di questo Ministero e composto da rappresentanti di altri Ministeri e da un rappresentate di ogni organizzazione caritatevole riconosciuta ed iscritta all'Albo dell'Agea, è stato coinvolto anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per poter definire misure operative efficaci e condivise.
      La legge 27 dicembre 2013, n.  147 (legge di stabilità 2014), all'articolo 1, comma 224, ha disposto che il citato fondo è rifinanziato, per 10 milioni di euro per l'anno 2014.
      Ricordo infine che, con la riforma del bilancio dell'Unione europea, il finanziamento del fondo sarà effettuato, oltre che con le risorse nazionali, a valere sul Fondo sociale europeo, che è gestito in Italia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali è stato comunque già coinvolto nei tavoli di discussione relativi alla prossima programmazione 2014/2017.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      FERRARESI. — Al Ministero dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» all'articolo 38 comma 6 recita: «quando lo statuto lo preveda, il consiglio si avvale di commissioni costituite nel proprio seno con criterio proporzionale»;
          le commissioni sono pertanto organi interni, espressione del consiglio comunale;
          il comma 7 del medesimo (articolo 38) recita: «le sedute del consiglio comunale e delle commissioni sono pubbliche salvi i casi previsti dal regolamento»;
          il decreto legislativo n.  82 del 2005 (Codice dell'amministrazione digitale) all'articolo 9, «Partecipazione democratica elettronica», dice espressamente: «lo Stato favorisce ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all'estero, al processo democratico e per facilitare l'esercizio dei diritti politici e civili sia individuali che collettivi»;
          l'Ufficio del garante per la protezione dei dati personali (nota pervenuta il 10 gennaio 2008), ha osservato che «gli articoli 10 e 38 del TUEL garantiscono espressamente la pubblicità degli atti e delle sedute del consiglio comunale, rinviando ad uno specifico regolamento l'introduzione di eventuali limiti a detto regime di pubblicità»;
          il parere espresso dal Ministero dell'interno, in materia di enti locali, come in data 26 giugno 2013, «Riprese video del consiglio comunale», a riguardo afferma: «si evidenzia come nell'ambito dell'attribuzione al consiglio comunale dell'autonomia funzionale ed organizzativa (articolo 38, comma 3, TUEL) si riconduce quella potestà di regolare opportunamente, con apposite norme, ogni aspetto attinente al funzionamento dell'assemblea, tra cui anche quello della registrazione del dibattito e delle votazioni con mezzi audiovisivi, sia da parte degli uffici di supporto all'attività di verbalizzazione del segretario comunale, sia da parte dei consiglieri, degli organi di informazione e dei cittadini che assistono alla sedute pubbliche»;
          sussiste il diritto alla ripresa, tale diritto va regolamentato, ma il regolamento non può impedire, può solo porre limiti, alle riprese del consiglio comunale e delle commissioni, a tutela della privacy  –:
          in presenza di un regolamento che permette le riprese video del consiglio comunale, se tale diritto si possa intendere esteso di fatto anche alle riprese delle sedute delle commissioni. (4-01538)

      Risposta. — In relazione alla possibilità di effettuare riprese audiovisive delle sedute degli organi consiliari degli enti locali, la disposizione di riferimento si rinviene nell'articolo 38 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali ove si prevede, al comma 7, che le sedute del consiglio e delle commissioni sono pubbliche, salvi i casi previsti dal regolamento sul funzionamento del consiglio. L'articolo 16, comma 19, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n.  148, dispone anche che, nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti, le sedute si tengano preferibilmente in un arco temporale non coincidente con l'orario di lavoro dei partecipanti.
      Sul piano giurisprudenziale si ritiene utile richiamare la sentenza del tribunale amministrativo regionale per il Veneto, n.  826 del 16 marzo 2010, la quale ha chiarito che la ripresa televisiva della seduta del consiglio si configura quale «trattamento» di dati personali, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera a) e b), del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n.  196.
      Il citato giudice amministrativo ha, inoltre, ritenuto che il presidente del consiglio comunale potesse immediatamente autorizzare emittenti televisive nazionali e locali a riprendere, in via non sistematica, gratuitamente e senza diritti di esclusiva, talune brevi fasi delle sedute del consiglio comunale, con la motivazione che da tale autorizzazione non conseguono obblighi di sorta per l'amministrazione comunale quale «titolare» o «responsabile» del trattamento dei dati personali.
      Per lo specifico profilo della protezione dei dati personali, il parere del Garante, n.  44094 del 17 marzo 2002, risalente ad epoca antecedente l'entrata in vigore del citato decreto legislativo n.  196, del 2003, aveva infatti affermato la necessità di regolamentare la materia, al fine di prevedere modalità tali da consentire che i partecipanti alla seduta siano preventivamente informati della presenza di telecamere, della diffusione delle immagini e degli ulteriori elementi previsti dalla legislazione applicabile, nonché per specificare le ipotesi di limitazione delle riprese, giustificate dalla necessità di assicurare la riservatezza dei soggetti presenti ovvero della materia oggetto di dibattito consiliare.
      Si ritiene, comunque, di poter confermare i contenuti del parere di questo Ministero in data 26 giugno 2013, al quale fa riferimento l'interrogante, la cui conclusione è orientata a reputare necessario, in ogni caso, che gli enti locali si dotino di un'apposita disciplina regolamentare della materia.
      Per quanto attiene, infine, alle sedute delle commissioni consiliari degli enti locali, parrebbe sufficiente richiamare il tenore letterale del citato comma 7 dell'articolo 38 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, che, nell'affermare il descritto principio di pubblicità, menziona espressamente anche tali uffici, congiuntamente ai consigli dei medesimi enti.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, principale dispositivo di soccorso tecnico urgente di cui disponga il Paese, continua a versare in una situazione di carenza d'organico;
          tale insufficienza concerne anche il delicato settore del personale direttivo, composto pressoché esclusivamente da ingegneri ed architetti;
          la carenza generica di risorse organiche e quella specifica nel settore del personale direttivo risultano ancor più pronunciate nelle regioni settentrionali, anche nella prospettiva dell'istituzione a lungo auspicata dei nuclei specialistici regionali previsti dall'articolo 46 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81;
          tra il 2006 ed il 2008, il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno ha prima proceduto all'assunzione dei vincitori dei concorsi indetti nel 2004 e successivamente a quella di altri trenta ingegneri risultati comunque idonei;
          altri idonei risultano tuttavia ancora in attesa della chiamata  –:
          quali misure il Governo intenda assumere per garantire al Corpo nazionale dei vigili del fuoco ed in particolare alle sue strutture periferiche nelle regioni settentrionali risorse di personale direttivo adeguate e radicate sul territorio ed, altresì, se si intenda procedere all'assunzione di coloro che, pur essendo risultati idonei agli ultimi concorsi banditi per il reclutamento di personale direttivo dei vigili del fuoco, non sono stati, ancora chiamati a farne parte. (4-02522)

      Risposta. — Per sopperire alle carenze di organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, segnalate anche dall'interrogante, il decreto legge 31 agosto 2013, n.  101, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n.  125, ha previsto, all'articolo 8, un incremento delle predette dotazioni organiche di 1000 unità nella qualifica iniziale, di cui 400 da assumere entro il 2013 e 600 entro il primo semestre 2014, attingendo dalle risorse già assegnate al dipartimento per il richiamo del personale volontario.
      Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2013, registrato alla Corte dei conti in data 3 ottobre 2013, sono state autorizzate le assunzioni di 399 unità di personale nella qualifica di vigili del fuoco, ai sensi dell'articolo 66, comma 9-bis del decreto legge 25 giugno 2008, n.  112 relativo al turn over 2012 (pari al 20 per cento) e dell'articolo 1, commi 89, 90 e 91 della legge 24 dicembre 2012, n.  228, relativo all'incremento del turn over (pari al 30 per cento).
      Con riguardo alla carenza generica di risorse organiche e, in particolare, a quella nel ruolo del personale direttivo nelle regioni settentrionali, si precisa che è attualmente in fase di studio la ripartizione delle dotazioni organiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco in relazione alle criticità presenti sia nelle strutture centrali che in quelle periferiche.
      D'altra parte, con particolare riferimento al settore del personale direttivo, composto esclusivamente da ingegneri e architetti, si evidenzia che con decreto del 1o dicembre 2004, n.  3280 è stato indetto un concorso pubblico a 28 posti nel profilo professionale di «Direttore antincendi».
      La graduatoria di merito del citato concorso, approvata con decreto del 21 marzo 2006 n.  1972, inizialmente con validità triennale, è stata dapprima prorogata dall'articolo 23, comma 4, del decreto legge 1o luglio 2009 n.  78 e successivamente dall'articolo 3, comma 6, del decreto legge 30 dicembre 2009 n.  194, fino al 31 dicembre 2010.
      A tale data, peraltro, la graduatoria dello stesso concorso oltre che essere stata esaurita con le ultime assunzioni effettuate in data 30 dicembre 2010, era ormai scaduta, essendo terminati gli effetti delle norme speciali che ne avevano governato la vigenza fino a quel momento.
      Attualmente, dunque, non vi sono graduatorie di concorso vigenti e operanti per l'accesso nei ruoli del personale direttivo. Tuttavia, recentemente, è stata data l'autorizzazione, con apposito decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2013, a bandire un concorso pubblico a n.  10 posti per l'accesso alla qualifica di «vice Direttore».
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      GULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la città di Patti è la quarta città della provincia di Messina, il suo hinterland è costituito da diversi comuni;
          alla data odierna Trenitalia non prevede collegamenti diurni diretti con la città di Roma;
          i collegamenti non diretti sono spesso non utilizzabili dai viaggiatori in considerazione dei disagi sistematicamente determinati dai continui ritardi con perdita della coincidenza;
          Trenitalia prevede due collegamenti diretti notturni: uno in partenza alle ore 21,03 NI IC Notte 1954 ed uno alle ore 23,21 NI IC Notte 1958;
          inoltre, dalla stazione di Patti transitano ben 2 collegamenti diurni diretti con la città di Roma (IC Intercity 728 diretto a Roma Termini con arrivo alle ore 18,21 e del treno Intercity 730 diretto a Roma Termini con arrivo alle ore 21,30) che prevedono fermate in tutte le stazioni principali della fascia tirrenica della provincia di Messina (Sant'Agata di Militello, Barcellona-Castroreale e Milazzo), mentre è esclusa la città di Patti;
          si tratta di una scelta incomprensibile visto che sono state previste fermate in centri di minori dimensioni;
          la mancanza di una fermata a Patti determina un grosso disagio per i viaggiatori di un hinterland ampio  –:
          se si intendano assumere iniziative per prevedere le fermate nella stazione di Patti-S.Piero Patti dei treni IC Intercity 728, diretto a Roma Termini con arrivo alle ore 18,21, e del treno Intercity 730, diretto a Roma Termini con arrivo alle ore 21,30;
          se si intendano prevedere modalità di collegamento più celeri con la città di Roma per l’hinterland della città di Patti;
          quali iniziative si intendano assumere per risolvere l'annoso problema del ritardo dei treni in transito dalla Sicilia verso Roma e viceversa. (4-02466)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      I treni di media/lunga percorrenza che servono la Sicilia rientrano nel contratto di servizio 2009-2014 stipulato tra Ministero delle infrastrutture e trasporti, il Ministero dell'economia e delle finanze e Trenitalia.
      La caratteristica dei treni oggetto del contratto è quella di non essere economicamente sostenibili da parte di Trenitalia e, pertanto, i Ministeri contraenti, nell'ambito delle risorse di cui dispongono, erogano corrispettivi in coerenza con quanto stabilito nel piano economico finanziario inserito anch'esso nel contratto.
      È da considerare che la programmazione dei servizi contrattualizzati (che comprende fra l'altro, numero e tipologia dei collegamenti, itinerari e fermate) tiene conto anche del livello di frequentazione dei singoli treni.
      L'offerta ferroviaria dell'attuale contratto di servizio prevede la fermata di tutti gli Intercity notte (con origine o destinazione Palermo) nella stazione di Patti, ovvero di due coppie di intercity notte (ICN) sulla linea Palermo-Messina:
          ICN n.  1954 delle ore 21,03 e ICN n.  1958 delle ore 23,24 in direzione Roma;
          ICN 1955 delle ore 7,19 e ICN n.  1959 delle ore 8,20 in direzione Palermo.
      L'offerta di servizi ferroviari per la Sicilia è stata mantenuta, nel citato contratto di servizio nazionale, sulla base di criteri che assicurano la continuità territoriale, nonostante i collegamenti in questione presentino alcune inefficienze e criticità secondo quanto riferisce l'impresa ferroviaria Trenitalia spa.
      Parimenti, le scelte delle fermate e dei treni a media e lunga percorrenza sono state determinate negli anni precedenti considerando fra gli obiettivi anche quello di garantire un servizio ottimale all'utenza della provincia di Messina.
      Tuttavia, in merito alle problematiche richiamate dall'interrogante, si fa presente che in virtù della imminente necessità di prorogare il contratto di servizio 2009-2014 in scadenza, questa amministrazione ha intenzione di rimodulare l'offerta di alcuni treni Intercity.
      In particolare, gli Intercity 728 e 730 citati nell'atto ispettivo in esame, potranno essere oggetto di rimodulazione in fase di rinnovo del contratto di servizio a partire dal prossimo cambio orario, sebbene l'inserimento di una nuova fermata potrebbe causare la necessità di una sostituzione (con un'altra della stessa provincia), per necessità di rispetto della traccia oraria. Allo scopo saranno avviati gli approfondimenti del caso con Trenitalia per le necessarie verifiche tecniche.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Maurizio Lupi.


      TINO IANNUZZI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo 13 aprile 2013 n.  39, recante «Norme in tema di inconferibilità e di incompatibilità di incarichi presso pubbliche amministrazioni ed enti privati in controllo pubblico», ha giustamente introdotto un regime normativo più rigoroso e severo per eliminare ogni conflitto di interessi ed ogni sovrapposizione di ruoli e di poteri nell'assunzione e nell'esercizio di funzioni pubbliche e di responsabilità elettive;
          tale decreto legislativo è stato finalmente varato, dopo tanti rinvii e dopo tanti ritardi, per evitare negative confusioni di ruoli, pregiudizievoli per la imparzialità ed il prestigio delle istituzioni pubbliche e per la attuazione dei principi prioritari di trasparenza e di libertà di scelta dei cittadini;
          in questo spirito, assolutamente condivisibile, il decreto legislativo n.  39 del 2013, all'articolo 14, ha fissato giustamente la incompatibilità fra gli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e sanitario delle aziende sanitarie locali, da un lato, e le cariche di componente delle giunte e dei consigli di comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, al fine di eliminare commistioni gravi e pregiudizievoli di poteri e di ruoli pubblici;
          tuttavia sono sorte incertezze e perplessità sull'ambito ed i limiti di applicazione della nuova normativa;
          è necessario che le cause di incompatibilità si riferiscano a situazioni di obiettiva commistione e confusione di ruoli, riguardando fattispecie nelle quali effettivamente vengano esercitati poteri di gestione e di amministrazione nelle organizzazione delle attività sanitarie, in quanto tali non compatibili con cariche elettive nelle amministrazioni locali;
          le disposizioni di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n.  39 del 2013 sono insuscettibili di applicazione analogica o estensiva che vulnererebbero il diritto di elettorato passivo, oggetto di pregnante tutela costituzionale;
          esse, invece, vanno interpretate rigorosamente nei limiti della loro formulazione letterale, senza inammissibili estensioni;
          occorre chiarire e fugare ogni dubbio circa la portata applicativa di questa normativa;
          in particolare, è opportuno, pertanto, chiarire, con atti ministeriali ufficiali, che le cause di incompatibilità di cui al citato articolo 14 non si riferiscono ai dirigenti medici di unità operativa di strutture complesse delle aziende sanitarie locali (i primari ospedalieri di un tempo), che non sono titolari di alcun potere di amministrazione attiva e di gestione, ne hanno alcun ruolo in ordine alla conduzione ed alla selezione del personale sanitario, né tantomeno, in ordine alla destinazione ed all'utilizzo delle risorse finanziarie disponibili nelle aziende medesime;
          questo chiarimento si impone per evitare l'ingiusto depauperamento del futuro quadro degli amministratori locali, e per scongiurare inevitabili contenziosi  –:
          se il Ministro intenda adottare – una iniziativa diretta a precisare l'ambito di applicazione dell'articolo 14 del decreto legislativo n.  39 del 2013 di recentissima entrata in vigore – per chiarire che non sussistano cause di incompatibilità fra gli incarichi di Dirigente medico di unità operativa delle strutture complesse delle aziende sanitarie locali e le cariche di componente delle giunte e del consiglio, e, quindi, di sindaco di comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, per tutte le obiettive e fondate motivazioni e considerazioni sopraevidenziate. (4-03938)

      Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame con la quale sono stati sollevati dubbi interpretativi sulla portata dell'articolo 14 del decreto legislativo 8 aprile 2013, n.  39, in materia di incompatibilità degli incarichi dirigenziali nelle aziende sanitarie locali regionali.
      Come è noto, il comma 2 dell'articolo 14 stabilisce che gli incarichi dirigenziali nelle aziende sanitarie locali regionali sono incompatibili con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione, prevedendo ipotesi tassative di incompatibilità riferite, in particolare, agli incarichi di vertice delle aziende sanitarie quali direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario.
      Sulla questione è intervenuta la delibera n.  58 del 2013 della Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (ora ANAC – Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche), che ha chiarito l'ambito soggettivo di applicazione del citato decreto legislativo, con riferimento a tutte le tipologie di incarichi dirigenziali conferiti al personale medico.
      In particolare, la delibera precisa che le cause di inconferibilità e di incompatibilità di cui all'articolo 14 non possono venire applicate soltanto al direttore generale, al direttore amministrativo e al direttore sanitario delle aziende sanitarie locali e che le incompatibilità previste dall'articolo 12 riguardano anche i dirigenti sanitari, i quali possono avere responsabilità di amministrazione e gestione e non solo responsabilità professionale, come previsto dall'articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  502.
      Secondo la Commissione, per decidere sull'applicabilità o meno delle disposizioni citate ai dirigenti medici è necessario individuare «quelle posizioni dirigenziali che implicano, oltre alla responsabilità professionale, anche forme di responsabilità di amministrazione e gestione e, di conseguenza, non possono essere trattate diversamente dal complesso della dirigenza della pubblica amministrazione».
      Le disposizioni del decreto legislativo n.  39 del 2013 non possono, quindi, essere applicate ai medici di «staff» che non esercitano tipiche funzioni dirigenziali comprensive di una significativa autonomia gestionale e amministrativa (quali, ad esempio, funzioni di natura professionale, di consulenza, di studio e ricerca nonché funzioni ispettive e di verifica); al contrario i dirigenti di distretto sanitario, i direttori di dipartimento e di presidio e in generale, i direttori di strutture complesse rientrano certamente nel campo di applicazione della normativa in esame.
      Tenuto conto delle menzionate indicazioni della Commissione, non appare necessaria un'ulteriore iniziativa sulla questione.
Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione: Maria Anna Madia.


      INVERNIZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il comune di Cologno al Serio sito nella provincia di Bergamo ha una popolazione di quasi 11 mila abitanti;
          i cittadini sono costretti giornalmente ad affrontare lunghe attese agli Uffici Postali, in quanto vi sono solo due sportelli che consentono di effettuare le operazioni;
          sono già stati segnalati nelle passate legislature, con numerosissimi atti di sindacato ispettivo (solo nella XVI legislatura: 4/17347, 4/14531, 4/13410, 4/13294, 4/12704, 4/12418, 4/12224, 4/10623, 4/09537, 4/09469, 4/08137, 4/07966, 4/07663, 4/07289, 4/06186, 4/05933, 4/05900, 4/05801, 4/05200, 4/04302, 4/03679) i disservizi nella provincia di Bergamo e in altre province della Lombardia oltre che di regioni limitrofe causati dalla inadeguata organizzazione dell'azienda Poste Italiane spa sul territorio orobico  –:
          quali iniziative di competenza intenda adottare affinché Poste italiane eroghi un servizio puntuale ed efficiente alla popolazione della provincia di Bergamo. (4-03490)

      Risposta. — Con riferimento ai disservizi riscontrati in provincia di Bergamo ed in particolare nel comune di Cologno al Serio, la società Poste italiane ha rappresentato quanto segue.
      Dal monitoraggio effettuato sui flussi di traffico e volumi di attività risulta che tempi di attesa presso gli sportelli degli uffici postali presenti sul territorio della provincia di Bergamo rientrano negli standard previsti dagli obiettivi aziendali e, solo sporadicamente, si sono registrati dei rallentamenti dovuti ad eventi di carattere straordinario ed imprevedibile.
      Con specifico riferimento all'ufficio postale «Cologno al Serio», Poste italiane ha reso noto che tale ufficio, dotato di 3 sportelli, 1 sala consulenza e 1 Atm, è aperto al pubblico dal lunedì al venerdì dalle ore 8,20 alle ore 13,35 ed il sabato dalle ore 8,20 alle ore 12,35. La stessa società ha riferito che dai monitoraggi effettuati è emerso che i tempi di attesa agli sportelli dell'ufficio in esame rientrano nei previsti standard di qualità aziendale.
      L'azienda ha rappresentato, inoltre, informandone anche le autorità locali nel corso di un incontro tenutosi nel mese di febbraio 2014 che, nei giorni di pagamento delle pensioni ovvero in concomitanza di particolari scadenze, tuttavia, possono registrarsi fisiologici tempi di attesa lievemente superiori.
      Si segnala, infine che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), organo competente in materia di regolazione e vigilanza sul settore postale ha assicurato che i disservizi segnalati nell'interrogazione in esame sono allo stato oggetto di monitoraggio da parte della stessa.

Il Ministro dello sviluppo economico: Federica Guidi.


      LAFFRANCO, FABRIZIO DI STEFANO, MILANATO, GELMINI e FAENZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
          il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell'export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
          il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
          il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
          in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
          gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
          la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
          sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
          articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
          molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
          l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n.  1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo – tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate – rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013  –:
          quali azioni il Ministro intenda adottare al fine di promuovere in sede comunitaria il rispetto, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine. (4-02746)

      Risposta. — Per quanto concerne l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza dei prodotti alimentari con particolare riferimento alle carni suine e le altre iniziative a tutela dell'agroalimentare made in Italy, ritengo importante ricordare innanzitutto che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha sempre svolto un ruolo determinante nelle sedi europee, concertando la posizione negoziale in materia di tracciabilità con il Ministero della salute, al fine di coniugare le esigenze di tutela dei consumatori e di difesa della produzione italiana sui mercati nazionali ed esteri.
      Ciò premesso, segnalo con soddisfazione la recente adozione, anche grazie al sostegno dell'Italia, del regolamento di esecuzione (UE) n.  1377/2013 della Commissione del 13 dicembre 2013 che stabilisce i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione.
      Tra le nuove prescrizioni è stata introdotta quella relativa all'indicazione trasparente del Paese di origine, o il luogo di provenienza, nel quale gli animali sono stati allevati e macellati, dando così attuazione concreta al citato articolo 26 del regolamento (CE) n.  1169/2011.
      La modifica del quadro giuridico europeo di riferimento rappresenta, dunque, un risultato notevole a beneficio dei consumatori poiché garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del
made in Italy.
      A tal proposito si può affermare che le modifiche apportate al testo originario proposto dalla Commissione, tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale, sono state sostenute in sede negoziale dalla delegazione italiana proprio con la finalità di evitare di fornire al consumatore informazioni con modalità poco trasparenti o addirittura fuorvianti rispetto alla realtà produttiva, contribuendo quindi a dare maggiore chiarezza circa le procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta che segue anche la carne suina nelle varie fasi di commercializzazione e alla tutela del «made in Italy
».
      Il regolamento di esecuzione suindicato prevede la possibilità di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese nonché di indicare il luogo di provenienza delle carni secondo lo schema seguente:
          per tutte le specie – l'indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se: l'animale è nato, allevato e macellato in Italia;
          suini – l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se: l'animale viene macellato sopra i 6 mesi ed ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; l'animale è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 chilogrammi e viene macellato ad un peso superiore agli 80 chilogrammi; l'animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 chilogrammo ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
          ovi-caprini: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se: l'animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia; l'animale viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l'intero periodo di allevamento in Italia;
          pollame: l'indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se: l'animale ha trascorso almeno l'ultimo mese in Italia; l'animale viene macellato sotto 1 mese di età ed ha trascorso l'intero periodo di ingrasso in Italia.

      Nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento (CE) n.  1169 del 2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, il citato regolamento di esecuzione n.  1337 del 2013 consente anche la possibilità di integrare le informazioni sull'origine sopra sintetizzate, con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne, tra cui un livello geografico più dettagliato. Il sistema europeo sintetizzato si applicherà a partire dal 1o aprile 2015.
      Si fa presente, comunque, che, a livello nazionale, oltre il 70 per cento degli allevatori di suini italiani produce carne nel rispetto dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (DOP) e delle indicazioni geografiche protette (IGP).
      I disciplinari dei prodotti della salumeria DOP e IGP italiani, approvati a livello comunitario, impongono che i suini appartenenti a razze appositamente selezionate, vengano allevati in condizioni di benessere e seguendo un programma alimentare studiato per le diverse fasi di allevamento.
      Gli allevatori e i macelli aderenti ai circuiti delle produzioni DOP ed IGP sono controllati da istituti, pubblici o privati, designati da questo Ministero, i quali monitorano la certificazione dei suini destinati alla trasformazione, le movimentazioni degli animali lungo tutto la filiera, attraverso dei sistemi di tracciabilità degli animali nonché dei trasformati.
      L'allevatore degli animali destinati all'allevamento applica all'animale il proprio codice e il mese di nascita tramite un timbro indelebile sulla coscia entro 30 giorno dalla nascita. I suini destinati al macello, tramite la certificazione unificata di conformità (CUC), vengono certificati attraverso i tatuaggi relativi all'allevamento di nascita, alla partita ed al tipo genetico prevalente. La CUC è accompagnata da eventuali certificati relativi agli spostamenti dei suini nel corso della loro vita in allevamenti diversi da quello di nascita. Il macello, tramite timbro indelebile impresso sulla cotenna, appone il proprio codice di identificazione (PP) su ogni coscia, dopo aver accertato che essa possieda i requisiti previsti dal disciplinare di produzione. Tale codice sarà necessario allo stagionatore per identificare e registrare la carne all'inizio del processo di stagionatura. Nel caso dei prosciutti DOP di Parma e di San Daniele viene apposto sulle cosce un sigillo metallico prenumerato.
      Per i prodotti
made in Italy a denominazione protetta le azioni fraudolente hanno, pertanto, margini ridotti e la rete delle azioni di controllo e vigilanza offre valide e reali garanzie sia per i produttori che per i consumatori.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il gruppo Askoll Holding consolida un'importante presenza nei mercati delle pompe di scarico per lavabiancheria e lavastoviglie, dei motori elettrici per applicazioni domestiche come lavatrici, asciugatrici e sistemi di aspirazione, ventilazione e refrigerazione attraverso i marchi Askoll, Plaset e Ceset;
          i stabilimenti del gruppo sono ubicati nei comuni di Sandrigo, Dueville, Cavazzale di Monticello Conte Otto in provincia di Vicenza, e a Castell'Alfero in provincia di Asti. Altre fabbriche sono attive in Slovacchia, Brasile, Messico, Romania e Cina;
          lo stabilimento Askoll di Castell'Alfero ha deciso la cessione dell'attività, con lettere di licenziamento collettivo e con l'apertura della procedura di mobilità, recapitate ai delegati della Rsu aziendale e successivamente alle organizzazioni di categoria dei metalmeccanici di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm;
          la holding vicentina conferma ufficialmente lo stop della produzione dall'8 giugno 2014 nello stabilimento lungo la strada statale 99. La perdita, secondo la comunicazione ufficiale di Askoll, ammonterebbe a 6 milioni di euro, prevista sia per il 2013 che per il 2014, e non ci sarebbero strumenti in alternativa alla mobilità. Con la lettera scattano i 75 giorni previsti dalla normativa per raggiungere l'accordo;
          nel documento, il gruppo sostiene che la crisi economica (in particolare quella del settore degli elettrodomestici) assieme alla concorrenza da parte dei produttori asiatici e al trasferimento dei clienti nei Paesi «low cost» ha ridotto di molto la redditività dell'azienda;
          inoltre, la volontà di cessare l'attività impedisce ai lavoratori l'eventuale rinnovo dei contratti di solidarietà in scadenza;
          la procedura riguarda complessivamente 221 dipendenti: 141 operai, 68 impiegati, 10 quadri e 2 dirigenti  –:
          se siano a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali azioni intendano intraprendere per salvaguardare gli attuali livelli occupazionali;
          quali iniziative il Governo intenda porre in essere per dare soluzione alla crisi della società Askoll, e se intenda aprire un tavolo nazionale di confronto con lo scopo di avviare un dialogo finalizzato a tutelare la continuità occupazionale. (4-03751)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
      La crisi aziendale della Askoll di Castell'Alfero si è manifestata, secondo quanto è stato dichiarato anche dai vertici aziendali, a causa della forte riduzione dei volumi produttivi e del progressivo trasferimento delle produzioni e dei principali clienti, soprattutto clienti, nei Paesi
low cost e della sempre più aggressiva concorrenza da parte di produttori asiatici capaci di produrre il medesimo prodotto a prezzi più bassi rispetto a quelli del sito citato. La società aveva già avviato nel 2009 un piano di ristrutturazione per rendere maggiormente competitiva l'azienda grazie a interventi da realizzare nello stabilimento per oltre sette milioni di euro. Nell'ambito di tale piano, si prevedeva di rendere lo stabilimento piemontese un centro di competenza delle piattaforme a motore destinate alla produzione del motore BPM Askoll Motor. Tuttavia, nonostante i citati investimenti si è mantenuto un perdurante stato di difficoltà. Tale situazione è nota a tutte le parti coinvolte ed è stata affrontata attraverso un accordo sindacale del 3 marzo 2012 e successivamente con un ulteriore accordo sottoscritto in data 5 giugno 2012 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
      Ciò premesso, all'inizio di quest'anno le organizzazioni sindacali hanno interessato il Ministero dello sviluppo economico circa le criticità produttive e occupazionali del sito in questione anche a seguito della comunicazione del licenziamento collettivo il 25 febbraio 2014.
      Di conseguenza, il Ministero ha attivato un confronto istituzionale tra tutte le parti coinvolte. Nell'ambito degli incontri tenutisi al Ministero dello sviluppo economico, l'azienda ha dichiarato che lo stabilimento ha riportato negli ultimi anni perdite costanti.
      Inizialmente, la stessa aveva dato la propria disponibilità ad accogliere la richiesta del Ministero di sospendere la procedura di mobilità purché fosse ripresa la produzione. In seguito, nonostante la disponibilità prospettata dalla regione Piemonte, oltre che dal Ministero, il
management ha confermato la propria decisione di chiusura sottolineando che essa è stata determinata da una situazione di insostenibilità economica dello stabilimento.
      Il Ministero dello sviluppo economico, unitamente alle istituzioni presenti, ribadendo la propria contrarietà alla decisione di chiusura, ha preso atto della decisione aziendale di ritenere vano qualsiasi tentativo di approfondimento alla luce delle disponibilità istituzionali. Il tavolo dunque rimane aperto e verrà aggiornato a breve per seguire l'evolversi della situazione.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          a soli 3 anni dal passaggio della Società Officine Maccaferri di Celano (AQ) alle Trafilerie Zincherie del Gruppo Pittini, la nuova proprietà ha deciso la chiusura dell'attività industriale con la perdita di tutti i posti di lavoro;
          il passaggio tra le due aziende era stato frutto di un accordo siglato presso il Ministero dello sviluppo economico con le garanzie produttive e occupazionali concordate anche con i sindacati oltre che con il Governo;
          le cause, secondo l'azienda, sono da ricercarsi nella crisi del mercato e nel costo energetico;
          i lavoratori sono in lotta con il presidio dei cancelli per evitare l'uscita delle merci prodotte  –:
          se non ritenga doveroso convocare le parti sociali e gli enti locali per esaminare la vertenza e cercare soluzioni produttive e occupazionali. (4-01942)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
      Il Ministero dello sviluppo economico continua a seguire con attenzione le problematiche dell'azienda Trafilerie Zincherie Pittini di Celano, sito produttivo precedentemente detenuto dal gruppo Maccaferri.
      Nel 2008, il gruppo Pittini acquistò uno stabilimento a Celano in Abruzzo dal gruppo Maccaferri (un grande gruppo che opera in diversi settori, dall'ingegneria meccanica, all'agroalimentare, dall'energia alla produzione di sigari). Lo stabilimento abruzzese, dove lavoravano circa 100 dipendenti, operava nel mercato del filo zincato.
      Il Ministero dello sviluppo economico ha seguito gli sviluppi di questa acquisizione fin dal 2010, con l'obiettivo di salvaguardare una realtà produttiva importante per il territorio abruzzese. In tale ambito il gruppo Pittini già manifestava la gravità della situazione industriale ed economica a Celano illustrando le decisioni che, avevano portato lo stesso a rilevare dalla Maccaferri il sito aquilano. Infatti fin da allora il gruppo Pittini palesava alle parti sociali ed istituzionali la determinazione di cessare la produzione di una commessa riconducibile ad un accordo con il gruppo Maccaferri che, venuta meno, aveva determinato la relativa messa in mobilità di parte dei lavoratori dovuta alla riduzione dei volumi di attività.
      Il Mise segnala che persistono contatti anche con la società Maccaferri – considerata centrale per invertire la sempre più difficile situazione dello stabilimento – per incentivare un interessamento al proprio ex stabilimento, ma, al momento, non vi sono stati riscontri positivi.
      Nel prendere atto della delicata situazione illustrata dall'interrogante, il Ministero dello sviluppo economico assicura la disponibilità, ove richiesto dalle parti, a convocare il più rapidamente possibile un tavolo di confronto per avviare una discussione costruttiva con tutti i soggetti interessati.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      MIGLIORE e SCOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la mattina del 4 dicembre 2013 sull'autostrada A3 Napoli-Pompei-Salerno, si è formata una fila lunga 12 chilometri a causa di un cantiere aperto alle 7.00 del mattino sulle corsie in direzione Napoli per lavori riguardanti il rifacimento del fondo stradale;
          tale circostanza a quell'ora ha comportato un tempo di percorrenza dell'autostrada superiore alle 4 ore considerando che all'orario predetto l'autostrada è percorsa prevalentemente da lavoratori pendolari;
          ciò ha comportato ritardi e difficoltà al raggiungimento del posto di lavoro per migliaia di lavoratori della provincia di Napoli determinando indubbiamente un danno economico rilevante agli stessi e all'economia dell'ente locale;
          lo stato del trasporto pubblico in Campania è da più di un anno in condizioni estreme di difficoltà e la linea Circumvesuviana operante in quella zona, versa in condizioni di disagio economico e funzionale rendendola ormai inefficace ad una corretta funzionalità  –:
          se sia prassi ordinaria che lavori di rifacimento del fondo stradale vengano effettuati dalla società Autostrade meridionali in orari diurni e di massimo transito;
          se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative al fine di rivalersi sulla stessa società per i danni subiti dalla economia locale in seguito al disservizio arrecato;
          quali iniziative intenda intraprendere per assicurare il diritto alla mobilità sul territorio delle popolazioni della provincia di Napoli. (4-02830)

      Risposta. — Con riferimento all'evento occorso sull'autostrada A3 Napoli-Salerno in data 4 dicembre 2013, si rappresenta quanto segue.
      I lavori di esecuzione di pavimentazione stradale nell'ambito del cantiere di adeguamento dell'autostrada a tre corsie, tra i chilometri 5+690 e 10+525 sono stati programmati in orario notturno dalle ore 22,00 del 3 dicembre alle ore 06,00 del 4 dicembre 2013.
      A seguito di una improvvisa e, quindi, non prevedibile avaria di una macchina finitrice e della difficoltà a reperire altro macchinario idoneo, oltre alla necessità di completare l'intervento, non è stato possibile riaprire totalmente l'autostrada dalle ore 06,00 come previsto dalla relativa ordinanza.
      La corsia di sorpasso è stata, comunque, aperta alle 06,00 e quella di marcia alle 09,15.
      Per accertare ogni eventuale responsabilità della società concessionaria la struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali di questo dicastero ha attivato immediatamente dopo i fatti una procedura di verifica.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Maurizio Lupi.


      MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in occasione della tradizionale festa di Santa Barbara, il 4 dicembre 2013, il Comandante provinciale dei vigili del fuoco di Como, Marisa Cesario, ha pubblicamente esposto le difficoltà con cui si confronta il suo comando;
          dopo aver attirato l'attenzione sulla contrazione del personale assegnato ai distaccamenti dei vigili del fuoco nella provincia comasca, ora pari a 140 unità, Marisa Cesario ha evidenziato le gravi carenze di organico che si stanno determinando ad alcuni livelli critici della struttura, come quelli dei funzionari qualificati e dei capisquadra, ruoli attualmente scoperti al 60 per cento;
          mancherebbero, in particolare, sei funzionari sui nove previsti in pianta organica e ben 24 capisquadra su 40, carenze che le promozioni previste a breve termine ridurranno ma non potranno cancellare del tutto  –:
          se e quando il Governo conti di intervenire per assicurare la copertura totale dei ruoli di funzionario qualificato e caposquadra nei distaccamenti dei vigili del fuoco soggetti al comando provinciale comasco. (4-02930)

      Risposta. — Le lamentate carenze di organico del comando provinciale dei vigili del fuoco di Como, vanno inquadrate nella generale esigenza del territorio nazionale.
      In particolare, presso quel comando sono presenti 2 unità appartenenti al ruolo dei direttivi, a fronte di un organico teorico di 3 unità e 1 appartenente al ruolo degli ispettori e sostituti direttori antincendi, rispetto ad un organico teorico di 6 unità.
      Per quanto concerne la carenza nel ruolo degli ispettori e sostituti direttori antincendi si fa presente che è già stato pubblicato il bando di concorso a 334 posti, per l'accesso alla qualifica di ispettore antincendi, previsto dall'articolo 153 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n.  217.
      Inoltre con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2013, registrato alla Corte dei Conti il 3 ottobre 2013, è stato autorizzato il bando del concorso a 10 posti per l'accesso alla qualifica di vice direttore.
      Per quanto riguarda le carenze nel ruolo dei capi squadra e dei capi reparto, sono in corso le evidenziate procedure concorsuali interne per l'accesso nel ruolo.
      In particolare, per il concorso a capo reparto (2009) è stata pubblicata la graduatoria per l'ammissione al corso di formazione professionale, il cui esame finale si è tenuto lo scorso 24 gennaio.
      Il 10 gennaio 2014, inoltre, e stato pubblicato lo schema della graduatoria per la successiva ammissione al corso di formazione professionale relativo al concorso a 660 posti di capo squadra del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, con decorrenza 1o gennaio 2010.
      Le attività relative alle procedure concorsuali per il passaggio a capo reparto e a capo squadra proseguiranno sulla base delle disponibilità di posti nelle scuole centrali e nei poli didattici preposti alla formazione.
      In questo quadro, la situazione dell'organico del comando dei Vigili del fuoco di Como, unitamente a quella degli altri comandi provinciali in analoghe condizioni, potrà, pertanto, essere rivalutata all'esito delle predette procedure concorsuali.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      MOLTENI e GRIMOLDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 6 gennaio 2013 il quotidiano La Repubblica pubblicava una intervista di Natalia Aspesi al regista Paolo Virzì, il quale dichiarava, relativamente alla Brianza, dove è ambientato il suo ultimo film il «capitale umano»: cercavo un'atmosfera che mi mettesse in allarme, un paesaggio che mi sembrasse gelido, ostile e minaccioso;
          nella stessa intervista, poco più avanti, lo stesso Virzì dichiarava: «Ho girato nella campagna di Osnago, nel centro storico di Varese, di Como, città ricchissima che esprime il degrado della cultura, con quel suo unico teatro, il Politeama, chiuso e in rovina. E che ha una parte importante nel film, come simbolo di un inarrestabile degrado e sottomissione al denaro»;
          nei giorni successivi queste pesanti affermazioni hanno dato luogo a chiarimenti e polemiche, in particolare con l'assessore al turismo della provincia di Monza e Brianza, Andrea Monti, che giustamente provvedeva a smentire i luoghi comuni espressi dal regista nella sua intervista, evidenziando, anche con riferimento ad importanti testimonianze letterarie, gli aspetti positivi del tessuto sociale della sua provincia, territorio caratterizzato da piccole e medie imprese artigiane, e da grandi industrie metalmeccaniche, tessili ed alimentari che hanno dato molto all'Italia: un tessuto economico che ha da sempre scommesso sulle proprie capacità e sulle proprie risorse, a differenza di altri territori italiani che vivono di assistenzialismo pubblico, ed è infatti una delle aree che più contribuisce a finanziare i bilanci dello stato e che permette quindi che la macchina pubblica funzioni;
          il giorno 8 gennaio alle ore 16.10 di tutta risposta lo stesso Virzì scriveva all'assessore Monti sul suo blog: «Scusi lei è davvero un assessore ? Ma la smetta, abbia rispetto dei cittadini che rappresenta.
Si dia un contegno, lei è un uomo delle istituzioni, lasci fare il buffone a noi gente dello spettacolo. Torni a bordo, (...) !
Nel film c’è un grave errore: un assessore leghista troppo composto rispetto alla sguaiataggine di questo. Realtà più grottesca»;
          lo stesso regista Virzì, che è anche direttore del Torino Film Festival, presentando a Torino l'edizione 2013 dello stesso Festival, ebbe a dire: «Quando voi vedete Scarlett Johansson che sfila sul red carpet romano dovreste metterle anche un cartellino del prezzo. Dovreste vedere, lì che cammina, un “cosa” che sta tra i 400 mila e i 600 mila dollari. Immaginatevi proprio il mucchio di banconote che cammina. E sappiate che sono banconote pubbliche»;
          anche il film «Il capitale umano» di Virzì ha ottenuto il tanto deprecato intervento pubblico: ha ricevuto infatti un contributo di 700.000 euro dal Ministero dei beni culturali con delibera della Direzione generale per il Cinema del 15 ottobre 2012;
          il presupposto della mission della Direzione generale per il Cinema è che il Cinema è uno dei fondamenti dell'espressione culturale, che il suo principale valore culturale risiede nell'essere testimone della ricchezza di identità culturali, e che le opere audiovisive e in particolare il ci- nema svolgono un ruolo essenziale nel formare le identità culturali nazionali»  –:
          se il ministro interrogato non intenda vigilare sulla direzione generale per il cinema nella sua attività riconoscimento dei presupposti in base ai quali vengono erogati i fondi, e quindi sulla concessione degli stessi;
          se non intenda sottoporre a verifica il soggetto beneficiario del contributo per la realizzazione del film «Il capitale umano», in quanto è contraddittorio finanziare pellicole che mirano a denigrare, e mettere in cattiva luce, luoghi e territori che lo stesso Ministero è chiamato poi a valorizzare attraverso gli investimenti nel settore turistico, e se pertanto non ritenga opportuno, alla luce di tale vicenda, provvedere all'annullamento della succitata delibera e alla richiesta di restituzione immediata dei fondi. (4-03110)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede notizie in merito al riconoscimento culturale ed al contributo economico accordato al progetto filmico «Il capitale umano», per la regia di Paolo Virzì, si comunica quanto segue.
      La valutazione dei progetti filmici avviene a cura della sottocommissione per il riconoscimento dell'interesse culturale, articolazione interna della commissione per la cinematografia, sulla base e nel rispetto di criteri dettati dalla legge ed ulteriormente definiti sempre in ossequio alla stessa.
      Si tratta della «Legge cinema» (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  28) e dei relativi decreti, in particolare il decreto ministeriale del 27 settembre 2004 e quello del 12 aprile 2007, rispettivamente aventi ad oggetto «Composizione ed attività della Commissione per la cinematografia e valutazione dell'interesse culturale» e «Modalità tecniche di sostegno alla produzione ed alla distribuzione cinematografica». In particolare, i due decreti ministeriali da ultimo citati definiscono criteri e parametri oggettivi di valutazione diretti ad assicurare imparzialità di giudizio e a limitare la discrezionalità valutativa, peraltro ineliminabile in un giudizio di qualità artistica, affidato proprio per tale ragione ad esperti indipendenti.
      La sottocommissione è composta da esperti nel settore della cinematografia (registi autori esperti giuridici ed economici) nominati, per due terzi, dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e, per un terzo, dalle regioni. Essa è presieduta, di diritto, dal direttore generale per il cinema ed opera presso la direzione generale per il cinema, in assoluta autonomia nella valutazione dei progetti filmici.
      La commissione per la cinematografia istituita, da ultimo, con decreto ministeriale 2 novembre 2011, è giunta alla sua naturale scadenza.
      Per effetto dell'articolo 13, commi 1 e 2, del decreto-legge 8 agosto 2013, convertito, con modificazioni, nella legge 7 ottobre 2013, recante «Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione ed il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo», la futura «nuova» Commissione per la cinematografia, oltre ad operare senza onere alcuno per lo Stato (come già avviene dall'8 ottobre 2013), sarà ridotta nel numero dei componenti e formata solo da esperti esterni rispetto all'amministrazione, ad eccezione del direttore generale per il cinema.
      La legge indica i criteri di valutazione discrezionale del progetto filmico (qualità artistica, intesa come valore del soggetto e della sceneggiatura, qualità tecnica, intesa come valore delle componenti tecniche e tecnologiche, coerenza delle componenti artistiche e di produzione del progetto filmico, intesa come completezza e realizzabilità del progetto produttivo) e, nella prima riunione utile di ogni nuovo anno di attività, la sottocommissione adotta ed aggiorna gli indicatori utili di dettaglio per le attività di valutazione dei progetti, cui viene data la massima divulgazione, attraverso la pubblicazione sul sito
web della citata direzione generale.
      Nel caso in esame si tratta dei «Criteri per le attività della Commissione per il riconoscimento dell'interesse culturale per l'anno 2012».
      Per i progetti filmici di lungometraggio di autori già affermati (dalla terza opera in poi), a tali criteri si aggiunge anche il cosiddetto «reference system», ovvero un punteggio attribuito ad ogni progetto in relazione «all'apporto artistico del regista e dello sceneggiatore, nonché alla valutazione del trattamento o della sceneggiatura, con particolare riferimento a quelli riconosciuti di rilevanza sociale e culturale...». Tale punteggio è calcolato sulla base dei parametri automatici riportati nelle tabelle allegate al citato decreto ministeriale che disciplina la composizione e le attività della commissione per la cinematografia e la valutazione dell'interesse culturale. Tra essi, a titolo esemplificativo, vi sono i precedenti premi vinti dal regista, dagli attori e dallo sceneggiatore, la partecipazione di precedenti film del regista a festival come miglior film o miglior regia, gli incassi ottenuti dal regista con precedenti film da lui realizzati eccetera.
      La procedura di riconoscimento dell'interesse culturale è assimilabile ad una vera e propria procedura concorsuale. Essa si articola in tre sessioni deliberative annuali, con graduatoria dei progetti e riconoscimento della qualifica di interesse culturale e attribuzione di eventuale contributo economico ai progetti filmici giudicati maggiormente meritevoli.
      Ogni fase della complessa procedura, oltre ad essere gestita per via telematica, è divulgata sul sito
web della direzione generale per il cinema.
      Sono riconosciuti di interesse culturale ed ammessi al contributo economico i progetti che, oltre ad ottenere un punteggio sufficiente (minimo 60 punti su 100), conseguono il punteggio più alto nella graduatoria determinata dalla valutazione comparativa operata dalla commissione. L'entità dei contributi viene stabilita in base alla graduatoria, al piano finanziario dei progetti filmici ed alle risorse economiche disponibili per ogni esercizio finanziario.
      Per il film «Il capitale umano», prodotto dalla società di produzione Indiana production Srl, nel corso della prima sessione deliberativa del 2012 è stato richiesto il riconoscimento dell'interesse culturale e l'attribuzione di un contributo economico. In tale sessione sono stati presentati 24 progetti di lungometraggio.
      Con delibera del 15 ottobre 2012, a fronte di 5 milioni di euro di risorse disponibili per tale seduta deliberativa, sono stati approvati 10 progetti. Il progetto in questione ha ottenuto un contributo di 700.000 euro, con un punteggio di 93 punti su 100 (con un punteggio automatico parziale pari a 38 punti).
      Si tratta del secondo contributo per importo della seduta (il primo pari a 1,1 milioni di euro è stato attribuito al film «La grande bellezza» di Paolo Sorrentino, vincitore dell'Oscar 2014 come miglior film straniero). Di seguito si riporta la relativa motivazione:
          «Il capitale umano» di Paolo Virzì, Indiana Production Company, Punteggio 93 (32-9-14-38) Contributo: 700.000,00 «La vita di tre adolescenti comaschi, di cui due benestanti e uno decisamente meno, si incrociano assieme al loro carico di traumi, paure, eccessi, e sentimenti teneri. Convincente sceneggiatura tra dramma e thriller, con un reference elevatissimo ed un impianto produttivo indipendente ed affidabile ottiene il riconoscimento dell'interesse culturale ed il sostegno economico».

