XVII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 263 di lunedì 14 luglio 2014
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI
La seduta comincia alle 14.
FERDINANDO ADORNATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 7 luglio 2014.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Balduzzi, Basilio, Bellanova, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bressa, Brunetta, Carinelli, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Di Salvo, Fedriga, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Merlo, Mogherini, Orlando, Petrenga, Salvatore Piccolo, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scopelliti, Scotto, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Velo, Vignali, Vito e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente settantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
Discussione delle mozioni Binetti ed altri n. 1-00309, Santerini ed altri n. 1-00512 e Quartapelle Procopio ed altri n. 1-00326 in materia di adozioni internazionali (ore 14,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Binetti ed altri n. 1-00309 (Nuova formulazione), Santerini ed altri n. 1-00512 e Quartapelle Procopio ed altri n. 1-00326 (Nuova formulazione), in materia di adozioni internazionali (Vedi l'allegato A – Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Palmieri ed altri n. 1-00542, Rampelli ed altri 1-00543 e Dorina Bianchi ed altri n. 1-00544 (Vedi l'allegato A – Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Paola Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00309 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.
PAOLA BINETTI. Signor Presidente, il tema dell'adozione internazionale è uno dei temi che, in qualche modo, rispondono a una pluralità di obiettivi che vale la pena tenere tutti insieme, perché, da un lato, abbiamo famiglie che oggettivamente desiderano avere un figlio, in quanto probabilmente si tratta di coppie sterili, anche se non sono solo le famiglie che non hanno potuto avere un figlio che desiderano adottarne uno. Ci sono molte famiglie, anche numerose, che sono disponibili all'accoglienza nella loro famiglia di altri figli e, spesso, anche di figli portatori di handicap, spesso anche ragazzi in difficoltà. Ci sono poi famiglie che, comunque, desiderano, nell'affrontare il tema dell'adozione, avere ben presente un obiettivo molto più alto e forse anche un obiettivo che trascende la realtà stessa di quella famiglia e che si rivolge al Paese di provenienza di questi ragazzi, avendo la piena, totale e assoluta consapevolezza delle condizioni di fragilità che ci sono in quel Paese.
Penso, in questo momento, a Paesi che sono attraversati da livelli di povertà veramente molto gravi; penso, però, anche a situazioni come quelle a cui abbiamo assistito questo inverno, penso ai bambini della Siria, bambini le cui famiglie sono state a volte falcidiate. Quindi, sono bambini che, in qualche modo, rientrano in quell'altra categoria che abbiamo visto poche settimane fa – i famosi minori non accompagnati –, cioè bambini che si trovano, per motivi veramente macroscopici, che riguardano le situazioni drammatiche di un Paese, anche nella necessità di doversi allontanare dal loro Paese e di dover cercare, in un luogo altro da quello di provenienza, le condizioni per un pieno sviluppo della loro situazione, per poter arrivare a quella maturità auspicabile che ne farà, domani, degli adulti capaci di prendere sulle proprie spalle anche tante risposte rispetto alle condizioni drammatiche di Paesi, compreso il proprio Paese di provenienza, ma stando, come dire, nell'ottica di chi può avere una sorta di etica della cura nei confronti di situazioni che sono state meno fortunate.
Ci sono situazioni molto complesse, e noi sappiamo come nell'ambito delle adozioni internazionali abbiamo assistito, in un determinato periodo di tempo, ad una crescita quasi esponenziale di queste richieste. Tuttavia, ad oggi, nonostante la drammaticità di alcune situazioni, appartiene un po’ a una cultura condivisa, per una serie di fattori che proverò ad evidenziare, la caduta delle richieste anche nel campo delle adozioni internazionali.
Mi riferisco, in questo caso, da un lato, alla difficoltà oggettiva della normativa per le adozioni, su cui voglio ritornare, ma, dall'altro, mi riferisco anche ad una maturata e cambiata sensibilità nei Paesi di provenienza, per cui molte volte si preferisce affrontare i temi legati all'infanzia in modi diversi rispetto a quello di concedere bambini in adozione in Paesi stranieri. Anche in questi Paesi si stanno cercando di attivare soluzioni di adozioni interne oppure soluzioni di affido e, comunque, soluzioni che mantengono l'identità e il radicamento del bambino nel proprio Paese.
Per quello che riguarda le difficoltà in cui si imbattono molte volte le famiglie italiane con desiderio di adottare, noi abbiamo riscontrato, anche nel contatto con tante associazioni, che una delle difficoltà maggiori in cui ci si trova è proprio la complessità burocratica: una complessità burocratica che ha tante sfaccettature diverse.
La prima è certamente quella della riduzione del numero dei bambini che vengono dati in adozione, e quindi la riduzione dei Paesi a cui ci si può rivolgere per chiedere bambini in adozione; il che pone il tema, ovviamente fondamentale, di allargare anche il numero di Paesi con cui finora si sono stretti degli accordi, per poter avere una rosa di Paesi più ampia in cui, ai Paesi che si sottraggono a questo tipo di sollecitazione, si aggiungono invece quelli che sono aperti, disponibili e desiderosi che questi bambini abbiano un futuro diverso, sia pure lontano dal proprio Paese.
Quando parliamo poi di difficoltà burocratiche, non sono mai difficoltà burocratiche Pag. 3in un senso astratto: in questo momento voglio fare riferimento alla complessità dell'iter che porta al riconoscimento dell'idoneità delle coppie. Resta ferma la necessità assoluta di garantire al bambino che verrà accolto una famiglia che sia in grado – nella sua realtà di vita di coppia, ma anche nella sua realtà più ampia e più complessa di rete di relazioni e di rapporti familiari – di realizzare un'accoglienza che costituisca una garanzia assoluta rispetto a quello che si è creato in altri momenti e in altre situazioni, in cui vi è stata una falsa adozione, cioè una sorta di adozione tesa poi dopo ad uno sfruttamento, quasi, dell'infanzia. È vero che questo in Italia non si crea, non esiste; però, avere la giusta prudenza nell'identificare le famiglie, sotto il profilo non solo della potenziale corruttela, ma soprattutto della maturità nell'accoglienza, è un fatto importante.
L'esperienza che si è venuta accumulando in questi anni ci dice che non è tanto, perlomeno non è solo, la selezione iniziale quella che fa la differenza: quello che è fondamentale è tutta la relazione di accompagnamento, cioè un genitore apprende a fare il genitore adottivo, come ogni genitore, anche naturale, apprende a fare il genitore, in un iter, in un processo in cui le difficoltà vengono affrontate, le incomprensioni vengono risolte, le tensioni trovano un modo di appianarsi per poter dare vita a una convivenza serena e costruttiva.
Quindi, noi pensiamo che più che ad una selezione – che si potrà mantenere proprio per escludere casi limite – si debba puntare molto di più a quello che è un accompagnamento, che passa poi non soltanto attraverso il rapporto con i servizi, ma passa molte volte proprio attraverso la rete delle famiglie adottanti, perché ci sono una serie di capacità che si sviluppano attraverso la relazione di prossimità, attraverso quella capacità di autoaiuto che costituisce forse la dimensione più umana dell'accoglienza.
Ma c’è un'altra difficoltà, che noi consideriamo all'interno del pacchetto generico delle difficoltà burocratiche e che è una difficoltà importante, ed è il famoso tema dei costi. I costi sono costi rilevanti, sono costi rilevanti nell'adozione nazionale, e sono costi ovviamente ancor più rilevanti nel caso delle adozioni internazionali. Agli ultimi episodi abbiamo tutti quanti partecipato, e mi riferisco al più noto di tutti, quello dei bambini del Congo, laddove la permanenza di questi genitori in Congo si è protratta oltre quelli che erano i termini da loro stessi preventivati ed ha comportato per molte di queste famiglie un aumento dei costi, che non sono soltanto i costi legati al soggiorno, ad un soggiorno prolungato, come è anche auspicabile perché ci sia una relazione di reciproco adattamento tra questi genitori e questi bambini, e la capacità da parte dei genitori di conoscere, di cogliere le specificità culturali e le caratteristiche ambientali di questi posti.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
PAOLA BINETTI. Ma c’è il mancato lavoro: molte di queste persone hanno dovuto lasciare il lavoro per un periodo di tempo, lasciare il lavoro per un tempo prolungato, e questo incide. Né noi vorremmo che si diventasse genitori adottanti soltanto attraverso una sorta di selezione per censo e, cioè, che soltanto coloro che hanno un reddito di un determinato tipo possano adottare bambini, mentre chi si trova in una condizione che oggi noi potremmo definire di normalità della famiglia italiana – e la normalità della famiglia italiana è, oggi, una normalità in difficoltà – potrebbe non trovarsi in condizioni di adottare.
Per tutto questo, noi desideriamo che questa mozione, ed è lo spirito della mozione che ho presentato, colga davvero questo bisogno profondo di riconoscere a ogni bambino il diritto alla sua famiglia, di fare in modo che ogni Paese sia consapevole delle difficoltà in cui possono trovarsi altri Paesi e che, quindi, la sinergia e la solidarietà trovino in una visione della maternità declinata anche in chiave sociale, e quindi con un'ampia partecipazione di tutti, la propria possibilità di risposte.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Milena Santerini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00512. Ne ha facoltà.
MILENA SANTERINI. Signor Presidente, le adozioni internazionali in Italia hanno attraversato, in pratica, tre fasi. La prima, dal 1967 al 1983, in cui le coppie si muovevano, in base a una specie di autoregolamentazione non facile e non priva di rischi, all'estero, alla ricerca di un bambino adottabile. La prima regolamentazione avviene, poi, con la legge n. 184 del 1983, che disciplinava, oltre le adozioni nazionali, anche quelle internazionali, ma la vera svolta avviene con la legge n. 476 del 1998, che ha adeguato le norme sull'adozione dei bambini stranieri alla Convenzione dell'Aja del 1993.
Oggi, in fondo, siamo quindi in una terza fase, ed è di questo che vogliamo parlare. L'adozione internazionale è quasi una conferma della dimensione globale in cui viviamo: è un legame particolare tra famiglie e minori di lingue e culture diverse, è l'avventura dell'integrazione, direi attraverso le differenze, e non «nonostante le differenze». La legislazione italiana, quindi, ha espresso, nelle norme concernenti l'adozione, alcuni principi basilari: il diritto del bambino e della bambina allo sviluppo in un contesto di amore familiare, la prevenzione di possibili abusi, la responsabilità della cooperazione tra gli Stati.
Questi compiti sono stati affidati ad una serie di istituzioni, coordinati dalla Commissione adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, mentre le procedure all'estero sono affidate alla necessaria attività degli enti autorizzati, sul cui operato vigila la medesima Commissione. In questi decenni, quindi, il delicato e complesso meccanismo dell'adozione ha visto alcune modifiche a seguito delle trasformazioni sociali (pensiamo all'innalzamento dell'età degli aspiranti genitori con la legge n. 149 del 2001), ma sono rimasti validi i principi fondamentali su cui si poggia, e cioè il rispetto dei diritti e il perseguimento del maggiore interesse del minore, e non dei genitori, il concetto di sussidiarietà, e quindi la cooperazione internazionale che la Commissione attua con gli enti all'estero, il ruolo e la funzione dei diversi enti.
Con questa mozione noi vogliamo riaffermare la validità del sistema delle adozioni in Italia – mozione che, naturalmente, vogliamo poi allargare e su cui speriamo e pensiamo, come emerge dai lavori in corso, si arrivi a un testo unificato –, che, per certi aspetti, è un modello a livello internazionale, per tanti aspetti, non ultimo la preparazione delle coppie.
Rimane solido, in particolare, l'impianto su cui si basa il processo adottivo, cioè il ruolo dei servizi sociali territoriali e dei tribunali per i minorenni, irrinunciabile, e quello della Commissione per le adozioni, perché il carattere pubblico di questi soggetti garantisce imparzialità di giudizio, professionalità nella valutazione delle coppie e tutela dell'interesse del bambino. Pertanto, questa Commissione deve essere messa in condizione di operare efficacemente dal punto di vista delle risorse economiche e professionali, e questo è uno degli obiettivi principali della mozione.
Certo, non possiamo nasconderci alcune serie criticità, come il calo delle adozioni internazionali, sia nei termini di diminuzione del numero dei decreti di idoneità dei genitori sia come numero di autorizzazioni all'ingresso. Sono due cose molto diverse: si può avere una variazione nel numero dei decreti di idoneità e poi un numero diverso, una cifra diversa, una percentuale diversa, nelle adozioni effettivamente portate a termine.
Lo sappiamo, nel 2013 le famiglie italiane hanno realizzato l'adozione internazionale di 2.825 bambini provenienti da ben 56 Paesi, a fronte dei 3.106 dell'anno precedente. Vi è stato un calo di circa il 7 per cento, che, però, è un calo inferiore a quello dell'anno precedente ed è inferiore a quello degli altri Paesi. Siamo, quindi, di fronte ad un fenomeno generale, ma non va nascosto che questo trend potrebbe durare nel tempo.Pag. 5
Lo scopo di questa mozione, quindi, non è aumentare il numero totale dei bambini, delle adozioni, perché vi è qualcuno che lo desidera, ma contribuire a rendere concretamente realizzabili le adozioni dei bambini che sono effettivamente abbandonati.
La differenza è significativa, perché sarebbe improprio intervenire politicamente solo per rispondere alla domanda di disponibilità delle coppie, mentre è necessario agire di più e meglio perché ogni bambino in stato di abbandono nel mondo possa essere accolto in una famiglia e – perché no ? – speriamo italiana.
I fattori di questo calo sono molti: l'insicurezza dovuta alla crisi economica, l'innalzamento dell'età media delle coppie, la disponibilità di bambini più grandi con bisogni speciali di fronte a cui abbiamo famiglie spesso molto fragili in un Paese in cui, d'altronde, il calo demografico è un fenomeno di carattere generale. La diminuzione del numero degli ingressi in Italia sembra, quindi, più attribuibile a questi fattori che a carenze della legge.
Un aspetto che rende particolarmente complicate le adozioni all'estero riguarda l'evoluzione dei Paesi di origine. Alcuni tendono, per fortuna, a fare delle adozioni un fenomeno residuale, cioè tendono, naturalmente, a provvedere in un altro modo al benessere dei bambini, anche con l'adozione nazionale, anche se non sempre è la soluzione. Dall'altro lato, ci sono guerre, povertà, recessioni, crisi, instabilità. Ecco, l'Italia deve sicuramente migliorare un'efficace politica all'estero perché fare adozioni internazionali significa fare veramente politica estera.
Quindi, i fattori sono complessi, numerosi, non sono soltanto i costi, non è soltanto la lunghezza delle procedure, che qualche volta è anche necessaria perché le coppie devono maturare. Quante coppie abbiamo visto che nel tempo, non perché ci voleva troppo, ma perché si sono messe di fronte alle proprie risorse, hanno poi rinunciato (probabilmente è un fattore di maturità, perché altrimenti quelle adozioni sarebbero andate incontro a un fallimento).
Anche se i fattori sono numerosi e complessi è doveroso rendere le adozioni più semplici, sostenere maggiormente le coppie, sostenere maggiormente gli enti, sostenere maggiormente la commissione. E, quindi, con la mia proposta ci prefiggiamo di intervenire su alcuni punti critici: potenziamento della commissione adozioni, che deve poter sviluppare un'ampia azione con i Paesi esteri, soprattutto quelli che non hanno ancora ratificato la Convenzione dell'Aja, finanziamento della cooperazione con l'estero per adempiere al principio di sussidiarietà, poiché non possiamo solo occuparci dei bambini che vengono, ma di quelli che rimangono.
Con la mozione intendiamo poi ridurre gli appesantimenti burocratici, rendere certi i tempi delle risposte dei tribunali dei minorenni, aumentare la deducibilità dei costi e, quindi, in questo senso, intervenire anche su questo fattore, intervenire sui congedi lavorativi, cercando di ampliarli, perché con l'arrivo di bambini sempre più grandicelli, con special needs, con problemi, evidentemente il genitore ha bisogno di più tempo, indipendentemente dall'età del bambino quando il bambino arriva.
E poi gli aspiranti genitori, appunto, hanno diritto a tempi ridotti, non comprimendo il percorso, ma nei passaggi di tipo formale; e si potrebbe – lo abbiamo chiesto – semplificare...
PRESIDENTE. Concluda.
MILENA SANTERINI. ... il processo di trascrizione delle adozioni all'anagrafe dello stato civile. Quindi, noi chiediamo non una riforma delle adozioni, ma azioni puntuali e precise che possano semplificare e facilitare la scelta di dare una famiglia ad un bambino nato altrove.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lia Quartapelle Procopio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00326 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Signor Presidente, discutiamo oggi di una Pag. 6mozione su un tema, quello delle adozioni internazionali, che, come dimostrano anche gli interventi delle colleghe che mi hanno preceduto, ha raccolto un ampio consenso e un ampio interesse da parte di molte forze politiche, anche in seguito ad una serie di eventi che hanno avuto una larga visibilità sui media.
In Italia sono più di 33 mila le coppie che, tra il 2000 e il 2013, hanno completato un percorso adottivo a livello internazionale. Questo è un numero importante di famiglie che hanno scelto di fare un percorso di accoglienza e crescita che merita, per le condizioni particolari in cui si svolge e per l'impegno che richiede, un'attenzione specifica da parte delle istituzioni.
La legge italiana, a partire dalla Convenzione dell'Aja, ratificata nel nostro ordinamento nel 1998, e dalla normativa delle adozioni internazionali ed i relativi provvedimenti attuativi, prevede un impianto che è solido e che ha al centro alcuni principi importanti: in primo luogo, il rispetto dei diritti e il perseguimento del maggiore interesse del minore, il concetto di sussidiarietà, il ruolo e la funzione dei diversi enti nel processo di adozione. La validità del quadro normativo è riconosciuto non solo dagli attori italiani, come sottolineato anche nei due interventi che mi hanno preceduto, ma anche dai partner con i quali anche noi ci siamo direttamente confrontati nelle situazioni di crisi. E, quindi, è un buon impianto.
È un buon impianto anche perché ci sono soggetti di carattere pubblico (i servizi sociali territoriali, il tribunale dei minorenni e il ruolo centrale della commissione per le adozioni internazionali), che garantiscono imparzialità di giudizio e professionalità nella valutazione delle coppie, soprattutto in quello che è il centro della normativa italiana, che è l'interesse superiore dei bambini.
Al tempo stesso, anche a fronte della diminuzione del numero di adozioni internazionali – si è registrato un meno 7 per cento nel 2013 rispetto al 2012, ed un meno 23 per cento nel 2012 rispetto al 2011 – e anche in seguito alla diminuzione di idoneità concesse dai tribunali italiani negli ultimi anni, ci sembra – ed è la ragione per la quale presentiamo una mozione – che l'azione del Governo debba essere meglio indirizzata a sostenere i percorsi adottivi, soprattutto con riferimento a quattro questioni.
In primo luogo, la CAI deve essere dotata di risorse adeguate, necessarie a far sì che possa svolgere i propri compiti istituzionali. Negli ultimi anni, infatti, le risorse messe a disposizione della CAI non sono state all'altezza dei suoi molti e cruciali compiti e ora, dopo la nomina di un nuovo presidente in un clima di rinnovata attenzione politica verso la tematica delle adozioni, crediamo che si debba dotare questa struttura di tutte le risorse affinché essa effettivamente funzioni nei compiti ordinari e anche in quelli straordinari.
In secondo luogo, alcuni casi recenti di difficoltà nei rapporti internazionali con Paesi che hanno interrotto o rallentato il percorso di adozioni internazionali – che, come abbiamo visto, sono stati oggetto di grande attenzione mediatica – segnalano che il Governo debba incrementare la propria capacità di proiezione internazionale, anche relativamente al tema delle adozioni, sia rafforzando la capacità di relazione della CAI e di cooperazione sul tema della difesa dei diritti dei minori sia stipulando accordi bilaterali con i Paesi con i quali, in particolare negli ultimi anni, il percorso adottivo è stato più discontinuo e imprevedibile.
In terzo luogo, è intervenuta la crisi economica e, oltre a questa, l'arrivo di molti bambini con bisogni speciali, i quali sottolineano la necessità di concentrare l'attenzione del Governo anche rispetto alle risorse messe a disposizione dal percorso di adozione internazionale.
Il tema delle risorse è stato un tema già sollevato nel 2005, quando è stato creato un Fondo di sostegno delle adozioni internazionali, che era appunto finalizzato al rimborso di parte delle spese sostenute per l'adozione di un bambino straniero, le Pag. 7cui funzioni sono state successivamente assorbite dal Fondo per le politiche della famiglia.
Le adozioni internazionali possono addirittura arrivare a costare 20 mila euro a famiglia e sono effettivamente dei costi che creano un'evidente disparità di trattamento tra i cittadini. Il Fondo, purtroppo, non è stato rifinanziato per alcuni anni, e nel 2013 ci sono delle risorse che vanno a coprire non tutti i bisogni del 2011. Questo crea un'ulteriore ingiusta penalizzazione nei confronti di tante coppie più fragili economicamente, che credono però fermamente nel diritto di ogni bambino ad avere una famiglia.
Quindi, con la mozione presentata chiediamo il rifinanziamento del Fondo e, più in generale, invitiamo il Governo a valutare la possibilità di superare il sistema di rimborso, sostituendolo con misure fiscali idonee a sostenere le famiglie che concludono il percorso adottivo, e introduciamo una serie di suggerimenti, in particolare concernenti le spese relative ai percorsi post-adottivi soprattutto dei bambini con bisogni speciali.
In quarto luogo, ribadendo che non riteniamo necessario una revisione della normativa, perché è una buona normativa, chiediamo però un intervento del Governo in termini di semplificazione delle procedure burocratiche, come è emerso dai due interventi che mi hanno proceduto. E facciamo alcune proposte di carattere concreto, che riguardano sia la trascrizione della sentenza nei registri dello stato civile sia le agevolazioni relative ai congedi parentali e, più in generale, invitiamo il Governo ad assumere iniziative per garantire l'espletamento in tempi certi della relazione e della documentazione informativa da parte dei tribunali per i minorenni e dei servizi sociali sui requisiti di idoneità delle coppie all'adozione. Cioè sostanzialmente invitiamo il Governo a fare sì che i tempi previsti dalla legge siano rispettati.
Infine, nel presentare questa mozione, vorrei aggiungere un punto. Noi vogliamo dare un segno politico di preciso impegno straordinario del Governo, anche in virtù della decisione da parte del Presidente del Consiglio di assumersi la delega relativa alle adozioni internazionali, testimoniando così l'importanza per questo Governo di trattare il tema delle adozioni internazionali. Chiediamo quindi, appunto, che il Governo faccia uno sforzo straordinario per risolvere tutti quei casi di adozioni ancora aperti in Paesi che, in seguito a delicate situazioni interne, hanno deciso di rallentare o bloccare le adozioni internazionali.
Rispettiamo l'evoluzione interna di ciascun Paese, siamo consci dell'attenzione che gli stessi Paesi di provenienza hanno per i diritti dei minori e il loro benessere, come già sottolineava l'intervento della collega Binetti, ma riteniamo che alcune di queste situazioni possano trovare una positiva soluzione solo se il nostro Governo mantiene, come ha fatto in questi mesi, l'iniziativa diplomatica in modo costante, discreto, ma presente verso queste situazioni.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rocco Palese, che illustrerà la mozione Palmieri n. 1-00542, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, da alcuni anni in Italia le adozioni internazionali sono in crisi. Nel 2012 l'Italia ha visto un grossissimo calo delle adozioni internazionali: meno 22,8 per cento, a cui, nel 2013, si è aggiunto un ulteriore meno 9,1 per cento. Pur essendo ancora oggi uno dei Paesi più accoglienti al mondo, anche in Italia da ormai molto tempo si parla di crisi delle adozioni e bisognerebbe prestare più attenzione alla qualità delle adozioni internazionali e meno alla quantità.
