XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 225 di giovedì 8 maggio 2014

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

      La seduta comincia alle 9,40.

      CLAUDIA MANNINO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
      (È approvato).

Missioni.

      PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Michele Bordo, Caparini, Gasbarra e Valeria Valente sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
      I deputati in missione sono complessivamente ottantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

      Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Modifica nella composizione di un gruppo parlamentare (ore 9,44).

      PRESIDENTE. Comunico che la deputata Tea Albini, proclamata in data 7 maggio 2014 ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare del Partito Democratico.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9.45).

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative di competenza volte a far fronte alla grave situazione finanziaria della provincia di Vibo Valentia – n. 2-00530)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Censore n. 2-00530, concernente iniziative di competenza volte a far fronte alla grave situazione finanziaria della provincia di Vibo Valentia (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo al deputato Censore se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      BRUNO CENSORE. Signor Presidente, buongiorno a lei e a tutti i colleghi e ai rappresentanti del Governo.
      Signor Presidente, la questione odierna chiama in causa il principio di solidarietà ed è proprio per l'esigenza di preservare la centralità di tale principio intrinseco del nostro sistema costituzionale che richiedo l'attenzione di tutti gli onorevoli colleghi e del rappresentante del Governo.
      Mi sia permesso di evidenziare quindi una situazione alquanto allarmante sul piano economico ed occupazionale, con risvolti drammatici sulla coesione sociale e sulla convivenza civile, che in un quadro di crisi nazionale assume contorni particolari in un contesto difficile come quello della provincia di Vibo Valentia che, se non adeguatamente supportato dalle istituzioni democratiche, rischierebbe, tra Pag. 2l'altro, di soffocare quei segnali incoraggianti di impegno civile e di voglia di legalità che, comunque, si notano.
      Si pensi, tra l'altro, che la situazione che si rileva sul mercato del lavoro nel vibonese, dai dati pubblicati dal centro per l'impiego provinciale, evidenzia il forte ritardo in cui versa rispetto alle aree più sviluppate e dinamiche del Paese e l'enorme distanza rispetto agli obiettivi occupazionali fissati in sede europea. Infatti, dai dati sui movimenti occupazionali provinciali, si può ipotizzare un altro anno «nero» per il lavoro. Il tasso di disoccupazione sale vertiginosamente e, relativamente ai giovani fino a 25 anni, supera abbondantemente il 55 per cento. Inoltre, sempre maggiore è il numero di imprese che sono costrette a chiudere e, conseguentemente, cresce il numero di lavoratori che vengono posti in cassa integrazione, in mobilità o licenziati.
      La fase congiunturale negativa ha interessato anche i servizi, settore principale dell'economia locale e, generalmente, meno sensibile alle fluttuazioni cicliche, che per effetto del generale calo dei consumi non si riscontravano precedentemente. A ciò si aggiunge, purtroppo, un altro fattore molto negativo, che è quello della criminalità organizzata che, in base alla relazione semestrale presentata dal Ministro dell'Interno al Parlamento, sull'attività svolta e sui risultati conseguiti dalla DIA nella provincia di Vibo «il condizionamento mafioso raggiunge livelli di maggiore pervasività» anche rispetto ad altre aree della stessa regione.
      A questa pervasività non è immune neanche la pubblica amministrazione, tanto è che in diversi comuni le amministrazioni sono state sciolte per infiltrazioni mafiose. Di fronte a questo quadro drammatico, è doveroso intervenire con forza e determinazione per far sentire la vicinanza dello Stato che deve porre in essere tutte le iniziative possibili per lenire questo «grido di dolore» dei tanti cittadini che, anche in numerose pubbliche manifestazioni, aspirano al rispetto delle regole per una civile convivenza.
      Fatta questa premessa, corre l'obbligo di ricordare che, sul piano normativo, lo scorso 7 aprile, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge n.  56, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni».
      L'articolo 1, comma 92, della legge garantisce i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in essere presso le amministrazioni provinciali, nelle more di provvedimenti governativi e regionali che dovranno essere adottati ai sensi dell'articolo 1, commi 89 e successivi, per la definizione dei criteri generali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite dalle province agli enti subentranti. Quindi, io ritengo che questo articolo sia un articolo molto importante rispetto al problema che io oggi pongo, quello della salvaguardia dei livelli occupazionali.
      In questo contesto di forte cambiamento istituzionale, mi preme evidenziare che, nel panorama degli enti provinciali c’è un caso particolare, forse unico a livello nazionale, che riguarda la provincia di Vibo Valentia che, con deliberazione commissariale n.  68 del 30 ottobre 2013, ha dichiarato il dissesto finanziario.
      La manovra di bilancio messa in atto dall'amministrazione, incentrata sull'accertamento delle entrate e la drastica riduzione delle spese correnti non risulta assolutamente sufficiente a portare in equilibrio i conti dell'ente. L'incidenza delle entrate proprie risulta essere poco rilevante in un bilancio come quello provinciale, che risulta dipendente da contributi statali e regionali. La pesante riduzione che negli ultimi anni si è registrata nei trasferimenti ha causato gravi squilibri strutturali, in considerazione di un'elevata incidenza della spesa non comprimibile, per mutui e personale, che rappresenta quasi l'80 per cento della spesa corrente.
      La provincia di Vibo Valentia, in ossequio al disposto dell'articolo 259 del Testo unico sugli enti locali, viste le condizioni di dissesto finanziario, deve predisporre Pag. 3un'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, rispettando l'obbligo del riequilibrio già nell'anno in corso, da presentare entro tre mesi dalla nomina della commissione straordinaria di liquidazione, avvenuta con decreto del Presidente della Repubblica del 10 febbraio 2014 e, quindi, entro il prossimo 10 maggio 2014.
      Il decreto-legge n.  16 del 2014, modificando il comma 1-ter dell'articolo 259 del Testo unico sugli enti locali, ha escluso le province (limitando la previsione ai soli comuni sopra i 20 mila abitanti) dalla possibilità di raggiungere a determinate condizioni l'equilibrio di bilancio entro tre anni, compreso quello in cui è stato dichiarato il dissesto.
      Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, per le ragioni sopraindicate è evidente l'impossibilità per l'ente di predisporre un bilancio riequilibrato già dall'anno in corso. Ragion per cui ci sono reali motivi per temere che possano essere intaccati i livelli occupazionali, cosa che deve essere assolutamente scongiurata e rispetto alla quale noi porremo in essere tutte le iniziative necessarie per scongiurare tale ipotesi.
      Peraltro, un'ulteriore dichiarazione di eccedenza di personale, in aggiunta a quella già approvata – perché una c’è stata – con deliberazione commissariale n.  301 del 30 dicembre 2014, oltre alle prevedibili e drammatiche ripercussioni che comporterebbe in un contesto sociale notoriamente problematico, non è neppure idonea a determinare risparmi immediati sul bilancio, a causa dei tempi previsti per l'approvazione ministeriale e per l'espletamento delle procedure stabilite in caso di eccedenze di personale dall'articolo 33 del decreto legislativo n.  165 del 2001.
      Peraltro, va messa in dubbio anche la coerenza di una dichiarazione di un ulteriore soprannumero di personale con il nuovo quadro normativo determinato dall'entrata in vigore della legge n.  56 del 2014. Infatti, una misura di questo tipo sembra essere in assoluto contrasto con le indicazioni della stessa legge e con le linee del Governo, che mirano a salvaguardare i livelli occupazionali.
      E potrebbe interferire indebitamente con le decisioni che il Governo e la regione devono assumere nei prossimi mesi in merito al riordino delle funzioni diverse da quelle fondamentali (articolo 1, comma 85), che riguardano, ai sensi dell'articolo 1, comma 92, anche i criteri per l'individuazione delle risorse umane connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite dalle province agli enti subentranti.
      Per questi e altri motivi, legati alla grave incertezza occupazionale determinata dallo spettro della messa in mobilità del personale e all'insostenibile disagio per i lavoratori, che da tempo, ormai, sono stato di agitazione, è di lampante evidenza che, per la realtà provinciale di Vibo Valentia, occorre intervenire subito mediante la costituzione di un tavolo interministeriale che esamini e trovi una soluzione ad un problema unico in Italia – ripeto, unico in Italia – e, soprattutto, attraverso specifiche fonti di finanziamento a carattere straordinario (come già fatto, nel recente passato, per il comune di Reggio Calabria e per altri enti) o con la modifica dei criteri di riparto del Fondo nazionale di riequilibrio.
      Ecco perché, signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, chiedo con forza quali provvedimenti intenda adottare il Governo per fronteggiare la grave crisi della mia provincia, la provincia di Vibo Valentia, dove si rischia di acuire le difficoltà di una terra ultima in tutti gli indicatori economici e sociali e che potrebbe tradursi in un numero sempre maggiore di famiglie che si troverebbero in condizioni di vita insostenibili.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Gianpiero Bocci, ha facoltà di rispondere.

      GIANPIERO BOCCI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, con l'interpellanza all'ordine del giorno l'onorevole Pag. 4Censore, unitamente ad altri deputati, pone all'attenzione del Governo la particolare situazione della provincia di Vibo Valentia, che il 30 ottobre dello scorso anno ha dichiarato, come lo stesso interpellante ha ricordato, il dissesto finanziario. L'onorevole chiede, pertanto, quali iniziative il Governo intende adottare per sostenere le iniziative già poste in essere dall'amministrazione, che, tuttavia, sembrerebbero insufficienti a causa della difficile situazione economica che il Paese sta attraversando.
      Voglio premettere che, in seguito alla dichiarazione di dissesto della provincia di Vibo Valentia, il commissario straordinario è tenuto a presentare al Ministro dell'interno un'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, riferito all'esercizio finanziario 2013, entro il termine perentorio di tre mesi dall'emanazione del decreto presidenziale di dissesto, ossia, nel caso di specie, entro il prossimo 10 maggio. Lo stesso commissario ha, tuttavia, rappresentato l'impossibilità di far fronte alla situazione di squilibrio attraverso la manovra di risanamento attuata nel 2013 in considerazione di alcuni fattori quali la carenza cronica di liquidità, che ha comportato anche ritardi nei pagamenti degli stipendi e delle retribuzioni accessorie riferite all'anno 2010, il notevole squilibrio dei fondi a destinazione vincolata e il disavanzo di gestione. In questo contesto, non è ipotizzabile un'eventuale proroga per la presentazione dell'ipotesi di bilancio riferita all'anno 2013, in ragione del carattere perentorio del termine previsto.
      L'organo commissariale ha, inoltre, chiesto di continuare ad avvalersi dello specifico procedimento di liquidazione dei debiti certi, liquidi ed esigibili, maturati alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa, entro lo stesso termine, fattura o richiesta equivalente di pagamento, secondo quanto previsto dal decreto-legge n.  35 del 2013. Tuttavia, anche tale soluzione non appare percorribile in considerazione delle indicazioni fornite dal Ministero dell'economia e delle finanze, in base alle quali «gli enti locali che hanno adottato la deliberazione di dissesto possono richiedere l'anticipazione di liquidità esclusivamente per i debiti non rientranti nella competenza dell'organo straordinario della liquidazione, in quanto questi ultimi restano regolati dalla specifica procedura prevista dal Testo unico degli enti locali».
      Tale procedura, voglio ricordarlo, tende ad assicurare il principio di parità dei creditori per i debiti pregressi, rientranti nella sfera di competenza dell'organo straordinario della liquidazione.
      Il Commissario ha, infine, richiesto interventi finanziari straordinari del Ministero dell'interno, considerata anche l'impossibilità per le province di ricorrere alla norma di favore prevista dal comma 1-ter, dell'articolo 259 del Testo unico degli enti locali, richiamata anche adesso dallo stesso onorevole interpellante. Tuttavia per la Provincia di Vibo Valentia è stata rilevata l'evidente impossibilità di disporre l'ulteriore utilizzo, in termini di cassa, di entrate aventi specifica destinazione per il finanziamento di spese correnti, sempre in conseguenza dell'ormai intervenuta situazione di dissesto finanziario che esclude anche il rimedio temporaneo previsto dall'articolo 195 del Testo Unico degli enti locali.
      Per quanto concerne, inoltre, la rideterminazione della dotazione organica, la provincia ha sottoposto alla commissione per la stabilità finanziaria per gli enti locali, ai fini dell'approvazione, un'apposita deliberazione sulla quale il predetto organo di controllo ha richiesto ulteriori elementi informativi necessari al completamento dell'istruttoria.
      Alla luce di questa complessa situazione, l'adozione di misure straordinarie per la Provincia di Vibo Valentia, quali l'individuazione di specifiche fonti di finanziamento a carattere straordinario ovvero la modifica dei criteri di riparto del Fondo nazionale di riequilibrio per sostenere le iniziative già poste in essere dalla provincia, richiede apposite modifiche legislative che prevedano adeguate coperture finanziarie. Al riguardo, posso sin da ora assicurare l'impegno a valutare, d'intesa Pag. 5con il Ministero dell'economia e finanze, possibili soluzioni che vadano in questa direzione.

      PRESIDENTE. Il deputato Censore ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

      BRUNO CENSORE. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, ho ascoltato con molta attenzione la sua risposta, dalla quale traspare il quadro che io ho descritto nell'interpellanza, quindi un quadro allarmante, di difficoltà. Una difficoltà economica e finanziaria che si ripercuote negativamente sui lavoratori, sui creditori dell'ente. Si tratta di una situazione davvero complessa e difficile anche perché il quadro, a normativa vigente, non consente ampi margini di manovra. Però per essere sincero, sul finire della sua risposta, ho colto positivamente l'apertura che il Governo fa rispetto alla provincia di Vibo Valentia. Un'apertura che ritengo vera e sostanziale rispetto ad una volontà di ricorrere a misure straordinarie, quindi ad eventuali modifiche legislative, per dare una risposta concreta e un segnale tangibile della presenza dello Stato in quella provincia.
      Quindi, la ringrazio, signor onorevole sottosegretario Bocci, conosco la sua serietà, la sua autorevolezza, e sono certo che lei in qualità di sottosegretario per l'interno seguirà da subito la questione interfacciandosi chiaramente anche con il Ministero competente dell'economia e della finanze affinché si ponga fine a questo stato di crisi e di disagio di questa provincia.

(Iniziative volte a salvaguardare i livelli produttivi e occupazionali degli stabilimenti della Micron presenti in Italia – n. 2-00509)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Tripiedi ed altri n. 2-00509, concernente iniziative volte a salvaguardare i livelli produttivi e occupazionali degli stabilimenti della Micron presenti in Italia (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo al deputato Currò se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      TOMMASO CURRÒ. Signor Presidente, signor Viceministro, nel 2007 la ST, azienda multinazionale leader nello sviluppo e nella produzione di semiconduttori su scala mondiale, scorpora la divisione memorie creando l'azienda ST-M6. Nel 2008 poi nasce Numonyx, costituita dalla divisione memorie di STM e la divisione memorie dell'americana Intel, con la conseguente e successiva suddivisione delle quote azionarie pressoché paritaria tra ST ed Intel, oltre ad un 6 per cento detenuto da Francisco Partners.
      Oggi Micron Technology registra una crescita record del suo fatturato più 42 per cento nel primo trimestre del 2014 rispetto al quarto trimestre 2013, ed un più 120 per cento rispetto al primo trimestre del 2013. Il 20 gennaio 2014, durante una riunione presso il Ministero dello sviluppo economico, i dirigenti di Micron Italia annunciano la procedura di mobilità a partire dal giorno successivo, 21 gennaio, per 419 dipendenti a livello nazionale, pari al 40 per cento del totale degli occupati in Italia. Nel dettaglio, dei 419 lavoratori messi in procedura di mobilità, dopo l'accordo del 9 aprile, 85 poi verranno riassorbiti da Micron, 170 probabilmente verranno riassorbiti anche da ST, 14 hanno deciso di loro volontà di dimettersi dall'azienda, portando a 150 il numero dei dipendenti in esubero senza un futuro lavorativo certo distribuiti nei 5 stabilimenti di Micron Italia.
      Nel loro complesso, gli accordi sottoscritti sono stati ritenuti insoddisfacenti dai lavoratori, dai sindacati e da buona parte delle parti politiche, che sottolineano l'incongruenza tra alti profitti e procedure di mobilità avviate dall'azienda Micron, fattore che ha suscitato il forte sospetto che l'acquisto di Numonyx fosse legato ad un piano unicamente finalizzato ad impossessarsi Pag. 6dei brevetti e del know how generati in Italia, con l'unico intento di delocalizzare in USA e nel Far East.
      Allora, noi chiediamo con questa interpellanza se la Presidenza del Consiglio, unitamente alle varie istituzioni locali di competenza, non ritenga opportuno farsi carico della situazione di incertezza dei circa 150 dipendenti in cassa integrazione straordinaria, favorendo la loro ricollocazione e assicurandone un futuro lavorativo certo, soprattutto dopo aver confermato il sostegno al settore della microelettronica, considerato strategico per il Paese, dichiarando l'avvio di concrete politiche di sostegno e investimenti innovativi in coerenza con i programmi europei. Ed inoltre chiediamo se la stessa Presidenza del Consiglio voglia incentivare, attraverso l'impiego di fondi nazionali ed europei, il rilancio di nuovi progetti di sviluppo nell'azienda madre STMicroelectronics, vincolandoli al riassorbimento dei 150 dipendenti che la Micron ha posto in cassa integrazione straordinaria.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, ha facoltà di rispondere.

      CLAUDIO DE VINCENTI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, non richiamerò adesso qui i contenuti dell'accordo del 9 aprile scorso, perché sono già stati esposti in una precedente risposta ad interpellanza parlamentare sempre dell'onorevole Tripiedi, quindi li do per conosciuti. Ricordo solo che, grazie all'accordo del 9 aprile, l'azienda ha ritirato la procedura di mobilità aperta nei confronti di 419 lavoratori e si è impegnata sia a mantenere all'interno una parte di questi lavoratori sia a ricollocarli presso propri stabilimenti sia a curarne il ricollocamento presso altre aziende del settore. Si è quindi ottenuta la tutela occupazionale, si sono evitati licenziamenti, si ricorre ad ammortizzatori sociali di tipo conservativo per una parte dei lavoratori interessati, ma con l'obiettivo appunto del ricollocamento.
      Ricordo, a questo punto, che l'accordo, sottoscritto il 9 aprile scorso presso il Ministero del lavoro da tutte le sigle sindacali rappresentative dei lavoratori di Micron, è stato poi sottoposto a referendum ed è stato approvato da oltre l'85 per cento dei lavoratori.
      È un risultato significativo, che non può essere trascurato o relegato nell'ambito degli aspetti puramente formali, perché quando una così ampia maggioranza di lavoratori si esprime a favore di un accordo, ci troviamo di fronte ad un atto democratico importante, che dà piena legittimità a quell'accordo stesso, al contrario di quanto dicono gli onorevoli interpellanti. Faccio questa considerazione ben consapevole che stiamo parlando di un accordo che riguarda problemi occupazionali riferiti a lavoratori spesso altamente qualificati, che in parte significativa operano in unità allocate nel sud del nostro Paese. Per questo, nessun trionfalismo o eccesso di ottimismo può caratterizzare il nostro giudizio, che rimane però comunque positivo, alla luce dei contenuti che si è riusciti ad inserire al termine di una trattativa iniziata con l'unilaterale decisione di Micron di procedere con la procedura di mobilità per oltre 400 lavoratori, rispetto alla quale, ripeto, la procedura è stata ritirata e per questi lavoratori è previsto un percorso di ricollocamento e, per una parte di essi, di mantenimento all'interno della stessa Micron.
      Nell'accordo è stata prevista anche la istituzione di una cosiddetta cabina di regia, dedicata al monitoraggio della corretta e piena attuazione di tutti i punti previsti per dare soluzione, appunto, ai problemi occupazionali, in una chiave di massima salvaguardia delle professionalità. Entro il mese di maggio sarà convocata la prima riunione della cabina di regia e quella sarà la prima occasione di verifica del lavoro fino ad allora svolto. È evidente che la preoccupazione maggiore sarà quella di verificare le dinamiche occupazionali, a partire dalla messa in atto di tutte le iniziative volte alla ricollocazione professionale dei lavoratori. Nell'accordo Pag. 7sono previsti diversi strumenti di politica attiva che, a partire dal significativo impegno richiesto a ST Microelectronics, potranno offrire opportunità professionali sia all'interno che all'esterno di Micron.  Si collocano in questo quadro anche le politiche attive richieste alle regioni interessate, che ci auguriamo possano avviare da subito i previsti interventi di formazione, riqualificazione e orientamento professionale (la cabina di regia serve anche a questo).
      Tutto ciò riguarderà l'insieme dei lavoratori interessati, ma un'attenzione particolare dovrà essere rivolta a quelli in cassa integrazione. Su questo aspetto Micron sarà incalzata a svolgere quel lavoro di tutela occupazionale per tutti i lavoratori, evitando di ricorrere nuovamente ad atti unilaterali quali quelli messi in atto nei mesi scorsi.
      Per quanto riguarda infine il futuro del settore della microelettronica in Italia, ribadisco quanto già affermato nella risposta ad una precedente interrogazione sul medesimo argomento: con l'impegno del Governo per il raggiungimento di questo accordo, infatti, si è voluto dare un segnale concreto al lavoro già avviato nell'ambito del tavolo di settore per la microelettronica, che ha iniziato nelle passate settimane i suoi lavori presso il Ministero dello sviluppo economico. Il nostro Paese ha saputo mantenere una forte presenza in questo settore, garantendo in ogni momento lo sviluppo necessario, a partire dalla difesa della joint venture italo-francese in ST Microelectronics. È un settore trasversale, al servizio di tutte le innovazioni di prodotto e di processo che caratterizzano la funzione tecnologica, ma che tuttavia si trova a doversi confrontare con colossi che operano negli Stati Uniti e soprattutto nel Far East, i quali dispongono di ingenti risorse finanziarie e possono alimentare fortissime attività di ricerca e sviluppo.
      La sfida che il Governo raccoglie, anche a partire dalla difesa delle professionalità di Micron, è di alto livello e mai come in questo settore si può e si deve parlare di sfida strategica.

      PRESIDENTE. Il deputato Currò ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza urgente Tripiedi n. 2-00509.

