XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Domenica 30 novembre 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 30 novembre 2014.

      Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Baretta, Bergamini, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Catania, Cirielli, Colonnese, D'Ambrosio, Dambruoso, De Girolamo, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fauttilli, Fico, Gregorio Fontana, Fraccaro, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, La Russa, Lupi, Manciulli, Merlo, Meta, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Sanga, Sani, Scotto, Sisto, Speranza, Tidei, Velo, Vignali, Vito, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

      Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Baretta, Bergamini, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Catania, Cirielli, Colonnese, D'Ambrosio, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fauttilli, Fico, Gregorio Fontana, Fraccaro, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Gozi, La Russa, Lotti, Lupi, Manciulli, Merlo, Meta, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scotto, Sisto, Speranza, Tidei, Velo, Vignali, Vito, Zanetti.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

      A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

          I Commissione (Affari costituzionali):
      DI LELLO ed altri: «Modifica all'articolo 11 del testo unico di cui al decreto legislativo 31 dicembre 2012, n.  235, in materia di cause di sospensione e di decadenza dalle cariche negli enti locali» (2696) Parere delle Commissioni II e V.

          II Commissione (Giustizia):
      GIGLI ed altri: «Disposizioni e delega al Governo in materia di istituzione del registro delle stabili convivenze» (2666) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

          VII Commissione (Cultura):
      S. 1569. – DISTASO ed altri: «Istituzione del “Premio biennale di ricerca Giuseppe Di Vagno” e disposizioni per il potenziamento della biblioteca e dell'archivio storico della Fondazione Di Vagno, per la conservazione della memoria del deputato socialista assassinato il 25 settembre 1921» (approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (1092-B) Parere delle Commissioni I e V.

Trasmissioni dalla Corte dei conti.

      Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 27 novembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n.  259, la determinazione e la relazione riferita al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI), per l'esercizio 2012. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n.  259 del 1958 (Doc. XV, n.  204).
      Questi documenti sono trasmessi alla III Commissione (Affari esteri) e alla V Commissione (Bilancio).

      Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 27 novembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n.  259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente nazionale per il microcredito, per l'esercizio 2012. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n.    259 del 1958 (Doc. XV, n.  205).
      Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VI Commissione (Finanze).

Trasmissione dal Ministro dello sviluppo economico.

      Il Ministro dello sviluppo economico, con lettera in data 28 novembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, quinto comma, della legge 20 marzo 1975, n.  70, la relazione sull'attività svolta sul bilancio di previsione e sulla consistenza degli organici dell'Ente nazionale per il microcredito, riferita all'anno 2013, corredata dal bilancio di previsione e dal conto consuntivo per il medesimo anno.

      Questa relazione è trasmessa alla VI Commissione (Finanze).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

      Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, con comunicazione in data 27 novembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n.  234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

      Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Atti di controllo e di indirizzo.

      Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: DISPOSIZIONI PER LA FORMAZIONE DEL BILANCIO ANNUALE E PLURIENNALE DELLO STATO (LEGGE DI STABILITÀ 2015) (A.C. 2679-BIS-A)

A.C. 2679-bis-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

      La Camera,
          premesso che:
              la sofferenza abitativa in Italia è certificata da dati incontrovertibili: 700.000 domande per una casa popolare da parte di nuclei familiari utilmente collocate in graduatoria a cui i comuni non riescono a dare risposta; circa 75.000 sfratti emessi nel 2013, di cui ormai la morosità è responsabile del 90 per cento delle sentenze;
              il Governo ha iniziato, nei limiti consentiti calla condizione attuale della finanza pubblica, a mettere in campo misure utili ad affrontare questi problemi con interventi tesi a favorire i canoni concordati, a ripristinare finanziamenti per il fondo sociale affitti e per istituire il fondo per la morosità incolpevole;
              nel frattempo, però, si approssima la data della scadenza al 31 dicembre 2014 della proroga delle esecuzioni degli sfratti, per la esclusiva causale della finita locazione a favore di nuclei familiari con redditi familiari fino a 21 mila euro l'anno lordi e con presenza di anziani ultrasessantacinquenni, minori, portatori di handicap gravi, malati terminali;
              la proroga interessa, pertanto, soltanto una fattispecie di sfratti e determinate e specifiche categorie svantaggiate e riguarda nuclei in regola con il pagamento del canone e immobili per i quali il locatore non ha avanzato richieste di rilascio per necessità ma esclusivamente per finita locazione;
              l'insieme delle misure su ricordate, pur indirizzate nella direzione di ridurre il disagio abitativo, a causa della su ricordata condizione della finanza pubblica, sono del tutto insufficienti ai fini di poter intervenire efficacemente su una platea così vasta e crescente di sfratti in essere e di difficoltà derivanti dall'impoverimento delle famiglie e, inoltre, prioritariamente tengono impiegate ad intervenire rispetto alla dilagante crescita dei fenomeno della morosità incolpevole;
              tali misure, infine, anche a causa dei ritardi intervenuti nella definizione degli adempimenti previsti dalle normative vigenti e dei vincoli del patto di stabilità, ancora non risultano operative in molte regioni e comuni;
              la mancata proroga dell'esecuzione degli sfratti per finita locazione a favore delle categorie sociali suddette, determinerebbe, in una condizione già così difficile per la coesione sociale, ulteriori elementi di difficoltà, che getterebbero in un dramma sociale nuclei familiari debolissimi per reddito, composizione e condizione personale, nonché metterebbe in gravissima difficoltà le pubbliche amministrazioni, cui spetta, rispetto a tali estreme

situazioni, un obbligo di soccorso cui non sono spesso in grado di ottemperare,

impegna il Governo

ad assumere idonee iniziative finalizzate a rinnovare la proroga del blocco delle esecuzione per gli sfratti per finita locazione e per morosità incolpevole per i nuclei familiari nelle condizioni previste dalla vigente normativa, rinnovando la proroga in scadenza il prossimo 31 dicembre 2014, anche al fine di permettere il pieno dispiegarsi dell'insieme delle misure già varate ed in itinere e sulla base di una verifica degli effetti realmente prodotti.
9/2679-bis-A/1. Morassut.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 3, i commi da 21 a 26 recano disposizioni in materia di giochi, nelle more del riordino della disciplina dei giochi pubblici prevista nell'ambito della delega fiscale di cui all'articolo 14 della legge n.  23 del 2014;
              con decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 2001, n.  430 è stato emanato il regolamento concernente la revisione organica della disciplina dei concorsi e delle operazioni a premio, nonché delle manifestazioni di sorte locali ai sensi dell'articolo 19, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n.  449;
              il predetto regolamento rimandava all'articolo 124 del regio decreto-legge 19 ottobre 1938, n.  1933, convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 1939, n.  973, come da ultimo sostituito dall'articolo 19, comma 5, lettera c), della legge 27 dicembre 1997, n.  449, in riferimento alle sanzioni da applicare in caso di effettuazione di concorsi o operazioni a premio in violazione della normativa applicabile;
              il suddetto articolo 124 prevedeva un sistema sanzionatorio proporzionato all'ammontare dell'imposta sul valore aggiunto dovuta e comunque non inferiore ai vecchi cinque milioni di lire in caso di effettuazione di concorsi ed operazioni a premio di cui è vietato lo svolgimento e, rispettivamente, nell'ammontare da quattro a venti milioni di lire in caso di effettuazione di concorsi a premio senza invio della comunicazione preventiva;
              il decreto-legge 28 aprile 2009, n.  39, recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile», convertito con modificazioni dalla legge 24 giugno 2009, n.  77, all'articolo 12, comma 1, lettera o), ha previsto in maniera assolutamente sproporzionata e irragionevole rispetto alla violazione commessa l'inasprimento di tali sanzioni, nella misura da 50.000 a 500.000 euro;
              sarebbe opportuno rivedere l'impianto normativo dell'articolo 12, comma 1, lettera o), limitando le sanzioni ivi previste esclusivamente ai concorsi a premio per i quali sia stata accertata la coincidenza con attività di gioco riservate allo Stato oppure l'elusione del monopolio statale sui giochi, mentre per gli altri giochi od operazioni a premio sarebbe ragionevole ripristinarsi il sistema sanzionatorio antecedente al decreto legge n.  39 del 2009, in quanto proporzionato all'entità e alla gravità delle violazioni commesse;
              sarebbe altresì ragionevole che, nel rivedere l'impianto sanzionatorio, si prevedesse anche un regime transitorio consistente nell'applicazione del nuovo sistema sanzionatorio anche in riferimento alle sanzioni già irrogate, ma non definitive al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina, in quanto impugnate o ancora suscettibili di impugnativa;
              in sede di risposta all'interrogazione 5-03733, svolta l'8 ottobre 201 presso la VI Commissione Finanze di questa Camera, lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze ha evidenziato «che le sanzioni di importo significativamente elevato vanno senza dubbio irrogate nel caso di necessità di contrastare l'elusione della riserva statale per le lotterie, ma (...) sembrano essere sproporzionate per sanzionare violazioni relative ad iniziative promozionali esclusivamente commerciali e di rilievo economico del tutto marginale; in tali circostanze le violazioni, spesso di carattere solo formale, erano adeguatamente e già efficacemente sanzionate con il precedente sistema sanzionatorio proporzionale, sistema che consentiva peraltro, nei casi di operazioni promozionali di grande rilievo economico, introiti anche maggiori di quelli ora previsti»;
              la legge 11 marzo 2014, n.  23, recante la cosiddetta delega fiscale, all'articolo 14 prevede proprio una delega al Governo a riordinare le disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, i cui decreti attuativi non sono ancora stati emanati e lo stesso Ministero dello sviluppo economico ha prospettato, in sede di risposta alla suddetta interrogazione, che si potrebbe riordinare il sistema sanzionatorio in quella sede,

impegna il Governo

a rivedere il sistema sanzionatorio previsto dall'articolo 12, comma 1, lettera o), del decreto-legge n.  39 del 2009, con un adeguato regime transitorio, nel senso indicato in premessa, nell'ambito dei decreti attuativi di cui all'articolo 14 della legge n.  23 del 2014 sulla delega fiscale.
9/2679-bis-A/2. Schullian.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 3, comma 6, riapre i termini per la rivalutazione contabile dei terreni agricoli ed edificabili e per le partecipazioni in società non quotate, secondo una norma inserita con la legge finanziaria per il 2002 e sempre prorogata negli anni fino a oggi;
              la legge di Stabilità per il 2014 (legge n.  147 del 2013), al comma 162, ha previsto per i professionisti la deducibilità dei canoni di leasing immobiliare per un periodo non inferiore a 12 anni, apportando modifiche che riguardano nello specifico l'articolo 54 (redditi di lavoro autonomo) del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  917 del 1986;
              tale importante intervento normativo non è però mai stato coordinato con le disposizioni dell'articolo 1, comma 335, della legge finanziaria per il 2007 (legge n.  296 del 2006), che limitavano ai contratti di leasing immobiliare stipulati dal 2007 al 2009 la deducibilità dei relativi canoni, conseguentemente la giurisprudenza ha segnalato dubbi interpretativi; ci sono stati però anche casi in cui, come la Direzione Regionale della Lombardia in risposta all'interpello di un contribuente, la giurisprudenza si è pronunciata in favore della deducibilità dei canoni di leasing immobiliare relativi ai contratti stipulati dal 1o gennaio 2014, nel caso specifico si trattava di una società di professionisti;
              è opportuno ricordare però che l'interpello vale esclusivamente per chi lo ha proposto e non ha valenza giurisprudenziale;
              con qualche sforzo interpretativo si potrebbe comunque arrivare alla conclusione che anche i canoni di leasing immobiliare stipulati a partire dal 1o gennaio 2014 sono deducibili dal reddito di lavoro autonomo, nonostante sarebbe più opportuna una interpretazione autentica ufficiale o un chiarimento da parte dell'Agenzia delle Entrate;
              non si comprende perché la deducibilità rimanga negata, invece, per chi effettua l'investimento tramite un acquisto diretto, per esempio con un mutuo, e si dovrebbe, al contrario, prevedere la possibilità di dedurre dal reddito professionale gli ammortamenti per chi acquista un immobile per la sua attività professionale, in modo da parificare le forme di pagamento o finanziamento (mutuo o leasing finanziario),

impegna il Governo

a chiarire ufficialmente che anche i canoni di leasing immobiliare stipulati a partire dal 1o gennaio 2014, ai sensi dell'articolo 1, comma 162 della legge 24 dicembre 2014, n.  147, siano deducibili dal reddito di lavoro autonomo, attraverso un'estensione applicativa dell'articolo 1, comma 335, della legge n.  296 del 2006, contestualmente prevedendo anche la deducibilità dal reddito professionale delle quote di ammortamento per chi acquista un immobile per la sua attività professionale attraverso un mutuo.
9/2679-bis-A/3. Gebhard, Alfreider, Plangger, Schullian, Ottobre, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 3, comma 6, riapre i termini per la rivalutazione contabile dei terreni agricoli ed edificabili e per le partecipazioni in società non quotate, secondo una norma inserita con la legge finanziaria per il 2002 e sempre prorogata negli anni fino a oggi;
              la legge finanziaria per il 2008 (legge n.  244 del 2007) aveva previsto la possibilità per l'imprenditore individuale che possedeva beni immobili strumentali di cui all'articolo 43, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917, recante il testo unico delle imposte sui redditi, di optare per l'esclusione dei beni stessi dal patrimonio dell'impresa mediante il pagamento di un'imposta sostitutiva dell'IRPEF, dell'IRAP e dell'IVA;
              tale norma non è poi stata prorogata con la conseguenza che, in periodi così prolungati di crisi, tante piccole imprese individuali rimangono in essere, perché l'onere tributario per l'estromissione è eccessivo, mentre la riproposizione di tale norma permetterebbe anche di diminuire la platea dei soggetti sottoposti al regime IVA;
              una simile agevolazione, in periodi congiunturali così difficili, dovrebbe essere prevista anche per le cosiddette «società di comodo», riproponendo la disciplina di scioglimento agevolato di cui all'articolo 1, commi da 111 a 118 della legge finanziaria per il 2007 (legge n.  296 del 2006),

impegna il Governo

a rivedere la normativa fiscale vigente in materia di beni strumentali delle imprese individuali, delle società e degli enti pubblici e privati che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali indicate in premessa, nell'ambito dei decreti attuativi relativi alla delega fiscale di cui alla legge n.  23 del 2014, prevedendo un regime tributario agevolato, attraverso il pagamento di un'imposta sostitutiva dell'IRPEF, dell'IRAP e dell'IVA per l'esclusione dei beni strumentali dal patrimonio dell'impresa.
9/2679-bis-A/4. Alfreider, Gebhard, Plangger, Schullian, Ottobre, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              è in discussione l'A.C. 2679-bis, Legge di Stabilità 2015;
              il relativo disegno di legge contiene, all'articolo 1, disposizioni in materia di finanziamenti all'autotrasporto;
              esso contiene inoltre, all'articolo 2, varie norme sulle imprese di trasporto;
              in particolare, il comma 11-bis contiene una nuova disciplina della sub-vezione;
              in particolare si prevede che il contratto di trasporto tra vettore e sub-vettore debba avere forma scritta;
              gli attuali finanziamenti all'autotrasporto si risolvono in meri sussidi, privi di condizioni finalizzate all'incentivazione, all'ammodernamento tecnologico e ambientale o all'efficientamento delle filiere logistiche: da un punto di vista microeconomico essi risultano quindi responsabili di distorsioni nel mercato dei servizi di trasporto merci, favorendo una modalità di trasporto foriera di importanti esternalità negative ed è stato quindi suggerito che i finanziamenti oggi erogati al settore in forma di sussidi siano trasformati in incentivi, così da non premiare l'inefficienza ma, viceversa, favorire l'efficientamento e l'intermodalità nel trasporto merci,

impegna il Governo a:

          valutare l'opportunità, al fine di favorire la competitività e di razionalizzare il sistema del trasporto merci, di prevedere la ripartizione delle risorse destinate all'autotrasporto, e più in generale di tutte le risorse destinate al trasporto merci e alla logistica, tra le sole imprese che pongano in essere iniziative dirette a realizzare:
              1. l'aggregazione in rete delle aziende tramite l'utilizzo di cooperative, consorzi, contratti di rete o integrandosi altrimenti con strutture logistiche;
              2. la condivisione della flotta;
              3. l'utilizzo di sistemi informatici, telematici per la razionalizzazione del trasporto;
              4. l'acquisto di unità di carico quali casse mobili, container e micro unità atte alla distribuzione urbana delle merci;
              5. la dotazione di sistemi integrati a bordo camion;
              6. la riduzione dei costi esterni ambientali;

          valutare l'opportunità, in sede di riparto dei fondi per l'autotrasporto, di prevedere la concessione alle imprese di trasporto per conto terzi iscritte all'Albo nazionale, in possesso di veicoli per conto terzi, di cui all'articolo 47 comma 2 lettere «c» e «d» del decreto legislativo 285/1992, un credito d'imposta per ogni dispositivo di telematica satellitare in grado di disciplinare i tempi di sosta al carico e scarico, ridurre i ritorni a vuoto, garantire la sicurezza della circolazione dei veicoli a motore e la trasparenza sulle operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria, collegabile con la Piattaforma logistica nazionale, appena questa sarà pienamente operativa, demandando a RAM Spa (Rete autostrade mediterranee) la gestione delle pratiche;
          valutare l'opportunità di adottare le ulteriori iniziative eventualmente ritenute necessarie a prevenire la concessione di sussidi all'autotrasporto ad aziende che, praticando l'esterovestizione e la delocalizzazione all'estero, effettuano trasporti domestici sul territorio nazionale in regime di concorrenza sleale;
          valutare l'opportunità di prevedere, in collaborazione con l'Albo nazionale, la creazione di appositi modelli di contratto di trasporto, stampabili e scaricabili dalla rete internet, ed eventualmente compilabili e personalizzabili attraverso apposita piattaforma telematica, al fine di favorire la transizione degli operatori del settore verso l'utilizzo di contratti scritti;
          valutare l'opportunità di prevedere la possibilità, per le imprese ferroviarie, di accedere al fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n.  662, e successive modificazioni, al fine di porre a essere operazioni di acquisto di materiale rotabile ferroviario per il trasporto di merci, entro un limite di importo garantito pari a 4,5 milioni di euro.
9/2679-bis-A/5. Catalano.


      La Camera,
          premesso che:
              l'espletamento del servizio di tutela delle coste e del mare territoriale dall'inquinamento è operato dallo Stato tramite il Ministero dell'Ambiente, avvalendosi del coordinamento operativo del Comando Generale delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera;
              per l'esercizio operativo del suddetto servizio lo Stato, in luogo della Costruzione o dell'acquisto, ha optato per il noleggio a caldo delle navi;
              sino alle recenti modifiche, il Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  633 ha equiparato le cessioni di navi, con noleggio a caldo, alle cessioni alle esportazioni, esentando il servizio di tutela delle coste e del mare territoriale dall'inquinamento dal pagamento dell'IVA;
              la modifica introdotta dalla Legge 15 dicembre 2011, n.  217 limita le tipologie di navi le cui cessioni sono escluse dal pagamento dell'IVA, escludendo le navi che, pur potendo tecnicamente esercitare in alto mare, sono per loro propria natura operative lungo le coste;
              la direttiva 2006/112/CE si limita ad enucleare un regime de minimis per le categorie esenti dal pagamento dell'IVA;
              le suddette modifiche normative, assoggettano il servizio di tutela delle coste ad un'imposizione IVA pari al 22 per cento;
              la riduzione del budget per lo svolgimento del servizio comporta un calo del numero di navi a disposizione per la protezione delle coste, con un aumento del raggio di azione di ciascuna nave;
              la diminuzione dell'importo netto, a remunerazione del servizio, comporta una riduzione dei nuovi investimenti per il miglioramento delle performance tecnologiche del naviglio disponibile,

impegna il Governo:

          ad adottare specifiche iniziative legislative volte a ricomprendere il servizio di tutela delle coste e del mare territoriale dall'antinquinamento tra le categorie esentate dal pagamento dell'imposta sul valore aggiunto, equiparandole alle cessioni alle esportazioni;
          ad adottare apposite politiche volte a consentire maggiori investimenti privati nel settore armatoriale e tecnologico nazionale, con specifico riferimento al naviglio destinato all'espletamento del servizio antinquinamento marino, anche al fine di valorizzare l'eccellenza italiana nel settore.
9/2679-bis-A/6. Boccadutri.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, insieme al «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2015 e bilancio pluriennale per il triennio 2015-2017» rappresenta la norma principale prevista dall'ordinamento giuridico italiano per regolare la vita economica del Paese per un triennio, appunto, attraverso misure di finanza pubblica;
              l'articolo 2 ai commi 22-34, detta norme per il contenimento delle spese di personale nel settore del pubblico impiego, compreso il Comparto Sicurezza e difesa, mentre ai commi 109-124 introduce misure correttive al bilancio del Ministero della difesa;
              relativamente a tale Comparto numerose proposte sono state avanzate da tutte le forze politiche per consentire lo scorrimento fino ad esaurimento delle graduatorie dei vincitori e idonei utilmente collocati dei concorsi indetti, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica;
              in particolare, emendamenti sono stati presentati per le assunzioni del personale nel Corpo della Guardia di Finanza, compresi gli ufficiali in ferma prefissata con 42 mesi di servizio svolto e plurime idoneità conseguite e i giovani del concorso per 750 allievi finanzieri, nonché della Polizia di Stato anche ai finì delle assunzioni straordinarie previste per l'Expo 2015;
              altrettanto degna di attenzione è la situazione dei giovani idonei non vincitori del concorso per l'ammissione al 40 corso triennale di 247 Allievi Marescialli del ruolo Ispettori dell'Arma dei Carabinieri ancora in attesa di essere reclutati;
              nonostante l'esistenza e la validità delle graduatorie di concorsi già espletati, le Pubbliche Amministrazioni continuano, infatti, a bandire nuovi concorsi, con evidenti elevati oneri finanziari per l'Amministrazione interessata;
              l'immediata assunzione dei tanti giovani in attesa di essere immessi nei rispettivi ruoli, sarebbe un esempio di buon senso, oltre che di forte presenza dello Stato,

impegna il Governo

affinché adotti opportuni provvedimenti volti a garantire lo scorrimento anche delle graduatorie del concorso per l'ammissione al 40 corso triennale di 247 Allievi Marescialli del ruolo Ispettori dell'Arma dei Carabinieri indetto lo scorso 17 gennaio.
9/2679-bis-A/7. Cirielli.


      La Camera,
          premesso che:
              l'obiettivo del ridimensionamento e della revisione della spesa corrente risulta assolutamente necessario per liberare risorse indispensabili per far ripartire gli investimenti pubblici e per consentire importanti interventi di riduzione del carico fiscale sui fattori produttivi, nella prospettiva del rilancio dell'economia nazionale, dopo un lungo periodo di stagnazione e recessione;
              gli enti provinciali stanno attraversando una complessa fase di transizione ed evoluzione istituzionale, in vista di un più organico e definitivo intervento di natura costituzionale, nel quale sono comunque tenute a garantire la continuità dei servizi previsti dall'attuale quadro normativo;
              come noto, per l'assolvimento delle proprie funzioni, già a decorrere dall'anno 2011, le province così come altre amministrazioni dello Stato hanno potuto ricorrere all'assunzione di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, solo nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009, ai sensi all'articolo 9, comma 28, del decreto-legge n.  78 del 2010;
              in tale contesto si inseriscono le previsioni di cui all'articolo 2, commi 154-156, del provvedimento in oggetto, finalizzati a definire il concorso delle province e delle città metropolitane al contenimento della spesa pubblica, attraverso una riduzione della loro spesa corrente, che in particolare stabiliscono il divieto assoluto di instaurare rapporti di lavoro flessibile di cui al citato articolo 9, comma 28, del decreto-legge n.  78 del 2010;
              tale divieto assoluto, anche nel caso in cui i relativi oneri finanziari siano sostenuti grazie alle risorse del Fondo Europeo Sviluppo (FES), rischia di compromettere l'operatività di alcuni importanti funzioni, tuttora in capo alle province, e di trasformare i lavoratori sin qui utilizzati in altrettanti disoccupati,

impegna il Governo

a valutare approfonditamente le disposizioni di cui in premessa al fine di valutare il superamento, a partire dai prossimi provvedimenti di natura finanziaria, del suddetto divieto assoluto per le province di instaurare rapporti di lavoro flessibile di cui al citato articolo 9, comma 28, del decreto-legge n.  78 del 2010, qualora i relativi oneri finanziari siano sostenuti grazie alle risorse del Fondo Europeo Sviluppo (FES).
9/2679-bis-A/8. Rigoni.


      La Camera,
          premesso che:
              il Governo e i Presidenti della Regione Trentino Alto Adige/Sudtirol e delle Province Autonome di Trento e Bolzano hanno sottoscritto in data 15 ottobre 2014 un accordo preliminare alla concorde richiesta di cui all'articolo 104 dello Statuto di Autonomia, per la modifica del Titolo VI dello Statuto stesso in relazione alla disciplina dei rapporti finanziari tra lo Stato, le Province Autonome e la Regione;
              tale accordo deve tradursi, sulla base della predetta concorde richiesta, in articolato normativo da recepire mediante disposizioni legislative ai sensi del citato articolo 104 dello Statuto,

impegna il Governo

a recepire, nell'ambito della presente manovra di bilancio, il predetto articolato normativo di modifica della disciplina statutaria relativa ai rapporti finanziari con lo Stato, sulla base del procedimento di intesa in premessa richiamato.
9/2679-bis-A/9(Versione corretta)Dellai, Alfreider, Plangger, Gebhard, Schullian, Nicoletti, Gnecchi, Ottobre.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2, commi 1-19, del disegno di legge sulla stabilità prevede misure per le imprese;
              nella determinazione della base imponibile del fabbricato industriale oggi vengono inclusi anche macchinari ed impianti ancorati al suolo ma che allo stesso tempo possono essere smontati, trasferiti da un sito ad un altro, oppure ceduti per essere sostituiti: si tratta dei cosiddetti «macchinari imbullonati» e non di veri e propri immobili che, però, sulla base dell'attuale interpretazione di un regio decreto del 1939 (articolo 10 del R.decreto-legge n.  652 del 1939) entrano nella determinazione della rendita catastale;
              in questo modo le imprese subiscono un consistente incremento delle rendite catastali e un aumento, pertanto, della base imponibile su cui è dovuta l'IMU;
              le norme di accatastamento dei fabbricati industriali sono spesso interpretate e applicate in maniera disomogenea sul territorio: la mancanza di certezza e di omogeneità nell'attribuzione della rendita dei fabbricati industriali comporta, pertanto, difficoltà interpretative ed applicative per le imprese che crea numerosi contenziosi, particolarmente rilevanti nel caso di grandi complessi produttivi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, anche ai fini di limitare il quadro di incertezza normativa, una modifica della normativa vigente al fine di esentare dall'IMU i cosiddetti macchinari imbullonati.
9/2679-bis-A/10. Minardo.


      La Camera,
          premesso che:
              in merito alla carenza di organico in molti uffici giudiziari quest'Aula ha avuto modo di esprimersi più volte sia con atti di sindacato ispettivo che con ordini del giorno che hanno impegnato il Governo;
              la disfunzione di cui sopra è stata parzialmente attenuata nell'ultimo quinquennio con 2.924 lavoratori assunti con contratto di tirocinio professionalizzante al termine di percorsi formativi del Ministero della giustizia;
              tale strumento trova la sua ratio nella non dispersione delle professionalità acquisite nel mondo del lavoro, in linea con l'autorevole orientamento più volte manifestato anche dalle istituzioni dell'Unione europea;
              a tal proposito, il Ministro della Giustizia, lo scorso 17 settembre 2014 in Commissione II, rispondendo all'atto di sindacato ispettivo 5/03555 ha sottolineato che in applicazione dell'articolo 37 del decreto-legge n.  98 del 2011, come modificato con la legge di stabilità 2013, sono stati finanziati i progetti formativi presso gli uffici giudiziari utilizzando le risorse iscritte sul proprio bilancio, nel limite di spesa di 7,5 milioni di euro. «La legge di stabilità 2014 ha prorogato il finanziamento del percorso di perfezionamento dei suddetti progetti formativi, incrementando il limite di spesa di ulteriori 7,5 milioni, per un totale di 15 milioni di euro; questa Amministrazione ha già utilizzato nel corrente anno, per i fini previsti dalla legge, i primi 7,5 milioni di euro. L'articolo 50, comma primo, del decreto-legge n.  90 del 2014, come modificato a seguito di un emendamento parlamentare approvato in sede di conversione in legge, ha previsto la possibilità di utilizzare nell'ambito dell'ufficio del processo i soggetti che hanno completato il tirocinio formativo ai sensi dall'articolo 37, comma 11, del decreto-legge n.  98 del 2011, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente. Questo Ministero ha pertanto immediatamente avviato con il Ministero dell'Economia e delle Finanze una opportuna interlocuzione per l'assegnazione di ulteriori 7,5 milioni di euro, nell'ambito delle risorse da contributo unificato derivanti dall'applicazione del citato decreto-legge n.  98 del 2011, al fine di reperire le risorse necessarie al completamento dei progetti avviati nel corso del 2014, aggiuntive alle dotazioni ordinarie di bilancio»;
              come annunciato dallo stesso Ministro in Commissione, con riferimento al parere da parte della Ragioneria Generale dello Stato sul decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, controfirmato dal Ministro della Giustizia, con il quale si individuavano i fondi necessari al completamento dei tirocini per l'anno 2014, lo stesso titolare del Dicastero, il 18 novembre scorso, ha firmato il decreto di variazione di bilancio con il quale viene anticipata la somma di 1,5 milioni di euro per consentire l'avvio dei percorsi formativi dei precari della giustizia nel secondo semestre del 2014;
              sicuramente questo è un primo passo nella direzione già annunciata dal Ministro stesso; «è intendimento di questa Amministrazione assicurare il raggiungimento di ogni intervento utile al fine di non disperdere il prezioso bagaglio di professionalità acquisito dai tirocinanti presso gli uffici giudiziari» verso una soluzione del problema come lo sono d'altra parte gli impegni che il Governo ha assunto in ben due occasioni con l'accoglimento degli ordini del giorno: 9/01682 – A/013 e 9/02681/137,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile affinché si possa garantire, in tempi certi, la continuità dell'esperienza dei tirocinanti di cui sopra nel triennio 2015-2017 non solo mediante l'utilizzo, per quanto possibile, di fondi europei ma anche impiegando i precari che hanno già superato il concorso pubblico per titoli ed esami e che, essendo in attesa della definizione dei loro rapporti con il ministero, potrebbero sopperire alla carenza di personale anche attraverso l'individuazione di contratti a tempo determinato.
9/2679-bis-A/11. Di Lello.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame del disegno di legge recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (Legge di stabilità 2015), in V Commissione permanente (Bilancio, tesoro e programmazione), è stato approvato il testo dell'emendamento 26.87;
              con tale emendamento viene sancita la possibilità di un parziale utilizzo di quota parte delle ingenti risorse detenute dall'INAIL presso la tesoreria dello Stato secondo criteri di prudenza e gradualità, nonché in misura compatibile con gli equilibri di finanza pubblica;
              tenuto conto della riserva formulata in sede di discussione presso la V Commissione permanente (Bilancio, tesoro e programmazione) della Camera dei Deputati dai rappresentanti del Governo di svolgere ulteriori approfondimenti in occasione del prossimo esame del provvedimento al Senato circa l'esigenza di consentire a INAIL l'utilizzo di risorse aggiuntive rispetto a quelle impiegate a legislazione vigente;
              appare, in ogni caso, necessario precisare, ove occorra anche attraverso un'apposita modifica del testo normativo, che resta impregiudicato il procedimento di autorizzazione delle risorse ordinarie dell'INAIL per gli investimenti immobiliari ex articolo 8, comma 15, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n.  122. Ciò come del resto attestato di recente dall'articolo 27 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.  133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n.  164 (cosiddetta sblocca Italia),

impegna il Governo

a verificare la possibilità, ove occorra anche attraversa un'apposita modifica del testo normativo, di precisare il testo dell'articolo 2, comma 69, nel senso di intangibilità delle risorse autorizzate o autorizzabili ex articolo 8, comma 15, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n.  122.
9/2679-bis-A/12. Di Gioia.


      La Camera
          premesso che:
              sono ben ventuno gli ex istituti musicali pareggiati ora Istituti Superiori di Studi Musicale e Coreutici che svolgono un'attività didattica e formativa che rappresenta il 30 per cento dell'offerta nazionale e che promuovono e valorizzano la millenaria e diversificata tradizione melodica e musicale del nostro Paese;
              tali Istituti formano ogni anno oltre mille orchestrali. L'articolo 1, commi da 102 a 107, della legge 24 dicembre 2012, n.  228, ha aggiornato le precedenti norme che equiparavano i diplomi accademici dei diversi livelli alle equipollenti lauree rilasciate dal sistema universitario nazionale;
              resta irrisolto il problema della statizzazione perché dopo quattordici anni dalla sua entrata in vigore, la legge n.  508 del 1999 non è stata ancora applicata integralmente in quanto mancano alcuni regolamenti attuativi. In sintesi, gli istituti musicali pareggiati sono stati equiparati ai conservatori di musica statali tranne che per la provenienza dei finanziamenti;
              i costi del personale (docente e tecnico-amministrativo) degli istituti ex pareggiati, nonché la gestione delle strutture, ricadono ancora quasi interamente sui bilanci dei comuni e delle province di appartenenza;
              la crisi economica, il taglio dei finanziamenti agli enti locali e i vincoli imposti ai bilanci delle amministrazioni stanno compromettendo lo svolgimento delle attività didattiche e formative degli istituti musicali pareggiati;
              la legge 8 novembre 2013 n.  128 aveva previsto un contributo per l'anno 2014 a sostegno dei sopra indicati istituti, riconoscendone la fondamentale funzione nel panorama dell'alta formazione artistica e musicale,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di identificare le modalità di sostegno anche finanziario agli Istituti Superiori di Studi Musicale e Coreutici ex istituto musicali pareggiati ed a completare il processo di statizzazione degli stessi.
9/2679-bis-A/13. Senaldi, Carrescia, Paolo Rossi, Bergonzi, Piccoli Nardelli, Fregolent, Taranto.


      La Camera
          premesso che:
              l'arte contemporanea rappresenta oggi una frontiera della conoscenza, della modernità e del futuro;
              il Ministro Franceschini ha detto recentemente che «una delle vocazioni italiane è favorire la creazione contemporanea mettendola in relazione con il nostro patrimonio» e che bisogna «non solo valorizzare il passata ma guardare anche a presente e futuro»;
              la riforma del Ministero, che istituisce una nuova direzione generale che si occuperà di arte, architettura contemporanea e periferie, dimostra quanto il Governo sia impegnato a sviluppare la ricerca artistica e scientifica;
              è necessario riavvicinare gli italiani alla bellezza, quella del patrimonio esistente ma anche quella del contemporaneo che, come affermato dal Ministro Franceschini lo scorso 11 ottobre, deve vivere una nuova fase di investimento;
              in previsione di EXPO 2015, si ritiene necessario sostenere le strutture culturali vicine al territorio sede dell'evento al fine di favorire percorsi culturali e turistici di elevata qualità;
              il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo partecipa direttamente ad alcuni enti culturali promotori dell'arte contemporanea e precisamente Biennale di Venezia, Triennale di Milano, Quadriennale di Roma, Fondazione MAXXI di Roma, Fondazione Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea «Silvio Zanella» di Gallarate;
              Il MiBACT provvede a indicare un suo rappresentante all'interno del Comitato Tecnico Scientifico e uno nel Consiglio di Gestione della Fondazione «Silvio Zanella» e che il 1o dicembre 2009, all'atto della costituzione della Fondazione, MiBACT e comune di Gallarate hanno firmato un «Accordo per la definizione di strategie e obiettivi comuni...», ai sensi del Codice e nel rispetto di Agenda 21,

impegna il Governo:

          a valutare la possibilità di promuovere le attività degli enti e delle fondazioni promotori dell'arte contemporanea partecipati dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
          a sostenere le iniziative e le attività svolte dalla Fondazione Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea «Silvio Zanella», come succede negli altri enti che sono partecipati direttamente dal Ministero stesso, ovvero la Biennale di Venezia, la Triennale di Milano, la Quadriennale di Roma e la Fondazione MAXXI di Roma.
9/2679-bis-A/14. Paolo Rossi, Senaldi, Bergonzi, Taranto, Benamati.


      La Camera
          premesso che:
              alcune zone del nostro Paese risultano storicamente svantaggiate per quanto riguarda la disponibilità di fonti energetiche in particolare di gas metano per il riscaldamento a causa della mancanza della rete di distribuzione;
              per questo motivo le aree geograficamente o climaticamente svantaggiate, come le zone di montagna, hanno goduto e godono di agevolazioni per il GPL ed il gasolio impiegati per il riscaldamento a parziale rimborso della pesantissima fiscalità gravante su tali prodotti;
              se venisse meno l'attuale agevolazione fiscale verrebbero colpiti i cittadini in situazione di svantaggio per l'impossibilità di utilizzare fonti energetiche più convenienti, dovendo così sopportare una spesa aggiuntiva per far fronte ai bisogni primari di riscaldamento o dovendo eventualmente provvedere ad un cambio degli impianti per renderli idonei all'utilizzo di altre fonti se disponibili;
              il GPL in particolare risulta una fonte efficiente e non inquinante,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di introdurre le agevolazioni previste fino all'anno 2015 per GPL e gasolio nelle aree geograficamente o climaticamente svantaggiate anche per gli anni successivi così da dare certezza ai cittadini consumatori ed alle imprese del settore.
9/2679-bis-A/15. Bergonzi, Senaldi, Taranto, Benamati, Caparini.


      La Camera
          premesso che:
              è finalità dell'azione di Governo ridurre il numero ed i relativi costi di gestione delle circa 8000 aziende e società controllate o partecipate dalle pubbliche amministrazioni locali, attraverso la verifica della loro effettiva funzionalità e necessità nello svolgimento di servizi di interesse pubblico;
              a tal fine si è ritenuto opportuno favorire lo scioglimento delle società anche attraverso l'esenzione di imposizione fiscale, incluse le imposte sui redditi e l'imposta regionale sulle attività produttive ad eccezione dell'imposta sul valore aggiunto sugli atti e le operazioni poste in essere in favore di pubbliche amministrazioni, così come previsto dal comma 568-bis dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013 n.  147;
              la riduzione del numero delle società controllate direttamente o indirettamente, e di conseguenza il contenimento dei costi che gravano sui cittadini, può essere ottenuto anche attraverso la fusione di più società,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di prevedere agevolazioni fiscali anche per le operazioni di fusioni di due o più società partecipate da una o più pubbliche amministrazioni locali.
9/2679-bis-A/16. Bazoli, Senaldi, Bergonzi, Taranto, Benamati.


      La Camera
          premesso che:
              i consorzi di funzioni, costituiti dagli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi e l'esercizio associato di funzioni ai sensi dell'articolo 31 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267, sono stati espressamente soppressi dall'articolo 2, comma 186, lettera e), della legge 23 dicembre 2009, n.  191 (Legge finanziaria 2010), e successive modificazioni;
              la soppressione comporta l'assunzione da parte dei comuni delle funzioni già esercitate dai consorzi e delle relative risorse e la successione dei comuni ai medesimi consorzi in tutti i rapporti giuridici;
              ai comuni sono pertanto trasferiti anche i beni immobili dei consorzi soppressi;
              gli atti di trasferimento dei beni immobili dai consorzi di funzioni sono soggetti all'imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n.  131, recante il Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, che si applica nella misura individuata nella tariffa allegata al medesimo Testo unico;
              il numero dei beni immobili dei consorzi di funzioni da trasferire, su tutto il territorio nazionale, unitamente all'obbligatorietà e improrogabilità del trasferimento possono comportare un ulteriore aggravio per le casse – già in difficoltà – di molti comuni,

impegna il Governo

a prevedere, per gli atti trasferimento di beni immobili dai consorzi di funzioni ai comuni, l'assolvimento dell'imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n.  131, nella misura fissa di 200 euro.
9/2679-bis-A/17. Fragomeli, Sanga, Misiani, Lodolini, Carnevali.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 95, del Disegno di legge di Stabilità 2015 contenente la disposizione relativa al «bonus bebé»;
              tale disposizione riserva tale prestazione ai soli cittadini italiani o comunitari nonché ai cittadini di paesi terzi che siano titolari del permesso di soggiorno di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n.  286 del 1998, (i cosiddetti «lungosoggiornanti»);
              la norma così formulata, viola le norme dell'UE nella parte in cui non ammette al medesimo beneficio altre categorie di stranieri per i quali dette norme prevedono parità di trattamento con i cittadini italiani;
              in particolare, l'articolo 12 della direttiva 2011/98, a norma del quale tutti gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare – nell'ordinamento italiano, gli stranieri con permesso di soggiorno per lavoro, per famiglia o per assistenza minore – «beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano» per quanto le prestazioni di sicurezza sociale di cui al Regolamento CEE 883/2004, che all'articolo 3 indica espressamente le «prestazioni famigliari» e le «prestazioni di maternità»;
              analoghe clausole paritarie sono previste da altre e più risalenti direttive, alle cui prescrizioni paritarie l'Italia si è solo recentemente adeguata per quanto riguarda altri settori della vita sociale (ad es. l'accesso al pubblico impiego) ma che rilevano anche per le prestazioni assistenziali e dunque anche per il «bonus bebé»: l'articolo 24, paragrafo 1 direttiva 2004/38/CE del 29 aprile 2004 riguardante i familiari non comunitari di cittadini italiani o di altri Stati UE residenti nel territorio dello Stato; l'articolo 29 della direttiva 2011/95/UE del 13 dicembre 2011 riguardate gli stranieri o apolidi regolarmente soggiornanti in Italia a cui sia stata riconosciuto lo status di protezione internazionale (status di rifugiato e status di protezione sussidiaria); l'articolo 14, paragrafo 1, lettera e della direttiva 2009/50/CE del 25 maggio 2009 riguardante i titolari di «carta blu UE». Una norma nazionale che escludesse da un trattamento di maternità o di famiglia gli stranieri titolari di tali permessi risulterebbe in contrasto con le citate direttive;
              ne seguirebbe inevitabilmente un vasto contenzioso con inevitabile lievitazione di costi, lesione del principio di certezza del diritto e prevedibili procedimenti di infrazione da parte della Commissione europea,

impegna il Governo

a prevedere che il beneficio in questione sia riconosciuto, oltre che ai lungosoggiornanti, a tutti gli stranieri residenti in Italia che siano titolari del cosiddetto «permesso unico lavoro» di cui al decreto legislativo n.  40 del 2014 di recepimento della citata direttiva 2011/98/UE e agli altri stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, il cui diritto alla parità di trattamento è garantito dalle clausole comunitarie sopra citate.
9/2679-bis-A/18. Costantino, Palazzotto, Nicchi.


      La Camera,
          premesso che:
              al fine di incidere in modo significativo sullo smaltimento dell'arretrato, soprattutto civile, e quindi sui tempi della giustizia, stante il blocco del turn over e la riduzione degli stanziamenti ai Ministeri, sin dal 2010 sono state studiate misure sperimentali nell'ambito di progetti formativi come rimedio/tampone alle gravi carenze di organico del personale giudiziario;
              tali progetti si sono rivelati positivi quanto alla finalità e, in particolare, hanno anche formato lavoratori che nel tempo si sono integrati negli uffici giudiziari, portando ad un buon funzionamento degli stessi;
              è questo il caso dei circa 3.000 lavoratori, attualmente in servizio presso gli uffici giudiziari di tutto il Paese, che hanno aderito ai bandi che gli Enti locali – soprattutto Regioni e Province – hanno emanato negli ultimi 4 anni per consentire ai lavoratori disoccupati, cassaintegrati, in mobilità e socialmente utili, di prendere parte a progetti formativi attraverso un percorso formativo;
              tali rapporti di lavoro, oltre a garantire un reddito, seppur minimo, a categorie di soggetti in difficoltà, si sono rivelati fondamentali per il buon funzionamento degli uffici giudiziari di tutto il Paese;
              gli stessi sono stati prorogati negli anni con finanziamenti stabiliti all'uopo, senza tuttavia trovare riconoscimento in auspicabili contratti di lavoro (quantomeno) a tempo determinato;
              forte, dunque, è la necessità che per il futuro si garantiscano stanziamenti e risorse affinché tali rapporti di lavoro trovino suddetto riconoscimento,

impegna il Governo

in attesa che la prevista riforma degli uffici giudiziari e, in particolare, dell'Ufficio per il processo, ne consenta la stabilizzazione lavorativa, a garantire stanziamenti necessari per far sì che i lavoratori cassaintegrati, in mobilità, impegnati in lavori socialmente utili, disoccupati o inoccupati, che abbiano svolto il tirocinio formativo regionale o provinciale presso gli uffici giudiziari, di cui in premessa, vengano al più presto assunti con contratti di lavoro a tempo determinato.
9/2679-bis-A/19. Daniele Farina, Sannicandro.


      La Camera,
          premesso che:
              al fine di incidere in modo significativo sullo smaltimento dell'arretrato, soprattutto civile, e quindi sui tempi della giustizia, stante il blocco del turn over e la riduzione degli stanziamenti ai Ministeri, sin dal 2010 sono state studiate misure sperimentali nell'ambito di progetti formativi come rimedio/tampone alle gravi carenze di organico del personale giudiziario;
              tali progetti si sono rivelati positivi quanto alla finalità e, in particolare, hanno anche formato lavoratori che nel tempo si sono integrati negli uffici giudiziari, portando ad un buon funzionamento degli stessi;
              è questo il caso dei circa 3.000 lavoratori, attualmente in servizio presso gli uffici giudiziari di tutto il Paese, che hanno aderito ai bandi che gli Enti locali – soprattutto Regioni e Province – hanno emanato negli ultimi 4 anni per consentire ai lavoratori disoccupati, cassaintegrati, in mobilità e socialmente utili, di prendere parte a progetti formativi attraverso un percorso formativo;
              tali rapporti di lavoro, oltre a garantire un reddito, seppur minimo, a categorie di soggetti in difficoltà, si sono rivelati fondamentali per il buon funzionamento degli uffici giudiziari di tutto il Paese;
              gli stessi sono stati prorogati negli anni con finanziamenti stabiliti all'uopo, senza tuttavia trovare riconoscimento in auspicabili contratti di lavoro (quantomeno) a tempo determinato;
              forte, dunque, è la necessità che per il futuro si garantiscano stanziamenti e risorse affinché tali rapporti di lavoro trovino suddetto riconoscimento,

impegna il Governo

in attesa che la prevista riforma degli uffici giudiziari e, in particolare, dell'Ufficio per il processo, ne consenta la stabilizzazione lavorativa, a valutare l'opportunità di garantire stanziamenti necessari per far sì che i lavoratori cassaintegrati, in mobilità, impegnati in lavori socialmente utili, disoccupati o inoccupati, che abbiano svolto il tirocinio formativo regionale o provinciale presso gli uffici giudiziari, di cui in premessa, vengano al più presto assunti con contratti di lavoro a tempo determinato.
9/2679-bis-A/19.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Daniele Farina, Sannicandro.


      La Camera,
          premesso che:
              anche con la Manovra di finanza pubblica 2015 il Governo ha confermato la politica di totale disimpegno nei confronti di un'area del paese, il Mezzogiorno, che con la sua produzione contribuisce ad un quarto del PIL nazionale, dimostrando in tal modo di sottovalutare la dimensione nazionale e le ricadute della questione meridionale e l'impossibilità per una nazione di mantenere la propria unità e coesione se parti di essa procedono a velocità diverse, accentuando fra loro il disequilibrio;
              all'articolo 1 del provvedimento in esame, i commi 92, 93 e 94 riducono in 4 anni di 3,5 miliardi (+ i 500 milioni derivanti dall'accordo con la Commissione UE che si aggiungono = 4 miliardi) le somme a disposizione per il co-finanziamento dei Fondi strutturali europei;
              in pratica, si tratta di ulteriori risorse tolte al Mezzogiorno per finanziare gli sgravi contributivi per supposte nuove assunzioni, sgravi che saranno attribuiti prevalentemente al Centronord;
              il DdL di stabilità è infatti privo di misure programmatiche di sviluppo orientate verso quei territori che registrano una dinamica di crescita complessivamente ancora debole rispetto a quella delle altre aree del Paese, e risulta essere totalmente manchevole rispetto alle aspettative di quei territori, non fornendo alcuna indicazione strutturale e non individuando alcuna forma aggiuntiva di finanziamento per sostenere l'attuazione di un improcrastinabile piano straordinario per il Mezzogiorno che sia orientato, in primis, all'adeguamento e allo sviluppo della sua rete infrastrutturale, presupposto determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di crocevia naturale degli scambi internazionali lungo le direttrici Nord-Sud e Est-Ovest e per agevolare i flussi turistici, facendo in tal modo candidare l'intera area, fisicamente e storicamente proiettata nel Mediterraneo, a zona di libero scambio,

impegna il Governo:

          a ripensare la «questione meridionale» ricollocandola fattivamente al centro dell'agenda politica come parte di un progetto organico, sistematico e generale per lo sviluppo e la crescita dell'intero sistema paese, anche recuperando, se non si vuole correre il rischio di una desertificazione industriale, quella logica industriale che ha ispirato le politiche di intervento straordinario per il Mezzogiorno del dopoguerra;
          a ridefinire una strategia che migliori l'efficienza delle misure di sviluppo per il Mezzogiorno ponendo maggiore attenzione che nel passato alla qualità delle politiche ordinarie come fattore di sviluppo; sanità e assistenza, istruzione e formazione, giustizia e sicurezza;
          a sviluppare il sistema delle telecomunicazioni ed a provvedere all'ottimizzazione delle linee ferroviarie del Sud, in particolare di quelle capaci di ottimizzare il trasporto pubblico locale, anche al fine di trasferire il trasporto di merci e passeggeri dalla gomma al ferro;
          ad intensificare gli investimenti nel settore della sostenibilità ambientale nel Mezzogiorno, anche attraverso il ricorso alle energie alternative, alla difesa del suolo ed il recupero dei centri storici delle città, fronteggiando al tempo stesso l'emergenza rifiuti e l'emergenza idrica;
          ad introdurre nel nostro sistema tributario, valutati i profili di compatibilità con la disciplina dell'Unione europea, la fiscalità di vantaggio a regime per promuovere l'aggregazione tra le imprese operanti nel Mezzogiorno, al fine di favorire lo sviluppo del tessuto produttivo meridionale puntando sul rafforzamento dei legami di rete e cooperazione;
          ad incentivare nel Mezzogiorno, anche introducendo nel sistema tributario a regime forme di fiscalità di vantaggio, la creazione di distretti industriali, sistemi produttivi locali e reti di piccole e medie imprese per migliorare le produttività, il tasso di innovazione e il livello di apertura internazionale delle imprese che, singolarmente, non possiedono le capacità di rischio e di investimento necessarie;
          a prevedere un piano per un impegno straordinario per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità, dal lavoro sommerso alla microcriminalità, che determinano un ambiente sfavorevole agli investimenti ed allo sviluppo.
9/2679-bis-A/20. Palazzotto, Scotto, Sannicandro, Pannarale, Matarrelli, Placido, Giancarlo Giordano.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 124 dell'articolo 1 del provvedimento in esame incrementa di 850 milioni di euro ciascuno degli anni 2015 e 2016 il fondo di cui all'articolo 1 comma 1240, della legge 27 dicembre 2006, n.  296, destinato al finanziamento della partecipazione alle missioni internazionali di pace;
              nel 2014 i due decreti legge di rifinanziamento delle missioni internazionali hanno stanziato per queste e per le esigenze loro connesse 939.658.581 euro;
              il Parlamento italiano non ha ancora approvato norme quadro sulle tipologie di missioni internazionali a cui il nostro Paese possa partecipare e alle modalità di partecipazione alle medesime;
              la circostanza della prevista smobilitazione e ritiro delle nostre truppe dalla missione militare afgana entro l'anno 2014, che per lo stesso anno ha comportato una spesa pari a 420.239.136 euro,

impegna il Governo:

          a non stanziare ulteriori risorse nel 2015 per le missioni internazionali rispetto a quelle previste dal comma 124 dell'articolo 1 del provvedimento in esame;
          a destinare la restante quota del fondo a iniziative di cooperazione internazionale allo sviluppo.
9/2679-bis-A/21. Duranti, Piras, Palazzotto.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge n.  64 del 2001 ha istituito, in conseguenza della abolizione della leva obbligatoria, il Servizio civile nazionale, un servizio volontario aperto ai giovani che intendono tra l'altro, come prevede l'articolo 1 della medesima legge, promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli, nonché partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio nazionale, con particolare riguardo al settore ambientale;
              la legge n.  230 del 1998 ha previsto l'istituzione del Fondo nazionale per il servizio civile, che viene rifinanziato annualmente con la legge di stabilità;
              le risorse attualmente stanziate per il Fondo nazionale sono assolutamente insufficienti e inadeguate. Mentre la legge di stabilità dello scorso anno stanziava per il Servizio civile 105,3 milioni di euro per l'anno 2014, la legge di stabilità attualmente all'esame del Parlamento assegna al Servizio civile per l'anno 2015. solamente 65,7 milioni di euro. Ossia una riduzione di ben 40 milioni di euro;
              fra le varie conseguenze di questo drastico taglio di oltre il 37 per cento delle risorse, c’è la esclusione per 1.500 giovani che erano stati inseriti nella programmazione 2014-2015 fatta dal Dipartimento della Gioventù e Servizio civile nazionale;
              i 65,7 milioni attualmente previsti per il 2015 dal disegno di legge di stabilità, non consentono null'altro che una mera sopravvivenza per il Servizio civile nazionale, laddove uno stanziamento di almeno 200 milioni di euro, come richiesto – tra gli altri – anche dalla Conferenza nazionale Enti per il Servizio civile, consentirebbe di mettere a bando tutti i progetti Italia ed Estero depositati lo scorso 31 luglio, per consentire a più di 40 mila giovani di vivere l'anno di servizio civile nazionale, a cui si aggiungono i circa 10 mila del servizio civile in Garanzia Giovani,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a provvedere a un sensibile incremento delle risorse per il Fondo nazionale per il Servizio civile, garantendo in tal modo una dotazione almeno per il 2015 di 200 milioni di euro, al fine di consentire di mettere a bando tutti i progetti Italia ed Estero depositati lo scorso 31 luglio.
9/2679-bis-A/22. Ferrara, Marcon, Nicchi, Melilla, Duranti.


      La Camera,
          premesso che:
              come era più che prevedibile nonché auspicabile, il 26 novembre 2014, la Terza Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13 ha condannato il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per «ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato» nei confronti del personale docente e ATA della scuola;
              la Corte di Giustizia europea, a seconda degli anni e delle fonti, ha potuto verificare che «circa il 30 per cento, o addirittura, secondo il Tribunale di Napoli, il 61 per cento del personale ATA delle scuole statali sia impiegato con contratti di lavoro a tempo determinato e che, tra il 2006 e il 2011, il personale docente di tali scuole svincolato da siffatti contratti abbia rappresentato tra il 13 per cento e il 18 per cento di tutto il personale docente»;
              nel Piano «La Buona Scuola» il Governo ha riconosciuto, finalmente, quanto spesso denunciato da Sinistra Ecologia e Libertà, che «ogni anno, con la riapertura delle scuole, ci ritroviamo con qualche decina di migliaia di insegnanti che mancano all'appello. E quindi con cattedre che vengono assegnate, per tutto l'anno scolastico, a dei supplenti. Anno dopo anno. Attraverso una finzione che continua da anni, dal momento che queste supplenze servono a rimpiazzare parte del contingente complessivo di docenti di cui lo Stato ammette di aver bisogno stabilmente»;
              nel disegno di legge C. 2679, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2015) all'articolo 3, si parla della realizzazione di un Piano straordinario di assunzioni di docenti, variato in sede di discussione in Commissione in «un piano straordinario di assunzioni», si presume, pertanto, riguardante tutto il personale della scuola, ma nulla di più viene detto sui tempi e le modalità con le quali ciò dovrebbe avvenire;
              Sinistra Ecologia e Libertà ha nel passato ripetutamente denunciato e proposto il superamento del precariato nella scuola attraverso la presentazione di numerosi ordini del giorno, qualcuno accolto dal Governo come raccomandazione, in particolare:
                  odg n. 9/01012-A027 del 18 giugno 2013, primo firmatario Onorevole Fratoianni;
                  odg n. 9/01012-A/28 del 18 giugno 2013, primo firmatario Onorevole Placido;
                  odg n. 9/02208-A/102 del 23 aprile 2014, primo firmatario Onorevole Giancarlo Giordano;
                  odg n. 9/02208-B-093 del 15 maggio 2014, primo firmatario Onorevole Giancarlo Giordano nonché,

impegna il Governo:

          a dare attuazione alla sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea in premessa e a risolvere, anche con provvedimenti di urgenza, il problema del precariato della scuola riconoscendone le ragioni: certezza del lavoro ed equa retribuzione, provvedendo alla stabilizzazione con incarico a tempo indeterminato, dando così la giusta attuazione alla normativa vigente che stabilisce: «qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia superato complessivamente i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato.»;
          e, tramite, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a definire in maniera tempestiva e sollecita i numeri reali delle possibili immissioni in ruolo, salvaguardando e disponendo altresì nel merito della normativa vigente relativa alla cosiddetta «ricostruzione di carriera».
9/2679-bis-A/23. Giancarlo Giordano, Fratoianni, Scotto, Costantino, Pannarale.


      La Camera,
          premesso che:
              i dati forniti dalla Mappatura siti di amianto predisposta dal Ministero dell'Ambiente, aggiornati a giugno 2014, rilevano la presenza di 31.480 siti contaminati di origine antropica sul territorio nazionale;
              dai succitati dati si evince che, dei 31.480 siti contaminati, ne risultano bonificati 832 e 339 sono stati bonificati soltanto parzialmente, rimanendo dunque 30.309 siti ancora da bonificare;
              la Mappatura e la Banca dati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non coprono, tuttavia, l'intero territorio nazionale (vi è una sostanziale assenza, ad esempio, di dati relativi alle regioni Calabria e Sicilia), né le informazioni risultano essere state raccolte secondo criteri omogenei;
              il fabbisogno nazionale di smaltimento di amianto e materiali che lo contengano confligge con la grave scarsità di discariche o siti di stoccaggio, richiedendo una più attenta pianificazione regionale in tal senso;
              ad oggi, a causa della mancanza di copertura finanziaria, non è stato ancora approvato il Piano Nazionale amianto predisposto nei primi mesi del 2013, uno strumento fortemente richiesto da parte della società civile, associazioni, comitati, al fine di approntare soluzioni efficaci per gestire una emergenza che si trascina da decenni;
              nelle ultime settimane, la sentenza della Suprema Corte relativa al disastro ambientale del caso Eternit e alle migliaia di vittime provocate dal mesotelioma maligno, tumore strettamente correlato con l'esposizione alle fibre aerodisperse dell'amianto, ha contribuito alla riemersione del dibattito e della riflessione in materia;
              le proiezioni indicano che il picco di mesotelioma maligno non è ancora stato raggiunto e che si attesterà attorno alle 800-100 vittime tra i soli uomini nei prossimi anni, fino al 2020;
              il Gruppo parlamentare di Sinistra Ecologia e Libertà ha presentato, in data 18 giugno 2014, una mozione in cui si richiedeva l'approvazione del succitato Piano nazionale Amianto e di una serie di misure volte a riattivare i processi di monitoraggio e bonifica dei siti contaminati;
              la Camera dei deputati, in data 19 giugno 2014, ha approvato una mozione unitaria che riprendeva le mozioni presentate da diversi Gruppi parlamentari, impegnando il Governo sul fronte della messa in sicurezza dei siti contaminati da amianto, con priorità nei confronti degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme e degli uffici aperti al pubblico,

impegna il Governo:

          ad approvare in via definitiva il Piano nazionale Amianto, rintracciando e prevedendo, attraverso successivi interventi normativi e di programmazione finanziaria, adeguati finanziamenti per la sua puntuale e completa attuazione;
          a concludere l'opera di rilevamento e monitoraggio predisposta nell'ambito del Piano nazionale Amianto, soprattutto nei territori di cui, ad oggi, non è stato possibile rilevare i dati, attivandosi nei confronti delle Regioni in modo che vengano eseguiti i programmi di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati anche attraverso l'approvazione dei relativi Piani regionali Amianto, con la possibilità di utilizzare lo strumento dei poteri sostitutivi in caso di inadempienza;
          a prevedere l'esclusione dal Patto di stabilità interno delle risorse dello Stato, delle regioni e degli enti locali finalizzate alla messa in sicurezza e alla bonifica dei siti di origine antropica contaminati da amianto;
          a valutare l'opportunità di incrementare le vigenti percentuali di detraibilità fiscale per gli interventi di bonifica dei manufatti contenenti amianto dagli edifici, nonché a prevedere e monitorare la reale applicazione delle detrazioni attualmente previste;
          ad assicurare il finanziamento del Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla legge finanziaria 2008 ed ancora non operativo a causa della mancanza di risorse, privilegiando la messa in sicurezza e la bonifica degli edifici scolastici e universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme, degli edifici aperti al pubblico;
          a promuovere, in sede europea, previsioni di scorporamento dai saldi di finanza pubblica relativi al rispetto del Patto di stabilità e crescita dei finanziamenti e delle risorse stanziate per la realizzazione di interventi di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati da amianto.
9/2679-bis-A/24. Zaratti, Pellegrino, Airaudo, Marcon, Melilla.


      La Camera,
          premesso che:
              in Italia vi sono 24 parchi nazionali, che complessivamente coprono, tra terra e mare, oltre un milione e mezzo di ettari, pari al 5 per cento circa del territorio nazionale. Oltre a quelli nazionali, nel nostro Paese esistono 152 parchi regionali e centinaia di riserve naturali e aree protette statali, regionali e locali;
              aree protette che garantiscono il funzionamento e la realizzazione di progetti che valorizzano e sostengono la biodiversità;
              peraltro i parchi e le aree protette rappresentano un importantissimo volano economico per i territori interessati. L’«ecoturismo» registra infatti una media di crescita maggiore rispetto alle altre forme di turismo;
              in questo contesto, è decisivo il tema dei finanziamenti. I finanziamenti statali sono assolutamente insufficienti soprattutto se si vogliono estendere le aree protette e garantire efficacemente la loro manutenzione, valorizzazione e cura;
              ricordiamo che già 4 anni fa, nel corso della audizione del 20 ottobre 2010 alla Commissione Ambiente della Camera, l'allora Ministro dell'Ambiente Prestigiacomo, ammetteva che le risorse previste dalla legge di stabilità non bastavano nemmeno a pagare le bollette, oltre agli stipendi del personale dei parchi nazionali. Da allora le risorse non sono aumentate, tutt'altro. La scorsa legge di stabilità stanziava (in tabella C) per il 2014, 5,8 milioni di euro per gli Enti parco, più o meno in linea con gli stanziamenti degli anni precedenti. La legge di stabilità 2015, ora all'esame del Parlamento, riduce lo stanziamento a meno di 4,3 milioni per il 2015, e a 4,1 milioni per ciascuno degli anni 2016-2017;
              le risorse stanziate sono ormai così esigue da compromettere il minimo funzionamento degli enti parco;
              con le risorse assegnate dalla legge di stabilità, dovrebbero essere assicurati non soltanto il funzionamento dei 24 parchi nazionali esistenti, ma anche quello di 14 Riserve Naturali dello Stato, del Parco tecnologico ed archeologico delle colline metallifere grossetane, del Parco museo delle miniere dell'Amiata, del Parco museo delle miniere di zolfo delle Marche, e altro,

impegna il Governo:

          a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a incrementare le risorse, attualmente del tutto insufficienti, destinate alle aree protette e ai parchi;
              a prevedere adeguate forme di incentivazione delle attività imprenditoriali turistiche, nonché di enti e associazioni di protezione ambientale, per iniziative di sviluppo del turismo sostenibile nelle aree naturali protette; per interventi di recupero, manutenzione, salvaguardia e allestimento di percorsi naturalistici ed escursionistici in aree pubbliche o ad uso pubblico; per interventi di sensibilizzazione, educazione e divulgazione in ordine alle caratteristiche e alle finalità delle aree naturali protette, con particolare riferimento, oltre che agli aspetti naturalistici, alle tradizioni etnografiche ed enogastronomiche e alla cultura locale.
9/2679-bis-A/25. Pellegrino, Zaratti, Ricciatti, Marcon, Melilla.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 40 dell'articolo 2 del provvedimento in esame, prevede alla lettera a), la proroga dell'efficacia del contratto di programma 2009-2011 tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane Spa, fino alla sottoscrizione del nuovo contratto di programma, che in base alla successiva lettera b) dovrà avere durata quinquennale e coprire il periodo 2015-2019;
              la lettera a) specifica che la proroga dell'efficacia del contratto di programma avverrà fatti salvi gli adempimenti previsti dalla normativa dell'Unione europea in materia, che si sostanziano in una decisione della Commissione europea chiamata a verificare che i trasferimenti statali a Poste italiane Spa siano effettivamente a copertura degli oneri derivanti dallo svolgimento degli obblighi del servizio universale e non costituiscano invece un aiuto di Stato, Detta lettera a) specifica, inoltre, che agli oneri derivanti dalla proroga si provvederà nei limiti degli stanziamenti di bilancio previsti a legislazione vigente. Sono infine fatte salve le verifiche effettuate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) in ordine al costo netto del servizio universale per ciascuno degli anni del periodo regolatorio 2012-2014;
              in proposito la relazione tecnica indica la ratio del riferimento alle verifiche AGCOM nella circostanza che, fermo restando il limite degli stanziamenti di bilancio entro cui viene approvato per legge il contratto, non potranno essere trasferiti a Poste italiane importi complessivi nel triennio agli oneri di servizio universale quantificati e verificati ex post dall'AGCOM, nel rispetto della disciplina UE in materia;
              al riguardo bisogna ricordare che il contratto di programma disciplina i rapporti tra lo Stato e la società Poste italiane Spa, riconosciuta ex lege fornitore del servizio universale fino al 2026 (vale a dire un quindicennio a decorrere della data di entrata in vigore del decreto legislativo n.  58/2011, che ha modificato la disciplina generale in materia postale recata dal decreto legislativo n.  261/1999) e che il Contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste Italiane per il triennio 2009-2011 è stato approvato con l'articolo 33, comma 31 della legge n.  183/2011 (legge di stabilità 2012), fatti salvi gli adempimenti previsti dalla normativa comunitaria. L'efficacia del contratto è stata quindi perfezionata con la decisione della Commissione europea del 20 novembre 2012 C(2012)8230 final, che ha approvato i trasferimenti statali verso Poste Italiane a parziale copertura degli oneri connessi con lo svolgimento degli obblighi di servizio postale universale. Il triennio 2012-2014 viene, quindi, regolato secondo le disposizioni contenute nel Contratto di Programma 2009-2011 in virtù della clausola di ultrattività contenuta nell'articolo 16 comma 3 del Contratto;
              il disegno di legge di bilancio 2015 reca lo stanziamento relativo al rimborso dello Stato a Poste italiane per gli oneri del servizio universale nel capitolo n.  1502 del programma 15.3, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia. A legislazione vigente il capitolo reca uno stanziamento di 277,4 milioni di euro, rispetto al quale il disegno di legge di bilancio prevede una riduzione fino a 262,4 milioni di euro;
              con la delibera n.  444/12/CONS è stato poi avviato da parte dell'AGCOM — per la prima volta nel settore postale — il procedimento relativo ad «analisi e applicabilità del meccanismo di ripartizione e valutazione dell'eventuale costo netto per l'anno 2011», i cui termini sono stati prorogati con la delibera n.  709/13/CONS. Parallelamente con la delibera n.  117/14/CONS è stato avviato un analogo procedimento istruttorio, «analisi e applicabilità del meccanismo di ripartizione e valutazione dell'eventuale costo netto per l'anno 2012». L'attività di definizione del costo netto risulta pertanto ancora in corso;
              la lettera b) del citato comma 40 quantifica poi l'onere per il nuovo contratto di programma in 262,4 milioni di euro a decorrere dal 2015 (che corrisponde al citato stanziamento recato dal disegno di legge di bilancio per il 2015). Anche in questo caso sono fatte salve le verifiche effettuate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) in ordine al costo netto del servizio universale;
              il provvedimento in esame, al comma 41, definisce poi la procedura per l'adozione del nuovo contratto di programma, prevedendo in particolare che:
                  1) lo schema di contratto di programma venga inviato dal Ministero dello sviluppo economico al Ministero dell'economia e delle finanze e all'AGCOM per l'acquisizione, entro quindici giorni, dei pareri di competenza;
                  2) sulla base dei pareri il Ministero dello sviluppo economico può riesaminare lo schema del contratto;
                  3) in ogni caso entro cinque giorni dall'acquisizione dei pareri dell'AGCOM e del Ministero dell'economia lo schema di contratto deve essere inviata alle competenti Commissioni parlamentari per l'espressione del parere non vincolante da rendere nei successivi venti giorni; decorso il termine il contratto può essere comunque adottato;
                  4) al termine della procedura, il contratto di programma deve essere sottoscritto tra Ministero dello sviluppo economico e fornitore del servizio universale entro il 31 marzo 2015;
                  5) il contratto sottoscritto è infine notificato alla Commissione europea;

              inoltre, viene previsto che l'AGCOM debba esprimersi entro 45 giorni sulla richiesta di Poste italiane Spa di deroga agli obblighi del servizio universale ai sensi dell'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n.  261/1999, disposizione che, peraltro, appare oggetto di modifica da parte del successivo comma 3;
              nel testo vigente, infatti, il citato articolo 3, comma 7, consente, previa autorizzazione dell'AGCOM e comunicazione alla Commissione europea, la fornitura a giorni alterni del servizio in presenza di particolari situazioni di natura infrastrutturale o geografica in ambiti territoriali con una densità inferiore a 200 abitanti/kmq e comunque fino ad un massimo di un ottavo della popolazione nazionale, ma il comma 42 dell'articolo 2 del provvedimento in esame prevede ora che la deroga, ferma rimanendo 1 necessità del requisito di peculiare situazione infrastrutturale o geografica con una densità di popolazione inferiore a 200 abitanti/kmq, possa interessare fino ad un massimo di un quarto, e non più d un ottavo della popolazione nazionale;
              durante la discussione in sede referente sono stati approvati tre emendamenti identici che aumentano dal 5 al 50 per cento la percentuale massima dei fondi, provenienti da raccolta effettuata da Poste Italiane Spa per l'attività di bancoposta, che può essere investita in titoli, diversi da quelli governativi dell'area euro, assistiti dalla garanzia dello Stato. Inoltre, sono stati riaperti i termini per la stipula di appositi accordi o convenzioni (in luogo di sole convenzioni) tra Poste Italiane e il Ministero dell'Economia, per disciplinare le operazioni afferenti lo svolgimento del servizio di tesoreria, il regime dei flussi (riscossioni e pagamenti di Stato e settore pubblico allargato, conti correnti postali e raccolta del risparmio postale) e fissare le relative remunerazioni. Gli emendamenti approvati, inoltre, precisano che le remunerazioni saranno rapportate a una contabilità analitica per centro di costo (ovvero sulla base di appositi parametri rappresentativi di tali costi) solo per le attività diverse dalla raccolta del risparmio postale. Per tale ultima attività, rimane fermo il vigente criterio dell'ammontare della raccolta. Si chiarisce infine che dette remunerazioni potranno essere riviste non più solo su base annuale (come invece attualmente previsto), e che tale revisione potrà avvenire mediante appositi accordi aggiuntivi, che prevedano anche misure idonee a garantire il raggiungimento degli obiettivi di raccolta;
              in buona sostanza, risultano approvati emendamenti tesi unicamente a rafforzare il sistema di banco-posta di Poste Italiane Spa piuttosto che proposte tese a rafforzare il sistema di fornitura universale che invece dovrebbe rappresentare la missione fondamentale di Poste Italiane Spa e nulla si dice sulla tutela degli attuali livelli occupazionali dei lavoratori attualmente impiegati presso l'ente;
              con grande preoccupazione ed estremo rammarico si segnala la mancata approvazione dell'emendamento presentato da Sinistra Ecologia e libertà n.  23.14 sulla tutela occupazionale dei dipendenti di Poste perché, ad oggi, e al netto di quanto previsto dalla legge di stabilità 2015, non è dato sapere se il processo di privatizzazione che il Governo sta definendo con riferimento a Poste italiane S.p.a. riuscirà ad assicurare concretamente la tutela, la protezione sociale e il mantenimento dei livelli occupazionali di tutti i lavoratori attualmente impiegati presso l'ente, con particolare riferimento a quelli operanti nel settore del recapito postale;
              solo lo scorso 20 ottobre, Mario Petitto, segretario della Cisl Slp, aveva affermato il nuovo piano industriale predisposto dall'amministratore delegato Francesco Caio avrebbe comportato circa «1720.000 esuberi», su un organico di circa 143.000 persone e la Cisl rappresenta il 52 per cento dei dipendenti del Gruppo;
              nel corso di un'audizione presso la Commissione Industria del Senato che aveva come argomento la tempistica dell'iter di privatizzazione di Poste, l'amministratore delegato di Poste Italiane, Francesco Caio, ha annunciato l'intenzione di tagliare da 500 a 600 sportelli,

impegna il Governo

a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a assicurare durante l'iter di privatizzazione di Poste Italiane S.p.a la tutela, la protezione sociale e il mantenimento dei livelli occupazionali attuali di tutti i lavoratori impiegati presso l'ente, con particolare riferimento a quelli operanti nel settore del recapito postale.
9/2679-bis-A/26. Scotto, Quaranta, Airaudo, Placido.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 40 dell'articolo 2 del provvedimento in esame, prevede alla lettera a), la proroga dell'efficacia del contratto di programma 2009-2011 tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane Spa, fino alla sottoscrizione del nuovo contratto di programma, che in base alla successiva lettera b) dovrà avere durata quinquennale e coprire il periodo 2015-2019;
              la lettera a) specifica che la proroga dell'efficacia del contratto di programma avverrà fatti salvi gli adempimenti previsti dalla normativa dell'Unione europea in materia, che si sostanziano in una decisione della Commissione europea chiamata a verificare che i trasferimenti statali a Poste italiane Spa siano effettivamente a copertura degli oneri derivanti dallo svolgimento degli obblighi del servizio universale e non costituiscano invece un aiuto di Stato, Detta lettera a) specifica, inoltre, che agli oneri derivanti dalla proroga si provvederà nei limiti degli stanziamenti di bilancio previsti a legislazione vigente. Sono infine fatte salve le verifiche effettuate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) in ordine al costo netto del servizio universale per ciascuno degli anni del periodo regolatorio 2012-2014;
              in proposito la relazione tecnica indica la ratio del riferimento alle verifiche AGCOM nella circostanza che, fermo restando il limite degli stanziamenti di bilancio entro cui viene approvato per legge il contratto, non potranno essere trasferiti a Poste italiane importi complessivi nel triennio agli oneri di servizio universale quantificati e verificati ex post dall'AGCOM, nel rispetto della disciplina UE in materia;
              al riguardo bisogna ricordare che il contratto di programma disciplina i rapporti tra lo Stato e la società Poste italiane Spa, riconosciuta ex lege fornitore del servizio universale fino al 2026 (vale a dire un quindicennio a decorrere della data di entrata in vigore del decreto legislativo n.  58/2011, che ha modificato la disciplina generale in materia postale recata dal decreto legislativo n.  261/1999) e che il Contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste Italiane per il triennio 2009-2011 è stato approvato con l'articolo 33, comma 31 della legge n.  183/2011 (legge di stabilità 2012), fatti salvi gli adempimenti previsti dalla normativa comunitaria. L'efficacia del contratto è stata quindi perfezionata con la decisione della Commissione europea del 20 novembre 2012 C(2012)8230 final, che ha approvato i trasferimenti statali verso Poste Italiane a parziale copertura degli oneri connessi con lo svolgimento degli obblighi di servizio postale universale. Il triennio 2012-2014 viene, quindi, regolato secondo le disposizioni contenute nel Contratto di Programma 2009-2011 in virtù della clausola di ultrattività contenuta nell'articolo 16 comma 3 del Contratto;
              il disegno di legge di bilancio 2015 reca lo stanziamento relativo al rimborso dello Stato a Poste italiane per gli oneri del servizio universale nel capitolo n.  1502 del programma 15.3, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia. A legislazione vigente il capitolo reca uno stanziamento di 277,4 milioni di euro, rispetto al quale il disegno di legge di bilancio prevede una riduzione fino a 262,4 milioni di euro;
              con la delibera n.  444/12/CONS è stato poi avviato da parte dell'AGCOM — per la prima volta nel settore postale — il procedimento relativo ad «analisi e applicabilità del meccanismo di ripartizione e valutazione dell'eventuale costo netto per l'anno 2011», i cui termini sono stati prorogati con la delibera n.  709/13/CONS. Parallelamente con la delibera n.  117/14/CONS è stato avviato un analogo procedimento istruttorio, «analisi e applicabilità del meccanismo di ripartizione e valutazione dell'eventuale costo netto per l'anno 2012». L'attività di definizione del costo netto risulta pertanto ancora in corso;
              la lettera b) del citato comma 40 quantifica poi l'onere per il nuovo contratto di programma in 262,4 milioni di euro a decorrere dal 2015 (che corrisponde al citato stanziamento recato dal disegno di legge di bilancio per il 2015). Anche in questo caso sono fatte salve le verifiche effettuate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) in ordine al costo netto del servizio universale;
              il provvedimento in esame, al comma 41, definisce poi la procedura per l'adozione del nuovo contratto di programma, prevedendo in particolare che:
                  1) lo schema di contratto di programma venga inviato dal Ministero dello sviluppo economico al Ministero dell'economia e delle finanze e all'AGCOM per l'acquisizione, entro quindici giorni, dei pareri di competenza;
                  2) sulla base dei pareri il Ministero dello sviluppo economico può riesaminare lo schema del contratto;
                  3) in ogni caso entro cinque giorni dall'acquisizione dei pareri dell'AGCOM e del Ministero dell'economia lo schema di contratto deve essere inviata alle competenti Commissioni parlamentari per l'espressione del parere non vincolante da rendere nei successivi venti giorni; decorso il termine il contratto può essere comunque adottato;
                  4) al termine della procedura, il contratto di programma deve essere sottoscritto tra Ministero dello sviluppo economico e fornitore del servizio universale entro il 31 marzo 2015;
                  5) il contratto sottoscritto è infine notificato alla Commissione europea;

              inoltre, viene previsto che l'AGCOM debba esprimersi entro 45 giorni sulla richiesta di Poste italiane Spa di deroga agli obblighi del servizio universale ai sensi dell'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n.  261/1999, disposizione che, peraltro, appare oggetto di modifica da parte del successivo comma 3;
              nel testo vigente, infatti, il citato articolo 3, comma 7, consente, previa autorizzazione dell'AGCOM e comunicazione alla Commissione europea, la fornitura a giorni alterni del servizio in presenza di particolari situazioni di natura infrastrutturale o geografica in ambiti territoriali con una densità inferiore a 200 abitanti/kmq e comunque fino ad un massimo di un ottavo della popolazione nazionale, ma il comma 42 dell'articolo 2 del provvedimento in esame prevede ora che la deroga, ferma rimanendo 1 necessità del requisito di peculiare situazione infrastrutturale o geografica con una densità di popolazione inferiore a 200 abitanti/kmq, possa interessare fino ad un massimo di un quarto, e non più d un ottavo della popolazione nazionale;
              durante la discussione in sede referente sono stati approvati tre emendamenti identici che aumentano dal 5 al 50 per cento la percentuale massima dei fondi, provenienti da raccolta effettuata da Poste Italiane Spa per l'attività di bancoposta, che può essere investita in titoli, diversi da quelli governativi dell'area euro, assistiti dalla garanzia dello Stato. Inoltre, sono stati riaperti i termini per la stipula di appositi accordi o convenzioni (in luogo di sole convenzioni) tra Poste Italiane e il Ministero dell'Economia, per disciplinare le operazioni afferenti lo svolgimento del servizio di tesoreria, il regime dei flussi (riscossioni e pagamenti di Stato e settore pubblico allargato, conti correnti postali e raccolta del risparmio postale) e fissare le relative remunerazioni. Gli emendamenti approvati, inoltre, precisano che le remunerazioni saranno rapportate a una contabilità analitica per centro di costo (ovvero sulla base di appositi parametri rappresentativi di tali costi) solo per le attività diverse dalla raccolta del risparmio postale. Per tale ultima attività, rimane fermo il vigente criterio dell'ammontare della raccolta. Si chiarisce infine che dette remunerazioni potranno essere riviste non più solo su base annuale (come invece attualmente previsto), e che tale revisione potrà avvenire mediante appositi accordi aggiuntivi, che prevedano anche misure idonee a garantire il raggiungimento degli obiettivi di raccolta;
              in buona sostanza, risultano approvati emendamenti tesi unicamente a rafforzare il sistema di banco-posta di Poste Italiane Spa piuttosto che proposte tese a rafforzare il sistema di fornitura universale che invece dovrebbe rappresentare la missione fondamentale di Poste Italiane Spa e nulla si dice sulla tutela degli attuali livelli occupazionali dei lavoratori attualmente impiegati presso l'ente;
              con grande preoccupazione ed estremo rammarico si segnala la mancata approvazione dell'emendamento presentato da Sinistra Ecologia e libertà n.  23.14 sulla tutela occupazionale dei dipendenti di Poste perché, ad oggi, e al netto di quanto previsto dalla legge di stabilità 2015, non è dato sapere se il processo di privatizzazione che il Governo sta definendo con riferimento a Poste italiane S.p.a. riuscirà ad assicurare concretamente la tutela, la protezione sociale e il mantenimento dei livelli occupazionali di tutti i lavoratori attualmente impiegati presso l'ente, con particolare riferimento a quelli operanti nel settore del recapito postale;
              solo lo scorso 20 ottobre, Mario Petitto, segretario della Cisl Slp, aveva affermato il nuovo piano industriale predisposto dall'amministratore delegato Francesco Caio avrebbe comportato circa «1720.000 esuberi», su un organico di circa 143.000 persone e la Cisl rappresenta il 52 per cento dei dipendenti del Gruppo;
              nel corso di un'audizione presso la Commissione Industria del Senato che aveva come argomento la tempistica dell'iter di privatizzazione di Poste, l'amministratore delegato di Poste Italiane, Francesco Caio, ha annunciato l'intenzione di tagliare da 500 a 600 sportelli,

impegna il Governo

a considerare ogni atto di competenza finalizzato a assicurare durante l'iter di privatizzazione di Poste Italiane S.p.a la tutela, la protezione sociale e il mantenimento dei livelli occupazionali attuali di tutti i lavoratori impiegati presso l'ente, con particolare riferimento a quelli operanti nel settore del recapito postale.
9/2679-bis-A/26.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Scotto, Quaranta, Airaudo, Placido.