Nel corso del 2013 le famiglie italiane hanno realizzato l'adozione internazionale di 2.825 bambini provenienti da 56 diversi Paesi, registrando, considerato il significativo decremento del fenomeno a livello mondiale, un calo inferiore rispetto all'anno precedente, con una flessione delle coppie adottive del 7,2 per cento rispetto Pag. 8al 2012, paragonata al calo del 21,7 per cento del 2012 rispetto al 2011, e con margini percentuali più contenuti di quelli emersi in altri Paesi europei o extra europei.
Nel 2013 si è, quindi, registrata una stabilizzazione della disponibilità delle famiglie italiane ad adottare, nonostante il continuo cambiamento del contesto internazionale e la crisi economica: dati che confermano come l'Italia rappresenti uno dei Paesi di destinazione più attivi nello scenario internazionale, in grado di offrire un'accoglienza che tenga conto delle sempre diverse e particolari esigenze dei bambini stranieri in stato di adottabilità.
Le famiglie italiane dimostrano una grande sensibilità alle adozioni. Infatti, più che negli altri Paesi di accoglienza sono disponibili ad adottare bambini grandi, che hanno problemi di salute anche gravi e non reversibili. Ma, essendo spesso i Paesi di origine Paesi con forti problematiche sociali, economiche e politiche, di volta in volta si possono avere delle «crisi Paese» (vedi Ucraina), che si riflettono anche sulle adozioni, che, pertanto, possono subire forti rallentamenti o sospensioni che incidono, quindi, qualche volta in maniera determinante, sul numero complessivo di adozioni portate a termine.
Il proficuo confronto con i Paesi di accoglienza, come è l'Italia, ha consentito nei Paesi di origine l'elevarsi della sensibilità politica ed istituzionale, che ha portato a sviluppare e a implementare politiche nazionali di maggiore tutela dei diritti dei minori, che hanno determinato in quei Paesi modifiche normative che, da una parte, hanno rallentato le procedure di adozione, ma che, dall'altra parte, hanno significato l'elevarsi dello standard qualitativo delle tutele per i minori e, quindi, una maggiore aderenza alle normative internazionali poste a presidio di tali diritti.
Ogni Stato di accoglienza, in ottemperanza alla Convenzione, ha l'obbligo di verificare la possibilità che il minore possa crescere in un clima di felicità, di amore e di comprensione nel proprio Paese di nascita e l'obiettivo comune degli Stati che hanno ratificato la Convenzione de L'Aja è che il numero delle adozioni internazionali vada sempre più riducendosi perché non più necessarie.
Tra gli impegni prioritari della Commissione per le adozioni internazionali ci dovrebbe essere l'implementazione della cooperazione internazionale, nello spirito della Convenzione de L'Aja, e l'Italia si assicura che in tutti gli Stati stranieri in cui opera per le adozioni internazionali le normative e le procedure di adozione siano rispettose dei principi espressi dalla Convenzione de L'Aja stessa e che, quindi, rispondano agli standard di garanzia e trasparenza necessari ad assicurare la tutela del superiore interesse dei minori.
Una particolare attenzione la commissione deve dedicarla alla consultazione e all'ascolto delle proposte degli enti e all'accompagnamento della loro attività in campo nazionale e internazionale, ma anche alla omogeneizzazione delle procedure, alla corretta cura dei rapporti con i minori della famiglia adottiva, agli interventi formativi e di accompagnamento della famiglia nel periodo della pre-adozione, della adozione e della post-adozione.
L'Italia può vantare una preziosa presenza in tutti i continenti per la tutela dei diritti dei minori e costituisce una esperienza di riferimento anche per altri importanti Paesi di accoglienza. È necessario convocare, quindi, un incontro plenario di tutti gli enti autorizzati, preparando adeguatamente tavoli di confronto che portino alla individuazione di un programma da attuare in piena sintonia.
Infatti, con l'approvazione e l'entrata in vigore, nel 1998, della legge di ratifica della Convenzione de L'Aja, il sistema delle adozioni internazionali in Italia è stato completamente ridefinito, conferendo alla CAI sia competenze internazionali che attengono ai rapporti con il segretariato de L'Aja, alle relazioni con le autorità centrali dei Paesi Aja e con le autorità di riferimento dei Paesi non Aja, allo sviluppo delle relazioni internazionali, alla conclusione di accordi bilaterali, nonché all'attività di cooperazione tesa a realizzare Pag. 9il principio di sussidiarietà, ovvero di residualità dell'adozione, sia le competenze nazionali, costituite da un'attività autorizzatoria di vigilanza e di controllo in relazione agli enti che si occupano di adozione, che impone anche di applicare nei loro confronti sanzioni come la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, andrebbe rivista e semplificata.
La commissione ha, poi, una funzione di autorizzazione in relazione alle richieste di ingresso dei minori adottati, poiché deve controllare che le adozioni rispondano ai principi della Convenzione ed in particolare al superiore interesse del minore nella sua effettiva adottabilità e deve svolgere, inoltre, un'attività di promozione della cooperazione tra i soggetti operanti nel campo delle adozioni internazionali, e in tale ambito mantiene rapporti di approfondimento della normativa di collaborazione con l'autorità giudiziaria minore (tribunale per i minorenni, sezioni specializzate delle corti d'appello e della Suprema Corte) e di monitoraggio della giurisprudenza della CEDU, cioè della Convenzione europea per i diritti dell'uomo.
In tale ottica, il principio dell'interesse superiore del bambino deve costituire cardine nella legislazione e nelle procedure che disciplinano l'adozione che va garantito rafforzando un follow up sistematico sul benessere dei bambini adottati, e sulle cause e le conseguenze di casi particolarmente critici; per quanto riguarda gli aspetti internazionali occorre intervenire con tempestività, competenza e decisione, tenendo conto del ruolo centrale della Commissione, incentivando la collaborazione internazionale in materia di adozioni, partendo dal presupposto che l'adozione internazionale svolta secondo i principi della Convenzione de L'Aja è una forma di tutela dei diritti umani ed in particolare dei diritti dei minori.
È infine importante promuovere approfondimenti di studio in materia di kafala e riflettere sulla possibilità di introduzione di una normativa specifica, che faccia chiarezza sul punto e sul piano nazionale occorre intervenire semplificando la materia delle adozioni, per assicurare i diritti dei minori ad una famiglia in tempi brevi, ma senza rinunciare alle garanzie, magari rafforzando la rete con la magistratura minorile, allo scopo di dare risposte omogenee e costituzionalmente orientate alle criticità che si presentano e garantendo la rete con gli enti autorizzati, ascoltando le problematiche che incontrano e verificando le loro proposte, anche al fine di razionalizzare le procedure e assicurare agli stessi, che devono operare nel rispetto più assoluto delle regole, quali soggetti incaricati di un pubblico servizio, un pieno riscontro e sostegno della commissione.
L'ammontare delle risorse a disposizione della Commissione per il 2014 non è ancora stato definito ed è senza dubbio necessario che la CAI sia dotata di congrue risorse economiche, che consentano la prospettiva di un rilancio della sua azione, di sostenere ed implementare tutte le sue funzioni, sia a livello nazionale che internazionale.
Si chiede dunque che il Governo permetta alla Commissione adozioni internazionali di effettuare un'attenta verifica degli enti autorizzati, per controllarne l'adeguatezza sotto il profilo delle competenze, delle modalità operative e dei requisiti, rafforzando la rete con le regioni, per far interagire le loro competenze con quelle della commissione e far emergere eventuali criticità pratiche da risolvere
Ci si augura che il Governo rafforzi la rete dei servizi sociali e territoriali per verificare come aumentare la loro efficacia tanto nella fase preparatoria dell'adozione, quanto in quella del post adozione, interagendo con la rete delle associazioni dei genitori adottivi e riflettendo, sulla base della loro esperienza diretta, su come razionalizzare la filiera degli interventi che si attivano in favore delle coppie che intendono adottare.
È importante che si riesca ad interagire con istituzioni ed enti che si occupano dei minori, in maniera da svolgere un'azione sinergica della tutela dei diritti dei bambini e si contrasti ogni attività di lucro e di commercio, nonché qualsiasi manipolazione e violenza, rafforzando la cultura Pag. 10della formazione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza ed il contrasto alle discriminazioni.
Infine, si chiede che il Governo verifichi e razionalizzi i costi delle adozioni, sostenendo interventi per una maggiore deducibilità e per un diverso sistema dei rimborsi, incrementando le risorse a disposizione della commissione, che dovrebbe essere dotata di un apposito fondo, costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri per svolgere i complessi e numerosi compiti in sede nazionale ed internazionale.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Nicchi. Ne ha facoltà.
MARISA NICCHI. Signor Presidente, la vicenda dei bambini congolesi adottati da famiglie italiane, che il Governo del Congo aveva deciso di sospendere per alcune improvvise irregolarità procedurali, ha avuto un forte richiamo mediatico sull'esperienza del mondo dell'adozione internazionale.
I riflettori hanno focalizzato, senza avere magari in quel momento la necessaria cura della privacy dovuta ai bambini in una circostanza così delicata, la meravigliosa possibilità di realizzare il sogno di una genitorialità alle coppie e assicurare ai tanti bambini e bambine sofferenti in tanti angoli del mondo la cosa più bella per loro, tutt'altro che scontata: la speranza e la sicurezza di una vita degna di essere vissuta.
E proprio all'indomani del mondiale di calcio cui abbiamo assistito viene alla mente quella splendida immagine di Balotelli che, dopo un goal da sogno, si è precipitato in tribuna ad abbracciare la sua madre adottiva: un plateale riconoscimento alla madre adottiva, un messaggio straordinario di ciò che può un desiderio amoroso. Anche se, come in ogni esperienza genitoriale, non tutto è sempre facile e allora qui sta il ruolo della responsabilità pubblica: garantire tutto il sostegno necessario per promuovere e sostenere questa scelta. Ripeto: promuovere e sostenere. Per questo la mozione che stiamo predisponendo in modo unitario e che già è stata presentata da vari interventi è un atto importante. È mossa dalla necessità di fare i conti con i molti problemi che sono venuti a maturazione in questa materia. Il primo, il principale, direi, è che siamo di fronte ad una crisi dell'adozione internazionale, ma purtroppo non siamo di fronte alla crisi della sua necessità. E allora, mi permetta una parentesi: il nostro ruolo anche di responsabilità pubblica, politica ci porta con uno sguardo a Gaza, alle vittime, ai tanti bambine e bambini che rimarranno orfani per un conflitto inaccettabile. A quel dolore, che si sta consumando in una timidezza della comunità internazionale e dell'Europa, noi vogliamo corrispondere con un'azione e chiediamo a questo nostro Paese, che in questo momento ha una vitalità nel panorama internazionale, di muoversi anche in questo senso, ma purtroppo non abbiamo ancora visto la necessaria iniziativa. Allora, dati UNICEF, le adozioni internazionali nel mondo sono in costante diminuzione.
L'Italia è entrata in questo trend con un ulteriore calo nel 2013 del 9,1 per cento rispetto al 2012, anno che ha visto a sua volta una diminuzione del 22,8 rispetto al 2011. Quindi, mentre nel 2011 sono stati adottati in Italia 4.022 bambini di origine straniera, nel 2013 siamo arrivati a 2.825. Nonostante il calo, l'Italia continua a rimanere il secondo Paese al mondo per numero di adozioni, dietro solo agli Stati Uniti. È un bel primato per il nostro Paese. Anche se tra le coppie si registra una sensibile diminuzione alla disponibilità dell'adozione: è calata del 5,5 per cento dal 2011 al 2012. Ma ripeto: un dato che chiama in causa il nostro Paese. Se l'adozione diminuisce, non diminuisce il fenomeno dell'abbandono dei minori nel mondo anche se rispetto a questo tema non c’è una stima attendibile sul numero dei bambini abbandonati: 150 milioni sono i bambini stimati dall'UNICEF considerati bambini vulnerabili. E quello che sappiamo, invece, con certezza, analizzando i dati del 2013, è che quasi la metà dei bambini che arriva in adozione in Italia Pag. 11proviene da Paesi che non hanno firmato la Convenzione de L'Aja e che, quindi, meritano una verifica ulteriore sullo stato di abbandono e, in questo caso, anche perché possono essere meno tutelati. Tra le principali ragioni della crisi dell'istituto delle adozioni internazionali vanno considerati in primo luogo i costi per le famiglie, costi che le famiglie devono sopportare in un periodo di grave crisi.
Proprio per far fronte a questi elevati costi, nel 2005, è stato istituito un Fondo di sostegno delle adozioni internazionali. Attualmente, sono stati erogati i rimborsi alle adozioni concluse nel 2010. Siamo nel 2014: si tratta ancora di coprire le adozioni concluse nel 2011, per le quali non sarebbe stato ancora erogato il rimborso, mentre per quelle del 2012 non è stato fatto nemmeno il decreto che noi, invece, sollecitiamo nella nostra mozione. Impegni che chiediamo subito, del resto sono stati oggetto di un'iniziativa ispettiva proprio del nostro gruppo.
È un problema molto serio: la mancanza di un sostegno economico rappresenta un ostacolo per tante coppie italiane decise ad adottare, soprattutto per quelle meno abbienti. È un'altra forma dei diritti censitari, che penalizza la disparità di tante coppie più fragili economicamente, ma che credono fermamente nel diritto di ogni bambino ad avere una famiglia e sono animate da un sano desiderio di diventare genitori.
È un consiglio che voglio dare alla Ministra Lorenzin, che si lancia spesso, anche in un modo propagandistico, ideologico, per un cosiddetto piano sulla fertilità, di antica memoria: cominci a guardare da questa parte, intercetti e risponda a questa domanda reale di genitorialità. Si cominci da qui: più risorse per il Fondo per il sostegno alle adozioni internazionali.
Servono anche più trasparenza e più chiare informazioni da parte della commissione per le adozioni internazionali sullo stato di istruzione delle proprie pratiche e sui tempi previsti per i rimborsi. È fondamentale per tante famiglie interessate a riuscire ad ottenere i rimborsi. Il costo di un'adozione internazionale supera facilmente i 20 mila euro e, spesso, per ottenerla si è costretti a chiedere mutui, prestiti ai familiari. E sono importanti anche misure come la totale deducibilità delle spese per le adozioni.
Inoltre, altra priorità, che entra pienamente nella mozione che si sta predisponendo: rafforzare i servizi sociali di sostegno e accompagnamento, con una particolare attenzione per le famiglie con i bambini che hanno più specifici disagi, situazioni che spesso sono vissute dalle famiglie in totale solitudine. D'altra parte, anche in questo settore, i tagli ciechi alla spesa sociale si sono fatti sentire.
Altra priorità: una riconsiderazione delle procedure amministrative. Le procedure di adozione sono spesso piuttosto farraginose e i tempi troppo lunghi, molto spesso, con esiti incerti. Semplificare, semplificare, semplificare, ma distinguere ciò che è interesse e sicurezza dei bambini da ciò che è solo pastoia burocratica e anche, magari, pratica un po’ corsara, non trasparente, come spesso in questo mondo avviene e che produce aggravio di costi e perdita di tempo. Costi e perdita di tempo che non vanno bene quando si tratta di mettere al centro il diritto al benessere di un bambino.
Allora, anche qui, noi abbiamo presentato delle proposte per la semplificazione delle procedure; apprezziamo che il Ministro della giustizia abbia ritenuto opportuno procedere allo studio.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MARISA NICCHI. Altro tema è quello sui requisiti per gli enti autorizzati. Si tratta di prevedere requisiti di autorizzazione più stringenti e più rigorosi, massima eticità, trasparenza, professionalità, tracciabilità di ogni azione compiuta.
Un altro tema è la necessità di rafforzare, nelle opportune sedi internazionali, le relazioni bilaterali e gli accordi negoziali in una materia così complessa, al fine proprio di ridurre il più possibile il verificarsi di eventi di inattesa chiusura delle procedure internazionali di adozione che provocano un di più di dolore, di attesa, di Pag. 12lontananza. A questo proposito, è importante che il Governo riferisca velocemente, entro sei mesi, sullo stato dell'arte di queste azioni. Il Parlamento sta prendendo degli impegni e il Governo verrà sollecitato da questo Parlamento.
La politica cerca di affrontare e vuole, in questo modo, affrontare un grande tema e, quindi, mostrare la parte positiva della sua funzione, ma non è sempre stato così. Più volte abbiamo visto come a fini politici si possano strumentalizzare anche le sofferenze dei bambini. Voglio ricordare il cinismo indicibile del provvedimento di Putin che ha bloccato le adozioni in USA per ritorsioni geopolitiche. Le proteste che in quel Paese ci sono state, sfidando l'autoritarismo e la polizia, dimostrano che l'adozione internazionale rimane un grande strumento di civiltà e giustizia umana.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bruno Molea. Ne ha facoltà.
Avverto che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Palmieri ed altri n. 1-00542, il cui testo è in distribuzione.
Prego, onorevole Molea.
BRUNO MOLEA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il punto di partenza dell'istituto dell'adozione, sia essa nazionale che internazionale, è la famiglia, riconosciuta già nel preambolo della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, come unità fondamentale della società nonché presupposto per uno sviluppo armonioso e completo della personalità del minore.
La materia delle adozioni internazionali, dapprima disciplinata dalla legge n. 184 del 1983, è stata interamente ridefinita dalla normativa del 1998, che ha dato esecuzione alla Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, stipulata a L'Aja il 29 maggio del 1993 e sottoscritta dall'Italia l'11 dicembre del 1995. È stata attribuita a una specifica autorità centrale, la commissione per le adozioni internazionali, il CAI, sia negli Stati di accoglienza che negli Stati di origine, il compito di accreditare le organizzazioni che lavorano nel campo dell'adozione internazionale nonché di creare una struttura di cooperazione tra Paesi, affinché sia assicurato che le procedure attraverso le quali viene messa in opera l'adozione internazionale siano attuate nel migliore interesse del bambino privo di famiglia e nel rispetto dei principi di fondo sulla tutela dello stesso: uno sviluppo armonioso in un contesto di amore familiare, la prevenzione di possibili abusi, la responsabilità della cooperazione tra Stati nel valutare i requisiti di adottabilità, il consenso informato dei genitori o tutori del minore e la considerazione dei suoi desideri, compatibilmente con l'età.
Malgrado l'Italia continui ad essere il secondo Paese nel mondo, dopo gli Stati Uniti, per numero di adozioni internazionali, negli ultimi anni si è assistito ad un sensibile calo delle richieste di adozione. Dal 2010, anno in cui si è avuto il picco, con 4130 minori adottati, è iniziato un trend negativo, un trend negativo costante e progressivo che ha portato a 2825 bambini nel 2013, ben 1350 in meno, quindi, rispetto a prima, per una flessione complessiva di quasi il 32 per cento in quattro anni. Dati che impallidiscono di fronte ai numeri dei primi tre mesi del 2014 raffrontati a quelli dello stesso periodo dell'anno precedente: si è registrata una variazione negativa del 24,3 per cento per quanto riguarda le coppie adottive, ben 125 coppie in meno, mentre i minori autorizzati all'ingresso sono calati del 25 per cento, appunto, 159 i minori in meno. Ma è marzo il mese del tracollo; nel 2014 gli ingressi in Italia di minori adottati sono diminuiti del 47 per cento rispetto allo stesso mese del 2013, con un meno 43 per cento delle coppie adottive.
Con riferimento all'Italia, l'indagine conoscitiva svolta lo scorso anno dalla Commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza ha fatto emergere come il calo delle domande per le adozioni internazionali sia da addebitare, soprattutto, alla Pag. 13crescente durata del percorso adottivo interno ed esterno, che oggi si attesta su una durata media di 48 mesi dalla relazione dei servizi sociali al decreto di idoneità, e infine all'abbinamento della coppia con un determinato minore, operato dall'ente autorizzato. Alcuni passaggi dell'intero procedimento oggi appaiono ripetitivi anche sotto il profilo procedurale o risentono delle sempre più limitate risorse a disposizione delle ASL a cui appartengono, appunto, i servizi sociali o delle difficoltà operative di alcune sedi di tribunali.
Un altro significativo deterrente è da identificare nell'aggravarsi della crisi economica, con un peggioramento delle aspettative future delle coppie, unito al connesso aumento dei costi da sostenere per l'adozione internazionale come corrispettivo dei servizi forniti dall'ente intermediario.
Non è, d'altra parte, da sottovalutare un altro aspetto, che riguarda l'aumento dell'età media dei bambini adottati, con il conseguente aggravarsi delle difficoltà di integrazione degli stessi e del timore prevalente che l'adozione possa fallire. Incide in tal senso l'assenza di adeguati percorsi di accompagnamento delle coppie nel periodo post-adottivo, in cui massima è la richiesta da parte della famiglia di supporto psicologico e di assistenza, anche materiale, in presenza di bambini difficili o anche soltanto in età già scolare.
Strettamente connesso a quest'ultima causa è l'emergere di quella che, nelle audizioni svolte dalla Commissione, è stata definita una cultura negativa dell'adozione, sia essa nazionale che internazionale. Essa consiste principalmente nel pregiudizio, ancora radicato in molti operatori del settore, per il quale l'adozione è spesso espressione di un atto di egoismo degli aspiranti genitori, molti dei quali cercano nel figlio adottivo il rimedio alla propria infertilità o sterilità o al fallimento di altri progetti di vita. In questo senso, la valutazione della coppia adottiva è spesso concepita come una selezione, che elimina non solo i genitori inadatti o psicologicamente incapaci di affrontare le difficoltà del processo adottivo, ma anche quelli che non si mostrano a tutti gli effetti eccellenti sul piano psicologico, economico e talora anche fisico.
Il crescente irrigidimento delle politiche nazionali e dei singoli Stati in materia di adozioni internazionali può essere contrastato solo attraverso una politica estera concertata in tutte le opportune sedi europee ed internazionali volta anzitutto ad esercitare una moral suasion sui Paesi di provenienza dei minori adottati per indurli a rispettare il diritto inalienabile di questi i fanciulli ad avere una famiglia. Ciò implica, altresì, la promozione, presso le autorità di questi Paesi, di una cultura all'adozione internazionale intesa come una risorsa e non come una sottrazione di ricchezza, nonché sensibile al rafforzamento, almeno da parte italiana, della cooperazione economica e politica con questi Paesi, che li rassicuri sulla volontà estera di ricorrere allo strumento dell'adozione internazionale solo come residuale rispetto a quella nazionale.
In secondo luogo, appare necessario procedere al progressivo abbattimento degli ostacoli burocratici attualmente presenti nel percorso adottivo, dei relativi tempi procedurali, delle duplicazioni di soggetti e di procedure. È stato segnalato da molti dei soggetti auditi il tema dell'eccessivo proliferare del numero degli enti autorizzati (sono attualmente 66), alcuni dei quali non appaiono adeguatamente attrezzati né sul piano delle risorse né su quello delle competenze. Ciò rende di fatto impossibile stabilire dei criteri di rappresentanza politica necessaria per poter essere interlocutori credibili delle istituzioni.
La razionalizzazione del settore, che tenga conto anche delle linee guida del Bureau de L'Aia attraverso un innalzamento dei requisiti richiesti per accedere all'autorizzazione, consentirebbe una più efficiente allocazione delle risorse disponibili per i progetti di cooperazione, che rappresentano il presupposto per l'accreditamento nonché il perseguimento di economie di scala, con conseguente riduzione dei costi a carico delle coppie adottanti, che andrebbero razionalizzati Paese per Pag. 14Paese attraverso la fissazione di tabelle vincolanti e non facoltative, così da venire incontro alle famiglie con tariffe più contenute e congrue e agevolare allo stesso tempo l'individuazione di eventuali irregolarità da parte della CAI.
Per le adozioni internazionali intervengono sicuramente maggiori difficoltà economiche. Il percorso individuato da queste prevede, infatti, spese che possono variare da 15 mila a 25 mila euro, senza tener conto che ci sono nazioni dove è richiesta una lunga permanenza ed altre dove bisogna tornare più volte, e questo comporta il pagamento di elevatissimi compensi per avvocati e traduttori.
