XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 2 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              a seguito dei giudizi di legittimità costituzionale promossi dai tribunali ordinari d Firenze, Milano e Catania che hanno sollevato le questioni di legittimità costituzionale sull'articolo 4, commi 3, 9, commi 1 e 3 e 12, comma 1, della legge n.  40 del 2004, in riferimento agli articoli 2, 3, 29, 31 e 32 della Costituzione, e in riferimento all'articolo 117, primo comma della Costituzione e in relazione agli articoli 8 e 14 della CEDU, la Corte costituzionale, con sentenza n.  162 del 9 aprile 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 4, comma 3, 9, commi 1 e 3 e 12, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n.  40, relativi al divieto di fecondazione eterologa medicalmente assistita;
              la Corte costituzionale ha ricordato che:
                  il divieto di cui all'articolo 4, comma 3, di cui alla legge n.  40 del 2004, non costituisce «il frutto di una scelta consolidata nel tempo», in quanto, le tecniche di fecondazione eterologa era lecita fino al 2004 ed ammessa senza limiti né soggettivi né oggettivi, operata da centri privati nel quadro di disposizioni impartite del Ministro della salute;
                  l'abrogazione delle disposizioni oggetto del quesito non fa venir meno un livello minimo di tutela costituzionalmente necessario. Pertanto non vi è vuoto normativo;
                  la legge n.  40 – al capo terzo articoli 8 e 9 – prevede che i figli nati da eterologa sono figli legittimi della coppia; non hanno alcun rapporto giuridico con i donatori dei gameti; la coppia che accede alla donazione dei gameti non può disconoscere il nato; i donatori sono anonimi. In questo modo sono affermate le tutele per tutti i soggetti coinvolti nelle tecniche di procreazione medicalmente assistita come previsto dalla legge stessa;
                  la procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo mira a favorire la vita e pone problematiche riferibili eminentemente al tempo successivo alla nascita. La considerazione che il divieto è stato censurato nella parte in cui impedisce il ricorso a detta tecnica nel caso in cui sia stata accertata l'esistenza di una patologia, che è causa irreversibile di sterilità o infertilità assolute, deve escludere, in radice, infatti, un'eventuale utilizzazione della stessa ad illegittimi fini eugenetici;
                  la cancellazione del divieto di eterologa, ripristina il rispetto del principio di uguaglianza gravemente leso dalla circostanza che la coppia sterile aveva chance terapeutiche differenti a seconda della gravità della infertilità di cui era affetta;
                  la procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo mira a favorire la vita e pone problematiche riferibili eminentemente al tempo successivo alla nascita. La considerazione che il divieto è stato censurato nella parte in cui impedisce il ricorso a detta tecnica nel caso in cui sia stata accertata l'esistenza di una patologia, che è causa irreversibile di sterilità o infertilità assolute, deve escludere, in radice, infatti, un'eventuale utilizzazione della stessa ad illegittimi fini eugenetici;
                  la cancellazione del divieto è del tutto in linea con la giurisprudenza della Suprema corte in materia di autodeterminazione. Sul punto la Consulta «ha ripetutamente posto l'accento sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l'arte medica: sicché, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali (sentenze n.  338 del 2003 e n.  282 del 2002)» (Sentenza n.  151 del 2009) D'altra parte con la pronuncia n.  438 del 2008 la Consulta ricorda come il consenso informato rappresenta la sintesi tra due diritti fondamentali: quello alla salute e quello all'autodeterminazione «La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative»;
              sotto i profili scientifici, le normative recepite sulla tracciabilità e sicurezza di cellule e gameti (2004/23/CE e seguenti – decreto legislativo n.  191 e seguenti) colmano pienamente la parte tecnica per l'applicazione di tecniche con donazione di gameti ed in ultimo in relazione al numero delle donazioni in linea con il previsto aggiornamento delle linee guida, ne suggeriscono una riscrittura eventualmente anche alla luce delle discipline stabilite in altri Paesi europei (quali, ad esempio, la Francia e il Regno Unito), ma tenendo conto dell'esigenza di consentirle entro un limite ragionevolmente ridotto;
              il divieto in esame cagiona, in definitiva, una lesione della libertà fondamentale della coppia destinataria della legge n.  40 del 2004 di formare una famiglia con dei figli, senza che la sua assolutezza sia giustificata dalle esigenze di tutela del nato, le quali, in virtù di quanto sopra rilevato in ordine ad alcuni dei più importanti profili della situazione giuridica dello stesso, già desumibile dalle norme vigenti, devono ritenersi congruamente garantite;
              la regolamentazione degli effetti della procreazione medicalmente assistita, di tipo eterologo praticata al di fuori del nostro Paese, benché sia correttamente ispirata allo scopo di offrire la dovuta tutela al nato, pone, infine, in evidenza un ulteriore elemento di irrazionalità della censurata disciplina. Questa realizza, infatti, un ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica delle stesse, che assurge intollerabilmente a requisito dell'esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica recandosi in altri Paesi;
              nelle motivazioni è chiarito che il divieto di applicazione di tecniche eterologhe è privo di adeguato fondamento costituzionale. I giudici chiariscono che il concetto di famiglia con dei figli è presente in diritto ma non è vincolato al dato della provenienza genetica che non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa. Inoltre, aggiungono che la libertà e volontarietà dell'atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia, non possono consistere in un divieto assoluto, a meno che lo stesso non sia l'unico mezzo per tutelare altri interessi di rango costituzionale. Ma in questo caso il divieto non è supportato da tutela costituzionale. Inoltre, i giudici chiariscono che, «per giurisprudenza costante, gli atti dispositivi del proprio corpo, quando rivolti alla tutela della salute, devono ritenersi leciti» (sentenza n.  161 del 1985), sempre che non siano lesi altri interessi costituzionali. È ribadito quanto già scritto nella precedente sentenza del 2009 sulla legge n.  40 in materia di pratica terapeutica, ossia che la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali, fermo restando il potere del legislatore di intervenire in modo conforme ai precetti costituzionali;
              la risoluzione n.  2007/2156(INI) del Parlamento europeo, del 21 febbraio 2008, sul futuro demografico dell'Europa invita, al punto 26, tutti gli Stati membri a garantire il diritto alle coppie all'accesso universale al trattamento contro l'infertilità;
              questo divieto ha determinato in Italia una migrazione di pazienti verso i Paesi in cui la tecnica con donazione di gameti esterni alla coppia viene eseguita perché consentita da leggi nazionali. «Sono almeno 4000 le coppie italiane che decidono di andare all'estero per un trattamento di procreazione assistita: di queste, circa il 50 per cento ricorre alla fecondazione eterologa, vietata in Italia, il restante 50 per cento invece sceglie di migrare anche se deve sottoporsi a trattamenti disponibili nel proprio paese»: così si leggeva nell'indagine 2012 dell'Osservatorio sul turismo procreativo che si riferiva a 39 centri esteri in 21 Paesi europei ed extraeuropei. Le mete più gettonate erano Spagna, Svizzera, Austria, Belgio, Danimarca, Grecia, Gran Bretagna, Repubblica Ceca e Ungheria;
              la legge n.  40, articolo 12 comma 6 vieta e punisce la commercializzazione di gameti e embrioni;
              l'articolo 21 della Convenzione di Oviedo e l'articolo 4 della Dichiarazione universale del genoma umano e i diritti dell'uomo dell'Unesco vietano tale mercificazione. Anche la direttiva europea n.  44 del 1998 proibisce l'utilizzazione commerciale di parti del corpo umano nel momento stesso in cui consente la brevettabilità di invenzioni biotecnologiche;
              l'Italia ha recepito con decreto legislativo n.  191 del 2007 la direttiva 2004/23/CE ai quali si aggiungono il decreto legislativo n.  16 del 2010 le direttive 2006/17/CE e 2006/86/CE che attuano a loro volta la direttiva 2004/23/CE, ai quali si aggiungono il decreto legislativo 30 maggio 2012, n.  85, su «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 25 gennaio 2010, n.  16 recante attuazione delle direttive 2006/17/CE e 2006/86/CE che attuano la direttiva 2004/23/CE per quanto riguarda le prescrizioni tecniche per la donazione, l'approvvigionamento e il controllo di tessuti e cellule umani, nonché per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità, la notifica di reazioni ed eventi avversi gravi e determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani» e il decreto ministeriale 10 ottobre 2012;
              le citate norme di recepimento delle direttive europee, disciplinano specificatamente la donazione di cellule riproduttive (decreto legislativo n.  16 del 2010, articolo 2, comma 1, lettera a), articolo 3, ove sono dettate le norme per l'approvvigionamento delle cellule, articolo 4 ove sono stabiliti i criteri di selezione dei donatori e successivamente gli esami di laboratorio da eseguire e il ricevimento delle cellule presso gli istituti dei tessuti con la successiva distribuzione e autorizzazione, screening, registri). Dunque, la logica conseguenza derivante dalla caducazione del divieto di eterologa, per effetto di una sentenza di incostituzionalità della relativa disposizione, è l'espansione della normativa europea, già recepita con i decreti sopra citati, la quale andrebbe a regolare non solo la donazione di gameti per tecniche autologhe, bensì anche per le tecniche eterologhe divenute lecite, applicate in linea con gli standard comunitari,

impegnano il Governo:

          ad aggiornare le linee guida contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita in applicazione della legge n.  40, articolo 7, e alla luce della sentenza n.  162 del 2014 della Corte costituzionale che in riferimento al numero di donazioni suggerisce «un aggiornamento eventualmente anche alla luce delle discipline stabilite in altri Paesi europei (quali, ad esempio, la Francia e il Regno Unito), ma tenendo conto dell'esigenza di consentirle entro un limite ragionevolmente ridotto»;
          a rimuovere tutti gli ostacoli per l'accesso alla fecondazione medicalmente assistita;
          a promuovere una campagna di promozione sociale che inviti alla donazione di gameti;
          a promuovere, ai sensi della legge n.  40 del 2004 campagne d'informazione per la prevenzione dell'infertilità/sterilità e la preservazione della fertilità;
          ad aggiornare i livelli essenziali di assistenza (LEA) prevedendo anche l'inserimento della procreazione medicalmente assistita;
          a non costituirsi dinanzi alle competenti Corti nazionali ed internazionali in difesa della legge n.  40 del 2004 e in discontinuità con quanto fatto dai precedenti Governi, ad assumere una iniziativa urgente che rimuova i divieti che sono al vaglio delle Corti, divieti che se cancellati non creano vuoto normativo e nello specifico: a) divieto di accesso delle coppie fertili portatrici di patologie genetiche (sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo 2012) in attesa di udienza dinanzi alla Corte costituzionale; b) divieto di utilizzo per la ricerca di embrioni non idonei per una gravidanza (udienza Grande Camera Corte EDU 18 giugno e in attesa di udienza dinanzi alla Corte costituzionale).
(1-00523) «Marzano, Laforgia, Martelli, Miccoli, Gasparini, Giuseppe Guerini, Pastorino, Bray, Malpezzi, Rotta, Gribaudo, D'Incecco».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      TINO IANNUZZI e VALERIA VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          con ordinanza di protezione civile n.  75 del 5 aprile 2013 sono stati trasferiti competenze e fondi all'Agenzia regionale campana per la protezione del suolo (ARCADIS) per il completamento delle opere e degli interventi per il disinquinamento del bacino del fiume Sarno; l'Agenzia ha la competenza per altri rilevantissime opere pubbliche;
          la regione Campania non ha rinnovato il mandato al commissario Flavio Cioffi e l'Agenzia ARCADIS si trova senza direzione e guida, da più due mesi, con rilevanti problemi e con un forte rallentamento delle attività, particolarmente negativo per le comunità ed i territori interessati;
          l'Agenzia ARCADIS è titolare di significative e numerose competenze, assegnategli dalla giunta regionale della Campania, sia per interventi collegati al rischio idrogeologico, sia per il completamento di opere pubbliche, di reti fognarie e di depurazione, finanziate per la maggior parte con fondi europei del programma 2007-2013 e, come tali, da completare e rendicontare, entro il 2015, con criticità e ritardi che, invece si aggravano sempre di più; nella competenza di Arcadis rientrano anche le opere, così urgenti e rilevanti, legate al risanamento idrogeologico, alla messa in sicurezza, alla stabilizzazione del territorio nei comuni di Sarno, Bracigliano, Siano, Quindici e San Felice a Cancello, colpiti dalla tragica alluvione del 5-6 maggio 1998;
          ne conseguono enormi problemi di funzionamento, di programmazione e di espletamento efficace delle competenze e delle responsabilità istituzionali di Arcadis;
          si tratta di opere e interventi fondamentali per la vita e per il futuro di tanti territori; lavori pubblici la cui rapida ed integrale esecuzione aiuterebbe il nostro Paese ad uscire dalla procedura di infrazione europea per l'assenza ed il deficit di reti fognarie e di impianti di depurazione in numerose realtà;
          inoltre l'apertura dei relativi cantieri consentirebbe anche di sostenere l'occupazione e le attività economiche della intera Campania;
          secondo la vigente normativa, è previsto, ogni sei mesi, l'invio di una relazione — sull'andamento degli interventi e sulle eventuali criticità — da parte di Arcadis alla Presidenza del Consiglio — dipartimento della protezione civile  –:
          se sia stata inviata la relazione semestrale di cui sopra, quale sia lo stato dei lavori e degli interventi di competenza dell'agenzia ARCADIS, quali siano le criticità emerse e quali iniziative siano state assunte al fine di consentire il pieno funzionamento della stessa, con particolare riguardo alla tempestiva nomina del commissario, e di garantire conseguentemente l'integrale e proficuo utilizzo delle così ingenti risorse assegnate. (5-03144)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GIULIETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          a seguito dell'alluvione 2012 (quella che per intenderci ha determinato la situazione di Orvieto) in Umbria sono stati registrati numerosi eventi franosi ed in questa sede si ritiene urgente porre all'attenzione del Governo il crollo di una parte delle mura storiche di Gualdo Cattaneo (Perugia) precisamente in via della Circonvallazione. Tale problematica è in corso di risoluzione perché grazie ai fondi messi a disposizione del Governo centrale per l'Umbria sono stati assegnati 390.000 euro circa per la ricostruzione del muro; i lavori sono stati affidati e si è prossimi all'inizio;
          tuttavia in data 12 febbraio 2014 il Comune di Gualdo Cattaneo da un altro grave evento che ha determinato il crollo di una parte di muro con relativa sede stradale dal lato opposto di via della Circonvallazione. La situazione è apparsa da subito critica in quanto ha determinato la chiusura di tutta via della Circonvallazione determinando gravi disagi di accesso al piccolo centro storico di Gualdo Cattaneo. Non solo: lo smottamento si è arrestato a circa 2 metri dagli insediamenti abitativi e solo con l'attivazione delle procedure di somma urgenza si è potuto procedere a fortificare gli edifici con la realizzazione di micropali sul lato prospicente alla frana, avendo verificato con i tecnici, grazie a sondaggi effettuati, che parte degli edifici non poggiavano direttamente su roccia, la quale è stata rinvenuta per un tratto di venti metri a 8-10 metri dalle fondazioni. Nel frattempo con il gruppo di progettazione che l'amministrazione comunale ha costituito è stato redatto un progetto preliminare per la sistemazione di tutte le mura urbiche di Gualdo Cattaneo capoluogo;
          è impellente porre l'attenzione sulla questione più urgente che resta il primo stralcio di questi interventi relativo alla ricostruzione del muro crollato ed il ripristino della normale viabilità per un importo preventivato di circa 800.000 euro. L'urgenza è dettata oltre che dalla grave situazione disagio che vive il paese per la sua ridotta funzionalità, anche dal fatto che al momento dell'intensificarsi delle piogge l'area di smottamento rischia di allargarsi determinando nuovi crolli e quindi nuovi pericoli anche alle persone e alle cose;
          peraltro un eventuale e malaugurato allargamento verso nord determinerebbe l'interruzione della strada di accesso per il centro storico che è l'unica di accesso al paese il quale, con essa interrotta, resterebbe completamente isolato (nel centro storico c’è il comune, le poste, alcuni esercizi commerciali, il museo della Rocca Sonora, il teatro comunale);
          la regione Umbria ha avanzato una richiesta per il rifinanziamento del fondo delle emergenze per le alluvioni del 2013-2014 e i tecnici del dipartimento nazionale sono stati, peraltro, anche a Gualdo Cattaneo qualche mese fa a fare un sopralluogo e si sono resi conto della gravità della situazione;
          da informazioni pervenute dal dipartimento nazionale sembrerebbe che l'Umbria abbia ottenuto un rifinanziamento di circa 3 milioni e mezzo di euro per i danni subiti, ma che l'assegnazione di tali somme è subordinata alla copertura finanziaria da parte del Ministero dell'economia e delle finanze  –:
          quale sia la situazione di rifinanziamento del fondo per le emergenze alluvionali del 2013/2014 e quando tale fondo potrà essere sbloccato per essere effettivamente ripartito tra le regioni e consentire l'avvio delle opere;
          quali siano le effettive risorse previste per l'Umbria;
          se per le emergenze come quella di Gualdo Cattaneo (Perugia) ci possano essere risorse apposite che rispondano con efficacia allo stato emergenziale che si è venuto a creare e che penalizza l'intera comunità locale. (4-05347)


      CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nel mirino della procura di Roma è finito il Piano carceri, con una nuova, vasta inchiesta giudiziaria che si è abbattuta sull'amministrazione della giustizia e coinvolge pezzi dello Stato e imprenditori;
          l'indagine, partita un mese fa e condotta con il coordinamento dell'autorità giudiziaria, vede ben nove persone finite nel registro degli indagati nel procedimento coordinato dai pubblici ministeri Paolo Ielo e Mario Palazzi che avrebbero ricostruito «un contesto di opacità, di conflitto d'interessi e di palese violazione di norme di legge»;
          in particolare, due sono i filoni di indagine che, secondo le notizie riportate dalle testate giornalistiche nazionali, stanno procedendo in parallelo: uno riguarda presunte irregolarità negli appalti per i lavori di realizzazione di padiglioni nelle carceri di Voghera (Pavia), Arghillà (Reggio Calabria), Campobasso e Frosinone; l'altra fa riferimento alle attività svolte dal commissario straordinario al piano carceri, Angelo Sinesio, nominato, invece, per fronteggiare una delle tante emergenze italiane;
          il nome che spicca è, appunto, quello del prefetto Angelo Sinesio, attuale, Commissario straordinario al Piano Carceri, indagato per falso, abuso d'ufficio e diffamazione e il cui nome è strettamente legato a quello dell'ex guardasigilli, Annamaria Cancellieri;
          Sinesio era, infatti, il vice a Catania quando lei era prefetto, è stato poi capo della segreteria tecnica al Viminale quando era Ministro dell'interno, ed è stato nominato commissario del piano carceri nel dicembre 2012, quando la Cancellieri era Ministro della giustizia;
          stando a quanto si apprende dalla Procura, nella contabilità del piano carceri ci sarebbero numeri che non tornano, appalti dati con ribassi «fuori mercato», «commissioni di gara composte in modo inopportuno» e «scarsa trasparenza negli atti»;
          in sostanza, i costi del Piano carceri sarebbero stati gonfiati includendo opere che erano in carico al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il criterio del prezzo più basso adottato per alcuni padiglioni mandati in gara avrebbe prodotto «ribassi palesemente fuori mercato (oltre il 48 per cento in media con una punta di quasi il 54 per cento)»;
          i magistrati ritengono, inoltre, che nell'assegnazione delle gare d'appalto Sinesio abbia compiuto irregolarità anticipando le gare stesse e impedendo, quindi, che a queste potessero partecipare altre ditte oltre a quelle prescelte; lo stesso avrebbe, poi, fatto in modo che il valore delle gare non superasse i 5 milioni di euro, aggirando così la normativa europea che consente di affidare i lavori a più imprese contemporaneamente;
          in particolare, secondo le ipotesi degli inquirenti, Sinesio è accusato di abuso d'ufficio perché «operava un artificioso frazionamento delle opere di Arghillà suddiviso in due distinte gare, la prima per le cosiddette opere interne, per 3,5 milioni di euro (poi affidata alla Nuova Ccs quale capogruppo di un'Ati) e la seconda per 4,5 milioni di euro (affidata a Appaltitalia), eludendo così la procedura obbligatoria degli appalti sopra la soglia dei 5 milioni di euro prevista dal regolamento e così da scegliere discrezionalmente le ditte da invitare»;
          l'intera operazione è stata attivata a seguito di un dossier presentato dall'ex pubblico ministero antimafia a Palermo, poi dirigente dell'amministrazione penitenziaria e attualmente vice capo del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi al Ministero della giustizia, Alfonso Sabella, il quale, qualche mese fa, aveva contestato proprio il Piano carceri presentato dallo stesso Sinesio a Montecitorio lo scorso 22 ottobre;
          riferendosi a quel documento che prevedeva interventi per un giro d'affari di ben 470 milioni di euro, Sabella aveva parlato di irregolarità, anomalie, costi gonfiati e dati alterati;
          secondo la ricostruzione dei fatti operata dal funzionario del Ministero, nella prima estensione del Piano «si prevedeva di realizzare, con 696,5 milioni di euro, 9.050 posti. Con un costo, per singolo nuovo posto, pari a 77 mila euro. Dopo la sostanzialmente fittizia, intestazione al commissario di altri 4.600 posti realizzati con risorse altrui, il costo di un singolo posto del Piano carceri veniva a scendere ad appena 40 mila euro e, ovvero, a quasi la metà»: insomma, un «miracolo», un'operazione di «matematica creativa», come la definisce Sabella;
          nella denuncia, l'ex dirigente del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ipotizza, pertanto, possibili «danni per l'Erario, per il Ministero della giustizia e per l'intero sistema penitenziario» a causa dell’«attribuzione di incarichi a soggetti privati (che, in gran parte, potevano essere affidati a pubblici dipendenti a costo zero o a costi decisamente più contenuti) con procedure che possono anche apparire non perfettamente in linea con le relative disposizioni normative»;
          l'emergenza carceri «gonfiata» è un vecchio cavallo di battaglia di Sabella, che nei sui anni al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha maturato la convinzione che nei penitenziari italiani ci siano molti spazi chiusi o sottoutilizzati, che con poca spesa possono essere messi a disposizione dei detenuti per alleviare il sovraffollamento;
          sul carcere di Arghillà, aggiunge Sabella nella denuncia, «per le due gare frazionate sono state invitate appena dieci imprese: solo tre presenti nella lista Dap»; e ancora «le gare di Arghillà si sono svolte sulla base di un decreto di secretazione emesso da persona diversa dal competente dirigente generale, recante in appena un paio di righe, una motivazione che non ho tema di definire tautologica e riguardante opere da eseguire in un carcere... vuoto e mai utilizzato»;
          nel corso dell'audizione alla Commissione giustizia della Camera nell'ottobre 2013, Sinesio avrebbe «accusato ingiustamente di incapacità e inefficienza» lo stesso Sabella, che all'epoca ricopriva la carica di direttore generale delle risorse materiali al Dap e, inoltre, avrebbe citato «dati non veritieri, così da offendere» la reputazione dell'ex magistrato e proprio queste dichiarazioni sono costate a Sinesio l'ulteriore accusa di diffamazione;
          al prefetto, poi, i pubblici ministeri contestano anche il reato di falsità ideologica perché avrebbe «attestato falsamente, in una lettera di invito per l'assegnazione dei lavori per la rifunzionalizzazione del carcere di Arghillà, l'esistenza di un decreto di secretazione della procedura di assegnazione dei lavori»; inoltre avrebbe attestato falsamente, in una relazione inviata alla Corte dei conti, «la stipula del contratto per la rifunzionalizzazione di Arghillà»;
          per il secondo filone relativo alla corruzione, invece, l'indagine sarebbe legata a una denuncia presentata ai magistrati dall'attuale Ministro della giustizia, Andrea Orlando, che proprio pochi giorni fa aveva dichiarato di «aver avviato un'indagine ispettiva sugli appalti per le carceri e sul Piano Carceri»;
          tra i lavori di completamento dei padiglioni finiti sotto inchiesta c’è anche quella della casa circondariale di Voghera (Pavia), dal valore di 850 mila euro;
          sempre secondo i magistrati, quando è stata affidata la gara il direttore dei lavori Sergio Minotti e il direttore operativo, Raffaella Melchionna, entrambi oggi accusati di corruzione, avrebbero ottenuto l'assicurazione dalla ditta che aveva vinto l'appalto (la Devi Impianti) di affidare i contratti di forniture a una particolare azienda;
          secondo l'accusa, in particolare, «per lo svolgimento delle loro funzioni di controllo nell'esecuzione dei lavori, in violazione dei doveri di imparzialità della pubblica amministrazione, gli indagati «ricevevano dalla ditta aggiudicataria dei lavori Devi Impianti, riconducibile a Gino Pino e Davide Pino, utilità consistenti nell'attribuzione di contratti di forniture in relazione all'esecuzione dell'appalto alla Me.Ta Costruzioni, della quale è amministratore e socio unico Marco Melchionna, padre di Raffaella Melchionna, e responsabile tecnico Antonio Melchionna, fratello di Raffaella»;
          tale meccanismo di corruzione si sarebbe ripetuto anche nel caso dei lavori per le carceri di Frosinone e Campobasso e anche in questo caso, a beneficiare dell'utilità delle ditte aggiudicatarie dell'appalto, era l'azienda di famiglia della Melchionna;
          è indagato per tentata corruzione invece l'ex funzionario del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e stretto collaboratore di Sinesio, Carmelo Cavallo, che, secondo quanto si legge nel decreto di, perquisizione, «poneva in essere atti diretti in modo non equivoco ad indurre Marsili Egeo a versargli somme di denaro, al fine di consentirgli di partecipare, con legittime possibilità di vittoria, alle gare per le forniture di sistemi di difesa passiva per il Ministero di giustizia»;
          mentre i Governi delle larghe intese continuano a chiedere sacrifici agli italiani, soprattutto alle fasce più deboli, nell'ottica di una presunta razionalizzazione della spesa pubblica e a calpestare i diritti delle vittime dei reati, con provvedimenti «svuotacarceri», giustificati da un condivisibile bisogno di arginare il dramma del sovraffollamento carcerario, siamo di fronte all'ennesimo, enorme, inspiegabile e intollerabile spreco di risorse pubbliche;
          dopo lo scandalo della ricostruzione post-terremoto a L'Aquila, un altro commissario straordinario, nominato per fronteggiare questa volta l'emergenza dell'edilizia carceraria è finito in un'inchiesta e, ancora una volta, ancora troppo tardi, si grida allo scandalo  –:
          se i Ministri sono a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se gli stessi corrispondono al vero; nonché quali sono i risultati dell'indagine ispettiva sugli appalti per le carceri e sul piano carceri avviata dal Ministero della giustizia;
          quali urgenti provvedimenti, in via cautelare, intendano adottare per sollevare da incarichi dirigenziali o, comunque, di responsabilità quanti risultino coinvolti nell'inchiesta giudiziaria in corso;
          se e quali iniziative intendano adottare per rendere agibili e mettere a disposizione dei detenuti i numerosi spazi chiusi o sottoutilizzati dei penitenziari italiani, al fine di alleviare il dramma del sovraffollamento carcerario. (4-05349)


      DADONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          a far data dalla pubblicazione della legge n.  3 del 2003 è obbligatorio l'indicazione del codice unico di progetto (CUP) per ogni progetto d'investimento pubblico (in particolare si veda l'articolo 11);
          il CUP, che corrisponde ad un'etichetta necessaria a identificare e accompagnare ciascun progetto d'investimento pubblico dalla sua fase di genesi (studi e progettazioni comprese) fino alla sua definitiva conclusione, rappresenta di fatto una sorta di «codice fiscale» del progetto in forma di stringa alfanumerica di 15 caratteri;
          con il CUP, assegnato per via telematica dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), il cui sistema è gestito dal Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della programmazione economica (DIPE), si persegue l'obiettivo di offrire un sistema univoco di identificazione dei progetti d'investimento pubblico che, oltre a semplificare l'attività amministrativa, serve a rintracciare i dati dello stesso progetto su tutti i sistemi di monitoraggio e conoscere, in maniera aggiornata, le informazioni essenziali relative alle diverse iniziative;
          considerata la delicatezza dell'ambito dei lavori pubblici e la stretta attinenza con l'attività di prevenzione e persecuzione delle infiltrazioni mafiose, gli obiettivi di cui sopra sono stati ulteriormente ampliati alla verifica dei flussi finanziari e della loro regolarità;
          all'articolo 3 comma 5 della legge 13 agosto 2010, n.  136, «Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia» si specifica infatti che «Ai fini della tracciabilità dei flussi finanziari, gli strumenti di pagamento devono riportare, in relazione a ciascuna transazione posta in essere dalla stazione appaltante e dagli altri soggetti [...] il codice unico di progetto (CUP)»;
          all'articolo 91 comma 6 del successivo decreto legislativo del 6 settembre 2011, n.  159, «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n.  136», si indica chiaramente, nell'ambito delle informazioni antimafia, quanto la regolarità relativa alla disposizione del codice unico di progetto rappresenti un elemento fondamentale per la prevenzione, accertamento e valutazione delle infiltrazioni mafiose, come evidenziato dalla direzione nazionale antimafia (DNA) nella propria Relazione Annuale del 2010 (pagine 361 e 362);
          si prevede, infatti, che «il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa [...] dall'accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n.  136, [...]. In tali casi, entro il termine di cui all'articolo 92, rilascia l'informazione antimafia interdittiva»;
          ad ulteriore prova dell'importanza riconosciuta alla obbligatorietà del CUP, alla sua regolarità e alla necessità di inserirlo nelle procedure informative transattive, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, della già citata legge n.  136 del 2010, si prevede una sanzione amministrativa pecuniaria «dal 2 al 10 per cento del valore della transazione stessa» anche nel caso in cui «nel bonifico bancario o postale, ovvero in altri strumenti di incasso o di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni, venga omessa l'indicazione del CUP o del CIG di cui all'articolo 3, comma 5»;
          la stessa Autorità di vigilanza dei contratti pubblici (AVCP) nel parere AG 58/13, del 19 dicembre 2013, redatto su richiesta della provincia di Brindisi con oggetto «Tracciabilità dei flussi finanziari», precisa che è «opportuno ricordare che la ratio della legge n.  136/2010 è quella di prevenire infiltrazioni malavitose e di contrastare le imprese che, per la loro contiguità con la criminalità organizzata, operano in modo irregolare ed anticoncorrenziale. A tal fine, tra l'altro, la legge prevede che i flussi finanziari, provenienti da soggetti tenuti all'osservanza del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.  163 (nel seguito, Codice dei contratti) e diretti ad operatori economici aggiudicatari di un contratto di appalto di lavori, servizi o forniture, debbano essere tracciati, in modo tale che ogni incasso e pagamento possa essere controllato ex post»;
          in relazione ai lavori complessivi per la realizzazione della nuova linea ad alta velocità Torino-Lione, comunemente detta Tav, il CIPE con delibera n.  86 del 18 novembre 2010 «Programma delle infrastrutture strategiche (legge n.  443 del 2001). Nuovo collegamento internazionale Torino-Lione: cunicolo esplorativo de La Maddalena. Approvazione progetto definitivo e finanziamento» ha assegnato un codice unico di progetto successivamente risultato erroneo poiché riferito ad un altro e diverso progetto, quello della «Linea AV/AC Milano-Verona – territorio multi provinciale – realizzazione tratta Treviglio-Brescia»;
          segnalazioni dell'erroneità commessa dal CIPE nel 2010 sono state inviate, con posta elettronica certificata e fax, in data 21 ottobre, 10 novembre e infine 14 dicembre 2011, dall'avvocato Massimo Bongiovanni per conto della comunità montana Valle di Susa e Val Sangone all'Autorità di vigilanza dei contratti pubblici e alla direzione nazionale antimafia;
          in occasione della segnalazione, lo stesso avvocato richiedeva, oltre all'accertamento della erroneità del codice unico di progetto (CUP) assegnato dal CIPE, una verifica sugli eventuali limiti e problematiche in merito alla effettiva e sostanziale tracciabilità dei flussi finanziari originati dal 2010 in poi in riferimento agli appalti aventi ad oggetto la realizzazione del tunnel geognostico de La Maddalena a Chiomonte, ed assegnati a varie società dalla Lyon-Turin Ferroviaire (LTF), società individuata dal CIPE medesimo quale proponente l'opera;
          non ricevendo alcun riscontro nel corso dell'anno successivo alle segnalazioni di cui sopra, il predetto avvocato, in data 14 settembre 2012, inviava una nuova comunicazione all'Autorità di vigilanza dei contratti pubblici, nonché al prefetto di Torino, al comando regionale Piemonte della guardia di finanza e al Ministero dell'interno specificando che il CUP utilizzato da LTF risultava ancora difforme e ne richiedeva una verifica puntuale. Segnalazione ulteriore viene poi rivolta telefonicamente presso gli uffici del Dipartimento interministeriale per la programmazione economica (DIPE);
          solo dopo oltre due anni dall'errore commesso dal CIPE, e dopo circa un anno dalla segnalazione dell'Avvocato della comunità montana Val di Susa e Val Sangone, la Presidenza del Consiglio dei ministri, con comunicato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 9 ottobre 2012, correggeva l'erronea assegnazione del codice unico di progetto effettuato dal CIPE con la delibera n.  86 del 18 novembre 2010, attribuendo l'esatto codice unico di progetto: C11J050000300001;
          secondo le ricostruzioni dello stesso avvocato risulterebbe che, a fronte della prima segnalazione, la direzione nazionale antimafia di Roma abbia inviato la segnalazione medesima alla direzione distrettuale antimafia, presso la procura della Repubblica di Torino, con conseguente apertura di un procedimento penale registrato al n.  410/12 K;
          successivamente all'apertura di tale procedimento in data 19 novembre 2012 veniva delegata la direzione investigazioni generali operazioni speciali (Digos) di Torino per i seguenti due accertamenti: «Prego, in particolare, verificare quanto indicato nella segnalazione in relazione al CUP (codice unico di progetto) e alla problematiche evidenziate circa la tracciabilità delle transizioni finanziarie derivanti dagli appalti attribuiti alla (N.D.R. dalla) LTF»;
          la Digos di Torino, in data 7 febbraio 2013, delegava a sua volta il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Torino – sezione Tutela Spesa Pubblica Nazionale, per appurare le ragioni dell'errata assegnazione del CUP;
          il nucleo di polizia tributaria eseguiva la verifica sulla erroneità del CUP richiesta dalla Digos di Torino segnalando l'avvenuta correzione del CUP così come comunicato dal Presidenza del Consiglio dei ministri in data 9 ottobre 2012 e ne dava comunicazione in data 8 marzo 2013 alla Digos di Torino. A sua volta quest'ultima inviava propria relazione alla procura della Repubblica di Torino;
          dalle predette due relazioni non si evince siano stati svolti accertamenti alcuni in ordine alle problematiche ed agli ostacoli alla tracciabilità delle transazioni finanziarie – originate dagli appalti affidati dalla LTF – conseguenti all'utilizzo di un CUP errato;
          tali accertamenti erano stati, invece, espressamente richiesti dalla procura della Repubblica Torino. In data 22 marzo 2013 la procura della Repubblica di Torino richiedeva l'archiviazione del procedimento e ne veniva disposta l'archiviazione da parte del Giudice delle Indagini Preliminari in data 4 aprile 2013;
          al tempo della vigenza del CUP errato una delle società appaltatrici della Lyon-Turin Ferroviaire era la Italcoge spa, impresa che alla luce delle indagini svolte nel corso degli ultimi anni risulta aver avuto rapporti con soggetti appartenenti a segmenti della ’ndrangheta radicatasi piemontese, in particolar modo con certo Giovanni lana, affiliato alla ’ndrangheta piemontese ed esponente del «locale di Cuorgnè», circostanza rinvenibile nella Informativa 19 dicembre 2011 del comando provinciale di Torino (pagina 590 e seguenti – Proc. Pen.  6191/07 R.G.N.R. DDA);
          dalle indagini risulta inoltre che la Italcoge spa avrebbe avuto alle propria dipendenze anche Bruno Antonio lana boss «locale» ’ndraghetista di Cuorgnè, circostanza rinvenibile a pagina 602 della predetta informativa;
          sono evidenti le preoccupazioni in merito al caso in oggetto in cui, per circa due anni, i lavori e i finanziamenti di un'opera pubblica considerata strategica siano stati a rischio di essere infiltrati dalla criminalità organizzata, senza (per giunta) che oggi si conosca cosa davvero è successo nelle transazioni precedenti la fine del 2012. In particolar modo alla luce delle indagini che hanno interessato la Italcoge spa, società appaltatrice della LTF, come sopra indicato  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato, con particolare rilievo in merito alla mancata verifica, o comunque alla mancata notifica della eventuale verifica svolta, da parte della direzione investigativa sulle problematiche che l'errato codice di identificazione del progetto di tunnel de La Maddalena e delle attività della società Lyon-Tunin Ferroviaine abbiano potuto interessare la tracciabilità dei flussi finanziari in funzione antimafiosa;
          se il Governo sia a conoscenza che la prefettura di Torino, destinataria anch'essa della informativa sulla erroneità del CUP, provvide a redigere un «Protocollo d'intesa ai fini della prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata tra Prefettura di Torino tra la Lyon-Turin Ferroviaire e le Organizzazioni Sindacali ove a pagina 14 veniva dedicato il Capo III alla “Tracciabilità dei flussi finanziari”»;
          se il Governo, alla luce di questa incertezza oltre che della evidente infrazione della normativa vigente, non ritenga di dover procedere alle dovute verifiche in merito alla natura, alla portata e a qualsiasi ulteriore dato che possa essere utile, riguardanti le transazioni che hanno interessato la LTF e il progetto del cunicolo Tav di Chiomonte, per il periodo intercorso tra la delibera n.  86 del CIPE, novembre 2010, e la correzione del CUP assegnato, ottobre 2012. (4-05351)


      PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il caso del dottor Salvatore Argiolas, consigliere comunale del comune di Laconi (OR) — Sardegna, arruolato nel Corpo di polizia penitenziaria, ed esponente ai vertici del sindacato Ugl a livello regionale nazionale ha in questi anni svolto una puntuale azione sindacale a tutela e difesa dei lavoratori del sistema penitenziario;
          la sua attività sindacale lo ha portato più volte ad assumere posizioni di rilievo in contrasto con la stessa amministrazione di riferimento;
          risulta non accettabile che l'attività sindacale possa avere negative ripercussioni sul piano personale da parte della stessa amministrazione penitenziaria;
          il caso che si rappresenta se non immediatamente sanato rischia di provocare e generare un vulnus gravissimo che lede non solo il libero esercizio dell'attività sindacale ma anche quello democratico, in quanto andrebbe ad incidere sull'attività istituzionale che il dottor Salvatore Argiolas svolge in qualità di capogruppo nel consiglio comunale di Laconi;
          il dottor Salvatore Argiolas, consigliere comunale senza soluzione di continuità dall'anno 2001, nello stesso anno veniva comandato a prestare servizio dall'istituto della casa circondariale di Firenze (sede effettiva di appartenenza) alla casa reclusione di Isili, distante solamente 15 chilometri dal comune di Laconi, sede della funzione elettiva e residenza della propria famiglia, proprio al fine di poter esercitare al meglio il mandato istituzionale;
          tale distacco, provvisorio e senza oneri per l'amministrazione penitenziaria, veniva rinnovato anche successivamente in occasione della nuova elezione nelle consultazioni amministrative della primavera dell'anno 2005;
          nel maggio 2010 Argiolas veniva nuovamente eletto nel consiglio comunale di Laconi ma il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria avvalendosi di un differente orientamento giurisprudenziale non rinnovava il distacco continuativo oramai ultradecennale presso la casa reclusione di Isili disponendo rinvio in servizio di Argiolas prima presso la casa circondariale di Cagliari e successivamente presso quella di Oristano distanti rispettivamente circa 90 e 60 chilometri dalla sede del mandato elettorale nonché di residenza familiare;
          a seguito della candidatura di Argiolas per il rinnovo del consiglio regionale della Sardegna nel collegio di Oristano del corrente anno, vista l'impossibilità normativa di continuare a prestare servizio nell'istituto oristanese, veniva disposto il trasferimento nella nuova casa circondariale di Cagliari-Uta di nuova apertura, nel frattempo divenuta sede effettiva mediante trasferimento nel settembre 2013;
          nelle more dell'apertura veniva accolto il distacco provvisorio presso la casa reclusione di Isili anche per venire incontro ad esigenze familiari e di studio, essendo oramai prossimo il conseguimento da parte di Argiolas di un ulteriore titolo accademico presso l'università degli studi di Sassari;
          l'apertura prevista nel prossimo mese del nuovo Istituto porrà fine al distacco provvisorio, nonostante continue richieste inoltrate al fine di poter se non altro conseguire la laurea nell'anno corrente;
          il dottor Argiolas presentava quindi istanza per la concessione di un provvedimento provvisorio per mandato amministrativo con scadenza naturale nella prossima primavera del 2015 che i superiori uffici respingevano con motivazioni analoghe a quelle del 2010 ed in sintesi:
              a) primarie esigenze di servizio dell'amministrazione, possibilità di essere collocato in aspettativa non retribuita o di esercitare il complesso di poteri di cui all'articolo 79 del decreto legislativo 267 del 2000 (testo unico enti locali);
              b) poiché risultava impraticabile la possibilità di essere posto in aspettativa non retribuita per motivi economici facilmente comprensibili, si evidenziava che la tutela del diritto costituzionale dell'esercizio di elettorato passivo non poteva essere garantita dai permessi di cui all'articolo 79 del T.U.E.L. in quanto tali permessi garantiscono solo la partecipazione alle assemblee consiliari e non a tutte le commissioni, riunioni varie o incontri con popolazione ed elettori, determinando di fatto un impedimento nel completo esercizio di elettorato passivo e di libera competizione elettorale specie nell'ultima fase della legislatura, anche alla luce delle legittime aspirazioni politiche per la prossima tornata elettorale che, unita agli altri limiti normativi cui è soggetto l'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria, pongono in serio dubbio e pericolo tale diritto costituzionalmente garantito a tutti i cittadini;
          a riprova di ciò si significa che sovente il dottor Argiolas, capogruppo consiliare, non ha potuto presenziare a stesure di documenti o importanti riunioni, potendo garantire la partecipazione ai soli consigli comunali;
          l'eccessiva distanza tra la sede lavorativa ed il comune di residenza in cui dovrebbe svolgersi il pieno mandato amministrativo, impedirebbe il raggiungimento quotidiano della sede di servizio comportando di conseguenza un trasferimento familiare definitivo e l'impossibilità di esercitare concretamente il proprio mandato nell'ultimo scorcio di legislatura;
          in merito inoltre al paventato unico vincolo della stessa amministrazione, ossia di esaminare simili richieste di trasferimento definitivo con criteri di priorità, accordando sostanzialmente al dipendente di godere di un titolo preferenziale (tribunale di Trento, sezione lavoro, 21 marzo 2000, n.  47), si rappresenta che il dottor Argiolas esercita il mandato di consigliere comunale senza soluzione di continuità dal marzo 2001, di aver sempre richiesto attraverso le procedure di mobilità ordinaria l'assegnazione presso la casa reclusione di Isili senza che l'amministrazione penitenziaria abbia in alcun modo posto in essere tale obbligo-impegno, nonostante l'assegnazione di diverse unità di polizia penitenziaria presso la casa reclusione di Isili attraverso la procedura della mobilità ordinaria dal 2001 ad oggi;
          appare doverosa anche la citazione, tra le altre, dell'ordinanza sospensiva n.  200900357 del 3 dicembre 2009 del tribunale amministrativo del Molise, sostanzialmente confermata dall'ordinanza n.  201002052 del Consiglio di Stato che respingeva il conseguente ricorso del Ministero della giustizia, riconoscendo in capo al ricorrente una tutela di rango costituzionale per l'esercizio del mandato elettorale a fronte dell'impossibilità dello stesso dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di dimostrare che i distacchi in essere presso la sede richiesta dal ricorrente potessero godere di soddisfazione prioritaria rispetto al diritto in capo al consigliere comunale;
          di tutta evidenza che analoga situazione risulta in essere presso la casa reclusione di Isili, istituto penitenziario in forte carenza d'organico che comunque gode delle prestazioni lavorative di personale di polizia penitenziaria distaccate da altri istituti le cui motivazioni oggetto del favorevole accoglimento, difficilmente possono vantare pari garanzia e tutela di quelli avanzati dal dottor Argiolas (mandato elettorale, diritto allo studio ed all'unità familiare);
          la situazione descritta appare incomprensibile alla luce del diverso atteggiamento riservato dalla stessa amministrazione nei confronti di altri poliziotti penitenziari consiglieri comunali (anche in Sardegna) ai quali è stato invece autorizzato il distacco amministrativo presso la sede più prossima a quella di esercizio del mandato elettorale e quindi dispensati dal prendere servizio presso la sede di nuova apertura di Cagliari-Uta, alimentando nell'interrogante forti dubbi che le reali motivazioni del diniego siano dovute alle diverse battaglie sindacali condotte dal dottor Argiolas, da oltre dieci anni dirigente (oggi nazionale) del sindacato di categoria U.G.L. polizia penitenziaria;
          sostanzialmente il Ministero della giustizia ha trattato in maniera diseguale situazioni simili, senza dare il giusto risalto alla situazione soggettiva di studente lavoratore nonché capo famiglia del dottor Argiolas  –:
          se non ritengano di dover adottare un univoco quadro di regole che preservino tutto il Corpo di polizia penitenziaria e le forze dell'ordine in genere in relazione all'oramai effimero esercizio del diritto costituzionale all'elettorato passivo, evitando inutili e gravosi ricorsi agli organismi giurisdizionali;
          se non ritengano di dover sanare la gravissima discriminazione descritta in premessa e consentire l'esercizio costituzionalmente garantito della sua attività istituzionale con l'avvicinamento alla sede più vicina al suo luogo di residenza e di attività democratica per la quale è stato eletto dai suoi concittadini. (4-05352)