      TOMMASO CURRÒ. Signor Presidente, noi non ci riteniamo soddisfatti della risposta del Viceministro. Abbiamo anche noi seguito il percorso che si è fatto presso il Ministero dello sviluppo economico. È vero, sì, che è stato siglato poi il referendum e con il referendum l'accordo, l'85 per cento dei lavoratori lo ha ratificato sostanzialmente, ma qui non è un problema di aspetti formali, è un problema che di fatto siamo sempre di fronte allo stesso scenario.
      L'azienda che vuole delocalizzare punta alto, alto per poi, ovviamente, in corso d'opera mediare su una posizione più conveniente e più politicamente accettabile e percorribile. Quindi, come anche il Viceministro De Vincenti sottolineava e diceva, non c’è proprio alcun trionfalismo.
      Signor Viceministro, io vorrei farle un ragionamento più ampio. Lei giustamente ha citato anche il tavolo sulla microelettronica che avete avviato al Ministero dello sviluppo economico e, allora, colgo questa occasione che abbiamo proprio sul caso della Micron Technology per cercare di fare un po’ il punto della situazione rispetto alle politiche industriali di questo Paese. E, allora, parto un po’ da lontano. Nel 1959 la Olivetti presentava al mondo intero il primo elaboratore elettronico interamente a transistor, facendo guadagnare all'Italia un grande primato rispetto a tutti gli altri Paesi impegnati sul fronte dell'innovazione tecnologica. Conoscenza tecnico-scientifica ed eccezionali doti manageriali avevano aperto la strada a grandi opportunità di crescita e sviluppo. L'enorme successo di questo primo cervello elettronico indusse Adriano Olivetti ad organizzare la divisione elettronica, inglobando tutti i centri di ricerca e le officine ubicati in varie località italiane ed estere. Le cose non andarono come sperato perché, per fronteggiare gli ingenti investimenti che il nuovo settore richiedeva, la famiglia Olivetti dovete indebitarsi Pag. 8e dopo una cessione di quote ad altri soggetti, tra cui la FIAT e altri istituti bancari, la società cedette, nel 1964, la divisione elettronica alla General Electric. Fu persa una grande occasione, fu consegnato agli americani un enorme vantaggio competitivo che ancora oggi – ahimè – noi osserviamo. È emblematico rileggere le parole dell'amministratore delegato della FIAT di allora: «La società di Ivrea è strutturalmente solida e potrà superare senza difficoltà il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l'essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare». Questa frase, caro Viceministro, fa capire due cose: la prima come sia necessario adottare politiche di sostegno a quei settori ad altissimo valore aggiunto che per loro natura richiedono forti capitali per gli investimenti; dall'altro, come la cultura manageriale italiana abbia mostrato nel tempo le sue enormi pecche.
      Ora, capirà bene, signor Viceministro, che non citavo a caso questo episodio della nostra storia industriale. L'ho fatto perché per certi versi mi pare di vedere lo stesso film. Nel 2008 l'ST cede il ramo di memoria per ragioni di mercato e per scelte orientate ad un core business rivolto a segmenti di prodotto diversi. Insieme al personale qualificato, cede un patrimonio di brevetti e know-how eccezionali. La Micron riceve in dote questo patrimonio e, a fronte di aiuti diretti e indiretti erogati dallo Stato, oggi decide di disimpegnare il 40 per cento della sua forza lavoro e di portare in America questo tesoretto. Ci sono dei profili di analogia non indifferenti, signor Viceministro. Diciamocelo, vogliamo proprio farci del male.
      Con il sopraggiungere del Governo Renzi pensavamo si potessero aprire nuovi spiragli e speravamo che i nuovi Ministri, se non altro per un fattore generazionale, prendessero maggiormente a cuore le questioni legate alla tutela del nostro patrimonio industriale e tecnologico. Il 9 aprile avete siglato un'ipotesi di accordo, sì, poi votato dalle assemblee dei lavoratori più per disperazione, signor Viceministro, che per reale condivisione. L'avete fatto alle 3 di notte, come in uso da queste parti, cercando di sfiancare la controparte prima di assestargli un colpo definitivo. Avete mandato un sotto-sottosegretario perché i Ministri mandano i sottoposti nelle questioni rognose, il quale ha pure avuto il cattivo gusto di esternare parole irriguardose ai rappresentanti dei lavoratori dicendo che si era dispensata fin troppa pazienza sul caso in questione, oppure minimizzando rispetto al dramma che molte famiglie dovranno vivere essendo obbligate a lasciare il Paese per mantenere il posto di lavoro. Non è questo un modo degno di sentirsi italiani, a mio avviso. Dobbiamo imparare tutti, e voi prima di noi, ad assumerci delle responsabilità. Dobbiamo impedire che un nuovo caso Olivetti si faccia strada nel nostro Paese.
      Il mercato mondiale dei semiconduttori e delle memorie ammonta a 315 miliardi di dollari. La Micron ha un market share del 5 per cento in forte crescita ed ha ottenuto risultati di gestione assai positivi, come già rimarcato in premessa. Mi domando quale sia la reale motivazione che spinge una società che non è in crisi ad abbandonare il nostro territorio. Sarà forse che in Italia non sussistono finanche le minime condizioni di agibilità per pianificare uno sviluppo industriale da parte dei privati ?
      Signor Viceministro, si chiama SelectUSA il programma di attrazione di investimenti stranieri lanciato nel 2011 da Barack Obama che raddoppia gli sforzi per attirare investimenti negli Stati Uniti d'America, presentando il Paese come destinazione produttiva senza pari e sostenendo una campagna per una riscossa manifatturiera che farà da volano per la ripresa economica.
      Il piano prevede una stretta cooperazione tra Ministeri ed enti federali, da una parte, ed organismi statali, locali e municipali dall'altra. Tutti i livelli istituzionali saranno coinvolti nel fare sistema attorno ad un'idea centrale: la tutela del primario valore dell'economia, la manifattura. È evidente, signor Viceministro, che, dopo la crisi finanziaria internazionale, la strada Pag. 9intrapresa dagli Stati Uniti è l'unica via di salvezza, così come la scelta americana dimostra che è lo Stato a creare le premesse per il successo di un settore, e non già il libero mercato in sé.
      L'economia virtuale, il mondo dei servizi, le piccole imprese, il made in Italy da soli non possono diventare il traino dell'economia nello scenario globale in cui ci troviamo. Nel XXI secolo un Paese che non possegga una grande industria manifatturiera rischia di diventare una colonia di altri Paesi. Aziende che impiegano molte persone hanno un'intensità di lavoro molto più alta dei servizi, erogano un fiume di commesse a centinaia di migliaia di imprese medie e piccole, sono di gran lunga le prime committenti di servizi e fanno ricerca e sviluppo. Si fa un grande sforzo attorno al sostegno alle PMI, quando un contributo reale indiretto proverrebbe senz'altro dall'adozione di serie politiche industriali. La Commissione europea ritiene sia stato compiuto un grave errore di valutazione nel trascurare l'importanza dell'industria manifatturiera. Bisogna ora uscire dall'ipnosi del virtuale, dell'immateriale, del tutto servizi senza basi materiali. La UE lo ha capito bene così come lo hanno capito Paesi più avanzati del nostro come la Francia e la Germania.
      Nelle conclusioni del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo 2014, signor Viceministro, si afferma che l'Europa ha bisogno di una base industriale forte e competitiva, in termini sia di produzione che di investimenti, quale motore principale di crescita economica ed occupazione. Il documento ricorda che le cosiddette tecnologie abilitanti, le key enabling technologies, rivestono un ruolo cruciale per la competitività industriale: batterie, materiali intelligenti, bionanotecnologie si accompagneranno al sostegno dell'industria dei semiconduttori e della microelettronica. Quale migliore settore su cui puntare se non quello in cui proprio la Micron opera insieme ad altri big player come, ad esempio, la STMicroelectronics ? Quindi, così come accadeva negli anni Sessanta, sembra proprio che la classe politica italiana non sappia cogliere le vere opportunità di rilancio del sistema Paese. Manca una politica industriale. Non si capisce a quali settori dell'economia è indirizzato lo sforzo dello Stato. Dobbiamo capire che è necessario ritagliarsi un ruolo nello scenario europeo ed internazionale. La Germania vanta un polo di eccellenza tecnologica a Dresda; la Francia a Grenoble e, mentre noi potremmo chiudere il triangolo promuovendo ingenti investimenti nei nostri distretti tecnologici di eccellenza, restiamo a guardare inermi la disfatta della microelettronica, a partire dalla Micron: non è più tollerabile. Se allarghiamo la visuale degli intendimenti programmatici del Governo, rimaniamo oltremodo preoccupanti rispetto al disegno di privatizzazione delle STMicroelectronics.

      PRESIDENTE. Deputato Currò, concluda.

      TOMMASO CURRÒ. Concludo, signor Presidente, grazie. È un insulto all'intelligenza motivare questa scelta sulla base del perseguimento di un obiettivo di bilancio. Volete privatizzare questa azienda perché ritenete possa attrarre maggiori investimenti esteri e privati ? Bene, prima però dovete disinnescare il rischio della delocalizzazione, così come sta accadendo per Micron, rimuovendo gli atavici impedimenti che fanno dell'Italia l'ultimo Paese dove un investitore riporrebbe le sue attenzioni, pena, tra un paio di anni, saremo ancora qui a parlare anche di altri esuberi per questa azienda. Non dobbiamo inventarci nulla di nuovo. Gli Stati Uniti offrono agli investitori esteri una forza di lavoro specializzata, un alto livello educativo, un elevatissimo livello dell'attività di ricerca e sviluppo, collaborazioni con università ed istituzioni locali, basso costo dell'energia, un sistema legale che consente libertà operativa agli investitori e certezza del diritto, una forte protezione della proprietà intellettuale, quando noi la vendiamo agli altri Paesi, una rete poi infrastrutturale di strade, ferrovie, porti ed aeroporti altamente sviluppata e caratterizzata da intermodalità e soprattutto coesione Pag. 10territoriale, cosa che manca in Italia come manca in Europa, signor Viceministro.
      Guardi, l'Europa ha tanti difetti ma anche molti pregi. Noi siamo il continente con la più grande economia sociale di mercato. Altri Paesi – mi avvio veramente a concludere – non possiedono questa struttura così matura e noi di questo dobbiamo andare fieri. La nostra sfida sul terreno della competizione deve essere giocata sulla catena del valore e sulla sostenibilità delle nostre scelte produttive. Alla lunga ne usciremo rafforzati. Avete più volte dichiarato che la microelettronica è un settore strategico e lo ha fatto lei anche qui. Facciamo una metafora allora, signor Viceministro, e così concludiamo. Se è così strategico il settore della microelettronica, consideriamo le diverse opportunità perdute dal nostro Paese in settori come l'aeronautica civile, l'industria automobilistica, il tessile, la chimica e la metallurgia, come singole battaglie perdute, come una disfatta di Caporetto. E immaginiamo il caso della Micron Technology oggi come se fosse l'ultima linea difensiva oltre la quale non è più consentito retrocedere.
      È una bella battaglia che noi ci sentiamo di fare nostra e di assumerci, signor Viceministro...

      PRESIDENTE. Deve concludere.

      TOMMASO CURRÒ. ... e che spero assieme riusciremo a vincere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

(Iniziative di competenza per assicurare la piena attuazione della legge n.  40 del 2004, con particolare riferimento alla surrogazione di maternità – n. 2-00514)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Binetti n. 2-00514, concernente iniziative di competenza per assicurare la piena attuazione della legge n.  40 del 2004, con particolare riferimento alla surrogazione di maternità (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo alla deputata Binetti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      PAOLA BINETTI. Signor Presidente, come dice la nostra interpellanza, si registra attualmente una certa discordanza tra i diversi tribunali, soprattutto in merito alla questione del cosiddetto utero in affitto, alcuni dei quali condannano il ricorso alla maternità surrogata, attraverso la pratica, appunto, dell'utero in affitto, mentre altri tribunali assolvono coloro che ricorrono a questa pratica.
      La legge n.  40 del 2004 vieta la maternità surrogata, soprattutto se viene commercializzata come accade nella maggioranza dei casi noti. Eppure il tribunale di Milano ha recentemente assolto una coppia dall'accusa di aver alterato lo stato civile di un neonato, nato con la pratica dell'utero in affitto, mediante false attestazioni. Il bambino, frutto di una maternità surrogata, era stato partorito a Kiev da una giovane ucraina e l'accusa era scattata dopo la segnalazione dell'ambasciata italiana a Kiev. Sappiamo che in questi casi la maternità surrogata è frutto di un'operazione che non ha nulla di solidaristico e che ha molto di commerciale.
      Nel giugno 2013 c’è stato un altro caso, anch'esso terminato con un'altra assoluzione per una coppia di triestini tornati in Italia sempre dall'Ucraina con due gemelli. Il tribunale friulano aveva escluso che ci fosse stato un falso. Il tribunale di Brescia ha, invece, condannato una coppia di Iseo per la stessa accusa, alterazione di stato civile, condannandola a cinque anni e un mese.
      In Europa esistono legislazioni che permettono la pratica dell'utero surrogato, regolandolo per legge e disciplinandolo in maniera legale, ma in Italia la legge n.  40 del 2004 prevede che i figli nati da tecniche vietate nel nostro Stato siano considerati figli legittimi della coppia che li ha generati e non è possibile applicare il divieto di paternità. Mi riferisco, in questo passaggio, all'attualità assoluta che questo comporta e comporterà tra qualche mese Pag. 11anche in merito al riconoscimento, poi, di paternità e di maternità per il caso concreto che si sta verificando all'ospedale Pertini, dove c’è stato lo scambio famoso di embrioni ma dove, per la legge italiana, il figlio appartiene a chi lo partorisce. Il figlio «è», non «appartiene» perché non è un oggetto di proprietà, diciamo è un oggetto di affidamento in questo senso.
      Si va diffondendo in Italia un'interpretazione della legge n.  40 del 2004 secondo la quale la legge proibisce la pratica dell'utero in affitto solo se commercializzata. Nel 2000, prima quindi che venisse approvata la legge n.  40 del 2004, il tribunale di Roma aveva autorizzato questa pratica, nel caso fosse stata su base solidale, cioè senza commercializzazione del corpo o di parti di esso, nel pieno rispetto, quindi, di quelle che erano le norme in vigore nel nostro Paese in quel momento.
      Ci sono casi di questo genere: c’è una madre che accetta di portare nel proprio utero il figlio della figlia, nel caso concreto in cui questa figlia, per motivi «x» di salute non fosse in grado di farlo; ci sono dei casi in cui la motivazione appare di tipo solidale, ma non possiamo negare che la stragrande maggioranza dei casi è di natura esclusivamente commerciale: non a caso, questo accade in donne di condizione economica disagiata che accettano, in questo modo, di mettere a disposizione il proprio corpo, facendone in qualche modo commercio, per poter accogliere una richiesta di questo tipo.
      Il tema vero è che occorre tutelare tutti i bambini, tutti, comunque nascano: una volta che è nato, un bambino ha diritto alla piena accoglienza e ha diritto anche a godere di tutte le risorse che il sistema sociale può mettere a disposizione e la prima risorsa che il sistema sociale riconosce a un bambino – non è che gliela concede, ma gliela riconosce – è proprio il diritto alla famiglia, il diritto a nascere in una famiglia che lo ha, come dire, concepito, desiderato e che si appresta, quindi, a farsene carico per tutto il resto della vita.
      Le cosiddette gravidanze per conto terzi, è doveroso, ma non si può ignorare che, di fatto, queste donne sono esattamente quello che dice la parola: donne che «affittano» il proprio utero.
      In questo senso, questo bambino si trova davanti ad un'esperienza che è difficile. Vi sono molti studi, che hanno un certo valore, che vengono fatti sulla psicologia fetale in cui si afferma che, tra il bambino e la madre, mentre ancora il bambino è nel grembo materno, si stabiliscono relazioni interessantissime. Si sa che il bambino percepisce perfettamente il desiderio della madre e il flusso affettivo che lo lega a lei così come ne percepisce le paure, le ansie, le tensioni. Sappiamo che questi figli, in qualche modo, assorbono, attraverso questo misterioso dialogo che si stabilisce tra madre e figlio nel seno materno, tutto il bene che c’è in termini di flussi affettivi e tutte le ansie e le preoccupazioni, esattamente come avviene poi sul piano biologico. Quindi, questa relazione non è affatto indifferente rispetto a quello che sarà poi lo sviluppo e la personalità del bambino successivamente.
      La nostra interpellanza ovviamente chiede quali iniziative si intendano assumere per quanto di competenza per assicurare piena attuazione di questo passaggio fondamentale della legge n.  40. Sappiamo che la versione recente, rispetto alla fecondazione eterologa, pone problemi nuovi, pone in qualche modo – qualcuno l'ha detto – un ulteriore assalto, se uno si mette dalla parte di quella che consideriamo l'ecologia umana, cioè il diritto a nascere di un bambino in un contesto che è quello più prossimo possibile alla dimensione ecologica della vita. È di pochi giorni fa la presentazione del libro di un nostro collega – peraltro un collega di grande simpatia umana come Mario Adinolfi – intitolato Voglio la mamma. Sembra un titolo paradossale, però è un titolo che, attraverso la semplicità dello slogan, lancia anche, come dire, un ritorno a casa, un ritorno a quella che è la dimensione più umana.
      La diffusione della maternità in affitto sta diventando un problema a livello internazionale, più che una soluzione ai problemi di infertilità. Dalle organizzazioni Pag. 12non governative impegnate nella promozione dei diritti umani alle agenzie e alle istituzioni internazionali, il mondo sta prendendo lentamente coscienza delle gravi problematiche create da questo tipo di percorso che per sua natura tende a superare le frontiere fra gli Stati. Non a caso, sappiamo che la pratica dell'utero in affitto appartiene a donne che provengono da situazioni di più disagiata condizione sociale, vedi, per esempio l'Ucraina.
      Il Parlamento europeo, per esempio, nella risoluzione del 5 aprile 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'Unione europea in materia di lotta alla violenza contro le donne (e voglio sottolineare questo punto perché la lettura è non solo dalla parte del bambino, non solo dalla parte di quella che possiamo considerare una sorta di ecologia umana della nascita, ma è proprio sotto il profilo della lotta alla violenza contro le donne) si è pronunciato contro la maternità in affitto senza «se» e senza «ma», e testualmente: chiede agli Stati membri di riconoscere il grave problema delle surrogazioni di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili (questo al punto 20); al punto 21 poi: rileva che le donne e i bambini sono soggetti alle medesime forme di sfruttamento e possono essere considerati merci sul mercato internazionale della riproduzione, e i nuovi regimi riproduttivi come la surrogazione di maternità incrementano la tratta di donne e di bambini nonché le adozioni illegali transnazionali. Voglio dire, e lo ricordo, che questa è una citazione del Parlamento europeo, che non sempre si esprime con particolare attenzione nei confronti del tema della nascita e soprattutto nei confronti del tema diretto e cruciale della famiglia.
      Il ricorso alla gestazione conto terzi a livello globale sta aumentando, anche se non è possibile conoscerne con esattezza le dimensioni – sappiamo che è un fenomeno ampiamente sommerso – e neppure il numero delle cliniche e le agenzie coinvolte. Disponiamo soltanto di stime indirette. Per esempio, un progetto di ricerca sull'argomento dell'Harvard University in Inghilterra ha coinvolto cinque agenzie specializzate in maternità in affitto a livello internazionale con sede negli Usa, in India e in Gran Bretagna, e il volume di attività, dal 2006 al 2012, è aumentato complessivamente del 1.000 per cento. Sono cifre difficilmente immaginabili nella loro portata complessiva.
      Oltre alla drammatica situazione delle madri surrogate, è necessario tenere presente quella dei bambini nati: troppo spesso si pone il problema di stabilire quali siano i genitori legali e quale la cittadinanza. Di utero in affitto, infatti, i giornali parlano soprattutto in quei casi, purtroppo non rari, in cui i neonati restano invischiati in un limbo normativo che li rende apolidi e magari anche orfani, pur potendo vantare teoricamente fino a sei genitori variamente combinati, tra committenti, surrogati e genetici.
      A normare la gravidanza per conto terzi sono leggi e regolamenti nazionali diversissimi tra di loro, che riguardano sia direttamente il fatto in sé, la maternità in affitto, che le questioni della filiazione e della cittadinanza.
      Dal punto di vista normativo possiamo distinguere Stati che proibiscono la maternità in affitto, Stati in cui è sostanzialmente non regolata, e Stati che la consentono esplicitamente e la regolano, fino agli Stati con un approccio permissivo, che ammettono esplicitamente il pagamento delle donne.
      Noi ci troviamo in un momento particolare: in questo momento ci troviamo alla vigilia delle elezioni europee, ci troviamo davanti a questo sogno che stiamo tutti perseguendo con convinzione, che è quello di una nuova Europa; un'Europa dei diritti umani, non soltanto un'Europa che riguardi gli aspetti economici, gli aspetti commerciali, anche se gli aspetti economici e gli aspetti commerciali sono aspetti importanti, accanto a quelli industriali. Ma nell'Europa dei diritti umani i diritti di questi bambini, e anche il diritto delle donne in qualche modo a portare avanti la propria gravidanza in una relazione Pag. 13straordinaria e insostituibile con il proprio figlio, questi diritti restano troppo spesso nell'ombra.
      Quando si parla di diritti individuali sono altri i diritti emergenti; e noi vogliamo invece con questa nostra interpellanza richiamare l'attenzione sul diritto delle donne, che è vero: perché non possiamo soltanto pensare al diritto delle donne ad avere un figlio, quando questo è il diritto della donna infertile o comunque il diritto di una donna in condizioni particolari. Noi dobbiamo pensare al diritto della donna ad avere un figlio, che è il diritto della donna che ha in qualche modo nutrito, che ha offerto parte di sé, parte importante di sé in uno scambio biologico-affettivo, di affetti, che è quello che si stabilisce sempre intorno e all'interno di quella che è la relazione specifica, la specifica della gravidanza.
      Noi sappiamo, dunque, che la madre surrogata può avere o non avere l'obbligo di cedere il bambino agli aspiranti genitori a seconda dei Paesi. Questo ci dà una complessità giuridica in cui è evidente che la normativa che noi chiediamo è anche un appello che facciamo all'Europa, perché anche sotto questo profilo la normativa sia normativa chiara, trasparente, sia una normativa in cui ci si riconosce, sia una normativa in cui non siano possibili i sotterfugi: la condotta è illegale e dunque assolviamo; che è poi quello che crea in Italia quell'ambiguità di comportamenti da parte della magistratura a cui ci stanno abituando tante situazioni e tante circostanze.
      Sappiamo come la difformità interpretativa della magistratura ha creato problemi importanti, problemi rilevanti anche ad uno degli ultimi problemi con cui ci siamo confrontati recentemente, quello relativo al caso Stamina. Sappiamo che c’è questa predisposizione di una magistratura ad interpretare la norma a seconda di quelli che possono essere orientamenti di tipo molto spesso ideologico dietro quelle che sono le decisioni che si assumono.
      Noi vorremmo che, da questo punto di vista, si potesse davvero dire quale sarà la posizione che l'Italia assumerà ora, nel nostro Paese, nella coerenza interpretativa della legge n.  40, che è una legge che tutela madre, padre e figlio; e quale sarà poi la posizione che l'Italia assumerà domani a livello europeo, quando noi ci troveremmo davanti al tema importante di difendere il nucleo familiare come il principale fattore di coesione del contesto in cui si costruisce, si snoda e si sviluppa la vita del nostro Paese.

      PRESIDENTE. La invito a concludere.