In questa direzione si muove la mozione sottoscritta anche da Scelta Civica per l'Italia, su cui preannuncio fin d'ora il voto favorevole e che, tra le varie richieste, impegna il Governo a dotare la commissione adozioni internazionali di risorse economiche adeguate per i suoi compiti istituzionali; a rafforzare l'iniziativa politica per la definizione di accordi bilaterali con quelle nazioni con le quale negli ultimi anni si è assistito a problematiche nel percorso di adozioni; a continuare a sostenere con convinzione ogni iniziativa volta a bloccare le pratiche adottive di famiglie italiane in quei Paesi nei quali, per ragioni sociali e politiche, queste hanno subito un rallentamento; a sostenere le famiglie che concludono il percorso adottivo sia per le spese sostenute durante il percorso adottivo che nel percorso di post-adozione; inoltre, ad assumere iniziative per garantire l'espletamento in tempi certi, senza proroghe, delle relazioni e della documentazione informativa da parte dei tribunali per i minorenni e dei servizi sociali sui requisiti di idoneità delle coppie all'adozione.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Sesa Amici.
SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, la discussione che si è sviluppata intorno alla presentazione di queste mozioni è, per il Governo, un punto molto importante e la seguirà attentamente anche nella definizione, auspicando sin da adesso che i gruppi siano in grado di trovare un punto unificante riguardo alla questione delle adozioni internazionali.
È molto importante soprattutto perché – credo che anche la discussione lo abbia messo in rilievo – si tratta di un punto decisivo nel cambio di qualità che è avvenuto attraverso la ratifica della Convenzione dell'Aja e che fa della commissione per le adozioni internazionali uno dei punti significativi della strategia del Governo rispetto ad un tema molto sentito come la questione dell'adozione, ma è soprattutto un salto di qualità nei confronti di un sentimento della genitorialità. Lo dico perché gli interventi hanno teso a confermare questa tesi soprattutto riguardo ad un punto che io vorrei sottolineare, perché è l'auspicio della conclusione anche unitaria dell'esame di queste mozioni.
La Convenzione dell'Aja compie un salto di qualità perché fa della strategia dell'adozione un punto decisivo per una definizione maggiore della questione della tutela del minore dentro la logica dei diritti umani. Questo è un elemento sostanziale che ci permette oggi di dire che il modello delle adozioni internazionali italiano è veramente un modello e perché è l'elemento di garanzia che, anche nel sentimento dell'adozione o nell'arrivo di una persona adottata in un contesto di genitorialità, mette al riparo da qualsiasi forma ideologica del desiderio di avere un figlio a tutti i costi. È paradossale, ma forse anche il calo, come dire, delle adozioni che sono intervenute nel corso dei tempi, è legato ad un mutamento che oggi appare, sia per le famiglie naturali sia per le famiglie adottive, ed è l'idea che, con l'arrivo di un bambino naturale o di un Pag. 15figlio adottato, si pone necessariamente la questione del tempo della scelta, perché entrambi ormai stanno dentro la definizione di un progetto in cui l'affettività e il bisogno di genitorialità si estrinseca proprio attraverso questo atto, che non è solo un atto di amore ma è un atto di relazione tra soggetti e vede proprio in quel bambino un soggetto portatore di diritti.
Io credo che noi ci siamo attenuti molto saldamente, nel corso di questi anni, pur dentro le criticità che sono emerse e che sono aspetti sostanziali sui quali si chiede un impegno diverso del Governo su alcuni punti relativi al costo delle adozioni, alla questione di alleviare da alcuni elementi burocratici l'elemento del tempo necessario perché quella soluzione venga attuata senza che in nessun modo, però, metta in discussione la serietà dei controlli.
Questo perché io credo che su questa questione la commissione oggi ha un impegno molto forte, e lo può avere ancora a maggior ragione se la dotiamo di un fondo proprio, perché questo permetterà alla stessa Commissione per le adozioni internazionali di svolgere, anche attraverso questo strumento, un'idea di politica estera che è fatta non solo di accordi bilaterali ma anche di svolgimento concreto di controlli, non solo verso i Paesi che mettono a disposizione analisi sul bisogno totale di bambini abbandonati, e quindi messi nella posizione di accogliere questo elemento di affettività e, dall'altro, di sollecitare gli stessi Paesi a quel rispetto della Convenzione dell'Aja che è proprio di diritto umano, il diritto di quel minore ad avere anche in quei Paesi una attenzione maggiore che non sia quella dell'abbandono o del ricovero in istituti.
Io credo che noi oggi abbiamo ragionato fuori da qualsiasi elemento ideologico, ma abbiamo teso a mettere in evidenza gli elementi per i quali questo strumento della legge italiana che, ripeto, rappresenta un oggettivo modello organizzativo, può trovare nel prosieguo della discussione, nell'accoglimento di alcuni elementi delle mozioni, un terreno fertile perché l'adozione possa tornare ad essere – come lo è stata per tanto tempo – l'elemento con cui si dà risposta non a un desiderio infinito, e forse anche un po’ egoistico, di una famiglia di avere un figlio ma al bisogno di una coppia che ha deciso di dare il suo affetto, dentro quel desiderio, a bambini che vivono in condizioni disumane.
Credo che questo sia un segno di grande civiltà e l'impegno del Governo a lavorare insieme a tutti i gruppi parlamentari perché questa mozione possa avere il consenso unanime del Parlamento.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione delle mozioni La Russa ed altri n. 1-00441, Caruso ed altri n. 1-00534 e Piras ed altri n. 1-00536 in materia di progressioni di carriera e automatismi retributivi per il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico (ore 15,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni La Russa ed altri n. 1-00441, Caruso ed altri n. 1-00534 e Piras ed altri n. 1-00536 in materia di progressioni di carriera e automatismi retributivi per il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico (Vedi l'allegato A – Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Fiano ed altri n. 1-00538, Artini ed altri n. 1-00539, Marcolin ed altri n. 1-00541, Palese ed altri n. 1-00545 e Causin ed altri n. 1-00546 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A – Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.Pag. 16
È iscritto a parlare il deputato Piras, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00536. Ne ha facoltà. Alla luce del numero degli argomenti all'ordine del giorno e del numero degli iscritti, la Presidenza raccomanda anche, nei limiti del possibile, un po’ di sintesi.
MICHELE PIRAS. Signor Presidente, cercherò di venire incontro alla richiesta del Presidente, anche perché mi dispiace non vedere in Aula l'onorevole La Russa, a cui avrei voluto dedicare, visto che è primo firmatario di una delle mozioni in discussione, una parte, che comunque dedicherò, di questo mio intervento.
Io ritengo personalmente che una delle scelte più sbagliate compiute dai Governi in questi anni, dai Governi che hanno preceduto questo, e reiterate anche in questa legislatura, sia stata quella di pensare che la lotta agli sprechi e le operazioni di riassesto dei conti pubblici potessero passare attraverso operazioni depressive della condizione sociale delle persone di questo Paese, come è stato fatto nel 2010 con il provvedimento di blocco delle progressioni stipendiali e della contrattazione nel pubblico impiego, perché è in questo quadro generale che io credo vada collocato, anzi, va collocato, ad essere giusti nel giudizio, il provvedimento di cui oggi si discute nelle mozioni proposte e anche in quella di cui sono primo firmatario, nella quale ricade appunto anche il caso dei lavoratori delle Forze armate, di pubblica sicurezza e del soccorso pubblico.
Il moltiplicarsi negli anni di operazioni di questo genere e il combinato disposto fra la politica dei tagli lineari, l'austerità, il pareggio di bilancio e la depressione salariale hanno provocato un contraccolpo sociale terribile, che mette in evidenza una contraddizione stridente fra gli annunci di ripresa economica e la realtà dei fatti. Questa realtà ci racconta di un impoverimento generalizzato, sia del ceto medio che di quella che un tempo si sarebbe definita classe lavoratrice. Vede, Presidente, l'austerità in questi anni non ha funzionato né come «’a livella» di Totò, né è stata costruita con la necessaria equità nei sacrifici. L'austerità made in Italy è una ferita inferta alla parte più debole della società, spingendola pericolosamente su una linea di confine che il Paese pareva aver dimenticato.
Non posso che gioire, perciò, se oggi il collega La Russa, già Ministro della difesa nel 2010, si fa promotore di una mozione che di fatto rappresenta una sconfessione del suo operato e dell'operato del Governo Berlusconi. Certo, si propone che ciò avvenga solo per le Forze armate, di pubblica sicurezza e del soccorso pubblico, invece che per tutta la pubblica amministrazione, come sarebbe giusto, ma ci vogliamo accontentare, anche se sarebbe un'operazione di onestà intellettuale e di verità oggi ammettere che si è sbagliato e che quella fu una scelta in brutale contraddizione perfino con l'apologia delle Forze armate cui la destra ci ha da tempo abituati.
Vorrei tuttavia tentare una lettura di altro tipo, provare a leggere da un differente punto di vista una singolare fenomenologia che in questi anni è diventata progressivamente più visibile rispetto al passato, ovvero che oggi, nel tempo di una crisi lunga, grave e irrisolta, la rappresentazione delle dinamiche interne alle Forze armate e di polizia è plasticamente la medesima del resto della società.
Al vertice, l'immagine di una sacca intangibile di privilegi e prebende; alla base, una condizione di progressivo peggioramento della condizione di vita dei lavoratori. Una condizione di malessere che è stata rappresentata, con originalità e garbo, sia nelle molteplici audizioni dei Cocer presso la Commissione difesa in questo anno di legislatura, sia nella silenziosa «protesta del caffè» dei sottufficiali dello scorso inverno.
Come si spiegherebbe allora oggi, a distanza di cinque anni dall'ultimo contratto, la sostanziale ostilità dei vertici militari al riconoscimento dei diritti sindacali anche in questo comparto ? Non certo con la categoria della specificità, sportivamente adattata alle diverse situazioni ed abusata per dire tutto e il contrario Pag. 17di tutto e, quindi, nella sostanza, per dire niente. Non certo con il tema della conservazione dell'ordine gerarchico o della funzionalità, dato che il primo non viene certo messo in discussione dai diritti sindacali e poiché si ammetterà che entrambe le categorie risultano maggiormente compromesse quando la base è mortificata da una condizione di vita che va approssimandosi a livello di mera sussistenza, oppure quando le risorse per l'esercizio non bastano più. E che sicurezza può dare al cittadino sapere che manca il carburante per i veicoli di servizio, che la condizione alloggiativa dei militari è precaria perché magari si è privilegiata la strada dell'investimento in sistemi d'arma che nemmeno gli alleati americani oggi considerano affidabili ?
La spending review all'italiana ha prodotto l'apprezzabile risultato di avere diffuso il disagio sociale e l'incertezza esistenziale in un settore delicatissimo come questo. Gli stipendi di questi lavoratori sono fermi al 2009, anno di sottoscrizione dell'ultimo contratto. Cinque anni nei quali il potere di acquisto delle buste paga è progressivamente precipitato con il crescere del costo della vita. Cinque anni nella crisi sono un tempo enorme per chiunque e certamente di più per chi ha stipendi che superano di poco le mille euro mensili, per chi ha figli a carico, per chi ha pensato disgraziatamente di farli studiare, per chi deve pagarsi un mutuo piuttosto che la rata della macchina, ed in cinque anni non è certo diventato più flessibile il nostro sistema bancario. Ecco che nella condizione materiale è giusto che si infranga ogni retorica ed ogni ideologia militarista. Si è voluta colpire la base delle Forze armate, soprattutto, come ovunque si sono colpite per prime le giovani generazioni e i loro progetti di vita.
No, onorevoli colleghi e onorevole Presidente, non è in ragione della specificità che va rimosso il blocco, ma in ragione di un'emergente questione sociale, che si è diffusa anche laddove, dalla fine della Seconda guerra mondiale, pareva allontanata definitivamente. Non è in ragione della specificità, ma di un'effettiva funzionalità ed efficienza e motivazione del lavoro militare che non possono essere garantite, quando addirittura lavorano fianco a fianco, persone di pari grado con stipendi differenziati, fra chi è stato promosso prima e chi solo dopo il 2010.
È davvero strano che chi da sempre si erge a difensore delle Forze armate e di polizia sia anche il responsabile primario di questo stato di cose. Il malessere sociale diffuso, generato in questi anni, sta mettendo platealmente crescenti settori di Forze armate italiane sentimentalmente contro il sistema che sono chiamati a difendere, consentendo alla pericolosa demagogia eversiva di certuni presunti tribuni della plebe di penetrare dove non sarebbero mai dovuti arrivare, di lanciare messaggi agghiaccianti che tutti abbiamo letto e sentito. Perseverare su questa strada non solo sarebbe diabolico, ma davvero stupido e ingiusto.
Per tale ragione, abbiamo voluto proporre una nostra mozione alla discussione in Aula. Con essa non solo chiediamo la rimozione immediata del blocco contrattuale e stipendiale, disposto nel 2010 e prorogato a settembre dello scorso anno, ma chiediamo anche che venga esplicitamente esclusa l'eventualità di una nuova proroga.
PRESIDENTE. Onorevole Piras, la ringrazio anche per la sintesi.
È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Ferro, che illustrerà anche la mozione Fiano ed altri n. 1-00538, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
ANDREA FERRO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, noi abbiamo presentato questa mozione e con il mio intervento comincio, diciamo, dalla fine, chiedendo innanzitutto al Governo, nei prossimi tre mesi, di informare l'Aula e di fornire un quadro all'Aula stessa sia sul settore della difesa sia sul settore della sicurezza e del soccorso pubblico.
Naturalmente, noi ci rendiamo conto e lavoriamo da anni vicino ai lavoratori delle Forze armate e dei comparti che sono oggetto di queste mozioni.Pag. 18
Vogliamo dire subito, all'inizio di questo intervento, che il tema che noi poniamo al Governo, coscienti che il Governo è sensibile a queste questioni e che ci sarà un impegno, affinché nella legge di stabilità 2015 si ponga fine alla situazione di questi lavoratori. Del resto ha ragione il collega Piras: la situazione è particolare certamente nelle Forze armate, nel comparto della sicurezza e del pubblico soccorso, ma è un quadro complessivo di tutti i lavoratori della pubblica amministrazione. Naturalmente i problemi vengono innanzitutto dalle ultime finanziarie degli anni duemila. Anche io sono basito dalla mozione La Russa che, come al solito, strumentalizza il rapporto con alcune parti del Paese e pensa che nessuno si renda conto che il tema è generale e che lui è stato Ministro di Governi che hanno creato più di tutti questi problemi. Vede, Presidente, i comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico sono di fatto soggetti ad un blocco contrattuale dal 2006, e questo ha portato anche ad un congelamento di tutte le prerogative connesse ai diritti spettanti agli operatori, a partire dall'adeguamento economico attribuito per progressione di carriera, assegno di funzione e compresi gli scatti di anzianità e finanche un riordino delle carriere che sarebbe decisamente auspicabile. Lavoratori che hanno la stessa funzione e che hanno lo stesso grado si trovano a lavorare con stipendi differenti, creando – io credo – grandissimi problemi di rapporti ma soprattutto grande ingiustizia rispetto a quello che è il lavoro, la funzione ed anche la valorizzazione delle esperienze umane dentro questi comparti, che sono straordinarie e a cui noi ogni giorno ci appelliamo e siamo vicini. È evidente che la discriminazione che si è venuta a determinare nel corso di questi anni nei confronti del personale dei comparti non ha visto riconosciuti i diritti ad esso spettanti, che sono spettanti dal punto di vista del profilo contrattuale, ma anche dal punto di vista del profilo giuridico e costituzionale. La situazione si è aggravata di più con il decreto-legge n. 78 del 2010, che ha previsto l'esclusione dal 2011 al 2013 dei meccanismi di adeguamento previsti per legge, ma anche dell'applicazione degli aumenti retributivi collegati all'anzianità di ruolo e addirittura al riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera. Alcuni che hanno avuto la progressione di carriera prima hanno avuto l'aumento di stipendio, alcuni che l'hanno avuto dopo sono rimasti incollati allo stipendio che prendevano prima. Quindi a parità di funzione, a parità di grado, a parità di lavoro fatto, stipendi differenti. Le disposizioni, come è noto, sono state prorogate fino al 31 dicembre 2014 dal decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013 n. 122. Vede, Presidente, il richiamato blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali e, dall'altra parte, negli anni scorsi insieme all'assenza di procedure di concertazione con le categorie di lavoratori ha pregiudicato la maturazione di alcuni istituti propri dei comparti in oggetto strettamente connessi alla valorizzazione dell'anzianità di servizio e alla correlata acquisizione di crescenti competenze professionali. Oltre a questo, le impegnative responsabilità di servizio, l'omogeneizzazione, l'assegno funzionale e gli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni non sono stati considerati e il lavoratore di questi comparti vive una situazione di grande difficoltà e di grande pena. È evidente che le problematiche sono andate avanti nel decreto poi convertito in legge n. 133 del 2008 per gli anni 2010 e 2012. L'altro pezzo del ragionamento e del problema è stato fatto dal blocco parziale del turn over, blocco del 20 per cento dal 2012 al 2014, del 50 per cento nel 2015 e del 100 per cento dal 2016 in poi. Questo ha provocato, fra i problemi che abbiamo detto, uno fra i più difficili, anche in un Paese che ha la necessità di rinnovarsi, di ringiovanire, di mettere nella pubblica amministrazione lavoratori e quadri giovani che abbiano le condizioni anche di entusiasmo di essere servitori della patria.
L'età media di tutti gli operatori del settore è salita sopra i 45 anni ed è fra le più alte d'Europa. Questo è un problema Pag. 19certamente enorme per questo Paese, nel momento in cui una nuova classe dirigente si afferma. Naturalmente, non basta avere un Presidente del Consiglio di 39 anni, ma vi è bisogno in tutte le parti della pubblica amministrazione, nei settori e nei comparti, di una grande capacità di rinnovamento e di mettere in campo energie nuove e nuovi stimoli.
Del diverso trattamento economico tra soggetti abbiamo detto. La legge di stabilità del 2014, da questi punti di vista, cioè rispetto a questi problemi, è stata certamente un'inversione di tendenza, in particolare sulla formazione e sull'addestramento del personale, ma, rispetto agli adeguamenti contributivi, ancora poco si è fatto, nonostante l'attenzione degli ultimi Governi alla difesa, alle Forze armate e ai lavoratori della sicurezza.
È evidente che questo ha provocato trattamenti economici medio-bassi, Presidente, rappresentante del Governo, in una situazione di grande e straordinaria crisi, che è quella che conosciamo, è quella con cui ci battiamo ogni giorno in quest'Aula, insieme al Governo. Naturalmente, stiamo parlando di un settore di lavoratori cospicuo, robusto, oltre le 500 mila unità; quindi, non una parte residuale del Paese, ma una parte che nelle funzioni è importante e determinante e, dall'altro lato, nei numeri è forte, salda. Vi sono molte famiglie che vivono nel settore della difesa, nel comparto della sicurezza e del soccorso pubblico.
Naturalmente, per quelli che hanno stipendi di base più bassi, come sappiamo, sotto i 25 mila euro, è stato un segnale importante e determinante il decreto degli 80 euro, essendo arrivato come un segnale di grande attenzione da parte del Governo e del Parlamento, dopo, però, anni di sofferenze e di inadeguatezza delle procedure di aumento stipendiale. Naturalmente, tale misura ha dato un po’ di aria pulita e di possibilità di spesa alle famiglie, ma non ha risolto, come è del tutto normale, i problemi, soprattutto di chi ha meno.
Certo, naturalmente, nel quadro delle riforme economiche e finanziarie di questi anni, il rischio vero è che, senza una discussione, si cambi il modello di difesa, un modello di difesa che è stato percepito e visto dai costituenti e dai Governi che lo hanno costruito in un modo e che, attraverso il non adeguamento delle procedure economiche e finanziarie, degli adeguamenti stipendiali, della progressione e degli scatti di carriera, rischia di diventare altro, mentre, invece, vi è necessità di discutere, come si sta facendo già da qualche mese, di una nuova funzione e di un nuovo modello della difesa, della sicurezza e del rapporto di questi con lo Stato da una parte e con il territorio e con i cittadini dall'altra.
È per questo che è ineludibile ripensarlo ed è per questo che in quest'Aula discuteremo, nei prossimi mesi, anche di questo. Nel frattempo, naturalmente, siamo vicini a tutti i lavoratori della pubblica amministrazione, soprattutto – diciamoci la verità – ai lavoratori della pubblica amministrazione, ma anche del privato, che hanno meno, che hanno caricato sopra le proprie spalle la terribile crisi che è iniziata negli scorsi anni; una crisi che ha ampliato, come diciamo sempre, la forbice, nella quale chi aveva di più ha sempre avuto di più e chi, invece, aveva di meno ha sempre avuto di meno, ha subito il non adeguamento dei livelli stipendiali, ha subito l'impossibilità di arrivare alla fine del mese, e un ceto medio, fra i due, che prima esisteva e che pericolosamente si schiaccia verso il livello basso della scala sociale.
È per questa ragione che abbiamo presentato questa mozione, per dire tre cose, fondamentalmente. Le prime due per chiedere al Governo due documenti, uno sul comparto difesa e uno sul comparto sicurezza. Sul comparto sicurezza e soccorso pubblico si invita il Governo a una relazione entro tre mesi sulle condizioni professionali e retributive degli operatori, sugli organici, sulla dotazione e anche sulla dislocazione territoriale, per valutarne l'idoneità, l'efficacia, il raggiungimento degli obiettivi e l'analisi del quadro normativo esistente.Pag. 20
Nel comparto della difesa, certamente, si invita il Governo a presentare una relazione entro tre mesi, sulla situazione retributiva del personale che prepari anche una discussione più generale sul nuovo modello di difesa.
Innanzitutto, chiediamo l'impegno del Governo sulla legge di stabilità 2015 a valutare positivamente, in vista della predisposizione di tale legge di stabilità, misure finalizzate ad assicurare al personale di tutti comparti il recupero, nella misura compatibile naturalmente con l'andamento delle finanze pubbliche – che per noi è un valore per cui ci siamo impegnati anche in sede europea e davanti alle famiglie italiane – dei trattamenti economici connessi con impiego e le funzioni, con l'effettiva presenza in servizio e con la maturazione dei requisiti di anzianità e di merito, ripristinando meccanismi di concertazione con le organizzazioni di rappresentanza del comparto stesso, al fine di riconoscere la giusta dignità professionale per gli operatori di questo comparto che è fondamentale per il Paese, anche con l'obiettivo di consentirne una migliore e più moderna organizzazione sul territorio.
Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, il comparto della sicurezza, della difesa e del soccorso pubblico, è uno dei comparti in cui lo Stato dispone la sua presenza nei confronti dei cittadini, per cui si dice, come è normale, che da una parte la difesa dello Stato e dall'altra la sicurezza dei cittadini devono esserci, devono essere puntuali e devono essere anche percepite dai cittadini come tali. È evidente che la possibilità che i lavoratori di questi comparti abbiano dignità, è un punto dirimente e determinante per arrivare a questa strategia, che coinvolge comparti nevralgici, che sono la spina dorsale di questo Paese, cioè da una parte la difesa del Paese e dall'altra la sicurezza e il soccorso pubblico ai comuni cittadini.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00545. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, la condizione in cui si trovano ad operare le Forze di polizia e di soccorso nel nostro Paese è sempre più precaria. Condividiamo la necessità di riforme ed il tentativo di razionalizzare gli impegni di bilancio e la struttura della pubblica amministrazione italiana, ma la cornice in cui realizzare tutto questo deve essere certa. In particolare, le riforme di settori delicati, come il comparto sicurezza, per la sua specificità riconosciuta anche a livello normativo, devono rispondere a regole certe e rispettose della peculiarità, dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna.