      La Camera,
          premesso che:
              durante la discussione in Commissione il Gruppo Parlamentare Sinistra Ecologia Libertà ha presentato alcuni emendamenti che riguardano il fenomeno della delocalizzazione delle attività produttive: emendamenti ammessi sia sotto il profilo della compensatività finanziaria sia sotto il profilo della omogeneità di materia, in quanto aventi comunque una rilevanza non trascurabile sotto il profilo economico-finanziario, in coerenza con il parere reso al Presidente della Camera in ordine alla verifica del contenuto proprio del disegno di legge di stabilità, espresso dalla Commissione bilancio nella seduta del 30 ottobre 2014 che ha confermato i limiti e i criteri di ammissibilità assunti durante la discussione della legge di stabilità 2014;
              come emerge da alcune riviste economiche specializzate e dalla stampa nazionale, le riflessioni sulla perdita di competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali sono da lungo tempo all'ordine del giorno;
              le imprese italiane spesso spostano la produzione in altri paesi: le aziende che operano nei settori ad alta intensità di lavoro non specializzato cercano principalmente situazioni in cui il costo del lavoro sia minore. Quando si parla del costo del lavoro, non bisogna concentrarsi solo sul salario, perché ad esempio non sempre un salario molto basso coincide con un costo del lavoro molto basso. Infatti, nell'ultimo decennio oltre ventisettemila aziende italiane hanno delocalizzato la produzione all'estero, creando oltre 1,5 milioni di posti di lavoro esteri e lasciando allo stato una fattura da 15 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali. A ben vedere, soltanto il 10 per cento di queste aziende sono andate oltre i confini europei (soprattutto in Asia) mentre la restante parte sono rimaste in Europa, in Austria, Svizzera, Germania, e soprattutto nei paesi balcanici i quali nell'ultimo decennio stanno dimostrando una forte potenzialità di crescita e appaiono sufficientemente stabili sotto l'aspetto istituzionale;
              le caratteristiche socio-economiche italiane e quelle dell'altra sponda dell'Adriatico appaiono molto diverse: infatti, le economie dei paesi balcanici sono di dimensioni molto modeste se paragonate all'Italia: il Pil nominale complessivo di questi paesi è 191 miliardi di dollari, circa un decimo di quello italiano che è pari 2029 miliardi di dollari (Fmi, 2012). Sotto il profilo demografico, l'area balcanica ha circa quarantuno milioni di abitanti, circa il settanta percento dell'Italia (BM, 2012). Secondo uno studio condotto dalla Confindustria Balcani nel 2012, il salario medio in Romania è di 350 euro mentre in Albania è ancora più basso, 250 euro. Il salario medio nell'area balcanica è di 411 euro, circa tre volte in meno rispetto al salario medio in Italia;
              ma il livello dei salari non è l'unico vantaggio per spostare la produzione nell'area balcanica. Anche le condizioni fiscali sono molto attraenti per gli imprenditori stranieri. Per queste ragioni un grande numero di imprese italiane si è spostato nell'area in questione: 17.700 imprese di cui 15700 solo in Romania. Nelle imprese italiane con sede nell'area balcanica lavorano oltre 900.000 persone, di cui 800.000 soltanto in Romania (Confindustria Balcani, 2012);
              vero è che questo trend negli ultimi anni sta cambiando: secondo stime tuttavia non ufficiali, l'entrata della Romania nell'Ue ha determinato la «fuga» delle imprese italiane in altri Paesi non aderenti all'Unione europea, come per esempio l'Albania;
              le imprese che oggi delocalizzano in Albania non cercano competenze professionali particolari, che spesso e volentieri sono mantenute nel Paese d'origine. Le imprese italiane spostano la produzione in Albania per sfruttare il basso costo del lavoro; per sfruttare la vicinanza geografica, infatti un ordine nell'area balcanica arriva in Italia entro 48 ore; il prodotto spesso viene ultimato in Italia e raramente viene emesso sul mercato dell'area balcanica. Ai vantaggi legati al basso costo del lavoro si aggiungono quelli legati all'impianto normativo. Inoltre, gli imprenditori spesso affermano che il mercato dell'area balcanica non facente parte dell'Ue è una realtà in espansione e ricca di potenzialità, soprattutto per i settori ad alta intensità di lavoro, come ad esempio il mercato del Call Center e dell'abbigliamento tessile,

impegna il Governo

ad adottare un piano straordinario di contrasto alla delocalizzazione delle attività produttive sia in Paesi appartenenti all'Unione Europea, sia a quelli non aderenti all'Unione Europea, con particolare riferimento ai Paesi Balcanici.
9/2679-bis-A/27. Ricciatti, Ferrara, Marcon, Melilla, Paglia.


      La Camera,
          premesso che:
              la riforma pensionistica Fornero (da alcuni meglio chiamata «manovra pensionistica», per aver avuto l'unico scopo di fare cassa), ha commesso un clamoroso errore perché non ha differenziato la normativa previdenziale relativa al comparto della scuola rispetto alla generalità dei lavoratori, come peraltro effettuato da precedenti provvedimenti analoghi, non tenendo in alcun conto il fatto che i lavoratori della scuola possono andare in pensione un solo giorno all'anno, il 1o settembre, indipendentemente dalla data di maturazione dei requisiti, per le giuste esigenze di funzionalità e di continuità didattica;
              il problema è conosciuto anche con il nome di «quota 96», che fa riferimento alla possibilità di andare in pensione (in base alla previgente disciplina pensionistica) con almeno 35 anni di servizio a cui si somma l'età anagrafica in modo da raggiungere la «quota 96»;
              a seguito di verifiche fatte tra il 2013 e il 2014 è emerso che il numero di lavoratrici e lavoratori interessati è molto prossimo a 4000 mila unità. Da fonti sindacali recenti, invece, si apprende che il numero si sarebbe ridotto a 3000,

impegna il Governo

          a trasmettere al Parlamento una relazione contenente la verifica del numero complessivo effettivo dei lavoratori nella situazione descritta in premessa;
          ad adottare, con il primo provvedimento di natura legislativa possibile, una norma per il personale della scuola che abbia maturato i requisiti entro l'anno scolastico 2011/2012, ai sensi dell'articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n.  449, e successive modificazioni.
9/2679-bis-A/28. Pannarale, Airaudo, Placido, Prataviera, Matteo Bragantini, Rondini, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              la riforma Fornero delle pensioni contenuta nel decreto legge n.  201 del 2011 oltre alle evidenti iniquità contiene anche errori;
              uno degli errori più marcati ha riguardato i lavoratori già iscritti all'ex Fondo speciale istituito presso l'INPS ai sensi dell'articolo 43 della legge 23 dicembre 1999, n.  488, nonché al personale operante nelle imprese ferroviarie e nelle imprese dei gestori delle infrastrutture ferroviarie con mansioni di addetto alla condotta dei treni, addetto alla scorta dei treni, addetto alla manovra, traghettamento, formazione treni ed il personale imbarcato a bordo delle navi traghetto. L'articolo 24, comma 18, del decreto-legge n.  201/2011 ha disposto l'armonizzazione delle regole previdenziali per il settore della pubblica sicurezza e delle forze armate e dello spettacolo, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti, ma a causa di un errore contenuto nell'ultimo periodo della disposizione, dove è stata utilizzata la parola «articolo», anziché «comma», ha impedito consentito di applicare l'armonizzazione anche al predetto personale delle imprese ferroviarie;
              la situazione che si è venuta a creare è particolarmente grave, perché va a sommarsi a una coincidenza infelice accaduta pochi mesi prima: negli stessi giorni, il cosiddetto taglia leggi aveva disposto l'abrogazione di norme degli anni 50 che regolavano la previdenza del citato personale delle imprese ferroviarie, mentre il decreto legislativo in materia di lavori usuranti, lasciava fuori i lavoratori delle imprese ferroviarie sul presupposto che c'erano le norme speciali previste dalla legge degli anni 50. Ne è venuto fuori un pasticcio, che ha visto aumentare di molti anni l'età anagrafica per andare in pensione in maniera irragionevole: si pensi che le aspettative di vita dei macchinisti è di 64,5 anni (rispetto ad una media nazionale di 82 anni), ma questi dovrebbero andare in pensione a 67 anni;
              il Governo non può continuare a ignorare l'esistenza di questa problematica previdenziale e attivarsi, quantomeno, per stabilire che si applica l'armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività, anche ai lavoratori iscritti al fondo speciale istituito presso l'INPS, ai sensi dell'articolo 43 della legge 23 dicembre 1999, n.  488, tra cui macchinisti, personale viaggiante e di manovra delle imprese ferroviarie;
              è importante che tale intervento sia realizzato in termini certi e rapidi;
              occorre sottolineare che non esistono problemi di copertura per la realizzazione dell'intervento di armonizzazione, dal momento che il Governo può utilizzare una minima quota parte dei maggiori risparmi determinati dalla riforma Fornero e non ancora iscritti a bilancio. Infatti, è ormai notorio che le previsioni della Ragioneria generale dello Stato, che aveva sbagliato calcolando in 22 miliardi i risparmi derivanti dalla riforma nel decennio 2012-2021, sono stati rideterminati – nello stesso periodo – in oltre 90 miliardi dall'Ufficio statistico dell'INPS. Sarebbe oltremodo vergognoso – ad avviso dei presentatori – se le predette maggiori risorse non fossero restituite tutte – ma qui se ne chiede una minima parte – al sistema previdenziale, mediante la modifica sostanziale della pessima riforma Fornero,

impegna il Governo

a modificare, con il primo provvedimento di natura legislativa l'articolo 24, comma 18 del decreto legge n.  201 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge n.  214 del 2011, prevedendo che l'armonizzazione ivi prevista, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti, si applichi anche ai lavoratori già iscritti all'ex Fondo speciale istituito presso l'INPS ai sensi dell'articolo 43 della legge 23 dicembre 1999, n.  488, nonché al personale operante nelle imprese ferroviarie e nelle imprese dei gestori delle infrastrutture ferroviarie con mansioni di addetto alla condotta dei treni, addetto alla scorta dei treni, addetto alla manovra, traghettamento, formazione treni ed il personale imbarcato a bordo delle navi traghetto.
9/2679-bis-A/29. Placido, Airaudo, Sannicandro, Prataviera.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 9 della legge n.  243 del 2004 (cosiddetta Riforma Maroni), ha introdotto un regime sperimentale, noto come «Opzione Donna», che consente alle donne di conseguire il diritto all'accesso anticipato al trattamento pensionistico in presenza di un'anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni o di un'età pari o superiore a 57 anni, per le lavoratrici dipendenti, e a 58, per le autonome, dietro la rinuncia alla parte retributiva dell'assegno previdenziale che viene quindi interamente liquidato con un calcolo che comporta una decurtazione media del 25-30 per cento;
              la suddetta facoltà, che avrebbe dovuto avere scadenza il 31 dicembre 2015, ha esercitato negli anni una forte e crescente attrazione su quelle lavoratrici prossime alla pensione, soprattutto dopo il significativo innalzamento dei criteri di accesso al pensionamento introdotto dalla Riforma Fornero, nonostante abbia incontrato sul suo percorso problemi applicativi. L'Inps infatti, con un'interpretazione restrittiva della norma, applica il suddetto regime ricorrendo allo strumento della finestra mobile ed individuando quale momento in cui si matura il diritto all'accesso al trattamento pensionistico quello della sua effettiva decorrenza, modificando, in tal modo, i termini entro cui esercitare l'opzione stabilendoli, vista l'anticipazione di 12 mesi che viene a determinarsi con l'applicazione delle cosiddette finestre, al 31 dicembre del 2014;
              il motivo di tale restringimento temporale è contenuto in due distinte circolari dell'Inps, la n.  35 e la n.  37 del 2012 secondo le quali il termine ultimo stabilito dalla norma, cioè il 31 dicembre 2015, va inteso come scadenza per l'accesso al trattamento pensionistico tenendo conto della «finestra mobile». Questo significa che le lavoratrici dipendenti che volessero optare per il suddetto regime previdenziale dovranno maturare i requisiti entro il corrente mese di novembre 2014, quelle del pubblico impiego entro il mese di dicembre p.v, mentre per le lavoratrici autonome il termine di maturazione è già scaduto lo scorso mese di maggio 2014;
              pertanto tale interpretazione, peraltro del tutto arbitraria ed adottata dall'Inps secondo i principi di minor spesa e di maggior risparmio, è fortemente penalizzante e discriminatoria. Infatti se l'opzione per il sistema di calcolo contributivo è esercitabile da parte delle lavoratrici la cui finestra mobile si apra entro il 31 Dicembre 2015, non lo sarà, per le lavoratrici per le quali la finestra si apre dal 10 Gennaio 2016 e che quindi non potranno accedere anticipatamente al trattamento pensionistico. Analogamente saranno escluse tutte quelle lavoratrici che, pur avendo maturato la finestra mobile in tempo utile per l'accesso al regime, presentino domanda di pensione successivamente alla scadenza del regime opzionale;
              l'articolo 24, comma 14, del decreto-legge n.  201 del 2011, cosiddetto decreto Salva-Italia, ha previsto che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze dei trattamenti pensionistici già vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge medesimo continuino ad applicarsi, tra l'altro, alle lavoratrici contemplate dal regime sperimentale di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 243 del 2004;
              alcuni dati possono rappresentare quanto la riforma Fornero abbia inciso sulla decisione delle donne di ricorrere al regime speciale. Infatti nel 2009 le richieste di pensionamento anticipato con il metodo contributivo erano state appena 56, salite a 518 nel 2010 e a 1.377 nel 2011. All'indomani del varo della riforma, nel solo 2012 si sono registrate 5.646 richieste, numero salito a 8.846 con riferimento al 2013. A fine agosto il numero, nel solo 2014, ha raggiunto le 7332 unità, e si stima che procedendo a questo ritmo, pari a circa mille al mese, a fine anno raggiungeranno circa 12.000 unità;
              l'Inps non ha fino ad oggi cambiato il suo atteggiamento nonostante il Parlamento abbia già impegnato il Governo, con due distinte risoluzioni, anche allo scopo di evitare dispendiosi contenziosi, molti dei quali già avviati, a dissuadere l'Inps dall'applicare le sue stringenti regole;
              tale opzione non va valutata rispetto ai suoi costi effettivi, peraltro contingentati nel tempo, ma sul valore aggiunto in termini di welfare che forniscono le donne in ambito familiare e sociale, specialmente in un paese come l'Italia dove il lavoro di cura grava ancora prevalentemente sulle donne;
              la richiamata norma istitutiva del regime sperimentale prevede inoltre che entro il 31 dicembre 2015, il Governo verificherà i risultati della sperimentazione ai fini di una sua eventuale prosecuzione,

impegna il Governo:

          a sollecitare l'INPS, adottando iniziative volte ad evitare l'applicazione arbitraria quali requisiti per la decorrenza del trattamento pensionistico di cui all'articolo 1, comma 9 della legge n.  243 del 2004, sia del criterio della finestra mobile che di quello dell'aspettativa di vita, al fine di considerare valida la semplice maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015, come peraltro chiaramente definito nella citata disposizione di cui all'articolo 24, comma 14, del decreto-legge n.  201 del 2011;
          ad estendere il regime sperimentale cosiddetta «Opzione donna» oltre l'anno 2015, al fine di consentire a quelle donne ingiustamente penalizzate dai criteri restrittivi applicati dall'Inps, di accedervi.
9/2679-bis-A/30. Nicchi, Marcon, Pellegrino, Melilla, Airaudo, Placido.


      La Camera,
          premesso che:
              i commi da 127 a 129 dell'articolo 2 del disegno di legge di stabilità per il 2015 prevede una riforma degli istituti di ricerca in agricoltura attraverso l'incorporazione dell'Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA) nel Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA);
              presso l'INEA operano più di duecento unità di personale con contratto a tempo determinato e co.co.co. in scadenza al 31 dicembre 2014;
              trattasi di personale altamente qualificato che consente la regolare attività dell'Istituto,

impegna il Governo

a mantenere gli attuali livelli occupazionali del personale l'INEA prevedendo un adeguato prolungamento dei contratti del personale precario con contratto a tempo determinato e co.co.co., al fine di garantirne l'ingresso nella nuova Agenzia e la partecipazione attiva al processo di riordino.
9/2679-bis-A/31. Franco Bordo, Zaccagnini.


      La Camera,
          premesso che:
              nei paesi più sviluppati continuano a manifestarsi preoccupanti segnali di indigenza nella parte più fragile della popolazione;
              l'articolo 1, comma 101 del disegno di legge di Stabilità prevede che venga istituito un Fondo con la dotazione di 298 milioni di euro a favore delle famiglie;
              il Governo ha presentato l'emendamento n.  13.73 del Relatore il quale assegna la quota di 5 milioni di euro per il 2015, decurtata dal suddetto Fondo, al Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti (articolo 58 decreto legge 83/2012);
              dal recente dossier della Coldiretti sulle «Nuove Povertà del Belpaese. Gli italiani che aiutano» si legge che per effetto della crisi economica si registra un aumento esponenziale degli italiani senza risorse sufficienti neanche per sfamarsi;
              in Italia nel 2013 4.068.250 di poveri sono stati costretti a chiedere aiuto per il cibo da mangiare con un aumento del 10 per cento rispetto al 2012 e del 47 per cento rispetto al 2010, ovvero ben 1.304.871 persone in più negli ultimi tre anni;
              dal dossier emerge anche un altro dato significativo e cioè che in Italia ci sono 428.587 bambini con meno di cinque anni che nel 2013 hanno necessitato di aiuto per poter consumare latte e cibo e che tale dato è in netto aumento rispetto al 2012 nella misura del 13 per cento;
              sempre dal medesimo dossier emerge che ben 578.583 anziani over 65 sono dovuti ricorrere ad aiuti alimentari con un aumento del 14 per cento rispetto al 2012;
              secondo la relazione sul «Piano di distribuzione degli alimenti agli indigenti 2013» realizzata dall'Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, AGEA, gli italiani indigenti che hanno ricevuto pacchi alimentari o pasti gratuiti attraverso i canali no profit che distribuiscono le eccedenze alimentari hanno raggiunto il numero di 4,1 milioni di persone,

impegna il Governo

a reperire ulteriori ed adeguate risorse economiche per il Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, alla luce dei dati preoccupanti e allarmanti narrati in premessa.
9/2679-bis-A/32. Zaccagnini, Franco Bordo.


      La Camera,
          premesso che:
              dopo tanti sacrifici molti attendevano che la legge di Stabilità ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi e ha visto crescere la disoccupazione a tassi che mostrano un quadro di assoluta gravità e che continuano a peggiorare;
              i dubbi sono quasi certezza sul fatto che la manovra non riuscirà a portare il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2015 come il Governo prevede;
              non determinante, trascurabile o irrilevante è l'impegno che la legge di stabilità contiene per combattere la disoccupazione: tali sono le misure relative al taglio dell'Irap, gli sgravi contributivi per le assunzioni;
              grave è la completa sudditanza del centro sinistra – in questa legge di stabilità – alle ricette del pensiero neoliberista: più sgravi fiscali e meno investimenti pubblici; più tagli alla spesa pubblica e meno politiche per il sostegno alla domanda pubblica;
              gli sgravi alle imprese (come i contratti di lavoro precario e lo stesso smantellamento dello Statuto dei lavoratori tramite il cosiddetto «Jobs act») non hanno mai creato più posti di lavoro, ma solo vantaggi e maggiori margini di profitto subito incamerati da chi pensa solo alla rendita e alla speculazione;
              i modesti tagli fiscali (da un impatto redistributivo così inesistente) non alleviano la povertà (e ancora l'Istat ci dice che il bonus Irpef ha beneficiato solo il 4 per cento dei poveri italiani) e non hanno alcun effetto sulla domanda interna. E la stessa nota di variazione del Def ad averlo ammesso: il decreto sugli 80 euro, se tutto va bene, avrà nel 2015 un impatto dello 0,1 per cento sulla crescita. Non migliore impatto sul Pil avranno gli altri provvedimenti cosiddetti «strutturali», dal Jobs Act alle riforme istituzionali. Praticamente, zero;
              la disoccupazione rappresenta una vera e propria emorragia di posti di lavoro, che colpisce gli under 30, ma non di meno tutte le altre fasce di età. Quello che più turba è l'enorme crescita di quanti si dicono «scoraggiati», che hanno smesso di cercare lavoro perché ritengono di non trovarlo;
              i costi economici della disoccupazione sono incalcolabili: incidono direttamente sul PIL che non viene prodotto in percentuale di molto superiore al costo delle misure di sostegno al reddito dei disoccupati – si tratta di 80 miliardi di ricchezza reale che non viene creata –; generano costi ulteriori derivanti dalla perdita di produttività del lavoro e comportano costi sociali quali povertà, perdita della casa, criminalità, denutrizione, abbandoni scolastici, antagonismo etnico, crisi familiari, tensioni sociali potenzialmente esplosive;
              i disoccupati nel nostro Paese sono circa 6 milioni disoccupati. Anche se il quadro economico mutasse e vi fosse un boom (evento del tutto improbabile) non si riuscirebbe a creare lavoro per una tale mole di lavoratori e occorrerebbero non meno di 15 anni per riportare la disoccupazione a livelli che si possano considerare fisiologici, ma non si riuscirebbe comunque a tornare ai livelli precedenti (ad esempio al dato del 2005 che ha costituito l'anno migliore del nuovo secolo per l'occupazione nei Paesi UE), tenendo presente che la maggior parte delle imprese stanno provvedendo a sostituire in misura e rapidità crescente il lavoro umano con varie forme di automazione;
              riteniamo, pertanto, che non vi sia altra possibilità di creare lavoro e riassorbire l'enorme mole di disoccupati se non ricorrendo allo Stato come datore di lavoro di ultima istanza attraverso la creazione di un Piano nazionale del lavoro basato su un programma nazionale di interventi pubblici, che si ispiri al New Deal statunitense che tra il 1933 e il 1943 riuscì a creare occupazione per circa 8,5 milioni di lavoratori;
              è importante porsi l'obiettivo minimo di creare un milione e mezzo di posti di lavoro in un triennio, sostenendo un'occupazione produttiva e un lavoro dignitoso, come promossi dall'Organizzazione internazionale del lavoro e dall'Unione europea;
              l'obiettivo del Piano deve essere quello di occupare lavoratori tra le persone inoccupate, disoccupate o occupate in cerca di altra occupazione, qualora il loro reddito sia al di sotto di ottomila euro, dando tuttavia la priorità a coloro che a parità di altre condizioni rientrano nella definizione di lavoratori svantaggiati ai sensi dell'articolo 2, lettera f) del Regolamento CE del 12 dicembre 2002, n.  2204 e che possiedono un patrimonio personale finanziario, mobiliare e immobiliare inferiore; oppure tra persone che usufruiscono di ammortizzatori sociali;
              un tale Programma deve essere realizzato da tutte le amministrazioni dello Stato e dagli enti locali ispirandosi ad interventi che, oltre ad assicurare la creazione di occupazione, consentano lo sviluppo di un nuovo modello produttivo al quale l'Italia deve ambire, ponendosi come obietto primario quello della tutela dell'ambiente e della salute, innanzitutto attraverso il recupero di aree urbane e rurali, degli ecosistemi e della biodiversità;
              gli interventi, pertanto, sono da realizzarsi nei settori della protezione del territorio per prevenire e contrastare il dissesto idrogeologico del Paese; per bonificare e riqualificare dal punto di vista ambientale tutte le aree del territorio nazionale; per recuperare, ristrutturare, adeguare, mettere in sicurezza e valorizzare edifici scolastici, ospedali, asili nido pubblici e il patrimonio immobiliare pubblico da destinare a prima casa e a iniziative di cohousing e coworking; per incrementare l'efficienza energetica e ridurre i consumi per gli uffici pubblici; per recuperare e valorizzare il patrimonio storico, architettonico, museale e archeologico italiano; per recuperare terreni pubblici incolti o abbandonati e salvare dall'inquinamento fiumi, aree paludose, spiagge e coste;
              per il funzionamento del Programma è possibile prevedere l'istituzione di un'Agenzia nazionale snella e poco costosa, vigilata da più ministeri, che svolga funzioni di organizzazione, programmazione, attuazione, indirizzo controllo e coordinamento;
              il Programma dovrebbe basarsi su progetti presentati dagli Enti locali e che questi vogliono realizzare, utilizzando le strutture periferiche del Ministero delle attività produttive, per la valutazione dei progetti, e del Ministero del lavoro, per l'assunzione del personale;
              lo Stato dovrebbe mettere a disposizione dei progetti le risorse, con la partecipazione degli Enti locali, e le attrezzature e gli strumenti già in dotazione o di proprietà delle Forze armate e di polizia, nonché quelle degli Enti locali, mentre i centri per l'impiego dovrebbero procedere a organizzare la formazione dei lavoratori da impiegare;
              i Progetti non direttamente realizzati dagli enti pubblici devono essere assegnati attraverso gare d'appalto ad imprese che si impegnino ad assumere, con contratto a tempo determinato per la durata dell'appalto o a tempo indeterminato, almeno il 50 per cento del personale necessario tra i lavoratori svantaggiati come definiti dal Regolamento europeo n.  2204 del 2002, di cui si è scritto sopra. La riserva di manodopera nei bandi di appalto sarebbe così conforme alle norme dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato;
              per quanto riguarda le risorse da destinare alla realizzazione del Programma Nazionale per un triennio sperimentale lo Stato dovrebbe stanziare risorse non inferiori a 60 miliardi da ripartire tra un Fondo nazionale per finanziare i progetti e l'incremento delle risorse a disposizione – a legislazione vigente – degli interventi per la messa in sicurezza del territorio, per gli asili nido pubblici, per la messa in sicurezza degli edifici scolastici pubblici e per incrementare l'efficienza, la prestazione energetica e la riduzione del consumo di energia negli edifici pubblici;
              per mettere insieme le risorse necessarie si potrebbe far ricorso alla Cassa Depositi e Prestiti che può impiegare risorse proprie e emettere obbligazioni da far sottoscrivere alle Fondazioni bancarie, all'INAIL e ai Fondi pensioni negoziali; destinare quota parte dei fondi strutturali europei; escludere dal patto di stabilità interno, per il triennio di sperimentazione, le spese in conto capitale collegate ai Progetti; ridurre le tax expenditures, i costi per auto blu, la deducibilità degli interessi passivi per le banche, la spesa per gli F35, le fregate FREMM e la TAV Lione-Torino; utilizzare le risorse oggi sprecate per ridurre l'Irap e per gli sgravi per le assunzioni; introdurre la web tax e riformare la tassa sulle transazioni finanziarie eccetera,

impegna il Governo

a creare, con apposito provvedimento normativo, un Piano sperimentale per la creazione di nuovi posti di lavoro per contrastare la piaga della disoccupazione, sulla base di quanto indicato in premessa.
9/2679-bis-A/33. Airaudo, Scotto, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti.


      La Camera,
          premesso che:
              le Forze armate svolgono una fondamentale funzione di difesa del Paese e di cooperazione nelle operazioni internazionali in cui sono coinvolte, tuttavia si pone a oggi il problema dell'uso del territorio nel nostro Paese. Attualmente le aree interessate da servitù militari sono circa il 17 per cento dell'intero territorio nazionale e una considerevole parte è ubicata all'interno di aree naturali protette nazionali, regionali o provinciali, nei siti d'importanza comunitaria e nelle zone di protezione speciale. Esercitazioni, anche a fuoco, si svolgono tuttora nei territori di tali aree determinando impatti e incidenze significativi su habitat naturali e seminaturali, su specie selvatiche animali e vegetali e sui paesaggi;
              l'attività militare svolta all'interno di tali aree, in particolare le esercitazioni a fuoco, risulta incompatibile con la loro tutela ambientale. Queste attività, infatti, pregiudicano l'ambiente e la composizione dell'ecosistema, non soltanto a causa delle immissioni di metalli pesanti ma anche a causa delle immissioni foniche e all'accumulo di inquinanti, determinando pesanti ricadute in termini di riduzione della biodiversità e di contaminazione del territorio, nonché di consumo di suolo e di perdita di fertilità dello stesso;
              a livello nazionale è quanto mai opportuno avviare un processo di bonifica ambientale per tutte le aree militari contaminate a partire dalla Sardegna, ma anche nel resto d'Italia, quali ad esempio le aree militari all'interno dei siti contaminati di interesse nazionale o regionale, come Taranto o La Maddalena o il poligono di Quirra, la cui contaminazione è stata accertata da diversi studi e indagini condotte negli anni;
              il danno determinato dalle servitù militari, per cui, non è rappresentato soltanto dall'esproprio dei terreni bensì, in maniera ancor più incisiva, dall'impossibilità di intraprendere alcuna iniziativa imprenditoriale, soprattutto di tipo agricolo e turistico;
              a titolo di esempio, il danno causato dall'industria bellica nel territorio di Teulada, dove è sito uno dei più grandi poligoni d'Europa ammonta a 1,3 miliardi di euro: tanto è infatti il costo stimato per la bonifica della sola penisola di 400 ettari, definita interdetta;
              nel caso del Parco nazionale dell'Alta Murgia, ad esempio, le aree sono sottratte alle attività agricole in favore delle esercitazioni militari per una media di 180 giorni all'anno: Tale presenza militare rende difficoltosa ogni ipotesi di sviluppo aziendale e zootecnico dell'area, non essendo possibile pianificare attività agricole che richiedano una costante presenza sul fondo. La stessa presenza fissa di campi militari nel corso delle esercitazioni limita la fruizione del territorio protetto a visitatori e a ricercatori con conseguenti ricadute sulle strutture ricettive che basano la loro attività sui percorsi escursionistici nell'area. Tali attività di carattere militare risultano dunque incompatibili con quelle già presenti e attive in territori in cui si è instaurato, nel corso degli anni, un delicato equilibrio tra uomo e natura, generando economie verdi fondate sull'agricoltura di qualità e sul turismo sostenibile;
              nel giugno del 2014 si è svolta la II conferenza nazionale sulle servitù militari, a distanza di 30 anni dalla prima, con al centro la valorizzazione del rapporto tra le aree addestrative delle Forze armate italiane e le comunità locali, lo snellimento delle procedure per l'erogazione degli indennizzi, la tutela, la salvaguardia dell'ambiente e del territorio circostante,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per assicurare una dotazione adeguata di risorse – anche attraverso l'attivazione di un apposito fondo nazionale – per la bonifica integrale delle aree interessate dalle esercitazioni militari e per gli indennizzi per i danni arrecati dall'uso delle servitù militari.
9/2679-bis-A/34. Piras, Duranti.


      La Camera,
          premesso che:
              il nubifragio che a partire dal 9 ottobre 2014, ha colpito Genova e la provincia, ripropone ancora una volta il tema, non più rinviabile, dell'estrema fragilità dei territori colpiti e più in generale di gran parte del territorio nazionale. Un territorio che, ogni qualvolta è sottoposto a piogge intense e insistenti, si trova a dover fare i conti con morti, frane, argini che non riescono più a trattenere l'impatto con le acque, allagamenti, cedimenti di infrastrutture, crolli di edifici;
              l'alluvione che ha colpito l'entroterra e la città di Genova in particolare, ha provocato la morte di un pensionato, l'esondazione di diversi torrenti, e la conseguente chiusura di strade, l'isolamento di intere frazioni, nonché ingenti danni alle attività produttive in tutti i territori colpiti;
              nella sola provincia di Genova sono censite 3.978 frane, mentre nella regione Liguria ne sono state censite 8.392;
              peraltro, ancora una volta, si è riproposto per la provincia e la città di Genova quanto già successo tre anni fa con l'alluvione del 4 novembre 2011, in cui persero la vita 6 persone a seguito dell'esondazione del rio Fereggiano;
              peraltro gli eventi alluvionali iniziati 9 ottobre scorso, non hanno interessato solo Genova e la sua provincia, ma anche alcuni comuni della provincia di La Spezia, e, nei giorni 13 e 14 ottobre, anche le province di Parma e Piacenza;
              per tutti questi territori, il 30 ottobre scorso, il Consiglio dei ministri ha deliberato lo stato d'emergenza;
              con riguardo alla città di Genova, tra gli interventi più urgenti da avviare al più presto, si segnalano:
                  1) la Galleria scolmatrice del torrente Bisagno 1o lotto 2o stralcio e 2o lotto. Realizzazione delle opere di captazione sui rivi Noce e Rovare a completamento della realizzanda galleria scolmatrice del torrente Fereggiano (1o lotto 2o stralcio) e realizzazione della galleria scolmatrice principale a servizio del torrente Bisagno (2o lotto), per un importo di 175 milioni;
                  2) l'adeguamento strutturale copertura tratto terminale del torrente Bisagno. Ultimo lotto. Demolizione e ricostruzione, con contestuale ampliamento delle sezioni idrauliche di deflusso mediante abbassamento della quota della platea d'alveo, del tratto di copertura del tratto terminale del torrente Bisagno compreso tra l'incrocio stradale Via Diaz/Viale Brigate Bisagno e le arcate del piazzale della stazione di Genova Brignole, per un importo di 95 milioni;
                  3) la sistemazione idraulica del torrente Sturla nel tratto compreso tra Via delle Casette e Via dei Luoghi Santi – 2o lotto 2o stralcio, Allargamento delle sezioni d'alveo e adeguamento/rifacimento dei muri d'argine e degli attraversamenti stradali, per un importo di 2 milioni di euro;
                  4) la Galleria scolmatrice del torrente Vernazza. Realizzazione della galleria scolmatrice comprensiva della camera di captazione sotterranea in Via Pontetti ed opera di sbocco nel torrente Sturla, per un importo di 8 milioni di euro,

impegna il Governo:

          a finanziare gli interventi più urgenti, relativi alla città di Genova, indicati in premessa;
          a disporre, di concerto con gli enti territoriali, la concessione di contributi per la riparazione e il ripristino degli immobili sia di edilizia abitativa che ad uso produttivo, in relazione al danno effettivamente subito in conseguenza degli eventi alluvionali;
          a disporre il rinvio del pagamento delle rate in scadenza dei mutui contratti con Cassa depositi e prestiti dai comuni colpiti dalle calamità;
          a riconoscere alla regione e agli enti locali interessati dall'alluvione, l'esclusione dal patto di stabilità interno relativamente agli investimenti, a valere sui fondi disponibili nei rispettivi bilanci, finalizzati alla ricostruzione e alla messa in sicurezza dei territori colpiti;
          a prevedere altresì, un'apposita norma di legge al fine di consentire l'esclusione dal patto di stabilità interno, delle spese, sostenute dai territori di cui in premessa per i quali è stato deliberato lo stato di emergenza, a valere su risorse proprie o su donazioni di terzi.
9/2679-bis-A/35. Quaranta, Zaratti, Pellegrino, Marcon, Melilla, Paglia.


      La Camera,
          premesso che:
              la questione derivati è stata sollevata in Commissione Bilancio nel corso dell'esame del disegno di legge di stabilità 2015 da un intervento del deputato Paglia che chiedeva una più approfondita riflessione del Governo con riguardo alla modifica apportata al testo unico in materia di debito pubblico, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  398 del 2003, dall'articolo 33, comma 1, lettera b), numero 3), del disegno di legge di stabilità, il quale prevede che il Tesoro è autorizzato a stipulare accordi di garanzia bilaterale in relazione alle operazioni in strumenti derivati. Nel ricordare come, nel corso dell'esame della legge di stabilità per il 2014, una disposizione di analogo contenuto sia stata soppressa su iniziativa del Governo stesso, il deputato osservava come anche in sede di esame della legge di stabilità 2015 sarebbe stato opportuno un intervento volto a sopprimere tale norma, che, a suo avviso, riconosce al Tesoro, nell'ambito di una materia di particolare complessità, qual è quella degli strumenti derivati, una possibilità che esula dalle sue ordinarie competenze;
              il Governo tramite il Viceministro Enrico Morando, ha evidenziato – a suo dire – come la norma, finalizzata a permettere, mediante l'utilizzo della gestione di Tesoreria, l'adozione di un sistema di garanzie bilaterali per la gestione delle operazioni in strumenti derivati del Tesoro, si sia resa necessaria alla luce del contesto regolatorio e di mercato attualmente in essere e sia stata adottata nell'esclusivo interesse del Paese. Osservando, in particolare, che le garanzie potranno essere costituite da disponibilità liquide o da titoli di Stato e che, in entrambi casi, non si ipotizzano maggiori spese o minori entrate a carico del bilancio dello Stato;
              quello che oggi sappiamo dei contratti derivati del Ministero dell'economia è che si tratta di circa 160 miliardi di valore nozionale (cioè il valore di riferimento dei contratti) e non ne conosciamo il valore attuale (il cosiddetto mark-to-market). Sappiamo che 100 miliardi sono swap su tassi (contratti per il cambiamento dei flussi da fisso a variabile o viceversa), 35 swap su valute (scambio di flussi di pagamento in valute diverse) e il resto contratti di tipo più strutturato ed esotico. Sappiamo da un'analisi comparsa sulla stampa per un campione di contratti rinegoziati che il loro valore attuale era negativo per il ministero per circa il 25 per cento del valore nozionale. Erano 8 miliardi di passivo su 31,5 di nozionale: in pratica significa che se i contratti venissero chiusi oggi, il ministero dovrebbe pagare 8 miliardi per compensare la differenza di valore attuale tra i flussi futuri da ricevere e quelli da pagare. La percentuale di passivo sul nozionale è alta e probabilmente legata a un campione particolare, e il fatto che siano stati rinegoziati non autorizza a ritenere che questa percentuale possa essere uno stimatore corretto del valore del passivo complessivo;
              con i dati di cui disponiamo, possiamo solo proporre un esercizio per far capire cosa potrebbe cambiare con la nuova regola. Consideriamo solo i 100 miliardi di derivati su tassi di interesse e assumiamo che siano tutti raccolti in un unico contratto a dieci anni, in passivo per il 10 per cento. Il tutto è calcolato con i valori di mercato del 30 settembre. Sulla base di queste ipotesi, le banche sarebbero esposte a una perdita di 10 miliardi nel caso che la Repubblica italiana andasse in default immediatamente. Sulla base delle nostre ipotesi semplificate, possiamo calcolare quanto sarà l'esposizione attesa tra un anno, che scenderà a 8,35 miliardi. Possiamo calcolare l'esposizione al default nel primo anno come la media dei due valori. Poi moltiplichiamo il tutto per lo spread a un anno (probabilità di default, 0,665 per una perdita del 50 per cento in caso di default) per ottenere una perdita attesa nel primo anno di circa 35,550 milioni. Possiamo poi ripetere l'analisi per il secondo, il terzo anno, fino alla maturità. Alla fine, sommando tutte quelle attese avremo la perdita attesa complessiva, che sarà intorno ai 440 milioni. È la somma che le banche detraggono dal valore di questi derivati e iscrivono a bilancia per tenere conto del rischio Italia: è quello che in gergo si chiama Cva (Credit Valuation Adjustment);
              cosa succederà con la nuova regola? Finirà l'epoca dell'esposizione delle banche: il ministero e gli istituti bancari sottoscriveranno quello che in gergo si chiama Csa (Credit Support Annex), per il quale a cadenza periodica la parte in passivo depositerà una somma corrispondente, in cash o titoli privi di rischio, presso l'altra parte, a garanzia del contratto. Quale sarà la differenza? Possiamo dire che, nell'esempio precedente, il ministero depositerà 10 miliardi di garanzia (collateral), e con gli stessi calcoli di prima possiamo stimare che a fine anno la garanzia richiesta sarà scesa a 8,35 miliardi. Come prima possiamo calcolare che nell'anno verserà una media tra i 10 miliardi iniziali e gli 8,35 miliardi finali. Quale sarà il costo di questi versamenti? Sarà ancora lo spread, che sarà anche qui di circa 35,550 milioni. Possiamo poi ripetere l'analisi per il secondo, il terzo anno, e così via, e alla fine ritroveremo, sotto forma di costi per interessi, i 440 milioni;
              la differenza è sostanziale: il rischio di credito in derivati con la Repubblica italiana sparisce dai bilanci delle banche e ricompare, sotto forma di costi di finanziamento (funding cost, nei bilanci dei contribuenti italiani. L'aumento di spesa per interessi, infatti, alla fine dovrà essere finanziato con tagli di spese o aumenti di tasse;
              è vero che l'esempio – di Umberto Cherubini – è di carta, ma la specificazione richiederebbe dettagli tecnici che non abbiamo, e che sono difficili da spiegare in maniera esaustiva. Ad esempio, il rischio di controparte targato Italia è tipicamente contabilizzato nelle banche con lo spread dei Cds (credit default swap), mentre rispunterebbe nei bilanci degli italiani come spread del Btp rispetto al tasso swap: i due spread sono molto vicini, ma non sono esattamente la stessa cosa. Non sappiamo se questa possibilità di depositare collateral sarà associata ad altre innovazioni che invece potrebbero fare la differenza: ad esempio, la possibilità di depositare garanzie sulle esposizioni nette invece che su ognuna di esse. Comunque sia, il segno dell'effetto dell'operazione resta immutato: si trasforma rischio di credito che ora giace nelle banche in spesa futura per interessi a carico del bilancio dello Stato;
              ci siamo riferiti a una perdita di 10 miliardi su 100, e sappiamo dai giornali che ce ne sono almeno altri 8. E molto facile, sulla base di ipotesi meno favorevoli delle nostre, arrivare a varcare il miliardo di euro. Una questione essenziale, poi, è se le nuove norme si applicheranno solo ai nuovi contratti, o anche ai vecchi. Se si applicano ai vecchi, è molto probabile che parte dei 440 milioni di perdita attesa dell'esempio siano già stati caricati sul bilancio pubblico sotto forma di quelle che vengono chiamate «commissioni occulte». Pare di poter concludere che i contribuenti italiani non meritino di accollarsi questo aumento di spesa,

impegna il Governo

a presentare entro 30 giorni dall'approvazione della presente legge, una relazione al Parlamento sulla reale esposizione italiana al rischio su-esposto e come potrebbe incidere sulla tenuta dei nostri conti pubblici.
9/2679-bis-A/36. Matarrelli, Paglia, Melilla, Marcon.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 21 del provvedimento in esame reca «riduzioni delle spese ed interventi correttivi del Ministero della difesa»;
              in base a quanto previsto dal «Documento programmatico pluriennale per la difesa per il triennio 2014-2016», nello specifico nel paragrafo dedicato allo sviluppo e sostegno del velivolo Joint Strike Fighter e predisposizioni nazionali, vengono stanziati per il 2014, per il programma in parola, 359,1 milioni di euro e nella nota si legge che: «(...) le poste finanziarie previsionali allocate sul programma in parole negli EF 2015 e 2016 sono rispettivamente pari a 644,3 M Euro e 735,7 M Euro. Il correlato profilo finanziario è quello approvato nella pianificazione in vigore. Le disponibilità assegnate rimangono al momento sospese, nelle more delle discendenti decisioni in merito alla modalità di prosecuzione del programma che saranno esplicitate con la redazione del Libro Bianco della Difesa»;
              il 24 settembre 2014 sono state discusse le mozioni sul programma F 35 e la Camera, tra le altre approvava le mozioni: 1-00586 Scanu; 1-00593 Brunetta; 1-00590 Cicchitto; 1-00578 Causin;
              in particolare, con la mozione 1-00586 Scanu la Camera impegnava il Governo «a riesaminare l'intero programma F-35 per chiarirne criticità e costi con l'obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto, così come indicato dal documento approvato dalla Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati a conclusione dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, in vista del Consiglio europeo del dicembre 2013, tenendo conto dei ritorni economici e di carattere industriale da esso derivanti»,

impegna il Governo

a presentare, in occasione della stesura del Libro Bianco della Difesa, o nel prossimo Documento di economia e finanza, il piano per l'attuazione di quanto è previsto dalla mozione numero 1-00586 del 24 settembre 2014, a prima firma onorevole Scanu per il dimezzamento delle risorse programmate per il programma Joint Strike Fighter.
9/2679-bis-A/37. Marcon, Duranti, Piras, Palazzotto.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 21 del provvedimento in esame reca «riduzioni delle spese ed interventi correttivi del Ministero della difesa»;
              in base a quanto previsto dal «Documento programmatico pluriennale per la difesa per il triennio 2014-2016», nello specifico nel paragrafo dedicato allo sviluppo e sostegno del velivolo Joint Strike Fighter e predisposizioni nazionali, vengono stanziati per il 2014, per il programma in parola, 359,1 milioni di euro e nella nota si legge che: «(...) le poste finanziarie previsionali allocate sul programma in parole negli EF 2015 e 2016 sono rispettivamente pari a 644,3 M Euro e 735,7 M Euro. Il correlato profilo finanziario è quello approvato nella pianificazione in vigore. Le disponibilità assegnate rimangono al momento sospese, nelle more delle discendenti decisioni in merito alla modalità di prosecuzione del programma che saranno esplicitate con la redazione del Libro Bianco della Difesa»;
              il 24 settembre 2014 sono state discusse le mozioni sul programma F 35 e la Camera, tra le altre approvava le mozioni: 1-00586 Scanu; 1-00593 Brunetta; 1-00590 Cicchitto; 1-00578 Causin;
              in particolare, con la mozione 1-00586 Scanu la Camera impegnava il Governo «a riesaminare l'intero programma F-35 per chiarirne criticità e costi con l'obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto, così come indicato dal documento approvato dalla Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati a conclusione dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, in vista del Consiglio europeo del dicembre 2013, tenendo conto dei ritorni economici e di carattere industriale da esso derivanti»,

impegna il Governo

a presentare, in occasione della stesura del Libro Bianco della Difesa, o nel prossimo Documento di economia e finanza, il piano per l'attuazione di quanto è previsto dalla mozione numero 1-00586 del 24 settembre 2014, a prima firma onorevole Scanu per il dimezzamento delle risorse programmate per il programma Joint Strike Fighter, tenendo conto dei ritorni economici e di carattere industriale da esso derivanti.
9/2679-bis-A/37.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Marcon, Duranti, Piras, Palazzotto.


      La Camera,
          premesso che:
              a seguito di problemi interpretativi tardivamente emersi circa le norme relative alla cosiddetta una tantum prevista dall'articolo 61, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.  276, destinata ai collaboratori coordinati e continuativi iscritti in via esclusiva alla gestione separata presso l'INPS, in particolare per i collaboratori coordinati e continuativi operanti nella pubblica amministrazione, nelle scuole, nelle università e negli enti pubblici di ricerca;
              alcune sedi territoriali dell'INPS hanno richiesto ad assegnisti di ricerca e collaboratori delle pubbliche amministrazioni la restituzione delle somme erogate negli anni 2009, 2010 e successivi. Al riguardo è opportuno chiarire che si tratta di prestazioni di ammontare medio di 4.000 euro erogate dalle stesse sedi INPS che oggi ne richiedono la restituzione a giovani ricercatori universitari o docenti delle scuole con contratto di collaborazione, che versavano in condizione di disoccupazione a seguito della conclusione di un assegno di ricerca, del dottorato o del contratto di collaborazione e che, in molti casi, si trovano senza lavoro;
              tale indennità, introdotta in via sperimentale con l'articolo 19, comma 2, del decreto-legge n.  185 del 2008, convertito nella Legge n.2/2009, con le integrazioni dell'articolo 7-ter della legge n.  33 del 2009, successivamente modificata dalla Legge finanziaria 2010 (Legge n.  191 del 2009) ed infine ridefinita dalla legge n.  92 del 2012 e dalla Legge di stabilità 2013 (Legge n.  228 del 2012) ha largamente mostrato fin dalla sua introduzione scarsa efficacia a causa dei requisiti restrittivi previsti. A fronte di un ammontare di risorse stanziate pari a 200 mln di euro a cui vanno ad aggiungersi ulteriori 60 mln di euro in ragione d'anno per gli anni 2013, 2014 e 2015 sulla base di quanto disposto dall'articolo 2, comma 56 della Legge n.92/2012, risulta – da dati INPS – che al 31 marzo 2013 le risorse finanziarie residue erano pari a euro 126.079.838,24 per un ammontare di risorse erogate nel periodo 2009-2012 pari ad euro 73.920.161,76. In pratica al 31 marzo 2013 risultava che su 70.016 domande acquisite soltanto 26.587 erano quelle liquidate (il 37 per cento del totale);
              a seguito della denuncia avanzata da FLC CGIL e da NIdiL (Nuove Identità di Lavoro) l'INPS ha deciso di «sospendere tutte le note di addebito già inviate e di bloccare i nuovi invii, in attesa di un riesame complessivo della normativa, che sarà oggetto di un confronto con i ministeri competenti»,

impegna il Governo

a sanare la posizione dei collaboratori coordinati e continuativi o assimilati tali operanti nella pubblica amministrazione, nella scuola, nelle università, negli enti pubblici di ricerca che negli anni passati hanno ottenuto l'indennità una tantum a causa di difficoltà di interpretazione della normativa da parte dell'INPS, ma che hanno poi ricevuto dallo stesso istituto la richiesta la restituzione delle somme erogate. A copertura di tale iniziativa valgono le somme giacenti di cui al comma 1 dell'articolo 19 del decreto-legge 29 novembre 2008, n.  185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n.2, e successive modificazioni, destinate al finanziamento della indennità una tantum per collaboratori coordinati e continuativi.
9/2679-bis-A/38. Fratoianni, Giancarlo Giordano, Pannarale, Paglia.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 9 della legge n.  23 del 2014, (cosiddetta delega fiscale), dedicato al rafforzamento dei sistemi di controllo in chiave anti-evasione e anti-elusione, afferma che uno dei decreti legislativi dovrà «prevedere l'introduzione, in linea con le raccomandazioni degli organismi internazionali e con le eventuali decisioni in sede europea, tenendo anche conto delle esperienze internazionali, di sistemi di tassazione delle attività transnazionali, ivi comprese quelle connesse alla raccolta pubblicitaria, basati su adeguati meccanismi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale»;
              già la legge di stabilità per l'anno 2014 aveva introdotto nuove regole per l'acquisizione di servizi di pubblicità e link sponsorizzati on line, allo scopo di obbligare i giganti del web, come Google, Facebook, Apple o Amazon, a fatturare con partita IVA italiana tutti i loro i volumi di vendita realizzati nel nostro Paese grazie alla vendita di pubblicità, che oggi vengono fatturati in altri Paesi con regimi fiscali agevolati. La stessa legge disponeva che gli spazi pubblicitari on line ed i link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca, visualizzabili in territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio on line, dovessero essere acquistati da soggetti (editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca) titolari di partita IVA italiana;
              la suddetta previsione, che in gergo tecnico si chiama «aportionment» consiste nel far pagare alle multinazionali con sede fiscale all'estero, le imposte italiane per la parte di ricavi che si stima sia stata prodotta nel nostro Paese;
              attualmente, la normativa europea consente ad un'impresa di operare in Paesi diversi e di stabilirne la sede legale in quelli in cui la tassazione è più favorevole. Ad esempio Facebook e Google hanno fissato la loro sede legale in Irlanda, mentre Amazon in Lussemburgo, facendo registrare un gettito nei diversi paesi come ricavi di servizi prestati alla società principale, ed eludendo, in tal modo, in quegli stessi Paesi la tassazione locale;
              l'introduzione nel nostro Paese della cosiddetta web-tax, ha rappresentato il primo tentativo europeo di governare la globalizzazione, evitando il sorgere di una concorrenza sleale da parte delle società con sede effettiva o fittizia in Stati con regimi fiscali favorevoli a danno delle società con sede nel territorio italiano;
              la concorrenza sleale che oggi alcuni giganti del web esercitano in ambito europeo non è limitata al mondo della pubblicità, ma si concretizza ogni giorno nella produzione e vendita di beni e servizi via internet o in forma tradizionale: Amazon ad esempio vende libri e merci a prezzi sottocosto rispetto le imprese italiane perché ha posto la sua sede legale e di spedizione in Lussemburgo, godendo così di un extragettito dettato dalle imposte non versate rispetto le aziende italiane ai quali si aggiungono gli innumerevoli e mai governati casi di concorrenza sleale a danno delle imprese italiane con sede nel territorio nazionale (soprattutto quelle piccole o medie) a causa della triangolazione, ovvero imprese che fanno produrre in Paesi con costi della mano d'opera sotto la soglia di sopravvivenza per operai e impiegati e stabiliscono la loro sede legale e di fittizia spedizione in paradisi fiscali, guadagnandosi così due extragettiti dati dai minori costi di produzione e dalla riduzione delle imposte rispetto ad una impresa italiana;
              la webtax è pertanto capace di iniziare a riportare equità fiscale in un sistema, che per troppi anni è stato «governato» da un vuoto normativo che ha consentito abusi di diritto e vantaggi fiscali ingiustificati, trattandosi dunque di un innovativo strumento normativo per il contrasto all'evasione fiscale, oltreché strumento di giustizia riguardo alle migliaia di imprese italiane che operano in una condizione di concorrenza sleale messa in atto dai giganti internazionali e che vede le nostre aziende palesemente penalizzate, dal punto di vista fiscale, rispetto alle grandi multinazionali della rete;
              anche la Siae, che ha accolto positivamente l'approvazione della norma, spiega quanto fosse necessario intervenire contro le aggressive pratiche di ottimizzazione fiscale alle quali ricorrono tutte le multinazionali della Rete per gestire le proprie attività, fenomeno per effetto del quale queste imprese, pur fatturando miliardi, non lasciano nulla nel nostro Paese, né in termini di gettito fiscale, né in termini di valore sociale (creazione di posti di lavoro);
              molti, all'indomani dell'introduzione della norma nel nostro ordinamento, avevano avanzato numerose riserve legate alla compatibilità della disposizione nei confronti della normativa europea ed il timore che la stessa potesse costare all'Italia una procedura d'infrazione in quanto in contrasto con l'articolo 26 del Trattato UE, che prevede la libertà di stabilimento di impresa e di libera circolazione di beni e servizi, con l'articolo 56 dello stesso trattato, che vieta restrizioni alla libera prestazione di servizi all'interno della UE nei confronti di cittadini europei stabilitisi in un altro stato membro che non sia quello della prestazione, ed in contrasto anche con l'articolo 41 della Costituzione italiana che riconosce la libertà di commerciare anche fuori dei confini italiani;
              le suddette motivazioni indussero l'allora premier Enrico Letta ad un dietrofront e ad abrogare, a mezzo di decreto-legge, la previsione normativa. Successivamente, all'atto del suo insediamento l'attuale premier Renzi, anche in vista del semestre di presidenza italiana presso TUE, aveva promesso di porre sul tavolo la questione come prioritaria, convinto com'era che la soluzione andasse ricercata a livello europeo;
              a tutt'oggi a pochi giorni dalla scadenza del semestre di presidenza italiano la vicenda della webtax campeggia solo sulle pagine dei quotidiani, lasciando ancora la porta aperta a pratiche elusive;
negli ultimi tempi sotto la lente della Commissione Europea sono ricaduti i meccanismi i cosiddetti tax rulings, ovvero quegli accordi che le società prendono con le autorità fiscali nazionali e che consentono di conoscere con anticipo quale tipo di regime fiscale verrà applicato al loro business,

impegna il Governo:

          a contrastare le suddette pratiche di profit-shifting e riportare equità fiscale nel sistema, introducendo nel nostro sistema tributario forme di tassazione che colpiscano i redditi prodotti nel nostro Paese dalle multinazionali;
          a creare un fronte comune con altri paesi europei al fine di trovare soluzioni antielusive coordinate e condivise in materia di fiscalità internazionale.
9/2679-bis-A/39. Paglia, Melilla, Marcon.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 11 (Disposizioni in materia di ammortizzatori sociali) del provvedimento al nostro esame è finalizzato a costituire un Fondo che consenta di estendere l'ambito di operatività degli strumenti di tutela del reddito, in costanza di rapporto di lavoro ed in caso di disoccupazione involontaria, a favore di settori e lavoratori che attualmente non ne fruiscono, anche in prospettiva dell'attuazione della legge di delega al Governo denominata Jobs Act, che prevede, oltre alla revisione dell'ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, anche di universalizzare l'applicazione, in caso di disoccupazione «involontaria», degli ammortizzatori sociali, con l'estensione dell'assicurazione sociale per l'impiego (Aspi) ai co.co.co.;
              per far fronte ai relativi oneri viene istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro un apposito fondo con una dotazione di 2 miliardi di euro a decorrere dal 2015, aumentata di 200 milioni annui per il 2015 e il 2016 da un emendamento del Governo, cifra in cui dovrà rientrare anche il finanziamento degli ammortizzatori in deroga, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive. Nel dettaglio, la Relazione tecnica stimava che si sarebbero spesi 1,5 miliardi per finanziare la maggiore spesa derivante dalla suddetta riforma degli ammortizzatori sociali. I restanti 500 milioni, invece, sarebbero destinati alla contribuzione figurativa, cioè a quei contributi «fittizi», non versati né dall'azienda né dal lavoratore, ma dallo Stato, in caso di sospensione del lavoro;
              si tratta di cifre che rendono inadeguate le risorse disponibili in rapporto all'ambito vasto dei provvedimenti in cantiere (Jobs Act). Il 2015 è destinato, inoltre, a diventare un anno critico poiché la permanente necessità di ricorrere agli ammortizzatori in deroga sarà indebolita dall'entrata in vigore dei nuovi criteri restrittivi per l'ammissione. La scopertura è tanto più grave se si considera che negli anni 2013-2014 la spesa media annua per i soli ammortizzatori in deroga è stata pari a 2,5 miliardi di euro;
              per la Cgil servirebbero per tutte le finalità suddette almeno 3,7 miliardi annui almeno per il 2015;
              per dare un'idea delle cifre su cui la legge interviene, nel solo anno 2013, l'Inps aveva versato 23 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali, tra cassa integrazione, mobilità, assegni di disoccupazione Aspi: di questi, 9 miliardi erano contributivi figurativi,

impegna il Governo

a prendere gli opportuni provvedimenti al fine di stanziare somme adeguate per finanziare gli ammortizzatori in deroga e la realizzazione di un sistema universalistico di ammortizzatori sociali.
9/2679-bis-A/40. Sannicandro, Airaudo, Placido.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge di stabilità 2015 si presenta come una manovra di rilancio dell'economia che si pone il fine di conciliare la manovra di bilancio con il sostegno al processo di riforma strutturale del Paese, di operare una redistribuzione delle risorse ma anche delle responsabilità, obbligando tutti i livelli di governo, anche locali, a operare con maggiore efficienza;
              il disegno di legge in esame all'articolo 2, commi 142 e seguenti determina le modalità di «Concorso degli Enti territoriali alla finanza pubblica: in particolare, nella relazione tecnica di accompagnamento al disegno di legge in esame, si legge che “per le regioni a statuto ordinario, soggette alla disciplina del pareggio di bilancio, il contributo a favore della finanza pubblica è attuato, sia in termini di indebitamento netto, che di saldo netto da finanziare, riducendo i livelli di finanziamento statali nei confronti delle regioni e attraverso l'acquisizione delle risorse regionali da parte dello Stato, per un importo pari a 3.452 milioni di euro aggiuntivo rispetto al contributo di 750 milioni di euro già previsto. [...]. A seguito della predetta riduzione delle entrate regionali, al fine di conseguire gli equilibri di bilancio previsti, le regioni a statuto ordinario dovranno contenere le spese per lo stesso importo, sia in termini di competenza che in termini di cassa [...]»;
              all'articolo 2, commi 163 e 165 si legge che «[...]ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica, le regioni a statuto ordinario concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione. Ai fini del concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica le regioni a statuto ordinario devono conseguire, a decorrere dall'anno 2016 nella fase di previsione e a decorrere dal 2015 in sede di rendiconto un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali;
              ai fini del contenimento della spesa pubblica e del conseguimento degli obiettivi di coordinamento della finanza pubblica, il legislatore nazionale è intervenuto in materia di abolizione dei vitalizi dei consiglieri regionali e di passaggio per gli stessi al sistema previdenziale contributivo, anzitutto con l'articolo 14 comma 1 lettera f) del decreto-legge n.  138 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n.  148 del 2011, che ha prescritto «il passaggio, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore e con efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva, al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali», cioè un sistema rapportato ai contributi effettivamente versati, senza più pesare sui sempre più ridotti bilanci regionali;
              ciononostante, a partire dal 2012, tutte le regioni a statuto ordinario, in applicazione del suddetto decreto-legge, hanno legiferato in materia, limitandosi tuttavia ad abolire i vitalizi per i «prossimi» consiglieri regionali, mantenendo intatti gli importi già previsti per gli attuali consiglieri, per tutto il tempo futuro, senza, cioè, applicare in nessun modo, il metodo contributivo, come prescritto dalla legge;
              per tali ragioni, l'articolo 2, comma 1 lettera m) del decreto-legge n.  174 del 2012, convertito nella legge 7 dicembre 2012, n.  213, intitolato «Riduzione dei costi della politica nelle regioni», ha previsto che: «Ai fini del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica, a decorrere dal 2013 una quota pari all'80 per cento dei trasferimenti erariali a favore delle regioni, diversi da quelli destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, delle politiche sociali e per le non autosufficienze e al trasporto pubblico locale, è erogata a condizione che la regione, con le modalità previste dal proprio ordinamento, entro il 23 dicembre 2012, ovvero entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto qualora occorra procedere a modifiche statutarie: [...] m) abbia adottato provvedimenti volti a recepire quanto disposto dall'articolo 14, comma 1, lettera l), del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.  148»;
              la legge n.  53 del 1962 all'articolo 18 stabiliva che «Ai membri dei Consigli regionali non possono essere attribuiti con legge della regione prerogative e titoli che per legge o per tradizione siano propri dei membri del Parlamento o del Governo» e dunque i vitalizi furono istituiti come «quota» ricavata all'interno dell'indennità di consigliere regionale, da percepire in maniera differita, nei limiti di disponibilità del relativo fondo, senza ulteriori oneri a carico del bilancio regionale;
              nonostante le norme vigenti e fin dalla seconda legislatura, le regioni legiferarono in materia stabilendo che «l'eventuale disavanzo del fondo poteva essere integrato con una contribuzione una tantum», a carico del bilancio del Consiglio regionale»;
              l'integrazione del Fondo per i vitalizi con risorse a carico dei bilanci dei Consigli regionali, non è stata una tantum come prescriveva la legge, ma permanente e sempre più imponente, così da superare la somma di circa 150 milioni di euro annui;
              la Corte Costituzionale, a partire dalle sentenze n.  289 del 1994, n.  52 e n.  454 del 1997 e la Corte dei Conti sezione giurisdizionale per l'Abruzzo, con sentenza n.  372 del 12 ottobre 2012, hanno affrontato il tema dell'assegno vitalizio dei consiglieri regionali e dei cosiddetti «diritti quesiti» stabilendo che il vitalizio piuttosto che avere natura previdenziale, pertanto non revocabile una volta acquisito, deve ritenersi avere una qualificazione di tipo indennitario rientrante tra le indennità per cariche elettive, revocabile sulla base di una nuova determinazione degli organi interni delle Camere, senza poter accampare nessun «diritto quesito»;
              va comunque escluso che gli assegni vitalizi già maturati siano da considerarsi come «diritti acquisiti» in quanto il divieto di retroattività della legge non ha rango costituzionale, salvo che per la materia penale con la previsione di cui all'articolo 25 della Costituzione, per cui il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni di interpretazione autentica, che determinano la portata precettiva della norma interpretata, fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti;
              la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n.  211 del 1997 ha evidenziato che «resta fermo che – anche quando sia iniziata l'erogazione previdenziale – il legislatore, nell'esercizio del suo potere discrezionale, può, a salvaguardia dell'equilibrio di bilancio, modificare la disciplina pensionistica fino al punto di ridurre il quantum del trattamento previsto (sentenza n.  417 del 1996) anche al fine (...) di salvaguardare equilibri di bilancio e contenere la spesa previdenziale (sentenze nn.  417 e 361 del 1996, 240 del 1994, 822 del 1988 n.  446 del 12 novembre 2002)»;
              la lettera m) del comma 1) dell'articolo 2, del decreto-legge 10 ottobre 2012 n.  174, così come convertito dalla legge 7 dicembre 2012 n.  213, deve essere interpretata nel senso che le leggi regionali di abolizione dei vitalizi devono contestualmente dare puntuale applicazione all'articolo 14 del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n.  148, con l'espressa previsione del passaggio, con efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva all'entrata in vigore del decreto-legge n.  138 del 2011, al sistema previdenziale contributivo per tutti i consiglieri regionali, ivi compresi quelli rieletti e quelli cessati dal mandato,

impegna il Governo:

          in sede di applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 2, commi 142 e seguenti, nonché 163 e 165 del disegno di legge in esame prescriva:
              alle regioni di dare attuazione all'articolo 2, comma 1, lettera m) del decreto-legge 10 ottobre 2012 n.  174, così come convertito dalla legge 7 dicembre 2012 n.  213 nel senso sopra esplicitato e adeguare di conseguenza i propri ordinamenti entro 3 mesi dalla pubblicazione della presente Legge di stabilità;
              alle regioni per le quali l'attuale legislatura è da considerarsi successiva rispetto alla previsione di cui all'articolo 14 del decreto-legge n.  138, di cui al precedente capoverso di recuperare le somme eccedenti quanto dovuto in base al citato decreto-legge.
9/2679-bis-A/41. Kronbichler, Marcon, Melilla.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge di stabilità 2015 si presenta come una manovra di rilancio dell'economia che si pone il fine di conciliare la manovra di bilancio con il sostegno al processo di riforma strutturale del Paese, di operare una redistribuzione delle risorse ma anche delle responsabilità, obbligando tutti i livelli di governo, anche locali, a operare con maggiore efficienza;
              il disegno di legge in esame all'articolo 2, commi 142 e seguenti determina le modalità di «Concorso degli Enti territoriali alla finanza pubblica: in particolare, nella relazione tecnica di accompagnamento al disegno di legge in esame, si legge che “per le regioni a statuto ordinario, soggette alla disciplina del pareggio di bilancio, il contributo a favore della finanza pubblica è attuato, sia in termini di indebitamento netto, che di saldo netto da finanziare, riducendo i livelli di finanziamento statali nei confronti delle regioni e attraverso l'acquisizione delle risorse regionali da parte dello Stato, per un importo pari a 3.452 milioni di euro aggiuntivo rispetto al contributo di 750 milioni di euro già previsto. [...]. A seguito della predetta riduzione delle entrate regionali, al fine di conseguire gli equilibri di bilancio previsti, le regioni a statuto ordinario dovranno contenere le spese per lo stesso importo, sia in termini di competenza che in termini di cassa [...]»;
              all'articolo 2, commi 163 e 165 si legge che «[...]ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica, le regioni a statuto ordinario concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione. Ai fini del concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica le regioni a statuto ordinario devono conseguire, a decorrere dall'anno 2016 nella fase di previsione e a decorrere dal 2015 in sede di rendiconto un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali;
              ai fini del contenimento della spesa pubblica e del conseguimento degli obiettivi di coordinamento della finanza pubblica, il legislatore nazionale è intervenuto in materia di abolizione dei vitalizi dei consiglieri regionali e di passaggio per gli stessi al sistema previdenziale contributivo, anzitutto con l'articolo 14 comma 1 lettera f) del decreto-legge n.  138 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n.  148 del 2011, che ha prescritto «il passaggio, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore e con efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva, al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali», cioè un sistema rapportato ai contributi effettivamente versati, senza più pesare sui sempre più ridotti bilanci regionali;
              ciononostante, a partire dal 2012, tutte le regioni a statuto ordinario, in applicazione del suddetto decreto-legge, hanno legiferato in materia, limitandosi tuttavia ad abolire i vitalizi per i «prossimi» consiglieri regionali, mantenendo intatti gli importi già previsti per gli attuali consiglieri, per tutto il tempo futuro, senza, cioè, applicare in nessun modo, il metodo contributivo, come prescritto dalla legge;
              per tali ragioni, l'articolo 2, comma 1 lettera m) del decreto-legge n.  174 del 2012, convertito nella legge 7 dicembre 2012, n.  213, intitolato «Riduzione dei costi della politica nelle regioni», ha previsto che: «Ai fini del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica, a decorrere dal 2013 una quota pari all'80 per cento dei trasferimenti erariali a favore delle regioni, diversi da quelli destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, delle politiche sociali e per le non autosufficienze e al trasporto pubblico locale, è erogata a condizione che la regione, con le modalità previste dal proprio ordinamento, entro il 23 dicembre 2012, ovvero entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto qualora occorra procedere a modifiche statutarie: [...] m) abbia adottato provvedimenti volti a recepire quanto disposto dall'articolo 14, comma 1, lettera l), del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.  148»;
              la legge n.  53 del 1962 all'articolo 18 stabiliva che «Ai membri dei Consigli regionali non possono essere attribuiti con legge della regione prerogative e titoli che per legge o per tradizione siano propri dei membri del Parlamento o del Governo» e dunque i vitalizi furono istituiti come «quota» ricavata all'interno dell'indennità di consigliere regionale, da percepire in maniera differita, nei limiti di disponibilità del relativo fondo, senza ulteriori oneri a carico del bilancio regionale;
              nonostante le norme vigenti e fin dalla seconda legislatura, le regioni legiferarono in materia stabilendo che «l'eventuale disavanzo del fondo poteva essere integrato con una contribuzione una tantum», a carico del bilancio del Consiglio regionale»;
              l'integrazione del Fondo per i vitalizi con risorse a carico dei bilanci dei Consigli regionali, non è stata una tantum come prescriveva la legge, ma permanente e sempre più imponente, così da superare la somma di circa 150 milioni di euro annui;
              la Corte Costituzionale, a partire dalle sentenze n.  289 del 1994, n.  52 e n.  454 del 1997 e la Corte dei Conti sezione giurisdizionale per l'Abruzzo, con sentenza n.  372 del 12 ottobre 2012, hanno affrontato il tema dell'assegno vitalizio dei consiglieri regionali e dei cosiddetti «diritti quesiti» stabilendo che il vitalizio piuttosto che avere natura previdenziale, pertanto non revocabile una volta acquisito, deve ritenersi avere una qualificazione di tipo indennitario rientrante tra le indennità per cariche elettive, revocabile sulla base di una nuova determinazione degli organi interni delle Camere, senza poter accampare nessun «diritto quesito»;
              va comunque escluso che gli assegni vitalizi già maturati siano da considerarsi come «diritti acquisiti» in quanto il divieto di retroattività della legge non ha rango costituzionale, salvo che per la materia penale con la previsione di cui all'articolo 25 della Costituzione, per cui il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni di interpretazione autentica, che determinano la portata precettiva della norma interpretata, fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti;
              la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n.  211 del 1997 ha evidenziato che «resta fermo che – anche quando sia iniziata l'erogazione previdenziale – il legislatore, nell'esercizio del suo potere discrezionale, può, a salvaguardia dell'equilibrio di bilancio, modificare la disciplina pensionistica fino al punto di ridurre il quantum del trattamento previsto (sentenza n.  417 del 1996) anche al fine (...) di salvaguardare equilibri di bilancio e contenere la spesa previdenziale (sentenze nn.  417 e 361 del 1996, 240 del 1994, 822 del 1988 n.  446 del 12 novembre 2002)»;
              la lettera m) del comma 1) dell'articolo 2, del decreto-legge 10 ottobre 2012 n.  174, così come convertito dalla legge 7 dicembre 2012 n.  213, deve essere interpretata nel senso che le leggi regionali di abolizione dei vitalizi devono contestualmente dare puntuale applicazione all'articolo 14 del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n.  148, con l'espressa previsione del passaggio, con efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva all'entrata in vigore del decreto-legge n.  138 del 2011, al sistema previdenziale contributivo per tutti i consiglieri regionali, ivi compresi quelli rieletti e quelli cessati dal mandato,

impegna il Governo:

          affinché, per quanto di competenza, in sede di applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 2, commi 142 e seguenti, nonché 163 e 165 del disegno di legge in esame prescriva:
              alle regioni di dare attuazione all'articolo 2, comma 1, lettera m) del decreto-legge 10 ottobre 2012 n.  174, così come convertito dalla legge 7 dicembre 2012 n.  213 nel senso sopra esplicitato e adeguare di conseguenza i propri ordinamenti entro 3 mesi dalla pubblicazione della presente Legge di stabilità;
              alle regioni per le quali l'attuale legislatura è da considerarsi successiva rispetto alla previsione di cui all'articolo 14 del decreto-legge n.  138, di cui al precedente capoverso di recuperare le somme eccedenti quanto dovuto in base al citato decreto-legge.
9/2679-bis-A/41.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Kronbichler, Marcon, Melilla.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, commi 44 e seguenti, (regime fiscale agevolato per autonomi) del provvedimento al nostro esame rappresenta una revisione delle regole di tassazione dei redditi degli esercenti attività d'impresa e arti e professioni in forma individuale, nell'ottica – dice il Governo – della semplificazione e della razionalizzazione, cercando di limitare le complessità, le incoerenze e le incertezze applicative causate da sovrapposizioni normative stratificatesi nel tempo, prevedendo un regime forfetario di determinazione del reddito da assoggettare a un'unica imposta in sostituzione di quelle dovute, e, contestualmente, un regime contributivo opzionale che prevede la soppressione del versamento dei contributi sul minimale di reddito;
              tale nuovo assetto determina la soppressione di tutti quei regimi «di favore» vigenti (regime fiscale di vantaggio, disciplina delle nuove iniziative produttive, regime contabile agevolato) ferma restando la salvaguardia delle attività già intraprese applicando i regimi previgenti. Il nuovo forfait unico sarà quindi, pari al 15 per cento del reddito e racchiude Irpef, addizionali regionali e comunali e Irap, ed in caso di nuove attività, l'aliquota sarà applicata su una base imponibile ridotta di 1/3;
              nell'ambito del nuovo regime forfettario si inserisce un altro sotto-regime riguardante i primi 3 anni d'attività del contribuente, che prevede requisiti molto simili a quelli dell'abrogato «Regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria e i lavoratori in mobilità». I contribuenti che soddisfano tali requisiti fruiscono, per il primo triennio d'attività, di una riduzione del reddito, soggetto all'imposta sostitutiva del 15 per cento, pari a un terzo;
              ma, in pratica, si triplicano le tasse agli under 35 italiani che scelgono di avviare una loro attività indipendente;
              si tratta, infatti, di una rimodulazione del sistema di agevolazione fiscale per i contribuenti a partita Iva – gli autonomi stella polare dell’«innovazione» celebrata oggi dal Pd renziano – per favorire l'imprenditoria giovanile. In realtà, una beffa colossale. Il nuovo regime allargherà la platea dei beneficiari fino a 900 mila persone alle quali verrà applicato un aumento dell'aliquota Irpef che passerà dall'attuale 5 per cento allo stratosferico 15 per cento. Questo regime fiscale verrà applicato a coloro che guadagnano tra i 15 mila e i 40 mila euro lordi all'anno. E ormai noto che i giovani professionisti, consulenti, gli startuppers tanto cari a Renzi guadagnano attorno alla prima soglia, poco meno o poco più, mentre artigiani commercianti si attestano sulla seconda;
              ad esempio, un giovane architetto di 28 anni con 10.500 euro di compensi annui pagherebbe 1.460 euro, 240 euro in più degli attuali. In questa condizione si ritroverà chi è nel regime dei minimi attuale sino a quando non compirà i 35 anni o avrà concluso i primi 5 anni di attività. Sempre che nel frattempo non sia costretto a migrare verso il lavoro nero o rassegnarsi alla disoccupazione;
              il governo che si dice tanto sensibile alle «nuove professioni» favorisce il lavoro autonomo tradizionale e ben protetto da rappresentanze di categorie e da lobbies e non i freelance senza tutele né garanzie che scelgono (o sono costretti) all'attività in proprio;
              in precedenza, il «lavoro autonomo di seconda generazione», così lo hanno definito gli economisti Sergio Bologna e Andrea Fumagalli, poteva utilizzare il regime agevolato fino ai 30 mila euro di fatturato. Il Governo, invece, prospetta un taglio del 50 per cento e aumenta le tasse. Nella disegno di legge di stabilità per il 2015, il Governo ha prospettato inoltre un contributo da 800-900 milioni di euro per gli autonomi;
              considerata l'impostazione della riforma fiscale, si capisce subito a chi andranno questi soldi. «Se il governo non è in grado di progettare una seria revisione del carico fiscale per i freelance – sostiene Anna Sona, presidentessa dell'associazione dei freelance Acta – che almeno offra lo stesso trattamento assicurato ai dipendenti; gli 80 euro del bonus Irpef Sarebbe anche questo un modo per riconoscerci cittadinanza». Non sarà così. Nella legge di stabilità questi soldi non ci sono;
              blanditi, e poi tartassati, questi autonomi sono un segmento del popolo apolide del quinto stato. Non sono dipendenti, né titolari di impresa. Non sono tutelati dai sindacati e, molti di loro, saranno travolti dall'aumento dei contributi alla gestione separata dell'Inps stabilito da un altro governo «riformatore», quello di Monti con Elsa Fornero al Ministero del lavoro;
              oltre alle nuove tasse, questi iscritti rischiano di dovere pagare l'aumento dei contributi dall'attuale 27,72 per cento al 33,72 per cento nel 2019. Il loro reddito di povertà (in media sotto i mille euro al mese) verrà massacrato e alla fine di un'incerta carriera professionale non potrà assicurare probabilmente nemmeno una pensione sociale. Se il tanto decantato Steve Jobs avesse aperto una partita Iva nel nostro paese l'avrebbe chiusa perseguitato dai creditori,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni in premessa, al fine di prendere le opportune ulteriori iniziative, anche legislative, al fine di ripristinare l'aliquota agevolata al 5 per cento per i giovani professionisti e per ridurre l'aliquota dei contributi previdenziali per gli iscritti alla gestione separata dell'Inps.
9/2679-bis-A/42. Melilla, Paglia, Marcon, Quaranta.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge 27 dicembre 2013, n.  147 (Legge di stabilità 2014), all'articolo 1, comma 344, aveva previsto che con decreto del Presidente del Consiglio del Ministri, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia, fosse definito il riparto delle risorse del capitolo del Ministero della giustizia alimentato con il maggior gettito derivante dall'aumento del contributo unificato finalizzate in via prioritaria sia all'assunzione di personale di magistratura ordinaria sia a consentire a coloro che hanno completato il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari a norma dell'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n.  228, lo svolgimento di un periodo di perfezionamento (tirocinio formativo) da completare entro il 31 dicembre 2014, nel limite di spesa di 15 milioni di euro;
              i tirocinanti (circa 2.800) sono, come previsto dall'articolo 1, comma 25, della legge n.  228 del 2012 (legge stabilità 2013), lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e disoccupati;
              da quasi cinque anni essi stanno dando supporto ai dipendenti degli Uffici Giudiziari, facendo fronte a pesanti carichi di lavoro, e sopperendo alle notevoli carenze di organico;
              per non disperdere questo patrimonio di professionalità acquisite e per garantire una sempre maggiore efficienza dei servizi resi ai cittadini è necessario che il Governo assuma ogni iniziativa possibile per il graduale reclutamento dei tirocinanti, ovviamente attraverso concorsi e con modalità di assunzione a qualsiasi titolo, in sintonia con le complessive linee di intervento di riforma in itinere senza che ciò comunque comporti, nelle more dell'espletamento di tali procedimenti, la cessazione del rapporto in essere fra i medesimi ed il Ministero della Giustizia;
              critiche situazioni di precariato riguardano anche il personale dei Centri per l'impiego e dei Servizi per il lavoro e la formazione professionale delle Province; vi è la necessità di procedere al rafforzamento dei servizi per il lavoro come evidenziato anche dallo studio dell'ISFOL «Lo stato dei Servizi pubblici per l'impiego in Europa: tendenze, conferme e sorprese» pubblicato a marzo 2014;
              nel Jobs Act, recentemente approvato dalla Camera dei Deputati, è prevista l'istituzione, anche ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.  300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di un'Agenzia nazionale per l'occupazione, partecipata da Stato, regioni e province autonome, vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al cui funzionamento si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente e mediante la razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
              nel medesimo atto è altresì prevista la possibilità di far confluire, in via prioritaria, nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell'Agenzia il personale proveniente dalle amministrazioni o uffici soppressi o riorganizzati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché di altre amministrazioni, quali sono le Province che tradizionalmente gestiscono i Centri per l'impiego e, ove delegate, la formazione professionale;
              è perciò importante prevedere che, in attesa della definizione degli atti per l'istituzione dell'Agenzia nazionale per l'occupazione, per le necessità connesse alle esigenze di continuità dei servizi, le province e gli enti subentranti alle stesse possano procedere almeno fino ai 31 dicembre 2016 alla proroga di contratti a tempo determinato o comunque denominati attualmente in essere,

impegna il Governo:

          affinché, nel prosieguo dell’iter parlamentare del Disegno di Legge di Stabilità 2015, o comunque degli ulteriori provvedimenti che saranno a breve assunti, sia previsto:
              1) l'utilizzo, mediante assunzione con contratto a tempo determinato o con altra forma contrattuale, dei lavoratori che nel 2014 hanno svolto il perfezionamento del tirocinio di cui all'articolo 1 comma 344, legge n.  147 del 27 dicembre 2013 ed il riconoscimento, nelle future procedure concorsuali, di adeguato punteggio per la professionalità acquisita e che, comunque, nelle more di tali procedure, sia prevista la prosecuzione del tirocinio formativo;
              2) che, in attesa della istituzione dell'Agenzia nazionale per l'occupazione, al fine di garantire le esigenze di continuità del servizi, le Province possono procedere, alla proroga dei contratti in essere con i soggetti in servizio presso i Centri per l'impiego ed i Servizi per il lavoro e la formazione professionale.