      PAOLA BINETTI. Indebolire quella che è la rete dei vincoli familiari significa oggettivamente indebolire il tessuto e la coesione sociale. Indebolire la coesione sociale significa indebolire l'intera struttura del Paese.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

      VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli, la lunga e appassionata presentazione dell'interpellanza da parte dell'onorevole Binetti ha descritto molto puntualmente, per quanto riguarda il Ministero anche in maniera condivisibile, il quadro di una questione che, purtroppo, incrociamo ancora troppo spesso in eventi e cronache che sono purtroppo all'ordine del giorno.
      Con riguardo alla materia in esame, come ho avuto già modo di riferire già in un'altra interpellanza il 14 marzo ultimo scorso, va ricordato che l'ordinamento giuridico del nostro Paese dispone che la madre legale del bambino è colei che lo ha partorito, e prevede altresì forti sanzioni sia per la commercializzazione di gameti ed embrioni sia per la maternità cosiddetta surrogata. Infatti, ai sensi della legge 19 febbraio 2004, n.  40, articolo 12, comma 6, «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito – dice molto precisamente Pag. 14– con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».
      Quindi, la normativa italiana non prevede distinzioni fra forme commerciali e non, di maternità surrogata, sanzionando indistintamente ogni percorso che porti a questo tipo di gravidanza su commissione.
      Allo stesso modo, in forma del tutto analoga a quanto avviene per donazione di sangue ed organi, per la cessione di cellule e tessuti umani destinati a uso clinico, il quadro normativo italiano prevede la totale gratuità (la legge n.  91/1999; il decreto legislativo n.  191/2007, articolo 12, comma 1), escludendo anche forme di rimborso spese e consentendo eventualmente anche assenze giustificate dal lavoro, in forma del tutto analoga.
      L'onorevole Binetti ha ricordato, e quindi non la ricito, la risoluzione del Parlamento Europeo del 10 marzo 2005, che inquadra in una definizione molto netta e anche in questo caso molto condivisibile, il grave problema della surrogazione della maternità e anche l'esposizione di donne e bambini che sono soggetti a questo sfruttamento e che possono essere considerati merce nel mercato internazionale della riproduzione.
      A seguito dei casi di coppie italiane che hanno intrapreso questi percorsi in Paesi stranieri, dove la maternità surrogata è consentita, il Ministero della salute si è impegnato e continuerà a farlo, in maniera anche più forte, a informare e sensibilizzare i cittadini sul fenomeno della «maternità surrogata», ricordando che si tratta di un comportamento sanzionato dalla legge vigente, chiarendo che si tratta di sfruttamento nei confronti di donne povere e che spesso si trovano in una condizione di vulnerabilità dal punto di vista della tutela dei diritti personali, le quali vengono indotte a condurre una gravidanza a pagamento e a consegnare il neonato ai committenti.
      Il Ministero della salute si impegnerà, altresì, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali a combattere ogni forma di sfruttamento del corpo umano e delle sue distinte parti anatomiche, con particolare attenzione per la procreazione umana, dove donne e bambini possono diventare soggetti grandemente vulnerabili.

      PRESIDENTE. L'onorevole Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

      PAOLA BINETTI. Signor Presidente, l'interpellanza ha ricevuto una risposta, se il sottosegretario mi permette, superiore alle aspettative. Sono senz'altro soddisfatta della risposta ricevuta. Mi auguro che questa risposta abbia tutta la sua attuazione concreta, che significa un'attuazione che è nella campagna informativa che il sottosegretario ha voluto assumere come impegno del Ministero.
      Ma io mi auguro che sia anche un'attenzione più profonda e più sollecita a tutela di quei punti di profonda civiltà che la legge n.  40 prende in considerazione, a tutela della donna e contro quella che è un'opera di «smontaggio», di decostruzione sistematica di una legge di cui si vogliono sottolineare soltanto alcuni elementi che vengono percepiti come limitativi; non si vuole invece mettere in evidenza questa grandissima valorizzazione che si fa della donna, della dignità della donna, della dignità della maternità e anche, quindi, della relazione straordinaria che lega non solo madre e figlio ed, in particolare, mi riferisco al caso specifico della legge n.  40 ed al riferimento che fa alla triangolazione madre-padre-figlio.
      Decidere dove fissare la frontiera oltre la quale la vita diventa oggetto e la stessa genitorialità una finzione tecnologica, senza dar spazio ad autoproclami e capricciosi diritti, è una faccenda che attiene alla nostra coscienza prima di tutto, ma non solo alla nostra coscienza, attiene anche a quella che è una normativa adeguata. Questo lo dice una lingua di una civiltà, come la civiltà nostra, la cultura italiana, che nessuno di noi intende smantellare. Ma allora c’è da chiedersi se ci sia ancora il coraggio di Pag. 15opporre un principio morale di umanità fermo, indiscutibile, antecedente qualunque legge, al succedersi di fatti che sfidano norme e coscienze. L'accettazione di quel che accade come misura del diritto e la sua progressiva normalizzazione a colpi di sentenze è una scorciatoia ormai purtroppo ricorrente, che il dilagare delle tecnoscienze non ci permette di prendere, a meno che non si desideri vedere, presto o tardi, realizzati gli scenari della più cupa e antiumana fantascienza.
      Cito, in questo caso, uno scritto straordinariamente interessante di Habermas che, devo dire, è stato poi, a sua volta, riletto, spiegato, illustrato e chiarito anche da parte di uno dei nostri colleghi, il collega Michele Nicoletti del PD, autorevole docente di filosofia politica, il quale proprio ricollegandosi al tema del rapporto che Habermas pone con la tecnologia, dice queste cose che mi fa piacere oggettivamente rileggere insieme.
      Le parole che leggo sono di Michele Nicoletti. In un suo libro di qualche anno fa, «Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale», Habermas prende in considerazione le conseguenze antropologiche e sociali di un utilizzo indiscriminato delle nuove tecnologie genetiche, e la sua prima preoccupazione nei confronti della tecnologia riguarda gli effetti che essa può avere sulla libertà umana.
      Alla base di questa rivoluzione tecnico-antropologica Habermas considera, contestandole, due motivazioni fondamentali: la rivendicazione del diritto alla libertà di procreazione e il dovere di cura da parte dei genitori. La prima preoccupazione nei confronti dell'uso migliorativo della tecnologia genetica riguarda gli effetti che può avere sulla libertà umana e cita a questo proposito Jonas e la prospettiva di un imprigionamento dell'umanità futura da parte dell'umanità presente, chiedendosi «a chi appartiene questo potere ?». Non ci dimentichiamo che noi impegniamo oggi il futuro e uno stile di vita che non ci appartiene, perché appartiene alle nuove generazioni. In altri termini, i cambiamenti tecnico-scientifici che la scienza consente vanno valutati anche nella prospettiva antropologica della libertà di poter essere se stessi, vero e proprio diritto umano che le nuove tecnologie potrebbero mettere a rischio.
      Il carattere di «non strumentalità» della persona umana, alcuni interventi tecnologici manipolando il soggetto in vista di un fine stabilito da altri, lo privano del diritto-fine, di essere in se stesso. L'indisponibilità del «sé» è un limite che va posto a ogni tentativo di strumentalizzazione, perché ognuno deve essere considerato autore della propria vita e non mero esecutore del disegno di altri, fossero pure i suoi genitori.
      Il poter essere se stessi di ogni persona ha bisogno dell'identificazione della persona con il proprio corpo vivente. Noi dobbiamo rivalutare quella che è un'antropologia della corporeità, dobbiamo rivalutare il valore infinito del corpo umano perché il corpo umano è la diafania, l'espressione stessa con cui ognuno di noi mostra ciò che è. Il corpo di una donna incinta, che in qualche modo ha espresso la sua maternità, sta mostrando che cosa è l'essere madre e non può essere visto come una finzione, come una rappresentazione. La libertà di ogni persona è legata alla sua possibilità di prendere delle iniziative sulla base di una scelta personale, sottraendosi a ogni possibile forma di equazione a ripetere. Hannah Arendt considera la capacità di iniziativa del soggetto una sorta di miracolo che ha nella natalità la sua espressione fondamentale.
      Hannah Arendt – non c’è bisogno qui di illustrare a nessuno chi è – è anche la persona che, tra quelle che hanno vissuto l'esperienza dei campi di concentramento e quelle che hanno vissuto l'esperienza dell'eugenetica nazista, sa bene di che cosa parla quando parla di rigurgiti di tipo eugenetico. La nascita è l'immagine dell'irruzione del nuovo, di ciò che prima non era, per cui a suo avviso se si modifica la natalità si modifica anche la natura profonda dell'agire umano.
      Davanti alla pluralità di offerte che la tecnologia oggi offre all'uomo, interessa Pag. 16sottolineare il cambiamento del paradigma della genitorialità che, con la fecondazione eterologa, soprattutto tra le coppie che sono coppie omosessuali, sembra poter permettere tutto a tutti e con la diagnosi pre-impianto sembra garantire solo ai sani il diritto di nascere.
      Habermas sottolinea la necessità di riconoscere un limite allo sviluppo tecnologico applicato all'uomo e questo limite può essere posto solo a partire dalla posizione che considera la vita umana in quanto tale e in ogni sua fase un bene inviolabile e dunque rivendica anche per l'embrione piena tutela morale e giuridica. È una posizione che non ammette restrizioni al concetto di dignità umana ed evita di considerare alcune forme di vita come un bene negoziabile in nome di altri beni, con la conseguenza di strumentalizzare la vita stessa.
      Per questo, io ringrazio il sottosegretario per la chiarezza, la lucidità, la precisione e il coraggio della sua risposta, che non è affatto scontata e io mi auguro che questa risposta abbia tutta la visibilità che merita di avere, abbia tutta l'incisività che deve avere nel piano del dibattito politico, nel piano delle riforme che verranno in qualche modo sollecitate.
      Mi auguro davvero che questa sia la piattaforma di valori da cui ripartire e che questa sia la garanzia che in Italia offriamo oggi alle coppie, conoscendo bene le difficoltà cui vanno incontro le coppie sterili e conoscendo altrettanto bene le difficoltà cui vanno incontro coppie fertili, ma portatrici di malattie genetiche o di malattie potenzialmente gravi. Sono problemi seri, sono problemi veri, ma non può essere la risposta esclusivamente tecnologica; deve essere una risposta che ha prima di tutto radici etico-filosofiche, una risposta che affonda nella consapevolezza del diritto umano la sua logica più profonda e che quindi in questa chiave la restituisce anche al dibattito politico.
      Ringrazio il sottosegretario e mi auguro davvero che questo sia d'ora in avanti il punto di partenza del dibattito.

(Iniziative di competenza volte a ridefinire la quota di accesso al riparto del Fondo sanitario nazionale per la regione Lazio – n. 2-00523)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Causi n. 2-00523, concernente iniziative di competenza volte a ridefinire la quota di accesso al riparto del Fondo sanitario nazionale per la regione Lazio (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo al deputato Causi se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      MARCO CAUSI. Signor Presidente, mi scuso subito con lei, con il sottosegretario De Filippo e con i colleghi presenti in Aula perché, rispetto alla precedente discussione, la mia interpellanza determina un netto calo di livello della discussione di quest'Aula, passando da alti temi etici e filosofici, su cui mi piacerebbe molto interloquire con la collega Binetti, ad altro. Dato che qualche centinaio di anni fa avevamo in Europa una vita media che era pari alla metà di quella che abbiamo adesso, già noi, in questa generazione abbiamo, usando le sue parole, rubato il doppio della vita ai nostri figli. Naturalmente l'istinto di conservazione della specie e la voglia anch'essa tutta umana di preservare la specie e di preservare noi stessi ci ha fatto godere di avanzamenti medicali, scientifici e tecnologici che hanno sempre più portato avanti la vita anche prima dell'arrivo delle nuove tecnologie, che oggi tanto ci fanno riflettere.
      Io costringo quest'Aula a cambiare totalmente il terreno di discussione e a passare ad una discussione molto più volgare. È meramente statistico – come il sottosegretario sa – il parametro fondamentale per il riparto dei fondi nazionali dedicati alla sanità, del Fondo sanitario nazionale. Il parametro fondamentale – dicevamo – è quello della popolazione, in particolare della popolazione pesata per classi di età. L'arrivo dei dati del censimento del 2011 ha però provocato un'interruzione Pag. 17nella regolarità delle serie storiche utilizzate quando, nei decenni intercensuari, si usano i dati della popolazione anagrafica.
      Avendo il Ministero, in sede di riparto, adottato la popolazione legale censita al 2011, questa decisione ha provocato delle rotture nella continuità delle serie anagrafiche, rotture che sono particolarmente rilevanti per la regione Lazio, perché nella regione Lazio la popolazione legale, censita nel 2011, dista dalla popolazione anagrafica diverse centinaia di migliaia di unità.
      Anche guardando in termini dinamici, la riduzione che sarebbe avvenuta della popolazione legale censuaria del Lazio fra il 2011 e il 2001 è il doppio della media nazionale, che ci dice che qualcosa non ha funzionato nelle modalità di rilevazione della popolazione censuaria del Lazio nel 2011, in particolare nella grande area metropolitana di Roma.
      Questo disallineamento fra popolazione censuaria e popolazione anagrafica potrà essere risolto – è già successo anche in passato che questi disallineamenti venissero risolti – operando quello che in gergo statistico si chiama riallineamento della popolazione anagrafica alla popolazione censuaria. Tuttavia, avendo il Ministero effettuato i più recenti riparti utilizzando come base la popolazione censuaria del 2011, che sappiamo essere nel Lazio sottostimata per errori di rilevazione censuaria rispetto all'anagrafica, ciò ha determinato un riparto che ha penalizzato la popolazione effettiva, quella vera invece del Lazio, per più di 100 milioni di euro. Quindi, 100 milioni di euro in meno di riparto dovuti soltanto a un errore di rilevazione statistica, che è già in corso di correzione perché già l'ISTAT ha comunicato che sta per fare il riallineamento e che sta quindi per riportare l'effettivo dato della popolazione in continuità con le serie storiche.
      E quindi le domande che si fanno al Ministro sono molto semplici: prima di tutto, nel caso specifico del Lazio, quanto tempo il Ministro ritiene necessario per adeguare i dati effettivi di riparto al riallineamento della popolazione anagrafica; in secondo luogo, se il Ministro non ritenga in via generale di proporre, affinché anche in futuro non si riproducano questi problemi, che si sono già peraltro prodotti in passato, e se non sia molto più sensato effettuare un riparto sempre sui dati anagrafici, senza considerare le interruzioni di serie dovute ai dati censuari e sempre ovviamente in attesa poi che gli stessi dati anagrafici siano allineati a quelli censuari. Un riparto che venga effettuato sempre sui dati anagrafici non produrrebbe più questi problemi. Per il Lazio in particolare e per Roma è importante poi sapere quando questo riallineamento verrà effettuato e se questo riallineamento produrrà qualche effetto anche sulle decisioni del passato, che hanno penalizzato profondamente questa regione.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

      VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli, la questione che è stata descritta dall'onorevole Causi è stata anche sottoposta all'attenzione degli organi competenti dallo stesso presidente della regione Lazio. In particolare, nel merito occorre precisare che, in sede di predisposizione della proposta di riparto 2013 delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, il Ministero della salute ha utilizzato i dati relativi alla popolazione rilevati al 1o gennaio 2012 in quanto tali dati, oltre ad essere i più aggiornati al momento disponibili, inglobando anche gli effetti del quindicesimo censimento generale dell'ISTAT, sono divenuti, come è abbastanza noto, il riferimento legale per il nostro Paese fino alla successiva rilevazione censuaria.
      La popolazione così censita è perciò definita popolazione legale, salvo che non intervengano modifiche dipendenti da eventuali variazioni territoriali nella circoscrizione comunale, posteriori alla data del 9 ottobre 2011, data della rilevazione censuaria appunto. Non si poteva purtroppo Pag. 18in tale sede, secondo la ricostruzione che noi facciamo, procedere in maniera differente da come si è proceduto.
      Nelle more della definizione di un processo invece di revisione postcensuaria, già avviato e condotto dall'ISTAT, tra le iniziative possibili per evitare che la regione Lazio possa subire un eventuale pregiudizio, può essere valutata – ed è questa l'ipotesi sulla quale si sta lavorando – l'ipotesi di prevedere, unicamente all'interno della proposta di deliberazione del CIPE di riparto delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale per l'anno 2014 – ritornare indietro è un po’ complicato –, nella quale non si potrà che prendere a riferimento gli attuali dati di popolazione legale al 1o gennaio 2013 ufficializzati ancora una volta dall'ISTAT, una quota di finanziamento da accantonare e ripartire solo successivamente alla conclusione della citata revisione anagrafica, sulla base delle risultanze che emergeranno dal processo di allineamento dei dati del censimento della popolazione con le anagrafiche comunali, allo scopo così di armonizzare i saldi di ciascuna regione alla popolazione come definitivamente ricalcolata.
      In merito, quindi, alla problematica in esame, la regione Lazio ha espresso più volte in sede istituzionale la necessità di un riparto delle risorse, sia per l'anno 2013 che per l'anno 2014, tra le amministrazioni regionali, in quanto concretamente aderente alle prescrizioni normative, alla reale consistenza della popolazione residente e al perseguimento di obiettivi di equità delle politiche sanitarie in tutto il territorio nazionale. A questo riguardo, la regione Lazio ha segnalato che, in sede di incontri istituzionali con i rappresentanti dell'ISTAT, l'Istituto si è impegnato a garantire, entro il mese di giugno 2014, il perfezionamento della revisione anagrafica dei dati sulla popolazione del Lazio, che potrà, quindi, consentire all'ISTAT di allineare i propri dati censuari alle risultanze anagrafiche dei comuni.
      Infatti, entro il mese di ottobre 2014, l'ISTAT dovrà provvedere alla certificazione dei risultati dei controlli attivati per validare le risultanze anagrafiche, così come revisionate, e dovrà, quindi, aggiornare contestualmente la popolazione legale. Al di là di questo lungo – non tanto, diciamo – percorso descritto nella mia risposta, nella sostanza, un'operazione possibile ad oggi e valutabile dal Ministero della salute è quella di evitare queste difficoltà per il riparto 2014 con quel meccanismo dell'accantonamento nella proposta di delibera CIPE che è alla base della formulazione di riparto del Fondo sanitario nazionale, che, come è abbastanza noto all'onorevole Causi, è oggetto anche di una valutazione e di un'approvazione nella Conferenza delle regioni.

      PRESIDENTE. Il deputato Causi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

      MARCO CAUSI. Signor Presidente, mi dichiaro soddisfatto della risposta del sottosegretario. Capisco che non è compito del Ministero della salute domandarsi come mai il censimento del 2011 non abbia funzionato proprio a Roma, che, peraltro, 2 mila anni fa, fu la città che inventò i censimenti in tutta l'area mediterranea; però, questo dovremmo domandarcelo tutti noi per quanto riguarda una certa decadenza delle capacità amministrative, da esercitare anche in occasione della rilevazione censuaria.
      Mi pare di capire che il meccanismo che è stato individuato è quello di accantonare una quota in attesa del riallineamento. Mi raccomando, naturalmente, con il sottosegretario che questa quota sia sufficiente a evitare che, ripeto, un errore burocratico e un errore derivante dalla cattiva gestione amministrativa del procedimento censuario ricada, poi, sulle spalle dei cittadini di Roma e del Lazio tramite minori finanziamenti al Fondo sanitario nazionale di una regione che, come il sottosegretario sa, è anche una regione che è sottoposta a un piano di rientro.
      Quindi, questa spesa sanitaria sta comunque scendendo rispetto al trend storico. Farla scendere oltre il dovuto, naturalmente, Pag. 19implicherebbe uno stress delle strutture sanitarie e dell'offerta sanitaria, e quindi uno stress per i cittadini, che davvero non è dovuto. La strada individuata mi sembra coerente: invito a praticarla con una piena coscienza del fatto che l'allineamento dell'analogo censimento è un'operazione molto urgente e indispensabile per evitare elementi di disuguaglianza e di iniquità nel riparto del Fondo sanitario nazionale.

(Chiarimenti in merito al recepimento della direttiva n.  2011/24/UE, concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera, in relazione al parere espresso dalla Commissione XII (Affari sociali) della Camera dei deputati – n. 2-00529)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Monchiero e Andrea Romano n. 2-00529, concernente chiarimenti in merito al recepimento della direttiva n.  2011/24/UE, concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera, in relazione al parere espresso dalla Commissione XII (Affari sociali) della Camera dei deputati (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo al deputato Monchiero se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      GIOVANNI MONCHIERO. Signor Presidente, cercherò di sintetizzare i temi di questa interpellanza che sono sostanzialmente due: una questione di merito ed una questione, che mi pare anche più grave, signor sottosegretario, di metodo. Su quella di merito faccio una breve premessa per non leggere il contenuto dell'interpellanza. Questa direttiva europea sulla medicina transfrontaliera è stata presentata all'opinione pubblica come una rivoluzione, in realtà, la stessa direttiva assoggetta l'ipotesi di trasferirsi in un altro Stato per ottenere delle cure a tutta una serie di condizioni che ne limitano fortemente la reale fruibilità da parte degli utenti. Ma bisogna sottolineare – ahimè – che nel recepirla il nostro Paese ha ulteriormente aggravato questi adempimenti a carico degli utenti suscitando anche le proteste delle associazioni di volontariato, delle associazione dei pazienti, insomma di tutto un mondo che sulla medicina transfrontaliera aveva costruito credo speranze anche eccessive, ripeto, in relazione al contenuto reale della direttiva.
      Detto ciò, in sede di Commissione nell'esprimere il proprio parere sulla bozza di decreto legislativo che il Ministero ha trasmesso alle Commissioni competenti di Camera e Senato, la Commissione XII della Camera aveva posto delle condizioni per cercare di eliminare almeno quelle parti che costituivano aggravi inutili, e in qualche caso addirittura di dubbissima costituzionalità, e per il recepimento integrale della direttiva europea così come emanata. Il sottosegretario pro tempore, questa vicenda risale a febbraio, che era il nostro collega onorevole – non lo so, penso che lo sia – sottosegretario Paolo Fadda, aveva espresso un parere favorevole al recepimento, assicurando che il Ministero avrebbe tenuto conto delle osservazioni formulate dalla Commissione che erano già frutto di una mediazione tra le varie posizioni esposte dai colleghi della Commissione. Ebbene questo purtroppo non è avvenuto. Questo non è avvenuto e – ripeto – si pone davvero una situazione veramente non chiarissima sotto il profilo istituzionale, perché sarebbe anche interessante, e questo le chiedo signor sottosegretario, sapere se questa decisione sia da ascrivere alla responsabilità politica o se sia invece frutto di un'autonoma valutazione delle alte burocrazie del Ministero, ma sta di fatto che il parere della Commissione non è stato recepito. Mi permetta brevemente di illustrare alcune di queste condizioni: il contenuto dell'articolo 10, comma 3, secondo e terzo periodo, inventa una pratica che credo non abbia precedenti nella storia già abbastanza borbonica della pubblica amministrazione del nostro Paese perché non ricordo casi in cui sia necessario fare una domanda affinché l'ente preposto alla valutazione, l'ASL competente per territorio, possa decidere Pag. 20se quella richiesta sia assoggettabile o meno ad autorizzazione. Presentare una domanda per sapere se la richiesta sia assoggettata ad autorizzazione credo che sia veramente una procedura senza precedenti e che meritava di essere cancellata e non invece recepita nel nostro ordinamento.
      Più grave mi sembra invece la questione posta all'articolo 8, che consente di differenziare i diritti non solo tra regioni e regioni, ma addirittura all'interno della medesima regione tra territori e territori. Ci sono territori che possono negare, sulla base di considerazioni di tipo prevalentemente economico, quindi anche sulla base di considerazioni di dubbissima costituzionalità, l'autorizzazione.
      Con questo non ritengo necessario leggere tutti i punti sui quali il decreto di recepimento, il decreto legislativo n.  38 del 4 marzo 2014 non ha accolto il parere della Commissione, perché immagino che il Ministero abbia valutato il testo parola per parola e suppongo anche che le abbia preparato una risposta molto dettagliata, però le due questioni di fondo che le pongo sono quelle che ho appena illustrato.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

      VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli, in effetti la risposta ricostruisce in maniera puntuale una vicenda che è stata esposta già dall'onorevole Monchiero nella sua descrizione poc'anzi. Innanzitutto, bisogna riferire all'Aula che l'Italia è uno dei primi Paesi nell'Unione europea ad aver provveduto a tale impegno. Il Ministero ritiene che la direttiva in questione e il decreto legislativo di recepimento rappresentino comunque sicuramente un'opportunità di oggettiva e indiscussa rilevanza per il nostro sistema Paese, consentendo di valorizzare non solo le eccellenze già note, ma anche di far da volano per le risorse ancora poco valorizzate.
      Ciò premesso, il decreto legislativo, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  67 del 21 marzo ultimo scorso, proprio per le procedure insite in questo tipo di strumento legislativo, è stato adottato a seguito di una complessa procedura, che prevede l'acquisizione del parere sia della Conferenza Stato regioni che delle competenti Commissioni parlamentari.
      Nel merito puntuale delle questioni poste dagli onorevoli interroganti, ed in particolare, per come è stato recepito il parere della XII Commissione si precisa quanto segue. In ordine alla condizione finalizzata a sopprimere il secondo e terzo periodo del comma 3 dell'articolo 10, si è ritenuto necessario accogliere la medesima solo parzialmente. Ciò al fine di evitare che detta disposizione possa essere interpretata nel senso che essa sottoponga alla domanda preventiva ivi prevista qualsiasi prestazione transfrontaliera, anche laddove il paziente non intenda beneficiare del rimborso previsto. E, quindi, dopo le parole: «la persona assicurata che intenda beneficiare dell'assistenza trasfrontaliera» sono state aggiunte le seguenti: «e del conseguente rimborso ai sensi del presente decreto».
      Non si è ritenuto, invece, opportuno eliminare interamente dal testo il secondo e il terzo periodo del comma 3 dell'articolo 10. Come già precisato, infatti, la previsione di una domanda preventiva, finalizzata ad una preliminare verifica circa la sottoponibilità ad autorizzazione preventiva della prestazione richiesta, ove sussistenti le condizioni previste dall'articolo 2 della direttiva 2011, richiamate dall'articolo 9 dello stesso decreto legislativo, è finalizzata proprio a dare una corretta attuazione alla direttiva garantendo la salute del paziente. Come è noto, le condizioni previste dalla direttiva all'articolo 2, per giustificare la sottoposizione della prestazione richiesta ad autorizzazione preventiva, fanno riferimento alle seguenti ipotesi: che la prestazione «richieda cure che comportano un rischio particolare per il paziente o la popolazione»; oppure che «sia prestata da un prestatore di assistenza sanitaria che, all'occorrenza, potrebbe suscitare gravi e specifiche preoccupazioni quanto alla qualità Pag. 21e alla sicurezza dell'assistenza». Si tratta di condizioni che non possono essere individuate «a monte», come appare, una volta per sempre, ma che debbono essere verificate proprio caso per caso. È questo il motivo per cui risulta necessario prevedere la presentazione, da parte della persona interessata a godere della prestazione transfrontaliera, di una apposita domanda all'ASL affinché tale verifica sia svolta.
      Peraltro, si coglie l'occasione per segnalare che tale procedura costituisce una maggiore tutela per il paziente, in quanto consente di porre in evidenza, in modo particolare, dove sussistono, dubbi sull'affidabilità del prestatore sanitario prescelto e sulla sicurezza del paziente stesso.
      Inoltre, si sottolinea che, nel disciplinare la procedura in questione, il decreto legislativo si è fatto carico di non aggravare gli oneri amministrativi dei cittadini, contemperando le esigenze di tutela della salute e di sicurezza, anche con alcune procedure sicuramente semplificate. È questo il motivo per cui si è previsto che, ove la citata verifica preventiva si concluda con esito positivo (esito che peraltro deve intervenire entro un termine procedimentale molto breve, pari a 10 giorni) e la prestazione richiesta sia quindi da considerarsi come sottoposta ad autorizzazione, il paziente non debba presentare una nuova domanda di autorizzazione. Infatti, in tal caso la prima domanda vale già essa stessa come domanda di autorizzazione preventiva e, pertanto, i termini procedimentali per il rilascio o il diniego dell'autorizzazione decorrono dalla sua ricezione da parte dell'azienda sanitaria.
      Il parere della XII Commissione della Camera, come ricordava l'interpellante, reca, inoltre, le seguenti altre osservazioni e non condizioni (per riferire diciamo così puntualmente da una ricostruzione che gli uffici fanno, osservazioni e quindi non condizioni).
      «Con riferimento all'articolo 4, comma 1, e dell'articolo 12, comma 3, valuti il Governo la coerenza di tali norme con i principi e i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e con la specifica normativa vigente nel nostro Paese». Tale osservazione non è stata accolta, tenuto conto che le citate disposizioni appaiono già coerenti sia con i principi costituzionali e diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione, sia con la normativa europea. In particolare, è la stessa direttiva che, al punto 7 dei «considerata», prevede che «nessuna disposizione della presente direttiva dovrebbe essere interpretata in modo tale da compromettere le scelte etiche fondamentali degli stessi Stati membri».
      In ogni caso, il presente provvedimento non intende riconoscere diritti ulteriori o diversi rispetto a quelli previsti dalla legislazione vigente.
      «All'articolo 8, comma 8, valuti il Governo» – le osservazioni di cui parlavo innanzi – «l'opportunità di sopprimere il secondo periodo». Tale osservazione non è stata accolta perché la disciplina ivi recata, tiene conto dell'assetto istituzionale, fortemente come noto regionalizzato, in materia di tutela della salute. Essa si basa, inoltre, sulla considerazione che i motivi presi in considerazione dalla direttiva, quali condizioni che possono giustificare l'adozione di misure limitative dei rimborsi – e in particolare la necessità di garantire il controllo dei costi e di evitare, per quanto possibile, ogni spreco di risorse finanziarie, tecniche e umane – possono essere apprezzati proprio con riferimento agli eventuali investimenti effettuati dalle regioni per potenziare determinate cure e/o strutture; investimenti che verrebbero vanificati, con conseguente spreco di risorse umane, tecniche e finanziarie, ove dovessero verificarsi, per quelle stesse prestazioni, flussi consistenti di pazienti verso altri Stati.
      Per quanto concerne l'opportunità di una riformulazione dell'articolo 18, si rappresenta che il recepimento della direttiva 24/2011/UE ha richiesto un notevole impegno di condivisione, tenuto conto del fatto che, da un lato, vi era l'esigenza di contemperare il diritto di tutti i cittadini di poter usufruire dell'assistenza sanitaria transfrontaliera – proprio in virtù dei principi di uguaglianza e di equità di Pag. 22accesso alle cure – con i vincoli ancora una volta purtroppo derivanti dalla finanza pubblica (ci si riferisce soprattutto alle regioni impegnate nei piani di riorganizzazione e riqualificazione del servizio sanitario regionale), e dall'altro – proprio in virtù dell'articolo 117 della Costituzione – di assicurare l'autonomia regionale nella programmazione ed attuazione degli adempimenti tecnico-organizzativi e gestionali, come è sicuramente noto all'interpellante.
      In questo caso tale osservazione è stata parzialmente accolta, specificando che, in ogni caso, i termini procedimentali di cui all'articolo 9 non possono essere aumentati dalle disposizioni delle regioni e delle province autonome di Tento e di Bolzano.
      Questa è la ricostruzione di una procedura di un parere con osservazioni e condizioni che sono state descritte nell'interpellanza e che io ho provato, spero, a chiarire nella sua anche valutazione storica di questo procedimento.

      PRESIDENTE. Il deputato Monchiero ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

      GIOVANNI MONCHIERO. Signora Presidente, sono soddisfatto solo dalla cortesia e dalla disponibilità del sottosegretario, a cui riconosco di avere una particolare attenzione nei confronti dei lavori della Commissione, ogni volta che ci onora della sua presenza, ma il contenuto della sua risposta purtroppo è – ahimè – burocratese puro, anche con un piccolo errore che voglio sottolineare, perché la condizione posta al punto b) del parere richiamato, anzi, scusate, alla lettera c) del parere, che qui è richiamato alla lettera b) è stata recepita solo in parte nel decreto, evitando proprio di porre l'obbligo di dare quelle garanzie di verifica sulla qualità delle prestazioni per le quali si indica un possibile riferimento, condizione che è invece posta per le prestazioni rese all'estero.
      Anche questo è un segno della visione restrittiva che la burocrazia del Ministero e devo dire, ahimè, ancor più della Conferenza Stato-regioni hanno posto come condizione nel recepire questa direttiva europea. Io voglio ancora sottolineare che sono assolutamente insoddisfatto dell'atteggiamento assunto dal Ministero in riferimento al contenuto dell'articolo 8. È vero che il parere sull'articolo 8 era stato espresso come osservazione e non come condizione, però credo che consentire alle regioni di disciplinare in modo diverso, non solo da regione a regione, ma addirittura da ASL ad ASL, da territorio a territorio, la possibilità di accesso alle cure transfrontaliere sia veramente una norma di palese incostituzionalità, un'iniziativa che non ha nessuna giustificazione sul piano pratico. Tanto valeva, se la questione fondamentale era il timore di aggravare i conti del Servizio sanitario nazionale, tanto valeva non recepire la direttiva in attesa di tempi migliori per la nostra economia. Mi sembra, signor sottosegretario, che questa vicenda sia un brutto esempio perché perpetua purtroppo quello stile di normazione tipico del nostro Paese, di cui tutti ci lamentiamo ogni volta che siamo in un qualunque tipo di dibattito, che, però, poi, in quest'Aula e nei Ministeri viene continuamente seguito senza possibilità di resipiscenza. La ringrazio comunque per la sua attenzione.

(Iniziative normative per la retroattività della disciplina relativa all'esenzione dal pagamento del contributo unificato per i ricorsi diretti ad ottenere l'assegnazione di insegnanti di sostegno agli alunni diversamente abili – n. 2-00513)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Marzana n. 2-00513, concernente iniziative normative per la retroattività della disciplina relativa all'esenzione dal pagamento del contributo unificato per i ricorsi diretti ad ottenere l'assegnazione di insegnanti di sostegno agli alunni diversamente abili (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo alla deputata Marzana se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

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      MARIA MARZANA. Signor Presidente, signor sottosegretario, come lei ben saprà, il diritto all'istruzione si configura come un diritto fondamentale. La fruizione di tale diritto per gli studenti con disabilità, in particolare, è assicurata attraverso misure di integrazione e sostegno idonee a garantire la piena partecipazione alle varie attività scolastiche. Eppure da diversi anni sono tantissimi i casi di famiglie costrette a ricorrere ai tribunali per vedere assicurato il diritto dei propri ragazzi con disabilità ad usufruire, per un numero di ore adeguato alle loro esigenze, della docenza di sostegno. Inizialmente, le segreterie dei tribunali amministrativi non richiedevano per il deposito di tali ricorsi alcun contributo unificato, ritenendo che gli stessi fossero esenti dal pagamento di tale contributo, poiché concernente i minori e la tutela della prole, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, del testo unico n.  115 del 2002. Successivamente, in ottemperanza alla circolare 18 ottobre 2011, il Segretario generale della giustizia amministrativa ha invitato le segreterie dei tribunali amministrativi regionali a pretendere, nel caso di proposizione di tali ricorsi, un contributo unificato di 650 euro. In particolare, con la citata circolare viene sostenuto che i ricorsi proposti dai genitori di alunni diversamente abili per ottenere un insegnante di sostegno sono soggetti al pagamento del contributo unificato poiché non può applicarsi la norma del 2011 in quanto essa riguarderebbe i soli rapporti concernenti situazioni giuridiche soggettive che hanno origine e si esauriscono nell'ambito della famiglia e del rapporto relazionale potestà genitoriale-figli, azionabili dinanzi al giudice ordinario. Tale interpretazione non può essere condivisibile perché restringe indebitamente l'ambito di applicazione della norma scritta dal legislatore che deve intendersi, invece, in modo più ampio. Sembra che lo Stato si fosse accorto di questa grave incongruenza. Difatti, non credo sia un caso che il decreto-legge 12 settembre 2013, n.  104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n.  128, al comma 8-bis dell'articolo 17 abbia esteso il regime di esenzione dal pagamento del contributo unificato ai ricorsi diretti ad ottenere l'assegnazione di insegnanti di sostegno agli alunni diversamente abili, ai sensi dell'articolo 13 della legge n.  104 del 1992. Nel contempo, per garantire l'esenzione anche per i ricorsi già depositati riferibili agli anni 2011, 2012 e 2013, quindi antecedenti all'entrata in vigore del predetto decreto-legge, la Camera dei deputati, nella seduta del 31 ottobre 2013, sempre in sede di conversione del decreto-legge di cui parlavo prima, ha accolto come raccomandazione un ordine del giorno che impegnava il Governo a garantire la retroattività della suddetta novella legislativa.
      A conferma della giusta direzione verso la quale si stava procedendo per risolvere questa inaccettabile richiesta, si allineava anche il segretario generale della giustizia amministrativa, il quale invitava le segreterie di tribunali a sospendere le procedure di recupero, salvo poi fare marcia indietro e riattivare nuovamente le procedure di recupero del contributo unificato relative ai ricorsi antecedenti l'entrata in vigore del decreto-legge n.  104 del 2013. Quindi, ora lo Stato pretende dai genitori, i quali hanno presentato e vinto il ricorso per il riconoscimento di un diritto fondamentale dei loro figli, il pagamento di somme ingenti, nonostante lo stesso Stato sia soccombente e pertanto obbligato al risarcimento del danno e del contributo unificato delle famiglie. A questo punto noi chiediamo a questo Governo quali provvedimenti intenda prendere per sospendere immediatamente questi avvisi di riscossione del contributo unificato, per garantire la retroattività dell'articolo 17, comma 8-bis, del decreto-legge n.  104 del 2013, tenendo pure conto dell'indirizzo contenuto nell'ordine del giorno accolto in occasione della conversione di questo decreto-legge. Inoltre chiediamo quali iniziative il Ministro di competenza intenda intraprendere per garantire agli alunni disabili l'assegnazione di un numero adeguato di ore di sostegno che rappresenta sicuramente la disposizione essenziale ed indefettibile per la piena realizzazione del Pag. 24diritto inviolabile dell'educazione, dello sviluppo della personalità e dell'istruzione in particolare dei soggetti affetti da disabilità.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Roberto Reggi, ha facoltà di rispondere.

      ROBERTO REGGI, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, rispondo su delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, agli onorevoli interpellanti, sulla materia dell'assegnazione dell'insegnante di sostegno agli alunni con disabilità, con particolare riferimento al versamento del contributo unificato per il deposito dei relativi ricorsi amministrativi.
      Ricordo che il processo dell'integrazione degli alunni con disabilità è stato alla costante attenzione dell'amministrazione e del Governo – e lo è in misura ancora maggiore ultimamente – che hanno posto in essere ripetuti interventi rivolti a favorire l'inserimento a pieno titolo dei soggetti con disabilità nel contesto scolastico al fine di garantire il massimo sviluppo possibile delle capacità, abilità e potenzialità degli stessi.
      Dopo l'intervento della Corte costituzionale (sentenza 22 febbraio 2010, n.  80), che ha abrogato la disposizione che fissava il tetto massimo di posti di sostegno attivabili in organico di fatto, già il decreto-legge n.  78 del 2010 aveva previsto, all'articolo 9, comma 15, l'attivazione di posti in deroga per far fronte a situazioni di particolare gravità. Si è assistito così ad un aumento costante del numero degli insegnanti di sostegno in organico di fatto, cui ha fatto seguito un incremento, disposto nell'arco di tre anni dall'articolo 15 del decreto-legge n.  104 del 2013, della dotazione organica di diritto dei posti di sostegno di 26.684 unità, con le conseguenti assunzioni in ruolo sui nuovi posti autorizzati, in aggiunta a quelle ordinarie di sostituzione del personale collocato a riposo.
      Per il corrente anno scolastico 2013/2014, a fronte di una popolazione scolastica di 209.814 alunni con disabilità, sono stati costituiti 110.216 posti di insegnamento sul sostegno in organico di fatto. Pertanto il rapporto medio a livello nazionale tra alunni con disabilità e docenti di sostegno è pari a 1,90, con un minimo di 1,45 nel Molise. Desidero assicurare l'onorevole interpellante che l'azione del Ministero, nell'ambito delle risorse disponibili, proseguirà nell'adozione delle misure che consentano di migliorare l'erogazione del servizio e di garantire continuità nella programmazione.
      Venendo ora alla questione specifica del contributo unificato per il deposito dei ricorsi amministrativi, è noto che la legge n.  128 del 2013, di conversione del sopra citato decreto-legge n.  104 del 2013, ha esteso l'esenzione dal pagamento in relazione ai ricorsi in materia di sostegno. Con l'interpellanza in discussione si sollecita un'interpretazione retroattiva della norma, tenuto anche conto dell'ordine del giorno – a cui faceva riferimento l'interpellante – approvato da questa Camera, con cui si impegna il Governo ad adottare iniziative volte a consentire l'applicazione del beneficio descritto anche nei confronti dei ricorsi presentati antecedentemente all'entrata in vigore della norma.
      Al riguardo, come già evidenziato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, la suddetta norma non ha previsto un regime transitorio che possa supportare il principio della retroattività. Ciò anche in considerazione che la norma stessa ha introdotto un'esenzione non prevista in precedenza e, quindi, non può considerarsi meramente interpretativa e, in quanto tale, idonea a sottrarsi al principio generale di irretroattività enunciato sia dall'articolo 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, che dall'articolo 3 della legge n.  212 del 2000 in materia tributaria.
      Non posso, quindi, che confermare che la questione è risolvibile unicamente mediante un'apposita ulteriore iniziativa normativa e, a questo proposito, credo che un utile contributo potrà pervenire anche dal Parlamento.

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      PRESIDENTE. La deputata Marzana ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

      MARIA MARZANA. Signor Presidente, io non mi ritengo soddisfatta. Ringrazio per la risposta, ma non la possiamo accettare in quanto, comunque, non si pone rimedio alla questione posta in discussione. Quindi, sebbene il Governo a parole si proclami sensibile rispetto a questi temi e dica di avere un'attenzione alta sul tema dell'integrazione, però poi non assume di fatto l'impegno per tradurre in pratica questo auspicio fino in fondo.
      Sempre più famiglie ricorrono all'autorità giudiziaria amministrativa in relazione all'insufficiente assegnazione di aree di docenza di sostegno per i propri figli con disabilità.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 11,30)

      MARIA MARZANA. Stiamo parlando di famiglie che, vedendo negare un diritto loro figli, e cioè la garanzia di un adeguato supporto all'attività scolastica, ricorrono alle vie legali per ottenere questo riconoscimento.
      La giustizia italiana, poi, non è purtroppo nota per dei tempi celeri, quindi l'immediata conseguenza è il prolungamento di una situazione in cui lo studente non può contare su un pieno riconoscimento del diritto all'istruzione. Dopo tempo, finalmente, giunge ai genitori la conferma che la richiesta avanzata è legittima. E lo Stato che fa ? Dopo il sopruso chiede anche il conto. Infatti, lo Stato, che ha negato un diritto e lo rispetta solo dopo l'intervento della magistratura, richiede il pagamento del contributo unificato di 650 euro.
      Io vorrei ribadire che la docenza di sostegno è un diritto fondamentale dell'alunno con disabilità ed è già un controsenso per le famiglie dover ricorrere all'autorità giudiziaria per vederlo riconosciuto e rispettato. Non possiamo ancora sommare a tutto ciò anche un peso burocratico ed economico. Infatti, anche se la legge n.  128 dell'8 novembre 2013, all'articolo 17, comma 8-bis, non dispone che questo provvedimento abbia un effetto retroattivo, è anche vero che sono numerose le disposizioni in materia tributaria che, in deroga all'articolo 3 della legge n.  212 del 2000, attribuiscono a sé medesime efficacia retroattiva, basti pensare a tutti i condoni fiscali ai quali ci avete abituato.
      Il legislatore, quindi, sia pure entro i limiti della ragionevolezza, può derogare a tali principi e, quindi, appare chiaro che applicare la retroattività della novella legislativa menzionata non è affatto assurdo e che, quindi, l'applicazione retroattiva potrebbe essere anche un provvedimento che venga avanzato dal Governo e non necessariamente di iniziativa parlamentare perché i tempi, come sappiamo, si allungano, e non in maniera indifferente. Tale pagamento, poi, è ancora più paradossale ed inaccettabile dal momento che tutti i ricorsi sono stati accolti con conseguente soccombenza del MIUR. È come se l'intento del Governo fosse quello di scoraggiare, di dissuadere le famiglie a ricorrere alle vie legali per vedere riconosciuto un sacrosanto diritto ai propri figli. È necessario che il Governo si faccia carico di questa vicenda e la risolva al più presto.
      È una richiesta avanzata non solo dai portavoce del MoVimento 5 Stelle, non solo da parte dei cittadini interessati ma da un'intera nazione che voglia definirsi civile. Occorre che il Governo dia delle risposte immediate per interrompere il pagamento di queste notifiche recapitate alle famiglie e garantisca una volta per tutte il diritto all'istruzione degli studenti con disabilità.

(Iniziative di competenza volte a garantire la riapertura del Museo storico Alfa Romeo di Arese (Milano) in vista di Expo 2015 – n. 2-00510)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Rampi n. 2-00510, concernente iniziative di competenza volte a Pag. 26garantire la riapertura del Museo storico Alfa Romeo di Arese (Milano) in vista di Expo 2015 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      L'onorevole Cimbro ha facoltà di illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmataria.

      ELEONORA CIMBRO. Signor Presidente, sottosegretario, nell'area ex Alfa di Arese, all'interno dell'ex stabilimento Alfa Romeo, vi è un museo dedicato ad automobili, locomotive e trattori, che ospita anche foto d'epoca e manifesti promozionali raccolti dal centro documentazione storica; racconta il passato di un territorio e la storia di un marchio che ha fatto grande l'Italia nel mondo e che, ancora oggi, gode di un prestigio che pochi altri hanno. Dall'inizio del 2011 il museo è stato chiuso al pubblico, mentre la volontà delle amministrazioni comunali è quella di ottenerne una riapertura, come confermano i comuni di Arese e Rho, anche a seguito di una serie di incontri avuti con i rappresentanti di FIAT, nel rispetto del vincolo della sovrintendenza dei beni culturali sull'area a tutela del patrimonio e della sua localizzazione. In particolare, in vista di Expo 2015, il museo potrebbe rappresentare la storia industriale della Lombardia e dell'Italia e sarebbe in grado, con una giusta riqualificazione, di diventare polo di attrazione turistica e di sviluppo per l'area interessata.
      La sua riapertura potrebbe essere una grande occasione per rilanciare la tradizione industriale del made in Italy, oltre a rappresentare il potenziale volano della riqualificazione dell'area ex Alfa Romeo, intorno alla quale ricostruire un nuovo e virtuoso sistema territoriale. FIAT si è dichiarata assolutamente disponibile e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sta valutando le prescrizioni in materia di rispetto delle caratteristiche storico-artistiche del sito. Si chiede quindi al Ministero di sapere quali siano le iniziative da intraprendersi da qui in avanti affinché venga rispettata la tempistica per fare in modo che il museo possa essere riaperto in vista di Expo, perché riteniamo che questa sia un'occasione assolutamente fondamentale; chiediamo anche che si riapra subito, proprio perseguire e raggiungere questo obiettivo, un tavolo che veda la sovrintendenza, la regione, il Ministero e il territorio, per trovare il prima possibile una soluzione.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo, Ilaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua, ha facoltà di rispondere.