In più di una occasione il Parlamento ha richiamato il Governo con l'approvazione di mozioni ad hoc, al fine di impegnare l'Esecutivo ad avviare una nuova stagione di attenzione ai problemi della difesa, affinché quanto prima si potessero trovare soluzioni ai numerosi e seri problemi che affliggono il comparto difesa e sicurezza e si giungesse al pieno riconoscimento della professionalità e specificità del personale delle Forze armate al fine di assicurarne prospettive di crescita e sostegno anche sotto il profilo del trattamento economico. Il riconoscimento di tale specificità è stato riconosciuto, finalmente, con l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 che ha riconosciuto, inoltre, al Consiglio centrale di rappresentanza militare (COCER) il compito di partecipare, in rappresentanza del personale militare, alle attività negoziali svolte in attuazione del principio di specificità concernenti il trattamento economico del medesimo personale. Per andare incontro alle necessità del comparto sicurezza il decreto-legge n. 27 del 2011, recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, convertito in legge n. 74 del 2011, ha previsto la corresponsione di assegni una tantum al citato personale Pag. 21interessato dal blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo e degli automatismi stipendiali disposti con la legge n. 122 del 2010 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.
Ma, purtroppo, i Governi succedutesi dal novembre del 2011, nonostante le dichiarazioni pubbliche e gli impegni presi a proposito della necessità di garantire la sicurezza del territorio, hanno adottato provvedimenti che hanno ulteriormente peggiorato la situazione degli operatori della sicurezza. Il decreto-legge n. 95 dei 2012 ha previsto una serie di ulteriori misure di contenimento della spesa nel settore della difesa e della sicurezza ed i tagli del bilancio della difesa, conseguenti ai recenti provvedimenti di revisione della spesa pubblica, hanno inciso profondamente sul settore della difesa, non solo riducendo le risorse destinate allo strumento militare, ma anche limitando riconoscimenti economici al personale impiegato in questo delicato settore, comprese le progressioni di carriera e i nuovi arruolamenti.
Il decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, ha prorogato fino al 31 dicembre 2014 le disposizioni in materia di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, compreso il comparto sicurezza.
Ora noi siamo di fronte alla cresciuta esigenza di richiesta di sicurezza del territorio e alla necessità di garantire lo svolgimento di eventi internazionali, soprattutto a fronte del necessario incremento della presenza delle forze dell'ordine nelle città protagoniste di tali manifestazioni e dobbiamo conciliare le due cose senza che questo pregiudichi il livello di sicurezza delle altre aree del Paese.
Ciò che ci preoccupa è, però, l'apparente contraddizione tra le esigenze di razionalizzazione delle risorse finanziarie, contenute all'interno del Piano Cottarelli – predisposto dal commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, che comportano una riorganizzazione del comparto sicurezza sul territorio e la dismissione di un considerevole numero di presidi – e le parole del Ministro dell'interno, Angelino Alfano che, da ultimo, nell'ambito dell'incontro con i ministri di giustizia e affari interni degli Stati membri dell'Unione europea dell'8 luglio 2014 a Milano, ha affermato che obiettivo del semestre italiano è quello di compiere una revisione della strategia per la sicurezza interna dell'Unione europea, indicando come le priorità di tale revisione siano: tutela del mercato legale contro la criminalità organizzata; affrontare il tema della corruzione; contrasto al terrorismo; giusto equilibro tra esigenza di sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali.
Per questo Forza Italia chiede al Governo un chiarimento che vada verso l'impegno ad avallare con atti concreti l'intenzione di rivedere la strategia di sicurezza interna, invertendo l'attuale trend di continui tagli ai fondi per la sicurezza, che annullano e mortificano la professionalità degli operatori di sicurezza in Italia, e a prevedere, nell'ambito del prossimi provvedimenti normativi, adeguate iniziative, volte a sospendere, a partire dal primo semestre del 2015, per il comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, il blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera e degli automatismi retributivi.
Un po’ più di fatti, piuttosto che impegni che non vengono mantenuti e tante parole: questa è l'esigenza di Forza Italia e questa è l'esigenza che pone questa mozione.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Discussione del testo unificato dei progetti di legge: Garavini ed altri; Nicchi ed altri; Carfagna e Bergamini; d'iniziativa del Governo; Gebhard ed altri: Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli (A.C. 360-1943-2044-2123-2407-A) (ore 15,30).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato dei progetti di legge di iniziativa dei deputati Garavini ed altri; Nicchi ed altri; Carfagna e Bergamini; Gebhard ed altri e d'iniziativa del Governo: Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 9 luglio 2014.
(Discussione sulle linee generali – A.C. 360-A ed abbinati)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Marzano.
MICHELA MARZANO, Relatore. Signor Presidente, il testo di legge che approda oggi in Aula – e che si basa sulla proposta di legge Garavini – propone una modifica del codice civile in materia di attribuzione del cognome ai figli.
Si tratta di disposizioni che sono al tempo stesso evidenti e rivoluzionarie. Per quale motivo evidenti ? Evidenti perché allineano il nostro Paese agli altri Paesi europei. In Francia, in Germania, in Inghilterra e in Spagna è già possibile da parecchi anni poter dare ai propri figli il cognome, non più soltanto paterno, ma anche quello materno oppure entrambi.
Al tempo stesso si tratta di una misura che io non ho difficoltà a definire rivoluzionaria, perché permette finalmente all'Italia di rompere con la concezione patriarcale e tradizionale della famiglia, come è stato d'altronde sottolineato già, più o meno otto anni fa, dalla Corte costituzionale nel 2006, che parlava proprio di un retaggio patriarcale e tradizionale della famiglia, ogni qualvolta si parlasse di questo automatismo nell'attribuzione del cognome paterno ai figli.
Ora, in cosa consiste questo testo base unificato dei progetti di legge ? A partire dal momento in cui verrà approvato in Aula, non sarà più il padre in maniera automatica a trasmettere automaticamente ai figli il proprio cognome.
D'ora in poi spetterà alla coppia scegliere. Indipendentemente dal fatto che si tratti di una coppia sposata o non sposata, che si tratti di figli naturali o di figli adottati, si potrà trasmettere ai figli il cognome materno o il cognome paterno, oppure entrambi. In caso di dissenso, saranno presenti entrambi i cognomi in ordine alfabetico.
Io insisterei, signor Presidente, sul carattere veramente rivoluzionario di questo progetto di legge. Non ci possiamo dimenticare che per secoli la concezione della famiglia è stata un retaggio, da un lato, della civiltà romana, dall'altro lato, anche di quella giudeo-cristiana: concezione in base alla quale la famiglia veniva concepita in termini trascendentali e immutabili, senza prendere in considerazione le molteplici trasformazioni storiche.
Si tratta di famiglie in cui per secoli ciò che è stato centrale è stato il ruolo di quello che si chiamava pater familias. Certo, la concezione del pater familias è cambiata rispetto a quella dell'antica Roma. Non ci dimentichiamo che nella Roma antica il pater familias aveva addirittura un diritto di vita o di morte sui figli, concezione che è stata abbandonata abbastanza rapidamente. Ciò non toglie che per secoli era un diritto del padre e Pag. 23soltanto del padre di diseredare i figli oppure di riconoscerli, di trasmettere loro il proprio patrimonio oppure di diseredarli, di trasmettere il cognome oppure no.
Certo, nel corso dei secoli la concezione della famiglia è progressivamente cambiata, ma il padre è rimasto per troppo tempo il fulcro unico della famiglia. Cosa è successo di fronte a questa concezione patriarcale della famiglia ? È successo che tutte le trasformazioni che sono intervenute nell'ultimo periodo (la diminuzione dei matrimoni, l'aumento dei divorzi, le famiglie ricomposte, le convivenze, le famiglie monoparentali, le coppie gay) e tutta l'emergenza di questa trasformazione famigliare hanno fatto sì che ci fosse una forma di rivolta, se non addirittura di allarme, da parte di molti. Ne è prova il dibattito che si è avuto recentemente in Aula in occasione del divorzio breve. Si è parlato in quella occasione, ma anche in altre occasioni ovviamente, del concetto di decadenza del padre, si è parlato di fallimento paterno, c’è stato un susseguirsi di espressioni quasi catastrofiche: ferita, frattura, declino, con un riferimento costante ed esplicito al famoso declino dell'impero paterno.
Negli ultimi anni, poi, – signor Presidente, mi permetto di ricordarlo perché si tratta di qualcosa particolarmente inquietante e al tempo stesso interessante – si è creato un vero e proprio legame ambiguo, se non addirittura ambivalente, tra una forma di tradizionalismo arcaico e una certa concezione della psicoanalisi lacaniana. Ricordiamo a tutti che Jacques Lacan ha forgiato un'espressione per riferirsi all'autorità paterna che è nota a tutti come nom du père. Se noi traduciamo in italiano l'espressione nom du père è esattamente, letteralmente cognome del padre.
A partire da questa creazione concettuale lacaniana, si è venuto poi progressivamente a mettere in atto una specie di allarmismo, nel senso che si è creato un legame automatico tra il declino del nome paterno, il declino del cognome paterno e una crisi dell'autorità, mostrando che c’è, in questo momento, in molte società contemporanee occidentali, una confusione profonda tra l'autoritarismo e il concetto dell'autorità. Infatti, quando si parla dell'autorità paterna naturalmente noi non abbiamo nessun bisogno di implicare necessariamente la trasmissione del cognome paterno. Nel momento in cui si parla di autorità paterna noi non abbiamo nessun motivo di immaginare che si debbano forgiare a propria somiglianza i figli.
Ricordiamo naturalmente che il riconoscimento anche dell'autorità genitoriale, dell'autorità parentale non implica, invece, un altro concetto chiave, su cui ci si deve basare oggi per affrontare anche una certa crisi di valori che caratterizza la nostra società, che è il concetto di riconoscimento. Che cos’è il riconoscimento ? Se noi ci rifacciamo ai testi del filosofo e sociologo tedesco Axel Honneth, egli, parlando di riconoscimento, parla proprio dell'amore genitoriale, dell'amore da parte del padre e da parte della madre, che non devono confondersi con la volontà di forgiare l'altro.
È una forma di riconoscimento dei figli come altro rispetto a sé, riconoscimento di questa alterità, che impedisce, poi, di identificare completamente ciò che è figlio con ciò che è se stesso. Ma forse è per questo che leggi di questo tipo hanno suscitato, negli ultimi anni, una certa ostilità. Ricordiamo che anche in Francia, dove pure la legge è del 2002, anche se è stata poi aggiornata dalla loi Taubira nel maggio del 2013, c’è stata una serie di polemiche che hanno voluto associare la trasformazione della trasmissione del cognome ai figli con una forma di filiazione artificiale.
Per non parlare poi dell'Italia: ricordiamo che, nella scorsa legislatura, la XVI, ed anche in quella precedente, un progetto di legge di questo tipo non è riuscito mai ad approdare in Aula. Il testo base, nonostante gli sforzi fatti, in particolar modo dall'allora relatore, l'onorevole Bongiorno, nella XVI legislatura si impantanò in Commissione.
Ebbene, oggi il testo esce dalla Commissione e approda in Aula all'unanimità. Forse perché, ancora una volta, dobbiamo ringraziare l'intervento della Corte europea dei diritti dell'uomo. Non dimentichiamo Pag. 24che, con sentenza del 7 gennaio 2014, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per violazione del principio di uguaglianza tra l'uomo e la donna.
Allora, cosa c'entra il principio di uguaglianza tra l'uomo e la donna con la trasmissione del cognome ? Ebbene, il legame è in realtà molto semplice da stabilire. Nel celebre caso Cusan e Fazio contro l'Italia, la Corte europea dei diritti dell'uomo definisce la preclusione dell'assegnazione al figlio del solo cognome materno – che era oggetto del contendere – come una forma di discriminazione. Che cos’è la discriminazione, se si vanno a riguardare i testi ed in particolar modo il testo della Convenzione dei diritti dell'uomo ? La discriminazione è quando si trattano in maniera diversa delle persone che si trovano in posizioni comparabili, ossia l'uomo e la donna, il padre e la madre. Trattarli in maniera comparabile e non in maniera diversa, naturalmente, non significa cancellare ogni forma di differenza. Purtroppo più volte abbiamo sentito in quest'Aula delle confusioni, che hanno portato ad identificare l'uguaglianza con l'identità. Rivendicare l'uguaglianza, signor Presidente, mi permetto di ricordarlo, non vuole in nessun modo dire cancellare le differenze. Esiste una differenza fra l'uomo e la donna ed esiste ovviamente una differenza anche nei ruoli tra la madre ed il padre, ma questa differenza non deve implicare una discriminazione e quindi l'impossibilità, per una donna, di trasmettere il proprio cognome.
Ma non è il solo motivo per cui la Corte europea dei diritti dell'uomo, signor Presidente, ha condannato l'Italia in occasione del caso Cusan e Fazio contro l'Italia: la Corte dei diritti dell'uomo ha anche ricordato che il cognome appartiene alla sfera privata e familiare. La Corte dei diritti dell'uomo ha ricordato che lo Stato non può interferire con questa sfera e non può, al tempo stesso, negare il fatto che il cognome, esattamente come il nome, sia una parte essenziale nella costituzione del processo identitario di ognuno di noi.
Io, ognuno di noi, signor Presidente, siamo anche il proprio nome ed il proprio cognome. Io e tutti noi, signor Presidente, cresciamo identificandoci con le figure genitoriali, ma abbiamo anche bisogno di poter capire qual è il ruolo del padre e della madre – se non si tratta addirittura di due persone dello stesso sesso, casi che comunque aumentano, perché adesso ci confrontiamo appunto con famiglie di vario tipo – abbiamo bisogno di poter capire quali sono anche i rapporti di dominazione che, tante volte, si instaurano all'interno delle coppie.
C’è quindi un rapporto tra nome, cognome ed identità; c’è un rapporto fra ruolo e storia personale; c’è un rapporto tra libertà di scelta all'interno della sfera familiare e trasmissione del cognome ai figli. Ma c’è soprattutto l'importanza di non dimenticare la necessità di rispettare l'uguaglianza uomo-donna, per non cadere, ancora una volta, nelle trappole della discriminazione.
Il problema che si pone – mi permetto di citare un passaggio della Corte costituzionale, sentenza n. 61 del 2006, che è stata poi ribadita anche nel 2007 – e che ha caratterizzato la storia italiana degli ultimi anni per quanto riguarda il rapporto tra uomini e donne, marito e moglie, padri e madri e figli è che il sistema di attribuzione automatico del cognome paterno è – cito – «il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico e di una tramontata potestà maritale che non è più coerente con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna». Questo è il messaggio della Corte costituzionale, un messaggio che abbiamo impiegato parecchi anni a recepire sia come Commissione giustizia sia come Aula sia come Parlamento. Sulla stessa lunghezza d'onda, il messaggio che ci viene dalla Corte di cassazione con sentenze del 2006, del 2009, del 2011, del 2013: l'automaticità nell'attribuzione del cognome paterno rappresenta un danno all'identità personale dei figli.Pag. 25
Ci troviamo, quindi, di fronte a questi due argomenti maggiori: da un lato la necessità di rispettare l'uguaglianza uomo e donna, dall'altro lato la necessità di rispettare il diritto di ognuno di noi di potersi identificare con il proprio nome e con il proprio cognome, indipendentemente dal ruolo che padre e madre giocano all'interno della coppia. E forse è in considerazione di tutto ciò che, all'unanimità, signor Presidente, lo ripeto, la Commissione giustizia ha votato giovedì scorso il mandato al relatore, che ho l'onore di rappresentare, per questo testo base.
Ora, per quanto riguarda l'illustrazione dell'articolato non vorrei entrare nelle nozioni specifiche. Si tratta di sette articoli che si susseguono e che specificano come effettivamente sia possibile trasmettere il cognome materno e il cognome paterno o entrambi oppure, in caso di dissenso, entrambi i cognomi in ordine alfabetico, norma che vale non soltanto nel caso di figli nati all'interno di coppie sposate ma anche per i figli nati all'esterno del matrimonio e valido anche per i figli adottati. Tale norma, tra l'altro, permette anche ai figli maggiorenni di aggiungere al cognome paterno anche il cognome materno, ma per un'analisi dettagliata dei singoli articoli, chiedo il permesso al Presidente di poter consegnare la relazione tecnica articolo per articolo.
Mi permetto semplicemente di concludere questa mia relazione introduttiva manifestando la mia gioia per il fatto che questo testo sia approdato adesso in Aula e sperando appunto che possa essere approvato nel corso della settimana senza incontrare problemi maggiori. Noi siamo di fronte a qualcosa, lo ripeto, al tempo stesso di intuitivo e di rivoluzionario. Siamo di fronte ad un passo in cui vengono rotte determinate abitudini. Era per abitudine che i padri avevano tendenza a considerare come automatica la trasmissione del proprio cognome. Era per abitudine che i padri avevano tendenza ad assicurare, loro soli, l'autorità e la centralità della figura paterna all'interno della famiglia. Era per abitudine che tanti figli si sono accontentati del cognome paterno anche quando avrebbero voluto potersi identificare con il cognome materno. Ma l'abitudine, signor Presidente, è foriera di cattivi consigli e concludo permettendomi di citare Étienne de La Boétie, che aveva già spiegato il legame esistente tra abitudine e servitù volontaria. Tutti gli esseri umani sono votati alla libertà e alla libertà di scelta. Nel momento in cui si sottopongono a determinate scelte non libere è sempre e solo perché le abitudini li hanno convinti che non è possibile comportarsi in maniera diversa. Attraverso questa proposta di legge, questo testo unificato che spero venga approvato molto velocemente noi, anche in Italia, stiamo per cambiare una serie di abitudini.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.
COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, ho ascoltato con interesse l'onorevole Marzano e condivido tutti i punti della sua relazione. Il Governo segue con particolare attenzione questo testo unificato, proprio perché è un intervento – lo voglio sottolineare – che è necessario non solo giuridicamente ma perché si è spinti da un sentire comune che è finalizzato ad affermare principi importantissimi come quello di uguaglianza e anche per porre fine ad ogni tipo di discriminazione.
Parlavo di intervento necessario, perché, come l'onorevole Marzano ha già sottolineato e ricordato, è intervenuta la Corte europea dei diritti dell'uomo con la nota sentenza del 7 gennaio 2014, Cusan e Fazio contro Italia. Proprio la Corte europea dei diritti dell'uomo ha segnalato ed evidenziato una lacuna del sistema giuridico italiano, secondo la quale il figlio legittimo è iscritto nei registri dello stato civile con il cognome del padre senza possibilità di deroga, nemmeno in caso di Pag. 26consenso tra coniugi in favore del cognome della madre.
Pertanto, secondo la Corte dovrebbero essere adottate riforme nella legislazione e nella prassi italiane, al fine di rendere tale legislazione e tale prassi compatibili con il rispetto delle esigenze degli articoli 8 e 14 della Convenzione. Ricordo a me stesso che l'articolo 8 riguarda il rispetto della vita privata e familiare e l'articolo 14 il divieto di ogni discriminazione. Inoltre, questo principio affermato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo era stato già oggetto di alcune raccomandazioni del Consiglio d'Europa, in particolare la n. 1271 del 1995 e la n. 1362 del 1998.
Quindi, con questo provvedimento, che il Governo segue con attenzione e grande interesse, gli obiettivi sono quelli di: eliminare ogni discriminazione; colmare la rilevata lacuna del sistema interno, prevedendo che, in caso di accordo tra i genitori sul punto, al figlio sia attribuito il cognome materno ovvero entrambi i cognomi, materno e paterno; creare una disciplina omogenea per i figli nati durante il matrimonio e per quelli nati fuori dal matrimonio e gli adottati, nel rispetto del principio di uguaglianza, di cui all'articolo 3 della Costituzione; nel contempo, si vuole incidere sull'istituto, che è appunto quello della trasmissione ai figli del solo cognome paterno, di cui la collettività sempre più avverte l'inadeguatezza, in un contesto socio-culturale che mira all'eliminazione delle discriminazioni di genere in ogni settore, incluso quello della famiglia e dei rapporti personali in generale.
Quindi, questo intervento è coerente con l'ordinamento europeo, in particolare l'articolo 21 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell'Unione europea, che è vincolante in seguito all'entrata in vigore, il 1o dicembre 2009, del Trattato di Lisbona, e l'articolo 6 proprio del Trattato dell'Unione europea, che vieta ogni forma di discriminazione fondata in particolare sul sesso. Quindi, questi sono gli obiettivi che si condividono del provvedimento.
Gli articoli sono stati già segnalati e sono nella relazione tecnica. Sono sette articoli: l'articolo 1, introduce nel codice civile l'articolo 143-quater, rubricato «Cognome del figlio nato nel matrimonio», che stabilisce che, su accordo dei genitori, sia attribuito al figlio, al momento della dichiarazione di nascita presso gli uffici di stato civile, il cognome del padre, il cognome della madre o il cognome di entrambi i genitori nell'ordine concordato dal primo comma. Inoltre, segnala ed evidenzia come, in caso di mancato accordo tra i genitori, al figlio sono attribuiti i cognomi di entrambi i genitori in ordine alfabetico. Questo è l'articolo 1.
L'articolo 2 disciplina il «Cognome del figlio nato fuori dal matrimonio», con le varie indicazioni che non rileggo per questioni di tempo. L'articolo 3 è relativo al cognome dell'adottato maggiore di età. L'articolo 4 introduce una disciplina speciale sul cognome del figlio maggiorenne, che, quindi, è un'ulteriore ipotesi che viene prevista.
Queste sono le novità più significative; mi avvio a concludere, ma voglio segnalare, quindi, l'importanza di questo provvedimento per questi motivi, che sintetizzo a titoli: primo, per l'attuazione piena di un diritto inviolabile della persona; secondo, perché si abolisce ogni forma di discriminazione o disuguaglianza attraverso la piena parificazione tra figli nati in costanza di matrimonio o al di fuori di esso ovvero adottati; terzo, perché riempie un'evidente lacuna del nostro ordinamento, come ho evidenziato all'inizio; quarto, perché, come anche la Corte costituzionale – già ricordata dalla relatrice – aveva evidenziato, porta un forte impatto sulle abitudini dei cittadini e sulle prassi vigenti e questo è positivo perché consente a tutti di poter cambiare questioni che potevano sembrare giuridiche e che, però, erano diventate delle abitudini e delle prassi e sulle quali, invece, oggi, si richiama l'attenzione, ampliando così quella libertà di scelta che deve essere riconosciuta e garantita a ciascuna cittadino; quinto, il superamento di una concezione patriarcale della famiglia.
C’è, quindi, un tramonto della potestà maritale, che non è più coerente con i principi dell'ordinamento, così come la Pag. 27Corte costituzionale nella sentenza n. 61 del 2006 aveva già evidenziato, e si restituisce ai cittadini una potestà ampia di scelta anche nell'ambito del rapporto e del ruolo tra uomo e donna nel rapporto di coppia e, comunque, una libertà di scelta riconosciuta ad ogni singolo soggetto.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rocco Palese. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, l'esigenza di una modifica al codice civile in tema di attribuzione del cognome ai figli nasce da una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che ha stabilito che i genitori hanno il diritto di dare ai propri figli anche il cognome della madre. Tale riforma si rende dunque necessaria per allineare la normativa vigente con quella degli altri Paesi membri dell'Unione europea, in molti dei quali la possibilità per la madre di trasmettere il proprio cognome al figlio è un diritto acquisito.
In Spagna vige la regola del doppio cognome, per cui ciascun individuo porta il cognome paterno insieme al primo cognome materno, fatta salva la possibilità di invertire l'ordine in caso di accordo tra i genitori o di scelta del figlio al compimento della maggiore età. In Inghilterra i genitori possono scegliere il cognome da dare al figlio attribuendo quello paterno, materno o entrambi o, addirittura, un cognome diverso da quello dei genitori. In Francia i genitori possono scegliere il cognome da attribuire al figlio optando tra quello paterno, materno o entrambi nell'ordine da essi scelto ovvero, in caso di disaccordo, attribuendo al figlio il cognome del genitore di cui è stata accertata per prima la filiazione.