9/2679-bis-A/43. Carrescia, Manzi, Arlotti, Senaldi, Morani, Dallai, Fanucci, Giovanna Sanna, Donati.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 568-bis, della legge 27 dicembre 2013, n.  147 prevede che le pubbliche amministrazioni locali indicate nell'elenco di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n.  196, e successive modificazioni, e le società da esse controllate direttamente o indirettamente possono procedere allo scioglimento della società controllata direttamente o indirettamente, che se lo scioglimento è in corso ovvero è deliberato non oltre dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, gli atti e le operazioni posti in essere in favore di pubbliche amministrazioni in seguito allo scioglimento della società sono esenti da imposizione fiscale, incluse le imposte sui redditi e l'imposta regionale sulle attività produttive, ad eccezione dell'imposta sul valore aggiunto e che le imposte di registro, ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa;
              tale disposizione persegue l'obiettivo di agevolare, attraverso la concessione di benefici fiscali, le amministrazioni locali nel percorso di razionalizzazione e ridimensionamento delle proprie realtà partecipate, coerentemente con gli intendimenti del Governo;
              tuttavia, tale disposizione limita le agevolazioni ai casi di scioglimento delle sole «società», senza considerare che l'estensione dei benefici previsti dalla norma a fattispecie giuridiche diverse con le quali molti enti locali esercitano le funzioni istituzionali potrebbe concorrere a intensificare, da parte loro, l'azione di dismissione e razionalizzazione;
              al fine, quindi, di favorire la razionalizzazione delle partecipate e, pertanto, rimuovere gli ostacoli che possono impedirne l'obiettivo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere l'integrazione della norma di cui in premessa prevedendo l'estensione delle esenzioni ed agevolazioni ivi previste per lo scioglimento delle «società» anche allo scioglimento, già in corso o da deliberare, di consorzi, aziende speciali, istituzioni, associazioni e altri organismi comunque denominati che siano partecipati dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n.  196 e prorogando di ulteriori dodici mesi il termine attualmente previsto.
9/2679-bis-A/44. Naccarato, Miotto.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2, commi 109 e seguenti del disegno di legge di stabilità 2015, reca misure di riduzione della spesa e relativi interventi correttivi del Ministero della difesa;
              nell'ambito di tale articolo, il comma 119, fra le misure di spending review del Dicastero della difesa, effettua un'impropria riduzione di risorse sui capitoli di pertinenza del bilancio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
              la riduzione delle risorse del citato Dicastero, pari a 3.980.000 euro per il 2015 e 4 milioni di euro, a decorrere dal 2016, reca la conseguenza di ridurre di 257 unità, per ciascun anno, il personale da reclutare nel Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia Costiera che dipende (funzionalmente, organizzativamente ed ai fini di bilancio dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (inclusi i fondi per l'arruolamento e le retribuzioni del personale) con conseguente diminuzione di importanti servizi operativi in molteplici Uffici di assegnazione;
              la misura opera un significativo taglio alla consistenza organica di un Corpo che svolge, per attribuzioni di legge, funzioni civili alle dipendenze non solo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma anche dei Ministeri dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle politiche agricole, alimentari e forestali, nei settori della sicurezza della navigazione, dei traffici marittimi, della salvaguardia della vita umana in mare, della tutela del mare dagli inquinamenti e della preservazione delle risorse ittiche;
              la richiamata riduzione di risorse si cumula con i gravosi tagli di spesa già attuati dal Corpo, nell'ambito del Ministero delle infrastrutture dei trasporti, pari a 7.053.093 euro a decorrere dall'anno 2012 (articolo 4, comma 57, della legge n.  183 del 2011 «legge di stabilità 2012») e 10.249.763 di euro, per l'anno 2013; nonché 7.053.093 di euro a decorrere dall'anno 2014, attuati con la legge 228/2012 (legge stabilità 2013);
              la specificità del Corpo, all'interno delle Forze Armate, peraltro, è fatta salva proprio dalle norme di principio sulla «revisione dello strumento militare» e, prima ancora, dalle norme sulla professionalizzazione del personale volontario (legge n.  244 del 2012 e decreto legislativo n.  8 del 2014) che prevedono, espressamente, l'esclusione del Corpo delle Capitanerie di porto in ragione delle funzioni civili esercitate e della differente imputazione delle risorse che gravano sul bilancio del MIT;
              tali incongruenze sono state evidenziate nel parere reso alla Commissione bilancio dalla IX Commissione della Camera in sede di esame del disegno di legge in epigrafe, laddove, tra le condizioni, reca «... con riferimento alle disposizioni del comma 14 dell'articolo 31 che, pur facendo riferimento alle riduzioni delle spese e agli interventi correttivi relativi al Ministero della difesa, determina, tra l'altro, una decurtazione degli stanziamenti a favore del Corpo delle Capitanerie di porto, pari a poco meno di 4 milioni di euro per l'anno 2015 e a 4 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, si provveda ad escludere il Corpo delle Capitanerie di porto da tali riduzioni, in considerazione del fatto che dalla decurtazione deriverebbe una pesante limitazione degli arruolamenti del personale volontario del Corpo stesso,

impegna il Governo

affinché, nel prosieguo dell’iter parlamentare del DDL stabilità presso il Senato, venga posta in essere ogm utile azione al fine di reperire i fondi necessari ad evitare la perdita di 257 unità di personale l'anno in un settore nevralgico per il rilancio dell'economia nazionale legata al trasporto marittimo ed alla portualità, in un'organizzazione direttamente investita dell'erogazione di servizi pubblici essenziali, di carattere incomprimibile, in ragione degli interessi generali sottoposti a tutela.
9/2679-bis-A/45. Tullo, Meta, Scanu, Bonaccorsi, Bonomo, Brandolin, Bruno Bossio, Cardinale, Carloni, Castricone, Coppola, Crivellari, Culotta, Ferro, Gandolfi, Pierdomenico Martino, Mauri, Minnucci, Mognato, Mura, Pagani, Valiante, Mariani, Tino Iannuzzi, Tidei, Lodolini, Marantelli, Carrescia, Terrosi, Iacono, Taranto, Amendola, Villecco Calipari, Giacobbe, Rocchi, Pastorino, Capone, Nardi, Carocci, Basso, Bonavitacola, D'Incecco, Arlotti, Marchetti, Stumpo.


      La Camera,
          premesso che:
              il comune di Sotto il Monte Giovanni XXIII è il luogo di nascita di Angelo Roncalli, Papa Giovanni XXIII;
              Papa Giovanni Paolo II, il 3 settembre 2000, ha proclamato Beato Papa Giovanni XXIII;
              Papa Francesco, il 5 luglio 2013 ha annunciato la canonizzazione di Giovanni XXIII, avvenuta, poi, il 27 aprile 2014;
              la figura di San Giovanni XIII ha comportato un notevole aumento di visitatori e pellegrini nel comune di Sotto il Monte determinando un incremento nella domanda di servizi di accoglienza, che le attuali infrastrutture non hanno, e necessitano di interventi per adeguamento della viabilità, della segnaletica stradale e turistica, dei parcheggi, l'abbattimento di barriere architettoniche e la realizzazione servizi igienici);
              è pertanto forte la preoccupazione, da parte delle autorità e dell'intera cittadinanza di Sotto il Monte, di non essere in grado di garantire con piena sicurezza un'accoglienza per un così elevato numero di persone;
              il Comune di Sotto il Monte non dispone entrate o di risorse economico-finanziarie sufficienti a far fronte agli oneri di spesa, in alcuni casi particolarmente gravosi, per la realizzazione di tali interventi che risultano opportuni, indispensabili, e indifferibili che potrebbero essere finanziati e svolti anche attraverso soggetti diversi dall'amministrazione comunale;
              la Diocesi di Bergamo fin dal 2012 si è impegnata a realizzare alcune opere necessarie per offrire ai pellegrini percorsi e momenti di spiritualità;
              sarebbe auspicabile il Governo nazionale venga incontro alle esigenze segnalate dalle autorità e dalla comunità locali che intendono cogliere l'occasione costituita dalla canonizzazione per proseguire in un'opera di valorizzazione del territorio natale di San Giovanni XXIII,

impegna il Governo

a valutare ogni opportuna iniziativa per assicurare la disponibilità di risorse finanziarie necessarie per gli interventi infrastrutturali finalizzati alla ospitalità dei numerosi pellegrini e visitatori attesi per la valorizzazione del territorio natale di San Giovanni XXIII del comune di Sotto il Monte.
9/2679-bis-A/46. Sanga, Carnevali, Misiani.


      La Camera,
          premesso che:
              lo spopolamento e l'impoverimento di vaste aree interne e rurali – soprattutto pedemontane, montane e insulari – hanno assunto caratteri strutturali delineando un'Italia che possiamo definire del «disagio insediativo»;
              le aree che presentano i maggiori indici di decremento demografico sono in genere quelle più lontane dai principali centri di erogazione dei servizi, quelle con i più bassi livelli di dotazione infrastrutturale. Queste due condizioni, da sole, condizionano in negativo un possibile percorso di vita in queste comunità, tanto da indurre, i più giovani alla fuga;
              le zone interne del Paese hanno visto l'avvio di fenomeni di emigrazione non compensati da altrettanti importanti fenomeni di immigrazione, fino ad arrivare a problemi di spopolamento e di desertificazione umana e produttiva che hanno modificato pesantemente le dinamiche di sviluppo delle comunità medesime;
              in molte regioni del centro e del meridione, in Sardegna in particolare, nei prossimi trenta anni, se non interverrà un'inversione di tendenza, molti piccoli comuni delle zone interne scompariranno definitivamente, con tutte le implicazioni che ne conseguono;
              in tale zone si assiste a una crescente rarefazione dei servizi al cittadino: servizi pubblici accorpati per il contenimento dei costi (uffici postali, presidi territoriali scolastici, sanità e altro); insufficiente manutenzione del territorio; esercizi commerciali privi di una domanda adeguata per la loro sopravvivenza, caduta verticale delle prestazione sanitarie e socio assistenziali;
              il mantenimento di un'adeguata rete di servizi territoriali e di esercizi commerciali nei territori dei piccoli comuni che si trovano in una condizione di disagio abitativo costituisce una delle condizioni per una loro rivitalizzazione economica;
              la Legge di Stabilità 2014 prevede misure importanti per l'attività gestionale e finanziaria dei piccoli Comuni ma nulla dispone in relazione a quei comuni che si trovano in una condizione di forte disagio abitativo, in particolare quelli situati nelle zone svantaggiate del Paese;
              il decremento demografico nel lungo periodo è destinato a produrre l'estinzione di intere comunità e l'impossibilità che alcune fra le maggiori potenzialità del nostro Paese (ambiente, cultura, agricoltura di qualità e artigianato) possano essere messe a valore e utilizzate per ridare impulso, in un'ottica di sostenibilità, alla crescita e allo sviluppo dello stesso Paese;
              le azioni del Governo, pur nella loro diversità, devono incentivare la vita nelle zone svantaggiate e in quelle in via di spopolamento nel Paese, in particolare nei piccoli comuni, anche attraverso un nuovo modello di welfare di scambio, fondato cioè sulla corrispondenza tra esigibilità di diritti e di doveri di solidarietà;
              un efficace modello di welfare di scambio, prevede la possibilità che a fronte dell'erogazione di una prestazione da parte dello Stato (reddito di insediamento e incentivi alla nuova residenzialità) debba corrispondere, da parte dei soggetti beneficiari, una controprestazione (andare a vivere in contesti territoriali da rigenerare) che produca utilità sociale e sviluppo;
              il reddito di insediamento è una misura di incentivazione della residenza rivolta in particolare ai soggetti che si trovano in una condizione di precarietà lavorativa, disoccupazione o stato di inoccupazione permanente o temporaneo, di povertà e di esclusione sociale;
              alla Camera è depositata una proposta di legge che prevede l'istituto del reddito di insediamento come strumento in grado di dare una risposta a uno dei fenomeni che maggiormente determinano la marginalizzazione delle zone interne e delle aree svantaggiate del Paese,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di, promuovere politiche locali, anche di carattere sperimentale, e ad attivare politiche generali di intervento, al fine di agevolare il ritorno e la nuova residenzialità nei piccoli comuni di territori in forte calo demografico ma con grandi potenzialità sotto il profilo dello sviluppo economico locale;
          favorire il ritorno e la residenza dei soggetti nei piccoli comuni, situati nelle zone svantaggiate e nelle zone interne, in particolare nei territori soggetti a decremento demografico;
          adottare misure atte a incentivare le attività produttive insediate nei piccoli comuni, con particolare riferimento alla tutela attiva del territorio, e delle comunità locali, nonché alla valorizzazione delle risorse naturali, culturali, del turismo sostenibile, dei sistemi agroalimentari e tipici, delle filiere di energia rinnovabile, dei saperi e dell'artigianato, anche attraverso gli interventi di sviluppo locale finanziati dai fondi dell'Unione europea.
9/2679-bis-A/47. Mura.


      La Camera,
          premesso che:
              secondo gli ultimi dati diffusi dall'Inps nel report – aggiornato al 27 ottobre scorso – delle procedure di monitoraggio dei lavoratori esodati cosiddetto salvaguardati in base ai sei provvedimenti finora emanati, si rileva che:
                  a) con riferimento alla 1a salvaguardia sono state certificate 64.374 posizioni (a fronte di una platea di 65 mila beneficiari) e che sono state liquidate 41.060 prestazioni;
                  b) scarsi i numeri relative alla 2a salvaguardia: su 35 mila posizioni da tutelare (per effetto della riduzione disposta con la sesta salvaguardia di cui alla legge n.  147 del 2014 di 20 mila soggetti), le pensioni certificate sono state solo 16.920 e quelle liquidate solo 7.514, pari ad un quinto del contingente;
                  c) limitate anche le cifre relative alla 3a salvaguardia, relative ad un numero complessivo di 16. 1 30 soggetti salvaguardabili, dei quali l'Inps ha certificato 7.344 pensioni e ne ha liquidate 5.102, meno della metà;
                  d) difficoltà dichiarate dallo stesso ente previdenziale emergono con riguardo alla 4a salvaguardia, riguardanti 5 mila posizioni da salvaguardare (per effetto anch'essa della riduzione del contingente operata con la sesta salvaguardia pari a 4 mila unità); l'Inps, infatti, ha certificato 5 . 8 1 5 pensioni, un numero superiore al plafond disponibile per legge. Nell'ambito, infatti, dei lavoratori che hanno fruito dei permessi della legge 104/92 per assistere disabili l'Inps ha certificato oltre 4.800 aventi diritto a fronte di soli 2.500 posti disponibili;
                  e) con riguardo alla 5a salvaguardia, su i 7 mila posizioni salvaguardabili, l'Istituto ne ha certificati soltanto 2.814 ed ha liquidato 1.499 pensioni;
              tale report denuncia che la questione dei lavoratori cosiddetti «esodati», la cui condizione è conseguenza della riforma delle pensioni Fornero, è tutt'altro che un capitolo chiuso;
              restano, infatti, ancora esclusi dalle misure varie di salvaguardia, ad esempio, i lavoratori collocati in mobilità in caso di fallimento dell'impresa che maturino i requisiti entro trentasei mesi dalla fine del periodo di mobilità, il personale ferroviario e marittimo, i cosiddetti quindicenni già soggetti rientranti nelle deroghe di cui all'articolo 2, comma 3, lettera a), del decreto legislativo n.  503 del 1992;
              il rappresentante del Governo, nella persona del sottosegretario Bobba, nella seduta di Commissione del 24 giugno scorso durante l'esame parlamentare del provvedimento relativo alla sesta salvaguardia, aveva preannunciato soluzioni strutturali e definitive nella legge di stabilità;
              nulla al riguardo, invece, contiene il provvedimento in esame, a testimonianza delle false promesse di questa maggioranza governativa e della mancata volontà di assumersi la responsabilità politica della vicenda,

impegna il Governo

a definire in maniera esauriente e conclusiva la problematica dei cosiddetti lavoratori esodati, ivi inclusi anche i soggetti in mobilità, i cassintegrati ed i contributori volontari, entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge.
9/2679-bis-A/48. Marcolin, Prataviera, Fedriga, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento reca un accantonamento pari a 2 miliardi di euro a copertura degli oneri derivanti dall'attuazione del disegno di legge collegato cosiddetto «jobs act»;
              il predetto disegno di legge reca quattro deleghe di riordino, rispettivamente, degli ammortizzatori sociali, dei servizi di politica attiva e passiva del lavoro, delle tipologie contrattuali e dei congedi parentali;
              la disposizione di cui all'articolo 11 del provvedimento all'esame non specifica la ripartizione per ciascuna delega delle risorse accantonate, tant’è che lo stesso Ministro del lavoro Poletti ha riconosciuto la necessità di mettere maggiori risorse sugli ammortizzatori sociali, pari ad almeno ulteriori 500/600 milioni di euro;
          in attesa dei decreti delegati attuativi, secondo quanto enunciato e non espresso nei criteri di delega, il nuovo ammortizzatore sociale universale sarebbe finanziato dalla scomparsa della cassa integrazione in deroga, secondo l'ambiguo meccanismo di tagliare prima gli strumenti esistenti e con le risorse derivanti dal predetto taglio procedere ad innovare le tutele di sostegno al reddito;
              la cassa in deroga ha rappresentato – e tuttora rappresenta – nel contesto di grave crisi economica l'unica forma di sopravvivenza e di sostegno al reddito per migliaia di lavoratori dipendenti da aziende di dimensioni medio-piccole,

impegna il Governo

a garantire ai lavoratori beneficiari di trattamenti di sostegno al reddito, nelle more di attuazione della revisione degli ammortizzatori sociali e di ingresso del nuovo ammortizzatore unico, la continuità nella corresponsione delle prestazioni di sostegno al reddito a tutti i lavoratori beneficiari rassicurando altresì che i livelli di importo del nuovo ammortizzatore unico siano pari, o comunque non inferiori, a quelli erogati a legislazione vigente.
9/2679-bis-A/49. Prataviera, Fedriga, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              è notizia recente che, dopo sette anni di ricorsi degli interessati, la Corte di Giustizia europea ha condannato l'Italia poiché la normativa sui contratti di lavoro a tempo determinato nel settore della scuola è contraria al diritto dell'Unione;
              conseguentemente 250 mila precari potranno chiedere la stabilizzazione e risarcimenti per due miliardi di euro, oltre agli scatti di anzianità maturati tra il 2002 e il 2012;
              il Governo, ben conoscendo la spada di Damocle che pendeva sulla sua testa e temendo le conseguenze della sentenza, sta provando a correre ai ripari, con la legge di Stabilità 2015, prevedendo un piano di assunzioni di tutti i docenti inseriti nelle Gae (150 mila);
              questa cifra però è ben lontana dai 250 mila precari da stabilizzare, come richiesto dalla Corte di giustizia e le risorse stanziate saranno appena sufficienti ad assorbire il turn-over del prossimo triennio;
              in ogni caso il Governo, ammesso che riesca ad esaurire le GAE, dovrà predisporre in futuro procedure concorsuali per il reclutamento dei docenti necessari,

impegna il Governo:

          ad affidare alle Regioni la gestione dei concorsi nazionali indetti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per il reclutamento del personale sulla base delle cattedre vacanti e disponibili in ogni Regione;
          a stabilire che le procedure siano curate dagli Uffici scolastici provinciali che procederanno alla formazione di graduatorie a livello regionale, distinte per ciascun ordine e per ciascuna classe di specializzazione.
9/2679-bis-A/50. Bossi, Simonetti, Caparini.


      La Camera,
          tenuto conto che l'articolo 2, commi 104 e seguenti, ha previsto la riduzione dell'autorizzazione di spesa per alcune opere che ricadono sul bilancio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
          premesso che:
              occorre individuare urgentemente le opportune risorse per finanziare la progettazione del completamento della linea metropolitana di Milano MM5, linea lilla, a Nord di Bignami verso Monza Bettola, dove avverrebbe l'interscambio con la linea MM1, e da lì fino a Monza Lissone Muggiò, ai fini del potenziamento e lo sviluppo del sistema integrato di trasporto sulla direttrice Milano-Monza;
              l'opera rientra in un disegno generale inteso alla realizzazione di nuove infrastrutture su ferro idonee ad assicurare uno sviluppo territoriale ambientalmente sostenibile di una delle aree più popolate d'Europa, quella a nord di Milano, caratterizzata da un elevatissimo livello di urbanizzazione, da gravissimi problemi di inquinamento dovuti all'eccessivo utilizzo di autovetture e dalla carenza cronica di mezzi di spostamento alternativi, e mirano in particolare a contribuire a fronteggiare la nuova domanda di mobilità generata e attratta dall'area stessa, limitando il ricorso al mezzo individuale;
              in risposta all'interrogazione n.  5-04078, in Commissione Ambiente, presentata dal sottoscritto, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha ammesso e ribadito la necessità di dare piena attuazione all'intero asse della linea MM5, soprattutto se si tiene conto che il bacino di utenza tenderà a crescere proprio in funzione dell'intera evoluzione dell'asse metropolitano e delle sue interazioni con gli altri segmenti, evidenziando tuttavia alcuni problemi logistici per la mancata individuazione da parte dei comuni di aree disponibili dove ubicare il materiale rotabile;
              ai fini della realizzazione in tempi brevi di tale completamento dell'intero asse della linea MM5 occorre procedere immediatamente al finanziamento dello studio di fattibilità e del progetto preliminare per poter rendere appaltabile l'opera,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative per indirizzare parte delle risorse autorizzate per le infrastrutture strategiche del Paese o anche delle risorse rinvenienti dalle revoche dei finanziamenti per finanziare, con urgenza, lo studio di fattibilità e il progetto preliminare del completamento della linea metropolitana di Milano M5, tratta da Bignami a Monza-Lissone-Muggiò, per assicurare uno sviluppo territoriale ambientalmente sostenibile dell'area a nord di Milano.
9/2679-bis-A/51. Grimoldi, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              esaminato il presente disegno di legge che prevede l'introduzione ex articolo 1, commi 95 e seguenti, di una misura per il sostegno della famiglia (contributo per ogni figlio nato adottato dal 1o gennaio 2015), se pur affronta in modo corretto la necessità di introdurre disposizioni volte al sostegno della famiglia e finalizzate al rilancio della crescita demografica del nostro Paese pecca nella sua struttura e formulazione di una approccio errato al problema estendendo la misura oltre che a tutti i cittadini italiani comunitari anche a tutti cittadini extracomunitari. In tal modo la misura introdotta si depotenzia rispetto ai suoi reali obiettivi e si trasforma in una disposizione di natura assistenzialista;
              se la ratio della disposizione era finalizzata al contrasto della crisi demografica doveva essere formulata non soltanto come sostegno per le famiglie disagiate ma come riconoscimento del valore e dell'importanza di tornare a fare i figli in questo Paese;
              una misura finalizzata alla crescita demografica deve essere limitata ai cittadini italiani comunitari e agli stranieri extracomunitari che abbiano dimostrato di voler attraverso un processo di integrazione progettare come scelta di vita la permanenza nel territorio del nostro Paese;
              nella passata legislatura, proprio grazie, ad una proposta emendativa del Gruppo parlamentare Lega Nord, è stata introdotta una norma finalizzata a valutare il percorso di integrazione che compiono i cittadini extracomunitari con regolare permesso di soggiorno;
              l'introduzione del nuovo meccanismo dell'Accordo di integrazione (di cui ex articolo 4-bis testo unico sull'immigrazione, decreto legislativo n.  286 del 1998) rappresenta una misura innovativa per il nostro Paese fondata sul presupposto che un'integrazione riuscita è il risultato del reciproco impegno ad assumere le responsabilità derivanti dalla presenza sul territorio. In altri termini, si tratta di omogeneizzare la posizione dello straniero rispetto a quella del cittadino italiano non solo sul piano dei diritti (che già ad oggi sono in larga misura garantiti), ma anche sul piano dei fondamentali doveri (ad esempio, la conoscenza ed accettazione dei nostri valori costituzionali, la compartecipazione alla vita economica e sociale del Paese ed i connessi oneri tributari);
              la denatalità in Europa è ormai una emergenza. Entro il 2025 i primi Paesi europei – Italia, Spagna, Germania, Grecia – potrebbero sperimentare l'implosione demografica, ovvero la diminuzione effettiva della popolazione,

impegna il Governo

a promuovere una politica finalizzata a contrastare la crisi demografica introducendo, nei futuri provvedimenti a sostegno della famiglia e della natalità, un criterio volto ad individuare i beneficiari tra i cittadini italiani comunitari e i cittadini extracomunitari che abbiano dimostrato, realmente, di volersi integrare, avendo acquisito secondo i parametri di valutazione fissati dall'accordo di integrazione di cui all'articolo 4-bis del decreto legislativo n.  286 del 1998 testo unico sull'immigrazione, un punteggio pari ad almeno 30 punti.
9/2679-bis-A/52. Rondini, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              esaminato il disegno di legge «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato»;
              l'informazione dell'editoria cooperativistica, del non-profit e della stampa cattolica è garantita da tante piccole aziende che sono portatrici dell'informazione locale, specialistica e sociale e non influenzata dai poteri economici e finanziari. Il pluralismo di informazione e la differenza del pensiero sono valori da tutelare e sostenere, che sono garantiti dai princìpi costituzionali e da quelli fondanti dell'Unione europea;
              la direzione del dipartimento editoria ed informazione della Presidenza del Consiglio ha comunicato che, allo stato attuale, non è in grado di precisare l'entità delle risorse destinate all'editoria relativamente al 2013, nonostante nel luglio scorso fossero disponibili 57 milioni di euro;
              negli ultimi 24 mesi sono già state 32 le testate che hanno chiuso la loro attività e se si concretizzerà l'ipotesi di una riduzione significativa degli stanziamenti previsti saranno a rischio, per la fine dell'anno, ulteriori 100 testate, tra periodici e quotidiani, con la conseguente perdita del posto di lavoro per 3.000 dipendenti diretti nonché per i 16.500 dell'indotto – fatto di tipografie, distributori, edicolanti eccetera – e con un danno per le casse dello Stato di gran lunga superiore a quello del risparmio ottenuto, basti pensare alle ripercussioni in termini di cassa integrazione, mobilità e indennità di disoccupazione;
              il finanziamento pubblico al comparto è passato in meno di 10 anni da circa 500 milioni di euro agli attuali 55,9 milioni di euro;
              nel 2008 la spesa italiana di sostegno diretto o indiretto al settore ammontava a 12,05 euro pro capite all'anno. Nel 2012 tale spesa è stata ridotta a 6,74 euro e nel 2013 la previsione di spesa si è ridotta di un ulteriore 20 per cento scendendo a poco più di 5 euro/anno. Il nostro Paese è tra gli ultimi in Europa per sostegno all'editoria, infatti, in Finlandia il sostegno ammonta 1.307 euro/anno pro capite, in Francia 18,77, in Gran Bretagna 11,68 e in Germania 6,51,

impegna il Governo

a prevedere misure urgenti per reperire le risorse necessarie per rifinanziare il fondo per l'editoria al fine di sostenere il comparto garantendo così il pluralismo dell'informazione nonché salvaguardare l'occupazione.
9/2679-bis-A/53. Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              evidenziando la situazione del personale del comparto difesa e sicurezza, da anni penalizzato economicamente dal blocco della contrattazione e della concertazione, da un lato, e da quello degli scatti dovuti alle promozioni o all’ anzianità;
              in particolare, come ormai ai diversi livelli gerarchici siano presenti nelle Forze dell'Ordine e nelle Forze Armate persone retribuite diversamente malgrado la sostanziale omogeneità delle proprie funzioni;
              stigmatizzando le incertezze dimostrate in materia da alcuni esponenti del Governo, che hanno dichiarato esistere nella manovra di bilancio le risorse necessarie allo sblocco dell'attività di contrattazione e concertazione e degli scatti di carriera od anzianità, che la Commissione Bilancio ed il Servizio Bilancio di questo ramo del Parlamento non hanno invece riconosciuto;
              evidenziando inoltre che in particolare, il piano elaborato dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno per contenere le proprie spese, che comporterebbe la chiusura di non meno di 267 presidi territoriali delle Forze dell'Ordine e la compromissione delle capacità della Polizia Postale e di altre specialità della Polizia di Stato, proprio nel momento in cui la crisi economica e gli afflussi di clandestini accrescono le sfide alla sicurezza dei cittadini e la criminalità informatica diventa sempre più aggressiva,

impegna il Governo:

          a riconsiderare nel più breve tempo possibile le scelte fatte nel settore della Pubblica Sicurezza, se necessario ridistribuendo il personale disponibile dal centro alla periferia, e dalle funzioni amministrative a quelle operative, al fine di evitare la chiusura dei presidi citata in premessa ed il decadimento di alcuni servizi specialistici, come quelli forniti dalla Polizia postale;
          a chiarire normativamente la disponibilità di fondi necessari per lo sblocco degli adeguamenti stipendiali per il personale del comparto sicurezza e difesa a decorrere dal 1o gennaio 2015.
9/2679-bis-A/54. Molteni, Matteo Bragantini, Prataviera, Parisi, Nizzi, Romele, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              con l'articolo 1, comma 125 vengono disposti per l'accoglienza ingenti investimenti, in particolare 187,5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015 da destinarsi al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, di cui all'articolo 1-septies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n.  416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n.  39 per l'ampliamento del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati;
              secondo gli ultimi dati, peraltro pubblicati dallo stesso Ministero dell'Interno sul proprio sito istituzionale, si rileva che dei richiedenti asilo nel mese di ottobre 2014 solo all'8 per cento è stato riconosciuto lo status di rifugiato e che tale percentuale si conferma più o meno anche per i precedenti dodici mesi;
              sempre secondo i medesimi dati i dinieghi rappresentano circa la metà delle domande presentate e che dunque tali richiedenti risultano entrati clandestinamente nel territorio dello Stato e non aventi alcun titolo per soggiornarvi;
              sempre più spesso le forze dell'ordine sono chiamate ad intervenire nei centri di accoglienza a causa delle rivolte o risse degli ospiti, come anche recentemente avvenuto a Tor Sapienza, a Roma;
              sempre alle forze dell'ordine sono demandati i compiti di esecuzione delle operazioni di accompagnamento, trasferimento tra i diversi centri ed anche dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti degli irregolari;
              secondo i primi dati disponibili, pubblicati su il Sole-24 Ore recentemente, i reati denunciati solo nel 2013 sono aumentati in media del 2,6 per cento rispetto all'anno precedente, e che nelle città del centro-nord raggiungono percentuali molto più elevate: ad esempio a Trieste le denunce sono aumentate del 19,4 per cento con oltre 12.000 casi, a Piacenza del 16,3 per cento, a Lecco del 13,2 per cento con più di 13.000 casi, con un'impennata dei borseggi (+12 per cento, con 166.000 casi) e furti nelle case (+5,9 per cento, 25.000 casi);
              sono in aumento i così detti reati predatori e che tali dati riferiti solo al 2013, per effetto dell'entrata in vigore dei cinque provvedimenti di clemenza più o meno mascherati sotto forma di misure deflattive del sovraffollamento carcerario, sono destinati ad aumentare nell'anno in corso, il 2014,

impegna il Governo

a destinare una quota del fondo di cui all'articolo 4 comma 125 per incrementare il Fondo destinato alle indennità delle forze dell'ordine nonché per garantire agli agenti impegnati quotidianamente nel presidio del territorio le adeguate dotazioni anche strumentali.
9/2679-bis-A/55. Matteo Bragantini, Molteni, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              la stabilità finanziaria e industriale del comparto dell'emittenza radiotelevisiva locale è stata gravemente minata negli ultimi anni per una concausa di ragioni, fra cui sicuramente il malgoverno nel processo dello switch off televisivo ma soprattutto le insufficienti risorse economiche destinate al settore;
              moltissime emittenti, dopo aver ridotto gli investimenti e avviato forti riduzioni di personale, si vedono oggi costrette a chiudere, privando il panorama culturale di fondamentali presidi per la garanzia del pluralismo informativo, sociale e culturale;
              le emittenti locali, per la loro capillare presenza sul territorio e per il particolare ruolo di “utilità pubblica” con la promozione di nuovi modelli di sviluppo legati alla valorizzazione del territorio, al turismo, alla capacità produttiva delle piccole e medie attività imprenditoriali, svolgono a tutti gli effetti un servizio pubblico di informazione che dovrebbe essere sostenuto ed incentivato;
              il Regolamento recante nuove norme per la concessione alle emittenti televisive locali dei benefici previsti dall'articolo 45, comma 3, della legge 23 dicembre 1998, n.  448, prevede che la distribuzione delle provvidenze previste dalla legge n.  448 del 1998, esigue rispetto al fabbisogno, avvenga sulla base di un meccanismo di calcolo che considera due elementi di valutazione meramente quantitativi: il primo, la media dei fatturati realizzati nel triennio precedente; il secondo, il personale dipendente applicato all'attività televisiva. L'adozione di questi criteri di premialità meramente quantitativi escludono ogni forma di analisi qualitativa del servizio effettivamente erogato al pubblico, non premiandone né la portata, né la natura del messaggio;
              per restituire il giusto ruolo alle emittenti radiotelevisive locali come straordinario strumento di comunicazione in grado di stimolare l'economia sul territorio, è necessario che vengano incrementati i finanziamenti e rivisti i criteri di distribuzione, introducendo una maggiore progressività di erogazione e una maggiore attenzione all'aspetto qualitativo quale nuovo ed essenziale criterio di premialità, considerando quali tratti di qualità del servizio erogato non solo la copertura territoriale del segnale televisivo ma anche e soprattutto la natura e le finalità dei suoi contenuti,

impegna il Governo

al fine di scongiurare la scomparsa di un comparto così importante a livello culturale, sociale e occupazionale, ad intervenire tempestivamente con ogni azione necessaria, anche di carattere normativo, per adeguare le risorse destinate al sostegno dell'emittenza radiofonica e televisiva locale di cui all'articolo 45, comma 3 della legge 23 dicembre 1998, n.  448, e di cui all'articolo 52, comma 18, della legge 28 dicembre 2001, n.  448, e successive modifiche e integrazioni, al reale fabbisogno del settore, integrando a tal fine le risorse già assegnate a bilancio.
9/2679-bis-A/56. Allasia, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              durante l'esame in Commissione delle Disposizione per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015) è stato presentato dal Governo, e successivamente approvato dalla Commissione, un emendamento con il quale si consente agli enti locali che abbiano effettuato operazioni di rinegoziazione relative a passività relative all'emissione di strumenti obbligazionari (o ad altri titoli che prevedano il rimborso del capitale in un'unica soluzione), di rinegoziare ulteriormente i mutui relativi a tali operazioni, per una durata massima di trenta anni dal perfezionamento della nuova rinegoziazione; ciò al fine di una più agevole gestione del debito pregresso da parte degli enti interessati;
              la legge 28 dicembre 2001 n.  448 al comma 2 dell'articolo 41 prevede che le rinegoziazioni dei mutui debbano avvenire in presenza di condizioni di rifinanziamento che consentano una riduzione del valore finanziario delle passività totali a carico degli enti stessi;
              acclarato inoltre che lo spirito dell'emendamento del governo è quello di consentire comunque una rinegoziazione dei mutui per una migliore e più flessibile gestione delle spese correnti;
              osservando come vi siano state fino ad ora interpretazioni contrastanti sul tema da parte delle diverse Corte dei Conti regionali, e che sia importante affinare la normativa al fine di consentire interpretazioni più omogenee, necessità affermata nel corso dell'esame anche dal rappresentante del Governo e dal relatore al provvedimento;
              nel timore che l'impatto della misura disposta dalla legge di stabilità possa essere vanificato dal timore, da parte dell'ente locale, che le maggiori spese effettuate determinino un controllo ed un parere negativo da parte della Corte dei Conti, oltre a determinare l'insorgere di contenziosi,

impegna il Governo

a considerare la proposta di rinegoziazione prevista dalla legge di stabilità anche in deroga a quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 41 della legge 28 dicembre 2001, n.  448.
9/2679-bis-A/57. Simonetti, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              all'articolo 3, comma 33, allo scopo di ottenere maggiori entrate per l'erario pari a 78 milioni di euro, dispone l'eliminazione dell'esenzione dal bollo per gli autoveicoli e per i motoveicoli ultraventennali di particolare interesse storico e collezionistico;
              Si tratta di alcuni veicoli di particolare pregio, recuperati o conservati da appassionati e collezionisti, monitorati dall'Automobilclub Storico Italiano (ASI), e dalla Federazione Motociclistica Italiana (FMI);
              attualmente, senza le modifiche introdotte dalla stabilità, auto e moto che hanno compiuto venti anni ma non ancora trenta versano alle Regioni ed allo Stato una tassa di circolazione forfettaria di 25 euro per le auto e di 10,33 euro per le moto;
              con il provvedimento disposto dal Governo è che esso possa scoraggiare e disperdere un patrimonio di auto e moto di pregio che oggi, se tenute ferme, non pesano sui bilanci familiari;
              la previsione di maggiori entrate del DDL Stabilità sembra inoltre non considerare che molte regioni, titolari della tassa automobilistica, hanno già legiferato sulla materia in maniera autonoma, discostandosi notevolmente dall'articolo 63 della legge 342 del 2000;
              la scelta operata dal Governo nel DDL stabilità denota l'assoluta mancanza di conoscenza da parte dell'estensore della norma riguardo al mondo dei veicoli storici: considerando le 500.000 vetture tra i venti e i trent'anni, non tutti i proprietari potranno pagare bollo ed assicurazione e la previsione più attendibile è che circa l'80 per cento verrà demolito, o venduto all'estero, non trattandosi, nella maggior parte dei casi, dell'auto di famiglia necessaria agli spostamenti ma di cimeli conservati in casa e non fatti circolare;
              l'ASI Automotoclub Storico Italiano è una federazione di circa 290 club sparsi in tutta Italia, con circa una cinquantina di dipendenti per quanto riguarda la sede centrale di Torino, e moltissimi altri dipendenti dai vari club su tutto il territorio nazionale, che con questa proposta potrebbero rischiare anche il posto di lavoro,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della norma citata al fine di adottare ulteriori iniziative, nel corso dell’iter della manovra di bilancio, volte a modificare la norma riguardante le esenzioni per le auto e le moto che abbiano tra i venti ed i trenta anni di età, anche attraverso il dialogo con le federazioni rappresentative, al fine di trovare una formulazione che permetta allo stesso tempo un maggiore monitoraggio e controllo sulle vetture beneficiarie di un vantaggio fiscale ed la garanzia di una politica di esenzione che garantisca e favorisca il possesso ed il recupero delle auto di pregio.
9/2679-bis-A/58. Gianluca Pini, Caparini, Rondini, Borghesi.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge di stabilità, nell'intento di reperire coperture finanziarie alle disposizioni di spesa disposte dal Governo, ha, per l'ennesima volta, imposto tagli indiscriminati al comparto regionale e locale;
              al comparto degli enti territoriali sono stati sottratti complessivamente 4 miliardi, di cui 3 miliardi 452 milioni alle regioni ordinarie e 548 milioni alle speciali, per ciascun anno fino al 2018; questo taglio si somma ai 750 milioni annuali di tagli già previsto dal decreto n.  66 del 2014 (bonus 80 euro);
              il testo presentato dal Governo non fissa alcun criterio per il riparto di questi tagli, che saranno pertanto operati presumibilmente in maniera lineare, sulla base delle ripartizioni storiche, cristallizzando quindi l'attuale situazioni nella quale alcune regioni hanno adottato criteri di razionalizzazione ed efficienza ed altre hanno perpetrato sprechi ed inefficienze. Nessun meccanismo premiale è stato adottato per riconoscere lo sforzo delle regioni virtuose che così dovranno incassare altri tagli su bilanci già ridotti al minimo;
              le dichiarazioni del Governo sui tagli alle regioni danno persino l'impressione che si cerchi volutamente di attribuire agli enti territoriali responsabilità che non gli appartengono: il Ministro della Salute ha infatti affermato che «la legge di stabilità» non prevede tagli alla sanità, il fondo sanitario è intatto», e che «se le regioni tagliano il fondo sanitario se ne assumono le responsabilità»; applicare tuttavia tagli finanziari superiori alla capacità oggettiva di compressione delle altre spese regionali significa di fatto obbligare le regioni a farsi carico delle scelte impopolari operate dal Governo;
              è assolutamente necessario passare dalla metodica dei tagli lineari ad un meccanismo di riparto tra enti territoriali basato sui costi standard al fine di premiare finalmente chi negli ultimi anni ha amministrato in modo responsabile ed efficiente, e stimolare le altre regioni ad adeguarsi, al fine di ottenere risparmi reali per l'intero comparto e non una mera contrazione della spesa sociale,

impegna il Governo

nel corso dell’iter della manovra di bilancio ad inserire un preciso riferimento ai costi standard come criterio per stabilire il riparto dei tagli imposti dal Governo al comparto degli enti territoriali.
9/2679-bis-A/59. Guidesi, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              nell'articolo 3 del presente provvedimento, dai commi 7 a 10, da un lato, si estende il meccanismo dell'inversione contabile a fini IVA, il cosiddetto reverse charge, anche al settore edile e al settore energetico, dall'altro, si introduce il meccanismo dello split payment nel caso di operazioni effettuate nei confronti di enti pubblici;
              nelle intenzioni del Governo entrambi i meccanismi vengono considerati misure di contrasto all'evasione fiscale: il primo poiché trasferisce gli obblighi di adempimento fiscale in merito al pagamento dell'imposta sul valore aggiunto dal fornitore dei beni o dei servizi all'acquirente quando questo sia ritenuto un soggetto passivo di imposta più affidabile;
              il secondo meccanismo, lo split payment, stabilisce che i soggetti pubblici nei confronti dei quali viene ceduto il bene o prestato il servizio, non risultino essere più debitori di imposta, quindi quest'ultima viene sottratta alla disponibilità del fornitore del servizio o del cedente del bene e accreditata in un apposito conto per essere direttamente acquisita dall'Erario;
              le disposizioni però lasciano dei dubbi relativamente alle specifiche modalità di funzionamento dello split payment, le quali saranno fissate per decreto ministeriale, alla sua effettiva entrata in vigore, essendo questo soggetto alla preventiva autorizzazione dell'UE, a cui si aggiungono anche le difficoltà che gli operatori incontreranno nella fatturazione, ma soprattutto riguardo al rimborso dell'eccedenza a favore dei fornitori interessati, poiché coloro che lavorano prevalentemente con le P.A. si ritroveranno in una costante situazione di credito Iva;
              una delle problematiche più rilevanti riguardo i due meccanismi è sicuramente il fatto che questi sottrarranno liquidi agli operatori di mercato in quanto, seppur per tali soggetti sia previsto il rimborso, sia annuale che trimestrale, dell'eccedenza a credito, il rimborso è vincolato al trascorrere di tempi tecnici che potrebbe comportare squilibri nei flussi di cassa e la conseguente necessità per le imprese di ricorrere al credito bancario in un periodo di credit crunch conclamato;
              seppur il decreto legislativo semplificazioni, di cui si attende l'entrata in vigore mira a facilitare le procedure di rimborso IVA, eliminando le prestazioni delle garanzie, mitigando almeno in parte l'onerosità della procedura, non è ancora risolto il problema legato ai tempi,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative volta a prevedere, nell'ambito delle disposizioni previste dai commi da 7 a 10 dell'articolo 3, per entrambi i meccanismi del reverse charge e dello split payment, delle specifiche disposizioni che impongano, in capo alle Pubbliche Amministrazioni, l'obbligo di rimborso o compenso dell'imposta sul valore aggiunto secondo le norme che disciplinano il rimborso infrannuale, o anche mediante modalità diverse che stabiliscano tempi certi e brevi, al fine di non sottrarre la disponibilità di liquidi agli operatori economici, già in difficoltà per la grave crisi economica, e in modo da non produrre ulteriori effetti negativi sui flussi di cassa e sui costi di conformità.
9/2679-bis-A/60. Giancarlo Giorgetti, Busin, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              le zone franche urbane favoriscono, grazie ai programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e medie imprese, lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico ed occupazionale;
              provenienti dall'esperienza francese delle Zones Franches Urbaines, dal 1996 ad oggi le ZFU sono presenti in più di 100 quartieri, prevedendo agevolazioni fiscali e previdenziali per rafforzare la crescita imprenditoriale e occupazionale nelle micro e piccole imprese ivi collocate, quali l'esenzione dalle imposte sui redditi, l'esenzione dall'IRAP, l'esenzione dall'imposta municipale propria e l'esonero dal versamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente;
              le precedenti manovre finanziarie hanno implementato ed integrato le agevolazioni delle ZFU, stanziando inoltre fondi e risorse ad hoc per il loro sovvenzionamento: la legge finanziaria 2007 (legge n.  296 del 2006, articolo 1 comma 340 e successivi) ha istituito un Fondo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009; la legge finanziaria 2008 (legge n.  244 del 2008, commi 561, 562 e 563) ha confermato tale stanziamento e ha definito in maggior dettaglio le agevolazioni fiscali e previdenziali che, oggi, trovano la loro definizione particolareggiata all'interno del Decreto Interministeriale 10 aprile 2013 in attuazione di quanto previsto dall'articolo 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179;
              attualmente il Ministero sta procedendo alla modifica del succitato decreto, al fine di consentire anche alle ZFU pugliesi l'applicazione del Decreto interministeriale del 10 aprile 2013, poiché le ZFU della Puglia, pur previste nel Piano di Azione e Coesione (PAC), non sono state incluse nell'allegato 1 del decreto, data la volontà, espressa in prima battuta dalla stessa regione Puglia, di voler finanziare tali interventi, ricadenti nel territorio, con propri strumenti, mentre poi, la stessa regione ha successivamente proposto di utilizzare lo strumento agevolativo nazionale;
              da ultimo, la circolare 30 settembre 2013, n.  32024, ha fornito chiarimenti in merito alla tipologia, alle condizioni, ai limiti, alla durata e alle modalità di fruizione delle agevolazioni fiscali e contributive previste dal suddetto Decreto, al fine di portare a conoscenza di tutti i soggetti interessati, anteriormente all'adozione dei bandi per la presentazione delle domande, le modalità di funzionamento dell'intervento;
              attualmente, salvo le città di Ventimiglia e Massa Carrara, le ZFU sono localizzate tutte nel Sud del nostro Paese: sono infatti previste Zone Franche Urbane all'interno dell'Obiettivo Convergenza, che include le Regioni di Campania, Calabria, Sicilia e Puglia, nonché nel territorio dei comuni della provincia di Carbonia - Iglesias e nelle regioni del Molise, Abruzzo e Basilicata,

impegna il Governo

a prevedere, nell'ambito delle disposizioni che riguardano norme varie in materia di enti territoriali ex articolo 2, commi 196 e seguenti, del presente provvedimento, che anche le zone del Nord, che risultino attualmente zone depresse, possano godere dei benefici relativi alle zone franche urbane, con i vantaggi fiscali che ne conseguono, al fine di dare nuovo impulso anche a quelle aree urbane settentrionali, soprattutto lombarde, che, sotto il peso della grave crisi economica che ha investito il nostro Paese, si trovano ormai in costante difficoltà, dando loro l'opportunità di tornare ad essere zone appetibili per gli investimenti produttivi.
9/2679-bis-A/61. Invernizzi, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              all'aumento dell'Iva e delle accise, il provvedimento in esame, all'elenco allegato al comma 11 dell'articolo 19 stabilisce la rideterminazione delle quote percentuali di fruizione dei crediti di imposta prevedendo, di fatto, la riduzione delle agevolazioni per l'acquisto di GPL e gasolio da riscaldamento per i comuni di montagna e le zone geograficamente svantaggiate;
              tale misura assicurerà alle casse dello Stato risparmi non inferiori a 16,335 milioni di euro per il 2015 e a 38,690 milioni di euro annui a decorrere dal 2016, ma, denuncia la stessa Assopetroli, colpisce generi di prima necessità sui quali grava una tassazione che risulta ben quattro volte più alta rispetto al resto d'Europa dove il nostro Paese si posiziona al terzo posto nella graduatoria dei prezzi più alti per il gasolio da riscaldamento, dopo l'Ungheria e la Danimarca, dove però è più sviluppato il riscaldamento a biomasse;
              le zone interessate dal provvedimento corrispondono a quelle rientranti nelle zone climatiche E ed F, interessando più di 5,300 Comuni, tra cui tutte le zone climatiche più fredde del Paese, ossia quelle montane caratterizzate da rigide temperature invernali;
              soltanto in Friuli Venezia Giulia le zone che non usufruiranno più dei benefici corrispondono a tutta la zona montana, Carnia, Valcanale e Canal del Ferro e buona parte della zona pedemontana, dove, da gennaio 2015, per una famiglia scaldarsi costerà mediamente 260 euro in più, per un'attività alberghiera ben 20 mila euro in più e un pieno da due mila litri costerà 500-600 euro in più rispetto al 2010;
              in Carnia tutti i 28 Comuni, con eccezione di alcune frazioni del Comune di Gavazzo, e quelli del Tarvisiano, sono inseriti nella fascia climatica F, assegnata in base alla media delle temperature annue, dove lo sconto di gasolio si aggira intorno ai 13 centesimi al litro; altri Comuni, come Venzone, compresi nella fascia Pedemontana sono invece inseriti nella fascia E, dove è ammesso un eguale sconto per i Comuni non collegati con il servizio di metanodotto;
              secondo una rilevazione dell'Unione Europea, datata a settembre di questo anno, basata sulle informazioni riportate dal sito dello stesso Ministero dello sviluppo economico, un pieno di mille litri costa ai cittadini italiani 1.381 euro, mentre in Austria il prezzo per lo stesso quantitativo è poco più di 933 euro e in Francia di 900 euro, registrando una differenza di oltre 447 euro;
              il prezzo del gasolio al netto delle tasse locali, in Austria, è di quasi 669 euro per mille litri, mentre in Italia di 738 euro, poiché la componente maggiore è giocata dalle accise, dove in Italia ammontano a 403 euro contro i 42 euro dell'Austria;
              nonostante le proteste dei sindaci dei comuni interessati che denunciano l'inadeguatezza di una tale disposizione che, operando un livellamento dei prezzi fra zone montane e zone di pianura, non tiene in debito conto le differenze climatiche che creano una delle cause di maggiore diseguaglianza con la popolazione che vive in città o in pianura e nonostante siano stati presentati emendamenti da parte del Gruppo Lega in sede di esame alla Camera, il Governo non solo non ha ascoltato gli appelli degli amministratori locali, ma ha per di più bocciato le proposte presentate in Commissione,

impegna il Governo

ad escludere, dalla ridefinizione dei crediti di imposta di cui al comma 12 dell'articolo 2 del provvedimento in oggetto, la riduzione dei benefici fiscali per l'acquisto di gpl e gasolio da riscaldamento per i comuni di montagna e le zone geograficamente svantaggiate, con particolare riguardo per le zone climatiche di fascia E ed F anche per gli anni successivi.
9/2679-bis-A/62. Marguerettaz, Caparini, Sandra Savino.


      La Camera,
          premesso che:
              secondo l'attuale normativa, nella determinazione della base imponibile del fabbricato vengono inclusi anche i macchinari e gli impianti ancorati al suolo che allo stesso tempo possono essere smontati e trasferiti in un altro sito oppure ceduti per essere sostituiti;
              l'articolo 10 del regio decreto legge n.  653 del 1939 prevede che la redditività media ordinaria degli immobili ad uso produttivo ai fini della rendita catastale, sia individuata mediante stima diretta per ciascuna unità immobiliare al fianco del metodo indiretto;
              il metodo diretto, applicandosi attraverso la comparazione con beni similari di cui si conoscono le caratteristiche tecniche ed economiche, trova però difficile applicazione, quindi, viene comunemente utilizzato il metodo indiretto, che fa invece riferimento ad una valutazione in base al valore di ricostruzione, secondo quanto stabilito dalla circolare 4T/2009, che prevede l'individuazione delle componenti che concorrono a formare l'investimento di natura immobiliare, operando la valutazione degli impianti fissi, ossia dei macchinari ed impianti installati all'interno dell'immobile, incorporati nelle opere murarie, fissati al suolo o installati in via transitoria;
              riguardo la rilevanza di macchinari ed impianti situati all'interno degli immobili ai fini della determinazione della rendita si verificano però diverse difficoltà interpretative ed applicative: i macchinari imbullonati, infatti, secondo l'attuale interpretazione del regio decreto, non dovrebbero costituire veri e propri immobili suscettibili di rientrare nella determinazione della rendita catastale;
              da tempo il mondo delle imprese chiede di mettere fine a quella che è stata definita la «patrimoniale» sui beni per l'attività produttiva poiché la determinazione della rendita catastale dei cosiddetti «macchinari imbullonati» non fa che aumentare il prelievo applicato dai Comuni con l'imposta sugli immobili, a cui si aggiunge l'ulteriore penalizzazione della deduzione limitata al 20 per cento dell'IMU delle sole imposte dirette e non dall'Irap;
              operando in questo modo le imprese subiscono un consistente incremento delle rendite catastali e un conseguente aumento della base imponibile su cui oggi è dovuta l'IMU e in futuro la local tax, a cui si aggiungono effetti di determinazione retroattivi e pesanti ripercussioni in termini sanzionatori nei casi di mancato adeguamento;
              inoltre, le norme di accatastamento dei fabbricati industriali spesso sono interpretate e applicate in maniera disomogenea sul territorio, con un effetto distorsivo della concorrenza che crea l'ennesima incertezza sulla norma;
              lo stesso viceministro Morando ha dichiarato agli organi di stampa che la questione del pagamento dell'IMU sui cosiddetti macchinari imbullonati sia una questione da rivedere all'interno della legge di stabilità, a prescindere dal costo che ne deriverà per le casse dello Stato: il viceministro si è espresso favorevolmente riguardo un ad intervento in seconda lettura al Senato in cui intende affrontare tutta la questione dell'imposizione sugli immobili;
              dopo il viceministro, anche il sottosegretario all'economia e alle finanze Enrico Zanetti ha dichiarato alla stampa che la «patrimoniale» sui macchinari sarà cancellata al Senato con un emendamento alla stabilità, contestualmente all'esame della local Tax;
              l'intenzione del Governo è quella di introdurre una disciplina transitoria sulla tassazione degli immobili strumentali, prevedendo che qualora la rendita catastale dal prossimo 1o gennaio 2015 subisca una variazione in aumento a causa delle verifiche del Fisco una relazione alle componenti impiantistiche dei fabbricati stessi, la variazione in aumento non andrà ad incrementare la base imponibile dei tributi locali;
              nonostante l'impegno del sottosegretario Zanetti, una tale misura riguarderà però esclusivamente gli aumenti futuri, mentre non interesserà i cambi di macchinari già avvenuti, poiché il governo sostiene che non ci siano attualmente le risorse disponibili per una manovra onnicomprensiva,

impegna il Governo

a prevedere, nell'ambito delle disposizioni rientranti nel Capo I, recanti misure per la crescita, la piena e certa esclusione, per l'individuazione delle componenti che concorrono a formare l'investimento di natura immobiliare, della valutazione degli impianti fissi, intesi quali macchinari ed impianti installati all'interno dell'immobile, incorporati nelle opere murarie, fissati al suolo o installati in via transitoria, ai fini della determinazione della rendita catastale per gli immobili ad uso produttivo.
9/2679-bis-A/63. Busin, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              la proprietà fondiaria, in gran parte del nostro Paese, ma in particolare quello che riguarda le zone prealpine ed alpine, è estremamente frammentata e polverizzata ed ogni agricoltore si trova spesso ad avere a che fare con miliardi di piccoli proprietari del tutto disinteressati al loro terreno ed assolutamente restii a firmare contratti di affitto, che permetterebbero la stabilizzazione della conduzione agraria dei fondi con evidenti vantaggi per le aziende e quindi per l'agricoltura e l'economica più in generale;
              gli aiuti per i giovani sono necessari per evitare la desertificazione delle campagne. Non deve venire a mancare la futura generazione di agroimprenditori, in quanto importanti più che mai nella gestione del territorio, infatti, l'agricoltore è il migliore alleato del territorio;
              con l'articolo 7 del decreto-legge 25 giugno 2014, n.  91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n.  116, se da una parte si è voluto agevolare i giovani con la concessione di una detrazione fiscale del 19 per cento sulle spese sostenute per l'affitto di terreni agricoli dall'altra si stanno penalizzando coloro i quali, per diverse motivazioni, non concedono in affitto i terreni stessi;
              il comma 4 del suddetto articolo 7 interviene sulla rivalutazione dei redditi dominicale e agrario ai soli fini della determinazione delle imposte sui redditi;
              occorre prevedere misure non solo per coloro che prendono in affitto i terreni ma anche per stimolare la concessione in affitto degli stessi,

impegna il Governo

a prevedere iniziative affinché le disposizioni contenute nel predetto comma 4 dell'articolo 7 del decreto-legge n.  91 del 2014 non si applichino per i periodi di imposta durante i quali i terreni assoggettati alle medesime rivalutazioni sono concessi in affitto a giovani che non hanno compiuto i 35 anni aventi la qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo al fine di incentivare l'affitto dei terreni da parte dei proprietari.
9/2679-bis-A/64. Caon, Guidesi, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 7 del decreto-legge 25 giugno 2014, n.  91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n.  116, prevede una detrazione del 19 per cento sulle spese sostenute per i canoni di affitto dei terreni agricoli, per i giovani under 35 che siano coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola;
              nonostante sia apprezzabile il tentativo contenuto nel suddetto articolo 7 di trovare una soluzione al problema dell'accesso alla terra da parte dei giovani è doveroso però segnalare che l'incidenza degli imprenditori agricoli under 35 sul totale degli imprenditori del settore iscritti dal Registro delle imprese è passata da 7,57 per cento del 2010 al 6,94 per cento del 2013 e che nello stesso intervallo temporale la generalità delle imprese agricole è diminuita dell'8,66 per cento mentre quelle condotte da giovani sotto i 35 anni hanno registrato una flessione pressoché doppia (-16,28 per cento);
              l'agricoltura rappresenta sempre di più una valida scelta per i giovani. Gli aiuti per i giovani sono necessari per evitare la desertificazione delle campagne. Non deve venire a mancare la futura generazione di agroimprenditori, in quanto importanti più che mai nella gestione del territorio;
              finora sono state previste misure per gli under 40 che decidono di investire il loro futuro nella terra, con mutui a tasso zero, con agevolazioni per l'acquisto e la vendita dei terreni etc. Non si capisce, quindi, per quale motivo la disposizione sopra menzionata non abbia previsto che le agevolazioni in essa contenute siano applicate anche a coloro che si trovano nella fascia di età tra i 35 e i 40 anni,

impegna il Governo

a prevedere iniziative affinché le disposizioni contenute nel predetto articolo 7 del decreto-legge n.  91 del 2014 vengono estese anche ai soggetti fino a 40 anni al fine di sostenere le piccole e micro imprese condotte da coloro che si trovano nella fascia di età compresa tra i 35 e i 40 anni.
9/2679-bis-A/65. Attaguile, Guidesi, Caon, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge di stabilità interviene a vario titolo sul tema del sostegno alla malattia e alla disabilità;
              il codice della strada all'articolo 188 stabilisce che i disabili «motori» muniti di contrassegno H non sono tenuti all'obbligo del rispetto dei limiti di tempo sui parcheggi orari: recita infatti il Comma 3: «I veicoli al servizio di persone invalide (..) non sono tenuti all'obbligo del rispetto dei limiti di tempo se lasciati in sosta nelle aree di parcheggio a tempo determinato»;
              nonostante ciò laddove i parcheggi sono regolati in base ad un sistema di «strisce blu» i disabili, pagando un biglietto orario, sono di fatto sottoposti anche ad un limite di tempo;
              anche la Corte di Cassazione ha confermato (sentenza n.  21271 del 2009) che le persone disabili che utilizzano il Contrassegno H emesso ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 503 del 1996 articolo 12, devono pagare la sosta sulle strisce blu;
          il legislatore nazionale ha lasciato agli enti locali la decisione se rendere o meno gratuito l'utilizzo delle strisce blu da parte di disabili, con il risultato che in molte Città italiane, Milano, Roma, Napoli etc. le strisce blu sono gratuite, mentre in tante parti del Paese altri comuni hanno deciso di far pagare la sosta ai disabili anche quando i posti a loro destinati siano occupati;
              l'utilizzo dell'auto per il, disabile con problemi motori rappresenta un ausilio protesico indispensabile e uno strumento che gli consente di vivere il territorio in libertà;
              sono purtroppo conosciuti gli abusi dei permessi riservati ai disabili ed utilizzati in maniera non corretta, esponendolo quando il disabile non è a bordo, ottenendo permessi non dovuti o addirittura duplicando permessi regolarmente rilasciati;
              sarebbe doveroso legislativamente e moralmente controllare e punire severamente ogni abuso del permesso riservato ai disabili, anche per potere garantire a chi ha veramente necessità agevolazioni efficaci,

impegna il Governo

ad adottare una normativa chiara e completa relativa all'utilizzo del contrassegno di disabilità che comprenda sanzioni deterrenti contro ogni abuso e allo stesso tempo garantisca l'esenzione dal pagamento del Parcheggio sulle aree di sosta per i veicoli utilizzati da persone con disabilità motoria.
9/2679-bis-A/66. Fedriga, Rondini, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge di stabilità per il 2015, interviene tra le altre sulle misure adottate in seguito al terremoto registrato in Emilia nel maggio 2012;
              altre calamità naturali hanno investito il Paese negli ultimi mesi, nelle regioni Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Friuli Venezia Giulia, provocando vittime, devastazione, disperazione, fermo e danni alle attività produttive e agli strumenti di produzione;
              il Governo, al di là delle promesse, ha adottato al momento, concretamente, solo i provvedimenti «minimi» per venire incontro alla drammatica situazione degli operatori che hanno perso tutto e non sono in grado al momento di ricominciare, sospendendo solo i versamenti tributari, solo fino al 20 dicembre 2014, solo limitatamente ad una ristretta lista di comuni colpiti all'inizio di ottobre;
              occorre adottare misure efficaci per permettere alle attività produttive operanti in queste aree di riorganizzarsi, fungendo da traino per la ripresa delle intere aree di cui fanno parte,

impegna il Governo

ad istituire, nelle aree citate in premessa, delle zone franche di durata quinquennale, che prevedano, per tutte le persone fisiche e giuridiche residenti su tali territori l'esenzione dai versamenti fiscali e contributivi e la cancellazione di tutte le cartelle di pagamento emesse da agenti della riscossione, nonché semplificazioni di adempimenti burocratici compresa l'esenzione dalla presentazione del DURC per tutte le finalità per i quali tale documento è richiesto.
9/2679-bis-A/67. Borghesi, Guidesi, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              le drammatiche alluvioni che hanno flagellato moltissime regioni italiane ed in particolare il territorio ligure nei giorni 9-12 ottobre 2014 e 10-12 novembre 2014 hanno portato morte e devastazione del territorio con la distruzione di innumerevoli strutture pubbliche, ingentissimi danni a privati cittadini ed a attività commerciali, produttive ed industriali;
              solo nel territorio ligure si stimano danni per oltre 1 miliardo di euro, fra strutture pubbliche e danni alla viabilità; a tali stime bisogna sommare i danni subiti dai soggetti privati ancora oggi non quantificati in maniera definitiva;
              la legge di stabilità 2015 non copre interamente le misure volte alla copertura finanziaria delle spese dello stato di emergenza,

impegna il Governo:

          ad individuare con urgenza, attraverso un'iniziativa normativa straordinaria tutte le misure utili a sostenere la ripresa dei territori colpiti dall'alluvione che hanno colpito il nostro Paese nei mesi di ottobre e novembre 2014 mediante interventi che consentano il ritorno alla quotidianità e il superamento dell'emergenza per i cittadini, le imprese e le Istituzioni disponendo al riguardo:
          ad assumere iniziative per esentare i Comuni colpiti dall'alluvione dalla contribuzione al fondo di solidarietà comunale 2015, oggi obbligatoria per legge attraverso una quota dell'IMU;
          ad assumere iniziative per escludere dal patto di stabilità le spese effettuate per gli interventi di somma urgenza e di ripristino delle aree colpite dagli eventi alluvionali;
          ad assumere iniziative per stanziare le necessarie risorse da destinare ai finanziamenti agevolati e ai risarcimenti dei soggetti privati coinvolti, in maniera urgente e tempestiva, anche mediante la semplificazione delle procedure per la certificazione dei danni;
          a valutare l'ipotesi di esentare dall'IVA le opere di ripristino nei Comuni colpiti dall'alluvione.
9/2679-bis-A/68. Basso, Carocci, Giacobbe, Mariani, Marco Meloni, Pastorino, Tullo, Vazio, Bargero, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              le drammatiche alluvioni che hanno flagellato moltissime regioni italiane ed in particolare il territorio ligure nei giorni 9-12 ottobre 2014 e 10-12 novembre 2014 hanno portato morte e devastazione del territorio con la distruzione di innumerevoli strutture pubbliche, ingentissimi danni a privati cittadini ed a attività commerciali, produttive ed industriali;
              solo nel territorio ligure si stimano danni per oltre 1 miliardo di euro, fra strutture pubbliche e danni alla viabilità; a tali stime bisogna sommare i danni subiti dai soggetti privati ancora oggi non quantificati in maniera definitiva;
              la legge di stabilità 2015 non copre interamente le misure volte alla copertura finanziaria delle spese dello stato di emergenza,

impegna il Governo

          a valutare la possibilità di:
              individuare con urgenza, attraverso un'iniziativa normativa straordinaria tutte le misure utili a sostenere la ripresa dei territori colpiti dall'alluvione che hanno colpito il nostro Paese nei mesi di ottobre e novembre 2014 mediante interventi che consentano il ritorno alla quotidianità e il superamento dell'emergenza per i cittadini, le imprese e le Istituzioni disponendo al riguardo:
              assumere iniziative per esentare i Comuni colpiti dall'alluvione dalla contribuzione al fondo di solidarietà comunale 2015, oggi obbligatoria per legge attraverso una quota dell'IMU;
              assumere iniziative per escludere dal patto di stabilità le spese effettuate per gli interventi di somma urgenza e di ripristino delle aree colpite dagli eventi alluvionali;
              assumere iniziative per stanziare le necessarie risorse da destinare ai finanziamenti agevolati e ai risarcimenti dei soggetti privati coinvolti, in maniera urgente e tempestiva, anche mediante la semplificazione delle procedure per la certificazione dei danni;
              valutare l'ipotesi di esentare dall'IVA le opere di ripristino nei Comuni colpiti dall'alluvione.
9/2679-bis-A/68.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Basso, Carocci, Giacobbe, Mariani, Marco Meloni, Pastorino, Tullo, Vazio, Bargero, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 3 del decreto legge a seguito delle modifiche intervenute nel corso della discussione presso la Commissione bilancio, prevede tra le finalità prioritarie del «Fondo La Buona Scuola», oltre al piano di assunzioni, anche la formazione dei docenti e dirigenti scolastici;
              la formazione, accanto al potenziamento dell'autonomia e allo sviluppo della valutazione è necessaria per garantire una vera qualità dell'istruzione; infatti tra le ulteriori finalità del Fondo è inserito un esplicito riferimento alla valutazione, collegata alla valorizzazione dei docenti e alla sostanziale attuazione dell'autonomia scolastica;
              tale formazione deve essere concepita come elemento centrale per sviluppare le competenze degli alunni/studenti e di conseguenza per contrastare la dispersione scolastica intesa come abbandoni, ripetenze, evasione;
              per quanto riguarda la dispersione un'attenzione particolare va data alle disuguaglianze presenti sul territorio nazionale e alla necessità di un'equa distribuzione delle risorse investite con il piano della buona scuola,

impegna il Governo:

          a considerare la possibilità di sviluppare la formazione dei docenti che saranno assunti in ruolo attraverso misure adeguate, tra cui l'eventuale accertamento delle competenze linguistiche e informatiche;
          a valutare, nell'ambito del piano de La Buona Scuola, l'opportunità di potenziare il tempo pieno nella scuola primaria al fine di prevenire fenomeni di dispersione scolastica e conseguentemente prevedere che una quota dei docenti che saranno assunti in ruolo sia ripartita in modo da coprire equamente sia le zone dei centri a maggiore densità abitativa, dove il servizio è meno diffuso, sia le zone dove è maggiormente diffusa la presenza di alunni di cittadinanza non italiana.
9/2679-bis-A/69. Santerini.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto ministeriale 6 luglio 2012 stabilisce le modalità di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti, alimentati da fonti rinnovabili diverse da quella solare fotovoltaica. Gli incentivi riguardano gli Impianti, nuovi, integralmente ricostruiti, riattivati, oggetto di intervento di potenziamento o di rifacimento, aventi potenza non inferiore a 1 kW e che entrano in esercizio in data successiva al 31 dicembre 2012;
              questo decreto prevede delle tariffe incentivanti anche per le centrali idroelettriche a seconda del tipo (fluente-bacino) e della relativa potenza di concessione. Il decreto stesso prevede un tetto massimo al costo cumulato a tutti gli incentivi di 5,8 miliardi di euro annui;
              il costo cumulato sarà raggiunto entro primavera del 2015, pertanto al momento attuale non sono previsti incentivi di alcun tipo per le fonti rinnovabili sia che si tratti di nuovi impianti, riattivazioni o rifacimenti bloccando così tutti gli investimenti nel settore e ogni possibilità di analisi tecnica economica;
              non raramente si sono attribuiti incentivi, a volte anche troppo elevati, a fonti rinnovabili meno presenti industrialmente nel tessuto produttivo italiano come il fotovoltaico. Spesso questo tipi di investimenti nel fotovoltaico sono stati di natura puramente speculativa con margini economici elevati e basse ricadute nel territorio, come ad esempio in diversi campi fotovoltaici realizzati in Italia. Inoltre è necessario considerare che la maggior parte dei soldi sono ricaduti in gran parte su multinazionali estere produttrici delle apparecchiature soprattutto in Asia e non da ultimo anche sulle banche che grazie agli incentivi garantiti dal GSE hanno potuto concedere facilmente prestiti e finanziamenti agli speculatori del settore fotovoltaico;
              una delle fonti che invece ha la maggiore ricaduta positiva per il territorio è la fonte idroelettrica. Il settore della generazione da fonte idrica è storicamente molto importante per lo sviluppo del tessuto industriale e sociale italiano;
              in particolare il mini idroelettrico (oggetto delle incentivazioni recenti) porge importanti esempi di ricadute positive sul territorio in relazione all'economia industriale italiana ed al sistema elettrico italiano,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare misure incentivanti per quegli impianti idroelettrici, già dotati di concessione (presenti nella tabella IDRO–RG2014 – Tabella C) che attualmente non rientrano nel contingente di potenza previsto, anche attraverso una migliore distribuzione degli attuali incentivi per le altre fonti rinnovabili al fine di non produrre un aggravio di oneri per la finanza pubblica, peraltro ampiamente garantiti dal gettito fiscale conseguente alla introduzione dell'incentivo stesso.
9/2679-bis-A/70. Fauttilli, Dellai.


      La Camera,
          premesso che:
              anche se dimezzati nel corso dell'esame in Commissione Bilancio, permangono i tagli al fondo patronati che saranno oggetto anche di una riforma del settore che li ridurrà ad un terzo;
              i patronati da decenni garantiscono sul territorio, anche nelle zone più remote e difficilmente raggiungibili nel mondo, un servizio che va al di là della semplice assistenza nelle pratiche di pensione e di altre incombenze burocratiche che la nostra amministrazione impone ai cittadini italiani;
              si tratta di strutture che aiutano soprattutto i più deboli, coloro che hanno difficoltà nella lingua, nelle possibilità di movimento o nelle disponibilità economiche di assolvere autonomamente alle incombenze dettate dalla PA e non stiamo parlando solo di persone anziane ma anche di tanti giovani che sono in cerca di una soluzione di vita migliore di quella che in questo momento può offrire l'Italia;
              i patronati garantiscono non solo le prestazioni sottoposte a rendicontazione sulle basi delle normative per il finanziamento ma anche quelle (anzi ne rappresentano la maggioranza) che sono di natura sociale e lavorativa per garantire gratuitamente l'accesso a prestazioni e servizi, che vanno dal diritto all'istruzione, alla ricerca di alloggio, alle necessità fiscali, alla messa in relazione di lavoratori e organizzazioni sindacali, nel caso di controversie sul lavoro;
              senza il patronato molti lavoratori non sarebbero stati capaci di reclamare il proprio diritto alla pensione italiana una volta che questa gli è stata negata per mancanza di alcune informazioni, o sarebbe sottoposta a doppia tassazione e spesso svolgono un ruolo fondamentale di unione tra l'Italia e gli italiani all'estero in quanto sopperiscono alle mancanze della rete consolare, colpita, anch'essa dal taglio delle risorse,

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di reintegrare in tempi rapidi i fondi destinati ai patronati la cui funzione risulta fondamentale soprattutto per le comunità italiane all'estero che si rivolgono a queste importanti strutture per le soluzioni di problematiche attinenti alla sfera assistenziale, previdenziale, del lavoro e sanitaria nonché in materia fiscale dei nostri concittadini residenti all'estero.
9/2679-bis-A/71. Caruso.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge di stabilità 2015, all'articolo 27, disponeva una riduzione dei contributi alla stampa italiana diretta verso l'estero;
              la stampa italiana all'estero svolge un ruolo fondamentale per la promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo;
              la stampa italiana per i connazionali residenti all'estero, nel processo di evoluzione culturale e di mediazione tra le culture, svolge una funzione fondamentale per garantire sia i legami con la madrepatria attraverso la lingua e l'informazione sia l'inserimento nella cultura di accoglienza;
              la stampa destinata alla comunità italiana all'estero crea un clima di appartenenza alla madrepatria, a quel Sistema Italia fondamentale nella promozione del made in Italy;
              spesso volte l'informazione che arriva dall'Italia è la fonte principale per capire cosa accade nel mondo per molti italiani delle vecchie generazioni di emigrati che parlano molto poco la lingua del Paese di accoglienza,

impegna il Governo

a prevedere la possibilità di assicurare, anche per l'anno 2015, l'integrazione della dotazione finanziaria per i contributi diretti in favore della stampa italiana all'estero di cui all'articolo 1-bis del decreto-legge 18 maggio 2012, n.  63, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 luglio 2012, n.  103, nonché lo stanziamento, già previsto per il 2014, destinato alle agenzie di stampa specializzate per i servizi giornalistici agli italiani residenti all'estero.
9/2679-bis-A/72. Fitzgerald Nissoli, Fauttilli.


      La Camera,
          premesso che:
              la profonda revisione del sistema pensionistico introdotta dall'articolo 24 del decreto-legge 201 del 2011 dispone che la pensione di vecchiaia, per le donne iscritte all'AGO e forme sostitutive si consegue a 62 anni ed entro il 2018 si dovrà arrivare a 66 anni di età. Si va dunque verso la perfetta parità tra uomini e donne;
              per le lavoratrici autonome e le iscritte alla gestione separata, l'età pensionabile è fissata a 63 anni e 6 mesi e per il 2018 a 66 anni di età;
              le donne del settore pubblico iscritte a Fondi esclusivi dal 1o gennaio 2012 potranno conseguire la pensione di vecchiaia a 66 anni;
              i requisiti, oltre ad essere soggetti all'adeguamento alla speranza di vita (per l'anno 2013 pari a 3 mesi), sono aumentati di un mese per l'anno 2013 e di un ulteriore mese a decorrere dal 2014;
              sono stati, inoltre, introdotti dei disincentivi per chi chiede la pensione anticipata prima dei 62 anni anche se con un emendamento approvato in Commissione dispone, nei confronti dei soggetti che maturano il requisito di anzianità contributiva per l'accesso al trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2017, la non applicazione di tali penalizzazioni. Infine la Riforma Fornero ha esteso a tutti il sistema contributivo, che ha come conseguenza una diminuzione dell'importo della pensione;
              i soggetti maggiormente penalizzati dalla riforma sono evidentemente le donne e, tra queste, non viene operata nessuna distinzione tra chi ha generato e allevato figli e chi non lo ha fatto, stabilendo pertanto una grave discriminazione. Più in particolare, le donne-lavoratrici con 3 o più figli – per dedicarsi alla cura della famiglia – devono forzatamente rinunciare alla carriera, rimanendo quindi ai livelli più bassi di retribuzione; spesso sono obbligate a ricorrere al part-time, con la conseguente decurtazione di stipendio, ma conseguentemente anche dei contributi previdenziali. Nel caso di 3 o più figli, la donna spesso deve addirittura abbandonare suo malgrado il lavoro perché oggettivamente inconciliabile con l'attività lavorativa. Senza parlare dell'oggettivo stress psico-fisico indotto dal doppio lavoro di lavoratrice e di madre;
              oggi nel nostro sistema previdenziale non esiste più nessun provvedimento che riconosca l'altissimo valore sociale della maternità. Anzi, la «Riforma Fornero» ha eliminato l'astensione facoltativa presa dalle lavoratrici madri dal computo dei contributi ai fini pensionistici, misura particolarmente odiosa anche perché agisce in maniera retroattiva, configurandosi quindi come illegittima. Rimane pertanto solo il riconoscimento dei 5 mesi di «maternità obbligatoria»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere ulteriori iniziative, anche di tipo normativo, volte a superare questa situazione discriminatoria, alla luce dell'azzeramento del tasso di natalità nel nostro Paese, anche attraverso l'attribuzione di contributi figurativi per ogni figlio generato o adottato, in linea con quanto disposto a riguardo in diversi ordinamenti europei.
9/2679-bis-A/73. Sberna.