      ILARIA CARLA ANNA BORLETTI DELL'ACQUA, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo. Signor Presidente, relativamente all'interpellanza parlamentare Rampi n. 2-00510, con la quale gli onorevoli interpellanti chiedono quali iniziative intenda intraprendere questo Ministero per la riapertura del museo ubicato all'interno dell'ex stabilimento Alfa Romeo, nell'area ex Alfa di Arese, comunico quanto segue.
      Premetto che il Ministero è pienamente consapevole dell'importanza non solo culturale, ma anche economica e sociale del marchio Alfa Romeo, nella convinzione che il futuro di tale glorioso marchio dell'industria italiana, celebre nel mondo, sia strettamente connesso alla tutela e alla valorizzazione della sua memoria storica. Ricordo poi che il museo dell'ex stabilimento Alfa Romeo – denominato Museo Storico Alfa Romeo, situato non nel comune di Arese, ma all'interno del territorio comunale confinante di Rho (l'ambito dell'ex area industriale comprende, infatti, ben quattro comuni contermini, ovvero Arese, Garbagnate, Lainate e Rho), è compreso nel provvedimento di tutela denominato «Rho (Mi) – ex fabbrica di automobili Alfa Romeo di Arese, porzione di compendio immobiliare denominata Centro direzionale Alfa Romeo, porzione adibita a museo storico ed annessi, ovvero autofficina, centro documentazione – archivio storico, uffici direzionali, siti in viale Alfa Romeo, e censito in catasto al Foglio 1, mappale 11, parte del Comune di Rho. Museo storico Alfa Romeo e Pag. 27Archivio denominato centro documentazione – archivio storico Alfa Romeo».
      Il provvedimento di tutela ...mi scuso, onorevole: purtroppo ho un abbassamento di voce e non posso fare più di così; quindi, spero che lei riesca a sentirmi. Il provvedimento di tutela è stato emanato, con decreto del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, in data 31 gennaio 2011, su istanza del comune di Arese. In forza di tale decreto, i suddetti beni sono stati dichiarati d'interesse storico particolarmente importante, ai sensi degli articoli 10, comma 3, lettere b), d) ed e), 13 e 128 comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio; e, quindi, sottoposti a tutte le disposizioni di tutela previste dalla normativa specifica.
      In data 8 febbraio 2011, il Gruppo FIAT, proprietario tanto degli immobili quanto dei beni storico-artistici e archivistici in essi contenuti, ha dovuto procedere alla chiusura del Museo, segnalando la necessità di opere di manutenzione straordinaria. Nella primavera immediatamente successiva, il medesimo Gruppo ha presentato ricorso al TAR Lombardia avverso la dichiarazione di interesse culturale particolarmente importante emanata dal direttore regionale con il citato decreto del 31 gennaio 2011, per ottenerne l'annullamento.
      Negli ultimi tre anni, il gruppo proprietario ha intrapreso alcune operazioni di pronto intervento e ha presentato un progetto di riorganizzazione delle raccolte museali e della documentazione archivistica, oltre ad un adeguamento impiantistico dell'edificio, su cui la direzione regionale ha chiesto, con nota n.  3024 del 22 marzo 2012, alcuni chiarimenti ed integrazioni per poter procedere alla valutazione della proposta.
      Tengo a segnalare come il dialogo, invero non sempre facile, fra la proprietà, la direzione generale del Ministero e le amministrazioni locali abbia sempre mirato all'obiettivo di determinare gli strumenti di concertazione e di accordo utili per la valorizzazione del compendio tutelato, soprattutto in vista dell'evento Expo 2015, che si terrà a soli 7 chilometri di distanza.
      Nell'aprile 2013 il Gruppo FIAT diventa global partner di Expo 2015, e la Direzione regionale si attiva per auspicare un coinvolgimento del Museo storico Alfa Romeo nella sponsorizzazione del gruppo FIAT all'evento Expo 2015, scrivendo alla società Expo 2015 Spa e a tutti gli enti territoriali coinvolti, fra cui il comune di Rho, e chiedendo di valutare la riapertura e la valorizzazione del Museo, all'interno delle iniziative previste nel suddetto accordo. Successivamente il Gruppo FIAT, nel luglio 2013 chiede l'attivazione, da parte della regione Lombardia, di un tavolo di concertazione con la direzione regionale, per la valorizzazione del compendio. In tale sede il Gruppo FIAT ha proposto di attingere le risorse economiche necessarie alla realizzazione del progetto di riqualificazione del museo dall'alienazione di alcuni elementi della raccolta museale, che la società considera doppioni di modelli già presenti nella raccolta. Lo scopo della concertazione è apparso, pertanto, quello di pervenire ad una possibile revisione del provvedimento di tutela, sulla scorta della presentazione di un progetto di riqualificazione complessiva dell'area complessiva.
      La direzione regionale si è resa disponibile a valutare la proposta progettuale di riqualificazione dell'ex centro direzionale Alfa Romeo presentata nel tavolo di concertazione, e lo scorso gennaio 2014 è stato espresso un parere favorevole ad un primo studio di fattibilità. Tale parere è, inoltre, corredato da una serie di suggerimenti per l'approfondimento progettuale della proposta, utili per una più veloce redazione degli elaborati, proprio in vista dell'approssimarsi dell'evento Expo 2015.
      Tutto ciò premesso, concludo segnalando che il Ministro ha sollecitato l'amministrazione a proseguire il percorso di concertazione con la proprietà e le amministrazioni locali e ad adottare i più opportuni provvedimenti che consentano di ottenere l'obiettivo, da tutti condiviso, Pag. 28della riqualificazione del prestigioso museo e della sua riapertura al pubblico in tempo per l'Expo 2015.

      PRESIDENTE. L'onorevole Rampi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

      ROBERTO RAMPI. Signor Presidente, direi che siamo parzialmente soddisfatti.
      Il punto credo sia questo: la risposta dimostra con puntualità cose che peraltro conoscevamo, che si sta seguendo con attenzione da parte del Ministero e degli organi competenti questa vicenda. Ora però noi siamo a meno di un anno dall'inizio di Expo, quindi siamo in uno di quei casi in cui la politica deve fare quel pezzo di straordinario rispetto all'ordinario che seguirebbe normalmente.
      Noi crediamo che su questo, anche col contributo dei parlamentari del territorio – numerosi parlamentari hanno firmato questa interpellanza – possiamo provare ad attivarci perché il territorio, i comuni del territorio, la regione facciano veramente fino in fondo la loro parte.
      Credo, sottosegretario, che se il Ministero vuol convocare un tavolo straordinario, un appuntamento a Milano, a Rho, possibilmente addirittura in loco, così vediamo anche materialmente le condizioni di questo museo, noi possiamo provare a dare un'accelerazione a questo processo. Credo che tutti ci auguriamo che Expo sarà un momento in cui tutto il mondo verrà in Italia ed il marchio Alfa Romeo è una di quelle ragioni per cui noi siamo noti nel mondo. Ci troviamo a 7 chilometri da Expo e sarebbe un peccato non cogliere quell'occasione.
      Per cui, proviamo tutti insieme a fare uno sforzo e ad accelerare i tempi, ecco mi verrebbe da dire, usiamo il marchio Alfa Romeo anche per coglierne la velocità che in questo momento davvero ci serve e diamo un'accelerazione a questo obiettivo da raggiungere.

      PRESIDENTE. La ringrazio anche per la sintesi che la Presidenza apprezza sempre.

(Iniziative urgenti per la salvaguardia del patrimonio archeologico, ambientale e naturalistico di Teulada (Cagliari), in relazione alle attività del poligono militare – n. 2-00517)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Pili n. 2-00517, concernente iniziative urgenti per la salvaguardia del patrimonio archeologico, ambientale e naturalistico di Teulada (Cagliari), in relazione alle attività del poligono militare (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo all'onorevole Pili se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      MAURO PILI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, tra l'altro già presidente del Fondo ambiente italiano, immagino che non sia sfuggito al rappresentante del Governo, e a voi tutti, la delicatezza e la gravità nello stesso tempo delle questioni sollevate in questa interpellanza urgente.
      Oso sperare che il Governo abbia valutato con la giusta attenzione le risposte che riterrà di dover dare anche alla luce delle puntuali e circoscritte denunce che vengono fatte in questa interpellanza. E mi permetto di premettere che non ci si può attendere dal Governo una riconduzione ad una risposta di un semplice atto di sindacato ispettivo. Guai se questo Governo, rappresentante dello Stato italiano, avesse pensato di rispondere a questo atto di sindacato ispettivo con qualche appunto di ovvietà e di burocratica memoria.
      Lo dico in premessa, onorevole sottosegretario, perché vorrei essere chiaro e le chiedo anche di perdonare la franchezza con la quale illustrerò questa mia interpellanza. In Sardegna, dalle basi militari alle fabbriche chiuse per volontà e incapacità dello Stato, non abbiamo più voglia di attendere. Non abbiamo neanche più voglia di ascoltare le parole al vento: premesse e promesse, vacue le prime, vane le seconde.
      Se pensa, onorevole sottosegretario, che la risposta che le è stata fornita dal suo Pag. 29Ministero e dal Ministero della difesa e da quello dell'ambiente, sia inadeguata alla questione che è stata posta, telefoni al Presidente del Consiglio, chiami Renzi – che da poco ha lasciato piazza della Signoria a Firenze per approdare al Colosseo di Roma – e gli chieda: se bombardassero a colpi di missile la sua piazza della Signoria a Firenze o se bombardassero a colpi di missile anticarro il Colosseo, cosa farebbe il Governo ? Cosa farebbe un Governo serio, un Governo credibile, uno Stato che non è vigliacco nei confronti della sua terra e delle sue regioni ? Glielo dico io cosa dovrebbe fare, in premessa, cosa farebbe un Presidente del Consiglio: non farebbe mai avvicinare alla periferia di Firenze un solo carro armato e farebbe intervenire l'esercito per bloccare qualsiasi incursione vandalica verso il patrimonio culturale, archeologico, paesaggistico di Firenze e di Roma.
      Il Colosseo ha quasi 2 mila anni di storia, si trova nella capitale dello Stato italiano. Recentemente i sindaci di Roma, di centrodestra e di centrosinistra, per evitare danneggiamenti di immagine hanno persino vietato la presenza di figuranti vestiti da centurioni nelle periferie e nelle vie adiacenti al Colosseo.
      Hanno vietato il traffico e di qui a poco sarà interdetto il passaggio anche delle auto, provvedimento voluto dalla sovrintendenza di Stato per tutelare la storia e l'archeologia dell'antica civiltà romana.
      La prima domanda è questa, sottosegretario: la Sardegna, secondo voi, fa parte dello Stato italiano ? Perché questo è il tema dirimente. I sardi sono alla pari dei fiorentini e dei romani ? Hanno diritto, quanto i fiorentini e i romani, alla tutela dei beni artistici, architettonici, paesaggistici, ambientali e naturalistici ?
      Se così fosse, lei stamani non dovrebbe perdere molto tempo nel rispondermi. Dovrebbe dire che il Governo ha deciso di fermare la devastazione ambientale, archeologica e naturalistica della Sardegna. C’è solo una risposta che potete dare, che è questa, perché di questo si tratta.
      A Teulada, in uno dei tratti più affascinanti e straordinari d'Italia e d'Europa, del Mediterraneo, si prendono di mira le coste, le nostre emergenze ambientali, i nostri tesori naturalistici e li si bombarda, mattina, sera e notte. Li si bombarda a colpi di missile di ogni genere, da quelli con l'uranio impoverito a quelli anticarro; si bombarda dal cielo, da terra e da mare sulle nostre più importanti emergenze naturalistiche e ambientali, ma anche qualcosa di più che affronterò nel corso di questa illustrazione.
      Lo fa lo Stato italiano con la NATO, che prende di mira le coste della Sardegna, coste vietate tutto l'anno, perché non è vero che c’è un periodo in cui ci si esercita e un periodo in cui – ad agosto, per esempio – si può andare a fare il bagno; infatti, lungo tutto quel tratto di costa ci sono dei cartelli che annunciano, unico caso al mondo penso, «pericolo di ordigni inesplosi». Lei, sottosegretario, andrebbe a fare una passeggiata, a farsi il bagno in un territorio che magari ha dismesso per un mese le esercitazioni ma dove ci sono cartelli che inneggiano al «pericolo di ordigni inesplosi» ?
      Tutto questo capita in Sardegna, in quella che dite, a parole, essere la terra più bella, più affascinante e più straordinaria sul piano ambientale. Ci sono ordigni inesplosi sulle spiagge, in mare e sulle coste. A Teulada sono dispiegati centinaia di carri armati, i più moderni, quelli più devastanti, carri armati veri che sparano da terra e da mare segnando in modo indelebile quel patrimonio ambientale. Sparano ovunque, lasciando segni devastanti del loro passaggio nel paesaggio sardo.
      Teulada è considerato da tutte le carte, da tutti i regolamenti comunitari, dai siti di interesse comunitario per arrivare ad Habitat 2000, al piano paesaggistico regionale e a tutte le letture fatte nella storia recente dei piani paesaggistici, un territorio di massima tutela.
      In realtà, è tutto un inganno e questo Stato ne è complice. Ed è questo Stato che imbroglia sé stesso perché, da una parte, mette vincoli e, dall'altra, viola quei vincoli a colpi di bombe, carri armati e bombardamenti di ogni genere.Pag. 30
      L'Europa, che mette vincoli, ha scaricato in Sardegna una quantità di SIC (Siti di interesse comunitario) abnorme, è forse la terra più gravata da questo grado di tutela. Ebbene, proprio laddove ci sono i SIC – 22 settori sono stati individuati all'interno della massima tutela europea – si bombardano tutte le emergenze ambientali.
      E poi ci sono i signori del suo Ministero, li chiamano sovrintendenti, quelli che dovrebbero stare sopra tutti per tutelare l'ambiente e il patrimonio archeologico e artistico del nostro Paese. Sono quelli che fanno chiudere l'anfiteatro di Cagliari perché sostengono che ci sia qualche legno di troppo. Quelli che dovrebbero e vorrebbero scegliere il colore della facciata di casa e che stranamente non si accorgono che in Sardegna si bombardano le emergenze archeologiche, ambientali e naturalistiche. Non se ne accorgono, non sanno dov’è Teulada, non sanno cosa c’è lì dentro; per decenni è stato omesso e in questa interpellanza, con longitudine puntuale, sono stati identificati punto per punto.
      Lei ha mai sentito parlare di Porto Zafferano ? Si informi. Sabbia bianca, finissima, circondata da ginepri. In Sardegna se un sardo passa in bicicletta su quelle dune e vicino a quei ginepri, lo arrestano. Se uno di noi toccasse un ginepro, la forestale lo tradurrebbe immediatamente nelle patrie galere, perché questo è quello che dispongono le leggi, le norme.
      I ginepri sono intoccabili e qualsiasi cittadino si azzardi a sfiorarli viene immediatamente tradotto nelle patrie galere. Ebbene, lo Stato italiano e l'intoccabile NATO bombardano i ginepri, le coste e quelle spiagge. Non passano in bicicletta, passano con i carri armati e le immagini eloquenti che tra poco presenterò sono la rappresentazione drammatica di quello che è successo lì. Un sito, quello di Teulada, è precluso dalla zona militare ma ha ventidue habitat di interesse comunitario, di cui 5 prioritari, 35 specie naturalistiche in via di estinzione, che vengono protette, e che invece sono alla mercé della NATO e dell'esercito italiano.
      7.200 ettari di terreno recintati, 75 mila ettari interdetti all'utilizzo da parte dei cittadini e dello spazio aereo inutilizzabile, 75 mila ettari. Ma cos’è Teulada ? Teulada, secondo le ricostruzioni del professore Giovanni Lilliu, accademico dei Lincei, uno dei maestri insigni della civiltà nuragica, Teulada e la sua fondazione si perde nella notte dei tempi, probabilmente – dice Lilliu – agli inizi dell'epoca nuragica, come sembra testimoniare la presenza di nuraghi su quel territorio.
      Ma dove sono questi nuraghi ? I nuraghi, per fare il parallelo tra Piazza della Signoria e il Colosseo, hanno oltre 3.500-4.000 anni di storia. Il Colosseo ha 2.000 anni di vita, i nuraghi in Sardegna, la civiltà nuragica ha quasi 4.000 anni di storia e ha una condizione assolutamente straordinaria perché è l'unica civiltà megalitica nel Mediterraneo di quelle proporzioni con quella datazione.
      Ebbene, nessuno si è accorto che, dentro quella base militare, ci sono 16 nuraghi e c’è un costellato di nuraghi che è stato omesso e che viene sistematicamente bombardato, quotidianamente bombardato. Perché, se arriva un centurione davanti al Colosseo, lo mandano via e, invece, se arrivano centinaia di carri armati davanti alla civiltà nuragica, davanti a quel paesaggio, davanti e dentro quel patrimonio ambientale, nessuno dice niente ? Io ho enunciato nell'interpellanza la catena difensiva nuragica presente in quella costa, utilizzando anche tutte le nuove tecniche georeferenziali, da questo punto di vista, e uno straordinario progetto denominato «NURNET», che ha sovrapposto, sul piano satellitare, la riconoscibilità geografica e morfologica del territorio insieme a quella della civiltà nuragica e ha stabilito che lì dentro, dentro quel sito, ci sono sedici nuraghi, che vengono sistematicamente e quotidianamente sottoposti a bombardamenti. Quindi c’è uno Stato, quello italiano, insieme alla NATO, che, mentre va a spendere il denaro degli italiani in giro per il mondo per salvaguardare Pag. 31giustamente i patrimoni archeologici di altri Paesi, in Sardegna, il patrimonio archeologico ambientale e naturalistico, fondamentale per un serio progetto di sviluppo alternativo alle servitù militari, viene bombardato. Ci sono gli elenchi: sono elencati latitudine e longitudine di sedici nuraghi. Perché il Ministero dei beni culturali, che vieta i centurioni davanti al Colosseo, consente che i carri armati passeggino, devastino ed esplodano mine e quant'altro davanti a questo patrimonio straordinario ? Tali compendi sono inaccessibili, ma mi permetterò, in replica, se la risposta sarà inadeguata, di mostrare le prove di quanto sta avvenendo in quel sito vietato.
      Ma mi domando per quale motivo dobbiamo credere ancora a quei signori che dicono che si fa in Sardegna quel presidio militare perché siamo di fronte a lande desolate. Lo leggo dai verbali di questi ultimi vent'anni delle Commissioni di inchiesta, produttrici di carta da strapazzo e da macero, che hanno definito la scelta di collocarle lì perché si trattava di aree desertiche, aree marginali e aree prive di utilità.
      In Sardegna non esistono aree marginali. Il paesaggio non è una visione effimera e lei, che ne ha avuto la responsabilità, la competenza e l'interesse rispetto anche alla sua precedente attività, sa bene che il paesaggio non può essere ricondotto ad un'area marginale. È che vi sono elementi che mi inducono a pensare che, se in Sardegna vi sono 24 mila ettari bloccati per le servitù militari, quando in Italia ce ne sono 16 mila, quando in Sardegna c’è il 3 per cento della popolazione italiana e vi è collocato il 60 per cento delle servitù militari, qualcosa non funzione. Qualcosa non sta creando le condizioni perché vi siano delle risposte e, quindi, credo sia assolutamente indispensabile chiedere di bloccare immediatamente, con somma urgenza, tutte le esercitazioni in quel sito, verificare quello che è successo, predisporre un immediato piano di bonifica, stanziare almeno un miliardo di euro per bonificare e fare ripristinare quello status naturale e ambientale, che in una terra come la Sardegna, non può essere depredato, non può essere violentato da chi pone delle regole che, invece, vengono sistematicamente eluse.
      Il suo Ministero ha una responsabilità precisa e deve procedere a dare alla procura della Repubblica e a tutti gli enti preposti questi dati, perché si proceda a bloccare e ad individuare quelle responsabilità penali che sono nella devastazione ambientale, una devastazione di Stato sul piano archeologico, ambientale e naturalistico.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo, Ilaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua, ha facoltà di rispondere.