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha, quindi, condannato recentemente l'Italia per la violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, concernente rispettivamente il diritto al rispetto della vita privata e familiare, norma che coinvolge comunque ogni aspetto dell'identificazione personale, e il divieto di ogni forma di discriminazione; in particolare la sentenza 7 gennaio 2014 della CEDU ha definito la preclusione all'assegnazione al figlio del solo cognome materno una forma di discriminazione basata sul sesso che viola il principio di uguaglianza tra uomo e donna. Inoltre il Consiglio d'Europa, con le raccomandazioni n. 1271/95 e n. 1362/98 ha affermato che il mantenimento di previsioni discriminatorie fra donne e uomini riguardo alla scelta del nome di famiglia non è compatibile con il principio di uguaglianza sostenuto dal Consiglio stesso, raccomandando agli Stati inadempienti di realizzare la piena uguaglianza tra madre e padre nell'attribuzione del cognome dei loro figli, di assicurare la piena uguaglianza in occasione del matrimonio in relazione alla scelta del cognome, comunque, ai due partner, di eliminare ogni discriminazione nel sistema legale per il conferimento del cognome tra figli nati nel e fuori del matrimonio.
Anche la nostra Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi sull'attribuzione ai figli del solo cognome paterno, nella sentenza n. 61 del 2006, nella quale ha affermato che l'attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico e di una tramontata potestà maritale non più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna ad assicurare gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome. Attualmente l'attribuzione al figlio del solo cognome paterno non risulta oggetto di esplicita previsione normativa primaria, risultando tuttavia norma consuetudinaria saldamente radicata nella realtà sociale. L'articolo 1 introduce, quindi, nel codice civile l'articolo 143-ter rubricato «Cognome del figlio nato nel matrimonio», che stabilisce, su accordo dei genitori, che sia attribuito al figlio al momento della dichiarazione di nascita presso gli uffici di stato civile il cognome del padre, il cognome della madre, il cognome di entrambi, nell'ordine Pag. 28concordato dal primo comma. Al mancato accordo consegue l'attribuzione in ordine alfabetico di entrambi i cognomi dei genitori. I due ulteriori commi dell'articolo 143-ter stabiliscono: a) che i figli degli stessi genitori coniugati, registrati all'anagrafe dopo il primo figlio, portano lo stesso cognome di quest'ultimo; b) che il figlio cui sono stati trasmessi entrambi i cognomi dei genitori può trasmetterne ai propri figli soltanto uno a sua scelta. Ciò significa che i nipoti potrebbero avere un cognome diverso rispetto a quello dei loro nonni, determinando così l'interruzione di una linea di riconoscibilità familiare che sino ad ora è stata sempre tutelata. Ecco quindi una questione su cui invito l'Assemblea a riflettere, anche il sottosegretario qui presente.
Altra questione che merita un approfondimento è quella relativa all'articolo 2 del testo unificato, che riformula l'articolo 262 del codice civile, sul cognome del figlio nato fuori dal matrimonio. La disposizione detta, infatti, una diversa disciplina: se il figlio è riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori, si applica la stessa disciplina del nuovo articolo 143-ter, articolo 1, per il figlio di genitori coniugati; quando il riconoscimento da parte dell'altro genitore avvenga successivamente alla nascita, il cognome di questi si aggiunge al primo solo con il consenso del genitore che ha riconosciuto il figlio per primo, nonché, se ha già compiuto 14 anni, del figlio stesso. Il nuovo articolo 262, quinto comma, del codice civile, detta però una disciplina ulteriore in merito alla trasmissione del cognome in caso di doppio cognome di uno dei genitori, che però allo stato risulta valida solo per i figli nati fuori dal matrimonio. In particolare, viene stabilito che in caso di doppio cognome di uno dei genitori, questo trasmette al figlio un solo cognome a sua scelta. Come già rilevato dal parere della Commissione affari costituzionali, è corretto quindi che questa Assemblea valuti l'opportunità di coordinare le disposizioni che riguardano i figli nati nel matrimonio con quelli dei figli nati fuori dal matrimonio, al fine di evitare differenze di disciplina suscettibili di determinare ingiustificate disparità di trattamento. In conclusione, Presidente, nel confermare l'auspicio di una rapida approvazione e il giudizio favorevole da parte del gruppo di Forza Italia, invito, come già ho avuto modo di evidenziare prima, il Governo e la relatrice a riflettere in maniera ponderata su due aspetti di criticità che sarebbe bene già approfondire prima della definitiva approvazione.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Palese, anche per la sintesi. È iscritta a parlare l'onorevole Giuditta Pini. Ne ha facoltà.
GIUDITTA PINI. Signor Presidente, oggi stiamo discutendo una norma che questo Paese aspetta da molto tempo e che probabilmente cambierà, come anche faceva notare l'onorevole Palese, alcune prassi, alcune abitudini e anche un pezzo della cultura in Italia. Però, la cosa più interessante che ho riscontrato cercando di documentarmi in previsione di questo intervento è stata che, in realtà, il problema della discendenza e del fatto che ci sia da generazioni la trasmissione di un determinato cognome di una determinata famiglia in Italia può essere attribuito solo dall'inizio dell'Ottocento, solo con il codice napoleonico, perché prima non c'era l'obbligatorietà del cognome. Anzi, il cognome non esisteva. Molto spesso c'erano discendenze di famiglia, quindi materne e paterne. Faccio l'esempio di due cognomi, come quelli che contengono il famoso «Di» o «De». Noi abbiamo un collega che si chiama De Maria, quindi probabilmente la sua riconoscibilità era dovuta al fatto che fosse discendente da una donna che si chiamava Maria; e abbiamo anche qui, in Aula, seduto, il collega Di Battista, che probabilmente deve tale cognome al fatto che i suoi avi avevano un avo che si chiamava Battista.
Quindi, in realtà l'imposizione del cognome paterno è una prassi che si è venuta sviluppando in questo Paese, in molti Paesi, ma in Italia particolarmente, senza mai essere codificata in modo ufficiale; però si è sempre sviluppata per una Pag. 29sorta di comodità, nata prima dal Concilio Vaticano II, quando si decise di fare dei registri dei nati e dei matrimoni per evitare che ci fossero consanguineità, e poi dopo dagli statuti napoleonici, che dovevano trovare il modo di registrare le varie famiglie.
I cognomi sono una parte molto importante sia della cultura sia del nostro essere e portano con noi la storia di quello che siamo ma anche in parte la storia di dove veniamo; ma spesso non è così, spesso viene preclusa la possibilità, per la famiglia materna, per la madre, per tutta la storia che può portare la famiglia materna che ha gli stessi diritti di quella paterna di essere tramandata, di tramandare questo cognome di madre in figlio.
Questa legge, quindi, pone semplicemente delle basi di buonsenso all'interno della nostra legislazione perché all'obiezione sul fatto che si interrompe una discendenza si potrebbe rispondere che si sono interrotte migliaia e milioni di discendenze da parte materna durante tutti questi anni e nessuno ha mai alzato il dito su questo; quindi forse oggi possiamo invece cambiare questa norma.
Alle varie, perplessità che invece ci sono in merito al fatto che possa o meno essere opportuna una legislazione come questa, oltre alla sentenza della Corte europea, io credo che ci sia anche una questione semplicemente di contatto con la realtà che le istituzioni stanno riprendendo in questi mesi faticosamente; e ognuno di noi, credo, conosce più e più casi di persone che avrebbero voluto dare il nome della madre o che avrebbero voluto dare entrambi i cognomi e che non hanno potuto farlo per una serie di prassi consolidate che sono in realtà diventate leggi, nel senso che è diventato quasi impossibile fare questo. Addirittura, un nostro collega ha dovuto non riconoscere i figli per poter permettere alla madre di dare il loro cognome.
Quindi, credo che questo momento sia molto importante proprio perché stiamo per cambiare, attraverso una norma, una prassi culturale del nostro Paese che non avrà forse riscontri immediati; forse non ci sarà un immediato cambio e non nasceranno tutti questi bambini a cui non verranno dati tutti i doppi cognomi, ma sicuramente la legge e noi legislatori abbiamo il dovere di inserire le norme, come posso dire, i semi che fanno germogliare poi un cambiamento anche culturale.
Per questo credo che questa norma vada approvata più in fretta possibile, perché abbiamo già aspettato fin troppo tempo; credo e spero, auspico che possa essere approvata all'unanimità da tutto il Parlamento perché, ripeto, è una norma che pone delle basi e ci fa andare un pochino più all'interno dell'Europa e dei Paesi nostri alleati ed amici. E spero che venga approvata nel più breve tempo possibile perché sono già troppi anni, forse più di 200, che il nostro Paese sta aspettando una norma che consenta anche alle mamme di poter dare, ove lo ritengano necessario o dove ci sia l'accordo con il padre, il proprio cognome e quindi la propria discendenza ai propri figli.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Fabrizia Giuliani. Ne ha facoltà.
FABRIZIA GIULIANI. Signor Presidente, grazie ai colleghi che ci ascoltano e al sottosegretario presente. L'hanno evocato anche gli altri colleghi prima di me: la consapevolezza che la lingua e, a fortiori, i nomi abbiano un valore fondante nel regolare i rapporti che legano le società, le comunità umane, è una consapevolezza propria di moltissime culture. Nella nostra sicuramente questo dato è ben presente. Il fatto che la lingua, il verbo vengano prima è scritto in testi molto, molto antichi e molto importanti.
Cosa si vuol dire con questo, cioè che la lingua viene prima ? Si vuol dire che la lingua è ciò che distingue gli esseri umani, che il logos – come dicevano i greci – è la facoltà di dare forma ai propri pensieri e la capacità di renderli comunicabili, di definire e assegnare identità e soprattutto di mediare, di rendere possibile il dialogo, senza il quale non è possibile alcun equilibrio civile.Pag. 30
Come ricorda Foscolo, non ci sono senza la lingua «nozze, tribunali ed are», ossia i momenti che definiscono, attraverso i rituali, la vita di tutte le comunità umane: figuriamoci dunque quanto pesa nella dimensione della generazione e della riproduzione la questione del cognome. Le parole, e dunque particolarmente quelle che definiscono in modo proprio l'identità degli individui e delle famiglie, non vengono dopo, come un luogo comune assai diffuso nel pensiero politico ancora si ostina ad affermare, ossia che da una parte ci sono le cose che contano, l'economia, la società, eccetera, e, dall'altra, la cultura e la lingua. Le lingue sono la forma che una cultura prende, le lingue fotografano e definiscono equilibri, assetti e modi di stare insieme e, al contempo, registrano impietosamente assimilazioni, omologazione e soprattutto mostrano in tutta la loro gravità le disuguaglianze e le asimmetrie, registrano distanze e rivelano accostamenti che spesso nemmeno si sospettano.
Ecco, discutere, come qui oggi noi facciamo, di una riforma delle norme in materia di cognome, di come si regola la trasmissione dei cognomi dei figli è materia delicata, non solo, come rivelavano colleghi più competenti di me, dal punto di vista tecnico-giuridico, ma soprattutto dal punto di vista politico e culturale. Colmiamo con questa riforma un ritardo che ben restituisce l'anacronismo della concezione di famiglia.
Che cos’è una famiglia ? La famiglia è soprattutto un sistema di relazione fra i sessi e di distinzione funzionale dei ruoli. La sopravvivenza del nome del padre, che ancora è la regola che vige nel nostro Paese, che comporta parallelamente la cancellazione del nome e dunque dell'identità materna, sono specchi fedeli di un'arretratezza italiana che con pazienza – lo dicevano bene molte colleghe prima di me, a cominciare dalla relatrice –, provvedimento dopo provvedimento, stiamo provando a colmare. Non è casuale che, ogni volta che ci troviamo qui ad affrontare questioni che attengono a quelli che chiamiamo, con una formula forse nemmeno del tutto propria, diritti civili, dobbiamo evocare categorie come ritardo, risposte a raccomandazioni, esortazioni, pronunciamenti della Corte europea. È come se soltanto la dimensione internazionale fosse capace di restituirci la misura di un ritardo che per troppi anni, troppi anni, si è voluto ignorare, o anche semplicemente sottovalutare.
Perché dunque queste resistenze e soprattutto come superarle ? Il principio che muove questa norma, voluta da tempo, da diverse legislature – veniva ricordato prima –, nasce dall'esigenza appunto di colmare un vuoto e di dare pari dignità ai due generi nell'ambito del rapporto coniugale e familiare, superando un ordine tramontato nei fatti nella società da tempo. Tutte le novità che evocava prima la collega non le ripeto, i fatti – le famiglie mono-parentali, le famiglie eccentriche, le famiglie allargate e conflitti che evidenziano fatti più luttuosi, con i quali spesso ci dobbiamo confrontare – mostrano uno iato fra la verità e la rappresentazione della realtà, uno scarto tra i nomi e le cose, e quando c’è uno scarto tra i nomi e le cose vuol dire che davvero le cose non vanno.
È importante tener presente che questa esigenza non riguarda soltanto la relazione dei coniugi tra loro, ma anche e soprattutto come il rapporto dei coniugi tra loro si riflette nel rapporto con i figli. La normativa vigente in Italia, essendo ancorata ancora ad un equilibrio sorpassato, fa sopravvivere forme di discriminazione che al contempo il nostro dettato costituzionale – mi riferisco alla sua parte più importante, ossia alla prima parte – combatte e respinge senza esitazione. Dunque, sono norme paradossalmente anacronistiche rispetto al momento stesso della scrittura della Costituzione, rispetto ai principi, che la Costituzione ribadisce, di uguaglianza e parità tra uomo e donna.
Il riconoscimento dei cognomi, dunque, come appena ricordato, non è solo un dato anagrafico – per quanto poi i dati anagrafici siano rilevantissimi – ma rappresenta un sostanziale elemento identificativo dell'individuo ed una base di riferimento Pag. 31per la tutela dei fondamentali diritti della persona. La trasmissione del nome, insomma, è un fatto di cittadinanza e noi dobbiamo misurarci anche molto rapidamente con le richieste di novità che la società ci pone rispetto ai diritti di cittadinanza, una cittadinanza che deve essere capace di misurarsi con una strettoia molto forte, lo evocava prima la collega Marzano, il rispetto della parità e al contempo un'idea di parità che rispetti le differenze.
Cosa vuol dire questo nella fattispecie della norma che noi andiamo a discutere oggi ? Si tratta di una norma che vede nella procreazione, nella generazione, non un dato biologico, svincolato dal dato culturale e politico. La generazione, la procreazione, da Aristotele in poi, sono state separate dal luogo della vita pubblica. Poter passare il cognome della madre vuole dire ricolmare questo iato, riaccostare pubblico e privato, che è precisamente quanto è avvenuto nella modernità.
Le finalità che questa proposta di legge si prefigge – e vado a concludere – rispondono, dunque, ad una duplice esigenza: affermare la pari dignità delle donne all'atto della costituzione e dello svolgimento del rapporto coniugale ed estendere ai figli, sotto il profilo dell'attribuzione dei cognomi, il regime di parità e di dignità, affermato per i genitori, e tradotto in un atto di libera determinazione della loro volontà.
Non ripercorro punto per punto anche gli aspetti che riguardano i singoli articoli, dato che c’è la relazione tecnica. Voglio solo concludere con una considerazione di ordine squisitamente politico: non si riforma la famiglia senza porre fine alla discriminazione tra i generi. I cambiamenti si possono governare e noi riusciamo a governare solo se siamo in grado di accoglierli e di superare un bipolarismo etico che si è tradotto, anche proprio plasticamente e concretamente, dentro questo Parlamento per troppi anni e che ha bloccato qualunque principio riformatore. Le discriminazioni di genere non sono questioni laterali, rispetto allo sviluppo e alla crescita di un Paese; non occorreva che la signora Lagarde ce lo ricordasse.
Un Paese che fatica a riconoscere pari diritti di cittadinanza alle donne e agli uomini, che non promuove la parità, rispettando la differenza, arretra e perde il passo con l'Europa. È precisamente quanto è accaduto nell'ultimo ventennio ed è un ventennio che dobbiamo recuperare in fretta. Ma il nuovo equilibrio di questo Parlamento, la presenza femminile e anche una capacità di dialogo nuova che stiamo respirando, può diventare motore di un nuovo equilibrio e di un avanzamento che aspettiamo da tempo. L'unanimità, con la quale appunto ci auguriamo che questo provvedimento venga approvato, ci auguriamo davvero che sia auspicio di nuove riforme.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Marisa Nicchi. Ne ha facoltà.
MARISA NICCHI. Grazie, Presidente. Il testo che stiamo esaminando, il testo unificato dei progetti di legge Garavini, Nicchi, Titti Di Salvo, Carfagna, Bergamini, d'iniziativa del Governo e Gebhard, è un testo con il quale stiamo decidendo di prendere atto di una nuova domanda maturata tra donne e uomini: i figli e le figlie non avranno in automatismo il solo cognome del padre. Un obbligo che rappresentava un residuo patriarcale, come è stato già detto, che non ha più senso e che si ostinava a prevaricare la realtà delle relazioni umane e delle singole volontà.
È un atto che risponde alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, che aveva condannato esplicitamente l'Italia per discriminazione, in quanto non permetteva di scegliere il cognome materno. È un risultato che è la conclusione della coraggiosa battaglia giuridica cominciata nel lontano 2006 da una coppia italiana, che voglio ricordare e anche onorare, Alessandra Cusan e Luigi Farro, genitori di Maddalena, che nel 1999 si videro impedito di registrare la figlia con il solo cognome materno.
I contenuti della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che hanno motivato il Pag. 32verdetto della condanna – è stato già citato –, sono la violazione degli articoli 8 e 14, che riguardano, rispettivamente, il diritto al rispetto della vita privata e familiare e il divieto di ogni forma di discriminazione. Infatti, negare l'assegnazione al figlio del solo cognome materno rappresenta una forma di discriminazione basata sul sesso, che viola il fondamentale principio di uguaglianza tra uomini e donne.
È noto che l'Italia abbia bisogno delle sentenze, delle bacchettate delle sentenze, degli ordini delle sentenze per colmare un vuoto di diritti civili e di riconoscimento di libertà. È un triste dato di fatto. Eppure, c'era una realtà sociale pronta al cambiamento. Molti genitori, infatti, avrebbero già voluto dare il doppio cognome ai figli, alle figlie, ma sono stati frenati dall'iter burocratico troppo complicato, con esiti incerti. Sono stati frenati anche – sottolineo questo concetto – dallo stigma sociale. Il possedere il solo cognome della mamma è associato all'assenza del padre, giacché, allo stato attuale, era possibile mettere quello della sola madre unicamente nel caso di non riconoscimento del figlio da parte del padre. E in Italia per lo Stato una madre da sola fa sempre problema, spesso è una colpa.
Io voglio ricordare che a una donna single, con la legge n. 40 del 1999, è vietato l'accesso alla procreazione assistita; è impedito, per legge, di diventare madre. Ora si cambia: alla nascita, la figlia o il figlio potrà avere il cognome del padre o della madre o il doppio cognome, secondo quanto decidano insieme i genitori; se però non c’è l'accordo, il figlio avrà il cognome di entrambi in ordine alfabetico: un ordine asettico, direi. Stessa regola per i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti dai due genitori, ma, in caso di riconoscimento tardivo da parte di un genitore, il cognome si aggiunge solo se c’è il consenso dell'altro genitore, e dello stesso minore se è quattordicenne.
Il principio della libertà di scelta vale anche per i figli adottati: il cognome è uno soltanto da anteporre a quello originario ed è deciso da entrambi i coniugi, ma se manca l'accordo si segue l'ordine alfabetico. Chi ha il doppio cognome può trasmetterne al figlio soltanto uno a sua scelta: il maggiorenne che ha il solo cognome paterno o materno, con una semplice dichiarazione all'ufficiale di stato civile – mi auguro che lo facciano molti uomini dopo l'approvazione di questa legge –, può aggiungere il cognome dell'altro genitore. Se però il figlio è nato fuori dal matrimonio, non può prendere il cognome del genitore che non lo ha riconosciuto.
L'imporsi della possibilità di scelta del cognome porta con sé uno scardinamento di consuetudini e automatismi che si rifletterà sui vincoli più stretti, che saranno ripensati non più costretti nel modello unico di famiglia, e coinvolgerà le relazioni con i nonni e con le proprie origini. Ci sarà una grande discussione, un grande lavoro culturale da fare. In questi anni Governi e maggioranze parlamentari hanno resistito a questo cambiamento. Da decenni c’è chi in Italia si batte nella società per questa conquista, mentre giacciono silenti diverse proposte di legge che oggi approdano a questo testo unificato. Ma perfino quando, tirato per i capelli dalla sentenza della Corte di Strasburgo, il Governo ha emanato il decreto, si continuava a vincolare la possibilità di mettere il cognome materno al permesso del padre, condizione decaduta nel testo che stiamo votando.
L'attaccamento alla supremazia maschile è fortissima. Lo hanno studiato e spiegato bene le antropologhe: l'imposizione del cognome paterno nasce dalla volontà degli uomini di darsi una centralità nella generazione della vita e della discendenza da cui si sentivano esclusi, con la conseguenza che, con l'occultamento del nome della madre, si è cancellata la primaria relazione madre-figlio o figlia. Primaria perché si è figli e figlie in quanto si ha una madre che partorisce dopo una gravidanza voluta. Primaria perché si viene al mondo solo da una donna, che ha un ruolo fondamentale nella maternità, nella filiazione e nella crescita dei figli e delle figlie.Pag. 33
La differenza femminile è soggettività da riconoscere e valorizzare non, come è stato storicamente, da subordinare ed escludere e neppure, come avviene più recentemente, da neutralizzare in una parità equidistante tra i sessi, come se donne e uomini nella riproduzione della vita fossero sullo stesso piano. Non è così, non è così nella realtà. C’è una primaria responsabilità femminile nella riproduzione: è un principio da riconoscere sempre. Noi l'abbiamo voluto affermare nella nostra proposta di legge, che ha contribuito alla formulazione del testo, una proposta di legge sottoscritta da molti parlamentari di SEL, contemplando, laddove non fosse raggiunto un accordo sulle varie possibilità, la regola del doppio cognome, che inizia da quello materno.
Inizia da lì perché è da lì che inizia la vita di un figlio e una figlia. Non vi è il rovescio della discriminazione, ma, semplicemente, la presa d'atto di ciò che avviene nella realtà. È un tema che noi vogliamo far vivere in questa discussione per andare alle radici dell'infinita rimozione sociale avvenuta del ruolo della donna nella generazione e nella discendenza, e lo vogliamo fare malgrado il testo scelga, invece, un principio più asettico, che è quello dell'ordine alfabetico.
Riaffermiamo questo principio, svelando con forza tutta l'ipocrisia di un Paese malato di retorica femminil-familistica, ma che svilisce, nei fatti, la scelta materna. Opzione che per eccellenza ci proietta nel futuro, porta lo sguardo della vita oltre il presente, futuro oggi segnato e ipotecato dalla precarietà esistenziale, che toglie energia vitale, lesina risorse e servizi con i tagli alla spesa sociale, cancella la certezza di ogni riconoscimento legato alla parola «autodeterminazione», nella vita e nel lavoro.
Comunque, il testo all'approvazione rompe l'unicità della discendenza patrilineare del cognome, mette nelle nostre mani la scelta del cognome dei figli, interrompe un assordante silenzio sul cognome delle nostre madri, su di noi anche come madri. È un passo importante anche per i figli, e infatti noi ci batteremo per riconoscere la possibilità di ciascuno e ciascuna, con la maggiore età, di scegliere il proprio cognome.
Ci avvicina al resto dell'Europa: in Norvegia e in altre nazioni del nord il cognome è quello materno, a meno di decisioni diverse dei genitori; in Germania vi è la possibilità di scegliere fra l'uno e l'altro cognome; in Spagna vi è il doppio cognome in automatico e, per evitare la moltiplicazione dei cognomi, il padre e la madre, come nel nostro testo, indicano quale dei loro due cognomi dare al figlio o alla figlia che successivamente potranno avere; in Australia e in alcune zone del Regno Unito vi è, addirittura, la possibilità di dare un cognome di invenzione.
E poi, tanti casi famosi: il sindaco di New York, che ha legalmente cambiato il cognome, prendendo quello della madre, De Blasio; per non parlare di Marilyn Monroe, che ha scelto il cognome della madre per la sua carriera. Ecco, dare un cognome ed un nome significa nominare come si fa parte dell'esistenza simbolica. Da oggi, entrare con quello della madre non è più impedito giuridicamente. Cancelliamolo anche come un tabù culturale, cancelliamolo in nome del cognome delle nostre madri (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Salvo. Ne ha facoltà.