      La Camera,
          premesso che:
              nel corso dell'esame del provvedimento è stato aggiunto all'articolo 1 il comma 100 che, con l'intento di contribuire alle spese per il mantenimento dei figli, stanzia per il 2015 un importo, nel limite massimo di 45 milioni, da utilizzare per la concessione di buoni per l'acquisto di beni e servizi per l'infanzia;
              il beneficio è in favore dei nuclei familiari in una condizione economica corrispondente a un valore dell'indicatore ISEE non superiore a 8.500 euro annui e con un numero di figli minori pari o superiore a quattro;
              una modifica al comma 6 del medesimo articolo 13 ha disposto l'incremento di 5 milioni di euro della dotazione per l'anno 2015 del Fondo per gli interventi in favore della famiglia, destinandone una quota pari a 8 milioni per il 2015, in favore del Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti di cui all'articolo 58, comma 1, del decreto-legge n.  83 del 2012;
              si tratta di misure di sostegno utili alle famiglie italiane e ai soggetti in difficoltà ma sarebbe opportuno che, alla luce della difficile situazione economica in cui vivono migliaia di famiglie italiane, fossero previste anche ulteriori risorse per estendere il numero dei beneficiari del programma di sostegno per l'inclusione attiva nei comuni ove si realizza la sperimentazione della carta di acquisti, come strumento di contrasto alla povertà assoluta;
              la lotta alla povertà deve essere svolta attraverso un piano nazionale che contenga veri strumenti; è quindi necessario un coordinamento tra il programma di sostegno per l'inclusione attiva (SIA) come definito nella legge n.  147 del 2013 e la sperimentazione di forme di «reddito di autonomia» (o di inclusione sociale, o di ultima istanza) collegate a formazione e percorsi di inserimento lavorativo dei soggetti come definiti nel programma operativo nazionale a titolarità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
              l'aumento della tassazione della quota imponibile dei dividendi percepiti dagli enti non commerciali e dalle fondazioni bancarie potrà intaccare il sostegno già programmato e quello futuro che questi enti forniscono a tutte quelle organizzazioni del volontariato, del privato sociale e degli stessi enti territoriali, che sono al servizio del bene comune,

impegna il Governo:

          ad adottare, compatibilmente con i vincoli di bilancio, ulteriori iniziative anche di tipo normativo, volte a reperire ulteriori risorse da destinare al finanziamento del programma di cui all'articolo 60 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n.  5 e alle connesse misure di accompagnamento come definite nell'ultimo periodo del comma 216, articolo 1, dalla legge n.  147 del 2013;
          a valutare, sempre compatibilmente con i vincoli di bilancio, l'opportunità di ripristinare il regime di tassazione antecedente alla modifica intervenuta con il disegno di legge, relativo alla quota imponibile dei dividendi percepiti dagli enti non commerciali e dalle fondazioni bancarie, al fine di non pregiudicare l'aiuto che questi enti forniscono al volontariato e al privato sociale, nonché di prevedere risorse aggiuntive da destinare al fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti.
9/2679-bis-A/74. Marazziti, Santerini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame contiene, tra le altre, disposizioni in materia di pubblico impiego finalizzate al contenimento della spesa, quali il blocco dei rinnovi contrattuali e alcune limitazioni nel turn over del personale della pubblica amministrazione;
              il personale della pubblica amministrazione, negli ultimi anni, è stato oggetto di provvedimenti che ne hanno fortemente influenzato non solo la condizione lavorativa ma anche i tempi per potere ottenere il trattamento fine rapporto di lavoro, 24 mesi, e le modalità di accesso al trattamento pensionistico;
              anteriormente al 2010, infatti, il sistema previdenziale italiano prevedeva che le posizioni assicurative di un soggetto in gestioni previdenziali diverse potessero essere riunite mediante trasferimento di tutti i periodi contributivi presso un'unica gestione, allo scopo di ottenere una sola pensione;
              la ricongiunzione dei contributi, regolata dalla legge n.  29 del 7 febbraio 1979, avveniva a domanda del diretto interessato o dei suoi superstiti e poteva comprendere tutti i periodi di contribuzione (obbligatoria, volontaria, figurativa, riscattata) che il lavoratore aveva maturato in almeno due diverse forme previdenziali fino al momento della richiesta e che non fossero già stati utilizzati per liquidare una pensione;
              era prevista la possibilità di ricongiungere presso il Fondo pensioni lavoratori dipendenti, gestito dall'Inps, tutti i contributi esistenti nelle altre gestioni sostitutive, esclusive o esonerative dell'Assicurazione obbligatoria (cosiddette gestioni «alternative» quali INPDAP, fondi speciali ferrovie, volo, elettrici, telefonici e altri) o nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti e coltivatori diretti esclusa la gestione separata dei parasubordinati);
              fino al 30 giugno 2010 tale ricongiunzione nel fondo pensioni lavoratori dipendenti (AGO/INPS) dei periodi contributivi maturati in ordinamenti pensionistici «alternativi» avveniva senza oneri per il richiedente;
              la norma prevista dall'articolo 12, comma 12-septies, decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122, ha invece reso onerose dal 1o luglio 2010 le ricongiunzioni tra periodi contributivi maturati in diverse forme assicurative;
              tale provvedimento ha messo una vasta platea di lavoratori, pubblici e privati, nella pesante condizione di essere costretti, da un giorno all'altro, a dover versare anche centinaia di migliaia di euro pur di poter accedere al trattamento pensionistico;
              con la legge di stabilità n.  228 del 2012 si è giunti alla prima correzione significativa, riportare giustizia per tutti coloro che sono cessati dal pubblico impiego prima del luglio 2010, prima della norma sulle ricongiunzioni onerose, articolo 1, comma 238;
              l'articolo 1, comma 239, della legge 18 dicembre 2012, n.  228 (legge di stabilità 2013), anziché garantire anche a chi è iscritto all'Inpdap e ai fondi esonerativi e sostitutivi oggi le stesse condizioni previste per tutti gli altri, come ripristinato dal comma 238, dispone, però, la possibilità di cumulare i periodi assicurativi maturati in diverse forme assicurative solo ed esclusivamente per la liquidazione del trattamento pensionistico di vecchiaia e solo da parte di soggetti che non siano ancora in possesso dei requisiti per il diritto autonomo a pensione in una forma assicurativa (quindi nega tale possibilità a chi abbia 20 anni o più di 20 in un fondo);
              considerato che chi ha 65 o 66 anni difficilmente si trova nelle condizioni di non avere almeno 20 anni di iscrizione in un unico fondo; l'articolo 1, comma 239, della legge 18 dicembre 2012, n.  228 (legge di stabilità 2013), rende quindi praticamente inapplicabile la possibilità di cumulo;
              questi lavoratori, per poter accedere all'intero trattamento pensionistico che per dovere di giustizia spetterebbe loro, avendolo maturato nel corso di una vita di lavoro, si trovano dunque nella deprecabile condizione di essere costretti a un'operazione di ricongiungimento della posizione contributiva esistente in diverse gestioni previdenziali accettando di pagare costi aggiuntivi molto onerosi e che appaiono a volte anche non proporzionali all'entità dell'assegno pensionistico stesso;
              l'INPS stima in 2.800 per il 2015 il numero dei lavoratori che si trovano nella condizione di sottoporsi a una ricongiunzione molto onerosa dei contributi previdenziali, cifra che salirebbe gradualmente nel tempo fino ad arrivare a 62.500 nel 2024. Per gli oneri per rate di pensione di vecchiaia e indirette con esclusione della condizione di assenza del requisito autonomo, necessari per sanare questa ingiustizia previdenziale, la stessa INPS stima un fabbisogno annuo al netto degli effetti fiscali pari a 4,9 milioni di euro nel 2015, che salirebbero gradualmente negli anni, fino a raggiungere a regime il fabbisogno di 120,6 milioni di euro nel 2024;
              è necessario compiere un ulteriore sforzo per consentire di usufruire della possibilità di cumulo a tutti quei lavoratori che rischiano, ingiustamente, di veder dispersi molti anni di contributi, pur avendoli regolarmente versati, e di dover ricorrere a ricongiunzioni anche molto gravose per poter accedere all'intero trattamento pensionistico che per dovere di giustizia spetterebbe loro, avendolo maturato nel corso di una vita di lavoro,

impegna il Governo:

          ad adottare entro un anno iniziative utili a modificare la normativa citata in premessa, escludendo, per le sole pensioni di vecchiaia, l'onerosità dell'operazione di ricongiungimento della posizione contributiva esistente in diverse gestioni previdenziali, anche avendo già maturato i requisiti per il diritto autonomo a pensione in una forma assicurativa;
          a valutare la possibilità di prevedere, nel corso di una prossima iniziativa normativa di riordino generale del sistema previdenziale, la correzione delle distorsioni che si sono accumulate negli anni e che realizzano condizioni di non equità tra lavoratori nell'accesso al regime pensionistico, valutando in particolare la possibilità di una estensione delle disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 239, della legge 18 dicembre 2012, includendovi anche i lavoratori interessati dai trattamenti pensionistici di anzianità e anzianità anticipata.
9/2679-bis-A/75. Gigli, Gnecchi, Pizzolante, Tinagli, Matteo Bragantini, Airaudo, Gebhard.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame contiene, tra le altre, disposizioni in materia di pubblico impiego finalizzate al contenimento della spesa, quali il blocco dei rinnovi contrattuali e alcune limitazioni nel turn over del personale della pubblica amministrazione;
              il personale della pubblica amministrazione, negli ultimi anni, è stato oggetto di provvedimenti che ne hanno fortemente influenzato non solo la condizione lavorativa ma anche i tempi per potere ottenere il trattamento fine rapporto di lavoro, 24 mesi, e le modalità di accesso al trattamento pensionistico;
              anteriormente al 2010, infatti, il sistema previdenziale italiano prevedeva che le posizioni assicurative di un soggetto in gestioni previdenziali diverse potessero essere riunite mediante trasferimento di tutti i periodi contributivi presso un'unica gestione, allo scopo di ottenere una sola pensione;
              la ricongiunzione dei contributi, regolata dalla legge n.  29 del 7 febbraio 1979, avveniva a domanda del diretto interessato o dei suoi superstiti e poteva comprendere tutti i periodi di contribuzione (obbligatoria, volontaria, figurativa, riscattata) che il lavoratore aveva maturato in almeno due diverse forme previdenziali fino al momento della richiesta e che non fossero già stati utilizzati per liquidare una pensione;
              era prevista la possibilità di ricongiungere presso il Fondo pensioni lavoratori dipendenti, gestito dall'Inps, tutti i contributi esistenti nelle altre gestioni sostitutive, esclusive o esonerative dell'Assicurazione obbligatoria (cosiddette gestioni «alternative» quali INPDAP, fondi speciali ferrovie, volo, elettrici, telefonici e altri) o nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti e coltivatori diretti esclusa la gestione separata dei parasubordinati);
              fino al 30 giugno 2010 tale ricongiunzione nel fondo pensioni lavoratori dipendenti (AGO/INPS) dei periodi contributivi maturati in ordinamenti pensionistici «alternativi» avveniva senza oneri per il richiedente;
              la norma prevista dall'articolo 12, comma 12-septies, decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122, ha invece reso onerose dal 1o luglio 2010 le ricongiunzioni tra periodi contributivi maturati in diverse forme assicurative;
              tale provvedimento ha messo una vasta platea di lavoratori, pubblici e privati, nella pesante condizione di essere costretti, da un giorno all'altro, a dover versare anche centinaia di migliaia di euro pur di poter accedere al trattamento pensionistico;
              con la legge di stabilità n.  228 del 2012 si è giunti alla prima correzione significativa, riportare giustizia per tutti coloro che sono cessati dal pubblico impiego prima del luglio 2010, prima della norma sulle ricongiunzioni onerose, articolo 1, comma 238;
              l'articolo 1, comma 239, della legge 18 dicembre 2012, n.  228 (legge di stabilità 2013), anziché garantire anche a chi è iscritto all'Inpdap e ai fondi esonerativi e sostitutivi oggi le stesse condizioni previste per tutti gli altri, come ripristinato dal comma 238, dispone, però, la possibilità di cumulare i periodi assicurativi maturati in diverse forme assicurative solo ed esclusivamente per la liquidazione del trattamento pensionistico di vecchiaia e solo da parte di soggetti che non siano ancora in possesso dei requisiti per il diritto autonomo a pensione in una forma assicurativa (quindi nega tale possibilità a chi abbia 20 anni o più di 20 in un fondo);
              considerato che chi ha 65 o 66 anni difficilmente si trova nelle condizioni di non avere almeno 20 anni di iscrizione in un unico fondo; l'articolo 1, comma 239, della legge 18 dicembre 2012, n.  228 (legge di stabilità 2013), rende quindi praticamente inapplicabile la possibilità di cumulo;
              questi lavoratori, per poter accedere all'intero trattamento pensionistico che per dovere di giustizia spetterebbe loro, avendolo maturato nel corso di una vita di lavoro, si trovano dunque nella deprecabile condizione di essere costretti a un'operazione di ricongiungimento della posizione contributiva esistente in diverse gestioni previdenziali accettando di pagare costi aggiuntivi molto onerosi e che appaiono a volte anche non proporzionali all'entità dell'assegno pensionistico stesso;
              l'INPS stima in 2.800 per il 2015 il numero dei lavoratori che si trovano nella condizione di sottoporsi a una ricongiunzione molto onerosa dei contributi previdenziali, cifra che salirebbe gradualmente nel tempo fino ad arrivare a 62.500 nel 2024. Per gli oneri per rate di pensione di vecchiaia e indirette con esclusione della condizione di assenza del requisito autonomo, necessari per sanare questa ingiustizia previdenziale, la stessa INPS stima un fabbisogno annuo al netto degli effetti fiscali pari a 4,9 milioni di euro nel 2015, che salirebbero gradualmente negli anni, fino a raggiungere a regime il fabbisogno di 120,6 milioni di euro nel 2024;
              è necessario compiere un ulteriore sforzo per consentire di usufruire della possibilità di cumulo a tutti quei lavoratori che rischiano, ingiustamente, di veder dispersi molti anni di contributi, pur avendoli regolarmente versati, e di dover ricorrere a ricongiunzioni anche molto gravose per poter accedere all'intero trattamento pensionistico che per dovere di giustizia spetterebbe loro, avendolo maturato nel corso di una vita di lavoro,

impegna il Governo:

          a valutare la possibilità di adottare entro un anno iniziative utili a modificare la normativa citata in premessa, escludendo, per le sole pensioni di vecchiaia, l'onerosità dell'operazione di ricongiungimento della posizione contributiva esistente in diverse gestioni previdenziali, anche avendo già maturato i requisiti per il diritto autonomo a pensione in una forma assicurativa;
          a valutare la possibilità di prevedere, nel corso di una prossima iniziativa normativa di riordino generale del sistema previdenziale, la correzione delle distorsioni che si sono accumulate negli anni e che realizzano condizioni di non equità tra lavoratori nell'accesso al regime pensionistico, valutando in particolare la possibilità di una estensione delle disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 239, della legge 18 dicembre 2012, includendovi anche i lavoratori interessati dai trattamenti pensionistici di anzianità e anzianità anticipata.
9/2679-bis-A/75.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Gigli, Gnecchi, Pizzolante, Tinagli, Matteo Bragantini, Airaudo, Gebhard.


      La Camera,
          premesso che:
              secondo la Crui negli ultimi quattro anni l'università italiana ha perso un miliardo di euro su 7,5 disponibili e 12 mila ricercatori, rimpiazzati solo da duemila giovani colleghi;
              nonostante il blocco del turnover, investimenti per la ricerca pari all'1,25 per cento del prodotto interno lordo contro il 3 per cento previsto dall'Agenda di Lisbona, i giovani studiosi italiani sono ai primi posti nel mondo per numero e importanza di pubblicazioni scientifiche;
              dati confermati dal Rapporto biennale sullo stato del sistema dell'Università e della Ricerca ed è stato prodotto dagli esperti dell'Anvur: il nostro Paese, rispetto alla media dell'area Ocse, spende in media il 30 per cento in meno ma in termini di produzione scientifica, l'Italia ha una maggiore specializzazione nelle scienze matematiche e fisiche, nelle scienze della terra e nelle scienze mediche. Tuttavia esiste una precisa correlazione econometrica tra denaro e qualità della ricerca, che aumenta al crescere dei fondi disponibili per gli atenei;
              per la ripartenza della ricerca in Italia servono risorse risolutive per invertire un trend pericolosamente discendente, basti pensare che per la ricerca biomedica, gli stanziamenti non arrivano neppure a 100 milioni. Per creare posti di lavoro, servirebbe, secondo l'istituto medico di ricerca Mario Negri, almeno l'1 per cento dei 109 miliardi spesi complessivamente per la Sanità, nel 2014;
              investire in ricerca il 3 per cento del prodotto interno lordo entro il 2020, come chiede l'Unione europea, avrebbe come prima conseguenza la creazione di 3,7 milioni di nuovi posti di lavoro in tutti i settori dell'economia e della società, con un incremento del prodotto interno lordo di 800 miliardi entro il 2025, dicono gli esperti dell'Unione europea;
              i grandi investitori hanno abbandonato l'Italia Novartis, Merck, Sanofi, Glaxo in pratica nessuna multinazionale ha più laboratori di ricerca nel nostro Paese,

impegna il Governo

ad adottare ogni utile iniziativa volta a sostenere le università e la ricerca scientifica in Italia attraverso un seria programmazione e finanziamenti adeguati a rilanciare il settore, al fine di garantire un futuro in Italia ai tanti giovani ricercatori italiani ed attrarre i grandi investitori stranieri che hanno da tempo abbandonato il nostro Paese con le conseguenti positive ricadute in termini economici ed occupazionali.
9/2679-bis-A/76. Binetti.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 119, del provvedimento in esame incrementa la dotazione del Fondo per le non autosufficienze di 250 milioni di euro annui a decorrere dal 2016;
              il fondo per le non autosufficienze è stato istituito dalla legge finanziaria per il 2007 per dare copertura ai costi di rilevanza sociale dell'assistenza socio-sanitaria, con l'intento di fornire sostegno a persone con gravissima disabilità e ad anziani non autosufficienti, e favorirne la permanenza presso il proprio domicilio;
              le risorse del Fondo sono aggiuntive rispetto a quelle destinate alle prestazioni e ai servizi a favore delle persone non autosufficienti da parte delle Regioni e delle autonomie locali, e lo stanziamento del Fondo è rivolto anche agli interventi a sostegno delle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica (SLA);
              durante l'esame in Commissione il testo è stato modificato nel senso di aumentare di centocinquanta milioni di euro lo stanziamento del citato Fondo, elevandolo a quattrocento milioni di euro per il solo 2015;
              la necessaria copertura finanziaria, tuttavia, è stata reperita provvedendo ad una diminuzione di pari importo della dotazione del Fondo destinato ad interventi a favore della famiglia, che è stata dimezzata;
              l'intervento ad integrazione del fondo per le non autosufficienze, assolutamente necessario per dare adeguata copertura ai soggetti affetti da disabilità ed ai loro familiari, è stato quindi effettuato a discapito di un altro importantissimo Fondo a finalità sociale, anch'esso destinato, in parte ai medesimi beneficiari,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per individuare le risorse necessarie a reintegrare il fondo destinato ad interventi a favore della famiglia.
9/2679-bis-A/77. Totaro.


      La Camera,
          premesso che:
              la clausola di salvaguardia di cui all'articolo 3, comma 67, del provvedimento in esame reca un aumento, a decorrere dall'anno 2018, delle accise su benzina e gasolio in misura tale da determinare maggiori entrate non inferiori a 700 milioni di euro;
              dopo aver toccato il picco di 130 dollari al barile, il prezzo del petrolio continua la sua discesa, ed è stato appena rideterminato dall'OPEC in 68 dollari al barile;
              a fronte di tale sensibile riduzione, in Italia non accenna a calare il prezzo dei carburanti, a causa dell'elevatissima imposizione fiscale cui soggiacciono;
              da un raffronto tra i prezzi dei carburanti in Italia, Spagna, Francia, Germania e Gran Bretagna risulta che il nostro paese vanta i prezzi e tassazione più alta tra i cinque maggiori Paesi europei ed è anche più elevata della media europea dei 27 Paesi; e il differenziale è aumentato fortemente proprio negli ultimi anni, a partire da maggio 2011;
              per quanto riguarda il consumo dei derivati del petrolio nel nostro Paese, negli ultimi cinque anni, dal 2009 al 2013, il consumo di benzina è diminuito del 24,7 per cento, il gasolio per autotrazione del 10 per cento e quello da riscaldamento del 30 per cento proprio a causa del prezzo della benzina, che in Italia ha registrato un'impennata rispetto a quanto accaduto nel resto d'Europa;
              ad agosto 2014 il prezzo alla pompa della benzina italiana si è assestato su 1,74116 euro contro 1,61301 della Gran Bretagna, 1,55700 della Germania, 1,49470 della Francia e 1,40689 euro della Spagna, con una crescita del +56,5 per cento rispetto al 2009;
              se si considera il fatto che il trasporto delle merci in Italia avviene per la grandissima parte su strada si comprende come il costante aumento del prezzo dei carburanti determini, di fatto, un gravissimo gap concorrenziale del nostro paese rispetto agli altri Paesi europei, oltre a danneggiare i privati cittadini,

impegna il Governo

ad assumere iniziative nel senso di un abbassamento del carico fiscale gravante sull'acquisto dei carburanti, al fine di proteggere il potere d'acquisto delle famiglie e di tutelare il mercato italiano rispetto ai competitor europei.
9/2679-bis-A/78. Corsaro, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 90, del provvedimento in esame introduce uno sgravio contributivo per le assunzioni con contratto a tempo indeterminato per le nuove assunzioni effettuate tra il 1o gennaio ed il 31 dicembre 2015, e consiste nell'esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro nel limite massimo di un importo pari a ottomila euro annui, per un periodo massimo di trentasei mesi;
              a fronte dell'introduzione del nuovo sgravio contributivo, lo stesso provvedimento dispone la soppressione definitiva dei benefici contributivi previsti all'articolo 8, comma 9, della legge n.  407 del 1990 che prevede, a favore delle imprese che assumono disoccupati o cassintegrati da almeno 24 mesi, una riduzione contributiva del 50 per cento per un periodo di tre anni, riduzione che arriva fino al 100 per cento per le imprese nel Mezzogiorno e per le imprese artigiane;
              per la corresponsione del beneficio non è richiesto alle aziende di realizzare un vero saldo occupazionale attivo;
              la norma proposta, inoltre, interviene meramente sulla decontribuzione per le imprese, tralasciando completamente l'aspetto relativo alla decontribuzione in favore dei lavoratori,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di una iniziativa volta all'istituzione di un meccanismo di agevolazione alle assunzioni, che possa essere applicato sia ai contratti a tempo determinato che a tempo indeterminato, che preveda, per la durata di cinque anni, una decontribuzione a favore dei lavoratori e delle aziende che assumono, che permetta di ridurre il costo del lavoro fino a corrispondere al lavoratore in busta paga l'ottanta per cento, al netto dei versamenti Irpef dovuti, del costo sostenuto dal datore di lavoro per la sua retribuzione, a tal fine prevedendo che al beneficio possano accedere solo le aziende che grazie all'utilizzo della stessa realizzino un aumento delle persone occupate di almeno una unità rispetto all'occupazione media dell'anno precedente, pena l'esclusione dall'accesso a ulteriori future misure agevolative per nuove assunzioni.
9/2679-bis-A/79. Giorgia Meloni.


      La Camera,
          premesso che:
              i commi da 12 a 19 dell'articolo 3 del provvedimento in esame contengono norme volte al miglioramento del rapporto tra fisco e contribuenti, al fine di aumentare l'adempimento spontaneo agli obblighi fiscali, nell'ottica della cosiddetta tax compliance;
              le norme citate, ad esempio, modificano anche le modalità, i termini e le agevolazioni connesse all'istituto del ravvedimento operoso, prevedendo che si possa usufruire dello stesso senza limiti di tempo, con una riduzione automatica delle sanzioni;
              nell'ambito delle politiche di tax compliance si rende quanto mai opportuno prevedere la possibilità, per le aziende non sottoposte a procedura fallimentare, di poter compensare i propri debiti iscritti a ruolo con i crediti certi ed esigibili nei confronti della pubblica amministrazione, senza dover corrispondere il pagamento di interessi e sanzioni;
              un precedente ordine del giorno presentato sulla stessa materia e accolto dal Governo non ha ancora avuto esito, né sono stati approvati gli emendamenti presentati con la medesima finalità in Commissione durante l'esame del presente disegno di legge,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di iniziative per la definizione di una normativa che consenta, anche temporaneamente, ai soggetti non sottoposti a procedure fallimentari la compensazione dei crediti escludendo dagli importi dovuti le sanzioni, l'aggio e gli interessi di mora.
9/2679-bis-A/80. Taglialatela.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge di stabilità per il 2015, pone in essere, anche a seguito delle modifiche apportate in sede referente, per le diverse politiche pubbliche, interventi di razionalizzazione della spesa che si accompagnano al finanziamento di esigenze indifferibili e di misure ritenute strategiche per la crescita;
              in tale quadro, gli interventi operati in sede referente risultano, in particolare, orientati all'individuazione di misure di sostegno ai settori produttivi, al fine di rilanciare la ripresa occupazionale e stimolare la domanda interna;
              l'esposizione universale di EXPO 2015, il cui avvio è previsto il prossimo 1o maggio al 31 ottobre 2015, rappresenta a tal fine, un evento in ambito mondiale, oltre che educativo e scientifico di portata internazionale, un'occasione per rilanciare l'immagine anche dell'economia italiana, anche in termini di incremento del prodotto interno lordo;
              l'intervento previsto dalla manovra economica triennale, a tal fine, attraverso la proposta emendativa introdotta in sede referente, che esclude alla società EXPO, fino al 31 dicembre 2015, le norme di contenimento delle spese per l'acquisto di beni e servizi, nonché quelle limitative delle assunzioni di personale, anche con forme flessibili, previste dalla legislazione vigente a carico dei soggetti inclusi nell'elenco Istat delle amministrazioni pubbliche, in considerazione del suo scopo sociale, consentirà un margine di flessibilità positivo e di sviluppo, in grado di pianificare l'organizzazione di un incontro tra popoli di ogni continente che coinvolgerà non soltanto la Lombardia, quale regione ospitante, dal punto di vista dell'accoglienza turistico-ricettiva, per milioni di turisti e visitatori;
              la regione Piemonte a tal fine, quale area territoriale confinante sarà infatti inevitabilmente interessata dal flusso turistico di visitatori potenziali stimati complessivamente in circa 20 milioni;
              l'estensione di misure indicate dalla legge di stabilità 2015, in termini di maggiore flessibilità per le assunzioni di personale, anche in favore delle amministrazioni locali piemontesi, interessate direttamente dall'evento mondiale, nell'ambito dei servizi turistico-ricettivi disponibili ad ospitare i milioni di turisti attesi, può a tal fine, costituire una decisione positiva e migliorativa al fine di aumentare la domanda turistica nella regione Piemonte e al contempo, incrementare il prodotto interno lordo, per l'intera area del Nord Italia,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere ulteriori iniziative volte a prevedere l'estensione delle misure indicate all'interno del disegno di legge di stabilità 2015, in termini di flessibilità, anche in favore delle amministrazioni locali piemontesi, le cui strutture turistico ricettive s'intendono direttamente coinvolte dall'evento internazionale di EXPO 2015, ai fini dell'accoglienza e dell'ospitalità dei milioni di turisti e visitatori che giungeranno da ogni parte del pianeta.
9/2679-bis-A/81. Nastri.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame inasprisce sensibilmente la tassazione a carico dei lavoratori, colpendo sia il trattamento di fine rapporto sia l'imposizione sui fondi di previdenza complementare;
              con riferimento al primo aspetto il disegno di legge istituisce la facoltà per i lavoratori di chiedere l'erogazione mensile in busta paga della quota di TFR maturata, prevedendo, tuttavia, che l'importo erogato sarà cumulato allo stipendio e tassato con l'aliquota ordinaria progressiva, anziché in base alla tassazione straordinaria ad aliquota unica;
              inoltre, il provvedimento aumenta l'aliquota di tassazione per la rivalutazione del TFR dall'11 al 17 per cento, e con riferimento alla previdenza complementare innalza dall'11 al 20 per cento l'aliquota di tassazione per i fondi pensione, con le ovvie negative ripercussioni sui lavoratori che cessano dal proprio impiego;
              la corresponsione del TFR in busta paga e l'aumento di reddito imponibile che ne consegue determineranno in molti casi l'esclusione dei soggetti che si avvalgano di tale facoltà dall'accesso agevolato ad alcuni servizi e prestazioni di carattere sociale, determinato in ragione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), causando, di fatto, una doppia penalizzazione di tali soggetti,

impegna il Governo

a valutare l'adozione delle opportune iniziative affinché l'erogazione anticipata delle quote di TFR non sia calcolata ai fini della determinazione del reddito da utilizzare per la definizione dei livelli ISEE.
9/2679-bis-A/82. La Russa.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 44, del provvedimento in esame aumenta al 15 per cento l'aliquota forfettaria per gli imprenditori che esercitano la propria attività in forma individuale, individuando soglie di ricavi diverse a seconda del tipo di attività esercitata per poter accedere al regime agevolato;
              con l'introduzione della nuova aliquota decade anche il regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile e i lavoratori in mobilità, attualmente determinata in un'aliquota del 5 per cento;
              la sostanziale triplicazione dell'imposta a carico di queste categorie, che quantomeno con riferimento alle attività imprenditoriali già in atto potranno continuarne a fruire del regime attualmente vigente per il periodo che residua al completamento del quinquennio agevolato e comunque fino al compimento del trentacinquesimo anno di età, determinerà un fortissimo calo nell'avvio di nuovi progetti imprenditoriali;
              appare evidente, quindi, come tale previsione si ponga nettamente in contrasto con la impellente necessità del rilancio occupazionale e produttivo del nostro Paese,

impegna il Governo

a valutare l'adozione in successive iniziative normative di misure che possano consentire alle citate categorie di accedere a forme di benefici fiscali che rendano sostenibile l'avvio di nuove attività imprenditoriali.
9/2679-bis-A/83. Maietta.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame non rifinanzia il contributo previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1980, n.  613, in favore della Croce rossa italiana;
              a norma dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n.  183, con il decreto legislativo 28 settembre 2012, n.  178, è stata disposta la riorganizzazione dell'associazione italiana della Croce rossa (CRI) prevedendo che a decorrere dal 1o gennaio 2014, le funzioni da essa esercitate fossero trasferite alla costituenda Associazione della Croce Rossa italiana come persona giuridica di diritto privato, e che, alla stessa data, l'Ente pubblico C.R.I. assumesse la denominazione di «Ente strumentale alla Croce Rossa italiana», con la finalità di concorrere temporaneamente allo sviluppo dell'Associazione, fino alla data della sua definitiva liquidazione, prevista per il 1o gennaio 2016;
              ad oggi, la privatizzazione è già stata realizzata per i comitati locali e provinciali mentre restano ancora in capo alla struttura di natura pubblica, in forza della proroga di un anno disposta con l'articolo 4, comma 10-ter, del decreto-legge 31 agosto 2013, n.  101;
              l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica prevede che il personale non in servizio continuativo cessi dalle proprie funzioni al prossimo 31 dicembre, mentre il personale in servizio continuativo dovrà essere ridotto da ottocento a trecento unità in seguito ad una selezione interna per titoli per dare supporto all'associazione, fermo restando che il predetto contingente terminerebbe comunque la sua attività entro il 31 dicembre 2016, data in cui tali lavoratori saranno messi in mobilità non garantita;
              tutto il personale citato è attualmente addetto alla manutenzione delle strutture e alla gestione del personale in congedo, e la sua cessazione dal servizio determinerà un danno all'operatività della intera struttura, oltre al fatto di lasciare senza lavoro centinaia di persone,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di una ulteriore proroga in favore del citato personale attualmente in servizio presso la Croce rossa italiana, ai finì della salvaguardia dei livelli occupazionali e della piena operatività della struttura.
9/2679-bis-A/84. Rampelli, La Russa.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 139, del provvedimento in esame prevede l'istituzione di un fondo per il finanziamento delle esigenze urgenti e indifferibili con una dotazione di 110 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e di 100 milioni di euro a decorrere dal 2018;
              il fondo è annualmente ripartito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto del Ministero dell'economia e delle finanze, tra le finalità e negli importi indicati nell'elenco 1 allegato al disegno di legge;
              tra le finalità sono previsti interventi di carattere sociale per 100 milioni a decorrere dal 2015, volti alla stipula di convenzioni con i comuni per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili e per la prosecuzione del finanziamento di progetti per servizi socialmente utili;
              la stabilizzazione di lavoratori socialmente utili senza concorso crea ingiustizia nei confronti di molti i giovani che hanno superato regolari concorsi pubblici e sono inseriti nelle graduatorie in attesa di essere assunti;
              le recenti riforme si ispirano al principio di accesso alla pubblica amministrazione mediante concorso, così come sancito dall'articolo 97 della Costituzione;
              il disegno di legge cosiddetto jobs act, collegato alla manovra finanziaria 2015, prevede una revisione delle politiche attive per il lavoro, degli ammortizzatori e delle integrazioni salariali che consentiranno un superamento dell'attuale figura dei lavoratori socialmente utili;
              lo stesso provvedimento all'articolo 1, comma 2, lettera d), specifica che il coinvolgimento attivo del beneficio degli ammortizzatori sociali possa consistere anche in attività a beneficio di comunità locali, con modalità che non determinino aspettative di accesso agevolato alla pubblica amministrazione,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di assumere ulteriori iniziative per il superamento delle figure dei lavoratori socialmente utili che negli ultimi anni si sono moltiplicate e hanno destano diversi problemi, nonché di una soluzione alternativa alla stabilizzazione senza concorso;
          in alternativa, laddove si proceda ad una stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili, ad assumere iniziative per far sì che essa avvenga mediante regolare concorso pubblico, previa verifica delle condizioni/esplicitate nell'articolo 4 del decreto legge del 31 agosto 2013, n.  101, convertito, con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n.  125.
9/2679-bis-A/85. Tinagli, Mazziotti Di Celso, Bombassei, Cimmino, Galgano, Vecchio, Vargiu, Vitelli, Molea.


      La Camera,
          premesso che:
              il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO) è un centro avanzato e di eccellenza per la cura dei tumori con particelle pesanti denominate adroni, protoni e ioni carbonio;
              l'adroterapia è un trattamento indolore che consente di colpire il tumore in modo selettivo, senza danneggiare i tessuti sani che lo circondano e, in alcuni casi, di uccidere anche le cellule «sopravvissute» alla radioterapia convenzionale;
              l'utilizzo dell'adroterapia per la cura dei tumori è prevista tra le «Tematiche di sistema» del Piano Sanitario Nazionale ed è una terapia consigliata ed elettiva per circa 3000 pazienti all'anno in Italia;
              le patologie interessate riguardano tumori non trattabili – o non trattabili in modo adeguato – con le terapie convenzionali, quali cordomi e condrosarcomi della base cranica, cordomi e condrosarcomi della spina e del sacro, meningiomi intracranici, tumori localmente avanzati della testa-collo, tumori delle ghiandole salivari, sarcomi delle ossa e dei tessuti molli testa-collo e spina, melanomi mucosi, adenomi pleomorfi ricorrenti, reirradiazioni dei tumori testa-collo, tumori dell'orbita, tumore della prostata ad alto rischio, tumore del pancreas localmente avanzato, epatocarcinomi;
              il CNAO costituisce altresì un centro italiano di eccellenza per la ricerca in ambito sanitario e della fisica nel panorama internazionale; ne sono prova i progetti di ricerca finanziati nel 7o Programma quadro, i progetti di ricerca clinica, inclusi studi randomizzati di fase III, in collaborazione con prestigiosi istituti internazionali, le richieste di collaborazione e le convenzioni stipulate con le istituzioni pubbliche di Paesi esteri, che richiedono supporto e assistenza nella realizzazione dei rispettivi Centri di adroterapia;
              il Centro è stato per la prima volta previsto e finanziato dall'articolo 92, comma 1, della legge n.  388 del 2000. Per la realizzazione e la gestione del Centro è stata costituita, in coerenza con la previsione normativa, una Fondazione di partecipazione, cui partecipano oggi enti pubblici e privati di ricerca e cura nel campo oncologico, nonché prestigiosi Atenei pubblici;
              ad un quadro scientifico-clinico di eccellenza corrisponde una situazione finanziaria molto critica. Nonostante la legge del 27 dicembre 2006 n.  296 abbia stanziato un fondo specifico per il completamento della costruzione e il funzionamento del Centro, l'impegno è stato disatteso a partire dal 2009 e la somma complessiva si è rivelata largamente insufficiente al raggiungimento dei predetti scopi;
              il Centro è costato complessivamente i 35 milioni di euro per la realizzazione e 45 milioni di euro per la sperimentazione, richiesta dal Ministero della salute per verificare la sicurezza e l'efficacia dell'adroterapia e conclusasi positivamente nel dicembre 2013 con la marcatura CE. A fronte di ciò, i contributi erogati dallo Stato finora ammontano a complessivi 94,5 milioni di euro,

impegna il Governo

al fine di salvaguardare e sostenere la presenza internazionale della ricerca italiana nel campo biomedico e fisico, a valutare l'opportunità di integrare il finanziamento pubblico già previsto per il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO), al fine di assicurare il raggiungimento delle finalità sopra indicate in materia di sanità e ricerca scientifica, evitando che siano vanificati i contributi pubblici già erogati ed il patrimonio di conoscenze generato dalla Fondazione e dagli enti che vi partecipano per dotare il Paese di una struttura all'avanguardia per la cura delle patologie oncologiche.
9/2679-bis-A/86. Falcone, Mazziotti Di Celso, Monchiero, Rabino, Scuvera, Carnevali.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 21, del provvedimento in esame prevede, in via sperimentale e in relazione ai periodi di paga decorrenti dal 1o marzo 2015 al 30 giugno 2018, l'erogazione di quote del trattamento di fine rapporto maturando come parte integrativa della retribuzione per i dipendenti del settore privato, a condizione che abbiano un rapporto di lavoro in essere da almeno sei mesi presso il medesimo datore di lavoro;
              l'erogazione avviene in seguito a manifestazione di volontà da parte del lavoratore e se, esercitata, la scelta è irrevocabile fino al termine del periodo sperimentale;
              il comma 25 dispone che i datori di lavoro che non intendano corrispondere immediatamente con risorse proprie le quote maturande del trattamento di fine lavoro possano accedere ad un finanziamento assistito da garanzia rilasciata da un Fondo di garanzia istituito presso l'Inps e da garanzia dello Stato di ultima istanza;
              ai sensi del comma 26, al fine di accedere ai suddetti finanziamenti i datori di lavoro, ottenuta dall'Inps apposita certificazione relativa al trattamento di fine rapporto maturato in relazione ai montanti retributivi dichiarati per ciascun lavoratore, possono presentare richiesta di finanziamento presso una delle banche o intermediari finanziari che aderiscono all'apposito accordo quadro da stipularsi fra i Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze e l'Associazione bancaria Italiana;
              con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono individuate le modalità di attuazione delle suddette disposizioni, nonché i criteri e le modalità di funzionamento del Fondo di garanzia per l'accesso ai finanziamenti e della garanzia dello Stato come prestatore di ultima istanza,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di inserire in sede di emanazione del suddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la facoltà per i datori di lavoro di presentare, nelle more dell'approvazione dell'accordo quadro, richiesta di finanziamento presso un istituto bancario nazionale, avvalendosi del Fondo di Garanzia Inps quale strumento di garanzia di solvibilità.
9/2679-bis-A/87. Librandi.


      La Camera,
          premesso che:
              il 10 luglio 2014 è stata siglata tra Governo e Regioni l'intesa con la quale si è approvato il documento «Patto per la salute 2014-2016»;
              all'articolo 6 dell'accordo (Assistenza socio-sanitaria) viene stabilito che «le relative prestazioni “sono effettuate nei limiti delle risorse previste” (comma 1); “le Regioni disciplinano i principi e gli strumenti per l'integrazione dei servizi e delle attività sanitarie, sociosanitarie e sociali, particolarmente per le aree della non autosufficienza, della disabilità, della salute mentale adulta e dell'età evolutiva, dell'assistenza ai minori e delle dipendenze e forniscono indicazioni alle Asl ed agli altri enti del sistema sanitario regionale per l'erogazione congiunta degli interventi, nei limiti delle risorse programmate per il Servizio sanitario regionale e per il Sistema dei servizi sociali per le rispettive competenze” (comma 2); “le Regioni si impegnano ad armonizzare i servizi socio sanitari, individuando standard minimi qualificanti di erogazione delle prestazioni socio sanitarie che saranno definite anche in base al numero e alla tipologia del personale impiegato” (comma 8);
              la tutela della salute rappresenta un diritto fondamentale, sancito dell'articolo 32 della Costituzione;
              lo Stato, ex articolo 117 della Costituzione ha legislazione esclusiva in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», la legge n.  833 del 1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale stabilisce che esso debba assicurare «la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali ne siano le cause, la fenomenologia e la durata» (articolo 2) e che esso opera «nei confronti di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio» (articolo 1);
              con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001, avente forza di legge in base all'articolo 54 della legge n.  289 del 2002, sono stati definiti i Livelli essenziali di assistenza (Lea) delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie;
              nella la sentenza n.  509/2000 la Corte costituzionale ha precisato che il diritto alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie «è garantito ad ogni persona come un diritto costituzionalmente condizionato all'attuazione che il legislatore ne dà attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti [...]. Bilanciamento che, tra l'altro, deve tenere conto dei limiti oggettivi che il legislatore incontra in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone, restando salvo, in ogni caso, quel nucleo irriducibile alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana [...], il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l'attuazione di quel diritto»;
              in una recente pronuncia del 2013 (sentenza n.  36), la Corte costituzionale ha precisato che «l'attività sanitaria e socio-sanitaria a favore di anziani non autosufficienti è elencata tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001». Nella stessa sentenza, la Corte costituzionale ha definito non autosufficienti le «persone anziane o disabili che non possono provvedere alla cura della propria persona e mantenere una normale vita di relazione senza l'aiuto determinante di altri»;
              la limitazione delle prestazioni socio-sanitarie alle risorse previste viola il principio della tutela della salute espresso dalla Costituzione e con le leggi vigenti in materia di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie;
              l'assegnazione alle Regioni del compito di disciplinare «i principi e gli strumenti per l'integrazione dei servizi e delle attività sanitarie, sociosanitarie e sociali» e di individuare «standard minimi qualificanti di erogazione delle prestazioni socio sanitarie» contrasta con l'esclusiva titolarità dello Stato nella definizione dei livelli essenziali delle prestazioni;
              le suddette disposizioni del Patto per la salute annullano di fatto il diritto alle cure sanitarie e socio sanitarie per milioni di nostri concittadini malati e/o colpiti da handicap gravemente invalidante, introducendo una inaccettabile discriminazione non solo fra i malati acuti e quelli cronici non autosufficienti, ma anche fra malati autosufficienti e malati non autosufficienti colpiti da analoghe patologie acute;
              mediante tali provvedimenti si introduce un elemento di discrezionalità nell'attività del medico che può determinare l'accesso o meno alle cure per un paziente in funzione della sua classificazione come malato necessitante dell'assistenza socio-sanitaria limitata alla disponibilità di risorse anziché di quella sanitaria non vincolata alla quantità di risorse disponibili,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, tenendo conto della Risoluzione n.  8-00191 (approvata all'unanimità dalla Commissione affari sociali della Camera dei Deputati l'11 luglio 2012), di adottare in breve termine le iniziative necessarie per assicurare la corretta attuazione e la concreta esigibilità delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie previste dai Livelli essenziali di assistenza (Lea) alle persone con handicap invalidanti gravi, agli anziani malati cronici non autosufficienti, ai soggetti colpiti dal morbo di Alzheimer o da altre forme neurodegenerative e di demenza senile e ai pazienti psichiatrici, assicurando loro l'erogazione delle prestazioni domiciliari, semiresidenziali e residenziali.
9/2679-bis-A/88. Galgano.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2, comma 82, del provvedimento in esame, al fine di contribuire al mantenimento della continuità didattica e alla piena attuazione dell'offerta formativa, prevede che a decorrere dal 1o settembre 2015 il personale appartenente al comparto scuola non possa più essere posto in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o utilizzazione comunque denominata, presso le pubbliche amministrazioni nonché presso le autorità indipendenti;
              sono previste, tuttavia, alcune deroghe alla nuova disciplina per le ipotesi di collocamento fuori ruolo di cui all'articolo 26, comma 8, della legge 23 dicembre 1998, n.  448 e successive modificazioni, nonché di cui all'articolo 307 e alla parte V del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297, e all'articolo 1, comma 4, della legge 3 agosto 1998, n.  315 e delle prerogative sindacali ai sensi della normativa vigente;
              detto personale non può essere definito funzionale ai fini del mantenimento della richiamata e conclamata continuità didattica ma, viceversa, può continuare ad essere utile presso gli uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri ove è distaccato proprio in virtù dell'esperienza e della professionalità acquisite nei settori specifici cui era stato destinato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere ulteriori iniziative al fine di tenere conto anche delle ipotesi di collocamento fuori ruolo previste dalla legge 23 agosto 1988, n.  400, e successive modificazioni e integrazioni, in particolare quelle di cui all'articolo 9, comma 5-ter, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.  303, proprio al fine di contribuire al mantenimento della continuità didattica e alla piena attuazione dell'offerta formativa e di rimediare a possibili situazioni eccezionali del personale docente che, a seguito dell'utilizzazione pluriennale presso le pubbliche amministrazioni, non assicura in alcun modo la continuità didattica, trattandosi di personale che, a fronte delle specifiche attività svolte presso l'amministrazione nella quale opera, ha ormai acquisito una professionalità che non rientra più nelle competenze didattiche richieste per lo svolgimento dell'attività docente.
9/2679-bis-A/89. D'Agostino, Matarrese, Famiglietti, Centemero, Carfagna.


      La Camera,
          premesso che:
              le Istituzioni dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale (AFAM) hanno subito negli ultimi anni tagli in alcuni casi tali da comprometterne le funzioni statuite per legge;
              le risorse destinate alle istituzioni AFAM sono iscritte nella missione «Istruzione universitaria», Programma «Istituti di Alta cultura», dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che nel disegno di legge del bilancio 2015 presenta uno stanziamento pari a 429,7 milioni di euro, di cui 385,9 per le competenze fisse ed accessorie del personale delle medesime istituzioni;
              l'articolo 2, comma 92, del provvedimento in esame prevede un'ulteriore riduzione pari ad un milione di euro per il 2015 delle risorse destinate al funzionamento delle Istituzioni AFAM;
              il comma 88 del medesimo articolo dispone una riduzione delle spese per accertamenti medico-legali sostenute da Università e dalle istituzioni AFAM per 700.000 euro a decorrere dall'anno 2015,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di destinare una quota del risparmio ottenuto dalla riduzione delle spese per accertamenti medico-legali alle attività proprie delle citate università e istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, al fine di restituire almeno parte delle funzionalità perse da questo settore di eccellenza.
9/2679-bis-A/90. Antimo Cesaro, Vezzali.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2, comma 79, del provvedimento in esame riduce il numero dei coordinatori periferici di educazione fisica che possono usufruire dell'esonero dall'insegnamento;
              in particolare, novellando l'articolo 307 del decreto legislativo n.  297 del 1994, si dispone che, a decorrere dal 1o settembre 2015, l'organizzazione e il coordinamento periferico del servizio di educazione fisica è di competenza degli uffici scolastici regionali e del dirigente ad essi preposto, che può avvalersi della collaborazione di un dirigente scolastico o di un docente di ruolo di educazione fisica, che può essere dispensato in tutto o in parte dall'insegnamento;
              rispetto alla normativa vigente, cambia l'ambito territoriale di riferimento, che passa da provinciale a regionale, dal momento che il testo vigente dell'articolo 307 del decreto legislativo n.  297 del 1994 affidava l'organizzazione ed il coordinamento periferico del servizio di educazione fisica alla competenza dei provveditori agli studi che avevano sede nel capoluogo di ogni provincia e le cui competenze, dopo la soppressione con decreto del Presidente della Repubblica n.  47 del 2000, sono state trasferite agli uffici scolastici regionali (USR);
              il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, emanando il 27 settembre 2002 le «Linee guida in materia di organizzazione del servizio di educazione motoria, fisica e sportiva», ha chiarito che, sebbene la programmazione delle attività sportive scolastiche, le valutazioni e le decisioni finali, in ordine all'individuazione degli obiettivi da raggiungere e alle azioni da intraprendere sono riservate al titolare dell'USR per le attività da porre in essere il livello provinciale si rivela ancora il più idoneo sotto il profilo organizzativo-gestionale e operativo a recepire le esigenze in esso presenti. «In tale ottica appare logico e conseguenziale che i coordinatori continuino a svolgere i propri compiti nei territori provinciali di pertinenza, in stretto raccordo e coordinamento con la Direzione generale regionale»;
              allo stato attuale i coordinatori sono 108, dei quali 18 presso gli uffici scolastici regionali e 90 presso gli uffici scolastici territoriali,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 2, comma 79, alla luce delle considerazioni riportate in premessa anche al fine di porre in essere ulteriori iniziative normative.
9/2679-bis-A/91. Vezzali, Molea.


      La Camera,
          premesso che:
              le conclusioni dell'indagine conoscitiva della VII Commissione cultura sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica nel nostro Paese hanno evidenziato in modo tragicamente chiaro che esistono notevoli scostamenti del fenomeno tra le varie regioni e le diverse aree territoriali;
              la situazione peggiore si registra in Sardegna che, con una percentuale del 36,2 per cento di abbandono scolastico contro una media nazionale del 27 per cento, rappresenta il record negativo nazionale, tanto da rappresentare una ferita profonda e una potenziale pesante ipoteca sul futuro economico della regione;
              i dati emersi dimostrano inoltre che il 25,8 per cento di giovani sardi tra i 18 e i 24 anni non riesce a conseguire un diploma o una qualifica di scuola secondaria superiore e che le perdite maggiori si registrano proprio negli istituti professionali (che, al contrario, dovrebbero costituire le «officine del futuro» ed i «luoghi dei mestieri») ove l'abbandono raggiunge il 49,3 per cento dei ragazzi, di cui il 31 per cento dopo il biennio iniziale;
              dal 2007 al 2012, l'isola ha segnato una recrudescenza del fenomeno (più 3,8 per cento) che la mantiene lontanissima dalla media nazionale ed europea;
              i dati OCSE PISA - Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca riferiti al 2011 rispecchiano questo gap: alla fine del primo anno delle scuole secondarie superiori statali la percentuale media di dispersione nazionale è stata dell'11,4 mentre in Sardegna è stata del 15,3 per cento, tornando ai livelli del 1995;
              in prospettiva, la distanza della regione sarda rispetto ai target fissati per gli early school leavers in ambito europeo (10 per cento) e italiano (sedici per cento) per il 2020, rimane ancora molto marcata (25,5 per cento);
              la road map disegnata dall'indagine conoscitiva della Commissione Cultura della Camera indica che per prevenire la dispersione occorre operare direttamente e con risorse significative sui ragazzi che oggi hanno dai 12 ai 14 anni;
              tale conclusione stride con le risibili risorse stanziate dalla regione Sardegna (4 milioni di euro) nonostante i 54 milioni finanziati dall'Unione europea dal piano «Garanzia Giovani», per progetti di formazione rivolti ai ragazzi di 15 anni e più;
              senza investimenti adeguati nell'istruzione e nella conoscenza le aree più arretrate e povere del Paese come la Sardegna finiranno per perdere i propri talenti e la stessa sfida della competizione e della competitività,

impegna il Governo

a valutare, come peraltro indicato dalla Commissione Cultura della Camera, e anche alla luce delle risorse attribuite al nuovo Fondo per la realizzazione del Piano «La Buona Scuola» l'opportunità di costituire un'unità di crisi ad hoc presso la Presidenza del Consiglio, nonché a promuovere e dare impulso ad una nuova fase di concertazione tra Stato, Regione e Comuni per ridisegnare l'intero sistema educativo sardo, anche monitorando come siano impiegati i finanziamenti europei.
9/2679-bis-A/92. Vargiu, Matarrese, Palmieri.


      La Camera,
          premesso che:
              le conclusioni dell'indagine conoscitiva della VII Commissione cultura sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica nel nostro Paese hanno evidenziato in modo tragicamente chiaro che esistono notevoli scostamenti del fenomeno tra le varie regioni e le diverse aree territoriali;
              la situazione peggiore si registra in Sardegna che, con una percentuale del 36,2 per cento di abbandono scolastico contro una media nazionale del 27 per cento, rappresenta il record negativo nazionale, tanto da rappresentare una ferita profonda e una potenziale pesante ipoteca sul futuro economico della regione;
              i dati emersi dimostrano inoltre che il 25,8 per cento di giovani sardi tra i 18 e i 24 anni non riesce a conseguire un diploma o una qualifica di scuola secondaria superiore e che le perdite maggiori si registrano proprio negli istituti professionali (che, al contrario, dovrebbero costituire le «officine del futuro» ed i «luoghi dei mestieri») ove l'abbandono raggiunge il 49,3 per cento dei ragazzi, di cui il 31 per cento dopo il biennio iniziale;
              dal 2007 al 2012, l'isola ha segnato una recrudescenza del fenomeno (più 3,8 per cento) che la mantiene lontanissima dalla media nazionale ed europea;
              i dati OCSE PISA - Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca riferiti al 2011 rispecchiano questo gap: alla fine del primo anno delle scuole secondarie superiori statali la percentuale media di dispersione nazionale è stata dell'11,4 mentre in Sardegna è stata del 15,3 per cento, tornando ai livelli del 1995;
              in prospettiva, la distanza della regione sarda rispetto ai target fissati per gli early school leavers in ambito europeo (10 per cento) e italiano (sedici per cento) per il 2020, rimane ancora molto marcata (25,5 per cento);
              la road map disegnata dall'indagine conoscitiva della Commissione Cultura della Camera indica che per prevenire la dispersione occorre operare direttamente e con risorse significative sui ragazzi che oggi hanno dai 12 ai 14 anni;
              tale conclusione stride con le risibili risorse stanziate dalla regione Sardegna (4 milioni di euro) nonostante i 54 milioni finanziati dall'Unione europea dal piano «Garanzia Giovani», per progetti di formazione rivolti ai ragazzi di 15 anni e più;
              senza investimenti adeguati nell'istruzione e nella conoscenza le aree più arretrate e povere del Paese come la Sardegna finiranno per perdere i propri talenti e la stessa sfida della competizione e della competitività,

impegna il Governo

a valutare, come peraltro indicato dalla Commissione Cultura della Camera, e anche alla luce delle risorse attribuite al nuovo Fondo per la realizzazione del Piano «La Buona Scuola» l'opportunità di costituire un'unità di crisi ad hoc presso la Presidenza del Consiglio, nonché a promuovere e dare impulso ad una nuova fase di concertazione tra Stato, Regione e Comuni anche monitorando come siano impiegati i finanziamenti europei.
9/2679-bis-A/92.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Vargiu, Matarrese, Palmieri.


      La Camera,
          premesso che:
              con Decreto Interministeriale 28 dicembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 1 febbraio 2013 n.  27, è stato disposto un piano straordinario per la chiamata di professori di seconda fascia;
              per quanto riguarda, invece, la chiamata di professori di prima fascia non è stato ancora disposto un piano straordinario nonostante le rilevazioni statistiche del Consiglio universitario nazionale indichino la necessità di nuove assunzioni non solo per coprire molti posti vacanti ma anche per soddisfare le esigenze di ricambio generazionale;
              nell'anno 2014, infatti, il Consiglio universitario nazionale, nell'adunanza del 29 gennaio 2014, ha rilevato che nel 2017 saranno in servizio soltanto la metà dei professori di prima fascia rispetto a coloro che lo erano nel 2007;
              secondo i dati Consiglio universitario nazionale infatti, negli ultimi 7 anni i professori ordinari si sono ridotti del 30 per cento a causa dei pensionamenti e non vi è stata ancora alcuna compensazione in termini numerici;
              si rileva, infatti, che alcune università sono bloccate nelle chiamate e nei concorsi di prima fascia per mancanza di risorse economiche nonostante vi siano numerosi pensionamenti rimasti senza turn over. Tutto ciò accade proprio in una fase in cui è maggiormente sentita l'esigenza di un rinnovamento, anche in considerazione del fatto che ai professori di prima fascia è affidato, in via esclusiva, un ruolo importante come quello del reclutamento;
              il Consiglio universitario nazionale ha quindi auspicato, nel documento del 9 aprile 2014 denominato «Reclutamento Universitario, una proposta per uscire dall'emergenza», l'introduzione di un piano straordinario per l'assunzione di 4000 professori di prima fascia da programmare nell'arco del prossimo triennio;
              la realizzazione di un piano straordinario verrebbe incontro alla necessità di realizzare quanto da tempo richiesto dall'Unione europea che, nel rapporto dell’High Level Group on the Modernisation of Higher Education sull’«Improving the quality of teaching and learning in Europe's higher educatión institutions» (2013), ha ribadito che l'impegno nella didattica e nella ricerca deve portare a progressioni di carriera. Solo in questo modo, d'altra parte, le nostre università potranno competere con quelle europee;
              un piano straordinario per la chiamata degli abilitati alla prima fascia non solo non discriminerebbe i ricercatori ma, anzi, rappresenterebbe una equiparazione di trattamento per gli attuali professori associati rispetto ai ricercatori che già godono di un finanziamento straordinario; un nuovo piano, inoltre, consentirebbe anche a quei ricercatori che hanno conseguito l'abilitazione alla prima fascia di essere chiamati;
              un piano straordinario per la chiamata di professori di prima fascia non sarebbe discriminatoria nei confronti di alcuna area geografica del Paese poiché le università in difficoltà economiche e impossibilitate a fare le chiamate si trovano collocate trasversalmente su tutto il territorio nazionale;
              il ruolo rivestito dai professori di prima fascia nell'ambito delle istituzioni universitarie è di fondamentale importanza non solo in un contesto di valorizzazione delle attività scientifiche, di guida di gruppi di ricerca e di attrazione delle risorse in progetti competitivi, ma anche nella partecipazione ad organi e commissioni di concorso,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intraprendere tutte le iniziative normative di propria competenza affinché si possa realizzare un piano straordinario per la chiamata di professori di prima fascia al fine di garantire la copertura dei posti liberi, o di quelli che si renderanno liberi, nelle università e, quindi, il ricambio generazionale dei docenti ordinari nonché al fine di dare concreta attuazione non solo alla necessità di progressione di carriera universitaria indicate dall'Unione europea nel documento citato in premessa ma anche alle linee politiche del programma di Governo che ha posto l'istruzione al centro della sua azione politica e parlamentare.
9/2679-bis-A/93. Matarrese, Dambruoso, Librandi, D'Agostino, Vecchio, Piepoli, Causin, Galgano.


      La Camera,
          premesso che:
              il 25 novembre scorso è stata celebrata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, istituita nel 1999 dalle Nazioni Unite;
              secondo recenti stime una donna su tre nel mondo avrebbe subito qualche genere di aggressione fisica o sessuale, anche tra le mura domestiche;
              in Italia ogni anno più di un milione di donne subisce atti di violenza maschile (dallo schiaffo allo stupro);
              lo scorso anno è stata approvata la legge sul contrasto alla violenza di genere (decreto legge n.  93 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n.  119/2013) che tra l'altro prevede la definizione di un Piano nazionale antiviolenza che dovrebbe coordinare strategie e risorse, peraltro sollecitato dalla stessa Convenzione di Istanbul, in vigore in Italia dal 1o agosto 2014;
              nell'ultimo anno sembra esserci stato qualche segnale di miglioramento: se il 2013 si è raggiunta la cifra record di 179 donne uccise da uomini, negli ultimi dodici mesi si è registrato un calo dell'8 per cento con 152 vittime;
              sempre nell'ultimo anno sono stati firmati, con provvedimento di pubblica sicurezza, 5.890 divieti di avvicinamento per il coniuge all'abitazione o al luogo di lavoro della vittima; rispetto ai dati nazionali emerge che una vittima su tre è donna;
              nella lotta contro la violenza sulle donne vi è un forte impegno dell'Italia nel semestre di presidenza europea e molto deve essere ancora fatto sul fronte della prevenzione, della protezione delle vittime e delle sanzioni;
              la citata legge n.  119 del 2013 sul femminicidio ha previsto per il biennio 2013/2014 un finanziamento di 17 milioni di euro (7 milioni per il 2014 e 10 milioni per il 2015) per i centri antiviolenza e le case rifugio, che dovrebbero integrare e non sostituire le scarse risorse di cui dispongono i circa 350 centri attivi in Italia;
              il piano del Governo, trasmesso nei giorni scorsi alla Conferenza delle regioni, prevede che il modello stanziamento i 17 milioni di euro (pari a 5.670.000) vada all'istituzione di nuovi centri, dei restanti 11,330 milioni l'80 per cento sarà destinato ad interventi regionali, mentre il 20 per cento del rimanente (circa 2 milioni) sarà diviso tra i centri antiviolenza e le case rifugio pubbliche e private già esistenti;
              il disegno di legge di stabilità per l'anno 2015 in esame ha previsto in tabella C un incremento per il triennio 2015-2017 di poco più di 9 milioni di euro annui del Fondo per i centri antiviolenza e le case rifugio,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi derivanti dall'incremento indicato nella tabella C e assumere le iniziative di competenza al fine di una migliore ripartizione delle risorse del Fondo per i centri antiviolenza e le case rifugio di cui all'articolo 5-bis del decreto-legge n.  93 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n.  119 del 2013, dal momento che sono sempre di più le donne vittime di violenza che hanno bisogno di cure, di assistenza e di alloggio.
9/2679-bis-A/94. Molea, Galgano.


      La Camera,
          premesso che:
              all'articolo 1, comma 127 del presente disegno di legge prevede la soppressione e il trasferimento delle risorse del Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, di cui all'articolo 23, comma 11, quinto periodo del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95 convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro e politiche sociali, per le medesime finalità in un Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati istituito nello stato di previsione del Ministero dell'Interno;
              all'articolo 1, il comma 128 del presente disegno di legge prevede che «nei limiti delle risorse e dei posti disponibili» i minori stranieri non accompagnati accedono ai servizi di accoglienza finanziato con il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, di cui all'articolo 1-septies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n.  416, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n.  39. Si dispone in tal modo che i minori stranieri non accompagnati accederanno al medesimo bacino di risorse previsto per gli adulti stranieri richiedenti asilo nonostante al comma precedente del presente disegno di legge sia istituito un apposito Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Tale accesso per i minori stranieri non accompagnati peraltro è subordinato ai limiti di risorse e posti disponibili del Fondo stesso;
              in assenza di una chiara determinazione dell'accesso da parte dei minori stranieri non accompagnati, in via compartecipata, complementare o alternativa, ai servizi finanziati con l'apposito Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, rispetto a quelli finanziati con il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo,

impegna il Governo:

          a garantire l'accesso dei minori stranieri non accompagnati ai servizi di accoglienza finanziati con il Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, appositamente istituito nello stato di previsione del Ministero dell'interno, qualora le risorse e i posti disponibili dei servizi finanziati con il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo non fossero sufficienti;
          a garantire una ampia e condivisa informazione dei dati riguardanti l'accesso, il funzionamento e l'efficacia dei servizi finanziati dal Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo presentando ogni sei mesi, a partire dal lo gennaio 2015, una esaustiva e dettagliata relazione alle Camere.
9/2679-bis-A/95. Dadone.


      La Camera,
          premesso che:
              il presente atto di indirizzo rinnova una richiesta già sottoposta al Governo, con l'ordine del giorno 9/2616/049 non accolto dal Governo e respinto dall'Aula in ordine alle esigenze di contenimento della spesa pubblica, all'applicazione puntuale del principio di revisione della spesa pubblica in funzione di una migliore allocazione delle risorse, e alla contestuale esigenza di funzionalità del Ministero dell'interno, che rischia di farsi critica in conseguenza dei tagli perpetrati, nonché ai fini del rispetto dei principi di efficacia, efficienza, trasparenza ed economicità dell'azione amministrativa, ad avviso del firmatario del presente atto di indirizzo risulterebbe certamente utile procedere ad una ricognizione di determinati costi per il dicastero, allo scopo di interventi successivi per ridurli ed allocare nel modo migliore gli eventuali risparmi rinvenienti,

impegna il Governo

          ad avviare tempestivamente una ricognizione dei contratti di locazione inerenti agli immobili in uso all'amministrazione e alle forze del comparto di pubblica sicurezza;
          a verificare lo stato e le condizioni materiali delle strutture ospitanti le forze del comparto di pubblica sicurezza nel territorio nazionale;
          ad illustrare alle Camere, entro il 31 marzo 2014 presso le Commissioni parlamentari competenti, le risultanze della suddetta ricognizione e della suddetta verifica.
9/2679-bis-A/96. Fraccaro.


      La Camera,
          premesso che:
              all'articolo 1, comma 139, è istituito un fondo per il finanziamento delle esigenze urgenti e indifferibili con una dotazione di 110 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e di 100 milioni a decorrere dall'anno 2018;
              tale fondo è annualmente ripartito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze nel seguente modo: 10 milioni di euro a valere sulla Tabella A Ministero della Difesa, per il triennio 2015-2017, come concorso delle Forze armate alle operazioni di sicurezza e controllo del territorio per la prevenzione alla criminalità organizzata e delitti ambientali nelle province della regione Campania; 100 milioni di euro a valere sulla Tabella A, Ministero dell'economia e delle finanze, a decorrere dall'anno 2015, per interventi di carattere sociale, volti alla stipula di convenzioni con i comuni per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili e alla prosecuzione del finanziamento di progetti per servizi socialmente utili;
              il 30 ottobre 2014 la Commissione Bilancio sottopose all'attenzione del Presidente della Camera l'articolo 17, comma 11, del disegno di legge di stabilità per il 2015 (C. 2679), concernente, appunto, il rifinanziamento delle disposizioni in materia di lavori socialmente utili, in quanto suscettibili di essere valutate estranee al contenuto della legge di stabilità, come determinato dalla legislazione vigente, essendo disposizioni che prevedevano interventi di carattere localistico o micro settoriale;
              in seguito a ciò, tali norme erano state stralciate ed erano state fornite ampie rassicurazioni sul fatto che le stesse non sarebbero state ripresentate in alcuna forma;
              si ricorda che sono già previsti, sin dall'anno finanziario 2008, secondo quanto disposto all'articolo 1, comma 1156, lettera g-bis), della legge 27 dicembre 2006, n.  296, legge finanziaria per il 2007, 50 milioni di euro per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili;
              ad oggi, sono stati spesi più di 3 miliardi di euro per il finanziamento di progetti socialmente utili o di pubblica utilità, nonché per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili all'interno delle pubbliche amministrazioni, con modalità palesemente in conflitto con quanto disposto all'articolo 97, comma 3 della Costituzione italiana;
              nonostante le ingenti risorse pubbliche investite, non risultano essere state prese adeguate misure volte a contrarre il numero degli appartenenti a questa categoria lavorativa, in quanto, secondo i dati forniti dalla Ragioneria di Stato, sarebbero ancora migliaia i lavoratori socialmente utili in Italia;
              i lavoratori socialmente utili costituiscono ancora oggi un bacino elettorale molto rilevante per alcune forze politiche, le quali nel corso degli anni hanno promesso posti di lavoro in cambio di voti, anche in assenza di una reale necessità di impiego: per questo, in certi casi, questi soggetti ricoprono posizioni lavorative superflue o inutili;
              nella consapevolezza che parte di questi lavoratori comunque svolge efficientemente funzioni necessarie per la collettività e ai fini del migliore utilizzo delle risorse pubbliche,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione al fine di adottare le iniziative normative necessarie per interrompere l'annoso e annuale rifinanziamento a pioggia degli enti locali per le convenzioni da stipulare per l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili, introducendo criteri selettivi e procedendo, per quanto di competenza, a successivi controlli.
9/2679-bis-A/97. Nuti.


      La Camera

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione al fine di adottare le iniziative normative necessarie per interrompere l'annoso e annuale rifinanziamento a pioggia degli enti locali per le convenzioni da stipulare per l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili, introducendo criteri selettivi e procedendo, per quanto di competenza, a successivi controlli.
9/2679-bis-A/97.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Nuti.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2, al comma 22, proroga fino al 31 dicembre 2015 il blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto fino al 31 dicembre 2014 dalla normativa vigente, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018;
              un comma estende, peraltro, al 2018 l'efficacia della norma in base alla quale l'indennità di vacanza contrattuale da computare quale anticipazione dei benefici complessivi che saranno attribuiti all'atto del rinnovo contrattuale è quella in godimento al 31 dicembre 2013;
              la norma non tocca solo il personale contrattualizzato, dato che si proroga fino al 31 dicembre 2015 il blocco degli automatismi stipendiali del personale non contrattualizzato, ferma restando l'esclusione dal blocco dei magistrati;
              il blocco della contrattazione nel pubblico impiego, nonostante le promesse che sono state formulate da parte di tre differenti esecutivi, si protrae ininterrotto dal 2011 con una diminuzione reale e significativa degli stipendi reali dei dipendenti pubblici;
              l'articolo 19, comma 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 prevede che possano essere conferiti incarichi dirigenziali a tempo determinato, da ciascuna amministrazione, entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e dell'8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a soggetti esterni dalla pubblica amministrazione;
              appare contraddittorio il fatto che, nel momento in cui viene dichiarata l'impossibilità di ricontrattare gli stipendi del pubblico impiego, permanga la possibilità, da parte del vertice dell'amministrazione di effettuare nuove assunzioni senza utilizzare il concorso pubblico, in deroga alla previsione costituzionale ed ai principi europei;
              ciò appare altresì contraddittorio con le esigenze di contenimento della spesa pubblica e a fronte della crescita del debito;
              coerentemente con lo spirito di quanto previsto dai commi 22, 23 e 24 dell'articolo 2 del disegno di legge in discussione, appare utile, coerente ed equo rafforzare le citate disposizioni, rivolte al contenimento della spesa relativa agli stipendi del pubblico impiego, aggiungendo, nella vigenza del blocco della rinegoziazione, l'impossibilità d'instaurare nuovi rapporti in regime di spoil-system, secondo una ratio che va nella direzione di un'ulteriore risparmio sulle uscite relative ai rapporti di pubblico impiego,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative, anche normative, al fine di prevedere la sospensione del ricorso alle assunzioni conformi al comma 6 dell'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 da parte dell'Amministrazione sino al termine definitivo delle limitazioni poste dai suddetti commi 22, 23 e 24 dell'articolo 2 del provvedimento in esame.
9/2679-bis-A/98. Dieni.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2, al comma 22, proroga fino al 31 dicembre 2015 il blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto fino al 31 dicembre 2014 dalla normativa vigente, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018;
              un comma estende, peraltro, al 2018 l'efficacia della norma in base alla quale l'indennità di vacanza contrattuale da computare quale anticipazione dei benefici complessivi che saranno attribuiti all'atto del rinnovo contrattuale è quella in godimento al 31 dicembre 2013;
              la norma non tocca solo il personale contrattualizzato, dato che si proroga fino al 31 dicembre 2015 il blocco degli automatismi stipendiali del personale non contrattualizzato, ferma restando l'esclusione dal blocco dei magistrati;
              il blocco della contrattazione nel pubblico impiego, nonostante le promesse che sono state formulate da parte di tre differenti esecutivi, si protrae ininterrotto dal 2011 con una diminuzione reale e significativa degli stipendi reali dei dipendenti pubblici;
              l'articolo 19, comma 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 prevede che possano essere conferiti incarichi dirigenziali a tempo determinato, da ciascuna amministrazione, entro il limite del 10 per cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e dell'8 per cento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia, a soggetti esterni dalla pubblica amministrazione;
              appare contraddittorio il fatto che, nel momento in cui viene dichiarata l'impossibilità di ricontrattare gli stipendi del pubblico impiego, permanga la possibilità, da parte del vertice dell'amministrazione di effettuare nuove assunzioni senza utilizzare il concorso pubblico, in deroga alla previsione costituzionale ed ai principi europei;
              ciò appare altresì contraddittorio con le esigenze di contenimento della spesa pubblica e a fronte della crescita del debito;
              coerentemente con lo spirito di quanto previsto dai commi 22, 23 e 24 dell'articolo 2 del disegno di legge in discussione, appare utile, coerente ed equo rafforzare le citate disposizioni, rivolte al contenimento della spesa relativa agli stipendi del pubblico impiego, aggiungendo, nella vigenza del blocco della rinegoziazione, l'impossibilità d'instaurare nuovi rapporti in regime di spoil-system, secondo una ratio che va nella direzione di un'ulteriore risparmio sulle uscite relative ai rapporti di pubblico impiego,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative, anche normative, al fine di prevedere la sospensione del ricorso alle assunzioni conformi al comma 6 dell'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 da parte dell'Amministrazione sino al termine definitivo delle limitazioni poste dai suddetti commi 22, 23 e 24 dell'articolo 2 del provvedimento in esame.
9/2679-bis-A/98.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Dieni.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2, comma 37, del presente disegno di legge introduce una serie di misure normative finalizzate a valorizzare il patrimonio immobiliare;
              il decreto-legge 12 settembre 2014, n.  133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n.  164, all'articolo 23, ha introdotto nel nostro ordinamento il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili, quale nuova tipologia contrattuale a valenza sociale;
              il previsto schema contrattuale consente l'immediato godimento dell'immobile, rimandando al futuro il trasferimento della proprietà, con imputazione al prezzo di parte dei canoni pagati per il godimento;
              la previsione si aggiunge all'intervento di housing sociale di cui all'articolo 8 del decreto-legge n.  47 del 2014, che prevede un contratto standardizzato di riscatto a termine dell'alloggio sociale;
              l'obiettivo è quello di consentire ai costruttori o proprietari di immobili di utilizzare, con riferimento a tutte le categorie di immobili, e non solo a quelli di edilizia residenziale, questo nuovo strumento già in uso negli altri Paesi europei;
              la disciplina introdotta ha dunque lo scopo di favorire la ripresa delle contrattazioni immobiliari, specie con riguardo alle categorie con maggiori difficoltà ad acquistare per contanti;
              gli enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n.  509, specie negli ultimi tempi, stanno realizzando una massiccia opera di dismissione del patrimonio immobiliare, anche attraverso conferimenti a fondi immobiliari o SGR;
              gli immobili di proprietà dei suddetti enti, in origine, sono stati realizzati con la precisa finalità di offrire una soluzione al problema dell'emergenza abitativa;
              in questa sede si intende estendere la disciplina prevista per le ipotesi di affitto con riscatto anche agli immobili di proprietà degli enti di cui al citato decreto legislativo n.  509 del 1994, alle seguenti condizioni:
                  il diritto di riscatto sia esercitato solo dai conduttori privi di altra abitazione di proprietà adeguata alle esigenze del nucleo familiare nella città di residenza;
                  che l'immobile riscattato sia rivenduto solo una volta trascorsi almeno dieci anni dal riscatto;
                  che il prezzo di vendita non sia superiore a quello di acquisto, rivalutato in base agli indici Istat;
                  che sia garantito diritto di prelazione agli enti locali competenti per territorio che decidano per l'acquisto ai fini dell'emergenza abitativa e agli inquilini che detengano l'alloggio,

impegna il Governo

ad adottare iniziative, anche normative, affinché la disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili sia estesa anche agli immobili in locazione di proprietà di tutti gli enti di cui all'allegato A del decreto legislativo 30 giugno 1994 n.  509, alle condizioni esposte in premessa.
9/2679-bis-A/99. Lombardi.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2, comma 37, del presente disegno di legge introduce una serie di misure normative finalizzate a valorizzare il patrimonio immobiliare;
              il decreto-legge 12 settembre 2014, n.  133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n.  164, all'articolo 23, ha introdotto nel nostro ordinamento il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili, quale nuova tipologia contrattuale a valenza sociale;
              il previsto schema contrattuale consente l'immediato godimento dell'immobile, rimandando al futuro il trasferimento della proprietà, con imputazione al prezzo di parte dei canoni pagati per il godimento;
              la previsione si aggiunge all'intervento di housing sociale di cui all'articolo 8 del decreto-legge n.  47 del 2014, che prevede un contratto standardizzato di riscatto a termine dell'alloggio sociale;
              l'obiettivo è quello di consentire ai costruttori o proprietari di immobili di utilizzare, con riferimento a tutte le categorie di immobili, e non solo a quelli di edilizia residenziale, questo nuovo strumento già in uso negli altri Paesi europei;
              la disciplina introdotta ha dunque lo scopo di favorire la ripresa delle contrattazioni immobiliari, specie con riguardo alle categorie con maggiori difficoltà ad acquistare per contanti;
              gli enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n.  509, specie negli ultimi tempi, stanno realizzando una massiccia opera di dismissione del patrimonio immobiliare, anche attraverso conferimenti a fondi immobiliari o SGR;
              gli immobili di proprietà dei suddetti enti, in origine, sono stati realizzati con la precisa finalità di offrire una soluzione al problema dell'emergenza abitativa;
              in questa sede si intende estendere la disciplina prevista per le ipotesi di affitto con riscatto anche agli immobili di proprietà degli enti di cui al citato decreto legislativo n.  509 del 1994, alle seguenti condizioni:
                  il diritto di riscatto sia esercitato solo dai conduttori privi di altra abitazione di proprietà adeguata alle esigenze del nucleo familiare nella città di residenza;
                  che l'immobile riscattato sia rivenduto solo una volta trascorsi almeno dieci anni dal riscatto;
                  che il prezzo di vendita non sia superiore a quello di acquisto, rivalutato in base agli indici Istat;
                  che sia garantito diritto di prelazione agli enti locali competenti per territorio che decidano per l'acquisto ai fini dell'emergenza abitativa e agli inquilini che detengano l'alloggio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative, anche normative, affinché la disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili sia estesa anche agli immobili in locazione di proprietà di tutti gli enti di cui all'allegato A del decreto legislativo 30 giugno 1994 n.  509, alle condizioni esposte in premessa.
9/2679-bis-A/99.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Lombardi.


      La Camera,
          premesso che:
              in ordine alle esigenze di contenimento della spesa pubblica, all'applicazione puntuale del principio di revisione della spesa pubblica in funzione di una migliore allocazione delle risorse, e alla contestuale esigenza di funzionalità del ministero dell'Interno, che rischia di farsi critica in conseguenza dei tagli perpetrati, nonché ai fini del rispetto dei principi di efficacia, efficienza, trasparenza ed economicità dell'azione amministrativa,

impegna il Governo

a procedere, entro il 31 marzo 2015, alla ricognizione delle assegnazioni di servizi di scorta assicurati nel territorio nazionale e ad illustrare alle Camere, presso le Commissioni parlamentari competenti i dati in ordine al numero dei soggetti tutelati, ai motivi della tutela, ai livelli di protezione, ai requisiti richiesti per le assegnazioni, al personale assegnato, ai costi sostenuti, nonché, sulla base dei medesimi le misure finalizzate ad assicurare che la tutela e la protezione delle personalità pubbliche vengano assunte nei confronti di soggetti realmente esposti ad effettive situazioni di rischio ed unicamente per il tempo strettamente necessario.
9/2679-bis-A/100. Toninelli.


      La Camera,
          in sede d'esame del disegno di legge Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015),
          premesso che:
              il provvedimento in esame, al pari della gran parte delle leggi, necessita, per l'attuazione, e dunque l'efficacia, di non poche disposizioni adottate, a successivi atti amministrativi, per la gran parte dei quali sono, solitamente, purtroppo non sempre, indicati i rispettivi termini entro il quale adempiere;
              l'inadempienza da parte delle pubbliche amministrazioni è questione peculiare e recidiva, con grave nocumento rispetto alla legge ed ai suoi effetti; oltre ad essere causa preponderante del ricorso annoso ed annuale alle proroghe di termini in scadenza o al loro differimento quando risultano già scaduti, essa nuoce in particolare quando colpisce l'attuazione di disposizioni di carattere economico finanziario,

impegna il Governo:

          ad adottare le iniziative, finalizzate ad introdurre disposizioni che incentivino le pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali ad adempiere agli obblighi cui sono chiamate dagli atti normativi nei termini ivi indicati, con particolare riguardo verso quelle che determinano agevolazioni e benefici verso i cittadini e le imprese, assumendo ulteriori iniziative che prevedano, in un'ottica di interventi sanzionatori graduali, il suddetto inadempimento di termini;
          comporti riduzioni lineari delle dotazioni di bilancio;
          sia rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comporti responsabilità dirigenziale e disciplinare nonché una sanzione pecuniaria a carico del rispettivo trattamento economico.
9/2679-bis-A/101. D'Ambrosio.