      ILARIA CARLA ANNA BORLETTI DELL'ACQUA, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo. Signor Presidente, mi riferisco all'interpellanza urgente con la quale l'onorevole Pili chiede al Governo opportuni interventi volti alla preservazione del patrimonio naturalistico e archeologico dell'area di Capo Teulada.
      A tale proposito, giova riferire che il poligono di Capo Teulada è un'area demaniale interamente di proprietà della Forza Armata, che l'ha acquistata negli anni Cinquanta, ed è ascritto al demanio militare, ramo esercito. L'amministrazione della difesa ha riferito che le attività a fuoco vengono condotte in sicurezza, secondo le normative addestrative in atto, e non prevedono che le zone «arrivo colpi» inglobino, in alcun modo, gli insediamenti nuragici presenti. Non risultano, al riguardo, danneggiamenti durante le attività di fuoco né lesioni da parte dei mezzi ruotati e corazzati utilizzati dalle unità in addestramento.
      A seguito dei lavori delle Commissioni parlamentari d'inchiesta della XIV e della XV legislatura, il Ministero della difesa ha provveduto ad adottare e proporre, ai fini della tutela ambientale, alcuni temperamenti, ed in particolare: la proposta di costituzione di uno specifico comitato permanente per la tutela ambientale, composto Pag. 32da membri civili e militari, allo scopo di assicurare il monitoraggio ambientale delle aree; l'integrazione del regolamento del poligono, al fine di realizzare specifiche attività volte alla salvaguardia e alla tutela ambientale.
      In tale quadro, in ambito difesa è stato elaborato uno specifico disciplinare per la tutela ambientale, finalizzato a comprimere l'impatto ambientale dell'area addestrativa, che dispone: il monitoraggio di tutte le componenti proprie dei poligoni (acqua, aria, suolo, flora e fauna); il censimento dei vari materiali di armamento in servizio/sperimentazione impiegati nei poligoni; misurazioni ambientali per la verifica dei livelli di inquinamento a cura di enti specializzati (CETLI e CISAM).
      Al riguardo, lo stesso Dicastero evidenzia che è in atto una proficua collaborazione tra i predetti enti tecnici della difesa e le agenzie regionali ARPAS e ISPRA per il monitoraggio radiologico delle zone «arrivo colpi». In particolare, il censimento dei materiali di armamento si estrinseca attraverso una scheda di sicurezza ambientale che contiene: i dati balistici del munizionamento e i principali componenti chimici degli elementi critici.
      In merito ai risarcimenti alle popolazioni e ai comuni, è stato evidenziato che, a seguito del protocollo d'intesa tra il Ministero della difesa e la regione Sardegna, agli operatori economici della pesca viene concesso un indennizzo per il fermo pesca relativamente alle giornate di sgombero e nella misura massima di 120 giornate all'anno.
      Il Ministero della difesa ha infine sottolineato come il poligono di Capo Teulada rappresenti per le Forze armate una risorsa unica sul territorio nazionale e quindi irrinunciabile per il mantenimento dell'operatività di tutte le armi/specialità, soprattutto a premessa nell'impiego nei teatri operativi.
      Le attività svolte sul poligono per caratteristiche balistiche non sono riconducibili a nessun altra area addestrativa sul territorio nazionale.
      Nei periodi di sospensione delle attività a fuoco (di norma 21 giugno – 20 settembre), il protocollo d'intesa con il comune di Capo Teulada consente l'accesso condizionato e controllato, da parte del comune stesso, ad alcune aree del poligono, dall'alba al tramonto.
      Sotto il profilo della tutela ambientale occorre precisare che la zona di addestramento ricomprende al suo interno, com’è noto, il sito di importanza comunitaria M3040024 «Isola Rossa e Capo Teulada», che è stato individuato con una prima perimetrazione nel 1997, dalle università incaricate dalla regione Sardegna.
      Il sito d'interesse comunitario è interamente compreso nel territorio del comune di Teulada e si estende per 3.713 ettari, sviluppati soprattutto a terra, anche se comprende una parte a mare prospiciente la costa. La quasi totalità della superficie del sito è sottoposta a vincolo militare; per questo, in data 1o dicembre 2000, è stato sottoscritto dal presidente della giunta regionale e dal generale comandante della regione militare della Sardegna un disciplinare d'uso relativo al poligono di Capo Teulada. Nel disciplinare d'uso, che risulta tuttavia scaduto nel dicembre del 2005, vengono definiti: gli enti utilizzatori dell'area, le esercitazioni effettuate, i limiti temporali, il modo di utilizzo, le servitù imposte ed i benefici per la popolazione locale.
      La regione Sardegna ha comunicato che con il decreto n.  103 del 26 novembre 2008, l'assessore della difesa dell'ambiente ha approvato il piano di gestione del sito di interesse comunitario «Isola Rossa e Capo Teulada». Tale piano è attualmente in fase di revisione e aggiornamento (l'approvazione è prevista entro il 2014), anche in considerazione delle difficoltà derivanti dall'esistenza di vincoli militari che determinano una problematica convivenza, nel medesimo territorio, di un poligono militare e di un sito di interesse comunitario.
      Ho espressamente premesso gli aspetti riferiti alla competenza delle amministrazioni chiamate a rispondere al presente atto parlamentare, per concludere con gli aspetti più propriamente pertinenti all'ambito di competenza dell'amministrazione che rappresento.Pag. 33
      Vorrei, a tale proposito riferire che è ben nota la grande importanza del territorio di Teulada che presenta una notevole quantità di emergenze archeologiche in un vasto arco cronologico. Dei monumenti nuragici citati nell'interpellanza in oggetto se ne conosce da tempo l'esistenza in quanto schedati e studiati.
      Si fa riferimento, in particolare, agli studi effettuati mediante il progetto denominato «Indagine conoscitiva sui beni culturali della Sardegna», un censimento realizzato nel periodo 1996-1999 dalla regione autonoma della Sardegna, ove sono confluiti i dati tecnico-scientifici relativi anche ai monumenti del territorio di Teulada, ivi comprese le emergenze archeologiche di età nuragica ubicate all'interno della zona militare nel cosiddetto poligono di Capo Teulada, normalmente non accessibile ai visitatori ed agli studiosi.
      Ci si riferisce allo studio preliminare del territorio, pubblicato a firma di Riccardo Cicilloni e Michela Migaleddu, Monumenti nuragici in territorio di Teulada: note preliminari, pagine 433-448; La civiltà nuragica – nuove acquisizioni, volume II del 2008; ed Atti del convegno di Senorbì (Mibac-Soprintendenza per i beni archeologici della Sardegna), ove gli studiosi segnalano che nell'area del comune di Teulada sono stati catalogati ben quarantotto nuraghi (di cui due del tipo «a corridoio», ventotto monotorri e quindici del tipo «complesso»). In particolare nella zona militare, vengono citati fra i meglio conservati nel territorio, il nuraghe «Montixeddu» ed il nuraghe «Maledetta», quest'ultimo in posizione strategica su tutta la piana circostante ed il vicino stagno.
      Si tratta, in particolare, di un nuraghe di tipo monotorre, costruito in conci poligonali in granito, caratterizzato dalla presenza di un rifascio. Certo, nel confermare la conoscenza, lo studio e la pubblicazione dei siti citati, che, nell'ambito degli studi archeologici, costituisce il lavoro scientificamente più importante, non si possono negare limitazioni alla tutela e all'esercizio di una regolare attività ispettiva, dovute alla legislazione vigente nelle aree di demanio militare, per quanto tutti i progetti relativi ad interventi edilizi previsti nell'area del poligono militare, quando presentati, sono stati esaminati per l'espressione del relativo parere di competenza e poi effettuati in sua conformità.
      Non può che concordarsi con l'onorevole interpellante circa il fatto che sarebbe auspicabile e necessaria una maggiore apertura alle verifiche ispettive e la disponibilità ad accedere ad adeguati finanziamenti per poter consentire di effettuare interventi di tutela, mirati alla salvaguardia e valorizzazione dell'importante patrimonio archeologico presente nel territorio di Teulada; in tal senso, questa amministrazione è impegnata attivamente in un dialogo con l'amministrazione della difesa.

      PRESIDENTE. L'onorevole Pili ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

      MAURO PILI. Signor Presidente, mi attendevo che l'abbassamento di voce del sottosegretario non sconfinasse nel silenzio assoluto, non per il suo tenore di voce, ma per l'assoluta mancanza di una risposta che possa essere, come tale, definita. Come si può pensare di affermare, da una parte, come Ministero dei beni e delle attività culturali, che lì dentro vi sono emergenze archeologiche, e, dall'altra, affermare che l'amministrazione della difesa sostiene di gestire quel patrimonio con «condotta in sicurezza» !
      È talmente spropositata l'affermazione che il sottosegretario ha fatto in quest'Aula che lascia davvero interdetti il buonsenso e il senso di responsabilità che dovrebbe avere uno Stato. Si bombarda, si usano bombe, vi sono missili anticarro che partono da una parte e dall'altra. Ma qual è la condotta in sicurezza dei beni archeologici ? È uno «Stato struzzo», che sta mettendo la testa sottoterra per non prendere atto che vi è un disastro di Stato compiuto con le mani di Stato in quel territorio.
      Quando si dice e quando il Ministero della difesa le scrive che «stiamo per costituire un comitato, dei comitati, per Pag. 34fare un comitato che servirà a vagliare, attraverso un ulteriore comitato, la salvaguardia ambientale», ma di cosa stiamo parlando ? Ma di quale norma stiamo parlando ? Voglio semplicemente citare quello che è scritto in un passaggio nevralgico della norma di tutela paesaggistica per quel sito. Essa prevede: Nei complessi simili dunali con formazioni erbacee e nei ginepreti – il piano SIC di quell'area afferma che quel territorio è totalmente riempito di ginepri – sono vietate le installazioni temporanee ed è vietato l'accesso motorizzato, nonché i flussi veicolari e pedonali.
      Vi è scritto, cioè, che è vietato l'intervento dell'uomo sia a piedi che motorizzato. Ma qual è la condotta in sicurezza ? Qual è il disciplinare per restringere ? O si bombarda o non si bombarda, non vi è un'alternativa a questo aspetto. E la misurazione ambientale dice che avviene con la collaborazione dell'ARPAS e dell'ISPRA. Se fosse vero, i colpevoli non sarebbero soltanto al Ministero della difesa, ma vi sarebbe una palese omissione da parte di quei soggetti preposti alla tutela ambientale. I dati sono emblematici: il censimento delle schede ambientali, che vengono richiamate, è falso, non esiste. Non ci entra nessuno, non vi è un sopralluogo da decenni dentro quell'area e lei ha citato dei dati, rispetto a quei due nuraghi, totalmente infondati, perché non vi è stato mai alcun sopralluogo, in questi ultimi decenni, in quell'area.
      Non conoscete niente di quel territorio, non conoscete un singolo nuraghe, non ci sapete arrivare nemmeno con le mappe satellitari, perché si bombarda e lì intorno capita di tutto. E quando sento dire che si arriverà al censimento di tutto quello che è stato bombardato, di tutto quello che è stato disperso in termini di munizioni, di armamenti in quell'area, mi domando: ma allora perché ci sono quei cartelli che segnalano che ci sono esplosivi non esplosi ? Per quale motivo ? E per quale motivo non davanti al Colosseo, o a Pompei, o in Piazza della Signoria ? Perché non fate fare un'esercitazione lì ? Duemila anni di storia ha il Colosseo, quattromila anni di storia, ma dove sono le distanze di sicurezza che voi mettete per qualsiasi minima attività ?
      Le sovrintendenze vanno a «rompere le scatole» a qualsiasi sindaco perché non tiene la distanza di sicurezza dal bene identitario identificato. Per fare che cosa ? Per fare un fuoco d'artificio magari, giustamente. Ma qui si bombarda, si usano missili Milan anticarro di produzione italiana dell'Oto-Melara che vengono utilizzati quotidianamente per dare, appunto, quella risposta in quei termini. Ebbene, credo che sia questa la denuncia che mi sento di fare.
      Voi, Ministero, siete responsabili di tutto questo, avete pensato che la Sardegna sia la discarica da una parte dei vincoli ambientali e naturalistici e, dall'altra, la discarica di missili, di armamenti, di esercitazioni. Avete collocato in Sardegna il massimo della tutela dei divieti che colpiscono i sardi, lo sviluppo economico, e avete scaricato su quella terra il massimo delle esercitazioni militari.
      Il Ministero dice: concordiamo con l'interpellante sulla necessità di limitazione alla tutela, che sono auspicabili le verifiche. Io mi domando: come si possono fare queste affermazioni ? Io nei giorni scorsi sono entrato nella base militare di Teulada, sono entrato forse senza autorizzazione svolgendo probabilmente quello che è un atto di sindacato ispettivo sul posto, un'indagine personale per capire quello che succedeva, se si riusciva a identificare la massima tutela che dice la difesa dei beni archeologici ambientali. Non è così, perché di fronte a quel nuraghe, che lei ha richiamato, io ho rinvenuto questo (Mostra un oggetto di forma cilindrica), che è una testata missilistica esplosa dell'Oto-Melara...

      PRESIDENTE. Onorevole Pili, non può esporre queste cose in Aula ! Onorevoli Pili, la richiamo all'ordine !

      MAURO PILI. È un euromissile che è stato sostanzialmente...

      PRESIDENTE. Onorevole Pili, la richiamo per la seconda volta !

Pag. 35

      MAURO PILI. ...utilizzato, è stato messo a disposizione e che io consegnerò stamane alla Procura della Repubblica...

      PRESIDENTE. Grazie. Prego gli assistenti di toglierlo dal banco (Gli assistenti parlamentari ottemperano all'invito del Presidente).

      MAURO PILI. ...perché credo che sia assolutamente necessario far capire che questo Stato, questo Governo, stanno cancellando la grande civiltà nuragica, il rispetto di una terra che merita come tutte le altre regioni italiane, il rispetto, la massima sensibilità ambientale e naturalistica.

(Iniziative volte a garantire l'erogazione del contributo straordinario a favore della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova come stabilito dalla legge n.  350 del 2003 – n. 2-00524)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Carocci ed altri n. 2-00524, concernente iniziative volte a garantire l'erogazione del contributo straordinario a favore della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova come stabilito dalla legge n.  350 del 2003 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo all'onorevole Carocci se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      MARA CAROCCI. Signor Presidente, cercherò di essere sintetica e, quindi, non racconterò la storia del Teatro Carlo Felice che la sottosegretaria sicuramente conosce bene. Farò riferimento in particolare a due leggi: una è la legge n.  350 del 2003 e l'altra la n.  112 del 2013.
      Più marcatamente parlerò della legge n.  350 la cosiddetta «legge Genova» che stabilisce che dal 2004, anno in cui Genova è stata nominata capitale europea della cultura, una quota fissa ripetibile, e non percentualizzata di 2.500.000 euro sia mantenuta a sostegno del Teatro Carlo Felice in aggiunta al riparto del Fondo unico per lo spettacolo. Tuttavia a partire dal 2010 tale contributo, stabilito per legge, ha subito una riduzione improvvisa di circa il 40 per cento arrivando a 1.128.000 mila euro nella scorsa stagione.
      Quest'anno, un'ulteriore significativa riduzione per accantonamenti ha portato il Fondo a 888 mila euro. Però la legge n.  350 è tuttora in vigore; lo stanziamento originale di 2 milioni 500 mila euro non è stato modificato; le riduzioni sono dovute solo ad accantonamenti stabiliti anno per anno.
      Veniamo adesso alla legge n.  112, la cosiddetta legge Bray. Secondo le stime si rischia una decurtazione per il riparto del Fondo unico dedicato al Carlo Felice di ulteriori 650 mila euro; questo in quanto l'incentivo del 5 per cento del FUS destinato alle fondazioni cosiddette virtuose potrebbe quest'anno non arrivare al Carlo Felice. Mi spiego: occorre avere il bilancio in pari per tre anni consecutivi. Il pareggio di bilancio è stato raggiunto dal Carlo Felice nei due anni scorsi e quest'anno sarebbe raggiungibile se non vi fossero le decurtazioni di cui sopra ho parlato.
      Quindi, sintetizzando al massimo, ricordo ancora che nel dicembre 2013 ai teatri di Firenze e di Trieste sono stati erogati 7 milioni di euro. Gli ulteriori 18 del Fondo unico per lo spettacolo saranno divisi tra le restanti 6 fondazioni, che, come è evidente, non beneficeranno del trattamento riservato alle prime due.
      Appare, dunque, chiaro come il ripristino della quota originale prevista dalla legge n.  350 rappresenterebbe un apporto fondamentale nel percorso virtuoso di ristrutturazione intrapreso dalla fondazione. Chiedo, quindi, quali iniziative il Governo intenda adottare perché lo stanziamento originale previsto dalla legge Genova venga erogato nella sua totalità, comprese le quote decurtate per accantonamento. Senza questo difficilmente la fondazione del Teatro Carlo Felice riuscirà ad arrivare al pareggio di bilancio.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il Pag. 36turismo, Ilaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua, ha facoltà di rispondere.

      ILARIA CARLA ANNA BORLETTI DELL'ACQUA, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo. Signor Presidente, mi riferisco all'interpellanza con la quale l'onorevole Carocci chiede notizie in merito allo stanziamento destinato al Teatro Carlo Felice di Genova.
      Ricordo che, come richiamato dall'onorevole interpellante, la fondazione Teatro Carlo Felice di Genova, ai sensi dell'articolo 4, comma 162, della legge 24 dicembre 2003, n.  350 – legge finanziaria 2004 –, a decorrere dall'anno 2004, era destinataria di un contributo annuo pari a 2 milioni 500 mila euro. Tuttavia – come è ben noto all'onorevole interpellante – nel corso degli anni il contributo inizialmente così determinato dalla legge è stato gradualmente ridotto, in ragione delle esigenze di finanza pubblica, ad opera di successivi provvedimenti di finanza pubblica, subendo un destino comune a tutte le disposizioni di spesa di uguale natura.
      Anche per il 2014, con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 27 dicembre 2013, è stato disposto, in sede di ripartizione in capitoli delle unità di voto parlamentare relative allo stato di previsione della spesa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Tabella n.  13 – del bilancio di previsione dello Stato, uno stanziamento ridotto sul capitolo 6650, pari ad euro 915.247, ulteriormente rideterminato, a seguito di accantonamento, in 883.037 euro.
      La possibilità di ripristinare l'originario importo deve essere valutata, come è noto, alla luce delle norme in tema di risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche, che intendono ora affrontare in maniera più complessiva e mirata il problema dell'equilibrata gestione economico-finanziaria dei teatri in crisi.
      La fondazione teatro Carlo Felice di Genova, trovandosi nelle condizioni previste all'articolo 11, comma 1, della legge 7 ottobre 2013, n.  112, «... in quanto impossibilitata a far fronte ai debiti certi ed esigibili da parte di terzi», ha comunicato, il 6 dicembre scorso, formale adesione alla procedura prevista dall'articolo 11, comma 1 ed il successivo 21 dicembre, ha presentato formale richiesta di anticipazione a valere sul comma 9 del medesimo articolo 11, allo scopo di far fronte alla grave emergenza finanziaria.
      Il comma 20-bis della disposizione in parola, nell'ambito dei nuovi criteri di ripartizione del Fondo Unico per lo Spettacolo destinato alle fondazioni lirico-sinfoniche di cui al precedente comma 20, ha previsto che per il triennio 2014-2016 una quota del 5 per cento dello stesso fondo sia destinata alle fondazioni che abbiano raggiunto il pareggio di bilancio nei tre esercizi finanziari precedenti: tale norma bilancia la previsione di fondi speciali previsti dalla stessa legge n.  112/2013 a favore delle fondazioni in stato di crisi, e quindi solo impropriamente si può parlare di riduzione del 5 per cento del fondo destinato alle fondazioni, né tantomeno si può quantificare l'incidenza di questa riduzione sullo stanziamento finale proveniente dal FUS che verrà assegnato alla fondazione teatro Carlo Felice di Genova per il 2014.
      Allo stato attuale il Commissario straordinario del Governo, Pier Francesco Pinelli, ha proceduto all'esame del piano di risanamento presentato dalla fondazione ed in particolare ne ha verificato il rispetto delle speciali condizioni, previste dal comma 9, per l'ottenimento dell'anticipazione. Pertanto è stata predisposta a favore della fondazione l'erogazione di euro 3.103.164,00.
      Allo stato, peraltro, essendo la determinazione del contributo complessivo a valere sui fondi rotativi di cui al citato articolo 11 in fase finale di istruttoria e valutazione da parte del Commissario straordinario, è prematuro emettere un giudizio sulle prospettive generali del teatro Carlo Felice, che nonostante la riduzione dello stanziamento del contributo straordinario previsto dalla cosiddetta Pag. 37«legge Genova», potrebbe fruire di un flusso di risorse atte a superare la crisi strutturale dell'ente.
      Si fa presente, infine, che con decreto 20 febbraio 2014 è stata disposta l'erogazione della prima rata a valere sul FUS a favore della fondazione in parola, per l'importo di euro 6.279.950,58.

      PRESIDENTE. L'onorevole Carocci ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

      MARA CAROCCI. Signor Presidente, sono parzialmente soddisfatta, perché è vero che avremo un flusso di risorse che si spera siano atte a superare la crisi, ma le previsioni che stiamo facendo ci dicono che comunque, senza un ripristino del fondo della legge Genova, sarà molto difficile, nonostante i sacrifici che già sono stati fatti dai lavoratori del teatro stabile di Genova, che – vorrei ricordare – per due anni ha attuato i contratti di solidarietà al 40 per cento, credo caso unico in Italia.
      Uno dei punti critici è infatti la prevista possibile riduzione degli organici. Ora, il teatro di Genova è il più grande d'Italia ed è quello che già ad oggi ha il minor numero di addetti. Già adesso è difficile mettere in scena gli spettacoli. Riducendo ulteriormente il personale, come si dovrebbe fare per accedere ai fondi della legge Bray, si rischierebbe di non garantire né la messa in opera degli spettacoli né le misure minime di sicurezza per gli addetti ai lavori.
      Io invito veramente la sottosegretaria, se vuole, a venire a visitare il teatro, a prendere visione personalmente delle strutture sceniche, che sono uniche in Europa. Abbiamo un teatro unico, vengono da noi da tutta Europa per copiarlo e noi ne rischiamo la chiusura, rischiamo la chiusura di una realtà culturale veramente unica in Italia e in Europa.
      Per questo chiedo se è possibile un ulteriore intervento presso il MEF per recuperare i crediti della «legge Genova».

(Rinvio dell'interpellanza urgente Cominelli – n. 2-00478)

      PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Cominelli n. 2-00478 è rinviato ad altra seduta.

(Intendimenti in merito alla richiesta avanzata da ENEL in ordine alla prosecuzione dei lavori per la riconversione della centrale termoelettrica di Porto Tolle, in provincia di Rovigo – n. 2-00499)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Crivellari n. 2-00499, concernente intendimenti in merito alla richiesta avanzata da ENEL in ordine alla prosecuzione dei lavori per la riconversione della centrale termoelettrica di Porto Tolle, in provincia di Rovigo (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo all'onorevole Crivellari se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      DIEGO CRIVELLARI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la storia della centrale ENEL di Porto Tolle è una storia lunga quarant'anni, la storia di un insediamento industriale, di un sito produttivo che ha segnato in profondità il modello di sviluppo di un vasto territorio come quello del Polesine e in particolare del suo delta. Una centrale capace di generare l'8 per cento del fabbisogno energetico nazionale, sorta in un territorio di straordinaria valenza ambientale, ma dove si emigrava e si emigra tuttora per lavoro. La centrale del delta, acqua, terra e manodopera, le grandi risorse del Polesine, per citare il significativo titolo di una monografia del sindacalista polesano Bruno Pirani che data 1977. Si tratta, dunque, di una questione particolarmente sentita che ha fatto e farà discutere. Ecco come nasce la nostra interpellanza. Oggi, infatti, sono il Polesine e il delta del Po ad attendere finalmente una risposta non interlocutoria Pag. 38dopo mesi di apparente «stallo burocratico» e di annunci rimasti senza seguito. Senza entrare nel merito delle ultime vicende giudiziarie, non sappiamo ad oggi quale sia lo stato effettivo del progetto di riconversione a carbone, ma non sappiamo anche quali siano le vere intenzioni di un'azienda come ENEL che si muove chiaramente in uno scenario globale, da azienda multinazionale, ma non può, come voglio sottolineare, dimenticare l'esistenza di Porto Tolle.
      Per questi motivi, chiediamo che il Governo oggi possa essere parte attiva. Per questi motivi, riteniamo che l'avvio dei lavori di demolizione della centrale di Porto Tolle non possa più aspettare a lungo, né possa essere l'oggetto di un eterno rimpallo burocratico. L'avvio di questo intervento consentirebbe, infatti, di dare lavoro, di sbloccare l'economia del territorio e, dato non trascurabile, permetterebbe di agire finalmente anche sul piano del risanamento ambientale. Occupazione e ambiente. Il nostro territorio ha molto dato in questi anni, anche in termini di presenza delle istituzioni, di iniziative, di sensibilità, di aperture e non può più essere ignorato. È arrivato il momento di decidere quale strada prendere. Sbloccare i lavori di demolizione è un obbligo anche e soprattutto verso il territorio, un obbligo che non può essere legato esclusivamente al futuro del carbone o alle variabili del mercato energetico italiano e internazionale. Ricordiamolo, qui deve entrare in campo la politica. Non possiamo più nasconderci dietro la lentezza o dietro le contraddizioni che riguardano richieste di autorizzazione, procedure, cavillosi iter burocratici, in un circuito che sembra avvitarsi su se stesso ed essere sempre in procinto di tornare al punto di partenza.
      Il Polesine, la provincia di Rovigo, Porto Tolle non sono più quelli di trenta o quarant'anni fa; chiedono nuova considerazione e chiedono con forza di poter decidere del proprio futuro. È oggi possibile tenere insieme le ragioni dell'economia, le ragioni dello sviluppo, le ragioni della politica industriale di un Paese come l'Italia e quelle dell'ambiente e del rispetto di una peculiarità territoriale straordinaria ? Da troppo tempo il nostro territorio attende delle risposte chiare. Le soluzioni concrete sono attese dai lavoratori, ma anche dai cittadini comuni, dal mondo sociale ed economico, dalle associazioni, dagli enti locali. Noi crediamo che la politica centrale abbia il compito sacrosanto di contribuire, con decisione finalmente, alla costruzione di un percorso condiviso che dia risposte e certezza alla gente del delta.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.