TITTI DI SALVO. Signor Presidente, qualche giorno fa, venerdì, proprio nei locali della Camera, è stato presentato un volume molto interessante sul rapporto tra grammatica, linguaggio, donne e genere, perché, a trent'anni dalle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana di Alma Sabatini, a trent'anni, succede, in Italia, che, se una donna è incinta, se è Ministro della Repubblica, continua a essere chiamata Ministro. E succede anche che un ingegnere, anche se è una donna, rimane un ingegnere, e via di questo passo.
Allora penso che oggi, quando il provvedimento di cui parliamo sarà approvato, daremo un grande contributo alla cancellazione Pag. 34dell'invisibilità delle donne. Oggi il linguaggio propone molto spesso l'invisibilità delle donne: questo testo unificato dà un grande contributo, fa un'operazione culturale, propone, fa riemergere dal limbo dell'invisibilità, invece, la relazione materna e il cognome della madre.
Ora, naturalmente, all'automaticità nella discendenza del cognome del padre si possono associare due ragionamenti. Il primo è il lascito della patria potestà, di un'idea di famiglia, di una patria potestà come unico potere attribuito, riconoscibile e riconosciuto al padre rispetto alla sicurezza dei figli, ma come potere riconosciuto anche, in quanto marito, sulla famiglia e sulla moglie, così come la sentenza n. 61 del 2006 della Corte costituzionale diceva.
E, quindi, la discendenza automatica di quel cognome ci propone un'idea di famiglia che non è più quella reale e la propone con la forza e la cogenza di una prassi che diventa però legge in realtà, diventa senso comune, nonostante la realtà volga lo sguardo da un'altra parte. Ma c’è una seconda lettura della discendenza automatica tramandata attraverso il cognome del padre ed è appunto la cancellazione della relazione materna. Quasi un'inversione di senso in una relazione che, oggettivamente, realisticamente, ha una primazia, che è quella della madre. Viene rovesciato il senso della relazione che viene cancellato attraverso la cancellazione del cognome. Ora la proposta che noi stiamo discutendo, che esce con il voto unanime della Commissione giustizia, si incarica di aprire uno squarcio di luce. Io voglio pensare che il merito non sia soltanto della sentenza della Corte europea. So che la grande parte del merito è anche determinata dalla sentenza di quella Corte, come avvenuto in altri casi, quando per esempio ha sentenziato sul sovraffollamento delle carceri con la sentenza Torreggiani, aiutando il nostro Paese a riflettere sulla violazione dei diritti civili, sulla necessità che un Paese moderno riconosca i diritti di libertà e che la modernità di un Paese ha un metro di misura che è, appunto, determinato dalla distanza tra i diritti che vengono riconosciuti nel proprio Paese da quelli riconosciuti in altri Paesi. So, quindi, che la sentenza Cusan-Fazio è stata molto importante, è stata decisiva. Penso che tutti noi dobbiamo auspicare di continuare su questa strada e che questa possibilità venga data da un Parlamento che ha il più grande numero di donne della storia della Repubblica. Credo che questa presenza in Parlamento sia stata un elemento che si è aggiunto positivamente alla sentenza della Corte, ne sono convinta, ma allora se è così, penso che questa presenza vada agita in modo più globale, perché, vedete, sono convinta che il Paese capirà che si rompe e si squarcia una coltre culturale con la possibilità e la libertà dell'attribuzione del cognome materno pur nella modalità scelta dalla Commissione giustizia (io avrei preferito che la primazia del cognome materno venisse segnalata, ma pure in quella composizione si squarcia e si accende una luce). Sono certa che il Paese capirà come sia questo un cambiamento epocale, ma ci sono molte donne nel Paese, molte ragazze, a cui la relazione materna viene negata perché non possono scegliere di essere madri, perché questa scelta viene negata dalla loro condizione materiale, dalla condizione di precarietà. Una relazione che viene negata quando, per esempio, l'INPS ci elenca i dati delle pensioni e viene fuori che le pensioni delle donne sono molto più basse, perché escono ed entrano dal mercato di lavoro per sostituire un welfare che si ritira oppure quando vanno fasciate a lavorare per via delle dimissioni in bianco. Insomma c’è una libertà dell'essere madre che restituire la possibilità di mettere il cognome materno segnala simbolicamente con la rottura di una coltre buia, ma che non possiamo proporre, proprio perché siamo il Parlamento con maggior numero di donne, soltanto come presentazione di un importantissimo traguardo. Penso che, di fronte a questo traguardo, che penso sia anche un successo delle donne, debba seguire un'apertura di una pagina importante nel semestre europeo, perché il semestre europeo con Presidenza italiana si presenti al mondo come quello che ha Pag. 35scelto di fare dei diritti di libertà delle donne e della promozione della lavoro delle donne la chiave di volta per riappropriarsi del modello sociale europeo.
Il perché veniva detto prima: la cittadinanza delle donne, che non esiste se non è riconoscibile attraverso la piena affermazione della propria identità ed il cognome è anche identità. Questo testo di legge aiuta a riproporre la cittadinanza delle donne, la piena cittadinanza delle donne, ma non basta questa legge per colmare quella distanza, che oggi ancora c’è, tra il desiderio, la condizione materiale delle donne e l'uscita dalla crisi di un Paese che ha bisogno delle donne.
Un Paese per donne è un Paese in cui è possibile che l'assenza del cognome della madre si risolva e un Paese per donne è un Paese in cui, però, anche si fanno scelte conseguenti sulle condizioni materiali delle donne e delle madri.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 360-A ed abbinati)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Marzano.
MICHELA MARZANO, Relatore. Signor Presidente, intervengo in maniera rapidissima, intanto per ringraziare tutti coloro che sono intervenuti in questo dibattito.
Io sono pienamente d'accordo con le conclusioni dell'intervento dell'onorevole Di Salvo: per affermare una piena cittadinanza e una piena visibilità delle donne non bastano misure simboliche. Però, mi permetto di ricordare che è sempre una conditio sine qua non partire dal simbolico per poi affrontare anche le questioni materiali.
Voglio semplicemente ricordare in due parole la ratio: uscire dall'automaticità della trasmissione del cognome paterno significava anche non entrare in un'altra forma di automaticità e, quindi, non passare da un meccanismo che prevedeva l'attribuzione automatica del cognome materno ad un meccanismo che attribuiva automaticamente un ordine, in base al quale ci sarebbe stato prima il cognome materno e dopo il cognome paterno. Questo spiega la ratio del testo base che è stato scelto.
Per quanto riguarda l'intervento dell'onorevole Nicchi sulla questione della maggiore età, momento in cui si dovrebbe potere permettere di scegliere liberamente il cognome, è stato fatto un passo avanti importante, permettendo di aggiungere il cognome materno al cognome paterno, sapendo che una sostituzione automatica avrebbe creato qualche problema da un punto di vista di sicurezza e di ordine pubblico. Fermo restando che le richieste di cambiamento sono sempre possibili secondo le procedure che conosciamo già.
In ultimo, io non sono d'accordo con l'obiezione che è stata sollevata dal collega Palese – anche se con il Governo poi vedremo se da un punto di vista tecnico ci sono questo tipo di problemi – nel senso che nella proposta di base non c’è disparità tra figli nati all'interno del matrimonio e figli nati all'esterno del matrimonio. Ovviamente, se disparità c’è nel momento in cui c’è il riconoscimento unicamente da parte di uno dei genitori, questo progetto di legge non può correggere questa disparità, perché si tratta, di fatto, di una disparità messa in atto nel momento in cui non c’è un riconoscimento da parte di entrambi i genitori. Comunque io mi impegno davanti all'onorevole Palese di studiare con il Governo una possibile correzione tecnica di questo punto.
Ringrazio tutti e spero, mi auguro, che il testo venga approvato all'unanimità anche in Aula.
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo, rinunzia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione del disegno di legge: S. 1143 – Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Niger in materia di sicurezza, fatto a Niamey il 9 febbraio 2010 (Approvato dal Senato) (A.C. 2272) (ore 16,35).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Niger in materia di sicurezza, fatto a Niamey il 9 febbraio 2010.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 9 luglio 2014.
(Discussione sulle linee generali – A.C. 2272)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Quartapelle Procopio, che invito a prendere pasto al banco del Comitato dei nove, e chiedo, invece, ai colleghi del provvedimento precedente di lasciare il posto alla relatrice.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO, Relatore. Signor Presidente, io depositerei agli atti l'intervento che sintetizza i contenuti dell'Accordo, ma vorrei sottolinearne sostanzialmente l'importanza.
Si tratta di un Accordo che stipula forme di collaborazione tra autorità di polizia della Repubblica italiana e della Repubblica del Niger in merito, in particolare, allo scambio di informazioni, allo scambio di esperienze, buone pratiche e a incontri di formazione su quattro argomenti: sulle misure per contrastare il traffico di uomini, per contrastare il traffico di stupefacenti, per contrastare il terrorismo e per contrastare attività varie illecite del crimine organizzato.
L'Accordo però, a mio giudizio, ha una valenza importante dal punto di vista geopolitico. Il Niger si trova, infatti, in una fascia, la fascia saheliana, che, a seguito della instabilità libica, sta più soffrendo di tutti questi fenomeni di infiltrazione, in particolare, di gruppi terroristici, di gruppi di trafficanti.
Quindi, è un Accordo che, pur prevedendo un rapporto di collaborazione quantificato in poche decine di migliaia di euro, va a colpire al cuore una delle regioni che sono le regioni più instabili del mondo in questo momento, che risente dell'instabilità derivante, in particolare, dalla crisi libica, ma anche dalla crisi egiziana e, per certi versi, anche di tutte le instabilità nella regione, e va a rafforzare la collaborazione in uno degli ambiti dove oggi è richiesta maggiore partecipazione, maggiore esposizione del nostro Paese. Infatti, essendo noi sostanzialmente al confine virtuale – perché poi ci separa il mare –, al confine più diretto tra l'Europa e la fascia africana e saheliana, siamo il primo Paese che è esposto all'instabilità e a tutti gli effetti negativi derivanti dall'instabilità e dalla presenza di reti di questo tipo.
Quindi, è particolarmente importante che il nostro Paese vada a firmare con questi Paesi, a partire dal Niger e poi con tutti gli altri Paesi della fascia saheliana dell'Africa, degli accordi di questo tipo, che rafforzano la capacità di prevenzione, di collaborazione e anche il senso geopolitico che ha l'Italia come luogo di ponte nel Mediterraneo verso un mondo che è sostanzialmente la frontiera dell'instabilità, non solo per il continente africano, ma, come vediamo per un fenomeno molto Pag. 37visibile, che è il fenomeno dell'immigrazione, è la frontiera dell'instabilità per tutta l'Europa.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo della discussione.
Non vi sono iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Prima di passare al punto successivo all'ordine del giorno, sospendo brevemente la seduta, che riprenderà tra tre minuti.
La seduta, sospesa alle 16,40, è ripresa alle 16,45.
Discussione della proposta di legge: DISTASO ed altri: Istituzione del «Premio biennale di ricerca Giuseppe Di Vagno» e disposizioni per il potenziamento della biblioteca e dell'archivio storico della Fondazione Di Vagno, per la conservazione della memoria del deputato socialista assassinato il 25 settembre 1921. (A.C. 1092-A).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1092-A: d'iniziativa dei deputati DISTASO ed altri: Istituzione del «Premio biennale di ricerca Giuseppe Di Vagno» e disposizioni per il potenziamento della biblioteca e dell'archivio storico della Fondazione Di Vagno, per la conservazione della memoria del deputato socialista assassinato il 25 settembre 1921.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 9 luglio 2014.
(Discussione sulle linee generali – A.C. 1092-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento.
Avverto, altresì, che la VII Commissione (cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Di Lello.
MARCO DI LELLO, Relatore. Signor Presidente e onorevoli colleghi, giunge dunque all'esame dell'Assemblea la proposta di legge di istituzione del premio di ricerca che reca il nome di Giuseppe Di Vagno. È una proposta di legge che era già stata approvata con rito legislativo in Commissione e che sarebbe diventata legge, se la XVI legislatura non si fosse anticipatamente interrotta. Ora riprendiamo.
Peppino Di Vagno è stato deputato pugliese eletto nelle liste del Partito Socialista nel collegio di Bari-Foggia il 15 maggio 1921 e fu assassinato pochi mesi dopo, il 25 settembre dello stesso anno, da una squadraccia fascista che, dopo essersi fatta scudo dello scoppio di bombe a mano, esplose tre colpi di pistola che abbatterono colui che, già in vita, il popolo aveva appellato «il gigante buono». La vicenda Di Vagno, dibattuta tra la dimensione localistica dello scontro tra gruppi di potere legati al governo ed agli interessi della città e la dimensione nazionale della strategia della violenza come strumento di lotta politica, inaugurata dal nascente fascismo, incontrerà la punta più alta solo tre anni dopo, con l'assassinio Matteotti. Anche per Di Vagno le responsabilità del capo del fascismo furono delineate con rigore storiografico da Gaetano Arfè nel settembre 2001. Eppure, ci sono voluti anni per una riflessione storica sull'evento, nonostante fosse quello l'assassinio del primo deputato della storia d'Italia, vittima Pag. 38della violenza esercitata dal fascismo agrario pugliese per la conquista del potere. Per tanti anni si è dovuto inseguire il tributo che doveva essere pagato nei confronti della verità della storia: omicidio volontario e non preterintenzionale.
Raccogliendo le numerose sollecitazioni, negli anni scorsi la Camera dei deputati ha favorito la ricerca storica promossa dalla benemerita fondazione che porta il nome di Giuseppe Di Vagno, pubblicando tre volumi, un decennio di studi che ha consegnato la figura di Di Vagno come uno degli epigoni della lotta al fascismo. Due figure, quelle di Peppino Di Vagno e Giacomo Matteotti, con sorprendenti ma tutt'altro che casuali affinità, come messo in evidenza nel 2005 da Giuliano Vassalli: dalla formazione e dai loro studi, avvio e svolgimento dell'attività politica, fino alla loro tragica morte; infine, con i sinistri comportamenti verso le loro vedove del fascistume insolente sia pugliese che polesano.
I Presidenti della Camera Casini e Bertinotti si sono recati a Conversano, negli anni scorsi. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è recato a Conversano il 5 novembre 2011, per rendere omaggio a Giuseppe Di Vagno, il Matteotti del Sud, nel novantesimo dell'assassinio.
Oggi, a poco più di 91 anni di distanza, con l'attività della fondazione e con l'aiuto della Camera, si è consolidato il giudizio storico e rimarginata la frattura. Da decenni, in Puglia, opera una fondazione che porta il nome di Peppino Di Vagno, sorta sulle orme dell'istituto di studi socialisti fondato nel 1943, all'alba della riconquistata libertà, dallo storico Antonio Lucarelli, con il compito di onorare e custodire la memoria di Di Vagno e di tutti i democratici, che si sono sacrificati fino all'estremo sacrificio della vita per la libertà e contro ogni forma di oppressione.
La fondazione Di Vagno opera per la diffusione della cultura politica per la contemporaneità, presso le giovani generazioni e irradiando la sua azione anche oltre i confini regionali, nel rispetto ed a difesa del pluralismo delle culture politiche. Organizza – è bene che i colleghi lo sappiano – corsi di buona politica, un festival di cultura politica ormai alla decima edizione ed ha realizzato una biblioteca con oltre 10 mila volumi, orientata verso la raccolta di saggi di storia contemporanea, partiti politici, sindacati, politica e cultura. Ha infine dato vita e coltiva in progress un archivio storico, che porta il nome di «memoria democratica pugliese», presente in rete all'interno del portale «archivi del Novecento», che allo stato ha messo insieme oltre 55 mila fondi archivistici.
L'archivio possiede poi la raccolta de l’Avanti ! dal primo numero di fondazione del 25 dicembre 1896 e custodisce il primo numero pubblicato il 2 aprile 1893.
È d'obbligo spendere qualche parola sulla Fondazione Di Vagno, riconosciuta persona giuridica prima con il decreto del Presidente della regione Puglia del 2003 e, successivamente, dal Ministro dell'interno nel 2008, accreditata presso il Ministero dei beni e delle attività culturali. Sottolineo che anche in questo caso non c’è colore politico. Ministri ed esponenti istituzionali ne hanno riconosciuto la qualità della produzione indipendentemente dalla sensibilità politica e culturale. I componenti gli organi della Fondazione, che non ha legame di sorta con alcun partito politico, da sempre prestano la loro attività volontariamente e senza neppure il rimborso delle spese. Nel CdA sono presenti i rappresentanti della regione Puglia, del comune di Conversano, della provincia di Bari. Il comitato scientifico annovera personalità del mondo culturale e accademico della Puglia e nazionale. I bilanci sono pubblici sul sito web della Fondazione, la quale, in particolare, possiede una biblioteca di migliaia di volumi, alcuni di importanza storica, frutto di continue donazioni da parte di privati e aperta al pubblico, catalogata solo in parte, ma inserita nel sistema bibliotecario nazionale, nonché un archivio storico dichiarato di rilevante interesse storico, che a tutt'oggi ha salvato da perdita sicura 55 fondi archivistici cartacei.
La Fondazione Di Vagno, riconosciuta ben oltre i confini regionali, attraverso i Pag. 39colleghi parlamentari non solo della Puglia e di ogni schieramento, da anni persegue l'obiettivo di istituire il Premio di ricerca Giuseppe Di Vagno sulle orme di quanto la Camera dei deputati fece nel 2004, in occasione dell'ottantottesimo anniversario dell'assassinio, con l'istituzione del Premio Matteotti. Per decenni i democratici e i socialisti pugliesi hanno coltivato l'aspirazione di veder eretto un monumento a Di Vagno: quell'aspirazione non ha mai visto compimento. E invece il più duraturo dei monumenti appare oggi istituire un premio di ricerca Giuseppe Di Vagno, gestito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, d'intesa con la Fondazione, affidando a giovani studiosi il compito di tener viva la memoria attraverso un lavoro intellettuale capace di saldare ricerca storica e speranza di futuro. Il socialista Giuseppe Di Vagno, caduto per mano fascista ad appena 32 anni per la caparbia fermezza con la quale mise in atto il suo progetto di riformare la società bracciantile e di perseguirlo fino all'estremo della sua stessa vita, può essere un modello nel quale le giovani generazioni possono rispecchiarsi. In un'epoca nella quale presto tutto si consuma e tutto si dimentica, credo che incomba su di noi il dovere di preservare la memoria nella società e nelle scuole attraverso la nostra gioventù, non per guardare al passato dallo specchietto retrovisore ma per proiettare le lezioni del passato nel futuro. E quando il passato è fatto di grandi passioni, occorre segnalarlo alle generazioni di oggi. La società per progredire ha bisogno di esempi cui riferirsi. Troppo spesso oggi ci mancano modelli virtuosi. Occorre dunque cogliere l'occasione per farne oggetto di studio e di riflessione per il futuro. La maggior parte dei nostri giovani sa poco del nostro passato. Frequentano molto i social network, guardano la TV: non sempre queste sono fonti di cultura. È nostro dovere dunque aiutare le giovani generazioni a capire perché un popolo senza memoria non esiste, perché esaltare l'oblio significa uccidere due volte e custodire la memoria è premessa per creare il futuro. La memoria, ha detto il Presidente della Repubblica, come nutrimento per restituire alla politica la dignità che le spetta per continuare a svolgere la funzione di cambiare il Paese e mantenere la democrazia, per segnalare l'intensità della passione civile con la quale uomini come Di Vagno che non ebbero tentennamenti o come Matteotti, i fratelli Nello e Carlo Rosselli, anche Antonio Gramsci, don Minzoni, Giovanni Amendola, Bruno Buozzi intesero la lotta politica e sociale perché solo la passione consente al progresso democratico di consolidarsi e perché la concezione della lotta politica come uomo contro uomo, come intollerante delegittimazione dell'avversario e non come competizione delle idee riduce la società a regressione e barbarie.
E allora, onorevoli colleghi, tocca alla Camera dei deputati proiettare nel vivo della devastante crisi della contemporaneità la memoria storica. E allora la proposta di legge in esame, riprendendo i contenuti dell'analoga iniziativa della XVI Legislatura, dispone l'istituzione del Premio biennale di ricerca per la conservazione della memoria del deputato socialista Giuseppe Di Vagno. Il testo iniziale composto di quattro articoli è stato parzialmente modificato durante l'esame in sede referente dalla VII Commissione.
Le modifiche introdotte, tese ad un aggiornamento temporale degli effetti finanziari del provvedimento, ma anche e, soprattutto, aggiungo io, all'ulteriore affermazione dei principi di trasparenza, imparzialità e meritocrazia dell'attribuzione del Premio Di Vagno e ad alcune integrazioni delle tematiche cui si ispira lo stesso, credo abbiano sensibilmente migliorato il testo, dopo un intenso e proficuo dibattito in Commissione, che ringrazio per il lavoro svolto.
Andando nel dettaglio dell'articolato, l'articolo 1 prevede, appunto, l'istituzione del Premio, da conferire il 25 settembre di ogni biennio alla presenza di un delegato del Presidente del Consiglio dei ministri. La prima assegnazione ci piacerebbe potesse avvenire già il 25 settembre di quest'anno. L'ente responsabile dell'organizzazione del Premio e della redazione del Pag. 40relativo bando, che dovrà ispirarsi a criteri, procedure e modalità basati su principi di meritocrazia e trasparenza, è individuato nella Fondazione Di Vagno, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri e sotto la vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. L'ammontare del Premio biennale è fissato in 40 mila euro: la Fondazione può decidere se ripartire tale somma in più premi, da assegnare sulla base di criteri di merito.
Tornando alla proposta di legge, è previsto anche un contributo una tantum di 100 mila euro per la riorganizzazione, la redazione degli inventari, l'informatizzazione, la dotazione di risorse umane, nonché la definitiva apertura al pubblico della biblioteca e dell'archivio storico della memoria democratica pugliese, collocati nella sede della Fondazione.
All'articolo 2, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta della Fondazione, nomina, con proprio decreto, il comitato scientifico del Premio, composto da tre studiosi di chiara fama di storia contemporanea o di scienza politica, cui spetta decidere il tema del Premio per ogni edizione. Le tematiche sono i conflitti sociali e le lotte politiche tra passato e futuro, socialismo e Mezzogiorno, i cambiamenti istituzionali, regionali e locali nel Mezzogiorno nel XX secolo, le previsioni per il XXI secolo, l'attualità del socialismo nel XXI secolo in Italia e nel mondo, lo studio del fenomeno della violenza politica, sia verbale che fisica, del suo sviluppo, delle sue forme e degli strumenti per combatterla, agli ideali di giustizia, di solidarietà e pace in Italia e nel mondo.
L'articolo 3 dispone che il vincitore sia individuato da una giuria composta da sei membri: il presidente della giuria, che è scelto dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo tra studiosi di chiara fama di scienze politiche, un rappresentante della Presidenza del Consiglio, uno della presidenza della regione Puglia, tre studiosi di chiara fama.
Infine, l'ultimo articolo riguarda la dotazione finanziaria che, per il 2014, è pari a 140 mila euro e 40 mila euro ad anni alterni. Poche risorse, ma che, mi permetto di dire, sono ben spese per mantenere salda la memoria nel nostro Paese e nella nostra Repubblica, per dare, ancora una volta, uno strumento ai nostri giovani per continuare a studiare, ma tenendo conto che le lezioni del passato servono, vieppiù in un momento complicato come questo, per il futuro del nostro Paese (Applausi).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritta a parlare l'onorevole Manzi. Ne ha facoltà.
IRENE MANZI. Signor Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, poche settimane fa quest'Aula – come ricordava il relatore Di Lello – ha commemorato l'onorevole Giacomo Matteotti in occasione del novantesimo anniversario della sua morte. Una morte frutto di un omicidio politico, della violenza di un regime liberticida, i cui connotati, fondati sull'abuso e sull'illegalità, proprio Matteotti aveva denunciato nel celebre discorso tenuto in quest'Aula il 30 maggio del 1924.