      La Camera,
          in sede d'esame del disegno di legge Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)
          premesso che:
              il comparto delle forze di polizia e dei vigili del fuoco permane in una condizione di penuria di risorse in ordine alla dotazione di beni e strumenti necessari per l'espletamento dei loro compiti;
              cento milioni della spesa corrente del ministero dell'interno è stata destinata alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili;
              il presente atto di indirizzo rinnova una richiesta già sottoposta, con il medesimo strumento, al Governo, dalla quale ebbe il parere favorevole;
              la richiesta è quella di reperire per le forze della polizia e dei vigili del fuoco per lo meno le risorse da destinare alla protezione dei soggetti operanti per i due Corpi indicati nelle procedure di accoglienza dei migranti e, a tal fine,

impegna il Governo

ad adottare, entro il mese successivo alla data di entrata in vigore del presente provvedimento, le iniziative, anche normative, affinché siano assegnate ai Corpi indicati in premessa risorse da riservare all'acquisto e alla distribuzione, presso tutte le questure dislocate nel territorio nazionale, del materiale sanitario necessario a tutelare gli agenti di polizia che possono esservi esposti per motivi di servizi, dal contagio di malattie trasmissibili per vie aree e per contatto, in particolare nei casi in cui il coatto avvenga precedentemente agli accertamenti e ai controlli sanitari.
9/2679-bis-A/102. Cozzolino.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame del provvedimento recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2015)»;
              in Italia sono da tempo stati introdotti i bonus elettrico e gas per ridurre le bollette di luce e gas di clienti in condizioni di disagio economico e di disagio fisico prevedendo anche un bonus specifico per i malati gravi che necessitano di apparecchiature elettromedicali salvavita alimentate ad energia elettrica (individuate nel decreto del Ministro della Salute 13 gennaio 2011). L'Autorità per l'energia assicura l'operatività del bonus, con la collaborazione di ANCI e dei comuni;
              i bonus consentono di ottenere uno sconto del 20 per cento circa sulla spesa annua (senza considerare le imposte) della luce e del 15 per cento circa su quella del gas (al netto delle imposte) a quanti hanno un ISEE di non oltre 7.500 euro/anno oppure di 20 mila euro anno e più di tre figli. In 5 anni sono stati erogati oltre tre milioni di bonus; oltre due milioni di bonus elettrici e un milione di bonus gas e ai malati che necessitano di apparecchiature salvavita nel 2013 stati assegnati 23.600 bonus. Nel 2014, il bonus elettrico vale da un minimo di 72 ad un massimo di 156 euro; il bonus gas da 35 a circa 300 euro, il bonus per i malati con apparecchiature salvavita dai 177 ai 639 euro;
              si calcola che una spesa media annua di 1.152 euro, di cui 230 euro legati ai consumi «sanitari». A tanto ammonta la bolletta energetica che una famiglia costretta ad utilizzare apparecchiature elettromedicali sopporta. In pratica, più del doppio di una famiglia tipo. E a volte tali spese arrivano anche a 3.000 euro;
              queste famiglie, che hanno optato per il mercato libero nel 27 per cento dei casi, presentano in casa almeno tre apparecchiature mediche nel 31 per cento dei casi, e nel 16 per cento usufruiscono di una potenza installata superiore ai 4KW;
              tenendo conto che la spesa media annua di una famiglia tipo in Italia è di 515 euro per l'energia elettrica, tali famiglie spendono in più 637 euro. Di questi, solo una minima parte sono coperti dal bonus sociale elettricità (155 euro), mentre ben 4826 rimangono completamente a carico delle famiglie. E per la scarsa informazione, il 16 per cento degli aventi diritto non accede a tale bonus;
              le carenze del SSN comportano per la persona con patologia cronica, e per il suo nucleo familiare, l'assunzione di notevoli costi privati, soprattutto per il supporto assistenziale (badante), la spesa farmaceutica, l'assistenza psicologica, l'assistenza protesica, le prestazioni di diagnostica e di specialistica. A queste, vanno aggiunte, in molti casi, le suddette spese per le apparecchiature elettromedicali,

impegna il Governo

a prevedere l'esenzione dal pagamento della bolletta per la fornitura dell'energia elettrica ai clienti domestici nel cui nucleo familiare sono presenti persone che versano in gravi condizioni di salute tali da richiedere l'utilizzo di apparecchiature medico-terapeutiche necessarie per la loro esistenza in vita e alimentate ad energia elettrica.
9/2679-bis-A/103. Agostinelli.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame del provvedimento recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2015)»;
              in Italia sono da tempo stati introdotti i bonus elettrico e gas per ridurre le bollette di luce e gas di clienti in condizioni di disagio economico e di disagio fisico prevedendo anche un bonus specifico per i malati gravi che necessitano di apparecchiature elettromedicali salvavita alimentate ad energia elettrica (individuate nel decreto del Ministro della Salute 13 gennaio 2011). L'Autorità per l'energia assicura l'operatività del bonus, con la collaborazione di ANCI e dei comuni;
              i bonus consentono di ottenere uno sconto del 20 per cento circa sulla spesa annua (senza considerare le imposte) della luce e del 15 per cento circa su quella del gas (al netto delle imposte) a quanti hanno un ISEE di non oltre 7.500 euro/anno oppure di 20 mila euro anno e più di tre figli. In 5 anni sono stati erogati oltre tre milioni di bonus; oltre due milioni di bonus elettrici e un milione di bonus gas e ai malati che necessitano di apparecchiature salvavita nel 2013 stati assegnati 23.600 bonus. Nel 2014, il bonus elettrico vale da un minimo di 72 ad un massimo di 156 euro; il bonus gas da 35 a circa 300 euro, il bonus per i malati con apparecchiature salvavita dai 177 ai 639 euro;
              si calcola che una spesa media annua di 1.152 euro, di cui 230 euro legati ai consumi «sanitari». A tanto ammonta la bolletta energetica che una famiglia costretta ad utilizzare apparecchiature elettromedicali sopporta. In pratica, più del doppio di una famiglia tipo. E a volte tali spese arrivano anche a 3.000 euro;
              queste famiglie, che hanno optato per il mercato libero nel 27 per cento dei casi, presentano in casa almeno tre apparecchiature mediche nel 31 per cento dei casi, e nel 16 per cento usufruiscono di una potenza installata superiore ai 4KW;
              tenendo conto che la spesa media annua di una famiglia tipo in Italia è di 515 euro per l'energia elettrica, tali famiglie spendono in più 637 euro. Di questi, solo una minima parte sono coperti dal bonus sociale elettricità (155 euro), mentre ben 4826 rimangono completamente a carico delle famiglie. E per la scarsa informazione, il 16 per cento degli aventi diritto non accede a tale bonus;
              le carenze del SSN comportano per la persona con patologia cronica, e per il suo nucleo familiare, l'assunzione di notevoli costi privati, soprattutto per il supporto assistenziale (badante), la spesa farmaceutica, l'assistenza psicologica, l'assistenza protesica, le prestazioni di diagnostica e di specialistica. A queste, vanno aggiunte, in molti casi, le suddette spese per le apparecchiature elettromedicali,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di introdurre l'esenzione dal pagamento della bolletta per la fornitura dell'energia elettrica ai clienti domestici nel cui nucleo familiare sono presenti persone che versano in gravi condizioni di salute tali da richiedere l'utilizzo di apparecchiature medico-terapeutiche necessarie per la loro esistenza in vita e alimentate ad energia elettrica.
9/2679-bis-A/103.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Agostinelli.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame del provvedimento recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2015)»;
              all'articolo 1, comma 81, si prevede l'istituzione presso il Ministero della giustizia di un Fondo per il recupero di efficienza del sistema giudiziario e il potenziamento dei relativi servizi, nonché per il completamento del processo telematico;
              si stabilisce che il Fondo avrà una dotazione finanziaria:
                  di 50 milioni di euro nel 2015;
                  di 90 milioni di euro nel 2016;
                  di 120 milioni di euro a partire dal 2017;
              occorre intervenire su alcuni punti nevralgici per la giustizia, al fine di non far mancare le dotazioni necessarie al funzionamento di settori strettamente connessi al buon funzionamento della giustizia, del sistema penitenziario ed alla tutela di diritti fondamentali,

impegna il Governo

a provvedere nell'anno 2015, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste dalla normativa vigente, ad indire un concorso pubblico per esami per l'assunzione di personale afferente le figure professionali di 350 cancellieri e di 150 ufficiali giudiziari per le posizioni economiche B3, C1 e C2.
9/2679-bis-A/104. Colletti.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame del provvedimento recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2015)»;
              all'articolo 1, comma 81, si prevede l'istituzione presso il Ministero della giustizia di un Fondo per il recupero di efficienza del sistema giudiziario e il potenziamento dei relativi servizi, nonché per il completamento del processo telematico;
              si stabilisce che il Fondo avrà una dotazione finanziaria:
                  di 50 milioni di euro nel 2015;
                  di 90 milioni di euro nel 2016;
                  di 120 milioni di euro a partire dal 2017;
              occorre intervenire su alcuni punti nevralgici per la giustizia, al fine di non far mancare le dotazioni necessarie al funzionamento di settori strettamente connessi al buon funzionamento della giustizia, del sistema penitenziario ed alla tutela di diritti fondamentali;
              i dipendenti del Ministero della giustizia. Dipartimento della Organizzazione Giudiziaria, sono gli unici del Comparto Stato a non aver effettuato le procedure di riqualificazione;
              gli stessi svolgono funzioni altamente specializzate tali da soddisfare le peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico che tutto l'apparato della giustizia è chiamato a soddisfare;
              solo i dipendenti di ruolo della giustizia sono in grado, con l'alta specializzazione acquisita sul posto di lavoro, di assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione alla quale appartengono ed in particolare la funzionalità del sistema giudiziario e dei relativi servizi;
              la questione della riqualificazione del personale amministrativo della giustizia che non viene riqualificato dal 2001, è da ritenere prioritaria e necessita ormai di un intervento normativo,

impegna il Governo

ad assumere iniziative anche normative che prevedano la riqualificazione dei dipendenti del Ministero della giustizia e del dipartimento della organizzazione giudiziaria ed altresì provvedere con sollecitudine alla velocizzazione delle procedure per il pagamento degli straordinari ai dipendenti del Ministero della giustizia e del dipartimento della organizzazione giudiziaria.
9/2679-bis-A/105. Ferraresi.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame del provvedimento recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2015)»;
              all'articolo 1, comma 81, si prevede l'istituzione presso il Ministero della giustizia di un Fondo per il recupero di efficienza del sistema giudiziario e il potenziamento dei relativi servizi, nonché per il completamento del processo telematico;
              si stabilisce che il Fondo avrà una dotazione finanziaria:
                  di 50 milioni euro nel 2015;
                  di 90 milioni di euro nel 2016;
                  di 120 milioni di euro a partire dal 2017;
              al fine di incrementare l'efficienza delle carceri è opportuno che l'Amministrazione penitenziaria, proceda, per l'anno 2015, in deroga alle disposizioni di cui al decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, ed a quelle della legge 24 dicembre 2012, n.  228, ad ulteriori assunzioni di personale di polizia penitenziaria, per un totale di 1.000 unità;
              in accordo con il Ministero della difesa, bloccando la partenza dei volontari in ferma prefissata quadriennale interforze e facendo rientrare quelli attualmente in servizio, è possibile attingere alle graduatorie degli idonei non vincitori dei concorsi tramite lo scorrimento delle graduatorie medesime,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di effettuare ulteriori assunzioni di personale di polizia penitenziaria, per un totale di 1000 unità.
9/2679-bis-A/106. Sarti.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame del provvedimento recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2015)»;
              all'articolo 1, comma 81, si prevede l'istituzione presso il Ministero della giustizia di un Fondo per il recupero di efficienza del sistema giudiziario e il potenziamento dei relativi servizi, nonché per il completamento del processo telematico;
              si stabilisce che il Fondo avrà una dotazione finanziaria:
                  di 50 milioni di euro nel 2015;
                  di 90 milioni di euro nel 2016;
                  di 120 milioni di euro a partire dal 2017;
              occorre intervenire su alcuni punti nevralgici per la giustizia, al fine di non far mancare le dotazioni necessarie al funzionamento di settori strettamente connessi al buon funzionamento della giustizia, del sistema penitenziario ed alla tutela di diritti fondamentali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di procedere ad assunzioni di personale da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, di cui 500 di personale socio-pedagogico, e 500 di personale amministrativo-contabile, per un totale di 1.000 unità.
9/2679-bis-A/107. Bonafede.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame del provvedimento recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2015)»;
              all'articolo 1, comma 81, si prevede l'istituzione presso il Ministero della giustizia di un Fondo per il recupero di efficienza del sistema giudiziario e il potenziamento dei relativi servizi, nonché per il completamento del processo telematico;
              nel quadro di un recupero di efficienza del sistema processuale, con particolare riferimento allo snellimento del processo civile, particolare rilievo assumono le vicende del cosiddetto processo telematico, il cui un percorso è stato avviato fin dal 2001. Con il decreto-legge n.  193 del 2000, si stabilisce che tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica si effettuano mediante posta elettronica certificata (PEC) e con il decreto-legge n.  90 del 2014 si precisa che l'obbligo del deposito telematico degli atti di parte e dei ricorsi per ingiunzione interessa esclusivamente i procedimenti iniziati davanti al tribunale ordinario dal 30 giugno 2014; per i procedimenti iniziati prima del 30 giugno 2014, l'obbligo del deposito telematico decorre dal 31 dicembre 2014. Il decreto-legge fissa poi al 30 giugno 2015 la data alla quale scatterà l'obbligo del deposito telematico degli atti processuali per i procedimenti civili davanti alla corte d'appello;
              si ritiene indispensabile che l'atto introduttivo dei procedimenti, nonché tutti gli atti, debbano essere depositati in forma telematica, altrimenti il processo telematico rischia di creare un doppio binario, cartaceo e telematico, ed un sovraccarico di lavoro per le cancellerie, che ogni volta devono verificare se si tratta di un deposito telematico o meno,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel primo provvedimento utile, di stabilire che l'obbligatorietà del deposito telematico si applichi a tutti gli atti, inclusi l'atto introduttivo e l'atto di costituzione in giudizio e che l'obbligatorietà del processo civile telematico si applichi anche ai provvedimenti dei magistrati.
9/2679-bis-A/108. Businarolo.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame del provvedimento recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)»;
              all'articolo 1, comma 81, si prevede l'istituzione presso il Ministero della giustizia di un Fondo per il recupero di efficienza del sistema giudiziario e il potenziamento dei relativi servizi, nonché per il completamento del processo telematico;
              ad oggi l'articolo 46 della legge 21 novembre 1991, n.  374, consente per qualsiasi causa di valore inferiore ad euro 1.033,00 che l'intero procedimento avanti il giudice di pace sia esente da qualsiasi imposta e tassa (ad esclusione del contributo unificato – CUIR), comprese le notifiche degli atti giudiziari che restano a carico dello Stato;
              tale disposizione in vigore dai primi anni ’90, trova la sua ratio, nel consentire un diffuso accesso alla giustizia per il cittadino che dovendo azionare una propria legittima pretesa, di modico valore economico, ciò possa fare in esenzione di imposte e tasse, che, se fossero invece richieste, lo porterebbero a rinunciare alla sua difesa;
              la norma, pertanto, era stata concepita quale mezzo d'estrinsecazione del diritto di difesa ex articolo 24 della Costituzione in grado di avvicinare il cittadino alla giustizia, consentendogli un limitatissimo esborso per la tutela dei propri diritti di modico valore;
              nell'applicazione concreta di tale norma si è, invece, creata una distorsione per la quale, grandi società multinazionali, richiedono milioni di notifiche di atti giudiziali all'anno, in completa esenzione di imposte e tasse, compresi i costi di notifica degli atti giudiziari, che restano interamente a carico dello Stato e pertanto dell'intera collettività;
              si considera che il comportamento attuato da tali società che ben si potrebbero permettere di pagare, almeno, le spese di notifica, seppur formalmente consentito, costituisca concretamente, un abuso del diritto a danno di tutta la collettività e che deve pertanto essere arginato;
              tanto considerato, pertanto, appare doveroso riportare ad equità la norma, in linea con la ratio della norma originaria, permettendo l'esenzione da imposte e tasse solo se l'attore o l'istante sia una persona fisica, ed ottenendo così un fortissimo risparmio di spesa per lo Stato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, di adottare ogni provvedimento, anche normativo, volto a modificare 46 della legge n.  374 del 21 novembre 1991 in modo da consentire che l'intero procedimento avanti il giudice di pace di valore inferiore ad euro 1.033,00 sia esente da qualsiasi imposta e tassa, riguardante le notifiche degli atti giudiziari (ad esclusione del versamento del contributo unificato – CUIR), solo nel caso che la parte istante o l'attore sia una persona fisica.
9/2679-bis-A/109. Turco.


      La Camera,
          premesso che:
              esaminato il disegno di legge recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità per il 2015) e il disegno di legge recante il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2015 e per il triennio 2015-2017;
              sul versante dell'azione multilaterale e della connessa attuazione degli impegni internazionali il disegno di legge in esame prevede, tra le altre, la riduzione dei contributi a organismi internazionali attraverso la rinegoziazione dei termini degli accordi internazionali che riguardano la quantificazione dei contributi volontari e obbligatori dell'Italia alle organizzazioni internazionali di cui è parte il nostro Paese;
              purtroppo a tali disposizioni si affianca, attraverso l'articolo 2, comma 103, la riduzione di 1 milione di euro a partire dal 2015 delle risorse assegnate per l'attuazione della Convenzione sulla biodiversità, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 (ratificata con legge 124 del 1994), un trattato vincolante per il nostro Paese finalizzato a interventi per la conservazione della biodiversità, per l'uso sostenibile della biodiversità, per la giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall'utilizzo delle risorse genetiche,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione fatta in premessa in considerazione degli obiettivi determinatisi nel corso della X Conferenza delle Parti della Convenzione, a Nagoya, in Giappone, ove si è anche concordato il Piano Strategico per la Biodiversità 2011-2020 e i relativi 20 obiettivi chiamati gli Aichi Target, anche al fine di valutare eventuali ulteriori normative in merito.
9/2679-bis-A/110. Del Grosso.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 83, prevede disposizioni in materia di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive;
              per agevolare l'economia di prossimità, rafforzare il senso di comunità, dare il supporto alle famiglie e incentivare lo sviluppo della solidarietà reciproca, gli enti locali dovrebbero avere la facoltà di integrare nei propri bilanci buoni locali emessi da associazioni senza scopo di lucro;
              l'accettazione da parte dell'ente locale potrebbe avvenire per una percentuale da definire ogni anno per tasse, tariffe e tributi locali, di servizi a domanda individuale, di canoni per utilizzazione del patrimonio comunale e di ogni altro servizio a pagamento che il Comune dovrebbe definire all'interno della propria autonomia gestionale e finanziaria;
              gli enti locali, dunque, potrebbero utilizzare i buoni in loro possesso per ogni attività che dovessero ritenere idonea agli scopi suddetti,

impegna il Governo

a prevedere che, per l'attuazione delle disposizioni di cui sopra, gli Enti locali possano, ai sensi del Decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) integrare nei propri bilanci buoni locali emessi da associazioni senza lucro al fine di sostenere una parte delle risorse finanziarie per il pagamento di tributi e servizi.
9/2679-bis-A/111. Sibilia.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge di stabilità 2015 prevede sostanzialmente la progressiva rideterminazione al ribasso del contributo italiano ad alcuni organismi internazionali quali ad esempio l'Onu;
              tuttavia, l'Unhcr è un organismo dell'ONU, fondato nel 1950 al fine di garantire, tra le altre, la protezione internazionale dei rifugiati e il rispetto del diritto d'asilo e prevenire le pratiche di rimpatrio forzato;
              recentemente, una delegazione della III Commissione ha svolto una missione a Erbil (Kurdistan iracheno) con l'obiettivo di approfondire le dinamiche connesse alla crisi in atto nella regione con particolare riferimento alle drammatiche condizioni precarie e al limite della dignità umana in cui vivono gli oltre 3000 rifugiati in campi di accoglienza ormai insufficienti e messi alla prova dall'arrivo dell'inverno, e alla inaccettabile realtà che riguarda tante donne e bambine rapite, violentate e vendute come schiave dall'Isis;
              la quantificazione fatta dalle Nazioni Unite sulle risorse necessarie a fronteggiare tale emergenza è pari a circa 173 milioni di dollari,

impegna il Governo

ad assicurare un pieno sostegno all'azione italiana in termini di aiuti umanitari e a quella dell'Unhcr e un contributo specifico in termini di strutture specializzate nell'accoglienza e nel supporto soprattutto psicologico alle vittime delle violenze.
9/2679-bis-A/112. Spadoni.


      La Camera,
          premesso che:
              in Tabella D della legge di stabilità 2015, si segnalano tre casi di definanziamento di particolare interesse:
                  riduzione degli stanziamenti destinati all'esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (ex articolo 3 della legge n.  120 del 2002 che l'ha ratificato) pari a 4,81 milioni di euro per il 2015, di 7 milioni per il 2016 e di 6,50 milioni per il 2017;
                  riduzione degli stanziamenti per l'attuazione degli accordi internazionali in materia di politiche per l'ambiente marino pari a 5 milioni di euro per il 2015, e di 3 milioni per il 2016 e il 2017 (il comma 226 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2013 prevedeva invece: «Per l'attuazione di accordi internazionali in materia di politiche per l'ambiente marino di cui al decreto legislativo 13 ottobre 2010, n.  190, è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2014 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015)»;
                  riduzione degli stanziamenti per l'attuazione della Convenzione di Parigi del 1993 sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinaggio e uso di armi chimiche e sulla loro distruzione, sebbene si tratti in questo caso di importo molto minore rispetto ai primi due sopra citati: 51.807 euro per ciascuna annualità del triennio 2015-2017,

impegna il Governo

a valutare in maniera approfondita i contenuti delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare iniziative normative volte a non ridurre, così come previsto dalla Tabella D, allegata al disegno di legge di stabilità, gli stanziamenti riguardanti l'attuazione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, di cui alla legge 120 del 2002, nonché l'attuazione di accordi internazionali in materia di politiche per l'ambiente marino di cui al decreto legislativo 13 ottobre 2010, n.  190 e l'attuazione della Convenzione di Parigi del 1993 sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinaggio e uso di armi chimiche e sulla loro distruzione di cui alla legge n.  93 del 1997, articolo 9, recante norme di attuazione e modifiche della legge 18 novembre 1995, n.  496.
9/2679-bis-A/113. Scagliusi.


      La Camera,
          premesso che:
              esaminata altresì la Tabella 6 recante lo Stato di previsione del Ministero degli Affari esteri per l'anno finanziario 2015 e per il triennio 2015-2017 e l'allegata Relazione previsionale e programmatica sulle attività di cooperazione allo sviluppo per l'anno 2015;
              il Governo si era impegnato nel DEF 2014 ad adoperarsi per allineare gradualmente l'Italia alla media dei Paesi OCSE, prevedendo per il triennio 2015-2017 il calendario stabilito dal precedente DEF, secondo il quale nel 2017 l'APS italiano dovrebbe attestarsi perlomeno allo 0,28 per cento del PIL;
              per render possibili, e credibili, tali incrementi avrebbe dovuto essere portata avanti la razionalizzazione e la riqualificazione della spesa per la Cooperazione pubblica allo sviluppo (CPS così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 4 della legge 125 del 2014, la rinnovata disciplina legislativa del settore recentemente approvata dal Parlamento) soprattutto con il mantenimento dell'impegno per l'incremento di almeno il 10% annuale degli stanziamenti previsti per la CPS nella legge di stabilità;
              tuttavia, come evidenziato anche dal relatore in III Commissione, gli stanziamenti così come determinatisi nella legge di stabilità 2015 mostrano sì un segnale di incremento di tali risorse ma del 4,33 per cento rispetto ai circa 230 milioni di euro stanziati per il 2014 e non del 10 per cento;
              come evidenziato anche dal viceministro Pistelli, la CPS rappresenta uno degli strumenti di maggior rilievo per la proiezione internazionale di un Paese industrializzato, nonché una componente essenziale di una strategia di crescita globale e di stabilità del sistema internazionale;
              conseguentemente, la disponibilità di risorse adeguate è la premessa indispensabile per potere realizzare gli obiettivi che il nostro Paese si propone di conseguire nel corso del 2015,

impegna il Governo:

          a dare piena attuazione alla nuova normativa di settore, introdotta dalla legge n.  125 del 2014, in un percorso di riallineamento dell'Italia agli standard internazionali in tale settore, così come già indicato nel Documento di economia e finanza 2014 ed evidenziato nella Relazione previsionale e programmatica sulle attività di cooperazione allo sviluppo per l'anno 2015;
              ad assicurare che la prossima Relazione previsionale e programmatica sulle attività di cooperazione allo sviluppo possa essere maggiormente particolareggiata, in linea con il dettato della legge n.  125 del 2014.
9/2679-bis-A/114. Manlio Di Stefano.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge di stabilità 2015, all'articolo 17, comma 20, ha esteso il contributo di 10 milioni di euro annuo per l'impiego dei militari nel pattugliamento e per l'attività di contrasto alla criminalità organizzata in Campania (Terra dei fuochi) agli anni 2015, 2016 e 2017;
              l'area da pattugliare è troppo estesa per essere controllata in modo incisivo dalle sole attuali 100 unità militari aggiuntive alle forze di polizia e contestualmente risulta necessario predisporre modalità più efficaci per il pieno successo della missione,

impegna il Governo

ad autorizzare l'impiego di aeromobili a pilotaggio remoto (APR) delle Forze Armate, anche di classe TUAV (Tactical Unmanned Aerial Vehicle) e MALE (Medium Altitude Long Endurance), per il monitoraggio, la sorveglianza e il controllo del territorio in concorso con le forze di polizia e militari, per la prevenzione e la repressione dei crimini ambientali nell'area in questione.
9/2679-bis-A/115. Basilio.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge di stabilità 2015, all'articolo 17, comma 20, ha esteso il contributo di 10 milioni di euro annuo per l'impiego dei militari nel pattugliamento e per l'attività di contrasto alla criminalità organizzata in Campania (Terra dei fuochi) agli anni 2015, 2016 e 2017;
              l'area da pattugliare è troppo estesa per essere controllata in modo incisivo dalle sole attuali 100 unità militari aggiuntive alle forze di polizia e contestualmente risulta necessario predisporre modalità più efficaci per il pieno successo della missione,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di autorizzare l'impiego di aeromobili a pilotaggio remoto (APR) delle Forze Armate, anche di classe TUAV (Tactical Unmanned Aerial Vehicle) e MALE (Medium Altitude Long Endurance), per il monitoraggio, la sorveglianza e il controllo del territorio in concorso con le forze di polizia e militari, per la prevenzione e la repressione dei crimini ambientali nell'area in questione.
9/2679-bis-A/115.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Basilio.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge di stabilità per il 2015, all'articolo 17 comma 12, rifinanzia il fondo previsto dal comma 1240, dell'articolo unico della legge 27 dicembre 2006 n.  296 (Finanziaria 2007), relativo alle missioni internazionali, per 850 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016. La mole di questo finanziamento induce a pensare che il Governo abbia già deciso di non disimpegnarsi militarmente dal teatro afghano;
              la legge n.  141 del 1o ottobre 2014 all'articolo 2 comma 3-bis recita: «Concluse le missioni in corso di cui ai commi 1, 2 e 3 del presente articolo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e comunque non oltre il 31 dicembre 2014, la partecipazione dell'Italia ad ulteriori missioni militari in Afghanistan sarà valutata dal Governo italiano in presenza di una eventuale formale richiesta del Governo afgano e di concerto con le organizzazioni internazionali coinvolte; di essa deve essere data preventiva comunicazione alle Camere, che adottano le conseguenti deliberazioni»;
              il 31 ottobre 2014 era ritenuto il termine ultimo per ritirare i 3000 metri lineari di materiali ancora presenti a Herat, in considerazione del fatto che al 31 dicembre 2014 avrà fine la missione ISAF (International Security Assistance Force) alla quale l'Italia partecipa dal dicembre 2001;
              secondo informazioni di stampa sarebbero stati firmati il 1o ottobre a Kabul dal consigliere per la Sicurezza nazionale dell'Afghanistan, Hanif Atmar, e dall'ambasciatore Usa, James B. Cunningham gli accordi sulla «sicurezza» tra l'Afghanistan e gli Usa (Bsa) e l'Afghanistan e la Nato (Sofà - Status of force agreement);
              la nuova missione, denominata Resolute Support, appare di fatto la continuazione dell'occupazione straniera dell'Afghanistan e i suoi contorni giuridici incerti – un accordo tra governo afghano e Usa e Nato – non sembrano sufficienti a garantire la copertura del diritto internazionale visto che tale missione non è stata autorizzata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite;
              in assenza di alcuna comunicazione istituzionale del Governo al Parlamento italiano, discordanti e contradittorie appaiano le indiscrezioni di stampa, che vedrebbero, a fronte di un impegno complessivo di 12 mila uomini della Nato nella nuova missione, un numero variabile tra i 500 e gli 800 militari italiani;
              dall'inizio dell'invasione Usa a oggi sono 53 gli italiani morti in Afghanistan; la contabilità dei morti afghani dall'invasione militare straniera, in larghissima parte civili, è indefinita. Si parla di migliaia di morti, di generazioni di orfani e di invalidi, di un numero considerevole di vedove. La guerra ha esteso le sacche di povertà, tantissimi sono i campi minati e la popolazione continua a vivere nel terrore;
              il processo di transizione democratica appare confuso, pasticciato, intriso dallo scontro tra clan.  In particolare le Nazioni Unite si sono rifiutate di validare i risultati dell'elezioni presidenziali a causa degli innumerevoli brogli riscontrati. Anche per questo appare di dubbia legittimità lo stesso governo di unità nazionale formatosi tra i due principali contendenti alla Presidenza della Repubblica,

impegna il Governo

ad accelerare il ritiro del nostro contingente militare dall'Afghanistan comunicando agli altri partner della Nato l'indisponibilità italiana a partecipare alla nuova missione militare denominata Resolute Support.
9/2679-bis-A/116. Artini.


      La Camera,
          premesso che:
              le disposizioni di cui all'articolo 19, comma 8, definiscono gli assi di intervento della strategia di sviluppo della rete ferroviaria per il periodo 2015-2017 e le procedure attuative degli investimenti, disponendo quali connessi programmi di investimento, oltre la manutenzione straordinaria della rete ferroviaria nazionale, lo sviluppo degli investimenti per le grandi infrastrutture;
              alla luce della situazione attuale di grave crisi economica attraversata dal Paese ed alla evidente limitata disponibilità di risorse, un cambiamento nell'ordine di priorità dei programmi di investimento risulta oltremodo necessario al fine di garantire la messa in sicurezza del territorio e sostenere investimenti in opere di difesa e prevenzione;
              settori chiave per il paese continuano ad essere sacrificati a favore di interventi dal rilevante impatto ambientale nonché economico e dalla ridotta utilità sociale, quali, solo per citarne alcuni a titolo di esempio, la tratta Brescia-Verona-Padova della linea ferroviaria AV/AC Milano Venezia, l'autostrada Orte-Mestre e il nuovo tunnel ferroviario del Brennero,

impegna il Governo

alla luce di quanto esposto in premessa, a valutare in maniera approfondita i contenuti delle disposizioni in premessa, al fine di adottare le iniziative normative necessarie volte a modificare l'ordine di priorità dei criteri adottati per l'elaborazione della strategia di sviluppo della rete ferroviaria nazionale, puntando su maggiori investimenti diretti alla manutenzione straordinaria della rete ferroviaria nazionale, tali da favorire una mobilità sostenibile sia di beni sia di persone e tenendo conto delle gravi carenze infrastrutturali che la stessa rete presenza in ampie parti del territorio nazionale.
9/2679-bis-A/117. Spessotto, Sorial.


      La Camera,
          premesso che:
              esaminato il provvedimento in titolo;
              ritenute insufficienti le risorse destinate all'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza,

impegna il Governo

intraprendere nuove e concrete iniziative volte a superare le problematiche relative a situazioni di abbandono, disagio o violazione, o rischio di violazione, dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza.
9/2679-bis-A/118. Sorial.


      La Camera,
          premesso che:
              esaminato il provvedimento in titolo;
              viste le risorse destinate all'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza,

impegna il Governo

intraprendere nuove e concrete iniziative volte a superare le problematiche relative a situazioni di abbandono, disagio o violazione, o rischio di violazione, dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza.
9/2679-bis-A/118.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Sorial.


      La Camera,
          premesso che:
              esaminato il provvedimento in titolo;
              la norma prevede che a decorrere dall'anno 2015 i comuni concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente,

impegna il Governo

intraprendere azioni che compensino l'eventuale mancata erogazione dei servizi essenziali ai cittadini o comunque il minor servizio ai cittadini eventualmente recato.
9/2679-bis-A/119. Castelli.


      La Camera,
          premesso che:
              esaminato il provvedimento in titolo;
              l'articolo 15, comma 1, e l'articolo 17 della legge n.  128 del 2013 prevedono rispettivamente un piano di assunzioni sui posti vacanti per il triennio 2014-2016 di personale ATA, e un concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici su oltre 1.000 sedi scoperte,

impegna il Governo

a realizzare un piano straordinario di assunzione del personale ATA.
9/2679-bis-A/120. Currò.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 14 dell'articolo 38 del provvedimento in esame fornisce un ulteriore contributo di 60 milioni al Comune di Milano per finanziare ogni onere connesso al Grande Evento Expo Milano 2015;
              sono in corso indagini per speculazioni immobiliari e infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti per la realizzazione di grandi opere quali il Grande Evento Expo Milano 2015 e opere connesse,

impegna il Governo

a porre in essere tutte quelle misure atte a garantire la trasparenza ed il controllo di appalti e subappalti legati alla realizzazione di grandi eventi e opere connesse, a intervenire prontamente, anche bloccando i finanziamenti, in caso di notizia di speculazioni o infiltrazioni di criminalità organizzata.
9/2679-bis-A/121. Caso.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 35, al comma 18, modificando la disposizione del comma 380-quater della legge di stabilità per il 2013, dispone l'innalzamento dal 10 per cento al 20 per cento della percentuale delle risorse del Fondo di solidarietà comunale da redistribuire fra gli enti locali    sulla base delle capacità fiscali nonché dei fabbisogni standard approvati dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale;
              il citato comma 380-quater, introdotto dalla legge di stabilità per il 2014, prevede l'applicazione della norma, ivi contenuta, per l'anno 2014 e stabilisce che le modalità e i criteri per la suddetta ripartizione debbano essere adottati mediante intesa da raggiungere in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali da adottare entro il 15 aprile 2014, ma non risulta che tale intesa al momento sia stata raggiunta;
              l'intento di dedicare una quota del Fondo di solidarietà comunale ad una ripartizione su criteri diversi dalla «spesa storica», ha la finalità di completare e dare maggiore attuazione ai principi contenuti nella legge delega per l'attuazione del federalismo fiscale;
              con la norma del comma 18, si intende superare, gradualmente, il criterio della spesa storica, che ha fatto lievitare negli anni le spese degli enti locali e ne ha rallentato il processo di razionalizzazione ai fini della riduzione della spesa, in particolare degli sprechi;
              una maggiore ripartizione del suddetto Fondo, in base ai fabbisogni standard, rappresenta un valido strumento per attribuire forme premiali ai comuni virtuosi, che hanno già applicato nella gestione delle proprie risorse, misure contenitive per una spesa efficiente, ma economica;
              si ritiene che un maggior innalzamento della percentuale, fissata al 20 per cento, possa essere di stimolo per gli enti locali ad accelerare il processo di adeguamento della spesa in base ai fabbisogni standard, considerato anche che il processo di realizzazione del federalismo fiscale ha subito un forte rallentamento ed, conseguentemente, il processo di razionalizzazione della spesa degli enti locali, fondamentale per il contributo alla riduzione dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione;
              in caso di mancata intesa le risorse sono redistribuite in base ai criteri adottati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsto dal comma 380-ter dell'articolo 1 della legge 228 del 2012, quindi senza nessuna attribuzione in base ai fabbisogni standard;
              per l'anno 2014, non essendo stata conseguita l'intesa, si presuppone che la disposizione del comma 38-quater non abbia avuto applicazione,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte ad aumentare, per l'anno 2015, la percentuale del 20 per cento al 40 per cento per le ragioni suesposte.
9/2679-bis-A/122. Brugnerotto.


      La Camera,
          premesso che:
              la manovra contenuta nel disegno di legge in esame contiene misure dirette al sostegno della domanda di beni e servizi, allo scopo di aumentare il potere di acquisto dei soggetti a basso reddito ed, in tal modo, sostenere la ripresa economica;
              in coerenza con i suddetti obiettivi, l'articolo 4 provvede a istituire a regime il «bonus fiscale» e l'articolo 13 dispone stanziamenti per le famiglie, in particolare istituisce il «bonus» per i nuovi nati, nonché, per il solo 2015, per attribuire alle famiglie a basso reddito ISEE e con numerosi figli un sostegno economico mediante l'attribuzione di buoni per l'acquisto di beni e servizi per l'infanzia;
              la manovra in esame contiene all'articolo 19, comma 11, una norma, che dispone, a decorrere dall'anno 2016, una razionalizzazione delle risorse stanziate per il riconoscimento delle riduzioni delle accise applicate ai consumi di gasolio e GPL impiegati per il riscaldamento nelle aree climaticamente svantaggiate, al fine di conseguire risparmi per 26.605.000 euro annui;
              tale misura comporterà un peggioramento dei bilanci familiari per le famiglie ed i contribuenti, che risiedono nelle zone interessate, quantificabili in un aumento dei costi annui di circa 300 euro;
              la disposizione suddetta non è coerente con la politica economica di sostegno al potere di acquisto delle famiglie e delle fasce più deboli, che il Governo intende adottare con la manovra in esame;
              pur comprendendo le esigenze di miglioramento dei saldi di finanza pubblica e la necessità di reperire risorse, al fine di assicurare la copertura finanziaria delle misure adottate nella manovra, si ritiene opportuno rivalutare l'impatto sui consumi dal 2016 dei residenti nelle aree climatiche svantaggiate, al fine di non annullare i benefici derivanti dalle misure di sostegno, sopra richiamate, per le famiglie, che utilizzano le riduzioni di accisa sui consumi di gasolio e GPL,

impegna il Governo

nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, fissati per l'anno 2016 e successivi, a reperire le risorse per l'anno 2016 e successivi, da destinare al rifinanziamento delle riduzioni delle accise sui prodotti petroliferi utilizzati per riscaldamento nelle aree climaticamente svantaggiate.
9/2679-bis-A/123. D'Incà, De Menech.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 206 dell'articolo 1 della L. n.  147 del 2013 ha aggiunto una nuova finalità, ai fini della destinazione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF, devoluta alla diretta gestione statale, ossia «la ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica»;
              tale nuovo intervento è stato accolto con molto entusiasmo sia dagli enti pubblici che dai cittadini, essendo diffusa l'esigenza di mettere in sicurezza e ristrutturare gli edifici scolastici pubblici, al fine di tutelare l'incolumità degli studenti, essendo una gran parte dei suddetti edifici inadeguato e pericoloso;
              di recente nella Commissione Bilancio è stata approvata la risoluzione n.  8-00081, che, evidenziando la criticità del continuo definanziamento delle risorse da destinare alla quota statale dell'8 per mille, dovuto all'esigenza di assicurare copertura finanziaria a provvedimenti adottati dal Governo, contiene l'impegno per il Governo sia di ripristinare con la legge di stabilità 2015 le suddette risorse a decorrere dal periodo di imposta in corso, al fine di assicurare disponibilità per l'edilizia scolastica, e di non utilizzare in futuro le suddette risorse per compensazioni finanziarie;
              in sede di esame nella Commissione Bilancio del disegno di legge di stabilità, non è stato possibile approvare l'emendamento presentato per il ripristino delle suddette risorse per un importo pari 154 milioni di euro per le prossime ripartizioni, per mancanza di disponibilità finanziarie;
              l'incentivazione delle ristrutturazioni degli edifici scolastici, mediante la destinazione delle risorse dell'8 per mille, rappresenta anche una misura di sostegno delle economie a livello territoriale, nonché uno strumento per incentivare il lavoro nel settore edile, obiettivi coerenti con le politiche economiche dirette al rilancio economico del Paese;
              il capitolo 2780 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze, in cui sono stanziate le risorse dell'8 per mille destinate alla gestione statale, riporta per il 2014 stanziamenti assestati per 36.478.763 euro e le risorse per l'anno 2015 sono state addirittura ridotte all'importo di 8.338.145 euro,

impegna il Governo

in occasione della prossima ripartizione delle risorse residue del Fondo sopracitato, ad assegnare prioritariamente le stesse ai progetti di messa in sicurezza e ristrutturazione degli edifici scolastici, la cui presentazione delle domande è stata differita al 15 dicembre 2014, come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica del 30 ottobre 2014, recante modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n.  76.
9/2679-bis-A/124. Cariello.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge di stabilità in esame introduce disposizioni in tema di tasse automobilistiche; in particolare, l'articolo 44, comma 31, interviene in materia di tassazione di autoveicoli prevedendo l'abolizione dell'agevolazione in materia di tassazione del bollo di cui all'articolo 63 della legge n.  342/2000 per le auto e le moto che ricadono nella fascia di anzianità tra i 20 e i 30 anni;
              il vecchio «bollo di circolazione» è diventato – ormai da anni – una tassa di «possesso» che trova, appunto, il suo presupposto impositivo nel possesso di un autoveicolo; sotto tale profilo, dunque, il pagamento del tributo è dovuto indipendentemente dall'utilizzo del mezzo;
              dal 1° gennaio 1999 sono state trasferite dallo Stato alle regioni a statuto ordinario, secondo le disposizioni di cui all'articolo 17 della legge 27 dicembre 1997, n.418 ed ai relativi decreti attuativi, le funzioni in materia di riscossione, accertamento, recupero, rimborsi e contenzioso relative alle tasse automobilistiche (c.d. tasse automobilistiche regionali);
              a parte le regole generali fissate a livello nazionale dalla legge istitutiva del tributo, ciò ha creato una produzione normativa in materia di tassa automobilistiche diversificata da regione a regione;
              tale diversificazione normativa è maggiormente evidente proprio in relazione alle funzioni trasferite dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario. È il caso della disciplina della perdita di possesso dell'autovettura e del conseguente diritto al rimborso della tassa automobilistica pagata ed in corso di validità. Non tutte le regioni, infatti, disciplinano in modo uniforme tale fattispecie; mentre non poche regioni, tra cui quelle a statuto speciale non interessate dal trasferimento di funzioni, addirittura non prevedono alcuna disciplina al riguardo (negando di fatto il diritto al rimborso riconosciuto altrove);
              in un tal contesto normativo, appare doveroso intervenire riconoscendo indistintamente il diritto al rimborso della tassa pagata in eccesso nei casi in cui venga meno il presupposto impositivo ovverosia il possesso dell'autoveicolo tassato; ciò sia per ragioni di equità del prelievo sia, e soprattutto, per ristabilire una uniformità di trattamento giuridico a livello nazionale,

impegna il Governo

assumere ogni iniziativa normativa al fine di prevedere il diritto al rimborso o compensazione della tassa automobilistica regionale o erariale versata per i contribuenti che perdano il possesso di un veicolo nel periodo in cui la tassa è in corso di validità, così uniformando a livello nazionale la normativa già prevista in alcune regioni.
9/2679-bis-A/125. Cancelleri.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 4 del disegno di legge di stabilità introduce misure a sostegno del reddito riconoscendo un credito d'imposta nella misura di 960 Euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.  2414;
              il riconoscimento del bonus «80 euro» costituisce un intervento lenitivo ma non proporzionato alla situazione di grave emergenza sociale in cui versa il paese;
              permane dunque la necessità di provvedere alla realizzazione di un piano di riassetto complessivo degli strumenti di tutela del reddito;
              è indispensabile semplificare il welfare e renderlo al contempo più certo ed essenziale, più concretamente presente nella vita dei cittadini, molti dei quali sono costretti a sopravvivere al problema occupazionale dovendosi al contempo confrontare con un sistema eccessivamente frammentato e non in grado di fornire certezze;
              è necessario che ogni persona abbia la possibilità di affrancarsi dall'ansia della precarietà e che il mondo del lavoro, ad oggi malato a causa dell'eccessiva offerta di lavoro e della scarsità della domanda, possa riqualificarsi in modo generale consentendo ad ogni lavoratrice e ad ogni lavoratore di rifiutare offerte di lavoro mal retribuite e spesso non in regola;
              tra gli ammortizzatori sociali andrebbe previsto il cosiddetto reddito minimo, o il simile istituto del reddito di cittadinanza, ispirato a principi di universalità, essendo anch'esso rientrante nel complesso di misure finalizzate al sostegno del reddito di coloro che si trovano involontariamente in una situazione d'indigenza;
              misure di attuazione del cosiddetto reddito di cittadinanza sono presenti nella maggior parte dei paesi dell'Unione europea e in molti paesi non comunitari;
              il reddito di cittadinanza è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
              appare necessario abbandonare al più presto il criterio della legislazione «emergenziale» ed assicurare ai cittadini la certezza dello stato sociale e il reale accompagnamento all'inserimento lavorativo,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di introdurre misure di sostegno al reddito tali da garantire a ciascun cittadino, anche mediante integrazione del reddito percepito, un reddito minimo di cittadinanza al fine di garantire un livello minimo di soddisfacimento delle esigenze fondamentali e primarie di vita, individuali e familiari.
9/2679-bis-A/126. Pesco.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 9 del disegno di legge di stabilità in esame stabilisce l'introduzione di un nuovo regime forfetario per imprese e professionisti che esercitino un'attività in forma individuale, attraverso una struttura produttiva di scarsa entità;
              in particolare, si prevede l'applicazione di un'imposta sostitutiva del 15 per cento al reddito determinato in modo forfetario, mediante applicazione di un coefficiente di redditività all'ammontare di ricavi o compensi (considerati secondo il «principio di cassa») nella misura indicata nell'allegato alla norma;
              per i liberi professionisti il limite reddituale per l'applicazione del nuovo regime forfetario è fissato in 15.000 euro annui, con indice di redditività del 78 per cento;
              dai dati risultanti dalle dichiarazioni dei redditi per l'anno 2013, potrebbero beneficare del nuovo regime soltanto il 20 per cento del totale dei liberi professionisti in attività (precisamente, 230.182 contribuenti, con redditi da zero a 15.000 euro, su 950.191 unità);
              tuttavia, non può non rilevarsi come una grossa fetta di contribuenti, ad oggi beneficiaria del regime dei minimi ex articolo n.  27 decreto-legge 98 del 2011 (ben 207,819 contribuenti, con redditi compresi tra 20.000 e 30.000 euro), verrebbero di fatto esclusi dall'applicazione del nuovo regime forfetario stante gli stringenti limiti reddituali previsti,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa normativa, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, al fine di elevare il limite reddituale di 15.000 euro previsto per la categoria dei liberi professionisti, semmai uniformandolo al limite di 30,000 euro fino ad oggi previsto dall'articolo n.  27 decreto-legge n.  98 del 2011 per le nuove attività imprenditoriali e professionali.
9/2679-bis-A/127. Ruocco.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 4 del disegno di legge di stabilità in esame riconosce un credito d'imposta nella misura di 960 euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.  241;
              dal riconoscimento del bonus sono esclusi i pensionati, il cui reddito pure è assimilato a quello di lavoro dipendente e viceversa, l'erogazione del credito spetta ai titolari di una prestazione pensionistica di cui al decreto legislativo n.  124 del 1993 ovvero i beneficiari di prestazioni pensionistiche complementari;
              la crisi economica che il nostro paese sta attraversando ha manifestato i propri effetti negativi in particolare modo nei confronti delle categorie più deboli; tra queste, anche quella dei percettori di trattamenti pensionistici minimi che, al pari di altre categorie di soggetti precari, necessitano di immediati interventi di sostegno,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa, anche a carattere normativo, per l'introduzione di ulteriori e alternative misure di sostegno del reddito per i soggetti titolari di trattamento pensionistico minimo, anche attraverso l'erogazione di somme aggiuntive al rateo mensilmente erogato, da corrispondersi periodicamente o una tantum nei limiti delle risorse finanziarie disponibili.
9/2679-bis-A/128. Villarosa.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 4 del disegno di legge di stabilità in esame riconosce un credito d'imposta nella misura di 960 euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.  241;
              dal riconoscimento del bonus sono esclusi i pensionati, il cui reddito pure è assimilato a quello di lavoro dipendente e viceversa, l'erogazione del credito spetta ai titolari di una prestazione pensionistica di cui al decreto legislativo n.  124 del 1993 ovvero i beneficiari di prestazioni pensionistiche complementari;
              la crisi economica che il nostro paese sta attraversando ha manifestato i propri effetti negativi in particolare modo nei confronti delle categorie più deboli; tra queste, anche quella dei percettori di trattamenti pensionistici minimi che, al pari di altre categorie di soggetti precari, necessitano di immediati interventi di sostegno,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di assumere ogni iniziativa, anche a carattere normativo, per l'introduzione di ulteriori e alternative misure di sostegno del reddito per i soggetti titolari di trattamento pensionistico minimo, anche attraverso l'erogazione di somme aggiuntive al rateo mensilmente erogato, da corrispondersi periodicamente o una tantum nei limiti delle risorse finanziarie disponibili.
9/2679-bis-A/128.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Villarosa.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 4 del disegno di legge di stabilità in esame riconosce un credito d'imposta nella misura di 960 euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.  241;
              i presupposti soggettivi ed oggettivi previsti ai fini del riconoscimento del credito, che tengono conto della sola posizione reddituale del singolo, non favoriscono le famiglie meno agiate: una famiglia con più soggetti beneficiari del credito (e, dunque, in una condizione reddituale più che favorevole) riceve dalla misura normativa un maggior beneficio, in termini economici, rispetto ad una famiglia monoreddito (semmai con un reddito di poco superiore al limite previsto e, dunque, non destinataria di alcun credito),

impegna il Governo

assumere iniziative, anche di carattere normativo, al fine di preferire per il futuro l'attribuzione del bonus 0 misure agevolative ad esso equiparate sulla base della complessiva situazione reddituale del nucleo familiare anziché del singolo, così limitando il riconoscimento del bonus unicamente alle famiglie in condizioni reddituali più svantaggiate.
9/2679-bis-A/129. Pisano.


      La Camera,
          premesso che:
              nel 2012 con sentenza n.  223 la Corte ha sancito l'illegittimità costituzionale del «prelievo sugli stipendi pubblici elevati» e successivamente, nel 2013, con sentenza n.  116 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del «contributo di perequazione» pari al 5 per cento per la quota di reddito eccedente i 90 mila euro, al 10 per cento per la quota di reddito eccedente i 150 mila euro, ed al 15 per cento per la quota di reddito eccedente i 200 mila euro;
              il sistema pensionistico italiano è stato caratterizzato in passato da privilegi di varia natura, privi di fondamento giuridico o economico. Le nuove generazioni non solo non beneficeranno dello stesso trattamento previdenziale ma dovranno, altresì, farsi carico dei relativi costi. È lapalissiana la violazione dei valori fondamentali della nostra Costituzione, ed in particolar modo del principio dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini;
              l'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n.  917 del 1986 individua diverse categorie di redditi per i quali è applicata l'imposta sul reddito delle persone fisiche sulla base degli scaglioni e delle aliquote individuate dall'articolo 11 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica;
          considerato che:
              nel corso degli anni sono state introdotte diverse imposte sostitutive dell'IRPEF, come l'imposta sulle «rendite finanziarie» modificata da ultimo dall'articolo 3 del decreto legge n.  66 del 2014 convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n.  89. L'articolo 27 del decreto legge n.  98 del 2011, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, legge 15 luglio 2011, n.  111, ha riformato il regime dei minimi dei redditi di lavoro autonomo, a sua volta modificato dall'articolo 9 della legge di stabilità in corso di approvazione. Infine l'articolo 3, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23 così come modificato dal decreto legge 31 agosto 2013, n.  102 convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, legge 28 ottobre 2013, n.  124 ha introdotto un regime facoltativo per la tassazione dei redditi dei fabbricati annoverati tra i redditi fondiari;
              in particolar modo è doveroso affermare che proprio per i redditi da capitale in Italia si è assistito a decenni di imposizione sostitutiva con basse aliquote fiscali (pari al 12,5 per cento). In tal caso non si riscontrano dichiarazioni di illegittimità costituzionale da parte della Consulta per violazione del principio di eguaglianza per il fatto che il trattamento fiscale attenga ad una sola categoria di reddito e di contribuenti così come è stato più volte dichiarato per i precedenti interventi legislativi in materia di «pensioni d'oro». Nei principali Paesi europei come Francia, Regno unito e Spagna, per i redditi da capitale, si riscontrano aliquote progressive che sfiorano anche il 45 per cento con addizionali pari al 3 e 4 per cento, portando così la tassazione effettiva – come nel caso della Francia – fino al 49 per cento;
              in considerazione delle suddette ragioni sociali, economiche e giuridiche, si potrebbe introdurre un'imposta sostitutiva per i redditi di pensione, con un maggior numero di aliquote progressive, in modo tale da tassare maggiormente i redditi eccedenti i 90 mila euro e detassare i redditi di pensione più bassi. Questa soluzione normativa è fondata sulla stessa ratio giuridica delle richiamate imposte sostitutive in materia di redditi fondiari, di lavoro autonomo e di capitale, ma altresì troverebbe ulteriore giustificazione nei valori fondamentali della Costituzione. In primis è doveroso asserire che i primi dodici articoli della Costituzione rappresentano i principi fondamentali della nostra Repubblica e non possono essere oggetto di modifica, neanche attraverso il procedimento di revisione costituzionale di cui agli articoli 138 e 139 della medesima Costituzione. Il principio di universalità dell'imposizione, invece, è sancito dall'articolo 53 della Costituzione quindi non solo potrebbe essere oggetto di revisione costituzionale ma, altresì, non può violare i principi fondamentali della Repubblica dei primi dodici articoli della Costituzione. Da quanto asserito si può desumere che, l'introduzione di un'imposta sostitutiva in materia di redditi di pensione al fine di porre rimedio agli illegittimi ed irragionevoli privilegi di cui hanno beneficiato solo una parte dei cittadini ed al fine di migliorare le condizioni sociali ed economiche dei ceti meno abbienti, seppur in teoria potrebbe violare l'articolo 53 della Costituzione – anche se si ribadisce che non si comprende il motivo per il quale non siano state dichiarate illegittime anche le altre tipologie di imposte sostitutive – di fatto trova giustificazione nel principio dell'eguaglianza sostanziale di cui all'articolo 3 della Costituzione in base al quale: «è compito della Repubblica (...) rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» e nei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale di cui all'articolo 2 della medesima,

impegna il Governo

ad introdurre un'imposta sostitutiva per i redditi di pensione caratterizzata da un maggior numero di aliquote fiscali che consentano una più incisiva progressività, in modo tale da tassare maggiormente i redditi di pensione superiori ai 90 mila euro e destinare il maggior gettito alla riduzione del carico fiscale dei redditi di pensione meno elevati ed all'aumento delle «pensioni minime».
9/2679-bis-A/130. Barbanti.


      La Camera,
          premesso che:
              tra le finalità cui possono essere destinate le risorse relative alla quota dell'otto per mille del gettito IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, previste dall'articolo 48, primo comma, della legge 20 maggio 1985, n.  222, interventi straordinari per la fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati e conservazione di beni culturali, nonché gli interventi relativi alla ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica;
              durante l'esame in Commissione è stato approvato un emendamento del Governo che modifica il comma 1, dell'articolo 37 relativo alle modalità di calcolo dei saldi obiettivo del patto di stabilità interno per gli enti locali per gli anni 2015-2017, disponendo che i saldi obiettivo dei singoli enti possono essere rideterminati, entro la data del 31 gennaio 2015, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-città, al fine di tener conto delle maggiori funzioni assegnate alle città metropolitane, dei maggiori oneri connessi agli eventi calamitosi, degli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici;
              la possibilità di rideterminare i saldi obiettivo in considerazione delle maggiori spese per le succitate fattispecie testimonia l'importanza che anche il Governo riconosce alle contingenti emergenze;
              in tale contesto appare opportuno che sia lo stesso contribuente a scegliere a quale finalità destinare il proprio 8 x mille, concorrendo così responsabilmente alla definizione delle priorità di intervento,

impegna il Governo

ad intervenire affinché, anche con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate, siano indicati nuovi criteri di redazione dei modelli relativi alla dichiarazione dei redditi al fine di prevedere, per la destinazione dell'8 per mille allo Stato, la facoltà di destinarlo ad una delle cinque sottocategorie previste.
9/2679-bis-A/131. Battelli, Brescia.


      La Camera,
          premesso che:
              tra le finalità cui possono essere destinate le risorse relative alla quota dell'otto per mille del gettito IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, previste dall'articolo 48, primo comma, della legge 20 maggio 1985, n.  222, interventi straordinari per la fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati e conservazione di beni culturali, nonché gli interventi relativi alla ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica;
              durante l'esame in Commissione è stato approvato un emendamento del Governo che modifica il comma 1, dell'articolo 37 relativo alle modalità di calcolo dei saldi obiettivo del patto di stabilità interno per gli enti locali per gli anni 2015-2017, disponendo che i saldi obiettivo dei singoli enti possono essere rideterminati, entro la data del 31 gennaio 2015, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-città, al fine di tener conto delle maggiori funzioni assegnate alle città metropolitane, dei maggiori oneri connessi agli eventi calamitosi, degli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici;
              la possibilità di rideterminare i saldi obiettivo in considerazione delle maggiori spese per le succitate fattispecie testimonia l'importanza che anche il Governo riconosce alle contingenti emergenze;
              in tale contesto appare opportuno che sia lo stesso contribuente a scegliere a quale finalità destinare il proprio 8 x mille, concorrendo così responsabilmente alla definizione delle priorità di intervento,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di intervenire affinché, anche con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate, siano indicati nuovi criteri di redazione dei modelli relativi alla dichiarazione dei redditi al fine di prevedere, per la destinazione dell'8 per mille allo Stato, la facoltà di destinarlo ad una delle cinque sottocategorie previste.
9/2679-bis-A/131.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Battelli, Brescia.


      La Camera,
          in sede d'esame del disegno di legge recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015);
          premesso che:
              al fine di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica, l'articolo 24 dispone, per il triennio 2015-20 17, la riduzione delle dotazioni di bilancio, sia in termini di competenza che di cassa, dello stato di previsione dei singoli Ministeri, suddivise per missioni e programmi;
              in particolare il comma 1 del citato articolo, in riferimento al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dispone la riduzione di un importo pari ad euro 21,5 milioni;
              la razionalizzazione della spesa pubblica non può passare attraverso ulteriori tagli a programmi strategici come quello della tutela dello spettacolo, nonché della tutela del patrimonio culturale, settori già penalizzati e nei quali è sempre più influente l'investimento privato, che persegue un interesse al profitto più che un interesse generale di valorizzazione dei beni culturali;
              pur riconoscendo la necessità di interventi ed investimenti privati nei citati settori, si rileva l'opportunità che gli stessi siano prioritariamente finanziati con un'adeguata spesa pubblica che, pertanto, non può subire riduzioni,

impegna il Governo

ad incrementare sin dai prossimi provvedimenti economici le risorse destinate a programmi strategici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
9/2679-bis-A/132. Di Benedetto, Simone Valente.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 28, comma 29, del provvedimento in esame dispone che «alla lettera c), del comma 2 dell'articolo 4 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n.  49, le parole: “reclutati ai sensi dell'articolo 24, comma 3, lettera b)”, sono sostituite dalle seguenti: “reclutati ai sensi dell'articolo 24, comma 3” »;
              attraverso tale disposizione si intende eliminare definitivamente il vincolo che, a norma dell'articolo 4 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n.  49, imponeva agli atenei il reclutamento di ricercatori di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b), della legge 30 dicembre 2010, n.  240, in numero non inferiore a quello dei professori di I fascia reclutati nel medesimo periodo;
              il personale di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b), della legge 30 dicembre 2010, n.  240, è il ricercatore cosiddetto «RTD di tipo B”» (ricercatore a tempo determinato di tipo 8), figura introdotta contestualmente all'altra tipologia di ricercatore disciplinata nel nostro ordinamento dallo stesso atto normativo, denominata «RTD di tipo A» (ricercatore a tempo determinato di tipo A);
              i ricercatori universitari «RTD di tipo A» sono assunti attraverso contratti triennali prorogabili per soli due anni, così come disposto dall'articolo 24, comma 3, lettera a) della legge 30 dicembre 2010, n.  240, mentre i ricercatori «RTD di tipo B» possono essere assunti esclusivamente con contratti triennali non rinnovabili, a condizione di aver già ricoperto il ruolo di RTD di tipo A, ovvero aver ottenuto almeno per tre anni un assegno di ricerca;
              l'articolo 24, comma 5, della legge 30 dicembre 2010, n.  240, tuttavia, prevede che solo per i ricercatori «RTD di tipo B», in presenza del conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale, è prevista, al termine del terzo anno, la chiamata nel ruolo di professore associato;
              per tali motivi è evidente che il solo ricercatore «RTD di tipo B», dopo una lunga carriera da ricercatore precario, può accedere al ruolo di professore ordinario, e ottenere una stabilizzazione all'interno del sistema universitario, non essendovi nel nostro ordinamento altri sistemi di accesso al ruolo per il personale ricercatore universitario;
              attraverso l'eliminazione di tale vincolo è inevitabilmente incentivata la procedura di assunzione, all'interno degli atenei, di personale precario «RTD di tipo A», il quale, anche in considerazione della presenza del sistema di punti organico attualmente vigente, sarà certamente preferito al personale ricercatore «RTD di tipo 8», più costoso in termini di punteggio e di tutela;
              si rileva, infine, che in considerazione dell'assenza di sostanziali investimenti all'interno della legge per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato e, soprattutto, in riferimento ai numerosi tagli ivi previsti in un settore che già fatica a raggiungere livelli qualitativi sufficienti, tale provvedimento inciderà in maniera preoccupante sul futuro del sistema della ricerca universitaria italiana,

impegna il Governo

ad assumere nuovi e urgenti provvedimenti normativi che incentivino l'assunzione di ulteriore personale ricercatore di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b), della legge 30 dicembre 2010, n.  240, a tutela del sistema di ricerca universitario italiano, limitando così l'utilizzo di modelli contrattuali di tipo precario.
9/2679-bis-A/133. D'Uva, Brescia, Vacca.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 34 della Costituzione sancisce che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi;
              il decreto del Presidente della Repubblica n.  306 del 1997, regolamenta la disciplina in materia di tasse di iscrizione all'università a carico degli studenti. Tale regolamento prevede che ogni università abbia piena autonomia nella determinazione dell'entità e delle regole della tassazione studentesca rispettando criteri di equità, solidarietà e progressività, tenendo in considerazione la condizione economica dello studente;
              come contrappeso all'autonomia delle università, per evitare che queste possano stabilire importi contributivi troppo alti, il decreto del Presidente della Repubblica n.  306 del 1997, stabilisce che la somma delle contribuzioni versate da ogni singolo studente ogni anno alla propria università non possa eccedere il 20 per cento del finanziamento ordinario che lo Stato eroga all'ateneo;
              la disciplina in materia di contributi universitari è rimasta inalterata fino alle modifiche apportate dalla normativa sulla spending review del Governo Monti; le novità introdotte da tali modifiche comportano, a partire dal 2013, un aumento del limite massimo di contribuzione sia per gli studenti in corso che per quelli fuori corso scaricando sull'utenza studentesca i tagli apportati al finanziamento delle università nel corso degli ultimi anni dai vari Governi succedutesi alla guida del Paese;
              tale norma ha messo in difficoltà numerose famiglie che, in un periodo di crisi così intenso come l'attuale, non riescono a sostenere le spese di iscrizione all'università;
              è da sottolineare, inoltre, che la tassa d'iscrizione all'università italiana è tra le più alte d'Europa, tant’è che in diversi stati dell'Unione europea l'iscrizione è gratuita;
              la legge di stabilità rappresenta un'occasione per modificare le regole sulla tassazione di iscrizione all'università introducendo una fascia di esonero dal pagamento della tassa di iscrizione a beneficio degli studenti con redditi bassi; ciò può essere realizzato attribuendo maggiori risorse, a titolo di compensazione dei minori introiti, a quegli atenei che decidono di esonerare gli studenti con redditi bassi dal pagamento delle tasse universitarie,

impegna il Governo

ad intervenire, con proprie iniziative e con il coinvolgimento delle Commissioni parlamentari competenti, affinché si modifichi la disciplina relativa alla contribuzione studentesca stabilendo, per gli studenti con reddito basso, una fascia di esenzione dal pagamento della tassa di iscrizione destinando maggiori risorse agli atenei in proporzione al numero di studenti esonerati, a titolo di compensazione dei minori introiti.
9/2679-bis-A/134. Vacca, D'Uva, Ghizzoni.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 34 della Costituzione sancisce che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi;
              il decreto del Presidente della Repubblica n.  306 del 1997, regolamenta la disciplina in materia di tasse di iscrizione all'università a carico degli studenti. Tale regolamento prevede che ogni università abbia piena autonomia nella determinazione dell'entità e delle regole della tassazione studentesca rispettando criteri di equità, solidarietà e progressività, tenendo in considerazione la condizione economica dello studente;
              come contrappeso all'autonomia delle università, per evitare che queste possano stabilire importi contributivi troppo alti, il decreto del Presidente della Repubblica n.  306 del 1997, stabilisce che la somma delle contribuzioni versate da ogni singolo studente ogni anno alla propria università non possa eccedere il 20 per cento del finanziamento ordinario che lo Stato eroga all'ateneo;
              la disciplina in materia di contributi universitari è rimasta inalterata fino alle modifiche apportate dalla normativa sulla spending review del Governo Monti; le novità introdotte da tali modifiche comportano, a partire dal 2013, un aumento del limite massimo di contribuzione sia per gli studenti in corso che per quelli fuori corso scaricando sull'utenza studentesca i tagli apportati al finanziamento delle università nel corso degli ultimi anni dai vari Governi succedutesi alla guida del Paese;
              tale norma ha messo in difficoltà numerose famiglie che, in un periodo di crisi così intenso come l'attuale, non riescono a sostenere le spese di iscrizione all'università;
              è da sottolineare, inoltre, che la tassa d'iscrizione all'università italiana è tra le più alte d'Europa, tant’è che in diversi stati dell'Unione europea l'iscrizione è gratuita;
              la legge di stabilità rappresenta un'occasione per modificare le regole sulla tassazione di iscrizione all'università introducendo una fascia di esonero dal pagamento della tassa di iscrizione a beneficio degli studenti con redditi bassi; ciò può essere realizzato attribuendo maggiori risorse, a titolo di compensazione dei minori introiti, a quegli atenei che decidono di esonerare gli studenti con redditi bassi dal pagamento delle tasse universitarie,

impegna il Governo

ad intervenire, con proprie iniziative e con il coinvolgimento delle Commissioni parlamentari competenti, affinché si modifichi la disciplina relativa alla contribuzione studentesca stabilendo, per gli studenti con reddito basso, una fascia di esenzione dal pagamento della tassa di iscrizione.
9/2679-bis-A/134.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Vacca, D'Uva, Ghizzoni.


      La Camera,
          premesso che:
              al di là di proclami di sorta, la legge di stabilità all'esame, di fatto, finanzia il famigerato piano la buona scuola riducendo le risorse per scuola università e ricerca, infatti sommando i tagli del Bilancio con quelli della Stabilità risulta un totale di tagli per scuola, università e ricerca pari a 1 miliardo e 343 milioni di euro;
              in particolare, limitatamente al comparto istruzione, l'articolo 28, al comma 2 riduce di 30 milioni di euro, a decorrere dal 2015, l'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 4 della legge n.  440 del 1997 (già, Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa), confluita, dal 2013, nel Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche;
              il comma 3 prevede che, per il 2015, quota parte (euro 10 mln) delle somme che non sono state utilizzate dalle scuole, per tre esercizi finanziari consecutivi, per la realizzazione di progetti in materia di formazione e sviluppo dell'autonomia scolastica e che (a legislazione vigente) devono essere versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad apposito capitolo del bilancio del MIUR e poi assegnate alle scuole per le spese di funzionamento, rimane acquisita all'erario;
              il comma 4 riduce il numero dei coordinatori periferici di educazione fisica che possono usufruire dell'esonero dall'insegnamento, con un risparmio di un milione di euro;
              il comma 5 elimina, dal 1o settembre 2015, la possibilità di usufruire dell'esonero o del semiesonero dall'insegnamento per i docenti con funzioni vicarie del dirigente scolastico, nonché per i docenti addetti alla vigilanza delle sezioni staccate o delle sedi coordinate delle scuole, conseguendo risparmi per 34 milioni di euro;
              ulteriori risparmi, pari a circa 14 milioni, si conseguono secondo quanto stabilito ai commi 6 e 7 che modificano la disciplina in materia di comandi, distacchi, utilizzazioni del personale scolastico;
              i commi 8 e 9 vietano, a decorrere dal prossimo anno scolastico, il conferimento di supplenze brevi per il primo giorno di assenza dei docenti e per i primi 7 giorni di assenza dei collaboratori scolastici. Vietano altresì (in ogni caso) il conferimento di supplenze brevi agli assistenti tecnici e agli assistenti amministrativi, salvo, per quest'ultima fattispecie, il caso di istituzioni scolastiche il cui relativo organico di diritto abbia meno di 3 posti; con conseguente risparmio di 66 milioni di euro;
              i commi 10-12 prevedono la revisione, con decreto interministeriale, di criteri e parametri per la definizione delle dotazioni organiche del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola, al fine di conseguire, dall'A.S. 2015/2016, una riduzione del numero di posti e della relativa spesa di 17 milioni;
              conti alla mano risulta evidente che questo Governo non stia investendo risorse nuove per la scuola, ormai messa in ginocchio da tagli sconsiderati degli ultimi Governi,

impegna il Governo

a tornare ad investire risorse nuove nel settore dell'istruzione, attuando nei fatti l'inversione di tendenza che il mondo della scuola attende da tempo.
9/2679-bis-A/135. Marzana, Vacca, Brescia, Luigi Gallo, Simone Valente, Di Benedetto.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 3 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca il Fondo denominato «fondo La buona scuola», con la dotazione di 1 miliardo di euro per il 2015 e di 3 miliardi di euro dal 2016;
              il Fondo è finalizzato, in via prioritaria, alla realizzazione di un piano straordinario di assunzione e al potenziamento dell'alternanza scuola-lavoro;
              durante l'esame in commissione tra le finalità prioritarie del Fondo si introduce anche la formazione di docenti e dirigenti scolastici, nonché un esplicito riferimento alla valutazione, collegata alla valorizzazione dei docenti e alla sostanziale attuazione dell'autonomia scolastica;
              secondo quanto afferma lo stesso Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, l'alternanza scuola lavoro è un percorso formativo che potenzia l'autonomia scolastica; qualifica l'offerta formativa; esalta la flessibilità; risponde ai bisogni diversi degli alunni; agisce per la forte valenza orientativa, come mezzo di contrasto alla dispersione scolastica;
              il comma 1 dell'articolo 7 del provvedimento all'esame, in particolare, sostituisce l'articolo 3 del decreto-legge n.  145 del 2013, riconoscendo per gli anni 2015-2019, a tutte le imprese (senza limiti di fatturato) che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo un credito d'imposta pari al 25 per cento delle spese incrementali sostenute rispetto alla media dei medesimi investimenti realizzati nei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015;
              destinatari dell'agevolazione sono tutte le imprese indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato;
              l'alternanza scuola-lavoro consiste nella realizzazione di percorsi progettati, attuati, verificati e valutati, sotto la responsabilità dell'istituzione scolastica o formativa, sulla base di apposite convenzioni con le imprese, o con le rispettive associazioni di rappresentanza, o con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con gli enti pubblici e privati, ivi inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di apprendimento in situazione lavorativa, che non costituiscono rapporto individuale di lavoro ex articolo 4 decreto legislativo 15 aprile 2005, n.  77;
              sin dalla formulazione originaria il governo riconosce come prioritario il potenziamento dell'alternanza scuola lavoro,

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di introdurre meccanismi di agevolazione fiscale anche a favore delle imprese che svolgano attività relative alla formazione studenti di scuola secondaria superiore e universitari nell'ambito dell'alternanza scuola-lavoro, apprendistato e tirocini allo scopo della diffusione delle conoscenze non solo teoriche, ma, soprattutto pratiche del processo di ricerca e sviluppo aziendale; in quanto tale agevolazione risulta essere completamente in linea con l'intervento stesso del Governo.
9/2679-bis-A/136. Luigi Gallo, Brescia, Marzana.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 4 dell'articolo 28 del presente disegno di legge dispone la riduzione del numero dei coordinatori periferici di educazione fisica, modificando l'articolo 307 del Testo unico sulla scuola che attualmente prevede la presenza di un docente per provincia addetto a coordinare i progetti di avviamento alla pratica sportiva nelle scuole;
              pertanto, a decorrere dal 1o settembre 2015 l'organizzazione e il coordinamento periferico del servizio di educazione fisica sarà di competenza degli uffici scolastici regionali modificando in tal modo l'assetto territoriale ed individuando un unico docente di educazione fisica per Regione;
              dall'attuazione di tale disposto normativo si paventa il rischio di una perdita di contatto con le reali esigenze e le realtà territoriali scolastiche per le questioni inerenti l'attività sportiva;
              a ciò si aggiunge il fatto che l'impianto complesso dei Campionati Sportivi Studenteschi non può essere gestito da un'unica figura a livello regionale e tanto meno il coordinamento dei progetti motori perché legati alla singola e specifica territorialità provinciale;
              la disposizione suindicata, inoltre, contrasta con le Linee Guida in materia di organizzazione del servizio di educazione motoria, fisica e sportiva emanate dal Miur il 27 settembre 2002 che individuano negli uffici scolastici regionali la titolarità della programmazione delle attività sportive scolastiche nonché le valutazioni e le decisioni finali in ordine all'individuazione degli obiettivi da raggiungere, mentre il livello provinciale si rivela ancora il più idoneo sul piano organizzativo in quanto attento a recepire le esigenze locali territoriali,

impegna il Governo:

          a valutare gli effetti applicativi della richiamata disposizione al fine di adottare ogni adeguata iniziativa volta a rivedere la disciplina dei coordinatori di educazione fisica che così strutturata potrebbe comportare una ricaduta negativa per il mondo sportivo che ruota attorno alle poche ore di attività motoria previste nella scuola italiana;
          a formulare meccanismi atti a soddisfare le esigenze locali al fine di garantire un impianto organizzativo sportivo-motorio territorialmente stabile.
9/2679-bis-A/137. Simone Valente, Di Benedetto, Brescia.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge di stabilità 2015 ha l'obiettivo di essere una grande manovra di rilancio dell'economia che si pone il fine di conciliare la manovra di bilancio con il sostegno allo straordinario processo di riforma strutturale del Paese, di operare una redistribuzione delle risorse ma anche delle responsabilità, obbligando tutti i livelli di Governo, anche locali, a operare con maggiore efficienza;
              cittadinanzattiva sta conducendo una campagna per la riduzione dei costi della politica, ivi compresa l'abolizione dei vitalizi dei consiglieri regionali (rieletti e cessati dal mandato) finalizzata a recuperare risorse da destinare al mantenimento di livelli adeguati di welfare e di offerta di servizi pubblici, evidenziando l'importanza di non procedere ad ulteriori tagli;

          considerato che:
              l'articolo 35 del provvedimento in esame determina le modalità di «Concorso degli enti territoriali alla finanza pubblica»: in particolare, nella relazione tecnica di accompagnamento al disegno di legge in esame, si legge che «per le regioni a statuto ordinario, soggette alla disciplina del pareggio di bilancio, il contributo a favore della finanza pubblica è attuato, sia in termini di indebitamento netto, che di saldo netto da finanziare, riducendo i livelli di finanziamento statali nei confronti delle regioni e attraverso l'acquisizione delle risorse regionali da parte dello Stato, per un importo pari a 3.452 milioni di euro aggiuntivo rispetto al contributo di 750 milioni di euro già previsto, [...]. A seguito della predetta riduzione delle entrate regionali, al fine di conseguire gli equilibri di bilancio previsti, le regioni a statuto ordinario dovranno contenere le spese per lo stesso importo, sia in termini di competenza che in termini di cassa [...]»;
              l'articolo 36 commi 2 e 3 dispone che «[...] ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica, le regioni a statuto ordinario concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione. Ai fini del concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica le regioni a statuto ordinario devono conseguire, a decorrere dall'anno 2016 nella fase di previsione e a decorrere dal 2015 in sede di rendiconto un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali;
              ai fini del contenimento della spesa pubblica e del conseguimento degli obiettivi di coordinamento della finanza pubblica, il legislatore nazionale è intervenuto in materia di abolizione dei vitalizi dei consiglieri regionali e di passaggio per gli stessi al sistema previdenziale contributivo, anzitutto con l'articolo 14, comma 1, lettera f) del decreto-legge n.  138 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n.  148 del 2011, che ha prescritto «il passaggio, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore e con efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva, al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali», cioè un sistema rapportato ai contributi effettivamente versati, senza più pesare sui sempre più ridotti bilanci regionali;
              a partire dal 2012, tutte le regioni a statuto ordinario, in applicazione del succitato decreto legge, hanno legiferato in materia, limitandosi tuttavia ad abolire i vitalizi per i «prossimi» consiglieri regionali, mantenendo intatti gli importi già previsti per gli attuali consiglieri e quelli cessati dal mandato, per tutto il tempo futuro, senza, cioè, applicare in nessun modo, il metodo contributivo, come prescritto dalla legge;
              la lettera m) del comma 1) dell'articolo 2, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n.  174, così come convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n.  213, va interpretata nel senso che le leggi regionali di abolizione dei vitalizi devono contestualmente dare puntuale applicazione all'articolo 14 del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n.  148, con l'espressa previsione del passaggio, con efficacia a decorrere dalla prima legislatura regionale successiva all'entrata in vigore del decreto legge 13 agosto 2011, n.  138, al sistema previdenziale contributivo per tutti i consiglieri regionali, ivi compresi quelli rieletti e quelli cessati dal mandato,

impegna il Governo:

          ad attivarsi, nelle sedi opportune, affinché sia garantita l'attuazione dell'articolo 2, comma 1, lettera m), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n.  174, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 2012, n.  213, secondo quanto illustrato in premessa e adeguare di conseguenza i propri ordinamenti;
          ad attivarsi nell'ambito delle proprie competenze affinché le regioni, per le quali l'attuale legislatura è da considerarsi successiva rispetto alla previsione di cui all'articolo 14 del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n.  148, provvedano al recupero delle somme eccedenti rispetto a quanto dovuto in base al succitato decreto-legge.
9/2679-bis-A/138. Brescia.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 8, del presente disegno di legge apporta modifiche agli articoli 14 e 16 del decreto legge 4 giugno 2013, n.  63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n.  90, in materia di detrazioni per le spese sostenute, rispettivamente, per interventi di riqualificazione energetica e di recupero del patrimonio edilizio. In particolare:
                  con la modifica all'articolo 14 del citato decreto-legge si prevede l'applicazione della maggiore aliquota del 65 per cento anche alle spese sostenute fino al 31 dicembre 2015 sia per gli interventi relativi agli edifici esistenti, sia per gli interventi relativi alle parti comuni condominiali di cui agli articoli 1117 e 1117-bis del codice civile;
                  con la modifica all'articolo 16 del medesimo decreto-legge, si prevede l'applicazione della maggiore aliquota del 50 per cento alle spese sostenute fino al 31 dicembre 2015 per gli interventi di ristrutturazione edilizia, nonché per le spese per l'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici fermo restando che le stesse spese sono computate, ai fini della fruizione della detrazione di imposta, indipendentemente dall'importo delle spese sostenute per i lavori di ristrutturazione che fruiscono delle detrazioni di cui al comma 1 dello stesso articolo 16;
              ancor oggi non è prevista nei programmi di ristrutturazione una precisa norma che tende a favorire, attraverso lo strumento della defiscalizzazione, la rimozione degli oltre 32 milioni di tonnellate di amianto ancora da mettere in sicurezza;
              l'amianto secondo l'Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) causa circa 5.000 (cinquemila) decessi all'anno in Italia e non si è ancora raggiunto il picco di mortalità;
              è necessario mettere in sicurezza l'amianto al più presto con i metodi disponibili e favorendo la ricerca per metodi di inertizzazione;
              la defiscalizzazione negli interventi di gestione dell'amianto diventa, pertanto, una leva virtuosa affinché le regioni si strutturino per realizzare un Piano di gestione amianto, atto a realizzare idonei spazi di stoccaggio e deposito dell'asbesto in aree ritenute sicure per ridurre al minimo il rischio di esposizione alle polveri di amianto e conseguente pericolo per la salute dei cittadini. Il trasporto a distanza dell'amianto è causa di incremento dei costi e dei rischi legati ad incidenti e illeciti (abbandono), per cui si configura la necessità di ottimizzare la normativa per la gestione dei rifiuti speciali stabilendo il divieto di trasporto oltre i confini regionali dei rifiuti contenenti amianto,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa, anche a carattere normativo, volta a incentivare interventi di rimozione dell'amianto da edifici privati attraverso lo strumento della defiscalizzazione del 65 per cento per gli interventi di rimozione eseguiti nelle regioni e nelle province autonome di Trento e Bolzano, garantendo l'applicazione della norma nelle regioni dotate di un Piano di gestione amianto, comprensivo in particolare di siti di discarica di capienza adeguata ai quantitativi di amianto mappati sul rispettivo territorio regionale.
9/2679-bis-A/139. Zolezzi.


      La Camera,
          premesso che:
              la gestione dei rifiuti contenenti amianto, nonché i controlli ad esso connessi, rappresentano un gravoso onere per le casse dello Stato;
              nella legge di stabilità nulla risulta essere stato stabilito al fine perimetrare e meglio definire la gestione dell'amianto come rifiuto pericoloso;
              la programmazione della gestione dell'amianto risulta imprescindibile e deve indicare i metodi ed i criteri di scelta dell'area di stoccaggio e vincolate il trasporto solo nei territori regionali per limitare gli illeciti e l'eccesso dei costi della filiera,

impegna il Governo

ad assumere i necessari provvedimenti affinché i rifiuti contenenti amianto definiti dal codice europeo rifiuti (CER) 06.07.01, 06.13.04, 10.13.09, 15.01.11, 16.01.11, 16.02,12, 17.06.01, 17.06.05 non possano essere trasportati oltre i confini regionali e si realizzi, pertanto, una filiera corta di gestione di questa specifica topologia di rifiuto.
9/2679-bis-A/140. Busto, Pellegrino.


      La Camera,
          premesso che:
              rappresenta un imprescindibile onere dello stato presentare una propria strategia di rilancio industriale basata sul sostegno della domanda in particolari settori;
              reintrodurre le agevolazioni per le imprese che operano nel settore tessile e della moda nonché negli altri settori in cui le produzioni del nostro Paese sono considerate d'eccellenza rappresenta uno degli strumenti vincenti per rilanciare e sostenere il cosiddetto il made in Italy,

impegna il Governo

a predisporre agevolazioni fiscali ai fui dell'IRPEF e dell'IRES per gli investimenti in attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo finalizzate alla realizzazione di campionari.
9/2679-bis-A/141. Micillo.


      La Camera,
          premesso che:
              nel campo della gestione dei rifiuti, Italia, al pari degli altri Stati membri, è tenuta a dare attuazione alle disposizioni contenute nette seguenti direttive dell'Unione europea che regolano alcune parti della materia: la n.  75/442/CEE e successive modifiche, la n.  91/689/CE relativa alla gestione controllata dei rifiuti pericolosi, e la n.  1999/31/CE concernente la gestione delle discariche;
              ad esito del ricorso proposto dalla Commissione europea, la Corte di giustizia delle Comunità europee (causa C-135/05), il 26 aprile 2007, ha condannato la Repubblica italiana per non aver adottato tutti i provvedimenti necessari ad adempiere agli obblighi previsti dalle stesse Direttive, e in particolar modo per la presenza di discariche abusive nelle quali sono stati abbandonati e smaltiti in modo incontrollato rifiuti, anche pericolosi, e per la mancata chiusura, in conformità alle disposizioni comunitarie, delle discariche operanti in base ad autorizzazioni rilasciate prima dell'entrata in vigore delle direttive citate nel punto precedente;
              a fortiori, il 16 aprite 2013, la Commissione europea ha presentato un nuovo ricorso contro l'Italia (causa C-196113) per non aver adottato tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 26 aprile 2007, nella causa C-135/05;
              trattandosi della richiesta di una seconda condanna per la violazione delle stesse disposizioni comunitarie, la Commissione ha chiesto alla Corte di giustizia dell'Unione europea di condannare la Repubblica italiana al pagamento di sanzioni pecuniarie, il cui importo è commisurato alla durata delle violazioni ancora perduranti, e dunque al tempo che sarà necessario per dimostrare alla Commissione europea di aver dato piena esecuzione alla condanna del 26 aprile 2007;
              vi è il fondato rischio che la perdurante inosservanza delle prescrizioni comunitarie stigmatizzate nella procedura d'infrazione in oggetto possano produrre gravi onere a carico del bilancio dello Stato;
              il Sottosegretario di Stato dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rispondendo ad un apposito atto ispettivo il 24 luglio 2014, ha comunicato che le risorse stanziate con la legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 113) non sono sufficienti ad assicurare la realizzazione del piano straordinario di bonifica delle 43 discariche oggetto del contenzioso;
              nel corso dell'audizione di fronte alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati del 16 ottobre 2014, il Ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del mare Galletti ha precisato, con riferimento alla stessa problematica che «a fronte di un fabbisogno stimato di euro 118 milioni di euro (118.558.237,274) per il finanziamento degli interventi da ultimare, è stata data parziale copertura finanziaria con il Piano straordinario del 2013 (previsto 12 dall'articolo 1, comma 113, della legge n.  147 del 2013) per 60 milioni di euro (60.152.002,92)» e che «le somme residue che non trovano attualmente copertura finanziaria né nazionale né regionale ammontano a oltre 58 milioni di euro (58406.234,35)»;
              nel corso della stessa audizione, il Ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del mare Galletti ha segnalato la necessità di «un ulteriore sforzo per la risoluzione dei caso» e di una piena collaborazione di tutte le regioni sul cui territorio esistono situazioni irrisolte, alle quali è stato richiesto un aggiornamento sul completamento degli interventi in corso e una ricognizione attuale degli investimenti ancora necessari e del fabbisogno residuale»,
          considerato, inoltre, che:
              tra le disposizioni per a formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato contenute nel provvedimento in discussione, non sono comprese misure volte ad assicurare la copertura finanziaria necessaria alla realizzazione di tutti gli interventi compresi nel piano straordinario di bonifica delle discariche oggetto del contenzioso con la Commissione europea giunto dinnanzi alla Corte di giustizia,

impegna il Governo:

          a compiere ogni sforzo utile per assicurare la bonifica delle discariche oggetto del contenzioso di fronte alla Corte di giustizia, a partire dal reperimento delle risorse indispensabile ad assicurare l'integrale finanziamento degli interventi di bonifica inseriti nel piano straordinario finanziato con il fondo istituito con l'articolo 1, comma 113, della legge 27 dicembre 2013, n.  147;
          a predisporre un apposito piano di azione che consenta di rimuovere le situazioni di fatto alla base dell'imminente nuova condanna da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea, e di dimostrare alla Commissione europea, nel più breve tempo possibile, di avere finalmente dato esecuzione alla sentenza del 26 aprile 2007 e dunque di rispettare le direttive comunitarie in materia di gestione delle discariche;
          predisporre – e trasmettere alla commissioni parlamentari competenti, entro 30 giorni dall'emanazione della sentenza da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea – un cronoprogramma delle attività progettuali e amministrative propedeutiche all'aggiudicazione dei lavori necessari alla bonifica e alla messa in sicurezza dei siti in questione, e delle azioni di vigilanza e monitoraggio, di competenza del Ministero dell'ambiente, sulle attività di competenza degli altri enti coinvolti, nonché sulla regolare esecuzione degli stessi lavori di bonifica e messa in sicurezza.
9/2679-bis-A/142. Mannino.


