XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 1 agosto 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


      La XI Commissione,
          premesso che:
              CADLA spa è una società che opera ad Arezzo, con un organico di circa 200 dipendenti, nel campo dello stoccaggio e rifornimento supermercati e altresì nella gestione della logistica per la rete Despar centro Italia;
              DueGi Srl è la società dei fratelli Giannetti, con un organico di circa 600 dipendenti, a cui fanno riferimento i 36 punti vendita Despar del Centro Italia;
              la profonda crisi che sta attraversando il nostro Paese sta colpendo, apparentemente, anche il gruppo Despar, mettendo in pericolo le due società suddette e provocando la possibile perdita dei relativi posti di lavoro per circa 800 unità e circa 300 dell'indotto;
              la società DueGi Srl sta chiudendo in questi giorni le trattative con Conad Tirreno e Conad Umbria e, secondo le ultime notizie di stampa, dovrebbero rimanere fuori circa una dozzina di negozi di piccole e medie dimensioni e altresì la piattaforma logistica Cadla, visto che le due Conad hanno già analoghe strutture;
              la società CADLA spa versa in una situazione di crisi di difficile comprensione, data la repentina scelta da parte della proprietà DueGi di intavolare le trattative con le due suddette Conad, alla luce di trattative mai andate a buon fine con altri grandi gruppi che operano nel medesimo settore;
              occorre elaborare, urgentemente un piano che consenta la salvaguardia dei livelli occupazionali con particolare attenzione alla società CADLA spa ed escluda, quindi, la messa in mobilità dei lavoratori stessi;
              è necessaria un'indagine – soprattutto durante la procedura di concordato preventivo – sulle problematiche che hanno determinato la crisi della società DueGI Srl e conseguentemente CADLA Spa, ad oggi ancora da chiarire anche in considerazione delle trattative fallite con altre grandi società operanti nella grande distribuzione;
              si deve intervenire per il superamento della crisi che sta colpendo la società CADLA spa con conseguente perdita di un patrimonio di competenze e professionalità acquisite negli anni nel campo della logistica e stoccaggio merci;
              si evidenzia altresì, che l'adozione di iniziative per fronteggiare la crisi della suddetta società sono indispensabili anche a salvaguardia delle molteplici realtà aziendali che collaborano con la stessa;
              la Toscana, in attesa dell'entrata delle nuove regole ministeriali per la concessione degli ammortizzatori sociali in deroga, ha prorogato fino al 31 agosto 2014 la possibilità per le aziende di richiedere gli ammortizzatori sociali per i loro dipendenti,

impegna il Governo:

          a promuovere azioni finalizzate ad una corretta gestione delle relazioni industriali e sindacali, per elaborare un piano di intervento che preveda la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali, i redditi dei lavoratori, ed escludendo la messa in mobilità degli stessi;
          ad adottare idonei provvedimenti affinché vi sia un tavolo di confronto a livello governativo con le parti sociali, che consenta di individuare le specifiche problematiche che hanno determinato la crisi CADLA Spa - DueGi Srl;
          ad adottare urgenti provvedimenti al fine di rifinanziare, entro il 31 agosto 2014, la cassa integrazione in deroga per la regione Toscana;
          ad adottare idonei provvedimenti e a promuovere ogni iniziativa finalizzata ad accelerare le procedure per l'erogazione della cassa integrazione straordinaria.
(7-00447) «Baldassarre, Donati».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
          la violenza sulle donne è e deve essere una priorità del Governo e del Parlamento;
          il 1o agosto 2014 è entrata in vigore la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica», meglio nota come Convenzione di Istanbul;
          il Governo ha adottato il 14 agosto 2013 il decreto-legge n.  93, convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n.  119, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province» dove all'articolo 5 si prevede l'adozione da parte del Ministro delegato alle pari opportunità, previa intesa in sede di Conferenza unificata, di un piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che deve essere elaborato con il contributo delle amministrazioni interessate, delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza, in sinergia con la nuova programmazione dell'Unione europea per il periodo 2014-2020;
          il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Ivan Scalfarotto, rispondendo in aula all'interpellanza n.  2-00544 in data 30 maggio 2014, ha affermato che il Governo conta di poter adottare il Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere entro il mese di ottobre;
          tenuto conto della complessità degli interventi da porre in essere per l'adozione del suddetto Piano, il compito di elaborarlo è stato affidato ad una serie di tavoli tematici di lavoro, sette per l'esattezza, che compongono una task force interistituzionale, costituita il 22 luglio 2013, che riunisce tutti i Ministeri interessati (giustizia, interno, salute, istruzione, università e ricerca, affari esteri, difesa, economia e finanze, lavoro e delle politiche sociali, sviluppo economico) e i rappresentanti delle autonomie territoriali e del mondo dell'associazionismo, coordinata dal dipartimento per le pari opportunità;
          non si hanno notizie certe sulle modalità e sui tempi dei lavori  –:
          quale sia allo stato attuale il lavoro dei suddetti tavoli tematici e, di conseguenza, l'elaborazione del Piano e se non si ritenga necessario intervenire per accelerare i lavori e monitorare il reale coinvolgimento di tutte le forze interessate al fine di arrivare nei tempi stabiliti alla presentazione del nuovo piano d'azione contro la violenza.
(2-00648) «Roberta Agostini, Albanella, Amato, Ascani, Bargero, Bini, Blazina, Boccia, Bossa, Bruno Bossio, Carocci, Carrozza, Cenni, Cimbro, Cominelli, De Maria, D'Ottavio, Fabbri, Famiglietti, Folino, Cinzia Maria Fontana, Gadda, Gasparini, Ghizzoni, Giacobbe, Iacono, Incerti, Iori, La Marca, Lattuca, Lauricella, Locatelli, Malisani, Maestri, Manzi, Marzano, Mongiello, Murer, Narduolo, Stumpo, Valeria Valente, Venittelli, Ventricelli, Villecco Calipari, Zampa».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      PRODANI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          la legge regionale del Friuli Venezia Giulia n.  11 del 2013 ha stabilito misure per la «Tutela e valorizzazione del patrimonio storico-culturale della Prima guerra mondiale ed interventi per la promozione delle commemorazioni del centenario dell'inizio del conflitto»;
          questo provvedimento abroga le disposizioni previste dalla legge precedente (legge regionale n.  6 del 2012 ma salva, all'articolo 6, la figura e le funzioni degli «esperti specializzati in grande guerra», figura nata in ambito culturale e impiegata nel settore turistico pur non rispettando i requisiti previsti per alcuna professione turistica (legge regionale n.  2 del 2002, articoli 114-116);
          gli esperti attualmente operanti in Friuli Venezia Giulia, infatti, non hanno dovuto svolgere un esame di abilitazione e non sono state verificate le loro competenze linguistiche e attitudinali come richiesto per le guide turistiche e naturalistiche. Attualmente gli esperti possono esercitare la loro attività avendo conseguito la semplice attestazione di frequenza al corso di formazione professionale «sentieri di pace»;
          questi soggetti, inoltre, non sono previsti dalla legge 7 marzo 2001, n.  78 sulla «Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale» in un primo momento abrogata e successivamente riportata in vigore dal decreto legislativo 24 febbraio 2012, n.  20, sull'ordinamento militare (articolo 10, comma 8, lettera a), numero 4);
          sono numerose le criticità relative all'esercizio dell'attività degli attuali esperti che potrebbe configurarsi come esercizio abusivo della professione di guida turistica o naturalistica, in particolare qualora venga espletato in luoghi inseriti all'interno dell'elenco dei siti la cui divulgazione è riservata a guide abilitate;
          le novità recentemente introdotte dalla legge di assestamento per il 2014 di bilancio e del bilancio pluriennale per gli anni 2014-2016 della regione Friuli Venezia Giulia, approvata definitivamente il 25 luglio 2014, hanno complicato ulteriormente la questione;
          ai sensi del provvedimento sull'assestamento, infatti, è stato modificato il comma 3 dell'articolo 6 della legge regionale n.  11 del 2013, consentendo agli esperti di operare autonomamente sui siti della Grande guerra - individuati con – apposita deliberazione della Giunta regionale – mentre per gli altri luoghi possono svolgere la propria attività solo in affiancamento alle guide turistiche;
          secondo la formulazione precedente del comma 3, invece, «la guida turistica può avvalersi dell'attività di accompagnamento degli esperti di cui al comma 2 unicamente nei territori regionali su cui sono individuati i siti legati della Prima guerra mondiale»;
          a giudizio dell'interrogante questa modifica determina di fatto la creazione di una nuova professione in ambito turistico, anche se circoscritta a determinati siti, che potrebbe travalicare i limiti di competenze e attribuzioni riconosciuti dalla Costituzione tra Stato e regioni;
          durante il Consiglio dei ministri del 21 novembre 2013 sono state esaminate 16 leggi regionali e in quell'occasione – su proposta dell'allora Ministro per gli affari regionali e le autonomie Graziano Delrio – si è deliberata la non impugnativa per la legge regionale del Friuli Venezia Giulia n.  11 del 2013  –:
          quali siano i motivi che hanno indotto l'esecutivo a non impugnare la legge regionale summenzionata che presenterebbe numerosi profili di criticità e se s'intenda valutare con attenzione l'eventuale impugnativa della modifica introdotta dalla legge di assestamento del bilancio per il 2014 della regione Friuli Venezia Giulia. (5-03407)


      ROBERTA AGOSTINI e FABBRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
          le donne sono ormai protagoniste del governo del Paese ed è fondamentale la presenza femminile nei luoghi della rappresentanza e nei livelli decisionali locali;
          le recenti elezioni amministrative del 25 maggio 2014 e i relativi turni di ballottaggio hanno visto il rinnovo di numerose amministrazioni comunali e per la prima volta ha trovato applicazione quanto previsto dalla legge del 7 aprile 2014 n.  56 recante all'articolo 1, comma 137, un'importante norma per la garanzia dell'equilibrio di genere nella composizione delle giunte negli enti locali;
          secondo quanto previsto dalla legge, nelle giunte dei comuni con popolazione superiore ai 3000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento;
          da una prima ricognizione condotta, è positivo constatare che gran parte dei comuni ha ampiamente rispettato la nuova prescrizione normativa nella composizione equilibrata delle giunte, ma da quanto è possibile apprendere dai siti istituzionali dei comuni, sono ancora numericamente rilevanti i casi in cui non si è rispettata, a svantaggio delle donne, la proporzione del 40 per cento prevista dalla legge  –:
          se non ritengano urgente avviare un monitoraggio dell'applicazione dell'articolo 1, comma 137, della legge 56 del 2014 nei comuni con popolazione superiore ai 3000 abitanti che hanno rinnovato le giunte dopo le elezioni dello scorso maggio, per porre in essere eventuali iniziative nei confronti delle amministrazioni con giunte non in linea con la normativa vigente. (5-03408)

Interrogazione a risposta scritta:


      MANNINO, BARBANTI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 24 aprile n.  66 recante «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale» è stato convertito con modificazioni nella legge 23 giugno 2014 n.  89, in vigore dal 24 giugno 2014 (Gazzetta Ufficiale n.  143 del 23 giugno 2014);
          l'articolo 20, comma 1, della citata legge impone alle società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato, la realizzazione, nel biennio 2014-2015, di una riduzione dei costi operativi, nella misura non inferiore al 2,5 per cento nel 2014 ed al 4 per cento nel 2015;
          ancora l'articolo 20 dichiara soggetti all'obbligo di riduzione anche gli enti pubblici economici, ad esclusione di quelli emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati;
          il comma 5, invece, prevede che, nello stesso biennio, i compensi variabili degli amministratori delegati e dei dirigenti per i quali è contrattualmente prevista una componente variabile della retribuzione, siano collegati in misura non inferiore al 30 per cento ad obiettivi riguardanti l'ulteriore riduzione dei costi rispetto agli obiettivi di efficientamento minimi fissati dal decreto;
          uno tra i primi soggetti interessati dalle riduzioni dei costi operativi, imposti dal decreto, è il Gestore servizi energetici (GSE), società interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, che opera per la promozione dello sviluppo sostenibile e che ha annunciato il mancato rinnovo di 63 contratti di inserimento;
          tali contratti di inserimento corrispondono a giovani, tutti under 30, inseriti 18 mesi fa con la promessa di futura assunzione ed oggi rimpiazzati da stagisti cui lasciare le consegne e formare;
          il mancato rinnovo di tali contratti è avvenuto senza alcuna procedura di selezione meritocratica ma è stato un taglio discrezionale, basato esclusivamente sulla tipologia contrattuale;
          il bilancio GSE 2012, pubblicato e consultabile sul sito della società, dichiara che il valore della produzione tra il 2012 ed il 2011 è aumentato del 16 per cento;
          nello stesso bilancio compare anche una voce di spesa di ben 12 milioni di euro destinata a consulenze professionali, che molto spesso corrispondono ad ex dirigenti della stessa società in pensione che, in tal modo, continuano a percepire un'elevata remunerazione  –:
          la ratio che il nuovo decreto-legge n.  66 del 2014, intitolato misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale, associa al termine «riduzione costi operativi» di cui all'articolo 20, non può avere il significato esclusivo di riduzione del personale, come ritenuto dal management del Gestore servizi energetici;
          «riduzione dei costi operativi» non deve essere considerato un termine generico che può indurre ad una politica di tagli discrezionali ed indiscriminati, operata, oltretutto, da manager il cui compenso variabile è legato per il 30 per cento proprio al raggiungimento di quegli obiettivi di efficientamento;
          ad avviso degli interroganti non corrisponde ad una politica di «giustizia sociale» il mancato rinnovo dei contratti di inserimento a 63 giovani, altamente qualificati, a fronte di 12 milioni spesi in incarichi di consulenza ad ex dirigenti in pensione;
          in sede di conversione del citato decreto-legge era stato proposto, per evitare la situazione che si è poi verificata, un emendamento all'articolo 20, comma 7-bis, consultabile nel resoconto della seduta consultiva della Commissione Industria, commercio e turismo di martedì 10 giugno 2014 della Camera dei deputati il quale così disponeva: «in caso di incremento del valore della produzione almeno pari al 10 per cento rispetto all'anno 2013, le società partecipate dallo Stato possono realizzare gli obiettivi di risparmio con modalità alternative, purché tali da determinare un miglioramento del risultato operativo»  –:
          se non si ritenga opportuno fissare in maniera più dettagliata le modalità di riduzione dei costi;
          se non possano essere prese in considerazione anche misure alternative, purché tali da determinare un miglioramento del risultato operativo, dato che l'ultimo bilancio GSE attesta un aumento della produzione;
          se la previsione dell'esclusione dai tagli degli enti pubblici economici emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati corrisponda ad una ratio più economica che sociale;
          quali iniziative si intendano assumere per salvaguardare alte professionalità che svolgono attività in settori strategici come quello delle energie rinnovabili, e dello sviluppo sostenibile, di cui è principale promotore in Italia il GSE. (4-05764)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


      SPADONI, RIZZO, TOFALO, SCAGLIUSI e SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante ha presentato, il 4 marzo 2014, l'atto di sindacato ispettivo a risposta scritta n.  4-03793 al quale è giunta risposta il successivo 21 luglio;
          nell'interrogazione si chiedeva di conoscere l'esatta ripartizione delle voci di spesa afferente al capitolo 2001 (competenze fisse e accessorie al personale al netto dell'imposta regionale sulle attività produttive) della Tabella 6 della legge di bilancio 2014, ovvero quali mansioni il personale al punto 1 e 3 dello stesso rivestono nell'ambito della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (DGCS) e all'estero;
          i punti 1 e 3 del capitolo 2001 riguardano, rispettivamente, gli stipendi e gli assegni fissi al personale comprensivi degli oneri fiscali e contributivi a carico del lavoratore, e il compenso per il lavoro straordinario al personale anch'esso comprensivo degli oneri fiscali e contributivi a carico del lavoratore;
          tuttavia, il Ministero interrogato, nella citata risposta all'interrogazione in oggetto, ha fornito, a parere dell'interrogante, una risposta insufficiente, sostenendo che, con riferimento al menzionato capitolo di bilancio, questo riguarda gli stipendi per il personale di ruolo che presta servizio nella direzione generale della cooperazione allo sviluppo, senza però entrare nel dettaglio richiesto nel dispositivo dell'atto di sindacato ispettivo  –:
          a quali categorie (diplomatici, dirigenti e aree funzionali) appartiene il personale di cui al punto 1 e 3 del capitolo 2001 della Tabella 6 della legge di bilancio 2014, e quali mansioni ricopre nell'ambito della direzione generale della cooperazione allo sviluppo e all'estero. (4-05756)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


      VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 6 giugno 2014 il comitato tecnico di VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emesso il parere n.  1514, positivo con prescrizioni, per il progetto di perforazione di nuovi pozzi di coltivazione e adeguamento degli impianti esistenti per l'ottimizzazione del recupero di idrocarburi dal giacimento offshore «Rospo Mare» proposti dalla EDISON spa;
          la Edison, oltre ad avere la concessione di Rospo Mare, possiede anche il pozzo di produzione di gas Santo Stefano 9, lo stesso a cui sarà collegato Ombrina Mare 2 (e anche Rospo Mare) attraverso una condotta sottomarina;
          Rospo Mare, come Ombrina Mare, erano state bloccate dal decreto Prestigiacomo, tant’è che i pareri di VIA risultavano negativi;
          i decreti di rigetto delle istanze di Ombrina mare 2 e di Rospo Mare, conseguenti ai pareri negativi di VIA, non furono mai emanati;
          il Governo Monti, con il cosiddetto «Decreto Sviluppo» ha modificato l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, «Norme in materia ambientale», ed in particolare ha concretizzato la possibilità di riattivare le procedure concessorie delle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare bloccate dal Decreto Prestigiacomo;
          i Ministri Clini e Passera, così come l'attuale Ministro dello sviluppo economico e l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri, non hanno mai nascosto la volontà di trasformare i mari italiani, ed in particolare l'Adriatico, in distretto minerario di idrocarburi;
          le mega discariche abusive di Bussi, create dalla Edison, sono in attesa del completamento della messa in sicurezza e della bonifica;
          si registra una notevole celerità nel procedere alla conclusione delle procedure di autorizzazione di concessione di sfruttamento del territorio mentre non si rileva la stessa efficienza e velocità quando si tratta di bonificare un sito inquinato per riparare ai danni ambientali provocati da queste attività o di concludere con una risposta negativa un processo autorizzatorio  –:
          che relazioni ci siano tra le ultime concessioni per l'estrazione di idrocarburi offshore di Rospo Mare e il piano di bonifica per Bussi;
          quale sia lo stato della trattativa in corso per un piano di bonifica parziale, di cui si conosce l'esistenza ma non i contenuti, che prevede la creazione di una bonifica «legalizzata» nel sito di interesse nazionale di Bussi;
          se il Ministro non ritenga un vizio di forma la mancata ripubblicazione, come prevede la legislazione vigente, della richiesta di concessione e ampliamento progetto di perforazione di nuovi pozzi di coltivazione e adeguamento degli impianti esistenti per l'ottimizzazione del recupero di idrocarburi dal giacimento offshore di «Rospo Mare». (4-05760)


      MANTERO, SIMONE VALENTE, BATTELLI, GRILLO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, DI VITA, DALL'OSSO e CECCONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il sistema gestionale dei rifiuti in Liguria risulta ancora fortemente vincolato alla presenza di impianti di discarica, avviati nei decenni 70 e 80 e, nel corso del tempo, modificati tramite interventi di ampliamento e adeguamento anche strutturale rispetto al momento della realizzazione;
          la pianificazione regionale e provinciale si è posta da tempo l'obiettivo di trasformare il sistema verso forme gestionali in linea con le strategie di trattamento dei rifiuti fissate a livello comunitario;
          l'obiettivo di legge da raggiungere è l'incremento della raccolta differenziata, mentre nella realtà ligure la discarica è l'unica modalità di smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
          a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n.  36 del 2003, entro settembre dello stesso anno i titolari delle autorizzazioni degli impianti di discarica (o su loro delega i gestori delle discariche) dovevano presentare un piano di adeguamento delle discariche alle previsioni del decreto (incluse le garanzie finanziarie);
          la regione Liguria con la delibera di giunta regionale n.  1801 del 27 dicembre 2013 ha adottato la proposta del nuovo piano regionale di gestione dei rifiuti, come previsto dalla normativa nazionale di settore (decreto legislativo n.  152 del 2006) nonché a livello comunitario, nella direttiva Parlamento europeo e Consiglio UE 2008/98 Ce, recepita nel nostro ordinamento dal decreto legislativo n.  205 del 2010, che ribadisce, ed integra, la cosiddetta gerarchia dei metodi di trattamento dei rifiuti, normative che stabilivano i cosiddetti criteri di priorità nella gestione dei rifiuti: prevenzione o riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero, con un ruolo esclusivamente residuale per i sistemi di smaltimento in discarica, raggiungibili solo tramite una raccolta differenziata spinta;
          sul piano legislativo, la recente revisione della normativa regionale è orientata a valorizzare le attività di recupero dei rifiuti rispetto al conferimento in discarica, vincolando una parte rilevante del gettito, tramite la programmazione regionale, a supporto degli enti locali impegnati nella realizzazione di interventi organizzativi ed infrastrutturali per una gestione virtuosa dei rifiuti;
          in Italia, nonostante l'esistenza di un apposito quadro normativo, esiste ancora un grande numero di discariche abusive, senza alcuna autorizzazione, né controllo;
          l'esistenza e il funzionamento di queste discariche abusive o incontrollate dimostrano che le autorità italiane ne tollerano la presenza e che non hanno preso tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente;
          il piano rifiuti adottato dalla provincia di Imperia, in questi anni, non è stato conforme ad ottenere le percentuali di differenziata imposte dalle regole europee, a causa della decisione di utilizzare la raccolta differenziata di prossimità e non il metodo del «porta a porta spinto» previsto dal concordato nella convenzione col comune di Taggia e ancor più perché vi sono anche fondi regionali che dal 2008 stanziano risorse per il finanziamento dei sistemi porta a porta dei comuni sulla base di progetti redatti da enti locali e segnalati dalle province, fondi che però non sono stati utilizzati dagli enti locali per far diminuire il quantitativo di rifiuto portato in discarica e scongiurare la costruzione di un nuovo lotto denominato «lotto 6 di Collette Ozotto» (discarica provinciale) non condiviso dai gruppi ambientalisti e dai residenti della zona;
          la provincia ha preferito perseguire il suo obiettivo, costruire una discarica a cielo aperto sopra un crinale di una collina, piuttosto che accelerare la costruzione di un centro di raccolta della differenziata;
          il nuovo lotto 6 presenta alcune criticità evidenziate in due ricorsi al TAR da parte degli abitanti della zona:
              la provincia dichiara che la zona non è soggetta a vincolo idrogeologico – mentre si rileva che si sono verificate numerose frane nei terreni adiacenti le discariche lotto 5 e lotto 6, e che nella zona insiste invece il vincolo idrogeologico;
              la provincia dichiara che non ci sono aziende agricole DOP nella zona – adiacente la futura discarica (Lotto 6) vi è una azienda agricola DOP produttori di olio di oliva extra vergine, il cui sito dista solamente 180 metri dalle colture di produzione;
              la provincia dichiara non esserci zone carsiche nei dintorni – mentre a soli 80 metri lineari c’è una grotta carsica censita dal CAI con due splendidi laghi sotterranei, ed una sorgente d'acqua;
              la provincia dichiara che non vi sono costruzioni artistiche nei dintorni – mentre a poche centinaia di metri lineari dal sito c’è la chiesetta di Sant'Anna agli Ulivi, censita al ministero dei beni culturali e catalogata come «Notevole esempio di Cappella tardo barocca (sec. XVIII)»;
          in data 24 gennaio 2014 è stato presentato un esposto del MoVimento 5 Stelle Sanremo per la grandissima ed allarmante preoccupazione dei cittadini relativi alle notizie apparse sui giornali «dell'emergenza percolato nella discarica dei rifiuti Idroedil di Collette Ozotto» dai quali si apprendeva che i comuni di Sanremo e di Taggia autorizzavano, per una settimana, attraverso le loro ordinanze, a scaricare percolato nel depuratore comunale attraverso la rete fognaria;
          negli stessi giorni è stato revocata l'ordinanza da parte del comune di Taggia alla Idroedil per lo sversamento, poiché erano stati rilevati valori molto alti nei prelievi, anche se la suddetta Idroedil ha dichiarato che gli sversamenti erano già terminati prima della revoca dell'autorizzazione; e dunque un'ulteriore motivo preoccupazione;
          già in data 3 aprile 2013, era stato presentato un altro esposto, dal gruppo Sanremo Beppe Grillo Meetup, alla procura della Repubblica di Sanremo, nel quale veniva messo in rilievo la grande preoccupazione per l'intenzione manifestata dalla provincia di creare una nuova discarica provinciale (lotto 6), evidenziando come tale decisione avrebbe potuto comportare ulteriori rischi alla salute degli abitanti, vittime di gravi patologie, devastazione a livello ambientale, ed un innegabile ripercussione negativa sul turismo della città;
          la stessa provincia, vuol dare inizio ai lavori del lotto 6, inoltre, senza aspettare i risultati dell'indagine epidemiologica zonale, il cui obiettivo è trovare un rapporto tra la zona della discarica e l'aumento dei tumori, richiesta dalla provincia di Imperia all'ASL, a seguito delle molte pressioni pervenute dalle associazioni, in considerazione della denuncia a mezzo stampa fatta dal direttore ASL n.  1 sull'aumento dei tumori in provincia;
          il 27 luglio 2014 a seguito delle indagini avviate ed attualmente in corso, il questore Pasquale Zazzaro ha bloccato i lavori di realizzazione del «Lotto 6» della discarica di Collette Ozotto, sospendendo «il rilascio dell'autorizzazione all'uso degli esplosivi», al fine di evitare la modificazione irreversibile dei luoghi di accertamento che l'avvio dei lavori determinerebbe;
          di conseguenza, come riportato da articoli di stampa, (La Stampa del 27 luglio 2014 articolo di A. Pomati), la Provincia ha immediatamente sospeso l'iter per la concessione dell'autorizzazione ambientale integrata (AIA);
          in una circolare, resa nota il 6 agosto 2013, indirizzata a tutte le regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, in linea con le indicazioni interpretative della Commissione europea del 13 giugno scorso, l'ex Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Andrea Orlando, ha chiarito quali sono le attività di trattamento alle quali devono essere sottoposti i rifiuti urbani per poter essere ammessi e smaltiti in discarica, superando di fatto la circolare emanata «pro tempore» dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 30 giugno 2009;
          per evitare il rischio di esporre l'Italia a nuove procedure europee di infrazione il Ministro Orlando aveva deciso di intervenire invitando le regioni e le province autonome ad osservare con urgenza le nuove disposizioni adottando ogni ulteriore iniziativa necessaria in termini di attuazione della pianificazione, stabilendo che seppur con tutte le sue delicate implicazioni, la chiusura virtuosa del ciclo dello smaltimento dei rifiuti rappresenta un obiettivo imprescindibile per il futuro del nostro Paese;
          entro il 2015 come stabilito dall'articolo 181, comma 1, del decreto legislativo n.  152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, si leggeva nella disposizione del ministro, deve essere garantita almeno la raccolta differenziata per la carta, metalli, plastica e vetro, e ove possibile per il legno, al fine di conseguire gli obiettivi comunitari entro il 2020  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto espresso in premessa, e non ritenga opportuno intervenire con iniziative straordinarie e urgenti per giungere, il più rapidamente possibile, alla rimozione di tutte le situazioni giuridiche e/o di fatto esistenti in considerazione del fatto che il permanere delle stesse situazioni potrebbe portare all'apertura di una procedura d'infrazione da parte della Commissione Europea, come già successo per 102 discariche sul territorio italiano;
          quali azioni intendano adottare affinché si dia piena attuazione alla normativa in materia di trattamento di rifiuti e di gestione delle discariche, con l'obiettivo di fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti ed evitare le gravi e documentate minacce alla salute dei cittadini e alla qualità dell'ambiente a causa delle discariche di rifiuti non conforme, prive del prescritto piano di riassetto;
          se nel documento contenente una valutazione sintetica dell'adempimento, da parte dello Stato membro, delle condizionalità ex ante fissate, sia stato fornito un quadro delle azioni da adottare, degli organismi responsabili e delle tempistiche di attuazione di tali azioni, conformemente a quanto stabilito nell'articolo 19 del citato Regolamento (UE) n.  1303/2013. (4-05766)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
          con sentenza n.  07777/2014 sul ricorso n.  04763/2012 il TAR del LAZIO riconosce di fatto la possibilità di ammalarsi nei poligoni esattamente come in teatro operativo e riconosce l'amministrazione militare colpevole condannandola a risarcire il militare ricorrente, e riconoscendo allo stesso la condizione di vittima del servizio svolto;
          la sentenza rappresenta un precedente storico di grande rilevanza, che consegna l'onere della prova all'amministrazione militare, invertendo l'orientamento fin qui acquisito che attribuiva alla persona colpita da malattia l'onere di dover dimostrare la correlazione con la causa di servizio e l'ambiente di lavoro;
          la documentazione prodotta dall'avvocato Angelo Fiore Tartaglia, legale del Centro Studi osservatorio militare difensore del ricorrente G.T., oltre a dimostrare la diretta connessione tra malattia ed esposizione alle polveri sottili prodotte dalle esplosioni rileva che le altre teorie addotte in sede processuale non trovano riscontro nella letteratura medica;
          la sentenza rappresenta un caposaldo giuridico con il quale si dovranno confrontare i vertici della difesa al fine di dare giustizia agli oltre 3600 malati ed alle 308 famiglie che hanno perso un loro congiunto a causa dell'inquinamento bellico;
          la medesima indica una serie di problematiche di primaria rilevanza circa la salubrità dell'ambiente di lavoro dei militari e del dipendenti civili della difesa, l'impatto sanitario ed ambientale delle attività militari, i rischi per la salute delle popolazioni locali;
          in Sardegna insiste la quota parte più ampia di servitù militari, tra cui i 3 poligoni più grandi d'Europa, spesso oggetto di polemiche e indagini relative all'impatto ambientale causato dalla presenza militare;
          i poligoni di Capo Teulada e Quirra sono oggi oggetto di indagini e inchieste della magistratura, in particolar modo relativamente all'ipotesi di reato di disastro ambientare a danno dei territori e delle popolazioni locali;
          numerosi militari e civili che hanno prestato servizio nelle aree militari hanno contratto malattie, fra le quali alcune forme tumorali, ma esse non sono mai state riconosciute come malattie correlate al lavoro svolto  –:
          quali azioni intenda intraprendere alla luce di quanto esposto in premessa;
          se non ritenga, alla luce della sentenza sopra citata, di dover procedere ad una seria analisi del tema che abbia come obiettivo l'accertamento dei casi in cui è evidente la correlazione tra malattia e lavoro.
(2-00649) «Piras, Scotto».