      BARONI, NICOLA BIANCHI, CORDA, SILVIA GIORDANO, CECCONI, DALL'OSSO, LOREFICE, MANTERO, GRILLO, DI VITA, VALLASCAS e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          nel febbraio 2011 esplode la crisi finanziaria della Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor, proprietaria di diverse strutture ospedaliere in Italia, tra cui l'erigendo San Raffaele di Olbia. La crisi è dovuta a un indebitamento aziendale che, aumentato particolarmente nei tre anni precedenti, si è fatto insostenibile: oltre all'esposizione verso le banche, con l'ipoteca di tutti gli immobili del gruppo. La crisi peggiora con il passare dei mesi: mentre i creditori richiedono decreti ingiuntivi per decine di milioni, visto anche il deficit di 60 milioni nei conto economico 2010 della Fondazione, si avvicina la crisi finale della liquidità;
          dall'11 maggio 2012 le attività sanitarie e di ricerca vengono trasferite all'Ospedale San Raffaele sii controllata da Velca spa, la finanziaria della famiglia Rotelli;
          nel corso di questi anni nessuno, sia nel pubblico sia nel privato, ha avuto la possibilità economica di rilevare la struttura di Olbia;
          a seguito del viaggio in Qatar nel febbraio 2014 dell'ex Presidente del Consiglio Enrico Letta finalizzato ad acquisire investimenti nel nostro Paese, si sarebbe fatto avanti l'emiro del Qatar Al-Thani, attraverso la sua finanziaria Qatar Foundation, per investire nel San Raffaele di Olbia;
          il 13 dicembre 2013 è stata firmata a Roma la prima bozza di accordo fra la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Qatar Foundation e l'ospedale Bambin Gesù di Roma nel suo ruolo di gestore medico sanitario della nuova struttura;
          il 16 maggio 2014 è stato firmato un preaccordo fra le parti suddette ed in aggiunta la regione Sardegna:
          l'apertura dovrebbe avvenire, come da accordi, il 1o marzo 2015, per iniziali 178 posti letto, 108 per gli acuti e 70 per i post acuti, mentre, a regime i posti dovrebbero essere 242, più 50 posti letto per i cosiddetti «solventi» (ovvero stanze private a pagamento);
          le specialità previste sono medicina, cardiochirurgia, neurochirurgia, chirurgia vascolare, neuro riabilitazione e pediatria. E grazie proprio alla pediatria e alla presenza del Bambin Gesù sarà prontamente richiesto l'accreditamento del San Raffaele di Olbia come IRCCS (istituto di ricovero e cura a carattere scientifico);
          l'investimento previsto nei prossimi 12 anni è di 1 miliardo e 200 milioni di euro circa con iniziali 160 milioni nei primi 2 anni e 80 milioni l'anno a regime, comprensivi di 10 milioni annui per un centro di ricerca su malattie come diabete e talassemia;
          la regione Sardegna, in una sua delibera del 26 giugno 2014, ha reso noto che la convenzione con Qatar Foundation e Bambin Gesù prevede un esborso non superiore a 55,6 milioni di euro all'anno;
          i dati forniti sulla potenziale occupazione parlano di 1.800 nuovi posti di lavoro di cui 600 diretti;
          la regione Sardegna prevede di risparmiare diverse decine di milioni di euro per il cosiddetto «turismo sanitario» in direzione del continente;
          per tre anni i nuovi posti letto non verranno conteggiati nel monte totale dei posti letto regionali in deroga sia alla spending review, sia al patto di stabilità e la regione Sardegna dovrà, in questo periodo, «razionalizzare la rete ospedaliera sarda» come riferito ad alcuni organi di stampa, per l'abbassamento da 4,2 a 3,7 dei posti letto per mille abitanti come impone il patto nazionale della salute;
           a fronte dell'enorme investimento su questa struttura, altre rischiano di chiudere per semplice mancanza di infermieri (ospedale oncologico Businco di Cagliari) e occorrerebbe chiarire dove si intendano eventualmente reperire risorse per far sì che la sanità pubblica non venga devastata  –:
          di quali elementi disponga il Presidente del Consiglio in relazione a quanto esposto in premessa;
          quali procedure siano state seguite per andare in deroga al taglio dei posti letto, rischiando di andare peraltro a detrimento, della sanità pubblica presente sul territorio dell'isola desertificando la parte nord e se si sia tenuto conto della sovrapposizione delle specialità con altri ospedali sardi che, altrimenti, sarebbero costretti alla chiusura, come, per esempio lo storico ospedale microcitemico di Cagliari;
          se intenda assumere per quanto di competenza, iniziative a tutela dei livelli occupazionali in ambito sanitario anche facendo sì che l'eventuale attivazione di queste strutture si traduca in opportunità occupazionali in primo luogo per il personale sanitario della Sardegna. (4-05357)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


      CASTIELLO e RAVETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la Convenzione delle Alpi è un trattato internazionale sottoscritto dai Paesi alpini (Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Monaco, Slovenia e Svizzera) e dall'Unione europea con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo sostenibile e tutelare gli interessi della popolazione residente, tenendo conto delle complesse questioni ambientali, sociali, economiche e culturali;
          le Alpi, con il loro capitale di biodiversità e le riserve di acqua e legno, sono un ambiente naturale, culturale, di vita e di lavoro per quasi 14 milioni di persone nonché un'importante destinazione turistica che attira circa 120 milioni di visitatori ogni anno;
          la convenzione di cui sopra è stata firmata nel marzo dell'anno 1995;
          la versione originale della convenzione, nella definizione delle aree alpine prevedeva per il Piemonte le province di Cuneo, Torino, Vercelli, Novara;
          negli anni successivi la stessa è stata riformulata riducendo l'area solo ad alcuni comuni di queste province e questa costituisce la versione attualmente in vigore;
          la prima versione della convenzione parrebbe in effetti molto più funzionale poiché rendeva chiara e geograficamente agevole la delimitazione territoriale tant’è che anche gli altri Stati firmatari hanno scelto di indicare intere regioni e non singoli comuni;
          l'Italia, che in un primo tempo, invece delle regioni, aveva indicato le province dando comunque un segnale di certezza sulla definizione dell'area, per ragioni ignote, ha successivamente modificato tale scelta selezionando una serie di comuni all'interno delle medesime province;
          in tal modo, la scelta assunta pare essere del tutto discrezionale con conseguenti complicazioni applicative e gestionali;
          il testo vigente della convenzione prevede all'articolo 1, punto 2, che «ciascuna parte contraente [...] può, tramite una dichiarazione indirizzata alla Repubblica d'Austria in qualità di depositario, estendere l'applicazione della presente convenzione ad ulteriori partiti del proprio territorio»  –:
          quali iniziative si vogliano assumere per eliminare con urgenza ogni forma di discriminazione nei confronti dei comuni alpini attualmente inspiegabilmente esclusi e ripristinare, pertanto, l'area territoriale come prevista nella versione originale della convenzione. (5-03137)


      BRATTI, LATTUCA, ARLOTTI, CRIVELLARI, PETITTI e PAGANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          dal settembre 2009 il terminale di rigassificazione realizzato a circa 15 chilometri di distanza dalla costa a largo di Porto Viro è entrato in fase di esercizio essendo costituito da un terminale di rigassificazione marino per l'accosto e l'ormeggio di navi metaniere e lo scarico, stoccaggio e rigassificazione del GNL, ubicato (Rovigo) e da una condotta per l'invio del gas a terra, costituita da un tratto offshore (dal Terminale alla costa) ed un tratto onshore (dalla costa alla cabina di riduzione e misura gas);
          il Gas naturale liquefatto viene trasportato dal sito di produzione da apposite navi metaniere e consegnato al terminale di ricezione di Porto Viro, dove viene stoccato, rigassificato e quindi trasportato a terra tramite la condotta, per essere immesso, attraverso la cabina di riduzione e misura, nella rete di distribuzione;
          il terminale di Porto Viro, primo al mondo con tipologia GBS (Gravity Base Structure), consiste in una struttura in calcestruzzo armato appoggiata su fondale marino, ad una profondità di circa 29 metri, nel mare Adriatico settentrionale. Le dimensioni della piattaforma sono di circa 180 metri di lunghezza e 88 metri di larghezza;
          nella fase di esercizio le navi metaniere si accostano alla struttura nel lato Nord è scaricano il GNL all'interno dei serbatoi di stoccaggio, utilizzando pompe presenti sulla nave. Il processo di vaporizzazione del GNL avviene utilizzando acqua di mare (volumi di circa 29.000 metricubi/ora), prelevata ad una profondità di 15 metri rispetto al livello del mare in direzione Ovest;
          l'acqua di mare utilizzata nel processo di rigassificazione viene trattata in continuo, a monte del processo, con ipoclorito di sodio (corrispondente ad una concentrazione pari a 0,2 mg/l in termini di cloro attivo allo scarico) e tutti i reflui prodotti (acque di raffreddamento, acque provenienti dalla vaporizzazione, reflui civili) vengono scaricati ad una profondità di circa 12 metri rispetto al livello del mare, in direzione Sud, determinando una notevole variazione termica dell'ambiente marino;
          il rigassificatore, ancora oggi, si trova in una fase definita di collaudo o esercizio provvisorio, finalizzato alla messa a punto degli impianti della struttura;
          l'impianto è collocato al largo del delta del Po, in un'area di grande valenza naturalistica ed ambientale nell'ambito della quale, nel corso degli anni, si è sviluppata una importantissima attività di pesca e molluschicoltura che interessa un notevole numero di addetti ed assume un significato economico particolarmente significativo;
          l'area suddetta è caratterizzata da una elevata potenzialità produttiva che incide positivamente sulle attività di pesca in particolare sul pesce azzurro, tipologia di pescato che ha permesso negli ultimi anni ai pescatori di sopperire in parte alla riduzione di pescato;
          alcune amministrazioni locali, anche a nome delle associazioni di categoria, hanno manifestato forti preoccupazioni in ordine al possibile impatto del rigassificatore sulle aree della provincia di Rovigo e sulle aree emiliano-romagnole che, direttamente investite dalla direzione delle principali correnti marine, risentono delle acque scaricate dal rigassificatore;
          l'ISPRA è incaricata del monitoraggio ambientale dell'impatto del rigassificatore e della conduttura sottomarina, interrata, che porta il gas nell'entroterra in provincia di Rovigo e l'attività del rigassificatore viene controllata anche dall'ARPA Veneto esclusivamente in funzione della verifica del rispetto dei limiti di legge per quanto attiene il tenore di cloro attivo nelle acque emesse dall'impianto nel mare (0,2 mg/litro);
          il terminale non è ancora in fase di esercizio definitivo, previsto per il prossimo autunno; quando sarà a regime l'impianto, insieme all'acqua utilizzata per il riscaldamento del gas liquido, reimmetterà in mare anche i reflui civili conseguenti alla presenza costante di varie decine di addetti nello stabilimento;
          allo stato delle conoscenze l'impianto reimmette in mare un quantitativo variabile da 23.000 a 29.000 metricubi/ora; tale acqua è caratterizzata dalla presenza di cloro attivo e cloro derivati, e che pertanto è necessario indagare sulla sua sterilizzazione dovuta all'impiego del cloro, ma anche agli sbalzi pressori che subisce all'interno dell'impianto e alla variazione termica che subisce a seguito del trattamento;
          non sono disponibili informazioni dettagliate ed esaurienti riguardanti gli impatti derivanti dai processi di lavorazione sinteticamente descritti e che non sono stati forniti né il protocollo di monitoraggio, né i dati risultanti da tale attività;
          tale massa d'acqua viene introdotta da Ovest e viene rigettata in mare a Sud, dove sarebbe comunque trasportata dalle correnti naturali e che non sono sufficientemente indagati i problemi derivanti dalla sterilizzazione con potenziale impatto alla potenziale produttività delle acque (quindi l'eliminazione di larve e plancton), né la formazione di cloro derivati particolarmente tossici e che non risulta che sia stato sufficientemente osservata la produzione di quantità considerevoli di schiume;
          la situazione di incertezza sulle attività di monitoraggio svolte sull'ecosistema marino e sulle risorse ittiche sta determinando una situazione di criticità per i cittadini e gli addetti alle attività di piscicoltura e all'economia della pesca  –:
          se siano state assunte tutte le iniziative per garantire un adeguato monitoraggio e controllo dell'inquinamento ambientale della qualità delle acque e dell'ecosistema marino per il quale possono determinarsi problemi anche per la fauna ittica e l'economia della pesca, in particolare evidenziando se vi siano stati danneggiamenti all'ecosistema che hanno determinato l'assenza di fauna ittica nella zona tra Porto Garibaldi    e Cesenatico, e quali iniziative il Ministro intenda assumere per garantire l'adeguata diffusione dei risultati del piano di monitoraggio e la dovuta informazione ambientale alle istituzioni, agli enti locali, ai cittadini e alle imprese del settore ittico. (5-03138)


      TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, SEGONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in data 30 giugno 2014 le agenzie di stampa riportano la notizia dell'arresto dell’ex presidente e amministratore delegato di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini, accusato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, nell'ambito delle indagini che stanno coinvolgendo Selex per il contratto stipulato per l'organizzazione e la gestione del sistema Sistri; secondo l'accusa Guarguaglini sarebbe coinvolto nella raccolta di fondi neri destinati agli «sponsor politici»;
          inoltre nella relazione seguita alla riunione del 10 aprile 2014 dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che ha avuto per oggetto il SISTRI, nel capitolo dedicato allo «Stato di attuazione del progetto» si apprende che quanto realizzato da SELEX ad oggi (e cioè: centro operativo primario, centro operativo secondario, dispositivi USB, dispositivi black-box e sistemi di monitoraggio dei siti sensibili) non è ancora stato sottoposto a collaudo;
          questo per quanto risulta agli interroganti contrasta con quanto esposto durante l'ultima riunione del tavolo tecnico di monitoraggio e concertazione del Sistri, tenutasi il 20 febbraio 2014, in occasione del quale sono state illustrate le risultanze della Commissione di collaudo del SISTRI istituita in base al comma 8 dell'articolo 11 del decreto-legge n.  101 del 2013 con esito positivo;
          nella stessa relazione nel capitolo dedicato alla «Commissione parlamentare di inchiesta» vengono indicate alcune problematiche che la commissione stessa ha evidenziato a conclusione dei propri lavori avvenuta il 4 marzo 2013; in particolare, si legge chiaramente che il peccato originale del progetto viene individuato nella decisione di segretare il progetto, il che ha comportato l'individuazione del soggetto affidatario del servizio senza alcuna scelta comparativa che poteva avvenire in rispetto dell'articolo 17, comma 4 del decreto legislativo n.  163 del 2006; questo avrebbe provocato una serie di conseguenze concatenate che hanno coinvolto tutte le fasi dell'avviamento del progetto dall'affidamento del servizio al contenuto del contratto fino alla fase esecutiva dello stesso;
          viene sottolineato che il Ministero sin dalle prime fasi ha avuto rapporti esclusivamente con la SELEX bypassando qualunque tipo di rapporto con altre imprese che potessero presentare le stesse capacità tecniche, economiche e imprenditoriali;
          analizzando la correttezza della procedura con la quale il Ministero ha sottratto l'affidamento del progetto SISTRI alle ordinarie procedure di gara, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici si esprime dichiarando che la procedura «non rientrava a stretto termine di legge nella fattispecie dei contratti secretati disciplinata dall'articolo 17 nell'assetto normativo vigente al tempo dell'affidamento diretto», richiamando inoltre i principi contenuti nell'articolo 27 del codice degli appalti che presuppongono, anche per gli appalti segretati, il rispetto dei principi di «imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità»;
          la conclusione dell'Autorità per la vigilanza è riassunta in poche parole: «...discendono dubbi sulla validità del contratto stipulato con SELEX»;
          rispondendo all'interpellanza urgente n.  2-00473 prima firma Terzoni e in particolare all'ipotesi avanzata dagli interpellanti allo Stato e al Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare di costituirsi parte civile nel procedimento giudiziario ai sensi dell'articolo 1 della legge 3 gennaio 1991, n.  3, il Sottosegretario Velo rispose che «l'amministrazione continuerà a monitorare le attività giudiziarie e, all'esito delle indagini, qualora venga disposto il rinvio a giudizio degli imputati, si procederà a richiedere alla Presidenza del Consiglio dei ministri la costituzione di parte civile nel processo;
          nella stessa interpellanza all'ipotesi di sospendere il contratto con Selex, il sottosegretario Velo ha invece risposto come segue: «Circa la possibilità di recedere dal contratto con la Selex e procedere con nuovo procedimento amministrativo, anche con l'applicazione di nuove e più efficienti tecnologie, si richiama quanto approfondito precedentemente ai fatti di questa settimana a cui fa riferimento l'onorevole interpellante. In altre parole, l'ipotesi di risoluzione del contratto è stata valutata dall'amministrazione nel 2012 che, a tal fine, ha chiesto uno specifico parere all'Avvocatura generale dello Stato sulla legittimità della complessiva operazione negoziale. Quest'ultimo ufficio ha, però, ritenuto valido e legittimo il contratto con la Selex. Nel parere a suo tempo reso, l'Avvocatura generale dello Stato concludeva per la legittimità dell'affidamento diretto»;
          il contratto stipulato tra Selex e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare all'articolo 12, «Durata del contratto e trasferimento della proprietà dell'infrastruttura», prevede che il termine della validità del contratto medesimo è fissata al 30 novembre 2014 con possibilità di rinnovo per una durata quinquennale da determinarsi con 24 mesi di anticipo prima della scadenza  –:
          se il Ministro interrogato, alla luce di quanto emerso, non ritenga opportuno prendere atto delle indagini e assumere iniziative per costituirsi appena ne sussistano le condizioni, parte civile nel procedimento giudiziario come da impegno preso avviando contestualmente le procedure per l'annullamento del contratto in essere con SELEX e attivando un nuovo procedimento amministrativo per riaffidare il servizio con meccanismi che garantiscano trasparenza e legalità, prevedendo, nel contenuto del nuovo assetto contrattuale, anche l'applicazione di nuove e più efficienti tecnologie. (5-03139)