      Si tratta di un film di autore, ispirato da un romanzo omonimo dello scrittore Stephen Amidon che ha riscosso consensi, sia dalla critica che dal pubblico.
      Il film, al 2 febbraio 2014 (dati Cinetel), nella sua quarta settimana di programmazione ancora in corso, è infatti al 10o posto nel box office con oltre 5 milioni di euro di botteghino sala e più di 800.000 spettatori.
      Tale incasso è destinato ad aumentare anche con il futuro sfruttamento al di fuori del circuito cinematografico (esempio: pay tv, diritto di antenna, home-video eccetera). Si rappresenta, peraltro, che il contributo ministeriale non è a fondo perduto, ma è un prestito agevolato da restituire attraverso il riconoscimento di una percentuale sugli incassi del film, una volta realizzato.
      Ciò premesso, sotto il profilo meramente economico, il sostegno alla produzione del film «Il capitale umano» è da ritenersi un positivo impiego delle risorse pubbliche del fondo unico per lo spettacolo.
      Si evidenzia, inoltre, che anche la scelta delle località dove è stato girato il film ha prodotto un effetto positivo in termini di indotto susseguente alla lavorazione del film stesso, per un periodo di nove settimane (utilizzo di maestranze e strutture ricettive eccetera).
      Appare utile ricordare che il film in argomento ha ottenuto anche la qualifica «d'essai»,
ex articolo 2, comma 6, lettera a) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  28, ed articolo 1, comma 5, del decreto ministeriale 22 dicembre 2009. Al riguardo, si precisa che tutti i film di interesse culturale ottengono automaticamente tale qualifica, dopo essere stati esaminati dalla sottocommissione «Sezione dei film d'essai e per l'accertamento dei requisiti per la concessione dei benefici di legge». Si precisa, inoltre, che la suddetta qualifica non comporta alcun beneficio diretto per il produttore, né tanto meno per il regista ed il cast artistico. La suddetta qualifica comporta, invece, alcuni benefici per le sale cinematografiche che si impegnano, nel corso dell'anno, a mantenere una quota di programmazione riservata ai film d'essai.
      Per film d'essai, ai sensi dell'articolo 2, comma 6, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  28 e successive modificazioni, si intende il film, individuato dalla suddetta commissione, «espressione anche di cinematografie nazionali meno conosciute, che contribuisca alla diffusione della cultura cinematografica ed alla conoscenza di correnti e tecniche di espressione sperimentali».
      Si precisa, infine, che prima di essere distribuito nelle sale cinematografiche, ogni film è visionato dalla commissione di revisione cinematografica, di cui alla legge 21 aprile 1962 n.  161 e successive modificazioni, composta da nove esperti in vari settori e presieduta da un docente di diritto. Tale commissione è chiamata a valutare i contenuti del film sotto il profilo di un eventuale offesa al buon costume e a prescrivere eventuali divieti per i minori. Anche tale commissione, in data 20 dicembre 2013, si è espressa favorevolmente alla proiezione del film nelle sale cinematografiche, senza la previsione di alcun divieto.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo: Dario Franceschini.


      OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il Governo con legge 4 giugno 2010, n.  96 (Legge comunitaria 2009) articolo 28, ha ricevuto delega per adottare uno o più decreto legislativi per il riassetto, il riordino, il coordinamento e l'integrazione della normativa nazionale in materia di pesca ed acquacoltura;
          in attuazione al dettato della norma sopracitata il Governo ha emanato il decreto legislativo 9 gennaio 2012, n.  4, pubblicato in gazzetta Ufficiale n.  26 del 1° febbraio 2012 Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n.  96;
          il comma 4 dell'articolo 28 prevede che entro 2 anni dalla entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi della delega, possono essere emanate disposizioni correttive ed integrative;
          i due anni per gli interventi di cui sopra scadono il 2 febbraio 2014;
          nel frattempo sono state emanate nuove disposizioni comunitarie in materia di pesca professionale ed acquacoltura, non da ultime la riforma della Politica comune della pesca e la riforma dell'organizzazione comune dei mercati, che necessitano di interventi legislativi in ambito nazionale;
          il coordinamento pesca dell'Alleanza delle cooperative italiane (ACI) ha più volte ed in varie occasioni sollecitato il Governo ad intervenire sulla legislazione nazionale, chiedendo interventi legislativi volti alla modernizzazione del settore, alla semplificazione degli oneri burocratici, a valorizzare il ruolo multifunzionale delle imprese di pesca ed acquacoltura, ad armonizzare la normativa nazionale con quella comunitaria in materia di controlli ed ad assicurare la coerenza della pesca non professionale con le disposizioni comunitarie in materia;
          lo stesso coordinamento pesca dell'ACI ha più volte dichiarato la propria disponibilità ad una interlocuzione con il Governo e con l'amministrazione nazionale per superare gli ostacoli normativi esistenti;
          ad un mancato supporto legislativo per la modernizzazione del settore, occorre aggiungere un perdurante stato di crisi economica e sociale del settore che nell'ultimo decennio ha registrato un calo del personale imbarcato del 38,26 per cento, una riduzione della flotta del 28,1 per cento, una contrazione dei ricavi del 31 per cento, una riduzione delle catture del 48,84 per cento, ed un ridimensionamento dei fondi nazionali a disposizione per il settore del 77 per cento  –:
          quali azioni il Ministro interrogato intenda promuovere per non perdere questa ulteriore occasione di revisione della normativa di settore, senza maggiori oneri per lo Stato. (4-03225)

      Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, si segnala che l'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n.  96 (Legge comunitaria 2009) ha delegato il Governo ad adottare, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale in data 25 giugno 2010, uno o più decreti legislativi per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, anche al fine di dare corretta e completa attuazione al Regolamento (CE) n.  1198/06 e al Regolamento (CE) 1005/2008.
      In esecuzione della suddetta delega, il 9 gennaio 2012, come noto, è stato emanato il decreto legislativo n.  4 del 2012 (
Gazzetta Ufficiale n.  26 del 1o febbraio 2012), recante «Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n.  96».
      Peraltro, ai sensi del comma 4 del citato articolo 28 della legge n.  96 del 2010, entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo è stata prevista la facoltà e, quindi, non l'obbligo di emanare disposizioni correttive ed integrative, nel rispetto delle procedure descritte dal medesimo articolo 28.
      Premesso quanto sopra, ritengo altresì doveroso evidenziare che il dibattito in sede europea sulla proposta di riforma della politica comune della pesca (PCP) ha avuto quale esito l'adozione del regolamento (UE) n.  1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2013, che ha sostituito il regolamento di base (regolamento (CE) n.  2371/2002 del Consiglio), nonché l'adozione del regolamento (UE) n.  1379/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo all'organizzazione comune dei mercati (OCM), che ha sostituito il regolamento (CE) n.  104/2000 del Consiglio. Nello stesso periodo, è proseguita inoltre la disamina e la discussione, in seno ai gruppi di politica interna ed esterna della pesca, presso il Consiglio dell'Unione europea, della proposta di regolamento del Fondo europeo per la politica marittima integrata e per la pesca (Feamp).
      Ciò chiarito, la Direzione generale della pesca marittima e dell'acquacoltura del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha provveduto ad elaborare uno schema di provvedimento, tuttora oggetto di attività istruttoria, al fine di armonizzare la normativa nazionale con la normativa dell'Unione europea. Il testo, peraltro è stato condiviso con rappresentanti del comando generale delle capitanerie di porto per quanto attiene al Capo relativo alle sanzioni, allo scopo di rendere il sistema sanzionatorio italiano sempre più conforme alle prescrizioni comunitarie, perseguendo anche l'obiettivo della tutela di specie ittiche, oggetto di normative speciali, quali tonno rosso e pesce spada.
      La revisione in senso correttivo e/o integrativo del decreto legislativo n.  4 del 2012, terrà conto, inoltre, delle previsioni contenute nell’
Action plan formulato dall'Italia e formalizzato mediante apposita Decisione della Commissione europea n.  C(2013)8635 del 6 dicembre 2013, nonché degli esiti del dibattito in sede europea sulla proposta di riforma della politica comune della pesca (PCP), che ha portato all'adozione del regolamento (UE) n.  1380/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2013 e del regolamento (UE) n.  1379/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo all'organizzazione comune dei mercati (OCM).
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      PICCONE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nel territorio del comune di Celano (L'Aquila) lo stabilimento Trafilerie – Zincherie di Celano – L'Aquila – (gruppo Pittini – Ferriere del Nord – di OSOPPO) è in piena crisi;
          le difficoltà che sta vivendo si inseriscono in un quadro più vasto di crisi aziendali nell'intero territorio provinciale già pesantemente provato dal sisma del 2009;
          per la Marsica, l'annunciata chiusura di questo sito industriale, costituisce un ulteriore aggravio della situazione economica ed occupazionale;
          nel 2010 c’è stato un passaggio di consegne dello stabilimento di Celano, dal prestigioso marchio Officine Maccaferri di Bologna, al Gruppo Pittini, attraverso un accordo sindacale siglato presso il Ministero dello sviluppo economico, contenente le garanzie produttive e occupazionali concordate;
          dopo appena 3 anni, la Pittini, a giudizio dell'interrogante, reticente sotto il profilo della presentazione di un serio piano industriale, ha comunicato la cessazione delle attività con la conseguente messa in mobilità delle 86 maestranze, scaricando le colpe sulla crisi del mercato di riferimento e sull'elevato costo energetico;
          lo stabilimento di Celano rappresenta un vanto dell'intero territorio marsicano, quando dal 1977 assunse nel tempo elevate specializzazioni nelle lavorazioni di filo (rivestimenti in zinco, Galfan, pvc), fino al 1998, anno in cui ci fu l'ampliamento con la costruzione della trafileria e della zincheria che, di fatto, ampliarono la gamma di prodotti impiegati, tanto nell'industria, quanto in agricoltura, in Italia e all'estero;
          nulla è stato fatto, dopo il passaggio tra le due aziende, per portare lo stabilimento ad un livello di autosufficienza, utilizzando tecnologie avanzate, limitando, nei fatti, la capacità produttiva;
          durante le recentissime trattative sindacali, è emersa l'indisponibilità della proprietà di cedere a terzi probabilmente per un disimpegno industriale;
          il 25 settembre 2013 presso la sede di Confindustria dell'Aquila, la Trafilerie – Zincherie di Celano, ha comunicato a FIM-FIOM-UILM e alla Rappresentanza sindacale unitaria, in modo irrevocabile, la chiusura del sito e l'apertura dello stato di mobilità con conseguente licenziamento delle 86 unità a partire dal 1° gennaio 2014  –:
          quali iniziative intendano intraprendere su questa vicenda e se non ritengano doveroso riaprire un tavolo di trattativa volto a raggiungere un accordo per la riattivazione dello stabilimento di Celano, al fine di poter riavviare ed eventualmente riconvertire lo stabilimento stesso e non aggravare ulteriormente la crisi occupazionale nel territorio della Provincia di l'Aquila. (4-02055)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
      Il Ministero dello sviluppo economico continua a seguire con attenzione le problematiche dell'azienda Trafilerie Zincherie Pittini di Celano, sito produttivo precedentemente detenuto dal gruppo Maccaferri.
      Nel 2008, il gruppo Pittini acquistò uno stabilimento a Celano in Abruzzo dal gruppo Maccaferri (un grande gruppo che opera in diversi settori, dall'ingegneria meccanica, all'agroalimentare, dall'energia alla produzione di sigari). Lo stabilimento abruzzese, dove lavoravano circa 100 dipendenti, operava nel mercato del filo zincato.
      Il Ministero dello sviluppo economico ha seguito gli sviluppi di questa acquisizione fin dal 2010, con l'obiettivo ai salvaguardare una realtà produttiva importante per il territorio abruzzese. In tale ambito il gruppo Pittini già manifestava la gravità della situazione industriale ed economica a Celano illustrando le decisioni che, avevano portato lo stesso a rilevare dalla Maccaferri il sito aquilano. Infatti fin da allora il gruppo Pittini palesava alle parti sociali ed istituzionali la determinazione di cessare la produzione di una commessa riconducibile ad un accordo con il gruppo Maccaferri che, venuta meno, aveva determinato la relativa messa in mobilità di parte dei lavoratori dovuta alla riduzione dei volumi di attività.
      Il Mise segnala che persistono contatti anche con la società Maccaferri – considerata centrale per invertire la sempre più difficile situazione dello stabilimento – per incentivare un interessamento al proprio ex stabilimento, ma, al momento, non vi sono stati riscontri positivi.
      Nel prendere atto della delicata situazione illustrata dall'interrogante, il Ministero dello sviluppo economico assicura la disponibilità, ove richiesto dalle parti, a convocare il più rapidamente possibile un tavolo di confronto per avviare una discussione costruttiva con tutti i soggetti interessati.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'ENI avrebbe in animo di realizzare sulla costa nord occidentale della Sardegna, nel sito industriale di Porto Torres un parco serbatoi con una capacità di un milione e 650 mila metri cubi di combustibile;
          nel Golfo dell'Asinara a seguito di questo imponente parco serbatoi potrebbero transitare seicento petroliere all'anno quadruplicando il traffico navale rispetto a quello legato al polo chimico;
          l'impatto occupazione sarebbe di non più di quarantacinque posti di lavoro diretti;
          l'intervento del quale non si conoscono le procedure autorizzative avviate ricade in un'area di bonifica e ripristino ambientale dell'area industriale e dell'area marina antistante lo stabilimento industriale di Porto Torres;
          all'interno del perimetro dell'area definito dal decreto del Ministero dell'ambiente del 26 febbraio 2003 sono presenti:
              Polo Petrolchimico: stabilimento Syndial S.p.A., Sasol Italy S.p.A., EVC S.p.A., Turris Espansi, Turris Pack, Coseplast, Isoex, SarEuroplast, Officina meccanica Ormes;
              Laterizi Torres della Sarda Laterizi;
              Distoms S.r.l.;
              Deposito costiero ENI S.p.A.;
              Deposito costiero ESSO Italiana S.r.l.;
              Deposito costiero Liquigas S.r.l.;
              Ex Ferriere Sarde;
              Endesa S.p.A.;
              Wanda (impianto itticultura dismesso);
              area marino costiera      prospiciente il sito di bonifica di interesse nazionale di Porto Torres;
          l'area a terra interna alla perimetrazione occupa una superficie di circa 1.830 ettari ha nel territorio del comune Porto Torres (provincia di Sassari) ed è caratterizzata dalla presenza di nuclei industriali di notevole entità, quali:
              1) il polo petrolchimico: costituito da 19 unità (di cui alcune chiuse nel 1992) in cui si ha la produzione di cloro-soda, dicloroetano, VCM, PVC, polietilene, poliolefine, benzene, detergenti, derivati del carbone, fertilizzanti, cicloesano, ciclesanone, fenolo, rumene, solventi organici, acido solforico, anidride italica;
          lo stabilimento petrolchimico è nato agli inizi degli anni ’60 ad opera della Sarda Industria Resine (S.I.R.) ed ha un'estensione complessiva pari a 1.165. All'interno dello stabilimento, la società Syndial rappresenta la maggior presenza industriale, ma sono anche presenti attività gestite dalla EVC (Italia) S.p.A. e dalla Sasol S.p.A. (già Conda Augusta) ed operano inoltre autonomamente altre piccole realtà;
              2) la centrale Endesa Italia di Fiume Santo: centrale termoelettrica in cui viene utilizzato come combustibile Orimulsion e carbone;
          all'interno dell'area sono presenti il Porto commerciale ed il Porto industriale di Porto Torres nonché un'elevato numero di serbatoi di stoccaggio di materie prime e prodotti petroliferi;
          l'area marina perimetrata ha un'ampiezza complessiva pari a circa 2.700 ha e si estende, fra la diga foranea del porto industriale e la foce del fiume Santo;
          l'intera area perimetrata risulta fortemente antropizzata e le numerose attività presenti comportano un notevole impatto su un territorio che si trova inserito in un contesto ambientale di notevole pregio come il Golfo dell'Asinara (area marina protetta);
          sono presenti stabilimenti che producono DCE/CVM, PVC e prodotti chimici, depositi di prodotti petroliferi, discariche, aree con presenza di notevoli quantità di coperture in eternit, aree industriali dismesse, una centrale di produzione termoelettrica, l'area marina antistante il polo industriale;
          l'area di stabilimento è caratterizzata soprattutto da un inquinamento da composti organici, sia in fase disciolta che in galleggiamento, nelle acque di infiltrazione superficiale e in quelle dell'acquifero calcarenitico;
          all'interno dell'insediamento Syndial sono presenti numerosi impianti dismessi e, nel settore occidentale dello stabilimento, discariche controllate e non controllate;
          nel sito Endesa Italia di Fiume Santo nel febbraio 2000 si è verificato il versamento accidentale di circa 700 mc di combustibile Orimulsion a seguito della rottura di una tubazione di ricircolo;
          l'area marina antistante il sito di Porto Torres presenta diversi gradi di compromissione in relazione alla vicinanza al porto industriale, alla città di Porto Torres ed alla foce del Rio Mannu;
          il progetto presentato alle organizzazioni sindacali per il colossale deposito costituirebbe di fatto una potenziale bomba ecologica essendo risaputi i pericoli legati alle sostanze depositabili;
          i codici di sicurezza adottati per analoghi serbatoi descrivono tali materiali come infiammabili, estremamente infiammabili, nocivi per inalazione, nocivi per ingestione, irritante per gli occhi, le vie respiratorie, pelle, pericolo di effetti irreversibili, possono provocare il cancro, altamente tossici per gli organismi acquatici, possono provocare a lungo termine effetti negativi per l'ambiente, possono ridurre la fertilità, l'inalazione dei vapori può provocare sonnolenza e vertigini;
          le organizzazioni sindacali esplicitano un «palese disimpegno produttivo dell'Eni sulla chimica» e dichiarano: «il deposito è un'operazione commerciale e non produttiva»;
          le organizzazioni sindacali parlano «di progetto fuori da ogni logica» con «volumetrie incredibili»  –:
          se il ministro dell'Ambiente sia a conoscenza del progetto di serbatoio di un milione e seicentomila metri cubi nell'area industriale di Porto Torres davanti all'area marina protetta;
          se non ritenga di dover preventivamente dichiarare la propria decisa contrarietà ad un'ipotesi che pregiudicherebbe in maniera ulteriore e irrimediabile lo sviluppo turistico del Nord Sardegna e in tal caso se non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze, disporre le azioni necessarie al fine di evitare che si possa perpetrare ai danni di quel territorio un ulteriore grave danno ambientale anche convocando immediatamente i responsabili dell'Eni per valutare lo stato delle operazioni di bonifiche nelle aree di loro proprietà, e sollecitare l'avvio concreto del piano e non con cifre che appaiono irrisorie rispetto a quelle realmente necessarie;
          se non ritenga, il Ministro dello sviluppo economico di convocare l'Eni per conoscere la reale situazione legata alla ripresa produttiva non solo del cracking di Porto Torres ma dell'intero comparto chimico sardo considerato che si continua con la politica degli annunci da parte dell'Eni senza nessuna concreta azione;
          se non ritenga, il Ministro dello sviluppo economico di intervenire al fine di evitare che l'Eni avvii contrattazioni in ambito locale su progetti che appaiono all'interrogante un vero e proprio ricatto ai danni della Sardegna e dei lavoratori, utilizzando la Sardegna come piattaforma di depositi petroliferi senza nessun tipo di sviluppo serio e credibile. (4-00054)

      Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo indicato in esame si rappresenta quanto segue.
      L'interrogante segnala la problematica riguardante il polo industriale di Porto Torres ed in particolare il progetto per la realizzazione di un parco serbatoi di combustibile.
      Al riguardo sono state assunte le seguenti informazioni da parte dell'ENI spa.
      La realizzazione del predetto parco di serbatoi con una capacità di 1 milione e 650 mila metri cubi di combustibile rientrava in un progetto presentato ai sindacati nell'ambito dell'accordo sindacale del 2009, ma che ancora a tutt'oggi non rientra tra gli investimenti previsti da Eni/Versalis.
      Un eventuale progetto del medesimo ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n.  334 del 1999 (cosiddetta legge Seveso) dovrebbe essere sottoposto a tutte le procedure di autorizzazione previste dalla normativa in materia, compresa la valutazione di impatto ambientale, cosa che al momento non è stata effettuata.
      La società ha infatti confermato di non voler proseguire con tale ipotesi di sviluppo in ragione delle istanze del territorio ed in considerazione dell'evoluzione degli scenari logistici nel mar Mediterraneo.
      Al contrario, in uno scenario di profonda crisi economico-sociale, Eni ha promosso – attraverso la sottoscrizione del «Protocollo per la Chimica verde» (26 maggio 2011) con la Presidenza del Consiglio, i Ministeri dello sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del lavoro e delle politiche sociali e delle politiche agricole alimentari e forestali, le Istituzioni Locali ed i sindacati, le società Eni e Novamont – lo sviluppo per il sito di Porto Torres del primo progetto per la Chimica verde in Italia, frutto di un'ampia convergenza d'intenti sia a livello centrale che locale.
      Attraverso lo sviluppo di processi industriali a ridotto impatto ambientale, l'iniziativa rappresenta un'opportunità di crescita sostenibile e una nuova frontiera nell'innovazione industriale.
      Attività di ricerca e sviluppo, colture sperimentali e processi produttivi innovativi potranno trasformare progressivamente Porto Torres in un polo d'eccellenza a livello europeo nel settore della «Chimica verde». La sinergia tra la chimica di base e la «Chimica verde», attraverso l'integrazione tra la produzione di elastomeri ambientalmente sostenibili e le bio plastiche, genererà, nei prossimi dieci anni, un trend di crescita positivo per il settore in Europa.
      Il progetto «Chimica verde» prevede la realizzazione in sei anni di sette nuovi impianti, oltre alla realizzazione, da parte di Enipower, di una centrale a biomasse integrata al sito. Tali investimenti avranno un'importante ricaduta economica per il territorio, in considerazione dell'integrazione a monte con la filiera agricola e a valle con lo sviluppo e la specializzazione delle piccole e medie imprese interessate alla filiera delle nuove produzioni «bio».
      Alla ricaduta economica complessiva del progetto, si aggiunge quella per il completamento delle attività di demolizione e di bonifica del sito ad opera di Eni/Syndial che, tra il 2010 ed il 2012, ha presentato numerosi progetti di intervento con una stima di spesa complessiva di 530 milioni di euro, in particolare relativi ai terreni delle differenti aree del sito industriale (Area New Co Nord/Matrica Fase 2, Moduli Caratteristici M01, M02, M03, Peci DMT, Palte fosfatiche, Area Minciaredda) e gli interventi inerenti alla bonifica della falda.