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CIRACÌ, MARTI e PALESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1-quinquies del decreto-legge 31 gennaio 2005, n.7, convertito con modificazioni dalla legge 31 maggio 2005, n.  43, ha disposto, a decorrere dall'anno accademico 2005-2006, la statizzazione e l'accorpamento dell'Istituto musicale parificato, gestito dal comune di Ceglie Messapica, al conservatorio statale di musica «Tito Schipa» di Lecce, in qualità di sezione staccata, assumendo l'ordinamento previsto per i conservatori di musica ed il relativo funzionamento nelle forme e nei modi prescritti per le predette istituzioni;
          a tal fine, con l'apposita convenzione stipulata il 7 marzo 2006, tra il Ministero interrogato ed il comune di Ceglie Messapica, sono state stabilite le modalità e i termini del suindicato accorpamento, anche con riferimento alla proprietà dello stabile, al personale docente e quello tecnico-amministrativo attualmente in servizio, per il cui funzionamento, ivi compresi gli oneri per il trattamento economico è attribuito lo stanziamento di 141 mila euro a decorrere dall'anno 2005, come disposto dal comma 2 del suindicato articolo 1-quinquies;
          vista l'inerzia da parte dei Ministri interrogati, lo scorso 22 aprile 2014, il Conservatorio di musica ai sensi dell'articolo 7, commi 6 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2013 e dell'articolo 22, comma 1 lettera d), e 2 dello statuto, ha trasmesso al Ministero interrogato, per l'approvazione interministeriale, la delibera con la quale il consiglio di amministrazione nella seduta del 20 marzo 2014, ha rideterminato la pianta organica del conservatorio di musica «Tito Schipa» di Lecce, relativamente alla sezione staccata di Ceglie Messapica;
          la medesima delibera ha previsto fra l'altro, una rideterminazione del numero del personale, visto che la sede del conservatorio è dotata attualmente di un solo impiegato amministrativo posto a carico del comune, determinando criticità in ordine alla tutela degli standard minimi sulla sicurezza che richiedono infatti la presenza di almeno due soggetti preposti alla salvaguardia della struttura artistica;
          l'interrogante evidenzia inoltre come, nonostante le disposizioni finanziarie indicate dal suesposto comma 2 dell'articolo 1-quinquies, avessero previsto il contributo ministeriale annuale per il funzionamento, ivi compresi gli oneri per il trattamento economico del personale docente, (inizialmente stabilito come suesposto in 141 mila euro e progressivamente ridottosi nel corso degli anni, fino ad una quantificazione nell'anno 2013 in circa 95 mila euro), il comune di Ceglie Messapica nel corso degli ultimi anni si è fatto carico degli oneri previsti per la retribuzione del medesimo personale docente, impegnando sul proprio bilancio, consistenti cifre;
          le diverse sollecitazioni rivolte al Ministero interrogato, da parte dell'amministrazione comunale brindisina, finalizzate alla richiesta di delucidazioni sia, delle previste dotazioni finanziarie sia, ai sensi dell'articolo 1-quinquies, del decreto-legge 31 gennaio 2005, n.  7, sarebbero dovute essere poste a carico del bilancio dello Stato, che della determinazione in ordine alla rideterminazione della pianta organica del conservatorio di musica «Tito Schipa», non sono mai state oggetto di risposta o indicazioni da parte dei ministeri interrogati;
          l'interrogante evidenzia, in considerazione del quadro complessivo suesposto, come siano indispensabili nel rispetto della disciplina normativa che ha previsto l'accorpamento in qualità di sezione staccata, dell'istituto musicale pareggiato di Ceglie Messapica, al conservatorio di musica di Lecce, ed il relativo funzionamento previsto dalla citata convenzione, una serie di precisazioni in grado di determinare maggiore coerenza, in ordine all'esatta correlazione delle disposizioni in precedenza riportate  –:
          quali orientamenti, intendano esprimere nell'ambito delle rispettive competenze;
          quali siano le ragioni per le quali, nonostante l'articolo 1-quinquies del decreto-legge 31 gennaio 2005, n.  7, convertito con modificazioni dalla legge 31 maggio 2005, n.  43, abbia autorizzato la spesa per il funzionamento del conservatorio statale di musica «Tito Schipa» di Lecce, nell'ambito dell'unità previsionale di base prevista dai rispettivi bilanci dei Ministeri dell'economia e delle finanze e dell'istruzione, dell'università e della ricerca il comune di Ceglie Messapica, da diversi anni, si accolla gli oneri finanziari per la prosecuzione delle attività artistiche, indispensabili per garantire l'ordinario funzionamento;
          quali siano altresì le cause per le quali, alla data della delibera n.  4 con la quale in consiglio di amministrazione del conservatorio nella seduta del 20 marzo 2014, ha rideterminato la pianta organica relativamente alla sezione staccata di Ceglie Messapica, i Ministeri dell'economia e delle finanze e dell'istruzione, dell'università e della ricerca non hanno mai comunicato, alla medesima istituzione artistica, alcuna determinazione in ordine alla rideterminazione della pianta organica;
          quali siano inoltre le motivazioni per le quali sono stati impediti fino ad oggi, l'approvazione della pianta organica e l'effettivo inquadramento del personale docente e tecnico, nonostante la firma della citata convenzione del 7 marzo 2006 ed evidenziata in premessa;
          se non ritengano infine opportuno prevedere, per quanto di propria competenza, iniziative volte a ristabilire maggiore chiarezza nell'ambito dell'attribuzione dei fondi a favore del conservatorio musicale, in considerazione del fatto che, così come esposto in premessa, gli oneri finanziari da diversi anni sono a carico dell'amministrazione comunale a differenza di quanto invece stabilito dalla vigente disciplina. (5-03405)


      CASTELLI, CURRÒ, D'INCÀ, CARIELLO, CASO, BRUGNEROTTO, SORIAL e COLONNESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          da fonti giornalistiche è emerso che l'Eurostat ha reso noto che nel primo trimestre del 2014 il rapporto tra debito e PIL italiano si è attestato al 135,6 per cento, rispetto al 132,6 per cento di inizio anno e al 130,2 per cento di fine marzo 2013, precisando che nella zona euro solo il rapporto debito/PIL della Grecia (174,1 per cento) è superiore a quello dell'Italia;
          dal supplemento dell'ultimo bollettino della Banca d'Italia, si apprende che il debito pubblico italiano è aumentato dall'inizio dell'anno di 96 miliardi, quindi di un ulteriore 4,7 per cento;
          nel mese di maggio è aumentato di ben 20 miliardi e si è attestato ad un ammontare record di 2.166 miliardi di euro;
          dalla recente approvazione mediante risoluzione del Documento di economia e finanze (DEF) 2014, avvenuta nel mese di aprile 2014, in pochissimi mesi le previsioni di importanti indicatori economico-finanziari si sono attestate su trend negativi, mettendo a rischio le previsioni per il 2014 e di conseguenza per gli anni immediatamente successivi;
          infatti, per il 2014 per il PIL è prevista una crescita nella misura dello 0,8 per cento, ma in questi giorni il FMI ha rivisto a ribasso la previsione, attestando la potenziale crescita allo 0,3 per cento, ben 0,3 per cento punti in meno rispetto alle stime di aprile;
          il rapporto debito/PIL per il 2014 previsto nel DEF è pari a 134,9 per cento ma già abbiamo raggiunto il 135,6 per cento ed è difficile credere ad un recupero nell'ultimo semestre a fronte di una ridotta previsione del tasso di crescita della nostra economia;
          attualmente, rispetto alle previsioni del DEF 2014, a distanza di soli tre mesi, i saldi di finanza pubblica potrebbero peggiorare di circa 5 miliardi di minore crescita del PIL e di 0,7 per cento di maggiore debito pubblico da ridurre, pari a circa 14 miliardi, quindi si presuppone la necessità di una correzione non inferiore a 20 miliardi per il 2014;
          da recenti fonti giornalistiche si apprende che il Ministro dell'economia e delle finanze, nonché il Presidente del Consiglio dei ministri, hanno escluso l'adozione di una manovra correttiva, anzi il premier Renzi ha confermato anche per l'anno 2015 la misura di riduzione dei cuneo fiscale sui redditi di lavoro dipendente, che, a regime, rappresentano un onere annuo di circa 15 miliardi;
          nel DEF 2014 il Governo ha deciso di rinviare il pareggio di bilancio previsto per il 2015 al 2016, ma la Commissione europea, ad inizio giugno, in sede di valutazione del programma nazionale di riforma e del programma di stabilità dell'Italia, ha ritenuto di non concedere la deroga a discostarsi dall'obiettivo di medio termine (MTO) e in sede di Ecofin dell'8 luglio scorso, sono state confermate le raccomandazioni per l'Italia, già adottate dal Consiglio dell'Unione europea;
          l'andamento del rapporto debito/PIL permane elevato e assolutamente distante dall'obiettivo finale del 60 per cento del PIL e il suddetto andamento include i proventi delle dimissioni di partecipazioni, che, secondo il programma del Governo, contribuiranno alla riduzione del debito per 0,7 punti percentuali del PIL per ciascuno degli anni del triennio 2014-2017, ma ad oggi il piano di dismissioni sembra subire ritardi e si rischia, per accelerarne gli effetti sul debito, di «svendere» importanti partecipazioni dello Stato con perdita di redditività;
          inoltre il Documento di economia e finanza non contiene il quadro tendenziale di riduzione del debito fino al periodo di raggiungimento del richiesto livello del 60 per cento del PIL;
          il trend di riduzione del debito pubblico nel Documento di economia e finanza 2014 si basa sul presupposto di un avanzo primario più elevato e soprattutto sulla crescita del PIL nominale, quindi la leggera diminuzione del debito nel 2015 risulta già compromessa con il peggioramento dei principali indicatori economici, come suesposto, in mancanza di interventi correttivi;
          la crescita del PIL nel DEF si fonda sulle riforme strutturali del Paese, sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese, sulla graduale ripresa del commercio mondiale e sui rafforzamento della crescita delle economie avanzate e emergenti, e, a tal proposito, si rileva la stessa preoccupazione del Ministro dell'economia e delle finanze per la debolezza della ripresa economica e per i recenti dati macroeconomici deludenti che arrivano dalla Germania, manifestata a Bruxelles, in occasione della presentazione al Parlamento europeo il programma di presidenza italiana della Unione Europea;
          ad oggi, una delle riforme più importanti, la riforma del sistema fiscale, ancora è in itinere, quindi non contribuirà con effetti positivi e di attrazione degli investimenti esteri nel breve periodo, né nel 2015;
          altro fattore di rilancio dell'economia, i pagamenti alle imprese, sono stati realizzati nella misura di 26,1 miliardi, a fronte di attese ben superiori per fornire liquidità alle imprese e contribuire alla crescita del PIL;
          per quanto concerne la tenuta dei saldi di finanza pubblica, nei tendenziali è scontato l'apporto della «spending review» per 4,5 miliardi nel 2014, 17 miliardi nel 2015 e 32 miliardi a decorrere dai 2016, ma ad oggi non sono ancora disponibili i documenti di base su cui saranno formulate le proposte dal Commissario Cottarelli per valutare la fattibilità ed i tempi di realizzazione della medesima;
          peraltro, i 17 miliardi di riduzione nel 2015 sarebbero quasi integralmente assorbiti dalla messa a regime delle misure in materia di cuneo fiscale;
          entro il 6 agosto l'Istat produrrà una stima flash sul PIL, importante per capire il trend della crescita e valutare se le misure fino ad oggi adottate dal Governo, in particolare gli 80 euro mensili di cuneo fiscale, siano in grado di stimolare la crescita;
          si rileva che le prospettive di crescita sono strettamente collegate agli effetti delle riforme strutturali, che, come affermato dal Ministro Padoan, esordiscono i loro effetti non prima di tre anni;
          pertanto, sono più che probabili prospettive inferiori di crescita, che dovranno essere responsabilmente valutate in sede di Nota di aggiornamento ai DEF 2014, mentre il Governo conferma la volontà di estendere il «bonus fiscale» a pensionati e partite IVA;
          anche i risultati delle analisi del mese di luglio del Centro Studi Confindustria (CSC) confermano un trend di crescita, come riportato: «[...] Il buco nero della crescita mondiale è rappresentato dall'Eurozona, dove i divari nelle performance sono sempre meno sostenibili e la lista dei Paesi che stentano a ritrovare il rilancio va ben oltre i soliti noti. [...] L'Italia era in crisi prima della crisi e continua ad esserlo. Gli ultimi dati confermano le stime CSC di dinamica piatta del PIL nel 2014 [...]  –:
          quali strategie alternative alle «escluse» manovre di ulteriori tagli di spese o maggiori entrate il Governo ritiene di poter adottare in emergenza nell'ipotesi di mantenimento del trend economico di crescita debole e degli scostamenti degli indicatori economici tali da pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi in termini strutturali, sia di pareggio di bilancio che di riduzione del debito pubblico, previsti nel DEF 2014, quali obiettivi, essendo al netto dell'andamento del ciclo economico, sono certamente a rischio, permanendo un trend di crescita inferiore sia dell'economia italiana che dell'economia dei Paesi membri dell'Unione Europea. (5-03410)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      DE ROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          durante gli scavi nel cantiere per il nuovo tracciato della Rho-Monza sono stati rinvenuti dei reperti romani che proverebbero l'esistenza di un insediamento di epoca romana o pre-romana;
          sono stati trovati, in particolare, dei lacerti di una strada romana già, in parte intaccati da precedenti scavi, canali agrari e fossi di scarico nei quali la Soprintendenza ai beni archeologici ha rinvenuto frammenti di ceramiche ed altri reperti;
          secondo la Soprintendenza tali reperti potrebbero rappresentare un importante testimonianza di un «castrum», cioè un insediamento militare lungo un percorso consolidato durante gli spostamenti delle legioni romane;
          a Bollate, inoltre, secondo quanto riportato dalla stampa locale, agli inizi del ’900, fu rinvenuta anche una villa augustea, i resti trovati fra Via Piave e Via Don Uboldi potrebbero quindi persino far parte di una necropoli;
          alla luce di tale scoperta, tutta la zona di Baranzate, Bollate e Novate potrebbe assumere quindi una importanza rilevante ai fini storici che non si vorrebbe venisse sottovalutata;
          questi ritrovamenti e la loro giusta valorizzazione potrebbero rappresentare, infatti, un volano per lo sviluppo dell'area non solamente legato ad Expo 2015 ma soprattutto legato alla sua storia;
          è stato espresso, da parte dei cittadini, il dubbio che, per la fretta del completamento dei lavori dell'autostrada, collegata ad Expo 2015, la valorizzazione di tali ritrovamenti venga sottovalutata e non adeguatamente tutelata  –:
          se il Governo non ritenga opportuno verificare che l'urgenza del completamento dei lavori per l'asse autostradale Rho-Monza non abbia influito sulla corretta messa in atto delle misure necessarie alla tutela ed alla valorizzazione dei resti romani rinvenuti;
          se il Governo non reputi opportuno valutare l'eventuale fermo dei lavori per poter approfondire le ricerche. (5-03403)

Interrogazione a risposta scritta:


      CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          con interrogazione n.  5-00852, cui è seguita risposta, e n.  5-01360, ancora in corso, l'interrogante ha posto all'attenzione del Governo alcune possibili irregolarità dei sistemi Sicve-Tutor-Vergilius, astrattamente idonee a configurare un rilevante danno erariale;
          la – parziale – risposta del Governo ai menzionati atti di sindacato ispettivo rende comunque opportuno, a titolo precauzionale, la conoscenza di alcuni dati relativi ai sistemi di cui sopra  –:
          quale sia il contenuto del contratto o atto di concessione per l'utilizzo dei sistemi Sicve-Tutor-Vergilius;
          quale sia il numero di verbali emessi ed importi delle sanzioni per anno;
          quale sia il numero di verbali ed importi connessi alla mandata indicazione del conducente per anno;
          quali importi siano stati retrocessi per costi sostenuti da Autostrade per l'Italia spa o Autostrade Tech spa per la gestione, manutenzione o altro, per anno;
          quale sia il numero di portali, ed installazioni del sistema Sicve e quale sia la loro ubicazione; (4-05761)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      TURCO, BECHIS, MICILLO, CARIELLO e BENEDETTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          è cronaca recente che al 30 giugno 2014 si sia consumata una nuova tragedia dell'immigrazione nel canale di Sicilia, dove sono stati trovati morti trenta migranti su una «carretta del mare»;
          questo grosso peschereccio che è stato soccorso dalla fregata «Grecale» della marina militare sono stati ritrovati i corpi senza vita di una trentina di migranti, deceduti probabilmente dalle esalazioni tossiche del motore, o per asfissia;
          il natante al momento del soccorso era estremamente sovraccarico, circa 600 persone, infatti, erano accalcate sullo scafo; dapprima sono stati estratti due cadaveri sottocoperta, ma non è stato possibile recuperare immediatamente tutti gli altri corpi, a causa dell'impraticabilità dei locali;
          imbarcati i superstiti, perciò, la «Grecale» ha rimorchiato il barcone verso il porto di Pozzallo (Ragusa) ove sono estratti i 30 corpi dei migranti;
          intanto l'Europa fa sapere che non è disponibile a versare fondi extra a sostegno l'operazione mare nostrum;
          apparirebbe come se l'Unione europea stia cercando il modo di «contribuire maggiormente» dal punto di vista finanziario, ma «nell'ambito delle risorse esistenti», per «aiutare l'Italia nei suoi sforzi di gestione della pressione crescente di migranti e richiedenti asilo», sosteneva il commissario agli affari interni Cecilia Malmstrom;
          l'Europa, pertanto, lascia intendere che non è disponibile a versare fondi extra a sostegno l'operazione mare nostrum, i cui costi perciò resteranno quasi completamente a carico dello Stato italiano;
          la missione mare nostrum che impegna la nostra marina militare in continui salvataggi, negli ultimi sei mesi, ha soccorso più migranti di quanti non ne sbarcarono nel 2011, l'anno storico delle primavere arabe;
          l'operazione costringe, tuttavia, l'Italia a spese straordinarie ed insostenibili;
          rispetto alle previsioni, infatti, il nostro Paese ha pagato oltre 800 milioni di euro in più, a causa dell'eccezionale afflusso di migranti sulle coste italiane. La spesa si attesta quindi a circa 9,3 milioni di euro al mese, e se le previsioni del Ministero dell'Interno che quantifica in 100.000 migranti l'afflusso per il 2014 sono corrette;

l'afflusso extra di migranti, per il 2014, potrebbe costare alle casse nazionali la spesa non preventivata di circa un miliardo di euro;
          gli obbiettivi dell'operazione «mare nostrum» sono due: garantire la salvaguardia della vita in mare e assicurare alla giustizia tutti coloro i quali lucrano sul traffico illegale di migranti;
          sebbene sopravvengano ormai troppo spesso decessi sulle imbarcazioni dei migranti, estremamente sovraccariche, che attraversano il canale di Sicilia, per quanto riguarda il primo obbiettivo, cioè garantire la salvaguardia delle vite dei migranti, sembra che l'Italia stia sopportando grandi sforzi, con uomini e mezzi, dall'ingente impatto economico;
          al contrario, appare, invece, che il secondo obbiettivo non registri risultati particolarmente incoraggianti;
          la cronaca infatti, evidenzia molto raramente l'individuazione e l'arresto di qualche «scafista», probabilmente delegato ad un ruolo marginale nell'organizzazione che cura il sistematico trasporto di migranti verso le coste italiane e, sinora, non si rammenta se sia stata data alcuna notizia dell'eradicazione completa di una delle organizzazioni criminali dedite alla pianificazione ed attuazione della sistematica immigrazione illegale verso Italia, per mezzo d'imbarcazioni di fortuna nel canale di Sicilia;
          il meccanismo utilizzato da tali organizzazioni illegali sembra, ormai, essersi consolidato: si caricano i migranti sui motoscafi sulle coste nordafricane per poi dirigerli verso l'Italia. Raggiunte le acque internazionali, ma prima di raggiungere le acque territoriali italiane, a largo della Sicilia, le imbarcazioni, ed i migranti su di esse, vengono lasciate al loro destino dagli scafisti delle organizzazioni criminali, i quali, invece, fanno ritorno sulle coste nordafricane a bordo di affidabili e velocissimi natanti. Qui interviene la missione mare nostrum, per soccorrere imbarcazioni alla deriva senza più guida;
          apparirebbe quindi che la missione mare nostrum, giustamente impegnata nel soccorso e salvataggio dei migranti alla deriva su imbarcazioni di fortuna, poco si curi, invece, di cercare d'individuare, intercettare ed assicurare alla giustizia i componenti delle organizzazioni criminali che, senza entrare mai nelle acque territoriali italiane, abbandonano i migranti in alto mare al loro incerto destino e fanno rapido ritorno alle proprie basi sulla costa nord-africana per instradare verso l'Italia le successive imbarcazioni;
          in data 21 luglio sono stati accolti 1771 migranti su quattro navi della marina militare italiana: la corvetta Sfinge ha soccorso un gommone con a bordo 95 migranti; la nave anfibia San Giorgio ha soccorso due imbarcazioni con a bordo 276 profughi tra cui 33 donne e 5 minori: due dei migranti sono stati trasportati con un elicottero EH 101 verso l'ospedale di Catania. La fregata Zeffiro ha soccorso tre gommoni imbarcando in totale 294 migranti tra cui 28 donne e 9 minori; altri 98 migranti, di cui 28 donne, sono stati assistiti dalla corvetta Urania. Un'altra imbarcazione di fortuna è stata intercettata dall'azione coordinata della fregata Zeffiro con la corvetta Urania ed un elicottero EH 101 decollato da Lampedusa. A prestare soccorsi al gommone semiaffondato è intervenuta anche la nave mercantile Genmar Compatriot (Bermuda). È stato segnalato che tra gli imbarcati, oltre a 61 migranti, sono stati contati anche 5 corpi senza vita  –:
          se e quali azioni siano già state poste in essere per assicurare alla giustizia gli appartenenti alle organizzazioni criminali che consentono il traffico illegale di migranti;
          se e quali azioni concrete intenda realizzare per rafforzare le operazioni d'individuazione e arresto dei componenti delle organizzazioni criminali che fanno rientro sulle coste nordafricane una volta che le imbarcazioni di migranti sono state abbandonate, senza guida, in prossimità delle acque territoriali italiane del canale di Sicilia;
          se sia in grado di fornire dati aggiornati, relativi sia alle imbarcazioni intercettate in acque internazionali che trasportassero membri di organizzazioni criminali dedite a favorire l'immigrazione illegale in Italia sia al numero di persone nei confronti delle quali siano stati radicati procedimenti penali inerenti l'immigrazione illegale che si attua via mare nel canale di Sicilia;

- se e quali misure intenda adottare con riferimento al soccorso a terra e se ritenga che le condizioni d'accoglienza, igienico-sanitarie ed ambientali, approntate a terra possano essere considerate adeguate, in relazione alla portata dei descritti fenomeni migratori verso l'Italia. (5-03397)