      PASTORELLI e LACQUANITI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in data 27 aprile, il termovalorizzatore di Brescia, il più grande d'Europa, ha diffuso una nube nera, propagatasi successivamente nello spazio aereo sovrastante l'inceneritore;
          il timore della cittadinanza si fonda sul possibile picco di diossine e Pcb (sostanze cancerogene), dovuto all'abbassamento delle temperature di combustione;
          l'azienda che gestisce l'impianto (A2A) si è preoccupata di informare l'autorità dell'incidente solo la sera successiva al prodursi del fenomeno;
          nonostante l'azienda abbia cercato di rassicurare la cittadinanza precisando che tutti i valori si sono mantenuti costantemente e abbondantemente sotto i limiti autorizzati, l'ARPA, Agenzia regionale per l'ambiente, ha rilevato «interruzioni durante il campionamento» nei minuti in cui era in corso l'incidente, rendendo quindi impossibile acquisire e visionare i dati sulle diossine esalate;
          i tecnici dell'ARPA hanno dovuto tentare di ricostruire le emissioni sulla base di alcune stime, a causa delle suddette interruzioni per la linea 1 dalle ore 10.46 alle 12.01, per la linea 2 dalle 10.35 alle 10.51, per la linea 3 le informazioni sono mancanti;
          si fa presente che non si tratta del primo incidente di questo tipo. L'8 agosto 2012 una nube nera aveva ricoperto la città e la magistratura aveva aperto un'inchiesta. Anche in quel caso gli esperti dell'ARPA avevano lamentato l'impossibilità di eseguire correttamente l'attività di controllo sulle emissioni dell'impianto  –:
          se il Ministro interrogato non intenda procedere a controlli urgenti e immediati per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente per tutelare la sicurezza e la salute della cittadinanza di Brescia. (5-03140)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      DE LORENZIS, BRESCIA, L'ABBATE e DA VILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          da fonti stampa si apprende che nella giornata di venerdì 27 giugno 2014 si è verificata una «rottura della valvola di una tubazione attraverso la quale era stata rifornita di gasolio una nave della Marina militare nella base navale “Chiapparo”» — nel Mar Grande di Taranto — «ha causato lo sversamento in mare del quantitativo residuo di carburante. Si è creata una chiazza di gasolio nella zona antistante la base...»;
          sempre secondo fonti stampa, la costruzione della base navale nel Mar Grande in zona Chiapparo è iniziata a metà degli anni Ottanta, è costata 150 milioni di euro e un terzo di questa cifra proverrebbe da finanziamenti Nato, sarebbe una base a comando italiano dotata di alcune infrastrutture Nato (ad esempio per il rifornimento) che verranno condivise con le unità militari di altre nazioni della Nato. La normativa Nato prevede infatti che a finanziamento Nato consegua un uso Nato delle strutture finanziate. La base navale è integrata con una base aerea della Marina Militare che dista venti chilometri ed è sita a Grottaglie; in essa vi sono gli elicotteri della Marina Militare e gli aerei della portaerei Garibaldi. Essi sono a decollo verticale, si chiamano Harrier e sono in grado tecnicamente di trasportare e lanciare bombe nucleari, tra l'altro, nella base di Grottaglie, sarà previsto l'impiego di F-35;
          a Taranto e nella provincia, è presente un insediamento notevole di strutture e personale legato alle forza armate di Marina militare, Aviazione militare ed Esercito che occupa buona parte del territorio sulle coste, sulle isole «Cheradi» e nell'entroterra;
          in data 26 giugno 2014 è stato ritrovato e trascinato sulla riva incautamente dai bagnati, un siluro «naufragato» su una spiaggia a Ginosa Marina (Ta) proveniente da esercitazioni militari  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e se trovino conferma le notizie riportate;
          se i Ministri siano a conoscenza di cosa sia avvenuto nella base navale Chiapparo nella notte dello sversamento in questione e quali siano state le cause della perdita di idrocarburi in mare;
          quali siano i danni e le ripercussioni in ambito ambientale, derivati dalla perdita di idrocarburi in mare e quali danni e disagi, anche sanitari, abbia ricevuto il personale coinvolto;
          quali siano state le iniziative dei soggetti coinvolti per rimediare alla perdita di carburante e provvedere alla immediata bonifica e quali siano le iniziative atte ad accertare le responsabilità del caso;
          chi siano i soggetti stranieri che possono attraccare alla base navale in zona «Chiapparo» e se tra le imbarcazioni, anche straniere, che ospita la base navale in questione, ci siano attualmente e/o ci siano state in passato e/o ci saranno in previsione futura, anche mezzi a propulsione nucleare;
          se tra i mezzi che attraccano alla base navale in zona «Chiapparo» ci siano, ci siano stati o ci saranno, anche mezzi atti a trasporto e/o lancio di ordigni nucleari e/o che hanno trasportato materiale bellico nucleare nella zona in questione;
          quali sviluppi siano previsti per il futuro della base navale in zona «Chiapparo» e se non si ritenga opportuno diminuire la pressione delle strutture militari sulla città diminuendo la presenza militare nell'intera provincia. (5-03136)

Interrogazioni a risposta scritta:


      VALIANTE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 11 del decreto-legge n.  195 del 2009, al comma 8, ha stabilito che il personale operante presso gli impianti di selezione e trattamento dei rifiuti di Santa Maria Capua Vetere, Battipaglia, Casalduni, Pianodardine di cui all'articolo 6 del richiamato decreto-legge n.  90 del 2008, ivi compreso quello che svolge funzioni tecnico-amministrative funzionali all'esercizio degli impianti stessi, fosse trasferito ai soggetti subentranti, senza instaurazione di rapporti di pubblico impiego;
          nelle more del trasferimento e nei limiti di legge e delle risorse allo scopo finalizzate, di cui ai commi 7 e 9 tale personale è stato assegnato, con contratto a tempo determinato, alle province;
          appare evidente come il legislatore abbia voluto con questa norma riconoscere l'assunzione senza soluzione di continuità presso i soggetti subentranti sia a tutti i lavoratori che operavano presso gli impianti sopra menzionati sia a coloro che svolgevano funzioni tecnico-amministrative;
          un'interpretazione restrittiva della norma ha, però, portato a non estendere i benefici previsti anche a quest'ultima categoria di lavoratori, facendo verificare alla data del passaggio di consegne tra i commissari ad acta e le province subentranti, la non totale assunzione dei lavoratori presso le strutture previste bensì la loro dislocazione presso altri enti operanti anche in altre province di competenza;
          in particolare delle 37 unità che avevano ricoperto funzioni tecnico-amministrative funzionali all'esercizio di tutti gli impianti presso gli uffici del commissario ad acta per la provincia di Napoli, solamente 11 venivano poi effettivamente trasferite presso la SAPNA Spa, società appositamente costituita per assolvere al servizio;
          questa decisione ha provocato notevoli disagi a molti lavoratori che si ritrovano già da anni inseriti in contesti lavorativi differenti da quelli individuati per legge, con poca conoscenza delle problematiche presenti in quei contesti territoriali e costretti anche in molti casi a trasferirsi e restare lontani dalle loro famiglie per espletare il servizio, incidendo anche in alcuni casi fortemente sul loro stato di benessere psicofisico;
          nel rispetto del principio generale dell'ordinamento giuridico secondo il quale situazioni analoghe dovrebbero avere un uguale trattamento ed essere sottoposte ad identiche previsioni di legge, è, in questo caso specifico, ben evidente come su una stessa materia si sia intervenuti per non si sa quali motivate ragioni in maniera difforme, creando delle discriminazioni ed eludendo anche quanto disposto dalle norme previste in materia  –:
          se sono a conoscenza della questione e quali iniziative per quanto di loro competenza si intendano adottare in relazione a questa situazione di disagio che vivono molti lavoratori, non escludendo anche il ricorso a iniziative normative che permettano di dare un'interpretazione autentica delle norme sulla materia sopra menzionate. (4-05343)


      ARLOTTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la provincia di Rimini ha avviato da tempo una sperimentazione per misurare il vento nel mare Adriatico, in particolare davanti alla coste di Rimini sulla piattaforma metanifera dell'Eni Azalea B;
          gli esiti della campagna di misurazione sono la premessa indispensabile per valutare la fattibilità economica ed ambientale di una wind farm in mare, in un'area che presenta caratteristiche che possono concretamente favorire l'installazione di un parco eolico off-shore;
          dal 2012 la provincia di Rimini partecipa inoltre al progetto europeo 4Power, approvato e finanziato nell'ambito della azioni dell'iniziativa Interreg IV C dell'Unione europea, che riunisce 11 partner di 9 diversi Stati dell'Unione europea, prevede l'analisi delle migliori pratiche relative allo sviluppo dell'eolico off shore e lo scambio di esperienze tra partner che hanno già avviato la produzione di energia da fonte eolica, studiando i modelli legislativi e le norme degli incentivi che finanziano, in diversi modi, la crescita delle rinnovabili;
          in occasione del meeting del progetto europeo 4POWER, dal 6 all'8 novembre scorsi, è stato fatto il punto sullo sviluppo dell'eolico off shore in Europa, dove sono già centinaia le turbine istallate che producono quote significative di energia rinnovabile, a costi contenuti e con evidenti vantaggi in materia di ambiente: nei primi 6 mesi si è già installato oltre 1 GW di potenza, circa il doppio rispetto allo stesso periodo del 2012 e quasi quanto si è realizzato nell'intero anno passato;
          l'Italia, però, resta tuttora fuori da questo sviluppo e la situazione è complicata spesso dalle questioni amministrative legate all'iter di approvazione dei progetti: l’iter amministrativo per il rilascio di una valutazione di impatto ambientale arriva a durare tre o quattro anni e poi magari essere rimesso in discussione o fermato da un ricorso al tribunale amministrativo per poi ricominciare di nuovo, senza sapere quando e come verrà definitivamente approvato;
          ad oggi non risulta realizzato ancora un solo parco eolico, ed esiste una sola autorizzazione rilasciata per un parco nelle acque della Sicilia  –:
          se il Governo non ritenga opportuno lavorare per ottenere uno schema chiaro del sistema autorizzativo che superi i limiti della legislazione vigente, definisca i tempi delle procedure e approvi specifiche regole per la realizzazione degli impianti eolici offshore, al fine di uscire da una situazione di conflitti e polemiche causata dalla totale assenza di qualsiasi riferimento per la valutazione degli impianti;
          se non sia necessario intervenire sul sistema degli incentivi per le rinnovabili, assumendo iniziative per fissare una durata certa e stabile per un numero significativo di anni (almeno 10) e destinando una quota (10/15 per cento) al territorio su cui gli impianti vengono realizzati, introducendo un vantaggio fiscale e/o economico quale misura equa a vantaggio dello sviluppo delle rinnovabili;
          se non ritenga fondamentale la partecipazione delle comunità locali nei processi di decisione circa i progetti che riguardano l'eolico, con l'approvazione di norme simili a quello che in Francia è il public debat, per cui su un'opera si presenta il progetto, con dati certi e documentati, si discute, si argomenta, si ascoltano i tecnici, chi è favorevole e chi è contrario, si valuta attraverso un organismo autonomo e indipendente e poi si decide tenendo conto dei pareri dei suggerimenti e di quanto è emerso nella fase della discussione. (4-05350)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MASSIMILIANO BERNINI, DE ROSA, SEGONI, GAGNARLI e LUPO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di giugno dell'anno 2014, nel comune di Vazia (RI), ai piedi del Terminillo, in area sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico, gli agenti della Guardia di Finanza del comando provinciale di Rieti hanno sequestrato una fabbrica di conglomerato bituminoso (asfalto) esistente dal ‘91;
          da quanto si può leggere su vari quotidiani sia cartacei che online, «l'amministratore dell'azienda sequestrata è stato deferito alla competente autorità giudiziaria, per reati connessi all'inquinamento ambientale ovvero: «deposito incontrollato di rifiuti ed immissioni degli stessi sul suolo e nelle acque superficiali o sotterranee «deturpazione ambientale»; «violazione della, normativa sull'amianto» e «assenza di autorizzazione allo scarico di acque di prima pioggia e reflue previste dal Piano di Tutela regionale della acque»»;
          dal sopralluogo è emerso che da diversi anni, l'industria in questione, non abbia ottemperato alle più basilari regole in materia di tutela ambientale, determinando il grave fenomeno di inquinamento da rifiuti tossici e speciali;
          da quanto si apprende, gli agenti della Guardia di Finanza hanno agito dopo segnalazioni avvenute da parte del comitato di cittadini denominato «La Rotonda 2010»;
          tali segnalazioni si sono susseguite più volte nel corso degli ultimi anni, prima dell'intervento della Guardia di Finanza che ne ha riscontrato l'effettiva veridicità  –:
          se siano al corrente dell'episodio avvenuto nel mese di giugno 2014 di cui in premessa e se intenda costituirsi parte civile nell'ambito del processo che ne verrà;
          quali iniziative urgenti per quanto di competenza intendano intraprendere, affinché simili fatti non abbiano più a verificarsi, anche potenziando i controlli volti a individuare e reprimere gli sversamenti illeciti di qualunque provenienza;
          se intendano avviare un programma di collaborazione con le associazioni o comitati di cittadini su tutto il territorio nazionale, atto a prenderne in considerazione le denunce o le segnalazioni. (5-03129)


      ARLOTTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge cosiddetto «valore cultura», convertito dalla legge 7 ottobre 2013, n.  112, fra i vari provvedimenti prevede all'articolo 6 (Disposizioni urgenti per la realizzazione di centri di produzione artistica, nonché di musica, danza e teatro contemporanei), comma 1 e 2, l'assegnazione di immobili di proprietà dello Stato ad associazioni e cooperative di artisti ad uso atelier;
          in base alla norma citata, entro il 30 giugno di ogni anno, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con proprio decreto da adottarsi di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, su indicazione dell'Agenzia del demanio, anche sulla base di segnalazione dei soggetti interessati, individua, nel rispetto di quanto previsto dalle disposizioni vigenti in ordine all'utilizzazione, alla valorizzazione e al trasferimento dei beni immobili pubblici, i beni immobili di proprietà dello Stato, con particolare riferimento alle caserme dismesse e alle scuole militari inutilizzate, non utilizzabili per altre finalità istituzionali e non trasferibili agli enti territoriali ai sensi del decreto legislativo 28 maggio 2010, n.  85, che possono essere destinati ad ospitare studi di giovani artisti italiani e stranieri;
          i beni individuati ai sensi del comma 1 dell'articolo 6 del decreto-legge in questione sono locati o concessi per un periodo non inferiore a dieci anni ad un canone mensile simbolico non superiore ad euro 150 con oneri di manutenzione ordinaria a carico del locatario o concessionario;
          i beni sono locati o concessi esclusivamente a cooperative di artisti ed associazioni di artisti, residenti nel territorio italiano, dall'ente gestore che predispone un bando pubblico ai fini dell'assegnazione dei beni ai progetti maggiormente meritevoli;
          come da testo di legge, trascorsi 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione avrebbero dovuto essere emanati con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze i criteri di assegnazione dei contributi a fondo perduto a favore delle cooperative di artisti ed associazioni di artisti che compiano opere di manutenzione straordinaria, in proporzione alle spese sostenute;
          con ulteriore decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, da adottare entro sessanta giorni dalia data di entrata in vigore della legge di conversione di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, si sarebbero dovute definire le modalità di utilizzo dei beni di cui al citato comma 1 dell'articolo 6 per finalità artistiche, nonché le modalità di sponsorizzazione dei beni individuati, anche al fine di sostenere, in tutto o in parte, i costi connessi alla locazione, concessione, gestione e valorizzazione del bene stesso;
          i termini sopra citati sono scaduti senza che i decreti stessi siano stati emanati;
          le associazioni culturali di tutta Italia hanno indetto una raccolta di firme per sollecitare l'emanazione dei decreti con i criteri di assegnazione e i bandi  –:
          quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati affinché, come previsto del decreto-legge 8 agosto 2013, n.  91, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  112 del 7 ottobre 2013, vengano emanati al più presto i decreti previsti con i criteri per l'individuazione dei beni, l'assegnazione dei contributi, le modalità di utilizzo dei beni individuati e le modalità di sponsorizzazione dei beni stessi.
(5-03133)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MORASSUT. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il 16 aprile scorso L'Atac spa – azienda per la mobilità di Roma Capitale, ha pubblicato un bando di gara per la vendita con «l'obbligo di rottamazione», di materiale rotabile in disuso. Il materiale è suddiviso «in quattro lotti e l'offerta di acquisto può essere presentata per uno o più lotti o per tutti i lotti»;
          nel bando sono presenti le rimorchiate TIBB del 1932 della Roma-Viterbo (Lotto 3) (compresa un'elettromotrice a comando indiretto), e le elettromotrici della Lido, ex-Linea B, MR 100 (1954), MR 200 (1956) e MR 300 (1976);
          le elettromotrici MR 100 sono state impiegate sulla prima metropolitana italiana, l'attuale Linea B, inaugurata il 9 febbraio 1955 dall'allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi;
          i materiali rotabili in questione, vanto dell'ingegneria italiana e patrimonio della collettività, sono di proprietà della regione Lazio;
          il decreto legislativo n.  42 del 22 gennaio 2004 recita: «Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli altri enti pubblici territoriali»;
          la petizione (Sospensione alienazione materiale rotabile storico di Atac SpA»), lanciata sulla piattaforma change.org, conta a tutt'oggi di 288 firme; tra i sostenitori ci sono numerose associazioni culturali, non solo di Roma e del Lazio;
          il 5 maggio 2014 è stata presentata un'interrogazione all'Assemblea Capitolina in merito al bando di Atac spa chiedendo la regolarità dei termini;
          il 23 maggio 2014 l'VIII Municipio (consigliere Conia) ha presentato una mozione in difesa del materiale rotabile storico;
          i restauri di suddetto materiale potrebbero essere eseguiti con i fondi europei destinati alla cultura, senza impegnare risorse di spesa corrente  –:
          se e quali iniziative per quanto di competenza, intenda avviare, ove ne rilevi i presupposti per la tutela di questi pezzi di pregio dell'ingegneria dei trasporti italiana che pur, non avendo raggiunto i settantacinque anni di età, presentano un oggettivo valore storico e potrebbero creare un indotto se adeguatamente valorizzati. (4-05342)


      COSTANTINO, FRATOIANNI e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il 3 febbraio 2014 i rappresentanti di università, comune di Pisa, provincia di Pisa, Curia Arcivescovile, soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio, per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico di Pisa, Scuola Normale e associazione «Amici dei Musei e dei Monumenti Pisani» (AMMP) stipulano un accordo in prefettura per istituire presso la sola associazione AMMP una sezione specializzata di «volontari per l'arte» (al momento questa struttura esiste solo per occuparsi di guardianie e visite guidate). Agente scatenante della richiesta, mossa dallo stesso prefetto, è «la problematica dei danni spesso irrisolti ai monumenti storici [..] carente manutenzione [..] danni causati dal maltempo». «Le operazioni di recupero e manutentive non appaiono fronteggiabili con le sole risorse pubbliche». Si renderebbero necessari dei servizi di «pronto intervento» e di «volontariato sociale» svolti «spontaneamente e a titolo gratuito» con funzione sostitutiva rispetto ai compiti della soprintendenza;
          la sintesi espressa dal prefetto in quella sede viene così espressa: la finalità dei volontari specializzati è la «minuta manutenzione dei siti e delle opere architettoniche». La direttrice regionale per i beni culturali della Toscana, conferma tale indirizzo e chiede di esportare questo modello a livello nazionale;
          le associazioni dei professionisti dei BBCC — proprio ora che hanno ottenuto un minimo riconoscimento — e gli studenti criticano due punti particolarmente critici del documento: il rapporto preferenziale ed esclusivo con l'Associazione AMMP, cui viene delegato non solo la possibilità del fund-raising, ma anche un compito che si presume caratterizzante delle istituzioni pubbliche — ossia la tutela dei beni culturali cittadini — e lo strumento del volontariato, elemento di dequalificazione delle già precarie professioni dei beni culturali;
          l'uso di volontari per operazioni «a titolo gratuito» di «manutenzione» — sia essa minuta o meno — è contraria all'attuale legislazione (Codice dei beni culturali, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42). (articolo n.  29 commi 4, 6). 4. Per restauro si intende l'intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all'integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali. [..] 6. Fermo quanto disposto dalla normativa in materia di progettazione ed esecuzione di opere su beni architettonici, gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali ai sensi della normativa in materia;
          gli assessori ai LLPP e alla cultura del comune di Pisa (il primo in quanto firmatario dell'accordo) hanno circoscritto, attraverso una propria comunicazione, il mandato dell'accordo a «conservazione preventiva, monitoraggio, segnalazioni utili alla soprintendenza»;
          non è ancora chiaro con quali modalità e tempistiche si svilupperanno a livello locale i protocolli attuativi dell'accordo e a quale riflessione politica saranno connesse tali disposizioni. Il silenzio della soprintendenza, teoricamente attore decisivo del dibattito, non contribuisce a chiarire la precisazione definitiva rispetto alle finalità dell'accordo;
          questo accordo rappresenta una violazione che apre la strada al riconoscimento del lavoro volontario anche in un settore teoricamente tutelato come il restauro — non esiste ragione per distinguere la «minuta manutenzione» di un bene artistico dal restauro, ossia da un intervento conservativo. C’è il rischio che si vada verso una legittimazione di accordi come questi, avendo la direttrice regionale dei BBCC parlato di esso come di «esperienza pilota»;
          anche nell'ambito della «Magna Charta del Volontariato» — prodotta da strutture della regione Toscana — spesso usata come strumento di legittimazione dai promotori del lavoro volontario in molti settori, si scrive: «Nel contesto attuale caratterizzato dalla molteplicità di forme di prestazione di lavoro (stage, servizio civile, tirocinio, cooperative sociali, lavoro interinale, eccetera) è ancor più necessario far sì che la prestazione del volontario si espliciti chiaramente nel ruolo che gli è proprio senza che questo sconfini in ambiti di pertinenza di altre figure. Il suo intervento, inoltre, non può in alcun modo essere sostitutivo di funzioni ordinarie, di esclusiva competenza degli istituti (musei, biblioteche, archivi, istituzioni culturali, eccetera). Occorre aver sempre presente la distinzione di funzioni che possono essere svolte più efficacemente da altri soggetti e di quelle che, per natura e fine, sono invece congeniali al volontariato che ha, quindi, un ruolo complementare rispetto a quello di altri soggetti. Un'attenzione particolare deve essere rivolta alle esigenze dei giovani perché la scelta del volontariato possa essere vissuta non come surrogato di lavoro, ma come esperienza di arricchimento complessivo, civile, culturale e professionale, della persona»  –:
          di quali informazioni disponga il Governo in merito a questo accordo e come intenda il Ministro ovviare all'autorizzazione di una violazione dell'attuale codice dei BBCC da parte della soprintendenza pisana, della direzione regionale dei BBCC e del prefetto di Pisa. (4-05345)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


      CIRIELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          Singapore è, oggi, una delle piazze economiche più vivaci e «liquide» al mondo, con una legislazione snella, una bassissima ingerenza della burocrazia e un'elevata modernità delle infrastrutture;
          in particolare, essa costituisce un terreno particolarmente appetibile per le imprese che vogliono investire in tutta l'area dell'estremo oriente e, allo stesso tempo, i ricchissimi fondi sovrani di Singapore sono alla ricerca di occasioni di investimento, anche in Italia;
          sinora, tale Paese asiatico è stato considerato un paradiso fiscale sia a livello OCSE che nel nostro ordinamento, che l'aveva inserito in tutte le liste nere domestiche come paradiso fiscale assoluto;
          una oculata politica di apertura allo scambio internazionale di informazioni, attuata negli ultimi anni dal Governo locale, ha però consentito l'inserimento di Singapore nella white list dei Paesi collaborativi dell'OCSE;
          anche l'Italia, sulla spinta delle esigenze manifestate da molti settori della imprenditoria, si è mossa nella direzione di una normalizzazione dei rapporti con tale Stato, con il dichiarato obiettivo di facilitare i rapporti economici e soprattutto attrarre nel circuito economico italiano i ricchi finanziatori di Singapore;
          in particolare, a seguito dell'adeguamento da parte di Singapore ai parametri OCSE in termini di trasparenza e scambio di informazioni fiscali, il 24 maggio 2011 è stato firmato il protocollo aggiuntivo alla Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Singapore per evitare le doppie imposizioni e per prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito;
          tale protocollo, ratificato dall'Italia con legge del 31 agosto 2012, n.  157, all'articolo V procede alla sostituzione integrale dell'articolo 25 della convenzione originaria, che riguarda gli scambi di informazioni tra le competenti autorità delle parti ai fini dell'applicazione della convenzione medesima;
          la nuova formulazione, in sostanza, mira a rendere più penetrante l'azione di raccolta delle informazioni in campo fiscale, prevedendo che lo Stato contraente oggetto di una richiesta utilizzi i poteri a sua disposizione anche qualora le informazioni in questione non siano rilevanti per i propri fini fiscali interni, e si esplicita anzi che tale ultima eventualità non possa essere invocata per rifiutare di fornire quelle informazioni;
          in particolare, poi, la nuova formulazione riduce la portata del cosiddetto segreto bancario, stabilendo che lo Stato cui è avanzata richiesta non potrà rifiutare di fornire le informazioni con la sola motivazione che esse siano detenute da una banca, da un'istituzione finanziaria o da un mandatario operante in qualità di agente o fiduciario;
          mediante tale protocollo aggiuntivo, infatti, è stata introdotta nella convenzione Italia-Singapore una cosiddetta comprehensive clause per lo scambio di informazioni, tale da non poter più considerare Singapore Paese «non collaborativo» nei confronti dell'Italia: tant’è che nel comunicato n.  16 del 24 febbraio 2012, il Consiglio dei ministri pro tempore sottolineava che «il protocollo è finalizzato a evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito. Singapore fa parte della lista, stilata dal Ministero dell'economia e delle finanze, dei Paesi a fiscalità privilegiata. A seguito dell'adeguamento di Singapore ai parametri OCSE in termini di trasparenza e scambio di informazioni fiscali, il 24 maggio 2011 è stato firmato il Protocollo aggiuntivo all'Accordo del 1977. Dal Protocollo – negoziato dall'Amministrazione dell'Economia e delle Finanze con la controparte di Singapore – si attendono effetti positivi per il nostro erario. Inoltre, una volta entrato in vigore, il Protocollo allevierà le nostre aziende da aggravi burocratici e conseguenti costi aggiuntivi, favorendo così l'incremento dell'interscambio fra Italia e Singapore (che nel 2011 è stato di oltre 1,7 miliardi di euro) ed allo stesso tempo permetterà l'uscita di Singapore dalla lista OCSE, obiettivo prioritario per quel Paese. Si tratta di risultati particolarmente importanti, anche alla luce dell'impegno italiano volto ad intensificare a tutti i livelli le relazioni bilaterali, che culminerà con la visita che il Ministro Terzi effettuerà a Singapore proprio fra pochi giorni, il 1o marzo»;
          svariati elementi emersi nel corso dei lavori preparatori all'approvazione della legge di ratifica confermano come l'obiettivo fosse quello di «normalizzare» i rapporti economici tra i due Stati e, soprattutto, agevolare gli scambi tra le imprese italiane e quelle di Singapore mediante l'esclusione di quest'ultimo dalle black list domestiche;
          la relazione tecnica evidenzia come tale modifica possa verosimilmente agevolare l'uscita di Singapore dalla lista dei Paesi a fiscalità privilegiata, nella quale è attualmente collocata, nonché un suo futuro collocamento nelle costituende white list, andando a eliminare il vigente obbligo di interpello da parte delle realtà imprenditoriali italiane che svolgono attività nel territorio singaporiano;
          tale intendimento si è ancor meglio precisato nel corso dei dibattiti parlamentari che hanno condotto all'approvazione della legge di ratifica: nella seduta del 21 marzo 2012 in sede di II Commissione Affari esteri e comunitari della Camera dei deputati, il relatore on.  Allasia segnalava che «l'accordo di modifica della Convenzione del 1977 costituisce pertanto un importante strumento per superare la questione dell'inserimento di Singapore nella black list italiana» e il sottosegretario agli affari esteri Marta Dassù ribadiva che «il Protocollo, e la conseguente rimozione di Singapore dalla lista dei Paesi a fiscalità privilegiata, favorirà gli investimenti in Italia dei due fondi sovrani di Singapore, le relazioni economiche tra i due paesi e più in generale la ripresa della crescita»;
          appare chiaro come per il Governo pro tempore che era anche proponente il disegno di legge di ratifica, l'entrata in vigore del protocollo si ponesse in rapporto di naturale causa rispetto all'effetto (indicato come «conseguente») consistente nella fuoriuscita di Singapore dalle «liste nere» italiane;
          il medesimo effetto era, del resto, auspicato anche dalla V Commissione bilancio tesoro e programmazione della Camera, ove, nella successiva seduta dell'11 aprile 2012, si sottolineava che «le modifiche previste dal Protocollo aggiuntivo sono volte a rafforzare la cooperazione e lo scambio di informazioni tra Italia e Singapore e ad agevolare l'uscita di tale ultimo Stato dalle black list italiane e, pertanto, potranno favorire l'emersione di base imponibile, con effetti di gettito complessivamente positivi»;
          nonostante l'entrata in vigore del protocollo e, quindi, l'assunzione da parte di Singapore di obblighi di trasparenza e scambio di informazioni nei confronti dell'Italia, in conformità ai più avanzati standard internazionali elaborati dall'OCSE, tale Stato è ancora considerato dalla normativa italiana alla stregua di un paradiso fiscale, con tutti i conseguenti ostacoli alla realizzazione di investimenti, da parte sia di imprenditori italiani in Singapore sia di imprenditori e fondi singaporiani in Italia;
          una modifica in tal senso, oltre che auspicabile, appare particolarmente importante in un periodo di forte recessione economica del nostro Paese, portando a un'intensificazione e semplificazione dei rapporti tra i due Stati e favorendo, in particolar modo, le realtà imprenditoriali italiane che svolgono attività nel territorio singaporiano;
          a parere dell'interrogante, vi sono le condizioni giuridiche affinché Singapore sia espunta dalla black list, ma il Governo, cui spetta la decisione, non avrebbe ad oggi preso alcuna iniziativa in tal senso  –:
          se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare per consentire l'uscita immediata di Singapore dalla lista dei Paesi a fiscalità privilegiata, attraverso l'adozione di opportuni provvedimenti di attuazione. (4-05340)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


      GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la Segretaria di Radicali italiani Rita Bernardini ha ricevuto una lettera a lei rivolta da alcuni studenti di giurisprudenza iscritti all'Università La Sapienza e detenuti nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, appartenenti al «Gruppo universitario libertà di studiare»;
          nella lettera si fa presente che la legge n.  10 del 2014, che ha convertito il decreto-legge 146 del 2013, sta causando «enormi disparità di trattamento e diseguaglianze disastrose». Ogni magistrato di sorveglianza – ad avviso degli studenti – «sta dando una sua personale interpretazione all'interno dello stesso Tribunale»;
          la questione sollevata riguarda il fatto se debbano essere concessi, i giorni di liberazione speciale anche a quei detenuti condannati per i reati di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario che avevano fatto richiesta durante la vigenza del decreto-legge 146 del 2013, prima che legge di conversione n.  10 del 2014 li escludesse dal beneficio;
          moltissimi autorevoli costituzionalisti – si legge nella lettera indirizzata all'onorevole Bernardini – sostengono che gli effetti di chi ha fatto la richiesta mentre il decreto-legge era in vigore debbano essere fatti salvi, e che la legge si applica dal momento in cui è approvata e vale da quel momento in avanti;
          in effetti, accade che alcuni magistrati diano questa interpretazione in ossequio alla legge n.  400 del 1988 (articolo 15) e concedano i giorni di liberazione speciale integrativa (30 in più ogni semestre) a tutti coloro che ne abbiano fatto domanda prima della pubblicazione della legge di conversione n.  10 del 21 febbraio 2014. Altri magistrati, invece, sostengono che la legge travolge gli effetti del decreto-legge;
          se alcuni magistrati di sorveglianza non fossero stati lenti – osservano gli studenti del «Gruppo universitario libertà di studiare» – avrebbero avuto la possibilità di espletare per intero il loro lavoro entro i 60 giorni, cosa che del resto alcuni magistrati hanno fatto;
          la situazione descritta crea, ad avviso degli autori della missiva, situazioni paradossali; capita infatti che, nella stessa cella, detenuti con reati gravi abbiano avuto gli arretrati dei giorni di deliberazione anticipata speciale «perché hanno avuto la fortuna di avere come magistrato di sorveglianza chi interpreta che gli effetti del decreto siano fatti salvi», mentre detenuti con reati meno gravi si siano visti negare i giorni perché la sorte li ha assegnati a magistrati di sorveglianza che interpretano che gli effetti del decreto siano travolti dalla legge di conversione successivamente approvata  –:
          quale chiarimento intenda fornire sull'interpretazione del decreto riguardo ai detenuti, condannati per i reati di cui all'articolo 4-bis citato che hanno presentato richiesta di accesso alla liberazione anticipata speciale nei 60 giorni di vigenza del decreto-legge 146 del 2013;
          se intenda dare informazioni sul numero dei detenuti che finora hanno avuto accesso alla liberazione anticipata speciale, su quante siano fino a questo momento le domande presentate e su quali siano i tempi medi di definizione delle stesse;
          se intenda assumere iniziative per rivedere, in considerazione delle finalità del provvedimento, l'esclusione discriminatoria dalla liberazione anticipata speciale dei detenuti condannati per i reati di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario. (4-05348)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          i tempi scanditi dall'Anas per cancellare i cantieri infiniti sulla 131 sono un'offesa alla Sardegna e ai sardi;
          si tratta di una vergogna infinita considerato che, dopo aver fatto perdere dieci anni per una gestione scandalosa di 17 chilometri di cantieri tra Sanluri e Nuraminis, oggi l'Anas presenta un cronoprogramma che fa inorridire qualsiasi persona di buon senso;
          si prevedono 900 giorni, a partire da oggi, per realizzare il tratto tra Nuraminis e Serrenti, 6 mesi per completare un ponte praticamente finito, asfaltare un tratto di strada già definito in gran parte dell'intervento;
          tutto ciò è inaccettabile sul piano tecnico, su quello amministrativo e su quello politico;
          se questi tempi dovessero essere proiettati sul tratto tra Oristano e Sassari la Carlo Felice potrebbe essere conclusa entra 30 anni, nel 2044;
          per cancellare quella vergogna servivano altre procedure e soprattutto altra tempistica;
          si devono imporre cantieri giorno e notte, senza alcun tipo di deroga, proprio per la gravità della situazione che ha provocato un danno senza precedenti;
          non solo non si prevedono cantieri h24, su tre turni, ma si dispongono tempi di realizzazione degli interventi che sono sul piano tecnico destituiti di ogni ragionevole buon senso;
          il Governo deve disporre nuove tempistiche proprio per porre tardivo rimedio al disastro viario di questi ultimi dieci anni. Lo deve fare senza perdere altro tempo;
          in qualsiasi parte del mondo un'arteria di quella rilevanza non avrebbe mai provocato un disagio per un tempo infinito come quel tratto di 17 chilometri della strada statale 131;
          si tratta di cantieri che hanno 8 anni di storia di lavori iniziati e mai conclusi, di revisioni progettuali, di varianti, di ritardi e contenziosi;
          è la dimostrazione che il sistema degli appalti e dei cantieri Anas è totalmente inadeguato;
          si tratta di un sistema che non può più essere tollerato;
          si tratta di opere orizzontali e lineari, con espropri già effettuati, cantieri già aperti, tracciati stradali già definiti;
          nonostante questo per il tratto tra Serrenti e Nuraminis, dopo 8 anni, si prevedono tempi da oggi di 900 giorni per la sua conclusione, 9 metri al giorno;
          tutto questo con giustificazioni di revisioni progettuali che appaiono, destituite di fondamento, visto che su quegli stessi progetti la stessa Anas aveva bandito le precedenti gare;
          appare evidente che adeguamenti progettuali sono possibili ma nessuno di questi giustifica tempi di questa portata;
          un tratto di strada, quello tra, Serrenti e Nuraminis, secondo il crono programma Anas, dovrebbe concludersi nel dicembre 2016;
          una data inaccettabile proprio per la tipologia dell'opera e la possibilità di realizzarla su più fronti di realizzazione, trattandosi di opera orizzontale;
          analoga situazione nel ponte di Villasanta;
          nel caso del ponte di Villasanta si tratta di un'opera in avanzato stato di realizzazione seppur con ritardi di anni;
          il ripristino del cantiere, il recupero delle opere già realizzate e il loro completamento non può in alcun modo giustificare i 180 giorni di cantiere previsti;
          rispetto ai documenti progettuali che si allegano si è, inoltre, in ritardo di tre mesi ancor prima di iniziare. I lavori dovevano partire il primo aprile, ma era evidentemente uno scherzo, visto che ad oggi non c’è traccia di cantiere riaperto;
          si registra un malcostume che si reitera e che vede le opere pubbliche in balia di tempistiche discrezionali ingiustificate e ingiustificabili;
          tutto questo deve essere radicalmente modificato;
          una strada dorsale come la 131 è opera strategica e fondamentale e non può in alcun modo accettare tempi biblici;
          si aggiunge a tutto ciò l'ennesima perdita di tempo che l'Anas e il governo reiterano sul tratto dal chilometro 109 al chilometro 210;
          si prendono e perdono mesi e mesi per valutare progetti, e poi chiederanno mesi e mesi per gli adeguamenti, tutto questo con l'unico obiettivo di perdere tempo e sfuggire alle proprie responsabilità;
          si tratta di progetti che posso essere revisionati in tempi rapidissimi e cantierati in tempi immediati considerato che esistono risorse ingenti inutilizzate e da programmare, sulle quali pesa l'obbligo di riequilibrio negli stanziamenti considerato che la Sardegna è la regione che in questi ultimi dieci ha preso in proporzione una cifra irrisoria rispetto a quella che gli spettava;
          alla Sardegna, inoltre, spetta la quota parte delle risorse stanziate anche per le autostrade italiane;
          il fatto che la Sardegna non ha autostrade non significa che non debba disporre della propria quota finanziaria per le arterie principali. È una consuetudine che va radicalmente modificata senza perdere altro tempo  –:
          se non ritenga di dare disposizioni immediate all'Anas per modificare radicalmente il cronoprogramma relativo ai cantieri vergogna della strada statale 131 tra Sanluri e Nuraminis;
          se non ritenga, proprio alla luce dei ritardi sin qui accumulati di assumere iniziative affinché si disponga l'esecuzione delle opere ricorrendo al triplo turno h24/7 che consenta entro l'anno di finire completamente le opere cantierate;
          se non ritenga di promuovere procedure d'urgenza ed emergenziali visto che le stesse condizioni di sicurezza dell'arteria imporrebbero tempi urgenti per l'esecuzione delle opere;
          se non ritenga di dover assumere iniziative per un più ampio e adeguato riparto dei fondi destinati alle infrastrutture viarie a partire dai fondi destinati alla gestione autostradale;
          se non ritenga di dover verificare l'esigenza di individuare risorse finanziarie adeguate a riequilibrare il riparto dei fondi infrastrutturali che hanno visto la Sardegna gravemente penalizzata (5-03141)

Interrogazione a risposta scritta:


      FABRIZIO DI STEFANO e RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti concernente gli esecutori dei lavori pubblici, emesso nello scorso mese di aprile, sono state escluse dal novero delle categorie specialistiche di lavori a qualificazione obbligatoria, alcune categorie di quelli ritenuti non così complessi da configurare la necessità di dover ricorrere ad operatori specificatamente attrezzati dal punto di vista delle conoscenze scientifiche, professionali ed organizzative per la loro progettazione e realizzazione;
          tale norma comporta che i lavori rientranti nelle categorie interessate potranno d'ora in avanti essere eseguiti da aziende in possesso di una qualificazione meno specialistica non indicando tuttavia alcuna forma di salvaguardia delle imprese titolari di qualificazione nelle categorie specialistiche;
          non risulta assolutamente chiaro il criterio discriminatorio che ha guidato la scelta nell'individuazione delle cosiddette categorie superspecialistiche, generando una situazione che comporta che le imprese titolari di qualificazione nelle categorie specialistiche discriminate si troveranno, da un giorno all'altro, senza il titolo referenziale che ha loro consentito finora di operare, vanificando il frutto del lavoro di decenni e mettendo in discussione il mantenimento di migliaia di posti di lavoro;
          sembra agli interroganti assolutamente improprio e fuori da ogni logica la volontà del legislatore di allargare il mercato a determinate tipologie di opere ex specialistiche ad imprese a competenza generale, escludendo proprio quelle che hanno sviluppato negli anni una consolidata esperienza proprio nella progettazione e realizzazione di queste specifiche opere cosiddette ex specialistiche;
          le sopramenzionate aziende non temono la concorrenza di quelle dotate di minore know-how nel settore di loro specifica competenza, ma non per questo possono accettare di essere poste in condizione di oggettiva inferiorità o subalternità rispetto ad imprese meno qualificate quando si opera nei settori di propria competenza  –:
          come il Governo intenda intervenire per consentire alle suddette imprese, che hanno acquisito una consolidata esperienza, di continuare ad operare nel settore di specifica competenza e per le categorie d'importo acquisite e come intenda porre rimedio ad un panorama normativo che riduce le possibilità di operare per le imprese specializzate in un determinato settore favorendo quelle meno qualificate. (4-05341)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


      SANTERINI, GITTI e SBERNA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'ufficio immigrazione della questura di Brescia gestisce il più alto numero di immigrati rispetto alla popolazione residente dell'intero Paese, circa 168.000 extracomunitari e più di 20.000 comunitari nella provincia (secondo le stime ponderate elaborate dall'università Cattolica di Brescia su base dati forniti dal Ministero dell'interno e dall'anagrafe dei comuni), su 1.250.000 abitanti circa;
          questo dato pone la provincia (e ancora più il capoluogo) di Brescia, per numeri relativi, al primo posto nazionale e, per numeri assoluti, tra il terzo e il quarto posto (dopo Roma e Milano, con Napoli e prima di Torino, Genova, Firenze, e altri);
          a fronte di quanto premesso tuttavia le forze in termini di dotazioni organiche dello sportello unico per l'immigrazione della prefettura e dell'ufficio immigrazione della Questura appaiono assolutamente insufficienti a far fronte alla massa di istanze di emersione, regolarizzazione, ricongiungimento, rinnovo e cittadinanza. I tempi di attesa per gli immigrati e per i datori di lavoro sono diventati davvero insostenibili specie per ciò che attiene alle pratiche dello sportello unico per l'immigrazione che sono ragguardevoli e comportano pesanti ricadute sulla vita degli immigrati onesti, favorendo invece coloro — italiani e non — che speculano su tali ritardi;
          i ritardi e la massa di eventuali probabili rigetti per le emersioni (stimati tra un terzo e la metà rispetto alle 5.670 richieste di emersione presentate a Brescia) possano causare problematiche serie all'ordine pubblico come avvenne in passato (anni 2000-2001 e poi ancora novembre/dicembre 2010) e giova precisare che ancora oggi non sarebbero state definite con concessione o diniego circa due terzi delle pratiche;
          nel luglio 2013, a seguito di un procedimento penale, sono stati notificati dalla procura della Repubblica di Brescia 139 avvisi di garanzia e chiusura delle indagini per gravi reati nella gestione delle pratiche di emersione, che ha visto tra gli indagati tutti coloro che sono stati impiegati presso lo sportello unico per l'immigrazione di Brescia negli ultimi anni (35 operatori) e detto procedimento non ha ancora portato ad alcun rinvio a giudizio o proscioglimento con ovvio grave pregiudizio per il regolare andamento dell'ufficio e per la tranquillità di chi vi lavora;
              è opportuno ricordare che il decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011 n.  179 ha introdotto l'accordo di integrazione nel testo unico sull'immigrazione, sulla premessa che la reale inclusione sociale si realizza attraverso la conoscenza dei principi fondamentali dello stato ospitante, dei valori espressi dalla Costituzione e dal funzionamento delle istituzioni pubbliche; conoscenza che costituisce premessa di agire giuridicamente corretto da parte del cittadino straniero che vuole e deve integrarsi. La direttiva congiunta del Ministro dell'interno e Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione recante le linee di indirizzo per l'applicazione del citato decreto del Presidente della Repubblica n.  179 del 2011 emanata il 2 marzo 2012 aveva previsto il completamento della già avviata interconnessione informatica (tra interno e giustizia) con il casellario giudiziale e il casellario dei carichi pendenti, della quale si chiede notizia nella considerazione che tale strumento informatico renderebbe più celere il procedimento amministrativo di rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno poiché ovvierebbe alle lungaggini comunicative cartacee tra i due ministeri e i relativi uffici periferici  –:
          quali urgenti iniziative intenda adottare per consentire agli uffici della questura di Brescia di poter operare in modo efficiente e di evitare tutte le criticità esposte in premessa. (3-00921)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CURRÒ, D'INCÀ, CARIELLO, CASO, CASTELLI, SORIAL, BRUGNEROTTO e NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 15 ottobre 2013, n.  120, convertito dalla legge 13 dicembre 2013, n.  137, ha disposto, al comma 2 dell'articolo 1, l'istituzione di un Fondo con una dotazione finanziaria di 190 milioni di euro per il 2013 al fine di fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all'eccezionale afflusso di stranieri sul territorio nazionale;
          il medesimo comma stabilisce che le predette risorse debbano essere ripartite con decreto del Ministro dell'interno, previa intesa con il Ministro dell'economia e finanze, anche tenendo conto delle esigenze di accoglienza delle donne straniere in stato di gravidanza e delle problematiche dei comuni di Lampedusa e Linosa, maggiormente esposti nella accoglienza degli stranieri;
          il comma 2-bis del suddetto articolo ha disposto altresì che; «al fine di assicurare la trasparenza nell'uso delle risorse pubbliche, entro il 31 marzo 2014 il Ministro dell'interno presenta una relazione alle Camere per illustrare lo stato di utilizzo e gli effettivi impieghi, sia delle risorse assegnate ai sensi del comma 2 del presente articolo, sia di quelle assegnate ai sensi dell'articolo 6, comma 5, del decreto-legge 14 agosto 2013, n.  93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n.  119»;
          all'interrogante preme segnalare che in occasione di un precedente atto di sindacato ispettivo – numero 5-01325 Nuti – il Ministro interrogato, in data 30 ottobre 2013, ha dichiarato, in risposta: «ricordo, inoltre, che il Fondo di 190 milioni di euro, menzionato nell'atto di sindacato ispettivo, è attualmente in corso di istituzione per fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all'eccezionale flusso di stranieri sul territorio nazionale. Per il dipartimento della pubblica sicurezza è prevista l'attribuzione di circa 160 milioni di euro da destinare alla copertura di esigenze correnti di funzionamento, che non possono essere finanziate con risorse economiche di provenienza comunitaria. I rimanenti 30 milioni verranno destinati all'accoglienza degli stranieri.»;
          a tutt'oggi, da un'interrogazione effettuata al sistema informativo della Ragioneria generale dello Stato sul capitolo 3009 dello stato di previsione del Ministero dell'interno relativo al suddetto Fondo risulta che le relative risorse non siano state allo stato ancora ripartite, né tantomeno impegnate;
          tale stato di cose risulterebbe fortemente in contrasto con le dichiarazioni rilasciate nel mese di aprile dal ministro interrogato in ordine «ad una rapida e ingestibile escalation migratoria» e al contestuale allarme lanciato pubblicamente sugli afflussi massicci di immigrati;
          si rileva, inoltre, che il Ministro interrogato non abbia trasmesso al Parlamento la Relazione sopra citata  –:
          se e con quali tempi intenda adottare iniziative volte ad ottemperare agli obblighi di legge richiamati in premessa, in particolare procedendo alla ripartizione delle suddette risorse anche in considerazione della straordinaria ondata migratoria degli ultimi giorni e delle previsioni in crescita del fenomeno degli sbarchi durante il periodo estivo. (5-03134)