      SILVIA VELO, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, in risposta all'interpellanza urgente presentata dall'onorevole Crivellari ed altri sulla possibilità, in attesa della definizione della procedura di valutazione dell'impatto ambientale (V.I.A.) del progetto di riconversione a carbone dell'esistente centrale ad olio combustibile di Porto Tolle, di anticipare alcuni interventi concernenti la demolizione di alcune parti della stessa, è utile premettere che l'ENEL, con nota dell'amministratore delegato dello scorso 23 luglio, ha prospettato al Ministero tale possibilità.
      Al riguardo, con nota dell'08/11/2013, nell'evidenziare le problematiche connesse alle possibili interferenze dei detti interventi di demolizione con la procedura di V.I.A. citata, contestualmente, è stata rappresentata all'ENEL l'esigenza di effettuare una verifica ambientale per accertare l'assenza di impatti significativi e negativi collegati a tali demolizioni.
      In merito, occorre sottolineare il fatto che le attività di demolizione prospettate dalla predetta società possono incidere significativamente sul procedimento di V.I.A. per la riconversione a carbone dell'esistente centrale a olio combustibile, poiché gli scenari di riferimento per la valutazione del nuovo progetto a carbone sono costruiti considerando l'esistenza del Pag. 39vecchio impianto. Pertanto, lo smantellamento anche parziale della vecchia centrale, prima della conclusione della procedura V.I.A. relativa alla sua riconversione, potrebbe incidere in modo sostanziale sull'esito della stessa V.I.A.
      In merito a tale procedura, si precisa che, allo stato, nonostante sia stato emanato un provvedimento «interlocutorio negativo» il 13 gennaio 2013, non è esclusa la possibilità di riapertura del procedimento a seguito della presentazione della documentazione integrativa da parte della società alla quale, a tal fine, è stato assegnato un termine che scade il prossimo 19 giugno 2014.
      In ogni caso, non si potrà assentire il detto parziale smantellamento prescindendo da una verifica ambientale da incardinare entro uno specifico adeguato procedimento che, allo stato, in assenza di una specifica istanza da parte della società, non è possibile definire.
      Ad ogni buon fine, si sottolinea che, ad oggi, si è ancora in attesa di conoscere quali decisioni siano state assunte dalla società ENEL riguardo a quanto dalla stessa prospettato e che nessuna documentazione relativa all'argomento è stata trasmessa agli uffici competenti del Ministero dell'ambiente.
      È ovvio che siamo in un contesto che è quello descritto dal collega nell'illustrazione della sua relazione, un'istanza avanzata dalla società ENEL, una richiesta di integrazione della documentazione da parte del Ministero per strutturare la procedura VIA in conseguenza di questo cambiamento che sarebbe costituito dalla demolizione. I termini sono quelli che ho detto il prossimo sarà a giugno. Anche a seguito di questa interpellanza, mi farò parte attiva e vigile affinché si possa verificare se questo termine, che ormai è prossimo, sarà rispettato dalla società ENEL stessa in quanto il Ministero condivide quanto espresso dagli onorevoli interpellanti.

      PRESIDENTE. L'onorevole Crivellari ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

      DIEGO CRIVELLARI. Signor Presidente, mi dichiaro solo parzialmente soddisfatto perché prendo per buono l'impegno del sottosegretario Velo che ringrazio per la risposta. È chiaro che qua abbiamo di fronte un ulteriore termine che è quello del 19 giugno e spero che entro questo termini possano prodursi effettivamente delle novità ed è in questo senso che chiedevo per l'appunto e chiederemo ancora con forza dal territorio un intervento del Governo in questo senso, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero dello sviluppo economico, in modo che si possano avere delle risposte. Lo dico, vorrei poter tornare sul territorio anche a Porto Tolle dando finalmente qualche certezza ai lavoratori e alla gente per capire, come ho detto anche nell'interpellanza urgente che ho illustrato poc'anzi, quale strada effettivamente riteniamo di intraprendere. Confermiamo da parte nostra che l'avvio del lavoro di demolizione significherebbe veramente dare una mano al territorio per quanto riguarda l'occupazione e il lavoro e, da un certo punto di vista, dare anche delle risposte a un territorio come quello del delta che – voglio ripeterlo, voglio ricordarlo – ha sicuramente una straordinaria valenza ambientale.
      Non stiamo attendendo, quindi, Godot. Aspettiamo finalmente che l'Enel, che l'azienda batta un colpo e su questo spero avremo modo di lavorare con il Governo per arrivare ad una soluzione condivisa che dia finalmente risposta al Polesine e alla gente del delta.

      PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Discussione della mozione Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00439 concernente iniziative in relazione all'operazione Mare Nostrum e al rafforzamento dei controlli alle frontiere (ore 12,40).

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Giancarlo Pag. 40Giorgetti ed altri n. 1-00439 concernente iniziative in relazione all'operazione Mare Nostrum e al rafforzamento dei controlli alle frontiere (Vedi l'allegato A – Mozioni).
      Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
      Avverto che stata altresì presentata la mozione Santerini ed altri n. 1-00455, (Vedi l'allegato A – Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

      PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
      È iscritto a parlare l'onorevole Rondini, che illustrerà anche la mozione Giancarlo Giorgetti n. 1-00439, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

      MARCO RONDINI. Signor Presidente, dal 18 ottobre 2013 il Governo italiano ha avviato una missione militare-umanitaria per gestire l'emergenza determinata dagli sbarchi dei clandestini sulle nostre coste, denominata Mare Nostrum. Alla presentazione dell'operazione Mare Nostrum e delle sue finalità, il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, affermò che «la somma del pattugliamento e dell'azione della polizia giudiziaria e della magistratura avrà un effetto deterrente molto significativo per chi pensa impunemente di fare traffico di esseri umani».
      Sempre a quel tempo il Ministro della difesa pro tempore, Mario Mauro, ribadì che «ci muoviamo per primi e al limite delle nostre possibilità nell'ambito di Eurosur, finalmente varato, che consentirà di controllare le frontiere all'interno di Frontex per dare un esempio chiaro e forte» e venne sottolineato altresì che: «non ci sarà bisogno di altri fondi, ma basteranno i soldi dei Ministeri», stimando tale costo «al momento attorno al milione e mezzo di euro al mese», così il Ministro Mario Mauro.
      Proprio il giorno dopo l'abrogazione del reato di immigrazione clandestina, il Ministro dell'interno ha reso, invece, noto che sarebbero ben 600 mila le persone sulle coste dell'Africa in attesa di imbarcarsi per arrivare via mare in Italia. Se nel 2013 gli sbarchi sono stati 42.925, solo dall'inizio di quest'anno gli arrivi hanno già superato quota 20 mila e il Viminale ha fatto sapere che il dato è di oltre dieci volte maggiore a quello registrato nello stesso periodo del 2013, quindi un vero e proprio record.
      Nel gennaio 2014, senza alcun coinvolgimento degli enti locali interessati, il Ministero dell'interno ha inviato un'informativa a tutti i prefetti, affinché rendano disponibili, nei rispettivi territori di competenza, altre strutture per l'accoglienza e nei giorni scorsi ha provveduto ad un primo trasferimento di clandestini nelle regioni del nord.
      Avvicinandosi l'estate e con il miglioramento delle condizioni del mare, è prevedibile che le partenze aumentino ulteriormente ed in misura considerevole, soprattutto quelle dalle coste della Libia. Contestualmente agli sbarchi stanno crescendo anche le fughe dai centri di prima accoglienza, anche di minori, di cui si perdono, poi, le tracce.
      La circostanza è motivo di allarme per i partner europei del nostro Paese, che potrebbero anche considerare, come accaduto già nel 2011, di interrompere più o meno temporaneamente l'applicazione degli accordi di Schengen, con effetti negativi sulla libertà di movimento in Europa dei cittadini della Repubblica italiana.
      I dati sopracitati dimostrano che l'operazione Mare Nostrum, anziché avere «un effetto deterrente molto significativo per chi pensa impunemente di fare traffico di esseri umani», come ci annunciava il Ministro Alfano, non ha svolto alcuna funzione dissuasiva, ma ha piuttosto agevolato l'attività degli scafisti, poiché la consapevolezza di giungere più facilmente alle coste italiane, anche grazie alle navi della Pag. 41Marina militare e delle forze di polizia, sta spingendo un numero sempre maggiore di aspiranti clandestini a pagare ingenti somme per tentare la traversata del canale di Sicilia.
      In assenza di dati ufficiali, a parte quelli concernenti le fasi iniziali dell'operazione, i costi dell'operazione Mare Nostrum sono stati calcolati a non meno di 300 mila euro al giorno dalla stampa specializzata, che li ha desunti dalla somma degli oneri di funzionamento dei mezzi impiegati, in particolare navi e aeromobili. Quindi, la spesa finale per l'operazione Mare Nostrum dovrebbe attestarsi tra i 10 e i 14 milioni di euro al mese: stima, tra l'altro, confermata in parte dal Ministero interrogato, che, nella risposta in merito, ci dice che, in particolare dall'inizio dell'operazione Mare Nostrum ad oggi, sono state mediamente sostenute spese pari a circa 9,3 milioni di euro al mese.
      Quindi, la nostra stima era assolutamente in linea con quanto ci ha risposto ieri il Ministero. I costi dell'operazione Mare Nostrum incidono esclusivamente sull'economia italiana e risultano ben più gravosi degli esborsi stanziati per i normali pattugliamenti che precedevano l'avvio dell'operazione. Secondo la circolare dell'8 gennaio 2014 del Ministero dell'interno – dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, recante «Afflusso di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. Individuazione di strutture di accoglienza» –, a qualunque clandestino che sbarchi in Italia e semplicemente presenti richiesta di protezione internazionale, anche se fittizia, deve essere garantito vitto e alloggio per un importo di euro 30 oltre l'IVA, un pocket money di 2,5 euro al giorno e una tessera-ricarica telefonica di 15 euro al giorno all'ingresso delle strutture di accoglienza, nonché assistenza e cure sanitarie. Se i clandestini arrivati in Italia dall'inizio del 2014 presentassero domanda di protezione internazionale per ottenere i benefici sopramenzionati, i costi calcolati, solo al giorno, sarebbero di 225 mila euro per le ricariche telefoniche, 37.500 euro in pocket money e 450 mila euro di vitto e alloggio, oltre naturalmente agli oneri per le cure sanitarie.
      Su undici centri di identificazione ed espulsione, sei sono stati chiusi nel 2013 per lavori di ristrutturazione, causati dai danneggiamenti – ripetiamo: dai danneggiamenti – dei clandestini ospitati, tra cui quello di Lampedusa, e perciò risulta che centinaia di clandestini, in questi giorni trasferiti nelle regioni del Nord, vengano alloggiati per questo motivo anche in alberghi a 4 stelle, come, ad esempio, al Riz di San Genesio, in provincia di Pavia, dove il pernottamento a notte costa dai 120 ai 140 euro. Secondo quanto riferito dal Ministro degli affari esteri, Federica Mogherini, in un'audizione davanti al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, nel 2013 l'Italia è diventata il secondo Paese Schengen per numero di visti concessi, con 2.125.490 visti rilasciati. Per la prima volta abbiamo superato la Germania (poco più di 2 milioni). Le nostre 172 sedi abilitate hanno rilasciato un visto ogni 15 secondi. In 8 anni, dal 2005, il numero è praticamente raddoppiato; così ci diceva il Ministro Federica Mogherini.
      In Europa gli altri Paesi stanno apprestando misure sempre più restrittive per contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, addirittura avviando piani per il rimpatrio dei cittadini comunitari disoccupati, come, ad esempio, avviene in Germania e Gran Bretagna, soprattutto per evitare il collasso del sistema del welfare, sistema che da noi è già messo a dura prova dalle restrizioni delle varie spending review e che rischia veramente il collasso a causa degli interventi finalizzati a garantire la permanenza sul nostro territorio degli immigrati, spesso clandestini, e ai quali spesso non viene poi riconosciuto lo status di rifugiato politico.
      Vi sono rischi sanitari cui vengono esposti poi i cittadini e gli operatori nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum, anche alla luce della gravissima epidemia di Ebola che si sta diffondendo con preoccupazione dalla Guinea in tutta l'Africa e che ha già spinto altri Paesi europei a Pag. 42varare una serie di misure restrittive all'ingresso nel proprio territorio. Vanno considerati i gravissimi disagi, i problemi di ordine pubblico e i danni anche in termini economici, in particolare per gli abitanti delle zone in prossimità degli sbarchi che, avvicinandosi l'estate, con il miglioramento delle condizioni del mare, aumenteranno ulteriormente ed in misura considerevole.
      Quindi, alla luce di queste considerazioni, con la nostra mozione chiediamo l'impegno del Governo a sospendere immediatamente l'operazione Mare Nostrum e a rafforzare i controlli alle frontiere, in particolare quelle marittime; a completare il piano di accordi bilaterali elaborato al principio della XVI legislatura, al fine di impedire le partenze dai Paesi costieri dell'Africa e in particolare dalla Libia, e ad investire eventualmente forze e parte delle risorse impiegate attualmente nell'accoglienza per collaborare all'attività di contrasto concordata con i Paesi controparte; ad adottare le più opportune misure di sicurezza, inclusa la predisposizione di un piano sanitario d'emergenza, al fine di tutelare la salute dei cittadini, degli uomini delle forze dell'ordine, nonché del personale finora impiegato nell'operazione Mare Nostrum, anche alla luce della gravissima epidemia di Ebola che si sta diffondendo con preoccupazione dalla Guinea in tutta l'Africa.
      Ed ancora, a riferire trimestralmente al Parlamento in merito agli esiti delle domande di protezione internazionale presentate, alle concessioni dello status di rifugiato da parte delle diverse commissioni territoriali, alle domande rigettate, ai controlli effettuati nei confronti dei soggetti titolari dello status di rifugiato, o comunque del diritto ad una protezione sussidiaria o umanitaria, in merito all'effettiva sussistenza dei requisiti per continuare a beneficiare delle forme di tutela sopra richiamate, in particolare relativamente ai rientri in patria; ed infine in merito al numero e alla tipologia dei visti rilasciati. Ed ancora, ad adottare misure idonee al fine di ottenere i rimborsi, garanzie o contributi previsti ai sensi del paragrafo 9 dell'articolo 9 e dei paragrafi 3 e 4 dell'articolo 17 della nuova direttiva del 2013, n.  33 dell'Unione europea, recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. E infine, ad avviare, durante il semestre italiano di Presidenza europea, tutte le più opportune iniziative al fine di rafforzare il controllo dei confini terrestri italiani ed in particolare marittimi, a promuovere una revisione della Convenzione di Dublino II e ad attuare il principio del burden sharing, così come previsto nella direttiva.
      Questo perché ? Perché noi crediamo – e mi avvio veramente alla conclusione – che sia un dovere da parte di un Governo che a parole dice di voler controllare il fenomeno migratorio, e non agevolare magari un'invasione, ma nei fatti questo Governo dimostra invece tutt'altra sensibilità: una sensibilità magari maggiore nei confronti di immigrati che poi risultano non avere neanche i requisiti per richiedere lo status di rifugiato politico, e magari invece si dimentica, nei provvedimenti che vara, di tutelare le fasce deboli della nostra popolazione. Nella congiuntura attuale che viviamo noi crediamo che garantire agli immigrati, clandestini o meno, vitto e alloggio per 120-140 euro al giorno, quando alle fasce della nostra popolazione più debole non viene garantito assolutamente nulla, quando magari noi vediamo i nostri anziani faticare veramente ad arrivare alla fine del mese, e magari li ritroviamo nei mercati a rovistare in mezzo alla frutta e alla verdura che vengono abbandonate alla fine del mercato, per poter mettere insieme il pranzo e la cena: beh, noi crediamo che un Governo serio debba dare risposte prima di tutto a queste persone, e poi magari pensare anche alle necessità di chi pensa non di venire in casa nostra, ma di poter buttare giù la porta di casa nostra per accomodarsi tranquillamente da noi. E pensa magari di poter sbarcare il lunario senza fare più nulla: perché così risulta essere per la maggior parte degli immigrati che arrivano da noi, e per la maggior parte di Pag. 43quelli la cui domanda per il riconoscimento di rifugiato politico viene giustamente qualche volta respinta.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marazziti, che illustrerà la mozione Santerini ed altri n. 1-00455, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

      MARIO MARAZZITI. Signor Presidente, la mozione che abbiamo presentato come gruppo Per l'Italia è in direzione diametralmente opposta a quella illustrata ora dal collega che mi ha preceduto. In realtà, Mare Nostrum è una scelta opportuna, necessaria: è un grande segno di civiltà italiana ed europea, una necessità che emerge con chiarezza se la nostra memoria, la nostra mente va semplicemente alle terribili immagini della strage del mare di Lampedusa.
      Oggi in più illustriamo questa mozione in una data che molti italiani hanno dimenticato: oggi sono esattamente 25 anni dalla uccisione di un giovane sudafricano, Jerry Essan Masslo, a Villa Literno, da parte della criminalità organizzata, che mal tollerava la presenza di persone civili come lui, che lavoravano nei campi, ma che reclamavano semplicemente dignità e diritti per altre persone come lui.
      Jerry Essan Masslo era un profugo, aveva diritto a richiedere asilo, ma allora la clausola geografica impediva a persone come lui di poter fare richiesta di asilo. Bene, era l'inizio di una grande storia, anche una storia di accoglienza e di durezza.
      Noi oggi parliamo della missione Mare Nostrum, che sta salvando ormai più di ventimila vite umane, grazie alla nostra marina soprattutto. Noi ne parliamo come se ci trovassimo nella più grande emergenza storica del nostro Paese. In realtà, in passato abbiamo affrontato situazioni più pesanti e in maniera egregia. Nel marzo 1991 sono arrivati 28 mila albanesi e nell'agosto di quell'anno altri 20mila. Nel 1992 la guerra in Somalia portò 12 mila somali. Tra il 1992 e il 1996 arrivarono 80 mila ex jugoslavi; nel 1999 oltre 30 mila kosovari. Nel 2000 quasi 30 mila profughi, soprattutto curdi iracheni. Oggi vivono e lavorano con noi. E noi sappiamo che la logica che dice «prima noi, poi gli altri, oggi non ci possiamo permettere di accoglierne nemmeno uno in più» è una logica che ha portato, in un recente passato, al respingimento in mare, una logica, una pratica – quella del respingimento in mare – bocciata il 23 febbraio del 2012 dalla Corte europea dei diritti umani. I giudici di Strasburgo hanno accolto un ricorso legato al respingimento allora di 24 persone intercettate in acque internazionali su un barcone partito dalla Libia e poi ricondotto a Tripoli il 6 maggio 2009. Questo va contro la Convenzione dei diritti umani: l'articolo 3 che vieta la tortura e i trattamenti degradanti. Bene, questa è la situazione in cui noi abbiamo lanciato l'operazione Mare Nostrum.
      Dobbiamo anche sapere che in Europa non è vero che fanno meno che in Italia. Mentre l'Italia ha risposto nel 2012 a 15.715 richieste di asilo su 331 mila, il 70 per cento delle richieste di asilo ha riguardato la Germania (più di 77 mila), 60 mila volte la Francia, 43 mila volte la Svezia e 17.500 domande l'Austria, che ha solo 8 milioni di abitanti.
      In questa situazione noi sappiamo che ieri, oggi, l'altro ieri in Sicilia sono state salvate – nel mare davanti alla Sicilia – 2.262 persone, 1.142 migranti a bordo della nave San Giorgio della Marina militare soccorsi nel corso dell'operazione Mare Nostrum.
      Allora, questa è la situazione. Vogliamo interrompere l'operazione Mare Nostrum ? Chi chiede questo deve sapere che sta incoraggiando, sta approvando, sta accettando il fatto che gli oltre 35 mila morti in mare, accertati, degli ultimi 20 anni cresceranno a dismisura. Deve accettare che i loro figli sappiano che quei morti in mare sono anche colpa nostra. Non sono solo colpa di chi decide di fare il viaggio perché disperato; dobbiamo accettare che l'Europa «fortezza» decide di non essere più Europa, cioè di non avere un fondamento Pag. 44democratico, umanista, inclusivo, attento ai diritti umani e cioè al diritto della vita umana per prima cosa.
      Allora, noi sappiamo che questa è una missione costosa, è una missione difficile ma è una missione che ha già permesso di arrestare 200 scafisti, che ha intercettato navi da cui partivano i barconi che poi venivano lasciati in mare perché i profughi fossero magari ripescati dalle nostre forze militari.
      Bene, questo per ora è il più importante vero deterrente al traffico umano, ma in ogni caso è il più importante fattore di salvezza di vite umane che l'Europa e l'Italia hanno messo in campo. Allora, la nostra mozione impegna il Governo a richiedere presso la Commissione europea un ulteriore supporto, il rinnovo dei 9 milioni al mese e sicuramente la non interruzione degli stessi; a sostenere presso le istituzioni europee l'opportunità di rivedere le norme del Trattato di Dublino 3 e prevedere che si possa far richiesta di asilo già nei Paesi di transito e non solo nel primo Paese di arrivo; ad adoperarsi – concludo – per realizzare in prospettiva un Ufficio europeo dell'immigrazione in territorio nordafricano che abbia, oltre alle opportune missioni nelle aree di maggiore afflusso, una sede permanente e prevedere centri di accoglienza europea in Sicilia per consentire ai profughi che ne abbiano diritto il successivo reinsediamento, in tempi brevissimi, verso tutti i Paesi dell'Unione.
      Queste proposte l'Italia le fa...

      PRESIDENTE. Concluda, onorevole Marazziti.

      MARIO MARAZZITI. ...e le può anche ottenere dall'Europa.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Beni. Ne ha facoltà.

