XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 25 giugno 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              nel 1994 il ricercatore oceanico Charles Moore fonda la «Algalita Marine Research Foundation», una fondazione per la ricerca sugli ecosistemi marini;
              nel 1997 Charles Moore scopre la presenza nel Nord dell'Oceano Pacifico di una grande chiazza di immondizia (Great Pacific Garbage Pacth), ossia un enorme accumulo di spazzatura galleggiante composto soprattutto da materiale di plastica;
              l'isola di plastica, ribattezzata il «sesto continente» dall'oceanografo, è approssimativamente situata fra il 135o e il 155o meridiano Ovest e fra il 35o e il 42o parallelo Nord;
              l'estensione del «sesto continente» non è nota con esattezza, ma sia le ricerche della fondazione che le ricerche della marina degli Stati Uniti, stimano che l'estensione può andare dai 700.000 chilometri quadrati fino a più di 10 milioni di chilometri quadrati, cioè un'area più grande della Spagna a un'area più estesa degli Stati Uniti, ovvero tra lo 0,41 per cento e il 5,6 per cento dell'Oceano Pacifico;
              questa immensa massa di rifiuti è composta per oltre l'80 per cento da materiali di plastica che negli ultimi decenni si è triplicata. La massa di rifiuti è divisa in due grandi blocchi che vengono tenuti insieme dal «Vortice subtropicale del Nord Pacifico» (North Pacific Subtropical Gyre), una lenta corrente oceanica che si muove in senso orario a spirale, consentendo ai rifiuti galleggianti di aggregarsi tra loro;
              i materiali di plastica maggiormente presenti nella grande chiazza di rifiuti sono le buste di plastica, il cui accumulo si è formato a partire dagli anni ’50;
              l'esistenza della grande chiazza di rifiuti fu preconizzata in un documento pubblicato nel 1988 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Sati Uniti. Le predizioni erano basate su risultati ottenuti da diversi ricercatori con base in Alaska che, fra il 1985 e il 1988, misurarono le aggregazioni di materiali plastici nel Nord dell'Oceano Pacifico;
              una chiazza similare di detriti è presente anche nell'Oceano Atlantico, in una zona compresa fra le latitudini di 22o Nord e 38o Nord, corrispondente all'incirca al Mar dei Sargassi;
              nel giugno del 2006 un programma ambientale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite ha stimato che ci sono una media di 20.000 frammenti di plastica presenti in ogni chilometro quadrato di superficie oceanica e, nelle aree più contaminate la media passa a 400.000 frammenti di plastica;
              la plastica si sta accumulando anche nei nostri mari e, recentemente, sono state riscontrate due grosse correnti di plastica tra Cagliari e le Isole Egadi e tra La Spezia e l'arcipelago toscano;
              la plastica non si degrada, ma si foto degrada in pezzi sempre più piccoli fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono, la cui ulteriore biodegradazione è molto difficile. La plastica e i suoi frammenti agiscono come spugne assorbendo tutti gli inquinanti chimici dispersi in acqua come i metalli pesanti, gli inquinanti organici persistenti (POP's) tra cui gli insetticidi clorurati di prima generazione (dieldrin, DDT, toxafene, clordano), prodotti chimici industriali come i bifenili policlorurati (PCB) e sottoprodotti industriali come la diossina;
              la contaminazione antropogena, che ha causato il crearsi del «sesto continente», ha consentito l'alterazione della catena alimentare nel senso che le particelle di plastica assomigliano allo zooplancton (il rapporto è 6 a 1) e le meduse e i calamari che se ne cibano vengono a loro volta mangiati da altri pesci;
              oltre alla compromissione della catena alimentare, vi è anche quella dell'ecosistema marino che vede: delfini, foche, tartarughe, balene, per un totale di 100.000 l'anno, morire soffocati, strozzati o per danni irreparabili all'apparato digestivo causati dall'ingestione di sacchetti di plastica, reti da pesca in plastica e detriti plastici vari;
              ogni anno nel mondo vengono consumati dai 500 ai 1000 miliardi di sacchetti di plastica con una media di utilizzo che va dai 10 ai 20 minuti. Nei Paesi industrializzati il consumo pro capite di sacchetti di plastica va dai 200 ai 400 all'anno;
              in Europa si stima che vengono usati 100 miliardi di sacchetti di plastica ogni anno. Per produrre una quantità simile di buste si consumano 700.000 tonnellate di petrolio con l'emissione in atmosfera di 1,4 milioni di tonnellate di anidride carbonica all'anno;
              in Italia si producono circa 220 mila tonnellate di buste di plastica all'anno (l'equivalente di 500 mila tonnellate di petrolio) con un'emissione in atmosfera di circa 200 mila tonnellate di anidride carbonica;
              si stima che il consumo annuo in Italia di buste di plastica sarebbe all'incirca di 20 miliardi di sacchetti e in discarica finiscono circa 2 milioni di tonnellate di plastica;
              i tempi di degrado delle buste di plastica variano da decine a centinaia di anni a seconda dello spessore e delle condizioni ambientali. In acqua si stima che la plastica si degradi in un tempo che va dai 450 anni a quasi 1000 anni;
              ogni anno nel mondo si producono circa 154 miliardi di bottiglie di plastica (PET) la cui produzione richiede il consumo di 13,8 miliardi di litri di petrolio con la conseguente immissione in atmosfera di circa 10 miliardi di tonnellate di anidride carbonica;
              in Italia si consumano circa 15 miliardi di bottiglie in PET e solo il 20 per cento di queste viene riciclato, mentre la restante parte finisce in discarica;
              il comma 1129 della legge n.  296 del 2006 (finanziaria 2007) afferma che: «...ai fini della riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, del rafforzamento della protezione ambientale e del sostegno alle filiere agro industriali nel campo dei biomateriali, è avviato, a partire dall'anno 2007, un programma sperimentale a livello nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l'asporto delle merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle nome tecniche approvate a livello comunitario, non risultino biodegradabili»;
              il comma 1130 della legge n.  296 del 2006 (finanziaria 2007) afferma che: «...il programma di cui al comma 1129, definito con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, è finalizzato ad individuare le misure da introdurre progressivamente nell'ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto, a decorrere dal 1o gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l'asporto delle merci che non rispondano entro tale data, ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario»;
              il comma 21-novies dell'articolo 23 del decreto-legge n.  78 (Decreto anticrisi), convertito con modificazioni dalla legge n.  102 del 3 agosto 2009, ha prorogato il termine del definitivo divieto della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l'asporto di merci al 1o gennaio 2011;
              i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico pro tempore in data 18 marzo 2013 (G.U. del 27 marzo 2013) hanno emanato un decreto interministeriale con il quale si individuano le caratteristiche tecniche dei sacchi per l'asporto merci e, in particolare, per i sacchetti di plastica che però, per mancanza di una precisa normativa, hanno continuato a circolare nell'utilizzo quotidiano. Il decreto interministeriale chiarisce e definisce una precisa normativa che incrementa, così dovrebbe, l'uso di quelli ecofriendly, che contribuirebbero alla strategia nazionale per la decarbonizzazione dell'economia (Piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas ad effetto serra approvato in data 8 marzo 2013 dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, CIPE). Il provvedimento è stato concepito per stimolare lo sviluppo della filiera produttiva, incentivare la chimica verde e mettere l'Italia in linea con la normativa comunitaria in materia;
              il decreto interministeriale definisce le categorie di sacchi per l'asporto di merci – destinate sia all'uso alimentare che non alimentare – e la commercializzazione, specificando il tipo di sacchetti che possono essere utilizzati. Tra questi rientrano quelli monouso biodegradabili e compostabili conformi alla norma armonizzata Uni En 13432:2002 e quelli riutilizzabili in carta, in tessuti di fibre naturali, fibre di poliamminide e materiali diversi dai polimeri. I consumatori devono essere informati sull'idoneità dei sacchi per l'asporto delle merci attraverso una dicitura, riportata sia nei monouso che nei riutilizzabili;
              il mancato rispetto di quanto previsto dal combinato disposto delle norme summenzionate, è sanzionato dall'articolo 2 del decreto-legge n.  2 del 25 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla legge n.  28 del 24 marzo 2012. Il decreto stabilisce anche le caratteristiche chimico-fisiche dei sacchetti per l'asporto che possono circolare, ossia: due tipi monouso biodegradabili e compostabili (ai sensi della norma armonizzata Uni En 13432:2002), oppure riutilizzabili con maniglia esterna di spessore superiore a 200 micron (uso alimentare) e 60 micron (altri usi). In aggiunta, i sacchi realizzati con polimeri non conformi alla norma armonizzata devono contenere una percentuale di almeno il 10 per cento di plastica riciclata, che sale al 30 per cento per quelli ad uso alimentare. Dal 1o gennaio 2013 la commercializzazione dei sacchi non conformi è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.500 a euro 25.000;
              l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria per la commercializzazione degli shoppers non biodegradabili per l'asporto, è stata prorogata alla data del 31 dicembre 2013 dall'articolo 2, comma 4, dal decreto-legge n.  2 del 25 gennaio 2012. L'articolo 34, comma 30, del decreto-legge n.  179 del 18 ottobre 2012 ha modificato il termine del 31 dicembre 2013 rimandando il tutto, così come recita il comma: «...a decorrere dal sessantesimo giorno dall'emanazione dei decreti di natura non regolamentare di cui al comma 2...»;
              in data 27 marzo 2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale del 18 marzo 2013 che definisce le caratteristiche tecniche dei sacchetti monouso biodegradabili e compostabili e di quelli riutilizzabili che possono circolare. Le norme diventano efficaci dopo la pronuncia di compatibilità con la normativa europea in materia – direttiva 94/62/CE – da parte della Commissione europea;
              in data 13 giugno 2013 la Commissione europea doveva esprimersi sulla compatibilità delle norme italiane sui «bioshopper». La Commissione europea proroga di 90 giorni la decisione da assumere;
              in data 13 settembre 2013 è scaduto il termine entro il quale la Commissione europea doveva esprimersi sulla compatibilità delle norme italiane sui «bioshopper» con la direttiva 94/62/CE. Il decreto e le relative sanzioni previste dal decreto-legge n.  2 del 25 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla legge n.  28 del 24 marzo 2012 sono «congelate»;
              in data 4 novembre 2013 la Commissione europea ha licenziato una proposta di direttiva che modifica la direttiva madre sugli imballaggi (94/62/CE) con lo scopo di ridurre ed eliminare il consumo di sacchetti di plastica in materiale leggero (sotto i 50 micron). Gli Stati membri possono raggiungere l'obiettivo anche vietando la circolazione dei sacchetti in deroga all'articolo 18 della direttiva del 1994 che contrariamente stabilisce che la circolazione degli imballaggi nell'Unione non può essere limitata;
              in data 21 novembre 2013 il Commissario europeo all'ambiente, Janez Potočnik, rispondendo a una interrogazione parlamentare, ha dichiarato che la Commissione europea non si è ancora espressa sulla compatibilità delle norme italiane con la «Direttiva imballaggi» (94/62/CE);
              in data 14 gennaio 2014 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che invita la Commissione a modificare la «Direttiva imballaggi» (94/62/CE) per arrivare a eliminare o ridurre drasticamente al 2020 i sacchetti di plastica monouso che non siano riutilizzabili, biodegradabili e compostabili;
              risulta ai firmatari del presente atti di indirizzo che la disciplina normativa e sanzionatoria prevista dal decreto-legge n.  2 del 25 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla legge n.  28 del 24 marzo 2012, non è operativa;
              la Commissione europea a fronte dell'eccessivo inquinamento dei fiumi e dei mari causato dalla plastica, conosciuto come «marine litter», ha avviato una consultazione pubblica, è stata aperta fino al 18 dicembre 2013, nel quadro della revisione degli obiettivi previsti dalle direttive su rifiuti, imballaggi e discariche, dove pescatori, cittadini, associazioni ed esperti hanno potuto proporre soluzioni al problema nell'ottica della riduzione dei rifiuti e del perseguimento di qualunque strategia per raggiungere questo risultato. Gli utenti sono stati chiamati ad esprimersi anche sull'efficacia delle misure intraprese finora per la lotta al «marine litter». Le risultanze serviranno alla Commissione europea per fissare il primo obiettivo per contenere i rifiuti dei mari e dei fiumi e lavorare per la futura riduzione. Questa campagna precede ed è propedeutica per la formulazione di un obiettivo di riduzione del titolo quantitativo dei rifiuti marini che dovrebbe tradursi in una Comunicazione da parte della Commissione europea prevista per il 2014;
              il «Rapporto Rifiuti Urbani 2013» dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ISPRA, descrive nella sezione «Gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio» che vi è, rispetto al biennio 2010-2011, un forte calo dell'immesso al consumo degli imballaggi in legno e carta, pari rispettivamente a 143 mila tonnellate (- 6,2 per cento) e 146 mila tonnellate (- 3,3 per cento), per i quali le applicazioni predominanti sono quelle commerciali ed industriali. Anche l'acciaio fa registrare una diminuzione, pari a 46 mila tonnellate (-9,5 per cento), la plastica e il vetro presentano, invece, contrazioni più ridotte, pari a 23 mila tonnellate e 39 mila tonnellate (rispettivamente - 1,1 per cento e - 1,7 per cento). Quindi, è molto meno marcata la riduzione degli imballaggi primari legati tipicamente ai consumi alimentari;
              l'Istituto di chimica e tecnologia dei polimeri, ICTP, del Consiglio nazionale di ricerca, CNR, di Pozzuoli (NA) ha messo a punto tecniche per l'utilizzo di materie prime di origine vegetale, non utilizzate per scopi alimentari, come le bucce dei pomodori San Marzano, da cui hanno ottenuto un film biodegradabile, biocompatibile e non tossico da utilizzare per le pacciamature delle piante, ossia quel processo di protezione e aiuto alla crescita delle piante nella fase più delicata dello sviluppo con alcuni strati di plastica stesi al suolo. Si pensi, che nel mondo vengono usate ogni anno circa 700 mila tonnellate di plastiche pacciamanti e che il loro destino è quello di un difficile riciclo, in quanto contaminate da terra e sostanze organiche, o di finire nel terreno compromettendo la fertilità del suolo. Il vantaggio socio-ambientale non è soltanto quello di essere composto da sostanze organiche, ma può essere utilizzato anche sotto forma di spray e non ha bisogno di essere rimosso, funzionando da ammendante del suolo perché si decompone a contatto con l'acqua piovana – mantenendo le performance per tempi confrontabili ai tradizionali additivati – dopo un certo periodo non lasciando tracce e inquinanti;
              in Italia l'azienda Bio-on ha realizzato e brevettato la prima bioplastica PHAs (polidrossialcanoati) al mondo completamente e naturalmente biodegradabile in acqua e al suolo. Si tratta della Minerv-PHA, un polimero biologico per la cui produzione si utilizzano gli scarti della lavorazione della barbabietola e della canna da zucchero i quali anziché rappresentare un costo di smaltimento, diventano una risorsa economica con risvolti positivi sull'ambiente e l'ecosistema. Questo tipo di bioplastica è resistente al calore fino a 200o C, è impermeabile ai gas e ai liquidi e ha prestazioni meccaniche eccellenti. I seguiti applicativi di questo polimero biologico sono diversi, si va dalla possibilità di utilizzarlo come substrato per i circuiti elettrici o, combinato con opportune nano cariche, può diventare un conduttore di elettricità con prospettive straordinarie prima su tutte quella di ridurre drasticamente l'impatto che il fenomeno conosciuto e-waste ha sull'ambiente con i suoi 50 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti ogni anno nel mondo dall'elettronica. Alcuni ricercatori dei dipartimenti di ingegneria delle università di Modena e Reggio Emilia stanno studiando la possibilità di incorporare circuiti elettrici ed elettronici in substrati plastici, al fine di ottenere un'elettronica flessibile, leggera, facilmente integrabile e sostenibile. La bioplastica PHAs può essere utilizzata anche per rigenerare un tessuto umano, in particolare per realizzare la struttura di supporto (scaffold) di colture di cellule ossee; strutture grazie alle quali è possibile rigenerare un osso umano. In laboratorio è stato dimostrato, empiricamente, che questo tipo di bioplastica, opportunamente combinata con particelle di ceramica o vetrose osteoinduttive in strutture altamente porose, sia adatto alla costruzione di scaffolds compositi privi di citotossicità;
              negli Stati Uniti l'azienda Ecovativedesign ha brevettato un sistema che permette di realizzare sostanze simili al polistirolo e alle schiume plastiche attraverso la coltura di funghi. Le spore dei funghi vengono fatte crescere direttamente su scarti vegetali in stampi della forma desiderata. Nel giro di una settimana, senza bisogno di acqua, luce o sostanze chimiche, l'intreccio dei miceli produce una speciale plastica sostenibile. I primi contenitori in bioplastica sono già in vendita e la loro applicazione per il momento è quella dei contenitori, per esempio i gusci salva bottiglie, ma è imminente il lancio di materiali per l'edilizia e le carrozzerie delle auto;
              una studentessa turca, Elif Bilgin, è riuscita a mettere a punto un processo con cui è possibile produrre dalle bucce di banane una bioplastica dall'alto valore tecnologico e ambientale. Dopo due anni di perfezionamento della tecnica la studentessa è riuscita ad ottenere polimeri funzionali che, grazie al contenuto di amido e cellulosa contenuti nella buccia possono essere utilizzati per creare materiali isolanti elettrici e protesi mediche. La studentessa è stata proclamata vincitrice nel 2013 del più importante premio internazionale «Science in Action» della Scientific American;
              gli esempi nel mondo di nuove scoperte nel campo della tecnica e della scienza applicati al campo della chimica verde potrebbero avere quale risvolto positivo sugli ecosistemi della società, quello di ridurre drasticamente il fenomeno dell'inquinamento causato dalla plastica prodotta da fonte fossile con la progressiva scomparsa a lungo-lunghissimo termine;
              le continue ricerche sulla bioplastica, all'interno dei nuovi scenari socio-economici che offre la «bioeconomia», potrebbero contribuire in modo significativo ad una vera e propria nuova rivoluzione della chimica con la possibilità di riqualificare vaste aree deindustrializzate del Paese, generare nuova occupazione, qualità ambientale e cultura;
              il «Cluster Tecnologico Nazionale della Chimica Verde» è stato creato nell'ambito della Comunicazione (2011)809 della Commissione europea che istituisce il programma quadro di ricerca e innovazione «Horizon 2020», sotto la priorità «Bioeconomy». Il cluster intende sviluppare a livello nazionale la promozione delle bioindustrie europee a basse emissioni di carbonio, efficienti sotto il profilo delle risorse, sostenibili e competitive. Le attività si concentrano sulla promozione della bioeconomia con la trasformazione dei processi e dei prodotti industriali convenzionali in prodotti e processi biologici efficienti nell'uso delle risorse e dell'energia, con lo sviluppo di bioraffinerie che utilizzano biomassa, rifiuti biologici e biotecnologici sottoprodotti derivati dalla produzione primaria e l'apertura di nuovi mercati attraverso il sostegno alla standardizzazione, alla regolamentazione e alle attività dimostrative/sperimentali e altri, tenendo conto delle conseguenze della bioeconomia sull'utilizzazione del terreno e delle modifiche di destinazione del terreno;
              il «Cluster Tecnologico Nazionale della Chimica Verde» denominato «Spring» (Sustainable Processes and Resources for Innovation and National Growth) è stato inaugurato da poco, non ha fini di lucro, raggruppa più di cento soci, ossia realtà che a diverso titolo operano nel campo della bioeconomia e che rappresentano l'intera filiera della chimica verde. Il nome del cluster esprime la volontà dei soci di dare una nuova «primavera» all'innovazione e alla ricerca in chiave green, di incoraggiare lo sviluppo delle bioindustrie in Italia attraverso un approccio olistico all'innovazione, a rilanciare la chimica italiana avendo quale denominatore comune la sostenibilità socio-ambientale;
              il progetto «Spring» fa parte degli otto cluster tecnologici nazionali promossi dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per identificare le realtà (aggregazioni organizzate di imprese, università, istituzioni pubbliche e private di ricerca, e altro), in grado di promuovere una crescita economica sostenibile;
              il più importante programma europeo che detta le priorità per una crescita sostenibile e inclusiva, per la ricerca e l'innovazione, è il programma quadro per la ricerca europea «Horizon 2020» il quale dispone di 79 miliardi di euro di finanziamenti nella programmazione 2014-2020,

impegna il Governo:

          ad avviare un monitoraggio rispetto alla presenza dell'accumulo anche nei nostri mari delle due grosse correnti di plastica situate tra Cagliari e le Isole Egadi e tra La Spezia e l'arcipelago toscano e, conseguentemente, porre in essere tutte le azioni volte alla bonifica e alla tutela ambientale dell'ecosistema marino;
          ad avviare indagini epidemiologiche sull'eventualità del rischio di contaminazione della catena alimentare ad opera delle due grosse correnti di plastica;
          a sollecitare e farsi promotore nelle istituzioni internazionali di un programma mondiale di monitoraggio della Great Pacific Garbage Pacth e della chiazza similare di detriti presente anche nell'Oceano Atlantico, in una zona corrispondente all'incirca al Mar dei Sargassi, al fine di conoscere la reale entità e il suo grado di evoluzione e, conseguentemente, avviare i protocolli internazionali con cui procedere alla bonifica del «sesto continente»;
          in sede comunitaria a far sì che l'espressione della compatibilità delle norme italiane sui «bioshopper» sulle norme comunitarie venga trasmessa all'Italia a fronte del fatto che il termine entro il quale la Commissione europea doveva esprimersi è scaduto il 13 settembre 2013 e, contestualmente, nel semestre europeo di presidenza dell'Italia, venga rivista la «Direttiva imballaggi» (94/62/CE) alla luce delle nuove scoperte tecniche-scientifiche sulle bioplastiche a impatto zero e sulle applicazioni che queste possono trovare negli indotti delle attività produttive;
          a incentivare lo sviluppo di «chemical» da fonti rinnovabili, con particolare riferimento all'utilizzo di prodotti di scarto dell'industria agroalimentare, residui forestali locali, o comunque materie prime vegetali coltivate in terreni marginali o abbandonati dall'agricoltura;
          a promuovere un monitoraggio e successiva catalogazione delle buone pratiche e delle invenzioni in ambito bioeconomico al fine di strutturarle in un apposito processo di sistema, o network della conoscenza, al fine di consentire lo sviluppo delle pratiche narrate in premessa in chiave sistemica e funzionale al rilancio della politica industriale del Paese;
          a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato ad adottare un «Piano nazionale per la bioeconomia», già istituito in Europa da Germania, Olanda, Danimarca, Irlanda, Repubblica Ceca ed in via di definizione in Francia, che introduca un nuovo sistema di politica industriale-ambientale teso a favorire la riqualificazione ed il rilancio delle aree del Paese deindustrializzate, sostenere la ricerca universitaria, l'innovazione pubblica e privata, i processi di internazionalizzazione e le reti di imprese, e, infine, a incoraggiare la domanda e l'offerta di bioprodotti;
          a far sì che le risorse economiche del nuovo programma europeo «Horizon 2020», vengano impiegate per la ricerca e l'innovazione senza correre il rischio di non spesa così come è accaduto per il «VII Programma Quadro» (programmazione 2007-2013) dove l'Italia ha perso circa 400 milioni di euro l'anno con un saldo negativo per tutto il ciclo di programmazione di 2,8 miliardi di euro.
(1-00516) «Franco Bordo, Fratoianni, Palazzotto, Pellegrino, Zaratti, Ferrara».