      LUIGI GALLO, FRACCARO, NUTI, DADONE, COZZOLINO, LOMBARDI, D'AMBROSIO, COLLETTI, MICILLO, COLONNESE e SIBILIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il comune di Torre Annunziata è stato di recente oggetto di attività ispettiva da parte della prefettura di Napoli che, a seguito di quanto verificato dal viceprefetto Raffaele Sirico, ha individuato una serie di criticità sull'andamento dell'amministrazione locale che, a quanto riferiscono taluni organi di stampa locale, sarebbero di estrema gravità e per risolvere le quali sarebbe stato demandato al sindaco il compito di intervenire in modo risolutivo entro un termine determinato;
          è difatti, a fronte della riservatezza di cui sono connotate le prescrizioni formulate, dalla prefettura all'amministrazione torrese, anche di recente il giornale MetropolisWeb nell'articolo datato 19 giugno 2014 «Torre Annunziata, torna l'incubo dello scioglimento del consiglio», ha potuto dar conto con dovizia di particolari e dettagli di tutte le gravissime irregolarità che il sindaco dovrebbe celermente risolvere per non incorrere nello scioglimento e sospensione del consiglio comunale, prescritto dall'articolo 141, lettera a) del testo unico di qui al decreto legislativo 267 del 2000, che sanziona gli atti perpetrati dalle amministrazioni locali contrari alla Costituzione, le gravi e persistenti violazioni di legge, nonché i gravi motivi di ordine pubblico;
          nello specifico, il richiamato organo di stampa ha potuto specificare che le prescrizioni prefettizie sarebbero contenute in due liste separate delle quali una prima indirizzata in maniera «riservata» al Sindaco e la seconda da notificare anche ai consiglieri comunali, con specifici appunti rubricati dal numero uno al numero sette-bis;
          alla base dei gravi rilievi formulati dalla prefettura ci sarebbero la necessità di procedere ad un'attenta analisi della posizione dei dipendenti condannati nell'ambito del procedimento in relazione agli episodi di assenteismo; la necessità di garantire l'amministrazione comunale da condizionamenti esterni con conseguente compromissione del funzionamento dei servizi in ragione di collegamenti tra alcuni dipendenti e la criminalità locale; la necessità di regolarizzare i servizi cimiteriali che allo stato risulterebbero di fatto monopolizzati da talune ditte, con incidenza sulla regolarità degli appalti della gestione dei servizi ed anomalo e disinvolto ricorso al sistema del subappalto. Gravi criticità 4 presenterebbero anche talune concessioni demaniali, tanto che si richiederebbero interventi su diversi procedimenti e provvedimenti sottesi all'emanazione delle stesse; parimenti irregolari sarebbero risultate diverse autorizzazioni rilasciate a determinati esercizi commerciali e pubblici;
          altre problematiche che dovrebbero essere connotate da «massima riservatezza» sarebbero inerenti all'abbattimento di taluni abusi edilizi di particolare gravità;
          nel complesso, ciò che emergerebbe anche in quest'ultima vicenda che interessa il comune di Torre Annunziata è una situazione di diffusa e radicata illegalità nella gestione amministrativa locale a cui non solo non si pone argine efficace, ma nei confronti della quale ci si approccia in maniera tanto superficiale da essere incapaci sin'anche di preservare la doverosa riservatezza su questioni tanto gravi;
          peraltro, questa vicenda si assomma ad una serie di eventi inquietanti che hanno interessato negli ultimi tempi il comune vesuviano che ha visto la rimozione dal suo incarico, nel luglio 2011, del dirigente dell'ufficio tecnico comunale, ingegnere Corrado Orrico, che ha denunciato alla procura della Repubblica di Torre Annunziata gravi episodi di sprechi di risorse pubbliche e interferenze continue ed anomale nella gestione dei lavori pubblici da parte di politici locali;
          ancora, già in occasione delle elezioni amministrative del 2012 vennero formulati esposti per denunciare reiterate irregolarità presso i seggi elettorali sulle quali, a quanto è dato sapere, sarebbero ancora in corso indagini da parte della procura competente, che vedrebbero coinvolti esponenti di un clan camorristico locale;
          infine, diffusa perplessità ha suscitato nell'opinione pubblica locale la vicenda del sostituto commissario Antonio Troiano in servizio presso il commissariato di polizia di Torre Annunziata che, dopo un'intensa attività investigativa spesa per fare luce su talune delle predette inquietanti vicende, risulterebbe destinatario di un sorprendente provvedimento di sollevamento dall'incarico e trasferito ad altra sede con incarichi non equivalenti  –:
          se, alla luce dei fatti esposti in, premessa, il Ministro interrogato non ritenga che sussistano presupposti per lo scioglimento immediato del comune di Torre Annunziata la causa della «fuga di notizie» sulle prescrizioni formulate in «via riservata» dalla commissione d'accesso prefettizia che ha vagliato l'attività amministrativa degli ultimi anni del comune, assumendo a contempo le iniziative indispensabili per potenziare invece di ridurre gli operatori delle forze dell'ordine per colpire tutti i gravi condizionamenti dell'amministrazione locale e, quelle limitrofe. (5-03143)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI GIOIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          una bomba carta è stata fatta esplodere, nella notte fra sabato 28 e domenica 29 giugno 2014, nei pressi dell'abitazione dell'esponente del PSI e consigliere comunale, Massimo Chiumento, a San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia;
          l'esplosione ha provocato ingenti danni e, fortunatamente, non vi sono state ripercussioni sulle persone poiché il consigliere comunale e la sua famiglia si trovavano, in quei giorni, in vacanza;
          nelle vicinanze del luogo dell'esplosione è stata trovata una lettera nella quale sarebbe stato trovato un proiettile e un messaggio con il quale s'intimava a Massimo Chiumento di sparire dalla circolazione;
          questo gravissimo episodio s'inquadra all'interno di un’escalation di attentati che stanno colpendo la cittadina e gli esponenti politici allo scopo di creare un clima di paura e d'intimidazione utile a stabilire il controllo della criminalità sull'intero territorio;
          solo pochi giorni fa era stato portato a termine un attentato simile nei confronti di un altro consigliere di opposizione ed era stata data alle fiamme un'auto della ASL;
          quanto accade a San Giovanni Rotondo è evidentemente all'interno di una strategia più ampia tesa al controllo criminale dell'intera regione Puglia, così com’è facilmente deducibile dalle conclusioni cui è giunta la «Commissione parlamentare d'inchiesta del Senato sul fenomeno degli atti intimidatori agli amministratori locali»;
          durante i due giorni di audizioni in prefettura a Bari si è delineato un quadro che definire preoccupante appare del tutto insufficiente rispetto alla gravità oggettiva della situazione;
          la regione Puglia, con 143 episodi che si sono consumati nel 2013, è la prima in Italia quanto a minacce ed intimidazione contro i pubblici amministratori locali e la Capitanata è la provincia che detiene il triste record in questo campo;
          gli episodi denunciati non si riferiscono solo alla criminalità organizzata ma anche a singoli fatti compiuti da persone insospettabili che, colpite in vari modi dalla crisi economica persistente, reagiscono con rabbia colpendo gli amministratori pubblici;
          a questo si aggiungono, a completare una situazione che appare sempre più esplosiva socialmente, le giuste rimostranze delle forze dell'ordine e degli amministratori che denunciano la scarsità di risorse sia umane sia materiali che impediscono di portare a termine, in maniera compiuta, una forte azione di contrasto alla criminalità locale;
          il rischio concreto è che, a fronte di un'insufficiente reazione e presenza dello Stato, possa radicarsi con più forza, in Puglia e, in particolare, nella Capitanata, la criminalità organizzata;
          non si possono tacere, in questo senso, le gravi decisioni che sono state prese, a totale discapito del territorio della Capitanata, privando lo stesso di importanti opere pubbliche che avrebbero potuto determinare il rilancio dell'economia locale e la cui cancellazione rischia di favorire, al contrario, il radicamento della criminalità sul territorio  –:
          come s'intenda agire, con la dovuta rapidità, al fine di stroncare il tentativo di controllo criminale di una città come San Giovanni Rotondo, famosa in tutto il mondo per la sua valenza religiosa e turistica, e, nello stesso tempo, mettere in sicurezza gli amministratori locali che rappresentano le istituzioni sul territorio e che non possono essere lasciati in balia di atti intimidatori e violenti;
          come s'intenda intervenire, più in generale nella regione Puglia e nella Capitanata, sia in termini di mezzi che di uomini delle forze dell'ordine, per far sì che i cittadini non si sentano abbandonati a sé stessi e si dia il via ad una lotta più organizzata e costante nei confronti di una criminalità che sembra farsi beffa dello Stato e delle sue rappresentanze istituzionali;
          se non si ritenga necessario, infine, accompagnare il rafforzamento dell'attività investigativa e repressiva nei confronti della criminalità, a una ripresa ragionata dell'economia del territorio, a partire dal rilancio del sistema infrastrutturale, per impedire che la disperazione sociale, prodotta dalla crisi economica, possa rappresentare un anello di congiunzione tra il territorio e la criminalità. (4-05344)


      FRATOIANNI, DURANTI e PANNARALE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il 9 maggio 2013 nel Comune di Terlizzi (BA) venivano tratti in arresto, sulla base di un'ordinanza di custodia cautelare della Procura della Repubblica di Trani (BAT), la dirigente del settore servizi finanziari e risorse del comune, Francesca Panzini, e il presidente del consiglio di amministrazione della società Censum spa, Vito Redavid;
          i due soggetti si sarebbero resi responsabili dei reati di tentata concussione, peculato e abuso d'ufficio nella gestione e riscossione dei tributi comunali;
          in data 7 giugno 2013 il tribunale del riesame di Bari ha annullato l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero. A tutt'oggi, la dirigente risulta indagata dalla procura di Trani per i reati contestati nell'ordinanza di custodia cautelare;
          a seguito della revoca degli arresti domiciliari, l'amministrazione comunale in data 5 agosto 2013 ha riposizionato la dirigente del settore servizi finanziari e risorse nel ruolo che ricopriva prima dell'arresto, fatto questo alquanto singolare;
          la Censum spa è una società di gestione in concessione delle attività di liquidazione, di accertamento e di riscossione di tutte le entrate tributarie delle amministrazioni pubbliche, la quale risulta essere iscritta all'Albo dei gestori dell'accertamento e della riscossione dei tributi locali (ai sensi dell'articolo 53 del decreto legislativo n.  446 del 1997);
          i fatti che vengono loro contestati riguardano i tributi incassati nel 2008, 2009 e 2010 i quali venivano riversati all'ente pubblico con notevole ritardo (in media 230 giorni con un picco di 512 giorni, al fine di far maturare gli interessi sul capitale distratto). Inoltre, le somme introitate nel periodo che va dall'aprile del 2010 al giugno del 2011, per un importo complessivo pari a 2.283.517,00 euro, sarebbero state fatte transitare su un conto corrente intestato ad un società finanziaria riconducibile ai dirigenti della società concessionaria del servizio di riscossione, permettendo, di fatto, la distrazione di denaro pubblico utilizzato per fini finanziari;
          tra il 2011 e il 2012 si sarebbero appropriati indebitamente dei versamenti dei tributi locali per un ammontare di circa 1.2 milioni di euro, senza mai versarli nelle casse comunali. L'inchiesta nasce dagli accertamenti della Guardia di Finanza avviati nel 2008 a seguito dei casi delle cosiddette «cartelle pazze», con cui venivano chiesti ai contribuenti di pagare tributi locali che in realtà erano stati già versati. Una funzionaria comunale del medesimo settore, che si era accorta di alcune anomalie ed aveva informato la dirigente, Francesca Panzini, venne allontanata dal servizio. Fondamentali ai fini dell'inchiesta sono state le intercettazioni telefoniche tra la dirigente e il presidente del consiglio di amministrazione della società di riscossione, Vito Redavid;
          il 31 dicembre 2012 scadeva il contratto di riscossione dei tributi con la Censum spa. Il contratto non era stato rispettato in più parti e la società di riscossione non aveva versato al Comune di Terlizzi la somma di 1.115.000 euro, ma nonostante la scadenza del contratto, l'amministrazione comunale decise di riaffidare, con una proroga di sei mesi, sempre alla Censum spa fino al 30 giugno 2013, il servizio tributi;
          l'amministrazione comunale e la dirigente del settore servizi finanziari e risorse, chiesero alla Censum spa quale garanzia una fidejussione. La fidejussione fu stipulata con la società Confiditalia per un importo di un milione di euro e la garanzia avrebbe dovuto coprire il periodo dei sei mesi di proroga, tra l'altro, con una somma data in garanzia inferiore alla situazione debitoria della società nei confronti del comune;
          non è stato possibile recuperare il milione di euro garantito dalla Confiditalia con la fidejussione perché, come si legge dal verbale dell'udienza tenutasi il 18 dicembre 2013 presso il Tribunale di Bari, la società «...versa in un grave stato di insolvenza...» e che «...non esercita più da diversi mesi...» oltre al fatto che «...le è stata revocata dalla Banca d'Italia l'autorizzazione a prestare fidi e sono stati distratti rilevanti cespiti attivi in danno ai creditori...»;
          con delibera di giunta n.  89 del 18 giugno 2014, il 20 giugno la dirigente del settore servizi finanziari e risorse del comune, Francesca Panzini, è stata nominata comandante della polizia municipale, sarà la dirigente che assisterà l'assessorato alla Legalità e la dirigente che adempirà ai delicati compiti di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, oltreché continuare a dirigere il settore finanziario del Comune di Terlizzi;
          fermo restando il principio di non colpevolezza, di cui all'articolo 27 della Costituzione, comma 2, il procedimento è in corso e, dunque, ancora non sono state accertate le eventuali responsabilità;
          quali iniziative normative intenda promuovere il Ministro dell'interno al fine di disciplinare la materia con lo scopo di impedire a soggetti che si sono resi responsabili di malversazioni nei confronti della pubblica amministrazione di poter continuare ad operare nel medesimo ente, fino alla definizione delle posizioni processuali;
          se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga necessario assumere le necessarie iniziative dirette a valutare la sussistenza dei presupposti per sospendere, se non cancellare la società Censum spa ai sensi dell'articolo 53 del decreto legislativo n.  446 del 1997, dall'Albo dei gestori dell'accertamento e della riscossione dei tributi locali, posto che la società in questione gestisce la riscossione dei tributi in altre amministrazioni territoriali, anche a fronte del fatto che la norma di settore, e i relativi decreti ministeriali, pongono quali condizioni essenziali, ai fini dell'iscrizione e dell'operatività delle società di riscossione, il possesso di adeguati requisiti tecnici e finanziari e la sussistenza di sufficienti requisiti morali. (4-05355)