      La Camera,
          premesso che:
              nel testo in esame è stata introdotta una disposizione, di modifica all'articolo 2, comma 8, della legge n.  244 del 24 dicembre 2007 che prevede che gli oneri di urbanizzazione possano essere utilizzati per la spesa corrente, per una quota non superiore al 50 per cento, anche per il 2015,

impegna il Governo

a porre in atto le misure necessarie affinché i comuni siano incentivati a destinare i proventi derivanti dal rilascio dei titoli abilitativi edilizi, nonché dall'applicazione delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.  380, ad investimenti volti alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, a interventi di recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, anche ai fini della messa in sicurezza delle aree esposte a rischio idrogeologico e sismico, all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate ad uso pubblico, a interventi di qualificazione dell'ambiente e del paesaggio e al finanziamento di opere di demolizione di costruzioni abusive, consentendo la riduzione del ricorso ai predetti proventi per il finanziamento di spese correnti.
9/2679-bis-A/143. De Rosa, Pellegrino.


      La Camera,
          premesso che:
              il valore complessivo delle risorse del capitolo 1551 di previsione del bilancio dello Stato si è progressivamente ridotto a partire dal 2011, passando da 6.16 milioni ad a 4.38 per il 2015 (in base ai dati riportati nell'A.C. 2680 bilancio di previsione 2015);
              questa riduzione ha comportato un corrispondente taglio delle somme assegnate agli Enti Parco e agli enti di gestione delle Aree Marine Protette per l'attuazione della Direttiva ministeriale del 21 ottobre 2013 «Direttiva agli enti parco nazionali e alle aree marine protette per l'indirizzo delle attività dirette alla conservazione della biodiversità» e dunque per la realizzazione delle azioni progettuali proposte alla luce della medesima direttiva;
              nella legge di stabilità 2015, a decorrere dall'esercizio finanziario 2015 viene ridotta di un milione di euro la spesa prevista dalla legge 14 febbraio 1994, n.  124, «Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla biodiversità, con annessi, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992» e di un milione di euro le risorse destinate agli enti parco;
              la rete dei 24 parchi nazionali italiani, con i suoi 1.465.681 ettari a terra e 71.812 a mare, non solo è un patrimonio che tutela la biodiversità ma è anche un vettore economico, che va preservato e se possibile ampliato;
              nel 2013 le risorse assegnate ai sensi del comma 40 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 1995, n.  549, erano già state giudicate inadeguate e la Commissione ambiente, nel proprio parere, espresse la propria preoccupazione a proposito «dell'esiguità di tali stanziamenti e della loro insufficienza a garantire, come sarebbe necessario, l'ottimale funzionamento degli enti parco nazionali e delle aree marine protette, vale a dire di organismi che rappresentano una delle eccellenze italiane e che la Commissione giudica fondamentali, non solo per la tutela dell'ambiente e della biodiversità, ma anche per l'affermazione di un nuovo modello di sviluppo locale sostenibile, incentrato sulla tutela e valorizzazione della natura, delle attività economiche e delle tradizioni di cui sono espressione le comunità che vivono sul territorio, nonché sull'alleanza strategica e la collaborazione fra la cultura e la sensibilità ambientale con il coinvolgimento dei rappresentanti delle istituzioni locali e degli stakeholder»;
              nel medesimo parere, la Commissione affermò «la necessità che il Governo provveda ad inserire già nel disegno di legge di stabilità per il 2014 che si appresta a presentare al Parlamento, specifiche disposizioni dirette a garantire ulteriori risorse a favore delle aree protette»;
              nei parchi c’è una forte propensione all'innovazione ambientale, alla promozione di processi produttivi puliti e di qualità. Negli ultimi tre anni il 38 per cento delle imprese del settore agricolo che risiedono nelle aree protette (circa 5.000) ha ridotto l'impiego di energia 0 di acqua per unità di prodotto, 1.100 imprese (8 per cento) hanno utilizzato energia da fonti rinnovabili e 1.800 imprese (14 per cento) investiranno in tecnologie ambientali. In sostanza è possibile affermare che i fondi destinati alle aree protette rappresentano un vero e proprio investimento in grado di creare occupazione;
              per questo motivo dai territori viene espressa l'esigenza e la volontà di creare nuove aree protette come accade in Molise per il Parco del Matese per l'istituzione del quale sono già state depositate due proposte di legge una a gennaio 2014 a prima firma Terzoni (n.  1987) e una a prima firma Venittelli (n.2567) a luglio 2014,

impegna il Governo

ad intervenire con misure strutturali in grado, a partire dalla presente legge di stabilità, di incrementare in maniera progressiva il fondo destinato alle aree protette per tornare entro il 2018 almeno ai livelli di disponibilità del 2011.
9/2679-bis-A/144. Terzoni.


      La Camera,
          premesso che:
              risulta imprescindibile considerare i forti risparmi di spesa per il bilancio dello Stato connessi alla minore produzione dei rifiuti urbani e speciali e dunque ai minori costi sostenuti per la raccolta, lo smaltimento ed ogni altra fase di gestione di essi;
              nelle «Linee guida Europee per la stesura dei piani nazionali di prevenzione dei rifiuti» si elencano alcuni esempi concreti di iniziative da prendere per ridurre i consumi di materia prima e la conseguente produzione di rifiuti: uno di questi metodi è la tassazione della posta non indirizzata, come cataloghi, depliants pubblicitari, elenchi telefonici, altri bollettini e informazioni commerciali non espressamente richieste dai destinatari;
              che la predetta misura potrebbe ridurre la posta non indirizzata del 10 - 20 per cento e fornire agli enti locali un piccolo contributo economico da indirizzare verso iniziative di prevenzione dei rifiuti, come ad esempio la costituzione di centri di riparazione e riuso, anch'essi indicati nel documento citato come pratica virtuosa di prevenzione,

impegna il Governo

a prendere nell'ambito delle proprie competenze le opportune misure, anche di carattere normativo, al fine di permettere ai Comuni di istituire le forme di tassazione locale volte alla prevenzione della produzione di rifiuti.
9/2679-bis-A/145. Segoni.


      La Camera,
          premesso che:
              la gestione dei rifiuti contenenti amianto, nonché i controlli ad esso connessi, rappresentano un gravoso onere per le casse dello Stato nella legge di stabilità nulla risulta essere stato stabilito al fine perimetrare e meglio definire la gestione dell'amianto come rifiuto pericoloso;
              la programmazione della gestione dell'amianto risulta imprescindibile e deve indicare i metodi ed i criteri di scelta dell'area di stoccaggio e vincolare il trasporto solo nei territori regionali per limitare gli illeciti e l'eccesso dei costi della filiera,

impegna il Governo

ad accertare il regolare conferimento di tale tipologia di rifiuto nelle discariche per rifiuti pericolosi adibite allo smaltimento di rifiuti di amianto o contenenti amianto di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n.36, monitorandone la capacità residua ed il rispetto degli standard ambientali, con particolare riferimento alla rilevazione della concentrazione di fibre nell'aria nell'ambito del piano di sorveglianza e controllo.
9/2679-bis-A/146. Vignaroli.


      La Camera,
          premesso che:
              con affitti che incidono, in media, più del 30 per cento sul reddito totale di un cittadino, a cui vanno aggiunte tutte le spese relative alla locazione e alle utenze domestiche, sempre più soggetti rischiano di cadere nel vortice della povertà andandosi ad aggiungere alle già cospicue liste di popolazione indigente;
              nel nostro Paese sono 700.000 le famiglie collocate utilmente nelle graduatorie comunali per l'accesso a un alloggio di edilizia residenziale pubblica;
              a tutt'oggi i piani casa che sono stati adottati dai Governi che sino finora succeduti, non hanno prodotto alcun effetto; da qui la necessità di procedere ad una ulteriore proroga degli sfratti;
              la sospensione dei provvedimenti di sfratto per finita locazione che scade il 31 dicembre 2014 si applica a famiglie con sfratto per finita locazione aventi un reddito complessivo inferiore a 27.000 euro, e che vedono la presenza di minori, o anziani, o portatori di handicap;
              ogni adempimento connesso all'esecuzione degli sfratti e al rilascio produce un ingente onere per la finanza pubblica ed ha un costo sociale rilevante in considerazione dei soggetti interessati,

impegna il Governo

a disporre la proroga almeno fino al 31 dicembre 2015 degli sfratti per finita locazione che riguardano famiglie con reddito complessivo inferiore a 27.000 euro, con    o anziani, o portatori di handicap, ad oggi prevista fino al 31 dicembre dell'anno in corso.
9/2679-bis-A/147. Daga.


      La Camera,
          premesso che:
              con affitti che incidono, in media, più del 30 per cento sul reddito totale di un cittadino, a cui vanno aggiunte tutte le spese relative alla locazione e alle utenze domestiche, sempre più soggetti rischiano di cadere nel vortice della povertà andandosi ad aggiungere alle già cospicue liste di popolazione indigente;
              nel nostro Paese sono 700.000 le famiglie collocate utilmente nelle graduatorie comunali per l'accesso a un alloggio di edilizia residenziale pubblica;
              a tutt'oggi i piani casa che sono stati adottati dai Governi che sino finora succeduti, non hanno prodotto alcun effetto; da qui la necessità di procedere ad una ulteriore proroga degli sfratti;
              la sospensione dei provvedimenti di sfratto per finita locazione che scade il 31 dicembre 2014 si applica a famiglie con sfratto per finita locazione aventi un reddito complessivo inferiore a 27.000 euro, e che vedono la presenza di minori, o anziani, o portatori di handicap;
              ogni adempimento connesso all'esecuzione degli sfratti e al rilascio produce un ingente onere per la finanza pubblica ed ha un costo sociale rilevante in considerazione dei soggetti interessati,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di introdurre la proroga almeno fino al 31 dicembre 2015 degli sfratti per finita locazione che riguardano famiglie con reddito complessivo inferiore a 27.000 euro, con    o anziani, o portatori di handicap, ad oggi prevista fino al 31 dicembre dell'anno in corso.
9/2679-bis-A/147.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Daga.


      La Camera,
          premesso che:
              ritenuto che le risorse destinate al rinnovo dei parchi automobilistici e ferroviari destinati al trasporto pubblico locale sono del tutto insufficienti rispetto alla reale domanda;
              ad oggi, i pochi finanziamenti destinati al rinnovo del parco hanno comportato un progressivo invecchiamento del parco rotabile, ben oltre il limite dei dieci anni previsto dalla normativa di settore;
              nel provvedimento in esame non vi sono misure che favoriscano una mobilità sostenibile sia di beni che di persone. Oltre ad una revoca degli stanziamenti destinati a finanziare gli incentivi per la rottamazione dei veicoli meno inquinanti per l'anno 2015 e dei contributi ventennali per gli investimenti delle imprese marittime per il rinnovo e l'ammodernamento della flotta, risultano del tutto assenti stanziamenti in favore del trasporto pubblico locale;
              per quanto concerne il trasporto pubblico locale, si procede ad una semplice ridefinizione delle procedure e dei requisiti per accedere agli stanziamenti autorizzati nella precedente legge di stabilità,

impegna il Governo

ad incrementare la dotazione del fondo per il miglioramento della mobilità dei pendolari istituito dall'articolo 1, comma 1031, della legge n.  296 del 2006 al fine di consentire un progressivo miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi di trasporto pubblico offerti.
9/2679-bis-A/148. Cristian Iannuzzi.


      La Camera,
          premesso che:
              ritenuto che le risorse destinate al trasporto pubblico locale sono del tutto insufficienti rispetto alla reale domanda;
              l'assenza di adeguate risorse, oltre che di una capacità gestionale ed organizzativa, ha prodotto nelle più grandi città italiane rilevanti fenomeni di congestione i quali, a loro volta, sono stati causa di elevati costi per la collettività in termini di inquinamento acustico, dell'aria, con evidenti danni riflessi in primis sulla salute. Molte città italiane, infatti, superano i livelli di emissione consentiti;
              nel provvedimento in esame non vi sono misure che favoriscano una mobilità sostenibile sia di beni che di persone. Oltre ad una revoca degli stanziamenti destinati a finanziare gli incentivi per la rottamazione dei veicoli meno inquinanti per l'anno 2015 e dei contributi ventennali per gli investimenti delle imprese marittime per il rinnovo e l'ammodernamento della flotta, risultano del tutto assenti stanziamenti in favore del trasporto pubblico locale,

impegna il Governo

ad incrementare la dotazione del Fondo Nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto Pubblico Locale anche ferroviario di cui al comma 1 dell'alt 16-bis del decreto-legge n.95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135.
9/2679-bis-A/149. Dell'Orco.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 23, al comma 1, lettera a), prevede la proroga dell'efficacia del contratto di programma 2009-2011 tra Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane Spa, fino alla sottoscrizione del nuovo contratto di programma;
              suddetta proroga fino al 31 marzo 2015 dell'efficacia del contratto di programma non appare in linea con la politica di privatizzazione predisposta dal Governo e che riguarda, tra le altre società, anche il Gruppo Poste Italiane SpA;
              analoghi dubbi sorgono circa la volontà di allungare la durata del prossimo contratto di programma che, così come stabilito dall'articolo 23, non avrà più una durata triennale, bensì quinquennale;
              le modifiche ai criteri riguardanti la deroga agli obblighi di servizio universale apportate sembrano spianare la strada alla chiusura di numerosi sportelli, così come chiesto dallo stesso amministratore delegato di Poste italiane Spa, Dott. Caio, ad AGCOM;
              nel provvedimento in esame non risulta essere stata programmata, né tantomeno incentivata, alcuna forma di digitalizzazione dei servizi resi dalla società in parola,

impegna il Governo:

          a ridurre la durata del prossimo contratto di programma stipulato tra Ministero dello Sviluppo economico e Poste italiane SpA;
          ad adottare ogni utile azione al fine di garantire un corretto l'espletamento del servizio universale postale;
          a valutare l'opportunità di promuovere iniziative volte a favorire una digitalizzazione dei servizi resi dalla società di cui in parola.
9/2679-bis-A/150. Nicola Bianchi.


      La Camera,
          premesso che:
              all'interno del provvedimento in parola non risultano essere contenute misure volte ad incentivare forme di trasporto sostenibile né interventi in favore della mobilità ciclistica;
              la promozione e l'incentivazione della mobilità sostenibile è uno degli elementi per il conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020;
              la realizzazione di reti di piste ciclabili, di ponti e di sottopassi, oltre che la predisposizione di strutture mobili e di infrastrutture atte a realizzare l'intermodalità tra biciclette e mezzi di trasporto pubblico sono tutte misure che consentirebbero il raggiungimento degli obiettivi di cui sopra,

impegna il Governo

a trovare le necessarie risorse al fine di rifinanziare adeguatamente il fondo di cui all'articolo 3 dalla Legge 19 ottobre 1998, n.  366, recante norme per il finanziamento della mobilità ciclistica.
9/2679-bis-A/151. De Lorenzis.


      La Camera,
          premesso che:
              l'Agenda Digitale è una grande visione di digitalizzazione e modernizzazione del Paese volta allo sviluppo di competenze e infrastrutture digitali, per migliorare l'efficienza dei processi, la qualità della vita dei cittadini alimentando opportunità di conoscenza, culturali, sociali ed economiche;
              l'Agenda Digitale italiana, in sintonia con quanto previsto a livello europeo, si propone una serie di obiettivi oltre che sul fronte delle infrastrutture e della diffusione della banda larga, anche sul versate dell'educazione al digitale e, quindi, dell'utilizzo consapevole e informato delle nuove tecnologie dell'informazione e delle comunicazione;
              dai dati pubblicati dalla Commissione europea con riferimento alla penetrazione della banda larga emerge che solo il 21 per cento delle abitazioni italiane è raggiunto da una rete di accesso veloce ad internet (almeno a 30 Mbps) a fronte di una media europea del 62 per cento e a dati di alcuni Paesi europei quali Regno Unito o Spagna che si attestano sopra la media, rispettivamente all'82 e al 65 per cento di penetrazione e che nei prossimi anni prevedono di raggiungere il 100 per cento di copertura;
              da quanto risulta dal rapporto «Strategia italiana per la banda ultralarga», in consultazione pubblica dal 20 novembre 2014, risultano necessari per l'attuazione del piano, 12,5 miliardi di euro. L'investimento pubblico, da quanto risulta dal documento, dovrebbe aggirarsi sui 6 miliardi di euro, a valere su quattro tipologie di fondi di origine comunitaria, nazionale e regionale (FESR, FEASR, FSC);
              nella legge di stabilità 2015, non è previsto alcun intervento economico volto a sostenere gli obiettivi del piano strategico banda ultralarga,

impegna il Governo

a stanziare ulteriori fondi, nel rispetto degli obiettivi dell'Agenda Digitale Europea, per il completamento del Piano Nazionale della Banda Ultralarga.
9/2679-bis-A/152. Liuzzi.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 2 dell'articolo 19 pone a carico delle risorse riscosse dall'ENAV per i servizi di rotta svolti a favore del traffico aereo civile, e non più a carico del Ministero dell'economia, una serie di oneri connessi alla navigazione aerea;
              suddetti oneri verranno molto probabilmente coperti attraverso un adeguamento delle tariffe che ENAV S.p.A. applica a coloro che sorvolano lo spazio aereo Italiano, ovvero attraverso un aumento delle stesse;
              la difficile congiuntura economica che interessa e minaccia anche il settore aereo induce le compagnie aeree a programmare le rotte non più basandosi sulla qualità dei servizi offerti dai fornitori, ma sulla tariffazione, privilegiando dunque le tariffe più economiche;
              alla luce di quanto sopra è realistico prevedere uno spostamento consistente dei flussi di traffico verso l'est Europa che storicamente fornisce tali servizi a costi sensibilmente inferiori, con una consequenziale riduzione del gettito percepito da ENAV S.p.A ed una svalutazione delle potenzialità e delle capacità della società stessa;
              tale svalutazione, alla luce della politica di privatizzazione messa in atto dal Governo che riguarderà, tra le altre società, anche la stessa ENAV S.p.A., risulta incomprensibile e rischia di favorire futuri acquirenti privati,

impegna il Governo

ad adottare tutte le necessarie misure volte a scongiurare una consistente riduzione del traffico aereo e dunque ad assicurare gli attuali standard di efficienza e produttività di ENAV S.p.A e dunque a valutare l'opportunità di trovare modalità alternative che non costringano la società a sostenere l'esborso di cui in premessa.
9/2679-bis-A/153. Paolo Nicolò Romano.


      La Camera,
          premesso che:
              la sezione IX del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, reca misure per la nascita e lo sviluppo di imprese startup innovative;
              al 26 novembre 2014, in Italia, si contano 2935 startup innovative e 32 incubatori certificati; il tasso di crescita di questo ecosistema è tra i pochi a risultare positivo ed è circa pari a 30 unità per settimana per quanto concerne le startup innovative;
              secondo l'European BIC Network, nel 2012, gli investimenti privati in startup in Italia sono sensibilmente inferiori rispetto alla media Europea, questo a causa di incertezza normativa, elevato costo del lavoro e assenza di appropriati strumenti finanziari;
              secondo lo studio «Foreign Born Scientists: Mobility Patterns for Sixteen Countries», (Chiara Franzoni, Giuseppe Scellato, Paula Stephan) in Italia i ricercatori in ingresso sono il 3 per cento e quelli che fuggono sono il 16 per cento, questo ci porta dunque ad un bilancio tragico: -13 per cento. In Paesi vicini come la Francia ed il Regno Unito questo dato diventa invece rispettivamente +4 per cento e +8 per cento, sino ad arrivare a casi di successo come Svizzera e Svezia che superano il +20 per cento;
              tra i maggiori problemi riscontrati dalle imprese in Italia si individuano il costo del lavoro, l'elevata tassazione ed oneri burocratici non sostenibili;
              nell'ottobre 2013 la Regione Lombardia e nel luglio 2014 la Regione Toscana hanno disposto provvedimenti al fine di ridurre l'IRAP per le startup innovative;
              risulta decisamente pesante, per i soci amministratori di startup innovative, l'onere economico dovuto al pagamento del contributo minimale di cui al comma 3, dell'articolo 1 della legge 2 agosto 1990, n.  233 e di cui al comma 7, dell'articolo 6 della legge 31 dicembre 1991, n.  415;
              l'articolo 27 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221 introduce sistemi per consentire la partecipazione finanziaria di amministratori, dipendenti o collaboratori continuativi alla startup innovativa o all'incubatore certificato di appartenenza e dispone che azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi o diritti emessi da startup innovative o incubatori non concorrano alla formazione dei reddito imponibile per i soggetti interessati;
              oneri economici e burocratici sostanziosi si ritrovano comunque nel processo di costituzione dell'impresa e nell'utilizzo di strumenti finanziari partecipativi;
              gli strumenti finanziari partecipativi costituiscono importanti elementi per la nascita e la crescita di startup innovative in tutto il mondo in quanto sostituiscono il denaro in una fase iniziale dell'impresa in cui la disponibilità di liquidità è ridotta, coinvolgendo inoltre direttamente i soggetti collegati all'impresa, rendendoli partecipi degli utili;
              il comma 7 dell'articolo 29 del decreto-legge del 18 ottobre 2012, n.  179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221 prevede, per quanto riguarda gli investimenti nel capitale sociale di startup innovative, detrazioni sull'imposta lorda sui reddito delle persone fisiche al 19 per cento e deduzioni sull'imposta sul reddito delle società pari al 20 per cento, fatto salvo per investimenti nel capitale sociale di startup innovative a vocazione sociale o che operano nel settore energetico, la cui corrispettiva deduzione è pari al 25 per cento per persone fisiche e pari al 27 per cento per persone giuridiche;
              a vita di una startup innovativa, di cui alla lettera b del comma 2 dell'articolo 25 del decreto-legge del 18 ottobre 2012, n.  179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, pari a quattro anni, risulta essere non adatta a favorire la competitività a confronto con gli altri paesi dell'Unione europea data la grande inerzia del sistema paese Italia;
              Ministero dell'Economia e delle Finanze e Consob hanno già provveduto, rispettivamente con Decreto Ministeriale del 30 gennaio 2014 e con delibera n.  18592 «Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di startup innovative tramite portali on-line», a dare attuazione delle disposizioni dell'articolo 30 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221 in materia di equity crowdfunding;
              il regolamento Consob di cui al punto precedente non consente operazioni di equity crowdfunding nei confronti dei fondi di investimento,

impegna il Governo:

          ad adottare misure in favore delle startup innovative ed in particolare a:
              individuare, di concerto con le Regioni, le risorse economiche necessarie per ridurre o esentare le startup innovative dal pagamento dell'IRAP;
              abolire il contributo minimale INPS per soci amministratori di startup innovative;
              stabilire, sia per le persone fisiche che per persone giuridiche, la quota di detrazione fiscale al 30 per cento per investimenti nel capitale sociale di imprese startup innovative;
              prevedere deduzioni fiscali pari al 50 per cento sull'acquisto di beni strumentali per le startup innovative;
              predisporre un modello unico standard per la costituzione di una SRL o SRLS startup innovativa;
              predisporre un modello standard per l'utilizzo di strumenti finanziari partecipativi per SRL o SRLS startup innovative;
              attribuire la facoltà al segretario comunale la competenza di autenticare gli atti di cui ai precedenti due punti e di trasmetterli al Registro delle imprese;
              innalzare il regime di startup innovativa da 48 mesi a 60 mesi;
              estendere la possibilità di effettuare operazioni di equity crowdfunding anche nei confronti di fondi di investimento.
9/2679-bis-A/154. Della Valle.


      La Camera,
          premesso che:
              la sezione IX del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, reca misure per la nascita e lo sviluppo di imprese startup innovative;
              al 26 novembre 2014, in Italia, si contano 2935 startup innovative e 32 incubatori certificati; il tasso di crescita di questo ecosistema è tra i pochi a risultare positivo ed è circa pari a 30 unità per settimana per quanto concerne le startup innovative;
              secondo l'European BIC Network, nel 2012, gli investimenti privati in startup in Italia sono sensibilmente inferiori rispetto alla media Europea, questo a causa di incertezza normativa, elevato costo del lavoro e assenza di appropriati strumenti finanziari;
              secondo lo studio «Foreign Born Scientists: Mobility Patterns for Sixteen Countries», (Chiara Franzoni, Giuseppe Scellato, Paula Stephan) in Italia i ricercatori in ingresso sono il 3 per cento e quelli che fuggono sono il 16 per cento, questo ci porta dunque ad un bilancio tragico: -13 per cento. In Paesi vicini come la Francia ed il Regno Unito questo dato diventa invece rispettivamente +4 per cento e +8 per cento, sino ad arrivare a casi di successo come Svizzera e Svezia che superano il +20 per cento;
              tra i maggiori problemi riscontrati dalle imprese in Italia si individuano il costo del lavoro, l'elevata tassazione ed oneri burocratici non sostenibili;
              nell'ottobre 2013 la Regione Lombardia e nel luglio 2014 la Regione Toscana hanno disposto provvedimenti al fine di ridurre l'IRAP per le startup innovative;
              risulta decisamente pesante, per i soci amministratori di startup innovative, l'onere economico dovuto al pagamento del contributo minimale di cui al comma 3, dell'articolo 1 della legge 2 agosto 1990, n.  233 e di cui al comma 7, dell'articolo 6 della legge 31 dicembre 1991, n.  415;
              l'articolo 27 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221 introduce sistemi per consentire la partecipazione finanziaria di amministratori, dipendenti o collaboratori continuativi alla startup innovativa o all'incubatore certificato di appartenenza e dispone che azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi o diritti emessi da startup innovative o incubatori non concorrano alla formazione dei reddito imponibile per i soggetti interessati;
              oneri economici e burocratici sostanziosi si ritrovano comunque nel processo di costituzione dell'impresa e nell'utilizzo di strumenti finanziari partecipativi;
              gli strumenti finanziari partecipativi costituiscono importanti elementi per la nascita e la crescita di startup innovative in tutto il mondo in quanto sostituiscono il denaro in una fase iniziale dell'impresa in cui la disponibilità di liquidità è ridotta, coinvolgendo inoltre direttamente i soggetti collegati all'impresa, rendendoli partecipi degli utili;
              il comma 7 dell'articolo 29 del decreto-legge del 18 ottobre 2012, n.  179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221 prevede, per quanto riguarda gli investimenti nel capitale sociale di startup innovative, detrazioni sull'imposta lorda sui reddito delle persone fisiche al 19 per cento e deduzioni sull'imposta sul reddito delle società pari al 20 per cento, fatto salvo per investimenti nel capitale sociale di startup innovative a vocazione sociale o che operano nel settore energetico, la cui corrispettiva deduzione è pari al 25 per cento per persone fisiche e pari al 27 per cento per persone giuridiche;
              a vita di una startup innovativa, di cui alla lettera b del comma 2 dell'articolo 25 del decreto-legge del 18 ottobre 2012, n.  179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, pari a quattro anni, risulta essere non adatta a favorire la competitività a confronto con gli altri paesi dell'Unione europea data la grande inerzia del sistema paese Italia;
              Ministero dell'Economia e delle Finanze e Consob hanno già provveduto, rispettivamente con Decreto Ministeriale del 30 gennaio 2014 e con delibera n.  18592 «Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di startup innovative tramite portali on-line», a dare attuazione delle disposizioni dell'articolo 30 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221 in materia di equity crowdfunding;
              il regolamento Consob di cui al punto precedente non consente operazioni di equity crowdfunding nei confronti dei fondi di investimento,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di adottare misure in favore delle startup innovative ed in particolare a:
              individuare, di concerto con le Regioni, le risorse economiche necessarie per ridurre o esentare le startup innovative dal pagamento dell'IRAP;
              abolire il contributo minimale INPS per soci amministratori di startup innovative;
              stabilire, sia per le persone fisiche che per persone giuridiche, la quota di detrazione fiscale al 30 per cento per investimenti nel capitale sociale di imprese startup innovative;
              prevedere deduzioni fiscali pari al 50 per cento sull'acquisto di beni strumentali per le startup innovative;
              predisporre un modello unico standard per la costituzione di una SRL o SRLS startup innovativa;
              predisporre un modello standard per l'utilizzo di strumenti finanziari partecipativi per SRL o SRLS startup innovative;
              attribuire la facoltà al segretario comunale la competenza di autenticare gli atti di cui ai precedenti due punti e di trasmetterli al Registro delle imprese;
              innalzare il regime di startup innovativa da 48 mesi a 60 mesi;
              estendere la possibilità di effettuare operazioni di equity crowdfunding anche nei confronti di fondi di investimento.
9/2679-bis-A/154.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Della Valle.


      La Camera,
          premesso che:
              l'Atto Camera n.  2679-bis, relativo alla legge di Stabilità per il 2015, prevede diverse misure per adeguare i capitoli di bilancio alle esigenze di spesa;
              il nostro Paese risulta fortemente in ritardo nella realizzazione di un sistema integrato di mobilità sostenibile;
              questi ritardi si evidenziano soprattutto sul piano delle infrastrutture a sostegno della diffusione dei veicoli di nuova concezione, con particolare riguardo ai veicoli a trazione elettrica;
              in questo senso, e salvo sporadiche iniziative sperimentali e comunque dislocate in aree urbane, risulta del tutto assente una rete di colonnine per la ricarica veloce in aree extraurbane e autostradali, in grado di ridurre i tempi medi di ricarica, intesi come tempo per fare un «pieno» di energia che consenta al veicolo di percorrere lunghe distanze;
              secondo uno studio di RSE, questo stato di cose rappresenta uno dei principali ostacoli alla diffusione dei veicoli a trazione elettrica (nel 2013, in Italia sono state acquistate appena 864 auto elettriche), con conseguenze negative per quanto riguarda il risparmio, la qualità dell'ambiente e la salute del cittadino;
              il fondo per finanziare il Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica, di cui all'articolo 17-septies della legge 7 agosto 2012, n.  134, allo stato risulta inadeguato alla realizzazione di una rete infrastrutturale di ricarica veloce dei veicoli elettrici,

impegna il Governo

ad individuare le risorse necessarie per la realizzazione di una rete di ricarica veloce in aree extraurbane e autostradali come previsto dall'articolo 17-septies della legge 7 agosto 2012, n.  134.
9/2679-bis-A/155. Vallascas.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in discussione ha come obiettivo quello di definire le modalità di formazione del bilancio dello Stato modulando i relativi strumenti allo scopo di concorrere all'aumento della crescita economica, dell'efficienza, dell'occupazione e del conseguente sviluppo della base produttiva interna che, costituendo il serbatoio dell'erario, determina il volume delle risorse destinabili alla formazione di tale bilancio;
              ogni agevolazione dei pagamenti con moneta elettronica, scoraggiando i reati contro il patrimonio favoriti dalla presenza di contante presso il punto vendita, implica una minor pressione sulla spesa della pubblica amministrazione, attraverso la riduzione del fabbisogno di ordine pubblico, amministrazione giudiziaria e, dati gli atti di violenza che spesso accompagnano tali reati, dei costi sociali gravanti sul sistema sanitario e previdenziale pubblico;
              tale agevolazione, aumentando la propensione complessiva di consumatori e operatori a effettuare e ricevere pagamenti tracciabili, costituisce inoltre volano utile per una maggior diffusione di questo mezzo di pagamento cosicché, oltre a ridursi il costo delle transazioni per il sistema economico (che la Banca d'Italia stima in 8 miliardi di euro annui, pari allo 0,52 per cento del prodotto interno lordo, di cui il 49 per cento a carico delle banche e il 51 per cento a carico delle imprese e delle famiglie), liberando risorse utili alla crescita, venga ridotta altresì la possibilità di riciclaggio, evasione ed elusione delle imposte dirette e indirette, con il beneficio conseguente per l'erario e il bilancio dello Stato e delle pubbliche amministrazioni;
              la normativa nazionale dal 2007 ha ridotto il limite all'uso del contante e dei titoli al portatore da 12.500 a 5.000 euro (decreto legislativo n.  231 del 2007), nel 2008 lo ha riportato a 12.500 euro (decreto-legge n.  112 del 2008 convertito con legge n.  133 del 2008), per poi ricondurlo nuovamente a 5.000 nel 2010 (decreto-legge n.  78/2010 convertito con legge n.  122 del 2010), cifra che è stata poi ridotta a 2.500 euro nel 2011 (decreto-legge n.  138 del 2011 convertito con legge n.  148 del 2011); infine, il decreto-legge n.  201 del 2011 (cosiddetto salva Italia), convertito, con modificazioni, dalla legge n.  214 del 2011 ha fissato, all'articolo 12, il limite all'uso del contante e dei titoli al portatore a un importo inferiore ad euro 1.000;
              l'articolo 34, comma 7, della legge di stabilità 2012 (n.  183 del 2011), ha previsto dal 1o gennaio 2012 la gratuità, sia per l'acquirente che per il venditore, delle transazioni regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti, di importo inferiore ai 100 euro;
              l'articolo 12, comma 9, del citato decreto-legge n.  201 del 2011 ha stabilito che l'Associazione bancaria italiana, le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, la società Poste italiane s.p.a., il Consorzio Bancomat, le imprese che gestiscono circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese maggiormente significative a livello nazionale definissero, entro il 1o giugno 2012, e applicassero entro i tre mesi successivi, le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento;
              il comma 10 del medesimo articolo 12 del succitato decreto-legge ha stabilito che, in caso di mancata definizione e applicazione delle misure di cui al predetto comma 9, le stesse fossero fissate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato; l'articolo 27, comma 1, lettera d), del decreto-legge n.  1/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  27 del 2012, ha stabilito che, fino alla pubblicazione del decreto che recepisce la valutazione dell'efficacia delle misure definite ai sensi del comma 9, ovvero che fissa le misure ai sensi del comma 10, continua ad applicarsi il comma 7 dell'articolo 34 della legge 12 novembre 2011, n.  183, il quale stabilisce la gratuità dei pagamenti presso gli impianti di distribuzione di carburanti;
              il Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto 14 febbraio 2014, n.  51, ha emanato il regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, ai sensi dei citati commi 9 e 10 dell'articolo 12, che è entrato in vigore lo scorso 29 luglio 2014, producendo la cessazione, dal 31 marzo 2014 (ovvero dalla data di pubblicazione del decreto), dell'efficacia della norma che stabilisce la gratuità dei pagamenti presso gli impianti di distribuzione di carburanti;
              ai sensi dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge n.  179/2012, convertito con legge n.  221 del 2012, a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito, essendosi poi previsto con decreto ministeriale 24 gennaio 2014 l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte elettroniche per tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti a favore dei soggetti esercenti l'attività di impresa o professionisti;
              il libro verde «Verso un mercato integrato dei pagamenti» (COM(2011) 941 def) mira alla costruzione graduale di un'area unica dei pagamenti in euro (AUPE) – basata cioè sul presupposto che non vi sia distinzione tra pagamenti elettronici al dettaglio (bonifici, addebiti diretti e carte di pagamento) in euro, transfrontalieri e nazionali – attraverso l'introduzione di misure che favoriscano la diffusione dei pagamenti elettronici;
              le commissioni interbancarie con carte di credito e di debito (interchange fee) rappresentano la base per la determinazione delle commissioni addebitate dagli istituti bancari ai propri clienti finali per le operazioni commerciali regolate con tali strumenti di pagamento;
              il 3 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura una proposta di regolamento, rubricato COM(2013) 550, che prevede un tetto sulle commissioni interbancarie con carte di credito e di debito (interchange fee) dello 0,2 per cento della transazione per le carte di debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito; per i primi 22 mesi tale tetto alle commissioni sarebbe in vigore solo per le transazioni internazionali, ed entro due anni dalla data di pubblicazione del provvedimento, entrerebbe in vigore anche per quelle domestiche;
              secondo la relazione allegata alla suddetta proposta della Commissione europea, il calo all’interchange fee dovrebbe ridurre i costi a carico dei commercianti di circa sei miliardi di euro all'anno e rilanciare l'uso del pagamento elettronico; attualmente, la commissione pagata dalla banca del commerciante alla banca del consumatore, può raggiungere addirittura l'1,5 per cento del totale della transazione;
              il settore della distribuzione di carburanti al pubblico opera con margini che, a seconda delle modalità di vendita, oscillano tra l'1 per cento e il 2 per cento del prezzo finale pagato dal consumatore, a fronte di costi delle transazioni elettroniche che variano, a seconda degli istituti bancari e dei territori, dallo 0,5 per cento all'1,2 per cento del loro valore, e al contempo i costi complessivi legati al mantenimento e all'uso dei POS sono più alti, anche oltre il 50 per cento, rispetto alla media europea,

impegna il Governo

          a promuovere ogni iniziativa appropriata a ripristinare la gratuità delle transazioni di importo inferiore ai 100 euro regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti, vigilando affinché tale sgravio non venga vanificato con l'imposizione di oneri di noleggio esorbitanti per gli apparecchi POS;
          ovvero a fissare un tetto massimo alle commissioni per pagamenti con carte di debito e di credito presso tali impianti, affinché non superino il 150 per cento dei massimi prospettati dalla citata proposta di regolamento COM(2013)550 per le commissioni interbancarie, quindi lo 0,3 per cento della transazione per le carte di debito e lo 0,45 per cento della transazione per le carte di credito.
9/2679-bis-A/156. Da Villa.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in discussione ha come obiettivo quello di definire le modalità di formazione del bilancio dello Stato modulando i relativi strumenti allo scopo di concorrere all'aumento della crescita economica, dell'efficienza, dell'occupazione e del conseguente sviluppo della base produttiva interna che, costituendo il serbatoio dell'erario, determina il volume delle risorse destinabili alla formazione di tale bilancio;
              ogni agevolazione dei pagamenti con moneta elettronica, scoraggiando i reati contro il patrimonio favoriti dalla presenza di contante presso il punto vendita, implica una minor pressione sulla spesa della pubblica amministrazione, attraverso la riduzione del fabbisogno di ordine pubblico, amministrazione giudiziaria e, dati gli atti di violenza che spesso accompagnano tali reati, dei costi sociali gravanti sul sistema sanitario e previdenziale pubblico;
              tale agevolazione, aumentando la propensione complessiva di consumatori e operatori a effettuare e ricevere pagamenti tracciabili, costituisce inoltre volano utile per una maggior diffusione di questo mezzo di pagamento cosicché, oltre a ridursi il costo delle transazioni per il sistema economico (che la Banca d'Italia stima in 8 miliardi di euro annui, pari allo 0,52 per cento del prodotto interno lordo, di cui il 49 per cento a carico delle banche e il 51 per cento a carico delle imprese e delle famiglie), liberando risorse utili alla crescita, venga ridotta altresì la possibilità di riciclaggio, evasione ed elusione delle imposte dirette e indirette, con il beneficio conseguente per l'erario e il bilancio dello Stato e delle pubbliche amministrazioni;
              la normativa nazionale dal 2007 ha ridotto il limite all'uso del contante e dei titoli al portatore da 12.500 a 5.000 euro (decreto legislativo n.  231 del 2007), nel 2008 lo ha riportato a 12.500 euro (decreto-legge n.  112 del 2008 convertito con legge n.  133 del 2008), per poi ricondurlo nuovamente a 5.000 nel 2010 (decreto-legge n.  78/2010 convertito con legge n.  122 del 2010), cifra che è stata poi ridotta a 2.500 euro nel 2011 (decreto-legge n.  138 del 2011 convertito con legge n.  148 del 2011); infine, il decreto-legge n.  201 del 2011 (cosiddetto salva Italia), convertito, con modificazioni, dalla legge n.  214 del 2011 ha fissato, all'articolo 12, il limite all'uso del contante e dei titoli al portatore a un importo inferiore ad euro 1.000;
              l'articolo 34, comma 7, della legge di stabilità 2012 (n.  183 del 2011), ha previsto dal 1o gennaio 2012 la gratuità, sia per l'acquirente che per il venditore, delle transazioni regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti, di importo inferiore ai 100 euro;
              l'articolo 12, comma 9, del citato decreto-legge n.  201 del 2011 ha stabilito che l'Associazione bancaria italiana, le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, la società Poste italiane s.p.a., il Consorzio Bancomat, le imprese che gestiscono circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese maggiormente significative a livello nazionale definissero, entro il 1o giugno 2012, e applicassero entro i tre mesi successivi, le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento;
              il comma 10 del medesimo articolo 12 del succitato decreto-legge ha stabilito che, in caso di mancata definizione e applicazione delle misure di cui al predetto comma 9, le stesse fossero fissate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato; l'articolo 27, comma 1, lettera d), del decreto-legge n.  1/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  27 del 2012, ha stabilito che, fino alla pubblicazione del decreto che recepisce la valutazione dell'efficacia delle misure definite ai sensi del comma 9, ovvero che fissa le misure ai sensi del comma 10, continua ad applicarsi il comma 7 dell'articolo 34 della legge 12 novembre 2011, n.  183, il quale stabilisce la gratuità dei pagamenti presso gli impianti di distribuzione di carburanti;
              il Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto 14 febbraio 2014, n.  51, ha emanato il regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, ai sensi dei citati commi 9 e 10 dell'articolo 12, che è entrato in vigore lo scorso 29 luglio 2014, producendo la cessazione, dal 31 marzo 2014 (ovvero dalla data di pubblicazione del decreto), dell'efficacia della norma che stabilisce la gratuità dei pagamenti presso gli impianti di distribuzione di carburanti;
              ai sensi dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge n.  179/2012, convertito con legge n.  221 del 2012, a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito, essendosi poi previsto con decreto ministeriale 24 gennaio 2014 l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte elettroniche per tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti a favore dei soggetti esercenti l'attività di impresa o professionisti;
              il libro verde «Verso un mercato integrato dei pagamenti» (COM(2011) 941 def) mira alla costruzione graduale di un'area unica dei pagamenti in euro (AUPE) – basata cioè sul presupposto che non vi sia distinzione tra pagamenti elettronici al dettaglio (bonifici, addebiti diretti e carte di pagamento) in euro, transfrontalieri e nazionali – attraverso l'introduzione di misure che favoriscano la diffusione dei pagamenti elettronici;
              le commissioni interbancarie con carte di credito e di debito (interchange fee) rappresentano la base per la determinazione delle commissioni addebitate dagli istituti bancari ai propri clienti finali per le operazioni commerciali regolate con tali strumenti di pagamento;
              il 3 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura una proposta di regolamento, rubricato COM(2013) 550, che prevede un tetto sulle commissioni interbancarie con carte di credito e di debito (interchange fee) dello 0,2 per cento della transazione per le carte di debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito; per i primi 22 mesi tale tetto alle commissioni sarebbe in vigore solo per le transazioni internazionali, ed entro due anni dalla data di pubblicazione del provvedimento, entrerebbe in vigore anche per quelle domestiche;
              secondo la relazione allegata alla suddetta proposta della Commissione europea, il calo all’interchange fee dovrebbe ridurre i costi a carico dei commercianti di circa sei miliardi di euro all'anno e rilanciare l'uso del pagamento elettronico; attualmente, la commissione pagata dalla banca del commerciante alla banca del consumatore, può raggiungere addirittura l'1,5 per cento del totale della transazione;
              il settore della distribuzione di carburanti al pubblico opera con margini che, a seconda delle modalità di vendita, oscillano tra l'1 per cento e il 2 per cento del prezzo finale pagato dal consumatore, a fronte di costi delle transazioni elettroniche che variano, a seconda degli istituti bancari e dei territori, dallo 0,5 per cento all'1,2 per cento del loro valore, e al contempo i costi complessivi legati al mantenimento e all'uso dei POS sono più alti, anche oltre il 50 per cento, rispetto alla media europea,

impegna il Governo

          a valutare la possibilità di:
              promuovere ogni iniziativa appropriata a ripristinare la gratuità delle transazioni di importo inferiore ai 100 euro regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti, vigilando affinché tale sgravio non venga vanificato con l'imposizione di oneri di noleggio esorbitanti per gli apparecchi POS;
              ovvero fissare un tetto massimo alle commissioni per pagamenti con carte di debito e di credito presso tali impianti, affinché non superino il 150 per cento dei massimi prospettati dalla citata proposta di regolamento COM(2013)550 per le commissioni interbancarie, quindi lo 0,3 per cento della transazione per le carte di debito e lo 0,45 per cento della transazione per le carte di credito.
9/2679-bis-A/156.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Da Villa.


      La Camera,
          premesso che:
              nel decreto legge 31 marzo 2005, n.  44 «Disposizioni urgenti in materia di enti locali», convertito con modificazioni dalla legge 31 maggio 2005, n.  88, all'articolo 1-quinquies, «Disposizioni per la salvaguardia finanziaria dei comuni» si specifica che, con limitazione riferibile alle centrali elettriche, «i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi dell'articolo 10 del citato regio decreto-legge, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell'attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo. I trasferimenti erariali agli enti locali interessati sono conseguentemente rideterminati per tutti gli anni di riferimento»;
              l'articolo summenzionato è stato applicato a qualsiasi impianto di produzione di energia elettrica che avesse un qualche elemento di connessione con il suolo;
              l'articolo 5 del regio decreto-legge n.  652 del 1939,e modificato con decreto legislativo n.  514 del 1948 avente come oggetto l'accertamento generale dei fabbricati urbani, la rivalutazione del relativo reddito e la formazione del nuovo catasto edilizio urbano, definisce l'unità immobiliare urbana come «ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per sé stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio»;
              l'inserimento delle centrali di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nell'elencazione delle unità immobiliari censite o da censire in catasto si è reso possibile proprio in base alla definizione sopracitata;
              la «rendita catastale» degli immobili censiti dal catasto è ricavata tramite criteri differenti. Per quanto riguarda le unità immobiliari riferibili alle categorie speciali, si procede con una stima diretta che prevede l'inclusione nel valore del bene oggetto di valutazione di tutti le parti costitutive dello stesso, quindi di tutti gli elementi che lo compongono;
              l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, ha anticipato al 2012, per esigenze di risanamento dei conti pubblici, l'applicazione dell'IMU, istituita e disciplinata dal decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23; secondo tale articolo, il gettito dell'IMU sarebbe dovuto ai Comuni nei quali sorgono gli immobili rilevanti per l'imposta;
              i commi 380 e da 382 a 384, dell'articolo 1, della legge 24 dicembre 2012 n.  228 hanno di fatto modificato il già citato articolo 13 del decreto legge n.  201 del 2011, prevedendo una differente destinazione del gettito IMU e ridefinendo i rapporti finanziari tra Stato e Comuni; sarebbe quindi prevista la riserva allo Stato del gettito IMU sopracitato, derivante dagli immobili del gruppo catastale D (calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento) e la possibilità per i Comuni di aumentare fino alla percentuale di 0,3 punti tale aliquota;
              al momento, non si hanno a disposizione dati certi che possano identificare le eventuali maggiori entrate derivanti dall'applicazione dell'IMU alle centrali di produzione di energia rinnovabile; a palazzo Madama, in sede di conversione del Decreto Legge 21 maggio 2013, n.  54, «Interventi urgenti in materia di IMU», l'allora Governo Letta ha accolto, con conseguente rinuncia al voto, l'Ordine del Giorno n.  9/00843/011, firmato dai senatori Piccoli, Marin, Zanettin, Dalla Tor, Conte, Chiavaroli e Piccinelli, il quale impegnava l'esecutivo a «confermare, nell'ambito del riesame complessivo della materia, la destinazione a favore dei Comuni, o delle Unioni di Comuni laddove costituite, delle entrate da IMU, nell'entità definita dall'aliquota base, derivante da impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile, da destinarsi specificatamente ad interventi volti a migliorare la situazione sociale ed economica dei territori nei quali sono collocati detti impianti, o porzioni degli stessi»;
              ad oggi non si hanno notizie di misure normative intraprese sul tema oggetto dell'ordine del giorno summenzionato;
              appare quantomeno opportuno, in un'ottica di piena coesione economica e fiscale fra Stato ed Enti Locali, che questi ultimi possano incassare i proventi derivanti dagli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile che sorgono sul proprio territorio di competenza,

impegna il Governo

a riattribuire entro 60 giorni dall'approvazione della Legge di Stabilità 2015 ai Comuni o alle eventuali Unioni di Comuni il gettito fiscale derivante dall'IMU sugli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile.
9/2679-bis-A/157. Crippa.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante disposizioni per la formazione dei bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015) stanzia risorse finanziarie per la realizzazione del Piano straordinario per la promozione del made in Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia, di cui all'articolo 30 del decreto-legge n.  133 del 2014;
              in particolare, il comma 1 autorizza la spesa di 130 milioni di euro per l'anno 2015, di 50 milioni per il 2016 e di 40 milioni per il 2017 per la realizzazione delle azioni relative al predetto Piano straordinario. Tali risorse sono stanziate nell'ambito dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, per essere assegnate all'agenzia ICE per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese;
              la promozione del made in Italy deve essere accompagnata da interventi normativi per tutelare i prodotti italiani a tal proposito le Agenzie delle Dogane in sede di audizione presso la Commissione attività produttive della Camera nella quale ha chiesto la necessità di una riscrittura della legge n.  350 del 2003 (legge finanziaria per il 2004), nella quale è stata trasformata, in alcuni importanti casi, la fallace indicazione da illecito penale ad amministrativo e, inoltre, è stato disposto, quale solo obbligo in carico al titolare di marchio registrato che importi prodotti realizzati in Paesi terzi, quello di fornire una dichiarazione con cui si impegna ad assicurare idonea informazione sul luogo di produzione delle merci in fase di commercializzazione in un'ottica strategica di lungo periodo, spostando l'eventuale controllo ad una fase successiva, quella dell'effettiva commercializzazione, e di fatto all'intero territorio nazionale (con tutto ciò che ne consegue in termini di concreta possibilità di intervento da parte delle autorità preposte);
              tale modifica, in assoluto, ha fortemente indebolito la norma in termini di deterrenza, ma ha inoltre, e soprattutto, consentito di eludere, rendendolo inefficace, il «momento doganale» quale focus dell'azione di controllo nei punti di entrata italiani nell'Unione europea (azione, per sua natura, strutturata e azionabile rispetto ad una «griglia» di poteri, procedure e luoghi entro la quale poter effettivamente intercettare i fenomeni, nonché analizzarli, in intervento normativo);
              ha evidenziato l'impatto profondamente negativo della norme 49-bis e ter sul sistema dei controlli ha comportato che, dagli oltre 10 milioni di pezzi sequestrati nel 2008 (prima quindi dell'entrata in vigore dei commi 49-bis e ter), si è passati ai 3,5 milioni del 2010 (in vigenza dei commi citati), per finire a poco più di 1.500.000 pezzi nel 2013; cifre che da sole dimostrano l'impatto che tale normativa ha determinato sulla tutela del made in operata dall'Agenzia negli spazi doganali;
              è stata presentata una Mozione n.  1-00526 approvata all'unanimità in Aula che impegnava il Governo «a promuovere modifiche alla legge n.  350 del 2003 (legge finanziaria per il 2004), secondo le indicazioni dell'Agenzia delle dogane»;
              non c’è dubbio che la norma dell'articolo 4 – comma 49 – ha subito dal momento della sua emanazione ad oggi una serie di interventi manipolativi e di modifiche, spesso dettate da ragioni varie e diverse, che hanno snaturato il testo stesso, rendendolo incomprensibile e privo di una sua coerenza logica, quindi di difficile applicazione per gli organismi di controllo e, al tempo stesso, di difficile lettura per gli operatori economici. Infatti la proposta emendativa era per incominciare metter ordine alla norma partendo proprio dalla sua operatività ed efficacia,

impegna il Governo

a promuovere immediate modifiche alla legge n.  350 del 2003 (legge finanziaria per il 2004), secondo le indicazioni dell'Agenzia delle dogane. In particolare inasprendo la sanzione di fallace indicazione ed eliminare la disposizione che dispone al titolare di marchio registrato che importi prodotti realizzati in Paesi terzi, quello di fornire una dichiarazione con cui si impegna ad assicurare idonea informazione sul luogo di produzione delle merci in fase di commercializzazione.
9/2679-bis-A/158. Fantinati.


      La Camera,
          premesso che:
              ogni contribuente che abbia dei familiari a proprio carico può godere di un beneficio fiscale al momento della dichiarazione annuale dei redditi;
              sono considerati a carico: a) il coniuge non legalmente ed effettivamente separato; b) i figli anche adottivi; c) gli affidati; d) gli altri familiari (genitori, generi, nuore, suoceri, fratelli e sorelle), a condizione che siano conviventi con il contribuente;
              la legge di stabilità dall'anno 2013 ha modificato l'articolo 12 comma 1 lettera c del T.U.L.R. per quanto riguarda le detrazioni per figli a carico, prevedendo maggiori benefici fiscali per i lavoratori dipendenti e pensionati, nonché per i lavoratori autonomi;
              sono considerati familiari fiscalmente a carico i membri della famiglia che nel 2011 hanno posseduto un reddito complessivo uguale o inferiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili, ricomprendendo nel reddito imponibile anche il reddito dell'abitazione principale e delle inerenti pertinenze;
              il reddito rilevante può essere superato in qualsiasi momento dell'anno: al verificarsi di tale circostanza il familiare non è considerato fiscalmente a carico per l'intera annualità;
          considerato che:
              l'incremento delle detrazioni per figli a carico passano da 900 a 1.220 euro per i figli con meno di tre anni e da 800 a 950 euro per quelli di età pari o superiore a tre anni. Inoltre, la maggiorazione spettante per i figli portatori di handicap sale da 220 a 400 euro; sono previste ulteriori maggiorazioni, distinte per età e situazione di handicap, per i genitori aventi a carico 4 o più figli;
              si tratta tuttavia di importi teorici che decresceranno al crescere del reddito percepito dal genitore. In sostanza per ciascuna famiglia le detrazioni andranno a variare in base a:
                  a) reddito;
                  b) età dei figli;
                  c)numero di figli;
                  d)eventuali handicap;
          valutato che:
              la perdita delle detrazioni per figlio a carico in Italia oggi non è progressiva, ovvero non è proporzionale al maggior reddito annuale del figlio che sfori la soglia massima. Paradossalmente, qualora un figlio a carico dei propri genitori guadagni un euro in più oltre i 2840,51 euro che sono il tetto massimo per rientrare ancora come «fiscalmente a carico», i genitori in quell'anno perdono interamente tutti quanti i benefici derivanti dalle detrazioni per figlio a carico (circa 950 euro tra detrazione IRPEF e 19 per cento di spese scolastiche);
              tutto ciò provoca dei meccanismi «perversi», che il Governo ha risolto con riferimento agli assegni familiari,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa utile ad elevare maggiormente la fascia di reddito prevista ai fini delle detrazioni dei familiari a carico, sia per aiutare le famiglie a basso reddito ad aumentare le detrazioni a carico, sia per diminuire indirettamente le tasse ai dipendenti.
9/2679-bis-A/159. Rostellato.


      La Camera,
          premesso che:
              ogni contribuente che abbia dei familiari a proprio carico può godere di un beneficio fiscale al momento della dichiarazione annuale dei redditi;
              sono considerati a carico: a) il coniuge non legalmente ed effettivamente separato; b) i figli anche adottivi; c) gli affidati; d) gli altri familiari (genitori, generi, nuore, suoceri, fratelli e sorelle), a condizione che siano conviventi con il contribuente;
              la legge di stabilità dall'anno 2013 ha modificato l'articolo 12 comma 1 lettera c del T.U.L.R. per quanto riguarda le detrazioni per figli a carico, prevedendo maggiori benefici fiscali per i lavoratori dipendenti e pensionati, nonché per i lavoratori autonomi;
              sono considerati familiari fiscalmente a carico i membri della famiglia che nel 2011 hanno posseduto un reddito complessivo uguale o inferiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili, ricomprendendo nel reddito imponibile anche il reddito dell'abitazione principale e delle inerenti pertinenze;
              il reddito rilevante può essere superato in qualsiasi momento dell'anno: al verificarsi di tale circostanza il familiare non è considerato fiscalmente a carico per l'intera annualità;
          considerato che:
              l'incremento delle detrazioni per figli a carico passano da 900 a 1.220 euro per i figli con meno di tre anni e da 800 a 950 euro per quelli di età pari o superiore a tre anni. Inoltre, la maggiorazione spettante per i figli portatori di handicap sale da 220 a 400 euro; sono previste ulteriori maggiorazioni, distinte per età e situazione di handicap, per i genitori aventi a carico 4 o più figli;
              si tratta tuttavia di importi teorici che decresceranno al crescere del reddito percepito dal genitore. In sostanza per ciascuna famiglia le detrazioni andranno a variare in base a:
                  a) reddito;
                  b) età dei figli;
                  c)numero di figli;
                  d)eventuali handicap;
          valutato che:
              la perdita delle detrazioni per figlio a carico in Italia oggi non è progressiva, ovvero non è proporzionale al maggior reddito annuale del figlio che sfori la soglia massima. Paradossalmente, qualora un figlio a carico dei propri genitori guadagni un euro in più oltre i 2840,51 euro che sono il tetto massimo per rientrare ancora come «fiscalmente a carico», i genitori in quell'anno perdono interamente tutti quanti i benefici derivanti dalle detrazioni per figlio a carico (circa 950 euro tra detrazione IRPEF e 19 per cento di spese scolastiche);
              tutto ciò provoca dei meccanismi «perversi», che il Governo ha risolto con riferimento agli assegni familiari,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di assumere ogni iniziativa utile ad elevare maggiormente la fascia di reddito prevista ai fini delle detrazioni dei familiari a carico, sia per aiutare le famiglie a basso reddito ad aumentare le detrazioni a carico, sia per diminuire indirettamente le tasse ai dipendenti.
9/2679-bis-A/159.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Rostellato.


      La Camera,
          premesso che:
              le tasse, la burocrazia, il costo del lavoro, il deficit logistico-infrastrutturale, l'inefficienza della Pubblica amministrazione, la mancanza di credito e i costi dell'energia rappresentano degli ostacoli spesso insuperabili che hanno indotto molti imprenditori italiani a trasferirsi in Paesi esteri dove le condizioni delle aziende sono più favorevoli;
              uno studio della CGIA di Mestre riporta che dai 2000 al 2011 ben 27.100 imprese italiane (48 per cento del commercio all'ingrosso e 29 per cento del manifatturiero) hanno trasferito all'estero almeno una parte dell'attività produttiva con la creazione di oltre 1,5 milioni di posti lavoro oltre confine. Nel periodo 2008-2011, la delocalizzazione è cresciuta del 4,5 per cento;
              attualmente tale percentuale continua a lievitare, visto il particolare periodo di crisi; le Regioni più investite dalla «fuga» delle proprie aziende verso l'estero sono quelle del Nord: la Lombardia (9.647), il Veneto (3.679); l'Emilia Romagna (3.554); il Piemonte (2.806); complessivamente le aziende delocalizzate costituiscono oltre il 72 per cento del totale delle imprese che hanno lasciato il nostro Paese; la delocalizzazione ha una valenza economica, ma anche sociale e politica, poiché genera disoccupazione nell'area in cui ha origine,
          considerato che:
              la Francia ha introdotto la cosiddetta «legge Florange», con cui si impone alle imprese con più di mille dipendenti ad adoperarsi per trovare un compratore che rilevi l'azienda e che prosegua la produzione in territorio francese. In caso di inadempienza e conseguente chiusura e delocalizzazione dell'attività produttiva, l'azienda verrebbe condannata a pagare una multa fino al 2 per cento del fatturato, nonché «alla restituzione degli aiuti statali ricevuti nei due anni precedenti alla delocalizzazione»;
              le aziende italiane usufruiscono di finanziamenti e incentivi per la promozione e lo sviluppo imprenditoriale,

impegna il Governo

ad assumere iniziative utili volte ad accertare gli eventuali contributi pubblici che l'azienda che intende delocalizzare la propria produzione all'estero ha ottenuto, sotto qualsiasi forma, negli ultimi quindici anni, disponendo la restituzione dei contributi pubblici incassati.
9/2679-bis-A/160. Rizzetto.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2 del provvedimento in esame reca disposizioni concernenti le gestioni previdenziali;
          considerato che:
              il direttore generale dell'INPS, in una dichiarazione resa il 28 gennaio 2013 e pubblicata dal quotidiano economico Italia Oggi, ha stimato in 10 miliardi di euro l'ammontare dei contributi «silenti», indicando in «diversi milioni» la platea degli assicurati interessati; quanto indicato nel suddetto articolo dovrebbe afferire al totale dei versamenti effettuati dai lavoratori senza distinzione di gestione previdenziale di appartenenza;
              di tale somma non si conosce la destinazione contabile e giuridica costituendo al contempo una entrata per l'istituto previdenziale e una fonte di finanziamento per le gestioni aliene da impegni nei confronti dei soggetti versanti;
              tra le varie gestioni l'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.  335, ha istituito presso l'INPS, a decorrere dal 1o gennaio 1996, la cassa pensionistica denominata gestione separata per i cosiddetti lavoratori atipici (parasubordinati);
              l'obbligo di iscrizione alla gestione sparata grava su milioni di lavoratori in particolare: categorie residuali di liberi professionisti, precari, occasionali, parasubordinati, collaboratori a progetto, addetti vendita porta a porta, per i quali non è stata prevista una specifica cassa previdenziale nonché specializzandi o dottori titolari di assegni di ricerca;
              le suddette categorie di soggetti sono tenuti a versare i contributi presso la gestione separata dell'INPS;
              il conseguimento del diritto all'accesso al trattamento pensionistico a carico della gestione separata è subordinato alla maturazione da parte del lavoratore di un'anzianità contributiva effettiva minima di cinque anni e dei requisiti anagrafici di cui all'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214; il lavoratore iscritto alla gestione separata presso l'INPS, che cessi la propria attività prima del perfezionamento del requisito contributivo prescritto per la liquidazione di un autonomo trattamento pensionistico, è ascrivibile alla più ampia categoria dei contribuenti «silenti»; i suddetti contribuenti «silenti» sono accomunati dal fatto che adempiono al versamento dei contributi a «fondo perduto» e questa circostanza contravviene a qualsiasi principio sinallagmatico; appare evidente l'iniquità della disciplina dei contributi «silenti», tenuto conto della circostanza che i soggetti che non riescono a conseguire l'anzianità contributiva minima, oltre a non poter accedere alla pensione di anzianità, perdono i contributi versati;
              ad oggi i contributi dovuti per effetto delle diverse aliquote riferite ai soli soggetti iscritti alla gestione separata sono dovuti nella misura minima del 22 per cento fino al 28,72 del reddito conseguito,

impegna il Governo:

          ad assumere ogni iniziativa di competenza, al fine di adottare gli opportuni atti normativi per consentire l'utilizzo dei contributi «silenti» per corrispondere un trattamento – a calcolo puro – a favore dei soggetti non titolari di altre prestazioni al raggiungimento dell'età anagrafica di 65 anni, prescindendo dai requisiti minimi richiesti;
          a procedere – con particolare riferimento ai lavoratori iscritti alla gestione sparata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.  335 – ad una ricognizione per determinare l'ammontare totale dei contributi «silenti» e come tale importo potrà evolversi, nei prossimi 10 anni, alla luce delle innovazioni in materia previdenziale e del mercato del lavoro e, contestualmente, indicare la destinazione attuale della contribuzione non utile alla maturazione di un autonomo trattamento pensionistico versata nella gestione separata.
9/2679-bis-A/161. Baldassarre.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2 del provvedimento in esame reca disposizioni concernenti le gestioni previdenziali;
          considerato che:
              il direttore generale dell'INPS, in una dichiarazione resa il 28 gennaio 2013 e pubblicata dal quotidiano economico Italia Oggi, ha stimato in 10 miliardi di euro l'ammontare dei contributi «silenti», indicando in «diversi milioni» la platea degli assicurati interessati; quanto indicato nel suddetto articolo dovrebbe afferire al totale dei versamenti effettuati dai lavoratori senza distinzione di gestione previdenziale di appartenenza;
              di tale somma non si conosce la destinazione contabile e giuridica costituendo al contempo una entrata per l'istituto previdenziale e una fonte di finanziamento per le gestioni aliene da impegni nei confronti dei soggetti versanti;
              tra le varie gestioni l'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.  335, ha istituito presso l'INPS, a decorrere dal 1o gennaio 1996, la cassa pensionistica denominata gestione separata per i cosiddetti lavoratori atipici (parasubordinati);
              l'obbligo di iscrizione alla gestione sparata grava su milioni di lavoratori in particolare: categorie residuali di liberi professionisti, precari, occasionali, parasubordinati, collaboratori a progetto, addetti vendita porta a porta, per i quali non è stata prevista una specifica cassa previdenziale nonché specializzandi o dottori titolari di assegni di ricerca;
              le suddette categorie di soggetti sono tenuti a versare i contributi presso la gestione separata dell'INPS;
              il conseguimento del diritto all'accesso al trattamento pensionistico a carico della gestione separata è subordinato alla maturazione da parte del lavoratore di un'anzianità contributiva effettiva minima di cinque anni e dei requisiti anagrafici di cui all'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214; il lavoratore iscritto alla gestione separata presso l'INPS, che cessi la propria attività prima del perfezionamento del requisito contributivo prescritto per la liquidazione di un autonomo trattamento pensionistico, è ascrivibile alla più ampia categoria dei contribuenti «silenti»; i suddetti contribuenti «silenti» sono accomunati dal fatto che adempiono al versamento dei contributi a «fondo perduto» e questa circostanza contravviene a qualsiasi principio sinallagmatico; appare evidente l'iniquità della disciplina dei contributi «silenti», tenuto conto della circostanza che i soggetti che non riescono a conseguire l'anzianità contributiva minima, oltre a non poter accedere alla pensione di anzianità, perdono i contributi versati;
              ad oggi i contributi dovuti per effetto delle diverse aliquote riferite ai soli soggetti iscritti alla gestione separata sono dovuti nella misura minima del 22 per cento fino al 28,72 del reddito conseguito,

impegna il Governo:

          a valutare la possibilità di assumere ogni iniziativa di competenza, al fine di adottare gli opportuni atti normativi per consentire l'utilizzo dei contributi «silenti» per corrispondere un trattamento – a calcolo puro – a favore dei soggetti non titolari di altre prestazioni al raggiungimento dell'età anagrafica di 65 anni, prescindendo dai requisiti minimi richiesti;
          a valutare la possibilità di procedere – con particolare riferimento ai lavoratori iscritti alla gestione sparata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.  335 – ad una ricognizione per determinare l'ammontare totale dei contributi «silenti» e come tale importo potrà evolversi, nei prossimi 10 anni, alla luce delle innovazioni in materia previdenziale e del mercato del lavoro e, contestualmente, indicare la destinazione attuale della contribuzione non utile alla maturazione di un autonomo trattamento pensionistico versata nella gestione separata.
9/2679-bis-A/161.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Baldassarre.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 3 del provvedimento in esame prevede lo stanziamento di 1 miliardo di euro nel 2015 e di 3 miliardi di euro a partire dal 2016 per la realizzazione del piano «La Buona Scuola», con particolare riferimento a un piano di assunzioni del personale scolastico e al potenziamento dell'alternanza scuola-lavoro;
              tale piano straordinario di immissioni in ruolo riguarderà il personale docente attualmente iscritto nelle graduatorie ad esaurimento (GAE), che secondo le stime del Governo consta di 148.000 unità;
              attualmente risultano provvisti di abilitazione o in procinto di acquisirla altri 166 mila docenti, di cui 55 mila diplomati magistrali, 69 mila abilitati con i Pas, 10.500 abilitati con il primo ciclo del Tfa, 22.500 abilitati con il secondo ciclo di T.F.A, 8900 laureati in Scienze della Formazione Primaria che hanno conseguito la laurea dopo il 2010-2011;
              tali docenti sono stati formati dallo Stato e, nella gran parte dei casi, hanno già acquisito un'esperienza pluriennale di insegnamento, ma non vengono considerati dal Governo al fine di una stabilizzazione;
              in data 26 novembre 2014, la terza sezione della Corte di Giustizia Europea ha pronunciato una sentenza in merito alla conformità alla direttiva 1999/70/CE e alla clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato della normativa italiana in tema di precariato scolastico;
              la Terza Sezione della Corte ha dichiarato che «la clausola 5 (...) deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale che autorizzi, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili (...) senza indicare tempi certi per l'espletamento di dette procedure concorsuali (...)»;
              tale pronuncia aprirà una serie di procedimenti giudiziari nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa utile affinché a decorrere dall'anno scolastico 2016-2017, i posti liberati annualmente dalle effettive cessazioni di servizio siano destinati all'assunzione di docenti iscritti nella seconda fascia delle graduatorie d'istituto relativamente alle classi di concorso in cui le graduatorie ad esaurimento risultino esaurite.
9/2679-bis-A/162. Chimienti.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 6 prevede, in via sperimentale, che i lavoratori dipendenti del settore privato esclusi i lavoratori domestici ed i lavoratori del settore agricolo, che abbiano un rapporto di lavoro in essere da almeno sei mesi presso il medesimo datore di lavoro, possano richiedere di percepire in busta paga, come parte integrativa della retribuzione, le quote maturande del trattamento di fine rapporto (TFR) anche nel caso di quote già destinate a forme di previdenza complementare;
              l'articolo 8, comma 7, lettera b), del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n.  252, attraverso il principio del cosiddetto «silenzio-assenso», prevede il conferimento automatico del TFR alla previdenza complementare nel caso in cui il lavoratore non manifesti il diniego a tale conferimento;
              ai sensi della sopra citata disposizione di legge, detto consenso «è irrevocabile»;
              a causa dell'applicazione dell'istituto del silenzio – assenso, le piccole e medie imprese (fino a 49 dipendenti) non possono avere la disponibilità delle somme di denaro accantonate quale TFR dei propri dipendenti, né avere quella liquidità che viene utilizzata dall'impresa come autofinanziamento della propria attività,

impegna il Governo

a rendere revocabile il consenso in parola, al fine di consentire al lavoratore di destinare il TFR maturando a favore del proprio datore di lavoro ovvero a favore del Fondo di Tesoreria INPS ai quali si applica la disciplina dell'articolo 2120 del codice civile sia per quanto riguarda le modalità di calcolo che per il regime delle anticipazioni.
9/2679-bis-A/163. Ciprini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2 del provvedimento in esame reca disposizioni concernenti le gestioni previdenziali;
              l'INPS, Istituto nazionale della previdenza sociale è l'ente che gestisce il sistema previdenziale in termini di imposizione, riscossione e recupero dei contributi ed in termini di erogazione di prestazioni pensionistiche sia per la generalità dei lavoratori dipendenti del settore privato e del parastatale attraverso il FPLD ovvero fondo pensioni lavoratori dipendenti sia i lavoratori autonomi (gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi artigiani e commercianti) e sia per i parasubordinati, venditori a domicilio, professionisti senza cassa, lavoratori autonomi occasionali ed associati in partecipazione attraverso la gestione separata. La gestione separata è un fondo pensionistico finanziato con i contributi previdenziali obbligatori dei lavoratori assicurati e nasce con la legge n.  335 del 1995 (articolo 2, comma 26) di riforma del sistema pensionistico, anche nota come «riforma Dini» che dispone l'iscrizione alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, di tutte le categorie residuali di liberi professionisti, per i quali non è prevista una specifica cassa previdenziale, delle forme di collaborazione coordinata e continuativa (cosiddetta co.co.co.), della categoria dei venditori a domicilio, ex articolo 36 della legge n.  426 del 1971;
              a tale gestione è attualmente applicato il contributo del 27,72 per cento (per i collaboratori il 28,72). Nelle collaborazioni coordinate e continuative, i contributi sono per 2/3 a carico del committente e per 1/3 a carico del collaboratore. L'obbligo di versamento compete tuttavia al committente anche per la quota a carico del lavoratore, che viene pertanto trattenuta in busta paga all'atto della corresponsione del compenso;
              la «Riforma Fornero» (legge n.  92 del 2012) ha apportato delle importanti novità il cui obiettivo è stato quello di limitare l'utilizzo improprio di questa tipologia, prevedendo disincentivi sia di carattere normativo che contributivo; nello specifico, infatti, è stato previsto un graduale allineamento del costo contributivo a quello del lavoro dipendente, tale da portare tale aliquota, nel 2018 al 33 per cento;
              va sottolineato che i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata dell'INPS, chiamati al versamento integrale di tutti i contributi a differenza di quanto avviene per i parasubordinati, continuano a versare contributi più elevati rispetto a tutti gli altri lavoratori indipendenti, liberi professionisti, commercianti, artigiani;
              è evidente che non è sostenibile l'equiparazione del professionista al parasubordinato,

impegna il Governo

ad assumere iniziative atte a creare un'unica cassa nella quale far confluire sia la gestione degli autonomi, artigiani e commercianti con la previsione di un'unica aliquota contributiva, prevedendo un aumento graduale dei contributi per i nuovi lavoratori autonomi per i primi 3/5 anni di attività in modo da agevolare l'inserimento di tali imprenditori nel mercato del lavoro sia per giovani che per soggetti di qualsiasi età che a seguito della perdita di lavoro (magari dipendente) iniziano una propria attività autonoma.
9/2679-bis-A/164. Bechis.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011, aveva stabilito, che entro il 31 ottobre 2012, allo scopo di assicurare un processo di incremento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento anche ai regimi pensionistici e alle gestioni pensionistiche per cui fossero previsti requisiti diversi da quelli vigenti nell'assicurazione generale obbligatoria (AGO), dovevano essere adottate le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività, nonché dei rispettivi ordinamenti;
              il secondo periodo del predetto comma 18 ha disposto che si applichi al personale viaggiante ferroviario il nuovo regime pensionistico;
              le nuove disposizioni di legge relative all'accesso alle prestazioni pensionistiche si applicano anche ai lavoratori iscritti al Fondo speciale Ferrovie, e non solo a quelli già iscritti all'Assicurazione generale obbligatoria (AGO);
              pertanto, a decorrere dal 1o gennaio 2012, per i vecchi ferrovieri i precedenti limiti di età previsti per l'accesso alla pensione di vecchiaia, differenziati in relazione all'attività svolta (58, 60 o 62 per il personale «viaggiante» e di «macchina»; 65 o 66 per il restante personale), sono stati sostituiti dal requisito anagrafico unico di 66 anni per gli uomini e di 62 anni per le donne con la graduale elevazione fino a 66 anni;
              i nuovi requisiti della categoria di lavoratori in parola sono stati adeguati agli incrementi della speranza di vita previsti dal 2013, in poi, per la generalità dei lavoratori;
              a decorrere dal 1o gennaio 2012, gli aumenti di valutazione del servizio ferroviario previsti per quelle qualifiche che conseguivano il diritto alla pensione di vecchiaia a 58 o 60 anni, non trovano più applicazione;
              l'anzianità contributiva minima necessaria, in presenza del requisito anagrafico, è pari a 20 anni. Per l'accesso alla pensione anticipata si applicano le norme previste per la generalità dei lavoratori, ovvero gli incrementi collegati all'aspettativa di vita;
              infine, nei confronti degli iscritti al Fondo speciale per i dipendenti delle Ferrovie Italiane S.p.a. non vale più l'istituto della pensione privilegiata;
              il personale «viaggiante» e di «macchina» è sottoposto a un'attività di particolare usura,

impegna il Governo

          al fine di garantire le specifiche aspettative di vita, nonché per garantire la sicurezza del trasporto ferroviario di assumere ogni iniziativa utile a:
              consentire al personale in parola il diritto di conseguire la pensione anticipata al raggiungimento del requisito anagrafico di cinquantotto anni di età e del requisito contributivo di trentotto anni, di cui almeno venti anni effettivamente svolti nelle mansioni di addetto alla condotta dei treni, addetto alla scorta dei treni, addetto alla manovra, traghettamento, formazione treni;
              qualora a causa della perdita dei requisiti psico-fisici previsti dalle disposizioni vigenti venisse meno la specifica abilitazione per lo svolgimento di una delle predette mansioni, riconoscere al personale ferroviario il diritto alla pensione anticipata, a condizione che abbia raggiunto il requisito contributivo di trentacinque anni, di cui almeno quindici anni effettivamente svolti nelle citate mansioni, salva la scelta del lavoratore di rimanere in servizio fino al raggiungimento del limite di età per l'accesso al pensionamento di vecchiaia di cui all'articolo 24, comma 6, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214.
9/2679-bis-A/165. Cominardi, Tripiedi.


      La Camera,
          premesso che:
              il protocollo su previdenza, lavoro e competitività, per l'equità e la crescita sostenibili del 23 luglio 2007 ha previsto la destinazione a benefici pensionistici per i lavoratori addetti ad attività usuranti di un ammontare di risorse pari mediamente a 252 milioni di euro su base annua, con interventi riguardanti circa 5.000 lavoratori all'anno, per una spesa complessiva nel decennio 2008-2017 di 2,52 miliardi di euro;
              l'articolo 1, comma 3, della legge 24 dicembre 2007, n.  247, recante norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale, ha conferito al Governo una delega per l'adozione di uno o più decreti legislativi finalizzati a concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività usuranti la possibilità di conseguire il diritto al pensionamento anticipato con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti, costituendo un apposito Fondo con una dotazione finanziaria di 83 milioni di euro per il 2009, 200 milioni di euro per il 2010, 312 milioni di euro per il 2011, 350 milioni di euro per il 2012 e 383 milioni di euro a decorrere dal 2013;
              a seguito della scadenza dei termini per l'esercizio di tale delega, l'articolo 1 della legge 4 novembre 2010, n.  183, conferì al Governo una nuova delega sulla base dei medesimi principi e criteri direttivi, successivamente attuata dal decreto legislativo 21 aprile 2011, n.  67, che reca disposizioni volte a prevedere requisiti per l'accesso al pensionamento inferiori a quelli stabiliti in via generale per i lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti nonché per gli addetti ad altre lavorazioni particolarmente faticose e pesanti;
              l'articolo 7 del richiamato decreto legislativo n.  67 del 2011 stabilisce che agli oneri derivanti dall'attuazione del provvedimento, valutati in 312 milioni di euro per l'anno 2011, in 350 milioni di euro per l'anno 2012 e in 383 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 si provveda a valere sulle risorse dell'apposito Fondo, istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi dell'articolo 1, comma 3, lettera f), della legge 24 dicembre 2007, n.  247;
              l'esame delle tabelle relative allo stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato evidenzia la presenza di un significativo ammontare di somme non pagate, negli anni 2011, 2012 e 2013, nell'ambito del piano di gestione n.  2 - Pensionamenti anticipati attività usuranti, del capitolo 4354, relativo agli oneri derivanti da pensionamenti anticipati, e del capitolo 4377, relativo al protocollo su previdenza, lavoro e competitività per l'equità e la crescita sostenibili;
              a fronte di tale andamento della spesa, con l'articolo 45, comma 6, del disegno di legge di stabilità 2015 si dispone una riduzione del Fondo di cui all'articolo 1, comma 3, lettera f), della legge 24 dicembre 2007, n.  247, di 150 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;
              la XI Commissione, con la risoluzione n.  8-00086 Tripiedi e altri, approvata il 30 ottobre 2014, ha impegnato il Governo: a effettuare una ricognizione del numero dei lavoratori che in ciascun anno hanno avuto accesso al pensionamento sulla base dei requisiti previsti dal decreto legislativo 21 aprile 2011, n.  67, e successive modificazioni, verificando la spesa sostenuta annualmente per tali pensionamenti; a verificare, anche alla luce di tale ricognizione, la congruità dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 7 del citato decreto legislativo n.  67 del 2011, fornendo altresì indicazioni circa il possibile andamento della spesa per l'attuazione del medesimo provvedimento nei prossimi anni; ad informare le Camere degli esiti delle predette ricognizioni; a valutare una riconsiderazione dei propri orientamenti in ordine alla riduzione delle risorse destinate alle finalità di cui al decreto legislativo n.  67 del 2011, nell'ottica di garantire la stabilità dei finanziamenti previsti a legislazione vigente, nel rispetto, comunque, dei saldi di finanza pubblica; ad assicurare l'effettiva destinazione alle medesime finalità di cui al decreto legislativo n.  67 del 2011 delle somme stanziate e non ancora impiegate, nonché a valutare ogni opportuna iniziativa di modifica alla normativa vigente per garantire l'integrale utilizzo delle somme dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 7 del medesimo decreto legislativo, verificando se, in questo contesto, vi siano le condizioni per una estensione dei benefici anche ad altri lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti o addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, quali, fra gli altri, i lavoratori manuali nel settore dell'edilizia e affini e i lavoratori del settore marittimo esclusi dalle forma di tutela legislativa per esposizione all'amianto di cui al decreto ministeriale 27 ottobre 2004,

impegna il Governo

a verificare se le risorse destinate, a decorrere dall'esercizio 2015, ai benefici di carattere previdenziale per i lavoratori addetti ad attività usuranti siano sufficienti, anche a seguito della riduzione operata dall'articolo 45, comma 6, del disegno di legge di stabilità 2015, a far fronte alle spese necessarie a garantire nei medesimi anni la piena tutela di tali lavoratori sul piano previdenziale, anche al fine di valutare l'opportunità di adottare futuri interventi normativi finalizzati a ripristinare il livello dei finanziamenti previsti a legislazione vigente, nonché di estendere i benefici previdenziali anche ad altre categorie di lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti o addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, quali, in particolare, gli addetti ad attività manuali nel settore dell'edilizia e affini.
9/2679-bis-A/166. Tripiedi.