      DA VILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il comune di Venezia è autorizzato all'esercizio del gioco d'azzardo, in deroga ai divieti imposti dalle vigenti leggi penali, in forza del decreto del Ministero dell'interno, emanato il 30 luglio 1936, così come dei successivi decreti autorizzatori che, di volta in volta, hanno individuato le sedi idonee allo scopo;
          l'autorizzazione ministeriale risulta adottata in virtù del regio decreto-legge del 16 luglio 1936, n.  1404, convertito nella legge il 14 gennaio 1937, n.  62, che ha esteso al comune di Venezia le disposizioni del regio decreto-legge del 22 dicembre 1927, n.  2448, convertito nella legge 27 dicembre 1928, n.  3125, già recante analoghe disposizioni in favore del comune di San Remo;
          il regime derogatorio si giustifica, secondo il regio decreto-legge, in virtù della sussistenza di numerose ragioni (incremento turistico e di valuta estera, disincentivazione del flusso dei cittadini verso case da gioco nei Paesi di confine, sostegno dell'economia locale e regionale);
          la normativa antiriciclaggio e sulla «tracciabilità» dei pagamenti (decreto legislativo 21 novembre 2007 n.  231 e successive modificazioni) prevede, tra le altre cose, il divieto di trasferire somme in contanti oltre i 2.500 euro (dal 1o gennaio 2012 l'importo è ridotto a 1.000 euro) con l'obbligo conseguente dell'utilizzo di soli strumenti di pagamento attraverso i quali sia certa l'identificazione dei soggetti coinvolti nella transazione (assegni, bonifici, vaglia, moneta elettronica);
          la normativa succitata si applica, naturalmente, anche ai trasferimenti di denaro effettuati all'interno delle quattro case da gioco italiane (soldi vs fiches e viceversa);
          nel giornale locale La Nuova di Venezia, del 29 luglio 2014, v'era un articolo dal titolo «Casinò, 20 milioni di crediti verso clienti Vip» nel quale si raccontava, in particolare, la denuncia, da parte del sindacato USB, di alcuni spiacevoli fatti riguardanti la casa da gioco lagunare. Essa sarebbe frequentata spesso, stando all'articolo, da alcuni politici nazionali che giocherebbero «...utilizzando non la propria ma la carta di credito di altri per cambiare le fiches che si fanno poi pagare in contanti in caso di vincita, dalla Casa da Gioco anche se, quando essa è di un importo elevato dovrebbe essere erogata con bonifico o assegno». L'articolo prosegue poi affermando che il direttore generale della società gestrice, Vittorio Ravà, avrebbe risposto con un «no comment» alle domande del giornalista;
          poco più di un mese fa, la Casa da gioco veneziana è salita agli onori della cronaca per un altro caso similare: la procura dell'Aquila ha arrestato, per estorsione, l'imprenditore edile Alfonso di Tella, vicino al clan dei Casalesi. Ebbene, nella documentazione raccolta dalle Fiamme Gialle, si evince che l'arrestato, insieme ad altri membri di spicco del clan, fosse un assiduo frequentatore del casinò veneziano e che lì riuscisse a «lavare» denaro sporco tramite operazioni di cambio in palese violazione della normativa sopra ricordata;
          l'informativa della Guardia di finanza (La Repubblica, 26 giugno 2014) mostra come il clan sia riuscito a spendere oltre 13 milioni di euro, con almeno trecento ingressi a persona. E poi ancora si legge: «Di Tella intascava un'ingente quantitativo di denaro liquido e, per far questo, non poteva non godere della compiacenza dei responsabili della casa da gioco...»;
          il comune di Venezia è dotato di uno specifico servizio ispettivo comunale per il controllo dell'attività di gioco, anche rispetto al verificarsi illeciti penali ed amministrativi di cui alle norme sopra accennate. Accanto a ciò, l'amministrazione ha previsto, nella nuova convenzione con la società gestrice in house, un nucleo operativo di supporto presso la prefettura;
          il recente verificarsi di più casi di riciclaggio di denaro, da provenienza illecita, non può che destare forte preoccupazione, in considerazione anche del rilasciato parere assentivo di Codesto Ministero circa la possibile concessione a terzi privati della gestione del Casinò e, forse, un minor livello ancora di controllo  –:
          se il Ministro interrogato fosse a conoscenza dei fatti in premessa e se e quali misure, nel rispetto dell'autonomia degli enti locali di cui all'articolo 114 della Costituzione, intenda attuare per far rispettare pienamente la normativa antiriciclaggio e sulla «tracciabilità» dei pagamenti nella casa da gioco veneziana;
          se ritenga applicabile alla società C.d.V.G. spa gestrice in house del casinò, le disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001 n.  231, al pari di qualsiasi altra società;
          se, alla luce delle premesse di cui sopra, non si ritenga poi opportuno riconsiderare il decreto, prot. n.  17634 del 17 dicembre 2013, di autorizzazione dell’ «Affidamento in concessione a terzi del servizio di gestione della casa da gioco».
(5-03411)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MICILLO, LUIGI DI MAIO, PISANO, SILVIA GIORDANO, TOFALO, VILLAROSA, FICO, TRIPIEDI, BARONI e COLONNESE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          Freebacoli è un'Associazione, nata nel marzo del 2009 da un gruppo di giovani di Bacoli e Monte di Procida che ha deciso di contribuire attivamente al miglioramento della propria terra attraverso iniziative e proposte di denuncia e di sensibilizzazione, punto di riferimento negli anni anche per l'informazione locale;
          associato, co-fondatore e redattore del sito Josi Gerardo Della Ragione, consigliere comunale;
          nel dicembre 2012 è stata inaugurata la sede in via Stendhal a Bacoli divenuta nel tempo un luogo d'aggregazione e spazio sociale dove all'interno sono promossi assemblee, gruppi di lavoro, corsi di italiano per stranieri, corsi di napoletano, cineforum, conferenze stampa, web-tv, lezioni culturali e tanto altro ancora;
          il 14 maggio 2014 ignoti hanno scassinato la porta dall'esterno e la finestra, portandosi all'interno dei locali, dove mettendo a soqquadro quanto trovato (sedie, divani, cassetti, libri, erano gettati a terra), portavano via il computer (dal quale venivano elaborati articoli e documenti), le casse (con cui gli associati prendevano parte a manifestazioni, ed assemblee pubbliche), i microfoni, ed altre cose di proprietà dell'associazione (insorgenza.it);
          tale episodio è l'ultimo di altri atti vandalici o in spregio all'impegno portato avanti da Freebacoli e dal consigliere Della Ragione;
          nella notte tra il 31 gennaio ed il 1o febbraio 2014 diverse testate on line davano notizia di un attentato intimidatorio (avvenuto appiccando fuoco) alla salumeria Illiano della famiglia di Della Ragione, mettendo a repentaglio, tra l'altro, la vita di decine di persone abitanti lo stabile al piano terreno del quale è localizzata l'attività economica (corrieredelmezzogiorno.it, 1o febbraio 2014);
          il 26 giugno del 2012 ignoti in via Poggio a Bacoli diedero fuoco all'auto di un altro associato, Alessandro Parisi (http://www.epressonline.net)  –:
          di quali notizie ulteriori il Ministro disponga in merito ai fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere a tutela dell'incolumità del consigliere Josi Della Ragione, che i fatti rappresentati indicano quale persona particolarmente esposta per le battaglie a favore della legalità sul territorio;
          quali iniziative intenda adottare a tutela dell'associazione Freebacoli;
          se non si intenda predisporre un eventuale servizio di vigilanza dinamica per la persona citata al fine di garantire sicurezza agli spostamenti dello stesso.
(4-05763)


      QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          su Il Secolo XIX del 27 luglio 2014 si dà notizia di un piano di tagli per le forze dell'ordine al vaglio del Governo Renzi che dovrebbero portare ad un risparmio di 1,5 miliardi di euro che prevede «accorpamenti di uffici, 250 agenti in pensione ogni mese, 300 uffici chiusi, stop alle assunzioni, con il blocco del turn-over al 55 per cento, che porterà le forze dell'ordine in Italia da a 80 mila unità entro il 2020». Oggi l'organico di polizia è assestato intorno alle 95 mila unità;
          nella relazione sull'amministrazione della giustizia per l'anno giudiziario 2012-2013 pubblicata a gennaio 2014, in riferimento alla Liguria, emerge come sia «particolarmente notevole e preoccupante l'incremento del numero dei furti nella abitazioni» che passano da 2.750 nello scorso anno a 3.254. Allo stesso modo è aumentato il numero delle rapine (da 622 a 745 unità), degli omicidi volontari (da 21 a 38), dei reati di stalking (da 487 a 523), dei reati tributari (da 1.026 a 1.113), delle frodi informatiche (da 211 a 261) nonché dei reati per traffico illecito dei rifiuti (da 596 a 758). Viene inoltre segnalato, fra altri, il caso del processo alla ’ndrangheta di Ventimiglia, apertosi a dicembre dello scorso anno e che dovrà valutare gli elementi di prova nei confronti di 36 imputati, tra i quali spiccano Giuseppe Marcianò (indiscusso boss ventimigliese secondo gli investigatori), l'ex sindaco Gaetano Scullino e il city manager Marco Prestileo;
          in una precedente interrogazione, atto Camera n.  4-03924 depositata 10 marzo 2014 seduta n.  186, in corso, indirizzata al Ministro dell'interno l'interrogante faceva presente che una delle regioni più penalizzate era la Liguria e che il cosiddetto «piano di razionalizzazione» metterà a rischio oltre 20 presidi (fonte: Il Secolo XIX, 4 marzo 2014);
          nella provincia di Genova attualmente sono in servizio oltre 2.000 uomini con un'età media di 45 anni. Per ogni dieci unità che vanno in pensione, 3 sono le assunzioni previste. A Genova andranno in pensione 800 poliziotti nei prossimi sei anni e saranno solo 240 i nuovi assunti;
          «oltre al blocco del turn-over, è stata preventivata la chiusura di alcuni commissariati, in città quelli di Nervi e Sestri Ponente – dichiara Roberto Traverso segretario generale provinciale del Silp Cgil genovese. L'attività preventiva investigativa dei distretti e della squadra mobile già in ginocchio, con il piano del Governo entrerebbe definitivamente in crisi. Specialità come la Polstrada, la Ferroviaria, Postale e la polizia di frontiera sarebbero messe in seria discussione. Per non parlare della Scientifica e altre specializzazioni importantissime per la sicurezza dei cittadini, tra quali le squadre nautiche»;
          «la situazione è gravissima – continua Roberto Traverso – Questi tagli incideranno negativamente sulla sicurezza dei cittadini. Se la scelta del governo Renzi di bloccare il turn-over non sarà scongiurata, la questura di Genova non riuscirà a mantenere i presìdi sul territorio» (fonte Il Secolo XIX, 22 luglio 2014)  –:
          a fronte dei tagli annunciati come intenda garantire un adeguato presidio del territorio. (4-05767)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
          in data 21 gennaio 2014 il TAR Lazio, con sentenza n.  733/2014/05655/2013 ha sancito il diritto dell'Istituto superiore di studi musicali (ISSM) di Teramo ad essere statizzato entro 30 giorni pena il commissariamento ad acta, condannando il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per inerzia;
          la legge n.  508 del 1999 all'articolo 2 commi 2 e 7 ha disposto la trasformazione degli ex Istituti musicali pareggiati (IMP) in Istituti superiori di studi musicali (ISSM) di livello superiore universitario appartenenti al sistema nazionale dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) e la conseguente emanazione di appositi regolamenti, da emanare ai sensi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.  400;
          nonostante siano trascorsi oltre 13 anni, l'applicazione delle norme di attuazione sopracitate non è ancora stata completata e gli ISSM si trovano in condizioni di limbo giuridico con l'imminente rischio, anche per gli effetti della contemporanea normativa sulla «spending review» di cessare le proprie attività mettendo a rischio sia l'attività didattica e formativa di quasi 10 mila studenti che il posto di lavoro di circa 800 docenti, alcuni di ruolo da 20-30 anni, vincitori di pubblico concorso presso l'ex istitutore/gestore ente locale territoriale di riferimento (comune o provincia);
          allo stato attuale in Italia vi sono i seguenti istituti che pur producendo un'offerta formativa d'eccellenza ai propri studenti, rilasciando altresì titoli di studio legalmente riconosciuti, quasi tutti in situazione di grave criticità finanziaria:
              a) istituto superiore di studi musicali di Ancona «G. B. Pergolesi»;
              b) istituto superiore di studi musicali di Aosta della Valle d'Aosta
              c) istituto superiore di studi musicali di Bergamo «Gaetano Donizetti»;
              d) istituto superiore di studi musicali di Caltanissetta «Vincenzo Bellini»;
              e) istituto superiore di studi musicali di Catania «Vincenzo Bellini»;
              f) istituto superiore di studi musicali di Cremona «Claudio Monteverdi»;
              g) istituto superiore di studi musicali di Gallarate (Varese) «Giacomo Puccini»;
              h) istituto superiore di studi musicali di Livorno «Pietro Mascagni»;
              i) istituto superiore di studi musicali di Lucca «Luigi Boccherini»;
              l) istituto superiore di studi musicali di Modena e Carpi «Orazio Vecchi - Antonio Tonelli»;
              m) istituto superiore di studi musicali di Nocera Terinese (Catanzaro) «P.I. Tchaikovsky»;
              n) istituto superiore di studi musicali di Pavia «Franco Vittadini»;
              o) istituto superiore di studi musicali di Ravenna «Giuseppe Verdi»;
              p) istituto superiore di studi musicali di Reggio Emilia e Castelnovo né monti «Achille Peri e Merulo»;
              q) istituto superiore di studi musicali di Ribera (Agrigento) «Arturo Toscanini»;
              r) istituto superiore di studi musicali di Rimini «G. Lettimi»;
              s) istituto superiore di studi musicali di Siena «Rinaldo Franci»;
              t) istituto superiore di studi musicali di Taranto «Giovanni Paisiello»;
              u) istituto superiore di studi musicali di Teramo «Gaetano Braga»;
              v) istituto superiore di studi musicali di Terni «Giulio Briccialdi»;
          la questione è stata, inoltre, oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo negli ultimi anni; ed anche nell'attuale XVII Legislatura, sia al Senato della Repubblica che alla Camera dei deputati, sono stati presentati numerosi disegni e proposte di legge in modo bipartisan da parte di quasi tutte le forze politiche recanti norme «per la statizzazione (a regime) degli istituti musicali pareggiati»:
              1) atto Senato n.  322 del 26 marzo 2013, prima firma senatore Granaiola;
              2) atto Camera n.  825 del 19 aprile 2013, prima firma onorevole Formisano;
              3) atto Camera n.  873 del 2 maggio 2013, prima firma onorevole Vezzali;
              4) atto Camera n.  882 del 7 maggio 2013, prima firma onorevole Carrescia;
              5) atto Camera n.  888 del 7 maggio 2013, prima firma onorevole Albanella;
              6) atto Senato n.  972 del 26 luglio 2013, a firma senatore Giannini (oggi Ministro);
              7) atto Senato n.  934 del 9 luglio 2013, prima firma senatore Torrisi;
              8) atto Camera n.  2156 del 4 marzo 2014, prima firma onorevole Duranti;
          in tali proposte si ribadisce sostanzialmente che in coerenza con la previsione dell'articolo 2, comma 8, lettera e), della legge quadro di riforma n.  508 del 1999, l'attuazione del processo di statizzazione degli ex IMP non comporta oneri finanziari aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, né alcun incremento della pianta organica dello Stato, in quanto, nell'ambito del riordino generale e della razionalizzazione del sistema dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica che risponde a criteri di efficienza, risparmio e qualità, il passaggio del personale docente e ATA degli ex IMP, all'atto della statizzazione, avviene tramite inquadramento in sovrannumero nei ruoli dello Stato, con graduale assorbimento sui posti resi annualmente vacanti e disponibili a seguito delle cessazioni dal servizio, entro i limiti dell'attuale pianta organica statale relativa al comparto del sistema nazionale di Alta formazione artistica, musicale e coreutica;
          inoltre, la razionalizzazione del sistema dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica conseguente all'attuazione della proposta di legge consentirebbe di includere nel sistema statale territori geografici fino ad oggi non coperti né finanziati direttamente dallo Stato, in considerazione del fatto che gli attuali enti locali territoriali istitutori/finanziatori non sono più in grado di supplire lo Stato nella funzione di gestione di questa importantissima funzione;
          lo stesso Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini, in data 27 giugno 2013 ha interrogato, da senatrice, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulle intenzioni e i tempi per dare piena attuazione al processo di riforma dell'alta formazione artistica e musicale di cui alla legge n.  508 del 1999, con particolare riguardo al processo di statizzazione degli ex IMP argomentando che: «la citata legge (n.  508 del 1999) ha dotato gli istituti superiori di studi musicali di personalità giuridica e di autonomia statutaria, didattica, scientifica, amministrativa, finanziaria e contabile, riconoscendone il ruolo di sedi primarie di alta formazione, di specializzazione, produzione e di ricerca nel settore artistico e musicale e facendoli rientrare nel novero delle istituzioni di cui all'articolo 33, comma sesto, della Costituzione italiana (istituzioni di alta cultura, cioè università e accademie)»;
          conseguentemente, la senatrice Stefania Giannini, in data 26 luglio 2013 ha presentato il disegno di legge n.  972 – «Disposizioni per la statizzazione degli Istituti musicali pareggiati»;
          nel corso degli ultimi anni, i regolamenti attuativi della legge n.  508 del 1999 hanno portato a compimento gli aspetti principali della citata riforma in materia di autonomia statutaria e didattica: in particolare, negli anni 2010 e 2011 tutti gli ex IMP si sono dotati di nuovo Statuto e di tutti gli organi di governo previsti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003, ed hanno altresì portato a compimento il processo di trasformazione dell'ordinamento didattico, regolamentato nel decreto del Presidente della Repubblica n.  212 del 2005;
          in buona sostanza, oggi, con l'entrata in vigore dello spazio comune europeo dell'istruzione universitaria, gli ex istituti musicali pareggiati sono a tutti gli effetti equiparati ai conservatori statali italiani, confluendo nell'unica tipologia degli istituti superiori di studi musicali, e questi ultimi, senza alcuna distinzione tra statali e non statali, sono stati riconosciuti appieno nel circuito universitario europeo;
          nel corso degli ultimi 10 anni, quindi, gli ex IMP hanno portato a compimento un iter di statizzazione di fatto, in applicazione della legge n.  508 del 1999 e dei decreti attuativi del Presidente della Repubblica. L'unica ed ultima differenza che distingue gli ex IMP dagli ex conservatori statali è la provenienza dei finanziamenti: i primi sono finanziati esclusivamente da enti locali mentre i secondi continuano ad essere finanziati direttamente dallo Stato;
          resta di fatto disatteso quanto previsto all'articolo 2, comma 8, lettera e), della suddetta legge che disciplina la «possibilità di prevedere, contestualmente alla riorganizzazione delle strutture e dei corsi esistenti e, comunque, senza maggiori oneri per il bilancio dello Stato, una graduale statizzazione, su richiesta, degli attuali istituti musicali pareggiati e delle Accademie di belle arti legalmente riconosciute, nonché istituzione di nuovi musei e riordino di musei esistenti, di collezioni e biblioteche, ivi comprese quelle musicali, degli archivi sonori, nonché delle strutture necessarie alla ricerca e alle produzioni artistiche» –:
          quali iniziative il Ministro interpellato intenda intraprendere per dare piena attuazione alla sentenza del Tar del Lazio n.  733 del 2014 che, rispetto all'Istituto superiore di studi musicali di Teramo ne ha riconosciuto il pieno diritto alla statizzazione prevista dalla legge n.  508 del 1999;
          quando, analogamente, tenda precedere al fine garantire il diritto alla statizzazione anche degli altri istituti superiori di studi musicali (ISSM) interessati, anche al fine di garantirne il mantenimento dell'offerta formativa e il diritto allo studio dei 10 mila circa studenti iscritti e frequentanti e la tutela dei posti di lavoro dei docenti e del personale ATA in servizio, alcuni già vincitori di pubblico concorso presso l'ente locale territoriale di riferimento e poi transitati ope legis nei ruoli dei vari istituti di appartenenza trasformati in «Enti pubblici non economici» dotati di piena autonomia e rientranti nello status giuridico di «pubbliche amministrazioni dello Stato».
(2-00650) «Giancarlo Giordano, Fratoianni, Duranti, Pellegrino, Scotto».

Interrogazione a risposta scritta:


      SORIAL. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi un'inchiesta dei carabinieri ha portato all'arrestato di cinque educatori della «Casa di Alice» di Grottammare, un centro socio-educativo riabilitativo gestito da comune attraverso una cooperativa esterna, dove bambini e ragazzi autistici fra gli 8 e 20 anni venivano maltrattati, picchiati e rinchiusi;
          le indagini sono scattate nei mesi scorsi, sulla base di alcuni indizi raccolti dagli investigatori, attraverso intercettazioni video nei vari ambienti della «Casa», tra cui appunto la «stanza di contenimento», un locale di 7-8 metri quadrati, senza mobili e con una piccola finestra chiusa, dove i ragazzi erano anche costretti a urinare;
          le riprese avrebbero documentato numerosissimi episodi di aggressione fisica e psicologica ai danni dei giovani disabili (dalle minacce gestuali, agli spintoni, fino ai veri e propri schiaffi) e l'impiego pressoché sistematico della «stanza di contenimento» come strumento per reprimere o «punire» i ragazzi;
          come emergerebbe dalle riprese fatte, da parte dei disabili c'era una totale assenza di comportamenti violenti;
          l'autismo, chiamato originariamente Sindrome di Kanner, è considerato un disturbo neuro-psichiatrico che si esprime con una marcata diminuzione dell'integrazione socio-relazionale e della comunicazione con gli altri ed un parallelo ritiro interiore; risultano ancora sconosciute le cause di tale manifestazione, divise tra neurobiologiche costituzionali e psicoambientali acquisite;
          purtroppo sembra che questo sia l'ennesimo caso, documentato, di violenze nei confronti di minori o di bambini diversamente abili, non solo da parte di coetanei, ma anche da parte di educatori, maestre, figure di riferimento  –:
          quali iniziative immediate ed efficaci i Ministri interrogati ritengano opportuno disporre per evitare che fatti come quelli illustrati in premessa, inaccettabili ovunque, ma soprattutto nella realtà dei centri socio educativi-riabilitativi, possano continuare ad accadere e affinché coloro che sono colpiti da tale grave disabilità, i piccoli malati e le loro famiglie, possano ricevere tutto il rispetto e le tutele dovuti;
          se i Ministri interrogati non ritengano necessario avviare un monitoraggio nazionale relativo agli atti di violenza nei confronti di minori e in particolar modo dei minori disabili, negli istituti e nelle scuole sia pubbliche che private. (4-05765)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GNECCHI, GREGORI, CASELLATO, BOCCUZZI, GRIBAUDO, MAESTRI, INCERTI, GIACOBBE, ALBANELLA, GIORGIO PICCOLO, BARUFFI e COMINELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 («salva Italia»), pur avendo dichiarato l'obiettivo di garantire la stabilità economico-finanziaria e di rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico, ma soprattutto avendo dichiarato si trattasse di un provvedimento per garantire equità, ha invece generato situazioni di oggettiva disparità di trattamento tra i lavoratori;
          l'articolo 24, comma 14, del decreto-legge n.  201 del 2011, prevede delle deroghe in base alle quali, si continuano ad applicare i previgenti requisiti pensionistici;
          alla lettera a) del richiamato comma 14 tali deroghe si applicano ai lavoratori collocati in mobilità, ai sensi degli articoli 4 e 24, della legge 23 luglio 1991, n.  23, e successive modificazioni, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011 e che maturano i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità di cui all'articolo 7, commi 1 e 2, della legge luglio 1991, n.  223;
          per gli accordi di mobilità in sede governativa ante 4 dicembre 2011 è intervenuta anche norma specifica di cui all'articolo 22, comma 1, lettera a), della legge n.  135 del 2012;
          prima del 4 dicembre 2011 sono stati anche stipulati accordi in sede governativa riguardanti aziende del settore edile, che prevedevano un periodo di Cassa integrazione guadagni straordinaria, licenziamento dei lavoratori in base agli articoli 4 e 24 della legge n.  223 del 1991 e successivo inserimento nelle liste di mobilità. Per questi lavoratori, la legge n.  451 del 19 luglio 1994 estende i benefici del trattamento speciale edile (articolo 11, commi 2 e 3, legge n.  223 del 1991) anche ai lavoratori dipendenti da aziende edili operanti in una qualsiasi area del territorio nazionale ma che abbiano attuato un programma di cassa integrazione salariale straordinaria e successivamente attivato una procedura di mobilità ai sensi dell'articolo 4, legge n.  223 del 1991;
          per questa fattispecie di accordi, l'Inps sta escludendo i lavoratori dalla salvaguardia prevista dalla lettera a) del richiamato comma 1, lettera a) – articolo 22 della legge n.  135 del 2012 adducendo la motivazione che il trattamento speciale edile non è assimilabile all'indennità di mobilità ordinaria, è veramente inconcepibile che possa esistere una disparità di questa portata, essere inseriti in accordo governativo, godere della mobilità, ma poiché lavoratore edile, non essere salvaguardato  –:
          se non ritenga il Ministro interrogato di adoperarsi con la massima urgenza, al fine di adottare tutte le iniziative necessarie affinché la casistica sopra riportata, che è espressamente riferita ad accordo stipulato in sede governativa, venga comunque compresa fra le ipotesi salvaguardate. (5-03399)


      GNECCHI, MARTELLI, CINZIA MARIA FONTANA, MAESTRI, INCERTI, GIACOBBE, LENZI, GRIBAUDO, PARIS, BOCCUZZI, BERLINGHIERI, SIMONI e COMINELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la legge n.  243 del 2004 consente alle donne con 35 anni di contributi e con 57 anni di età (se dipendenti) e 35 anni contributi e 58 anni di età per le lavoratrici autonome, e che abbiano optato per una prestazione finale calcolata interamente con il metodo contributivo, di andare in pensione;
          tale disposizione è stata confermata, dall'articolo 14, comma 24, del decreto-legge n.  201, convertito con modificazioni, dalla legge n.  214 del 2011 in via sperimentale sino al 31 dicembre 2015. Con riferimento a questa scelta, la circolare Inps 35/2012 ha precisato che entro il 31 dicembre 2015 dovrà avvenire la decorrenza del trattamento pensionistico e non il raggiungimento dei requisiti necessari per la maturazione del diritto alla prestazione, limitandone di fatto l'accesso, quindi riducendo il periodo della sperimentazione come previsto dalla legge fino al 31 dicembre 2015  –:
          quante siano state le pensioni liquidate in base alla cosiddetta «opzione donna» di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 243 del 2004, negli anni 2011, 2012, 2013, 2014, suddivise per lavoro pubblico, privato e autonomo, nonché il relativo importo medio. (5-03400)


      GNECCHI, BOCCUZZI, GIACOBBE, INCERTI, MAESTRI, CASELLATO, BARUFFI, GRIBAUDO e COMINELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          già nella precedente legislatura sono stati presentati diversi atti di sindacato ispettivo, con i quali è stato più volte richiesto di fare chiarezza sulla questione dei contributori volontari attivi ed autorizzati ante 20 luglio 2007 e sul relativo accesso alla salvaguardia prevista dall'articolo 24, comma 14, del decreto-legge 201 del 2011;
          va evidenziato che la copertura finanziaria per i soggetti rientranti nell'articolo 1, comma 8, della legge n.  243 del 2004, come modificato della legge n.  247 del 2007, era già prevista dalle suddette leggi, così come peraltro stabilito dall'articolo 81 della Costituzione, vanno infatti assolutamente distinti gli oneri individuati per la salvaguardia prevista nella legge 214 del 2011, che peraltro non ha abrogato le norme sopra richiamate  –:
          quante siano state le pensioni liquidate ai contributori volontari autorizzati ante 20 luglio 2007 e con il possesso dei requisiti di accesso alla pensione, di cui all'articolo 1, comma 8, della legge 243 del 2004, negli anni 2011, 2012, 2013, 2014, suddivise per anno, sesso e con i relativi requisiti di accesso (età e anni di contribuzione). (5-03401)


      FABBRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il personale appartenente ai ruoli amministrativo e tecnico informatici del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è inquadrato nel ruolo non operativo, ma può essere impiegato, ai sensi dell'articolo 85 comma 2 del decreto legislativo n.  217 del 2005 e dell'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica n.  64 del 2012, in supporto a strutture operative in località colpite da grave calamità pubblica o in altre situazioni di emergenza in cui il Corpo nazionale dei vigili del fuoco sia chiamato a svolgere i propri compiti istituzionali. In tali situazioni coadiuva il personale operativo nello svolgimento delle proprie mansioni;
          la legge n.  252 del 2004, il decreto legislativo n.  217 del 2005 ed il decreto legislativo n.  139 del 2006, hanno abrogato tutta la normativa preesistente in materia di vigili del fuoco (regio decreto n.  1570/41 e legge n.  930 del 1980), ridisegnando sia le funzioni, l'organizzazione, nonché, il rapporto di lavoro del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che è stato completamente ripubblicizzato;
          gli interventi legislativi, che per espressa volontà del legislatore, hanno interessato il Corpo nazionale dei vigili del fuoco hanno cercato, quindi di armonizzare il settore abrogando le decine di norma che nel tempo si erano andate stratificando favorendo la nascita di un quadro normativo più chiaro, organico ed attuale;
          al personale amministrativo e tecnico informatico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco la normativa (articolo 85, comma 2, del decreto legislativo n.  217 del 2005 e decreto del Presidente della Repubblica n.  64 del 2012 articolo 54), ha affidato compiti e funzioni in supporto alle strutture operative operanti in scenari calamitosi ed emergenziali di particolare rilievo;
          ciò nonostante, il personale amministrativo e tecnico informatico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è discriminato sia sotto il profilo stipendiale, che professionale e previdenziale, rispetto a tutto il restante personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, non solo operativo ma anche dirigente, medico e ginnico, e pur essendo quindi parte del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e con funzioni assolutamente peculiari, dal punto di vista previdenziale viene assoggettato alla medesima normativa del pubblico impiego più che a quella del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di cui invece è parte integrante;
          nonostante questa discriminazione sia stata ammessa dallo stesso dipartimento in risposta ad un quesito posto da un dipendente del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (prot. n.  8142 del 22 marzo 2013) nessuna iniziativa al momento è stata intrapresa per risolvere la questione dal punto di vista ordinamentale  –:
          se non ritenga urgente assumere un'iniziativa normativa per modificare il contenuto dell'articolo 24, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, estendendone i benefici a tutto il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ivi compreso quello di cui all'articolo 85 e seguenti del decreto legislativo n.  217 del 2005. (5-03406)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DE GIROLAMO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il personale delle aree professionali A, B, e C del soppresso Inpdap, hanno subito, una decurtazione del salario accessorio corrisposto nell'anno 2012 che viene, quindi    recuperato, con pagamento rateale, dall'amministrazione di appartenenza;
          tale misura è stata stabilita senza l'assenso delle organizzazioni sindacali che dovevano essere sentite al fine di aprire un tavolo di confronto su una problematica così importante;
          le confederazioni sindacali avevano chiesto l'immediata sospensione dei recuperi e l'apertura di un confronto che l'amministrazione ha ignorato, ribadendo la propria volontà di dare corso, dal mese di agosto prossimo, alle procedure di recupero intervenendo sugli acconti dell'incentivo ordinario e speciale da erogare nel prossimo triennio al personale citato;
          la decisione di intervenire, senza un'attenta valutazione della problematica relativa al recupero del salario accessorio, compromette i diritti dei lavoratori che avevano ottenuto i compensi incentivanti  –:
          se sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali siano le ragioni che hanno comportato la decurtazione del salario accessorio corrisposto al personale dell'ex INDAP;
          se non sia necessario intervenire al fine di riconsiderare la decisione assunta che, come riportato in premessa, compromette il diritto dei lavoratori. (4-05759)


      SORIAL, ALBERTI e COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          secondo un indice elaborato di recente da Il Sole 24 Ore la città di Brescia è una delle città che hanno risentito maggiormente della crisi economica in atto negli ultimi sette anni e che ha stravolto la situazione economica delle province italiane;
          i dati specifici rivelano ricadute pesanti soprattutto per i lavoratori con la crisi del manifatturiero che ha fatto esplodere la disoccupazione dal 3,19 per cento del 2007 all'8,39 per cento del 2013: Brescia si troverebbe alla 24sima posizione a livello nazionale con più di 130mila persone senza lavoro, come denuncia la CGIL, sottolineando che la Lombardia detiene la maglia nera della disperazione con un suicidio al giorno tra i disoccupati;
          per quanto riguarda i prestiti personali l'indebitamento relativo a questa voce è fermo al pre-crisi: le altre province hanno fatto in assoluto meglio di Brescia, che si trova nel novero delle 15 che non hanno un saldo positivo (ovvero con un decremento dell'indebitamento);
          nel frattempo anche il «mattone» si è svalutato e il prezzo medio di vendita al metro quadro per un appartamento nuovo di 100 mq in zona semicentrale nel capoluogo è sceso del 19,4 per cento: il 26esimo impatto più pesante fra le città italiane;
          anche il settore dell'auto è andato in crisi: le immatricolazioni in questi anni sono scese addirittura dei 51,6 per cento;
          i consumi sono scesi del 18,8 per cento e anche le spese per farmaci, nonostante abbiano, per ovvi motivi di sopravvivenza più che economici, una curva tipicamente più rigida, hanno subito un decremento del 3,2 per cento;
          arretrato, di conseguenza, anche il pil pro capite prodotto: -7,6 per cento  –:
          se il Governo sia al corrente dei fatti esposti in premessa e come stia intervenendo, per mettere un freno a quello che sembra profilarsi come un vero e proprio collasso del sistema economico di una delle città un tempo più produttive del Paese;
          se i Ministri interrogati non intendano, per quanto di competenza, valutare la possibilità di iniziative dirette alla semplificazione del quadro normativo di riferimento al fine di restituire maggiore competitività alle imprese e quali iniziative di competenza intendano intraprendere, per evitare ulteriori pesanti ricadute sul tessuto produttivo e occupazionale italiano già gravemente provato dalla profonda crisi economica. (4-05762)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BENI e LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          con la recente approvazione della legge n.  81 del 30 maggio 2014, che ha convertito il decreto-legge n.  52 del 2014, concernente il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), sono state introdotte importanti modifiche alla precedente legislazione in materia, al fine di prevedere misure alternative all'internamento;
          il termine per il superamento definitivo degli ospedali psichiatrici giudiziari e dell'entrata in funzione delle nuove strutture residenziali sanitarie per l'esecuzione della misura di sicurezza è stato ulteriormente prorogato al 31 marzo 2015 per i ritardi nella realizzazione/riconversione delle strutture territoriali da parte delle regioni;
          entro il 15 giugno 2014 le regioni avevano la possibilità di modificare i programmi presentati in precedenza al fine di provvedere alla riqualificazione dei dipartimenti di salute mentale, contenere il numero complessivo dei posti letto da realizzare e destinare le risorse alla realizzazione/riqualificazione delle strutture pubbliche;
          le regioni e le province autonome, entro quarantacinque giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, dovevano obbligatoriamente presentare e inviare al Ministero della salute e alla competente autorità giudiziaria i percorsi terapeutico-riabilitativi individuali di dismissione delle persone ricoverate negli ospedali psichiatrici giudiziari alla data di entrata in vigore della legge;
          inoltre, entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione doveva essere attivato, presso il Ministero della salute, un organismo di coordinamento per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari al fine di esercitare funzioni di monitoraggio per il completamento del processo di superamento degli stessi;
          data la rilevanza etica e civile del provvedimento, risulta indispensabile verificarne lo stato di attuazione, anche alla luce dei diversi contesti territoriali  –:
          quale sia lo stato di attuazione delle disposizioni richiamate in premessa e se vi siano problemi ostativi al rispetto delle scadenze previste dal provvedimento;
          quali siano le regioni interessate dal provvedimento che non abbiano ancora provveduto a modificare i programmi di riqualificazione dei dipartimenti di salute mentale e presentare i relativi percorsi terapeutico-riabilitativi individuali di dismissione delle persone ricoverate negli ospedali psichiatrici giudiziari;
          se sia stato attivato, presso il Ministero della salute, l'organismo di coordinamento per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, come previsto dalle disposizione citata in premessa. (5-03398)


      ARGENTIN. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          lo screening per la diagnosi precoce del tumore mammario, come riporta lo stesso sito del Ministero della salute, si rivolge alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni e si esegue con una mammografia ogni 2 anni;
          il tumore della mammella è la neoplasia più frequente nelle donne, tanto che rappresenta oltre un quarto di tutte le diagnosi tumorali femminili. In Italia si stima che colpisca circa 37.000 donne ogni anno. Negli ultimi decenni si è registrato un costante aumento di frequenza di diagnosi, accompagnata però da una riduzione della mortalità;
          ciò è stato reso possibile anche dalla sempre più ampia diffusione della diagnosi precoce che ha permesso di aumentare la quota di tumori identificati ai primi stadi di sviluppo della malattia, quando il trattamento ha maggiori probabilità di essere efficace e meno invasivo;
          per le donne con disabilità fisica e, specialmente per coloro che a causa della loro disabilità sono su una carrozzina, risulta difficile sottoporsi a questo tipo di esame non solo e soltanto per le lunghe liste di attesa ma anche per le difficoltà oggettive di sostenerlo, visto che normalmente i macchinari più utilizzati consentono l'esame solo in posizione eretta   –:
          se il Ministro non ritenga opportuno, a salvaguardia del diritto alla salute così come previsto dall'articolo 32 della nostra Costituzione, intervenire sia con risorse finanziaria che con linee guida adeguate, nel limite delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze regionali in materia sanitaria, affinché, in tempi rapidi, si possa trovare una soluzione che garantisca anche alle donne con disabilità un più facile accesso a questo tipo di diagnostica. (5-03402)


      GREGORI e GIACHETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 32 della Costituzione qualifica il diritto alla salute come attributo fondamentale della persona e interesse fondamentale della collettività;
          sebbene la garanzia effettiva del godimento di questo diritto sia rimessa alle scelte legislative e amministrative dei vari livelli di governo, nessuna determinazione pubblica può pervenire alla negazione del nucleo essenziale del diritto alla salute, che — anzi — nella giurisprudenza è ritenuto una delle prerogative incomprimibili della persona;
          la vicenda dell'ospedale di Subiaco (RM) si pone come esempio di evidente messa in pericolo del diritto alla salute di una vasta comunità urbana e rurale alle porte di Roma, nell'Alta Valle dell'Aniene;
          l'ospedale di Subiaco (afferente all'ASL RMG) serve un bacino variabile dalle 50 mila persone (i residenti di Subiaco e dintorni) fino a 700 mila, computando gli afflussi turistici ai complessi religiosi (monasteri e santuario della Santissima Trinità di Vallepietra) e ai siti di montagna (Altipiani di Arcinazzo, Monte Livata, Parco dei Monti Simbruini);
          sebbene in linea d'aria e in termini chilometrici Subiaco sia piuttosto vicina ad altri centri dotati di ospedali, la rete stradale è tale che nessun presidio ospedaliero di quelli più prossimi è a meno di 45 minuti da Subiaco, in modo che la cosiddetta: Golden Hour (vale a dire il tempo aureo, quello essenziale per intervenire a salvare la vita) non può essere garantita da altra struttura se non quella di Subiaco stessa;
          in attuazione del piano operativo 2013-2015 sul rientro dal deficit relativo alla regione Lazio, condiviso dalla giunta regionale, è stato elaborato un progetto per cui a Subiaco resti una presenza molto ridotta, costituita da soli 5 posti di osservazione breve intensiva, da un mezzo di soccorso medicalizzato, dal servizio di tele-consulenza di radiologia e – per quel che concerne i posti letto – 20 posti di medicina generale, 20 di gestione infermieristica e soli 6 di Day Surgery. Sarebbe prevista anche l'elisuperficie, mentre l'emergenza a ventiquattro ore sarebbe demandata al DEA di 1° livello di Tivoli;
          a parte il fatto – per fare solo un esempio – che l'elisuperficie in via di fatto a Subiaco non c’è, appare chiaro che un simile progetto costituisca né più e né meno, lo smantellamento dell'ospedale, in totale contraddizione con quanto affermato dal Ministro interrogato, che ha fatto visita a Subiaco il 7 maggio 2014;
          il progetto infatti non risponde secondo l'interrogante ad alcun criterio organizzativo, strutturale o funzionale giacché manca dei basilari requisiti di presenza medica sul pronto soccorso (un chirurgo, un internista e un rianimatore tutti h24);
          a questi profili si aggiunge il tema dei pazienti critici e dei residenti negli ex ospedali psichiatrici giudiziari. La relazione governativa sullo stato di attuazione dei programmi regionali, relativi al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e in particolare sul grado di effettiva presa in carico dei malati da parte dei dipartimenti di salute mentale, prevede l'assegnazione a Subiaco di 40 persone, ciò che appare del tutto in contraddizione con l'indebolimento della struttura;
          d'altronde, i piani di rientro sono finalizzati a verificare la qualità delle prestazioni oltre che a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali. Il Ministro interrogato pertanto è competente, attraverso il SIVEAS, ad affiancare le regioni nel raggiungere gli obiettivi previsti dai Piani;
          oltre agli aspetti attinenti all'effettiva prestazione del servizio sanitario, sono anche evidenti le pesantissime ricadute occupazionali che lo smantellamento dell'ospedale di Subiaco produrrebbe. L'impoverimento economico e professionale della città – peraltro – porterebbe perdite economiche indotte che sopravanzerebbero largamente i risparmi ottenuti dalla chiusura;
          appare che, considerato il bacino di utenza assai cospicuo e di età media piuttosto elevata, il progetto per Subiaco costituisca un inaccettabile arretramento della presenza della sanità pubblica e del servizio universale nell'Alta Valle dell'Aniene  –:
          quali direttive intenda impartire al commissario ad acta presidente della giunta regionale del Lazio, nominato con decreto del Presidente del Consiglio il 21 marzo 2013 – per rivedere le decisioni relative all'ospedale di Subiaco onde garantire in modo effettivo il diritto alla salute, con particolare riferimento alle attività strettamente connesse al servizio di pronto soccorso, dovute per legge, la cui presenza è connotato indefettibile per la sussistenza del servizio medesimo. (5-03412)

Interrogazione a risposta scritta:


      LABRIOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          su diversi quotidiani, in questi giorni, è apparsa la notizia di una nuova epidemia di ebola che sembrerebbe si stia diffondendo con una rapidità e un'estensione senza precedenti e che rischia di coinvolgere molti Paesi;
          l'epidemia che si è diffusa in Africa Occidentale si aggrava sempre di più, tanto da spingere il direttore delle operazioni di Medici senza frontiere, Bart Janssens, a lanciare, in un'intervista rilasciata a Libre belgique, un avvertimento: «Questa epidemia è senza precedenti, assolutamente fuori controllo e la situazione non fa che peggiorare, per cui si sta nuovamente estendendo, soprattutto in Liberia e Sierra Leone, con focolai molto importanti», ha detto. «Se la situazione non migliora abbastanza rapidamente, c’è il rischio reale di vedere nuovi Paesi colpiti», ha ammonito, spiegando che il rischio di contagio non si può escludere, anche se è difficile da prevedere l'entità, perché un'epidemia di questo tipo non si è mai vista;
          i dati relativi al virus non lasciano certo tranquilli: al momento i casi accertati sono almeno 1.201, con 672 decessi dall'inizio dell'anno in Guinea, Liberia e Sierra Leone;
          la preoccupazione per la diffusione del virus ha spinto il governo della Sierra Leone ad adottare misure per limitare il contagio: chiusi teatri, cinema e bar e rinviati a fine agosto gli esami pubblici di terza media previsti a luglio. «La tensione comincia a sentirsi anche qui a Freetown», ha raccontato Nicola Orsini, da anni impegnato in Sierra Leone per la Ong italiana Fondazione Avsi, sull'epidemia di Ebola che ha raggiunto la capitale dopo che sembrava che i contagi fossero circoscritti alle regioni orientali di Kenema e Kailahun  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato abbia intrapreso o abbia intenzione di intraprendere al fine di arginare la diffusione del virus in Italia e quali misure urgenti abbia intenzione di adottare al fine di potenziare i controlli del personale impiegato nell'operazione «Mare nostrum», soggetti particolarmente a rischio. (4-05757)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
           la società Enel Distribuzione spa, concessionaria in esclusiva del servizio di distribuzione dell'energia elettrica fino al 2030, a breve intenderebbe procedere all'ennesima riorganizzazione della propria rete tecnica;
          il progetto rialloca gli attuali presidi di coordinamento e progettazione tecnica, denominati zone, e presidi tecnico operativi denominati unità operative, sopprimendone oltre la metà;
          la qualità del servizio elettrico italiano, a identità di tariffa è diversificata sul territorio nazionale in termini di durata e frequenza delle interruzioni di energia ed è fortemente penalizzata, in particolare nelle regioni meridionali;
          le innovazioni tecnologiche apportate alla rete e le dotazioni individuali non possono garantire idonea qualità, come da concessione, considerata l'insufficienza di personale operativo, falcidiato dal parziale reintegro delle copiose fuoriuscite generate dagli esodi ex articolo 4 della legge n.  92 del 2012 (legge Fornero), che influenza il ripristino del servizio in caso di guasto attraverso la riduzione del personale in reperibilità;
          l'impiego dei fondi comunitari – piano di coesione 2014-2020 – abbisogna di infrastrutture elettriche tali da consentire la realizzazione delle diverse opere sia infrastrutturali che produttive e la riorganizzazione in itinere rallenta la capacità progettuale, di coordinamento e operativa necessaria allo sviluppo economico e ad attrarre investitori specie esteri;
          il documento di cosiddetto allineamento organizzativo territoriale della rete elettrica attesta che le innovazioni tecnologiche e le nuove apparecchiature hanno consentito di ottenere notevoli recuperi di efficienza organizzativa ed il raggiungimento e mantenimento di risultati economici positivi;
          il documento stesso definisce la riorganizzazione come finalizzata a ulteriori possibili spazi di miglioramento ed ottimizzazione procedendo ad aggregazioni di strutture tecnico-operative, tenuto conto delle caratteristiche impiantistiche e territoriali specifiche: clienti      media tensione più bassa tensione stato ed estensione della rete, orografia del territorio;
          contrariamente a quanto contemplato nel documento stesso, nelle regioni meridionali ed in particolare per alcune aree della Puglia, della Calabria, della Basilicata, della Campania (per Salerno-Sala Consilina e Napoli-Pozzuoli), così come nel settentrione per Verona-Rovigo, si registra la notevole estensione delle linee, e l'enorme numero di clienti serviti, confrontato con la media delle riaggregazioni italiane, è il doppio o il triplo, vanificando l'elementare principio che a maggiore criticità deve corrispondere maggiore presidio;
          in particolare, l'aggregazione del territorio metropolitano di Napoli a quello puteolano non consente la valutazione corretta dei parametri della qualità del servizio, essendo essi diversi per centri urbani ed extra urbani; si include il territorio dell'isola di Ischia e vi sono e saranno ampliate criticità legate alla complessità ed obsolescenza delle linee e alle caratteristiche della clientela, oltre alla gestione del servizio elettrico ad Ischia già noto per il notevole disservizio dell'agosto 2009;
          in particolare, la sede di zona Sala Consilina, in provincia di Salerno, è destinata a scomparire penalizzando la programmazione e la gestione della rete elettrica e le potenzialità di sviluppo del Vallo di Diano, golfo di Policastro, Valle del Tanagro e Cilento a dispetto dei parametri da documento costituendosi, a fronte delle due attualmente esistenti Sala Consilina e Salerno, un'unica zona provinciale con sede a Salerno che con 100 comuni serviti coprirebbe un'area pari al 36 per cento della superficie della regione Campania, con oltre 22.000 chilometri di linee da gestire, pari al doppio ed in alcuni casi al triplo degli altri accorpamenti nazionali;
          molte delle nuove zone che andranno a realizzarsi in Italia ed in particolare Belluno, Pordenone, Sondrio, La Spezia hanno dimensioni inferiori per lunghezza e stato delle linee, numero dei clienti, caratteristiche e orografia del territorio rispetto alla attuale zona Sala Consilina e non vengono soppresse così come Arezzo e Rimini, leggermente superiori, non vengono soppresse;
          sarà contemporaneamente soppressa la sede tecnico operativa di Sapri in provincia di Salerno, accorpando il territorio di riferimento in parte alla sede tecnico operativa di Sala Consilina ed in parte a quella di Agropoli, penalizzando realtà territoriali contigue quali il Vallo di Diano, il Golfo di Policastro e la Valle del Tanagro, territorio immenso da gestire con qualche decina di operai;
          nell'ottica di scongiurare la soppressione della struttura, tessuto portante del sistema economico locale, di Sala Consilina e della correlativa struttura di Sapri, e tener conto della peculiarità del territorio metropolitano di Napoli che unito a quello di competenza di Pozzuoli determina serie difficoltà di gestione del servizio elettrico e al fine di scongiurare la soppressione della stessa zona Pozzuoli, sarebbe opportuno evidenziare ai vertici della società in questione la situazione di particolare criticità considerate:
              a) le enormi e atipiche dimensioni, a livello nazionale, con serie ripercussioni sulla qualità del servizio della intera provincia, della struttura unificata con Salerno, della zona di Sala Consilina, ricomprendente le aree industriali a forte espansione di Polla e Buccino e le aree ad alta densità turistica del golfo di Policastro e costiera Cilentana che vedrebbero penalizzate e seriamente compromesse le prospettive di sviluppo;
              b) il discutibile miglioramento organizzativo che si otterrebbe con il ritiro dei presidi territoriali  –:
          se il Ministro dell'economia e delle finanze, in qualità di azionista di riferimento, ritenga utile richiedere una revisione del progetto per razionalizzare la proposta al fine di renderla funzionale ed efficace allo sviluppo del territorio, conformemente a quanto indicato in premessa;
          se il Ministro dello sviluppo economico intenda valutare attentamente l'impatto sulle future potenzialità di sviluppo della rete, prodromica all'utilizzo dei Fondi comunitari e alla attrazione di investitori sull'economia del Paese;
          se i Ministri interpellati intendano promuovere meccanismi di controllo periodici della qualità del servizio, dello stato e delle estensioni delle reti, considerato che la riorganizzazione, così come proposta, penalizza lo sviluppo meridionale, in particolare con aggregazioni territoriali ed impiantistiche doppie a dispetto di altre aree quando logica vorrebbe il contrario.
(2-00647) «Palma, Nicoletti, Parrini, Petitti, Petrini, Ginefra, Mariani, Ermini, Dell'Aringa, Beni, Arlotti, Amendola, Manciulli, Taricco, Scanu, Carra, Zardini, Luciano Agostini, Miccoli, De Mita, Richetti, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Ginato, Pastorino, D'Agostino, Monchiero, Vezzali, Rabino, Covello».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      D'INCECCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito della riorganizzazione portata avanti dal Ministero dello sviluppo economico degli uffici dell'ispettorato territoriale nella direzione generale per le attività territoriali (DGAT) si evidenziano una serie di criticità rispetto all'adozione di criteri non omogenei che rischiano di determinare significative penalizzazioni territoriali;
          in particolare il decreto ministeriale di riordino prevede la soppressione dell'ispettorato territoriale di Abruzzo-Molise con sede in Sulmona accorpando l'Abruzzo con l'ispettorato del Lazio con sede a Roma mentre il Molise viene ad essere accorpato con l'ispettorato di Puglia-Basilicata;
          tale determinazione comporta che i cittadini abruzzesi e molisani saranno costretti a rivolgesi alle sedi di Roma e Bari per poter tutelare in caso di necessità i propri diritti in determinate materie di competenza degli ispettorati territoriali del Ministero dello sviluppo economico;
          è inoltre del tutto evidente che il trasferimento del personale da Sulmona a Roma e da Sulmona a Bari comporta non pochi disagi logistici e anche economici;
          non si tratta di questione di mero campanilismo ma di obiettiva constatazione delle peculiarità di due comunità che si vedono private di un importante presidio pubblico;
          vi è da aggiungere che tale decisione sarebbe stata assunta senza un pieno coinvolgimento delle organizzazioni sindacali;
          nel mese di giugno vi era stato un primo incontro tra organizzazioni sindacali e strutture ministeriali in merito al progetto di riforma sul quale erano state invitate a formulare eventuali osservazioni;
          in data 17 luglio 2014 vi è stato un ulteriore incontro nel quale era stata assicurata da parte degli uffici del Ministero dello sviluppo economico il mantenimento dell'ispettorato di Abruzzo e Molise;
          in data 25 luglio 2014, il capo del personale del Ministero dello sviluppo economico, ha trasmesso alle organizzazioni sindacali l'allegato al decreto ministeriale, da cui risultava che l'ispettore Abruzzo Molise veniva soppresso con accorpamento dell'Abruzzo al Lazio e del Molise alla Puglia e la conseguente scomparsa del posto di funzione dirigenziale di Sulmona  –:
          se il Governo intenda riconsiderare tale decisione e di rivedere il decreto ministeriale di riorganizzazione degli uffici dell'ispettorato territoriale del Ministero dello sviluppo economico garantendo il mantenimento delle 16 sedi sul territorio nazionale compresa quella di Sulmona assicurando l'autonomia di Abruzzo e Molise senza penalizzare cittadini e i lavoratori della sede. (5-03404)


      PRODANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  145 del 2013 cosiddetto «Destinazione Italia» – convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n.  9 – all'articolo 4 prevede interventi particolari per l'area di crisi complessa di Trieste, riconosciuta con il decreto-legge sulle emergenze ambientali (n.  43 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n.  71);
          con il comma 11 dell'articolo 4 è stata stabilita la nomina, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, del presidente della regione Friuli Venezia-Giulia Debora Serracchiani a commissario straordinario per l'attuazione dell'accordo quadro legato alla realizzazione degli interventi a seguire del riconoscimento dell'area industriale di Trieste quale «area di crisi industriale complessa»;
          l'accordo è stato sottoscritto a Roma – presso la sede del Ministero dello sviluppo economico – il 30 gennaio 2014 dalle istituzioni nazionali e locali coinvolte ad eccezione dell'autorità portuale che ha atteso alcuni chiarimenti in relazione a possibili conflitti di competenze sulle aree demaniali marittime prima di apporre la propria firma;
          il 28 luglio 2014 Siderurgica Triestina, società del Gruppo Arvedi, ha formalizzato a Piombino (Livorno) la proposta di acquisto dello stabilimento siderurgico della Ferriera di Servola a Trieste – a seguito della necessaria manifestazione di interesse presentata il 19 aprile 2014 – il cui recupero e la cui reindustrializzazione è parte integrante dell'accordo quadro summenzionato (ASSE I);
          Siderurgica Triestina è una società completamente controllata da Finarvedi – l'anno scorso dichiarava un capitale sociale di 50.000 euro – che ha come amministratore unico Francesco Rosato, l'ex direttore della Ferriera che ha anche fornito al comune di Trieste la consulenza proprio per il progetto di riconversione industriale dell'area in oggetto;
          lo stesso Rosato è stato rinviato a giudizio dal giudice Luigi Dainotti del tribunale di Trieste nell'aprile 2013 a seguito dell'inchiesta sullo smaltimento illegale di rifiuti dello stabilimento, per fatti compiuti quando ne era direttore;
          in base all'articolo 6 dell'Accordo quadro, nell'invito a manifestare interesse il commissario straordinario deve indicare i contenuti del progetto di reindustrializzazione, gli interventi di bonifica e messa in sicurezza, mentre l'offerta del soggetto interessato deve contenere la dichiarazione di adesione all'accordo – in caso di aggiudicazione – oltre al progetto di bonifica e alla proposta di reindustrializzazione. Ad oggi non si ha pubblica conoscenza di nessun progetto di riqualificazione e di bonifica per il recupero della Ferriera legata alla proposta di acquisto;
          inoltre gli articoli 7, 9 e 10 del summenzionato accordo prevedono degli obblighi non di poco conto per l'acquirente;
          l'articolo 7, infatti, dispone interventi di messa in sicurezza a carico del soggetto interessato non responsabile della contaminazione ambientale – quindi il compratore – legati principalmente alla rimozione di rifiuti e alla messa in sicurezza del suolo, con il cofinanziamento pubblico;
          l'articolo 9 prevede gli interventi necessari per il rinnovo dell'AIA Autorizzazione integrata ambientale che, in base al comma 2, potrà essere disposta solo a favore del soggetto selezionato dal commissario straordinario e che riguardano la cokeria, l'altoforno, l'agglomerato, la logistica e la captazione della acque;
          l'articolo 10 riguarda invece il progetto di reindustrializzazione della Ferriera e stabilisce che le parti contraenti concordano sulla necessità di avviare interventi di riconversione industriale, che consentano il «conseguimento degli obiettivi di attrazione ed insediamento di nuove iniziative industriali in grado di assicurare prospettive di stabile e duratura occupazione»;
          sono solo generici gli impegni sul mantenimento del livello occupazionale dello stabilimento, mancando completamente un chiaro indirizzo in tal senso, visto che l'articolo 14 dell'accordo, relativo agli impegni tra le parti, al comma 3 prevede solo interventi per la riqualificazione e la formazione dei lavoratori che potranno essere attivati dal Ministero dello sviluppo economico anche con il coinvolgimento delle agenzie di lavoro;
          impegni generici delle parti sono previsti nei successivi articoli dell'Accordo relativi all'ASSE II – interventi di riconversione e riqualificazione produttiva dell'area di crisi industriale complessa di Trieste;
          sulla proposta di acquisto di Siderurgica Triestina dovrà esprimersi il Ministero dello sviluppo economico, autorizzando la vendita come previsto per le aziende in crisi poste in amministrazione straordinaria;
          ad oggi non è stato raggiunto un accordo tra l'amministrazione straordinaria dell'impianto e Arvedi su chi debba finanziare la prosecuzione dei lavori nella cokeria, unico reparto ancora in funzione in Ferriera, e per questo motivo si profila per circa 300 operai il ricorso alla cassa integrazione guadagni a zero ore, con evidenti effetti negativi sul tessuto sociale ed economico del capoluogo giuliano;
          non risulta reso pubblico nessun piano industriale, di recupero ambientale e occupazionale per la Ferriera, circostanza che rende poco credibile la reale riconversione di questo sito produttivo  –:
          se il Ministro interrogato ritenga opportuno che la Ferriera possa essere venduta a una società il cui amministratore unico è rinviato a giudizio per fatti commessi mentre ricopriva il ruolo di direttore dello stesso impianto;
          se nella valutazione della proposta d'acquisto si chiederà all'acquirente uno specifico impegno, assente nell'accordo summenzionato, per salvaguardare l'attuale livello occupazionale dello stabilimento;
          quali garanzie saranno richieste sul rispetto puntuale dell'Accordo e in base a quali criteri, nel rispetto all'Accordo summenzionato, sarà approvata la vendita dell'impianto. (5-03409)

Interrogazione a risposta scritta:


      PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          Coca Cola Hbc Italia, società operativa per il nostro Paese della nota multinazionale, in data 16 luglio 2014 ha aperto la procedura di mobilità per le lavoratrici e i lavoratori impiegati nella sede operativa di Campogalliano, per un totale di 57 unità;
          si tratta di impiegati addetti al supporto dell'attività commerciale, che si uniscono all'ulteriore procedura di mobilità aperta dalla stessa società il 15 luglio contro 249 dipendenti dell'area commerciale sull'intero territorio nazionale;
          Coca Cola Hbc, pur in un quadro di contrazione delle vendite nel nostro Paese, continua a mantenere importanti utili, quantificabili in 70 milioni di euro;
          la scelta di aprire la procedura di mobilità non è quindi da collegare ad uno stato di crisi, ma piuttosto alla volontà di mutare l'organizzazione aziendale, spostando all'estero, e in particolare in Bulgaria, alcuni servizi funzionali alla vendita, e lasciando ipotizzare esternalizzazioni sul territorio italiano, con conseguente peggioramento delle condizioni di lavoro;
          in questo momento è aperta una vertenza sindacale a tutela della continuità occupazionale, che dovrebbe essere un interesse prioritario della politica e del Governo, in un quadro di disoccupazione che sembra esseri stabilizzata su livelli socialmente insostenibili   –:
          quali iniziative il Governo intenda adottare nei confronti di un grande gruppo multinazionale con evidenti, forti interessi commerciali nel nostro Paese, cui non corrisponde un'adeguata contropartita sul piano della tenuta occupazionale. (4-05758)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Piras n.  4-05703 del 28 luglio 2014.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      MASSIMILIANO BERNINI e SIBILIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il concorso pubblico per esami per la nonnina di quattrocento (400) allievi vice ispettori del Corpo forestale dello Stato, è stato indetto il 23 novembre 2011, come pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – IV serie speciale «Concorsi ed esami» n.  94 del 29 novembre 2011;
          gli accertamenti di idoneità psico-fisica ed attitudinale che secondo l'articolo 5 del bando dovevano essere eseguiti tra la prova preliminare e la prova scritta, sono stati posticipati dal DCC del 31 ottobre 2012 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 6 novembre 2012, dopo la prova scritta;
          le date della prova scritta sono comparse sul sito della società Selex, incaricata di compilare ed organizzare le prove scritte, circa una settimana prima della comunicazione ufficiale in Gazzetta Ufficiale, agevolando in tal modo quei candidati che sono venuti a conoscenza in anticipo delle date delle prove scritte tramite web, ottenendo un vantaggio per lo meno sotto il profilo psicologico, rispetto ai candidati che hanno appreso le date degli esami scritti dagli organi ufficiali di comunicazione (Gazzetta Ufficiale);
          in merito alle prove di accertamento di idoneità psico-fisica ed attitudinale dei candidati, le cui date sono state rese note il 23 luglio 2013, sono in seguito usciti due aggiornamenti sulle modalità di esecuzione delle prove stesse nella sezione «domande frequenti F.A.Q.» in data 25 luglio 2013 ed in data 22 agosto 2013, quando ormai alcuni candidati avevano già eseguito le visite mediche richieste per partecipare alla selezione;
          per gli stessi accertamenti non sono stati resi noti i valori dei limiti inferiori e superiori dei parametri ematici per i quali si possa o meno risultare idonei e questo a differenza di quanto accade in concorsi di altri corpi, ove i valori per l'idoneità vengono resi noti, anche in anticipo rispetto allo svolgimento delle prove e delle visite mediche. Rimanendo tutt'ora questa indicazione ignota, come minimo gli aspiranti allievi vice ispettore risultano tutt'ora privati dell'opportunità di auto-valutazione delle propria idoneità, soprattutto nel caso di coloro che non abbiano superato questa fase del concorso;
          per gli stessi accertamenti alcuni candidati hanno richiesto delucidazioni telefoniche al numero indicato dal concorso, ma non hanno ricevuto risposte esaurienti;
          per quanto concerne le prove orali, in corso di svolgimento dal giorno 14 gennaio 2014, non sono stati indicati, a differenza di precedenti concorsi per il Corpo forestale, testi di riferimento utili a consentire ai candidati di finalizzare la preparazione sulle materie di esame effettivamente previste, comportando evidentemente una disparità di condizioni tra gli esaminati nei primi giorni e quelli dei giorni successivi, avendo quest'ultimi la possibilità di individuare gli argomenti e gli aspetti salienti delle materie d'esame prese in maggiore considerazione da parte delle commissioni esaminatrici;
          negli esami orali la metodologia di selezione delle tre domande di esame, per ciascun candidato, prevede l'estrazione dei testi dei quesiti da tre distinte urne, ciascuna contenente un numero di testi pari al numero degli esaminati in lista nella specifica giornata d'esame, ciò comporta che nella stessa sessione d'esame, vi siano candidati che si trovano a sorteggiare tra un numero significativo di quesiti ed altri che hanno opportunità di estrarre i quesiti da un campione contenente un numero di domande tendente ad uno  –:
          quali iniziative si intendano porre in essere, o siano già state poste in essere, per fare sì che le procedure ed il percorso di valutazione degli aspiranti allievi vice ispettori rispettino il principio di equità di condizioni tra tutti i candidati, soprattutto alla luce delle succitate possibili irregolarità procedurali delle diverse fasi del concorso pubblico oggetto di questa interrogazione. (4-03923)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla procedura concorsuale per la nomina di quattrocento allievi vice ispettori del Corpo forestale dello Stato, di cui al bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – IV serie speciale «Concorsi ed esami» n.  94 del 29 novembre 2011, faccio presente quanto segue.
      Al fine di adeguare la procedura concorsuale
de qua a quanto già previsto in relazione alle prove per il reclutamento presso altre amministrazioni del comparto, ma soprattutto per evitare spreco di risorse e costi, è stato disposto in conformità con quanto stabilito dall'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 27 febbraio 1991, n.  132, che gli accertamenti di idoneità psico-fisica ed attitudinale, fossero collocati dopo la prova d'esame e prima del colloquio.
      La prova concorsuale è stata articolata su quiz estratti da una banca dati, di cui tutti i candidati hanno potuto avere conoscenza a partire dallo stesso giorno. Quest'ultimo elemento è garante della pari opportunità di preparazione per tutti i candidati, a prescindere della conoscenza della data della prova scritta.
      Relativamente agli aggiornamenti, nella sezione «domande frequenti FAQ», preciso che gli stessi hanno avuto carattere meramente informativo, peraltro, nei casi in cui l'aggiornamento riguardasse l'incompletezza della documentazione sanitaria prodotta dal candidato, preciso che, laddove la documentazione presentata fosse stata incompleta, il candidato è stato messo nella condizione di procedere all'integrazione documentale, senza mai dedurre l'esclusione dall’
iter concorsuale.
      Con riguardo all'accertamento sanitario, e in particolare alla contestata mancanza della pubblicazione dei valori dei parametri ematici, rilevo che ciò è in linea con i comportamenti delle amministrazioni di riferimento del comparto, presso le cui strutture sono stati espletati gli accertamenti sanitari. Nondimeno, alcun candidato è stato escluso solo per un valore ematico al di fuori dei limiti.
      Ed invero, il singolo valore ematico espresso dal certificato di analisi è semplicemente un elemento nell'ambito di una valutazione medica ben più ampia.
      In merito alle delucidazioni telefoniche sugli accertamenti medici, richieste da alcuni candidati al numero indicato dal concorso, evidenzio che, in mancanza di maggiori elementi sul contenuto delle richieste, appare difficile fornire una valutazione oggettiva sulle risposte poco esaurienti ricevute dagli stessi candidati.
      Ciò detto e con riguardo al sorteggio dei quiz per la prova orale, il criterio adottato assicura la massima trasparenza in quanto il sorteggio giornaliero avviene nell'ambito di un numero di quesiti superiore a quelli da sorteggiare ed è strutturato come sorteggio progressivo e unitario. Il quesito sorteggiato per l'ultimo candidato non è il risultato di un sorteggio circoscritto ai quesiti residui ma è il risultato di un sorteggio esteso al complesso dei quesiti predisposti per l'intera sessione, ossia è il risultato della somma di tutti i sorteggi effettuati di volta in volta dai vari candidati convocati per quella sessione, sempre alla presenza del pubblico
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Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      CARIELLO, BRESCIA, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'avvocato Francesco Miulli, con testamento olografo del 14 novembre 1712, dando vita ad un negozio di fondazione, ha lasciato in eredità tutti i suoi beni a «lo Spedale di Acquaviva seu li poveri infermi d'Acquaviva», ospedale che voleva si realizzasse nelle sue «case palazziate», come di fatto è poi avvenuto, eseguendo le volontà testamentarie;
          il 27 dicembre 1896 il decreto reale di Umberto I, su proposta del Ministro dell'interno Di Rudini, sentito il Consiglio di Stato, ai sensi della legge n.  6972 del 17 luglio 1890 «Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza», approvava, secondo il testamento e la continuità storica, lo «statuto organico dell'Ospedale civile di Acquaviva delle Fonti», preventivamente approvato, in data 20 gennaio 1896, anche dal consiglio comunale di Acquaviva delle Fonti e tuttora vigente;
          la legge n.  132 del 12 febbraio 1968 «Enti Ospedalieri e assistenza ospedaliera» all'articolo 3 dispone che «Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza... sono riconosciute di diritto enti ospedalieri equiparati all'amministrazione dello Stato», ed al successivo articolo 4 dispone che «con decreto del Presidente della Regione su delibera della Giunta Regionale... gli enti pubblici di cui al primo comma dell'articolo precedente sono dichiarati enti ospedalieri», come puntualmente è avvenuto, ad esempio, per l'Ospedale «Galliera» di Genova;
          una sentenza del TAR Puglia di Bari (n.  340 del 26 aprile 1977) ha qualificato l'ospedale Miulli «ente ecclesiastico munito di personalità giuridica pubblica» è stata privata di ogni e qualsiasi validità giurisdizionale per effetto della sentenza n.  2922 dell'11 maggio 1982 della Cassazione Civile a s.u., che ha riconosciuto al decreto Reale un valore dichiarativo assoluto, tanto che in sua presenza non può darsi luogo a sentenza del giudice e quindi neppure a quella del TAR. E si rammenta pure che, con maggiore specificità, il Pretore di Acquaviva delle Fonti, in data 8 marzo 1974, con la sentenza n.  23, aveva dichiarato che «l'Opera Pia Miulli indubbiamente appartiene alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza di prima classe», di cui parla l'articolo 3 della citata legge 132/1968 perché diventino «di diritto» enti ospedalieri;
          l'1 ottobre 1987, è stato firmato, non dal Ministro dell'interno come prescriveva il decreto del Presidente della Repubblica n.  33 del 13 febbraio 1987, articolo 15, ma da un direttore generale, senza il protocollo dell'ufficio emittente, un atto dichiarativo che ha riconosciuto la titolarità dei beni citati all'Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto come «Ospedale Francesco Miulli»;
          l'atto ricognitivo repertorio n.  21123, Raccolta n.  7298, registrato a Bari in data 3 aprile 2007 al n.  2522/1A del Notaio Francesco Paolo Petrera, con premessa del succitato attestato dell'1 ottobre 1987, formalizza e notifica l'appropriazione discutibile di un patrimonio demaniale da parte di un «Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto come “Ospedale Francesco Miulli”» con sede in Acquaviva delle Fonti (BA). Tale patrimonio è inserito anche come garanzia nella fase fallimentare in corso dell'ospedale stesso, come da atti depositati presso il tribunale;
          nelle due sentenze del 9 maggio 2013, n.  02522 e n.  02529, il Consiglio di Stato non accetta l'identità soggettiva dell'Ente ecclesiastico con l'Ospedale Miulli, ma distingue i due enti nella loro soggettività giuridica, trattandosi dell’«Ente ecclesiastico che gestisce l'Ospedale “Miulli”», confermando pertanto che non esista un ospedale che sia ente ecclesiastico;
          se il Ministro dell'interno intenda avviare un urgente ricognizione relativa ai contenuti dell'atto dell'1 ottobre 1987, vista la procedura di fallimento in corso, al fine di fornire ogni utile elemento, qualora richiesto, per contribuire al chiarimento della intricata vicenda descritta in premessa. (4-04497)

      Risposta. — L'ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti (BA) già in epoca preconcordataria godeva di natura di ente di culto derivante dall'atto testamentario di Francesco Miulli risalente al 1712.
      Da tali disposizioni testamentarie emerge con chiarezza l'intenzione di costituire un ospedale e di collocarlo in ambito ecclesiastico. In esse è previsto, infatti, l'affidamento alla Chiesa, oltre che dell'amministrazione dei beni ereditari, anche del governo e della gestione dell'ospedale, compiti che vennero immediatamente assunti dall'Autorità ecclesiastica e che nel corso degli anni sono stati costantemente mantenuti.
      Attualmente l'ente ecclesiastico «Ospedale Francesco Miulli» ha come legale rappresentante il vescovo
pro-tempore della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti ed è gestito in via ordinaria da un delegato del vescovo medesimo.
      Ciò premesso, si rappresenta che l'Amministrazione dell'interno, nell'ambito delle proprie specifiche competenze, con decreto ministeriale del 1o ottobre 1987, ha riconosciuto all'ente ecclesiastico in questione la personalità giuridica di diritto civile per «antico possesso di stato» ai sensi dell'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 1987, n.  33. Sulla base di tale atto, l'ente è stato iscritto nel registro delle persone giuridiche del Tribunale di Bari.
      Riguardo alla firma del provvedimento, si precisa che in quel periodo quel tipo di atti poteva essere firmato anche dal direttore generale competente in quanto evidentemente vi era una delega di firma da parte del Ministro
pro-tempore ai direttori generali.
      In ordine al mancato numero di protocollo, si fa presente che all'epoca gli attestati non avevano una numerazione autonoma progressiva, ma venivano semplicemente individuati mediante il numero di fascicolo.
      Quanto ai contenuti, il provvedimento ha attestato semplicemente il dato di fatto storico ovvero che l'ente in parola godeva della personalità giuridica civile, come già detto, sin da epoca precedente al concordato del 1929 tra Stato e Chiesa cattolica, ragion per cui non vi è alcun tipo di potere di revisione o ricognizione esercitabile dall'Amministrazione dell'interno sul provvedimento medesimo in connessione con le vicende in cui l'ente è rimasto coinvolto
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Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.


      CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il 23 novembre 2013, il cratere di sud-est ha prodotto una spettacolare eruzione durata qualche settimana;
          l'attività eruttiva ha prodotto numerose e forti esplosioni accompagnate da potenti boati. Si sono formate due o tre piccole colate di lava in direzione sud ed in direzione est;
          questa attività eruttiva, come si può facilmente accertare dai numerosi video pubblicati su internet e dai numerosi articoli di stampa, ha causato enormi danni alle popolazioni ed alle attività economiche, soprattutto agricole;
          la giunta regionale siciliana, su proposta del direttore generale della protezione civile, ha, conseguentemente, approvato la dichiarazione di stato di calamità per i seguenti comuni della provincia di Catania: Adrano, Biancavilla, Castiglione di Sicilia, Calatabiano, Fiumefreddo di Sicilia, Linguaglossa, Piedimonte Etneo, Mascali, Milo, Sant'Alfio. Per quanto riguarda, invece, la provincia di Messina, i comuni interessati sono Castelmola, Giardini Naxos, Letojanni e Taormina;
          secondo quanto hanno dichiarato i massimi vertici della regione siciliana, la dichiarazione si è resa necessaria per i rischi alla salute umana che si creano per l'emissione di ceneri, nonché per i rischi alla circolazione sia veicolare che pedonale, per l'intasamento dei tombini e delle caditoie, per le attività produttive e per gli insediamenti industriali, agricoli e turistici;
          proprio in questo momento, il vulcano Etna ha ripreso la sua attività eruttiva continuando a provocare danni e disagi a cose e persone e non si riesce a prevedere la fine di questa eruzione;
          a giudizio dell'interrogante, il Ministro interrogato dovrebbe dichiarare lo stato di calamità per i territori dei comuni individuati dalla regione siciliana colpiti da questi eccezionali eventi vulcanico-atmosferici;
          a giudizio dell'interrogante si dovrebbe prevedere, per almeno l'immediato anno prossimo venturo, lo sgravio o l'eliminazione dei contributi agricoli, la riduzione del 50 per cento dei redditi domenicali e agricoli dei terreni catastali e l'erogazione di maggiori e migliori aiuti economici destinati al sostentamento del settore agricolo in generale e degli agricoltori nello specifico  –:
          quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-02984)

      Risposta. — In esito all'interrogazione concernente la dichiarazione dello stato di calamità per i territori della provincia di Catania e Messina, a seguito degli eventi eccezionali vulcanico-atmosferici del 23 novembre 2013, riferisco quanto segue.
      Come noto, per il sostegno alle imprese agricole colpite da un'eruzione vulcanica, in aggiunta agli interventi già previsti dalle ordinanze di protezione civile e dal decreto-legge n.  74 del 2011, possono essere avviati, su richiesta regionale e previa notifica alla Commissione europea, gli interventi compensativi del Fondo di solidarietà nazionale di cui al decreto-legge n.  102 del 2004, nel testo modificato dal decreto legislativo n.  82 del 2008.
      Tuttavia, a tale riguardo, è utile far presente che ad oggi non risulta pervenuta alcuna richiesta da parte della Regione siciliana e che pertanto, in ragione del lasso di tempo oramai trascorso, appare possibile ritenere che la stessa non abbia riscontrato l'esistenza delle condizioni di legge per l'attivazione del Fondo di solidarietà nazionale
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Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          l'11 gennaio, il quotidiano La Sicilia ha pubblicato un articolo a firma di Giorgio Petta in cui si denuncia la concorrenza sleale dell'Egitto in materia di produzione ed importazione di agrumi che non rispettano, fino a prova contraria, i requisiti minimi fito-sanitari e gli obblighi di etichettatura con l'indicazione del Paese d'origine come d'obbligo per tutta l'ortofrutta;
          secondo quanto denunciano le maggiori associazioni dei produttori di agrumi, nel 2013 le importazioni di agrumi dall'Egitto sono aumentate del 110 per cento fino alla quantità di più di 7 mila tonnellate annue con una evidente turbativa di mercato;
          questi agrumi, arance nella quasi totalità, sono venduti a prezzi stracciati ad ogni angolo di strada siciliana e nazionale;
          i costi di produzione non possono, e non debbono a giudizio dell'interrogante, essere messi a confronto con economie in crescita e tutte da regolare come quella egiziana;
          acquistare direttamente dal produttore o verificare la provenienza attraverso l'etichetta sulla quale l'origine deve essere indicata, significa tutelare la salute e mantenere in moto un'economia che ha investito parecchio in termini di qualità;
          l'agrumicoltura siciliana occupa più di 70 mila ettari di terreni coltivati ed incide per più del 13 per cento del Pil dell'isola ed occupa quasi 135 mila lavoratori;
          se si osserva il dato aggregato, come da fonte Eurostat, si nota che i terreni destinati alla coltivazione di agrumi e la produzione degli stessi sono diminuiti nel 2012 rispetto al 2011 e, corrispondentemente, sono aumentate le importazioni di agrumi da Paesi terzi con Spagna, Sudafrica ed Argentina;
          l'aspetto del saldo della nostra bilancia commerciale in materia è semplicemente preoccupante. La nostra produzione agrumicola è seconda solo a quella di Stati Uniti e Brasile, la vastità dei cui territori è di tutta evidenza rispetto all'Italia, eppure il saldo della bilancia commerciale è negativo sia in termini di quantità che in valore economico: meno 167 mila tonnellate e meno 128 milioni di euro;
          ad aggravare la situazione del settore si deve anche registrare il trend negativo delle importazioni che crescono al ritmo di un più 27 per cento per le arance, più 5 per cento per i limoni e un più 16 per cento per le clementine;
          a giudizio dell'interrogante occorre richiedere all'Unione europea l'applicazione delle clausole di salvaguardia per turbativa di mercato  –:
          quali iniziative intenda adottare il Governo per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-03295)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente la problematica relativa all'importazione di agrumi dall'Egitto che non rispettano i requisiti minimi fitosanitari e gli obblighi di etichettatura con l'indicazione del Paese d'origine come d'obbligo per tutta l'ortofrutta, faccio presente quanto segue.
      Dall'analisi della situazione di mercato delle arance si è potuto constatare che nel corso delle prime settimane di gennaio 2014 il mercato del comparto agrumicolo si è venuto a trovare in una situazione di flessibilità delle quotazioni, la cui causa è da ricercare nella debole domanda interna ed estera che ha generato una riduzione delle quotazioni medie.
      Le importazioni provenienti dall'Egitto nel corso dei primi 10 mesi del 2013 sono ammontate a 7.575 tonnellate con un aumento del 113 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012 e per un valore pari a 3,717 milioni di euro (+124 rispetto al 2012), pertanto i dati del 2013, come ricordato dall'interrogante.
      Le importazioni del 2013 dall'Egitto, nonostante i notevoli incrementi, rappresentano solo lo 0,38 per cento della nostra produzione nazionale (considerata mediamente pari a 2.000.000 di tonnellate).
      Pertanto, in considerazione della situazione del mercato condizionato da una domanda inferiore all'offerta produttiva nazionale e non da eccessi di importazione, non si ritiene che ci siano le condizioni per ipotizzare la richiesta di una eventuale clausola di salvaguardia a causa delle importazioni dall'Egitto.
      Ciò posto, per quanto di competenza, in relazione al servizio fitosanitario centrale, ricordo che il decreto legislativo 19 agosto 2005, n.  214, stabilisce quali sono le misure di protezione e i requisiti necessari ad evitare l'introduzione nella comunità di organismi nocivi ai vegetali e ai prodotti vegetali.
      In particolare l'allegato V, del suddetto decreto, elenca i prodotti che per essere importati all'interno del territorio nazionale, devono essere scortati dal certificato fitosanitario di origine e sottoposti al controllo obbligatorio al loro ingresso.
      Nell'allegato IV, parte A, sezione I, sono elencati per ogni vegetale, i requisiti fitosanitari che devono essere soddisfatti per l'emissione del certificato fitosanitario.
      Il certificato fitosanitario, viene emesso dal servizio fitosanitario del Paese esportatore, che provvederà alla verifica di tutti i requisiti necessari.
      In particolare, per quanto concerne i frutti di
Citrus L. è necessario che questi, al fine di entrare nel territorio europeo, siano privi di peduncoli e foglie, che siano contenuti in un imballaggio che rechi un adeguato marchio di origine e che provengano da Paesi indenni da particolari organismi nocivi che sono patogeni di questi frutti.
      In base a detto decreto, i servizi fitosanitari regionali competenti per territorio assicurano che le spedizioni o le partite provenienti da un Paese terzo, siano tutte ispezionate presso i punti di entrata nazionali al fine di verificare che siano stati rispettati i requisiti minimi fitosanitari. In base ai controlli effettuati dai servizi fitosanitari regionali negli ultimi quattro anni, non risultano intercettazioni di partite di agrumi non conformi alle misure fitosanitarie del nostro Paese, provenienti dall'Egitto
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Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      CIRIELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca al nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, al settore agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
          la Terra dei Fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
          in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
          lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
          l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
          il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
          deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e soprattutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
          l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
          l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
          nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
          la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
          altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
          occorre, allora, ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
          il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
          l'omissione delle informazioni sull'origine di un prodotto agroalimentare ed una pubblicità che suggerisca un legame inesistente tra un prodotto ed un territorio aumentano in modo significativo il rischio di confusione;
          la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono pregiudica l'immagine del patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
          l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento CE 25 ottobre 2011, n.  1169 del 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, impone come obbligatoria l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, fissando alla Commissione il termine del 13 dicembre 2013 per adottare le disposizioni di attuazione dell'obbligo  –:
          se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità degli stessi, quali iniziative di competenza intendano promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio con l'estero, al fine di prevenire le pratiche fraudolente o ingannevoli, ai danni del made in Italy o, comunque, ogni altro tipo di operazione o attività commerciali in grado di indurre in errore i consumatori e, ancora, la più ampia trasparenza delle informazioni relative ai prodotti alimentari ed ai relativi processi produttivi e l'effettiva rintracciabilità degli alimenti nazionali;
          quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n.  1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza;
          se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative per l'adozione di un sistema analogo a quello previsto dall'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n.  9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine dei prodotti, nonché assicurare l'accesso ai relativi documenti da parte dei consumatori, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche. (4-02976)