Risoluzione in Commissione:


      La Commissione XI,
          premesso che:
              il comma 4 dell'articolo 1 del decreto-legge 20 maggio 1993, n.  148, convertito dalla legge 19 luglio 1993, n.  236, aveva consentito l'iscrizione nelle liste di mobilità dei lavoratori licenziati dalle imprese, anche artigiane o cooperative di produzione e lavoro, che occupano meno di 16 dipendenti, per giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro nonché dei lavoratori licenziati per riduzione di personale che non fruiscano dell'indennità di mobilità, prevista dall'articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n.  223. Tale operazione consentiva alle aziende di usufruire di alcune agevolazioni connesse all'instaurazione di rapporti di lavoro con i soggetti iscritti nella cosiddetta «piccola mobilità». Una norma che andava ovviamente nella direzione di premiare quelle imprese che assumevano lavoratori disoccupati, facendoli rientrare nel mondo del lavoro. Nonostante la crisi, questo tipo di agevolazione era stata utilizzata da molte piccole e medie aziende sane che, dati i benefici contributivi che ne derivavano, potevano permettersi di prendersi in carico un nuovo dipendente e di toglierlo dallo status di disoccupato, dando così beneficio sia allo Stato che all'intera collettività;
              la disposizione in questione era stata più volte prorogata, sino alla legge 92 del 2012 cosiddetta legge Fornero con la quale si elimina la possibilità per i lavoratori licenziati di iscriversi alle liste della piccola mobilità;
              nel vuoto normativo che si è in tal modo venuto a creare, l'Inps detta le prime disposizioni pubblicando la circolare n.  13 del 2013, la quale esplicitava che: «Per l'anno 2013 non è stata prorogata la possibilità di iscrizione nelle liste di mobilità dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo, per i quali non ricorrono le condizioni per l'attivazione delle procedure di mobilità. Manca anche la copertura degli oneri per il finanziamento delle relative misure incentivanti; ne consegue che, per l'anno 2013, non sarà possibile fruire delle agevolazioni previste dalla legge n.  223/1991. Al riguardo, si forniscono le seguenti precisazioni. Non essendo possibile l'iscrizione nelle liste per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo decorrenti dal 1o gennaio 2013, consegue che, per eventuali iscrizioni – comunque avvenute – gli incentivi non possono essere riconosciuti. In relazione agli altri aspetti connessi alla mancata proroga della norma è stato richiesto parere al Ministero del lavoro e delle politiche sociali; si fa pertanto riserva di successive indicazioni;
              successivamente, proprio in seno all'allarme venutosi a creare data dall'incertezza normativa e temporale che tale circolare aveva creato, con la circolare n.  150, del 25 ottobre 2013, l'Inps scioglie parzialmente la riserva formulata con la circolare n.  13/2013 precisando che «in merito alla mancata proroga della possibilità di iscrizione nelle liste di mobilità dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo e degli incentivi riservati al loro reimpiego (cosiddetta piccola mobilità),
                  non sono riconosciute le agevolazioni per le assunzioni, effettuate nel 2013, di lavoratori licenziati prima del 2013;
                  non è possibile riconoscere le agevolazioni per le proroghe e le trasformazioni a tempo indeterminato, effettuate nel 2013, di rapporti agevolati instaurati prima del 2013;
                  è anticipata al 31 dicembre 2012, in via cautelare, la scadenza dei benefici connessi a rapporti agevolati, instaurati prima del 2013 con lavoratori iscritti nelle liste di mobilità a seguito di licenziamento individuale»;

              le dette indicazioni, com’è ovvio, hanno destato allarme per tutte quelle aziende che hanno usufruito degli incentivi per le assunzioni di lavoratori in «piccola mobilità» effettuate nel 2011 e nel 2012, dal momento che chi ha assunto il lavoratore in quel periodo, facendo valere lo sgravio contributivo per i mesi dell'anno 2013, dovrà a questo punto provvedere al versamento all'Inps della differenza tra i contributi versati e quelli – alla luce delle nuove indicazioni –, oggi dovuti oltre agli interessi maturati, a cui si aggiunge la beffa del non poter dispone del nuovo bonus non essendo state le stesse assunzioni effettuate nell'anno 2013;
              con il messaggio n.  17941 del 2013, facendo seguito alle istruzioni fornite con la circolare n.  150 citata in precedenza, le sedi territoriali venivano altresì invitate a riprendere l'attività di verifica sulla spettanza dei benefici riguardanti i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità ed a richiedere ai datori di lavoro di regolarizzare quanto percepito indebitamente per l'agevolazione fino ad arrivare all'ultimo messaggio n.  18639, con il quale ad integrazione delle indicazioni già fornite, viene precisato che, in considerazione della circostanza che l'istituto è ancora in attesa degli ulteriori e definitivi chiarimenti ministeriali, non dovrà essere richiesto ai datori di lavoro il rimborso dei benefici eventualmente fruiti;
              in seguito, con il messaggio successivo, il n.  2889 l'Inps informa che a far data del 15 settembre 2014 verranno emesse le note di rettifica ai fini del recupero delle ex agevolazioni previste per chi ha assunto nel 2012 lavoratori provenienti dalla cosiddetta «piccola mobilità»;
              con interpellanza n.  2-00571, la sottoscritta interpellava il Presidente del Consiglio dei ministri sul caso descritto, dalla risposta resa dal Sottosegretario Ivan Scalfarotto però non è conseguita una risposta soddisfacente in quanto nessuna soluzione è stata presa in considerazione per le aziende che comunque dovranno comunque restituire i benefìci connessi alle assunzioni effettuate;
              come denunciato da varie organizzazioni datoriali la situazione delle aziende coinvolte ha assunto contorni allarmanti: a titolo esemplificativo è opportuno citare quanto denunciato dalla Confartigianato che stima solo per la regione Veneto già 56.000 i lavoratori assunti dalla particolare lista della cosiddetta «piccola mobilità»; tale dato dà il segno di una situazione che si palesa come allarmante su tutto il territorio nazionale per aziende e lavoratori evidentemente stimabili in qualche centinaia di migliaia di casi;
              in buona sostanza, le piccole e medie imprese che già oggi si ritrovano a fronteggiare la stretta del credito bancario, l'aumento della pressione fiscale che oramai ha valicato quota 60 per cento, i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, l'abolizione degli sconti fiscali su capannoni dovranno ora anche affrontare la restituzione delle agevolazioni ricevute per aver assunto dei disoccupati. Questa situazione ha del paradossale;
              inoltre se gli imprenditori non saranno in grado di restituire le somme, si creerà un circolo vizioso che potrebbe portare alla chiusura delle aziende, al licenziamento di molti dipendenti, anche degli stessi dipendenti che sono stati assunti con queste agevolazioni;
              gli avvisi partiranno, come già detto in precedenza, il 15 settembre 2014 e se le aziende non avranno disponibilità per pagare tali avvisi otterranno il DURC irregolare con danni rovinosi: blocchi di una qualsivoglia agevolazione, blocco dei pagamenti, magari per lavori già effettuati, esclusione ai bandi di gara per non parlare della contrazione del mercato, licenziamenti e fallimenti, aumento della disoccupazione e non è da escludere che si arrivi a situazioni di disperazione tale da causare soluzioni tragiche quali il suicidio di imprenditori e disoccupati;
              non è da sottovalutare infatti l'aumento esponenziale dei suicidi che sono passati da 49 nel 2012 a 68 nel 2013, «senza differenze geografiche tra nord e sud» proprio dovute alla mancanza di lavoro e all'impossibilità di saldare i propri debiti nei confronti dello Stato;
              in un momento di particolare crisi, come quello che attanaglia il nostro Paese, è opportuno garantire benefici tangibili alle aziende artigiane e del piccolo commercio, poiché esse costituiscono, di fatto, l'asse portante dell'economia reale italiana;
              appare inconcepibile sia l'eliminazione del beneficio già ex lege previsto, sia ed ancor di più, la beffa consistente nella richiesta della restituzione degli incentivi già in precedenza usufruiti dalle aziende: tali restituzioni ammontano mediamente ad importi non inferiori ai quattromila euro l'anno per ciascun dipendente, con conseguenze non difficilmente immaginabili per piccoli imprenditori e lavoratori;
              le coperture necessarie per l'anno 2013 al fine di evitare tale situazione ammonterebbero a circa 40/50 milioni di euro;
              attualmente come ha anche evidenziato il sottosegretario, è stato stanziato un fondo con decreto direttoriale 264 del 19 aprile 2013, pari ad euro 20.000.000 per le nuove misure per la piccola mobilità, fondo che tuttora risulta intatto ed ancora inutilizzato ma che potrebbe rappresentare una base di partenza per la copertura dovuta ed evitare così la restituzione delle somme dovute dalle aziende;
              alla luce di quanto esposto in premessa, sarebbe quantomeno di buon senso operare al fine di invertire quella che è oramai divenuta una vera e propria tendenza distruttiva a danno di chi produce e crea lavoro anche alla luce di quella che appare agli interpellanti una piena violazione del principio di irretroattività dei provvedimenti,

impegna il Governo:

          entro e non oltre il 31 agosto 2014 ad intervenire urgentemente nella ricerca delle coperture, ed al loro inserimento nel primo atto normativo utile, anche attraverso l'utilizzo e l'ampliamento dello stanziamento previsto dal decreto direttoriale 264 del 19 aprile 2013 di 20.000.000,00 di euro a valere del Fondo di rotazione per la formazione professionale previsto dall'articolo 25 della legge 21 dicembre 1978, come modificato dal comma 5 dell'articolo 9 del decreto-legge n.  148 del 1993, al fine di evitare che le aziende che hanno usufruito delle agevolazioni non debbano assolutamente restituire i benefici di cui hanno goduto secondo il principio del legittimo affidamento in buona fede, dato che non vi è stata né da parte dello Stato né da parte degli organi di competenza preposti nessuna segnalazione espressa in merito al mancato rifinanziamento della misura agevolativa;
              nel caso in cui non venisse rispettata la data di cui sopra, e venissero quindi emessi gli avvisi di pagamento da parte dell'Inps, ad assumere iniziative presso le autorità competenti al fine di considerare comunque le aziende in regola ai fini del rilascio del Durc, qualora non sussistano inadempienze diverse rispetto a quelle derivanti dalla mancata restituzione delle agevolazioni previste per l'assunzione di lavoratori provenienti dalla cosiddetta «piccola mobilità».
(7-00399) «Rostellato, Rizzetto, Cominardi, Ciprini, Bechis, Chimienti, Baldassarre, Tripiedi, Da Villa».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


      PRODANI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'11 maggio 2014 il quotidiano Il Piccolo di Trieste ha pubblicato l'articolo «Pullman turistici: »Dalla Slovenia concorrenza sleale«» che evidenzia come le imprese triestine di trasporto di persone siano penalizzate dai bus di Lubiana;
          secondo quanto riferito dalla Confederazione dell'artigianato e delle piccole imprese (CNA) di Trieste, numerose ditte di trasporto persone slovene che operano in Italia non versano l'IVA per i tratti di strada italiana che percorrono, mentre i pullman italiani che vanno all'estero (in quasi tutta Europa) devono essere muniti di partita Iva e sborsare l'imposta ai Paesi interessati;
          le aziende italiane, inoltre, quando effettuano il servizio di trasporto persone in ambito comunitario, sono costrette a ricorrere a società straniere per la gestione della fatturazione IVA dei servizi prestati Paesi comunitari, circostanza che aggrava ulteriormente le loro spese;
          questo fenomeno è noto da tempo nel Triveneto, soprattutto presso gli aeroporti, dove operano automezzi sloveni che, privi di targhetta o adesivo identificativo del servizio pubblico (obbligatori per gli automezzi italiani), offrono il transfer da e per la Slovenia oltre a numerosi servizi navetta come quello dall'aeroporto di Venezia alla stazione ferroviaria di Mestre;
          l'articolo 1 del decreto legislativo n.  18 del 2010 sul recepimento della «Direttiva IVA» (2006/112/CE) relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto ha modificato le disposizioni sull'IVA previste dal decreto del Presidente della Repubblica (decreto del Presidente della Repubblica) 26 ottobre 1972, n.  633;
          nel decreto del Presidente della Repubblica è stato introdotto, tra l'altro, l'articolo 7-quater di disciplina della territorialità dell'IVA riferita a particolari prestazioni di servizi che al comma 1, lettera b), introduce una deroga al trasporto di passeggeri in base alla quale le prestazioni si considerano effettuate nel territorio di un Paese «in proporzione alla distanza percorsa nel territorio dello Stato»;
          gli autotrasportatori sloveni che effettuano il servizio di trasporto persone all'interno dell'Italia non rispetterebbero la normativa comunitaria: sembra infatti che evitino di versare all'Italia l'IVA che maturano sul nostro territorio, aumentando così il loro vantaggio sul mercato nei confronti delle controparti italiane, in difficoltà per l'altissimo costo del carburante;
          secondo Enrico Eva di Confartigianato Trieste, l'IVA è una delle cause della perdita di competitività delle nostre aziende, cui si aggiunge la tassazione sul lavoro molto bassa che porta gli sloveni ad applicare un 20 per cento in meno sul prezzo del trasporto di un bus;
          «da tempo le imprese e i sindacati denunciano l'abuso della disciplina europea del cabotaggio – sostiene Eva nell'articolo de Il Piccolo – finalizzato a pratiche di concorrenza sleale che stanno fortemente soffocando le imprese virtuose. E per questo hanno chiesto al Governo di attivarsi presso Europea per applicare all'Italia la clausola di salvaguardia, che consente – in presenza di gravi distorsioni di mercato – di sospendere il diritto al cabotaggio terrestre per sei mesi, con possibilità di proroga per altri sei. Le nostre ditte hanno la sede sociale qui in regione, pagano le tasse e lasciano i soldi qui»;
          questa concorrenza sleale deve essere contrastata da un'azione efficace della Guardia di finanza e delle altre forze dell'ordine, a garanzia di una disposizione comunitaria e nazionale, in modo da accertare sul posto – durante i controlli stradali – se l'autotrasportatore di un Paese dell'Unione europea rispetti la normativa e sia identificato ai fini IVA dall'Agenzia delle entrate;
          il fenomeno summenzionato non riguarda solo l'Italia, come testimoniato da un articolo pubblicato dal portale Trasporto Europa il 16 giugno 2014, che annuncia la decisione del Governo belga di portare da 55 e 1500 euro la multa nei confronti delle imprese di autotrasporto straniere che effettuano cabotaggio terrestre – in questo caso di merci – e che non presentano i documenti relativi alla spedizione sulla regolarità delle loro attività. Secondo l'articolo, «alcune stime rivelano che in Belgio sarebbero stati persi circa quattromila posti di lavoro tra gli autisti dal 2008 a oggi, a causa del cabotaggio terrestre, svolto spesso dalle filiale dell'Est delle stesse imprese belghe»  –:
          se s'intendano assumere misure urgenti per far fronte a questa situazione lesiva di una disposizione comunitaria e in grado di ridurre considerevolmente il gettito dell'imposta generale sui consumi, avvantaggiando alcune imprese degli Stati membri e costituendo un grave precedente che, con il continuo allargamento dell'Unione europea, potrà coinvolgere altri autotrasportatori comunitari;
          quale sia l'entrata erariale generata dall'IVA legata al servizio di trasporto persone da parte di società comunitarie che operano nel nostro Paese:
          se intenda rivolgersi alla Commissione dell'Unione europea per l'adozione della clausola di salvaguardia sul cabotaggio terrestre, sospendendolo per sei mesi in considerazione delle gravi ed evidenti distorsioni di mercato in atto. (4-05274)


      VEZZALI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 3 maggio 2014 la regione Marche è stata colpita da una violenta alluvione che ha interessato diverse città e paesi della provincia di Ancona e in particolar modo la città di Senigallia;
          a oggi molte attività commerciali, imprese e agricoltori non hanno ripreso appieno le loro operosità a causa dei danni dovuti allo stato calamitoso, e sono ancora circa settecento le famiglie in attesa di alloggio perché l'alluvione ha reso inagibili le loro abitazioni;
          nei giorni successivi alla tragedia ambientale, il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, e i Ministri Galletti e Martina hanno fatto un sopralluogo nelle zone colpite, e in quell'occasione ognuno di loro ha rassicurato il sindaco di Senigallia, Maurizio Mangialardi, sull'impegno urgente del Governo per il ripristino della città;
          prontamente la regione Marche ha chiesto lo stato d'emergenza;
          nonostante siano trascorse alcune settimane dall'evento calamitoso e nonostante le rassicurazioni del Governo, il Consiglio dei ministri non ha ancora dichiarato lo stato di emergenza previsto all'articolo 5 della legge n.  225 del 1992  –:
          se non intenda urgentemente provvedere in un prossimo Consiglio dei ministri alla dichiarazione dello stato d'emergenza per i territori colpiti dall'evento, decisione attesa dalle amministrazioni comunali, dalle imprese e dalle popolazioni delle Marche. (4-05278)


      MATARRESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la provincia di Bari, nei giorni compresi tra il 14 e il 17 giugno 2014, è stata duramente colpita da un violento nubifragio. In particolare, il territorio pugliese è stato interessato da forti ed abbondanti precipitazioni con rilevanti e pericolose grandinate, con chicchi dal diametro di 3-4 centimetri che hanno messo in pericolo di vita gli automobilisti o chi percorreva la strada a piedi, che hanno causato danni ai settori dell'agricoltura, della viabilità, dell'edilizia pubblica e privata, delle infrastrutture, delle reti idriche e fognarie e che hanno determinato smottamenti e fenomeni di dissesto idrogeologico;
          l'intensità delle precipitazioni ha causato cedimenti di alcuni manti stradali, allagamenti, frane e smottamenti, caduta di alberi, danni alle automobili, accumulo di detriti ingombranti con conseguenti blocchi delle strade, danni strutturali alle imprese del territorio, soprattutto quelle agricole, danneggiamenti delle infrastrutture stradali con conseguenti blocchi alla circolazione veicolare e relativa compromissione della pubblica incolumità;
          secondo la Coldiretti Puglia, pioggia, grandine e vento avrebbero danneggiato in maniera irreparabile vigneti, uliveti e frutteti, compromettendo i raccolti;
          i comuni maggiormente colpiti da questi fenomeni metereologici avversi sono Acquaviva delle Fonti, Bitetto, Sannicandro di Bari, Adelfia, Bitritto, Grumo Appula, Palo del colle, Binetto, Cesano delle Murge, Modugno e Bitonto;
           i sindaci dei predetti comuni e le associazioni di categoria hanno inviato una missiva ai rappresentanti del Governo, del Parlamento, della regione Puglia e dei partiti richiedendo la risoluzione della problematica, sia dal punto di vista della prevenzione che dal punto di vista dell'indennizzo dei danni subiti  –:
          se non si intenda dichiarare lo stato di calamità naturale per i terreni agricoli dei comuni della provincia di Bari colpiti dai violenti e pericolosi nubifragi di questi giorni;
          se il Governo non intenda assumere iniziative per attivare misure specifiche dirette ad indennizzare gli agricoltori che hanno subito la distruzione delle colture;
          se non si intendano assumere iniziative anche normative per concedere, ai sensi della normativa vigente, a favore delle aziende agricole danneggiate i seguenti aiuti: contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria; prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo; proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento atmosferico calamitoso;
          se non ritenga di considerare l'opportunità di far fronte a lavori urgenti di prevenzione, di mitigazione del rischio e di messa in sicurezza dei territori che hanno subito danni causati da fenomeni di dissesto idrogeologico utilizzando le risorse previste dal comma 111 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2014, legge 27 dicembre 2013, n.  147, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.  302 del 27 dicembre 2013. (4-05280)


      ELVIRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          da un nuovo rapporto «Piccoli ingredienti, grandi rischi» dell'associazione ambientalista Friends of the Earth sull'impiego di nanomateriali da parte dell'industria alimentare statunitense emerge una utilizzazione indiscriminata di nanomateriali negli alimenti, in quanto non esiste alcun obbligo per la loro segnalazione in etichetta;
          i nanomateriali, secondo le indagini di Friends of the Earth, sono presenti in 94 cibi e bevande di marchi noti tra cui Coca-Cola, Kraft, Unilever, Nestlé, General Mills, Mars e altre multinazionali molto note; Nel 2008, i prodotti individuati erano soltanto 8;
          lo studio si è concentrato sull'industria statunitense ma in Europa le cose non sono diverse e, soprattutto la marche interessate hanno una distribuzione mondiale;
          il vuoto normativo ha permesso alle aziende di introdurre rapidamente nanomateriali nei prodotti in vendita nei supermercati, senza tenere conto delle problematiche relative alla salute e alla sicurezza;
          le aziende alimentari hanno deciso di sfruttare sempre più le nanotecnologie per migliorare le caratteristiche degli alimenti confezionati; la consapevolezza della presenza di particelle «estranee» nei prodotti destinati all'alimentazione potrebbe portare ad un calo degli acquisti da parte dei consumatori più consapevoli;
          secondo Friends of the Earth, circa 200 aziende alimentari stanno investendo in nanotecnologie e presto saranno ponte ad immettere nuovi prodotti per la vendita;
          per il mercato degli alimenti che contengono nanomateriali è prevista una crescita di ben 20,4 miliardi di dollari entro il 2020;
          Friends of the Earth ha raccolto i dati dall'Emerging Nanotechnologies Nanoproducts Inventory del Woodrow Wilson International Center for Scholars Project e da uno studio dell'Arizona State University;
          i due centri ritengono che i nanomateriali differiscono significativamente dalle particelle più grandi della stessa sostanza chimica, e per questo devono essere sottoposti a una valutazione di sicurezza come nuovi prodotti, anche se le proprietà della sostanza chimica da cui derivano sono ben conosciute;
          anche se la ricerca sull'eventuale pericolosità di queste sostanze per il nostro organismo e per l'ambiente è soltanto all'inizio, vi è però la certezza che la loro azione chimica, fisica e tossicologica non rispecchia quella dei corrispondenti composti standard;
          le nanoparticelle infatti superano la barriera emato-encefalica, si insediano nelle vie respiratorie, nella milza, nel fegato, nel cuore con conseguenze ancora da verificare e anche il loro impatto sull'ambiente è tutt'ora oscuro;
          Bruxelles, 18 ottobre 2011 Janez Potočnik commissario europeo per l'ambiente: «Sono lieto di annunciare che l'UE ha proposto per prima una definizione univoca dei nanomateriali, da impiegarsi a fini normativi. Abbiamo stilato una definizione solida basata su contributi scientifici e un'ampia consultazione. L'industria ha bisogno di un quadro normativo chiaro e coerente per quest'importante settore dell'economia, mentre i consumatori meritano informazioni accurate su queste sostanze. Si tratta di un passo importante per affrontare gli eventuali rischi per l'ambiente e la salute umana, garantendo nel contempo che questa tecnologia possa esprimere tutte le sue potenzialità»;
          con un comunicato stampa la Commissione europea nel 2011 dichiarava che i nanomateriali sono già impiegati in centinaia di applicazioni e di beni di consumo, dai dentifrici alle batterie, passando per le vernici e l'abbigliamento. Lo sviluppo di queste sostanze innovative costituisce un importante stimolo alla competitività europea, poiché sono caratterizzate da un potenziale significativo per compiere progressi in settori quali la medicina, la protezione dell'ambiente e l'efficienza energetica. Considerate però le incertezze che rimangono rispetto ai possibili rischi, è necessario disporre di una definizione chiara per garantire l'applicazione delle norme corrette in materia di sicurezza chimica. La definizione aiuterà tutte le parti interessate, comprese le associazioni industriali, poiché apporta coerenza nella molteplicità di definizioni attualmente in uso nei diversi settori. La definizione sarà riesaminata nel 2014 alla luce dei progressi tecnici e scientifici;
          lo scorso febbraio la Commissione sicurezza alimentare del Parlamento europeo si è opposta ai nuovi regolamenti per le etichettature alimentari proposti dalla Commissione europea, in quanto la nuova definizione di nanoparticelle indicata dalla Commissione stessa avrebbe portato ad evitarne la segnalazione in etichetta;
          Friends of the Earth mette in guardia sui rischi per l'ambiente e per la popolazione legati all'impiego dei nanomateriali e chiede ai produttori e alle autorità regolatorie governative di fermare questa diffusione incontrollata delle nanoparticelle in alimenti e bevande, in mancanza di maggiori garanzie sulla loro sicurezza per l'uomo e per l'ambiente, e in assenza d'informazioni per i consumatori  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della problematica descritta in premessa;
          se non ritengano di dover accogliere l'invito dell'associazione e avviare quanto prima un tavolo di concertazione con tutte le parti interessate al fine di regolare la materia;
          se non ritengano altresì doveroso assumere iniziative per prevedere per le aziende l'obbligo dell'indicazione in etichetta dell'utilizzo delle nanoparticelle per la produzione di cibi e bevande a tutela della salute e della libera scelta dei consumatori. (4-05285)