      PAOLO BENI. Signor Presidente, la mozione presentata dai colleghi della Lega riguarda un problema reale, drammatico che il nostro Paese deve affrontare, ma lo presenta sotto una luce mistificatoria, farcita di elementi di disinformazione, da luoghi comuni di stampo xenofobo e propone poi alla fine soluzioni profondamente sbagliate, che finirebbero per aggravare il problema anziché risolverlo. Quindi, io preannuncio fin d'ora la presentazione di una nostra mozione, del Partito Democratico, su questo tema.
      Penso che su questo tema serva un'operazione di verità. Mare Nostrum iniziò nell'ottobre scorso per far fronte all'emergenza determinata dall'eccezionale afflusso di migranti sulle nostre coste, con l'obiettivo di garantire la salvaguardia della vita in mare e al tempo stesso contrastare il traffico illegale di essere umani. Forse non hanno grande memoria i colleghi della Lega, che dimenticano di ricordare nella loro mozione perché fu avviata l'operazione Mare Nostrum. Noi lo ricordiamo bene, ed è ancora vivo nella memoria di tanti il ricordo della tragedia avvenuta a largo di Lampedusa il 3 ottobre dello scorso anno. Quel tragico naufragio è forse l'episodio più grave in termini di perdite di vite umane, ma purtroppo non è l'unica strage di migranti avvenuta nel canale di Sicilia. In questi anni oltre 20 mila persone vi hanno perso la vita trasformando i fondali del Mediterraneo in un enorme cimitero. Uomini, donne, bambini in fuga da persecuzioni, da violenze, dalla miseria, umiliati e violentati da guerra e terrorismi, oppressi da regimi corrotti, che cercavano di riprendersi il proprio futuro e disposti per questo ad affrontare una pericolosa traversata su mezzi di fortuna, ricattati e costretti a rischiare la vita da trafficanti senza scrupoli. È un dramma che dovrebbe suscitare la ribellione morale di chiunque abbia senso civico, rispetto della dignità umana, perché ci sono circostanze in cui l'indifferenza non è ammessa. Del resto, dal Mediterraneo viene la nostra storia e ancora oggi ciò che accade in quel mare ci riguarda, eccome.
      Le storie di quanti fuggono dai Paesi alla ricerca di un'esistenza dignitosa ci parlano della nostra storia, degli emigranti italiani che subirono sulla propria pelle il disprezzo del razzismo, che hanno vissuto Pag. 45quelle sofferenze, ma hanno anche avuto la possibilità di riscattarsi, costruirsi un futuro migliore. Ecco, quella possibilità oggi altri popoli la stanno chiedendo a noi e serve un più forte senso di solidarietà affinché tragedie come quelle non si ripetano. Dobbiamo fare il nostro dovere di accoglienza e protezione nei confronti di chi arriva, non per buonismo o pietà, ma in nome della dignità umana, della giustizia e anche del realismo politico. La situazione è difficile, i flussi dalla sponda sud del Mediterraneo sono cresciuti in seguito agli eventi che hanno interessato quei Paesi negli ultimi anni, quest'anno gli arrivi stanno tornando alle medie del 2011, anno di picco conseguente alle primavere arabe. Grazie all'operazione Mare Nostrum abbiamo fronteggiato la situazione e salvato in mare 20 mila persone in sei mesi, e siccome per noi la vita umana non ha prezzo, basterebbe questo a giustificare lo sforzo che stiamo sostenendo.
      Ma è pur vero che Mare Nostrum costa 9 milioni di euro al mese e che, senza un sostegno internazionale, l'Italia non può reggere a lungo una pressione così impegnativa. È l'Europa che deve assumersi le proprie responsabilità. Le nostre coste sono una porta d'accesso ad altri Paesi meta dei migranti, per questo l'Europa tutta è chiamata a garantire il supporto necessario per creare canali umanitari e contrastare il traffico di esseri umani.
      L'Europa deve guardare in faccia la realtà. I demografi ci dicono che nei prossimi anni sarà inevitabile un grande processo di mobilità delle popolazioni verso l'Europa, un fenomeno strutturale, non episodico che oggi è in gran parte fatto di richiedenti asilo dalla Siria, dal Medio Oriente e dall'Africa subsahariana, ma finora l'Europa ha reagito a questi processi solo con misure di limitazione degli ingressi, di chiusura delle frontiere, prigioniera di una visione inadeguata, incapace di affrontare la realtà e di guardare al di là del tornaconto immediato.
      L'Europa deve farsi carico del problema attraverso l'Agenzia di controllo delle frontiere, Frontex, ma anche con un più forte impegno degli Stati membri nella cooperazione con i Paesi d'origine e di transito.
      Io voglio dire che è, però, anche necessario rivedere il regolamento di Frontex per rendere le attività di coordinamento dell'Agenzia più trasparenti e più rispettose delle direttive europee in materia di asilo e delle convenzioni internazionali sui diritti umani e poi introdurre procedure al fine di controllare negli accordi che l'Agenzia Frontex stipula con gli Stati terzi se questi garantiscono effettivamente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone. Bisogna opporsi ad accordi di riammissione con Stati in cui non ci sia il rispetto dei diritti umani. Bisogna anche prevedere un ampliamento delle possibilità di accesso regolari in Europa e delle procedure di rimpatrio assistito e, ancora, modificare il regolamento di Dublino sul diritto d'asilo per consentire ai richiedenti asilo e ai rifugiati di spostarsi in Europa secondo la propria volontà, rendendo effettivo l'esercizio di un diritto d'asilo nell'Unione europea. È necessario approvare al più presto in Italia una legge sull'asilo che introduca procedure certe, con risorse adeguate, per assicurare un sistema di accoglienza di qualità rispettoso della dignità delle persone.
      Bisogna colmare le carenze delle nostre leggi in materia di immigrazione, in particolare per quanto riguarda la regolazione dei flussi di ingresso. L'attuale sostanziale chiusura degli ingressi finisce per favorire di fatto gli ingressi irregolari e rendere le coste italiane meta dei trafficanti di esseri umani.
      Questo è l'errore di fondo all'origine della contraddizione per cui ogni anno affrontiamo, come se fosse una nuova imprevista emergenza, un fenomeno che invece è del tutto prevedibile e finiamo per farci trovare impreparati sul piano dell'accoglienza. Approntiamo la prima accoglienza spesso in luoghi improbabili – palestre, scuole – senza una chiara definizione giuridica delle procedure, senza un adeguato coordinamento tra gli enti preposti e le associazioni di volontariato, Pag. 46facciamo il possibile per portare i migranti in salvo sulle coste, ma poi non riusciamo a gestire bene l'accoglienza.
      Gli immigrati sono ormai una componente determinante della nostra economia e della nostra società, ma per costruire le condizioni di un nuovo possibile e necessario patto di convivenza occorre superare la logica dell'emergenza e governare l'immigrazione con politiche realistiche, capaci di guardare al presente e al futuro del Paese e, al tempo stesso, ai diritti inalienabili delle persone. E questo vuol dire una politica dei flussi realistica, consentire un adeguato numero di ingressi anche per ricerca di lavoro, garantire percorsi di emersione per prosciugare il terreno delle irregolarità, chiudere la stagione del diritto speciale e della criminalizzazione dei migranti, riformare le leggi sulla cittadinanza, favorire processi di integrazione a sostegno dei migranti, delle loro famiglie e delle comunità che li accolgono.
      Le nostre città – e concludo – stanno diventando ormai comunità plurali, mescolanze di lingue, di culture, di religioni. Di fronte a questi cambiamenti, c’è chi sceglie di soffiare sul fuoco delle paure e dei pregiudizi, di avvalorare l'idea dell'immigrazione come minaccia e promettere ricette illusorie per contenerla. È ciò che fanno i colleghi della Lega quando sostengono che Mare Nostrum agevola l'azione degli scafisti – non è vero, lo ha ricordato prima il collega Marazziti – o quando definiscono clandestini quelli che in realtà sono invece profughi e richiedenti asilo.
      Oppure quando evocano ingiustificate emergenze sanitarie – è veramente cinico farlo – a causa di presunte epidemie che i migranti porterebbero, o quando dipingono i programmi di accoglienza come soggiorni premio in hotel a quattro stelle. Non è così, lo sappiamo tutti. Sono toni propagandistici che non hanno altro scopo se non quello di agitare lo spettro dell'invasione, fomentare la paura e il rancore verso i migranti, dipinti come i nemici che minacciano sicurezza e benessere dei nostri concittadini.
      Si può fare questo, si può scegliere di brandire gli umori più retrivi della pancia del Paese, magari per guadagnare qualche voto alle prossime elezioni. Oppure, si può scegliere di aiutare il Paese a cercare il filo di un ragionamento comune, del buon senso, per contrastare pregiudizi e discriminazioni, per favorire un nuovo clima di convivenza. Ebbene questa, Presidente, è la strada che noi vogliamo seguire ed è – pensiamo – l'unica che può fare dell'Italia un Paese più giusto, più sicuro e più sereno per tutti.

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Dorina Bianchi. Ne ha facoltà.

      DORINA BIANCHI. Signor Presidente, intervenendo il 16 aprile in quest'Aula, nel corso dell'informativa urgente del Governo proprio sull'incremento dei flussi di immigrazione, il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, ha dichiarato: «Il nostro Paese e l'Europa intera dovranno misurarsi con la questione dell'immigrazione ancora per molti decenni». Questa affermazione nasce dalla consapevolezza che questo tema, specie per i recenti e preoccupanti sviluppi, non può non creare allarme sociale per la complessità delle problematiche ad esso collegate.
      Proprio l'ingigantirsi, in termini esponenziali e in breve tempo, di tale fenomeno ci spinge a riflettere anche sulle origini, sulle motivazioni e sulla stessa evoluzione dello stesso. In realtà, possiamo dire che le cause dell'immigrazione sono oggi profondamente cambiate. Se prima il fenomeno dei cosiddetti «viaggi della speranza» era determinato da motivi che riguardavano l'indigenza, la cronica scarsità di mezzi di sostentamento, le insopportabili condizioni socio-economiche delle zone di origine, oggi la causa prioritaria è costituita dalla grave instabilità politica dei Paesi africani del Mediterraneo o di quelli dell'Africa sub-sahariana. Quindi, i flussi migratori verso le nostre coste sono determinati dalla instabilità degli equilibri politici interni e dei loro apparati statali, che hanno oggi natura non emergenziale ma decisamente strutturale.Pag. 47
      Lo scenario, pertanto, è cambiato. Oggi, infatti, delle oltre 20.500 persone arrivate dall'inizio dell'anno, 3.618 provengono dall'Eritrea, 1.753 dal Mali, 1.239 dal Gambia, 1.981 dalla Somalia, 888 dalla Nigeria, 780 dal Senegal e 580 dal Pakistan.  Sono persone che fuggono da persecuzioni e guerre, elementi che cambiano in modo profondo il profilo delle migrazioni e che sono costituiti, quindi, non più soltanto da cause legate a fattori economici. È, quindi, tenendo ben presenti questi temi che occorre operare sulle cause del fenomeno, risultando nel contempo evidente che la questione non può riguardare solamente il nostro Paese.
      Proprio in considerazione dei mutamenti in atto e delle cause che li determinano la domanda che dobbiamo porci è: ma le nostre coste segnano solamente il confine dell'Italia o non piuttosto della stessa Europa ? Europa che pure ha individuato già alcune linee di coordinamento, per dare una prima risposta al fenomeno dell'immigrazione, ma che sono parziali, assolutamente insufficienti, basandosi anche su regolamenti, convenzioni e strumenti ormai superati. Solo attraverso un'azione a livello europeo, coordinata e condivisa, infatti si possono dare risposte sicure e certe per affrontare questa situazione.
      Le linee di coordinamento al momento si basano su tre principi fondamentali, che sono il contrasto all'immigrazione irregolare e, quindi, la protezione delle frontiere, la capacità di gestire i processi di immigrazione legale, la necessità di attivare misure che sappiano coniugare immigrazione e sviluppo. Mi chiedo: tali strumenti sono sufficienti e adeguati oggi ? Non occorre, invece, modificare tali linee di azioni proprio perché sono cambiate le motivazioni di base del fenomeno e le stesse risposte di protezione e di asilo ? Proprio per questo occorre rivedere il regolamento di Dublino.
      Esso impegna il Paese, che accoglie per primo il richiedente asilo, ad assumersi in proprio la responsabilità del suo stato, delle sue condizioni, della sua permanenza e non consente, quindi, allo stesso richiedente asilo di spostarsi all'interno dell'Europa secondo la propria volontà.
      È evidente che, in queste condizioni, non si facilita, ma anzi si ostacola il compito del Paese di prima accoglienza e si penalizza oltremodo lo stesso migrante. Aggiungo che, semplicemente valutando la situazione geografica, l'Italia risulta il Paese maggiormente sottoposto a questo enorme carico di responsabilità. Cosicché, se non dovesse verificarsi un'auspicabile svolta su questa materia, solo al nostro Paese verrebbe addossata la responsabilità di affrontare una questione che ha oramai assunto dimensioni sovranazionali complesse e tutte ancora da analizzare compiutamente prima ancora di affrontare adeguate risposte.
      Dall'inizio dell'anno sono arrivate in Italia via mare oltre 20.500 persone, a fronte delle sole 2.500 dello stesso periodo dell'anno scorso. In tale contesto, è iniziata il 18 ottobre del 2013 l'operazione militare umanitaria – ricordo anche umanitaria soprattutto – Mare Nostrum, al fine di fronteggiare lo stato di emergenza in corso nello stretto di Sicilia, dovuto all'eccezionale afflusso di migranti e che, da quando è stata avviata, ha consentito di salvare ben 19 mila migranti.
      L'operazione Mare Nostrum è stata varata con un duplice obiettivo: garantire la salvaguardia della vita in mare e assicurare alla giustizia tutti coloro i quali lucrano sul traffico illegale di migranti. Per assolvere a questi compiti essa prevede il rafforzamento delle attività correlate al controllo del flusso migratorio e al potenziamento dell'attuale dispositivo militare di sorveglianza aeromarittima. A tal proposito, desidero ricordare che l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati ha espresso il grande apprezzamento per l'operato della Marina militare italiana che ha condotto in salvo un gran numero di donne, bambini e uomini, che fuggivano da guerre e persecuzioni e ha impedito che si verificassero ulteriori tragedie in mare.
      Lo stesso Alto Commissario ha ribadito la necessità che l'operazione possa continuare Pag. 48con adeguata copertura finanziaria da parte dell'Unione europea e che gli altri Stati adottino questo modello di intervento. L'Italia spende oltre 9 milioni al mese per tale operazione. È una cifra che aggrava ulteriormente le condizioni di un Paese che lotta per risollevarsi da una crisi economica devastante. È una considerazione che va fatta anche se siamo fermamente convinti che, rispetto al valore della vita, meschine e insopportabili risultano essere considerazioni di carattere economico e noi, come ha detto giustamente e con forza il Ministro Alfano, siamo attestati su questo piano, perché salvare vite e offrire sostegno a chi soffre non ha prezzo, ma vorremmo anche che ci impartisce, un giorno sì e l'altro pure, lezioni di carattere etico, socio-economico e chi più ne ha più ne metta, dia prova di voler affrontare e sostenere concretamente il valore supremo della vita e della solidarietà.
      In relazione alla forte pressione dei flussi migratori, è necessario rafforzare il ruolo di Frontex per il coordinamento dei singoli Stati membri negli interventi di pattugliamento delle frontiere estere, aeree, marittime e terrestri, nonché un'estensione dell'area di azione della stessa, anche interessando i Paesi di partenza dei migranti per accordi di cooperazione operativa in materia di ostacolo delle frontiere e di lotta all'immigrazione illegale.
      A questo proposito, desidero aggiungere che l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea ha il suo centro direzionale a Varsavia in Polonia, e anche alla luce delle considerazioni già esposte mi chiedo: non sarà il caso di riconsiderare anche tale situazione, provvedendo a coinvolgere direttamente il nostro Paese, che è l'avamposto dell'Europa nel fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione ? E tra le misure da affrontare per la soluzione delle problematiche esposte, pur tenendo conto della scarsa stabilità politica degli Stati del Nord Africa, non sarebbe opportuno, proprio al fine di arginare il fenomeno dei flussi migratori illegali, cominciare a stabilire accordi di partenariato con i Paesi di origine e anche con quelli di transito dei flussi migratori ? E proprio per combattere l'immigrazione illegale non sarebbe necessario assicurare e intensificare lo scambio di informazioni e di accordi di cooperazione giudiziaria con i Paesi coinvolti nel flusso dei migranti ?
      Perché già in passato tale essenziale strumento ha consentito di assicurare alla giustizia un rilevante numero di quelli che vengono definiti i mercanti di carne umana. E sempre sul piano delle possibili soluzioni da adottare per fronteggiare l'immigrazione clandestina non sarebbe opportuno assicurare la presenza dell'Unione europea direttamente nelle aree di origine del fenomeno migratorio, incrementando e potenziando i programmi di protezione regionale già esistenti e condotti in collaborazione con la stessa Unione europea ?
      Infatti, risulta ormai evidente come sia necessario che vengano apprestati standard adeguati di assistenza proprio nei Paesi dove nascono i maggiori flussi migratori.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dambruoso. Ne ha facoltà.

      STEFANO DAMBRUOSO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, lo scorso 16 aprile il Ministro Alfano è venuto in quest'Aula per informarci sull'ingente incremento del flusso di migranti e sulle misure che il Governo intende adottare per farvi fronte. In quell'occasione, abbiamo tutti preso atto che il record di sbarchi registrati nelle ultime settimane è solo l'inizio di una massiccia ondata migratoria che coinvolgerà cittadini perlopiù provenienti da territori di guerra e dai Paesi arabi in crisi dopo il fallimento delle cosiddette «primavere». Questa evoluzione del fenomeno, però, coinvolge un numero di richiedenti asilo e protezione umanitaria di gran lunga maggiore rispetto a quello dei migranti economici e non può che rappresentare l'ennesima emergenza, che deve essere affrontata come una nuova sfida per l'Italia e per l'Europa intera.Pag. 49
      Se, infatti, il nostro Paese rappresenta geograficamente la porta verso l'Africa dell'Unione Europea, è giusto che sia quest'ultima ad assumersi la responsabilità di fronteggiare un fenomeno epocale che coinvolge non solo il nostro Paese, ma tutto il continente. D'altronde, solo l'Europa, e solamente l'Europa, davvero, può affrontare in via diplomatica i problemi di politica internazionale che sottendono il boom dei flussi migratori; da un lato, stipulando accordi più incisivi con i Paesi da cui i profughi provengono, dall'altro, adottando tutte le misure necessarie a predisporre una strategia comune di difesa delle frontiere marittime, di soccorso in acque internazionali e di accoglienza dei richiedenti asilo in tutti i Paesi europei.
      Sul piano programmatico, è necessario rivedere l'intero sistema di ingressi e di riconoscimento del diritto di asilo e di protezione internazionale, partendo da una revisione del Trattato di Dublino del 2003, che, in questi anni, ha davvero fortemente penalizzato proprio quegli Stati, come l'Italia, più esposti agli sbarchi, i quali, oltre a dover far fronte a misure di soccorso e prima accoglienza, devono procedere all'esame meticoloso di tutte le domande presentate al momento dell'arrivo sul territorio nazionale, con un notevole aggravio di adempimenti e di impiego di risorse.
      E ancora: è necessario stipulare accordi con i Governi degli Stati del Nord Africa per creare sui loro territori dei luoghi di soccorso e di raccolta dei profughi provenienti dalle aree di guerra, agevolando canali umanitari di transito che consentano loro di raggiungere in sicurezza i Paesi dell'Unione in cui intendono recarsi e chiedere protezione. Si potrebbe, per esempio, come è già stato più volte detto in quest'Aula, anche oggi, creare quell'ufficio europeo dell'immigrazione con sede stabile in territorio nordafricano – analogamente a quanto fatto già da altri Paesi, come gli Stati Uniti – allo scopo di rendere possibile la richiesta di protezione internazionale senza la necessità di attraversare in condizioni di irregolarità e di pericolo il Mediterraneo.
      O ancora, si potrebbe consentire l'avvio della richiesta di asilo e protezione internazionale presso consolati e ambasciate proprio sulla riva sud del Mediterraneo, nei principali Paesi di transito come Libia e Tunisia, al fine di rendere possibile a quei candidati che già posseggono i requisiti per l'accettazione, in quanto provenienti da guerre e aree di persecuzione, la possibilità di presentare domanda, accedendo a condizioni legali e sicure di ingresso in Europa. Sono certo che, su questi interventi in discussione, noi tutti, forze politiche, qui in Parlamento, saremo d'accordo e vedremo come addirittura necessaria la possibilità di portare in Europa una nuova e condivisa proposta politica sui fenomeni migratori.
      Quello, però, che non solo non si può, ma non si deve fare, è sollecitare al Governo misure estreme e pericolose, come quella di sospendere immediatamente l'operazione Mare Nostrum. Sul punto occorre davvero fare un veloce passo indietro: queste operazioni sono state avviate il 18 ottobre 2013 dal Governo Monti a seguito dell'impressionante naufragio in cui, nelle acque di Lampedusa, persero la vita ben 366 migranti. Nessuno può dimenticare quelle immagini drammatiche; rimarranno impresse nella memoria di tutti. Allora, come oggi, l'intero Paese ha chiesto alle istituzioni di intervenire affinché una simile tragedia non potesse ripetersi.
      È stato, quindi, predisposto un dispositivo navale in grado di operare contestualmente sia in attività di assistenza umanitaria che in situazioni di sicurezza marittima: dall'avvio dell'operazione sono stati soccorsi 27.790 migranti, di cui 3.034 minori, e sono stati arrestati e denunciati all'autorità giudiziaria ben 207 scafisti.
      L'impegno italiano sul fronte delle risorse sia umane che economiche, è enorme, lo è stato sino ad adesso, ma gli obiettivi raggiunti in questi mesi, in termini Pag. 50di vite umane salvate, non può essere messo in discussione. Occorre, quindi, non certo interrompere, ma semmai intensificare le operazioni Mare Nostrum, impegnando maggiormente gli altri Paesi dell'Unione europea, e parallelamente rafforzare il ruolo di Frontex nel pattugliamento delle acque internazionali. Sul punto, proprio ieri, il Ministro Pinotti ci ha rassicurati: il Governo ha promosso un'azione per arginare questa crisi umanitaria direttamente nei luoghi di crisi, dove si originano i flussi, e poi nei luoghi di transito. È un'azione che la Difesa sta supportando, addestrando le forze di sicurezza in Mali, in Libia e presto in Centro-Africa e ripristinando una loro, seppur minima, capacità operativa e di controllo delle frontiere. Inoltre, il Ministro ha ricordato che Mare Nostrum è un'operazione a tempo e che il Governo ha già chiesto ai Ministri della difesa dell'Unione europea un maggiore coinvolgimento e un forte impegno per sostenere quest'azione di protezione e solidarietà.
      Le soluzioni per regolare e gestire il fenomeno migratorio possono essere diverse, ma ciò che occorre è l'unità di intenti a livello comunitario. Sul punto lo scorso 13 marzo la Commissione europea ha dato un importante segnale, sollecitando formalmente una discussione in Parlamento su questi temi, anche in vista del prossimo Consiglio d'Europa che in Grecia affronterà il problema del diritto d'asilo e della cooperazione con i Paesi terzi. Il semestre italiano di Presidenza europea può davvero rappresentare una grande occasione per elaborare e condividere una politica unitaria del fenomeno migratorio. Occorre portare avanti questa battaglia per il bene del nostro Paese e dell'Europa intera, che su questi temi non ha ancora elaborato una visione politica comune e un progetto di difesa delle frontiere e di accoglienza dei richiedenti asilo degna di una grande potenza mondiale.
      Il dispositivo di sorveglianza delle frontiere e di soccorso in mare per il controllo dei flussi migratori nel Canale di Sicilia, ha funzionato e sta funzionando bene se è vero che, a partire dal 18 ottobre scorso, oltre 19 mila persone sono state tratte in salvo. Oggi occorre affrontare il problema migratorio alle sue radici, sollecitando un impegno diretto dell'Unione europea nelle aree di origine del fenomeno – come ho appena detto – nonché intensificare gli interventi di protezione umanitaria e, soprattutto, definire una politica comunitaria dell'immigrazione. Finché questo obiettivo non sarà raggiunto le operazioni Mare Nostrum non potranno essere sospese. Questo ce lo chiedono la comunità internazionale, ma soprattutto ce lo chiedono i cittadini e le nostre coscienze.

      PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
      Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
      Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

      PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

      Lunedì 12 maggio 2014, alle 9,30:

      1. – Discussione sulle linee generali del disegno di legge:
          S. 1417 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2014, n.  52, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Approvato dal Senato) (C. 2325).
          — Relatori: Mattiello (per la II Commissione) e Patriarca (per la XII Commissione), Pag. 51per la maggioranza; Rondini, di minoranza.

      (ore 14, con votazioni non prima delle ore 16)

      2. – Discussione del disegno di legge:
          Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2014, n.  34, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (C. 2208-B).

      La seduta termina alle 13,25.

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