Il Ministro dello sviluppo economico: Federica Guidi.


      POLVERINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1, comma 1, della legge 23 novembre 2012, n.  215, recante «disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni» modifica l'articolo 6 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, garantendo la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia e stabilendo l'obbligo di adeguare entro sei mesi dall'entrata in vigore della predetta legge i propri statuti e regolamenti alle disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 6 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n.  267, come modificato dal comma 1 del predetto articolo 1;
          in data 5 e 6 maggio 2012 si sono svolte le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Altavilla Irpina (AV);
          in data 16 maggio 2012 il sindaco comunicava al consiglio comunale la composizione della giunta comunale formata da soli uomini;
          in data 18 dicembre 2012, i consiglieri comunali Mario Vanni e Silvestro Iuliano del movimento civico «liberi per Altavilla», depositavano agli atti dell'ente una richiesta di convocazione del Consiglio Comunale, con all'ordine del giorno la modifica dell'articolo 54 del vigente statuto comunale per l'introduzione della obbligatorietà del principio di parità di genere in Giunta Comunale;
          contravvenendo a quanto espressamente previsto dalla legge, ed alla proposta della minoranza, la maggioranza non solo non ottemperava all'obbligo, ma deliberava in consiglio comunale (leggasi delibera c.c. n.  3 del 7 gennaio 2013), una variazione dello statuto, abrogando al comma 2 del citato articolo 54 le parole «o all'esterno», modificandolo nell'attuale versione «il Sindaco nomina gli Assessori scegliendoli all'interno del Consiglio Comunale», al fine di eliminare l'eventuale figura dell'assessore esterno e di impedire l'applicazione della prescrizione normativa, essendo il consiglio comunale composto di soli uomini;
          ciò nonostante che il segretario comunale nella medesima seduta giudicasse la proposta della minoranza «.... in sintonia con i recenti interventi normativi, e quindi legittima in ordine al merito, in armonia con i dettami legislativi di cui alla Legge n.  215/2012» – (parere trasmesso al sindaco ed al Presidente del Consiglio in data 3 gennaio 2013);
          in data 1° luglio 2013 con nota prot. 12455/13-12/area II il prefetto di Avellino richiamava l'attenzione dei sindaci della provincia all'obbligo degli enti locali di adeguare gli statuti e i regolamenti alle disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 6 del decreto legislativo 267/2000, come modificato dal comma 1 dell'articolo 1 della legge 23 novembre 2012 n.  215, entro il 26 giugno 2013;
          l'interrogante ravvisa una palese, reiterata e voluta condotta che ha portato alla violazione di legge, considerati i ripetuti solleciti da parte del gruppo consiliare «liberi per Altavilla», della consigliera alle pari opportunità dottoressa Lomazzo e di sua eccellenza il prefetto di Avellino  –:
          di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite del prefetto, sulla vicenda di cui in premessa e quali iniziative intenda adottare, anche promuovendo intese con le autonomie locali, al fine di assicurare una piena ed efficace applicazione della vigente normativa e di favorire il riequilibrio delle rappresentanze di genere all'interno delle giunte comunali e provinciali. (4-01824)

      Risposta. — In relazione alla fattispecie descritta nel documento parlamentare, la prefettura di Avellino, ha fatto conoscere che, all'esito delle elezioni amministrative del comune di Altavilla Irpina del 6 e 7 maggio 2012, è stato eletto sindaco il candidato della lista «Uniti per Altavilla», il quale ha nominato componenti della Giunta comunale tre assessori, tutti di genere maschile.
      A seguito dell'entrata in vigore della legge 23 novembre 2012, n.  215 – che ha modificato, tra l'altro, il comma 3 dell'articolo 6 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali n.  267 del 2000 – è stato disposto che gli statuti comunali, da adeguare entro sei mesi dalla novella legislativa, stabiliscano norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e per «garantire», anziché promuovere come nella precedente formulazione, la presenza di entrambi i sessi nelle giunte.
      In realtà, l'articolo 7 della statuto del comune di Altavilla Irpina già enuncia, in linea di principio, le previsioni di garanzia di cui alla citata normativa, laddove espressamente dispone la riserva di almeno un terzo dei posti di componente di Giunta.
      L'articolo 54 del medesimo statuto prevedeva anche la possibilità di nomina di assessori esterni. Senonché, il consiglio comunale con delibera del 7 gennaio 2013, ha emendato quest'ultima disposizione, eliminando la possibilità di scelta di assessori esterni da parte del sindaco.
      Nella medesima seduta consiliare, il Consiglio comunale ha deliberato di affidare ad un'apposita commissione il compito di adeguare lo statuto comunale alla sopracitata normativa.
      In quella sede veniva stralciato l'istituto delle quote rosa.
      Il giudice amministrativo, nell'escludere che l'immediata precettività delle norme in materia di pari opportunità comportino una riserva ai soggetti appartenenti al genere femminile del 50 per cento dei posti, o di altra soglia minima di rappresentanza, ha indicato i seguenti criteri di valutazione della corretta applicazione del principio:
a) il genere femminile non può essere completamente pretermesso e, pertanto, almeno un componente dell'organo collegiale deve essere donna; b) il rispetto del canone delle pari opportunità non può essere solo formale e non basta, perciò, assegnare alle componenti di sesso femminile un qualunque tipo di incarico ma, specialmente quando il loro numero risulti inferiore a quello degli uomini, deve trattarsi di incarichi di un riconosciuto spessore politico che garantiscano, seppure in una partecipazione non paritaria, una presenza nella compagine di governo connotata da un ruolo rilevante ed effettivo; c) occorre, altresì, considerare la dimensione delle realtà locali prese in considerazione.
      Il Consiglio di Stato, nella sentenza della Sezione V, 18 dicembre 2013, n.  6073, ha confermato tale linea interpretativa, affermando che «l'attuazione del principio non può essere condizionata dall'omissione o ritardo del consiglio comunale nel provvedere alla modifica dello statuto non valendo, peraltro, l'ulteriore argomentazione con la quale il comune appellante sostiene la difficile applicazione, in concreto, della norma mancando soggetti di genere femminile disposti ad assumere le funzioni di assessore comunale».
      Ciò posto, il Ministero dell'interno, con circolare del 25 marzo 2013, ha diramato specifiche istruzioni ai prefetti finalizzate a garantire l'osservanza delle disposizioni di legge nell'ambito dei procedimenti elettorali, sia locali sia regionali, con particolare riguardo alle fasi di presentazione e di ammissione delle candidature.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          sulla Gazzetta Ufficiale n.  73 del 27 marzo 2013 è stato pubblicato il comunicato con il quale il Ministero dello sviluppo economico informa dell'avvenuta approvazione del documento finale relativo alla strategia energetica nazionale (SEN);
          con questa strategia stabilita dal precedente Esecutivo di Mario Monti, e condivisa dall'attuale guidato da Enrico Letta, sono state tracciate le linee guida per la riduzione dei costi energetici, il pieno raggiungimento e superamento di tutti gli obiettivi europei in materia ambientale e per una maggiore sicurezza di approvvigionamento e sviluppo industriale del settore energetico;
          durante il proprio intervento all'assemblea di Confindustria – riunitasi all'Auditorium Parco della Musica di Roma il 23 maggio 2013 – il Ministro dello sviluppo economico Flavio Zanonato ha affermato che «per rilanciare le nostre imprese occorre metterle nelle stesse condizioni delle loro concorrenti europee. Questo significa intervenire tanto sul nostro sistema di norme e regolamenti, riducendo i costi della burocrazia, quanto allineare il nostro costo dell'energia su soglie più competitive»;
          come riconosciuto dallo stesso Zanonato, il costo dell'energia costituisce una voce importante per le aziende e le bollette sono ancora troppo pesanti, per questo motivo sono necessarie misure concrete per raggiungere gli obiettivi prefissati, così da ridurre il nostro ritardo sulla componente dei costi;
          in particolare, per quanto riguarda il settore del gas, il Ministro ha tracciato le priorità principali delle prossime azioni di governo che risultano essere le seguenti: l'accelerazione del mercato a termine, in modo da rendere efficiente e competitivo il settore del gas e dare strumenti moderni di copertura alle aziende industriali; l'integrazione con i mercati europei, con regole di interscambio con il Nord Europa semplici e fluide per gli operatori; il rafforzamento delle infrastrutture, con alcuni interventi mirati e selettivi per rafforzare la diversificazione e la competitività del nostro mercato, ricorrendo ad alcuni impianti di rigassificazione e di stoccaggio e al Corridoio Sud, per il quale si scommette «su una vittoria della rotta italiana»;
          il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del Governo Monti, Corrado Clini, nel mese di aprile 2013 ha firmato un decreto che sospende per sei mesi l'efficacia della valutazione di impatto ambientale (VIA) sul progetto presentato dalla Gas Natural per un impianto di rigassificazione del metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste. Il provvedimento ha accolto il parere contrario della Commissione Via del dicastero che ha recepito a sua volta i pareri contrari del comitato portuale di Trieste e dalla regione Friuli-Venezia Giulia. Il decreto, quindi, prende atto delle mutate situazioni del traffico marittimo triestino e delle prospettive di potenziamento previste dal Piano regolatore portuale. Il rigassificatore, se realizzato con le modalità progettate dalla Gas Natural, non sarebbe compatibile con il traffico portuale attuale e con gli sviluppi futuri;
          con un ulteriore decreto il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore ha bloccato la VIA per la costruzione dell'impianto off-shore proposto dalla compagnia energetica tedesca E.On nel golfo di Trieste, in mare aperto a 19 chilometri a ovest del capoluogo giuliano, perché non sono disponibili i dati relativi all'estensione della zona di sicurezza attorno al rigassificatore, come le cosiddetta safety zone, la separation zone e il corridoio di sicurezza;
          il 30 maggio 2013 si riunirà il «Gas Coordination Group» della Commissione dell'Unione europea, composto da alti funzionari delle autorità competenti degli Stati membri per la sicurezza dell'approvvigionamento, da rappresentanti di ACER (Agency for the cooperation of energy regulators), ENTSOG (European network of transmission system operators for gas), dal segretariato della Comunità dell'energia e da rappresentanti del settore e delle associazioni consumatori;
          in questa occasione il progetto del rigassificatore di Zaule potrebbe essere considerato di interesse comunitario con la conseguente proposizione del suo inserimento tra le infrastrutture strategiche dell'Unione europea  –:
          quali siano le località in cui il Ministro interrogato intenda promuovere la costruzione di impianti di rigassificazione e stoccaggio, tenendo presenti i due decreti approvati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del precedente Governo che hanno sospeso la valutazione di impatto ambientale ai due progetti previsti nel porto e nel mare triestino;
          se il Governo intenda promuovere l'inserimento del progetto del rigassificatore di Zaule tra le infrastrutture strategiche comunitarie, malgrado la sospensione della valutazione di impatto ambientale da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ampiamente documentato dai pareri negativi della Commissione VIA dello stesso dicastero, del comitato portuale di Trieste, dalla regione Friuli-Venezia Giulia e degli enti locali. (4-00677)

      Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si rappresenta quanto segue.
      Il progetto del terminale di Zaule, che risponde pienamente ai requisiti previsti per le infrastrutture strategiche contenuti nella Strategia energetica nazionale (Sen), recentemente approvata dai Ministri dello sviluppo economico e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per soddisfare le esigenze di diversificazione e di sicurezza d'approvvigionamento di gas, nonché per lo sviluppo dell'Italia come
hub sub-europeo, è già incluso (unico terminale di rigassificazione italiano) anche nella lista dei «Progetti di interesse comune» (Pci), recentemente redatta secondo il nuovo regolamento n.  347/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2013, recante gli orientamenti per le infrastrutture energetiche transeuropee (TEN-E).
      Tale elenco, è stato fondamentalmente composto dai piani decennali dei gestori delle reti energetiche ed integrato da richieste di inserimento di progetti effettuate dagli investitori privati. Tali progetti sono stati vagliati da gruppi di esperti della Commissione europea in funzione dell'interesse transfrontaliera, requisito che ha ovviamente privilegiato le interconnessioni tra reti di Stati membri.
      Nel caso di stoccaggi di gas e terminali di rigassificazione di Gnl, che per definizione non possono che essere collocati nel territorio di un solo Stato membro, sono stati mantenuti solo quelli per i quali le autorità di regolazione abbiano attestato il beneficio transfrontaliero, circostanza che si è verificata nel caso del terminale di Zaule, per l'intervento del regolatore austriaco.
      Si evidenzia, inoltre, che ai sensi del citato regolamento è stato convocato, in data 6 giugno 2013, il cosiddetto
Decisional body costituito dagli Stati membri e dalla Commissione nel corso del quale il progetto è stato mantenuto nella lista dei progetti di interesse prioritario europeo (Pci) redatta, nei mesi precedenti, dai gruppi regionali di cui fanno parte anche i regolatori nazionali ed i gestori nazionali delle reti.
      Per i progetti presenti, nell'ambito del citato regolamento comunitario 347/2013/CE, sono previste procedure autorizzative semplificate e la possibilità di ottenere limitati finanziamenti comunitari.
      Il 24 luglio 2013 si è tenuta a Bruxelles la riunione del gruppo decisionale sui Pci che ha definito la lista dei progetti energetici che saranno sottoposti alla Commissione europea che adotterà la lista definitiva con atto delegato. In tale lista, nonostante il parere sfavorevole della Slovenia, è rimasto il progetto con il nome
Onshore LNG Terminal in the Northern Adriatic.
      Tuttavia si rende noto anche che si è svolta, il 12 settembre 2013 a Venezia, la prima riunione del tavolo di coordinamento a livello trilaterale (Italia, Slovenia, Croazia) di tutte le iniziative infrastrutturali nell'Alto Adriatico, come proposto nella riunione del Comitato di coordinamento dei Ministri Italo-Sloveno nell'ottobre 2012, nel corso della quale sono stati esaminati tutti i progetti infrastrutturali dell'area tra cui, oltre quelli di interesse italiano, anche i progetti di terminali di rigassificazione in Slovenia nel porto di Koper, e nell'isola di Krk, in Croazia.
      Si fa presente, inoltre, che nella succitata lista il progetto è denominato come «rigassificatore in terraferma nel Nord Adriatico» proprio per tener conto di una sua possibile delocalizzazione nell'area del Nord Adriatico, come previsto dal decreto di sospensione della valutazione di impatto ambientale (Via). Tale circostanza doveva essere valutata dal Mattm alla scadenza del termine 18 ottobre 2013 fissato nel decreto ministeriale (spostamento dell'impianto in altra località da parte della società proponente, o revisione del piano regolatore portuale per renderlo compatibile con la presenza dell'impianto).
      Considerato che nessuna delle due ipotesi presenti nel decreto ministeriale di sospensiva si è realizzata alla data di scadenza del 18 ottobre 2013, in quanto l'autorità portuale di Trieste ha deliberato in merito alla incompatibilità della localizzazione del terminale nell'area portuale e la società proponente il progetto ha impugnato il decreto di sospensione della valutazione di impatto ambientale (Via) davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio confermando altresì la validità del progetto nella localizzazione, in sede di osservazioni presentate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'avvio del procedimento di revoca. Da ciò ne consegue che presumibilmente il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si pronuncerà nel merito revocando la valutazione di impatto ambientale (Via) positiva a suo tempo adottata.
      A seguito dell'emanazione del decreto di revoca della valutazione di impatto ambientale (Via), il Ministero dello sviluppo economico sarà nella condizione di dover rigettare la domanda di autorizzazione alla costruzione dell'impianto.
      Si precisa, infine, come anche sottolineato dalla Commissione tecnica valutazione di impatto ambientale (Via) – valutazione ambientale strategica nel suo parere di supporto al decreto ministeriale di sospensiva, che non compete alle amministrazioni specificare i siti dove ubicare i terminali di rigassificazione, essendo queste infrastrutture realizzate in regime di mercato libero da operatori privati che presentano direttamente istanze di autorizzazione sulle quali poi si pronunciano le amministrazioni competenti, locali e centrali, sulla base del rapporto ambientale e dei piani territoriali interessati.

Il Ministro dello sviluppo economico: Federica Guidi.


      PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
          l'Ufficio europeo dei brevetti è l'organo esecutivo dell'Organizzazione europea dei brevetti (European Patent Organisation-EPO) istituita con la Convenzione sul brevetto europeo sottoscritta a Monaco di Baviera (Germania) nel 1973;
          la finalità principale di questo ente è la concessione dei brevetti europei – la cui valenza è assicurata in più Paesi membri con un solo iter procedurale – sotto la supervisione del Consiglio di amministrazione, altro organo di gestione dell'EPO;
          la domanda per la licenza può essere presentata immediatamente o entro un anno dal deposito del brevetto nazionale e consente di ottenere un documento valido non solo in tutti gli Stati dell'Unione europea ma anche negli altri Paesi che hanno aderito all'accordo: Albania, Islanda, Liechtenstein, Repubblica di Macedonia, Principato di Monaco, Norvegia, San Marino, Serbia, Svizzera e Turchia;
          l'Ufficio svolge ricerche ed esamina le domande per il brevetto europeo e le applicazioni internazionali depositate ai sensi del Trattato di cooperazione in materia di brevetti, oltre ad essere competente per l'esame delle opposizioni legali presentate contro brevetti stessi;
          su uno staff di circa 7000 dipendenti, l'Italia è presente per circa l'8 per cento, contro il 24 per cento della Germania, il 10 per cento dei Paesi Bassi e il 18 per cento della Francia;
          la rappresentanza italiana è guidata dal 2006 da Mauro Masi – ex direttore generale della Rai (2009/2011) e attuale amministratore delegato della CONSAP (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici spa) del Ministero dello sviluppo economico (MISE) – in qualità di delegato per la proprietà intellettuale della Direzione per la mondializzazione e le questioni globali del Ministero degli affari esteri;
          il rappresentante supplente designato è la dottoressa Loredana Gulino, dirigente del Ministero dello sviluppo economico a capo della Direzione generale per la lotta alla contraffazione – Ufficio italiano brevetti e marchi;
          il settore brevettuale sta vivendo una fase di transizione: a partire dal 1° gennaio 2014 dovrebbe entrare in vigore il brevetto europeo unitario, da non confondere con quello preesistente, che avrà una validità di 20 anni a decorrere dal deposito della relativa domanda;
          il 16 aprile 2013 la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha respinto il ricorso di Italia e Spagna contro la decisione del Consiglio dell'Unione europea sul ricorso alla procedura di cooperazione rafforzata, nella quale sono stati coinvolti solo dodici Paesi membri, per l'approvazione degli atti relativi al brevetto unitario;
          l'Italia si è opposta in quanto la normativa in via di definizione prevede una licenza in sole tre lingue (inglese, francese e tedesco) con la totale esclusione dell'italiano e dello spagnolo, fatto che può discriminare non poco le aziende nostrane costrette a sobbarcarsi i costi aggiuntivi di traduzioni  –:
          a quante riunioni dell'Ufficio europeo dei brevetti il dottor Masi abbia effettivamente partecipato dal 2006 ad oggi;
          se il Governo intenda valutare il rinnovo della rappresentanza italiana di vertice presso l'EPO, visto che il dottor Masi riveste un'ulteriore carica apicale, in questo caso in un'azienda dello Stato, mentre il settore brevettuale italiano necessita della dovuta attenzione per le modifiche comunitarie allo studio;
          quali iniziative il Governo intenda assumere in ambito comunitario per fare in modo che la nuova figura brevettuale contempli, tra le lingue ufficiali, anche quella italiana. (4-02468)

      Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame rappresentando quanto segue.
      La rappresentanza italiana presso l'Ufficio europeo dei brevetti (Epo) è sempre stata assicurata al meglio dal delegato italiano per la proprietà intellettuale, con una intensa attività di coordinamento e di relazione svolta sia in Italia – in sinergia con tutte le altre amministrazioni competenti – sia in stretto collegamento con gli uffici della suddetta organizzazione internazionale, al fine di seguire in via continuativa tutti i dossier di particolare rilievo per il nostro Paese. La funzione di rappresentanza, pertanto non è stata limitata alle sole riunioni svoltesi a Monaco – ove peraltro lo stesso rappresentante ha sempre presenziato in occasione di argomenti all'ordine del giorno particolarmente sensibili e/o strategici – ma garantita e valorizzata mediante continuativi rapporti con i vertici e le strutture operative dell'Epo, a monte e a valle delle riunioni medesime.
      In tal modo, il presidio degli interessi italiani è stato non solo garantito, bensì valorizzato, attraverso una interazione continua e non limitata semplicemente alle occasioni ufficiali.
      Nel dettaglio giova comunque evidenziare che il professor Masi ricopre l'incarico di delegato italiano per la proprietà intellettuale dal 2006 e che, per lo svolgimento delle attività inerenti a tale incarico, non è prevista la corresponsione di alcun emolumento.
      Nella veste di delegato italiano per la proprietà intellettuale, egli ha partecipato alle seguenti riunioni:
          5-7 dicembre 2006 – 6-8 marzo 2007;
          26-29 giugno;
          26-27 ottobre 2011;
          27-28 marzo 2012;
          26-28 giugno 2012;
          16 ottobre 2013;
          12-13 dicembre 2013.