      RAMPI, RACITI, GIUDITTA PINI, PORTA, VERINI e CAMPANA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il 26 giugno 2014 è la giornata mondiale dedicata alla lotta alle droghe, e questa dovrebbe essere l'occasione per fare il punto di una situazione che continua a esser preoccupate e sulla effettiva efficacia di politiche proibizioniste sulle sostanze stupefacenti che hanno contribuito ad aumentare la produzione, i traffici, i consumatori, i profitti delle organizzazioni criminali e ridotto la conoscenza, la consapevolezza, la cultura da parte dei consumatori;
          la guerra alla droga ha consegnato quello che dovrebbe essere un problema socio-sanitario al diritto penale, facendolo diventare una questione di ordine pubblico e, in certi casi, di sicurezza nazionale. Un detenuto su quattro è in carcere per reati legati alle sostanze stupefacenti a causa del binomio proibizionismo/carcere, anche per fatti di lieve entità;
          l'approccio proibizionista ha contribuito a limitare la ricerca scientifica pura e quella applicata, lo sviluppo di nuove terapie per decine di malattie con danni gravissimi per la salute di milioni di persone;
          occorre affrontare il tema in modo non ideologico, con dati ufficiali e con le esperienze positive in atto in altri paesi e includendo le analisi di politici, economisti, giuristi ed esperti nazionali e internazionali che denunciano il fallimento del proibizionismo tout court e propongono possibili alternative;
          se si ritenga opportuno provvedere alla nomina del Sottosegretario competente anche per il dipartimento per le politiche sulle droghe;
          se si ritenga utile altresì nominare un direttore scientifico di chiara fama nazionale e internazionale per il suddetto dipartimento;
          se abbia intenzione di convocare entro la fine del 2014 la 6o conferenza nazionale sui problemi relativi alle sostanze stupefacenti;
          se condivida l'intenzione di sostenere e promuovere, nel rispetto delle parole del Presidente della Repubblica, una incisiva depenalizzazione dei reati di lieve entità, per i quali la previsione di una sanzione diversa da quella penale può avere una efficacia di prevenzione generale non minore, anche nel solco di quanto avviato dal Parlamento;
          quali iniziative intenda intraprendere, in qualità di presidente di turno dell'Unione europea, al fine di poter guidare il processo di convocazione della sessione speciale dell'Assemblea generale dell'Onu in materia di sostanze stupefacenti promuovendo contributi di tutti i soggetti interessati e coinvolgibili a partire dall'Organizzazione mondiale della sanità, le accademie nazionali delle scienze ma anche associazioni di pazienti e organizzazioni non-governative attive da anni per la promozione di riforme relative a leggi e politiche in materia di sostanze stupefacenti;
          se intenda attivarsi presso l'Ufficio per le droghe e il crimine delle Nazioni unite di Vienna per chiedere che sia sospeso ogni sostegno da parte dell'Onu a politiche di repressione delle persone attraverso pene sproporzionate per reati connessi alle «droghe», e in particolare che il Governo esiga la sospensione di ogni aiuto all'esecuzione di politiche che prevedono la pena capitale, come in particolare in Iran, fino a «congelare» la quota parte dei finanziamenti dell'Italia al suddetto ufficio ONU nel caso in cui tale sostegno indiretto alla pena capitale dovesse essere mantenuto;
          se intenda prendere in considerazione, di concerto coi partner europei, la possibilità di ridurre progressivamente i limiti imposti alla ricerca medico-scientifica sulle piante, loro derivati e altri prodotti chimici contenuti nelle tabelle delle tre Convenzioni Onu in materia di sostanze stupefacenti;
          se non ritenga opportuno monitorare la promozione di politiche di «controllo delle droghe» affinché essa venga portata avanti nel pieno rispetto dei diritti umani dei consumatori e del loro diritto alla salute, difesa e giusto processo;
          se valuti opportuno rafforzare, in parallelo, il lavoro sull'uso terapeutico di tali sostanze. (4-05292)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 3 del regio decreto 6 maggio 1940, n.  635 fissa tra i doveri del sindaco quello di rilasciare ai cittadini che abbiano la loro residenza o la loro dimora nel comune e che ne facciano richiesta una carta di identità conforme al modello stabilito dal Ministro dell'interno;
          la legge finanziaria 2007, (articolo 1, comma 1319, stabilisce che al rilascio della carta di identità in formato cartaceo per i cittadini italiani iscritti all'AIRE (Anagrafe italiani residenti all'estero) possano provvedere le rappresentanze consolari;
          dal dettato dell'articolo 3 del regio decreto summenzionato discende l'obbligo dell'autorità consolare a richiedere in qualunque circostanza l'autorizzazione al rilascio della carta di identità al comune di iscrizione AIRE del richiedente, unico responsabile dell'accertamento di eventuali motivi ostativi;
          la suddetta circostanza richiede procedure lunghe e laboriose soprattutto se i comuni, come spesso accade, non rispondono sollecitamente alle richieste di autorizzazione da parte degli operatori consolari che, quindi, sono costretti a reiterare l'istanza con conseguente aggravio di lavoro e allungamento dei tempi di erogazione del servizio;
          le strutture consolari, anche a seguito delle recenti determinazioni del Ministero degli affari esteri che, nell'ambito del cosiddetto «riorientamento» della rete estera, hanno portato alla soppressione di numerosi uffici consolari, stanno sperimentando un aumento esponenziale dei loro carichi di lavoro, proprio in un momento in cui i flussi migratori verso l'estero, soprattutto dei nostri giovani in cerca di lavoro, hanno subito una tragica impennata;
          la progressiva erosione delle risorse a disposizione, oltre a maggiori carichi di lavoro, ha prodotto inevitabili tagli dei servizi all'utenza, una contrazione delle attività a favore dei nostri connazionali e un sempre maggiore grado di insoddisfazione dell'utenza;
          il Consolato generale d'Italia a Parigi ha varato recentemente un progetto pilota che — contrariamente a quanto stabilisce la normativa in vigore per la quale «il ritiro della carta d'identità dovrà essere effettuato sempre personalmente in quanto il funzionario preposto dovrà procedere all'identificazione del titolare, il quale dovrà contestualmente firmare il documento e il cartellino per la questura competente e per gli atti dell'ufficio consolare» — permette ai residenti in alcuni dipartimenti di quella circoscrizione consolare di ritirare il proprio documento tramite i corrispondenti consolari;
          tra le funzioni di questi ultimi rientra anche l'autenticazione di firme apposte in loro presenza  –:
          se intenda dare immediate disposizioni affinché il progetto pilota del consolato generale d'Italia a Parigi venga esteso come norma generale a tutta la rete consolare e, di concerto con il Ministero dell'interno, se intenda trovare soluzioni più snelle ed efficaci per l'accertamento di eventuali motivi ostativi al rilascio della carta di identità per i cittadini italiani residenti all'estero. (5-03095)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


      PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la Schlumberger ha presentato il 20 gennaio 2014 un'istanza di permesso di prospezione in mare proponendo, nel programma lavori, studi che possano portare, sempre secondo la relazione di accompagnamento, alla miglior comprensione della situazione geologica e della potenzialità geomineraria;
          il permesso di prospezione è un titolo minerario non esclusivo, rilasciato dal Ministero dello sviluppo economico su istanza della parte interessata che presenta il programma di ricerca che intende sviluppare, e riguarda aree di grandi dimensioni dislocate soprattutto in mare. All'interno dell'area del permesso di prospezione è possibile condurre solo ed esclusivamente ricerche geofisiche;
          l'area oggetto dell'istanza di permesso di prospezione è localizzata nel Mar di Sardegna, all'interno della zona marina «E». La zona interessata dall'istanza ricopre l'intera area oggetto di ampliamento, per una superficie di 20922 chilometri quadrati. Il lato più vicino alla costa è quello occidentale, che dista oltre 24 miglia nautiche dalle coste sarde (24.3 da Capo dell'Argentiera) e circa 33 miglia nautiche da Alghero;
          per l'acquisizione geofisica nell'area dell'istanza di permesso di prospezione «d 1 E.P-.SC» è previsto l'utilizzo della tecnologia air-gun, tipicamente utilizzata per i rilievi sismici marini;
          Schlumberger Italiana spa fa parte di Schlumberger Oilfield Services («Schlumberger»), la più grande compagnia al mondo di servizi per le società petrolifere, leader nella fornitura di servizi tecnologici e soluzioni all'industria petrolifera mondiale;
          le attività di ricerca di idrocarburi prevedono diverse fasi, ognuna delle quali legata ad un particolare impatto ambientale;
          nei documenti allegati alla richiesta di valutazione di impatto ambientale risulta totalmente omessa la dichiarazione relativa ad incidenti di natura nucleare accaduti in varie parti del mondo alla società richiedente nell'ambito delle fasi di perforazione e gestione di pozzi petroliferi in piattaforma;
          appare, invece, di rilevante importanza conoscere tutti i fatti o «incidenti» che risultano a conoscenza di diverse agenzie mondiali che si occupano della sicurezza nucleare e radioattiva;
          dal report della U.S. Nuclear regulatory commission – loss of control of Cesium-137 Well Logging Source Resulting in Radiation Exposures to Members of the Public – Region IV-Arlington, TX 76011-4005;
          il rapporto della U.S. Nuclear regulatory commission descrive gli eventi che si sono verificati in un impianto di perforazione nel Montana il 21 maggio 2002, che ha esposto a radiazioni non previste 31 lavoratori. Questi lavoratori non erano «radiationworkers», e sono stati quindi presi in considerazione dalla Nuclear regulatory commission;
          incidente ritenuto in violazione delle regole della commissione regolazione nucleare;
          è inclusa nel rapporto una dettagliata descrizione della sequenza degli eventi, la radice e la causa dell'evento, una descrizione dettagliata dei metodi utilizzati per valutare le dosi del lavoratore;
          il rapporto descrive le attività intraprese dalla US Nuclear regulatory commission di (NRC) Augmented squadra Inspection (AIT) in relazione a un incidente che coinvolge l'esposizione di un numero di membri del pubblico a dosi di radiazioni che in alcuni casi ha superato il limite di dose di NRC per i membri del pubblico;
          l'incidente è avvenuto in un impianto di perforazione nello Stato di Montana maggio 2002 ed è stato segnalato alla NRC. La società individuata come responsabile dell'incidente risulterebbe essere Schlumberger Technology Corporation (STC) del gruppo Schlumberger;
          la società Schlumberger è la stessa società concatenate alla Schlumberger Italiana che ha presentato il progetto per i mari della Sardegna;
          nel dossier americano che ripercorre l'evento nucleare dove sono rimaste coinvolte decine di persone sono riprodotte anche immagini eloquenti come il mezzo con il quale questa società trasporta materiale radioattivo funzionale alle proprie attività;
          il 28 febbraio del 1999, quattro lavoratori trivellatrice in un giacimento di carbone gas (CSG) sito ben vicino a Tara nel Queensland erano stati esposti a livelli che risulterebbero ancora segreti di radiazioni;
          avrebbero gestito un componente apparecchiature radioattivo sinistra al sito da parte dei lavoratori di un'altra compagnia petrolifera e di gas, Schlumberger. La sorgente di radiazione non è stata schermata e etichettata come previsto dal regolamento;
          materiale tracciante radioattivo risulta essere utilizzato da società di perforazione per misurare le proprietà di roccia e altri materiali in cui un pozzo viene perforato per determinare la presenza di acqua, gas o olio;
          secondo il documento di protezione dalle radiazioni e Agenzia per la sicurezza nucleare (ARPANSA) australiano, il direttorio nazionale per la protezione dalle radiazioni, i requisiti per la registrazione foro o logging ben comprendono: la licenza deve richiedere al licenziatario di rispettare il ARPANSA / NOHSC standard per limitare l'esposizione dei lavoratori alle radiazioni ionizzanti RPS1 (2002); la licenza deve richiedere al licenziatario di rispettare il codice di condotta per l'uso sicuro delle sorgenti radioattive sigillate in registrazione da foro (1989); e la licenza deve richiedere al licenziatario di assicurare la supervisione diretta di qualsiasi sito campo, mentre le sorgenti radioattive o apparecchi radiazioni sono in uso, per garantire che persone non autorizzate non entrano nel sito;
          la Schlumberger Oilfield UK plc ProsecutionOn il 6 dicembre 2010, è stata multata, 300.000 dollari a Aberdeen Sheriff Court per una violazione della Sezione 3 della salute e sicurezza sul lavoro a seguito di un incidente che si è verificato durante le operazioni di registrazione off-shore sulla ENSCO 101 perforazione nord-mare il 4 aprile 2008;
          nel caso richiamato una elevata attività di cesio-137 sorgente radioattiva ha visto quattordici lavoratori di diversi datori di lavoro messi a rischio di esposizione alle radiazioni  –:
          se non ritenga di dover accertare e verificare le notizie relative a tali incidenti;
          se non ritenga di dover valutare l'esclusione della società dalla procedura per aver omesso questi elementi;
          se questa società abbia autorizzazioni nel nostro Paese per utilizzare tale materiale radioattivo. (4-05295)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
          la legge 14 agosto 1967, n.  800, tutela le attività liriche e concertistiche su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento alle zone meno servite del Paese;
          nella città di Lecce opera dal 1977 l'orchestra della Fondazione ICO Tito Schipa con eccellenti risultati qualitativi e di pubblico;
          con decreto del Ministro del turismo e dello spettacolo del 22 ottobre 1982, ai sensi dell'articolo 28 della legge 14 agosto 1967, n.  800, l'Orchestra Sinfonica «Tito Schipa» ha ottenuto il riconoscimento di Istituzione concertistica orchestrale (ICO) e il diritto ai finanziamenti ministeriali del Fondo unico per lo Spettacolo (FUS);
          nel 2000, la provincia di Lecce, al fine di assicurare una maggiore stabilità all'Orchestra sinfonica «Tito Schipa», ha costituito la Fondazione «Istituzione Concertistica Orchestrale» intitolandola al grande tenore leccese Tito Schipa;
          la provincia di Lecce è il principale finanziatore dell'Orchestra Tito Schipa: nel 2013 i finanziamenti dell'attività sinfonica, infatti, sono stati di 460.000,00 euro, a carico del FUS, 1.200.000,00 euro della provincia di Lecce, 120.000,00 euro della regione Puglia e 120.000,00 euro del comune di Lecce; per l'attività lirica la provincia di Lecce impiega ulteriori euro 1.200.000,00 (a fronte di un contributo FUS di euro 400.000,00) per l'anno 2013;
          tra le 13 istituzioni concertistiche orchestrali riconosciute dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, la Fondazione I.C.O. «Tito Schipa» è quella che riceve il più cospicuo finanziamento proprio dalla provincia di Lecce;
          l'approvazione della legge 7 aprile 2014, n.  56, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni» e del successivo decreto-legge 24 aprile 2014, n.  66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n.  89, impedisce alla provincia di Lecce di garantire i medesimi finanziamenti per i prossimi anni;
          quali iniziative il Governo intenda assumere per tutelare gli organismi dello spettacolo dal vivo sinora finanziati dalle province e, in particolare, tutte le professionalità dell'ICO Tito Schipa che con il suo progetto, la sua tradizione è parte importante della storia e della cultura del territorio.
(2-00596) «Bray».

Interrogazione a risposta scritta:


      TOFALO, LUIGI GALLO, D'UVA, COLONNESE, PARENTELA, L'ABBATE, VACCA e BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogazione ha ad oggetto un sito che si trova a Bari Palese Macchie, in via Vittorio Veneto, accanto alla chiesa Stella Maris;
          l'interesse della zona è noto dal 1987, quando sulla spiaggia poco distante, fu rintracciato parte dell'abitato neolitico;
          la zona è sottoposta a vincolo archeologico, inclusa la villa e il giardino del sito in questione;
          l'intera struttura è stata acquistata da un magistrato, alcuni anni fa, con l'intenzione di costruirci delle villette a schiera. Essendo la zona sottoposta a vincolo, si è resa necessaria l'indagine preventiva;
          da subito è emersa l'eccezionalità del sito: imponenti strutture murarie a doppio paramento; pavimenti in lastrine di pietra, fornaci perfettamente conservate con il carico di vasi, sette delle sepolture della necropoli neolitica, una sepoltura con idolo femminile, frammenti di ceramica neolitica di tipo impressa a bande rosse;
          questo sito, inoltre, è stato indagato solo in minima parte. Tutto ciò che ancora nasconde rischia di non poter mai tornare alla luce;
          l'avvio dei lavori per la costruzione delle villette e la cancellazione definitiva di questo plesso di interesse culturale e storico, è stato autorizzato per l'11 luglio 2014.
          alla luce dei fatti esposti, cosa intenda fare il Ministro per tutelare questo patrimonio storico/culturale, minacciato dalla tombatura cementizia delle villette in prossima costruzione. (4-05289)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      SANI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il CeMiVet (Centro militare veterinario) è una struttura dell'Esercito italiano che ha sede nel comune di Grosseto. Attivo fin dalla seconda metà del XIX secolo tale centro è oggi una vera e propria eccellenza nazionale per l'allevamento dei cavalli (in particolare per la razze degli autoctoni maremmani e per il prestigioso «Persiano»);
          nello specifico il CeMiVet assolve il compito istituzionale dell'allevamento del cavallo, provvedendo al suo iniziale addestramento per i primi tre anni di vita. Successivamente nel corso del quarto anno, i cavalli vengono poi trasferiti presso il Centro militare di equitazione scuola di cavalleria di Montelibretti, in provincia di Roma, dove viene effettuato l'addestramento specifico per l'attività sportiva;
          dal 2002 il CeMiVet è un centro di valenza nazionale anche per l'addestramento dei cani;
          il CeMiVet, dislocato in una area di oltre 580 ettari impiega attualmente circa 400 persone tra militari e civili, rivestendo conseguentemente oltre ad uno storico presidio anche un ruolo rilevante per l'economia indotta e i livelli occupazionali di un vasto territorio limitrofo;
          secondo quanto si apprende da fonti stampa il CeMiVet dovrebbe essere trasferito presso il Centro militare di equitazione scuola di cavalleria di Montelibretti. La scelta sarebbe motivata dai tagli della «spending review» dello Stato;
          tale spostamento ha creato allarme presso i lavoratori e le istituzioni locali. Le perplessità sono emerse in una lettera inviata lo scorso 19 maggio al Ministro della difesa, Roberta Pinotti, dal sindaco di Grosseto Emilio Bonifazi che ha elencato le profonde e gravi criticità che causerebbe tale trasferimento;
          per il sindaco Emilio Bonifazi tale scelta «non avrebbe alcun senso, né dal punto di vista finanziario né in termini di principio», «lo spostamento del centro cavalli lascerebbe infatti inutilizzati pascoli e spazi particolarmente idonei, causerebbe l'interruzione dell'apprezzata attività anche nel campo dell'ippoterapia oltre, naturalmente, a portare all'abbandono di strutture veterinarie, scuderie specializzate e mezzi che non sono trasferibili, oltre che di edifici di un certo pregio storico e architettonico. Per non parlare della necessaria e costosa opera di ristrutturazione cui dovrebbe essere sottoposto il sito di Montelibretti»; per il primo cittadino di Grosseto lo spostamento del Ce MiVet causerebbe quindi ulteriore «spreco di denaro pubblico»;
          va inoltre aggiunto che l'attività del CeMiVet, che insiste in una vasta area ad alto pregio ambientale, protegge e conserva un habitat che dà riparo a moltissime specie di uccelli migratori protette, a numerose specie nidificanti primaverili sia stanziali che migratorie ritenute ad alto rischio di estinzione. Conseguentemente un cambio della tipologia delle attività oggi presenti al centro militare veterinario, andrebbe quindi necessariamente preceduto da una adeguata valutazione di incidenza ambientale (V.Inc.A.) come previsto dalla normativa della Comunità europea  –:
          se quanto esposto in premessa, relativamente al prossimo spostamento del CeMiVet di Grosseto al sito di Montelibretti, corrisponda al vero e conseguentemente per quali motivi, con quali costi ed in quale tempistica, logistica e modalità verrà effettuato;
          qualora tale spostamento venga realmente attuato, quali provvedimenti intendano assumere i Ministri per salvaguardare tutti i livelli occupazionali e le professionalità impiegate ed evitare che le strutture del CeMiVet rimangano inutilizzate e dequalificate e le aree di pregio ambientale e la fauna migratoria e stanziale che insistono in tale territorio non vengano adeguatamente protette e tutelate. (5-03089)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DADONE, COZZOLINO e LOMBARDI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto legislativo n.  297, del 5 ottobre 2000, l'Arma dei Carabinieri è stata elevata a rango di forza armata, mantenendo la peculiare connotazione di forza di polizia a ordinamento militare. Ad essa sono riconosciuti quindi una serie di compiti di vasta gamma: oltre alla difesa dello Stato e delle istituzioni nonché della collettività nazionale, sono previste la partecipazione alle operazioni militari nonché a quelle di polizia militare che in particolare viene svolta anche in via esclusiva a supporto delle altre forze armate (Esercito, Marina e Aeronautica Militare);
          con decreto legislativo n.  66 del 2010, alla forza armata Carabinieri viene riconosciuto il compito di polizia alle dirette dipendenze del Ministero dell'interno e in particolare nelle funzioni di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, di mantenimento dell'ordine pubblico nonché di protezione civile;
          ad oggi per l'Arma dei carabinieri, così come ad esempio per la guardia di finanza, è istituita, con persona giuridica, un'entità competente nella divulgazione culturale e informativa dell'attività e di ogni altro aspetto dell'Arma;
          tale istituito denominato Fondazione ente editoriale dell'Arma dei carabinieri con sede a Roma in Piazza San Bernardo, 109, presente nel registro prefettizio della capitale in data 30 dicembre 1978, n.  248;
          come riscontrabile sul sito web dell'Arma www.carabinieri.it/lnternet/Editoria, l'ente è impegnato nella produzione e pubblicazione della rivista ufficiale II carabiniere, nonché del calendario storico, della rassegna stampa dell'Arma, dei canali video per la divulgazione delle informazioni relative all'attività e infine di una serie di prodotti commemorativi come ad esempio francobolli, monete, schede telefoniche e altro;
          per la propria attività l'ente editoriale si avvale di contratti commerciali, al pari di qualsiasi altra realtà editoriale privata, come ad esempio quelli con concessionarie pubblicitarie, nella fattispecie si tratta della Politalia srl con sede a Milano, risultante nel medesimo rapporto contrattuale anche con la Rivista della Guardia di Finanza;
          ad oggi il direttore editoriale della rivista risulta essere il generale di divisione Ilio Ciceri, mentre il direttore responsabile è il colonnello Roberto Riccardi;
          altro organismo ufficiale dell'Arma dei carabinieri è l'Associazione nazionale carabinieri (ANC) istituita all'articolo 941 del decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 2010 come associazione fra militari delle categorie in congedo o pensione;
          a sua volta l'ANC pubblica la rivista Le Fiamme d'Argento, parimenti alla rivista Il Carabiniere attraverso contratti commerciali con concessionarie pubblicitarie, promuovendo inoltre manifestazioni e commercializzando materiale associativo (per esclusivo uso istituzionale) quale ad esempio: alamari, fregi oro e argento, gradi e distintivi;
          entrambi i soggetti, appartenenti a tutti gli effetti alle disposizioni del diritto privato, sono indicati ufficialmente come organismi riconosciuti e esclusivamente rappresentativi dell'Arma dei carabinieri, sottoposti comunque al controllo da parte del Ministero della Difesa  –:
          se all'interno della Fondazione Ente Editoriale e dell'Associazione Nazionale Carabinieri, siano attivi e impegnati durante l'orario di servizio in maniera saltuaria o continuativa, militari di qualsiasi grado, e in tal caso se la loro attività sia svolta per diretto ordine superiore;
          se, nel caso di cui sopra, i Ministri intendano intervenire affinché i militari distolti dall'attività di esclusiva utilità per la sicurezza e la tutela dei cittadini e delle istituzioni dello Stato, nonché per garantire il rispetto delle leggi vigenti, tornino all'originaria attività a cui sono chiamati non solo ai sensi della normativa vigente, ma soprattutto alla luce della preoccupante inadeguatezza in termini numerici di forze dell'ordine da impegnare sul territorio. (4-05272)