      La Camera,
          premesso che:
              il protocollo su previdenza, lavoro e competitività, per l'equità e la crescita sostenibili del 23 luglio 2007 ha previsto la destinazione a benefici pensionistici per i lavoratori addetti ad attività usuranti di un ammontare di risorse pari mediamente a 252 milioni di euro su base annua, con interventi riguardanti circa 5.000 lavoratori all'anno, per una spesa complessiva nel decennio 2008-2017 di 2,52 miliardi di euro;
              l'articolo 1, comma 3, della legge 24 dicembre 2007, n.  247, recante norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale, ha conferito al Governo una delega per l'adozione di uno o più decreti legislativi finalizzati a concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività usuranti la possibilità di conseguire il diritto al pensionamento anticipato con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti, costituendo un apposito Fondo con una dotazione finanziaria di 83 milioni di euro per il 2009, 200 milioni di euro per il 2010, 312 milioni di euro per il 2011, 350 milioni di euro per il 2012 e 383 milioni di euro a decorrere dal 2013;
              a seguito della scadenza dei termini per l'esercizio di tale delega, l'articolo 1 della legge 4 novembre 2010, n.  183, conferì al Governo una nuova delega sulla base dei medesimi principi e criteri direttivi, successivamente attuata dal decreto legislativo 21 aprile 2011, n.  67, che reca disposizioni volte a prevedere requisiti per l'accesso al pensionamento inferiori a quelli stabiliti in via generale per i lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti nonché per gli addetti ad altre lavorazioni particolarmente faticose e pesanti;
              l'articolo 7 del richiamato decreto legislativo n.  67 del 2011 stabilisce che agli oneri derivanti dall'attuazione del provvedimento, valutati in 312 milioni di euro per l'anno 2011, in 350 milioni di euro per l'anno 2012 e in 383 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 si provveda a valere sulle risorse dell'apposito Fondo, istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi dell'articolo 1, comma 3, lettera f), della legge 24 dicembre 2007, n.  247;
              l'esame delle tabelle relative allo stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato evidenzia la presenza di un significativo ammontare di somme non pagate, negli anni 2011, 2012 e 2013, nell'ambito del piano di gestione n.  2 - Pensionamenti anticipati attività usuranti, del capitolo 4354, relativo agli oneri derivanti da pensionamenti anticipati, e del capitolo 4377, relativo al protocollo su previdenza, lavoro e competitività per l'equità e la crescita sostenibili;
              a fronte di tale andamento della spesa, con l'articolo 45, comma 6, del disegno di legge di stabilità 2015 si dispone una riduzione del Fondo di cui all'articolo 1, comma 3, lettera f), della legge 24 dicembre 2007, n.  247, di 150 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;
              la XI Commissione, con la risoluzione n.  8-00086 Tripiedi e altri, approvata il 30 ottobre 2014, ha impegnato il Governo: a effettuare una ricognizione del numero dei lavoratori che in ciascun anno hanno avuto accesso al pensionamento sulla base dei requisiti previsti dal decreto legislativo 21 aprile 2011, n.  67, e successive modificazioni, verificando la spesa sostenuta annualmente per tali pensionamenti; a verificare, anche alla luce di tale ricognizione, la congruità dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 7 del citato decreto legislativo n.  67 del 2011, fornendo altresì indicazioni circa il possibile andamento della spesa per l'attuazione del medesimo provvedimento nei prossimi anni; ad informare le Camere degli esiti delle predette ricognizioni; a valutare una riconsiderazione dei propri orientamenti in ordine alla riduzione delle risorse destinate alle finalità di cui al decreto legislativo n.  67 del 2011, nell'ottica di garantire la stabilità dei finanziamenti previsti a legislazione vigente, nel rispetto, comunque, dei saldi di finanza pubblica; ad assicurare l'effettiva destinazione alle medesime finalità di cui al decreto legislativo n.  67 del 2011 delle somme stanziate e non ancora impiegate, nonché a valutare ogni opportuna iniziativa di modifica alla normativa vigente per garantire l'integrale utilizzo delle somme dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 7 del medesimo decreto legislativo, verificando se, in questo contesto, vi siano le condizioni per una estensione dei benefici anche ad altri lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti o addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, quali, fra gli altri, i lavoratori manuali nel settore dell'edilizia e affini e i lavoratori del settore marittimo esclusi dalle forma di tutela legislativa per esposizione all'amianto di cui al decreto ministeriale 27 ottobre 2004,

impegna il Governo

a verificare se le risorse destinate, a decorrere dall'esercizio 2015, ai benefici di carattere previdenziale per i lavoratori addetti ad attività usuranti siano sufficienti, anche a seguito della riduzione operata dall'articolo 45, comma 6, del disegno di legge di stabilità 2015, a far fronte alle spese necessarie a garantire nei medesimi anni la piena tutela di tali lavoratori sul piano previdenziale, anche al fine di valutare l'opportunità di adottare futuri interventi normativi finalizzati a ripristinare il livello dei finanziamenti previsti a legislazione vigente.
9/2679-bis-A/166.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Tripiedi.


      La Camera,
          premesso che:
              le stime riguardanti il gioco d'azzardo in Italia, indicano la sua progressiva diffusione sul territorio nazionale. Se nel 2000 nel solo settore delle slot machine e in altri giochi simili si spendevano 14 miliardi di euro, nel 2012 si è arrivati a quota 85 miliardi. Queste cifre rendono l'Italia il terzo Paese al mondo per quote di denaro speso nel gioco d'azzardo e il primo a livello di Unione europea;
              secondo il CNR che ha effettuato una analisi dei dati OPSAD Italia 2010-2011, il fenomeno del gioco alle slot machine ha finora prodotto, nel nostro Paese, circa 1.000.000 giocatori patologici e che altri tre milioni di persone si trovano in una situazione di rischio e necessitano di cure, attività di prevenzione e sostegno sociale da parte delle autorità locali civili e sanitarie;
              le risorse previste dalla legge di stabilità non sembrano adeguate ad affrontare le attività di prevenzione, cura e riabilitazione del gioco d'azzardo patologico,

impegna il Governo

a stanziare risorse in misura congrua e adeguata per il sostegno efficace alle attività di prevenzione, cura e riabilitazione del Gioco d'azzardo patologico.
9/2679-bis-A/167. Baroni, Mantero, Grillo, Di Vita, Lorefice.


      La Camera,
          premesso che:
              da molti anni in materia di assistenza protesica, si attende che il Ministro della salute, sentito il parere della Conferenza Stato-Regioni, provveda alla modifica di quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 27 agosto 1999, n.  332, tenendo in particolare considerazione l'innovazione tecnologica intervenuta nell'ambito delle protesi, ortesi ed ausili e nell'ambito relative tecniche abilitative;
              al fine dell'aggiornamento del nomenclatore d protesi, artesi e ausili il ministero della Salute avrebbe dovuto provvedere all'aggiornamento del nomenclatore tariffario già entro il 30 giugno 2014;
              nel febbraio del corrente anno, nell'ambito della discussione dell'A.C. 2207 recante la conversione in legge del decreto legge mille proroghe è stato approvato un emendamento a prima firma Mantero, con il quale è stata soppressa l'ennesima proroga del nomenclatore, scaduta il 30 maggio 2013;
              il 20 marzo 2014, in commissione Affari Sociali è stata approvata all'unanimità una risoluzione, a prima firma Giulia Grillo attraverso la quale si impegnava il Governo ad adottare, non oltre il 30 giugno, il decreto di aggiornamento del nomenclatore tariffario, fermo al lontano 1999;
              il nomenclatore tariffario è la lista del Ministero della Salute che regolamenta i prezzi e le tipologie di ausili. Nel tempo questo tema si è trasformato in una battaglia di legalità dal momento che il suo mancato aggiornamento è stato fonte di vere e proprie truffe ai danni dello Stato,

impegna il Governo

all'immediato aggiornamento del nomenclatore tariffario in quanto quello attuale è datato e propone ausili obsoleti a costi di molto superiori a quelli attualmente di mercato da questo, oltre che un miglioramento delle dotazioni più moderne dal punto di vista tecnologico, a detta dei presentatori deriverebbero risparmi di grande entità e in linea con i prezzi e gli ausili a livello europeo.
9/2679-bis-A/168. Cecconi, Grillo, Silvia Giordano, Lorefice, Di Vita, Baroni.


      La Camera,
          premesso che:
              in Italia le epatiti virali rappresentano una concreta emergenza sanitaria, in particolare l'epatite C, come rappresentato dai dati presentati nel libro bianco AISF 2011 e dal technical report sulle epatiti B e C del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (ECDC);
              dati ISTAT 2008 connessi all'ambito nazionale confermano più di 20.000 decessi/anno a causa di epatite cronica, cirrosi e tumore del fegato, evidenziando l'impatto che ha l'epatite sul sistema sanitario nazionale, sulla società e sulle famiglie italiane, oltre che sui singoli individui affetti da epatite e relative complicanze;
              finanche l'Organizzazione mondiale della sanità il 21 maggio 2010 ha dichiarato per la prima volta l'epatite virale come un problema sanitario di impatto globale e ha approvato la prima risoluzione sulle epatiti virali (n.  63.18), al fine di sollecitare gli Stati membri ad attuare politiche concrete di informazione, prevenzione, e accesso al farmaco;
              circa il 3 per cento della popolazione italiana è venuta a contatto con il virus, e circa 1.000.000 sono i pazienti portatori cronici del virus;
              nel settembre 2014 L'Agenzia Italiana del Farmaco e Gilead Sciences hanno raggiunto l'accordo per la rimborsabilità del farmaco Sovaldi (sofosbuvir) per il trattamento dei pazienti affetti da epatite cronica C;
              secondo il comunicato dell'Aifa ora verrà somministrato secondo criteri di appropriatezza definiti dalla Commissione Tecnico-Scientifica della stessa agenzia, sulla base della gravità della patologia; in realtà su 1,5 milioni di persone infette in Italia potenzialmente quelle trattabili sono 300-400 mila;
              il prezzo del farmaco (Sofosbuvir), molto alto, aveva scatenato le proteste delle associazioni di malati. Chiedevano che la politica comprendesse l'urgenza di trovare soluzioni immediate e concrete per consentire l'accesso alle cure a tutti i malati d'Italia;
              i nuovi farmaci disponibili per l'epatite C sono accessibili solo per 1 paziente su 3 con la conseguente generazione di molte liste d'attesa; infatti, i farmaci innovativi, nonostante siano idonei per quasi la metà dei malati, sono accessibili solo al 33 per cento di questi con attese di accesso al farmaco di circa 9 mesi,

impegna il Governo

a garantire che l'AIFA disponga la piena rimborsabilità in tutte le regioni italiane dei medicinali innovativi o di eccezionale rilevanza terapeutica, in particolare di quelli destinati alla cura dell'epatite C, per i quali sia stato già raggiunto un accordo, sulla base dell'impiego efficiente e costo-efficace delle risorse disponibili, con le case farmaceutiche al fine di curare il maggior numero di pazienti affetti da tale patologia.
9/2679-bis-A/169. Silvia Giordano, Baroni, Grillo, Lorefice, Di Vita.


      La Camera,
          premesso che:
              da quando l'Italia ha ratificato la Convenzione sui diritti delle Persone con Disabilità dell'ONU è cambiato lo scenario politico, giuridico e culturale, le persone con disabilità non devono più chiedere il riconoscimento dei propri diritti, ma sollecitare la loro applicazione e implementazione;
              è proprio questa la premessa del Piano d'azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità che è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 dicembre 2013;
              il Piano, approvato in sessione plenaria dall'osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, rappresenta un significativo risultato nel quadro della elaborazione di politiche a favore delle persone con disabilità poiché attraverso sette linee di intervento individua le aree prioritarie verso cui indirizzare azioni e programmi per la promozione e la tutela dei diritti delle persone con disabilità, al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi generali della Strategia europea sulla disabilità 2010-2020 e della convenzione ONU ratificata dall'Italia nel 2009;
              a fronte di un programma d'azione complessivo e articolato, tenuto conto che nessun articolo della legge di stabilità 2015 ha previsto finanziamenti finalizzati alla sua attuazione, si ritiene che le persone disabili e il Parlamento abbiano il diritto di sapere se il Governo intenda impegnarsi concretamente per passare dalla stesura del programma alla sua attuazione, individuando in particolare le priorità e le risorse disponibili,

impegna il Governo

a disporre, entro l'emanazione del prossimo Documento economico finanziario, lo stanziamento di risorse economiche in misura adeguata da destinare a interventi diretti alla implementazione della Linea di intervento 1 «Revisione del sistema di accesso, riconoscimento/certificazione della condizione di disabilità e modello di intervento del sistema socio-sanitario», della Linea di intervento 2 «Lavoro e occupazione» e della Linea di intervento 5 «Processi formativi ed inclusione scolastica» del programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 4 ottobre 2013, individuando altresì i criteri di riparto e le conseguenti disposizioni attuative.
9/2679-bis-A/170. Di Vita, Baroni.


      La Camera,
              in occasione dell'esame del disegno di legge 2679 che detta disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato;
          premesso che:
              la spending review avrebbe già previsto una costante e sensibile riduzione del numero delle auto di rappresentanza o di servizio, tale riduzione nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, nelle 245 Asl, Aso, e Irccs, o non è ancora iniziata o è stata poco significativa in termini sia di riduzione del numero delle automobili che di risparmio;
              le auto di servizio nel SSN rappresenta un parco auto di tutto rispetto: 2073 automobili blu, 16.605 auto «grigie»; un totale di 18.578 auto, circa un terzo delle 63.000 dell'intero parco auto di servizio;
              un onere quello delle auto di servizio oggi non più sostenibile in quanto un'auto blu può arrivare a costare 10.000 euro l'anno mentre un auto grigia oltre 4000 euro l'anno tenuto conto che in questi costi non figurano ad esempio le spese per gli autisti e per la gestione del parco ad esempio le riparazioni,

impegna il Governo

a garantire che la riduzione delle auto di servizio blu o grigie, in particolare nell'ambito del Servizio sanitario nazionale sia attuata senza ulteriori azioni dilatorie tese a mantenere un inutile privilegio oneroso per la finanza pubblica e dal quale potrebbero derivare risparmi per almeno un miliardo di euro.
9/2679-bis-A/171. Grillo, Baroni.


      La Camera,
          in occasione dell'esame del disegno di legge 2679 che detta disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato;
          premesso che:
              il comma 17 dell'articolo 17 prevede l'attribuzione alle Regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano di un contributo per il rimborso degli oneri finanziari derivati dalla corresponsione degli indennizzi in favore dei danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, da trasfusioni e somministrazione di emoderivati ex legge 25 febbraio 1992, n.  210, e degli oneri derivanti dal pagamento degli arretrati della rivalutazione dell'indennità integrativa speciale di cui al citato indennizzo;
              la somma complessiva stanziata di 735 milioni di euro, da destinare al finanziamento delle somme anticipate dalle Regioni e agli arretrati della rivalutazione, non è sufficiente e necessiterebbe di un incremento di almeno 225 milioni di euro;
              la norma così come formulata sembra destinare tali finanziamenti alle Regioni che hanno anticipato le somme per conto dello Stato, non tenendo conto invece di quelle che non hanno mai erogato l'indennizzo ex legge n.  210 del 1992 in quanto impossibilitate dalla mancanza di risorse erogate dallo Stato,

impegna il Governo:

          ad adottare ulteriori iniziative normative volte a:
              garantire alle Regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano il saldo di tutti i finanziamenti già anticipati e per il futuro l'invio continuativo delle somme relative agli indennizzi previsti dalla legge 25 febbraio 1992, n.  210;
              garantire a tutte le Regioni e le province autonome la corresponsione di tali somme e non solamente a quelle che finora hanno anticipato il pagamento degli indennizzi.
9/2679-bis-A/172. Lorefice, Nesci.


      La Camera,
          in occasione dell'esame del disegno di legge 2679 che detta disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato;
          premesso che:
              il comma 17 dell'articolo 17 prevede l'attribuzione alle Regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano di un contributo per il rimborso degli oneri finanziari derivati dalla corresponsione degli indennizzi in favore dei danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, da trasfusioni e somministrazione di emoderivati ex legge 25 febbraio 1992, n.  210, e degli oneri derivanti dal pagamento degli arretrati della rivalutazione dell'indennità integrativa speciale di cui al citato indennizzo;
              la somma complessiva stanziata di 735 milioni di euro, da destinare al finanziamento delle somme anticipate dalle Regioni e agli arretrati della rivalutazione, non è sufficiente e necessiterebbe di un incremento di almeno 225 milioni di euro;
              la norma così come formulata sembra destinare tali finanziamenti alle Regioni che hanno anticipato le somme per conto dello Stato, non tenendo conto invece di quelle che non hanno mai erogato l'indennizzo ex legge n.  210 del 1992 in quanto impossibilitate dalla mancanza di risorse erogate dallo Stato,

impegna il Governo

      a valutare l'opportunità di:
          garantire alle Regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano il saldo di tutti i finanziamenti già anticipati e per il futuro l'invio continuativo delle somme relative agli indennizzi previsti dalla legge 25 febbraio 1992, n.  210;
          garantire a tutte le Regioni e le province autonome la corresponsione di tali somme e non solamente a quelle che finora hanno anticipato il pagamento degli indennizzi.
9/2679-bis-A/172.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Lorefice, Nesci.


      La Camera,
          in occasione dell'esame del disegno di legge 2679 che detta disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato;
          premesso che:
              in Italia si assiste ad una disomogenea, variegata e non uniforme distribuzione territoriale degli asili nido e scuole per l'infanzia;
              è necessario e urgente il riequilibrio della presenza territoriale degli asili nido e delle scuole per l'infanzia sul territorio nazionale in particolare nelle aree svantaggiate, al fine di attuare e sostenere una effettiva conciliazione dei tempi di vita e di lavoro,

impegna il Governo

a predisporre di concerto con la Conferenza delle Regioni e l'ANCI un piano straordinario nazionale per la progettazione, l'esecuzione e la realizzazione di asili nido e di scuole per l'infanzia in tutta Italia e in particolare nelle aree svantaggiate e nei luoghi di lavoro.
9/2679-bis-A/173. Dall'Osso, Silvia Giordano, Grillo, Lorefice, Di Vita.


      La Camera,
          in occasione dell'esame del disegno di legge 2679 che detta disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato;
          premesso che:
              è diventato ormai improcrastinabile l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza di cui all'articolo 5 commi 1 e 2 del decreto-legge 13 settembre 2012, n.  158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n.  189;
              che per procedere all'aggiornamento dei livelli di assistenza è necessario dispone di adeguate e congrue risorse finanziarie,

impegna il Governo

a finanziare l'aggiornamento e l'attuazione completa dei LEA (livelli essenziali di assistenza) attraverso un congruo e adeguato livello di tassazione sull'intera filiera del Gioco d'Azzardo.
9/2679-bis-A/174. Mantero, Baroni, Grillo, Lorefice, Di Vita.


      La Camera,
          in occasione dell'esame del disegno di legge 2679 che detta disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato;
          premesso che:
              il comma 15 dell'articolo 9 dell'AC 2679 prevede che la nomina del commissario ad acta per la predisposizione o attuazione del piano di rientro del disavanzo del settore sanitario, è incompatibile con l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento;
              andrebbe dichiarata l'incompatibilità di chi potrebbe essere in conflitto di interesse nello specifico ambito e di coloro che hanno già avuto tre incarichi dirigenziali esterni nelle strutture sanitarie pubbliche;
              la disciplina delle incompatibilità dovrebbe essere applicata anche nella nomina dei componenti dell'ufficio commissariale prevedendo la incompatibilità con l'incarico di coloro che potrebbero essere in conflitto di interesse nello specifico ambito e di coloro che hanno già avuto tre incarichi dirigenziali esterni nelle strutture sanitarie pubbliche,

impegna il Governo

a prevedere che per la nomina del commissario ad acta per la predisposizione o attuazione del piano di rientro del disavanzo del settore sanitario, e dei componenti dell'ufficio commissariale siano dichiarati incompatibili coloro potrebbero essere in conflitto di interesse nello specifico ambito e di coloro che hanno già avuto tre incarichi dirigenziali esterni nelle strutture sanitarie pubbliche.
9/2679-bis-A/175. Nesci.


      La Camera,
          premesso che:
              l'A.C. 2679 all'articolo 44 comma 39 prevede l'autorizzazione di spesa a favore delle aree interne, a valere sulle dotazioni del Fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge del 16 aprile 1978, n.  183, di 180 milioni di euro, di cui 3 milioni di euro per l'anno 2014, 23 milioni di euro per l'anno 2015, 60 milioni di euro per l'anno 2016 e 94 milioni di euro per l'anno 2017;
              le «Aree interne» rappresentano una delle opzioni strategiche di intervento del nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, definite nell'ambito dell'Accordo di partenariato, in quanto riguardano tutto il territorio nazionale. Al fine di definire il concetto di aree interne, il territorio nazionale è stato suddiviso a livello comunale secondo un criterio di capacità di offerta di alcuni servizi essenziali, quali la presenza sul territorio di un istituto di scuola secondaria superiore, di una struttura ospedaliera sede di un DEA di primo livello e di una stazione ferroviaria classificata non inferiore a «Silver». In base alla presenza di questi tre requisiti sono stati individuati i «poli urbani» e poi i «poli intercomunali», composti da quei comuni tra loro vicini nei quali vi era la compresenza i tre servizi essenziali. I comuni non rientranti nei poli, quindi, sono stati classificati in base al tempo che si impiegherebbe per raggiungere il polo più prossimo: i comuni con tempi di accessibilità superiori ai 20 minuti dal polo più vicino sono stati classificati «aree interne»;
              i progetti finanziati dalla Strategia nazionale Aree Interne adottata nel Piani Nazionale di Riforma, riguardano diversi obiettivi: potenziamento del servizio scolastico, miglioramento dell'offerta sanitaria, sostegno a servizi di mobilità, valorizzazione del patrimonio culturale;

impegna il Governo

          dare priorità ai progetti definiti dalle singole Regioni finalizzati a:
              a) interventi a favore dell'edilizia scolastica nei comuni soggetti a fenomeni di forte spopolamento. Attuando tutte le iniziative di propria competenza affinché entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente disegno di legge, le Regioni e gli Enti Locali attivino l'Anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica;
              b) riorganizzare e migliorare dell'offerta sanitaria, in modo da assicurare a tutti i residenti rapidità dei servizi di emergenza e diagnostica;
9/2679-bis-A/176. Colonnese, Castelli.


      La Camera,
          premesso che:
              con l'introduzione del DPCM 5 dicembre 2013, n.  159 «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)», entrato in vigore il 08/02/2014, in applicazione dell'articolo 5 della legge 22 dicembre 2011, n.  214 (nota come manovra Salva-Italia), si stabilisce che anche le provvidenze assistenziali, di qualsiasi natura, rientrino tra le voci di reddito da lavoro;
              in precedenza tali provvidenze, nel rispetto dell'articolo 38 della Costituzione, non rientravano tra tali voci reddituali;
              la nuova normativa, quindi, introduce il principio secondo cui un soggetto destinatario delle provvidenze assistenziali, come pensioni sociali o di invalidità, vedrà innalzarsi la propria fascia reddituale. Da un lato lo Stato interviene per compensare situazioni di indigenza o di inabilità, dall'altro computa questi interventi all'interno dell'indicatore della Situazione Reddituale, base per il calcolo dell'ISEE;
              ovvero, lo Stato si trova nell'imbarazzante posizione di dover riconoscere come voce di reddito, quindi di ricchezza, le indennità che esso stesso corrisponde ai beneficiari sulla base di una effettiva condizione di svantaggio e che mirano al superamento dello stesso, così come recita l'articolo 3 della Costituzione. Un paradosso con cui si è successivamente cercato di porre rimedio attraverso la previsione di apposite franchigie;
              al di sopra di tali soglie di copertura previste dalle franchigie e per determinate fasce di disabilità, i soggetti destinatari delle provvidenze dovranno pagare di tasca propria tali erogazioni assistenziali;
              dunque, l'effetto è quello di una pessima regolamentazione, contraria, oltre che al rispetto della persona, dei suoi diritti e della sua dignità, anche ad ogni spirito di semplificazione amministrativa. Infatti essa è basata su un farraginoso meccanismo di ipotetiche franchigie e detrazioni, che non assicura nemmeno la necessaria aderenza tra le reali condizioni del dichiarante e il calcolo finale dell'indicatore in oggetto;
              questo il risultato prodotto da una norma che necessita di urgente modifica, così come sollecitato dalla società civile e riconosciuto da diversi schieramenti politici, da cui possa scaturire una riforma scevra da pericolose contraddizioni;
              per tali ragioni si ritiene dunque opportuno ovviare a questa palese iniquità, anche al fine di scongiurare probabili contenziosi e a fugare del tutto profili di illegittimità costituzionale altrimenti inevitabili, andando a intervenire sullo stesso articolo 5, comma 1 della legge 22 dicembre 2011 n.  214, che, come ricordato, aveva delegato il Governo alla nuova regolamentazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE);
              nell'anno in cui viene ufficialmente adottato il Piano d'azione biennale sulla disabilità che si propone obiettivi ambiziosi che possono cambiare l'assetto socio-culturale del Paese, in sintonia con la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia già nel 2009, è indispensabile correggere una altrimenti palese deviazione dal percorso che lo Stato intende e ha il dovere di percorrere,

impegna il Governo

ad assumere provvedimenti di carattere normativo atti a modificare l'articolo 5, comma 1 della legge 22 dicembre 2011, n.  214 al fine di escludere le provvidenze assistenziali di qualsiasi natura dal calcolo dell'Isee.
9/2679-bis-A/177. Petraroli, Di Vita, Grillo, Mantero, Lorefice, Baroni.


      La Camera,
          premesso che:
              ritenute insufficienti le misure introdotte a sostegno del comparto primario i cui problemi sono ampiamente noti e vanno dall'aumento dei costi di produzione alle difficoltà di accesso al credito per le aziende agricole;
              preso atto che gli stanziamenti assegnati al nostro Paese a valere sulla politica agricola comune per il periodo 2014-2020, hanno subito una considerevole diminuzione rispetto alla precedente programmazione;
              posto che l'agricoltura è l'unico settore in crescita dal punto di vista dell'occupazione con un trend positivo in grado di generare per il futuro migliaia di ulteriori posti di lavoro, anche in considerazione del ricambio generazionale al quale va accordato il massimo sostegno e che pertanto le aziende agricole dovranno trovare sostegno e misure di incentivazione;
              valutato che la riduzione degli adempimenti burocratici, il cui costo è stimato dai soggetti interessati e dalle organizzazioni di categoria, in migliaia di euro all'anno, è condizione indispensabile per promuovere la produttività e la competitività delle aziende agricole;
              considerato che, allo stato attuale, i produttori agricoli di cui all'articolo 34, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n.  633 del 26 ottobre 1972, che ricadono nel regime speciale di esonero dal versamento dell'imposta sul valore aggiunto in quanto realizzano un volume d'affari non superiore a 7.000 euro, sono però soggetti all'obbligo di comunicazione annuale delle operazioni rilevanti ai fini IVA e, atteso che tale adempimento crea una vera e propria complicazione tecnica nella misura in cui se si è per legge autorizzati a non conservare registri, non si può poi essere obbligati, sempre per legge, a comunicare le operazioni rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale,

impegna il Governo

a valutare la necessità di sopprimere l'obbligo di comunicazioni rilevanti ai fini IVA, disposto dal comma 8-bis dell'articolo 36 del decreto legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, per i soggetti che ricadono nel regime speciale di esonero IVA di cui all'articolo 34, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 633/1972.
9/2679-bis-A/178. Gallinella.


      La Camera,
          premesso che:
              ritenute insufficienti le misure introdotte a sostegno del comparto primario i cui problemi sono ampiamente noti e vanno dall'aumento dei costi di produzione alle difficoltà di accesso al credito per le aziende agricole;
              preso atto che gli stanziamenti assegnati al nostro Paese a valere sulla politica agricola comune per il periodo 2014-2020, hanno subito una considerevole diminuzione rispetto alla precedente programmazione;
              posto che l'agricoltura è l'unico settore in crescita dal punto di vista dell'occupazione con un trend positivo in grado di generare per il futuro migliaia di ulteriori posti di lavoro, anche in considerazione del ricambio generazionale al quale va accordato il massimo sostegno;
              considerato che la crescita di opportunità nel settore agricolo è evidenziata dall'aumento delle iscrizioni negli istituti professionali agricoli e negli istituti tecnici di agraria, agroalimentare ed agroindustria, come evidenziato dagli ultimi dati rilevati;
              valutato che il provvedimento in esame, all'articolo 12, dispone l'esonero dal versamento dei complessivi contributi a carico dei datori di lavoro per un periodo massimo di 36 mesi con riferimento alle nuove assunzioni a tempo indeterminato, con esclusione tuttavia del settore agricolo;
              atteso che le forme di occupazione stabile andrebbero sostenute ed incentivate anche nel settore agricolo al fine di garantire nel tempo la competitività del comparto nonché di assicurare la corretta gestione del territorio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere anche al settore agricolo l'agevolazione contributiva introdotta dal provvedimento di cui in parola.
9/2679-bis-A/179. L'Abbate.


      La Camera,
          premesso che:
              valutate le criticità della previsione normativa di cui all'articolo 32 che dispone, anche al fine di contenimento della spesa pubblica, il riordino e la razionalizzazione dell'Istituto nazionale di economia agraria — INEA e del Centro per la ricerca e l'agricoltura — CRA, entrambi enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
              considerato che l'accorpamento dei suddetti enti in una unica Agenzia appare non tenere conto di alcune problematiche quali in particolare il grave dissesto finanziario in cui versa l'INEA, le cui passività passerebbero totalmente a carico del CRA andando ad incidere negativamente sulle capacità dello stesso di continuare a sostenere le prestigiose attività di ricerca svolte e riconosciute a livello internazionale;
              posto che al fine di attuare tale riordino, in base all'articolo succitato, si procederà ad un periodo di commissariamento straordinario finalizzato alla predisposizione di un piano per il rilancio e la razionalizzazione delle attività di ricerca e sperimentazione in agricoltura, nonché alla programmazione degli interventi di incremento dell'efficienza organizzativa ed economica prevedendo un numero limitato di centri per la ricerca e la sperimentazione, con una notevole riduzione delle attuali articolazioni territoriali e una conseguente riduzione degli oneri e delle spese di personale;
              ritenute insufficienti le misure volte a tutelare i lavoratori e ricercatori dei due enti che, essendo in buona parte precari, potrebbero correre il rischio di non veder rinnovato il proprio contratto a seguito dell'accorpamento, né di mantenere la propria posizione lavorativa all'interno della costituenda Agenzia;
              considerato inoltre, che i giovani ricercatori sono l'asse portante di tutta la ricerca nazionale che troppo spesso è relegata agli ultimi posti degli interessi del Governo, tanto da spingere i nostri ricercatori a continuare la propria attività all'estero;
              ritenuto fondamentale, a questo proposito, il mantenimento delle attuali graduatorie di concorso del Centro per la ricerca in Agricoltura per le future assunzioni all'interno dell'Agenzia;
              atteso che, per i dipendenti a tempo indeterminato e per quelli con contratto a tempo determinato, attualmente in servizio presso i due enti, sarebbe estremamente importante poter mantenere la cassa previdenziale di provenienza senza subire perdite,

impegna il Governo

a mantenere valide le graduatorie concorsuali attive ai sensi delle leggi vigenti, durante e successivamente il periodo di commissariamento, per le procedure di reclutamento che saranno autorizzate dal dipartimento della funzione pubblica in base ai percorsi per il reclutamento ordinario nei due enti e a valutare la necessità di garantire, per i dipendenti con contratto a tempo indeterminato e per quelli con contratto a tempo determinato attualmente in capo ad INEA e CRA, la facoltà di poter optare per il mantenimento della cassa previdenziale di provenienza.
9/2679-bis-A/180. Lupo.


      La Camera,
          premesso che:
              preso atto dell'assenza di misure volte ad incentivare e tutelare le agricolture contadine indispensabili a promuovere modelli socio economici basati su strutture prevalentemente familiari e pratiche agronomiche conservative e a basso, o assente, impatto ambientale;
              considerato che gli agricoltori contadini, ovvero coloro che conducono direttamente i fondi, praticano diversificazioni e avvicendamenti colturali, producono prevalentemente beni destinati all'autoconsumo, ovvero rivolti alla vendita diretta presso i mercati locali in circuiti di filiera corta, e trasformano le materie prime di esclusiva produzione propria direttamente in azienda o presso la propria abitazione, costituiscono un patrimonio e una risorsa da valorizzare oltre il semplice parametro economicistico;
              posto che in mancanza di adeguate agevolazioni, tali realtà agricole, che operano al di fuori delle logiche di mercato, rischiano di scomparire a causa dei modelli agricoli dominanti che cercano di sussumere e forzare i differenti tipi aziendali nel contesto unico dell'impresa agricola di mercato a carattere industriale con gravi conseguenze per le realtà rurali e per la perdita di biodiversità,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di introdurre adeguate agevolazioni fiscali a favore degli agricoltori contadini, quali in particolare, l'innalzamento fino a diecimila euro del volume d'affari entro il quale si è soggetti al regime speciale di esenzione IVA di cui all'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  633.
9/2679-bis-A/181. Parentela.


      La Camera,
          premesso che:
              preso atto dell'assenza di adeguate misure a sostegno dei metodi di produzione biologica in agricoltura;
              considerato che il mercato mondiale degli alimenti biologici ha quadruplicato la sua estensione a partire dal 1999 e la superficie destinata alla produzione biologica nell'Ue è più che raddoppiata;
              posto che molte aziende italiane stanno convertendo la loro produzione e, al fine di garantire la sicurezza dei consumatori e dei cittadini circa i metodi di produzione biologica, sono costrette a rispettare un elevato livello di oneri amministrativi che, unitamente a considerevoli cali nelle rese, almeno nei primi anni di produzione, rendono l'adesione al regime biologico piuttosto complessa;
              atteso che la previsione di adeguate agevolazioni, anche fiscali, a favore delle imprese agricole che utilizzano prodotti fitosanitari ammessi nell'agricoltura biologica rappresenterebbe un incentivo significativo alla promozione e utilizzo di metodi di coltivazione a basso impatto ambientale senza che questo comporti, come sostenuto molti agricoltori convenzionali che vorrebbero convertire al biologico la propria produzione, una restrizione dell'arsenale fitoiatrico e quindi dei mezzi antiparassitari disponibili,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di introdurre adeguate agevolazioni fiscali, anche sotto forma di credito di imposta per gli acquisti, da parte delle imprese agricole, di prodotti fitosanitari ammessi in agricoltura biologica, di cui all'articolo 5, Reg. (CE) 5 settembre 2008 n.  889 del 2008, della Commissione recante modalità di applicazione del Regolamento (CE) n.  834 del 2007 del Consiglio relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici, per quanto riguarda la produzione biologica, l'etichettatura e i controlli.
9/2679-bis-A/182. Benedetti.


      La Camera,
          premesso che:
              col decreto legislativo n.  102 del 2004 è stato istituito un Fondo di Solidarietà Nazionale che consente alle aziende agricole colpite da calamità, di accedere ad interventi compensativi di cui all'articolo n.  5 del decreto legislativo 102 del 2004, e previsti anche nel successivo decreto legislativo n.  82 del 2008, nell'articolo n.  68 del Reg. (CE) 73/2009 e nel Reg.(CE) 1234/2007. Tali interventi comportano: contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno accertato sulla base della PLV (nelle zone svantaggiate estendibile fino al 90 per cento), prestiti ad ammortamento quinquennale per le esigenze di esercizio dell'anno in cui si è verificato l'evento dannoso e per l'anno successivo, da erogare a tasso agevolato, proroga delle operazioni di credito agrario e agevolazioni previdenziali;
              possono accedere al Fondo solo le aziende colpite da calamità che danneggino le strutture aziendali e le scorte e che non rientrano nelle garanzie del Piano Assicurativo Agricolo Nazionale, stabilite con apposito decreto entro il mese di novembre di ogni anno. Per questi possono essere concessi, a titolo di indennizzo, i contributi in conto capitale fino all'80 per cento dei costi effettivi ed elevabili al 90 per cento nelle zone svantaggiate;
              per quanto concerne il Piano Assicurativo Agricolo Nazionale, entro il mese di novembre di ogni anno, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali emana un decreto nel quale si riporta l'elenco delle garanzie assicurabili con polizze agevolate. In modo particolare, col Piano 2014 è stato esteso ulteriormente l'utilizzo delle polizze agevolate per la difesa dai danni atmosferici e meteorologici ed in particolare per una maggiore affermazione delle polizze multirischio e pluririschio a vantaggio delle monorischio;
              le regole previste per il 2014 avrebbero dovuto provocare un ulteriore interesse dei produttori verso la stipula di polizze assicurative, dato che i produttori che non assicurano le colture riportate dal piano assicurativo contro i danni previsti dal Piano, nel caso in cui dovessero verificarsi i danni, non potranno richiedere l'attivazione delle procedure di stato di calamità;
              tuttavia nel corso della precedente annata agraria le compagnie assicurative non hanno concesso polizze agevolate per le fitopatie denominate «mosca dell'olivo», «cinipide del castagno» e «marciume delle castagne» perché non considerate convenienti e che hanno invece determinato significative perdite di produzione tali da gettare l'olivicoltura e la castanicoltura in una profonda crisi,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di prevedere una apposita deroga atta a consentire l'accesso degli agricoltori colpiti dalle patologie di cui in premessa, agli interventi compensativi previsti dall'articolo 5, del decreto legislativo n.  102 del 2004.
9/2679-bis-A/183. Massimiliano Bernini.


      La Camera,
          premesso che:
              preso atto che nell'ultimo decennio l'aliquota delle accise sulla birra è aumentata del 93 per cento, raggiungendo livelli di tassazione tra i più alti di Europa;
              ritenuto che fra le bevande alcoliche da pasto, la birra è l'unica a scontare l'accisa in Italia, e per di più con livelli di tassazione di gran lunga superiori rispetto a quelli mediamente previsti in altri Paesi europei;
              considerato che i consumi nazionali sono significativamente più bassi rispetto a quelli degli altri paesi europei e pertanto l'inasprimento fiscale sulla birra non si giustifica neanche come disincentivo al suo consumo;
              atteso che con l'aumento dell'aliquota a decorrere dal 1o gennaio 2015, il gettito stimato è di circa 177 milioni di euro all'anno. Tuttavia, come evidenziato da alcuni recenti studi, l'aumento delle accise determina, allo stesso tempo, un inevitabile aumento del prezzo di vendita della bevanda generando un effetto di contrazione dei consumi e quindi di riduzione del gettito derivante dalle imposte indirette (accisa ed IVA);
              valutato pertanto che il sacrificio derivante dall'aumento dell'aliquota dell'accisa sulla birra rischia di non produrre alcun effetto finanziario a fronte della inevitabile riduzione dei consumi,

impegna il Governo

ad assumere ogni utile iniziativa al fine di evitare l'ulteriore aumento di accisa sulla birra (pari a 3,04 euro per ettolitro anidro) previsto a decorrere dal 1o gennaio 2015 al fine di tutelare un settore in crescita e che peraltro registra un trend occupazionale positivo.
9/2679-bis-A/184. Gagnarli.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge n.  2679-bis (legge di stabilità 2015) all'articolo 2 comma 40 identifica l'autorità di audit dei programmi operativi nazionali (PON), cofinanziati dai Fondi strutturali 2014-2020;
              nella Raccomandazione 2014/C 247/11 («Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2014 dell'Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2014 dell'Italia, dell'8 luglio 2014»), al punto (11) dei considerando nonché al punto 3 delle raccomandazioni, al fine di migliorare la gestione dei fondi dell'UE, viene espressa la necessità che l'Italia attui un maggiore coordinamento e una ripartizione più efficiente delle competenze tra i vari livelli di governo;
              inoltre la Raccomandazione sottolinea come l'inadeguatezza della capacità amministrativa e la mancanza di trasparenza, di valutazione e di controllo della qualità si ripercuotano sulla gestione dei fondi dell'Unione europea;
              l'Italia continua comunque ad attuare una gestione poco efficace dei fondi dell'Unione europea anche a causa della gestione inefficiente delle amministrazioni pubbliche sia nazionali che locali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intraprendere iniziative volte a garantire una migliore gestione dei fondi dell'UE attraverso il miglioramento della capacità di amministrazione, della trasparenza, della valutazione e del controllo di qualità sia a livello nazionale che a livello regionale.
9/2679-bis-A/185. Carinelli.


      La Camera,
          premesso che:
              esaminato il disegno di legge recante disposizioni per la formazione dei bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015);
              in sede di discussione del provvedimento in Commissione bilancio è stato approvato un emendamento del gruppo M5S che dispone l'applicazione anche nell'anno 2015 delle norme che consentono la compensazione delle cartelle esattoriali in favore delle imprese titolari di crediti commerciali e professionali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti della pubblica amministrazione e certificati secondo le modalità previste dalla normativa vigente, qualora la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato ai sensi del comma 7-bis dell'articolo 12 del decreto-legge 23 dicembre 2013 n.  145, convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 21 febbraio 2014;
              il Governo ha ritenuto di non stabilizzare temporalmente l'applicazione della norma suddetta perché ritiene di adempiere tutti i crediti delle imprese titolari di crediti commerciali e professionali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti della pubblica amministrazione nel più breve tempo possibile;
              ma dai dati della Banca d'Italia lo Stato al 31 dicembre 2012 doveva 90 miliardi ai suoi fornitori, solo 31,3 sono stati pagati al 23 settembre 2014, ne restano quindi ancora circa 60 miliardi da saldare, senza tenere conto del fatto che ulteriori arretrati potrebbero essersi accumulati dopo il 31 dicembre 2012. Si evince chiaramente che lo Stato è in forte ritardo sul pagamento dei crediti,

impegna il Governo

a rendere permanente attraverso ulteriori iniziative normative, la stabilizzazione delle norme che consentono la compensazione delle cartelle esattoriali in favore delle imprese titolari di crediti commerciali e professionali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti della p.a. ai sensi del comma 7-bis dell'articolo 12 del decreto-legge 23 dicembre 2013 n.  145, convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 21 febbraio 2014.
9/2679-bis-A/186. Grande.


      La Camera,
          premesso che:
              esaminato il disegno di legge recante disposizioni per la formazione dei bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015);
              in sede di discussione del provvedimento in Commissione bilancio è stato approvato un emendamento del gruppo M5S che dispone l'applicazione anche nell'anno 2015 delle norme che consentono la compensazione delle cartelle esattoriali in favore delle imprese titolari di crediti commerciali e professionali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti della pubblica amministrazione e certificati secondo le modalità previste dalla normativa vigente, qualora la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato ai sensi del comma 7-bis dell'articolo 12 del decreto-legge 23 dicembre 2013 n.  145, convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 21 febbraio 2014;
              il Governo ha ritenuto di non stabilizzare temporalmente l'applicazione della norma suddetta perché ritiene di adempiere tutti i crediti delle imprese titolari di crediti commerciali e professionali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti della pubblica amministrazione nel più breve tempo possibile;
              ma dai dati della Banca d'Italia lo Stato al 31 dicembre 2012 doveva 90 miliardi ai suoi fornitori, solo 31,3 sono stati pagati al 23 settembre 2014, ne restano quindi ancora circa 60 miliardi da saldare, senza tenere conto del fatto che ulteriori arretrati potrebbero essersi accumulati dopo il 31 dicembre 2012. Si evince chiaramente che lo Stato è in forte ritardo sul pagamento dei crediti,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di rendere permanente attraverso ulteriori iniziative normative, la stabilizzazione delle norme che consentono la compensazione delle cartelle esattoriali in favore delle imprese titolari di crediti commerciali e professionali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti della p.a. ai sensi del comma 7-bis dell'articolo 12 del decreto-legge 23 dicembre 2013 n.  145, convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 21 febbraio 2014.
9/2679-bis-A/186.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Grande.


      La Camera,
          premesso che:
              esaminato il disegno di legge recante disposizioni per la formazione dei bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015);
              considerato che appare sempre più urgente chiarire con precisione la definizione di autonoma organizzazione ai fini dell'assoggettabilità all'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) dei professionisti e dei piccoli imprenditori, dal momento che il contenzioso in materia di Irap vede contrapposte l'Amministrazione Pubblica ed una vasta platea di professionisti che, per le ridotte dimensioni della loro attività, ritengono di non dover pagare l'imposta per carenza del requisito richiesto dell'autonoma organizzazione;
              stimata l'assenza di una norma o di un atto amministrativo da parte dell'Agenzia delle Entrate che stabilisca criteri più oggettivi per individuare le situazioni fisiologicamente escluse dall'ambito di applicazione del tributo;
              ricordato come la linea di demarcazione tra pagamento ed esonero IRAP dovrebbe essere collegata non alla qualificazione dell'attività svolta ma all'esistenza o meno di una struttura organizzativa e in che termini essa possa fungere da valore aggiuntivo e incrementale dell'attività medesima,

impegna il Governo:

ad adottare le iniziative legislative idonee a definire con precisione le nozioni di «autonoma organizzazione» e di «lavoro autonomo» così da chiarire espressamente e con precisione le situazioni di esclusione dall'applicazione dell'IRAP.
9/2679-bis-A/187. Rizzo.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 19, comma 11 del presente disegno di legge, prevede l'adozione, entro il 30 gennaio 2015, di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, con cui sono stabilite, per ciascuno dei crediti d'imposta di cui all'elenco n.  1 dell'allegato alla legge di stabilità, le quote percentuali di fruizione dei crediti d'imposta, in maniera tale da assicurare effetti positivi sui saldi di finanza pubblica non inferiori a 16,335 milioni per il 2015 e a 38,690 milioni a decorrere dal 2016,
          considerato che i detersivi e i prodotti bio, per i loro utilizzatori, hanno attualmente IVA elevata: l'emendamento ha lo scopo di definire al meglio una disparità sull'imposta tra prodotti che in assenza di certificazione bio hanno un fortissimo impatto sulla nostra salute (cute in particolare) e sul nostro ambiente (acque in particolare) e prodotti certificati Biologici che impattano meno sull'ambiente circostante anche in relazione alla produzione di fanghi da depurazione. I fanghi da depurazione sono di difficile gestione e correlati anche a decessi di operatori del settore del trattamento rifiuti speciali. La riduzione del volume e la semplificazione della struttura dei fanghi stessi è una priorità per migliorare e rendere più sicura la gestione. L'azione a monte deve prevedere la riduzione dei componenti chimici che entrano nelle acque reflue civili. La valutazione del ciclo vita della filiera dei detersivi è sicuramente a favore dell'utilizzo di prodotti naturali per la detersione personale e domestica dal punto di vista economico e della sostenibilità ambientale, per cui va incentivato l'utilizzo di tali prodotti e deve essere migliorata l'informazione dei cittadini in merito agli impatti ambientali dei prodotti di uso comune,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa, anche a carattere normativo, per ridurre il carico fiscale dei detersivi biologici, in particolare ricomprendendo oltre ai saponi comuni di cui alla Tabella A, parte III del decreto del Presidente della Repubblica n.  633 del 1972 anche i detersivi prodotti con certificazione biologica e di fabbricazione comunitaria nonché i prodotti per l'igiene della persona prodotti con certificazione biologica e di fabbricazione comunitaria».
9/2679-bis-A/188. Corda, Zolezzi.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 19, comma 11 del presente disegno di legge, prevede l'adozione, entro il 30 gennaio 2015, di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, con cui sono stabilite, per ciascuno dei crediti d'imposta di cui all'elenco n.  1 dell'allegato alla legge di stabilità, le quote percentuali di fruizione dei crediti d'imposta, in maniera tale da assicurare effetti positivi sui saldi di finanza pubblica non inferiori a 16,335 milioni per il 2015 e a 38,690 milioni a decorrere dal 2016,
          considerato che i detersivi e i prodotti bio, per i loro utilizzatori, hanno attualmente IVA elevata: l'emendamento ha lo scopo di definire al meglio una disparità sull'imposta tra prodotti che in assenza di certificazione bio hanno un fortissimo impatto sulla nostra salute (cute in particolare) e sul nostro ambiente (acque in particolare) e prodotti certificati Biologici che impattano meno sull'ambiente circostante anche in relazione alla produzione di fanghi da depurazione. I fanghi da depurazione sono di difficile gestione e correlati anche a decessi di operatori del settore del trattamento rifiuti speciali. La riduzione del volume e la semplificazione della struttura dei fanghi stessi è una priorità per migliorare e rendere più sicura la gestione. L'azione a monte deve prevedere la riduzione dei componenti chimici che entrano nelle acque reflue civili. La valutazione del ciclo vita della filiera dei detersivi è sicuramente a favore dell'utilizzo di prodotti naturali per la detersione personale e domestica dal punto di vista economico e della sostenibilità ambientale, per cui va incentivato l'utilizzo di tali prodotti e deve essere migliorata l'informazione dei cittadini in merito agli impatti ambientali dei prodotti di uso comune,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di assumere ogni iniziativa, anche a carattere normativo, per ridurre il carico fiscale dei detersivi biologici, in particolare ricomprendendo oltre ai saponi comuni di cui alla Tabella A, parte III del decreto del Presidente della Repubblica n.  633 del 1972 anche i detersivi prodotti con certificazione biologica e di fabbricazione comunitaria nonché i prodotti per l'igiene della persona prodotti con certificazione biologica e di fabbricazione comunitaria».
9/2679-bis-A/188.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Corda, Zolezzi.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge 27 febbraio 1985, n.  49 e successive modificazioni, reca provvedimenti per il credito alla cooperazione e misure urgenti a salvaguardia dei livelli occupazionali;
              in particolare, l'articolo 1, istituisce un fondo di rotazione per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (Foncooper). Detto fondo è destinato al finanziamento delle cooperative che siano ispirate ai principi di mutualità richiamati espressamente nei rispettivi statuti, o iscritte nei registri delle prefetture, assoggettate alla vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale;
              i suddetti I finanziamenti sono finalizzati esclusivamente all'attuazione di progetti relativi:
              all'aumento della produttività e/o dell'occupazione della manodopera mediante l'incremento e/o l'ammodernamento dei mezzi di produzione e/o dei servizi tecnici, commerciali ed amministrativi dell'impresa; a valorizzare i prodotti; a favorire la razionalizzazione del settore distributivo; alla sostituzione di altre passività finanziarie contratte per la realizzazione dei progetti ed in misura non superiore al 50 per cento del totale dei progetti stessi;
              alla ristrutturazione e riconversione degli impianti;
              alla realizzazione ed all'acquisto di impianti nei settori della produzione, della distribuzione, del turismo e dei servizi;
          Il Foncooper è alimentato:
              dall'anticipazione di idonee somme iscritte in apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del tesoro;
              dalle quote di ammortamento per capitali e dagli interessi corrisposti dalle cooperative mutuatarie;
              dalle rate di rientro dei mutui stipulati ai sensi dell'articolo 39, 2o comma, del decreto-legge n.  745 del 1970, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n.  1034 del 1970, e del decreto ministeriale 19 giugno 2001 (G.U. n.  188 del 26 luglio 1971);
          considerato che:
              la perdurante crisi economica sta determinando il fallimento di una miriade d'aziende, con gravi conseguenze nel tessuto occupazionale;
              anche in Italia si è diffuso il principio del «workers buyout», ovvero dei lavoratori in mobilità, che investono parte del capitale iniziale proveniente dal sostegno al reddito, ovvero il trattamento di fine rapporto (che però si sblocca in tempi più lunghi) e, in alcuni casi anche i propri risparmi, per rilevare l'azienda fallita, presso cui prestavano lavoro in qualità di dipendenti;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di implementare per il triennio 2015 - 2017 gli stanziamenti del Fondo di cui all'articolo 1 della legge 27 febbraio 1985, n.  49, allo scopo di sostenere il capitale sociale impiegato dai suddetti lavoratori in mobilità per rilevare l'azienda presso cui prestavano servizio.
9/2679-bis-A/189. Prodani.


      La Camera,
          premesso che:
              sulla controversia giurisprudenziale tra i Comuni e le società petrolifere sull'assoggettabilità dell'IMU alle piattaforme petrolifere antistanti alle coste marine. La sentenza della Cassazione n.  13794/05 ha riconosciuto il potere impositivo del Comune sulle acque territoriali;
              infatti i giudici della Corte di cassazione affermano che sull'intero territorio dello Stato, ivi compreso il mare territoriale, convivono e si esercitano i poteri dello Stato contestualmente ai poteri dell'ente regione e degli enti locali. Non è configurabile che su una porzione «del territorio inteso in senso lato su cui si esercita la sovranità dello Stato» non convivano i poteri delle autorità regionali e locali. Se infatti, per assurdo, su parte di questo territorio, ricoperto dal mare territoriale, non venissero esercitati i poteri amministrativi della regione e del comune ne deriverebbe la necessaria conseguenza che, nell'ipotesi di costruzione su palafitte nel mare territoriale, i comuni non avrebbero nessuna possibilità di esercitare le funzioni amministrative loro proprie. Fermo restando che concettualmente è sempre esistita una potestà dell'esercizio dei poteri degli enti locali nell'ambito del mare territoriale perché non può che esserci coincidenza fra sovranità dello Stato e concorrente esercizio dei poteri degli enti regionali e locali, sarebbero comunque inconcepibili delle zone franche nelle quali mentre sussiste il potere dello Stato non sussiste il concorrente potere ai fini amministrativi degli enti locali e regionali;
              i comuni interessati come Pineto che ha scaturito la succitata sentenza della Suprema corte, Teramo, Falconara Marittima, Pedaso, Porto Sant'Elpidio, Tortoreto, Termali e Crotone da anni chiedono il pagamento dell'IMU ex ICI alle compagnie petrolifere sostenendo che è «il possesso del bene, a prescindere dall'iscrizione catastale a determinare l'imponibilità»,

impegna il Governo

ad adottare una norma interpretativa autentica volta ad estendere l'imposta municipale propria anche agli immobili costruiti su strutture artificiali ubicate nel mare territoriale.
9/2679-bis-A/190. Frusone.


      La Camera,
          premesso che:
              sulla controversia giurisprudenziale tra i Comuni e le società petrolifere sull'assoggettabilità dell'IMU alle piattaforme petrolifere antistanti alle coste marine. La sentenza della Cassazione n.  13794/05 ha riconosciuto il potere impositivo del Comune sulle acque territoriali;
              infatti i giudici della Corte di cassazione affermano che sull'intero territorio dello Stato, ivi compreso il mare territoriale, convivono e si esercitano i poteri dello Stato contestualmente ai poteri dell'ente regione e degli enti locali. Non è configurabile che su una porzione «del territorio inteso in senso lato su cui si esercita la sovranità dello Stato» non convivano i poteri delle autorità regionali e locali. Se infatti, per assurdo, su parte di questo territorio, ricoperto dal mare territoriale, non venissero esercitati i poteri amministrativi della regione e del comune ne deriverebbe la necessaria conseguenza che, nell'ipotesi di costruzione su palafitte nel mare territoriale, i comuni non avrebbero nessuna possibilità di esercitare le funzioni amministrative loro proprie. Fermo restando che concettualmente è sempre esistita una potestà dell'esercizio dei poteri degli enti locali nell'ambito del mare territoriale perché non può che esserci coincidenza fra sovranità dello Stato e concorrente esercizio dei poteri degli enti regionali e locali, sarebbero comunque inconcepibili delle zone franche nelle quali mentre sussiste il potere dello Stato non sussiste il concorrente potere ai fini amministrativi degli enti locali e regionali;
              i comuni interessati come Pineto che ha scaturito la succitata sentenza della Suprema corte, Teramo, Falconara Marittima, Pedaso, Porto Sant'Elpidio, Tortoreto, Termali e Crotone da anni chiedono il pagamento dell'IMU ex ICI alle compagnie petrolifere sostenendo che è «il possesso del bene, a prescindere dall'iscrizione catastale a determinare l'imponibilità»,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di adottare una norma interpretativa autentica volta ad estendere l'imposta municipale propria anche agli immobili costruiti su strutture artificiali ubicate nel mare territoriale.
9/2679-bis-A/190.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Frusone.


      La Camera,
          premesso che:
              esaminato il disegno di legge recante disposizioni per la formazione dei bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015);
              si rileva che a causa della crisi è nato uno strumento utile per contrastare la crisi economica il «gruppo di acquisto»;
              provando a navigare su internet e digitando su un qualsiasi motore di ricerca le parole «gruppo solidale di acquisto», si apriranno una serie di pagine che invitano l'utente ad iscriversi per beneficiare di un potere di contrattazione che, da singola unità, certamente non avrebbe, ma che unitamente ad altre migliaia di utenti può crescere in maniera esponenziale;
              infatti, soprattutto in materia di energia, le società che distribuiscono energia elettrica e gas, hanno dato ascolto a questi gruppi, offrendo loro tariffe molto più vantaggiose di quelle comuni, alle quale l'utente che si è iscritto al gruppo solidale può poi decidere di aderire o meno;
              si tratta di un'importante anno che i consumatori possono sfruttare, dal momento che il fornitore o il produttore non terrebbe certo in considerazione la singola utenza o esigenza, ma a fronte di garantirsi un cospicuo numero di utenti può decidere di offrire uno sconto consistente sulla propria offerta,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile anche normativa al fine di promuovere il gruppo solidale di acquisto in materia di energia.
9/2679-bis-A/191. Paolo Bernini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 9 della legge di stabilità 2015 istituisce, per gli esercenti attività d'impresa e arti e professioni in forma individuale, un regime forfetario di determinazione del reddito da assoggettare a un'unica imposta sostitutiva di quelle dovute con l'aliquota del 15 per cento. Per accedere al regime agevolato (che costituisce il regime «naturale» per chi possiede i requisiti) sono previste delle soglie di ricavi diverse a seconda del tipo di attività esercitata;
              l'attuale testo non prevede nulla sul alcune attività come l'agente di commercio i quali non usufruiscono della detrazione totale dell'autovettura unico bene strumentale per loro attività;
              le attuali limitazioni in materia non sono giustificabili, se solo si considera che, per gli agenti e rappresentanti di commercio, l'automobile rappresenta un vero e proprio ufficio, le cui spese costituiscono parte preponderante dei costi d'impresa, l'utilizzo dell'automezzo riveste carattere tale per cui senza di esso sarebbe impossibile conseguire alcun ricavo;
              quale l'introduzione anche per categoria della doppia patente a punti, al pari di altre categorie; l'Agente di commercio è un utente professionale «della strada» vista la sua media annua pari a circa 50.000 chilometri;
              com’è noto per particolari categorie di lavoratori che utilizzano in modo professionale il mezzo di trasporto, il ritiro della patente ha come conseguenza l'impossibilità stessa di poter svolgere l'attività e con ciò verrebbe meno la stessa capacità di produzione di reddito, fonte di guadagno e sostentamento per il lavoratore e la sua famiglia,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile, anche normativa, per la introduzione di agevolazioni fiscali e previdenziali per i giovani agenti di commercio che intraprendono l'attività.
9/2679-bis-A/192. Mucci.


      La Camera,
          esaminato il provvedimento in titolo;
          premesso che:
              l'articolo 1, commi 112-113, promuove forme di aggregazione delle imprese di autotrasporto;
              sarebbe auspicabile, al fine di ridurre l'impatto ambientale, prevedere misure che favoriscano forme di aggregazione anche nella mobilità privata;
              il trasporto in forma condivisa, anche nel tempo, di un mezzo di trasporto, consiste nel trasporto ad uso individuale che consente di utilizzare, a qualsiasi ora, l'auto che meglio soddisfa le esigenze di mobilità e si realizza tramite un sistema di «pay-per-use», ovvero di pagamento solo per il tempo di utilizzo del mezzo, calcolato sulla base di tariffe orarie e chilometriche prestabilite;
              il «car sharing» e il «car pooling» sono senz'altro delle modalità che hanno lo scopo di attuare politiche di mobilità certamente più efficienti e sostenibili, per favorire il passaggio dal possesso del mezzo all'uso dello stesso, in modo da consentire di rinunciare all'automobile privata ma non alla flessibilità delle proprie esigenze di mobilità trasformando l'auto, dall'ambito dei beni di consumo a quello dei servizi,

impegna il Governo

ad attuare misure volte a incentivare e diffondere l'uso di mezzi di trasporta in forma condivisa privilegiando pertanto la compartecipazione, anche nel tempo, all'uso di mezzi di cui l'utilizzatore non abbia la proprietà, rispetto all'impiego di mezzi di proprietà del conducente o del trasportato ad uso esclusivo, personale o comunque inefficiente ovvero non sostenibile, anche con una riduzione delle sanzioni amministrative pecuniarie.
9/2679-bis-A/193. Di Battista.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, commi 9-12, del disegno di legge di stabilità in esame riconosce un credito d'imposta nella misura di 960 euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.  241;
              i presupposti soggettivi ed oggettivi previsti ai fini del riconoscimento del credito, escludono dal riconoscimento del credito i titolari di trattamenti pensionistici ed equiparati;

impegna il Governo

a assumere iniziative, anche di carattere normativo, al fine di estendere il riconoscimento del credito anche ai soggetti percettori di redditi da pensione ed equiparati.
9/2679-bis-A/194. Tofalo.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 4, commi 9-12, del disegno di legge di stabilità in esame riconosce un credito d'imposta nella misura di 960 euro ai contribuenti lavoratori dipendenti, percettori di un reddito annuo in misura non superiore a ventiseimila euro e non inferiore a ottomila euro. Il credito è erogato automaticamente dal sostituto d'imposta che recupererà le somme elargite mediante l'istituto della compensazione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.  241;
              il meccanismo delineato dalla norma lascia insoddisfatti i cosiddetti incapienti il cui reddito si attesta sotto la no tax area di 8.000 euro l'anno (circa 4 milioni di persone),

impegna il Governo

ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, al fine di estendere per il futuro il riconoscimento del credito anche ai soggetti cosiddetti incapienti ovvero coloro il cui reddito annuale non superi il limite di euro 8.000,00.
9/2679-bis-A/195. Luigi Di Maio.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge n.  2679-bis (legge di stabilità 2015) all'articolo 2 comma 268 avvia un processo di razionalizzazione mirante al contenimento dei costi di funzionamento che include, tra le altre, le autorità portuali;
              durante la sosta in porto, le navi utilizzano i loro motori ausiliari per alimentare una serie di utenze che devono essere necessariamente funzionanti nonostante la nave sia ferma;
              diversi studi effettuati anche a livello europeo hanno dimostrato l'incidenza sull'inquinamento locale della produzione di energia elettrica dai generatori delle navi, alimentati spesso a olio combustibile, sia in termini di emissioni di polveri, di gas e di rumore;
              al fine di ridurre i consumi di energia nelle aree portuali su tutto il territorio nazionale e le emissioni atmosferiche delle navi ormeggiate, il cold ironing o elettrificazione delle banchine è il sistema con cui si provvede a soddisfare i fabbisogni energetici delle navi attraccate attraverso l'erogazione di elettricità da terra, anche prodotta da energia da fonti rinnovabili nelle stesse aree portuali;
              il processo di elettrificazione delle banchine, suggerito dalla Commissione Europea in una raccomandazione del 2006 è stato in parte ripreso dalla Finanziaria Nazionale per il 2008 ma non risulta ancora attuato nella maggior parte dei porti nazionali;
              la stessa attività dovrebbe inquadrarsi in un contesto di pianificazione del percorso di diminuzione dei consumi energetici e di mitigazione degli impatti ambientali delle aree portuali,

impegna il Governo

alla definizione di un Piano nazionale di elettrificazione delle banchine portuali destinate al traffico commerciale e di passeggeri che abbia ad oggetto la realizzazione di sistemi di elettrificazione delle banchine portuali denominati cold ironing, nonché di interventi per l'impiego di fonti rinnovabili, di sistemi di mobilità sostenibile per il trasporto dei passeggeri e delle merci all'interno delle aree portuali e di sistemi di impianti di illuminazione innovativi e ad alta efficienza energetica, con la costituzione di un Fondo per il finanziamento dei progetti di elettrificazione.
9/2679-bis-A/196. Pinna.


      La Camera,
          premesso che:
              la centralità data all'Agenda digitale dimostra come la Commissione europea, a nome dell'Unione, ritenga prioritario che l'infrastruttura delle telecomunicazioni ad alta velocità arrivi a coprire totalmente il territorio nazionale dei Paesi membri;
              attualmente l'infrastruttura italiana in questo settore non risulta soddisfacente come dimostra lo scoreboard sui progressi dell'Agenda digitale europea dedicato all'Italia, confermato dalla Raccomandazione 2014/C 247/11 («Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2014 dell'Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità 2014 dell'Italia, dell'8 luglio 2014») in cui si evidenzia come nel nostro Paese vi siano ancora zone non urbane prive di sufficiente copertura;
              internet, in particolare attraverso la connessione veloce, è diventato uno strumento insostituibile nella società attuale, indispensabile per la libertà di espressione dei cittadini, per accedere alla maggior parte dei servizi ivi inclusi quelli culturali e turistici, e per l'accesso alle informazioni, come pure ai fini dello sviluppo e della crescita economica delle imprese;
              studi svolti sia dalla società accademica internazionale che nazionale dimostrano come gli investimenti sulle connessioni veloci abbiamo effetti diretti e indiretti sulla crescita complessiva dei sistemi sociali, sull'efficienza delle imprese, sull'aumento della produttività, dell'innovazione tecnologica e dell'occupazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intraprendere iniziative volte a garantire un rapido sviluppo delle infrastrutture della comunicazione di nuova generazione, coerentemente con gli obiettivi posti dall'Agenda digitale europea e con quanto avviene negli altri Paesi membri dell'Unione.
9/2679-bis-A/197. Fico.


      La Camera,
          premesso che:
              i combustibili fossili sono particolarmente nocivi sia per l'ambiente che per la salute umana. Molti Stati Membri UE hanno predisposto iniziative per agevolare il trasporto, sia di merci che e di persone, su dispositivi ibridi ovvero elettrici senza utilizzo di combustibili fossili, l'Italia, già solo per la tutela delle proprie bellezze artistiche e paesaggistiche dovrebbe rientrare tra i principali Stati Ue impegnati nella predisposizione di misure volte ad agevolare la diffusione e l'utilizzo dei veicoli elettrici disincentivando l'utilizzo dei tradizionali veicoli a motore;
              è altresì vero che molte città italiane subiscono un eccesso di emissioni inquinanti sia in suolo, in acqua, che in aria aggravate dal traffico veicolare;
              il trasporto del c.d. «ultimo miglio» è la mobilità e la distribuzione delle merci nei centri commerciali ed urbani. Il trasporto dell'ultimo miglio si identifica nella logistica dell'ultimo segmento della logistica delle merci, il quale inizia dai centri logistici di distribuzione che si trovano alla periferia dei centri urbani, alle barriere autostradali, negli interporti, nelle aree industriali, e termina con la consegna delle stesse merci;
              questa pratica di trasporto prevederebbe che le merci trasportate dagli autocarri pesanti provenienti dalle vie di comunicazione autostradali vengano scaricate nei magazzini dei centri logistici alle periferie dei centri urbani e da questi ricaricate su veicoli leggeri per la destinazione;
              l'utilizzo di veicoli elettrici per il trasporto delle merci dalle aree extraurbane alle aree urbane consentirebbe di evitare di arrecare disagi logistici ai centri abitati e ridurre il livello di inquinamento acustico ed ambientale;
              in prossimità degli svincoli autostradali è già frequentemente prevista la presenza di aree di sosta che potrebbero essere utilizzate con minimi investimenti, anche per lo scambio delle motrici a trazione diesel, con motrici elettriche,

impegna il Governo

ad adottare iniziative normative al fine di predisporre misure, anche di carattere fiscale a favore di Enti Locali ed imprese per agevolare la diffusione di veicoli di trasporto merci elettrici che si occupino del trasporto della merce dalle aree di scambio limitrofe agli svincoli autostradali, ai punti di destinazione.
9/2679-bis-A/198. Alberti.


      La Camera,
          premesso che:
              l'ausiliaria è una posizione di stato nella quale il personale militare di ogni ordine e grado può transitare all'atto del congedamento per limiti di età e permanere al massimo per cinque anni, a condizione che resti in possesso della prevista idoneità fisica, fornisca disponibilità al richiamo presso qualunque pubblica amministrazione nella provincia di residenza e si impegni a non assumere impieghi o cariche presso imprese che hanno rapporti con l'amministrazione militare;
              a titolo di controprestazione per i citati obblighi, la vigente normativa prevede la corresponsione, come «accessorio» della pensione maturata, dell'indennità di ausiliaria, fin qui pari al 70 per cento della differenza tra la pensione stessa e la retribuzione spettante al pari grado in servizio;
              il trattamento complessivo percepito durante il periodo di ausiliaria è gravato dalle ritenute previdenziali e assistenziali, a carico del datore di lavoro e dell'interessato, in misura identica a quelle applicate sui trattamenti del personale in servizio e, all'atto della fuoriuscita dall'ausiliaria, il trattamento globale di quiescenza viene conseguentemente ridefinito;
              la ratio dell'ausiliaria è duplice: costituire un bacino di personale già addestrato e quindi prontamente disponibile per esigenze straordinarie e compensare i limiti di età previsti per il personale militare che, in relazione alle peculiari condizioni d impiego e agli standard di efficienza psico-fisica richiesti, sono mediamente meno elevati di cinque anni rispetto a quelli propri della generalità del personale civile; diversamente, stante il rapporto di proporzionalità diretta tra la durata del periodo di servizio e la misura del trattamento di quiescenza, i militari subirebbero, non per propria colpa, pesanti penalizzazioni sulla misura delle pensioni, specie in relazione alla quota calcolata con il sistema contributivo;
              l'articolo 2, comma 24 del disegno di legge di stabilità 2015 riduce dal 70 al 50 per cento la misura dell'indennità di ausiliaria;
              al personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare la cui pensione è calcolata in tutto o in parte con il sistema contributivo la normativa vigente (articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n.  165 del 1997) consente di optare, in luogo dell'ausiliaria, per l'istituto corrispondente (non connotato però dai medesimi obblighi) previsto per le Forze di polizia ad ordinamento civile, ossia il cosiddetto «moltiplicatore», in base al quale, all'atto del congedamento, il montante individuale dei contributi è determinato incrementando di un importo pari a 5 volte la base imponibile dell'ultimo anno di servizio moltiplicata per l'aliquota di computo della pensione stessa;
              il «moltiplicatore» è applicabile anche alle Forze armate, ma solo per quanti non abbiano i requisiti psico-fisici richiesti per il collocamento in ausiliaria ovvero li perdano durante la permanenza in tale posizione di stato,

impegna il Governo

allo scopo di consentire l'indispensabile omogeneità di trattamento nell'ambito del comparto difesa e sicurezza, a valutare la possibilità di modificare la vigente normativa, nel senso di prevedere l'opzione, in luogo dell'ausiliaria, per l'istituto di cui all'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n.  165 del 1997, nei termini già previsti per le forze di polizia ad ordinamento militare, anche per il personale delle Forze armate.
9/2679-bis-A/199. D'Alia.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2, comma 25, del disegno di legge di stabilità 2015 abroga alcuni articoli del Codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66 che prevedono, in determinate circostanze, il conferimento al personale delle Forze armate di promozioni alla vigilia del congedamento;
              tali promozioni rispondono all'esigenza di assicurare un doveroso riconoscimento, in talune circostanze ben definite, al personale militare che non ha potuto beneficiare della promozione durante l'arco della vita lavorativa, pur avendone i meriti e i presupposti, solo in ragione della particolare selettività delle piramidali carriere previste dagli ordinamenti delle Forze armate,

impegna il Governo

a valutare in maniera approfondita i contenuti della disposizione di cui in premessa al fine di adottare le opportune iniziative normative volte a prevedere, nell'ambito dell'esame del provvedimento che siano conservate alle condizioni attualmente vigenti almeno le promozioni alla vigilia del congedamento al personale delle Forze armate deceduto o divenuto permanentemente inidoneo al servizio militare per causa di servizio.
9/2679-bis-A/200. Adornato, Caruso, D'Alia.


      La Camera,
          premesso che:
              all'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.  446 viene previsto il pagamento sulle plusvalenze realizzate sulla cessione di diritti pluriennali alle prestazioni sportive degli atleti di cui all'articolo 86, comma 4, primo periodo dei decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917;
              tale previsione non trova uguale disciplina nei Paesi appartenenti alla Comunità europea e che, quindi, vi è la necessità di uniformare tale trattamento riservato esclusivamente alle società sportive italiane a quello vigente in Europa, eliminando così una evidente disparità di trattamento rispetto a società sportive residenti in Paesi UE diversi dall'Italia;
              che tale trattamento penalizzante incide in maniera significativa sui bilanci delle società sportive italiane e presta il fianco a considerare tale tipo di tassazione non in linea con le regole europee della concorrenza e del mercato;
              che risulta necessario cercare di neutralizzare tale evidente disparità di trattamento finalizzata ad un ripristino di una corretta concorrenza del mercato che altrimenti non potrebbe che danneggiare le disponibilità finanziarie delle società sportive italiane a danno di quelle residenti in altri Paesi europei;
              che appare, quindi, urgente intervenire con una maggiore incisività sulla tutela delle società sportive italiane attraverso una modifica del citato all'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.  446, in cui per le società sportive professionistiche dal valore della produzione sono escluse le plusvalenze realizzate sulla cessione di diritti pluriennali alle prestazioni sportive degli atleti di cui all'articolo 86, comma 4, primo periodo del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917. Per le medesime società sono, altresì, da escludere dalla base imponibile le minusvalenze realizzate sulla cessione di diritti pluriennali alle prestazioni sportive degli atleti di cui all'articolo 101, comma 1, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917. Le stesse disposizioni vanno applicate anche nel caso in cui l'accertamento della base imponibile sia oggetto di contenzioso dalla data, quantomeno, relativa all'anno fiscale in cui tale richiesta modifica entrerà in vigore; prevedendo inoltre che tutti i relativi contenziosi pendenti a quella data e che riguardino solo le plusvalenze e/o minusvalenze di cui ai precedenti periodi gli stessi vengono estinti d'ufficio. Appare inoltre necessaria, nello stesso contesto sopra esposto, che la stessa modifica sia estesa anche ai rapporti che le società sportive professionistiche intrattengano con gli sportivi professionisti a tempo determinato così come previsti dalla legge 23 marzo 1981, n.  91,

impegna il Governo

a favorire, in tempi brevissimi, l'adozione di misure volte ad introdurre i necessari interventi normativi che consentano anche alle società sportive professionistiche italiane di fruire di una migliore imposizione fiscale che garantisca allo Stato quelle corrette entrate che derivino da importi sottoposti a tassazione e nel contempo garantiscano alle società italiane di non essere penalizzate rispetto al resto d'Europa.
9/2679-bis-A/201. Castricone.


      La Camera,
          premesso che:
              lo Stabilimento Militare del Munizionamento Terrestre opera a Baiano di Spoleto a partire dal 1936 ed è attivo in un settore particolarmente delicato ed essenziale per la Difesa ai fini strategici, quale quello dell'allestimento e del ripristino di bombe a mano e munizionamento di medio e grosso calibro nonché nella demilitarizzazione di munizionamento;
              dal luglio 2003 è transitato, assieme ad altri 7 stabilimenti dell'area tecnica, nell'Agenzia Industrie Difesa che fu creata con l'obiettivo di una economica gestione e della valorizzazione della professionalità degli stabilimenti stessi;
              lo Stabilimento Militare del Munizionamento Terrestre di Baiano di Spoleto ha raggiunto il pareggio di bilancio nell'esercizio finanziario 2013 ed è prossimo a ripetere tale risultato anche nell'esercizio corrente, nonostante i crescenti tagli nel settore difesa;
              negli ultimi anni, oltre ai compiti d'istituto, ha avviato una serie di partnership con le più importanti aziende private del settore che gli consentono di avere un ruolo di prim'ordine nel campo del munizionamento;
              a tali risultati hanno contribuito in maniera determinante le figure tecniche assunte con contratto a tempo determinato nel 2006 per ricoprire ruoli di elevata professionalità tecnica di cui l'Agenzia Industrie Difesa non era dotata. Tali figure hanno portato conoscenze adeguate alla corretta gestione dei prodotti e degli impianti nonché alla garanzia dei necessari ed elevati standard di sicurezza e un utile approccio di tipo privatistico nell'ambiente pubblico;
              le prospettive future vedono lo Stabilimento Militare di Baiano mantenere le attuali positive performance economiche e aumentare il livello di collaborazione con le aziende private, ma per ottenere questi risultati i livelli occupazionali devono rimanere almeno stabili;
              visto il comma 125 dell'articolo 2 della legge di Stabilità 2015,

impegna il Governo

a porre in essere – fermi restando gli obiettivi generali di contenimento della spesa – ogni iniziativa utile ad evitare il depauperamento delle professionalità tecniche operanti nello Stabilimento e ad assicurare la continuità della piena operatività ed efficienza della struttura in relazione alla peculiarità delle attività svolte.
9/2679-bis-A/202. Sereni.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge 27 dicembre 2006, n.  296 (legge finanziaria 2007) ha introdotto, nell'ambito delle politiche di sviluppo e di riequilibrio territoriale, le Zone Franche Urbane (ZFU), finalizzate a contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l'integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale, e al contempo istituiva nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico un apposito Fondo, con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 per il finanziamento di programmi di intervento da realizzarsi nelle ZFU;
              il Comitato Interministeriale per la Programmazione economica, con deliberazione 8 maggio 2009, n.  14, provvedeva a selezionare le prime aree urbane ammesse ai benefici fiscali;
              l'articolo 43 del decreto-legge n.  78 del 2010 sostituiva le suddette Z.F.U. con le cosiddette Zone a Burocrazia Zero (Z.B.Z.), estese a tutta l'Italia con la legge n.  183 del 2011, in via sperimentale fino al 31 dicembre 2013;
              il decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, all'articolo 37 prevedeva, con riferimento alle regioni ammissibili all'obiettivo «Convergenza» ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CE) n.  1083/2006, la possibilità di finanziare le ZFU attraverso la riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013 oggetto del Piano di azione coesione, nonché attraverso la destinazione di risorse proprie regionali, estendendo altresì le aree territoriali destinatarie delle suddette agevolazioni alle aree industriali ricadenti nelle regioni di cui all'obiettivo «Convergenza» corrispondenti a requisiti specifici indicate dalla legge medesima;
              il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto firmato il 10 aprile 2013 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  161 dell'11 luglio 2013, definiva le condizioni, i limiti, le modalità e i termini di decorrenza delle agevolazioni fiscali e contributive per le imprese delle Zone Franche Urbane (ZFU) del Mezzogiorno;
              il decreto-legge 24 aprile 2014, n.  66 «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale», convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n.  89, all'articolo 22-bis autorizza la spesa di 75 milioni di euro per il 2015 e di 100 milioni di euro per il 2016 per gli interventi a favore delle ZFU, prevedendo che tali risorse siano ripartite tra le zone franche urbane, al netto degli eventuali costi necessari per l'attuazione degli interventi, sulla base dei medesimi criteri di riparto utilizzati nell'ambito della delibera CIPE n.  14 dell'8 maggio 2009, e disponendo altresì che le regioni interessate possano destinare, a integrazione delle risorse di cui al comma 1, proprie risorse per il finanziamento delle agevolazioni;
              nel disegno di legge di stabilità 2015 varato dal Governo e attualmente in discussione, i fondi per le Zone Franche Urbane hanno subìto una riduzione pari per il 2015 al totale delle somme individuate dal decreto-legge n.  66 del 2014 (75 milioni) e per il 2016 della metà (50 milioni su 100);
              la reiterata successione di interventi legislativi e di disposizioni finanziarie contradditorie, ingenera presso i cittadini, e in particolare gli operatori economici potenzialmente destinatari delle misure in oggetto, incertezza e sfiducia, con la conseguenza che da un lato l'impatto positivo dello strumento è comunque ridotto, vista la difficoltà di programmare le azioni promozionali propedeutiche all'avvio degli interventi, e dall'altro è complessivamente minata la credibilità delle istituzioni e dello Stato;
              nella seduta della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera dei deputati tenutasi il 20 novembre 2014, nel corso della discussione di un emendamento finalizzato al ripristino delle somme originariamente previste dall'articolo 22-bis del citato decreto-legge n.  66 del 2014, il viceministro dell'economia e delle finanze senatore Enrico Morando è intervento affermando di ritenere «condivisibili le critiche verso il Governo per il suo atteggiamento contraddittorio riguardo al tema delle zone franche urbane, dal momento che è stato accettato, nel corso dell'esame del decreto-legge n.  66 del 2014, di introdurre una importante accelerazione rispetto a tale disciplina, che viene, anche se parzialmente, sconfessata nel disegno di legge di stabilità in esame», e, invitando i presentatori dell'emendamento in questione al suo ritiro, in quanto il governo giudica «opportuno, dal momento che sarà possibile effettuare un esame approfondito del provvedimento anche presso l'altro ramo del Parlamento, rimandare a quella fase dell'esame l'intervento su tale disciplina»,

impegna il Governo

a sostenere, nel seguito dell'esame del provvedimento presso il Senato della Repubblica, l'opportunità di assicurare il celere avvio degli interventi di sostegno allo sviluppo delle attività d'impresa e professionali nelle Zone Franche Urbane individuate dai provvedimenti citati in premessa, attraverso il ripristino delle risorse necessarie, ed in particolare di quelle previste dall'articolo 22-bis del decreto-legge n.  66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n.  89 del 2014.
9/2679-bis-A/203. Marco Meloni, Francesco Sanna, Fusilli, Antezza, Taranto, D'Incecco, Berretta, Patriarca, Rigoni, Mura, Cani, Dell'Aringa, Verini, Michele Bordo, Albanella, Amoddio, Capone.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 2, della legge 23 giugno 2014, n.  89, delega il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2015, uno o più decreti legislativi per il completamento della riforma della struttura del bilancio dello Stato con particolare riguardo alla riorganizzazione dei programmi di spesa e delle missioni e alla programmazione delle risorse, assicurandone una maggiore certezza, trasparenza e flessibilità, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 40, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n.  196;
              l'articolo 1, comma 5, della legge 23 giugno 2014, n.  89 delega il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2015, un decreto legislativo per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio dello Stato e del potenziamento della funzione del bilancio di cassa, ferma rimanendo la redazione anche in termini di competenza, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 42, comma 1, della legge 31 dicembre 2009, n.  196;
              l'articolo 1, comma 8, della legge 23 giugno 2014, n.  89, delega il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2016, un decreto legislativo recante un testo unico delle disposizioni in materia di contabilità di Stato nonché in materia di tesoreria, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 50, comma 2, della citata legge n.  196 del 2009;
              l'articolo 15 della legge 24 dicembre 2012, n.  243, in vigore dal 1o gennaio 2016 ai sensi dell'articolo 21 della medesima legge, prevede un nuovo contenuto e una nuova struttura della legge di bilancio da disciplinarsi con legge dello Stato;
              l'attuazione di tali disposizioni richiede l'adeguamento delle strutture e degli applicativi informatici per la tenuta delle scritture contabili, attualmente in uso al Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria dello Stato,

impegna il Governo

a destinare 5 milioni di euro per l'anno 2015, 30 milioni di euro per l'anno 2016 e 25 milioni di euro per il 2017 nell'ambito della Tabella B, voce Ministero dell'economia e delle finanze, ai suddetti interventi di adeguamento delle strutture e degli applicativi informatici per la tenuta delle scritture contabili.
9/2679-bis-A/204. Guerra.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 2, della legge 23 giugno 2014, n.  89, delega il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2015, uno o più decreti legislativi per il completamento della riforma della struttura del bilancio dello Stato con particolare riguardo alla riorganizzazione dei programmi di spesa e delle missioni e alla programmazione delle risorse, assicurandone una maggiore certezza, trasparenza e flessibilità, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 40, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n.  196;
              l'articolo 1, comma 5, della legge 23 giugno 2014, n.  89 delega il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2015, un decreto legislativo per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio dello Stato e del potenziamento della funzione del bilancio di cassa, ferma rimanendo la redazione anche in termini di competenza, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 42, comma 1, della legge 31 dicembre 2009, n.  196;
              l'articolo 1, comma 8, della legge 23 giugno 2014, n.  89, delega il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2016, un decreto legislativo recante un testo unico delle disposizioni in materia di contabilità di Stato nonché in materia di tesoreria, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 50, comma 2, della citata legge n.  196 del 2009;
              l'articolo 15 della legge 24 dicembre 2012, n.  243, in vigore dal 1o gennaio 2016 ai sensi dell'articolo 21 della medesima legge, prevede un nuovo contenuto e una nuova struttura della legge di bilancio da disciplinarsi con legge dello Stato;
              l'attuazione di tali disposizioni richiede l'adeguamento delle strutture e degli applicativi informatici per la tenuta delle scritture contabili, attualmente in uso al Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria dello Stato,

impegna il Governo

a valutare la necessità di destinare adeguate risorse ai suddetti interventi di adeguamento delle strutture e degli applicativi informatici per la tenuta delle scritture contabili.
9/2679-bis-A/204.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Guerra.