      Risposta. — In via preliminare, con riguardo all'allarmismo mediatico concernente l'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, informo che, con il decreto-legge n.  136, del 10 dicembre 2013, convertito, con modificazioni, con la legge n.  6 del 6 febbraio 2014, sono state emanate una serie di disposizioni urgenti tese a fronteggiare l'emergenza ambientale nei territori della regione Campania.
      Peraltro, il decreto
de quo, allo scopo di determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di monitoraggio, tutela e bonifica nei territori della regione Campania, ha previsto l'istituzione di un comitato interministeriale, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
      Premesso ciò, in materia di tutela del
made in Italy e di indicazione, sulle etichette dei prodotti agro-alimentari, del Paese d'origine o del luogo di provenienza, mi preme innanzitutto ricordare che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha sempre svolto un ruolo determinante nelle trattative europee, concertando la posizione negoziale con il Ministero della salute, con l'obiettivo di difendere, sui mercati nazionali ed esteri, la competitività della produzione italiana e soprattutto il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità.
      Infatti, segnalo con soddisfazione la recente adozione, anche grazie al sostegno dell'Italia, del regolamento di esecuzione dell'Unione europea n.  1337 del 2013 della Commissione del 13 dicembre 2013 che stabilisce criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introducendo la prescrizione relativa all'indicazione del Paese di origine, o luogo di provenienza, nel quale gli animali sono stati allevati e macellati. Tale regolamento è stato, tra l'altro, adottato nel rispetto del termine del 13 dicembre 2013 di cui all'articolo 26, paragrafo 8, del regolamento (CE) n.  1169 del 2011 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di informazioni sugli alimenti ai consumatori.
      La modifica del quadro giuridico europeo di riferimento rappresenta un risultato notevole a beneficio dei consumatori poiché garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del
made in Italy.
      A tal proposito si può affermare che le modifiche apportate al testo originario proposto dalla Commissione, tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale, sono state sostenute in sede negoziale dalla delegazione italiana proprio con la finalità di evitare di fornire al consumatore informazioni con modalità poco trasparenti o addirittura fuorvianti rispetto alla realtà produttiva, contribuendo quindi a dare maggiore chiarezza circa le procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta che segue anche la carne suina nelle varie fasi di commercializzazione e alla tutela del made in Italy.
      Il citato regolamento di esecuzione n.  1337 del 2013 prevede, infatti, la possibilità di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese nonché di indicare il luogo di provenienza delle carni secondo un preciso schema differenziato in funzione delle diverse specie.
      Nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento dell'Unione europea n.  1169 del 2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento di esecuzione suddetto consente, inoltre, alle aziende l'integrazione delle informazioni sull'origine anche con ulteriori informazioni, tra cui un livello geografico più dettagliato.
      Il sistema europeo sintetizzato si applicherà a partire dal 1o aprile 2015.
      Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ai sensi degli articoli 26, paragrafo 2, lettera a), e 39 del regolamento dell'Unione europea n.  1169, del 25 ottobre 2011, svolge, attraverso il proprio sito istituzionale, una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l'indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l'omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole. Aggiungo che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ai sensi dell'articolo 39, paragrafo 2, del citato regolamento dell'Unione n.  1169, del 25 ottobre 2011, in collaborazione con il Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, svolge studi diretti a individuare, su scala territoriale, i legami tra talune qualità dei prodotti alimentari e la loro origine o provenienza. I risultati delle consultazioni effettuate e degli studi eseguiti sono resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea.
      Nella consapevolezza della valenza concreta di quanto raggiunto a livello europeo, le istituzioni italiane saranno impegnate affinché il predetto Regolamento sia applicato in modo concreto e conforme in relazione a tutte le disposizioni in esso contenute.
      Voglio sottolineare, inoltre, che l'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari è impegnato costantemente a garantire il rispetto delle regole nelle diverse fasi della filiera produttiva e a tutelare e salvaguardare i consumatori dall'eventuale commercializzazione di alimenti contraffatti. Ed è proprio per l'importanza che il settore agro alimentare ha per l'economia nazionale che in questi ultimi anni, l'ispettorato ha posto particolare attenzione alle produzioni di qualità più rappresentative del
Made in Italy (formaggi, vini, olio d'oliva, pasta, frutta, salumi, conserve vegetali, ecc.) ivi comprese le produzioni tutelate. In tale contesto, infatti, acquisiscono sempre maggior rilevanza tutte quelle azioni volte a difendere la qualità e l'identità, nel senso più stretto del termine, dei nostri prodotti agro-alimentari, sia dentro che fuori i confini nazionali. Per tali motivi l'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari ha intrapreso misure di collaborazione con l'Agenzia delle dogane e le capitanerie di porto, per migliorare l'attività di monitoraggio dei flussi d'introduzione dei prodotti agroalimentari provenienti da Paesi terzi ed evitare fraudolente commercializzazioni di alimenti falsamente dichiarati «italiani» sul territorio nazionale.
      Ritengo che queste azioni, insieme ad altri strumenti cogenti come la tracciabilità e l'obbligo d'indicazione dell'origine dei prodotti, possano contribuire a rendere maggiormente efficace l'azione degli organi di controllo e tutelare in maggior misura i consumatori e gli operatori di settore.
      Nonostante le scarse risorse finanziarie, ho chiesto fin dai primi giorni del mio mandato che gli accertamenti sulla filiera agroalimentare fossero intensificati e razionalizzati per incrementarne l'efficacia anche attraverso un coordinamento più forte degli organi di controllo afferenti al Ministero da me presieduto, in modo da potenziare le sinergie d'intervento ed evitare nel contempo inutili sovrapposizioni di verifiche ispettive a carico degli stessi operatori.
      Queste misure, unitamente ad un rafforzamento degli strumenti normativi e all'implementazione ed interconnessione delle banche dati permettono di individuare gli operatori più a «rischio» e contribuiscono a rendere maggiormente efficace l'azione degli organi di controllo nell'intero comparto agro alimentare
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Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      CORSARO. — Al Ministro dell'interno. Per sapere – premesso che:
          diversi organi di stampa hanno riportato la notizia della presenza ad Arsago Seprio, un comune della provincia di Varese, di 50 stranieri che dovrebbero essere ospitati a carico della stessa amministrazione comunale in alcuni miniappartamenti di una zona residenziale;
          gli stranieri sarebbero stati destinati ad Arsago in forza di una convenzione stipulata dal Ministero dell'interno con una cooperativa che si occupa di raccogliere coloro che vengono respinti da altri Stati europei e rispediti nel Paese di primo ingresso, affinché siano gestiti fino a quando non sia eventualmente verificato lo status di rifugiato;
          in data 27 febbraio 2014, infatti, sui portale di informazione online denominato «ininsubria» (www.ininsubria.it) è stato pubblicato un articolo dal titolo «Rifugiati ad Arsago Seprio: la battaglia arriva in Senato»;
          la stessa notizia è stata ripresa in data 28 febbraio 2014 dal quotidiano La Prealpina (quotidiano indipendente di informazione, fondato nei 1888, registrato presso il Tribunale di Varese al n.  14 del 21 giugno 1948) che ha pubblicato un articolo dai seguente letterale tenore: «Asilanti nei residence, vicini in rivolta – incubo per 17 famiglie in via Fermi: una palazzina assegnata a una cooperativa che segue stranieri disagiati», nonché dai quotidiano La Provincia di Varese (quotidiano di informazione, registrato presso il Tribunale di Varese ai n.  880 del 28 settembre 2005), con un articolo dai titolo: «Arsago, riecco i rifugiati – ultimatum di Candiani»;
          a seguito delle proteste dei cittadini arsaghesi, la giunta comunale del comune di Arsago Seprio, con delibera n.  34 dei 25 febbraio 2014, ha espresso «al Prefetto di Varese la contrarietà dell'amministrazione comunale per la creazione di un centro asilanti in Arsago Seprio in zona dedicata alla residenza, malservita da servizi pubblici, senza particolari strutture e servizi adeguati ad un incremento di ogni qualsivoglia richiesta, già ora evasa con difficoltà e con scarsi collegamenti con i Comuni limitrofi», chiedendo un incontro con il medesimo prefetto;
          nella stessa delibera l'amministrazione ha dichiarato di essere stata informata «per “galanteria” da una cooperativa romana, vincitrice di un bando del Ministero dell'interno, della procedura già in atto con un privato per la realizzazione di un centro di alloggio costituito da 14 mini appartamenti da destinare ad asilanti» e, in ogni caso, di aver «manifestato subito perplessità in merito durante l'unico incontro interlocutorio, esclusivamente a livello verbale senza la presentazione di alcuna documentazione progettuale circa tale intervento né di richiesta ufficiale documentata, e che pertanto rimandava ogni decisione al periodo post elettorale (mese di giugno)»;
          con la delibera, infine, la giunta comunale ha rilevato che «il luogo in cui dovrebbero insediarsi questi “mini appartamenti” si trova in un complesso residenziale costituito da villini ed appartamenti», e che «in data 25 febbraio 2014 il sindaco è stato informato da alcuni residenti dell'inizio dei lavori, peraltro da verificare dal punto di vista urbanistico, per la realizzazione di tale progetto, del quale non si ha alcuna documentazione presso l'Ente Comunale», riscontrando la mancanza delle strutture e delle risorse finanziarie per garantire i servizi alle persone che saranno accolte nel costituendo centro asilanti  –:
          se sia informato delle notizie riportate in premessa, e se corrispondano al vero;
          se siano state messe a disposizione delle risorse finanziarie in favore delle persone contemplate dalla convenzione e, se del caso, a quanto ammontino e con quali procedure siano siate erogate;
          se sia possibile che l'alloggiamento di queste persone straniere per un periodo di tempo prolungato e indefinito presso un comune possa avvenire senza che l'amministrazione comunale ne sia informata, e, se del caso, in base a quali previsioni normative o regolamentari;
          quali provvedimenti intenda assumere in merito alla vicenda, anche alla luce delle proteste sostenute sia da parte dell'amministrazione comunale, sia da parte della cittadinanza. (4-03903)

      Risposta. — La vicenda oggetto dell'interrogazione si inserisce nell'ambito dei «Programmi annuali Fer» (Fondo europeo per i rifugiati), gestiti direttamente dal Ministero dell'interno, e finalizzati alla prima accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.
      Alcune iniziative sono, in particolare, dedicate ai cosiddetti «Dublinanti» ossia a quei migranti che raggiungono il nostro paese, trasferiti da altri Stati dell'Unione europea, attraverso valichi aeroportuali, la cui richiesta di asilo, in base alle disposizioni dettate dal Regolamento di Dublino, deve essere valutata dalla competente Commissione per il riconoscimento della protezione internazionale italiana.
      In tale contesto, specifici progetti finanziati dal Fer, hanno l'obiettivo di supportare i territori ove sono localizzati i principali punti di arrivo aeroportuali nell'attività di accoglienza temporanea dei richiedenti protezione internazionale, dotando le strutture dedicate di adeguate risorse finanziarie per l'erogazione degli opportuni servizi di prima assistenza.
      In particolare, con riferimento alla frontiera aerea dell'aeroporto intercontinentale di Malpensa, in provincia di Varese, sono stati attivati 2 progetti gestiti dalla cooperativa «Un Sorriso onlus» di Roma, denominati «Stella» (Servizi di integrazione per l'inclusione sociale dei richiedenti Asilo Dublino) e «Ali» (Assistenza specifica per la vulnerabilità e percorsi integrati di accoglienza per i richiedenti asilo dublino).
      La predetta cooperativa, in seguito all'esito di gara, aveva dapprima individuato tra le stretture di accoglienza un albergo sito nel comune di Cuveglio (Va) e, poi, a causa delle proteste espresse dal sindaco, trasferito la struttura di accoglienza in appartamenti destinati all'ospitalità di nuclei familiari di richiedenti protezione internazionale, siti nel comune di Arsago Seprio (Va).
      Tuttavia, anche in tale circostanza, a seguito delle proteste dei cittadini residenti nella zona interessata, il soggetto responsabile del progetto ha ritenuto necessario optare per una diversa soluzione, individuando la collocazione della struttura nel comune di Ternate (Va), ove attualmente è in corso l'accoglienza dei migranti.
      Si fa presente che i costi dei progetti in questione (euro 399.998 per il progetto Stella ed euro 449.976 per il progetto Ali) sono a completo carico del Fondo europeo per i rifugiati, cofinanziato con risorse dell'Unione europea.
      Si soggiunge, infine, che l'accoglienza nell'ambito dei progetti Fer «Dublino» dei cittadini stranieri segnalati dalla competente Unità Dublino Italiana presso il Ministero dell'interno in esito a richiesta di trasferimento proveniente da un altro Stato membro, si caratterizza per essere temporanea, essendo finalizzata al primo orientamento dei richiedenti, in attesa che i medesimi siano ascoltati dalla competente Commissione per il riconoscimento della protezione internazionale nell'ambito del procedimento di valutazione della loro istanza
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Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.


      COSTA. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
          i consorzi di bonifica svolgono la propria attività, disciplinata da regio decreto n.  215 del 13 febbraio 1933, in parte a carico di contributi dei proprietari obbligatoriamente consorziati e in parte di fondi erogati da enti pubblici, segnatamente dalle regioni;
          i commi 36 e 37 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n.  244, successivamente soppressi, e l'articolo 27 del decreto-legge 31 dicembre 2007, n.  248 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n.  31, nel testo modificato dall'articolo 4-bis, comma 14, del decreto-legge 3 giugno 2008, n.  97 convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n.  129, prevedevano un complessivo riordino dei consorzi, ivi compresa la soppressione o l'accorpamento; la norma prevedeva altresì il mantenimento delle «relative risorse, ivi inclusa qualsiasi forma di contribuzione di carattere statale o regionale»  –:
          quale sia l'importo dei fondi erogati, a qualsiasi titolo, dallo Stato e se sia noto dalle regioni, a favore dei consorzi di bonifica nel corso dell'anno 2012.
(4-01928)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, con riguardo l'entità dei fondi erogati dallo Stato e dalle regioni in favore dei consorzi di bonifica per l'anno 2012, faccio presente quanto segue.
      In via preliminare evidenzio che, il governo della bonifica, inteso quale programmazione economico-finanziaria degli investimenti e pianificazioni delle azioni, compete allo Stato ed alle regioni, secondo il riparto delle competenze, costituzionalmente e legislativamente definito ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione (regio decreto 13 febbraio 1933, n.  215, «Nuove norme per la bonifica integrale», articolo 862 del codice civile e rispettive leggi regionali), mentre ai consorzi di bonifica compete la gestione intesa come realizzazione e manutenzione delle opere.
      La Corte costituzionale (sentenza n.  368 del 1988; sentenza n.  66 del 1992; sentenza n.  407 del 2002) ha rilevato, inoltre, che la bonifica si configura come materia «trasversale» incidente su diversi settori. Ne consegue che compete allo Stato la fissazione dei princìpi fondamentali e alle regioni la disciplina di dettaglio.
      Il decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, identifica i consorzi di bonifica come istituzioni principali destinati alla difesa del suolo, di risanamento delle acque, di fruizione e di gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale e di tutela degli assetti ambientali ad essi connessi.
      In tale contesto normativo, l'articolo 27 del decreto-legge 31 dicembre 2007, n.  248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n.  31, poi prorogato dall'articolo 4-
bis, comma 14, del decreto-legge 3 giugno 2008, n.  97 convertito con modificazioni dalla legge 2 agosto 2008, n.  129 al 31 dicembre 2008, ha previsto un complessivo riordino degli Enti consortili entro il 30 giugno 2008, attraverso la soppressione o l'accorpamento degli stessi, mantenendo, altresì, «le relative risorse, ivi inclusa qualsiasi forma di contribuzione di carattere statale o regionale».
      Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha finanziato, nel corso degli anni, i consorzi di bonifica, per la realizzazione di opere d'irrigazione di rilevanza nazionale, attraverso i programmi approvati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) e condivisi con le regioni competenti per territorio, che hanno indicato, altresì, i progetti prioritari ammissibili al finanziamento.
      Questo Ministero per l'anno 2012, ha trasferito ai consorzi di bonifica delle regioni del centro nord complessivamente circa 60 milioni di euro, importo comprensivo di anticipazioni su nuovi lavori e saldi per lavori ultimati.
      La gestione commissariale ex agensud, istituita dall'articolo 15 del decreto-legge 23 giugno 1995, n.  244 convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1995, n.  341 ha trasferito ai consorzi di bonifica delle regioni meridionali nell'anno 2012 complessivamente 38,75 milioni di euro, sempre per le finalità di cui sopra.
      Sebbene l'amministrazione non sia a conoscenza degli importi erogati dalle singole regioni, posso tuttavia far presente che lo Stato ha trasferito ai consorzi di bonifica, per l'anno 2012, la somma complessiva di 98,75 milioni di euro
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Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          tra i beni monumentali di proprietà del Fondo edifici di culto (FEC), gestito dal Ministero dell'interno e amministrato a livello provinciale dai prefetti, c’è la chiesa seicentesca di Santa Croce e San Francesco, sita nel comune di Nola, in provincia di Napoli (cod. CH00407);
          da diversi anni i rettori della chiesa denunciano inutilmente al dipartimento delle libertà civili e l'immigrazione, alla direzione centrale per l'amministrazione del Fondo edifici di culto, alla prefettura di Napoli e alla soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia, l'abbandono e il gravissimo stato di degrado in cui versano alcune importantissime testimonianze artistiche di pertinenza della chiesa e di proprietà del Fondo stesso;
          in particolare viene segnalato il preoccupante stato di conservazione dei rivestimenti marmorei degli ingressi monumentali della chiesa e del convento ma, soprattutto, i gravissimi danni ai dipinti murali realizzati sulla facciata e sulle pareti dell'angiporto, raffiguranti stemmi, tralci floreali, cartocci roccaille e Santi francescani;
          l'infiltrazione delle acque meteoriche e l'umidità delle murature hanno provocato, infatti, guasti notevoli alle pitture murali, quali sollevamenti e diffusi distacchi dell'intonaco, cadute di colore, alterazione dei pigmenti, macchie, efflorescenze saline  –:
          se non ritenga indispensabile chiarire i motivi dei ritardi e delle inefficienze che stanno rischiando di compromettere in modo definitivo e irreversibile significative testimonianze artistiche di proprietà statale;
          se il Ministro intenda assumere misure immediate per salvaguardare i rivestimenti marmorei e le pitture murali della facciata e dell'angiporto della chiesa di «Santa Croce e San Francesco», sita nel comune di Nola (NA) e di proprietà del Fondo edifici di culto. (4-02236)

      Risposta. — Da un sopralluogo effettuato dalla soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici e storici di Napoli, insieme al responsabile dell'ufficio beni culturali della diocesi di Nola, è emerso che la chiesa di Santa Croce e San Francesco, sita nel comune di Nola e di proprietà del fondo edifici di culto, si presenta complessivamente in buono stato di conservazione.
      In particolare, l'atrio di accesso alla chiesa e al convento, a parte limitate e fisiologiche abrasioni e minime lacune, appare in discrete condizioni, sia per la coesione alle murature, sia per la presentazione estetica. Anche lo stato complessivo delle pitture a tempera nelle lunette è soddisfacente, benché le decorazioni poste sul portale centrale di accesso al convento mostrino abrasioni, risalenti a epoca non recente e, comunque, allo stato attuale, completamente assestate. Inoltre, nel corso del sopralluogo, non sono state rilevate tracce di infiltrazioni di acque meteoriche, né di umidità delle murature e nemmeno fenomeni in corso di distacchi di intonaco, cadute di colore, alterazione di pigmenti, macchie o efflorescenze saline.
      Peraltro, secondo quanto riferito dagli stessi religiosi della provincia dei frati cappuccini di Nola, ubicata presso lo stesso complesso conventuale, nell'ultimo decennio non è stata inoltrata alcuna denuncia sullo stato di conservazione dell'edificio. Anche presso la direzione centrale del fondo edifici di culto – che provvede alla conservazione, alla tutela e alla valorizzazione degli edifici di culto di proprietà – non risulta pervenuta alcuna segnalazione in merito.
      Infine, si segnala che sin dal 1998 la chiesa è stata dotata di un nuovo impianto elettrico ai sensi della legge n.  46 del 1990 e che, proprio per il suo valore artistico e il buono stato di conservazione, nel 2008 è stata inclusa nell'iniziativa di valorizzazione delle «Giornate europee del patrimonio»
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Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.


      DI SALVO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il contrasto alla violenza maschile contro le donne deve essere una priorità per il nostro Paese che va affrontata partendo dalle radici su cui si fonda la violenza stessa e cioè l'incapacità a riconoscere ed accettare la libertà delle donne. È necessario dunque partire dalla scuola e dall'educazione, dalla destrutturazione degli stereotipi, del rafforzamento dell'autonomia e alla libertà delle donne e dal sostegno ai centri anti-violenza;
          con l'insediamento del Governo è stata chiesta a gran voce da associazioni e movimenti la nomina di un/a ministro/a per le pari opportunità, che fosse il punto di riferimento per coordinare tutti gli interventi e le strategie necessarie per contrastare il fenomeno e le discriminazioni che alimentano la violenza;
          il precedente Governo aveva avviato i tavoli di lavoro della task force interministeriale con un confronto tra istituzioni, associazioni e centri antiviolenza per elaborare il nuovo Piano nazionale antiviolenza, individuando misure volte sia alla prevenzione del fenomeno che al sostegno e al rafforzamento delle vittime. Il Dipartimento per le pari opportunità stava svolgendo il suo ruolo istituzionale di coordinamento fra tutte le amministrazioni, centrali e decentrate;
          le associazioni di donne che da anni lavorano sui territori per il contrasto alla violenza in quella sede hanno chiesto la realizzazione di tutte quelle misure e azioni previste dalla Convenzione di Istanbul e dalle direttive internazionali ancora inapplicate in Italia;
          il precedente Governo aveva deciso di distribuire ai Centri antiviolenza e alle case rifugio 17 milioni di euro per il biennio 2013-2014 come previsto dal decreto-legge n.  93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  119 del 2013. Le associazioni che coordinano i centri anti-violenza fra cui D.i.re auspicano che al più presto vengano assegnati ai Centri i finanziamenti stanziati, in un'unica soluzione, al fine di consentire continuità ai progetti di sostegno e aiuto alle donne che intraprendono percorsi di uscita dalla violenza;
          ad oggi il Piano nazionale antiviolenza non è stato ancora rinnovato e i 17 milioni di euro per il biennio 2013-2014 previsti dal decreto-legge sicurezza non sono stati ancora assegnati ai Centri antiviolenza e alle Case rifugio, mettendone seriamente a repentaglio la sopravvivenza  –:
          quali iniziative intenda prendere per mettere il contrasto alla violenza maschile contro le donne come priorità nell'agenda politica del Governo;
          quali iniziative intenda prendere affinché si concluda il confronto avviato tra le istituzioni e le associazioni nell'ambito della task force interministeriale, istituita dal precedente Governo e coordinata dal Dipartimento per le pari opportunità;
          se non ritenga urgente che sia rinnovato il Piano nazionale antiviolenza;
          se non ritenga necessario che siano assegnati ai Centri antiviolenza e alle Case rifugio i fondi previsti dal decreto-legge n.  93 del 2013, individuando chiari criteri di distribuzione;
          se non ritenga necessario che l'attuale Governo si assuma l'impegno affinché i Centri antiviolenza e le Case rifugio siano finanziati in maniera certa e costante, sottraendoli all'incertezza; alla sopravvivenza o al rischio di chiusura. (4-04447)

      Risposta. — In riferimento a quanto richiesto dall'interrogante con l'atto di sindacato ispettivo indicato in oggetto si rappresenta quanto segue.
      In linea con quanto stabilito dalla «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica» (cosiddetta Convenzione di Istanbul), ratificata dall'Italia con la legge 27 giugno 2013, n.  77, il Governo ha adottato il 14 agosto 2013 il decreto-legge n.  93, convertito in legge 15 ottobre 2013 n.  119, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province».
      La suddetta Convenzione di Istanbul entrerà in vigore il 1o agosto 2014, essendo avvenuta la ratifica da parte del decimo Stato membro. Al riguardo, si evidenzia che l'Italia è stata uno dei primi Stati a ratificarla, facendosi promotrice in numerose sedi internazionali di azioni di sensibilizzazione per gli altri Paesi.
      Il citato decreto-legge n.  93 del 2013, prevede all'articolo 5 l'adozione da parte del Ministro delegato alle pari opportunità, previa intesa in sede di conferenza unificata, di un «piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere», che deve essere elaborato con il contributo delle Amministrazioni interessate, delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza – in sinergia con la nuova programmazione dell'Unione europea per il periodo 2014-2020.
      Tenuto conto della complessità degli interventi da porre in essere per l'adozione del suddetto Piano, il compito di elaborarlo è stato affidato ad una
task force interistituzionale (costituita il 22 luglio 2013) che riunisce tutti i Ministeri interessati (pari opportunità, giustizia, interno, salute, istruzione, esteri, difesa, economia e finanze, lavoro, sviluppo economico) e i rappresentanti delle autonomie territoriali e del mondo dell'associazionismo, coordinata dal Dipartimento per le pari opportunità.
      Al fine di giungere in tempi rapidi all'elaborazione del piano, i lavori della suddetta
task force sono stati organizzati costituendo sette sottogruppi tematici di lavoro, ai quali partecipano i rappresentanti delle amministrazioni statali, delle associazioni, delle Regioni e degli enti locali, denominati «Codice Rosa», «Comunicazione», «Valutazione del rischio», «Formazione», «Educazione», «Reinserimento vittime» e «Raccolta Dati».
      Ciascun sottogruppo, affidato all'Amministrazione statale competente per materia, partecipante alla suddetta
task force, sta ultimando l'elaborazione delle diverse proposte di intervento finalizzate:
          al sostegno delle vittime di violenza mediante il loro reinserimento sociale e lavorativo e al recupero dei soggetti responsabili di atti di violenza nelle relazioni affettive (articolo 5, comma 2, lettera
g), del decreto-legge n.  93 del 2013);
          alla formazione dei diversi soggetti coinvolti nella presa in carico delle vittime (esempio operatori socio sanitari, forze dell'ordine, volontari del soccorso, operatori dei centri antiviolenza eccetera) (articolo 5, comma 2, lettera
e), del sopra citato decreto-legge);
          alla valutazione dei fattori di rischio cui sono esposte le vittime di violenza (articolo 5, comma 2, lettera
g), del sopra citato decreto-legge);
          alla corretta rappresentazione dei generi nel sistema dei media e della comunicazione (articolo 5, comma 2, lettera
b), del sopra citato decreto-legge);
          alla realizzazione di specifici percorsi formativi per i docenti contro la violenza di genere e per il rispetto della diversità (articolo 5, comma 2, lettera
c), del sopra citato decreto-legge);
          alla definizione di un sistema integrato di informazioni statistiche adeguato a misurare il fenomeno della violenza contro le donne (articolo 5, comma 2, lettera
h), del sopra citato decreto-legge);
          all'elaborazione di procedure di intervento omogenee all'interno delle strutture di Pronto Soccorso per la tutela e l'assistenza delle vittime di violenza domestica e sessuale (articolo 5, comma 2, lettera
d), del sopra citato decreto-legge).