      GIUSEPPE GUERINI, CARNEVALI, MISIANI e SANGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          l'amministrazione comunale di Bolgare (Bergamo), con delibera di giunta n.  6 del 15 gennaio 2014, ha adeguato la propria tabella dei diritti di segreteria per il settore tecnico, stabilendo un importo di euro 500,00 (euro cinquecento/00) per il procedimento di rilascio della certificazione di idoneità alloggiativa;
          tale adeguamento viene giustificato dall'amministrazione suddetta nel modo seguente: «Rilevato che i fenomeni delittuosi riscontrati, comportano ulteriori gravosi interventi, controlli e verifiche da parte – per quanto riguarda le competenze di questo Comune – del personale degli uffici comunali, al fine di tentare di garantire migliori sicurezza e tranquillità alla popolazione, incolumità pubblica e sicurezza urbana, mediante individuazione delle misure di contrasto e gestione delle misure di prevenzione e di protezione;
          dato atto che i costi della spiegazione di forze e dell'utilizzo di energie fisiche e mentali e funzionali, nonché gli eventuali necessari interventi di sistemazione del patrimonio pubblico danneggiato in caso di infrazioni materiali, sono genericamente addebitate ai cittadini tutti, gravando sulle casse comunali;
          ritenendo dover circoscrivere almeno in parte tale gravame, e ritenendo equo parzialmente addebitarlo alle individualità extracomunitarie che chiedono di essere iscritte nell'Anagrafe Popolazione Residente di questo Comune, mediante riscossione dell'importo dei diritti di segreteria richiesti per il procedimento di rilascio della certificazione di idoneità alloggiativa necessaria ai fini della predetta iscrizione»;
          la misura appare agli interroganti da un lato del tutto sproporzionata se commisurata all'attività effettivamente svolta dagli uffici, e dall'altro palesemente illogica e discriminatoria ove si consideri che la certificazione citata costituisce un adempimento obbligatorio per ogni cittadino di Paese non appartenente alla UE che intenda attivare la procedura di ricongiungimento familiare oppure richiedere l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, e che vedrebbe pertanto pesantemente ostacolato se non addirittura precluso il proprio diritto all'abitazione e all'unità familiare;
          altrettanto illogica e del tutto pretestuosa appare agli interroganti la motivazione posta alla base del provvedimento: non si vede infatti quale sia il nesso causale tra l'intento esplicitato dall'amministrazione de qua di «promuovere e sostenere una riqualificazione sostanziale della vivibilità del paese, del tessuto economico, di interventi strutturali, di riqualificazione urbana» e l'abnorme aumento dell'importo sopra citato  –:
          di quali elementi disponga e se intenda assumere iniziative normative per garantire ai cittadini stranieri residenti o che intendano ottenere l'iscrizione anagrafica la possibilità di esercitare i propri diritti costituzionalmente garantiti senza essere onerati in maniera che agli interroganti appare incongrua. (4-05358)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      VACCA, MARZANA, BATTELLI, SIMONE VALENTE e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          da notizie di stampa si apprende che Benôit Hamon, Ministro dell'istruzione francese, ha deciso di affrontare la questione dei voti a scuola, lanciando una «conferenza nazionale sulla valutazione degli alunni» che dovrà concludere i suoi lavori entro dicembre. Tale impulso deriva principalmente dalla convinzione dello stesso Ministro che il voto, se si trasforma in un fattore paralizzante per lo studente, è meglio che venga sostituito con altre forme di valutazione;
          conseguentemente in Italia è stata prontamente interpellato il presidente dell'invalsi Anna Maria Ajello, che ha dichiarando che «i voti troppo bassi in pagella, come 2 o 3, possono avere un effetto depressivo sull'alunno. Per questo nella prassi anche in Italia alcuni insegnati non mettono mai meno di 4» ribadendo che «non dare voti brutti non significa che non bisogna valutare. Ma che si può fare in un modo diverso. I giudizi sono un modo per informare gli alunni del loro rendimento: se indicano ciò che va bene, ciò che va male e ciò che va migliorato non c’è il rischio di stigmatizzare comportamenti che poi finiscono per etichettare i ragazzi con la tipica frase “non è portato per”»;
          la stessa Ajello comunque sottolinea che dare la sufficienza a tutti è inutile e dannoso perché si rinuncia all'idea che l'impegno produce un cambiamento positivo. L'importante è che l'alunno comprenda le ragioni del giudizio negativo e capisca cosa fare per diventare più bravo;
          le ultime novità in materia valutazione del rendimento scolastico degli studenti sono state introdotte con l'articolo 3 del decreto-legge 1 settembre 2008, n.  137 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n.  169 che ha previsto la valutazione in decimi del rendimento anche nella scuola primaria e secondaria di primo grado;
          lo stesso decreto legge n.  137 del 2008 ha previsto anche la reintroduzione del «voto in condotta» nella scuola secondaria di primo e di secondo grado;
          le disposizioni in materia di valutazione degli studenti sono state coordinate con il regolamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge 1° settembre 2008, n.  137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n.  169 approvando il decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n.  122;
          con la circolare ministeriale n.  89 – Prot. MIURAOODGOS/6751, avente come oggetto la «valutazione periodica degli apprendimenti nelle classi degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado – Indicazioni per gli scrutini dell'anno scolastico 2012-13», si indicava alle istituzioni scolastiche l'opportunità di deliberare che, negli scrutini intermedi delle classi prime seconde e terze, la valutazione dei risultati raggiunti fosse formulata, in ciascuna disciplina, mediante un voto unico, come nello scrutinio finale, sottolineando, come principio ineludibile, che il voto dovesse essere espressione di sintesi valutativa;
          la valutazione dello studente italiano è espressa, sostanzialmente, con valori numerici a partire dalla scuola primaria;
          rispetto a quanto avvenuto in altri paesi europei, il percorso italiano in materia di valutazione dello studente è stato l'opposto in quanto si è passati da un sistema di valutazione basato sui giudizi, per lo meno nella scuola primaria, ad un sistema numerico;
          l'articolo 3, comma 3, del decreto-legge 1 settembre 2008, n.  137 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n.  169 prescrive che nella scuola secondaria di primo grado, sono ammessi alla classe successiva, ovvero all'esame di Stato a conclusione del ciclo, gli studenti che hanno ottenuto, con decisione assunta a maggioranza dal consiglio di classe, un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline;
          il decreto legislativo 19 febbraio 2004, n.  59 ha introdotto, nella scuola dell'infanzia e nel primo ciclo di istruzione il portfolio delle competenze individuali comprendente una sezione dedicata alla valutazione redatta sulla base degli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni e il riconoscimento dei crediti e debiti formativi;
          secondo il decreto ministeriale 22 agosto 2007 n.  139, l'istituzione scolastica certifica, attraverso un documento tecnico, i saperi e le competenze, articolati in conoscenze e abilità, con l'indicazione degli assi culturali di riferimento, ai fini dei passaggi a percorsi di diverso ordine, indirizzo e tipologia nonché per il riconoscimento dei crediti formativi, anche come strumento per facilitare la permanenza nei percorsi di istruzione e formazione;
          le certificazioni di cui sopra, non hanno mai assunto una valenza concreta, ma sono, spesso, un atto formale di scarso valore, mentre la valutazione si concentra sul classico voto in decimi;
          secondo il contenuto di un articolo del quotidiano La Stampa lo scorso 26 giugno 2014, a firma dell’ex Sottosegretario all'istruzione Marco Rossi Doria, la percentuale di bocciati alle scuole superiori si aggira attorno all'11,8 per cento e si boccia soprattutto gli studenti tra i 15 e 16 anni e nelle aree più povere della nazione e povere di istruzione. Di conseguenza la maggior parte di chi viene bocciato entra a far parte del 17,8 per cento di ragazzi che ritroviamo a 25 anni senza diploma o qualifica professionale  –:
          se il Ministro non ritenga opportuno avviare una fase di dibattito sulla valutazione scolastica di ogni ordine e grado. (5-03142)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          la legge di stabilità per l'anno 2014 prevede, all'articolo 1, comma 216, che «All'articolo 81, comma 32, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, le parole: «di cittadinanza italiana» sono sostituite dalle seguenti: «cittadini italiani o di Stati membri dell'Unione europea ovvero familiari di cittadini italiani o di Stati membri dell'Unione europea non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero stranieri in possesso di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo,». Il Fondo di cui all'articolo 81, comma 29, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, è incrementato, per l'anno 2014, di 250 milioni di euro. In presenza di risorse disponibili in relazione all'effettivo numero dei beneficiari, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è determinata una quota del Fondo da riservare all'estensione su tutto il territorio nazionale, non già coperto, della sperimentazione di cui all'articolo 60 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n.  5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n.  35. Con il medesimo decreto sono stabiliti le modalità di prosecuzione del programma carta acquisti, di cui all'articolo 81, commi 29 e seguenti, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, in funzione dell'evolversi delle sperimentazioni in corso, nonché il riparto delle risorse ai territori coinvolti nell'estensione della sperimentazione di cui al presente comma. Per quanto non specificato nel presente comma, l'estensione della sperimentazione avviene secondo le modalità attuative di cui all'articolo 3, commi 3 e 4, del decreto-legge 28 giugno 2013, n.  76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n.  99. Il Fondo di cui all'articolo 81, comma 29, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, è incrementato di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014-2016 ai fini della progressiva estensione su tutto il territorio nazionale, non già coperto, della sperimentazione di cui all'articolo 60 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n.  5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n.  35, intesa come sperimentazione di un apposito programma di sostegno per l'inclusione attiva, volto al superamento della condizione di povertà, all'inserimento e al reinserimento lavorativi e all'inclusione sociale;
          tale strumento innovativo stabiliva per la prima volta un principio di politica di contrasto alla povertà settore in cui l'Italia purtroppo risulta essere agli ultimi posti nell'Unione europea;
          si tratta di risultato importante in quanto a partire dal secondo semestre del 2014 questa misura di contrasto alla povertà, ispirata al principio dell'inclusione attiva, con cui si confronteranno contemporaneamente tutte le amministrazioni locali, anche quelle che fino ad ora non hanno avuto alcuna esperienza circa la presa in carico dei beneficiari di programmi sociali e la costruzione per essi di piani personalizzati dovrebbe vedere la luce;
          la copertura ammonta a 50 milioni di euro per le 12 città con più di 250 mila abitanti in cui già è stata avviata a cui vanno aggiunti 140 milioni, più 70 milioni di euro per tutto il territorio delle regioni meridionali, più 40 milioni di euro per l'avvio della sperimentazione anche nelle regioni del centro nord;
          si è giunti nel mese di giugno 2014 e tuttavia questa misura non ha ancora visto il via;
          i dati sulla povertà soprattutto nel Mezzogiorno sono molto critici e necessitano di una risposta immediata;
          l'avvio della sperimentazione sarebbe un fatto molto rilevante per recuperare dalla marginalità fasce significative di popolazione soprattutto famiglie con minori e persone anziane a carico  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda adottare per rendere operativo lo strumento della inclusione attiva e se sia altresì già previsto un cronoprogramma per il Mezzogiorno con le amministrazioni che sono in grado di partire per la sperimentazione di tale strumento di contrasto alla povertà.
(2-00609) «Burtone, Fassina, Anzaldi, Lauricella, Greco, Cova, D'Incecco, Casati, Albanella, Cardinale, Caruso, Cani, De Mita, Amato, Marco Di Stefano, Vecchio, Bray, Capone, Pisicchio, Murer, Boccuzzi, Capozzolo, Garofani, Scanu, Raciti, Moscatt, Gullo, Capodicasa, Bruno, Marco Meloni, Piepoli, Ventricelli, Zappulla».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      ROSTELLATO, RIZZETTO, COMINARDI, CIPRINI, BECHIS, CHIMIENTI, BALDASSARRE, TRIPIEDI, DA VILLA, CRIPPA, PRODANI, DELLA VALLE, FANTINATI, MUCCI, VALLASCAS e PETRAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il comma 4 dell'articolo 1 del decreto-legge 20 maggio 1993, n.  148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n.  236, aveva consentito l'iscrizione nelle liste di mobilità dei lavoratori licenziati dalle imprese, anche artigiane o cooperative di produzione e lavoro, che occupano meno di 16 dipendenti, per giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro nonché dei lavoratori licenziati per riduzione di personale che non fruiscano dell'indennità di mobilità, prevista dall'articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n.  223. Tale operazione consentiva alle aziende di usufruire di alcune agevolazioni connesse all'instaurazione di rapporti di lavoro con i soggetti iscritti nella cosiddetta «piccola mobilità». Nonostante la crisi, questo tipo di agevolazione era stata utilizzata da molte piccole e medie aziende sane che, dati i benefici contributivi che ne derivavano, potevano permettersi di prendersi in carico un nuovo dipendente e di toglierlo dallo status di disoccupato, dando così beneficio sia allo Stato che all'intera collettività;
          la disposizione in questione era stata più volte prorogata, sino alla legge n.  92 del 2012, cosiddetta legge Fornero, con la quale si elimina la possibilità per i lavoratori licenziati di iscriversi alle liste della piccola mobilità;
          nel vuoto normativo che si è in tal modo venuto a creare, l'INPS detta le prime disposizioni pubblicando prima la circolare n.  13 del 2013, con la quale esplicitava che «Per l'anno 2013 non è stata prorogata la possibilità di iscrizione nelle liste di mobilità dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo, per i quali non ricorrono le condizioni per l'attivazione delle procedure di mobilità e che quindi per l'anno 2013, non sarà possibile fruire delle agevolazioni previste dalla legge n.  223 del 1991» poi con la circolare n.  150, del 25 ottobre 2013 precisa che «in merito alla mancata proroga della possibilità di iscrizione nelle liste di mobilità dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo e degli incentivi riservati al loro reimpiego» (cosiddetta piccola mobilità);
          non sono riconosciute le agevolazioni per le assunzioni, effettuate nel 2013, di lavoratori licenziati prima del 2013;
          non è possibile riconoscere le agevolazioni per le proroghe e le trasformazioni a tempo indeterminato, effettuate nel 2013, di rapporti agevolati instaurati prima del 2013;
          è anticipata al 31 dicembre 2012, in via cautelare, la scadenza dei benefici connessi a rapporti agevolati, instaurati prima del 2013 con lavoratori iscritti nelle liste di mobilità a seguito di licenziamento individuale;
          con ultimo messaggio n.  2889 l'INPS informa che a far data del 15 settembre 2014 verranno emesse le note di rettifica ai fini del recupero delle ex agevolazioni previste per chi ha assunto nel 2012 lavoratori provenienti dalla cosiddetta «piccola mobilità»  –:
          complessivamente a quanto ammonti l'importo totale che le aziende interessate devono restituire all'INPS;
          quale sia il numero esatto sia delle aziende che dei dipendenti coinvolti nella situazione su esposta;
          cosa si intenda fare, nell'immediato, per evitare che le aziende che hanno usufruito delle agevolazioni debbano restituire i benefici di cui hanno goduto secondo il principio del legittimo affidamento in buona fede, dato che non vi è stata né da parte dello Stato né da parte degli organi di competenza preposti nessuna segnalazione espressa in merito al mancato rifinanziamento della misura agevolativa. (5-03130)


      BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          dalla relazione annuale della Corte dei conti su «Determinazione e relazione della Sezione del Controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2009», depositata in data 10 novembre 2010, emergono criticità;
          a pagina 61 della suddetta relazione, in merito alle inusuali forme di provvista del personale, si legge: «Gli incarichi “Sinergie tra gli enti istituzionali” presso l'Ufficio studi e ricerche, “Consulenze di carattere legale e contenzioso” e “Bilancio, patrimonio, flussi contabili e relativa reportistica” presso l'ufficio di segreteria della Presidenza dell'Istituto risultano attribuiti a unità dirigenziali con le seguenti qualificazioni: il primo, sessantenne, dirigente di seconda fascia a tempo determinato presso il vigilante Ministero del lavoro; il secondo, abilitato all'esercizio della professione forense da neppure un quinquennio e con prevalenti esperienze presso uno studio notarile fino al 2009; il terzo, esperto di controllo di gestione e pianificazione strategica presso un cementificio eugubino.»;
          tali suddetti incarichi sono stati attribuiti — come segnalato a pagina 62 della stessa relazione della Corte dei conti — dall'allora presidente INPS Antonio Mastrapasqua, dimessosi dall'incarico nei primi mesi del 2014 a seguito di alcune inchieste a suo carico riportate dai maggiori organi di informazioni nazionali;
          come rilevato dalla relazione della Corte dei conti i procedimenti attuati per le nomine dei tre soggetti appaiono perlomeno inusuali, con la raccomandazione di «evitare rischi di duplicazioni di procedimenti e aggravi di spesa correlati»  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
          se il Ministro interrogato possa verificare se i tre soggetti richiamati nella relazione della Corte dei conti siano attualmente in organico a INPS — con incarichi di qualsiasi natura — e se altresì non ritenga necessario attuare una verifica formale delle procedure con cui sono stati attribuiti tali incarichi dall'allora presidente dell'istituto Antonio Mastrapasqua;
          se il Ministro interrogato ritenga che i tre soggetti segnalati dalla relazione della Corte dei conti non possano in qualche modo essere «duplicati» — con conseguenti aggravi di spesa — di professionalità già interne all'Istituto stesso (come si legge nella relazione suddetta a pagina 61 e 62);
          se il Ministro interrogato intenda verificare l'esistenza di altri soggetti professionali all'interno dell'INPS che hanno avuto — e hanno tutt'ora — analoghe criticità nell'assegnazione di incarichi di qualsiasi natura. (5-03135)


      VALLASCAS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          è attiva dal 1984 in Sardegna l'emittente televisiva Sardegna 1 che ha rappresentato negli anni, per qualità della programmazione e professionalità degli addetti, una garanzia di pluralismo in un contesto regionale caratterizzato sempre più dalla sostanziale centralità del gruppo Unione Sarda spa proprietario del quotidiano regionale a stampa L'Unione Sarda, delle emittenti televisive regionali Videolina e TCS e dell'emittente radiofonica regionale Radiolina;
          l'emittente attraversa da diverso tempo una fase di profonda crisi economica che ha avuto gravi ripercussioni nella gestione, nell'erogazione regolare degli stipendi al personale e nella programmazione del palinsesto, con un conseguente e progressivo blocco totale delle attività;
          il 4 febbraio 2014, la proprietà ha annunciato l'avvio delle procedure di licenziamento collettivo per 13 unità lavorative su un organico di 27 dipendenti (uno dei dipendenti è escluso dal procedimento perché socio di maggioranza, mentre i licenziamenti si sono ridotti a 12 per le dimissioni di uno dei destinatari della procedura);
          il 23 aprile si è chiusa, con un verbale di mancato accordo, la fase amministrativa prevista dalla procedura di licenziamento collettivo (legge n.  223 del 1991), da quel momento sono decorsi i 120 giorni di tempo a disposizione dell'azienda per procedere con i licenziamenti;
          il 28 maggio 2014 l'azienda ha chiesto l'accesso al concordato preventivo;
          dal 31 maggio al 10 giugno è stata completata la procedura di riduzione del personale con l'invio della lettera di licenziamento a 12 dipendenti (4 giornalisti, 7 tecnici e un'amministrativa), il termine del procedimento era previsto per il 26 giugno, considerato che un tecnico era in malattia sino al 25 giugno;
          a seguito al completamento della procedura di riduzione di personale, la Slc-Cgil e Assostampa hanno proclamato una settimana di sciopero dal 24 al 30 giugno;
          il periodo precedente all'avvio delle procedure di licenziamento sembrerebbe essere stato oltremisura critico e controverso, sia per il tentativo da parte dell'azienda di scongiurare in un primo momento i licenziamenti con il ricorso ai contratti di solidarietà sia per un sopraggiunto mutamento degli assetti societari;
          i licenziamenti sono infatti successivi alla cessione delle quote di proprietà dell'emittente in quanto società editoriale e in qualità di detentrice delle concessioni pubbliche per l'emittenza radiotelevisiva, a un gruppo di investitori i quali, in quello che all'interrogante appare un fantomatico piano di rilancio, avrebbero dovuto riportare l'azienda a un livello minimo di sostenibilità economica;
          nonostante queste previsioni, i nuovi proprietari non hanno mai presentato un piano editoriale e da subito avrebbero dichiarato di non essere in grado di pagare gli stipendi;
          la cessione, ad avviso dell'interrogante di facciata, ha di fatto esentato la proprietà cedente da ogni pendenza nei confronti dei lavoratori che oggi si trovano a non sapere più a chi chiedere conto della loro situazione;
          la proprietà dell'emittente ha più volte manifestato un atteggiamento di chiusura nei confronti dei lavoratori, atteggiamento sfociato nella decisione della direzione editoriale di diffondere l'informazione egualmente nonostante fosse stato indetto uno sciopero dei giornalisti della testata, al quale aveva aderito la totalità del corpo redazionale (9 redattori su 10; il telegiornale è stato fatto dal direttore con la collaborazione dell'unico redattore che non ha aderito alla protesta), tutto ciò contravvenendo, a giudizio dell'interrogante, alle più elementari norme di corretta gestione delle relazioni sindacali;
          a detta della nuova proprietà le difficoltà economiche discenderebbero da alcuni crediti che la pubblica amministrazione non ha mai soddisfatto e per la precisione: 1) residui a saldo dei fondi 2011 ex legge n.  488; 2) crediti mai riscossi dall'emittente nei confronti del Ministero, andati in perenzione per i quali ci sarebbe la possibilità di recupero in ragione del recente provvedimento del Governo sul pagamento alle aziende dei debiti della pubblica amministrazione, in questo caso per oltre 250.000 euro; 3) crediti che l'azienda vanta per il 2012 e il 2013 come contributi INPS per l'attuazione del contratto di solidarietà; 4) contributo per il 2012, relativo ai fondi previsti dalla legge n.  448, che ammontano a circa 600-700.000 euro (in un primo momento sembrava che il contributo fosse stato bloccato per un vizio formale rilevato dal Corecom riguardante i dovuti pagamenti dei contributi previdenziali, subordinati alla esibizione del DURC all'atto della presentazione. La stessa azienda in un incontro ufficiale nell'ambito della procedura di riduzione di personale ha comunicato che il Ministero aveva inviato una nota con la quale dava sostanzialmente ragione a Sardegna 1, quel credito pertanto dovrebbe essere in fase di riscossione);
          i lavoratori di Sardegna 1 sarebbero ancora in attesa del pagamento di 5 mensilità (tredicesima 2012, quattordicesima 2013, stipendi di novembre e dicembre 2013 e tredicesima 2013), mentre non risulterebbero versate al fondo complementare le quote Tfr dei giornalisti e allo stesso fondo i contributi volontari trattenuti in busta paga;
          in merito alla vertenza Sardegna 1 Tv, l'interrogante aveva già depositato un analogo atto di sindacato ispettivo (interrogazione a risposta in Commissione n.  5-02073), rimasta senza esito  –:
          se non ritengano opportuno, per quanto di competenza, intervenire a salvaguardia della dignità e del lavoro degli operatori dell'emittente, del riconoscimento delle spettanze loro dovute e delle garanzie previdenziali, nonché del rispetto delle relazioni sindacali. (5-03145)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PILI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il 30 giugno 2014, nella centrale Enel di Portovesme ha perso la vita sul luogo di lavoro un lavoratore 58enne originario di Iglesias e residente a Portoscuso;
          la drammatica tragedia sul lavoro si è verificata nella prima mattina in un piazzale della centrale Enel di Portovesme dove ha perso la vita Angelo Attilio Bernardini, meccanico di una ditta esterna;
          il meccanico stava effettuando dei lavori su un autocarro;
          il mezzo, per motivi ancora da accertare, si è spostato improvvisamente schiacciando Bernardini;
          l'allarme è stato dato subito dai colleghi;
          accompagnato immediatamente da un'ambulanza del 118, l'uomo è morto all'arrivo all'ospedale Sirai di Carbonia;
          sul posto sono intervenuti i carabinieri della compagnia di Iglesias che, coordinati dal capitano Nicola Pilia, hanno avviato le indagini per accertare, le modalità dell'incidente o eventuali responsabilità;
          sul posto sono intervenuti anche i tecnici dell'Asl 7 di Carbonia del reparto Spresal, la struttura che si occupa di sicurezza sul lavoro;
          non è il primo incidente di gravità inaudita che capita nella centrale Enel di Portovesme;
          riguardo alla vicenda si rilevano scarse informazioni sulle condizioni di sicurezza e sulle procedure di prevenzione adottate all'interno degli impianti  –:
          se non si ritenga urgente disporre una    urgente verifica, per quanto di competenza, su fatti accaduti e sui precedenti;
          se non si ritenga di dover valutare le procedure di sicurezza adottate e come sia stato possibile che nessuno abbia impedito tale incidente imponendo procedure di sicurezza tali da evitare la tragedia;
          se non si intenda disporre ulteriori accertamenti e fornire ogni elemento utile sull'accaduto. (4-05353)