      CIRIELLI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          allarme e preoccupazione sta suscitando la notizia del trasferimento dell'Aeronautica militare, da decenni ospitata nell'ala ovest della Reggia di Caserta;
          in particolare, secondo quanto riportato dagli organi di stampa locali, la Scuola specialisti dell'Aeronautica militare a breve lascerà l'ultimo piano del palazzo reale, dove sono ubicati gli alloggi, che saranno sistemati in altri spazi, mentre le aree didattiche resteranno nella Reggia fin quando non verranno trovate allocazioni alternative;
          tale decisione, secondo le prime indiscrezioni, rappresenterebbe una risposta all'esigenza espressa dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, di restituire la Reggia alla sua vocazione museale;
          non più di un anno fa un rappresentante del Governo pro tempore con delega al demanio militare sosteneva che il binomio fra l'Aeronautica militare e la Reggia di Caserta fosse indissolubile in ragione della valenza sociale, economica e culturale del prestigioso Istituto di formazione militare per la città e la provincia di Caserta;
          dal maresciallo Cicala, rappresentante del COCER, arriva poi la denuncia che «senza alcun preavviso, e senza la predisposizione di soluzioni alternative, l'Aeronautica militare ha ricevuto lo sfratto e la Scuola specialisti si prepara a traslocare. Dove non è dato sapere»;
          cinqucentoquarantanove dipendenti civili e militari colpiti quattro anni fa dal blocco degli stipendi, in un momento, tra l'altro, di gravi ristrettezze economiche per tutte le famiglie italiane, attendono di sapere secondo quali modalità il Ministero della difesa intenda gestire il trasferimento della scuola dalla sede di Caserta;
          la presenza discreta e al contempo fondamentale dell'Aeronautica ha, in realtà, garantito negli anni la manutenzione di quella porzione della residenza borbonica, come riconosciuto dallo stesso Ministro della difesa in carica  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, se corrispondenti al vero, secondo quali modalità e tempistiche intendano gestire il trasferimento della Scuola specialisti dell'Aeronautica militare dalla sede di Caserta, nonché se non ritengano più opportuno adottare soluzioni concrete che valorizzino realmente la Reggia di Caserta, quale monumento nazionale e patrimonio dell'UNESCO, senza sottrarre alla città di Caserta un bene prezioso e un importante presidio dello Stato e delle forze armate sul territorio. (4-05284)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Programma per la razionalizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione viene istituito dalla legge 23 dicembre 1999, n.  488, con l'obiettivo di ottimizzare gli acquisti pubblici di beni e servizi e contribuire, con la sua attività, allo sviluppo di modelli di approvvigionamento basati su processi e tecnologie innovative;
          si è appreso dall'articolo apparso sul quotidiano Il fatto quotidiano in data 18 giugno 2014 che il portale degli acquisti della pubblica amministrazione, creato per la razionalizzazione delle forniture, è accessibile da chiunque, anche nelle pagine contenenti dati sensibili, a causa di una mancata messa in sicurezza da parte dei gestori;
          a quanto è dato di sapere, sembra che si possa modificare il sito web degli acquisti della pubblica amministrazione, senza digitare alcuna password, privi di registrazione, in assenza di un login, da qualunque postazione informatica, non compiendo alcun reato visto che i settori che dovrebbero essere protetti sono in realtà accessibili;
          inoltre, pare sia possibile avere accesso direttamente al pannello di controllo del portale, potendo così effettuare delle ricerche nel database e avendo così l'opportunità di acquisire dati sensibili relativi alla spesa pubblica nonché scaricare l'intero database;
          solo a titolo esemplificativo, risulta all'interrogante, che sia stato possibile eseguire un download di una raccomandata inviata alla Consip da una società che si occupa di buoni pasto, con cui si dava comunicazione dei conti correnti intestati alla società vincitrice di bando e con cui venivano trasmessi i documenti d'identità degli amministratori dell'azienda;
          all'interrogante risulta che altri portali della pubblica amministrazione fossero risultati accessibili: solo a titolo esemplificativo, ricordiamo che, a febbraio scorso, un tale, Anonimous, era riuscito ad accedere al server online del Ministero della salute entrando così in possesso degli elenchi delle persone sieropositive, poi pubblicati mascherando i nomi per non danneggiare le vittime della mancata protezione;
          l'articolo 15 del Codice in materia di protezione dei dati personali, introdotto con il decreto legislativo 30 giugno 2003, n.  196, e successive modificazioni, recita che «chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile»; gli articoli 33 e 34 del citato provvedimento e il relativo allegato B stabiliscono specifiche misure di sicurezza mentre l'articolo 169 della medesima norma dice che «chiunque, essendovi tenuto, omette di adottare le misure minime previste dall'articolo 33 è punito con l'arresto sino a due anni»;
          l'articolo 615-ter del codice penale stabilisce che intrusioni, danneggiamenti e ogni altro comportamento illecito siano sanzionabili se il sistema informatico preso di mira sia protetto da misure di sicurezza  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra riportato;
          se i Ministri interrogati intendano chiarire se i dati contenuti e scambiati sul portale per gli acquisti della pubblica amministrazione siano protetti con adeguate misure di sicurezza e se possano escludere che soggetti non registrati abbiano potuto accedere al sito web di cui trattasi;
          quali misure i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, intendano assumere affinché sul portale in questione non solo lo scambio di dati sia protetto ma soprattutto venga individuato un sistema di autenticazione e criptatura che renda illeggibili a chi non sia abilitato i dati memorizzati sul server e renda impossibile la cattura delle credenziali degli utenti;
          se i Ministri interrogati intendano chiarire quali siano i criteri di scelta delle imprese incaricate della progettazione e della gestione dei servizi informatici consentendo agli utenti, in ossequio al criterio di trasparenza, di poter verificare il costo e l'affidabilità del sistema prescelto;
          qualora vengano accertati illeciti, quali provvedimenti, i Ministri interrogati, intendano assumere nei confronti dei responsabili, individuando le puntuali responsabilità e per risarcire le imprese che sono state danneggiate dall'accessibilità ai propri dati in ordine a tutte quelle informazioni commerciali (prezzi, sconti e condizioni) che possono aver pregiudicato la futura competitività sul mercato. (5-03091)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      VERINI, AMENDOLA e DE MARIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 27 giugno 2014 si ricorderà il XXXIV anniversario della Strage di Ustica, nella quale persero la vita 81 innocenti cittadini italiani;
          la Corte di cassazione, con sentenze definitive, ha stabilito che il DC 9 Itavia, in volo fra Bologna e Palermo, è stato abbattuto da un missile, e ha condannato i Ministeri dei trasporti e della difesa al risarcimento per non aver salvaguardato le vite e per aver ostacolato l'individuazione della verità;
          la procura della Repubblica di Roma, dopo le dichiarazioni del Presidente della Repubblica emerito Cossiga nel 2007, ha riaperto le indagini al fine di giungere alla completa individuazione dei responsabili diretti e materiali;
          considerate le modalità e la posizione geografica dell'evento appaiono assolutamente indispensabili conoscenze e informazioni che possono essere in possesso delle forze armate di altri Paesi, quali ad esempio informazioni riguardanti le postazioni di rilevamento militari, basi radar, aerei in volo;
          ormai quattordici anni fa l'Italia firmava la Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, un'importante Convenzione che integrava e completava il quadro normativo costituito dalla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e dal relativo protocollo del 17 marzo 1978, dalla Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985, e dal trattato Benelux di estradizione e di assistenza giudiziaria in materia penale del 27 giugno 1962: ad oggi non è stata ancora ratificata, anche se il Parlamento ha avviato l’iter necessario alla ratifica, che speriamo si concluda in tempi brevi, arrivando finalmente alla sua approvazione;
          tale Convenzione, infatti, semplifica e rende più efficaci le formalità e le procedure inerenti alle richieste di assistenza giudiziaria, introducendo forme e tecniche specifiche di collaborazione «rafforzata» con le autorità giudiziarie degli altri Paesi europei. Ad esempio, essa prevede la possibilità di svolgere audizioni mediante videoconferenza e teleconferenza, di creare squadre investigative comuni, di effettuare intercettazioni di telecomunicazioni, operazioni di infiltrazione e consegne sorvegliate e altro. Essa risponde, sostanzialmente, a una sempre più accentuata esigenza di collaborazione internazionale sul piano delle indagini e su quello processuale, al fine di garantire un'efficace azione di contrasto alla criminalità  –:
          se il Ministro non ritenga di dover fornire elementi in merito allo stato di espletamento delle rogatorie internazionali riguardanti l'inchiesta sulla strage di Ustica che la procura della Repubblica ha rivolto a Stati amici e alleati, e, inoltre, quali iniziative intenda adottare nel caso che alcune rogatorie non ricevano risposte, al fine di giungere, finalmente, alla verità su una pagina buia della nostra storia. (5-03077)


      COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          dal 6 giugno 2014, in forza dell'articolo 1, commi 209-213, della legge 24 dicembre 2007, n.  244, è diventato operativo l'obbligo della fatturazione elettronica nei rapporti economici tra pubblica amministrazione e fornitori di beni e servizi, fra cui sono compresi i professionisti;
          da tale data, secondo l'interpretazione del Ministero della giustizia (n.  49107.U del 5 maggio 2014), l'Amministrazione della giustizia, in ogni sua articolazione, non può più ricevere fatture in formato cartaceo. L'obbligo riguarda anche la liquidazione delle spese di giustizia e i compensi ai difensori delle parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato e di soggetti irreperibili difesi d'ufficio nel processo penale  –:
          se il Ministro della giustizia possa confermare che tutti gli uffici dei tribunali sono già in grado di operare con la fatturazione elettronica e, in caso negativo, cosa intenda fare il Ministro considerando che le inadempienze degli uffici ricadrebbero ingiustamente sugli avvocati che non verrebbero pagati per le proprie prestazioni. (5-03078)


      BUSINAROLO, SILVIA GIORDANO, SPESSOTTO, TOFALO, SPADONI e D'UVA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          presso il noto ristorante Assunta Madre situato in via Giulia in centro a Roma, nei pressi tra l'altro della Procura Nazionale Antimafia, sono state effettuate recentemente alcune intercettazioni ambientali, autorizzate dal giudice per le indagini preliminari il 15 aprile 2013, al fine di fare luce sulla vicenda di riciclaggio che vedeva come indagato Gianni «Johnny» Micalusi, titolare del locale;
          per circa otto mesi, sono state intercettate anche le conversazioni dei clienti del locale: essendo il ristorante Assunta Madre molto a la page frequentato da faccendieri, imprenditori, politici, magistrati ed in generale avventori famosi, le conversazioni captate sono state ben maggiori rispetto ai fatti oggetto dell'indagine iniziale, con grande sorpresa degli ascoltatori;
          per questo motivo, oltre alle microspie, è stato autorizzato il posizionamento di telecamere, al fine di identificare voci e volti protagonisti dei colloqui in corso durante le cene;
          dalle intercettazioni è così emerso, ad esempio, che un notissimo imprenditore romano, a tavola con più commensali, raccontava di aver fatto pressioni su alcuni magistrati di Roma per scongiurare una serie di arresti. L'imprenditore in una conversazione dello scorso novembre si è attribuito il ruolo di interdizione nell'ambito di un'inchiesta, ruolo che sarebbe stato condiviso con un alto funzionario del Ministero dell'interno, due magistrati di Roma e un professionista che è familiare di una carica istituzionale;
          malgrado tutto ciò, non risulta al momento che la procura di Roma abbia mandato a quella di Perugia, competente per fatti penali che coinvolgano magistrati della Capitale, alcuna intercettazione derivante dall'inchiesta su Gianni «Johnny» Micalusi;
          nel locale sono state intercettate, ancora ad esempio, alcune conversazioni tra il fratello dell’ex-senatore Marcello dell'Utri e l'imprenditore Vincenzo Mancuso, riguardanti un presunto piano di fuga all'estero del cofondatore di Forza Italia. Il colloquio intercettato nel ristorante, avvenuto l'8 novembre 2013, è stato sbobinato e trasmesso per competenza alla procura di Palermo il 20 febbraio scorso. Per inciso, l'ex senatore è poi effettivamente volato in Libano con 50 chili di bagaglio e 30 mila euro. È stato poi fermato lo scorso 12 aprile in Libano, dove si trova tuttora ricoverato nel reparto detenuti di un ospedale di Beirut. Il tribunale del riesame di Palermo il 28 aprile 2014 ha rigettato il ricorso contro l'arresto presentato dai difensori dell'ex senatore: per i giudici, da parte di Dell'Utri c'era «la deliberata volontà di fuga e appare irrilevante l'utilizzo del proprio cellulare e della propria carta di credito»;
          il 20 novembre 2014 con una direttiva il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, e il sostituto procuratore Francesco Minisci, considerato che «il ristorante in questione potrebbe essere un punto di incontro e di riunione tra gli indagati» e più in generale «tra gli indagati ed esponenti vari della criminalità operante a Roma», avevano precisato che «questa squadra mobile non procederà alla registrazione dei colloqui che si collocano in un ambito diverso da quello delineato dal giudice per le indagini preliminari, avendo cura di sospendere le attività tecniche relative a quei colloqui che, a fronte di un iniziale interesse per le indagini, nel corso delle conversazioni risultino estranee alle stesse;
          la squadra mobile dovrebbe, stando alle informazioni giornalistiche, ad oggi ancora inviare la propria relazione conclusiva al procuratore capo di Roma;
          dall'articolo di stampa, Panorama del 30 aprile 2014 n.  18 pagina 76, è emerso infine che un componente del Csm avrebbe saputo già da qualche mese dell'esistenza delle cimici nel ristorante, dal cui pesce era necessario restare lontani, e avrebbe effettuato una sorta di passaparola a Palazzo dei Marescialli  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto rappresentato in premessa e se non ritenga opportuno disporre un'iniziativa ispettiva al fine dell'esercizio di ogni potere di competenza presso la procura di Roma;
          se intenda assumere iniziative normative al fine di estendere l'utilizzabilità dello strumento delle intercettazioni al fine di favorire un rafforzamento della lotta al crimine;
          se il Ministro sia a conoscenza del perché la Squadra Mobile di Roma debba ad oggi ancora inviare la propria relazione conclusiva al procuratore capo di Roma. (5-03098)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          lo scorso 8 ottobre il Presidente della Repubblica ha inviato alle Camere un messaggio sulla annosa «questione carceraria», indicando diverse strade da percorrere per risolvere la situazione del sovraffollamento;
          per far fronte a quella che in Italia è diventata una vera e propria «emergenza carceraria», i variegati Governi succedutisi in questi ultimi mesi hanno approvato una serie di pacchetti cosiddetti «svuota carceri», tutti incentrati esclusivamente sulla questione della deflazione della popolazione carceraria;
          in particolare, tra i provvedimenti approvati dal Governo figurano numerosi interventi che incidono sulla liberazione anticipata dei condannati e sul loro mancato ingresso in carcere, addirittura in favore dei soggetti recidivi, nei confronti dei quali è stata eliminata la preclusione all'accesso alla detenzione domiciliare;
          il sovraffollamento carcerario rappresenta un grave problema per l'Italia, ma la soluzione non può e non deve essere quella di far tornare in strada chi ha compiuto delitti, scaricando le inadempienze della politica sui cittadini e sulle vittime dei reati;
          i primi risultati di questa riforma carceraria sembrerebbero non essere tardati ad arrivare, come, purtroppo, dimostrano le polemiche scatenate dalla notizia che dietro la drammatica rapina di sabato 31 maggio al supermercato di Qualiano (NA) ci sarebbero due giovani, di cui uno agli arresti domiciliari e l'altro in semilibertà;
          questo, come tanti altri episodi di violenza, non possono che far sorgere dubbi legittimi sull'efficacia del nostro sistema di repressione penale e, soprattutto, dei numerosi provvedimenti «svuota carceri» degli ultimi anni;
          nel tentativo di equilibrare repressione, umanità e rieducazione sempre più spesso si è fatto ricorso alle misure alternative al carcere;
          tale meccanismo, seppur condivisibile nell'ottica della funzione rieducativa della pena, si scontra con i cronici limiti di organico tra le forze dell'ordine, vittime dello scellerato blocco del turn-over portato avanti dai governi delle larghe intese e che ha colpito direttamente la tenuta e l'efficacia dei servizi di sicurezza;
          non si può, tra l'altro, pensare di risolvere il problema del sovraffollamento carcerario con altri provvedimenti emergenziali che scaricheranno ulteriormente sulle forze di polizia l'onere di controllare il rispetto delle prescrizioni degli arresti domiciliari;
          nella sola provincia di Milano, su 1781 persone da controllare, tra domiciliari e affidi in prova, le forze dell'ordine non ne riescono a visitare in media più di 90-120 al giorno e ciò significa che, per ogni detenuto, c’è una probabilità di controllo ogni 17 giorni;
          la scelta sulle verifiche privilegia naturalmente chi ha commesso reati più gravi, ma resta aperto il tema sui monitoraggi continui ed efficienti, che mettano al riparo da sorprese;
          da anni si è pensato di fare ricorso anche ai braccialetti elettronici, come negli Stati Uniti, ma finora si sarebbero rivelati un flop, con una dubbia convenzione tra Ministero e Telecom firmata 11 anni fa, che costa circa 9 milioni e 83 mila euro, di cui 2,4 milioni solo per 2 mila braccialetti;
          su tale convenzione si sono scatenati numerosi ricorsi amministrativi tanto che, nel gennaio scorso, dinanzi la Commissione giustizia della Camera lo stesso capo della polizia, il prefetto Alessandro Pansa, ha ammesso che «sono stati utilizzati solo 90 braccialetti, per circa 5 milioni di euro. Dobbiamo aspettare i risultati del contenzioso in corso e le norme successive. Sul mercato esistono strumenti migliori che costano di meno»;
          di certo, alla fine del 2012 la Corte dei conti scriveva che gli 81 milioni di euro spesi fino ad allora per soli 14 braccialetti erano sicuramente troppi;
          ora, dopo i ricorsi amministrativi, dovrà decidere la Corte di Giustizia dell'Unione europea, ma i braccialetti elettronici rimangono certamente un'altra grande incompiuta del nostro sistema di controllo sui detenuti ai domiciliari;
          a parere dell'interrogante, bisognerebbe investire di più sull'ordine pubblico, allentando la morsa dei durissimi tagli, del blocco stipendiale e del blocco del turn-over che sta costringendo il comparto sicurezza a un organico molto al di sotto delle reali necessità, e non su un servizio, esageratamente costoso quanto inefficace, come quello dei braccialetti elettronici  –:
          se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità degli stessi, quali provvedimenti ritengano opportuno adottare per ovviare al grave problema dei mancati, se non addirittura inesistenti, controlli su quanti stanno scontando misure alternative al carcere al fine di evitare che i numerosi provvedimenti «svuota carceri»,unitamente ai tagli netti e al blocco del turn-over tra le forze dell'ordine portino al collasso del sistema;
          quali sono gli impatti concreti dei braccialetti elettronici sul livello di sicurezza dei cittadini. (4-05283)


      DADONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 9 aprile 2014 l'Aula del Senato ha votato con centosettantatre voti favorevoli, cinquanta contrari e quattro astenuti l'approvazione del disegno di legge n.  1164 recante la Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese per la realizzazione e l'esercizio di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione (comunemente conosciuta come TAV), sottoscritto a Roma il 30 gennaio 2012;
          il Movimento 5 Stelle nel corso della trattazione del provvedimento in commissione nonché nelle aule di entrambi i rami del Parlamento ha espresso in generale forti perplessità, tra gli altri, in merito all'aspetto di diritto applicabile nella zona transfrontaliera, come indicato dall'articolo 10 dell'Accordo tra i due governi;
          in particolare il Movimento 5 Stelle ha espresso forti critiche relativamente a quanto indicato all'articolo 6, punto 6.5, dell'Accordo: «per quanto concerne le condizioni di aggiudicazione e di esecuzione dei contratti relativi ai lavori, alle forniture e ai servizi necessari alla realizzazione delle proprie missioni legate alla progettazione, alla realizzazione e all'esercizio della sezione transfrontaliera dell'opera, il Promotore pubblico è tenuto all'osservanza della Costituzione francese oltre che dei regolamenti e delle direttive comunitarie [...]»;
          la zona transfrontaliera o come indicata dall'articolo 4 dell'Accordo «parte comune italo-francese» consta: in Francia di una sezione di 33 chilometri circa attraverso il massiccio di Belledonne e comprendente i tunnel a due canne di Belledonne e di Glandon;
          da un tunnel a due canne di circa 57 chilometri tra Saint-Jean-de-Maurienne in Francia e Susa-Bussoleno in Italia, scavato sotto le Alpi in territorio italiano e francese [...];
          da una sezione all'aperto di circa 3 chilometri in territorio italiano a Susa;
          da un tunnel a due canne di circa 19,5 chilometri, situato sul territorio italiano, tra Susa e Chiusa San Michele;
          in Italia e in Francia dalle opere di raccordo alla linea storica;
          nonché da tutte le opere annesse (stazioni, impianti elettrici, e altro) necessarie all'esercizio ferroviario e da quelle che successivamente le Parti potranno ritenere che debbano essere comprese in detta parte comune italo-francese;
          di fatto, ai sensi dei succitati articoli 6 e 10 dell'Accordo, il cosiddetto nuovo Codice antimafia, entrato in vigore il 13 febbraio 2013 ai sensi del decreto legislativo 15 novembre 2012, n.  218, non potrà essere applicato nella parte comune italo-francese così come descritta dall'articolo 4 del medesimo Accordo;
          lo scorso 19 dicembre 2013 in occasione di un'audizione svolta nella Commissione d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, l'allora procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli consegnava una documentazione libera nella quale si riporta che l'attività di monitoraggio svolta dalla relativa direzione distrettuale antimafia «è diretta a percepire il prima possibile l'esistenza di segnali di infiltrazioni criminali, specie ora che si sono avviati i lavori per la TAV che interessano la Val di Susa ma anche altre grandi opere [...] con assegnazioni di appalti e sub-appalti nei quali ultimi si annidano in particolare le possibili attività della criminalità organizzata anche di tipo mafioso»;
          quanto riportato dall'ex procuratore Caselli trova elementi oltremodo corroboranti nella relazione depositata presso la medesima Commissione d'inchiesta dal Comandante della Guardia di Finanza, generale  di corpo d'armata Saverio Capolupo, che dichiarava: «Inoltre, compiendo un vero e proprio salto di qualità, i vari sodalizi criminali hanno progressivamente accentuato i profili di internazionalità delle loro iniziative, in ciò agevolati dalle disomogeneità esistenti tra gli ordinamento giuridici dei diversi paesi» e proseguiva: «[...] il rafforzamento del potere mafioso attraverso il superamento dei confini delle regioni d'origine e la localizzazione di strutture di controllo nelle aree del nord Italia (Piemonte, Lombardia e Liguria in particolare) rappresenta un dato comune a tutte le tradizionali consorterie criminali [...]» e specificava: «Tra i settori economici che si sono rivelati maggiormente vulnerabili al rischio di infiltrazione delle organizzazione mafiose, segnalo, in primis, quello degli appalti pubblici, in ragione dei cospicui finanziamenti e contribuiti nazionali e comunitari di cui è destinatario;
          il condizionamento delle gare ad evidenza pubblica, anche con il ricorso a imprese «infiltrate», consente di perseguire molteplici obiettivi [...];
          l'attività svolta dai reparti ha permesso di individuare meccanismi fraudolenti che, più di altri, si prestano ad essere utilizzati per aggirare le disposizioni di legge [...] in particolare;
          ai ribassi di aggiudicazione delle aste pubbliche di valore ridottissimo [...]; al frequente ricorso ai «noli» [...];
          ad offerte caratterizzate da grandi ribassi in valore assoluto;
          alla prevalenza di subappalti [...];
          ai bandi «su misura» [...];
          nella relazione veniva poi auspicato da parte del comandante generale Capolupo: «che, in futuro, possano essere avviati ulteriori percorsi di armonizzazione degli ordinamento dei Paesi dell'Unione, affinché le decisioni di sequestro e confisca dei patrimoni di origine criminale possano includere anche le misure di prevenzione patrimoniale disposte dalla magistratura italiana»;
          lo scambio informativo con il SIRASCO (Servizio di informazione, intelligence e analisi strategica sulla criminalità organizzata) della Francia appare quindi non sufficiente a garantire la fondamentale attività di controllo e prevenzione criminale che la zona transfrontaliera di realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione necessiterebbe come del resto già svolta sul territorio del nostro Paese  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato e come intenda sopperire all'assenza di normative applicabili e di meccanismi di controllo, prevenzione e conseguente persecuzione delle attività illegali perpetrate per mezzo di infiltrazione nell'economia locale da parte della criminalità organizzata, in merito alla parte comune italo-francese indicata nell'accordo in oggetto. (4-05294)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