Proprio qui arriva oggi la proposta di legge, che ha lungamente impegnato i lavori della VII Commissione (Cultura), dedicata alla memoria di un altro deputato socialista, Giuseppe Di Vagno, eletto alla Camera dei deputati alle elezioni politiche del 1921 e barbaramente ucciso il 21 settembre di quello stesso anno da una squadra fascista. Il primo parlamentare vittima della violenza fascista, prima ancora della presa del potere da parte di Mussolini, in quel difficile periodo della storia del nostro Paese successivo alla conclusione del primo conflitto mondiale.
Una breve stagione, che coincise con la crisi dello Stato e delle istituzioni liberali, apertosi con la fine del primo conflitto, con l'ingresso delle forze parlamentari nelle Aule del Parlamento, e chiusosi con la salda e definitiva presa del potere da parte del fascismo.
Due figure legate dalla storia, quelle di Matteotti e di Di Vagno, unite dalla comune Pag. 41appartenenza socialista, quel socialismo che significava lotta ed impegno per i diritti e la libertà, per il lavoro e la dignità; accomunate da una morte violenta e tragica, frutto ed espressione della violenza come strumento di lotta politica ed eliminazione dell'avversario. Una violenza premonitrice dei caratteri del futuro regime, quella subita da Di Vagno, prima ancora della marcia su Roma, inquadrata all'interno dei tanti eventi tragici che dal 1919 al 1922 insanguinarono il nostro Paese.
Come già avvenuto per Giacomo Matteotti, alla cui memoria, con la legge n. 255 del 2004, è stato istituito un premio giunto ora alla decima edizione e diretto proprio a premiare tesi di laurea, opere teatrali e saggi ispirati agli ideali di fratellanza tra i popoli, giustizia e libertà, la proposta di legge che oggi approda in quest'Aula intende onorare la memoria di Giuseppe Di Vagno attraverso il riconoscimento e l'istituzione di un premio nazionale biennale a lui dedicato ed il potenziamento della biblioteca e dell'archivio storico della Fondazione che porta il suo nome.
In questi anni, la Fondazione Di Vagno ha concretamente operato per conservare e diffondere la memoria del deputato pugliese, anche attraverso la costituzione di un archivio storico e di una biblioteca dedicati alla storia dei partiti e dei movimenti politici per i quali la legge oggi in esame stanzia uno specifico contributo una tantum diretto alla riorganizzazione, all'informatizzazione e alla permanente apertura al pubblico. Qualcosa di prezioso per la comunità locale e per gli studiosi, ancora più importante se si considera che essa si colloca nel Mezzogiorno, dove purtroppo poche sono le istituzioni culturali dedicate alla storia e alla memoria politica e molto sarebbe il lavoro da fare.
Nel corso dell'esame del provvedimento in Commissione, alcuni colleghi di opposizione hanno evidenziato come in un periodo di crisi come l'attuale non sia possibile sostenere oneri economici come quelli previsti dalla proposta di legge: stiamo parlando in totale di 140 mila euro, 100 mila euro per il riordino della biblioteca e 40 mila euro con cadenza biennale per l'assegnazione del Premio. Ecco, il consueto leit motiv secondo cui la cultura è un lusso, bello da poter coltivare, ma a cui rinunciare nei momenti di difficoltà. A nome del Partito Democratico, posso affermare che noi pensiamo un'altra cosa: pensiamo che la cultura non sia un lusso, ma sia, al contrario, una necessità primaria, anzi, pensiamo che nei momenti di difficoltà e di crisi, come quello attuale, che è crisi economica, di identità e di comprensione del senso del nostro tempo, la cultura sia l'elemento chiave per poter riemergere.
Lo abbiamo rimarcato in modo evidente proprio pochi giorni fa, con l'approvazione in quest'Aula del decreto-legge sulla cultura e il turismo, lo rimarchiamo, oggi, salutando positivamente l'arrivo in Aula di questo provvedimento dedicato alla memoria di Giuseppe Di Vagno; eppure, si potrebbe dire, si tratta solo di un Premio rivolto ad opere di studio e di ricerca. Certo, lo è, ma vorrei evidenziare, come ha già ricordato il relatore, le tematiche oggetto del Premio: il socialismo, i cambiamenti istituzionali, il Mezzogiorno, lo studio del fenomeno della violenza politica, tema, mi piace ricordare, introdotto nel testo da un emendamento presentato in Commissione proprio dal Partito Democratico, a firma del collega Rampi. Temi che prendono spunto dall'esperienza politica, parlamentare ed umana di Giuseppe Di Vagno, ma che risultano profondamente attuali anche nel periodo presente, che riguardano una parte importante del nostro Paese, come il Mezzogiorno, e la crescita e la qualità della nostra democrazia. Proprio per questo, non riteniamo un lusso le risorse stanziate da questo provvedimento, ma una scelta significativa su cui dovremo continuare ad impegnarci con serietà e costanza.
Ebbene, dando un rilievo nazionale a questo riconoscimento, definendo le tematiche di approfondimento, facciamo in modo consapevole una scelta, individuiamo questa come una priorità, convinti Pag. 42del fatto che la qualità della cultura è sinonimo, anche, di qualità della democrazia. Questa, secondo noi, è la chiave attraverso cui leggere la proposta di legge che oggi arriva all'esame di quest'Aula. Un provvedimento a sostegno della memoria di fatti non troppo lontani nel nostro tempo, di un omicidio politico che ci fa riflettere su una cosa: come il confronto politico, la contrapposizione ideale possa arrivare a trasformarsi in violenza e sopraffazione, in strumento di lotta politica.
Un tema che, se pensate, ha attraversato e continua ad attraversare tutta la storia del nostro Paese, che ha visto spesso idee politiche, a volte anche positive ed emancipative, trasformate in dogmi indiscutibili da affermare con qualsiasi mezzo, gli avversari trasformati in nemici, il confronto divenire aggressione verbale violenta; temi, appunto, profondamente attuali, su cui, come forze politiche che siedono all'interno di questa istituzione, dovremmo tenere ben alta la nostra attenzione ed il nostro impegno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palese. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, Forza Italia condivide per intero l'illustrazione fatta dal relatore poco fa rispetto a questa proposta di legge e condivide anche l'intervento della collega che mi ha preceduto.
Noi riteniamo che questo provvedimento debba essere approvato dall'Aula e chiediamo anche una riflessione generale, perché, a mio avviso, sarebbe un grave errore non approvarlo all'unanimità. Perché ? Perché trattasi di un Premio simbolico, ma fortemente importante per quella che può essere la memoria all'interno della democrazia. L'istituzione del Premio biennale di ricerca Giuseppe Di Vagno è uno strumento in più rispetto a quella che è l'attività di una Fondazione che sul territorio funziona benissimo. Io sono orgoglioso di aver fatto parte della giunta regionale che nel 2003 ha dato il riconoscimento di fondazione, dal punto di vista giuridico, alla Fondazione Di Vagno, di Conversano, che svolge un'attività importante sul territorio, e non solo sul territorio, ma anche rispetto a quelli che sono soprattutto gli strumenti attuali di informatizzazione e quant'altro in riferimento alla biblioteca e alle ricerche. Ed è un'attività fortemente collegata con il territorio non solo per le regole di memoria, di democrazia e quant'altro, dal punto di vista culturale, ma soprattutto per quello che riguarda la formazione.
Sono stati particolarmente toccanti la visita e l'omaggio che da parte del Presidente della Repubblica tre o quattro anni fa, il quale, nel contesto delle manifestazioni in ricordo di Giuseppe Di Vagno, è venuto a Conversano per partecipare personalmente e sostenere l'attività della Fondazione e a dire tante cose importanti sia rispetto a quello che è stato e a che cosa rappresenta nel suo contesto l'omicidio di Giuseppe Di Vagno sia anche per quello che rappresentava tutto il resto.
Quindi, riteniamo importante questo provvedimento, anche per l'esiguità delle risorse. Quanto ci impegnano mai 100 mila euro per l'organizzazione di una biblioteca e di un archivio fortemente importante – che poi sarebbe a disposizione del Paese – e, in riferimento al Premio, 20 mila euro l'anno ? Attenzione, per il Premio ! Cioè il premio che va istituito nelle modalità e nelle forme in cui è previsto. Se ci sono colleghi che ritengono di dover avanzare delle proposte che riguardano strumenti di controllo, strumenti ulteriori, per aspetti importanti, come la giuria e anche l'attività e quant'altro, non immagino possano esserci ostacoli né per il relatore, né per i proponenti, né per chi condivide questa situazione.
Ecco perché io auspico che questa Assemblea si pronunci all'unanimità rispetto a questo provvedimento, perché racchiude tre aspetti fondamentali: racchiude cultura, e non aggiungono niente rispetto a quello che è stato già evidenziato; racchiude memoria – e che tipo di memoria ! –, per salvaguardare la democrazia, Pag. 43per salvaguardare le regole democratiche e per salvaguardare un po’ tutta la storia di Giuseppe Di Vagno, ma anche e soprattutto la formazione e l'esempio per i giovani, nel contesto di una sinergia che può esserci con la scuola. Poi, uno stimolo in più per l'impegno, per l'analisi, per la formazione determinata proprio dall'istituzione di questo Premio, un Premio che, ripeto, si inserisce in un contesto a bassissimo costo ma ad altissima qualificazione e soprattutto efficacia e resa in termini educativi, culturali e di memoria per il Paese e per tutti (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Chiara Di Benedetto. Ne ha facoltà.
CHIARA DI BENEDETTO. Presidente, la proposta di legge n. 1092-A, recante l'istituzione del Premio biennale di ricerca Giuseppe Di Vagno e disposizioni per il potenziamento della biblioteca e dell'archivio storico della Fondazione Di Vagno, per la conservazione della memoria del deputato socialista assassinato il 25 settembre 1921, su cui oggi in Aula si svolge la discussione sulle linee generali, vanta un lungo e tortuoso iter parlamentare.
L'esame del provvedimento è cominciato in Commissione cultura, alla Camera, nella seduta del 17 settembre 2013 ed è terminato il 25 marzo 2014. Nella relazione introduttiva il relatore, l'onorevole Di Lello, ha ricordato che il provvedimento, avente ad oggetto l'istituzione di questo premio di ricerca, era stato già esaminato ed approvato in sede legislativa dalla Commissione cultura della Camera nella scorsa legislatura e inviato al Senato. Lo scioglimento anticipato della XVI legislatura non aveva consentito il prosieguo dell'esame.
La proposta di legge dispone l'istituzione di un Premio biennale di ricerca per la conservazione della memoria del deputato socialista Giuseppe Di Vagno, assassinato il 25 settembre 1921. L'articolo 1 del nuovo testo prevede, a decorrere dall'anno 2014, l'istituzione del Premio biennale di ricerca Giuseppe Di Vagno, da conferire il 25 settembre di ogni biennio, alla presenza di un delegato della Presidenza del Consiglio dei ministri, a partire dal prossimo 25 settembre 2014.
L'ente responsabile per l'organizzazione del Premio è individuato proprio nella Fondazione Giuseppe Di Vagno, già promotore sinora dell'iniziativa, che agisce d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri e sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo. L'ammontare del Premio è fissato in 40 mila euro. La Fondazione può comunque decidere se ripartire tale somma in più premi da assegnare sulla base di criteri di merito.
Durante l'esame in sede referente, grazie all'approvazione di alcuni emendamenti del MoVimento 5 Stelle, è stato precisato che il bando dovrà prevedere criteri e procedure basati su principi di merito e trasparenza. È stato, altresì, previsto che le valutazioni svolte e i criteri adottati per la selezione dei vincitori sono resi pubblici anche sulla pubblicazione del sito del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo.
Il nuovo testo prevede, inoltre, che alla Fondazione sia concesso un contributo una tantum per il 2014 pari a 100 mila euro per la riorganizzazione, la redazione degli inventari, l'informatizzazione, la dotazione di risorse umane, nonché per la definitiva apertura al pubblico della biblioteca e dell'archivio storico.
Durante l'esame in sede referente è stato altresì previsto, sempre grazie ad un emendamento del MoVimento 5 Stelle, che la Fondazione garantisca l'accessibilità totale, anche attraverso la pubblicazione on line, delle informazioni relative all'organizzazione nonché di quelle relative all'utilizzo del contributo, al fine di consentire il controllo del rispetto dei principi di buon andamento e di trasparenza.
Ai componenti il comitato scientifico e la giuria, di cui agli articoli 2 e 3, non spetterà alcun tipo di emolumento.
L'articolo 2 dispone che il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta della Fondazione Di Vagno, nomini, con proprio decreto, un comitato scientifico, Pag. 44composto da tre studiosi di chiara fama di storia contemporanea o di scienza politica, cui spetta decidere il tema del Premio per ogni edizione, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri. Le tematiche nell'ambito delle quali il tema deve essere individuato riguardano: il socialismo nel XXI secolo; i conflitti sociali e lotte politiche; socialismo e Mezzogiorno; i cambiamenti istituzionali regionali e locali avvenuti nel Mezzogiorno nel XX secolo e le previsioni per il XXI secolo, nonché – in base alle integrazioni apportate durante l'esame in sede referente – lo studio del fenomeno della violenza politica, fisica e verbale, degli strumenti per combatterla e gli ideali di giustizia, di solidarietà e pace in Italia e nel mondo.
L'articolo 3 del nuovo testo dispone che i vincitori del Premio sono individuati da un'apposita giuria costituita da sei membri: il presidente, scelto dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo tra studiosi di chiara fama di scienze politiche; un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri; uno della Presidenza della regione Puglia; tre studiosi di chiara fama di storia contemporanea. L'articolo 4, infine, dispone in ordine alla copertura dell'onere derivante dall'attuazione della legge, ovvero 140 mila euro per l'anno 2014 e 40 mila euro ad anni alterni, a decorrere dall'anno 2016.
Giuseppe Di Vagno fu il primo parlamentare italiano vittima del fascismo. Una sera di settembre del 1921 subì un agguato da un gruppo di squadristi fascisti dopo un comizio elettorale, i quali, tra l'altro, non subirono alcuna condanna in seguito ad una amnistia voluta da Mussolini. Ricordare uomini di questo spessore politico deve essere un dovere per un Paese come l'Italia, che ne vanta tanti e rappresenta, altresì, un contributo importante per la nostra storia e la nostra cultura. Per queste ragioni, non può assolutamente essere oggetto di strumentalizzazioni la contrarietà espressa dal MoVimento 5 Stelle durante l'esame del provvedimento in VII Commissione. Contrarietà non certo motivata dall'opportuna e giusta memoria dell'operato politico e dell'importanza storica del socialista Di Vagno.
Le perplessità mosse dal MoVimento 5 Stelle riguardavano innanzitutto i tempi ristretti previsti per l'esame, che non avrebbero consentito un adeguato approfondimento relativo alla Fondazione, agli organi della stessa e alla gestione delle risorse che deriverebbero appunto dall'approvazione di questa proposta di legge. Vede, Presidente, quando fu calendarizzata in Commissione questa proposta di legge, era la prima di iniziativa parlamentare che interveniva nell'ambito delle fondazioni culturali e prevedeva un differente stanziamento di fondi statali nel settore. Il MoVimento 5 Stelle non è mai entrato nel merito della figura del personaggio storico, avendo cura della sua memoria al pari di tutti gli altri gruppi politici, ma la posizione contraria si deve intendere come opposizione a una politica di microinterventi, che rischiano soltanto di rispondere a interessi localistici, il che diviene inaccettabile soprattutto quando si parla di cultura, ovvero un settore che è stato terribilmente penalizzato dalla scarsità di risorse o, per meglio dire, dall'ottusità politica dei tagli, e nessuno ha mai sostenuto che fare cultura deve essere un lusso. Abbiamo approvato pochi giorni fa un provvedimento del Governo proprio nel settore della cultura e del turismo e lo stesso Ministro Franceschini ha riconosciuto che se ci fossero state ulteriori risorse economiche a disposizione certamente si sarebbe riusciti a fare qualcosa di più per questo settore.
Quindi, se le risorse sono poche, quelle a disposizione non dovrebbero essere utilizzate al meglio, dunque evitando gli interventi di finanziamento una tantum per una specifica Fondazione ? La cronica scarsità di risorse disponibili in Italia per la cultura mal si concilia con l'esigenza di intervenire in modo più generalizzato e strutturale; non si comprende appunto il motivo di intervenire finanziando, pur con 100 mila euro, questa precisa Fondazione che, è corretto ricordare, gode già di Pag. 45risorse pubbliche, e non piuttosto altre fondazioni meritevoli della stessa attenzione da parte di quest'Aula.
Le nostre perplessità sono altresì connesse alla controversa figura del presidente della Fondazione, tale Gianvito Mastroleo, che ha ricevuto una condanna in primo grado a 8 anni di reclusione e una multa di 820 milioni di lire – quando ancora c'erano le lire – con l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e una condanna in secondo grado a cinque anni e sei mesi, per poi approdare appunto alla prescrizione, come spesso accade in Italia. La vicenda, giusto per la cronaca, riguardava la spartizione di appalti per la costruzione di edifici scolastici, di 14 edifici scolastici, per un valore complessivo di 47 miliardi. Qui una riflessione personale: fa sempre molta rabbia ricordare come nel nostro Paese siano stati affidati appalti per la costruzione dei luoghi in cui i nostri ragazzi studiano e che dovrebbero essere luoghi sicuri e di legalità, e dai quali purtroppo, come ben sappiamo, alcuni non fanno ritorno.
Tornando al provvedimento, gli emendamenti che sono stati presentati dal MoVimento 5 Stelle in Commissione hanno sì da una parte rallentato l'iter pianificato dalla maggioranza per approvare la proposta in sede legislativa, quindi senza passare dal voto dell'Aula, ma hanno apportato delle migliorie al testo, e con le nostre proposte abbiamo cercato di garantire, al netto dei voti favorevoli e contrari della maggioranza, la massima trasparenza e la massima pubblicità nell'impiego di questi soldi pubblici da parte della stessa Fondazione.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Coccia. Ne ha facoltà.
LAURA COCCIA. Signor Presidente, decidere di studiare storia è una decisione molto complicata per un giovane, perché chi studia medicina fa il medico, chi studia legge fa l'avvocato e chi studia storia che fa ? Fa lo storico, ma fare lo storico in Italia è molto complicato, è complicato perché non si hanno risorse, perché si hanno pochissime borse di studio, perché soprattutto non si ha la prospettiva di avere uno studio o di avere entrate economiche ingenti, come se si mettesse su uno studio privato. Si fa storia per passione, una passione forte, che spesso supera tutte le difficoltà, anche quelle economiche. L'istituzione di un premio, un premio di ricerca per i giovani studiosi non fa altro che dare un motivo a chi a 19-20 anni sceglie per passione di studiare storia, soprattutto sceglie al sud Italia, dove ci sono tante difficoltà per andare avanti negli studi, e i tassi di dispersione scolastica lo dimostrano in maniera sempre più allarmante.
Voglio ricordare inoltre che il Meridione d'Italia è quello che ha dato al nostro Paese storici di grandissimo livello, da Gaetano Salvemini a Giuseppe Di Vittorio, da Ferdinando Cordova a Piero Bevilacqua, miei maestri alla Sapienza. Sono state persone che hanno segnato la storiografia, hanno dato nuova luce e nuovi modi di intendere e di leggere la storia.
Si istituisce un premio per incoraggiare i ragazzi e i giovani, e per dare loro un motivo per studiare e per investire nella propria formazione e, soprattutto, nella ricerca che a loro piace fare. Poi, vi è un contributo una tantum, di 100 mila euro, alla Fondazione, non affinché la Fondazione si arricchisca con quei soldi e li metta da parte per scopi più o meno di lucro, ma li metta a disposizione della Fondazione stessa, affinché i beni della Fondazione, i beni che sono patrimonio di tutti, come la biblioteca, l'archivio, l'archivio fotografico, che sono veramente patrimonio di tutta l'umanità, possano essere migliorati e, soprattutto, affinché il patrimonio archivistico possa finalmente essere messo in condizione di essere fruibile anche rispetto ai nuovi mezzi di comunicazione. Ricordiamoci che il nostro patrimonio archivistico è ancora in grandissima parte in forma cartacea e questo fa sì che, ogni qual volta uno studioso lo consulti, si possano andare a rovinare soprattutto le «veline», ma non per incuria o per imperizia, ma semplicemente perché è molto Pag. 46complicato potere lavorare all'interno di un archivio. La digitalizzazione degli archivi e della Fondazione Di Vagno permetterebbe proprio di potere trasmettere la nostra cultura alle prossime generazioni in modo sempre più completo.
Mi dispiace sia andata via l'onorevole Di Benedetto e che, in questo momento, in Aula, del MoVimento 5 Stelle non ci sia nessuno, perché, l'onorevole Di Benedetto nella sua ampia rievocazione di ciò che è avvenuto in Commissione, ha dimenticato due degli emendamenti del MoVimento 5 Stelle che hanno suscitato molte polemiche, anche sui giornali, e in una lettera pubblica di Stefania Craxi, perché, Presidente, in uno degli emendamenti del MoVimento 5 Stelle si chiedeva di sopprimere la parola «socialista» dal titolo della proposta di legge, come se ci fosse una vergogna ad essere socialisti. Ebbene, io credo che ci sia una differenza sostanziale e quel socialismo, quello del 1921, 1922, 1923 e 1924, quello di Di Vagno e di Matteotti, era un socialismo che ha aiutato il nostro Paese a rimanere libero e democratico e non si è piegato al fascismo.
Presidente, quest'Aula il 3 gennaio 1925 assistette ad un discorso storico, un discorso tragico per la storia del nostro Paese, in cui l'allora Capo del Governo si assunse la responsabilità politica e morale dell'omicidio Matteotti e quindi, mi viene da pensare, anche dell'omicidio Di Vagno. Quello, quel 3 gennaio 1925, è diventato il punto di chiusura del cosiddetto periodo istituzionale del fascismo, quello in cui, come dire, si è sottoposto alle libere elezioni per andare poi a perseguire solamente la via del plebiscito, cioè del «sì» o del «no», quello, per capirci, in cui si vinceva con più del 90 per cento e si instaurava veramente quello che è poi è stato il regime fascista, che ha portato l'Italia alla guerra e alla distruzione.
Io credo che quell'emendamento, con cui si chiedeva di cancellare la parola «socialista», è uno schiaffo alla nostra democrazia e, soprattutto, è uno schiaffo a chi per la nostra democrazia ha combattuto fino a perdere la vita, perché non ha voluto piegare la testa.
In questo periodo storico sui social network si legge un grande uso di olio di ricino, manganello, senza capire che quei richiami storici rievocano non solamente le botte, non solamente il dolore fisico, ma un dolore morale per il nostro Paese, perché è la perdita della libertà. Ed è contro questo che si è battuto Giuseppe Di Vagno, che si è battuto Giacomo Matteotti e possiamo ricordare all'infinito tutti i martiri che hanno lottato per la democrazia. Presidente, quell'emendamento mi ha colpito in particolare perché io ho vissuto in Germania per motivi di studio e pensavo che nessuno in Germania si sarebbe mai chiesto o avrebbe mai chiesto di cancellare quel «sozialistische» sotto l'insegna dedicata a Rosa Luxemburg o a Karl Liebknecht. Nessuno lo avrebbe mai pensato, perché quelle due persone fanno parte della storia della Germania e fanno parte della loro storia così come sono, nonostante il socialismo abbia significato per la Germania un periodo di divisione. Ricordiamoci il regime della DDR, che è stato un regime comunista pesantissimo, che ha portato alla divisione di famiglie. E quindi qualcuno potrebbe anche voler dire: scusate ma quello non fa parte della nostra storia. Potrebbero volersi vergognare di quella pagina. E invece no, Rosa Luxemburg viene lasciata riposare in pace, perché non ci si può vergognare di chi ha combattuto per la libertà (Applausi).
PIA ELDA LOCATELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Sull'ordine dei lavori ?