      In tutti gli altri casi, la delegazione italiana era, comunque, preventivamente istruita e presidiata anche da un diplomatico appartenente alla medesima direzione generale per la mondializzazione e le questioni globali del Ministero degli affari esteri.
      Si ritiene, pertanto, che non vi siano motivi particolari a far considerare la rappresentanza italiana presso il più volte citato Ufficio europeo dei brevetti.
      Alla luce degli ulteriori elementi prospettati nell'atto in esame, si chiarisce inoltre, quanto segue in relazione al tema del brevetto europeo con effetto unitario e alla posizione italiana in materia.
      Il brevetto europeo con effetto unitario, che sarà rilasciato e amministrato dall'Ufficio europeo dei brevetti (Epo), sarà introdotto solo a inizio 2016.
      Al riguardo si segnala che, proprio nella sua ultima riunione a Bruxelles del dicembre scorso, il Comitato preparatorio che lavora alle procedure per l'istituzione del Tribunale unificato ha convenuto che prima del 2016 non potrà essere realizzato il sistema informatico del Tribunale, essendo necessario procedere a un appalto pubblico. Prima di allora quindi, non potrà essere operativo il Tribunale unificato dei brevetti (Tub), premessa indispensabile per poter rilasciare il nuovo titolo brevettuale.
      Il brevetto unitario, infatti, potrà essere introdotto solo in relazione a quei Paesi membri dell'Unione europea che ratificano l'accordo sul Tribunale unificato, con cui una corte sovranazionale si sostituirà alla giustizia sul piano nazionale, in relazione alle controversie che riguardano il brevetto unitario e il brevetto europeo classico.
      Il tema della ratifica dell'accordo sul Tribunale unificato è pertanto strettamente collegato al dibattito politico in corso sull'adesione al brevetto unitario.
      L'Italia, che ha firmato a febbraio 2013 l'Accordo internazionale per l'istituzione del predetto tribunale, partecipa attivamente ai lavori del suo comitato preparatorio, a cui aderiscono 25 Stati membri dell'Unione europea. In tale ambito il coordinamento interistituzionale e assicurato dalle seguenti amministrazioni capofila: Ministero degli affari esteri, Dipartimento delle politiche europee e Ministero della giustizia.
      Pertanto, nel 2014-2015 proseguiranno in parallelo a livello europeo sia i lavori del comitato preparatorio del Tribunale sia i lavori per l'introduzione del brevetto unitario.
      Si tenga anche conto che solo l'Austria ad oggi ha ratificato l'accordo sul Tub e che per la sua entrata in vigore sono necessarie 13 ratifiche, tra cui quella di Francia, Germania e Regno Unito.
      Si segnala in proposito che in Danimarca è previsto un referendum popolare a maggio 2014, dato che nel Parlamento danese non è stato possibile raggiungere la maggioranza qualificata necessaria ad evitare il referendum per la ratifica dell'accordo.
      Il disegno di legge di ratifica dell'accordo internazionale da parte italiana sarà presentato dal Dipartimento delle politiche europee e dal Ministero degli affari esteri di concerto con gli altri Ministeri interessati (Giustizia, Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero dello sviluppo economico). È attualmente in corso tra tutte le amministrazioni coinvolte il lavoro preparatorio a tal fine.
      L'Italia, non avendo aderito alla cooperazione rafforzata, non partecipa da marzo 2013 ai lavori del Select committee del consiglio di amministrazione dell'Ufficio europeo dei brevetti, di cui fanno parte i 25 Paesi membri dell'Unione europea aderenti al brevetto unitario.
      Tuttavia, il Ministero dello sviluppo economico, in linea con il coordinamento interministeriale, a settembre scorso, ha richiesto formalmente di poter avere in tale ambito lo
status di osservatore. Tale status gli è appena stato concesso e pertanto, un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico parteciperà alla prossima riunione del comitato prevista a Monaco.
      Proprio nel 2014 il Select committee è chiamato a definire i dettagli procedurali e il sistema di tasse di rinnovo del nuovo strumento brevettuale con effetto unitario.
      Si evidenzia che l'amministrazione italiana capofila in materia è il Dipartimento delle politiche europee, che coordina il tavolo di lavoro interistituzionale, nonché il tavolo di dialogo con gli
stakeholders del settore privato, creato per definire la posizione italiana in materia.
      In tale contesto due riunioni di coordinamento tra le amministrazioni interessate e gli
stakeholders del settore privato si sono tenute a fine aprile e a fine ottobre scorso presso il Dipartimento per le politiche europee.
      In entrambe le occasioni, rispetto al brevetto unitario e al Tribunale unificato, sono stati evidenziati da parte di diversi attori del settore privato sia punti di forza, come segnalato da Confindustria, sia punti di debolezza.
      Il riconoscimento del valore aggiunto di una Corte europea dei brevetti per il nostro Paese è subordinato alla risoluzione positiva di alcune criticità attualmente al vaglio di gruppi di lavoro tematici: su tutte, la quantificazione dei diritti da pagare per attivare e sostenere il giudizio in una sede sovranazionale, il riconoscimento delle qualifiche professionali dei consulenti italiani in proprietà industriale, l'impatto per le piccole e medie imprese le spese necessarie per l'istituzione e il mantenimento di una sede locale della corte distaccata in Italia e la conseguente disponibilità di risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato.
      Il Governo sta, pertanto, ancora valutando gli impatti economici e finanziari, per lo Stato e per le imprese, connessi all'adesione al brevetto unitario e al tribunale unificato, alla luce degli elementi che si rendono disponibili col progredire del negoziato politico, nonché sulla base dei diversi contributi in materia che pervengono dagli utilizzatori del sistema brevettuale italiano in relazione all'impatto che le future decisioni politiche avranno sul sistema innovativo nazionale.
      Solo quando maggiori informazioni saranno disponibili in tali complessi ambiti potrà essere presa una decisione finale nel merito su entrambi i
dossier.
      Sulla questione linguistica, giova evidenziare che alla luce dei regolamenti dell'Unione europea adottati e del quadro giuridico approvato con riferimento al brevetto unitario, non ritiene che vi sia modo di modificare il regime linguistico vigente.
      Il Governo italiano, così come quello spagnolo, ha esperito un ricorso dinnanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea, contestando il regime trilinguistico (inglese, francese, tedesco) dei nuovi titoli brevettuali. Con sentenza del 17 aprile 2013, la Corte di giustizia ha respinto il ricorso italiano e spagnolo, giudicando compatibile con i Trattati la decisione istitutiva della cooperazione rafforzata.
      Tuttavia, dopo un regime transitorio della durata massima di 12 anni, sarà disponibile
online un sistema di traduzione automatica di alta qualità, gratuita, che consentirà di tradurre documentazione brevettuale in/da inglese, francese e tedesco in tutte le lingue ufficiali dell'Unione europea.
      È già disponibile presso l'Epo un sistema di traduzione automatica gratuito dall'inglese all'italiano e viceversa.
      Lo strumento è accessibile al link:
          
http://www.epo.org/searching/free/patent-translate.html.

      Lo stesso regolamento dell'Unione europea 1260/12 relativo al regime linguistico applicabile al brevetto unitario ha previsto, rispetto all'attuale regime Epo, l'introduzione di un ulteriore schema di compensazione a carattere permanente per i costi di traduzione, a beneficio di persone fisiche, piccole e medie imprese, università, centri di ricerca pubblici ed enti senza fine di lucro che hanno sede in un Paese dell'Unione europea. Tale rimborso dei costi di traduzione avrà un tetto, il cui importo deve essere ancora determinato nell'ambito dei lavori del Select committee del consiglio di amministrazione dell'Epo.
      Per quanto concerne, infine, l'utilizzo della lingua italiana tra le lingue processuali del costituendo Tribunale unificato dei brevetti (Tub) il Governo italiano ha ribadito in sede di comitato preparatorio il proprio interesse nella costituzione di una divisione
local del Tub con sede in Italia.
Il Ministro dello sviluppo economico: Federica Guidi.


      REALACCI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          la Reale tenuta di Carditello, detta anche Real Sito di Carditello nel comune di San Tammaro (CE), faceva parte di un gruppo di 22 siti della dinastia reale dei Borbone di Napoli che comprendeva anche il Palazzo Reale di Napoli, la Reggia di Portici, la Reggia di Capodimonte e la Reggia di Caserta;
          questi luoghi non erano solamente dedicati allo svago, soprattutto la caccia, della famiglia reale borbonica e della sua corte, ma in alcuni casi costituivano vere e proprie aziende, espressione dell'imprenditoria ispirata alle idee illuministiche in voga a quei tempi;
          la reggia è un prezioso complesso architettonico sobrio ed elegante di stile neoclassico, destinato originariamente da Carlo di Borbone alla caccia e all'allevamento di cavalli e successivamente, per volere di Ferdinando IV di Borbone, tramutato in fattoria modello per la coltivazione del grano e per l'allevamento di razze pregiate di bovini e cavalli. Era immerso in una vasta tenuta ricca di boschi, pascoli e terreni per la coltivazione. Carditello era uno dei luoghi reali che possedeva il titolo di «Reale Delizia» perché, nonostante la sua funzione di azienda, offriva un piacevole soggiorno al re e alla sua corte per le particolari battute di caccia grazie ai ricchi e numerosi boschi che possedeva. La struttura fu costruita dall'architetto Francesco Collecini, allievo e collaboratore di Luigi Vanvitelli;
          nel 1920 gli immobili e l'arredamento passarono dal demanio all'Opera Nazionale Combattenti e tutti i suoi numerosissimi ettari furono lottizzati e venduti. Rimasero esclusi il fabbricato centrale e i 15 ettari circostanti che nel secondo dopoguerra entrarono a far parte del Patrimonio del Consorzio Generale di bonifica del bacino inferiore del fiume Volturno. Nel 1943 fu occupata dalle truppe tedesche che vi stabilirono il proprio comando. I vandalismi dei soldati contribuirono ad aumentare lo stato di degrado;
          da molti anni la tenuta è in uno stato di abbandono gravissimo, vittima di abusi, furti di intonaco, fregi e marmi che l'ha resa sconosciuta ai più e relegata in una posizione inferiore rispetto ad altre località e siti di interesse artistico;
          come si è detto «Carditello» è di proprietà del consorzio di bonifica del Basso Volturno, un ente regionale che non ha alcun interesse funzionale nel possesso questo tesoro architettonico del ’700 perdipiù il detto consorzio è oberato di debiti e così la banca creditrice, l'allora Banco di Napoli, Gruppo Banca Intesa, ha fatto avviare la vendita all'asta del patrimonio. E dunque la reggia viene «battuta» come un qualunque cespite;
          con ordinanza del 27 gennaio 2011, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Ufficio Esecuzioni Immobiliari – dispone la vendita all'asta del complesso monumentale denominato Real Sito di Carditelio al prezzo base di 20 milioni di euro;
          il Ministro Ornaghi, in un articolo pubblicato da La Repubblica dell'11 luglio 2012 in occasione della visita al sito da parte del Ministro per i beni e le attività Culturali, ha così dichiarato: «Il ministero vigilerà attraverso la Prefettura sulle eventuali offerte, soprattutto se provenienti da privati sospetti di collusioni con la criminalità organizzata» inoltre ha aggiunto – «Se si dovesse verificare la necessità, il ministero eserciterà il diritto di prelazione. Ma interverrà quando il prezzo dell'asta sarà ritenuto idoneo e ragionevole»;
          come si evince da un articolo pubblicato lo scorso 1° febbraio 2013 dal quotidiano «Mattino di Napoli» l'asta dello scorso gennaio è andata deserta e il nuovo prezzo d'asta è ora fissato a dieci milioni di euro, la metà. Un valore ritenuto dai maggior esperti d'arte più che ragionevole rispetto ad altri gioielli architettonici presenti sul mercato  –:
          visto il dimezzamento del prezzo d'asta se il Ministro per i beni e le attività culturali intenda ora esprimere interesse all'acquisto del Real Sito di Carditello e se ritenga altresì opportuno, anche per tramite dei competenti uffici del dicastero da lui diretto, presentare un'offerta congrua al fine di ottenere il ritorno al patrimonio pubblico della Reggia di Carditello;
          se non ritenga utile presentare accanto alla proposta di acquisto un progetto di rilancio del predetto sito a finalità turistica e/o scientifica per restituire finalità ed antico splendore in una zona con rilevante presenza della criminalità organizzata ed alto tasso di disoccupazione, specie giovanile. (4-00309)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla possibile acquisizione al patrimonio culturale dello Stato della Reggia di Carditello e a un suo rilancio, anche a fini turistici, si comunica quanto segue.
      La competente soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici artistici ed etnoantropologici di Caserta e Benevento segue da anni, con la massima attenzione, l'evolversi della situazione. Più volte in vari incontri e manifestazioni, nonché nelle comunicazioni agli organi di stampa, la Soprintendenza ha lamentato la difficile situazione, che riguarda tutti gli aspetti della tutela e della fruizione del complesso monumentale, anche con proposte concrete, ed ha attuato un'azione di controllo puntuale sullo stato del monumento, effettuando sopralluoghi periodici, in accordo con le forze dell'ordine e con gli altri Enti territoriali quali la Prefettura di Caserta, e con il coinvolgimento del Comando dei Carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio artistico.
      Relativamente, poi, alla possibile acquisizione al patrimonio dello Stato del bene in oggetto, va ricordato come questo Ministero, al fine di procedere al restauro ed alla successiva costituzione di una fondazione pubblico-privata per garantirne la valorizzazione e fruizione pubblica, ha di recente acquisito la proprietà del real sito di Carditello.
      Previa autorizzazione all'acquisto da parte del Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto in data 31 dicembre 2013, e a seguito del parere di congruità del prezzo onnicomprensivo di euro 2.250.000,00, espresso con nota n.  2014/87/DGPS del 7 gennaio 2014 dall'Agenzia del demanio, il Ministero, in data 8 gennaio 2014, ha stipulato con la Società per la gestione di attività – Sga Spa (controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze) il contratto in forma pubblica di compravendita di cosa altrui, ai sensi dell'articolo 1478 del codice civile.
      Con detto contratto, la Società Sga ha venduto al Ministero la proprietà dell'immobile oggetto della procedura esecutiva suindicata, impegnandosi a partecipare all'asta pubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ai fini dell'aggiudicazione del bene e allo scopo di trasferire al Ministero la proprietà dell'immobile a seguito di aggiudicazione definitiva. La Società è, infatti, intervenuta all'incanto, che si è tenuto presso il suddetto Tribunale il 9 gennaio 2014, ove ha presentato l'unica l'offerta di euro 11.500.000,00 per l'aggiudicazione del bene.
      Con risoluzione della settima Commissione permanente istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport del Senato della Repubblica, approvata il 29 gennaio 2014 è stato sottolineato che: «L'acquisizione statale del bene ha rappresentato senza dubbio un successo non indifferente (...) e occorre dunque un'azione incisiva a vari livelli: anzitutto lo Stato si deve impegnare per far cessare la razzia e gli insistiti abusi che hanno penalizzato e gravemente danneggiato un sito di rilevante interesse artistico e culturale; in secondo luogo, si deve procedere alla conservazione e al ripristino dell'immobile e dei territori circostanti, mediante l'apporto delle università e dei centri di ricerca, onde recuperare non solo l'estetica del monumento ma anche la sua vocazione produttiva; in terza battuta, bisogna valorizzare la tenuta inserendola in un più vasto complesso monumentale che ne garantisca la fruizione da parte della collettività, nella cornice già offerta dal decreto-legge n.  91 del 2013».
      Per tali motivi la Commissione ha impegnato il Governo:
          «a salvaguardare il sito sul piano della legalità, mettendo in atto misure volte a garantirne la sicurezza e l'integrità anche attraverso sistemi tecnologici di sorveglianza per arginare le azioni di vandalismo e trafugazione ai danni del sito;
          a prevedere fin da subito l'istituzione di un servizio di manutenzione delle varie parti della Reggia e delle zone circostanti affinché siano garantite le condizioni di decoro necessarie ad organizzare nuove iniziative di pubblicizzazione del bene, nell'attesa che vengano avviati i primi interventi di restauro e di recupero del sito;
          a provvedere, con adeguate risorse e professionalità, al restauro del bene, recuperando tanto l'immobile quanto le aree circostanti, nel rispetto della sua vocazione originaria;
          a valutare attentamente le modalità di gestione del sito, anche attraverso la costituenda Fondazione Carditello, sempre mantenendo la proprietà pubblica della tenuta, al fine di ottenere eventuali fondi europei da investire nelle opere di restauro, e prevedendo un organo di controllo incaricato di vigilare sul perseguimento dei risultati, all'interno del quale non potrà certo mancare la rappresentanza cittadina e delle associazioni che fino a oggi si sono impegnate nell'opera di salvaguardia del sito;
          a pubblicare sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo tutti i dati relativi alle operazioni di messa in sicurezza, di restauro e di affidamento dei lavori e della gestione del Real sito, con l'indicazione della provenienza e degli importi dei fondi, delle modalità di affidamento dei lavori e delle aziende risultate affidatarie degli stessi;
          ad inserire la Reale tenuta nell'ambito di un percorso museale che comprenda tutti i 22 siti reali borbonici della Campania, onde promuoverne la fruizione e contribuire al rilancio occupazionale del territorio, nella più ampia prospettiva di riqualificare una porzione di territorio martoriata dalle discariche abusive e dalla presenza della criminalità organizzata».

      A seguito del provvedimento del giudice dell'esecuzione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere di aggiudicazione definitiva del bene alla suddetta società, questo Ministero e la Sga hanno sottoscritto un atto pubblico dichiarativo, in data 5 febbraio 2014, di avveramento della condizione che ha comportato il trasferimento della proprietà a favore del Ministero, realizzando, così, l'interesse pubblico alla tutela, conservazione e restauro del bene culturale, nonché alla fruizione pubblica del suddetto complesso immobiliare e delle relative pertinenze.
      Per quanto concerne, poi, il rilancio del predetto sito, questo Ministero, con nota 2819 del 7 febbraio 2014, ha proposto al Presidente della regione Campania, all'assessore agli affari generali, i rapporti con le province, i comuni comunità montane e consorzi strutture ricettive e infrastrutture turistiche e beni culturali della regione Campania, all'assessore all'agricoltura, piano di sviluppo rurale, foreste caccia e pesca della regione Campania, al presidente della provincia di Caserta, al comune di San Tammaro e al prefetto di Caserta di addivenire alla stipula di un accordo di valorizzazione concernente il Rea sito di Carditello, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1, comma 13, del decreto-legge 8 agosto 2013, n.  91, in combinato disposto con l'articolo 112 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42, e successive modificazioni, nell'ambito del quale saranno creati i presupposti di diritto per la costituzione di un apposito soggetto giuridico da individuarsi in una fondazione di partecipazione, alla quale attribuire un ruolo baricentrico nel processo di definizione e di attuazione del piano strategico di sviluppo del percorso turistico-culturale integrato delle residenze borboniche e di volano rispetto al rilancio complessivo dei territori interessati.
      Per accelerare le azioni illustrate e in vista della stipula del suddetto accordo di valorizzazione e della costituzione della fondazione di partecipazione, con nota dell'11 febbraio 2014, il Ministro in carica ha chiesto al segretario generale di questo Ministero di predisporre tutti gli atti necessari per garantire l'immediata messa in sicurezza e conservazione del Real sito, nonché di pianificare le conseguenti ed opportune azioni per addivenire alla stipula e all'attuazione dell'accordo di valorizzazione ed alla costituzione della fondazione e di procedere al coordinamento di tutte le azioni del Ministero finalizzate alla tutela e alla valorizzazione del sito.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo: Dario Franceschini.


      REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
          il Parmigiano Reggiano è un noto formaggio DOP, a pasta dura, prodotto con latte crudo, parzialmente scremato per affioramento, senza l'aggiunta di additivi o conservanti. La zona di produzione del Parmigiano Reggiano comprende le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna a sinistra del fiume Reno e Mantova a destra del fiume Po;
          la denominazione di origine protetta, meglio nota con l'acronimo DOP, è un marchio di tutela giuridica della denominazione che viene attribuito dall'Unione europea agli alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti. L'ambiente geografico comprende sia fattori naturali, clima, caratteristiche ambientali, sia fattori umani, tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire che, combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva. Affinché un prodotto sia DOP, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in un'area geografica delimitata;
          secondo quando si apprende da un articolo apparso il 18 febbraio 2014 su La Stampa e ripreso nella medesima edizione del giornale dal «Buongiorno» di Massimo Gramellini il presidente dello storico e importantissimo consorzio del Parmigiano Reggiano, Giuseppe Alai, sarebbe a sua volta presidente della Itaca società cooperativa, che detiene il 100 per cento della Magyar sajt Kft, una società che, come si evince dall'articolo, commercializza formaggi che imitano i campioni nazionali dell'agroalimentare o che sono Italian sounding;
          a minare la credibilità di uno dei più importanti consorzi di tutela e valorizzazione italiani, oltre all'arresto del suo direttore generale Riccardo Deserti per una vicenda di furto aggravato di documenti del Mipaaf, vi sono le furenti critiche degli agricoltori emiliani preoccupati per l'annuncio della prossima realizzazione (per ora sospesa) a Correggio, di un mega-magazzino di stagionatura del Parmigiano-Reggiano da parte della Nuova Castelli s.p.a., che sarà in grado di stoccare 500 mila forme: circa metà della produzione del Parmigiano-Reggiano della provincia reggiana, dove vengono prodotte quasi 1 milione di forme l'anno, mentre la produzione totale in tutto il comprensorio supera di poco le 3 milioni di forme. Il mondo agricolo reggiano si chiede da dove sarà reperita una quantità così elevata di formaggio, tale da giustificare l'investimento milionario. Tenuto conto che operano nel territorio reggiano altre società che hanno da poco ristrutturato i propri magazzini, i magazzini esistenti sono già in grado di stagionare tutto il formaggio prodotto;
          la Nuova Castelli s.p.a. società leader nel settore dell’export di formaggi e pesce, ha fra i propri soci la famiglia Dante Bigi (con il 43 per cento e, con il 25 per cento Tavole Emiliane, a sua volta partecipata da Parco, Unieco e Ccfs di Legacoop e alcune latterie sociali, oltre ad altri soci, in un reticolo di partecipazioni che arriva a società operanti anche in Paesi stranieri. Fra le varie società estere – spicca un'azienda ungherese, la Magyar Sajt Kft, che si occupa di prodotti lattiero-caseari, partecipata al 100 per cento da un'azienda mantovana riconducibile in termini di quote societarie a «Itaca Società Cooperativa». Il 1° aprile 2010 è stata fondata a Budapest la Società a responsabilità limitata, Magyar Sajt Kft la cui principale attività consiste in «prodotti lattiero-caseari di produzione». Dalla visura della Magyar, per quanto riguarda i soci, compare il solo nome della Cheese Company Srl, azienda italiana con sede a Moglie (Mantova). Socia al 20 per cento della Cheese Company Srl è la Nuova Castelli Spa, a sua volta socia per il 27 per cento circa di Sofinc spa della quale la società «Itaca Società Cooperativa» è proprietaria per il 36,42 per cento. Come detto, il presidente della società «Itaca Società Cooperativa» è Giuseppe Alai, attuale, peraltro presidente in carica del Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda e se quanto rappresentato trovi conferma; quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, in relazione alla doppia carica del presidente Alai affinché non pregiudichi le attività di promozione e tutela, anche della concorrenza, del Consorzio del Parmigiano Reggiano anche in ossequio alla direttiva comunitaria in materia di DOP; sé i Ministri interrogati non intendano considerare l'ipotesi di attivare iniziative normative che permettano di rafforzare gli strumenti di protezione dei «campioni» dell'agroalimentare italiano e di evitare l'elusione fiscale, in particolare dell'IVA, da parte di società estere che commercializzazione prodotti Italian sounding nel territorio nazionale.
(4-03653)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, premetto che la produzione del formaggio Dop parmigiano reggiano è sottoposta al costante controllo di un apposito ente di certificazione che ha il compito di verificare, che tutto avvenga nel rispetto del disciplinare di produzione ivi inclusa la fase della stagionatura del formaggio stesso che può essere effettuata esclusivamente all'interno della zona di produzione identificata dal disciplinare stesso.
      Il rispetto del disciplinare di produzione, che è stato predisposto dal consorzio del formaggio parmigiano-reggiano è depositato presso le competenti istituzioni europee, garantisce i consumatori attraverso la tracciabilità ed originalità del prodotto, consentendo al tempo stesso un'efficace attività di monitoraggio e tutela della produzione Dop.
      Peraltro, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali pone in essere costantemente tutte le attività che la legge consente per tutelare i prodotti Dop e Igp che rappresentano le eccellenze del
made in Italy, senza tuttavia avere mandato di entrare in scelte privatistiche del Consorzio di tutela che rappresenta tutti i produttori del parmigiano reggiano dop e, nell'ambito della libera scelta, attraverso votazioni legittime sceglie i propri rappresentanti all'interno degli organi sociali.
      Infine, voglio ricordare che l'articolo 53, comma 15, della legge 24 aprile 1998, n.  128, come modificato dalla legge 21 dicembre 1999, n.  526 (legge comunitaria 1999), stabilisce che i consorzi di tutela delle dop esercitano funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi relativi alle denominazioni, su incarico del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Il conferimento di tali funzioni può essere effettuato a consorzi che siano rappresentativi di tutta la filiera, i quali poi opereranno in piena autonomia, ma sempre nel rispetto della legalità.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      REALACCI e BONACCORSI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          si apprende da alcune agenzie di stampa locale e nazionale, dai maggiori canali di social media e da un articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano online del 25 febbraio 2014 – comprensivo di chiaro video dimostrativo – che il giardino seicentesco, del meraviglioso Palazzo Spada, in piazza Capo di Ferro a Roma, è oggetto di lavori di eradicamento e movimentazione del relativo sottosuolo per la creazione di un parcheggio sotterraneo e alcuni locali di servizio da rendere disponibili al Consiglio di Stato;
          come poi si evince dall'articolo ed anche dal sopraccitato video online alcune fontane originali di Palazzo Spada sono ad oggi in corso di smantellamento per far posto alle ruspe. Nel luogo dei lavori non è presente alcun cartello informativo sulla natura del cantiere come informazione per i tanti turisti, oltreché a tutela della sicurezza sul lavoro;
          Palazzo Spada è uno splendido edificio di inestimabile valore storico e a architettonico, sottoposto a vincolo artistico (ex legge n.  1089 del 1939), nel quale hanno sede sia il Consiglio di Stato sia l'omonima Galleria Spada. Fu costruito nel 1540 per il cardinale Girolamo Capodiferro. Il palazzo fu comprato nel 1632 dal cardinale Bernardino Spada, il quale incaricò Francesco Borromini di modificarlo secondo i nuovi gusti barocchi. Borromini creò, tra l'altro, il raro capolavoro di trompe-l'oeil della falsa prospettiva nell'androne dell'accesso al cortile, in cui la sequenza di colonne di altezza decrescente e il pavimento che si alza generano l'illusione ottica di una galleria lunga 37 metri (mentre è di 8); in fondo alla galleria, in un giardino illuminato dal sole, si trova una scultura che sembra a grandezza naturale, mentre in realtà è alta solo 60 centimetri. Per creare la sua falsa prospettiva, Borromini fu aiutato da un matematico, Padre Giovanni Maria da Bitonto. Le decorazioni scultoree in stucco manieristiche della facciata del palazzo, ispirate a quelle di Palazzo Branconio dell'Aquila, e del cortile, con sculture all'interno di nicchie incorniciate da ghirlande di fiori e frutta, grottesche e scene di significato simbolico in bassorilievo fra le piccole finestre del mezzanino, ne fanno la più ricca e bella facciata del Cinquecento romano. Nel cortile sono collocate le statue di Ercole, Marte, Venere, Giunone, Giove, Proserpina, Minerva, Mercurio, Anfitrite, Nettuno e Plutone. Il palazzo ospita anche una colossale scultura di Pompeo Magno, ritenuta essere quella ai cui piedi cadde Giulio Cesare. Fu trovata sotto le mura di confine di due case romane nel 1552: doveva essere decapitata per soddisfare le pretese di entrambe le famiglie, ma il cardinale Capodiferro, chiamato a dirimere la questione, intercedette a favore della scultura presso papa Giulio III, che la comprò, donandola poi al cardinale Capodiferro. Palazzo Spada è stato acquistato, con tutti gli arredi e la galleria, dallo Stato Italiano nel 1927;
          oggi, come già detto, tra false prospettive create da Francesco Borromini, quadri di Tiziano, Caravaggio e Rubens, fregi, colonne, stucchi e statue barocche ci si imbatte in qualcosa di più inaspettato e mal segnalato: ovvero un cantiere aperto per smantellare un giardino seicentesco posto in fondo al cortile principale;
          a Palazzo Spada sono state girate tra le più intense scene del film pluripremiato e premio Oscar 2014 «La Grande Bellezza» di Paolo Sorrentino  –:
          se il Ministro sia a conoscenza della questione; se intenda chiarire se i lavori di realizzazione di locali e parcheggi interrati ad uso del Consiglio di Stato siano provvisti della dovuta autorizzazione da parte della competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma Capitale e del Lazio e con quali prescrizioni a tutela del giardino e dell'intero palazzo Spada; se sia prevista, a chiusura del cantiere, la ricostruzione del giardino come era e dove era e il ragionevole smantellamento del parcheggio di servizio al Consiglio di Stato collocato nell'antistante piazza Capo di Ferro, che peraltro visibilmente interrompe la visione della facciata di Palazzo Spada e del Ninfeo delle Mammelle, proseguo della scena artistica seicentesca della detta piazza; da ultimo, se il Ministro, per quanto di competenza e per tramite degli uffici territoriali del dicastero, non ritenga utile promuovere con il comune di Roma Capitale un tavolo tecnico al fine di implementare fattivamente un progetto organico per la salvaguardia dal degrado, dall'incuria, dalla criminalità organizzata il centro storico di Roma, già patrimonio UNESCO, rivalorizzandolo, stante il continuo peggioramento delle sue condizioni di vivibilità e il calo turistico che subisce. (4-03794)

      Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame l'interrogante chiede se si sia a conoscenza dei lavori di realizzazione di un parcheggio sotterraneo nel cortile di palazzo Spada, se i lavori di realizzazione di locali e parcheggi interrati, ad uso del Consiglio di Stato, siano provvisti della dovuta autorizzazione da parte della competente soprintendenza e con quali prescrizioni a tutela del giardino e dell'intero palazzo Spada, se sia prevista, a chiusura del cantiere, la ricostruzione del giardino come era e dove era e il ragionevole smantellamento del parcheggio di servizio al Consiglio di Stato, collocato nell'antistante piazza Capo di Ferro e, infine, se, per quanto di competenza e per tramite degli uffici territoriali del dicastero, non si ritenga utile promuovere con il comune di Roma Capitale un tavolo tecnico al fine di implementare fattivamente un progetto organico per la salvaguardia dal degrado, dall'incuria, dalla criminalità organizzata del centro storico di Roma, già patrimonio Unesco, rivalorizzandolo.
      Al riguardo, si comunica quanto segue.
      Già nel 1994, il Consiglio di Stato manifestò la propria intenzione di realizzare, con fondi propri, un parcheggio interrato al di sotto del giardino di palazzo Spada; trattandosi di bene vincolato ai sensi della legge 1o giugno 1939, n.  1089, l'intervento ha richiesto il nulla osta obbligatorio e vincolante delle soprintendenze interessate.
      Il Consiglio di Stato, non avendo un proprio ufficio tecnico, espressamente richiese che il progetto fosse realizzato da tecnici delle soprintendenze.
      Nel 1998, individuata l'area ritenuta più idonea per la realizzazione del parcheggio interrato per numero trentadue autovetture, la Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici di Roma predispose il progetto, unitamente alla consorella Soprintendenza archeologica di Roma.
      Negli anni 1998-2000 vennero eseguite le palificate perimetrali, per consentire la prosecuzione degli scavi in sicurezza, altre palificate all'interno dell'area, per l'esecuzione della rampa di accesso al parcheggio, con la rimozione della parte del giardino interessata ai lavori del parcheggio sotterraneo, fino alla profondità di m. 4,30 e, infine, un solaio in cemento armato per la copertura dell'area.
      Va, poi, precisato che, come attestato dal Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, la
facies attuale del giardino non corrisponde a quella seicentesca, bensì è una ricomposizione dello stato del giardino monumentale, attuata, nel predetto periodo 1998-2000, dall'architetto Mario Lotti Ghetti, già direttore generale del Ministero e all'epoca direttore dei lavori, su base documentale dell'architetto incisore francese Paul Letaroully, databile ai primi anni del XIX secolo. Lo stesso architetto Lolli Ghetti, nella conferenza stampa tenutasi il 5 marzo 2014, in merito ai lavori in corso a palazzo Spada, ha precisato che anche le fontane presenti nel giardino sono ricostruzioni recenti e non costruzioni realizzate nel ’600.
      La campagna di scavi archeologici è stata eseguita sotto la sorveglianza della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, competente per materia, allo scopo di verificare la fattibilità dell'intervento proposto dal Consiglio di Stato.
      L'indagine archeologica, i cui esiti sono stati comunicati, come detto sopra, dall'architetto Mario Lotti Ghetti nel corso della sopra menzionata conferenza stampa, ha messo in luce strutture tardo antiche: un'aula absidata con pavimentazione in
opus sectile, che insiste su un edificio di età imperiale ben conservato.
      A seguito di tali ritrovamenti il progetto del parcheggio è stato sottoposto dalle soprintendenze al parere del Comitato tecnico scientifico per i beni archeologici, massimo organo collegiale consultivo del Ministero.
      Nel verbale della seduta del 16 aprile 2009, il predetto Comitato ha testualmente dichiarato che «concorda con l'ipotesi di creare il parcheggio nell'area dei terrazzamenti e di musealizzare e valorizzare un monumento di eccezionale interesse quale è l'aula con l’
opus sectile».
      Il citato Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio ha, poi, precisato che: «I lavori ripresi attualmente, sempre con fondi del Consiglio di Stato, sono, quindi, la naturale prosecuzione di quanto proposto dal comitato tecnico scientifico per i beni archeologici e riguardano il completamento del parcheggio interrato secondo le indicazioni impartite. Tale adeguamento, prevedendo l'eliminazione di quattro pilastri in cemento armato al piano interrato, già realizzati con i precedenti interventi, comporta necessariamente un consolidamento del solaio di copertura con conseguente intervento dal giardino sovrastante, che, come si ribadisce, non è il giardino originario del palazzo e che comunque verrà ripristinato nella situazione
quo ante al termine dei lavori».
      Per quanto concerne, infine, la richiesta avanzata dall'interrogante di «promuovere con il Comune di Roma Capitale un tavolo tecnico al fine di implementare fattivamente un progetto organico per la salvaguardia dal degrado, dall'incuria, dalla criminalità organizzata il centro storico di Roma», si comunica che già da un anno questa amministrazione ha attivato un tavolo tecnico con il comune di Roma Capitale in applicazione della direttiva ministeriale del 10 ottobre 2012, riguardante «Esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale».
      I lavori del tavolo, dopo la sospensione dovuta alle elezioni amministrative per l'elezione del sindaco di Roma, sono ripresi nella prospettiva di un accordo interistituzionale, anche alla luce del decreto legislativo 18 aprile 2012, n.  61, in materia di ordinamento di Roma Capitale.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo: Dario Franceschini.


      RICCIATTI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          sulla stampa locale di Fano, a fine 2012, sono comparse notizie, riportate dal «Comitato per il no alla cancellazione di un altro servizio pubblico a Fano», circa la volontà della Soprintendenza di voler chiudere la sezione dell'Archivio di Stato di Fano;
          quanto riportato dagli organi di stampa recita che «Alcuni illustri esponenti della cultura che hanno incontrato in maniera non ufficiale esponenti della Soprintendenza ci riferiscono della volontà di chiudere la sezione di Fano e del trasferimento della documentazione all'Archivio di Stato di Pesaro»;
          gli amministratori della città di Fano hanno subito evidenziato motivata preoccupazione sebbene nessuna comunicazione ufficiale, né ufficiosa, della Soprintendenza sia pervenuta nella sede comunale;
          la questione riguarda un comodato dato tanti anni fa agli Archivi di Stato per trasferire la nuova sede a Palazzo Nolfi, comodato che non ha poi trovato attuazione per il crollo che ha coinvolto palazzo Nolfi rendendolo inagibile;
          il 16 dicembre 2011 il comune firmò con la direzione generale per gli archivi di Stato del Ministero per i beni e le attività culturali e l'Archivio di Stato di Pesaro, un protocollo d'intesa per dare completezza e concludere l'annosa vicenda di dare una sede all'Archivio fanese, prevedendo la conferma della concessione in comodato gratuito di Palazzo Nolfi, a fronte della ricostruzione della parti crollata da parte degli Archivi di Stato per un costo di 447 mila euro. L'ente comunale, da parte sua, avrebbe concorso nei costi di ristrutturazione con un impegno di spesa di circa 288 mila euro, con l'aggiunta di uno stanziamento ottenuto dall'Arcus s.p.a. per 500.000 euro;
          dalla data di cui sopra l'appalto non è stato ancora definito nonostante il comune abbia più volte sollecitato sia gli Archivi di Stato sia, per conoscenza, la prefettura affinché si risolvesse il problema importantissimo della messa in sicurezza dell'immobile;
          il 4 maggio 2013 il prefetto ha scritto al sindaco di Fano di aver interessato gli archivi regionali affinché procedano con la massima celerità a questo appalto;
          gli archivi di Stato rivestono un valore storico e culturale inestimabile sia come depositari dell'importante patrimonio storico di una comunità sia come collegamento con le giovani generazioni e gli studenti che necessitano della loro consultazione;
          la sezione fanese dell'Archivio di Stato, istituita con decreto ministeriale nel 1965, conserva tutto l'archivio storico comunale dal 1240, gli archivi notarili mandamentali di Fano (dal 1364), San Costanzo (dal 1391), Mondolfo (dal 1526), e Cartoceto (dal 1695), gli archivi ottocenteschi dei Governi di Fano e Cartoceto, la Giudicatura di Pace del periodo napoleonico, gli archivi delle corporazioni religiose soppresse, fra cui l'antichissimo archivio della Abbazia di San Paterniano che contiene documenti dal 1173. Non di secondaria importanza sono gli archivi di famiglia, fra i quali Ferri Saladini, Marcolini, Benedetti Forestieri, Gabuccini, Fonti Biscaccianti. L'Archivio contiene anche testimonianze più recenti, come i documenti della Società di Mutuo Soccorso dei Marinai, poi Coomarpesca, quello del secondo circolo didattico di Fano e della Comunità del Basso Metauro. Senza parlare dei Codici malatestiani che costituiscono un unicum a livello mondiale;
          il trasferimento dell'Archivio di Stato, sezione di Fano, determinerebbe una penalizzazione alla terza città delle Marche, procurando un danno culturale, sociale ed economico nella perdita di una parte della propria memoria  –:
          se il Ministro, confermato che l'archivio di Stato, sezione di Fano, non verrà trasferito altrove, intenda attivarsi presso l'archivio di Stato di Pesaro, perché venga data pronta esecuzione, in ogni sua parte, al protocollo siglato con il comune di Fano nel 2011. (4-00617)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare indicata in esame, con la quale l'interrogante chiede conferma della volontà di questo Ministero di non trasferire la sezione dell'Archivio di Stato di Fano e di attivarsi presso l'archivio di Stato di Pesaro affinché possa essere data pronta esecuzione al protocollo siglato con il comune di Fano nel 2011, relativo alla messa in sicurezza di Palazzo Nolfi, si comunica quanto segue.
      In primo luogo, si rappresenta che questa Amministrazione non ha adottato, né intende adottare alcun provvedimento di chiusura della sezione dell'archivio di Stato di Fano.
      Per quanto attiene ai lavori di recupero di Palazzo Nolfi, in data 14 marzo 2013, le funzioni di stazione appaltante sono state assunte dalla direzione regionale per i beni culturali paesaggistici per le Marche che è subentrata alla direzione generale per gli archivi negli obblighi previsti dal protocollo d'intesa stipulato con il comune di Fano in data 16 dicembre 2011.
      Il predetto ufficio ha proceduto alla nomina del responsabile unico del procedimento ed alla costituzione dell'ufficio direzione lavori, affidando, con procedura di somma urgenza, i lavori necessari a garantire la sicurezza e l'incolumità pubblica, minacciata dal degrado dell'edificio. I lavori sono stati completati lo scorso anno.
      La competente soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, incaricata dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici delle Marche, in esecuzione al predetto protocollo d'intesa stipulato con il comune di Fano in data 16 dicembre 2011, sta ultimando la redazione del progetto esecutivo per la ricostruzione strutturale della parte dello stabile crollata, con un finanziamento statale assegnato all'archivio di Stato di Pesaro. Lo svolgimento della gara di affidamento è previsto nel mese di aprile.
      Si rappresenta, ancora, che con un finanziamento ARCUS, pari a 500.000,00 euro, è previsto un intervento di completamento delle opere, per il quale già si è proceduto all'affidamento dei relativi lavori e sono in corso le procedure di stipula del contratto. Tali lavori riguarderanno, in un primo momento, la parte di immobile non interessata dal crollo verificatosi nel 2006, per proseguire successivamente sulla restante parte dell'edificio.
      Si prevede il completamento di tutti i lavori entro i primi mesi del prossimo anno. Successivamente il comune di Fano, con proprie risorse economiche, provvederà a realizzare le finiture e le dotazioni impiantistiche.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo: Dario Franceschini.


      RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'agenzia Ansa del 22 gennaio 2014, riporta la notizia della probabile presenza di ingenti risorse di petrolio e gas nel sottofondo marino del versante croato dell'Adriatico;
          sempre l'agenzia Ansa, riporta le dichiarazioni del Ministro dell'economia croato, Ivan Vrdoljak, in merito ad un vivo interessamento di una ventina tra le maggiori compagnie petrolifere mondiali, per aggiudicarsi le licenze di estrazione;
          da settembre del 2013 la società norvegese Spectrum, su incarico del Governo croato, è impegnata nell'esplorazione del potenziale petrolifero dell'Adriatico orientale, attività tuttora in corso;
          il Blue World Institute of Marine Research and Conservation, istituto di ricerca indipendente croato, che si occupa di biologia marina e di monitoraggio dell'area Adriatica, ha confermato la presenza di una indagine di prospezioni geologiche per la ricerca di idrocarburi in Adriatico;
          se le previsioni sulla consistenza dei giacimenti di risorse naturali fossero confermate, la Croazia diverrebbe uno snodo energetico di primaria importanza per l'intera regione Adriatica, trasformando l'Adriatico in una enorme area estrattiva;
          la conformazione geografica del mare Adriatico – area lunga, stretta e senza sbocco immediato sul mare aperto – desta forti allarmi per la sicurezza della popolazione, sia umana che marina, in caso di incidenti in fase di estrazione dai giacimenti petroliferi e metaniferi;
          la conformazione geografica dell'area Adriatica non sarebbe, inoltre, in grado di sostenere una attività estrattiva di quella portata, senza compromettere in modo determinante gli equilibri biologici dell'area  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti illustrati in premessa;
          se gli accordi di partnership tra Italia e Croazia prevedano specifici protocolli in materia di produzione energetica, ricerca, estrazione e raffinazione di prodotti petroliferi e metaniferi nell'area Adriatica;
          quale sia la posizione del Governo italiano sulle attività di estrazione, illustrate in premessa, da parte di Paesi confinanti con l'Italia e quali iniziative intenda adottare per salvaguardare la sicurezza dell'area. (4-03423)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
      La Repubblica di Croazia ha dato avvio, nel mese di settembre 2013, ad un programma di prospezione sismica per la ricerca di idrocarburi in mare Adriatico, relativamente ad un'area interna alla propria piattaforma continentale fino al limite della linea di delimitazione dell'accordo «Italia-Croazia».
      L'attività è ovviamente sottoposta alla disciplina nazionale del paese ed essendo la Croazia entrata a far parte dell'Unione europea si svolge nel rispetto delle norme europee, oltre che internazionali.
      La società Spectrum ha effettuato studi di acquisizione sismica la cui elaborazione deve essere ancora completata per cui, ogni affermazione sul potenziale di idrocarburi nelle acque croate è prematura. A valle di questi studi la Croazia aprirà a breve una
data room per la partecipazione delle società interessate all'esplorazione nelle proprie acque. Se si confermerà la continuità con i temi del sottosuolo italiano potrebbero presentarsi prospettive interessanti. L'entità degli accumuli, tuttavia, è comunque da valutare.
      Il Ministero dello sviluppo economico, in collaborazione con le altre amministrazioni interessate, si è già attivato per monitorare che le attività di prospezione a mare in acque croate si svolgano nel rispetto dei limiti e dei confini dello Stato nonché delle norme ambientali e di sicurezza dell'Unione europea.
      Lo stesso Ministero, inoltre, svolge regolarmente l'attività di vigilanza e i necessari controlli e le verifiche sulle attività in corso nelle aree di propria competenza.
      Si segnala che l'Unione europea ha ratificato – con decisione del Consiglio del 17 dicembre 2012 (2013/5/UE) – protocollo
Offshore (parte della «Convenzione di Barcellona per la protezione dell'ambiente marino e delle regioni costiere del Mediterraneo»). È in corso al momento l'istruttoria presso gli uffici tecnici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la ratifica da parte del Parlamento italiano. Inoltre sono in corso presso il MiSE, e in collaborazione con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, le attività per il recepimento della direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, che armonizzerà e potenzierà le azioni di tutela dei mari e le collaborazioni transfrontaliere.
      Riguardo ai rapporti bilaterali fra Paesi, facendo presente che la competenza è del Ministero degli affari esteri, si rimanda allo stesso per maggiori approfondimenti.
      Con riferimento al programma di cooperazione transfrontaliera Italia-Croazia, si fa presente che esistono accordi di
partnership relativi a specifici protocolli per l'estrazione di idrocarburi da giacimenti situati a cavallo tra la piattaforma continentale italiana e quella croata. Anche in tale ambito e al fine di garantire la corretta e uniforme attuazione delle disposizioni di sicurezza dettate dalla direttiva 2013/30/UE, le autorità italiane intendono intensificare le relazioni bilaterali con gli altri Stati membri, quale la Croazia, e promuovere iniziative multilaterali nell'area mediterranea, tra Paesi dell'Unione europea e Paesi non dell'Unione europea.
Il Ministro dello sviluppo economico: Federica Guidi.