      All'ultimazione dei lavori dei sottogruppi tematici di lavoro, coordinati dal Dipartimento per le pari opportunità, sarà compito dello stesso dipartimento investire la task farce per la condivisione del Piano.
      In ordine alle risorse finanziarie stanziate per l'attuazione del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, il Governo ha incrementato – per l'anno 2013 – il «Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità» di 10 milioni di euro (articolo 5, comma 4, decreto-legge 93 del 2013), stanziando, successivamente, con l'articolo 1, comma 217, della legge 27 dicembre 2013, n.  147 (legge di stabilità 2014) risorse finanziarie aggiuntive pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016.
      Tali risorse saranno allocate sulle diverse aree d'intervento una volta completato il Piano in questione.
      Al fine di dare attuazione a quanto previsto dal sopra richiamato articolo 5, comma 2, lettera
d), del decreto-legge n.  93 del 2013: «potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza», sono stati stanziati ed assegnati, dall'articolo 5-bis, comma 1, dello stesso decreto-legge n.  93 del 2013, sul «Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità», 10 milioni di euro per l'anno 2013 e 7 milioni di euro per l'anno 2014, nonché 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015.
      Tali risorse, secondo quanto previsto dall'articolo 5-
bis, comma 2, del sopracitato decreto-legge, devono essere annualmente ripartite tra le Regioni dal Ministro delegato per le pari opportunità «previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Province autonome di Trento e Bolzano tenendo conto dei criteri» stabiliti nella disposizione stessa.
      La bozza di decreto sarà trasmessa, nei prossimi giorni, alla conferenza Stato-regioni per la prevista intesa.
      Si rappresenta, infine, che rientra tra le iniziative volte a prevenire il fenomeno della violenza contro le donne anche la campagna di sensibilizzazione lanciata da questo Dipartimento il 25 novembre 2013 in occasione della Giornata internazionale della violenza contro le donne, dal titolo «La violenza ha mille volti. Impara a riconoscerli».
      La campagna, attualmente in corso, sarà riproposta anche in autunno, garantendo così un'esposizione continuativa nell'arco di dodici mesi.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Graziano Delrio.


      GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, L'ABBATE, GALLINELLA, LUPO, PARENTELA e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          in data 29 maggio 2013, il M5S ha presentato una risoluzione n.  7-00024 in Commissione agricoltura della Camera dei deputati, approvata il 19 giugno 2013, con la quale il Governo si è impegnato ad eseguire una serie di azioni volte ad ottenere un equilibrio tra la tutela di una specie protetta da norme comunitarie e nazionali, quale è il lupo, e la tutela degli interessi degli allevatori;
          in data 20 novembre 2013, gli interroganti hanno presentato un primo atto ispettivo (4-02608), al quale non si è avuta ancora risposta, per evidenziare che il Consiglio regionale toscano intendeva discutere della proposta di autorizzare la caccia al lupo, come risoluzione del problema dei danni provocati alla zootecnia regionale, ad oggi fortunatamente non ancora deliberata;
          notizie recenti evidenziano che la caccia al lupo ed agli ibridi cane-lupo si è riacutizzata: in Maremma con l'ultima carcassa trovata dalla polizia provinciale nel comune di Manciano, salgono a sei i lupi (o ibridi) uccisi nella zona negli ultimi due mesi. Le carcasse, il più delle volte, sono state lasciate nelle piazze, da Saturnia a Scansano e anche alle porte del capoluogo;
          l'abbattimento dei lupi verificatosi nelle ultime settimane in tutto il territorio provinciale è motivo di seria preoccupazione, perché è una pratica illegittima che mette a rischio la sopravvivenza di una specie protetta. Tuttavia, è pur evidente che il recente intensificarsi degli abbattimenti è il segnale preoccupante dell'esasperazione degli allevatori rispetto alla sopravvivenza delle proprie attività produttive;
          è stato sostenuto anche da esponenti autorevoli della maggioranza che la strategia d'intervento, già indicata da atti di indirizzo approvati dalle Commissioni parlamentari competenti, richiede che l'Ispra realizzi in tempi rapidi un censimento della popolazione di lupi presente sul territorio nazionale, stabilendo una soglia di sostenibilità della presenza del lupo sui territori e, conseguentemente, chiedere a Bruxelles una eventuale deroga per il contenimento della specie. Solo in base al censimento degli esemplari di lupo geneticamente puro, come è successo in Francia e Spagna, si potrebbe impostare una corretta politica di gestione di questa specie protetta, e si potrebbe procedere altresì ai contenimenti di canidi e ibridi, che spesso sono veri protagonisti delle stragi di pecore che decimano le greggi. Non è più tempo di tentennamenti, né di falsi moralismi;
          a parere degli interroganti, tuttavia, tale orientamento non emergerebbe allo stato da atti di indirizzo già approvati. Risulta invece che il Governo si sia impegnato a mettere in campo, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, un piano di indennizzo nazionale per gli agricoltori danneggiati, ad incentivare l'applicazione di metodi ecologici per ridurre i danni, ad incentivare programmi di management ambientale e decise azioni preventive, a partire dalla completa cessazione di qualsiasi attività di ripopolamento a scopo venatorio sul territorio, alla piena attuazione della legge n.  157 del 1992, in particolar modo con riferimento alla gestione faunistica per quanto riguarda l'attuazione dei metodi ecologici, che vengono di consuetudine del tutto ignorati, ed altri impegni in linea con questi citati;
          appare evidente che prima di pensare ad una eventuale richiesta di deroga a Bruxelles, nelle more dei risultati del censimento chiesto ad Ispra, si debbano sbloccare le misure per le quali il Governo si è già impegnato e grazie alle quali, anche secondo il presidente di Wwf Italia Dante Caserta, sarebbe certamente possibile poter superare la problematica, nel rispetto di entrambi gli interessi, quelli di tutela della specie protetta e quelli delle attività produttive zootecniche;
          secondo il presidente Wwf Italia Caserta: «La vera sfida si gioca sulle scelte e se l'obiettivo è quello di salvaguardare sia gli allevatori sia i lupi, le parole chiave sono prevenzione e corretta gestione dell'allevamento». Il Wwf evidenzia infatti, in linea con la risoluzione sopracitata, la necessità di avviare l'adozione di strumenti anti-predazione, di indennizzi per gli allevatori colpiti, di fare un monitoraggio e una registrazione dei danni, così come una corretta gestione del randagismo che preveda anche l'allontanamento degli ibridi selvatici che minacciano il lupo  –:
          quali sia la posizione del Ministro interrogato in ordine alla determinazione di soglie di sostenibilità di presenza del lupo sul territorio e alle eventuale richiesta a Bruxelles di deroghe alle norme di tutela della specie protetta;
          cosa intenda fare, nell'ambito delle sue prerogative, per dare concreta attuazione agli impegni presi con la risoluzione sopracitata, in particolare in riferimento alle azioni condivise anche dal Presidente di Wwf Italia Dante Caserta. (4-03125)

      Risposta. — L'interrogazione parlamentare indicata in oggetto viene posta per conoscere quale sia la mia posizione in ordine alla tutela della specie protetta del lupo, al riguardo rilevo quanto segue.
      Com’è noto, negli ultimi venti anni la presenza del lupo sull'Appennino si è intensificata grazie alla tutela garantita alla specie dal 1971, nonché all'aumento delle prede selvatiche sul territorio.
      Relativamente alla provincia di Grosseto, negli ultimi dieci anni, si è accertato un generale incremento degli individui di lupo così come di suoi ibridi, anche se mancano censimenti affidabili sul numero degli esemplari. Difatti, i lupi incrociandosi con cani vaganti, danno origine ad ibridi che a loro volta riproducendosi creano un inquinamento genetico delle specie.
      Nondimeno, gli stessi cani vaganti e gli ibridi, in generale, entrando in competizione con il lupo per le risorse alimentari, possono divenire un grave pericolo sia per motivi sanitari che sociali, acuendo il conflitto con gli allevatori per i danni, diretti e/o indiretti, che possono arrecare.
      Nel territorio della maremma toscana, dove il pascolo ovino viene effettuato soprattutto da parte di pastori d'origine sarda (ove il lupo non è mai stato presente e la popolazione non ha mai dovuto affrontare il confronto con tale predatore) il conflitto assume un'alta rilevanza sociale.
      A tal fine preciso che nella provincia di Grosseto insistono il 50 per cento degli ovini presenti in tutta la regione Toscana, raggiungendo una popolazione stimata intorno ai 210.000 capi. Tra questi gli ovini predati nel corso del 2012 sono stati 20, 595 nel 2013 e 15 nell'anno in corso.
      Per cui, il conseguente rapporto conflittuale insorto tra allevatori e predatori nel corso degli ultimi due anni ha portato all'uccisione di nove esemplari di lupo, di cui però solo due sono stati identificati come lupi puri, mentre gli altri sono risultati essere ibridi.
      Tale situazione, potrebbe essere anche connessa alla circostanza per la quale fino a qualche mese fa è mancato il risarcimento dei danni provocati dal lupo (specie protetta dalla «Direttiva habitat» n.  43 del 92 dell'Unione Europea all'allegato IV del documento: «Specie animali e vegetali d'interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa». In Italia la specie è protetta ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n.  157 articolo 2) da parte della regione Toscana che, invece, prevede un indennizzo per quelli causati dagli ungulati (specie cacciabili).
      A tale riguardo, evidenzio che il corpo forestale dello Stato, quale organo specializzato di sorveglianza sulla applicazione della direttiva n.  43 del 1992 dell'unione europea habitat, ha intensificato notevolmente e da molto tempo l'attività di controllo a contrasto del fenomeno di bracconaggio nell'area, anche avvalendosi di specifiche azioni quali il «progetto europeo Life+ Ibriwolf» che prevede la cattura e la detenzione in cattività dei soli ibridi di lupo.
      In questo quadro ritengo utile rilevare che, nell'ambito del contesto legislativo destinato alla tutela del lupo, sussiste una sovrapposizione di norme nazionali e comunitarie; difatti, oltre alle tutele previste dalla convenzione di Berna e dalla direttiva habitat, si hanno quelle contenute nella legge n.  157 del 1992 – che disciplina la tutela delle specie omeoterme e il prelievo venatorio, quelle della legge n.  281 del 1991 – sul randagismo, nonché quelle della legge n.  150 del 1992 – relativa alla convenzione di Washington (Cites).
      Rilevo, inoltre, come il quadro della tutela degli ibridi di lupo risulti meritevole di approfondimenti, in quanto gli esemplari derivanti dall'incrocio tra la specie selvatica e la razza domestica da essa derivata, pur se astrattamente possono essere ricompresi nella definizione di fauna selvatica di cui all'articolo 2 della legge n.  157 del 1992, non vengono espressamente disciplinati sotto il profilo gestionale dalla stessa legge, mentre continuano ad essere tutelati – fino alla 4a generazione – dal regolamento dell'Unione europea n.  338 del 1997 attuativo della Cites, per quanto attiene alla loro detenzione e impiego commerciale.
      Da ultimo riferisco che sul caso vi è stato il diretto interessamento del prefetto di Grosseto, per i profili di pubblica sicurezza, e del competente assessorato regionale ai fini di individuare forme e modalità di risarcimento dei danni diretti o indiretti agli allevatori, finanziare protezioni passive e la gestione delle carcasse di animali nonché intensificare l'azione contro il fenomeno dei cani vaganti.
      Recentemente, nel mese di febbraio, la regione Toscana ha stanziato 5 milioni di euro, finalizzati al risarcimento dei danni sia diretti che indiretti provocati dal lupo o da suoi ibridi.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      LA RUSSA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) svolge una funzione importantissima per la corresponsione delle somme agli agricoltori, e tale compito è ancora più rilevante alla luce delle previsioni della nuova Politica agricola comune, adottata in ambito europeo;
          l'istruttoria per la concessione dei finanziamenti è effettuata anche attraverso le attività di verifica e di controllo realizzate dal Sistema informativo nazionale per lo sviluppo dell'agricoltura (SIN) avvalendosi del Sistema informativo agricolo;
          attualmente sembra che sia AGEA che SIN si trovino in una situazione di stallo gestionale, anche a causa delle direttive derivanti dalla spending review;
          a tutt'oggi non vi sono direttive per i controlli propedeutici da effettuare da parte del SIN, nonostante la scadenza per la presentazione delle domande PAC 2014 da parte degli agricoltori sia fissato al prossimo 15 maggio  –:
          quali iniziative immediate intenda assumere per ripristinare i tempi e i modi di gestione dell’iter voluto dalla legge al fine di dare certezza agli agricoltori sulla erogazione, nei tempi, delle somme dovute.
(4-04584)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, relativa ai tempi e modi di gestione delle somme dovute agli agricoltori da parte di Agea, faccio presente quanto segue.
      In data 20 gennaio 2014 sono state rese pubbliche sul Sian le funzioni informatiche necessarie al trattamento delle domande Pac 2014, comprensive dei risultati dei nuovi riscontri aereo fotogrammetrici e relativi ad un terzo del territorio nazionale.
      Ad oggi, dalle informazioni ricevute la fase di presentazione delle domande Pac 2014 si svolge regolarmente.
      Inoltre, atteso il maggior carico di lavoro da parte dei centri di assistenza agricola, nell'ultimo periodo, sono stati ulteriormente potenziati i servizi di assistenza all'utenza, che operano senza soluzione di continuità anche in orari notturni e nei giorni festivi.
      In particolare, il monitoraggio della fase di presentazione delle domande Pac 2014 all'organismo pagatore agea, alla data del 24 giugno 2014, è il seguente:
          domande attese 822.789, sulla base delle istanze presentate l'anno precedente;
          domande in compilazione 2, ossia istanze in fase di predisposizione, non ancora completate, da parte del produttore;
          domande stampate 0, cioè domande la cui compilazione è stata completata stampata ed in attesa della sottoscrizione del produttore;
          domande rilasciate 768.849, ossia domande stampate, sottoscritte dal produttore protocollate a sistema e rilasciate.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      MARCON e MOGNATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in seguito alla ricerca condotta dal commissario straordinario per la spending review, la quale ha determinato una riorganizzazione del corpo dei vigili del fuoco, sono state individuate in tutto il Paese 25 sedi distaccate, fra permanenti e miste, che dovrebbero essere chiuse con la prospettiva di una cospicua riduzione della spesa pubblica. Fra le succitate 25 sedi spicca il distaccamento di Cavarzere in provincia di Venezia, che si erge sul territorio a protezione dei suoi cittadini da ormai 50 anni svolgendo interventi ad ampio raggio che giungono a coprire le tre province di Venezia, Padova e Rovigo;
          la posizione del distaccamento in questione è a dir poco strategica poiché situata in un'area storicamente soggetta a tracimazioni fluviali e rischi idrogeologici di vario genere, ma anche caratterizzata da una altissima densità industriale. Nella zona di competenza del distaccamento dei vigili del fuoco di Cavarzere inoltre, si rileva la presenza di ben 4 centrali a biogas nonché della centrale di smistamento di gas metano della piattaforma Star – Adriatic LNG nell'Adriatico, di ben due aviosuperfici e del virtuale tracciato della cosiddetta Romea Commerciale, ovvero l'espansione dell'arteria stradale E45 che si prevede di realizzare, nonostante tutte le relative criticità, nei prossimi anni;
          il distaccamento di Cavarzere realizza una media di 400 interventi all'anno, vantando una frequenza operativa ben superiore a tutti gli altri 24 presidi che si intende chiudere e non solo  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga che la chiusura del distaccamento in questione rappresenterebbe un grave errore strategico sia in un'ottica di efficacia per la sicurezza che di efficienza in termini di spesa pubblica;
          quali iniziative urgenti intenda intraprendere per il mantenimento del presidio, così da garantire che, anche con lo sviluppo di grandi infrastrutture ed attività produttive, la sicurezza del territorio e dei suoi abitanti seguiti ad essere salvaguardata. (4-04542)

      Risposta. — L'iniziativa segnalata dall'interrogante relativa alla soppressione del distaccamento dei vigili del fuoco di Cavarzere, in provincia di Venezia, rientra nel generale progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del corpo predisposto a legislazione vigente e con riduzione di spesa, per rispondere, in modo efficace ed efficiente, alle nuove esigenze del soccorso e alla domanda di sicurezza proveniente dal territorio.
      Si premette che il progetto, improntato all'ottimizzazione delle risorse disponibili, al decentramento delle funzioni e alla razionalizzazione del funzionamento delle strutture, è già stato sottoposto alle organizzazioni sindacali ed è in avanzato stato di definizione.
      Esso ha ridisegnato la mappatura delle sedi sia centrali che distaccate, riclassificandole in base ad indicatori riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale.
      Lo stesso prevede, altresì, che taluni distaccamenti caratterizzati da bassa operatività e comunque posti in prossimità di altri distaccamenti operativi, possano essere «riclassificati», privilegiando la partecipazione della componente volontaria del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
      È proprio tra questi ultimi che rientra il distaccamento permanente di Cavarzere, attualmente classificato D1 con organico teorico pari a 28 unità. Esso, già da novembre 2012, ha un'operatività ridotta sia per problemi logistici legati alla sede, sia per il numero limitato di interventi effettuati.
      Peraltro la copertura del territorio di competenza è efficacemente assicurata dalla presenza di altre sedi limitrofe: Chioggia distante circa 25 chilometri, Adria, in provincia di Rovigo e distante circa 10 chilometri, e Piove di Sacco, in provincia di Padova e distante circa 22 chilometri.
      Si soggiunge che nel progetto di riordino è riconosciuta ampia flessibilità in ambito locale. Infatti i comandanti provinciali, in quanto responsabili dei servizio di soccorso pubblico, hanno la facoltà di adattare il modello di dispositivo di soccorso e la distribuzione delle risorse secondo le esigenze legate alle specificità del territorio.
      Possono, inoltre, essere attivate sedi distaccate, in aggiunta a quelle di progetto, purché tale ipotesi sia compatibile con le risorse assegnate.
      È anche possibile istituire – di concerto con i Direttori regionali – distretti sul territorio, costituiti da più distaccamenti, associati ed organizzati in modo da assicurare una maggiore flessibilità operativa.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          un gravissimo clima di tensione si è venuto a creare nel popoloso quartiere romano di Settecamini a causa del progettato insediamento in loco di un mega-centro di accoglienza per cittadini extracomunitari e/o rifugiati, attualmente oggetto di una sospensiva;
              la preoccupazione dei cittadini, già fortemente penalizzati dalla presenza nel quartiere di uno dei più grandi campi nomadi d'Europa, si è esplicitata in innumerevoli iniziative, sempre caratterizzate da alto senso civico, di contestazione dell'iniziativa che non può non turbare l'ordine e la tranquillità della zona, oltre a determinare un evidente deprezzamento del valore degli alloggi  –:
          se il Governo intenda assumere ogni iniziativa, per quanto di competenza volta a favorire, anche alla luce dei risvolti di ordine pubblico, la revoca di quella che all'interrogante appare una assurda e inaccettabile decisione al fine di dare, una risposta urgente alle legittime richieste degli abitanti di Settecamini, evitando in tal modo il prevedibile susseguirsi di proteste e il logico innescarsi di sentimenti di insofferenza nei confronti dei provvedimenti delle competenti autorità. (4-04839)


      MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          un gravissimo clima di tensione si è venuto a creare nel popoloso quartiere romano di Settecamini a causa del progettato insediamento in loco di un mega-centro di accoglienza per cittadini extracomunitari e/o rifugiati, precisamente in Largo Chiaro Davanzati all'angolo con via Mazzeo di Ricco;
          la preoccupazione dei cittadini, già fortemente penalizzati dalla presenza nel quartiere di uno dei più grandi campi nomadi d'Europa, si è esplicitata in innumerevoli iniziative, sempre caratterizzate da alto senso civico, di contestazione dell'iniziativa;
          ha suscitato inoltre un'enorme preoccupazione fra i cittadini l'aver saputo da fonte diretta che l'ente, al quale sarebbe affidata la gestione del centro, risulterebbe affidato operativamente a personale straniero, pare anche con precedenti penali;
          dopo attenta analisi della situazione socio ambientale venutasi a creare nel quartiere Settecamini e dopo diversi incontri con gli eletti del consiglio municipale, i comitati di quartiere e con i cittadini, anche l'assessore al sostegno sociale e sussidiarietà del comune di Roma ha inviato comunicazione formale al Ministero dell'interno, dando parere negativo all'apertura del centro nel quartiere medesimo e chiedendo la sospensione definitiva dell'apertura del progettato centro di accoglienza;
          ancora oggi, il Ministero dell'interno non ha però espresso il proprio parere in merito né dato alcun riscontro alle legittime preoccupazione dei cittadini per le conseguenze negative, sotto l'aspetto sociale e di ordine pubblico, che potrebbe avere l'utilizzo della predetta struttura, nonché per l'evidente deprezzamento del valore degli alloggi  –:
          se il Ministro interrogato intenda dare una risposta urgente alle legittime richieste degli abitanti di Settecamini con la revoca definitiva del progetto di apertura del centro di accoglienza SPRAR di cui in premessa. (4-05270)

      Risposta. — Il progetto per l'apertura di un centro di accoglienza per cittadini stranieri nel quartiere romano di Settecamini – a cui si fa riferimento nell'interrogazione – si inserisce nell'ambito della riorganizzazione dell'intero sistema dell'accoglienza, che si è resa necessaria in seguito all'intensificazione degli sbarchi di migranti sulle coste italiane. I piani di distribuzione dei profughi sono basati sul concetto di un'equa ripartizione sul territorio e sono attuati con il coordinamento dei prefetti, secondo una valutazione delle peculiarità dei rispettivi territori.
      Agli atti del commissariato San Basilio, competente per quel quartiere, risulta una richiesta di sospensione definitiva del progetto, redatta dall'assessore al sostegno sociale e sussidiarietà del IV municipio il 25 maggio scorso. Il servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) ha preso atto della richiesta e si è impegnato a individuare una struttura alternativa per l'accoglienza dei migranti.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.


      NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 96 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.  159, codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, stabilisce che, presso il Ministero dell'interno, dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie, è istituita la banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, collegata telematicamente con il centro elaborazione dati, costituito presso il Ministero dell'interno medesimo;
          tale banca dati, prevista sin dal settembre 2011, era stata concepita per poter facilitare il rilascio della documentazione antimafia e rendere il procedimento più celere e meno farraginoso: tuttavia, ad oggi, dopo quasi 3 anni, tale sistema non è ancora operativo;
          il codice delle leggi antimafia, risalente, appunto, al settembre 2011, ha subito importanti modifiche nel 2012 e l'attuale Governo si appresta a modificare nuovamente la normativa: senza entrare nel merito delle modifiche apportate o che si intendono apportare al testo, che presentano aspetti condivisibili, vi sono dubbi che ulteriori modifiche potrebbero ritardare nuovamente la concreta attivazione della citata banca dati nazionale unica della documentazione antimafia e posticiparne nuovamente gli importanti benefici  –:
          cosa intende fare per attivare la banca dati nazionale unica della documentazione antimafia di cui all'articolo 96 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.  159;
          se e in che modo le nuove norme proposte dal Governo incideranno sul funzionamento e la concreta attivazione della suddetta banca dati. (4-05131)

      Risposta. — Le attività finalizzate al varo del regolamento sul funzionamento della banca dati antimafia sono ormai prossime alla conclusione.
      Difatti, grazie alle precisazioni sul procedimento di rilascio della documentazione antimafia recate dal decreto «correttivo» n.  214 del 2012, è stato possibile mettere a punto un articolato schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (31 articoli e 5 allegati) che disciplina gli aspetti di natura organizzativa connessi al funzionamento della banca dati e quelli riguardanti il rilascio della documentazione antimafia.
      Sono rimesse ad un separato regolamento – così come consentito dai criteri direttivi recati dall'articolo 99 del decreto legislativo n.  159 del 2011 – le modalità di attuazione dell'articolo 97, lettera c-bis) che prevede il collegamento tra la banca dati in parola e la banca dati dei contratti pubblici per la verifica dei requisiti di partecipazione alle procedure di gara ex articolo 38 del decreto legislativo n.  163 del 2006, e le modalità di collegamento con l'Anagrafe della popolazione residente (ciò in quanto quest'ultima piattaforma non è stata ancora attivata).
      Lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ha ricevuto i pareri favorevoli del garante della privacy e del Consiglio di Stato e i concerti formali delle amministrazioni interessate. Questa amministrazione lo ha, quindi, trasmesso nei giorni scorsi alla Presidenza del Consiglio dei ministri per gli adempimenti finali di competenza.
      Nelle more, peraltro, è stata già avviata la sperimentazione di una prima release del sistema informativo della banca dati. I test stanno riguardando le prefetture dei capoluoghi di regione e delle due province autonome e saranno estesi gradualmente anche alle altre prefetture.
      Sui tempi di emanazione del regolamento non hanno inciso né incideranno, peraltro, le disposizioni del decreto-legge n.  90 del 2014, attualmente in corso di conversione, che presenta, in vario grado, profili di attinenza con la disciplina della documentazione antimafia.
      L'articolo 32, comma 10, di tale decreto prevede, difatti, la possibilità per il Prefetto di applicare anche alle imprese colpite da provvedimento antimafia interdittivo le misure di straordinaria e temporanea amministrazione, previste per le finalità di prevenzione della corruzione. Si tratta di una misura che evidentemente si colloca «a valle» della conclusione del procedimento di emissione della documentazione antimafia e che quindi evidentemente non incide sugli aspetti procedurali disciplinati dal regolamento, che riguardano appunto solo l'emissione della documentazione antimafia.
      L'articolo 36 dello stesso decreto-legge tende, invece, a incentivare l'iscrizione nelle white list delle imprese operanti nei settori a rischio, ma non modifica né il presupposto per la loro iscrizione (assenza delle situazioni ostative di cui all'articolo 67 del decreto legislativo n.  159 del 2011 e di tentativi di infiltrazione mafiosa), né le modalità per il loro accertamento, che restano quelle già individuate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 18 aprile 2013 e delle quali lo schema di provvedimento in questione tiene già conto.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.


      OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal Quotidiano della Calabria del 29 marzo 2014, si evidenzia che il nucleo sommozzatori dei vigili del fuoco di Crotone risulta essere a rischio di soppressione;
          ad annunciare questo ennesimo taglio di presidi sul territorio, che causerebbe gravissime criticità per il lavoro svolto quotidianamente per garantire la sicurezza in mare è il segretario generale di uno dei maggiori sindacati di categoria, il quale ha annunciato che metterà in atto tutte le possibili azioni per contrastare i tagli che il Governo intende attuare sui vigili del fuoco;
          si tratta di presidi di soccorso, con grande esperienza acquisita direttamente sul campo e attraverso attività formative e con relative abilitazioni;
          il nucleo sommozzatori dei vigili del fuoco risulta essere altamente specializzato per garantire un immediato soccorso grazie anche all'utilizzo di mezzi altamente tecnologici e che risultano idonei per effettuare operazioni a mare anche quando le condizioni diventano critiche;
          i numerosi interventi di salvataggio, portati a termine nel corso degli anni, confermano l'importanza del lavoro svolto dai sommozzatori, in una realtà dove gli sbarchi degli extracomunitari avvengono con una certa frequenza;
          l'esigenza di assicurare un'adeguata protezione al nostro territorio e una maggiore tutela alle persone è subordinata al delicato lavoro che viene svolto dai vigili del fuoco, soprattutto nel periodo estivo durante il quale il loro coinvolgimento è ai massimi livelli;
          il corpo dei vigili del fuoco risulta essere già vicino ad una situazione di collasso. Sono previsti, infatti, a decorrere dal 2015 significativi tagli ai quali si sommano quelli già effettuati precedentemente: depotenziare questi nuclei significa mettere a rischio la sicurezza del nostro territorio che è costituito essenzialmente da tratti costieri, laghi, fiumi e bacini artificiali;
          a parere dell'interrogante è assolutamente necessario intervenire per porre rimedio ad un preoccupante stato di disagio che potrebbe derivare dalla soppressione dei nuclei dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco  –:
          quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per garantire la tutela del territorio e la sicurezza della popolazione che risiede o che ha deciso di trascorrere le vacanze nella provincia di Crotone. (4-04276)

      Risposta. — In merito ai tagli previsti per alcuni settori del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, cui fa riferimento l'interrogante, si fa presente che, effettivamente, è stato predisposto un progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, già sottoposto alle organizzazioni sindacali e ormai in avanzato stato di definizione.
      Il progetto, finalizzato all'ottimizzazione delle risorse disponibili, al decentramento delle funzioni ed alla razionalizzazione del funzionamento delle strutture, ha ridisegnato la mappatura delle sedi sia centrali che distaccate, riclassificandole in base ad indicatori riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale, con conseguente rimodulazione dei singoli organici.
      Con specifico riferimento al servizio dei nuclei sommozzatori dei vigili del fuoco, la riorganizzazione costituisce il frutto di un attento studio dei dati e dei parametri relativi al settore specialistico, quali il rischio idraulico, le tipologie di interventi, nonché la distribuzione dei turni di servizio, in ragione dell'efficienza e dell'efficacia della risposta operativa alla domanda di soccorso tecnico nonché del servizio reso alla cittadinanza.
      Si precisa che il servizio svolto dai sommozzatori nel corso degli anni ha assunto connotazioni ben precise, che non richiedono una diffusione capillare sul territorio. La statistica degli interventi dimostra, infatti, che essi consistono in gran parte nella ricerca e recupero di salme ovvero di oggetti di interesse giudiziario, interventi che, palesemente, possono essere eseguiti con efficacia anche non nell'immediatezza, ma a distanza di qualche ora.
      L'individuazione dei nuclei oggetto di riorganizzazione costituisce, pertanto, il frutto della valutazione di diversi elementi tra i quali figurano soprattutto la carenza di organico e la necessità di coprire i turni di servizio.
      L'esiguità dell'organico rende, inoltre, difficoltosa l'organizzazione dell'attività di addestramento che, per questa particolare tipologia di servizio di soccorso, risulta essere quanto mai indispensabile.
      Nell'ottica del progetto sopra descritto, è stato previsto che nei comandi capoluogo di regione il servizio sia prestato «h24» su quattro turni e che in alcune regioni sia, comunque, mantenuto un secondo nucleo sommozzatori, che svolgerà servizio soltanto nei turni diurni.
      Nel caso specifico della regione Calabria si precisa che il nucleo sommozzatori di Crotone non risulta essere stato mai istituito e che il progetto di riordino prevede, in via prioritaria, il completamento dell'organico del nucleo di Reggio Calabria.
      Si soggiunge, infine, che l'ampia flessibilità riconosciuta in ambito locale consente ai Direttori regionali di adattare il modello di dispositivo di soccorso e la distribuzione delle risorse alle esigenze legate alle specificità del territorio e agli indicatori di rischio.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile ha elaborato un complesso progetto per il riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che è parte della cosiddetta spending review varata dal Governo;
          il progetto per il riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco contiene tra le altre cose una riclassificazione dei presidi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sulla base della quale saranno disposti futuri provvedimenti di chiusura e razionalizzazione;
          tra i distaccamenti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che hanno subito un declassamento della loro rilevanza vi è quello di Cavarzere, in provincia di Venezia, ora definito sede distaccata riclassificata;
          il documento evidenzia come si prospetti per il distaccamento di Cavarzere la chiusura, posto che non figura alcuna assegnazione di personale in suo favore, malgrado il presidio sia competente ad operare in un'area assai complessa e ricca di siti sensibili e ad alto rischio, sulla quale insistono, tra le altre cose, la bocca di un rigassificatore ed alcune centrali a biomassa;
          Cavarzere ha finora assicurato anche un'attività di supporto all'attiguo presidio di Chioggia, organizzato più in funzione del soccorso in mare che delle emergenze a terra  –:
          se il Governo non intenda sottoporre a revisione il progetto per il riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ed avviare un confronto anche con le autonomie locali per evitare la pericolosa soppressione di presidi del soccorso tecnico urgente essenziali come quello di Cavarzere. (4-04778)

      Risposta. — L'iniziativa segnalata dall'interrogante relativa alla soppressione del distaccamento dei vigili del fuoco di Cavarzere, in provincia di Venezia, rientra nel generale progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo predisposto a legislazione vigente e con riduzione di spesa, per rispondere, in modo efficace ed efficiente, alle nuove esigenze del soccorso e alla domanda di sicurezza proveniente dal territorio.
      Si premette che il progetto, improntato all'ottimizzazione delle risorse disponibili, al decentramento delle funzioni e alla razionalizzazione del funzionamento delle strutture, è già stato sottoposto alle organizzazioni sindacali ed è in avanzato stato di definizione.
      Esso ha ridisegnato la mappatura delle sedi sia centrali che distaccate, riclassificandole in base ad indicatori riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale.
      Lo stesso prevede, altresì, che taluni distaccamenti caratterizzati da bassa operatività e comunque posti in prossimità di altri distaccamenti operativi, possano essere «riclassificati», privilegiando la partecipazione della componente volontaria del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
      È proprio tra questi ultimi che rientra il distaccamento permanente di Cavarzere, attualmente classificato D1 con organico teorico pari a 28 unità. Esso, già da novembre 2012, ha un'operatività ridotta sia per problemi logistici legati alla sede, sia per il numero limitato di interventi effettuati.
      Peraltro la copertura del territorio di competenza è efficacemente assicurata dalla presenza di altre sedi limitrofe: Chioggia distante circa 25 chilometri, Adria, in provincia di Rovigo e distante circa 10 chilometri, e Piove di Sacco, in provincia di Padova e distante circa 22 chilometri.
      Si soggiunge che nel progetto di riordino è riconosciuta ampia flessibilità in ambito locale. Infatti i Comandanti provinciali, in quanto responsabili del servizio di soccorso pubblico, hanno la facoltà di adattare il modello di dispositivo di soccorso e la distribuzione delle risorse secondo le esigenze legate alle specificità del territorio.
      Possono, inoltre, essere attivate sedi distaccate, in aggiunta a quelle di progetto, purché tale ipotesi sia compatibile con le risorse assegnate.
      È anche possibile istituire – di concerto con i direttori regionali – distretti sul territorio, costituiti da più distaccamenti, associati ed organizzati in modo da assicurare una maggiore flessibilità operativa.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      RUSSO, LUIGI CESARO, SARRO, CASTIELLO e PETRENGA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
          la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
          in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
          lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
          l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
          il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
          deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e sopra tutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
          l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
          l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
          nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
          la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
          altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
          occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
          il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
          il successo dell'agro alimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
          il made in Italy agro alimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
          il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
          in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
          l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy minacciano la solidità e provocano gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
          il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
          la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
          la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agro alimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
          quali determinazioni si intendano assumere in particolare tramite il Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n.  350 sulla tutela del made in Italy, tenuto anche conto della necessità di ripristinare un dialogo di fiducia con i consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari.
(4-02807)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, al fine di migliorare la tutela dei prodotti di origine italiana, la legge 24 dicembre 2003, n.  350, e successive modificazioni e integrazioni, ha previsto all'articolo 4, comma 49, non solo il divieto di dichiarare un'indicazione di provenienza falsa o fallace, anche attraverso «l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana».
      A tale riguardo, il Corpo forestale dello Stato ha verificato centinaia di prodotti, appartenenti a tutte le filiere alimentari (tra cui anche diversi tipi di prosciutti crudi stagionati, prodotti lattiero caseari, paste, olio, olive, grappe, paste), che appongono la dicitura «made in Italy» o richiamano esplicitamente tale origine con segni o quant'altro possa indurre in inganno il consumatore.
      I citati controlli sono stati estesi anche ai fenomeni di contraffazione, laddove, oltre il richiamo con claims nazionali è stata, altresì, accertata un'etichettatura specifica, che attestava falsamente l'origine della materia prima italiana, e addirittura casi in cui sia la materia prima che la trasformazione sono stati realizzati in Stati esteri, al contrario di quanto sostenuto in etichetta (sequestro effettuato in Puglia).
      L'obiettivo della predetta attività investigativa è quello di rendere conoscibili le filiere e la tracciabilità degli alimenti per il consumatore, basandosi sulla considerazione che i valori alimentari, territoriali, ambientali, culturali e di agro biodiversità rappresentano un bene collettivo dell'Italia come anche dell'Unione europea da individuare, pubblicizzare, valorizzare e difendere in modo differente e specifico rispetto agli altri settori manifatturieri, in ragione che l'alimento riguarda i valori di tutela per l'uomo.
      Ed invero, il Corpo forestale dello Stato ha effettuato un'intensa attività investigativa sul territorio nazionale, finalizzata al contrasto del fenomeno del falso made in Italy e del cosiddetto italian sounding, ossia l'utilizzo fuorviante sull'imballaggio dei prodotti agroalimentari di etichette, simboli che esaltino l'italianità dei luoghi d'origine della materia prima, della ricetta e del marchio.
      In particolare, il Corpo forestale dello Stato, tra le autorità di controllo in materia di tutela del made in Italy, ha agito anche sulla scorta di norme penali che attengono alla necessità di assicurare il corretto svolgimento del commercio e di tutelare l'ordine economico contro gli inganni tesi al consumatore, configurabili come fattispecie di reato di cui agli articoli 515 e 517 del codice penale.
      Sono stati controllati 902 esercizi commerciali in tutta Italia, il cui esito ha portato alla notifica di 122 sanzioni amministrative a carico dei distributori e delle ditte produttrici, per un importo totale di oltre 300.000,00 euro e sono state redatte 15 comunicazioni di notizie di reato.
      Le attività di cui sopra, hanno condotto, altresì, al sequestro di circa 592 tonnellate di prodotti. In particolare, nella Piana di Gioia Tauro, sono state poste sotto sequestro 510 tonnellate di succo d'arancia conservato in sacchetti e fusti proveniente dal Brasile ed etichettato successivamente con origine Calabria – Italia, mentre nella provincia di Bari, sono state sequestrate 80 tonnellate di pasta. Altri sequestri sono stati operati in varie località nazionali, Rieti, Latina, Grosseto, concernenti prosciutti e altri prodotti insaccati.
      Contestualmente alla campagna relativa alla tutela del «made in Italy», inoltre, sono stati verificati altri aspetti del settore agroalimentare, quali quelli connessi alla sicurezza dei prodotti a denominazione protetta, ovvero all'igiene degli alimenti e alla salute dei cittadini.
      Sul piano operativo le due principali casistiche riscontrate dal Corpo forestale dello Stato hanno riguardato prodotti agroalimentari di diverso genere che, pur riportando in etichetta evidenti richiami che ne accentuano l'italianità sono risultati poi realizzati all'estero o realizzati in Italia con materia prima di origine estera.
      Ritengo che queste azioni, insieme ad altri strumenti cogenti come la tracciabilità e l'obbligo d'indicazione dell'origine dei prodotti, in conformità alle normative europee, possano contribuire a rendere maggiormente efficace l'azione svolta degli organi di controllo e tutelare in maggior misura i consumatori e gli operatori di settore. Peraltro, unitamente ad un rafforzamento degli strumenti normativi e deterrenti (sistemi sanzionatori più stringenti) e all'implementazione e interconnessione delle banche dati, sarà più agevole individuare gli operatori più a «rischio» e rendere maggiormente efficace l'azione degli organi di controllo nell'intero comparto agroalimentare.
      Relativamente al sistema sanzionatorio in materia di sicurezza agroalimentare, evidenzio che, nell'ambito dei prossimi provvedimenti di governo, il Ministero è impegnato a prevedere un rafforzamento del quadro normativo in materia di lotta alla contraffazione.
      Sul punto segnalo, peraltro, che la Commissione europea ha inviato una richiesta di informazione all'Italia, nel quadro del sistema Eu Pilot (5938/13/SNCO), avente per oggetto una denuncia per presunta violazione del diritto unionale, risultante da una prassi amministrativa posta in essere da autorità italiane preposte ai controlli alimentari e la presunta incompatibilità di determinate disposizioni legislative italiane.
      Al riguardo, faccio presente che il Ministero, dopo una riunione con le amministrazioni coinvolte, ha inviato una memoria in proposito. La questione è al vaglio della Commissione europea.
      Faccio presente ancora, che al fine di fortificare la trasparenza informativa in etichetta e dell'origine della materia prima agroalimentare, il 13 dicembre 2013 la Commissione europea ha promulgato il Regolamento dell'Unione europea n.  1337 del 2013, che fissa le modalità di applicazione del Regolamento (UE) n.  1169 del 2011 per quanto riguarda l'indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza delle carni fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili.
      In particolare, all'articolo 5 comma 1 del Regolamento (UE) n.  1337 del 2013 vengono specificate le indicazioni da riportare in etichetta nel caso delle diverse tipologie di carne.
      Altresì, gli articoli 6 e 7 stabiliscono, rispettivamente, le deroghe per carni provenienti da paesi terzi e per carni macinate e rifilature.
      Infine, il Regolamento (UE) n.  1337 del 2013, che si applicherà dal 1o aprile 2015, relativamente alle carni suine, ovine, caprine e di volatili, consentirà pertanto al consumatore di usufruire in etichetta di un'indicazione di origine più precisa, anche se non indicativa in modo assoluto del paese di origine al pari di quanto avviene, per esempio, per la carne bovina.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      SPADONI, BALDASSARRE, SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, NICOLA BIANCHI e COZZOLINO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 6, comma 1, della legge 27 dicembre 2013, n.  148, Bilancio di previsione dello Stato per Vanno finanziario 2014 e bilancio pluriennale per il triennio 2014-2016, autorizza l'impegno e il pagamento delle spese del Ministero degli affari esteri, per l'anno finanziario 2014, in conformità all'annesso stato di previsione (tabella 6);
          secondo la tabella 6 della legge di bilancio 2014, l'importo totale delle spese sostenute dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) ammontano a 294.351.600 euro nel 2013, mentre le spese totali del Ministero degli affari esteri sono per lo stesso anno 1.837.166.090 euro;
          il bilancio della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo costituisce il 16,022 per cento di quello complessivo del Ministero degli affari esteri;
          per il solo funzionamento della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo sono stati spesi 38.868.473 euro sui 294.351.600 euro totali, che comprendono quindi anche i progetti di cooperazione;
          lo stanziamento di euro 38.868.473 per il solo funzionamento della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo costituisce il 2,1157 per cento della spesa totale del Ministero degli affari esteri, salvo le previste variazioni ai sensi del comma 6 dell'articolo 6 della citata legge  –:
          quale sia l'esatta ripartizione delle voci di spesa afferente al capitolo 2001 (Competenze fisse e accessorie al personale al netto dell'imposta regionale sulle attività produttive) della tabella 6 della legge di bilancio 2014, ovvero quali oneri siano coperti nello specifico e quali mansioni il personale al punto 1 e 3 del capitolo 2001 rivestono nell'ambito della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo e all'estero. (4-03793)

      Risposta. — In via preliminare, si segnala che il testo fa riferimento alla legge 27 dicembre 2013, n.  148, ovvero alla legge di bilancio per il triennio 2014-2016; i dati tuttavia si riferiscono all'anno finanziario 2013.
      La tabella 6 della legge di bilancio 2014 stabilisce gli stanziamenti attribuiti al Ministero degli affari esteri (MAE) e non le spese sostenute dallo stesso, che possono essere calcolate solo a rendiconto e dunque alla fine dell'anno finanziario di riferimento.
      Pertanto il dato di euro 294.351.600 non rappresenta le spese sostenute dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (DGCS), bensì lo stanziamento iniziale previsto dalla legge di bilancio 2013 (legge 24 dicembre 2012, n.  229); lo stesso dicasi per il dato relativo al Ministero degli esteri, euro 1.837.166.090.
      Per quanto concerne la legge di bilancio 2014, invece, lo stanziamento iniziale attribuito alla DGCS è pari a euro 243.558.667, mentre quello attribuito al MAE è pari a euro 1.815.049.844. Si può dunque affermare che, per l'anno 2014 ed in relazione agli stanziamenti di inizio esercizio finanziario, il bilancio della DGCS costituisce il 13,42 per cento di quello complessivo del MAE. In relazione poi al solo funzionamento della DGCS, la tabella 6 della legge di bilancio 2014 stanzia euro 29.864.689, dato che corrisponde a circa l'1,6 per cento del bilancio complessivo del MAE.
      Con riferimento al capitolo 2001 («Competenze fisse e accessorie al personale al netto dell'imposta regionale sulle attività produttive») della tabella 6, esso riguarda gli stipendi per il personale di ruolo che presta servizio nella direzione generale della cooperazione allo sviluppo. Più precisamente, lo stanziamento complessivo in questione, avente natura obbligatoria e pari ad una quota di euro 10.016.239 di competenza e di cassa, di uguale importo, sul triennio 2014-2016, comprende il trattamento retributivo al lordo degli oneri fiscali e contributivi a carico del lavoratore (euro 7.613.822); i contributi a carico del datore di lavoro (euro 2.264.710); i compensi per lavoro straordinario (euro 101.286) ed i contributi previdenziali e assistenziali, a carico dell'amministrazione, su questi ultimi (euro 36.421). Sul capitolo in questione sono imputati anche gli eventuali oneri relativi al fondo unico di amministrazione.
      Le modalità di determinazione delle risorse di tale capitolo sono identiche a quelle adottate per tutti i capitoli di stipendi delle amministrazioni dello Stato: a partire dagli «anni persona» (numero di unità che la DGCS ha in organico), esso si determina quale semplice prodotto derivante dalla moltiplicazione di tale dato con gli importi tabellari spettanti.
      La quantificazione è effettuata avvalendosi dei dati immessi nei sistemi informatici (CONTECO e SICO) della ragioneria generale dello Stato.
      Con riferimento invece ai punti 1 e 3 del capitolo 2001 citati nel dispositivo dell'interrogazione in questione, essi riguardano rispettivamente gli stipendi e gli assegni fissi al personale comprensivi degli oneri fiscali e contributivi a carico del lavoratore (1) e il compenso per il lavoro straordinario al personale, comprensivo degli oneri fiscali e contributivi al carico del lavoratore (3).
      Si segnala infine che, in merito ai costi delle risorse umane impegnate in attività di cooperazione allo sviluppo, il mero esame delle disponibilità del capitolo 2001 non risulterebbe esaustivo. Infatti su tale capitolo, come anticipato, gravano le retribuzioni del personale di ruolo operante presso la DGCS.
      Gli altri capitoli della tabella 6 che comprendono stanziamenti per risorse umane della DGCS in esame sono:
          capitolo 2150 per un ammontare, in legge di bilancio, pari a euro 9.902.000: con tali risorse sono coperte le spese per il personale proveniente da altre amministrazioni e comandato ai sensi dell'articolo 16, comma 1, lettera d) della legge n.  49 del 1987 presso la DGCS e le spese per gli esperti di cooperazione ex articolo 16, lettere c) ed e) della stessa legge;
          capitolo 2160: per un ammontare, in legge di bilancio, pari a euro 2.381.516, relativo alle spese per il personale assunto in loco a tempo determinato presso le unità tecniche locali;
          capitolo 2153: per un ammontare in legge di bilancio pari a euro 2.465.986, relativo alle indennità per brevi e lunghe missioni di cooperazione, comprese le spese di trasporto e trasferimento.
Il Viceministro degli affari esteri: Lapo Pistelli.


      VALERIA VALENTE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'intervento del legislatore per rendere effettiva la realizzazione della parità tra uomini e donne è stato, nel corso degli ultimi anni, particolarmente significativo;
          il codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n.  198, all'articolo 1, comma 4, ha affermato che «...l'obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività...»;
          l'articolo 6 Tuel, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267, nella originaria formulazione prevedeva, al comma 3, «Gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n.  125, e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da esso dipendenti»;
          la portata vincolante e la specifica ampiezza della previsione del comma 3 dell'articolo 6 ora citato, è stata esplicitata e rafforzata dalla novella introdotta dalla legge 23 novembre 2012, n.  215, recante «Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni», che all'articolo 1, ha modificato la previgente disciplina sancendo che la parità di genere non fosse solo «promossa», bensì «garantita» dagli enti locali, a tal fine prevedendo un sollecito adeguamento dei propri statuti e regolamenti;
          l'obbligo in questione è riaffermato dalle previsioni dell'articolo 46, secondo comma del Tuel – nella riformulazione di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b) della citata legge n.  215 del 2012 – laddove è stabilito «Il sindaco e il presidente della provincia nominano, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della giunta, tra cui un vicesindaco e un vicepresidente, e ne danno comunicazione al consiglio nella prima seduta successiva alla elezione»;
          l'articolo 51 della Costituzione, nella riformulazione che sancisce «tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini», come è stato più volte affermato dalla Corte costituzionale (per tutte, sentenza 4/20109) ha «valore di norma cogente e immediatamente vincolante e come tale idonea a conformare ed indirizzare lo svolgimento della discrezionalità amministrativa ponendosi rispetto ad essa quale parametro di legittimità sostanziale»;
          il cogente principio di parità anzidetto, dunque, costituisce, al tempo stesso, un vincolo all'azione dei pubblici poteri e una «...direttiva in ordine al risultato da perseguire di promozione delle pari opportunità tra i generi, in funzione della parità sostanziale e del buon andamento dell'azione amministrativa», come è stato più volte affermato dal giudice amministrativo (per tutte, TAR Lazio, II bis n.  633/2013);
          l'osservanza dei princìpi di cui si sta trattando, come è ovvio, non può consistere nel mero adeguamento formale degli statuti degli enti territoriali, risultando direttamente vincolante, per sindaci e consigli comunali, in occasione della nomina delle giunte e delle relative ratifiche consiliari;
          accade, al contrario, che numerose giunte siano in concreto costituite ab origine, o modificate in corso di consiliatura, in aperta violazione del dettato costituzionale e delle norme ordinarie sin qui richiamati, con la conseguenza di rendere necessario il ricorso al giudice amministrativo come unico rimedio per il ripristino della legalità violata;
          è quanto, ad esempio, sta accadendo nel comune campano di Acerra, che vede reiteratamente operare la giunta municipale in assenza di alcuna rappresentanza femminile (come è accaduto tra il 24 giugno e il 13 ottobre 2012 e sta ancora accadendo a partire dal 14 marzo 2013 a tutt'oggi), e della questione risulta siano già stati formalmente investiti sia la Presidenza del Consiglio, sia la prefettura di Napoli  –:
          quali iniziative di rispettiva competenza, anche di natura normativa, intendano assumere per assicurare il rispetto della parità di genere, principio fissato da norme costituzionali e leggi ordinarie, in particolare con riferimento alla composizione dei consigli e delle giunte degli enti locali e regionali. (4-01547)

      Risposta. — La questione della composizione delle giunte delle amministrazioni locali occupa un posto di rilievo nell'attuazione dei principio delle pari opportunità nelle cariche elettive anche, e soprattutto, alla luce di una recente giurisprudenza amministrativa che si è espressa sul punto attraverso diverse ed univoche decisioni, imponendo ai sindaci e ai presidenti di provincia di procedere all'integrazione delle giunte costituite da sole persone di sesso maschile mediante la nomina di assessori di entrambi i generi.
      Tale giurisprudenza è stata particolarmente rilevante per aver respinto le posizioni di chi riteneva le disposizioni contenute negli statuti comunali e provinciali come norme di mero valore programmatico e non precettivo e per aver configurato, d'altra parte, il rispetto del principio di pari opportunità come un obbligo gravante su chi nomina i componenti della giunta.
      Anche se è indubbio che la scelta dei componenti della giunta rientra in un ambito di notevole discrezionalità politica, quest'ultima non può arrivare a rendere ininfluente ciò che dispone l'articolo 51 della Costituzione, laddove garantisce sia alle donne che agli uomini la possibilità di accedere agli uffici pubblici in condizione di uguaglianza e laddove sancisce che le pari opportunità devono essere promosse dalla Repubblica (ovvero anche dai comuni e dalle province) con «appositi provvedimenti».
      Il raggiungimento dell'obiettivo delle pari opportunità è altresì previsto dall'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n.  267 del 2000 (TUOEL), secondo il quale gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia.
      Lo stesso decreto legislativo n.  267 del 2000 dispone, all'articolo 46, comma 2, che il sindaco e il presidente della provincia nominano i componenti della giunta, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi.
      Si soggiunge che la legge 7 aprile 2014, n.  56, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, al comma 137 dell'articolo 1, ha previsto che nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3 mila abitanti, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico.
      Il Ministero dell'interno, con circolare del 24 aprile 2014 ha fornito indicazioni applicative in ordine alla disposizione richiamata, sottolineando, altresì, la necessità che il sindaco, prima di nominare la giunta, in attuazione del principio di parità di genere, svolga un'attività istruttoria preordinata ad acquisire la disponibilità di persone appartenenti ad entrambi i generi. Nella circolare viene evidenziata, inoltre, l'esigenza che nell'atto di nomina della giunta, in cui risulti assente un genere, il sindaco renda adeguata motivazione con particolare riferimento all'indisponibilità rilevata.
      In particolare, per quanto riguarda la vicenda del comune di Acerra, nel maggio 2013 la prefettura di Napoli aveva provveduto a richiamare l'attenzione degli amministratori comunali della provincia sulla necessità di adeguarsi ai citati precetti del decreto legislativo n.  267 del 2000 (all'epoca non era stata ancora emanata la legge n.  56 del 2014, volti a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali.
      La successiva verifica dei dati relativi all'anagrafe degli amministratori locali aveva evidenziato, come riferito anche dall'interrogante che la composizione della giunta comunale non era conforme alla normativa vigente.
      Quindi, la prefettura ha investito della questione il sindaco, che ha chiuso la vicenda il 7 febbraio 2014 con la nomina della dottoressa Gerardina Martino quale componente della giunta comunale.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.