PIA ELDA LOCATELLI. Signor Presidente, di fatto per ringraziare la collega Coccia, un brevissimo intervento per ringraziare lei e quasi tutti i colleghi che sono intervenuti, i colleghi e le colleghe con qualche distinguo naturalmente rispetto all'intervento fatto dalla collega del MoVimento 5 Stelle. Ma, mentre ringrazio tutti quanti, volevo in particolare ringraziare la collega Coccia perché il suo intervento davvero mi ha toccata. Mi ha toccata come donna, mi ha toccata come parlamentare, Pag. 47mi ha toccata come socialista. Io quest'anno compio quarant'anni di tessera socialista e continuo ad essere orgogliosa di questa mia appartenenza e di questa mia militanza. Certo, ci sono stati degli errori, anche degli errori gravi del mio partito e di tanti altri esponenti di tanti altri partiti. Ce ne assumiamo la responsabilità senza nascondere i fatti, senza nascondere la storia, ma non nascondiamo niente né le cose negative né i fatti positivi che la collega Coccia ha voluto elencare con una passione che davvero mi ha commossa. Grazie, grazie davvero.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 1092-A)
PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Di Lello, e il rappresentante del Governo, il sottosegretario di Stato per gli affari esteri Benedetto della Vedova, rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sui lavori dell'Assemblea (ore 17,28).
PRESIDENTE. Avverto che l'onorevole Galan, con lettera in data odierna, ha reso noto alla Presidenza della Camera di essere in stato di ricovero ospedaliero – come documentato dal certificato della competente azienda sanitaria – e, quindi, impossibilitato ad intervenire alla seduta di domani, come invece sarebbe stato intenzionato a fare, in sede di discussione della relazione della Giunta competente sulla domanda di autorizzazione ad eseguire la misura cautelare della custodia in carcere che lo riguarda, calendarizzata appunto per domani. Ha chiesto pertanto un rinvio dell'esame di tale punto all'ordine del giorno.
Viste le motivazioni della richiesta, la Presidenza ritiene di doverne tener conto, nei limiti in cui ciò non comprometta tuttavia l'esigenza di una tempestiva risposta della Camera alla domanda formulata dall'autorità giudiziaria. L'esame della relazione della Giunta avrà pertanto luogo giovedì 17 luglio alle ore 11, anziché domani alle ore 17. Di ciò i gruppi sono stati precedentemente informati.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 15 luglio 2014, alle 10:
1. – Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.
(ore 15,30)
2. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
FIORIO ed altri; RUSSO e FAENZI; FRANCO BORDO e PALAZZOTTO; ZACCAGNINI ed altri; SCHULLIAN ed altri: Disposizioni in materia di agricoltura sociale (C. 303-760-903-1019-1020-A).
– Relatore: Covello.
3. – Seguito della discussione delle mozioni Binetti ed altri n. 1-00309, Santerini ed altri n. 1-00512, Quartapelle Procopio ed altri n. 1-00326, Palmieri ed altri n. 1-00542, Rampelli ed altri n. 1-00543, Dorina Bianchi ed altri n. 1-00544 e Rondini ed altri n. 1-00548 in materia di adozioni internazionali.
4. – Seguito della discussione delle mozioni La Russa ed altri n. 1-00441, Caruso ed altri n. 1-00534, Piras ed altri n. 1-00536, Fiano ed altri n. 1-00538, Artini ed altri n. 1-00539, Marcolin ed altri n. 1-00541, Palese ed altri n. 1-00545 e Causin ed altri n. 1-00546 in materia di progressioni di carriera e automatismi retributivi per il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico.
Pag. 48 5. – Seguito della discussione del testo unificato dei progetti di legge:
GARAVINI ed altri; NICCHI ed altri; CARFAGNA e BERGAMINI; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; GEBHARD ed altri: Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli (C. 360-1943-2044-2123-2407-A).
– Relatore: Marzano.
6. – Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1143 – Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Niger in materia di sicurezza, fatto a Niamey il 9 febbraio 2010 (Approvato dal Senato) (C. 2272).
– Relatore: Quartapelle Procopio.
7. – Seguito della discussione della proposta di legge:
DISTASO ed altri: Istituzione del «Premio biennale di ricerca Giuseppe Di Vagno» e disposizioni per il potenziamento della biblioteca e dell'archivio storico della Fondazione Di Vagno, per la conservazione della memoria del deputato socialista assassinato il 25 settembre 1921 (C. 1092-A).
– Relatore: Di Lello.
La seduta termina alle 17,30.
TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO MICHELA MARZANO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DEI PROGETTI DI LEGGE N. 360-A ED ABBINATI
MICHELA MARZANO, Relatore. Signor Presidente, il testo approvato dalla Commissione si basa sulla proposta di legge C. 360 Garavini, alla quale sono state apportate talune modificazioni e integrazioni.
In primo luogo, benché una proposta di testo base da ma presentata inizialmente in Commissione comprendesse tali materie, si è deciso di escludere dall'oggetto dell'esame le questioni del cognome dei coniugi e dell'attribuzione del cognome ai figli di italiani residenti all'estero. Si tratta, infatti, di materie che debbono essere trattate a parte, con un autonomo esame ed approfondimento. Occorre tenere conto, peraltro, che comunque la moglie oggi può continuare ad utilizzare il proprio cognome, per cui il problema è meno sentito ed urgente di quanto non lo sia quello del cognome dei figli. Disciplinare, invece, a livello nazionale l'attribuzione del cognome ai figli di italiani residenti all'estero può porre delle delicate questioni di diritto internazionale, come è emerso nel corso dell'audizione del direttore della Direzione centrale dei servizi demografici presso il Ministero dell'interno. Anche in questo caso, tuttavia, occorre considerare che la normativa secondaria disciplina l'istituto delle «correzioni» (articolo 98, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 396/2000), previsto espressamente per ovviare alle discrasie che possono sorgere in seguito all'attribuzione, al figlio di italiani residenti all'estero, di un cognome diverso da quello ad esso spettante secondo la legge italiana.
Veniamo, quindi, all'esame dell'articolato approvato dalla Commissione Giustizia che, è bene ribadirlo, nasce da un'esigenza concreta e pressante, consentendo di allineare il nostro ordinamento a quello di altri Paesi a noi vicini per cultura e civiltà giuridica, oltre che ai pronunciamenti di organismi internazionali, che hanno ripetutamente richiesto al nostro Paese una maggiore coerenza con alcuni orientamenti già affermati a livello sovranazionale.
Ad esempio, in Spagna, dove vige la regola del doppio cognome, composto dal cognome paterno e da quello materno, i genitori possono accordarsi sull'ordine dei cognomi da trasmettere ai figli. In Francia, egualmente, i genitori possono scegliere il cognome da dare ai figli tra quello paterno Pag. 49o quello materno o quello di entrambi nell'ordine da loro stabilito. In Germania, i genitori, a loro volta, possono dare ai figli il cognome di famiglia, se lo hanno definito, o, in caso contrario, attribuire loro il cognome del padre o quello della madre, in base alla loro scelta. In Inghilterra e in Galles, infine, i genitori possono decidere con assoluta libertà il cognome da attribuire al figlio, scegliendolo o tra quelli dei genitori o tra nomi diversi.
E dunque, l'articolo 1 introduce nel codice civile l'articolo 143-quater, rubricato «Cognome del figlio nato nel matrimonio» che stabilisce, su accordo dei genitori, che sia attribuito al figlio al momento della dichiarazione di nascita presso gli uffici di stato civile: o il cognome del padre o il cognome della madre ovvero il cognome di entrambi, nell'ordine concordato (primo comma).
Al mancato accordo consegue l'attribuzione, in ordine alfabetico, di entrambi i cognomi dei genitori. Scelta, questa, obbligata se non si vuole che la norma sia discriminatoria (prevedendo in astratto la priorità del cognome del padre o della madre) e se non si vuole ricorrere ad un criterio casuale di attribuzione del cognome quale sarebbe il sorteggio.
I due ulteriori commi dell'articolo 143-quater stabiliscono: che i figli degli stessi genitori coniugati, registrati all'anagrafe dopo il primo figlio, portano lo stesso cognome di quest'ultimo (terzo comma), al fine evidente di evitare che nella stessa famiglia vi siano figli con cognomi diversi; che il figlio cui sono stati trasmessi entrambi i cognomi dei genitori può trasmetterne ai propri figli soltanto uno a sua scelta (quarto comma), al fine di evitare, in questo caso, una moltiplicazione di cognomi ad ogni nuova generazione.
Gli articoli 2 e 3 estendono, con i dovuti adattamenti, i principi del nuovo articolo 143-quater ai figli nati fuori dal matrimonio ed ai figli adottivi.
L'articolo 2 del testo unificato riformula l'articolo 262 del codice civile, relativo al «Cognome del figlio nato fuori del matrimonio», dettando una diversa disciplina in ragione del momento del riconoscimento del figlio.
Se il figlio è riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori, si applica la stessa disciplina appena illustrata del nuovo articolo 143-quater (articolo 1) per il figlio di genitori coniugati (primo comma).
Mentre, come è ovvio, se il figlio è riconosciuto da un solo genitore ne assume il cognome (secondo comma), ove il riconoscimento da parte dell'altro genitore avvenga successivamente, come nel caso di paternità o maternità del secondo genitore riconosciute per via giudiziale, il cognome di questi si aggiunge al primo solo con il consenso del genitore che ha riconosciuto il figlio per primo nonché, se ha già compiuto 14 anni, del figlio stesso (terzo e quarto comma).
L'articolo 262, quinto comma, c.c., prevede – nel caso di riconoscimento da parte di entrambi i genitori – che il genitore che abbia due cognomi possa trasmetterne al figlio soltanto uno, a sua scelta.
Come evidenziato nel parere della I Commissione, questa disposizione appare distonica rispetto a quanto previsto dall'articolo 143-quater, quarto comma, secondo il quale è il figlio al quale è stato attribuito il cognome di entrambi i genitori (e non il genitore con due cognomi) a poterne trasmettere solo uno.
Al fine di evitare differenze di disciplina suscettibili di determinare ingiustificate disparità di trattamento tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio, appare opportuno allineare la disciplina delle due disposizioni citate, sostituendo il quinto comma dell'articolo 262 con il seguente: «Al figlio al quale è stato attribuito il cognome di entrambi i genitori, si applica l'articolo 143-quater, quarto comma.»
Estendendo la disciplina dell'articolo 143-quater c.c. viene, infine, stabilito che nel caso di più figli nati fuori dal matrimonio dagli stessi genitori, essi porteranno lo stesso cognome attribuito al primo figlio (sesto comma).Pag. 50
L'articolo 3, comma 1, detta, anzitutto, una nuova formulazione dell'articolo 299 c.c., relativo al cognome dell'adottato maggiore di età. La nuova disciplina conferma come regola generale che l'adottato antepone al proprio cognome quello dell'adottante; nel caso in cui il primo abbia un doppio cognome, deve indicare quale intenda mantenere (primo comma).
Se l'adozione del maggiorenne è compiuta da coniugi, diversamente da quanto ora previsto (ovvero l'assunzione del cognome del marito), gli stessi coniugi decidono d'accordo quale cognome attribuire al figlio adottivo (quello paterno, quello materno o entrambi, secondo l'ordine concordato) ai sensi dell'articolo 143-quater; in mancanza di accordo, si segue l'ordine alfabetico (secondo comma).
Il comma 2 sostituisce l'articolo 27 della legge sull'adozione (L. 184/1983), relativo agli effetti dell'adozione sullo status del minore adottato. Superando l'attuale formulazione (ancora riferita all'acquisto di stato di figlio legittimo) il nuovo articolo 27 fa riferimento ora allo stato di figlio degli adottanti estendendo all'adottato, ai fini dell'attribuzione del cognome, la sopradescritta disciplina di cui all'articolo 143-quater c.c..
L'articolo 4 introduce una disciplina speciale sul cognome del figlio maggiorenne, comunque conforme alle previsioni dell'articolo 6 del codice civile che – sancendo il principio dell'immutabilità del nome (ovvero l'insieme di prenome e cognome) – precisa che «Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati».
In particolare, si garantisce al figlio maggiorenne, cui sia stato attribuito in base alla legge vigente al momento della nascita il solo cognome paterno o materno, la possibilità di aggiungere al proprio il cognome della madre o del padre. Si prevede, a tal fine, una procedura estremamente semplificata, consistente nella dichiarazione resa presso gli uffici di stato civile personalmente o per iscritto (con sottoscrizione autenticata), dichiarazione che va annotata nell'atto di nascita.
Condizione necessaria per il figlio nato fuori del matrimonio è che sia stato riconosciuto dal genitore di cui vuole aggiungere il cognome o che la paternità o maternità siano state giudizialmente dichiarate. Tale condizione è certamente implicita nel sistema, ma si è ritenuto comunque opportuno indicarla espressamente.
L'articolo 4 precisa, infine, che nelle ipotesi indicate (aggiunta del cognome paterno o materno) non si applica la disciplina amministrativa necessaria per promuovere l'istanza relativa al cambiamento del nome e/o del cognome prevista dal titolo X del Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile (decreto del Presidente della Repubblica 396 del 2000).
Quest'ultima disciplina, alla quale sono sottese anche evidenti ragioni di sicurezza pubblica, prevede la presentazione di una domanda al Prefetto, l'affissione della stessa all'Albo pretorio del comune e la possibilità per chiunque vi abbia interesse ad opporsi a tale domanda. Disciplina che continuerà ad essere applicabile a chi intenda «modificare» (e, quindi, eventualmente sostituire) il proprio nome o cognome, ad esempio, perché ridicolo o vergognoso, perché rivela l'origine naturale o per altre ragioni (la cui fondatezza, pertanto, continuerà ad essere valutata dal Prefetto).
La nuova procedura semplificata con domanda all'ufficiale dello stato civile sarà invece applicabile solo a chi intenda «aggiungere» al proprio il cognome del padre o della madre.
In sostanza, l'aggiunta del cognome dell'altro genitore viene configurata come un diritto soggettivo pieno, che fa parte del più ampio diritto all'identità personale, inteso anche quale diritto a vedere rappresentata nel cognome tanto la discendenza paterna quanto quella materna. Dato che non si tratta di cambiare il nome o di sostituire il cognome di una persona, eventualmente scegliendone uno estraneo alla propria famiglia, ma solo di aggiungere il cognome di un genitore, le esigenze di sicurezza sono apparse particolarmente Pag. 51sfumate e si è ritenuto che la domanda potesse essere direttamente presentata all'ufficiale dello stato civile. Inoltre, la pienezza del riconoscimento di questo diritto soggettivo difficilmente si concilierebbe con una previsione che prevedesse l'affissione della domanda all'Albo pretorio e con la possibilità, per chiunque vi abbia interesse, di opporsi alla domanda medesima.
Tale disposizione, con riguardo ai figli nati dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina, ai quali sia stato scelto di attribuire il cognome di un solo genitore, consente, al compimento del diciottesimo anno, di aggiungere il cognome dell'altro genitore.
Occorre precisare che la disposizione ha anche una funzione «paratransitoria», perché riconosce ai figli nati prima dell'entrata in vigore della legge (rectius, dell'entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 5: cfr. articolo 7) la possibilità di aggiungere il cognome materno a quello paterno, sia pure al compimento della maggiore età.
In tal modo, con questi tempi e limiti, ma tramite la semplice presentazione di una domanda all'ufficiale dello stato civile, si realizza un effetto analogo a quello che deriverebbe dall'applicazione della nuova disciplina, che consente, appunto, anche di attribuire al figlio due cognomi: quello del padre e quello della madre.
Indubbiamente restano fuori dall'ambito di applicazione di questa disposizione tutta una serie di casi che potrebbero essere disciplinati solo da una vera e propria norma transitoria volta a consentire, come suggerito nel parere della I Commissione, l'applicazione della nuova disciplina anche ai genitori di figli minorenni.
Né potrebbe essere invocata, per i casi non disciplinati, la possibilità di modificare il cognome dei figli minorenni nati prima che sia divenuta efficace la nuova disciplina ricorrendo alla citata procedura di cui al titolo X del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, che non legittima espressamente i genitori del figlio minorenne a presentare la domanda al prefetto, bensì – dobbiamo ritenere – il figlio stesso una volta divenuto maggiorenne.
Se considerato sotto il profilo della sua funzione «paratransitoria», dunque, l'articolo 4 non detta una soluzione esaustiva. È però una soluzione considerata «sostenibile», nel corso delle audizioni, dall'amministrazione che sarà chiamata a dare attuazione a questa legge.
Il problema, tuttavia, permane e dovrà essere affrontato, tenendo conto anche del fatto che da una siffatta norma transitoria potrebbe derivare un numero elevato di domande, presentate dai genitori, per il cambiamento del cognome dei figli minorenni nati prima del momento in cui acquisterà efficacia la nuova disciplina e, quindi, dell'esigenza dell'amministrazione interessata a disporre di tempi adeguati per predisporsi sia sotto il profilo della normativa secondaria sia sotto il profilo strettamente organizzativo.
Un ordine del giorno opportunamente formulato potrebbe rappresentare una soluzione adeguata.
Tuttavia, nell'ambito del Comitato dei nove si potrebbe, ad esempio, valutare di proporre l'integrazione dell'articolo 7 (Disposizioni finali) con una disposizione che preveda un periodo transitorio delimitato da un termine di decadenza. L'amministrazione avrebbe così la possibilità di predisporre, in un primo momento, gli strumenti regolamentari più idonei e, poi, scaduto il predetto termine, potrebbe valutare il numero complessivo di domande presentate al fine di adottare le necessarie misure organizzative.
Altra questione che si potrebbe affrontare nel contesto di una norma transitoria è quella delle famiglie con più figli, quando solo l'ultimo figlio sia nato dopo l'entrata in vigore della nuova normativa e ad esso sia stato attribuito un cognome diverso da quello dei fratelli nati precedentemente. In questo caso può sorgere l'esigenza di parificare il cognome di tutti i figli dei medesimi genitori. E una soluzione potrebbe essere rappresentata anche dalla possibilità, in deroga a quanto previsto dai nuovi articoli 143-quater e 262 Pag. 52del c.c. (secondo i quali i figli successivi portano lo stesso cognome del primo), di attribuire a tutti i figli il cognome dell'ultimo figlio, cioè di quello al quale il cognome sia stato attribuito in base alla nuova disciplina.
L'articolo 5 prevede che con un regolamento attuativo da adottare con decreto del Presidente della Repubblica entro un anno dall'entrata in vigore del provvedimento in esame vadano apportate le conseguenti, necessarie modifiche ed integrazioni al regolamento sull'ordinamento di stato civile (il citato decreto del Presidente della Repubblica 396/2000).
Consapevoli della complessità dell'applicazione pratica della nuova normativa si è ritenuto di fondamentale importanza aggiungere al corpus originario della proposta di legge Garavini anche una disposizione che prevedesse un'integrazione da parte della normativa secondaria, al fine di disciplinare, nel quadro generale predisposto dal provvedimento in esame, la complessità dei casi che si possono verificare in concreto.
La disciplina regolamentare, ad esempio, potrebbe dettare norme che eliminino ogni eventuale dubbio interpretativo in relazione ai «cognomi composti», cioè quei cognomi formalmente doppi (o plurimi) che non derivino dalla mera somma dei cognomi dei genitori attribuiti in base alla normativa vigente in un dato periodo, ma che sostanzialmente valgano, per tradizione e nella loro inscindibile complessità ed unità, ad identificare una determinata famiglia.
Ancora, ove mai sussistessero preoccupazioni relative alla pubblica sicurezza con riferimento alla procedura semplificata di cui all'articolo 4, il regolamento previsto dall'articolo 5 potrebbe, ad esempio, prevedere che le domande per l'aggiunta del cognome dell'altro genitore presentate ai sensi dell'articolo 4 siano comunque trasmesse al prefetto per le valutazioni di competenza e che, in caso di silenzio-assenso da parte del prefetto entro un determinato numero di giorni, l'ufficiale dello stato civile provvede all'annotazione.
Queste ed altre questioni sono state tenute in debito conto nella formulazione dell'articolato. Si è ritenuto, tuttavia, occorre ribadirlo, di attribuire alla normativa di rango primario il solo compito di fissare i principi, lasciando alla normativa secondaria (e alla giurisprudenza) il compito di regolare la complessità del caso concreto.
Tenendo conto delle esigenze organizzative dell'amministrazione che avrà il compito di dare attuazione alla nuova normativa (il Ministero dell'interno che, peraltro, è attualmente impegnato nel complesso compito di dare attuazione alla recente riforma in materia di filiazione) si è previsto il termine di un anno per l'emanazione del regolamento in questione. Per le medesime ragioni, l'articolo 7 condiziona l'applicazione dell'intera nuova disciplina introdotta in materia di cognome dei figli all'entrata in vigore del regolamento attuativo previsto dall'articolo 5 (che deve avvenire entro un anno dall'entrata in vigore della legge).
L'articolo 6 prevede, invece, la clausola di invarianza finanziaria.
TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO LIA QUARTAPELLE PROCOPIO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 2272
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO, Relatore. Colleghi deputati, l'Accordo rafforza la collaborazione bilaterale tra Italia e Niger per la lotta ai crimini ed ai traffici di esseri umani, di droga, di migranti, che prendono corpo sul territorio nigerino ad opera della criminalità organizzata transnazionale.
Il Niger è oggi il paese più povero del pianeta ma al tempo tra i primi produttori al mondo di uranio, una risorsa strategicamente importante perché fondamentale per la produzione di energia nucleare.
L'intesa si inquadra nella prospettiva, fortemente sostenuta dall'Unione europea, di creare le condizioni affinché il Paese, al pari di altri Stati dell'area, possa trarre Pag. 53profitto dalle proprie risorse naturali, assicurando in primis il mantenimento della sicurezza interna e della stabilità.
Il testo, che si compone di quindici articoli, individua le autorità competenti per l'applicazione dell'accordo che, per l'Italia, è il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno e precisa le modalità della cooperazione per il contrasto alla produzione e al traffico di stupefacenti, che riguardano principalmente lo scambio di informazioni di carattere operativo. Vengono altresì disciplinate le modalità della cooperazione sulla lotta al terrorismo, che avverrà tramite lo scambio rapido di informazioni su tecniche, modus operandi e strutture riconducibili alle organizzazioni terroristiche operanti sul territorio delle due Parti, nonché sui soggetti che ne fanno parte; lo scambio di informazioni sui canali di finanziamento delle organizzazioni terroristiche e l'eventuale reimpiego dei capitali e lo scambio di esperienze in materia.
In materia di contrasto all'immigrazione illegale e alla tratta di esseri umani, l'articolo 7 precisa che le modalità della cooperazione comporteranno, tra l'altro, lo scambio di informazioni sui flussi di immigrazione clandestina, gli itinerari, la produzione di documenti, eccetera.
L'articolo 8 esplicita le modalità di cooperazione in materia di lotta alla criminalità organizzata. Questa si effettuerà tramite lo scambio di informazioni operative riguardanti in particolare il traffico illecito di armi; i reati ambientali, tra i quali particolare importanza riveste il traffico di materiali radioattivi; il traffico di opere d'arte e di autoveicoli rubati; la falsificazione di documenti, di banconote e di brevetti; l'induzione alla prostituzione ed i reati informatici.
Il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica, approvato dal Senato il 2 aprile scorso ed il cui esame presso la Commissione Affari esteri della Camera si è concluso il 2 luglio scorso, consta di quattro articoli. Oltre alle consuete disposizioni riguardanti l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione, l'articolo 3 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri di attuazione dell'Accordo, valutati in 56.846 euro a decorrere dall'anno 2014. A tali oneri si provvede mediante riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia, per il 2014, utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.
Auspico una pronta approvazione del provvedimento: l'Accordo infatti potrà significativamente concorrere ad ampliare la cooperazione con un Paese di un'area – quella del Sahel – segnata oggi da un aggravamento delle condizioni di sicurezza e di stabilità, sia sul versante interno che sul piano esterno, basti pensare al terrorismo di matrice islamista come al traffico di vite umane, legato ai flussi migratori clandestini che attraversa le fasce desertiche del Sahel.