      RUSSO, LUIGI CESARO, PETRENGA, SARRO e CASTIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
          la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
          in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
          lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
          l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella Regione;
          il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
          deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e sopra tutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
          l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
          l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
          nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
          la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
          altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
          occorre, allora, ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
          il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
          l'omissione delle informazioni sull'origine di un prodotto agroalimentare ed una pubblicità che suggerisca un legame inesistente tra un prodotto ed un territorio aumentano in modo significativo il rischio di confusione;
          la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono pregiudica l'immagine del patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
          l'articolo 26, comma 2, lettera b), del regolamento CE 25 ottobre 2011, n.  1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, impone come obbligatoria l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, fissando alla Commissione il termine del 13 dicembre 2013 per adottare le disposizioni di attuazione dell'obbligo  –:
          quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio con l'estero al fine di prevenire le pratiche fraudolente o ingannevoli, ai danni del made in Italy o, comunque, ogni altro tipo di operazione o attività commerciali in grado di indurre in errore i consumatori e, ancora, la più ampia trasparenza delle informazioni relative ai prodotti alimentari ed ai relativi processi produttivi e l'effettiva rintracciabilità degli alimenti nazionali;
          quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n.  1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza;
          se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative per l'adozione di un sistema analogo a quello previsto dall'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n.  9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine dei prodotti, nonché assicurare l'accesso ai relativi documenti da parte dei consumatori, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche. (4-02810)

      Risposta. — In materia di tutela del made in Italy e di indicazione, sulle etichette dei prodotti agro-alimentari, del Paese d'origine o del luogo di provenienza, mi preme innanzitutto ricordare che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha sempre svolto un ruolo determinante nelle trattative europee, concertando la posizione negoziale con il Ministero della salute, con l'obiettivo di difendere, sui mercati nazionali ed esteri, la competitività della produzione italiana e il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità.
      Ciò premesso, segnalo, quindi, con soddisfazione la recente adozione, anche grazie al sostegno dell'Italia, del regolamento di esecuzione (UE) n.  1337/2013 della Commissione del 13 dicembre 2013 che stabilisce criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introducendo la prescrizione relativa all'indicazione del Paese di origine, o luogo di provenienza, nel quale gli animali sono stati allevati e macellati.
      La modifica del quadro giuridico europeo di riferimento rappresenta un risultato notevole a beneficio dei consumatori poiché garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del
made in Italy.
      A tal proposito si può affermare che le modifiche apportate al testo originario proposto dalla Commissione, tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale, sono state sostenute in sede negoziale dalla delegazione italiana proprio con la finalità di evitare di fornire al consumatore informazioni con modalità poco trasparenti o addirittura fuorvianti rispetto alla realtà produttiva, contribuendo quindi a dare maggiore chiarezza circa le procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta che segue anche la carne suina nelle varie fasi di commercializzazione e alla tutela del «made in Italy».
      Il citato regolamento di esecuzione n.  1337/2013 prevede, infatti, la possibilità di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese nonché di indicare il luogo di provenienza delle carni secondo un preciso schema differenziato in funzione delle diverse specie.
      Nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento (CE) n.  1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento di esecuzione suddetto consente, inoltre, alle aziende l'integrazione delle informazioni sull'origine anche con ulteriori informazioni, tra cui un livello geografico più dettagliato.
      Il sistema europeo sintetizzato si applicherà a partire dal 1o aprile 2015.
      Nella consapevolezza della valenza concreta di quanto raggiunto a livello europeo, le istituzioni italiane saranno impegnate affinché il predetto regolamento sia applicato in modo concreto e conforme in relazione a tutte le disposizioni in esso contenute.
      Per ciò che concerne il sistema di tutela di tutti i prodotti agroalimentari italiani e di contrasto alla contraffazione del
made in Italy, mi preme ricordare che l'articolo 4, comma 49, della legge n.  350 del 2003 prevede il divieto dell'uso ingannevole «di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana» allorché ciò non risulti conforme a verità, con conseguente applicabilità dell'articolo 517 del codice penale.
      Rimane la possibilità legittima, ai sensi del codice unico doganale europeo (Reg. Ue 2913/92), di produrre con materia prima importata da Stati esteri, ma garantendo al consumatore la trasparente informazione sulla provenienza della materia utilizzata e quindi sull'origine del prodotto finale.
      I controlli per la tutela e la riconoscibilità del
made in Italy sono, pertanto, svolti in tutte le fasi della filiera produttiva secondo quanto stabilito dalle disposizioni nazionali ed europee per ogni varietà di prodotto.
      L'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf) è l'autorità nazionale specificatamente impegnata a garantire l'efficacia delle azioni volte a difendere la qualità e l'identità dei nostri prodotti e che, a tal fine, collabora strettamente con l'Agenzia delle dogane e le Capitanerie di porto, per migliorare l'attività di monitoraggio dei flussi d'introduzione dei prodotti agroalimentari provenienti da Paesi terzi ed evitare fraudolente commercializzazioni di alimenti falsamente dichiarati «italiani» sul territorio nazionale.
      Data l'ampiezza delle varianti fraudolente nel settore agroalimentare, l'impegno nell'attività e la condivisione di banche dati è sempre più in rete interforze. A livello nazionale, infatti, oltre alle istituzioni già segnalate, opera con costante efficacia a tutela dei consumatori anche il Comando Carabinieri politiche agricole e alimentari (nac – nuclei antifrodi Carabinieri) con attività di riscontro effettuate sulla rintracciabilità dei lotti di produzione e con analisi di laboratorio e, sin dai primi mesi del 2012, è stato implementato anche il coinvolgimento del Corpo forestale dello Stato in una vera e propria campagna di monitoraggio ed intervento a tutela del
made in Italy.
      Attraverso i comandi territoriali dei vari corpi ispettivi e di polizia vengono verificati i prodotti appartenenti a tutte le filiere alimentari – tra cui i prodotti lattiero caseari, i diversi tipi di prosciutti crudi e stagionati, pasta, olio, olive, grappe – che appongono la dicitura
made in Italy o richiamano esplicitamente l'origine nazionale, rilevando le fattispecie di falsa o fallace indicazione.
      Da maggio 2013, e cioè in meno di un anno, per le finalità della campagna di intervento a tutela della produzione agroalimentare italiana, sono stati controllati oltre 900 esercizi commerciali in tutta Italia e verificati centinaia di prodotti alimentari differenti: 122 sanzioni amministrative sono state elevate a carico dei distributori e delle ditte produttrici, per un importo totale di oltre 300 mila euro; 15 notizie di reato sono state comunicate alle procure e 14 sono state le persone denunciate. Le attività hanno condotto al sequestro di circa 592 tonnellate di prodotti.
      Inoltre, sul fronte internazionale, sono state attivate le procedure di cooperazione internazionale di polizia sulle reti Interpol ed Europol. In proposito sottolineo che, nel 2013, il Comando Carabinieri politiche agricole e alimentari ha effettuato controlli su 3.121 aziende agroalimentari, sequestrando 9,5 mila tonnellate di prodotti e oltre 3 milioni di etichette illegali nonché segnalando all'Interpol 70 casi di falso
made in Italy all'estero.
      Nei primi mesi del corrente anno 2014, nel perseguimento degli obiettivi del Piano nazionale dei controlli a tutela dei consumatori, il Comando Carabinieri politiche agricole e alimentari ha già provveduto a controllare 90 aziende agro alimentari.
      Grazie a specifiche attività di riscontro effettuate sulla rintracciabilità dei lotti di produzione e con analisi di laboratorio, i nac (nuclei antifrodi Carabinieri) hanno sequestrato 17.254 chilogrammi di prodotti agroalimentari, costituiti da vini adulterati, formaggi falsamente evocanti marchi Dop, olio presentato come extravergine d'oliva risultato invece miscelato con olio di semi, tonno commercializzato come tonno nazionale, lavorato e conservato in olio extravergine risultato importato, congelato e conservato in olio raffinato. I sequestri hanno riguardato anche 219.300 etichette irregolari, con indebite evocazioni di importanti marchi Dop/Igp e biologico, che avrebbero potuto trarre in inganno i consumatori.
      Contestualmente ai controlli specifici a tutela del «
made in Italy» sono stati verificati altri aspetti della produzione agroalimentare, quali quelli connessi alla sicurezza dei prodotti a denominazione protetta, all'igiene degli alimenti e alla salute dei cittadini. A queste casistiche appartengono, infatti, innumerevoli prodotti facilmente reperibili nei nostri supermercati, afferenti ai settori del lattiero caseario, delle carni lavorate, dei prodotti da forno, prosciutti, salumi e insaccati realizzati con suini provenienti da Paesi esteri.
      L'obiettivo del sistema di controllo complessivo è quello di garantire sui mercati nazionali ed esteri le condizioni di conoscibilità delle filiere e di tracciabilità degli alimenti, basandosi sulla considerazione che i valori alimentari, territoriali, ambientali, culturali della produzione nazionale rappresentano un bene collettivo dell'Italia da valorizzare e difendere in modo specifico e diversificato rispetto agli altri settori manifatturieri sia a beneficio dei consumatori che a vantaggio della competitività dei nostri produttori.
      Ricordo, peraltro, che il Governo ha espresso parere favorevole sulla mozione 1-311 approvata dalla Camera dei deputati il 14 gennaio 2014 contenente lo specifico impegno ad attivarsi affinché, a tutti i livelli, nazionale, comunitario e internazionale, sia attuata una chiara e rigorosa politica di difesa delle produzioni agroalimentari
made in Italy.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il 20 gennaio 2013, durante un incontro presso il Ministero dello sviluppo economico, la Micron Semiconductor, consociata italiana del colosso americano Micron Technology, ha annunciato una massiccia riduzione del personale sul territorio italiano;
          nello specifico sono stati annunciati 419 esuberi, ovvero il 40 per cento dei circa 1.100 dipendenti in Italia della Micron Semiconductor;
          gli esuberi sono così ripartiti nei vari stabilimenti: 223 ad Agrate (su 507 dipendenti), 127 a Catania (dove operano 324 lavoratori), 52 tra i 131 dipendenti dello stabilimento di Arzano ed, infine, 17 ad Avezzano (su 92 dipendenti);
          ad oggi sono stati comunicati solo i numeri di questa riduzione del personale, ma non le persone o le funzioni che saranno colpite;
          i tagli riguarderanno comunque personale altamente specializzato, giacché si tratta perlopiù di ingegneri elettronici, ingegneri informatici, fisici e matematici;
          pur trattandosi di un'azienda economicamente florida e con i bilanci in attivo, tanto che, anche a seguito dell'acquisizione della giapponese Elpida e sfruttando la difficile contingenza economica internazionale, che ha naturalmente ridotto la concorrenza, nell'ultimo anno è passata dal decimo al quarto posto nella classifica mondiale delle società che si occupano di semiconduttori (piazzandosi dietro solo alla Samsung, alla Intel ed a Qualcomm), la Micron Technology sta già facendo partire le procedure di mobilità, a seguito di un'annunciata ristrutturazione sulle sedi italiane;
          la presenza di Micron Technology, che festeggia quest'anno i 35 anni di attività, sul territorio italiano nasce prima nel sito di Avezzano, dove venne rilevato lo stabilimento di Texas Instruments, poi a Padova con l'acquisizione della sede locale di Qimonda e ancora ad Agrate, Catania ed Arzano dal febbraio 2010, dopo l'acquisizione di Numonyx, partecipata di Intel e ST Microelectronics;
          nel gennaio del 2013 Micron contava in Italia circa 3.200 dipendenti: ora sono circa 1.100, un terzo rispetto a solo un anno fa, ed al termine dei tagli annunciati la cifra scenderà a poco più di 600, ovvero meno di un quinto dei lavoratori impiegati nel gennaio dell'anno scorso;
          la riduzione del personale operata della Micron Technology è avvenuta a seguito dell'acquisizione di Elpida: per lasciare invariato l’headcount dei dipendenti a livello mondiale nonostante l'iniezione di circa 6.000 dipendenti giapponesi, è stata annunciata una riduzione del personale di circa il 5 per cento, in pratica tra i 1.500 e i 2.000 su un totale di 33.500 distribuiti tra i quattro angoli del globo;
          a questa riduzione vanno aggiunti gli spin off di interi siti, come quello ex Intel in Israele o il plant di Avezzano, ceduto alla LFoundry;
          la Micron ha inoltre preso tecnologie all'avanguardia di microelettronica sviluppate o in sviluppo in Italia (come ad esempio PMC ed MMC) per spostarle poi verso i centri di ricerca e sviluppo statunitensi;
          si sta di fatto operando nel senso di un ulteriore atto di cancellazione dell'industria italiana, tagliando le risorse più professionalizzate che questo Paese poteva produrre e desertificando ulteriormente le prospettive di impiego in settori oggi strategici a livello mondiale;
          questa decisione decreta la volontà dell'azienda di abbandonare il territorio italiano nel prossimo futuro, smontando un altro pezzo di high technology del nostro Paese;
          i lavoratori della Micron in Italia hanno già dato vita ad una serie di mobilitazioni in difesa del loro posto di lavoro;
          i fatti narrati sono stati riportati anche dall'articolo «Micron: Vecchio (UGL), annunciati ulteriori 500 tagli», pubblicato dal sito d'informazione «AgenParl» il 20 gennaio 2014 e dall'articolo «Vertenze, la multinazionale Micron taglierà la metà del personale in Italia», pubblicato dall'edizione online de «Il Fatto Quotidiano» il 18 gennaio 2014  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
          quali misure siano state già prese in merito e quali azioni si intenda intraprendere a riguardo;
          se non si ritenga opportuno intervenire attivamente con il preciso ed imprescindibile impegno di preservare il livello occupazionale attuale della Micron in Italia, trattandosi di una punta di eccellenza a livello mondiale nella produzione di semiconduttori. (4-03322)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
      I fatti richiamati dall'interrogante sono certamente noti allo scrivente che, in accordo con i Ministri che si sono succeduti al Ministero dello sviluppo economico, ha seguito personalmente l'evolversi delle vicende che hanno interessato la Micron ancor prima che quest'ultima avviasse, 80 giorni or sono, la procedura di mobilità ai sensi della legge n.  223 del 1989 per ben 419 lavoratori su poco più di 1.000 distribuiti nei 5 siti di Agrate/Vimercate, Arzano, Avezzano, Catania e Padova. Infatti già lo scorso anno è stata portata a termine (fino ad ora con successo) la cessione dello stabilimento produttivo di Avezzano, che occupa poco meno di 1.600 persone, alla nuova società «Marsica Innovation» partecipata pariteticamente da un gruppo di manager interni alla Micron e dalla tedesca L-Foundry.
      Per quanto riguarda la nuova «crisi» annunciata ai primi di gennaio di quest'anno, si deve anzitutto ricordare che il 9 aprile 2014 è stato raggiunto un accordo al quale hanno positivamente concorso, insieme alle Parti direttamente interessate, anche la Presidenza del Consiglio insieme ai Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dello sviluppo economico. È un accordo che in queste ore è al vaglio delle assemblee dei lavoratori che si esprimeranno con un voto per il suo auspicato accoglimento.
      L'accordo prevede anzitutto un impegno di Micron ad effettuare investimenti nel prossimo biennio nell'ottica di mantenere la propria presenza (prevalentemente dedicata alla ricerca nell'ambito degli apparati microelettronici del segmento memorie) nel nostro Paese. È un impegno sancito dai rappresentanti del Board americano chiamati al tavolo di trattativa da un intervento diretto del nostro Ministero. È un risultato importante che ha consentito di avviare il confronto sugli aspetti occupazionali in un contesto meno negativo di quanto non fosse all'inizio di questa complessa vicenda.
      Per quanto riguarda la tutela dell'occupazione, l'intesa prevede anzitutto un impegno di Micron ad abbandonare la strada della mobilità, ad utilizzare la cassa integrazione guadagni straordinaria inizialmente per 12 mesi e a ridurre il numero degli esuberi prevedendo il mantenimento al proprio interno e nelle rispettive sedi di lavoro di 85 persone. In questo modo le eccedenze si riducono a 320 se si comprendono anche le 14 persone che nel frattempo si sono autonomamente dimesse.
      Un secondo importante intervento riguarda la ricollocazione dei lavoratori in aziende del settore che operano nei pressi delle sedi di Micron, fra queste particolare importanza è da assegnarsi a STMicroelectronics che ha garantito al Governo di poter assumere nei prossimi 12 mesi fino ad un massimo di 170 persone con profili adeguati alle proprie esigenze. Altri lavoratori potranno essere occupati anche in altre aziende minori in particolare nelle sedi del nord. Va detto che l'impegno di STMicroelectronics è di notevole importanza perché testimonia la possibilità di creare sinergie tra aziende del settore in un quadro di salvaguardia delle importanti competenze professionali presenti e, spesso, create con un notevole sforzo formativo che ha coinvolto anche risorse pubbliche.
      Un terzo intervento prevede la ricollocazione di 102 persone in parte presso sedi Micron all'estero e in parte presso le attuali sedi italiane. L'azienda, inoltre, ha contrattato con il sindacato anche un significativo incentivo economico per i lavoratori che intendono lasciare volontariamente l'azienda e un sostegno economico per i lavoratori che sono messi in cassa integrazione guadagni straordinaria senza avere ancora una prospettiva di lavoro.
      Si tratta di un risultato complessivamente soddisfacente che evita licenziamenti, ma soprattutto mantiene, in un ambito lavorativo di alto livello tecnologico (in modo prevalente in Italia, anche se alcune decine di posti di lavoro sono offerti per altri Paesi), risorse specialistiche in ambito prevalentemente scientifico. Per alcune risorse si dovrà ancora lavorare per individuare una collocazione lavorativa adeguata. Questo compito è assegnato ad una cabina di regia che con cadenza bimestrale si riunirà in sede istituzionale per verificare la corretta applicazione dell'accordo e dare soluzione a tutte le criticità che dovessero emergere su ciascuno dei punti presenti nell'intesa.
      Con l'impegno del Governo per il raggiungimento di questo accordo, infine, si è voluto dare un segnale concreto al lavoro che è stato avviato nell'ambito del tavolo di settore per la microelettronica che ha iniziato nelle passate settimane i suoi lavori presso il Ministro dello sviluppo economico.
      Il nostro Paese ha saputo mantenere una forte presenza in questo settore garantendo in ogni momento lo sviluppo necessario, a partire dalla difesa della
joint venture italo francese in STMicroelectronics. È un settore trasversale, al servizio in tutte le innovazioni di prodotto e di processo che caratterizzano la frontiera tecnologica, ma che, tuttavia, si trova a doversi confrontare con colossi che operano negli USA, e soprattutto nel Far East, i quali dispongono di ingenti risorse finanziarie e possono alimentare fortissime attività di R&D. La sfida che il Governo raccoglie, anche a partire dalla difesa possibile delle professionalità di Micron, è di alto livello e mai come in questo settore si può e si deve parlare di sfida strategica.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      SEGONI, DAGA, ARTINI e BONAFEDE. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          la «trasparenza amministrativa» intesa come «accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche» è uno degli obbiettivi cardine che ogni Governo dovrebbe perseguire in maniera prioritaria;
          con la legge del 7 agosto 1990 n.  241 («Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi») e con successivi dispositivi legislativi si è tentato di avviare un percorso di trasparenza, migliorando la fruizione e l'accesso agli atti e alle informazioni amministrative da parte dei cittadini;
          significativa la legge del 13 novembre 2012 n.  190 «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», che oltre a ribadire che le materie oggetto delle misure sulla trasparenza amministrativa sono quelle relative a autorizzazioni o concessioni, scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati, concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera, stabilisce che le pubbliche amministrazioni, inclusi gli enti locali, debbano individuare il responsabile della prevenzione della corruzione. Stabilisce inoltre, all'interno della pubblica amministrazione, che, in caso di commissione di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile ne risponde anche sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all'immagine della pubblica amministrazione;
          infine, il decreto legislativo 14 marzo 2013, n.  33 «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni» predispone, come dichiarato dal Governo e successivamente riportato sui vari siti istituzionali, che la trasparenza delle pubbliche amministrazioni, «ha come obiettivi fondamentali: Favorire la prevenzione della corruzione; Attivare un nuovo tipo di “controllo sociale” (accesso civico); Sostenere il miglioramento delle performance; Migliorare l’accountability dei manager pubblici; Abilitare nuovi meccanismi di partecipazione e collaborazione tra pubblica amministrazione e cittadini»;
          la predetta disciplina uniforma gli obblighi e le modalità di pubblicazione per tutte le pubbliche amministrazioni definite dall'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 165 del 2001, definisce ruoli, responsabilità e processi in capo alle pubbliche amministrazioni e agli organi di controllo, introduce il nuovo istituto dell'accesso civico, nello specifico, dispone che ogni ente della pubblica amministrazione abbia nella home page del proprio sito istituzionale un collegamento ad un'apposita sezione denominata «Amministrazione trasparente», organizzata in sotto-sezioni, come schematicamente riporta l'allegato A, al cui interno devono essere presenti i dati, le informazioni e i documenti pubblicati ai sensi della legge vigente;
          l'articolo 26 del decreto legislativo 33 del 2013, che riproduce il contenuto dell'abrogato articolo 18 del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, prevede l'obbligo, a carico di tutte le pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali di fornire una visibilità totale, mediante pubblicazione sui siti web, degli interventi diretti ad erogare sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari per l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati. La norma dispone che per le concessioni di vantaggi economici, la pubblicazione dei relativi atti, comprensivi dei dati identificativi dei soggetti beneficiari, costituisce condizione legale di efficacia dei provvedimenti stessi;
          al fine di monitorare la conformità ai diversi obblighi di pubblicazione e la trasparenza sui siti istituzionali di tutte le pubbliche amministrazioni (a seguito del decreto legislativo n.  33 del 2013) verificandone, continuamente ed in tempo reale, l'evoluzione su tutto il territorio nazionale, in modo completamente automatico, il Governo ha attivato una sezione del sito della «bussola della trasparenza» (http://www.magellanopa.it/bussola/). Secondo i dati della circolare n.  2/2013 della Presidenza del Consiglio dei ministri del 19 luglio 2013, la Bussola, però, si limita ad effettuare l'analisi della «struttura delle informazioni» dei siti della pubbliche amministrazioni. Fino ad oggi, ben 10.700 sono i siti esaminati;
          pertanto la conformità verificata dalla bussola della trasparenza non è sinonimo di rispetto degli obblighi di legge: il software è infatti di uno strumento automatico, capace di verificare se il codice HTML delle pagine web contenga delle informazioni descrittive, denominate meta-dati, che le stesse linee guida per i siti web delle pubbliche amministrazioni definiscono «indicazioni di reperibilità». Si tratta quindi di un controllo formale di presenza di apposite sezioni all'interno del sito che non entra nel merito del loro contenuto, né tantomeno della reale presenza delle informazioni richieste;
          tale limite è chiaro anche allo stesso Ministero, che sul sito sottolinea: «Si invitano le amministrazioni a predisporre non solo le sezioni in conformità a quanto richiesto dalle linee guida per i siti web ma anche ad inserire, nelle rispettive sezioni, i contenuti obbligatori per legge»;
          inoltre una buona percentuale dei siti degli enti comunali analizzati (oltre il 30 per cento) utilizza una struttura del sito pressoché identica, indice di una iniziativa sovracomunale che ha garantito la sola messa a norma, dal punto di vista meramente formale, dei siti aderenti. Purtroppo nella stragrande maggioranza dei casi gli enti non hanno provveduto poi a compilare le sezioni dei siti con le informazioni necessarie;
          una verifica eseguita sui siti istituzionali di comuni di grandi dimensioni come Roma e Firenze, che in base all'analisi della Bussola raggiungono percentuali di «trasparenza formale» molto alte, rileva in realtà che tali percentuali non sono avvalorate dal reale contenuto d'informazione richiesto dalla legge. Ad esempio, sul portale romano, tra le informazioni non riportate, si riscontra la mancata pubblicazione dei verbali delle riunioni di commissione e dei «fogli firma» attestanti la presenza e la durata della partecipazione dei consiglieri comunali alle riunioni. Mentre sul portale fiorentino, tra i dati non pervenuti, si riscontra il mancato aggiornamento, e in alcuni casi la totale assenza, delle informazione in merito agli importi salariali percepiti da alcuni dirigenti pubblici;
          per comuni di dimensioni più piccole come ad esempio nel caso di Santa Marinella (Roma), San Giovanni Valdarno (Arezzo) e Figline Valdarno (Firenze), Intise Valdarno (Firenze), la situazione è ancora più critica: la verifica effettuata dalla Bussola rileva dei punteggi massimi di trasparenza nonostante i dati, le informazioni reali ed i contenuti sostanziali previsti dalla legge non siano completi e pienamente fruibili dal cittadino;
          inoltre nella maggioranza dei casi esaminati risulta difficile e a volte impossibile determinare la reale data di aggiornamento dei dati riportati all'interno della sezione «Trasparenza» del portale istituzionale  –:
          se il Ministro, alla luce di quanto emerso, non intenda intraprendere nuove iniziative che possano realmente portare all'attuazione dell'obiettivo della trasparenza amministrativa assunto a principio generale dell'azione amministrativa;
          se il Ministro interrogato, intenda specificare quali azioni concrete (e le relative tempistiche di attuazione) prevede di intraprendere per rendere realmente efficace «la trasparenza amministrativa della pubblica amministrazione» attivando tutte le fasi e prescrizioni di cui si compone la complessiva disciplina;
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere dei meccanismi disincentivanti per quei comuni che non ottemperano agli obblighi di legge in materia di trasparenza e dei meccanismi premiali per incentivare i comuni ad adeguarsi ai succitati obblighi;
          se il Ministro interrogato intenda prevedere strumenti che consentano ai cittadini di verificare i risultati della Bussola e di segnalare al gestore eventuali carenze, omissioni o incongruenze, nonché rendere pubblici gli esiti delle verifiche effettuate. (4-03094)

      Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame relativa agli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.
      Com’è noto, obiettivi primari del decreto legislativo 14 marzo 2013, n.  33, sono il potenziamento dello strumento della trasparenza, misura fondamentale per la prevenzione della corruzione, e il riordino in un unico corpo normativo delle numerose disposizioni in materia di pubblicità a carico delle pubbliche amministrazioni. In questo contesto, il citato decreto e la circolare n.  2 del 2013 del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione individuano, quali soggetti con compiti di vigilanza sulla trasparenza, il responsabile della trasparenza, gli organismi indipendenti di valutazione (OIV) e l'autorità nazionale anticorruzione (ANAC). Al dipartimento della funzione pubblica sono attribuiti unicamente compiti di monitoraggio, finalizzati all'implementazione della strategia di prevenzione della corruzione oltre che poteri di impulso e coordinamento nell'ambito della competenza generale di indirizzo dell'attività delle amministrazioni pubbliche.
      In tal senso è stata rivista la sezione dedicata alla trasparenza che deve essere presente sul sito istituzionale di ciascuna amministrazione. Questa modifica ha comportato una rivisitazione della «Bussola della trasparenza», strumento
on-line aperto a tutti (persone fisiche, imprese e amministrazioni) che verifica e monitora la trasparenza dei siti web istituzionali, fornendo alle amministrazioni un utile supporto nell'organizzazione dei relativi adempimenti. La «Bussola della trasparenza», infatti, può essere utilizzata come strumento di ausilio anche alle attività di monitoraggio e vigilanza svolte dagli organi di controllo. L'articolo 45 del decreto legislativo n.  33 del 2013 prevede infatti che l'autorità nazionale anticorruzione possa avvalersi delle banche dati istituite presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica per il monitoraggio degli obblighi di pubblicazione indicati dalla normativa vigente.
      Per quanto riguarda le iniziative da lei sollecitate in merito alla possibilità di segnalazione da parte dei cittadini di eventuali carenze, omissioni o incongruenze, gli utenti, attraverso la funzione «Esprimi la tua opinione» hanno la facoltà di contribuire attivamente all'innalzamento del livello di qualità delle informazioni. Il cittadino, infatti, può fornire la propria valutazione in relazione ai contenuti pubblicati, indicando in particolare se il contenuto è veramente presente, se è completo, se è aggiornato e comprensibile; ciò al fine di completare con una valutazione qualitativa la verifica formale effettuata automaticamente dalla bussola e, allo stesso tempo, mitigare gli effetti della presenza di eventuali falsi positivi. A conferma del suo rilevante contributo, la «Bussola della trasparenza» è stata valutata come miglior progetto innovativo nell'ambito del prestigioso premio European public sector award (EPSA) 2013, organizzato dall'European institute of public administration (EIPA).
      In ogni caso, in considerazione dell'onerosità dell'impegno richiesto alle amministrazioni (così come evidenziato anche dal recente rapporto dell'ANAC), l'applicazione della disciplina in questione deve necessariamente intendersi come un processo di progressiva implementazione.
      Infine, in merito alla previsione di meccanismi disincentivanti in caso di inottemperanza agli obblighi di trasparenza, ricordo che l'articolato sistema sanzionatorio previsto dallo stesso decreto riguarda sia le persone fisiche inadempienti, gli enti e gli altri organismi destinatari, sia l'atto stesso stabilendone, in taluni casi, l'inefficacia.

Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione: Maria Anna Madia.


      TERZONI, ZOLEZZI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, SEGONI e MANNINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          sono numerose le segnalazioni che giungono da tutto il territorio nazionale di sversamenti di digestato nei corsi d'acqua dai canali ai fiumi fino al mare. Questi sversamenti che avvengono per carenze nella progettazione degli impianti biogas, danni agli impianti stessi e mancati controlli, provocano seri danni agli habitat che necessitano di diversi anni per essere bonificati;
          non ultimo lo sversamento verificatosi ad inizio agosto 2013 nel fiume Chienti in provincia di Macerata con conseguente divieto di balneazione nelle spiagge di Civitanova e Porto Sant'Elpidio dove si è verificata anche moria dei pesci;
          nelle scorse settimane altre segnalazioni corredate di rilievi fotografici sono arrivate dai comitati di cittadini che stanno seguendo con preoccupazione i continui sversamenti nel fiume Esino derivanti dalla centrale operativa nel territorio del comune di Matelica e per i quali è stata fatta richiesta di analisi delle acque;
          le stesse segnalazioni arrivano da più parti, del territorio italiano;
          come se non bastasse tale digestato viene utilizzato nelle attività agricole come ammendante e quindi sparso sui terreni con conseguente rischio che i nitrati contenuti in grande quantità nella loro composizione possano percolare nelle falde acquifere e raggiungere canali e fiumi. Tale pratica viene eseguita anche su terreni in forte pendenza e confinanti a valle con canali e fiumi e spesso indipendentemente dalle condizioni meteorologiche;
          nell'articolo 1 della 91/676/EEC si legge che la direttiva nitrati mira a ridurre l'inquinamento delle acque causato direttamente o indirettamente dai nitrati di origine agricola e a prevenire qualsiasi ulteriore inquinamento di questo tipo;
          l'Italia è appena uscita dalla procedura di infrazione, per la quale era stata messa in mora, per la violazione della stessa direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (riferimento n.  2032/2013)  –:
          se non ritenga necessario attivare tutti gli organismi di controllo in grado di intraprendere una seria analisi delle conseguenze dell'uso del digestato nelle attività agricole sulle falde acquifere e sulla fertilità dei terreni;
          se non si ritenga necessario assumere iniziative al fine di introdurre normative più stringenti di quelle oggi esistenti per limitare se non vietare l'uso del digestato come ammendante per evitare che si ripropongano le condizioni che avevano portato alla messa in mora dello Stato Italiano. (4-03037)

      Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame, premetto che i controlli sull'uso del digestato, nelle attività agricole sulle falde acquifere e sulla fertilità dei suoli, rientrano nella competenza delle regioni, che li effettuano attraverso gli appositi organismi di controllo.
      In merito, voglio precisare che sono in corso una serie di ricerche svolte dagli istituti del consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, oltre ad uno specifico studio affidato all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale in collaborazione con l'agenzia regionale per la protezione ambientale del Piemonte, della Lombardia, dell'Emilia Romagna, del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia, finalizzato a conoscere l'origine del contenuto dei nitrati nelle acque sotterranee e superficiali presenti nell'area sottoposta ad indagine, definendone i contributi derivanti dalle diverse sorgenti sulla base delle conoscenze ambientali e territoriali, dei numerosi processi fisici chimici e biologici che intervengono e dei dati e delle informazioni e delle analisi di monitoraggio dello stato dei suoli e delle acque.
      Inoltre, voglio ricordare che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, si sta adoperando a modificare il decreto interministeriale 7 aprile 2006, pubblicato sulla
Gazzetta ufficiale n.  109 del 12 maggio 2006 tentando a tal fine di addivenire ad un accordo con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di cui è necessario il concerto.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      TIDEI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il Ministero della difesa con decreto del 25 gennaio 2008 ha definito e individuato gli aeroporti dell'Aeronautica militare strettamente destinati alle esigenze di difesa nazionale e parimenti gli aeroporti militari utilizzabili anche per esigenza di traffico civile sulla base di intervenute intese tra il Ministero della difesa ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, tenuto conto anche del piano nazionale dei trasporti civili;
          gli aeroporti di Roma Ciampino, Verona Villafranca, Brindisi, Treviso e Rimini a breve avranno definitivamente adeguato le loro attività al traffico passeggeri, divenendo a tutti gli effetti aeroporti civili infatti entro la fine dell'anno dovrebbe essere definito il nuovo contratto con l'Ente nazionale di assistenza al volo, con l'inclusione dei cinque aeroporti;
          Enav per gli aeroporti in questione dovrebbe selezionare e formare nuovi controllori di volo, con tempi conseguenti e costi presumibilmente ingenti a carico dell'azionista unico società per azioni che è il Ministero delle Finanze  –:
          quali siano gli orientamenti dei Ministri sui fatti riportati in premessa;
          se non ritengano opportuno di trasferire direttamente ad Enav spa il personale dell'aeronautica militare addetto al controllo dei voli negli aeroporti ex militari di Roma Ciampino, Verona Villafranca, Brindisi, Treviso e Rimini, affinché il personale militare sia adeguatamente riposizionato e l'Enav e dunque il Ministero dell'economia e delle finanze possano abbattere i costi relativi alla formazione di personale ex novo. (4-01777)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      Occorre premettere che il cambio di
status giuridico degli scali citati dell'interrogante, con relativo transito del sedime aeroportuale e delle eventuali infrastrutture ivi ubicate, dal demanio militare al demanio civile, non comporta anche l'automatico transito della responsabilità della fornitura dei servizi del traffico aereo eventualmente erogati da Enav presso i citati aeroporti.
      Il perimetro di responsabilità nella fornitura dei servizi della navigazione aerea presso gli aeroporti di competenza è infatti per Enav, ferma restante la possibilità di stipulare convenzioni di tipo privatistico, definito nel contratto di programma e nel contratto di servizio, sottoscritto tra i competenti Dicasteri e la società stessa.
      Nello specifico si rappresenta che il sedime aeroportuale degli aeroporti di Treviso Sant'Angelo, Rimini Miramare, Verona Villafranca, Brindisi e Roma Ciampino è transitato dal demanio militare a quello civile con specifici decreti interministeriali; allo stato, i servizi di controllo d'aerodromo sono erogati dall'Aeronautica militare: attualmente, sono in fase di valutazione, da parte dei Ministeri competenti e degli altri soggetti preposti, le modalità di transito della responsabilità della fornitura dei servizi stessi dall'Aeronautica militare ad Enav Spa, previo inserimento nel contratto di programma e di servizio poc'anzi citato.
      Propedeuticamente all'acquisizione del servizio da parte della società su ciascuno dei predetti aeroporti, deve poi essere necessariamente e tempestivamente avviata una fase di aggiornamento e modernizzazione delle dotazioni, dei sistemi e degli apparati per il controllo del volo ad oggi esistenti su tali aeroporti, al fine di adeguare il livello tecnologico e gli
standard di qualità e sicurezza del servizio a quelli degli aeroporti attualmente gestiti dalla società.
      In proposito, si ricorda che l'articolo 4-
ter, del decreto-legge 1o luglio 2009 n.  78, convertito con legge 3 agosto 2009, n.  102, ha autorizzato lo stanziamento di fondi pari ad euro 72,1 milioni per l'ammodernamento tecnologico delle infrastrutture dei servizi della navigazione aerea negli aeroporti di Brindisi, Comiso, Rimini, Roma Ciampino, Treviso Sant'Angelo e Verona Villafranca.
      Nel novembre 2012 Enav ha comunicato ai Dicasteri competenti di considerare, sulla base di una prima stima, gli stanziamenti previsti dal citato decreto-legge congrui per l'esecuzione degli investimenti necessari alla prima fase di adeguamento degli impianti agli standard qualitativi e di sicurezza necessari per subentrare nell'erogazione del servizio.
      Si rappresenta, per quanto attiene in particolare agli aeroporti di Verona Villafranca e di Roma Ciampino, che nelle more del perfezionamento del contratto di programma e di servizio tra Enav e lo Stato, con l'inclusione degli scali in oggetto, con nota del 16 settembre 2013, la società è stata autorizzata ad avviare le attività e gli interventi, infrastrutturali e formativi, propedeutici all'assunzione della gestione dei servizi della navigazione aerea presso gli aeroporti in oggetto.
      Inoltre, è stato formato un tavolo di lavoro congiunto tra l'Enac, l'Aeronautica militare e la società Enav, finalizzato a porre in essere ogni necessario coordinamento ed iniziativa propedeutica all'assunzione della fornitura dei servizi della navigazione aerea presso gli aeroporti di Roma Ciampino e Verona Villafranca.
      La società Enav ha evidenziato altresì che, attualmente, sta curando ogni propedeutico adempimento, tra cui le procedure di identificazione e formazione del personale interno da adibire alla fornitura dei servizi in questione.
      In particolare, la medesimo società ha fatto presente che, in base alla programmazione effettuata, non sussiste la necessità di selezionare e formare nuovi controllori del traffico aereo per la fornitura dei servizi presso i citati aeroporti di Verona Villafranca e Roma Ciampino, in quanto tale esigenza sarà soddisfatta con proprio personale già operativo, attraverso gli istituti della mobilità interna previsti e disciplinati dal Ccnl in vigore, senza alcun costo aziendale.
      Contestualmente, la medesima Enav ha informato che attraverso i processi formativi e addestrativi in atto, gli elementi di mobilità interna richiamati in precedenza e il normale
turnover pianificato permetteranno, anche in virtù del prossimo contratto di programma in fase di definizione, di soddisfare le esigenze relative alla fornitura dei servizi presso gli aeroporti di Brindisi, Rimini e Treviso senza l'esigenza di ricorrere all'utilizzo di personale dell'Aeronautica militare.
      Infine, si fa presente che il Ministero della difesa ha comunicato al riguardo, che il piano operativo di disimpegno dagli aeroporti in transito dai servizi della navigazione aerea all'Enav Spa consente all'Aeronautica militare di reimpiegare in Forza armata le professionalità che si libereranno specificamente in quei settori dove, da anni, la stessa Forza armata rileva carenza di risorse umane per l'espletamento dei compiti istituzionali che è chiamata a garantire.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Maurizio Lupi.


      VALLASCAS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          l'attuale quadro normativo sulla regolamentazione della pesca del tonno rosso è definito dal decreto 11 marzo 2013 sulla ripartizione delle quote complessive di cattura del tonno rosso per la campagna di pesca 2013 (Gazzetta Ufficiale n.  97 del 26 aprile 2013);
          durante l'attuale campagna di pesca presso le uniche tonnare fisse autorizzate sono site nella Sardegna meridionale e precisamente quelle facenti capo alle società «Carloforte Tonnare P.I.A.M s.r.l.», «Tonnara su Pranu Portoscuso s.r.l.» e «Tonnare Sulcitane s.r.l. e che queste a fronte di un pescato di circa 200 tonnellate, abbiano incredibilmente ricadute quasi impercettibili in termini occupazionali sul territorio di riferimento al punto che ci si chiede dove venga lavorato il pescato;
          alla pratica della tonnara fissa sono state assegnate quote nazionali di pescato inferiori al 5 per cento del pescabile indicate dal succitato decreto;
          la pratica della tonnara fissa è l'unica a garantire una sostenibilità nella sopravvivenza della specie tonno rosso e questa viene invece penalizzata a favore di pratiche devastanti come la cattura con il sistema a circuizione e che tale sistema favorisce l'azione di rapina degli esemplari;
          attraverso la pratica della cattura i tonni vengono trasportati con apposite gabbie sommerse direttamente all'ingrasso in siti di allevamento come quello di Malta, laddove il tonno viene poi lavorato e venduto prevalentemente in Giappone in quasi totale assenza di imposizione fiscale e senza la benché ricaduta in termini occupazionali sull'industria italiana di trasformazione;
          tutti i rapporti internazionali al riguardo riconoscono alla pratica dell'allevamento del tonno elevatissimi rischi di inquinamento ambientale e la responsabilità della pesca indiscriminata volta al soddisfacimento della saturazione degli impianti di allevamento i quali, secondo un ben noto rapporto di Greenpeace hanno una capacità produttiva solo in Italia intorno alle 11.000 tonnellate, a fronte di una quota complessiva autorizzata per il 2013 pari a 1950,42 tonnellate;
          esistono evidenti difficoltà nel garantire i controlli a bordo e durante gli sbarchi sulle quantità e sulle dimensioni effettive del pescato e del catturato che ancor più può essere velocemente liberato in condizioni di rischio di flagranza;
          la progressiva diminuzione della presenza della specie nel mediterraneo non lascia molte speranze sulla sua conservazione e ciò può comportare a breve la chiusura di tutte le attività connesse al suo sfruttamento  –:
          quali iniziative intenda porre in essere per conformare la normativa all'esigenza di salvaguardia della specie, al fine di consentire un serio futuro alle attività economiche ad essa correlate e salvaguardare gli interessi dello Stato italiano con riferimento alla sistematica elusione del gettito fiscale perpetrata a fronte della pratica del trasporto del pescato dai nostri mari verso quei mascherati paradisi fiscali, come ad esempio i territori maltesi, magari attraverso l'istituzione, come da più parti richiesta della presenza di autorità di controllo site direttamente a bordo dei natanti in azione di pesca. (4-02946)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, ritengo necessario premettere che il quadro normativo cui soggiace lo svolgimento della campagna di pesca del tonno rosso è definito, in via del tutto esclusiva, dalle superiori disposizioni internazionali (raccomandazioni Iccat International Commission for the conservation of Atlantic Tunas) ed unionali (regolamenti e direttive Ue). In tale contesto giuridico, la conseguente normativa nazionale costituisce il riflesso delle richiamate norme internazionali cui l'Amministrazione deve necessariamente fare riferimento onde assicurarne l'esatta implementazione nell'ordinamento giuridico interno.
      Si precisa, inoltre che con il decreto ministeriale 11 marzo 2013 (pubblicato sulla
Gazzetta ufficiale n.  97 del 26 aprile 2013) l'Amministrazione ha provveduto, a valere sull'annualità 2013 ed in ossequio agli stringenti parametri tecnico/scientifici fissati a livello International Commission for the conservation of Atlantic Tunas) ed Unione europea alla consueta ripartizione del contingente nazionale di cattura così come assegnato all'Italia dal Regolamento (Ue) n.  40/2013 del 21 gennaio 2013.
      Proprio nel rispetto dei suddetti parametri tecnico/scientifici (che, per il sistema tonnara fissa, prevedono il riconoscimento di un tasso medio minimo di cattura pari ad almeno 130 tonnellate), il contingente di cattura complessivamente assegnato ai tre impianti operanti in Sardegna, è stato fissato a 200 tonnellate, con ciò assicurando la piena sostenibilità e redditività economica, secondo quanto rigidamente stabilito dall’
International Commission for the conservation of Atlantic Tunas).
      Per di più, a campagna in corso, ulteriori 25 tonnellate sono state riconosciute al settore in questione, a seguito di sopravvenuti trasferimenti di quote provenienti dal sistema palangaro.
      In secondo luogo, si ritiene opportuno evidenziare che, a decorrere dall'annualità 2012, al pari di quanto avviene col sistema circuizione, anche le catture originate dagli impianti delle tonnare fisse possono essere trasferite ancore vive nelle gabbie destinate all'ingrasso, consentendo, pertanto, agli operatori interessati di spuntare superiori margini di guadagno. I dati dell'ultimo biennio, infatti, mostrano come oramai anche le tonnare sarde prediligano questo tipo di filiera commerciale (messa in gabbia, per l'ingrasso) rispetto alla commercializzazione diretta degli esemplari morti, divenuta quasi del tutto marginale.
      Infine, va evidenziato che entrambi i suddetti sistemi di pesca (circuizione e tonnara fissa) sono già sottoposti ad un più che rigido e costante sistema di controllo che, unitamente alle incessanti attività ispettive poste in essere dai competenti organi di vigilanza (Guardia costiera), prevede la presenza obbligatoria di osservatori tanto regionali (
International Commission for the conservation of Atlantic Tunas) quanto nazionali, con il compito preciso di verificare, 24 ore su 24, l'esatto adempimento ed il pieno rispetto delle predette disposizioni sovranazionali.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.