      CARRESCIA e BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in forza dell'articolo 18, comma 9, del decreto-legge n.  69 del 21 giugno 2013 (cosiddetto «decreto del fare»), pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.  144 del 2013, Suppl. Ord. n.  50, convertito con integrazioni con legge n.  98 del 9 agosto 2013, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.  194 del 2013, Suppl. Ord. n.  63 veniva previsto il programma denominato «6000 Campanili», facente capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e concernente il finanziamento, a comuni (o unioni di comuni) con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, di interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, ovvero di realizzazione e manutenzione di reti viarie e infrastrutture accessorie e funzionali alle stesse o reti telematiche di NGN e WI-FI, nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio;
          i criteri per l'accesso all'utilizzo delle risorse degli interventi facenti parti del programma in esame, in ottemperanza al disposto delle sopra citate disposizioni legislative, venivano disciplinati nella Convenzione n.  14010 del 29 agosto 2013, a tal uopo stipulata tra il M.I.T. e l'A.N.C.I;
          all'articolo 5, punto B), della Convenzione sopra detta, in relazione alle tipologie di interventi finanziabili, veniva espressamente previsto che rientrassero in tale novero gli interventi di «Realizzazione e manutenzione di reti viarie e infrastrutture accessorie e funzionali alle stesse o reti telematiche di NGN e WI-FI;
          interventi sulle reti viarie di competenza comunale ivi compresi gli eventuali lavori connessi a sottostanti servizi (fognature, acquedotti, pubblica illuminazione, cablaggio, ecc.)»;
          il comune di Apiro (Me), pacificamente rientrante nel comparto dei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti inoltrava il proprio progetto il quale, superata la scure del click day che pure tante polemiche ha suscitato lungo il territorio nazionale, veniva registrato in base all'orario valido al numero progressivo 170 dell'elenco (il timestamp relativo alla data e ora di invio certificata dall'operatore di posta elettronica risultava essere il 24 ottobre 2013 ore 09.00.05;
          il progetto in questione aveva ad oggetto sia «la manutenzione straordinaria della strada comunale che collega la località di S. Domenico alla Frazione d Frontale» sia il «risanamento ambientale del fosso di S. Domenico»;
          l'amministrazione comunale di Apiro, in specie, aveva predisposto un progetto per la sistemazione della rete viaria comunale, nel cui ambito primaria importanza assumeva la strada comunale che collega la località di S. Domenico alla frazione di Frontale, frazione che costituisce l'agglomerato urbano in cui sono ubicati i serbatoi di accumulo a servizio di gran parte del sistema idrico comunale;
          la strada in questione, a causa dei diffusi ruscellamenti, che si verificano in occasione di piogge abbondanti, connessi ad una non corretta regimazione delle acque meteoriche ed anche alle esondazioni di un fosso che corre parallelo alle stessa, presenta in corrispondenza della sede viaria e delle cunette laterali notevoli disconnessioni e solchi profondi;
          la difficoltà di percorrenza è accentuata anche dalla pendenza del tratto intermedio di quello terminale verso la località di San Domenico;
          per effetto di quanto sopra, la circolazione su detta strada si evince assai difficoltosa, per non dire ardua, e ciò anche per i mezzi che devono accedere all'area serbatoi e per quelli di soccorso, ad esempio in occasione di incendi, già verificatisi negli scorsi anni nell'area boschiva circostante la strada di accesso agli stessi;
          lungo la strada di cui si discute è presente una linea interrata dell'acquedotto comunale, che collega il serbatoio di San Domenico con il serbatoio di accumulo di Frontale: la manutenzione e la definiva sistemazione della strada, nelle sue componenti fondamentali quali il sottofondo e la pavimentazione di base, nonché la realizzazione di alcune reti infrastrutturali sotto il tracciato della strada, sono state individuate come fondamentali per il ripristino della piena funzionalità dell'intera area municipale;
          a tale ultimo riguardo, si prevedeva la realizzazione di:
              una linea elettrica, posta entro idonea tubo-guaina, volta a permettere il controllo remoto dei livelli idrici sia del serbatoio di San Domenico sia dei serbatoi a servizio del sollevamento per Pian dell'Elmo;
              una tubazione in tubo-guaina per ospitare una nuova linea elettrica in cavo interrato da 20.000 Volt in sostituzione di quella esistente in conduttori nudi posizionata su palificazione in cemento;
              una tubazione in PVC DE 315 destinata al collegamento tra l'uscita delle fosse Imhoff poste a valle del serbatoio di San Domenico ed il nuovo depuratore di Frontale;
          il tutto come meglio chiarito, anche sotto il profilo squisitamente tecnico e/o applicativo, nella «Relazione Tecnica Illustrativa», nel «Computo Metrico» e negli «Elaborati Grafici» facenti parte del progetto de quo;
          sul sito web istituzionale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in data 8 gennaio 2014 veniva pubblicata la graduatoria relativa ai comuni ammessi a beneficiare dell'attuazione del primo programma «6000 Campanili»;
          il comune di Apiro non risultava più inserito tra i beneficiari delle provvidenze del 6000 Campanili, provvidenze di primaria importanza per la conservazione, la valorizzazione e lo sviluppo del territorio comunale;
          provvedeva il comune di Apiro, pertanto, con nota a mezzo PEC del 13 gennaio 2014 a richiedere alla competente amministrazione centrale le motivazioni della gravata esclusione;
          tale richiesta rimaneva medio tempore inevasa, sicché, con missiva del 27 gennaio 2014, anticipata via PEC ed inoltrata a mezzo racc. a/r, il comune di Apiro reiterava l'avanzata richiesta di conoscere l'impianto motivazionale di cui sopra e, contestualmente, domandava al Ministero la modifica in autotutela dell'oppugnato provvedimento di esclusione, nel senso di includere nella graduatoria dei progetti ammessi a finanziamento anche quello presentato dall'odierno ricorrente;
          il comune di Apiro riceveva riscontro con la nota del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n.  972 del 27 gennaio 2014, a firma del direttore generale con la quale veniva comunicata l'esclusione del progetto presentato dal comune di Apiro dalla graduatoria dei progetti finanziabili alla stregua del «6000 Campanili», in quanto «il progetto proposto è risultato non coerente con le tipologie previste»;
          in particolare si deduceva che:
              a) gli interventi programmati dal comune di Apiro avrebbero avuto carattere di infrastrutture lineari non viarie, la cui realizzazione non sarebbe stata coerente «con le tipologie previste dal decreto-legge 69/13, convertito in legge 98/13», ciò in quanto l'articolo 5, punto b), della citata Convenzione MIT-ANCI avrebbe previsto la «realizzazione di reti viarie e infrastrutture accessorie e funzionali alle stesse o reti telematiche di NGN e WI-FI»;
              b) le infrastrutture la cui realizzazione nell'ambito del 6000 Campanili era stata proposta dal comune di Apiro non avrebbero avuto alcun nesso di accessorietà e funzionalità con la viabilità, ma sarebbero solo state fisicamente sovrapposte ad essa;
          anche dalla seconda graduatoria del 6000 Campanili il comune di Apiro si trovava escluso, da presumere in forza delle medesime ragioni già in precedenza esaminate;
          in una situazione pressoché simile veniva a trovarsi anche il comune di Parzanica escluso in quanto, secondo il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il tracciato stradale dell'opera per la quale era stato chiesto il finanziamento risultava prima facie non meramente al servizio del centro sportivo e l'entità delle opere stesse non appariva ascrivibile al concetto di «edificio»;
          entrambi i Comuni hanno presentato ricorso la TAR Lazio con richiesta di sospensiva della graduatoria;
          il TAR Lazio con ordinanza depositata il 7 aprile 2014, n.  01637/2014 della III Sezione, ha accolto l'istanza cautelare e sospeso la graduatoria ordinando al MIT di procedere al riesame della domanda di finanziamento del comune di Parzanica; ha invece respinto ritenendo necessario ulteriore documentazione l'istanza del comune di Apiro che farà valere le proprie ragioni in appello al Consiglio di Stato. (La realizzazione di reti fognarie e di cablaggi, siccome proposta dal comune di Apiro nel proprio progetto, addirittura viene espressamente menzionata nel novero di quegli interventi finanziabili);
          al momento pertanto le graduatorie risultano sospese e anche tutti gli altri comuni beneficiari non possono dare corso ai lavori vanificando così la propria programmazione e facendo venir meno anche l'obiettivo della «decreto del fare» di attivare in tempi brevi la cantierabilità di tante opere nei piccoli comuni;
          sulla graduatoria continua a pesare anche il rischio derivante dall'esame di merito da parte degli Organi di Giustizia amministrativa;
          poiché il contenzioso esistente è limitato a citati due casi e che entrambi non comportano impegni finanziari rilevanti nell'interesse generale di tutti gli comuni in graduatoria sarebbe opportuna la definizione delle controversie in via transattiva ammettendo sia il comune di Parzanica sia il comune di Apiro ai benefici utilizzando i ribassi derivanti dai 164 appalti dei comuni ammessi con i due citati decreti ministeriali  –:
          se ritenga opportuno definire, prima dell'esame dell'appello al Consiglio di Stato del ricorso del comune di Apiro sull'ordinanza di sospensiva e dell'esame nel merito da parte del TAR Lazio sui ricorsi dei comuni di Parzanica e di Apiro, le controversie con i comuni di Parzanica e di Apiro in via transattiva ammettendoli ai benefici previsti dal programma 6000 campanili, attivando in tal modo, senza ulteriori rischio di successivi provvedimenti dei giudici amministrativi che dovessero essere favorevoli nel merito ai comuni ricorrenti, le risorse delle quali hanno urgente necessità tutti gli altri enti locali beneficiari dei fondi previsti con il decreto-legge n.  69 del 21 giugno 2013 (cosiddetto «decreto del fare») così loro consentendone un immediato utilizzo.
(5-03087)


      DE ROSA, BUSTO, TERZONI, MICILLO, MANNINO, DAGA, SEGONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          con il benestare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Lombardia, provincia di Como e camera di commercio di Como, ad opera del committente ANAS spa (direzione centrale progettazione) è stato approvato dagli enti competenti, nel 2013, il progetto preliminare: «S.S. 340 Regina, Variante alla Tremezzina»;
          l'opera, da realizzarsi sul lago di Como, è caratterizzata da uno sviluppo stradale di circa 11 chilometri, contenente 5 gallerie per una lunghezza complessiva di 7,5 chilometri, ponti, viadotti ed opere di accesso per una lunghezza di circa 150 metri;
          il costo preventivato è di circa 240 milioni di euro (esclusi i costi di progettazione, controllo e gestione);
          del progetto preliminare è stata incaricata la provincia di Como, presso la quale è attualmente in corso la progettazione definitiva, che si concluderà nell'autunno del 2014, per poi passare all'approvazione dell'ANAS s.p.a. ed infine alla procedura di «appalto integrato»;
          l'opera si presenta dall'impatto ambientale devastante, dal costo spropositato ed inutile, la sua ragione dovrebbe essere quella di risolvere una volta per tutte la questione del traffico difficoltoso dei mezzi pesanti lungo la strada statale Regina del Lago;
          per lo scorrimento corretto dei mezzi pesanti sarebbe sufficiente, invece, attuare un adeguato piano di gestione del traffico, sfruttando la «S.S. 36 del Lago di Como e dello Spluga»;
          tra le opere più invasive previste dal progetto, spiccano i 3 viadotti, il più lungo dei quali verrà realizzato i Val Perlana a meno di 200 metri in linea d'aria dal Santuario della Beata Vergine del Soccorso di Ossuccio nelle vicinanze della chiesa conventuale di S. Benedetto in Val Perlana, luoghi dichiarati nel 2003 dall'UNESCO, patrimonio dell'umanità  –:
          se il Ministro interrogato non intenda chiarire i motivi della realizzazione di un'opera così invasiva e ingiustificata e se non ritenga di valutare l'opportunità dell'affidamento alla provincia di Como della progettazione di un'opera di tali dimensioni che riguarda una strada ed un'attività non di propria competenza. (5-03088)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MAESTRI e NARDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nella seduta del 1o agosto 2013 della IX Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, il Ministro interrogato, rispondendo all'interrogazione n.  5-00256 concernente il raddoppio della linea ferroviaria Parma-La Spezia (Pontremolese), nel dare conto del definanziamento dell'opera a seguito della riduzione delle risorse sul capitolo di bilancio dedicato agli investimenti RFI e al programma delle infrastrutture strategiche, confermava di ritenere comunque l'opera fondamentale per i territori interessati e per il Paese;
          in quella stessa sede si dichiarava che la progettazione definitiva era in fase istruttoria presso i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e che sarebbe stata portata all'approvazione del CIPE non appena fosse stata verificata la sua completezza;
          il 27 luglio 2013 il Governo accoglieva l'ordine del giorno 9/01248-AR/086 che lo impegna a valutare la possibilità di adottare le opportune iniziative normative volte a finanziare il completamento del raddoppio della linea ferroviaria Parma-La Spezia;
          tra le 101 opere che Legambiente ha raccolto nel dossier #sbloccafuturo, rispondendo alla richiesta lanciata dal Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ai sindaci d'Italia per individuare procedimenti fermi da anni per ritardi della pubblica amministrazione, figura anche il progetto di raddoppio della linea ferroviaria Pontremolese per il quale, già nel 2009, il CIPE aveva previsto un'assegnazione di 234,6 milioni di euro per il sublotto Parma-Vicofertile  –:
          quale sia lo stato di avanzamento della progettazione definitiva dell'opera di raddoppio della linea ferroviaria Parma-La Spezia (Pontremolese) e in particolare del sublotto Parma-Vicofertile;
          se il Ministro interrogato ritenga di proporre in rifinanziamento dell'opera al fine di non interrompere l’iter di raddoppio della tratta ferroviaria, considerato l'imminente completamento dei lavori di raddoppio della tratta Solignano-Osteriazza. (5-03093)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PIAZZONI, ZARATTI e PILOZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in data 28 maggio 2014 è stato sancito il fallimento della società Groundcare, società di handling prestante servizio presso gli aeroporti di Roma Fiumicino e Roma Ciampino. Il fallimento della società in questione, nata nel 2012 dalla fusione di Globeground Italia e Flightcare, investe le sorti di quasi 900 lavoratori che vedono seriamente compromessi i loro diritti lavorativi e rischiano di perdere il loro posto di lavoro;
          la crisi dell'azienda in questione si inserisce in un contesto più ampio, determinato da una liberalizzazione senza regole e dalla inconsistenza delle troppe aziende autorizzate ad operare nei sedimi aeroportuali italiani, in assenza di garanzie strutturali di tenuta economico organizzativa. Emblematico è il caso dell'aeroporto di Fiumicino, l'unico hub d'Europa che sostiene i servizi offerti da ben 7 operatori certificati di handling, determinando ciò una diminuzione dei ricavi del 40 per cento. Effetto di tale assenza di regolazione dell'industria è stato un continuo peggioramento della qualità dei servizi ed una forte instabilità occupazionale dovuta principalmente al ricorso a forme contrattuali prive di tutele fondamentali per i lavoratori, spesso scaturita in lunghi periodi di cassa integrazione;
          il recente incontro di concertazione tra il curatore fallimentare della società, i rappresentanti di Enac ed Aeroporti di Roma e le parti sociali non ha garantito la tutela dei diritti dei lavoratori, essendo stata proposta una soluzione a breve termine per il pagamento di parte degli stipendi, né ha saputo indicare una prospettiva di lungo periodo per la stabilizzazione occupazionale e dell'attività;
          a quanto esposto devono sommarsi le notizie sulla annunciata manifestazione d'interesse per l'attività gestita da Groundcare della società GH, già precedentemente in lizza per l'acquisizione, che non garantirebbe però la piena occupazione dei dipendenti  –:
          se non intenda convocare al più presto un tavolo interistituzionale di confronto sulla crisi d'impresa esposta in premessa che coinvolga il Governo, la regione Lazio, i sindacati e tutti gli altri soggetti istituzionali coinvolti, al fine di tutelare immediatamente i diritti dei lavoratori e per individuare soluzioni strutturali di lungo periodo;
          quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare per assicurare un quadro di regole chiare che siano in grado di garantire i fondamentali servizi di handling e la loro qualità. (4-05288)


      DADONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in risposta all'interrogazione n.  4-02926 presentata dall'interrogante e pubblicata nel resoconto n.  137 del 12 dicembre 2013, il Ministro sottolineava che: «nel corso dell'esame del disegno di legge di stabilità sono stati presentati [...] alcuni emendamenti, che tuttavia non hanno trovato esito favorevole, i quali prevedevano per la manutenzione e messa in sicurezza della linea medesima una autorizzazione di spesa di 29 milioni di euro per l'anno 2014»;
          nei giorni seguenti, alla volontà manifesta del Ministro dello sviluppo economico Lupi di salvaguardare la linea Torino-Cuneo-Ventimiglia-Nizza, per le sue caratteristiche strategiche, paesaggistiche e turistiche, ha fatto seguito invece una riduzione ulteriore delle corse, passando a 4 transiti al giorno;
          risulta che la disponibilità e dell'imminente destinazione del fondo da 29 milioni di euro per i lavori di adeguamento e miglioramento della linea ferroviaria Torino-Cuneo-Ventimiglia-Nizza sarebbe stata confermata, verbalmente in occasione del tavolo tecnico svoltosi in provincia di Cuneo nel marzo scorso;
          nel corso di una seduta della Commissione lavori pubblici in Senato, in data 8 aprile 2014, quindi a distanza di due mesi dall'annuncio dell'esponente di maggioranza, il Ministro dello sviluppo economico ha dichiarato: «dobbiamo reperire i 29 milioni necessari» ma ha anche specificato che «entro il 30 aprile è previsto il monitoraggio definitivo ai fini della riassegnazione delle risorse relative alle revoche dei finanziamenti per le opere incomplete» sottolineando «dunque non abbiamo ancora individuato alcuna destinazione delle eventuali risorse del cosiddetto fondo revoche»;
          non risulta essere stato deciso alcunché in merito ai lavori promessi, auspicati e ancora eterei per la linea ferroviaria in oggetto  –:
          se il Ministro intenda confermare l'impegno preso e se intenda farlo corrispondendo nei termini economico-finanziari alla somma più volte citata di 29 milioni di euro;
          se il Ministro, alla luce del termine del 30 aprile per il monitoraggio definitivo, abbia individuato le risorse necessarie per la realizzazione dei lavori relativi la linea ferroviaria Torino-Cuneo-Ventimiglia-Nizza. (4-05291)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GINEFRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 9 gennaio 2014 il tribunale di Bari ha disposto per il centro di identificazione ed espulsione del capoluogo barese lavori di ristrutturazione ritenuti «indifferibili e necessari»;
          a quasi cinque mesi dalla suddetta sentenza le aree abitative del centro di identificazione ed espulsione destinate ai migranti risultano ancora ben distanti dall'assicurare standard dignitosi di vivibilità;
          i servizi igienici di alcuni moduli versano in vere e proprie condizioni di fatiscenza;
          la struttura è oggi gestita dal consorzio connecting People con un budget giornaliero di 27,8 euro per trattenuto, uno dei più bassi attualmente assegnati per la gestione di un centro di identificazione ed espulsione;
          il centro risulta ad oggi solo parzialmente utilizzato – tre moduli su sette, con 74 migranti trattenuti a fronte di una capienza complessiva di 80 posti al momento della visita e di 112 secondo quanto previsto dalla convenzione per la gestione del centro – a causa di interventi di ristrutturazione resisi necessari in seguito ad una sentenza del tribunale di Bari;
          il 9 gennaio 2014, infatti, accogliendo le istanze dell'azione popolare promossa dall'associazione class action procedimentale, il giudice aveva fissato un termine perentorio di 90 giorni per l'esecuzione dei lavori ritenuti «indifferibili e necessari» a garantire le condizioni minime di rispetto dei diritti umani all'interno del centro di identificazione ed espulsione;
          a quasi cinque mesi dalla sentenza le aree abitative destinate ai migranti risultano ancora ben al di sotto degli standard minimi di dignità e i lavori non sarebbero stati avviati;
          il centro di identificazione ed espulsione di Bari, oltre ad essere una struttura non in grado di assicurare condizioni di trattenimento dignitose, conferma ancora una volta l'inefficacia e l'irrilevanza del sistema dei centri di identificazione ed espulsione nel contrasto dell'immigrazione irregolare come, tra l'altro, chiaramente evidenziato dai dati nazionali riferiti al 2013. Secondo i numeri forniti dall'ente gestore, infatti, nei primi quattro mesi del 2014 solo un migrante su tre (il 31 per cento) transitato nella centro è stato effettivamente rimpatriato. In questo senso, la performance del centro di identificazione ed espulsione di Bari risulta addirittura peggiore rispetto alla media già fallimentare degli altri centri italiani;
          ciò va premesso, anche in considerazione delle recenti aperture del Governo circa la definitiva chiusura dei centri di Gradisca d'Isonzo e Bologna»  –:
          se non ritenga definitivamente superato l'utilizzo dei centri di identificazione ed espulsione (vedi le proposte alternative alla detenzione amministrativa nel rapporto Arcipleago CIE) atteso che il sistema dei centri di identificazione ed espulsione, oltre che confliggere con alcuni basilari principi di civiltà, non trova giustificazione alcuna nel contrasto dell'immigrazione irregolare;
          se, a fronte della mancata osservanza delle prescrizioni del giudice del tribunale di Bari che aveva fissato un termine perentorio di 90 giorni per l'esecuzione dei lavori ritenuti «indifferibili e necessari» a garantire le condizioni minime di rispetto dei diritti umani all'interno della suddetta struttura, non ritenga indifferibile la chiusura del centro barese. (5-03090)

Interrogazioni a risposta scritta:


      RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          dal 1o luglio 2014 l'Italia sarà chiamata a ricoprire per un semestre l'incarico di Presidente del Consiglio europeo;
          all'interno di villa Doria Pamphilj villa storica e parco pubblico in Roma è presente la Palazzina Algardi (anche nota come Palazzina del Bel Respiro) in uso di rappresentanza alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
          nell'ambito del semestre di Presidenza tale struttura verrà utilizzata quale luogo di incontro e di lavoro per le rappresentanze degli Stati membri e dei loro Capi di Stato;
          l'intera villa Doria Pamphilj versa attualmente in gravi condizioni di degrado e di illegalità, posto che al suo interno si verificano numerosi reati, tra i quali prostituzione, spaccio e uso di stupefacenti, occupazioni abusive dei manufatti, atti di vandalismo e reati contro la persona e il patrimonio;
          nonostante i lavori effettuati al suo interno ai tempi del Grande Giubileo del 2000, la struttura del parco è ormai in preda al degrado per quanto attiene alla viabilità, alla conservazione e manutenzione degli edifici e del patrimonio naturale, ed alla rete idrica e fognaria;
          decine di migliaia di cittadini frequentano ogni settimana villa Doria Pamphilj e tale numero è destinato ad aumentare con l'arrivo della bella stagione;
          la maggioranza di tali cittadini percepisce e manifesta ormai forte disagio, che ha assunto anche forme di intolleranza razziale, per l'illegalità scarsamente contrastata e per il degrado di un patrimonio avvertito come parte della propria identità e della propria storia  –:
          se il Ministro non ritenga di dover intraprendere azioni finalizzate a garantire la sicurezza ed il decoro all'interno dell'area, innanzitutto per l'imminente appuntamento istituzionale e, ancora, perché siano ristabiliti e mantenuti quei principi di legalità fondamento della civile convivenza invocati ormai a gran voce da cittadini e frequentatori del parco. (4-05273)


      META, ARGENTIN, MORASSUT e CAMPANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          alle ore 23.30 del 21 giugno 2014 a Roma, nel pub «Birra più» in via Macinghi Strozzi, nel quartiere Garbatella, è accaduto un fatto di inaudita gravità. Secondo quanto riportano gli organi di informazione (Repubblica e il Tempo) si è verificata l'aggressione ai danni di giovani frequentatori del locale, organizzata da parte di una squadra di 10-12 persone armate di caschi e bastoni, arrivata sul luogo a bordo di alcuni scooter;
          alcuni giovani sono rimasti feriti dai colpi inferti dagli aggressori e sei sono stati refertati con prognosi fra i 10 e i 15 giorni salvo complicazioni;
          dagli accertamenti della Polizia sarebbe emerso che il «Birra più» è frequentato tra gli altri da studenti del liceo Socrate, centro di eccellenza didattica già in passato preso di mira con atti di vandalismo e con scritte omofobe sui muri esterni dell'istituto nonché dai tifosi della squadra di calcio «Ardita San Paolo»,che promuove spesso iniziative contro le discriminazioni razziali;
          tali frequentazioni porterebbero a valutare l'ipotesi di un'aggressione di matrice politica  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti;
          quali misure il Ministro intenda adottare per evitare che episodi simili possano ripetersi;
          quali verifiche il Ministro abbia avviato per monitorare il livello istituzionale di attenzione sul fenomeno della violenza politica. (4-05277)


      TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          un numero rilevante ed esponenzialmente crescente di episodi di violenza si sono verificati nelle ultime settimane nel cremonese ed in particolare presso il Comune di Soresina. In particolare, nei soli giorni compresi tra venerdì 6 e domenica 8 giugno ben tre gravi episodi si sono susseguiti, comportando anche il coinvolgimento di pubblici ufficiali: l'aggressione di carabinieri intervenuti in difesa di una donna da parte del suo convivente; la lite davanti al teatro Sociale conclusasi con il ricovero dei coinvolti; l'aggressione subita da un dipendente comunale in via Leonardo Da Vinci, che ha visto l'intervento del candidato sindaco del M5S Matteo Bera, anch'egli aggredito;
          successivamente, solo pochi giorni dopo (il 21 giugno) il proiettile di una pistola calibro 7.65 è stato indirizzato in una busta chiusa al comandante dei vigili urbani di Soresina, Giovanni Tirelli, incollato ad un foglio recante la seria minaccia: «il prossimo sarà tuo»;
           il sindaco di Soresina Diego Variani intende promuovere un'azione a tutela della legalità per arginare questo fenomeno, recentemente esploso in una cittadina così piccola come è appunto il comune di Soresina, nel quale il numero di episodi di violenza in rapporto alle dimensioni del comune (di appena 9.391 abitanti, secondo il censimento del 2012) desta serie preoccupazioni, alle quali si aggiungono quelle per le minacce ricevute dal comandante della forza pubblica locale, che potrebbe lasciare intravedere un disegno criminoso che non può più essere ignorato;
          l'articolo 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267 disciplina le attribuzioni del sindaco nelle funzioni di competenza statale e in particolare ai sensi del secondo comma stabilisce che il sindaco «concorre ad assicurare anche la cooperazione della polizia locale con le Forze di polizia statali, nell'ambito delle direttive di coordinamento impartite dal Ministro dell'interno – Autorità nazionale di pubblica sicurezza»  –:
          se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda intraprendere in proposito, nella cornice della normativa surrichiamata, a sostegno delle istituzioni locali e in particolare delle forze di sicurezza;
          se intenda fornire relazioni su tali iniziative, sulla base della quale stabilire eventuali successive azioni a sostegno di popolazione e istituzioni locali, che troppo spesso avvertono una mancanza di intervento da parte dello Stato, che può invece avere un peso determinante nella prevenzione di fatti più gravi. (4-05287)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BARGERO e MALPEZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          nella scuola italiana – malgrado la crescita demografica del Nord Italia e l'aumento del numero degli alunni iscritti – gli organici delle classi e del personale docente risultano essere gli stessi del 2012;
          il liceo scientifico Natale Palli di Casale Monferrato negli ultimi anni ha visto decurtato quasi il 90 per cento del fondo di istituto e ha perso negli ultimi anni quasi il 30 per cento degli organici ed oggi si trova costretto a tagliare altre classi, con la conseguenza di aule affollate e alunni stipati, mettendo – così – a rischio la sicurezza e il comfort ambientale e didattico;
          l'ufficio scolastico territoriale di Alessandria ha imposto al il liceo scientifico «Palli», nonostante le obiezioni del personale docente e le proteste dei genitori (percorsi differenti, libri non uguali, curriculum non omogeneo, una materia differente per quanto riguarda la lingua straniera), di passare da tre a due classi con la conseguenza di una classe composta da 24 alunni in cui come lingua straniera si insegna tedesco e una di 42 alunni in cui si insegna inglese;
          tale problema potrebbe essere risolto ridefinendo le classi e riposizionandovi gli alunni ipotizzandone una articolata per le ore di tedesco, con la conseguenza – tuttavia – per gli alunni di uno smembramento della loro esperienza scolastica precedente e per il liceo scientifico dell'impossibilità di offrire una proposta didattica equilibrata per i propri studenti  –:
          quali iniziative urgenti intenda avviare (prima della chiusura degli organici) al fine di evitare le conseguenze descritte, a tutela degli studenti e dell'offerta formativa del liceo scientifico Palli. (5-03082)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:


      DI VITA, SILVIA GIORDANO, CECCONI, RIZZETTO, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, DALL'OSSO, BARONI e COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la procedura di accertamento dell'invalidità civile è stata radicalmente modificata dall'articolo 20 del decreto-legge 1° luglio 2009, n.  78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n.  102, titolato «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile», che attribuisce all'INPS nuove competenze per l'accertamento dell'invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità con l'intento di ottenere tempi più rapidi e modalità più chiare per il riconoscimento dei relativi benefici;
          in seguito alla riforma, con specifico riferimento al fenomeno dei cosiddetti «falsi invalidi», l'istituto previdenziale ha intrapreso un capillare piano di verifiche straordinarie nei confronti dei titolari di invalidità civile volto a contrastare il fenomeno delle indebite riscossioni di prestazioni di invalidità;
          la Corte dei conti nel 2012 ha calcolato che dalla revoca di 39 mila invalidità sono conseguiti allo Stato risparmi per 170 milioni. Per far fronte ai piani straordinari di controllo in questi anni i 500 medici in forza all'ente non sono, tuttavia, risultati sufficienti. L'ente è pertanto corso ai ripari, impiegando nuove risorse: oltre un migliaio di ausiliari convenzionati che costeranno 110 milioni di euro in quattro anni. Il rapporto costi-benefici, sul piano dei conti, non è dunque così scontato e lineare. Il contenzioso, poi, aggiunge ulteriori margini d'incertezza: l'ultima relazione della Corte dei conti segnala che nel 2012 l'ente è stato soccombente nel 60 per cento delle controversie sulle invalidità revocate;
          già con interrogazione n.  4-01640 dell'8 agosto 2013, la prima firmataria del presente atto chiedeva al Ministro del lavoro e delle politiche sociali se non ritenesse opportuno avviare iniziative, anche di carattere normativo, più appropriate di quelle attualmente in atto, utili a garantire finalmente una concreta semplificazione dell'attuale iter amministrativo di riconoscimento dell'invalidità civile;
          seguiva in data 20 febbraio 2014 la risposta dell'allora vice ministro del lavoro e politiche sociali, l'onorevole Maria Cecilia Guerra, la quale; in merito al piano di verifiche straordinarie dell'INPS, affermava: «Tale attività si protrarrà fino al 2015 con contingenti di 150 mila verifiche annue. [...] Naturalmente (e come indicato dallo stesso interrogante) occorre agire nel prossimo futuro in modo da attivare adeguati meccanismi di controllo, ma senza intervenire, in modo eccessivo (o, addirittura, vessatorio) nei confronti dei beneficiari delle prestazioni. Si assicura che l'istituto è comunque impegnato ad adottare azioni di potenziamento operative e procedurali mirate a raggiungere il migliore risultato, con il minor coinvolgimento delle categorie svantaggiate, assicurando la massima tempestività e trasparenza. Sulla questione peraltro il Ministero da me rappresentato ha avviato, sin dal febbraio 2012, un tavolo tecnico tra regioni, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero della salute e Inps, diretto all'approfondimento delle diverse tematiche afferenti i diversi aspetti procedurali dell'accertamento dell'invalidità civile, al fine di assicurare la corretta gestione degli accertamenti socio sanitari, inclusi gli aspetti relativi alle visite straordinarie. A tale ultimo proposito va evidenziato che le principali federazioni delle associazioni delle persone con disabilità hanno costantemente rappresentato forti riserve in merito alla prosecuzione della effettuazione delle verifiche straordinarie, soprattutto in termini rapporto costi/benefici»;
          con sentenza 3851/14 del 9 aprile 2014, il tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio si è pronunciato su un giudizio avviato dall'ANFFAS (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale), con l'intervento di supporto (ad adiuvandum) della FISH (Federazione italiana per il superamento dell'handicap), contro una serie di messaggi e circolari con cui l'INPS, tra il 2011 e il 2012, aveva disciplinato proprio tali controlli dei piani straordinari di verifica sui cosiddetti «falsi invalidi» per 500.000 persone;
          il TAR è stato molto chiaro e netto nella sua pronuncia: «Le modalità adottate dall'INPS per le verifiche straordinarie sui cosiddetti “falsi invalidi” sono state illegittime e lesive dei diritti delle vere persone con disabilità e i dati forniti dall'istituto “gonfiati” e forieri solo di costi per l'Amministrazione»;
          la sentenza, si ribadisce, riconosce in ultima analisi che le modalità adottate dall'INPS per le verifiche straordinarie sono state «illegittime e lesive dei diritti delle vere persone con disabilità» e sconfessa ancora una volta anche i dati forniti dall'istituto in materia;
          in un'intervista rilasciata il 1° marzo 2013, appena ricevuto l'incarico di sottosegretario alle politiche sociali, l'onorevole Franca Biondelli individuava come prima riforma attuabile subito e a «costo zero» quella dell'istituzione del certificato unico per il riconoscimento dell'invalidità civile e dell'indennità di accompagnamento, facendo esplicito riferimento alle prescrizioni del Piano d'azione biennale sulla disabilità adottato dal precedente governo e al quale, ha dichiarato, va ora data attuazione;
          l'interesse generale non è certo quello di contrastare l'individuazione dei «falsi invalidi», ma di fare in modo che siano rispettati i diritti fondamentali delle vere persone con disabilità e che i controlli siano condotti con le opportune garanzie, in modo efficace e mirato, evitando inutili disagi e vessazioni  –:
          se, alla luce della sentenza del TAR del Lazio citata in premessa, non intenda fornire ulteriori chiarimenti relativi al piano straordinario INPS di verifica sui cosiddetti «falsi invalidi» e, consideratone l'esito attuale, se non ritenga doveroso sospenderne immediatamente il corso, avviando al contempo ogni attività, anche di carattere legislativo, volta a riformare l'intero sistema di accertamento di invalidità civile, stato di handicap e disabilità che risulta ormai obsoleto, farraginoso e inefficiente, secondo quanto previsto nello stesso Programma d'azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità che il Governo si è impegnato a mettere in atto per garantire il rispetto dei diritti umani delle persone con disabilità. (5-03084)


      NICCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 24 della legge 92 del 2012, cosiddetta legge Fornero, ha introdotto alcune disposizioni volte a sostenere la genitorialità e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
          in particolare si prevede la possibilità, in via sperimentale per gli anni 2013-2015, di concedere alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità, per gli undici mesi successivi e in alternativa al congedo parentale, la corresponsione di voucher per l'acquisto di servizi di baby-sitting, ovvero per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, da richiedere al datore di lavoro;
          in attuazione delle suddette disposizioni è stato emanato il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 22 dicembre 2012, che ha stabilito in 300 euro mensili, per un massimo di sei mesi, il suddetto contributo, e ha stabilito modalità e criteri per poter beneficiare del voucher. Il beneficio è riconosciuto nel limite di 20 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015;
          il sistema di pagamento nel caso di erogazione per il servizio di baby sitting è attraverso dei buoni lavoro rilasciati alla madre da parte dell'Inps. Mentre per il servizio di asilo nido a pagare la struttura sarà direttamente l'Inps dietro esibizione della documentazione attestante la fruizione del servizio;
          finora, purtroppo, si registra uno scarso successo nell'utilizzo di questo contributo. Nel 2013, sono state presentate meno di 4 mila richieste. Non tutte le mamme hanno saputo di questa possibilità anche in conseguenza della praticamente assente informazione sul bonus infanzia. I genitori che del contributo erogato dall'Inps hanno avuto notizia, invece, si sono ritrovati di fronte alla necessità di studiarlo (viste le circolari pubblicate dall'Inps), ma anche di fronte alla necessità di fare calcoli di convenienza economica, visto che è un'erogazione alternativa al congedo parentale;
          coloro che invece hanno deciso che il contributo erogato per il servizio di baby sitting fosse una buona cosa per le esigenze familiari (l'esigenza di tornare al lavoro che supera il ruolo di mamma e l'opzione congedo parentale), che fosse pure conveniente, si sono trovati di fronte ad un sistema di richiesta all'Inps estremamente complicato e farraginoso;
          sulla medesima problematica, la presentatrice del presente atto di sindacato ispettivo è stata già cofirmataria di un precedente atto di sindacato ispettivo a prima firma l'on.  Piazzoni (4-01519), che seppur presentato quasi un anno fa, non ha avuto ancora risposta da parte del Governo  –:
          quali iniziative si intendano adottare per semplificare le procedure farraginose attualmente previste per poter beneficiare del suddetto di voucher, nonché per avviare una efficace campagna informativa sull'esistenza di questo beneficio, prevedendo la possibilità di poter stanziare per le medesime finalità le risorse finora stanziate ma non utilizzate. (5-03085)


      LENZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          a 15 anni dalla sua introduzione, l’«Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)» è stato completamente riformato dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214 (nota come manovra Salva-Italia) che ha previsto, all'articolo 5, un successivo decreto attuativo del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
          il 3 dicembre 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto n.  159 del 2013, recante il titolo «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)», pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 gennaio 2014;
          il provvedimento è in vigore dall'8 febbraio 2014, data dalla quale sono decorsi i 120 giorni di tempo necessari per il completamento del percorso di attuazione  –:
          quale sia alla data odierna l’iter attuativo del nuovo modello ISEE e per quando sia prevista la sua definitiva applicazione nonché quali siano state e siano tutt'ora le difficoltà che ne hanno rallentato il suo corso. (5-03086)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BALDASSARRE, BECHIS, COMINARDI, CIPRINI e ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 15 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n.  33, impone alle pubbliche amministrazioni centrali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n.  165 del 2001, nonché agli enti pubblici vigilati, agli enti di diritto privato in controllo pubblico e alle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni, la pubblicazione, in riferimento ai propri titolari di incarichi dirigenziali e altresì in riferimento a quelli di collaborazione e consulenza, di alcune informazioni quali: gli estremi dell'atto di conferimento dell'incarico; il curriculum vitae; i dati in riferimento allo svolgimento di incarichi o lo svolgimento di attività professionali o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione; i compensi, comunque denominati, in merito al rapporto di lavoro, di collaborazione o di consulenza, specificando le eventuali componenti variabili o determinate da una eventuale valutazione del risultato;
          sul sito istituzionale dell'INPS alla sezione «Amministrazione trasparente» –› «Personale» –› «Dati Retributivi Dirigenti», non sono presenti le informazioni richieste dall'articolo 15, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 14 marzo 2013, n.  33, in merito alle retribuzioni dirigenziali, e altresì vengono pubblicate delle generiche tabelle, senza indicazione alcuna delle reali retribuzioni percepite dai singoli soggetti;
          dalla relazione annuale della Corte dei conti su «Determinazione e relazione della Sezione del Controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2012», depositata in data 27 novembre 2013, emergono notevoli criticità;
          a pagina 30 della suddetta relazione, in merito alla trasparenza delle informazioni pubblicate sul sito dell'INPS, si legge: «Con riguardo agli adempimenti sulla trasparenza e integrità, va rilevato che richiederebbero una più analitica e completa pubblicazione, nel sito istituzionale, i dati sugli incarichi esterni e le retribuzioni — soprattutto dei dirigenti di vertice — mentre rimane sentita l'esigenza di una chiara individuazione dei responsabili delle verifiche delle inadempienze e delle specifiche sanzioni»;
          inoltre, a pagina 35 della suddetta relazione si legge: «la Corte deve ancora una volta sottolineare che la pubblicazione sul sito internet delle retribuzioni annuali dei dirigenti non soddisfa compiutamente le finalità perseguite, anche per l'incompletezza del trattamento complessivo e per la lacuna di una parallela informativa su quelli attribuiti alle posizioni apicali dei professionisti, peraltro non espressamente prevista dalle specifiche disposizioni»;
          a parere dell'interrogante risulta evidente che l'attuazione data da Inps della normativa suddetta non sia in alcun modo trasparente e altresì non permetta di conoscere e prendere visione dei dati che la normativa stessa di riferimento impone  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti;
          se i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, ritengano che i dati pubblicati da Inps, in merito ai dati retributivi dei dirigenti, siano rispettosi della normativa contenuta all'articolo 15, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 14 marzo 2013, n.  33;
          quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di sopperire alle criticità suddette e richiamare Inps alla pubblicazione — sul sito istituzionale — delle retribuzioni di ogni singolo dirigente e altresì di tutte le informazioni richiamate nella normativa suddetta;
          se i Ministri interrogati ritengano che la condotta di Inps sia rispettosa per quanto attiene la trasparenza della vita amministrativa ed istituzionale. (5-03092)


      CRIVELLARI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          gli ispettori del lavoro della direzione territoriale del lavoro di Rovigo hanno lamentato un situazione lavorativa con grosse difficoltà tecniche ed operative, che limita la loro professionalità e la loro mansione;
          inoltre da quanto segnalato il clima nel quale svolgono la loro funzione risente in maniera drammatica della situazione di crisi che coinvolge tutto il Paese, infatti i medesimi ispettori hanno in più occasione avvertito di episodi di aggressione ed oltraggio, minacce, danneggiamento delle autovetture, durante lo svolgimento delle loro funzioni istituzionali;
          nonché in data 22 gennaio 2014 e 28 maggio 2014 gli ispettori del lavoro hanno dovuto richiedere l'intervento delle forze dell'ordine per poter portare a compimento la propria attività di verifica;
          entrambi gli episodi sono stati portati a conoscenza dell'amministrazione e dell'autorità giudiziaria;
          simili episodi, a quanto è possibile apprendere hanno riguardato anche ispettori di tutto il territorio nazionale;
          stante il fatto che in questi anni per operare utilizzavano la propria autovettura in data 4 giugno 2014 è stata revocata da parte dell'amministrazione anche la possibilità dell'uso della propria autovettura per lo svolgimento dell'attività ispettiva e contemporaneamente di svolgere il servizio extra orario «ministeriale»;
          tale prescrizione sembra aver coinvolto ben 29 uffici territoriali e regionali, e 550 ispettori del lavoro;
          inoltre in assenza di una precisa regolamentazione sull'orario di lavoro, che tenga conto della specificità dell'attività ispettiva, gli ispettori sono vincolati ad attenersi all'orario di servizio previsto dal CCNL comparto Ministeri che di fatto regola prevalentemente l'attività d'ufficio amministrativa;
          si desidera inoltre portare a conoscenza di una serie di problematicità, che minano alla base la capacità di portare a compimento il loro lavoro, e nello specifico:
              a) l'obbligo di fatto di dover spostarsi per l'attività ispettiva a piedi o con mezzi pubblici: autobus, pullman, treno, escludendo i taxi;
              b) scarsa disponibilità di mezzi hardware come computer portatili, indispensabili per consentire attività di raccolta dati, attività alla base di quella ispettiva;
              c) mancanza di SIM telefoniche da utilizzare, seppur in telefoni di proprietà, per permettere le comunicazioni tra colleghi;
              d) limitazioni all'interno degli uffici delle chiamate in uscita, così che quelle lavorative devono essere effettuate con spesa a carico dei dipendenti;
          a ciò si aggiunga che qualora l'amministrazione autorizzasse l'ispettore all'utilizzo dei propri mezzi di trasporto, si verrebbe, come spesso sembra accadere, una situazione prevalentemente gravosa per l'ispettore stesso, che oltre al rimborso poco adeguato che riceve in cambio tutte quelle responsabilità e quei rischi che l'ente pubblico sposterebbe sul proprio lavoratore;
          ad esempio: i chilometri percorsi con l'auto all'interno del comune di pertinenza non vengono rimborsati e non viene rimborsato il costo del biglietto urbano (ove previsto) pertanto gli spostamenti necessari per la ricerca dell'azienda da ispezionare, seppur indispensabili, non sono contemplati e non vengono rimborsati;
          in caso di partenza da un comune diverso da quello ove è ubicata la sede di servizio, viene rimborsato sempre e solo il percorso più favorevole all'amministrazione;
          il rimborso è costituito da una cifra pari ad 1/5 del prezzo medio della benzina per ogni chilometro percorso, e non parametrato alle tariffe ACI (diversamente da quanto avviene invece per il rimborso al personale di vigilanza degli enti previdenziali vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali);
          in città sono sempre più vaste le zone con parcheggi a pagamento e spesso è necessario ricorrere a questo tipo di sosta, anche per ore; in tal caso non è previsto nessun tipo di rimborso e, in caso di «sforamento» dovuto ad esigenze di indagine, l'eventuale contravvenzione è a carico dell'ispettore;
          sono sempre più presenti zone a traffico limitato, ove per poter accedere, occorrono autorizzazioni rilasciate dai comuni ma nessun ufficio né tantomeno il Ministero a livello centrale si è mai attivato in tal senso;
          l'indennità oraria di missione è regolamentata dalla legge 18 dicembre 1973, n.  836, e successive modificazioni, ed è pari ad euro 0,86 all'ora, che si riducono a euro 0,26 se si superano le 8 ore di servizio esterno, ma calcolati solo oltre i 10 Km dalla propria abitazione o dalla sede di servizio;
          in caso di svolgimento di lavoro serale, notturno e festivo non è previsto nessuna forma di indennità di turno né il riposo compensativo con conseguente violazione delle disposizioni del decreto legislativo n.  66 del 2001 in materia di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero, di riposo giornaliero e di riposo settimanale in un giorno diverso dalla domenica in caso di prestazione resa la domenica;
          la polizza «kasko» stipulata dall'amministrazione copre solo i danni in caso di sinistro con un massimale del tutto incongruo, non sono contemplati, invece, i danni derivanti da atti vandalici avvenuti in servizio e non è prevista una copertura assicurativa per l'ispettore del lavoro per danno biologico (lesioni) derivante da eventuali aggressioni fisiche subite nel corso del servizio;
          tutte le spese per lo svolgimento del servizio ispettivo vengono anticipate di tasca propria dall'ispettore e rimborsate solo a distanza di mesi sempre che vi sia disponibilità nell'apposito capitolo di bilancio;
          inoltre, pur rivestendo la qualifica e svolgendo le funzioni di polizia giudiziaria all'ispettore del lavoro non è riconosciuta alcuna indennità di P.G., mentre tale indennità e prevista per il personale di vigilanza delle ASL che ha competenza solo in materia di sicurezza e la cui qualifica di PG è attribuita non dalla legge ma da un decreto prefettizio, o come sembra per il personale di vigilanza (pubblici ufficiali e neanche agenti di P.G. la cui competenza è limitata alla materia previdenziale e assicurativa) degli enti vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali è prevista una specifica indennità di funzione di vigilanza corrisposta mensilmente;
          a ciò si aggiunga che gli ispettori del lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, pur sottoscrivendo importanti atti e/o provvedimenti aventi immediata rilevanza esterna e comportanti conseguenze notevoli, sia patrimoniali che giuridiche, non vedono riconosciuta nessuna forma di indennità di funzione e/o responsabilità, né tantomeno una copertura assicurativa legale;
          la condizione in cui sono costretti a lavorare gli ispettori del lavoro, risulta in contraddizione con i principi posti dalle convenzioni OIL sull'ispezione del lavoro (convenzioni n.  81 del 1947 e n.  129 del 1969), che costituiscono un riferimento internazionale per garantire l'applicazione delle leggi relative alle condizioni di lavoro e alla tutela dei lavoratori e che hanno come principio base l'assicurare e favorire gli spostamenti degli ispettori al fine di garantire ispezioni in tutti i settori; ma soprattutto in contrasto anche con i principi posti dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 15 gennaio 2008 e la Risoluzione del Parlamento europeo del 14 gennaio 2014 in materia di Ispezioni sul lavoro e doveri per gli Stati membri per garantire efficaci ispezioni sul lavoro come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa e che vincolano gli Stati membri a garantire agli ispettori del lavoro «locali, personale, strumenti, mezzi, anche finanziari, adeguati»  –:
          se intenda considerare con urgenza la situazione specifica degli ispettori del lavoro, in virtù di una cogente considerazione che senza mezzi idonei è di fatto compromessa tutta l'attività ispettiva e di verifica della piena adozione delle norme di legge in materia negli ambienti di lavoro;
          se intenda prendere in considerazione la risposta concreta che il Ministero può dare di fronte al fatto che l'assenza di mezzi, come quelli per gli spostamenti comporterebbe:
              a) l'impossibilità di ispezioni in luoghi non raggiungibili dai mezzi pubblici, vedi settore agricoltura ed edilizia;
              b) la riduzione drastica del numero di aziende ispezionate a causa del maggior tempo impiegato per gli spostamenti;
              c) la riduzione pena impossibilità di dare riscontro delle denunce ai lavoratori, alle organizzazioni sindacali e/o ad altri soggetti interessati;
              d) l'impossibilità a svolgere lavoro in orari diversi da quelli quotidiani, esempio verifiche in orario notturno (locali notturni o opifici abusivi). (5-03094)

Interrogazioni a risposta scritta:


      FANTINATI e DA VILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il 24 luglio 2013 la Brendolan Prosciutti, società per azioni vicentina, dopo quasi 90 anni di attività, ha alzato bandiera bianca andando in liquidazione volontaria, non potendo più ottemperare puntualmente alle proprie obbligazioni e conclamando il proprio stato di insolvenza con la presentazione della domanda di concordato in data 2 gennaio 2014, con il deposito del piano il 2 maggio;
          il tribunale di Vicenza ha ammesso l'azienda alla procedura il 16 giugno 2014, fissando l'udienza al 4 luglio 2014;
          la società è proprietaria di quattro stabilimenti di produzione: Meledo di Sarego (Vicenza) — sede logistica, amministrativa e stabilimento di produzione di specialità e dop Veneto — San Daniele del Friuli (Udine) con due stabilimenti di produzione dell'omonima dop e Carpegna (Pesaro Urbino);
          la «I Ham Italy», società cooperativa costituita da alcuni dipendenti della Brendolan, ha presentato il 5 maggio (tre giorni dopo la presentazione del piano da parte della Brendolan), un'offerta atta a rilevare l'intero complesso aziendale di Meledo di Sarego, comprensivo anche del magazzino prosciutti e ciò con il fine di salvaguardare i posti di lavoro, l'indotto e il marchio presente sui mercati dal 1927 e in piena sintonia con le finalità che hanno spinto il legislatore a prevedere un diritto di prelazione a favore delle cooperative di lavoratori nell'articolo 11 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n.  145, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n.  9 — il cosiddetto «Destinazione Italia»;
          secondo notizie giunte all'interrogante, la società Brendolan Prosciutti ha però deciso di ignorare totalmente l'offerta della cooperativa fino al momento in cui è stato il Tribunale di Vicenza ad imporre il rispetto del diritto di prelazione, ma solo in data 30 maggio 2014 e circoscritto ad un singolo asset: il magazzino prosciutti;
          su tale asset insisteva un'offerta da parte di una società di scopo — la Promo San Daniele spa, società commerciale con fine di lucro — partecipata al 67 per cento dal consorzio del prosciutto di San Daniele (consorzio senza fine di lucro) e dalla Friulia, finanziaria della regione Friuli;
          attraverso una procedura d'urgenza, attivata dalla Brendolan, si è prospettata al Tribunale, quale unica possibilità, quella della cessione del magazzino, giustificando la richiesta di autorizzazione a compiere tale cessione in tempi rapidi per evitare il deperimento dei prosciutti destinati a deprezzarsi nel tempo (situazione questa precedentemente ignorata per mesi);
          peraltro le condizioni della vendita — 260.000 prosciutti per un valore di circa 14 milioni di euro – ritagliate dalla proposta della Promo San Daniele, non offre soluzioni all'urgenza, posto che non vi è alcun obbligo di ritiro programmato, ma vi è solo il termine finale del 31 dicembre 2014 entro cui la Promo San Daniele deve prelevare la merce;
          da un lato, quindi, la Brendolan prosciutti spa ha prospettato, con la richiesta di autorizzazione al tribunale, una particolare urgenza, dall'altra, nei fatti, ha smentito tale premura accettando la proposta di Promo San Daniele in cui il ritiro e pagamento dei prosciutti della Brendolan spa può anche avvenire l'ultimo giorno dell'anno in corso, al valore deprezzato che la merce avrà a tale data;
          la decisione della Brendolan Prosciutti spa di limitare l'operazione di vendita esclusivamente al magazzino prosciutti, costringendo la cooperativa ad esercitare la prelazione su tale operazione, ha di fatto impedito alla cooperativa di competere, posto che per la stessa era essenziale acquisire l'azienda se si voleva salvaguardare la continuità dell'impresa e del marchio. Per questi motivi la cooperativa, che pure aveva offerto un più rapido, programmato e completo ritiro dei prosciutti a prezzi paritari e che comunque aveva avanzato una proposta più vantaggiosa per i creditori, perché ricomprendeva anche il ramo d'azienda, ha dovuto soccombere;
          questa scelta ha di fatto spogliato la Brendolan del suo bene di maggior valore economico — il magazzino prosciutti — senza imporre al beneficiario un qualsiasi impegno rispetto al proseguimento dell'attività produttiva, alla salvaguardia del marchio e alla tutela, anche minima, dell'occupazione. In pratica si è favorito e permesso la «morte» di una prestigiosa attività dell'agroalimentare vicentino e veneto;
          che a farlo sia stato un consorzio di produttori concorrenti può essere comprensibile ma che il tutto sia avvenuto con il sostegno di una finanziaria pubblica (la Friulia) sembra, a giudizio dell'interrogante, piuttosto discutibile, tanto più se le finalità dell'operazione, come sembrano temere i 40 dipendenti della Brendolan di Sarego, siano semplicemente quelle di cancellare il marchio veneto  –:
          quali iniziative urgenti i ministri interrogati intendano adottare al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e scongiurare la chiusura dello stabilimento di Meledo di Sarego, anche attraverso l'istituzione di un apposito tavolo di confronto con la partecipazione di tutti gli attori coinvolti. (4-05276)


      PRODANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          Saba Italia società per azioni è la controllata della società spagnola Saba Aparcamientos s.a. che opera nel settore dei parcheggi pubblici e dei servizi integrati per la sosta a servizio della mobilità urbana;
          la società, con sede legale a Roma, ha sviluppato in Italia una vasta rete gestionale composta da circa 28.000 posti auto distribuiti tra centri storici, centri commerciali, quartieri fieristici, stazioni, aeroporti, porti, terminal bus e strutture ospedaliere;
          presente da più di 20 anni sul territorio nazionale in ben 21 città, Saba Italia lavora in regime concessorio con 16 amministrazioni comunali – tra le quali figurano Trieste, Mestre, Verona e Roma – avendo sottoscritto i relativi contratti di gestione che definiscono i servizi minimi e il personale relativo;
          il 15 aprile 2013 l'azienda ha comunicato l'intenzione di procedere al licenziamento di 36 dipendenti sull'organico complessivo di 222, a causa degli ultimi bilanci, procedendo alla sostituzione delle persone con sistemi automatizzati e ricorrendo anche alla sorveglianza a distanza;
          Saba Italia ha motivato la mobilità alla luce di «un trend di risultati di esercizio fortemente negativo, anche sotto il profilo strutturale», sostenendo questa posizione con i risultati operativi del 2009, 2010, 2011 e 2012;
          a Trieste Saba Italia aveva un organico di 27 lavoratori – di cui nove interessati dalla messa in mobilità – e gestisce i parcheggi dell'ospedale Maggiore, di via Giulia, del Silos in piazza della Libertà, di Foro Ulpiano, di Campo San Giacomo;
          a seguito di un accordo annunciato il 27 dicembre 2013 – riportato dal quotidiano Il Piccolo – dal sindaco di Trieste Roberto Cosolini e l'amministratore delegato di Saba Italia, Giovanni Centurelli, al termine di una lunga negoziazione tra enti locali, sindacati e azienda, tre dipendenti hanno accettato la buonuscita mentre gli altri sei sono stati reinseriti al lavoro  –:
          di quali elementi disponga il Governo in merito alla situazione descritta in premessa e quali iniziative per quanto di competenza s'intendano assumere a garanzia dei livelli occupazionali. (4-05293)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PALAZZOTTO e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          in data 16 giugno 2014 è stato depositato l'atto di sindacato ispettivo n.  5-02996 in merito al piano di riorganizzazione del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, CRA, che prevede una profonda ristrutturazione delle unità di ricerca dell'ente stesso;
          nell'atto di sindacato ispettivo, in particolare, si richiamava l'attenzione e la preoccupazione per la soppressione dell'unità di ricerca CRA– specie floricole e mediterranee – di Bagheria, in provincia di Palermo, che si occupa dell'individuazione e della valorizzazione di specie floricole mediterranee adatte alle condizioni pedoclimatiche italiane, curandone il recupero, la collezione ed il mantenimento, sviluppando programmi di miglioramento genetico e di selezione varietale con metodi convenzionali e innovativi. Studia le tecniche di coltivazione innovative, sia in campo che in ambiente protetto e sviluppa tecniche di difesa con ridotto impatto ambientale;
          la chiusura dell'unico centro di ricerca per il settore florovivaistico presente a Bagheria, priverebbe tutto il comparto florovivaistico regionale dell'apporto tecnico scientifico della ricerca pubblica, con il rischio di penalizzare la crescita e lo sviluppo delle imprese del settore;
          il nuovo piano di riorganizzazione e razionalizzazione del CRA, illustrato alle organizzazioni sindacali lo scorso 4 giugno, e approvato dal consiglio di amministrazione dello scorso 10 giugno, in realtà, oltre a prevedere la chiusura del centro di Bagheria, penalizza fortemente tutto il Meridione d'Italia prevedendo la scomparsa quasi totale dei centri di ricerca presenti, che resterebbero maggiormente concentrati al Nord. All'interno del capitolo «Progetto di riorganizzazione» infatti è prevista la chiusura e la soppressione di 13 unità di ricerca e la soppressione di 10 sedi distaccate (e gruppi operativi) con attività trasferite ad altre strutture del CRA;
          a parere degli interroganti, il piano di riorganizzazione in questione evidenzia sufficientemente i criteri specifici sulla base dei quali si è proceduto alla soppressione di alcune strutture ed alla ridefinizione delle «mission»;
          la chiusura delle numerose unità di ricerca non sembra rispondere né alle premesse inserite nel piano di riordino, né a principi della spending review;
          secondo i dati indicati nel piano, la soppressione delle numerose unità si tradurrebbe in un risparmio sulla spesa per il funzionamento di soli 576.000 euro;
          prevedere la scomparsa della quasi totalità dei centri di ricerca presenti nel Mezzogiorno, rappresenta un ulteriore danno all'economia e all'occupazione di un'area del Paese già fortemente svantaggiata, come evidenziato da tutti gli indicatori economici. Al contrario, incentivare settori come la ricerca, può rappresentare uno dei motori per lo sviluppo e la ripresa economica del Meridione  –:
          se il Ministro sia a conoscenza del «Progetto di riorganizzazione» del CRA deliberato dall'ultimo Consiglio di Amministrazione del 10 giugno 2014, e se intenda intervenire con ogni strumento di propria competenza al fine di riconsiderare la soppressione delle numerose unità di ricerca dislocate su tutto il territorio nazionale, in maggioranza concentrate nel Mezzogiorno, affinché possano essere salvaguardate e valorizzate le professionalità presenti nelle varie strutture. (5-03083)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la decisione da parte dell'ASP di Crotone di accorpare nell'ospedale civile il servizio di microcitemia all'unità operativa complessa di medicina generale ha creato e sta creando non pochi problemi ai pazienti m cura presso l'ospedale della città;
          il servizio di microcitemia di Crotone, è uno dei reparti migliori in Italia per la cura di tale patologia, anche in considerazione della peculiarità della diffusa presenza della malattia in questo territorio;
          pertanto appare incomprensibile la decisione dei vertici sanitari dell'ASP, di fronte ad un reparto di eccellenza, che garantisce assistenza pubblica di qualità a tanti malati, di ridimensionare questo reparto togliendogli l'autonomia per accorparlo a quello di medicina;
          anche tagliare i posti in day hospital ad esso assegnati, sta causando disagi ai pazienti (in special modo quelli atrasfusionali) in quanto sono costretti a passare da un regime di erogazione delle prestazioni rapido e funzionale ad uno più lento e complicato anche solo per effettuare i prelievi che non sono di routine, ma specificatamente quelli previsti dai protocolli di cura della patologia;
          un processo razionale di spending review avrebbe escluso di andare a pregiudicare la possibilità di cura in questo reparto e avrebbe individuato altre misure di contenimento laddove effettivamente vi sono margini di intervento;
          nei giorni scorsi una rappresentanza dell'associazione Thalassemici si è vista costretta ad occupare gli uffici della ASP per poter avere un incontro con i dirigenti della sanità provinciale nominati dalla Giunta Scopelliti per poter discutere delle difficoltà a cui stanno andando incontro i tanti malati del crotonese  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda attivare anche per il tramite del commissario ad acta per il rientro dal deficit sanitario per verificare quanto sta accadendo presso l'ospedale di Crotone e assicurare ai malati di talassemia gli adeguati livelli essenziali di assistenza nel pieno rispetto delle prerogative garantite dalla Costituzione in materia di tutela della salute. (5-03080)


      SBROLLINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          dal quotidiano il Giornale di Vicenza del 30 maggio 2014, si apprende che i malati di Aids della città e della provincia di Vicenza sono in aumento;
          questo dato si colloca all'interno di un generale incremento della diffusione della malattia su scala nazionale, in particolare nelle regioni Lombardia, Lazio, Emilia Romagna;
          in Italia si registrano circa 4 mila nuove diagnosi di infezioni da Hiv l'anno. È possibile stimare che circa 150 mila persone in Italia siano sieropositive;
          da gennaio 2014 ad oggi, sono 28 i vicentini che hanno scoperto di essere Hiv positivi e 4 i decessi;
          l'infezione colpisce in uguale percentuale uomini e donne di tutte le età, con un incremento dei giovani. Risultano scomparsi nella genesi della malattia i tossicodipendenti;
          si rileva che il 70 per cento dei nuovi malati per lungo tempo rimane all'oscuro di avere contratto la malattia, ragione per cui il rischio di contagio è molto alto;
          le persone effettuano il test non per controllo, ma perché avvertono i primi sintomi della malattia. La diagnosi arriva quindi spesso in ritardo rispetto allo sviluppo della malattia, per cui diminuiscono sensibilmente le probabilità di risposta positiva alle cure;
          l'Ulss 6 spende annualmente 6 milioni di euro per i farmaci salva-vita;
          i vicentini in carico al reparto di malattie infettive dell'ospedale di Vicenza sono oltre 700, ai quali si aggiungono i 160 seguiti dagli specialisti all'ospedale di Bassano, e i 140 in cura nell'unità semplice di Santorso. In tutto più di mille malati;
          la colpa può essere individuata nell'assenza della percezione della gravità della malattia: poiché le possibilità terapeutiche rendono l'Hiv spesso controllabile e i media hanno perso attenzione per questa malattia, vi è una scarsa attenzione e una grande incoscienza da parte dei cittadini;
          si è a conoscenza del fatto che negli Stati Uniti viene sottoposto al test chiunque sia ricoverato in ospedale, e in Francia il governo raccomanda ai medici di base di fare regolarmente il test ai loro assistiti  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei dati sopra esposti;
          se non ritenga di intervenire sul piano strategico attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione dei cittadini, nonché attraverso altri metodi, come ad esempio quelli in uso in Stati Uniti e Francia, atti a rilanciare la pratica del test Hiv. (5-03081)

Interrogazioni a risposta scritta:


      RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          le cronache quotidiane sempre più spesso riportano di casi che vedono come attori persone affette da disturbi psichici e psichiatrici;
          l'ultimo in ordine di tempo il caso di Davide Frigatti che in preda a delirio ha provocato la morte di una persona ed il ferimento di altre due;
          altre situazioni critiche vengono tamponate con notevoli difficoltà dalle famiglie dei soggetti a rischio  –:
          se il Ministro non intenda intervenire al più presto assumendo un'iniziativa normativa che regoli i ricoveri di persone affette da disturbi psichici e psichiatrici, consentendo l'apertura di reparti di ricovero e cura presso le strutture ospedaliere al fine di alleviare le famiglie da un compito gravoso e spesso impossibile da portare a termine, oltre a rendere più sicuri i cittadini che potrebbero venire a contatto con i malati. (4-05279)


      TIDEI, FERRO, CARELLA e MINNUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la regione Lazio ha siglato un Piano di rientro (Pdr) in data 28 febbraio 2007 che è stato approvato con decreto della giunta regionale n.  149/2007. A conclusione del primo triennio di attività finalizzate alla riorganizzazione del Servizio sanitario regionale (SSR), la regione ha formalizzato il prosieguo del Pdr con il programma operativo per gli anni 2010-2012. Nel successivo programma operativo 2013 – 2015, di cui al decreto del commissario ad Acta 480 del 6 dicembre 2013, presentato ai Ministeri della salute e dell'economia in data 21 marzo 2014, sono previsti una serie di interventi che interessano:
              a) le cure primarie e la rete territoriale;
              b) la riorganizzazione dell'offerta assistenziale;
              c) l'efficientamento della gestione;
              d) i flussi informativi;
              e) interventi operativi di gestione, nonché;
              f) interventi per il governo del programma operativo;
          da quanto si evince sopra, la regione Lazio è sottoposta a commissariamento dal 2007. Ciò in ragione di disavanzi sanitari accumulati, in particolar modo nell'ultimo quindicennio. Si pensi che soltanto nel 2006 il disavanzo sanitario ha raggiunto la cifra 1.971 milioni di euro (quasi due miliardi di euro);
          in ossequio a quanto stabilito con decreto del commissario ad Acta n.  80 del 30 settembre 2010 dal titolo «Riorganizzazione della rete ospedaliera della regione Lazio», il programma operativo 2013 –2015 stabilisce la riconversione, tra gli altri, di alcuni nosocomi della provincia di Roma. Tale riconversione motivata da esigenze, peraltro condivisibili, finalizzate all'ottimizzazione dell'intera offerta sanitaria regionale nonché da esigenze di razionalizzazione della spesa sanitaria incontra il serio rischio di operare una vera sperequazione, quando non una seria inadeguatezza, dell'offerta di prestazioni e servizi sanitari;
          con specifico riferimento al programma operativo 2013 – 2015, precisamente in merito alle strutture ospedaliere di Bracciano (ospedale Padre Pio) afferente l'ASL Roma F e le strutture di Monterotondo (ospedale SS. Gonfalone) e di Subiaco (ospedale Angelucci) entrambi afferenti l'ASL Roma G, si contempla, per i summentovati nosocomi, la riconversione e la promozione dei servizi territoriali;
          la riorganizzazione della rete ospedaliera, come previsto dal decreto del commissario ad Acta 80/2010, esporrebbe i moltissimi comuni aventi quale struttura ospedaliera di riferimento i tre nosocomi suindicati, al rischio di un vuoto assistenziale che, ove si realizzasse, pregiudicherebbe gravemente, per le popolazioni interessate, il diritto alla salute, riconosciuto e garantito dall'articolo 32 della Costituzione. Da una simile riorganizzazione ne deriverebbe una grave e ingiustificata carenza assistenziale, soprattutto per quanto riguarda l'offerta ospedaliera legata ai servizi di emergenza e urgenza, ad est e a nord della provincia di Roma;
          per quanto riguarda il quadrante nord – est che interessa le ASL Roma G e F, con una popolazione di circa 800 mila abitanti e non irrilevante in termini di estensione territoriale, si lascerebbe ai soli presidi ospedalieri di Tivoli e Civitavecchia la gestione dell'emergenza – urgenza. Ad una riduzione dell'offerta sanitaria da parte delle tre strutture ospedaliere, individuate precedentemente, non può che corrispondere un eccesso della domanda di salute verso altri nosocomi (verso i PP. OO. di Tivoli e Civitavecchia e soprattutto verso le aziende ospedaliere di Roma) con tutte le problematiche che ne deriverebbero in termini congestione dei pronto soccorsi, di gestione, di organizzazione, di efficienza e sicurezza dei servizi e delle prestazioni sanitarie nonché di soddisfacimento della domanda sanitaria da parte dell'utenza;
          con riferimento al rapporto tra numero dei posti letto (per acuti ordinari) per numero di abitanti, l'articolo 15, comma 13, lettera c) della legge n.  135 del 2012 di conversione del decreto-legge n.  95 del 2012 (cosiddetto decreto Spending Review), statuisce che siano le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ad adottare provvedimenti di riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie;
          relativamente all'ASL Roma G nel suo complesso, come risulta dal rapporto annuale SIES (Sistema informativo emergenza sanitaria) del 2013 il rapporto posti letto/abitanti è pari a 0,98 per mille residenti a fronte di uno standard regionale che è pari a 2,97 per mille residenti. Emerge da questi dati che il numero dei posti letto nell'ambito dell'ASL Roma G, la più estesa della regione Lazio, interessando una popolazione di circa cinquecento mila abitanti, è notevolmente al di sotto dello standard definito dalla legge sopra richiamata. Per quanto riguarda l'ASL Roma F anch'essa dispone di un rapporto posti letto/abitanti che oltre ad essere decisamente inferiore allo standard nazionale, è ancora più basso di quello dell'ASL Roma G. Entrambe le aziende sanitarie succitate complessivamente hanno a disposizione un numero di posti letto inferiore a settecento a fronte degli oltre duemila di cui dovrebbero disporre secondo gli standard regionali di riferimento;
          il rapporto posti letto per numero di abitanti se da un lato è notevolmente al di sotto dello standard individuato dalle legge 135 del 2012, soprattutto nei territori della provincia di Roma; dall'altro, specie con riferimento ad alcune aziende ospedaliere di Roma, tale rapporto è di molto superiore al livello stabilito in 3,7 posti letto per mille abitanti. Ci sono infatti alcune aziende ospedaliere della città di Roma che hanno un rapporto che oscilla tra i 4,5 e i 6 posti letto per mille abitanti;
          il Ministro interrogato partecipando ad un convegno «Ripensare un nuovo modello di sanità nella Valle dell'Aniene valorizzando le risorse attuali e creare nuove prospettive» avutosi il 4 maggio 2014 a Jenne, piccolo comune della Valle dell'Aniene in provincia di Roma, ha rilevato come sia necessario intervenire di concerto con la regione Lazio al fine di rivedere il decreto del commissario ad Acta 80 del 2010 per assicurare relativamente all'ospedale di Subiaco la rete dell'emergenza – urgenza con un pronto soccorso supportato dai posti letto di degenza di chirurgia, medicina e ortopedia. Dello stesso tenore sono state le osservazioni del presidente della regione Lazio, Zingaretti che ha sottolineato la necessità di superare il decreto del commissario ad Acta 80 al fine di garantire alle strutture ospedaliere di Bracciano, Monterotondo e Subiaco le funzioni vitali come il pronto soccorso  –:
          se il Ministro non ritenga opportuno promuovere un tavolo tecnico di confronto con la regione Lazio coinvolgendo le autonomie locali interessate al fine di definire insieme una soluzione che, pur nel rispetto dei principi di razionalizzazione ed efficienza dei servizi sanitari, tenga conto della necessità di garantire per i tre nosocomi, di cui in premessa, l'offerta di servizi sanitari di emergenza e urgenza dotati di un numero congruo di posti letto e di aree e reparti ospedalieri in grado di soddisfare in modo adeguato e sicuro l'offerta dell'emergenza e dell'urgenza ripensando il modello sanitario previsto con il decreto del commissario ad Acta 80 del 2010, tenendo conto che le strutture che insistono in aree complesse e disagiate non possono essere carenti di servizi, quali ad esempio quelli relativi alla permanenza di un pronto soccorso con una dotazione di posti letto e prestazioni sanitarie adeguati, necessari a garantire la sicurezza dei cittadini e la piena attuazione del diritto costituzionale alla salute. (4-05281)


      ELVIRA SAVINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la psicooncologia è la branca della psicologia e della psicoterapia clinica che studia e si prende cura, all'interno dell'organizzazione socio-medico-sanitaria, della qualità di vita e degli aspetti patologici cognitivo-comportamentali della persona malata;
          i primi moti di questa disciplina nascono già negli anni Cinquanta, quando negli Stati Uniti nascono le prime associazioni di pazienti laringectomizzati, colostomizzati e di donne operate al seno;
          il primo servizio in tal senso, che si proponeva di assistere psicologicamente i malati di cancro, nasce proprio in questo periodo al «Memorial Sloan-Kettering Center» di New York;
          in Italia, le prime tracce risalgono agli anni 70. Nel 1980 viene istituito presso l'istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova il primo servizio di psicooncologia;
          il 25-30 per cento delle persone colpite da cancro presenta problemi di ordine emozionale, che nella maggior parte dei casi non vengono colti e presi in giusta considerazione;
          circa il 20 per cento dei pazienti di cancro mostrano i sintomi di una depressione, che spesso non viene diagnosticata;
          almeno un malato di cancro su tre ha bisogno di un sostegno psicologico, il numero di quanti lo chiedono è in crescita, ma ancora troppo pochi lo ottengono;
          sappiamo che i fattori psicologici (cognitivi, emozionali e motivazionali) influiscono sulla salute fisica delle persone e incidono sempre, in maniera diretta o indiretta, sui disturbi e le malattie;
          la malattia, a sua volta, si ripercuote sullo stato psicologico. Ciò aumenta l'importanza di prendersi cura dell'aspetto psicologico del paziente in caso di malattie come il cancro;
          sebbene in Italia la situazione sia migliorata rispetto ad alcuni anni fa, è ancora evidente una marcata disomogeneità dei servizi di psicooncologia sul territorio nazionale;
          la maggior parte dei 300 servizi presenti nel nostro Paese infatti è nel Nord Italia (il 56 per cento);
          a scattare la fotografia di questa situazione è l'ultimo Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato nei giorni scorsi dalla Federazione Italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo), che contiene il resoconto del più recente censimento della Società italiana di psicooncologia (Sipo);
          secondo il rapporto, circa la metà dei servizi di psicooncologia risulta attiva in strutture non pubbliche e nella stragrande maggioranza dei casi (71,3 per cento) non si tratta di unità dedicate, che assicurino una continuità assistenziale, ma il lavoro viene svolto da gruppi o da singole figure professionali all'interno di reparti di oncologia medica, ematologia, radioterapia o alle dipendenze di direzioni sanitarie;
          a questi problemi va aggiunta la scarsezza di risorse economiche, la mancanza di spazi adeguati e la precarietà della figura dello psicooncologo, sia in termini di lavoro, precario appunto, sia di profilo professionale;
          secondo Anna Costantini, presidente Sipo e responsabile del servizio di psicooncologia dell'ospedale Sant'Andrea-Sapienza-università di Roma, rispetto al primo censimento effettuato nel 2005 in Italia da Sipo e Favo, in collaborazione con l'istituto Superiore di Sanità, la situazione è in parte migliorata, con un incremento delle attività psicooncologiche e dei relativi servizi;
          ma la realtà del nostro territorio resta assai difforme e certamente non in linea con gli obiettivi da raggiungere;
          dalle ultime rilevazioni è emerso che ben il 62 per cento del personale che opera in psicooncologia è precario;
          un terzo degli operatori è costituito da specializzandi in tirocinio e frequentatori volontari, mentre un ulteriore terzo è formato da personale a contratto (con borse di studio o contratti a progetto specifico);
          nella maggior parte dei casi (57 per cento) questo tipo di assistenza al malato ricade su una singola figura professionale, piuttosto che fare capo a un’équipe di lavoro;
          la rivelazione del disagio psichico deve entrare a far parte della prassi terapeutica e ogni centro dovrebbe istituire un comitato multidisciplinare atto a verificare gli standard di cura e la loro osservanza  –:
          se il ministro interrogato non ritenga di dover avviare uno tavolo di concertazione con gli esperti del settore per la formulazione di precisi standard d'intervento e per l'identificazione di criteri formativi;
          quali iniziative intenda assumere al fine di assicurare su tutto il territorio nazionale la creazione e il buon funzionamento di servizi clinici per la cura globale del paziente, comprensive di figure professionali specializzate per l'assistenza psicooncologica. (4-05286)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


      GASPARINI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          come si evince, dalla nota di sintesi e dal protocollo è dal 2012 che si è avviata una procedura per il trasferimento di 80 lavoratori della provincia di Milano al tribunale di Milano che ha posti scoperti in pianta organica di uguale misura;
          trattasi di una scelta virtuosa, perché la collaborazione tra istituzioni pubbliche, permette di utilizzare le risorse umane in modo flessibile e adeguate alle necessità, oltre a garantire la continuità lavorativa a lavoratori a tempo indeterminato in esubero;
          questo accordo è un banco di prova e anticipatorio delle norme previste nel decreto-legge riguardante la riforma della pubblica amministrazione per quanto riguarda la mobilità obbligatoria e volontaria;
          ad oggi non si è avuta nessuna risposta alla richiesta di autorizzazione alla mobilità;
          occorre mettere a punto una modalità di risposta più agile per evitare che ci siano risorse sprecate come le 80 persone in esubero che aspettano un trasferimento;
          in una fase di attuazione della legge 56 del 2014, è urgente mettere la provincia nelle condizioni di capire come utilizzare le risorse umane anche alla luce della trasformazione in città metropolitana e alla esigenza di doversi riorganizzare  –:
          se s'intenda dare una risposta alla richiesta di mobilità considerato che questa situazione genera una paralisi nelle decisioni individuali (i lavoratori) e istituzionali (la provincia e il tribunale);
          quale sia il motivo del ritardo che fa presupporre una non condivisione della richiesta. (4-05275)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n.  246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n.  880, all'articolo 1 prevede che «Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento»;
          la Rai sta inviando un avviso, come accadde nel 2012, alle imprese nel quale si ricorda che le vigenti disposizioni normative impongono l'obbligo del pagamento di un abbonamento speciale a chiunque detenga, fuori dall'ambito familiare, uno o più apparecchi atti o adattabili – quindi muniti di sintonizzatore – alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive, indipendentemente dall'uso al quale gli stessi sono adibiti;
          la scorsa legislatura a seguito sia di atti di sindacato ispettivo, di atti di indirizzo – anche a firma dell'interrogante – che di proteste da parte delle associazioni di categoria, il Ministero dello sviluppo economico con una nota del dipartimento delle comunicazioni del 22 febbraio 2012, aveva inteso chiarire che un apparecchio si intende «atto» a ricevere le radio audizioni se e solo se include nativamente (fin dall'origine) gli stadi di un radioricevitore completo: sintonizzatore radio, decodificatore e trasduttori audio/video per i servizi televisivi, solo audio per i servizi radiofonici; un apparecchio si intende «adattabile» a ricevere le radiodiffusioni se e solo se include almeno uno stadio sintonizzatore radio ma è privo del decodificatore o dei trasduttori, o di entrambi i dispositivi, che, collegati esternamente al detto apparecchio, realizzerebbero assieme ad esso un radioricevitore completo. Ne deriva, come conseguenza, che un apparecchio privo di sintonizzatori radio operanti nelle bande destinate al servizio di radiodiffusione non è ritenuto né atto né adattabile alla ricezione delle radioaudizioni, e conseguentemente per esso non va pagato alcun canone TV;
          in sintesi non sono soggetti al pagamento del canone i personal computer, fissi o portatili, i tablet come gli «iPad» e gli smartphone, che consentono l'ascolto e/o visione dei programmi radiotelevisivi via internet e non attraverso la ricezione del segnale terrestre o satellitare;
          la Rai a seguito di questi chiarimenti in base alla summenzionata nota del Ministero dello sviluppo economico si era impegnata a fare tutte le necessarie azioni di chiarimento in tal senso. Allora non si comprende perché persista, a distanza di due anni, nella richiesta di pagamento del canone speciale inviata a migliaia di utenti colpevoli di possedere nei loro uffici computer, tablet e smartphone, oggi indispensabili per qualsiasi tipo di attività ed utilizzati spesso anche per soddisfare gli adempimenti imposti dalla pubblica amministrazione;
          calcolando che la cifra da versare, a seconda della tipologia dell'impresa, può variare da un minimo di 200 ad un massimo di 6.000 euro all'anno, secondo una prima stima la Rai potrebbe incassare fino a 1,4 miliardi di euro per apparecchi che non vengono utilizzati per ricevere i canali Rai: oltre 400 milioni di euro versati dai liberi professionisti e 980 milioni versati dalle imprese;
          in un momento di grave crisi economica, dove ogni giorno chiudono centinaia di aziende ed attività commerciali perché il costo del lavoro e la pressione fiscale sono divenute insostenibili, colpire ancora duramente il sistema produttivo con l'ennesima gabella imponendo una nuova imposta sull'innovazione e sullo sviluppo tecnologico risulta quanto mai ingiustificato  –:
          se non ritenga opportuno intervenire nuovamente al fine di risolvere definitivamente la questione, indicando espressamente fra gli apparecchi per i quali è dovuto il pagamento del canone Rai, elencati nella nota ministeriale del 22 febbraio 2012, quegli strumenti, come computer, tablet e smartphone, che, benché originariamente adattabili a ricevere il segnale, di fatto sono inutilizzabili per tale scopo perché sprovvisti di sintonizzatore e utilizzati esclusivamente per finalità di studio o lavorative, anche al fine di non gravare ulteriormente nel settore produttivo così drammaticamente colpito dalla congiuntura economica. (5-03079)


      CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito della società pubblica Poste Italiane la funzione di tutela aziendale ha, fra l'altro, il compito di eseguire attività di accertamento laddove denunciati illeciti per opera di dipendenti;
          detta funzione è articolata in aree territoriali, fra le quali l'Atta Sud 1, gestito dal dirigente Salvatore Malerba;
          con più denunce sindacali del 14 ottobre 2013, del 3 febbraio 2014, del 14 marzo 2014 e del 15 aprile 2014 è stato sollecitato un urgente intervento nei riguardi del responsabile dell'ufficio Postale c Alcamo Centro (TP);
          tali denunce fanno riferimento ad atti persecutori nella conduzione dell'ufficio che sarebbero stati sistematicamente e reiteratamente praticati dal detto responsabile e di tale gravità da costringere taluni dipendenti a ricorrere a cure farmacologiche;
          risulta all'interrogante che fosse stata inviata una comunicazione ai vertici dell'Atta Sud 1, in conseguenza di attività ispettive eseguite presso l'ufficio postale di Alcamo Centro, relativa proprio ad alcune anomalie nella gestione del detto ufficio;
          risulta all'interrogante che l'Atta Sud 1 sia rimasto del tutto inerte, malgrado le segnalazioni arrivate da fonti interne ed esterne  –:
          di quali notizie disponga il Governo;
          quali iniziative di competenza s'intendano assumere al fine di garantire il tempestivo intervento della struttura di Atta Sud 1, al fine di verificare la sussistenza dei gravi illeciti segnalati, a tutela dell'immagine della società, dei dipendenti, ed eventualmente dello stesso responsabile di UP oggetto delle sopra menzionate denunce. (5-03096)


      CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          gli uffici postali dispongono di un applicativo di sportello denominato «Oracolo», la cui procedura operativa è stata redatta ed approvata dalla funzione fraud management di tutela aziendale;
          tale procedura è stata pubblicizzata con articoli di stampa su quotidiani nazionali (Corriere della Sera) e menzionata anche nella determinazione n.  6/12 della Corte dei conti ove si legge: «Sempre in tema di prevenzione di grande ausilio si è rivelato l'utilizzo di uno strumento informatico di back office, denominato Oracolo, che consente di controllare in tempo reale l'autenticità dei documenti di identificazione (...) tramite un collegamento diretto alle banche dati di Poste italiane, del Ministero degli interni, dell'INA, dell'Agenzia delle entrate e della Motorizzazione Civile. Nel corso del 2010, sono state sottoposte al sistema Oracolo circa 42.800 interrogazioni giornaliere»;
          risulta all'interrogante che le caratteristiche del software Oracolo non corrisponderebbe a quelle descritte dalla Corte dei conti, inizialmente previste ed enfaticamente pubblicizzate dalla società;
          in particolare il software non si interfaccerebbe con le banche dati degli altri enti pubblici, ma con banche dati interne di Poste italiane;
          conseguentemente, in un numero di casi significativo, darebbe risultati inattendibili e si risolverebbe in un'attività, oltreché inutilmente produttiva di un'enorme quantità di stampe cartacee, non funzionale allo scopo dichiarato;
          ne conseguirebbe ulteriormente che l'uso del software non sarebbe sufficiente a prevenire alcune tipologie di frodi, benché il risultato cartaceo dell'interrogazione valga, allo stato, quale esimente di responsabilità dello sportellista;
          risulta altresì interrogante che il software di sportello Oracolo non sia stato sviluppato dalla struttura ICT di Poste italiane, malgrado l'indubbia professionalità riconosciutale, bensì affidata, tramite consulenza esterna, che l'interrogante ritiene particolarmente discutibile  –:
          di quali elementi disponga il Governo in ordine ai fatti descritti in premessa;
          se il Governo conosca sia le ragioni per le quali la manutenzione e lo sviluppo del software Oracolo è stata esternalizzata sia l'ammontare della somma spesa;
          se il Governo sia a conoscenza del nominativo del dirigente di Poste Italiane che ha affidato tale contratto di consulenza; (5-03097)

Interrogazioni a risposta scritta:


      VIGNALI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le «reti di impresa» rappresentano, da un punto di vista economico, una libera aggregazione tra imprese con l'obiettivo di accrescere competitività e innovatività;
          il decreto-legge n.  5 del 2009 (cosiddetto decreto incentivi) convertito, con modificazioni, dalla legge n.  33 del 2009, recante «Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi», disciplina il contratto di rete di impresa;
          la legge Sviluppo (legge n.  99 del 2009), ha introdotto significative correzioni alla disciplina del contratto di rete;
          l'articolo 3, comma 4-ter del decreto-legge n.  5 del 2009, e successive modificazioni e integrazioni, disciplina la forma del contratto di rete: «ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma degli articoli 24 o 25 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n.  82, e successive modificazioni, da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti, trasmesso ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso il “modello standard” tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico»;
          l'articolo 3, comma 4-quater del decreto-legge n.  5 del 2009 e successive modificazioni e integrazioni disciplina la forma del contratto di rete rete-soggetto: «per acquistare la soggettività giuridica il contratto deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell'articolo 25 del decreto-legge 7 marzo 2005, n.  82»;
          con la legge n.  134 del 2012 di conversione con modifiche del decreto-legge n.  83 del 2012 (cosiddetto decreto sviluppo), il testo della norma sul contratto di rete è stato novellato in relazione ad alcuni profili. Per quanto concerne la responsabilità patrimoniale, è stata introdotta la previsione che, per le obbligazioni assunte dall'organo comune per il programma comune, la responsabilità sia limitata al fondo comune. Quanto alle modalità di redazione: il contratto può essere redatto non più solo per atto pubblico o scrittura privata autenticata ma anche per atto firmato digitalmente con mera firma digitale (articolo 24 CAD) o con firma elettronica autenticata da notaio o da altro pubblico ufficiale (articolo 25 CAD) e trasmesso agli uffici del Registro delle imprese attraverso un modello standard tipizzato;
          da ormai due anni si sta attendendo il «modello standard tipizzato», che dovrebbe concretamente permettere di utilizzare la semplificazione legislativa di cui sopra;
          si fa presente, inoltre, che in data 9 gennaio 2014 anche il Consiglio di Stato, sede consultiva per gli atti normativi (numero affare 04027/2013), ha espresso parere favorevole senza osservazioni, in merito alla «tipizzazione del modello standard per la trasmissione del contratto di rete al registro delle imprese»;
          il Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Ministero dello sviluppo economico, dovrebbe emanare il decreto attuativo della legge 134/2012 di conversione del decreto sviluppo dove il Governo ha disposto all'articolo 45 la possibilità di iscrivere i contratti di rete al registro delle imprese attraverso la firma digitale. Tale decreto – da previsione di legge – definirà il modello standard tipizzato che le imprese dovranno utilizzare per formalizzare l'iscrizione delle reti nel registro delle imprese. Sarà dunque possibile per le imprese iscrivere la rete al registro delle imprese senza l'obbligo di provvedere all'autenticazione del contratto da parte del notaio con un evidente risparmio di tempo e costi  –:
          quali siano i motivi per i quali il Governo non abbia ancora emanato il decreto attuativo di cui all'articolo 45 della legge n.  83 del 22 giugno 2012 che prevede la firma digitale nei contratti di rete;
          entro quale data il Governo intenda provvedere alla sua emanazione. (4-05282)


      L'ABBATE, DE LORENZIS, D'AMBROSIO, SCAGLIUSI, CARIELLO e BRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in data 24 novembre 2011, la regione Puglia ha concesso l'autorizzazione unica alla società «Enterra S.p.A» di Orio al Serio (BG) per la realizzazione di una centrale a biomasse a Rignano Garganico Scalo, nel comune di Foggia. Tale autorizzazione, pubblicata nel Bur Puglia numero 184 del 2011, è stata prorogata alla fine del 2013 relativamente al termine dell'inizio lavori e, successivamente, la società estera «Belenergia» ha acquistato il 70 per cento della società. Nei primi mesi del 2014, «Enterra» ha firmato con «Invitalia» un contratto di sviluppo, in base al quale il progetto sarà finanziato dalla società privata per un importo pari a 22,52 milioni di euro e da «Invitalia» per 26,34 milioni di euro da fondi pubblici;
          tale opera ha visto la forte opposizione dei cittadini del territorio foggiano a causa dell'immediata vicinanza, pari a poche di decine di metri, della futura centrale di «Borgo Eridania» (dal nome dello zuccherificio dismesso al posto del quale si insedierebbe) dal centro abitato stesso, nonché per l'insistenza nella stessa provincia di un eccessivo numero di richieste di centrali termoelettriche ed inceneritori in assenza di una valutazione ambientale strategica dell'insieme dei progetti e del loro effetto complessivo a livello locale o regionale (tra questi quello approvato a Sant'Agata di Puglia (Foggia) della «Agritre S.r.l. – Gruppo Tozzi», da 80 megawatt termici e che, per giunta, in parte utilizzerà a filiera corta alcuni materiali, come gli scarti di potatura da vite e ulivo, già previsti dal fabbisogno di Enterra). La centrale a biomassa Enterra, infine, non è stata sottoposta a valutazione di impatto ambientale perché di poco inferiore ai 50 megawatt termici;
          le riserve espresse su questo impianto riguardano, innanzitutto, la provenienza del materiale combustibile. Il regolamento regionale pugliese n.  12 del 2008 sulle centrali ai biomasse prescrive che il requisito della filiera corta, modalità in cui «Enterra» intende esercire l'impianto, sia dimostrato attraverso effettive intese o accordi di filiera con il mondo dell'agricoltura da stipularsi prima dell'autorizzazione e che in questo progetto non vengono evidenziati. Anzi, per ammissione della stessa società in un articolo pubblicato online da IlSole24Ore in data 11 dicembre 2013, si afferma che sono ancora in fieri i contatti con i «potenziali fornitori». Si tratta di un combustibile (la sansa vergine) il cui utilizzo in impianti di così grossa taglia non ha alcun precedente adducibile a conforto della comprovata qualità del progetto e della sua sicurezza. Inoltre, la potenziale scarsità del combustibile potrebbe rappresentare un fattore di mancanza di solidità economica-finanziaria del progetto della «Enterra». Dallo studio già menzionato, adottato ufficialmente nel 2012 dalla regione e intitolato «Probio Puglia – Azioni per la valorizzazione energetica delle biomasse. Studi di fattibilità per l'individuazione dei distretti agro-energetici e per progetti di filiera» si ricavano i seguenti numeri: sansa vergine 49,6 tn/a, di cui circa 7 nella provincia di Foggia; potatura da olivo 735,4 tn/a, di cui 110,5 nella Provincia di Foggia; potatura da vite 380 tn/a, di cui 117 nella provincia di Foggia. Laddove la relazione tecnica del progetto Enterra parla di 85 mila tn/a di sansa vergine come fabbisogno;
          nel nostro Paese vi è una prassi consolidata a non sottoporre l’iter autorizzativo di questi progetti ad una attenta valutazione di impatto ambientale, così come stabilito dalla direttiva 13 dicembre 2011, n.  2011/92/UE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati). Dalla citata direttiva dell'Unione europea discende un preciso obbligo gravante su tutti gli Stati membri di assoggettare a valutazione di impatto ambientale non solo i progetti indicati nell'allegato I, ma anche i progetti descritti nell'allegato II, qualora si ritenga possano comportare un impatto ambientale importante all'esito della procedura di screening. Tale screening deve considerare non solo la dimensione, ma anche altre caratteristiche dei progetti: «il cumulo con altri progetti, l'utilizzazione di risorse naturali, la produzione di rifiuti, l'inquinamento ed i disturbi ambientali da essi prodotti, la loro localizzazione e il loro impatto potenziale con riferimento, tra l'altro, all'area geografica e alla densità della popolazione interessata»;
          la regione Puglia ha adottato, con delibera di giunta regionale n.  827 del 2007, il Piano energetico ambientale regionale (P.E.A.R.). Il PEAR, della cui redazione era stato incaricato il gruppo composto da «Ambiente Italia S.r.l» di Milano (capofila) e dall'associazione no-profit «A.FO.RI.S» di Foggia (due enti privati di consulenza, prevedeva la redazione di una specifica valutazione ambientale strategica (VAS), tuttora disattesa, che costituisce «parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione» del piano, così come previsto dall'articolo 11, comma 5 del decreto legislativo n.  152 del 2006. La deliberazione della giunta regionale 28 marzo 2012, n.  602 parla, infatti, di «Individuazione delle modalità operate per l'aggiornamento del piano energetico ambientale regionale (PEAR) e avvio della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS)»;
          con la legge regionale n.  25 del 2012 sulla «Regolazione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili», la regione Puglia in attuazione alla direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo (recepita in Italia con il decreto legislativo n.  28 del 2011), che ha ad oggetto la «Promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili», fissa i principi e gli indirizzi per la programmazione energetica regionale con specifico riferimento al settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, prevedendo all'articolo 2, comma 2, di adeguare ed aggiornare entro sei mesi il PEAR, nel rispetto del piano nazionale per le energie rinnovabili adottato ai sensi della direttiva 2009/28/CE. Ad oggi, non è stata ancora attivata la VAS di adeguamento ed aggiornamento del PEAR;
          successivamente, la regione Puglia approva con delibera di giunta regionale n.  2275 del 2012 la «banca dati regionale del potenziale di biomasse agricole» nell'ambito del Programma nazionale biocombustibili – (PROBIO), che rappresenta ad oggi la fonte più ufficiale di numeri sulla disponibilità di agromasse ad uso energetico. Infatti, a conferma di ciò, con DGR 792 del 5 maggio 2014, la regione Puglia, nell'ambito dell'aggiornamento del PEAR e del programma Probio, approva lo schema di accordo tra l'ente, l'università degli Studi di Bari «Aldo Moro» e il dipartimento di scienze agrarie degli alimenti e dell'ambiente dell'università degli studi di Foggia;
          la giurisprudenza costituzionale – come riportato dalla mozione n.  1-00096 depositata il 13 giugno 2013 da deputati del gruppo parlamentare M5S appartenenti alla Commissione ambiente – nel corso degli anni ha evidenziato la supremazia della conservazione dell'ambiente rispetto alla produzione di energia, sebbene prodotta da fonti rinnovabili, ha inoltre fatto emergere i costi marginali esterni dell'inquinamento dell'aria in Europa. Infatti, secondo collaudate metodologie di valutazione del danno sanitario (ad esempio: Il «BeTa Benefits Table Database», sviluppato dal dipartimento ambiente della Commissione europea nel 2002) l'inquinamento dell'aria prodotto da una centrale termoelettrica di grossa taglia può portare ad esternalità economiche sanitarie anche dell'ordine di alcuni milioni di euro all'anno. In cambio, invece, il comune di Foggia ha già concordato con «Enterra» una compensazione annuale di 75.000 mila euro, oltre ad agevolazioni economiche alle utenze domestiche della borgata foggiana;
          l'85,5 per cento dell'energia prodotta in Puglia risulta in eccedenza secondo una elaborazione di dati Terna realizzata dal centro studi di Confartigianato Imprese Puglia nel 2013. Dagli impianti idroelettrici, termoelettrici, eolici e fotovoltaici installati su tutto il territorio regionale sono stati prodotti ben 37.611,9 gigawatt, ma il fabbisogno della regione si è fermato a 20.501 gigawatt;
          si richiama la risoluzione conclusiva 8-00039, presentata dalla deputata Patrizia Terzoni, ed approvata dalle Commissioni VIII e X in data 19 marzo 2014, riguardanti «Iniziative del Governo nazionale per la verifica dei procedimenti autorizzatori regionali relativi alla realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili»;
          a parere degli interroganti, il finanziamento pubblico di queste centrali a biomasse, laddove dati statistici certi farebbero emergere la mancanza di materia prima sul territorio necessaria al loro operato, ed anche in assenza di reali garanzie del mantenimento dei livelli occupazionali, collide con i bisogni di sviluppo economico del territorio e del paesaggio italiano. Seppur non manchino alternative ragionevoli da finanziare, come la stessa società «Enterra» aveva colto commissionando dieci anni fa, per lo stesso sito, uno studio di fattibilità per un Centro logistico polifunzionale (una sorta di interporto in grado di sfruttare il collegamento già esistente con le Ferrovie e che vanta pochi altri eccellenti esempi in Puglia) per valorizzare la filiera agroalimentare «Made in Italy», vera vocazione del territorio del Tavoliere, Invitalia e lo Stato italiano continuano a finanziare progetti il cui unico presupposto di validità del business plan sono i lauti incentivi per le fonti energetiche rinnovabili, che in Italia sono destinati per la gran parte a grandi impianti industriali in aree verdi a scapito della microgenerazione e del fotovoltaico sui tetti  –:
          se nel corso dell'istruttoria da parte di Invitalia e del competente Ministero siano stati tenuti in debita considerazione i cosiddetti «effetti ambientali incrociati ed economici» e se sia stata prodotta un'analisi costi-benefìci, visti gli ingenti finanziamenti pubblici, in modo tale da garantire alla cittadinanza locale, già allarmata dalla presenza di altri impianti simili, che le ricadute occupazionali ed economiche, anche indirette, giustifichino gli impatti ambientali e sanitari che questo progetto porta inevitabilmente con sé.
(4-05290)

Apposizione di firme a mozioni.

      La mozione Palazzotto e altri n.  1-00344, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Catalano, Tacconi, Furnari, Zaccagnini.

      La mozione Luigi Gallo e altri n.  1-00430, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesci.

      La mozione Scanu e altri n.  1-00513, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amoddio.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

      La risoluzione in commissione Paglia e altri n.  7-00378, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sandra Savino.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Rampelli n.  3-00898, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Taglialatela.

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Marzana n.  5-02664, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  214 del 17 aprile 2014.

      MARZANA, SIMONE VALENTE, VACCA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il decreto ministeriale n.  81 del 25 marzo 2013, ha modificato il decreto ministeriale n.  249 del 10 settembre 2010, istituendo il percorso formativo abilitante speciale (Pas) che prevede l'accesso al corso a docenti precari con almeno tre anni di servizio sprovvisti di abilitazione;
          con decreto direttoriale n.  58 del 25 luglio 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale concorsi n.  60 del 30 luglio 2013, sono stati attivati i corsi speciali per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento e aperti i termini per la presentazione della domanda;
          la domanda di partecipazione ai percorsi abilitanti speciali doveva essere inoltrata per una sola regione, per una sola tipologia di classe di concorso di cui alle tabelle A, C e D del decreto ministeriale n.  39 del 1998 e trasmessa all'ufficio scolastico regionale della regione prescelta attraverso la piattaforma istanze on-line del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dal 2 al 29 agosto 2013;
          nonostante il chiaro dettato normativo, la situazione riguardo all'attivazione da parte delle università dei percorsi abilitanti speciali appare non solo confusa ma soprattutto disomogenea a livello territoriale;
          in alcune regioni le università hanno provveduto ad attivare i PAS per determinate classi di concorso, mentre in altre regioni ciò non è avvenuto generando disfunzioni e sperequazioni tra docenti precari, in particolare in occasione dell'aggiornamento delle graduatorie previsto per maggio 2014;
          come si legge in numerose fonti di stampa nazionale di settore, molti atenei hanno mostrato una vera e propria ostilità all'attivazione dei Pas per alcune classi di concorso, ledendo così un diritto oggettivo dei docenti interessati e alimentando l'incertezza e la disuguaglianza nell'accesso ai percorsi abilitanti e alle graduatorie e generando dunque possibili contenziosi, poiché molti dei percorsi PAS termineranno dopo la chiusura delle operazioni di aggiornamento delle graduatorie;
          la Tabella A «Tabella di valutazione dei titoli della seconda fascia delle graduatorie di istituto del personale docente ed educativo delle scuole ed istituti di ogni grado» in allegato al decreto ministeriale 353/2014 prevede per l'abilitazione conseguita attraverso la frequenza dei percorsi, a numero programmato, di Tirocinio Formativo Attivo ai sensi dell'articolo 15, comma 1, del decreto ministeriale 249/2010, l'attribuzione di ulteriori punti 42 (punti 12 per la durata annuale del percorso abilitativo e punti 30 per la selettività dello stesso percorso), mentre per tutte le altre abilitazioni sono previsti solamente 6 punti aggiuntivi;
          in alcune classi di concorso l'elevato numero dei candidati porterà ad uno scaglionamento in tre anni, per cui solo alcuni aspiranti potranno accedere quest'anno al corso e aggiornare la propria posizione in graduatoria, mentre i candidati che non avranno avuto accesso ai Pas patiranno una disomogeneità di trattamento;
          si evidenzia la disomogeneità in tutta la penisola anche in relazione alla spesa per sostenere il corso, difatti gli interessati ai Pas, a copertura delle spese per l'erogazione dell'offerta formativa delle singole classi di abilitazione, sosterranno un costo che va dai 2.000 euro fino a raggiungere, come nel caso delle università siciliane, picchi di 3000 euro, aggravando ulteriormente la precarietà economica di questi docenti, sia perché chiamati saltuariamente a coprire cattedre intere o spezzoni orari, sia perché costretti a sostenere le spese anche per gli spostamenti e per l'alloggio al fine della partecipazione;
          è utile evidenziare che il MIUR, contattato dall'interrogante di recente per reperire le informazioni relative alle classi di concorso avviate e in quali ragioni, ha comunicato che non è in grado di fornire tali dati in quanto gli stessi sono in possesso unicamente dei singoli uffici scolastici regionali;
          eppure, il Governo, nella persona del segretario di Stato pro tempore Marco Rossi Doria, nella seduta del 17 gennaio 2014, in risposta alla interpellanza urgente n.  2-00366 aveva assicurato, nei limiti consentiti dall'autonomia delle singole sedi universitarie, la riapertura della banca dati per l'aggiornamento delle indicazioni relative all'offerta formativa annuale e pluriennale da parte delle università al fine di assicurare la razionale ed omogenea distribuzione sul territorio dei corsi PAS;
          il decreto 81 del 2013, infatti, aveva espresso chiaramente l'esigenza di definire tempi e modalità di attuazione dei corsi speciali sopracitati, ai sensi dell'articolo 15, commi 1-bis e seguenti del decreto ministeriale 249 del 2010 e di avviarne l'attivazione dal prossimo anno accademico 2013/2014  –:
          in relazione al fatto che il Ministro, ad oggi, non possiede i dati relativi alle classi di concorso e alle regioni in ordine ai quali sono stati avviati i Pas, quali contatti ed intese intenda avviare con gli uffici scolastici regionali e gli atenei al fine di reperire tali dati e rendere omogenea ed operativa la presenza e la distribuzione dei corsi nelle singole regioni;
          con quali tempistiche il Ministro intenda avviare definitivamente i percorsi abilitanti speciali, sciogliendo le criticità che ancora persistono, per garantire l'attivazione omogenea dei percorsi afferenti alle varie classi di concorso nelle diverse regioni;
          quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di ridurre i costi che i candidati sono tenuti ad affrontare per l'iscrizione ai PAS e come intenda garantirne l'omogeneità di spesa su tutto il territorio nazionale;
          con quali modalità e termini il Ministro intenda consentire l'inserimento con riserva in seconda fascia agli aspiranti che conseguiranno il titolo di abilitazione oltre il termine di aggiornamento previsto dal decreto ministeriale 353/12014;
          in considerazione del fatto che la prova selettiva costituisce l'unico elemento di differenza tra i percorsi abilitanti TFA e PAS, perché il Ministro ha deciso di operare una distinzione così marcata del punteggio di cui in premessa. (5-02664)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta in Commissione Di Vita n.  5-02756 del 8 maggio 2014;
          interrogazione a risposta in Commissione De Rosa n.  5-02985 del 12 giugno 2014.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Piazzoni e altri n.  5-02980 del 12 giugno 2014 in interrogazione a risposta scritta n.  4-05288.