      BOSSA, GINEFRA, EPIFANI, COLANINNO, GRASSI, AMATO, MARZANO, MOGNATO, BOCCUZZI, CARDINALE, BRUNO BOSSIO, ALBINI, PAOLUCCI, GINOBLE, GAROFANI, BINDI, TARTAGLIONE, GNECCHI, LENZI, MALPEZZI, MICHELE BORDO, CARBONE, VACCARO, GHIZZONI, AMENDOLA, GIULIANI, GRECO, ROSSOMANDO, BENAMATI, DE MARIA, GULLO e MARIANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il quotidiano Latina Oggi, sulla pagina web del 16 maggio 2014, riporta la notizia per cui nell'ambito del lavoro ortofrutticolo si registrerebbero «operai dopati» per sopportare il lavoro nei campi;
          sarebbe questo il risultato di uno sconcertante dossier realizzato dal sociologo Marco Omizzolo per l'associazione InMigrazione;
          sarebbero molti i Sikh costretti nelle campagne tra Latina, Sabaudia e Terracina ad assumere metanfetamine per resistere a oltre 15 ore di durissimo lavoro sotto le asfissianti serre chiuse e imbottite di pesticidi;
          i braccianti – per lo più di nazionalità indiana e molto numerosi nell'agro pontino – avrebbero spesso la tosse e dolori in varie parti del corpo per la posizione scorretta cui sono costretti a stare per molte ore;
          il quotidiano osserva altresì che i lavoratori fanno una fatica immensa per, pochi spiccioli e a fine giornata andrebbero via in bicicletta: qualcuno verrebbe rapinato, altri investiti dalle automobili;
          sempre secondo la cronaca di Latina Oggi, «chi torna a casa non sa più come andare avanti e così, al mattino, prende un ovetto di metanfetamine oppure bulbi di papavero essiccati. Sostanze, a quanto sembra, cedute agli operai dai caporali; per farli resistere, per farli lavorare – qualora fosse possibile – ancora di più. Le forze dell'ordine che operano nella zona, negli ultimi tempi, hanno sequestrato chili e chili di droga. Tutto, purtroppo, sembra confermare questo terribile sospetto»;
          la cronaca appena riportata fa riferimento a sequestri di droga che sarebbero avvenuti di recente;
          la zona del basso Lazio, purtroppo e da molti anni, è anche oggetto di documentate infiltrazioni della camorra, con speciale riguardo al mercato di Fondi  –:
          se siano a conoscenza di quanto descritto in premessa;
          se risultino effettivamente indagini in corso su episodi di intermediazione illecita di manodopera o altre fattispecie penali relative allo sfruttamento del lavoro;
          se risultino altresì in corso indagini per traffico di stupefacenti, eventualmente connesse a inchieste per reati di criminalità organizzata. (4-05356)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
          con la legge n.  98 del 9 agosto 2013 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.  194 suppl. ord. N 63/L del 20 agosto 2013) veniva convertito il decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69 «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia» nel quale era disposto il rifinanziamento del decreto legislativo n.  185 del 21 aprile 2000 «Incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n.  144»;
          in ragione di tale norma Invitalia – Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, in data 17 dicembre 2013 provvedeva ad emanare bando per l'assegnazione delle agevolazioni previste dal decreto legislativo n.  185 del 21 aprile 2000 che regola la concessione degli incentivi all'autoimprenditorialità (Titolo I) e all'autoimpiego (Titolo II), per iniziative da realizzarsi nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia;
          con il decreto-legge n.  145 del 2013 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  300 del 23 dicembre 2013) venivano però novellate le norme che regolano la concessione delle agevolazioni di cui al suddetto decreto legislativo n.  185 del 2000 Titolo I e, di conseguenza, i bandi emanati venivano sospesi in attesa della pubblicazione dei regolamenti attuativi;
          con la legge n.  9 del 21 febbraio 2014 «Interventi urgenti di avvio del piano Destinazione Italia» (GU Serie Generale n.  43 del 21 febbraio 2014) veniva convertito, con modificazioni, il decreto-legge n.  145 del 2013;
          in particolare in sede di conversione era modificato l'articolo 24, comma 1, alla lettera h), capoverso del decreto legislativo n.  185 del 2000 «la parola: “novanta” è sostituita dalla seguente: “sessanta”» e che, pertanto, recita: «1. Il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, relativamente alle disposizioni di cui al Capo 0I del Titolo I, nonché il Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, relativamente alle disposizioni di cui al titolo II, fissano con uno o più regolamenti, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.  400, e successive modificazioni, criteri e modalità di concessione delle agevolazioni previste nel presente decreto. Per gli interventi di cui al Capo III del Titolo I, il predetto regolamento è emanato, entro i medesimi termini, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.»;
          la vigenza del decreto-legge n.  145 del 2013 già avrebbe imposto l'emanazione da parte del Ministero dello sviluppo economico entro 90 giorni dei relativi regolamenti attuativi;
          in ogni caso, considerate le modificazioni intervenute con la legge di conversione n.  9 del 2014, i tempi per l'emanazione dei suddetti decreti sono ormai scaduti lo scorso 22 aprile 2014;
          tale situazione sta creando non pochi disagi alle imprese che sin dalla prima emanazione dei bandi si erano apprestate alla presentazione di progetti  –:
          quali siano i motivi per i quali la competente direzione generale del Ministero dello sviluppo economico non ha ancora disposto l'emanazione dei decreti contenenti i regolamenti attuativi;
          quali iniziative il Ministero dello sviluppo economico intenda assumere al fine di individuare le responsabilità di tale eccessivo ritardo sui tempi di attuazione previsti;
          quali iniziative il Ministero dello sviluppo economico ritenga di dover adottare al fine di garantire, in tempi rapidi, l'emanazione dei relativi regolamenti attuativi per poter attivare con efficacia le risorse finanziarie disponibili e consentire alle nuove imprese di poter accedere alle agevolazioni previste.
(2-00608) «Bruno Bossio, Manciulli, Leva, Giorgio Piccolo, Censore, Patriarca, Pelillo, Stumpo, Sgambato, Carloni, Moscatt, Mura, Pastorino, Iacono, Boccadutri, Ribaudo, Covello, Borghese, Famiglietti, Magorno, Lodolini, Dallai, Culotta, Mazzoli, Crivellari, Folino, Battaglia, Bonaccorsi, Cassano, Ginefra, Naccarato, Tullo, Oliverio, Aiello».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la spa Metalcastello con sede a Castel di Casio in provincia di Bologna ha 300 dipendenti ed è un'azienda leader nel settore della componentistica: produzione di ingranaggi, coppie coniche, alberi da trasmissione; specializzata in tutto ciò che è inerente alla movimentazione delle macchine: mezzi agricoli ed industriali; oltre che per automobili;
          l'80 per cento della produzione va oltre il confine nazionale. Il portafoglio clienti della suddetta Società include i principali OEM (original equipment manufacturer), a livello mondiale nei settori delle macchine movimentazione terra e veicoli agricoli quali: CAT; Jhon Deere; New Holland; JCB; CNH;
          la Metalcastello sta attraversando una grave crisi economica finanziaria dal 2009, dovuta a riduzione di commesse/ordini; il volume di affari è passato da un fatturato di 70 milioni di euro del 2008 a un fatturato di 50 milioni di euro attuali;
          nell'aprile del 2008 la proprietà della Metalcastello è stata ceduta alla Mahindra & Mahindra (colosso indiano di automotive; 50 mila dipendenti con un fatturato di 4 miliardi di euro, un'operazione industriale ritenuta dalla dirigenza Metalcastello indispensabile per sopravvivere in un mercato globale;
          quindi nell'aprile del 2008 la MC entra in «rete» con la Mahindra Sistec Gear (settore componentistico della Mahindra automotive): 12 mila dipendenti, 700 milioni di euro di fatturato, e un volume produttivo di 500 milioni di ingranaggi e decine di aziende nel mondo;
          la MC è la «punta di diamante» della Mahindra Sistec Gear in Europa: produzione di qualità con alta professionalità e tecnologie compiesse richieste; negli stabilimenti indiani invece si realizza produzione di basso profilo con minore valore aggiunto messa in «rete»;
          a giugno del 2013 Mahindra e CIE (colosso spagnolo settore automotive) creano una alleanza strategica, fusione definita di «Alleanza globale» (come mercato di riferimento Brasile e India), denominata Mahindra CIE Automotive Ltd, con siti produttivi in tutto il mondo;
          il prossimo settembre la CIE assumerà il controllo della Mahindra Sistec Gear e quindi controllerà la politica industriale anche della Metalcastello (la CIE controllerà 18 società sparse nel mondo: 12 in India e 6 in Europa — la MC unica società in Italia);
          la CIE condiziona ingenti e vitali finanziamenti (tramite un aumento di capitale sociale) purché la MC avvii una pesante ristrutturazione entro settembre: vale a dire, abbassare il costo di produzione (aumento dell'orario di lavoro e maggiore flessibilità) e ridurre il numero dei dipendenti. Senza ristrutturazione la CIE non farà nessun investimento nella Metalcastello;
          il 14 aprile 2014 la Metalcastello ha aperto una procedura di mobilità (licenziamenti collettivi) per 67 dipendenti; dando il via ad un tavolo di confronto in regione Emilia-Romagna. L'accordo siglato, in data 11 giugno 2014 ha ridotto il numero degli esuberi a 50 dipendenti. Nell'accordo vi è stata una dichiarazione che impegna l'azienda a consegnare entro il 31 ottobre alle organizzazioni sindacali il piano operativo e le linee guida che intende seguire al fine di poter ricercare quel posizionamento competitivo nel mercato atto ad assicurare la continuità produttiva. Ad oggi però non si conoscono nemmeno le linee guida di tale piano  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'attuale situazione della spa Metalcastello e del caso quali siano le reali intenzioni di CIE in termini di piano industriale e quali siano le garanzie per il mantenimento di una struttura tecnologica di primaria importanza per l'economia locale. (5-03131)


      GHIZZONI e BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in questi giorni, come già accaduto nel 2012, molte imprese stanno ricevendo da parte della Rai l’«invito» al pagamento del canone speciale in virtù delle vigenti disposizioni normative, che impongono il pagamento di un abbonamento speciale a chiunque detenga, fuori dall'ambito familiare, uno o più apparecchi atti o adattabili – quindi muniti di sintonizzatore – alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive;
          il 22 febbraio 2012, il Ministero dello sviluppo economico con una nota del dipartimento delle comunicazioni ha chiarito che un apparecchio si intende «atto» a ricevere le radio audizioni se e solo se include fin dall'origine gli stadi di un radioricevitore completo, mentre si intende «adattabile» a ricevere le radiodiffusioni se e solo se include almeno uno stadio sintonizzatore radio ma è privo del decodificatore o dei trasduttori, o di entrambi i dispositivi, che, collegati esternamente al detto apparecchio, realizzerebbero assieme ad esso un radioricevitore completo. Pertanto, non va pagato alcun canone TV per un apparecchio privo di sintonizzatori radio operanti nelle bande destinate al servizio di radiodiffusione, in quanto non è ritenuto né atto né adattabile alla ricezione delle radioaudizioni;
          ne deriva, quindi, che gli abituali strumenti di lavoro per professionisti e imprese, quali personal computer, tablet e smartphone, non debbano essere sottoposti al pagamento del canone, poiché consentono l'ascolto e/o la visione dei programmi radiotelevisivi via internet e non attraverso la ricezione del segnale terrestre o satellitare;
          nonostante i chiarimenti espressi dalla citata nota del Ministero dello sviluppo economico, la Rai reitera la richiesta di pagamento del canone speciale a migliaia di utenti possessori di computer, tablet, smartphone e di sistemi di videosorveglianza: la cifra richiesta varia secondo la tipologia dell'impresa e va da un minimo di 200 ad un massimo di 6.000 euro all'anno  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo affinché non sia più richiesto illegittimamente il pagamento del canone speciale Rai a professionisti e imprese che possiedono strumenti di studio e lavoro (quali computer, tablet, smartphone, sistemi di videosorveglianza) sprovvisti di sintonizzatore. (5-03132)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CIRIELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          sono oltre 150 i tavoli di crisi nazionali, che rappresentano solo la punta dell’iceberg di una crisi dirompente, se solo si considera che la cassa integrazione ha sfiorato le 990 milioni di ore nei primi undici mesi del 2013;
          in particolare, il territorio salernitano, già pesantemente segnato dalla crisi, sta vivendo l'ennesimo dramma dell'occupazione con l'ulteriore, durissimo colpo inferto a un'industria operante nel settore dell'editoria;
          preoccupazione desta, infatti, la vicenda riguardante il futuro dei lavoratori della società Piemonte Printing srl;
          durante un incontro tenutosi con le organizzazioni sindacali l'8 novembre 2013 la Stiem spa, incorporata nella Piemonte Printing srl, con assorbimento di tutti i 22 lavoratori in forza, illustrava la complessiva situazione aziendale e in tale occasione veniva concordato il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria (cigs) a decorrere dal 1° dicembre 2013, nonché l'applicazione dei benefici di cui agli articoli 35 e 37 delle leggi 416 del 1981 e 62 del 2001 per la gestione degli esuberi;
          tale richiesta si rendeva necessaria per fronteggiare la crisi aziendale, in favore dei lavoratori addetti all'unità di Fisciano (SA);
          l'azienda, inoltre, nell'ottica di una corretta gestione dell'eccedenza, si impegnava ad attivare azioni finalizzate alla possibile ricollocazione dei lavoratori eccedenti presso altre imprese del gruppo e alla riqualificazione del personale per favorirne il reimpiego, oltre a favorire la ricollocazione in mobilità di lavoratori che avrebbero manifestato la volontà di non opposizione al recesso nonché iniziative di outplacement;
          con istanza del 20 novembre 2013, la Piemonte Printing srl chiedeva, pertanto, l'attivazione dell'esame congiunto previsto dall'articolo 2, commi 3 e 6, del decreto del Presidente della Repubblica 218 del 10 giugno 2000, ai fini della presentazione della richiesta di concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria;
          nonostante ciò, i lavoratori dello stabilimento di Fisciano da mesi non percepirebbero alcuna remunerazione e a tutt'oggi sono in attesa di conoscere le loro sorti e quelle delle loro famiglie;
          secondo quanto riportato nel verbale della procedura di consultazione del 5 dicembre 2013 la giunta regionale della Campania, nel ritenere il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria lo strumento idoneo alla gestione non traumatica degli esuberi, ha espresso parere favorevole all'accoglimento della richiesta avanzata dalla Piemonte Printing srl;
          l'istanza di concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria è, pertanto, all'attenzione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
          è indispensabile per il futuro di questo territorio e dei suoi cittadini, adottare ogni iniziativa a tutela dei lavoratori e dei livelli occupazionali nello stabilimento Piemonte Printing Srl;
          nel vivo della crisi più acuta che si ricordi dal 1929 la politica, tutta, dovrebbe evitare di sbagliare priorità e dedicare un'attenzione particolare alle numerose situazioni di crisi aziendali e, in generale, di precarietà diffuse sul tutto il territorio nazionale;
          è di poche ore fa la notizia che la Cgil ha stimato che, da qui alla fine dell'anno, c’è il rischio che perdano il sostegno al reddito circa 50 mila persone, aggravando ulteriormente la situazione occupazionale  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerato che la risoluzione della problematica è prioritaria per le sorti di numerosi lavoratori e delle loro famiglie, quali iniziative ritengano opportuno adottare per porre fine al processo di desertificazione del tessuto produttivo di quello che fu uno dei principali poli industriali del Mezzogiorno, inserendo la Piemonte Printing srl nel prossimo decreto ministeriale di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale;
          quali iniziative intendano adottare per l'individuazione di soluzioni occupazionali alternative. (4-05346)


      SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la «H.D.S. Public Facilities Sud s.r.l.», è una società attualmente in liquidazione;
          sedici unità di personale furono assunte dalla «Headmost Division Service Facility Management s.p.a.» per un appalto ottenuto dal 1o maggio 2011 (e doveva essere fino al 2015) da «Ferservizi s.p.a.», afferente al gruppo «Ferrovie dello Stato»;
          dal 1o gennaio 2013 il suddetto personale fu spostato ad «HDS SUD P.F. SRL.» che era partecipata al 100 per cento da «Headmost Division Service Facility Management s.p.a.» con l'assenso di «FERSERVIZI SPA»;
          a quanto risulta all'interrogante «HDS PF SUD SRL.» sarebbe debitrice nei confronti del personale suddetto di quanto spettante per il lavoro effettuato alla propria dipendenza da giugno 2013, oltre ai contributi dovuti da luglio a settembre 2013;
          a settembre del 2013 l'appalto è stato rilevato da altra azienda che ha preso in carica i lavoratori, perché «Ferservizi s.p.a.» interrompeva il rapporto con «HDS PF SUD.» per inadempienza di quest'ultima da luglio 2013;
          da quel momento la «HDS PF SUD» si sarebbe resa irreperibile, finanche al prefetto di Napoli, annullando i numeri telefonici fino ad allora ad essa intestati, non ricevendo la posta inviata all'indirizzo Pec o alla sede legale e cambiando più volte nel giro di sei mesi l'amministratore unico;
          data tale irreperibilità, i dipendenti avrebbero intimato a mezzo posta gli adempimenti del pagamento delle retribuzioni, dei contributi, TFR e l'emissione del CUD 2013, senza ricevere risposta alcuna, nemmeno, dal liquidatore;
          «Ferservizi s.p.a.», nonostante l'obbligo solidale nei confronti dei lavoratori in questione, pur essendo perfettamente a conoscenza della situazione, non si è fatta carico, a quanto consta all'interrogante, del pagamento diretto ai lavoratori in questione;
          ciò è stato denunciato alla procura della Repubblica di Napoli;
          dal mese di giugno 2013 a ottobre 2013 i lavoratori in questione sono stati privati di ogni forma di reddito, perché la «HDS PF SUD SRL», prima di rendersi di fatto irreperibile, non aveva provveduto ad effettuare i licenziamenti ufficialmente;
          «Ferservizi s.p.a.» nel frattempo ha affidato per 21 mesi il servizio per cui erano stati assunti i dipendenti in questione (ovvero l'espletamento di una serie di servizi per la sede «Ferrotel» campana) ad altra società, la «CNCP», che a sua volta essendo un consorzio ha affidato servizio e dipendenti ad una consorziata, la cooperativa «Labor»;
          tale cooperativa ha circa 450 dipendenti;
          per assumere i lavoratori in questione la «Labor» ha chiesto ed ottenuto la rinuncia alle anzianità di servizio ed ai livelli lavorativi raggiunti, operando dunque assunzioni part time ed ex novo, con una perdita per i dipendenti neoassunti del 50 per cento dello stipendio, e promettendo in cambio la continuità lavorativa;
          invece il 15 aprile 2014 «Ferservizi s.p.a.» chiude l'impianto «Ferrotel» in questione e «CNCP» e di conseguenza «Labor», che con l'assunzione ex novo aveva fatto perdere ai dipendenti in questione la possibilità della mobilità, ha messo gli stessi in cassa integrazione straordinaria per non licenziarli;
          la cooperativa «Labor» non ha voluto prendere in considerazione soluzioni alternative come il contratto di solidarietà;
          gli altri 450 dipendenti sono in «solidarietà», ed ogni mese, non potendo da soli coprire i turni, vengono chiamati a fare straordinari, che potrebbero invece essere coperti dai lavoratori in cassa integrazione straordinaria con una diminuzione dei costi;
          la «Labor» ha anche rifiutato di anticipare la cassa integrazione guadagni straordinaria, quindi i primi fondi verranno erogati ai dipendenti in questione non prima di ottobre o novembre 2014;
          nel frattempo una quindicina di famiglie è messa in una condizione di completa ed inaccettabile invivibilità  –:
          se non ritengano i Ministri di dover agire, per quanto di competenza, per tutelare i lavoratori in questione;
          se non ritengano opportuna l'apertura di un tavolo di confronto per trovare una soluzione che permetta agli stessi ed alle loro famiglie un'esistenza dignitosa e serena. (4-05354)


      D'INCÀ, DA VILLA, ROSTELLATO, SPESSOTTO e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  114 «Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della Legge 15 marzo 1997, n.  59», stabilisce i principi e le norme generali sull'esercizio dell'attività commerciale, con l'obiettivo di garantire la trasparenza del mercato, la concorrenza, la libertà di impresa e la libera circolazione delle merci, tutelare il consumatore dal punto di vista dell'informazione, alla vicinanza degli esercizi commerciali, all'assortimento e alla sicurezza dei prodotti e rendere più efficiente, moderna ed estesa la rete distributiva, anche al fine del contenimento dei prezzi. Tra gli obiettivi c’è anche il pluralismo e l'equilibrio tra le diverse tipologie delle strutture distributive e le diverse forme di vendita, oltre alla valorizzazione e alla salvaguardia del servizio commerciale nelle aree urbane, rurali, montane, insulari;
          il compito di fissare gli indirizzi generali per l'insediamento delle attività commerciali ed i criteri della programmazione urbanistica, così come previsto dall'articolo 6, sono demandati alla disciplina delle regioni;
          in alcune regioni gli obiettivi del decreto legislativo n.  114 del 1998 tuttavia, pur sostanzialmente ripresi in atti normativi, come la legge regionale del Veneto n.  50 del 2012, non sempre sono oggetto di effettivo perseguimento nelle politiche territoriali e del commercio di volta in volta elaborate;
          ad esempio, in Veneto, si rileva che sono stati riconosciuti benefici (riduzione del 50 per cento degli oneri di urbanizzazione) per l'apertura, nei centri storici, di strutture di vendita con superfici superiori a 1500 metri quadrati (di fatto destinate alla grande distribuzione), proprio nel regolamento attuativo della legge, appena citata, che, tra l'altro, avrebbe dovuto porre un freno alla proliferazione di nuovi parchi e centri commerciali (regolamento attuativo, n.  1 del 2013);
          anche gli strumenti di recupero e programmazione urbanistica spesso destano perplessità in relazione all'effettivo perseguimento degli obiettivi previsti dal decreto legislativo n.  114 del 1998 posto che sembrano privilegiare in vario modo l'apertura di grossi centri di grande distribuzione in contrasto con l'obiettivo, previsto dal decreto legislativo, di perseguire il pluralismo e l'equilibrio tra le diverse tipologie delle strutture distributive;
          in Veneto ad esempio i piani integrati di recupero urbano, pur attualmente non realizzati in ragione della crisi economica in essere, hanno previsto la trasformazione di aree agricole, anche assai consistenti, in aree edificabili e con possibile destinazione commerciale suscitando preoccupazioni tra i cittadini per il rischio di operazioni speculative; il piano territoriale di coordinamento della medesima regione consente la possibilità ai privati di concertare direttamente con la giunta regionale, in aree determinate, anche la costruzione di centri commerciali; risulta infine che il piano del commercio approvato dalla regione nel 2004 ha portato ad una presenza della grande distribuzione così ampia (230 mq ogni 1000 abitanti) da produrre effetti di saturazione e distruzione del piccolo commercio (l'Unione europea ha fissato in 150 metri quadri ogni 1000 abitanti la soglia di criticità);
          anche le politiche di liberalizzazione delle aperture commerciali nei giorni festivi nate con l'intento di creare nuovi posti di lavoro, di fatto si sono rivelate fallimentari mettendo in ulteriore crisi la piccola distribuzione e senza peraltro aumentare l'occupazione nella media e grande distribuzione  –:
          si chiede di conoscere, se l'interrogato Ministro è a conoscenza di quanto sopra descritto;
          se e quali azioni intenda intraprendere, pur nel rispetto delle autonomie regionali, per garantire il rispetto delle prescrizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n.  114, al fine di tutelare le attività commerciali di vicinato, e di porre un freno alle possibili nuove realizzazioni di strutture di vendita di medie e grandi dimensioni anche all'interno dei centri urbani, tenendo conto anche del forte impatto che queste nuove strutture avranno sulla viabilità, i parcheggi e sull'inquinamento delle città;
          se e quali politiche di indirizzo intende adottare per salvaguardare il tessuto socio economico esistente e tutelare la piccola distribuzione a livello locale, visto il momento di forte crisi economica che colpisce soprattutto il commercio al dettaglio e di vicinato. (4-05359)

Apposizione di una firma ad una mozione.

      La mozione Nicchi e altri n.  1-00521, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Melilla.

Apposizione di firme ad una interpellanza.

      L'interpellanza urgente Costantino e altri n.  2-00607, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zaratti, Pellegrino.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Verini e altri n.  5-03077, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carra.

      L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Rampelli n.  3-00920, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Corsaro.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta in Commissione Bratti n.  5-02497 del 27 marzo 2014;
          interrogazione a risposta in Commissione Caparini n.  5-02795 del 14 maggio 2014;
          interpellanza urgente Bossa n.  2-00547 del 20 maggio 2014;
          interrogazione a risposta in Commissione Ravetto n.  5-03037 del 19 giugno 2014;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta in Commissione Arlotti n.  5-01464 del 14 novembre 2013 in interrogazione a risposta scritta n.  4-05350;
          interrogazione a risposta in Commissione Giuseppe Guerini e altri n.  5-02276 del 5 marzo 2014 in interrogazione a risposta scritta n.  4-05358.