      La Camera,
          premesso che:
              il problema del dissesto idrogeologico comporta ogni anno un bilancio economico pesantissimo per il nostro Paese; secondo i dati recentemente diffusi dalla Direzione Generale per la difesa del suolo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono 6,633 i comuni italiani, 1'81,9 per cento del totale, in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, per una superficie pari al 9,8 per cento di quella nazionale;
              la fragilità del territorio rende necessari maggiori investimenti in termini di prevenzione delle emergenze e non solo di gestione delle stesse;
              con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 maggio 2014 è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri Segretariato generale – la «Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche», con funzioni di coordinamento, monitoraggio e controllo in ordine agli interventi in materia di dissesto idrogeologico e con l'obiettivo di aprire, per i prossimi sette anni, circa 7.000 cantieri, attraverso un Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico che prevede una spesa di quasi 9 miliardi, prevalentemente a valere sui fondi strutturali;
              nel Documento di economia e finanza (DEF) 2014 il Governo aveva manifestato l'intenzione di attuare un piano di privatizzazioni mediante la dismissione di partecipazioni in società controllate dallo Stato con partecipazione diretta o indiretta, stimandone i proventi in circa 0,7 punti percentuali di PIL all'anno nel periodo 2014-2017; nella Nota di aggiornamento al DEF 2014 il Governo ha confermato il piano di privatizzazioni, ribadendo proventi attesi per un ammontare pari a circa lo 0,7 per cento del PIL all'anno nel periodo 2015-2018;
              l'attuazione del piano di privatizzazioni e l'utilizzo dei connessi proventi per il Fondo per l'Ammortamento dei titoli di Stato, come previsto dalla normativa vigente (articolo 45, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica n.  398 del 2003) non può determinare sostanziali effetti di diminuzione della dinamica del rapporto debito/PIL, mentre l'allocazione di parte di tali proventi in investimenti produttivi determina effetti positivi in termini di crescita del PIL;

impegna il Governo

              ad adottare le opportune iniziative legislative volte a finalizzare, per gli anni 2015, 2016 e 2017, una parte dei proventi relativi alla vendita di partecipazioni dello Stato in attuazione del programmato piano di privatizzazioni, all'incremento, anche mediante il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti, della dotazione finanziaria del Piano nazionale 2014-20 contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche.
9/2679-bis-A/205. Fassina, Cuperlo, Civati, Miotto, D'Attorre, Pollastrini, Bindi, Laforgia, Amoddio, Antezza, Malisani.


      La Camera,
          premesso che:
              il problema del dissesto idrogeologico comporta ogni anno un bilancio economico pesantissimo per il nostro Paese; secondo i dati recentemente diffusi dalla Direzione Generale per la difesa del suolo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono 6,633 i comuni italiani, 1'81,9 per cento del totale, in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, per una superficie pari al 9,8 per cento di quella nazionale;
              la fragilità del territorio rende necessari maggiori investimenti in termini di prevenzione delle emergenze e non solo di gestione delle stesse;
              con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 maggio 2014 è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri Segretariato generale – la «Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche», con funzioni di coordinamento, monitoraggio e controllo in ordine agli interventi in materia di dissesto idrogeologico e con l'obiettivo di aprire, per i prossimi sette anni, circa 7.000 cantieri, attraverso un Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico che prevede una spesa di quasi 9 miliardi, prevalentemente a valere sui fondi strutturali;
              nel Documento di economia e finanza (DEF) 2014 il Governo aveva manifestato l'intenzione di attuare un piano di privatizzazioni mediante la dismissione di partecipazioni in società controllate dallo Stato con partecipazione diretta o indiretta, stimandone i proventi in circa 0,7 punti percentuali di PIL all'anno nel periodo 2014-2017; nella Nota di aggiornamento al DEF 2014 il Governo ha confermato il piano di privatizzazioni, ribadendo proventi attesi per un ammontare pari a circa lo 0,7 per cento del PIL all'anno nel periodo 2015-2018,

impegna il Governo

              ad adottare le opportune iniziative legislative volte a finalizzare, per gli anni 2015, 2016 e 2017, la parte eventualmente eccedente rispetto al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica dei proventi relativi alla vendita di partecipazioni dello Stato in attuazione del programmato piano di privatizzazioni, all'incremento, anche mediante l'autonomo concorso di Cassa Depositi e Prestiti, della dotazione finanziaria del Piano nazionale 2014-20 contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche.
9/2679-bis-A/205.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Fassina, Cuperlo, Civati, Miotto, D'Attorre, Pollastrini, Bindi, Laforgia, Antezza, Amoddio, Malisani.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 79, della legge 24 dicembre 2007, n.  247 prevede l'adeguamento delle aliquote contributive pensionistiche relative ai lavoratori iscritti alla gestione separata INPS non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie, disponendo l'incremento al 28 per cento per l'anno 2014, al 30 per cento per l'anno 2015, al 31 per cento per l'anno 2016, al 32 per cento per l'anno 2017 e al 33 per cento a decorrere dall'anno 2018;
          per l'anno 2014, l'articolo 1, comma 744, della legge 27 dicembre 2013 n.  147, per i lavoratori autonomi, titolari di posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, iscritti alla gestione separata INPS, non iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria né pensionati, ha fissato la citata l'aliquota contributiva prevista dall'articolo 1, comma 79, della legge n.  247/2007 al 27 per cento in luogo del 28 per cento;
              il provvedimento in esame introduce un regime fiscale speciale, agli effetti dell'IVA, dell'IRPEF e dell'IRAP, per le persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni prevedendo altresì per i medesimi soggetti la facoltà di applicare, ai fini contributivi, un regime agevolato che stabilisce la soppressione del livello minimo imponibile per il versamento dei contributi previdenziali; per effetto dell'opzione, i soggetti in regime forfetario adottano quindi un regime contributivo a percentuale sul reddito dichiarato, equivalente al metodo di calcolo e versamento dei contributi previsto per gli iscritti alla Gestione separata I.N.P.S;
              è opportuno scongiurare il previsto aumento, dal 1° gennaio 2015, dell'aliquota contributiva pensionistica per i lavoratori iscritti alla gestione separata INPS non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie in quanto andrebbe a danneggiare coloro che si trovano già esposti all'incertezza per la precaria situazione lavorativa; si tratta in particolare di lavoratori autonomi che esercitano la professione in modo abituale anche se non esclusiva e collaboratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa sia come rapporto tipico che atipico,

impegna il Governo

a prorogare di un anno, l'aliquota contributiva al 27 per cento prevista ai sensi dell'articolo 1, comma 744, della legge 27 dicembre 2013 n.  147 applicata ai lavoratori iscritti alla gestione separata INPS non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie.
9/2679-bis-A/206. Misiani, Gribaudo, Bonomo, Ascani, Amoddio, Antezza, Carnevali.


      La Camera,
          premesso che:
              il Forum Mondiale UNESCO 2015 sulla cultura e sulle industrie culturali si terrà presso la Villa Reale di Monza, come da precedenti intese fra Governo, Regione Lombardia e UNESCO;
              nonostante l'importanza dell'evento come vetrina per il patrimonio culturale italiano e le imprese del settore, da tempo al centro di un'operazione di rilancio come vettore per tutta l'economia italiana, la realizzazione del Forum 2015 è tuttavia a rischio a causa del mancato stanziamento delle risorse necessarie alla sua organizzazione;
              in passato sono state stanziate congrue risorse per il medesimo evento: da ultimo, per il Forum del 2014 che si è tenuto a Firenze, per il quale è stata autorizzata la spesa di 400.000 euro, secondo quanto stabilito all'articolo 3-bis del decreto-legge 8 agosto 2013, n.  91, convertito, con modificazioni dalla legge di conversione 7 ottobre 2013, n.  112, in materia di disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo;
              nel 2015 il Forum si terrà in concomitanza con EXPO 2015 a Milano, di importanza strategica per l'Italia;

impegna il Governo

a stanziare 500.000 euro per l'anno 2015, coerentemente con quanto avvenuto per l'edizione di Firenze, ai fini dell'organizzazione e dello svolgimento del Forum mondiale dell'UNESCO a Monza.
9/2679-bis-A/207. Rampi, Guerra.


      La Camera,
          premesso che:
              il Forum Mondiale UNESCO 2015 sulla cultura e sulle industrie culturali si terrà presso la Villa Reale di Monza, come da precedenti intese fra Governo, Regione Lombardia e UNESCO;
              nonostante l'importanza dell'evento come vetrina per il patrimonio culturale italiano e le imprese del settore, da tempo al centro di un'operazione di rilancio come vettore per tutta l'economia italiana, la realizzazione del Forum 2015 è tuttavia a rischio a causa del mancato stanziamento delle risorse necessarie alla sua organizzazione;
              in passato sono state stanziate congrue risorse per il medesimo evento: da ultimo, per il Forum del 2014 che si è tenuto a Firenze, per il quale è stata autorizzata la spesa di 400.000 euro, secondo quanto stabilito all'articolo 3-bis del decreto-legge 8 agosto 2013, n.  91, convertito, con modificazioni dalla legge di conversione 7 ottobre 2013, n.  112, in materia di disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo;
              nel 2015 il Forum si terrà in concomitanza con EXPO 2015 a Milano, di importanza strategica per l'Italia;

impegna il Governo

a disporre un adeguato sostegno finanziario per l'anno 2015, coerentemente con quanto avvenuto per l'edizione di Firenze, ai fini dell'organizzazione e dello svolgimento del Forum mondiale dell'UNESCO a Monza.
9/2679-bis-A/207.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Rampi, Guerra.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, modificando l'articolo 1 della legge 392 del 1941 — trasferisce allo Stato, dal 1o settembre 2015, l'obbligo di corrispondere le spese per gli uffici giudiziari, attualmente a carico dei comuni ai sensi della stessa legge;
              la legge 392 del 1941 stabilisce che le spese necessarie per i locali ad uso degli uffici giudiziari, e per le pigioni, riparazioni, manutenzione, pulizia, illuminazione, riscaldamento e custodia dei locali medesimi; per le provviste di acqua, il servizio telefonico, la fornitura e le riparazioni dei mobili e degli impianti per i detti Uffici e loro sedi, per i registri e gli oggetti di cancelleria costituiscono spese obbligatorie dei comuni che ospitano detti uffici. A titolo di parziale rimborso, lo Stato attualmente eroga ai comuni un contributo annuo alle spese medesime nella misura stabilita nella tabella allegata alla stessa legge 392 (articolo 2);
              spetterà ad un decreto ministeriale Giustizia – Economia determinare l'entità delle spese per il funzionamento degli uffici giudiziari, sulla base dei costi standard per categorie omogenee di beni e servizi e a un decreto del Presidente della Repubblica individuare le misure organizzative necessarie ad attuare la nuova disciplina. In particolare, per lo svolgimento dei compiti correlati a tali nuovi oneri, è prevista l'assegnazione prioritaria al Ministero della giustizia del personale delle province che, a seguito dell'attuazione della legge 56/2014, dovesse risultare in esubero,

impegna il Governo

a fornire ai comuni adeguate garanzie in merito alla sostenibilità delle spese giudiziarie anche nelle more di una totale regolazione normative del passaggio allo Stato di tali competenze.
9/2679-bis-A/208. Becattini, Albini, Carnevali.


      La Camera,
          premesso che:
              pur nel rispetto degli obiettivi di bilancio che il nostro paese ha assunto, l'insieme delle disposizioni della presente manovra e l'impianto complessivo della delega in materia di lavoro possono costituire l'opportunità per un'inversione di marcia della nostra economia e per l'occupazione, dopo anni di recessione;
              i dati sull'occupazione destano ancora molta preoccupazione, nonostante alcuni timidi segnali positivi degli ultimi mesi, e lasciano pensare che anche per il prossimo anno ci saranno forti tensioni occupazionali che richiederanno il massimo sforzo, anche finanziario, perché non sfocino in tensioni sociali;
              da questo punto di vista, le risorse di cui all'articolo 1, comma 83, del provvedimento in oggetto, volte a finanziare i «provvedimenti normativi di riforma degli ammortizzatori sociali, ivi inclusi gli ammortizzatori sociali in deroga, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, di quelli in materia di riordino dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, nonché per fare fronte agli oneri derivanti dall'attuazione dei provvedimenti normativi volti a favorire la stipula di contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, al fine di consentire la relativa riduzione di oneri diretti ed indiretti», sommate agli stanziamenti già a bilancio finalizzati al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga, per un ammontare complessivo pari a 2.900 milioni, rappresentano una buona base di partenza, tuttavia non appaiono ancora sufficienti a far fronte alle richiamate difficoltà occupazionali che si prefigurano anche per il 2015;
              nel corso del 2014, le risorse complessivamente stanziate per il finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga sono ammontate a 1.720 milioni di euro;
              secondo le stesse indicazioni governative, le risorse necessarie a finanziare l'insieme delle misure previste dalla legge di delega in materia di lavoro, attualmente all'esame dell'altro ramo del Parlamento, ammontano a 1.600 milioni di euro, che sommate ai richiamati 1.720 milioni, dovrebbero comportare uno stanziamento complessivo di 3.320 milioni,

impegna il Governo

ad intervenire ulteriormente ed in maniera specifica sulla questione, già a partire dall'esame del provvedimento al Senato, al fine di assicurare le risorse finanziarie necessarie a dare continuità agli ammortizzatori sociali, nonché completa attuazione delle altre disposizioni contenute nella citata legge di delega in materia di lavoro, nelle misure indicare in premessa.
9/2679-bis-A/209. Incerti, Albanella, Boccuzzi, Damiano, Giacobbe, Gnecchi, Maestri, Martelli, Miccoli, Giorgio Piccolo, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              legge 12 marzo 1999, n.  68 «Norme per il diritto al lavoro dei disabili” ha come finalità la promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato;
              l'articolo 13, comma 4 della legge 68 prevede l'istituzione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di un Fondo per il diritto al lavoro dei disabili;
              stanziamento di tale Fondo, Tabella n. 4 dello Stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, capitolo 3892, è stato per il 2013 pari a 12.950.387 (decreto di riparto ministero del lavoro 21 febbraio 2014) e per il 2014 pari a 21.915.778;
              per il 2015 lo stanziamento previsto è pari a solo 1.910.107;
              il mancato finanziamento della legge n.  68 del 1999 per il collocamento lavorativo dei disabili crea una forte preoccupazione in tutto il mondo della disabilità e lede, di fatto, il diritto al lavoro così come garantito dall'articolo 1 della nostra Costituzione;
              per le persone con disabilità il lavoro sta diventando sempre più un miraggio: restano tanti gli iscritti alle liste di collocamento, ma pochi sono gli avviamenti al lavoro e quelli che ci sono si basano sempre più su forme contrattuali poco stabili. La stessa relazione presentata il 4 agosto 2014 dal Ministro del Lavoro al Parlamento sull'applicazione della legge 68 per gli anni 2012 e 2013 raccolta di una realtà molto difficile: gli iscritti agli elenchi unici provinciali del collocamento obbligatorio sono stabili intorno a quota 700 mila, anche se alla fine del 2013 il dato scende fino a 676 mila iscritti. Fra questi, in 68 mila si sono iscritti nel corso dell'ultimo anno oggetto di indagine, appunto il 2013. Di fronte a questa potenziale platea di lavoratori, gli avviamenti al lavoro sono stati davvero pochi: poco più di 19 mila nel 2012 e ancora meno, 18.295, nel corso del 2013. Ed è il minimo storico, il dato più basso che sia mai stato censito da una relazione al Parlamento sull'attuazione della legge 68/99: erano stati infatti 22.360 nel 2010 e 22.023 nel 2012.
              In pratica nel 2013 ogni quattro nuovi disabili che si iscrivono alla lista del collocamento obbligatorio (e che vanno ad aggiungersi ai tanti che già ci sono da tempo), ce n’è solamente uno che trova effettivamente un lavoro (in percentuale viene avviato in un anno il 26,9 per cento dei nuovi iscritti). Ma se il termine di paragone sono gli iscritti, il calcolo è ancor più impietoso: un avviamento al lavoro ogni 36 iscritti al collocamento;
              in tempo di crisi, crescono gli esoneri e le richieste di sospensione temporanea dagli obblighi di assunzione dei disabili: ci sono state nel 2013 oltre 4.600 autorizzazioni in tal senso (il 95 per cento di quelle richieste) per un numero complessivo di posti di lavoro interessati di oltre diecimila,

impegna il Governo

a predisporre concrete misure normative ed economiche volte ad inserire tra le sue priorità le politiche sull'inclusione attiva delle persone con disabilità ed in particolare l'inclusione lavorativa anche attraverso un adeguato rifinanziamento del fondo per il diritto al lavoro dei disabili così come previsto dall'articolo 13 legge 68 del 1999.
9/2679-bis-A/210. Argentin, Capone, Casati, D'Incecco, Carnevali, Beni, Albini, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Albanella, Boccuzzi, Damiano, Dell'Aringa, Giacobbe, Gnecchi, Maestri, Martelli, Miccoli, Giorgio Piccolo, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              come noto, ai sensi dell'articolo 2, comma 57, della legge 28 giugno 2012, n.  92, l'aliquota contributiva pensionistica e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche relativa ai lavoratori con partita IVA, iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.  335, non inseriti in alcun albo professionale e privi di cassa previdenziale, si dispone un costante incremento contributivo;
              per il 2013 e il 2014 sono state approvate disposizioni volte a sterilizzare detti incrementi contributivi;
              qualora non si intervenisse anche quest'anno con misure analoghe, scongiurando il richiamato aumento dell'aliquota contributiva per le partite Iva iscritte alla gestione separata, si rischia di determinare le condizioni per spingere fuori dal mercato del lavoro centinaia di migliaia di freelance, professionisti e lavoratori della conoscenza,

impegna il Governo

ad intervenire, per quanto di sua competenza, nell'ambito dell'esame del provvedimento al fine di scongiurare il richiamato aumento contributivo.
9/2679-bis-A/211. Damiano, Albanella, Boccuzzi, Dell'Aringa, Giacobbe, Gnecchi, Maestri, Martelli, Miccoli, Giorgio Piccolo, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              come noto, ai sensi dell'articolo 2, comma 57, della legge 28 giugno 2012, n.  92, l'aliquota contributiva pensionistica e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche relativa ai lavoratori con partita IVA, iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.  335, non inseriti in alcun albo professionale e privi di cassa previdenziale, si dispone un costante incremento contributivo;
              per il 2013 e il 2014 sono state approvate disposizioni volte a sterilizzare detti incrementi contributivi;
              qualora non si intervenisse anche quest'anno con misure analoghe, scongiurando il richiamato aumento dell'aliquota contributiva per le partite Iva iscritte alla gestione separata, si rischia di determinare le condizioni per spingere fuori dal mercato del lavoro centinaia di migliaia di freelance, professionisti e lavoratori della conoscenza,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire, per quanto di sua competenza, nell'ambito dell'esame del provvedimento al fine di scongiurare il richiamato aumento contributivo.
9/2679-bis-A/211.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Damiano, Albanella, Boccuzzi, Dell'Aringa, Giacobbe, Gnecchi, Maestri, Martelli, Miccoli, Giorgio Piccolo, Antezza, Amoddio.


      La Camera,
          premesso che:
              il diritto di poter accedere al trattamento pensionistico anticipato in considerazione dello svolgimento di attività particolarmente usuranti è stato sancito dalla legge 24 dicembre 2007, n.  247 di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 ed ha trovato la sua concreta attuazione con il decreto legislativo 21 aprile 2011, n.  67;
              l'esigenza di prevedere un regime speciale, per chi ha svolto determinate mansioni per periodi prolungati della proprio percorso lavorativo, è ampiamente giustificato da ogni ricerca clinica e demografica sulle aspettative di vita di detti lavoratori;
              all'articolo 3, comma 70, del provvedimento in oggetto, si dispone un drastico ridimensionamento, nella misura di 150 milioni di euro a decorrere dal prossimo anno, delle risorse all'uopo stanziate,

impegna il Governo

a valutare in maniera approfondita i contenuti delle disposizioni di cui in premessa al fine di intervenire, per quanto di sua competenza, nell'ambito dell'esame del provvedimento in modo tale da ripristinare le suddette risorse finalizzate a finanziare le disposizioni in favore dei lavoratori impiegati in attività particolarmente usuranti, anche ai fini di un'eventuale rivisitazione delle disposizioni del citato decreto legislativo n.  67 del 2011, volta ad ampliare i criteri per il riconoscimento di detti benefici previdenziali.
9/2679-bis-A/212. Boccuzzi, Albanella, Damiano, Dell'Aringa, Giacobbe, Gnecchi, Maestri, Martelli, Miccoli, Giorgio Piccolo, Carnevali.


      La Camera,
          premesso che:
              il diritto di poter accedere al trattamento pensionistico anticipato in considerazione dello svolgimento di attività particolarmente usuranti è stato sancito dalla legge 24 dicembre 2007, n.  247 di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 ed ha trovato la sua concreta attuazione con il decreto legislativo 21 aprile 2011, n.  67;
              l'esigenza di prevedere un regime speciale, per chi ha svolto determinate mansioni per periodi prolungati della proprio percorso lavorativo, è ampiamente giustificato da ogni ricerca clinica e demografica sulle aspettative di vita di detti lavoratori;
              all'articolo 3, comma 70, del provvedimento in oggetto, si dispone un drastico ridimensionamento, nella misura di 150 milioni di euro a decorrere dal prossimo anno, delle risorse all'uopo stanziate,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di intervenire in maniera approfondita i contenuti delle disposizioni di cui in premessa al fine di intervenire, per quanto di sua competenza, nell'ambito dell'esame del provvedimento in modo tale da ripristinare le suddette risorse finalizzate a finanziare le disposizioni in favore dei lavoratori impiegati in attività particolarmente usuranti, anche ai fini di un'eventuale rivisitazione delle disposizioni del citato decreto legislativo n.  67 del 2011.
9/2679-bis-A/212.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Boccuzzi, Albanella, Damiano, Dell'Aringa, Giacobbe, Gnecchi, Maestri, Martelli, Miccoli, Giorgio Piccolo, Carnevali.


      La Camera,
          premesso che:
              la valutazione è da considerarsi indispensabile per conoscere i punti di forza e di debolezza di ogni singolo istituto scolastico e per conoscere il sistema educativo nella sua totalità;
              la valutazione costituisce infatti la leva indispensabile per un processo che mira alla trasparenza dei dati e delle informazioni, anche ai fini di una politica che tenda ad affrontare le criticità e a sostenere le scuole che operano in contesti più problematici;
              l'istituto Nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) è l'organismo coordinatore del Sistema Nazionale di Valutazione che prende il via in questo anno scolastico e contribuisce al progressivo miglioramento e all'armonizzazione della qualità del sistema italiano di istruzione attraverso verifiche periodiche e sistematiche sugli apprendimenti e sulla qualità del servizio delle istituzioni scolastiche realizzando altresì analisi volte a fornire indicazioni utili alle scelte di governo e di indirizzo del sistema di istruzione e formazione,

impegna il Governo

nel quadro della realizzazione del più ampio progetto di riforma – secondo le linee guida indicate nel piano «La buona scuola» e alla luce della centralità svolta da tale sistema – ad individuare risorse aggiuntive per l'assolvimento delle sue accresciute funzioni istituzionali nonché quelle necessarie ad autorizzare l'INVALSI ad attuare un piano assunzionale straordinario per il completamento della sua pianta organica.
9/2679-bis-A/213. Coscia, Carocci, Rocchi, Coccia, Piccoli Nardelli, Ascani, Blazina, Bossa, Crimì, D'Ottavio, Ghizzoni, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Paolo Rossi, Sgambato, Ventricelli, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              la valutazione è da considerarsi indispensabile per conoscere i punti di forza e di debolezza di ogni singolo istituto scolastico e per conoscere il sistema educativo nella sua totalità;
              la valutazione costituisce infatti la leva indispensabile per un processo che mira alla trasparenza dei dati e delle informazioni, anche ai fini di una politica che tenda ad affrontare le criticità e a sostenere le scuole che operano in contesti più problematici;
              l'istituto Nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) è l'organismo coordinatore del Sistema Nazionale di Valutazione che prende il via in questo anno scolastico e contribuisce al progressivo miglioramento e all'armonizzazione della qualità del sistema italiano di istruzione attraverso verifiche periodiche e sistematiche sugli apprendimenti e sulla qualità del servizio delle istituzioni scolastiche realizzando altresì analisi volte a fornire indicazioni utili alle scelte di governo e di indirizzo del sistema di istruzione e formazione,

impegna il Governo

nel quadro della realizzazione del più ampio progetto di riforma – secondo le linee guida indicate nel piano «La buona scuola» e alla luce della centralità svolta da tale sistema – ad individuare risorse aggiuntive per l'assolvimento delle accresciute funzioni istituzionali dell'INVALSI.
9/2679-bis-A/213.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Coscia, Carocci, Rocchi, Coccia, Piccoli Nardelli, Ascani, Blazina, Bossa, Crimì, D'Ottavio, Ghizzoni, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Paolo Rossi, Sgambato, Ventricelli, Antezza, Amoddio.


      La Camera,
          premesso che:
              le Università statali e gli Enti pubblici di Ricerca sono stati fortemente penalizzati dalle manovre economiche degli ultimi anni – a partire dall'approvazione del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, che hanno pesantemente ridotto i fondi di finanziamento trasferiti dallo Stato e previsto forti blocchi del turn over del personale;
              l'articolo 66, comma 13-bis, della succitata legge, ha previsto il blocco delle assunzioni – entro i limiti previsti del turnover – anche ai ricercatori a tempo determinato;
              tale disposizione ostacola di fatto il reclutamento di giovani ricercatori di talento, con grave pregiudizio della ricerca, l'imitando l'innovazione del sistema universitario e dell'intero Paese,

impegna il Governo

nelle more di un intervento che disciplini il turn over in piena corrispondenza alle esigenze di crescita del sistema universitario – a valutare l'opportunità di intervenire affinché l'assunzione di ricercatori a tempo determinato sia esclusa dai limiti di cui al comma 13-bis dell'articolo 66 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133.
9/2679-bis-A/214. Ghizzoni, Coscia, Blazina, Rampi, Piccoli Nardelli, D'Ottavio, Malpezzi, Rocchi, Ventricelli, Ascani, Bossa, Carocci, Coccia, Crimì, Malisani, Manzi, Narduolo, Pes, Paolo Rossi, Sgambato, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              da recenti rapporti emergono ancora preoccupanti dati sulla sicurezza degli istituti scolastici: solo il 54,12 per cento degli edifici è in possesso del certificato di agibilità; una scuola su quattro non ha ancora impianti elettrici a norma; una su due non dispone di scale di sicurezza e circa un terzo non possiede il certificato di agibilità igienico-sanitaria;
              l'articolo 48 comma 1 del decreto-legge n.  66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n.  89 del 2014, ha modificato l'articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n.  183, prevedendo l'esclusione dal patto di stabilità interno delle spese destinate ad interventi di edilizia scolastica solo per i comuni, mentre nulla è stato ancora disposto rispetto alle province e alle città metropolitane;
              la legge 7 aprile 2014, n.  56, «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», all'articolo 1, comma 85, definisce le province quali enti con funzioni di area vasta e individua, tra le funzioni fondamentali da esercitare, la gestione dell'edilizia scolastica;
              risultano essere oltre 5000 gli edifici provinciali scolastici di secondo grado, frequentati da circa 2,5 milioni di studenti;
              sarebbe opportuno prevedere la possibilità di uno sblocco del patto di stabilità delle spese sostenute dalle Province e dalle città Metropolitane, per gli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici di secondo grado,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere appositi stanziamenti a favore dell'ente provinciale finalizzati a sostenere l'edilizia scolastica attraverso l'esclusione degli stessi – così come oggi previsto per i comuni – dai vincoli del Patto di stabilità interno.
9/2679-bis-A/215. Malpezzi, Coscia, D'Ottavio, Blazina, Rampi, Ghizzoni, Piccoli Nardelli, Mattiello, Rocchi, Ventricelli, Ascani, Bossa, Carocci, Coccia, Crimì, Malisani, Manzi, Narduolo, Pes, Paolo Rossi, Sgambato, Amoddio, Antezza, De Menech.


      La Camera,
          premesso che:
              il drastico taglio dei fondi per il sostegno all'editoria, operato nel corso degli ultimi otto anni ha messo a rischio la sopravvivenza di oltre cento testate, tra quotidiani e periodici, edite da cooperative, non profit, associazioni e fondazioni;
              32 di esse hanno già sospeso la propria attività con la perdita di centinaia di migliaia di copie giornaliere e con la scomparsa di oltre 950 posti di lavoro, tra diretti ed indiretti, e che – cosa ancor più grave – si è assestato, in tal modo, per la prima volta e nell'indifferenza generale, un colpo durissimo al pluralismo nonché al diritto ed alla qualità dell'informazione;
              è di assoluta urgenza un intervento per evitare la scomparsa della restante offerta informativa del comparto che opera, in gran parte, nel campo dell'informazione locale. Una tale evenienza cancellerebbe la possibilità di far convivere chiavi interpretative plurime e diverse di molte realtà locali; produrrebbe la cancellazione di oltre 350.000 copie giornaliere e la perdita di oltre 4000 posti di lavoro tra giornalisti, poligrafici e lavoratori dell'indotto;
              oltre alle difficoltà aggiuntive per INPGI – l'ammontare dei costi per lo Stato, in termini di ammortizzatori sociali e di mancate entrate contributive e fiscali, sarebbe di molto superiore alle somme necessarie per integrare, fino al fabbisogno, le risorse attualmente disponibili;
              più volte, il Parlamento – nella piena convinzione che la qualità, il pluralismo e la completezza dell'informazione costituiscono la misura effettiva dello spessore della democrazia – ha sollecitato maggiori risorse ed una loro più adeguata finalizzazione a sostegno dell'editoria,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di sostenere, anche con risorse aggiuntive, il processo già avviato nel settore dell'editoria – a garanzia di un adeguato rispetto del pluralismo dell'informazione – necessario alla sopravvivenza di tante voci minori, di natura locale e delle minoranze linguistiche.
9/2679-bis-A/216. Blazina, Rampi, Coscia, Piccoli Nardelli, D'Ottavio, Malpezzi, Ghizzoni, Rocchi, Ventricelli, Ascani, Bossa, Carocci, Coccia, Crimì, Malisani, Manzi, Narduolo, Pes, Paolo Rossi, Sgambato.


      La Camera,
          premesso che:
              creato nel 1946, l'ICOM è un'organizzazione non governativa (ONG), in rapporto formale con l'UNESCO, che gode di uno status consultivo presso il Consiglio economico dell'ONU. Con i suoi 117 Comitati nazionali, i 31 Comitati internazionali e le 20 Organizzazioni internazionali affiliate costituisce una rete di più di 32.000 membri diffusa in 136 paesi e territori;
              attraverso l'attività dei suoi Comitati ICOM definisce gli standard minimi e di eccellenza nella progettazione e gestione dei musei e per l'organizzazione delle collezioni, validi a livello internazionale. Il suo Codice etico dei Musei, adottato nel 1986 e rivisto nel 2006, tradotto in 37 lingue (tra cui l'italiano), stabilisce i valori e i principi deontologici di riferimento per la comunità museale mondiale e fissa le norme minime di pratica e di performance professionale per i musei e il loro personale;
              ogni tre anni la Conferenza generale raccoglie alcune migliaia di professionisti di tutto il mondo per affrontare un tema di riflessione comune in ambito museologico e museografico. Per la Conferenza di Milano 2016, su proposta di ICOM Italia, il confronto avverrà sul rapporto fra musei e paesaggi culturali, un tema strategico per i musei del Terzo millennio perché investe i musei nella tutela e valorizzazione patrimonio culturale nel suo complesso;
              la Conferenza generale di Milano 2016 si propone di coinvolgere su questo tema, ampiamente dibattuto in Italia considerata la particolare natura del suo patrimonio culturale, le delegazioni provenienti da tutto il mondo, riportando la museologia italiana al centro del confronto internazionale;
              la Conferenza sarà anche l'occasione per stabilire rapporti e stipulare accordi di collaborazione fra i musei e i museologi italiani e quelli dei Paesi di provenienza dei suoi partecipanti su comuni progetti di ricerca, di organizzazione di mostre, di formazione del personale. La sua preparazione da parte di ICOM Italia e del Comitato organizzatore della Conferenza sta già mobilitando in questa prospettiva le istituzioni museali statali, regionali e degli enti locali;
              attraverso gli incontri dei Comitati internazionali che si svolgeranno in parte al di fuori della sede della Conferenza, la giornata dedicata alle escursioni e le proposte di viaggio in Italia suggerite ai partecipanti, prima e dopo la Conferenza stessa, Milano 2016 costituisce anche un'occasione irripetibile di far conoscere i musei e i paesaggi italiani ai 4.000 museologi di cui è prevista la presenza, facendo di essi dei qualificati ambasciatori della bellezza del nostro Paese, per promuovere in tutto il mondo l'Italia come destinazione di un turismo culturale qualificato;
              l'Italia, tra i primi paesi a costituire un Comitato nazionale nei primi anni di vita dell'ICOM, diverrà nel 2016 la sede delle celebrazioni del 70° anniversario della sua creazione che si svolgeranno in coincidenza della Conferenza generale, coinvolgendo i massimi esponenti della museologia mondiale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di sostenere a livello economico ed a livello operativo la realizzazione della 24a Conferenza generale dell'ICOM DI Milano 2016, sul tema «Musei e paesaggi culturali» e alle celebrazioni del 70° anniversario della fondazione dell'International Council of Museums.
9/2679-bis-A/217. D'Ottavio, Manzi, Piccoli Nardelli, Rampi, Malpezzi.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 19, comma 1, dispone il taglio di alcune autorizzazioni di spesa – e per le politiche in materia di attività culturali – riduce di 1 milione di euro per il 2015, e di 2,3 milioni di euro dal 2016 la quota degli utili derivanti dal gioco del lotto riservata in favore del Mibact destinati alle attività cinematografiche e al settore dello spettacolo, nonché alle esigenze della società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo «ARCUS SPA»;
              con la recente approvazione dell'ormai noto «di cultura» la discussione politica, sui temi legati al settore, si è orientata – dopo diversi anni – verso il sostegno e la promozione dei beni culturali, dello spettacolo e del cinema,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di reperire le risorse necessarie a ripristinare la riduzione della quota degli utili – derivanti dal gioco del lotto – riservata alle attività cinematografiche, al settore dello spettacolo e alle esigenze della società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo «ARCUS SPA»;
9/2679-bis-A/218. Malisani, Coscia, Piccoli Nardelli, Rampi, Blazina, D'Ottavio, Malpezzi, Ghizzoni, Rocchi, Ventricelli, Ascani, Bossa, Carocci, Coccia, Crimì, Manzi, Narduolo, Pes, Paolo Rossi, Sgambato, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 19, comma 1, dispone il taglio di alcune autorizzazioni di spesa – e per le politiche in materia di attività culturali – riduce di 1 milione di euro per il 2015, e di 2,3 milioni di euro dal 2016 la quota degli utili derivanti dal gioco del lotto riservata in favore del Mibact destinati alle attività cinematografiche e al settore dello spettacolo, nonché alle esigenze della società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo «ARCUS SPA»;
              con la recente approvazione dell'ormai noto «di cultura» la discussione politica, sui temi legati al settore, si è orientata – dopo diversi anni – verso il sostegno e la promozione dei beni culturali, dello spettacolo e del cinema,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di reperire le risorse necessarie al sostegno del settore dello spettacolo.
9/2679-bis-A/218.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Malisani, Coscia, Piccoli Nardelli, Rampi, Blazina, D'Ottavio, Malpezzi, Ghizzoni, Rocchi, Ventricelli, Ascani, Bossa, Carocci, Coccia, Crimì, Manzi, Narduolo, Pes, Paolo Rossi, Sgambato, Antezza, Amoddio.


      La Camera,
          premesso che:
              con il decreto legge 91/2013 recante «Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo», il Governo ha finalizzato la propria azione anche a favore dei beni e delle attività culturali e del turismo, con norme regolamentari e di sostegno economico;
              in attuazione dell'articolo 9, comma 1, di tale decreto e con la successiva emanazione del decreto ministeriale 1 luglio 2014, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha rideterminato i criteri per l'erogazione e le modalità per la liquidazione e l'anticipazione dei contributi allo spettacolo dal vivo;
              tale intervento ha introdotto profonde innovazioni per teatro, musica, danza, circhi e spettacoli viaggianti, sia superando il riferimento «storico» dei soggetti sovvenzionati, sia prevedendo nuovi ambiti di intervento, con particolare attenzione ai nuovi ingressi di imprese giovanili e dunque con consistenti ricadute per l'innovazione, la ricerca e l'occupazione;
              tale importante e positiva riforma non è stata accompagnata dall'adeguamento delle risorse destinate ai settori oggetto della riforma stessa e nulla è stato definito per le attività culturali dello spettacolo dal vivo sotto il profilo degli interventi di sostegno e di norme che ne alleggerissero la gestione e gli adempimenti burocratici;
              una situazione analoga è quella in cui versano le sale cinematografiche che in passato beneficiavano di un articolato sistema di interventi rivolti alla loro costruzione, rinnovamento e ammodernamento, noto come «credito all'esercizio» e costruito mediante l'utilizzo degli iniziali stanziamenti del PUS (Fondo Unico dello Spettacolo);
              dal 2007, l'intervento dello Stato si è notevolmente ridotto per le carenze strutturali del PUS e di fatto gli ultimi contributi in conto capitale erogati si riferiscono ad investimenti effettuati nel 2009;
              contemporaneamente sono diminuiti anche gli investimenti privati per cui; le strutture esistenti cominciano ad essere obsolete, non si riesce a coprire con nuove sale zone del paese che pur ne avrebbero bisogno e sempre più drammatica appare la situazione dei cinema situati nei centri delle città;
              a fronte di un'irrisoria partecipazione dell'esercizio cinematografico alla ripartizione dei fondi del PUS, i crediti d'imposta, cedibili dai beneficiari, appaiono l'unica apprezzabile misura pubblica destinata alle sale cinematografiche, capace di migliorarne la qualità dell'offerta di cinema e dei servizi;
              un analogo sistema è stato già previsto con il cosiddetto «Art Bonus» di cui all'articolo 1 del decreto-legge 31 maggio 2014, n.  83, convertito dalla Legge 29 luglio 2014, n.  106, per favorire le erogazioni liberali a favore delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni pubbliche che senza scopo di lucro,

impegna il Governo

a valutare la possibilità, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, di elaborare un provvedimento che possa prevedere un incremento della quota del Fondo Unico per lo spettacolo, riservato alle attività dello spettacolo dal vivo teatro, musica, danza, circo e spettacolo viaggiante e che riconosca, al tempo stesso, crediti d'imposta a favore delle Piccole e Medie Imprese dell'esercizio cinematografico, di cui al decreto del Ministro delle Attività Produttive del 18 aprile 2005, sui costi sostenuti per realizzazione di nuove sale, per il ripristino di sale inattive, per la ristrutturazione e adeguamento tecnologico di sale esistenti per l'installazione e rinnovo di apparecchiature e impianti e per i servizi accessori destinati al marketing e alla formazione del pubblico.
9/2679-bis-A/219. Manzi, Malisani, Rampi, Blazina, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              con il progressivo aumento della complessità delle Istituzioni Scolastiche, e delle scuole autonome date in reggenza non solo a causa di sottodimensionamento, il ruolo dei collaboratori del Dirigente Scolastico e dei coordinatori di plesso ha assunto una dimensione strategica per il buon funzionamento delle scuole;
              gli staff di Presidenza, oltre a svolgere funzioni organizzative di primaria importanza per l'insieme dei servizi scolastici, presidiano ambiti relazionali con alunni e genitori oltre che nei Consigli di Classe, attuano programmi di monitoraggio, verifica e valutazione degli interventi formativi;
              l'impossibilità di dedicare a tali fondamentali funzioni almeno una parte del loro tempo di lavoro, sottraendolo alla didattica, renderà estremamente difficile lo svolgimento di compiti che, per loro natura, richiedono interventi in orario scolastico;
              l'intreccio tra attività organizzative e attività didattiche su cattedre intere, renderà difficile anche garantire la necessaria serenità e continuità delle loro ore di lezione;
              il comma 5, dell'articolo 28 del provvedimento in esame, elimina qualunque forma di esonero o semiesonero a vicepresidi, collaboratori del DS, coordinatori di plesso così intervenendo su una materia che da alcuni anni aveva visto la contrazione degli esoneri parziali o totali,

impegna il Governo

ad operarsi – in linea con quanto previsto dal programma La Buona Scuola – in sede di definizione dei criteri per la determinazione ed assegnazione di organici funzionali, a tenere in considerazione l'esigenza di assegnare a ciascuna IS adeguate risorse professionali tali da permettere di presidiare le funzioni di coordinamento, organizzazione e controllo oggi esercitate dagli staff di Presidenza.
9/2679-bis-A/220. Rocchi, Carocci, Blazina, Coscia, Coccia, Piccoli Nardelli, Ascani, Bossa, Crimì, D'Ottavio, Ghizzoni, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Rossi, Sgambato, Ventricelli.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 10, dell'articolo 28 del provvedimento in esame, prevede la contrazione, già dal 1o settembre 2015, degli organici del personale ATA delle scuole in virtù della prevista riduzione dei carichi di lavoro conseguente al processo di digitalizzazione e dematerializzazione delle procedure connesse al funzionamento scolastico di cui al comma 11 del medesimo articolo;
              l'implementazione di nuovi programmi, nuove procedure, uso di nuovi software piattaforme informatiche necessita di tempi di messa a punto oltre che di azioni informative e formative,

impegna il Governo

a monitorare affinché l'enunciato processo di riduzione degli organici del personale ATA delle scuole avvenga contestualmente e non prima della completa implementazione e verifica di funzionalità delle procedure informatiche previste.
9/2679-bis-A/221. Carocci, Rocchi, Blazina, Coscia, Coccia, Piccoli Nardelli, Ascani, Bossa, Crimì, D'Ottavio, Ghizzoni, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Paolo Rossi, Sgambato, Ventricelli.


      La Camera,
          premesso che:
              alla Tabella 6, alla missione «L'Italia in Europa e nel mondo Italiani nel mondo e politiche migratorie - Ministero degli affari esteri», Programma Italiani nel mondo e politiche migratorie (4.8), sul capitolo 3153 che prevede le risorse destinate agli enti gestori per l'organizzazione di corsi di lingua e cultura, si segnala una decurtazione di 2.447.721 euro per il 2015, pari al -22,6 per cento rispetto ai 10.811517 euro dell'assestamento del bilancia 2014, con previsione di ulteriore limitazione nei 2016;
              ulteriori riduzioni, sia pure di minore entità, sono prefigurate su diversi capitoli inerenti alle attività formative e culturali di competenza della Direzione generale per la promozione del Sistema Paese, aventi ripercussioni sugli Istituti di cultura, sulla funzionalità delle cattedre di italianistica e sul numero dei lettori di italiano inviati all'estero, nonché sulla concessione di borse di studio, di importanza strategica;
              nell'anno scolastica 2014-15 si completerà, con un anno di anticipo sul previsto, la riduzione del contingente del personale scolastico voluta dalla legge di spending review del 2012, che determinerà il passaggio da 773 unità in servizio scolastico all'estero a 624 unità, con a conseguenza di dover fronteggiare la sostituzione di 149 unità mancanti spesso nell'ambito di consolidate situazioni didattiche e formative;
              queste riduzioni incidono su un sistema profondamente indebolito dal fatto che le risorse pubbliche destinate alla promozione della lingua e della cultura italiana all'estero, dal 2008 in poi, sono progressivamente e drasticamente diminuite, sia a livello centrale che regionale. In particolare, i contributi ai corsi di lingua e cultura italiana organizzati dagli enti gestori, frequentati da oltre 350,000 discenti, hanno subito nel periodo indicato una riduzione che si aggira sul 75 per cento delle poste inizialmente previste;
              un numero consistente di tali corsi sono integrati negli ordinamenti scolastici locali in forza di convenzioni con le autorità di Paesi e Regioni estere e l'improvvisa indisponibilità di risorse rischia di comportare una situazione di insolvenza del Governo italiano rispetto agli impegni presi in proiezione pluriennale;
              la combinazione degli effetti delle misure di riduzione della spesa e di ritiro dell'ultima quota di contingente crea una situazione di squilibrio strutturale dell'intervento che a fatica aveva trovato un pur precario assestamento;
              gli interventi di promozione della lingua e cultura italiana all'estero sono ormai unanimemente considerati essenziali per il riconoscimento dell'Italia nel mondo e per la tutela della sua immagine nel quadro globale, premesse indispensabili per una rinnovata strategia di rafforzamento e allargamento dell'internazionalizzazione del Sistema Paese;
              il 21 e 22 ottobre scorso, per iniziativa del Ministero degli affari esteri e della cooperazione allo sviluppo, si sono svolti a Firenze gli Stati generali della lingua italiana all'estero, nel corso dei quali si è manifestata una forte richiesta di considerare la promozione della lingua e della cultura italiana come una priorità strategica del Paese, anche ai fini della sua ripresa economica e sociale e di una migliore tutela del made in Italy, esposto a contraffazioni e attacchi di ogni genere;
              il Presidente Renzi, nel corso del suo recente viaggio in Australia, ha richiamato in questi termini un concetto guida dell'azione di governo: «L'investimento nell'educazione è un investimento nel futuro. Il futuro del nostro paese sarà grande solo se riusciremo a rendere grande la scuola», aggiungendo: «C’è però bisogno di intervenire anche fuori dai confini perché la lingua italiana sia strumento di presenza in tutto Il mondo: faremo di tutto per investire in questo settore. Perché l'italiano è importante per l'economia ma anche per la cultura;

impegna il Governo:

              a valutare in maniera approfondita i contenuti della norma al fine di reintegrare, nell'ulteriore decorso parlamentare della legge di stabilità, in misura adeguata alle obiettive esigenze di tutela dei livelli di presenza dell'Italia all'estero nel campo linguistico e culturale, il capitolo 3153 della Tabella 6 del bilancia del MAECI, in modo da evitare il rischio di irrecuperabile regressione dell'intervento in questo campo strategico per la presenza dell'Italia nel mondo;
          a valutare l'esigenza di avviare un confronto di ampio respiro volto a riformare l'intero sistema di promozione della lingua e della cultura italiane all'estero, con l'obiettivo di migliorare il livello di coordinamento degli interventi, di elevarne gli standard qualitativi, di aumentarne la flessibilità rispetto alla molteplici e diverse situazioni locali e di sostenere in modo efficace il confronto con i Paesi vecchi e nuovi che da tempo si sono preparati a competere in questo difficile campo.
9/2679-bis-A/222. Gianni Farina, Fedi, Garavini, Porta, La Marca.


      La Camera,
          premesso che:
              alla Tabella 6, alla missione «L'Italia in Europa e nel mondo Italiani nel mondo e politiche migratorie - Ministero degli affari esteri», Programma Italiani nel mondo e politiche migratorie (4.8), sul capitolo 3153 che prevede le risorse destinate agli enti gestori per l'organizzazione di corsi di lingua e cultura, si segnala una decurtazione di 2.447.721 euro per il 2015, pari al -22,6 per cento rispetto ai 10.811517 euro dell'assestamento del bilancia 2014, con previsione di ulteriore limitazione nei 2016;
              ulteriori riduzioni, sia pure di minore entità, sono prefigurate su diversi capitoli inerenti alle attività formative e culturali di competenza della Direzione generale per la promozione del Sistema Paese, aventi ripercussioni sugli Istituti di cultura, sulla funzionalità delle cattedre di italianistica e sul numero dei lettori di italiano inviati all'estero, nonché sulla concessione di borse di studio, di importanza strategica;
              nell'anno scolastica 2014-15 si completerà, con un anno di anticipo sul previsto, la riduzione del contingente del personale scolastico voluta dalla legge di spending review del 2012, che determinerà il passaggio da 773 unità in servizio scolastico all'estero a 624 unità, con a conseguenza di dover fronteggiare la sostituzione di 149 unità mancanti spesso nell'ambito di consolidate situazioni didattiche e formative;
              queste riduzioni incidono su un sistema profondamente indebolito dal fatto che le risorse pubbliche destinate alla promozione della lingua e della cultura italiana all'estero, dal 2008 in poi, sono progressivamente e drasticamente diminuite, sia a livello centrale che regionale. In particolare, i contributi ai corsi di lingua e cultura italiana organizzati dagli enti gestori, frequentati da oltre 350,000 discenti, hanno subito nel periodo indicato una riduzione che si aggira sul 75 per cento delle poste inizialmente previste;
              un numero consistente di tali corsi sono integrati negli ordinamenti scolastici locali in forza di convenzioni con le autorità di Paesi e Regioni estere e l'improvvisa indisponibilità di risorse rischia di comportare una situazione di insolvenza del Governo italiano rispetto agli impegni presi in proiezione pluriennale;
              la combinazione degli effetti delle misure di riduzione della spesa e di ritiro dell'ultima quota di contingente crea una situazione di squilibrio strutturale dell'intervento che a fatica aveva trovato un pur precario assestamento;
              gli interventi di promozione della lingua e cultura italiana all'estero sono ormai unanimemente considerati essenziali per il riconoscimento dell'Italia nel mondo e per la tutela della sua immagine nel quadro globale, premesse indispensabili per una rinnovata strategia di rafforzamento e allargamento dell'internazionalizzazione del Sistema Paese;
              il 21 e 22 ottobre scorso, per iniziativa del Ministero degli affari esteri e della cooperazione allo sviluppo, si sono svolti a Firenze gli Stati generali della lingua italiana all'estero, nel corso dei quali si è manifestata una forte richiesta di considerare la promozione della lingua e della cultura italiana come una priorità strategica del Paese, anche ai fini della sua ripresa economica e sociale e di una migliore tutela del made in Italy, esposto a contraffazioni e attacchi di ogni genere;
              il Presidente Renzi, nel corso del suo recente viaggio in Australia, ha richiamato in questi termini un concetto guida dell'azione di governo: «L'investimento nell'educazione è un investimento nel futuro. Il futuro del nostro paese sarà grande solo se riusciremo a rendere grande la scuola», aggiungendo: «C’è però bisogno di intervenire anche fuori dai confini perché la lingua italiana sia strumento di presenza in tutto Il mondo: faremo di tutto per investire in questo settore. Perché l'italiano è importante per l'economia ma anche per la cultura;

impegna il Governo:

              a valutare in maniera approfondita i contenuti della norma al fine di rispondere alle obiettive esigenze di tutela dei livelli di presenza dell'Italia all'estero nel campo linguistico e culturale, in modo da evitare il rischio di irrecuperabile regressione dell'intervento in questo campo strategico per la presenza dell'Italia nel mondo;
          a valutare l'opportunità di avviare un confronto di ampio respiro volto a riformare l'intero sistema di promozione della lingua e della cultura italiane all'estero, con l'obiettivo di migliorare il livello di coordinamento degli interventi, di elevarne gli standard qualitativi, di aumentarne la flessibilità rispetto alla molteplici e diverse situazioni locali e di sostenere in modo efficace il confronto con i Paesi vecchi e nuovi che da tempo si sono preparati a competere in questo difficile campo.
9/2679-bis-A/222.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Gianni Farina, Fedi, Garavini, Porta, La Marca.


      La Camera,
          premesso che:
              le Camere di Commercio italiane all'estero (CCIE) sono 76, operanti in 54 Paesi del mondo, che associano, su base volontaria, 24.000 imprese e hanno sviluppato Io scorso anno più di 300 mila contatti di affari, connesse «a rete» in un sistema di promozione delle piccole e medie imprese;
              questo sistema, radicato sui territori esteri, è un punto di riferimento per le comunità di affari italo-locali e permette all'Italia di disporre di una rete all'estero che, in virtù del suo importante ruolo, è riconosciuta dallo Stato italiano;
              le CCIE, ai sensi delle leggi n.  518 del 10 luglio 1970 e n.  549 del 1995, sono destinatarie annualmente di un cofinanziamento sul valore dei programmi di promozione realizzati, nell'ambito delle disponibilità di cui alla tab. C. cap. 2501 (6.2.1) (4.1.1) del Ministero dello sviluppo economico;
              ogni anno viene effettuata la ripartizione delle disponibilità sul capitolo sulla base del valore dei programmi presentati allo stesso Ministro dello sviluppo economico, che ha impegnato negli ultimi anni, orientativamente, poco più del 50 per cento delle risorse complessive del capitolo 2501 per l'attività delle CCIE;
              negli ultimi quattro anni la dotazione del capitolo è stata ridotta del 75 per cento e il disegno di legge di stabilità 2015, effettua una riduzione di un ulteriore 60 per cento;
              sulla base delle percentuali di contribuzione degli scorsi anni, la contribuzione pubblica a favore delle CCIE scenderebbe a meno del 10 per cento rispetto al limite massimo del 50 per cento;
              questa prospettiva appare insostenibile e foriera di situazioni di dissesto in soggetti che hanno visto, in quattro anni, ridurre il cofinanziamento pubblico a meno di un terzo, mettendo a repentaglio la continuità di servizio, la capacità di rappresentanza degli interessi imprenditoriali all'estero, nonché l'attivo supporto ai processi d'internazionalizzazione delle piccole e media imprese italiane;
              nell'anno 2014 il Ministero ha ricevuto programmi di attività delle Camere per una spesa di circa 40 milioni di euro,

impegna il Governo:

          a valutare in maniera approfondita i contenuti della norma al fine di considerare l'esigenza che nel successivo decorso parlamentare della legge di stabilità il cap. 2501 sia incrementato di almeno quattro milioni di Euro;
          a valutare l'opportunità, in sede di ripartizione del cap. 2501 (6.2.1) (4.1.1), di assicurare alle Camere di commercio italiane all'estero un contributo comunque non inferiore all'85 per cento della dotazione globale del capitolo, al fine di realizzare una coerente copertura dei programmi già attuati.
9/2679-bis-A/223. Porta, Fedi, Gianni Farina, Garavini, La Marca.


      La Camera,
          premesso che:
              i cittadini italiani che trasferiscono (o hanno trasferito) la residenza in uno Stato con il quale non è in vigore alcuna convenzione con l'Italia perdono il diritto all'assistenza sanitaria, sia in Italia che all'estero, all'atto della cancellazione dall'anagrafe comunale e della iscrizione all'AIRE;
              tuttavia il Decreto del Ministero della Sanità del 1o febbraio 1996 garantisce le cure ospedaliere urgenti gratuite per malattia improvvisa o per infortunio ai cittadini italiani residenti all'estero in soggiorno temporaneo in Italia a condizione che possano far valere Io status di emigrato o che siano titolari di prestazione pensionistica italiana e che siano sprovvisti di assicurazione sanitaria pubblica o privata;
              secondo l'interpretazione restrittiva del Ministero della Salute i cittadini italiani nati all'estero non possono fare valere o status di emigrato e quindi sono esclusi da tale garanzia;
              l'esclusione dei cittadini italiani nati all'estero dalla garanzia delle cure ospedaliere urgenti gratuite in caso di sfortunata necessità durante un temporaneo soggiorno in Italia ha creato una arbitraria e irragionevole disparità di trattamento tra cittadini italiani nati in Italia e cittadini italiani nati all'estero che si manifesta ogni qual volta un nucleo familiare composto da genitori nati in Italia e dai figli nati all'estero ricorre a tali cure che diventano onerose pertanto solo per i figli;
              l'estensione delle cure ospedaliere urgenti gratuite anche ai cittadini italiani nati all'estero durante un temporaneo soggiorno in Italia sanerebbe questo grave vulnus ad un costo irrisorio considerato che secondo le stime dello stesso Ministero della salute nel 2013 solo 1.200 italiani nati all'estero hanno fatto ricorso a tali cure e molti di loro erano provvisti di un'assicurazione pubblica o privata,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di estendere anche ai cittadini italiani nati all'estero, al pari di quelli nati in Italia e permanentemente residenti all'estero e dei cittadini residenti all'estero titolari di pensione italiana, le cure ospedaliere urgenti gratuite in caso di improvvisa e sfortunata necessità per malattia o infortunio durante un soggiorno temporaneo in Italia.
9/2679-bis-A/224. La Marca, Gianni Farina, Fedi, Garavini, Porta.


      La Camera,
          premesso che:
              con la legge finanziaria del 2007 si è disposta la destinazione di 2,8 milioni di euro per la creazione del Museo dell'emigrazione italiana, da istituire con decreto del Ministro degli affari esteri;
              a seguito di convenzione tra il MAE e il Ministero per i beni culturali si è deciso di istituire il Museo nazionale dell'emigrazione italiana e di insediarlo nei locali del Vittoriano in Roma;
              l'Italia, pur essendo il Paese, dopo a Cina, che ha avuto la più alta diaspora di suoi cittadini all'estero, è stato tra gli ultimi a dotarsi di un museo nazionale dell'emigrazione, nonostante le continue e insistenti richieste delle comunità di origine disseminate in ogni parte del mondo, alcune delle quali hanno promosso autonomamente centri di ricerca e istituzioni museali sulla propria storia, e il diffondersi negli ultimi vent'anni di musei dedicati a specifiche aree territoriali;
              sia nei Paesi di significativa tradizione immigratoria che in quelli di tradizione emigratoria questo tipo di istituzione da tempo svolge un'importante funzione di conservazione e di trasmissione della memoria sociale, di contributo alla definizione del profilo identitario, di promozione di una cultura dell'integrazione e di sostegno allo sviluppo di relazioni interculturali, oltre che di forte richiamo turistico in ambito nazionale e internazionale;
              in Italia ormai da un ventennio è in atto una transizione che la sta trasformando da Paese di storica emigrazione in Paese anche di immigrazione; senza un'adeguata risposta formativa e culturale c’è il rischio che da un lato si disperda la memoria del nostro passato di migranti, dall'altro si diffondano tensioni e fenomeni di carattere xenofobo che incidono negativamente sulla coesione nazionale, proprio in un momento di acuta sofferenza sociale determinata dalla crisi;
              il Museo nazionale dell'emigrazione italiana solo in parte ha raccolto l'iniziale ispirazione di una istituzione formativa dedicata alle migrazioni come elemento strutturale e permanente della contemporaneità e ha sofferto finora della provvisorietà della sua costituzione e della residuale attenzione che gli è stata dedicata dal Governo e dal Parlamento;
              l'afflusso di molte centinaia di migliaia di presenze dimostra che, nonostante limiti e difficoltà, il Museo per un Paese come l'Italia può corrispondere ad una domanda di notevoli proporzioni e può concorrere non poco al sostegno del turismo di ritorno proveniente dal vasto retroterra emigratorio;
              i materiali raccolti nel Museo, riferiti quasi esclusivamente agli aspetti dell'emigrazione, sono il frutto di prestiti di altre istituzioni culturali, che ritornerebbero ai legittimi proprietari in caso di interruzione e inadeguatezza dei finanziamenti, con la prevedibile disgregazione dell'intero impianto museale;
              nell'ultimo anno, il Museo è sopravvissuto solo in virtù di un modesto finanziamento di 200,000 euro proveniente dal bilancio del MAECI e nella legge di stabilità 2015 nulla è previsto per la prosecuzione della sua attività,

invita il Governo:

          a considerare l'opportunità di assicurare nel successivo decorso della legge di stabilità le risorse indispensabili alla tenuta in vita del Museo per il prossimo triennio e ad una sua decorosa attività;
          ad avviare un più diretto confronto tra il MAECI, il MIBACT e il MIUR finalizzato al rilancio dell'iniziale progetto di un Museo nazionale delle migrazioni che, in dialogo con gli specialisti del ramo, assicuri un'offerta culturale e formativa capace di inglobare la dimensione immigratoria, di rappresentare in modo più compiuto le «nuove migrazioni», di mettere in rete i musei locali esistenti sui territorio italiano e implementare Io scambio di dati e materiali con i musei esteri nei quali la presenza degli emigrati italiani è efficacemente documentata e rappresentata.
9/2679-bis-A/225. Fedi, Porta, Gianni Farina, Garavini, La Marca.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge di stabilità (A.C. 2679-«bis), reca le misure necessarie a conseguire gli obiettivi programmatici di finanza pubblica indicati nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014;
              all'interno dello stesso provvedimento vengono individuati specifici finanziamenti o misure di agevolazione per interventi ritenuti suscettibili di un impatto positivo sulla crescita economica ovvero misure idonee a determinare un aumento di entrate per lo Stato;
              la legge n.  342/2000 contenente misure in materia fiscale contempla all'articolo 63 l'esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per i veicoli ed i motoveicoli, esclusi quelli adibiti ad uso professionale, a decorrere dall'anno in cui si compie il trentesimo anno dalla loro costruzione ed estende la norma agli autoveicoli e motoveicoli di particolare interesse storico e collezionistico per i quali il termine è ridotto a venti anni;
              la legge sopracitata prevede che venga predisposto un apposito elenco indicante i periodi di produzione dei veicoli redatto a cura dell'Automobilclub Storico Italiano (ASI);
              secondo quanto documentato dall'Automobilclub Storico Italiano, il parco veicolare rappresentato dai veicoli di particolare interesse storico esentato dal pagamento della tassa di proprietà o tenuto al pagamento ridotto, dall'entrata in vigore del provvedimento di esonero è costituito, al 31 dicembre 2013, da 501.000 veicoli di cui già trecentoventicinquemila circa sono esentati per intero dal pagamento della tassa di proprietà;
              un numero così elevato di autovetture d'epoca o comunque di interesse storico, crea un indotto di circa seicentocinquanta milioni di euro annui che riguarda solo i costi di conservazione e di cura degli autoveicoli e le spese di gestione che interessano, quindi, tutti i settori legati all'industria delle automobili (l'importo è calcolato sulla base della spesa unitaria media per la manutenzione annuale di circa duemila euro);
              nel settore dei veicoli storici sono applicate tariffe assicurative agevolate, in virtù della ridotta percorrenza chilometrica di queste auto e di conseguenza anche di una percentuale minore del rischio di incidenti;
              l'applicazione delle tariffe piene a veicoli ultraventennali determinerebbe l'antieconomicità di tali contratti comportando la demolizione dei veicoli stessi, la vendita sottocosto di questi sui mercati esteri dove vengono applicate tassazioni più proporzionate oppure l'incremento del numero di veicoli non assicurati;

impegna il Governo

una volta esaminate le compatibilità finanziarie, a valutare l'opportunità di rinnovare la disposizione di esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche, così come già stabilito dalla legge 342/2000, i veicoli ed i motoveicoli a decorrere dall'anno in cui si compie il trentesimo anno dalla loro costruzione o comunque, gli autoveicoli e motoveicoli di particolare interesse storico e collezionistico per i quali il termine è ridotto a venti anni dalla prima immatricolazione.
9/2679-bis-A/226. Morani, Marchetti, Donati, Marco Di Maio.


      La Camera,
          premesso che:
              l'editoria in italiano all'estero, che ha una profonda e lontana radice storica, svolge un'essenziale funzione di ponte tra l'Italia e le comunità di origine, di informazione dei cittadini italiani all'estero anche in funzione della loro partecipazione alle competizioni elettorali nazionali, di diffusione e accreditamento dell'Italia presso l'opinione pubblica straniera, di sostegno dell'identità delle nostre comunità, di preservazione della lingua italiana nei passaggi generazionali;
              la legge 7 agosto 1990, n.  250, e successive modifiche, che dispone provvidenze per l'editoria, estende all'articolo 3, comma 2-ter, tali misure anche ai giornali quotidiani italiani editi e diffusi all'estero, a condizione che le imprese editrici posseggano precisi requisiti dalla legge stessa indicati;
              tra tali requisiti compare, al comma 2 dell'articolo 3, anche quello che le imprese editrici pubblichino la testata da almeno cinque anni, a garanzia della comprovata solidità e serietà dell'iniziativa editoriale;
              il criterio richiamato, pur apprezzabile nella sua ispirazione di fondo, non tiene conto tuttavia che a seguito dell'evoluzione che si è determinata nelle nostre comunità di origine con i diversi passaggi generazionali si possono presentare passaggi societari che riguardano anche antiche e nobili testate, edite da decenni, la cui attività editoriale può presentare divaricazioni rispetto alla storia giuridica delle aziende che ne assicurano tra mille difficoltà la sopravvivenza;
              in generale, si tratta di un campo di attività nel quale il sostegno pubblico concorre a coprire i costi di produzione e il lavoro di giornalisti e operatori associati in genere in forma cooperativa;
              in considerazione dell'interesse che tali iniziative rivestono per la promozione del Sistema Italia nel mondo e per la tutela delle nostre comunità, si evidenzia la opportunità di rendere più flessibile il sistema di concessione dei contributi previsti dalla legge 250/90 inserendo nei requisito richiesto dal comma 2 dell'articolo 3, la possibilità di finanziare direttamente la testata, oltre all'impresa;
              si tratterebbe solo di una leggera rimodulazione dei criteri applicativi della legge nel rispetto del suo principio ispiratore e senza alcun onere aggiuntivo per le finanze pubbliche, che resterebbero quelle previste dalle correnti disposizioni di legge,

impegna il Governo:

          a valutare nel successivo decorso della legge di stabilità, in considerazione dell'interesse a preservare la vita di testate che svolgono un'opera di servizio per il Paese e per le nostre comunità, l'opportunità di inserire, per omogeneità di materia, dell'articolo 2, commi da 70 a 73 del disegno di legge di stabilità 2015 un comma aggiuntivo che preveda che all'articolo 3, comma 2-ter della legge 250/90, sia aggiunta la possibilità di attribuire i benefici previsti anche alle testate che siano pubblicate da almeno tre anni;
          a cogliere, in ogni caso, ogni ulteriore occasione per arrivare a rendere più elastici e realistici i criteri indicati, al fine di assicurare a sopravvivenza di testate che rappresentano un autentico presidio di italianità nel contesto globale.
9/2679-bis-A/227. Tartaglione, La Marca, Gianni Farina, Fedi, Garavini, Porta.


      La Camera,
          premesso che:
              l'editoria in italiano all'estero, che ha una profonda e lontana radice storica, svolge un'essenziale funzione di ponte tra l'Italia e le comunità di origine, di informazione dei cittadini italiani all'estero anche in funzione della loro partecipazione alle competizioni elettorali nazionali, di diffusione e accreditamento dell'Italia presso l'opinione pubblica straniera, di sostegno dell'identità delle nostre comunità, di preservazione della lingua italiana nei passaggi generazionali;
              la legge 7 agosto 1990, n.  250, e successive modifiche, che dispone provvidenze per l'editoria, estende all'articolo 3, comma 2-ter, tali misure anche ai giornali quotidiani italiani editi e diffusi all'estero, a condizione che le imprese editrici posseggano precisi requisiti dalla legge stessa indicati;
              tra tali requisiti compare, al comma 2 dell'articolo 3, anche quello che le imprese editrici pubblichino la testata da almeno cinque anni, a garanzia della comprovata solidità e serietà dell'iniziativa editoriale;
              il criterio richiamato, pur apprezzabile nella sua ispirazione di fondo, non tiene conto tuttavia che a seguito dell'evoluzione che si è determinata nelle nostre comunità di origine con i diversi passaggi generazionali si possono presentare passaggi societari che riguardano anche antiche e nobili testate, edite da decenni, la cui attività editoriale può presentare divaricazioni rispetto alla storia giuridica delle aziende che ne assicurano tra mille difficoltà la sopravvivenza;
              in generale, si tratta di un campo di attività nel quale il sostegno pubblico concorre a coprire i costi di produzione e il lavoro di giornalisti e operatori associati in genere in forma cooperativa;
              in considerazione dell'interesse che tali iniziative rivestono per la promozione del Sistema Italia nel mondo e per la tutela delle nostre comunità, si evidenzia la opportunità di rendere più flessibile il sistema di concessione dei contributi previsti dalla legge 250/90 inserendo nei requisito richiesto dal comma 2 dell'articolo 3, la possibilità di finanziare direttamente la testata, oltre all'impresa;
              si tratterebbe solo di una leggera rimodulazione dei criteri applicativi della legge nel rispetto del suo principio ispiratore e senza alcun onere aggiuntivo per le finanze pubbliche, che resterebbero quelle previste dalle correnti disposizioni di legge,

impegna il Governo:

          a valutare nel successivo decorso della legge di stabilità, in considerazione dell'interesse a preservare la vita di testate che svolgono un'opera di servizio per il Paese e per le nostre comunità, l'opportunità di inserire la possibilità di attribuire i benefici previsti anche alle testate che siano pubblicate da almeno tre anni;
          a cogliere, in ogni caso, ogni ulteriore occasione per arrivare a rendere più elastici e realistici i criteri indicati, al fine di assicurare a sopravvivenza di testate che rappresentano un autentico presidio di italianità nel contesto globale.
9/2679-bis-A/227.    (Testo modificato nel corso della seduta).     Tartaglione, La Marca, Gianni Farina, Fedi, Garavini, Porta.


      La Camera,
          premesso che:
              in seguito all'espletamento delle ultime prove concorsuali per l'accesso alle scuole di specializzazioni mediche annullate per irregolarità gli scorsi 29 e 31 ottobre, in vista di un molto probabile quantitativo di ricorsi che potrebbero comportare sentenze di condanna già agli inizi del prossimo gennaio, appare necessario prevenire quello che potrebbe essere un dispendioso danno alle casse dello Stato. Condivisibile appare la richiesta formulata dal «coordinamento nazionale medici» di richiesta di sanatoria per il concorso S.S.M. 2013/2014 mediante il reperimento di fondi già stanziati nel bilancio dello Stato;
              all'ultimo concorso per le S.S.M. si sono presentati 11.600 candidati, appare pertanto probabile identificarli come quei medici che attualmente non hanno una collocazione all'interno del S.S.N. Quest'anno, a causa del ritardo con cui è stato bandito il concorso 2013-2014, il Ministro della salute ha ritenuto opportuno firmare un decreto del 28 agosto 2014 con il quale apportava delle modifiche al regolamento, disciplinando lo scorrimento per l'accesso al corso di M.M.G (che invece si è svolto solitamente nel mese di Settembre);
              il provvedimento è stato varato con la ratio di garantire ad un maggior numero di medici la possibilità di accedere ai corsi di formazione, tenuto conto che quest'anno il concorso per l'accesso al corso di formazione di medicina generale e quello per l'accesso alle scuole di specializzazione, si sono tenuti in date ravvicinate;
              alla luce di questa concomitanza è verosimile ipotizzare che molti candidati (se non quasi tutti) abbiano provato entrambi i concorsi. Da ciò si può ipotizzare il quantitativo di medici non collocati nel S.S.N: se infatti si sottrae agli 11.600 medici non collocati nel SSN nel 2014 i 6.500 medici che saranno collocati grazie al concorso S.S.M e M.M.G si otterrà la cifra di 5.100 medici ancora da collocare;
              ipotizzando che le borse siano effettivamente 5100 il metodo per il loro finanziamento sarebbe quello di utilizzare i fondi già programmati per la formazione medica messi a bilancio per il 2015, senza il bisogno di reperirne nuovi. Infatti dai combinati disposti del decreto legge n.90 del 24 giugno 2014 (che prevede 40 milioni di euro per l'anno 2015) e dalla legge n.  147 del 27 dicembre 2013 (che prevede 75 milioni di euro per 2014/2015) si deduce che i fondi destinati alla formazione medica sono di circa 115 milioni;
              considerando che il costo annuo per un contratto di formazione è di circa 22.500 euro, si deduce che si potrebbe con i 115.000.000 euro stanziati per il 2015 si potrebbero coprire circa 5.111 corrispondenti a quelli mancanti per effettuare la sanatoria. Già la sopra citata manovra consentirebbe una soluzione efficace del problema, ma ci si potrebbe anche avvalere dei risparmi interni derivanti dall'avvio della sanità digitale (previsto nella bozza del Patto della Salute che permetterà un risparmio quantificabile in 7.000.000.000 euro) e dall'attuazione dell'articolo 15 del decreto-legge n.  90 del 24 giugno 2014, che ridurrebbe retroattivamente la durata di alcune Scuole di Specializzazione trovando così modo di rigenerare annualmente una buona parte dei contratti di formazione. Avallando l'ipotesi di destinare i fondi stanziati per la formazione del 2015 alla sanatoria si darebbe l'opportunità ai Ministeri preposti di riorganizzare l'intero l'iter ripianandone le criticità. Inoltre, avendo regolarizzato il pregresso con la sanatoria per il 2016 si troverebbero a concorrere solo gli abilitati di febbraio e luglio 2015,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di attuare una sanatoria per il concorso di scuole e specializzazione mediche 2013/2014 utilizzando come precedentemente esposto i fondi già programmati senza gravare ulteriormente sulla spesa pubblica scongiurando l'eventualità che sia compromessa la formazione specialistica di molti giovani medici, di fondamentale importanza per l'attività di molti ospedali.
9/2679-bis-A/228. Valiante.


      La Camera,
          premesso che:
              la Costituzione italiana recita all'articolo 46 che «ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Inoltre, al successivo articolo 47 non si può sottacere il puntuale riferimento al sostegno all'accesso del risparmio popolare «al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese»;
              la legge 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014) al comma 180 prevede, al fine di incentivare iniziative rivolte alla partecipazione dei lavoratori al capitale e agli utili delle imprese, nonché la diffusione dei piani di azionariato rivolti ai lavoratori dipendenti, l'istituzione di un apposito fondo presso il ministero del Lavoro e delle politiche sociali avente una dotazione di 2 milioni di euro per l'anno 2014 e di 5 milioni di euro per l'anno 2015, Il medesimo comma stabilisce, inoltre, che le modalità e i criteri di utilizzo delle suddette risorse debbono essere determinate con un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le competenti commissioni parlamentari, entro il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge sopra richiamata; la legge 98 del 2013, di conversione del decreto legge n.  69 del 2013 (cosiddetto «Decreto del Fare»), all'articolo 56-ter stabilisce che i Ministri dello Sviluppo economico, della Giustizia, dell'economia e delle finanze e del lavoro e politiche sociali debbono trasmettere al Parlamento una relazione sulla disciplina, sulle esperienze e sulle prospettive dell'azionariato diffuso, ovvero della partecipazione, anche azionaria, dei dipendenti agli utili di impresa ed individuano le opportune misure, normative e di incentivazione fiscale, volte a favorire la diffusione delle predette esperienze in ambito nazionale e la collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende ai sensi dell'articolo 46 della Costituzione a partire dai piani di azionariato. La suddetta relazione avrebbe dovuto essere trasmessa al Parlamento entro il 30 settembre del 2013; nella legge 92 del 2012, la cosiddetta «legge Fornero», di riforma del mercato del lavoro, in sede di esame parlamentare è stata inserita al comma 62 dell'articolo 4 una delega al fine di conferire organicità e sistematicità alle norme in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, nonché di partecipazione dei dipendenti agli utili e al capitale dell'impresa così come per la definizione di misure per la democrazia economica. La delega sopra richiamata avrebbe dovuto essere esercitata, attraverso l'adozione di decreti legislativi attuativi, entro nove mesi dall'entrata in vigore della predetta legge;
              a livello europeo la Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, COM (2002) 364 dal titolo «Quadro per promozione della partecipazione finanziaria dei lavoratori dipendenti» affronta gli aspetti generali che si pongono in relazione alla promozione di una maggiore diffusione della partecipazione finanziaria dei lavoratori nelle sue varie forme. Le molteplici forme di partecipazione finanziaria dei lavoratori dipendenti, tendono tutte, pur nella diversità dei loro rispettivi regimi di partecipazione, a favorire l'associazione dei lavoratori dipendenti ai risultati dell'impresa, favorendo così una maggiore e più profonda coesione sociale all'interno dell'impresa stessa. La partecipazione dei dipendenti, ed in particolare la partecipazione azionaria, oltre a favorire la democrazia economica all'interno dell'impresa, può avere ripercussioni positive sulla crescita economica, sullo sviluppo e la competitività dell'impresa nonché sui livelli occupazionali ed in particolare sulla stabilità occupazionale nell'intero ciclo economico;
              la Commissione europea nella Comunicazione COM(2012) 740 al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni dal titolo «Piano d'azione: diritto europeo delle società e governo societario – una disciplina giuridica moderna a favore di azionisti più impegnati e società sostenibili» ha rilevato, tra i vari aspetti, l'importanza della partecipazione azionaria dei dipendenti, la quale può avvenire sotto forma di comunicazione di informazioni, consultazione e partecipazione al consiglio, ma può anche manifestarsi attraverso varie forme di partecipazione finanziaria e in particolare attraverso la partecipazione all'azionariato. La Commissione ha riconosciuto, altresì, l'importanza, ai fini di una migliore sostenibilità e più funzionante governance societaria, della partecipazione azionaria dei dipendenti, i quali, evidentemente, e a differenza degli altri azionisti, non sono interessati a seguire logiche di tipo speculativo. Pertanto, con il Piano di Azione 2014, di cui alla Comunicazione suddetta, la Commissione intende promuovere sia iniziative appropriate per incoraggiare lo sviluppo di regimi transnazionali di partecipazione azionaria dei dipendenti in Europa che iniziative volte a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla diffusione di questo strumento a livello nazionale; il Parlamento europeo ha approvato, in data 14 gennaio 2014, una risoluzione sulla partecipazione finanziaria dei dipendenti agli utili dell'impresa con la quale, tra le altre cose, raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di prendere in considerazione, soprattutto in ragione della perdurante e grave crisi economica e della non ancora superata instabilità finanziaria di moltissime imprese, misure adeguate per incoraggiare le imprese, su base volontaria, a sviluppare ed offrire piani di partecipazione finanziaria dei lavoratori dipendenti (PFL) aperti a tutti i dipendenti, nel pieno rispetto del principio della non discriminazione. Inoltre, il Parlamento europeo, oltre a ribadire i positivi effetti che i piani di partecipazione finanziaria possono avere sulla coesione sociale, costituendo un'importante integrazione del governo societario sostenibile, ha sottolineato le necessarie cautele che debbono essere tenute in conto nella promozione dei piani di PFL al fine di evitare meccanismi penalizzanti per i lavoratori tra cui ad esempio la sostituzione delle retribuzioni dei dipendenti con la partecipazione agli utili piuttosto che al capitale dell'impresa; in data 21 ottobre 2010 il Comitato economico e sociale ha approvato a larghissima maggioranza un parere in tema di partecipazione finanziaria dei lavoratori in Europa (SOC/371) con il quale il Comitato ha rilevato la straordinaria opportunità rappresentata dalla partecipazione finanziaria dei lavoratori in quanto con essa si rende compartecipi, in misura maggiore e in modo migliore, imprese e lavoratori;
              numerosi ed autorevoli studi dimostrano come la partecipazione finanziaria dei lavoratori sia portatrice di effetti significativamente positivi sia dal lato delle imprese aumentandone la competitività e la redditività, che dal lato dei lavoratori in quanto ne accresce le motivazioni, l'interesse, il senso di appartenenza, la condivisione degli obiettivi. I regimi di partecipazione finanziaria possono svolgere un ruolo davvero importante e innovatore sul versante della crescita economica così come su quello delle relazioni industriali favorendo una maggiore e migliore coesione sociale;
              con specifico riferimento alla partecipazione azionaria oltre agli effetti positivi di cui abbiamo accennato al punto precedente non può non rilevarsi il duplice vantaggio. Per le imprese in termini di maggiore stabilità finanziaria, configurandosi la partecipazione azionaria dei dipendenti come un investimento a lungo termine e non un puro investimento speculativo, nonché in termini di maggiore capacità di raccolta di capitali; e per i lavoratori i quali non sono più soggetti irrilevanti in materia di governance societaria e gestione aziendale, partecipando, al contrario, alle scelte di governance e di gestione della società per la quale lavorano;
              in Italia, seppur vi siano esperienze importanti, differentemente da molti altri Paesi dell'Unione e di origine anglosassone, la partecipazione dei dipendenti all'azionariato è ancora scarsamente diffusa, risultando ai minimi in particolare nell'ambito degli Stati Fondatori, come documentato dai dati annualmente pubblicati dalla Federazione Europea dell'Azionariato dei Dipendenti (EFES). La limitata diffusione della partecipazione azionaria dei dipendenti dipende anche dall'esistenza di un quadro regolatorio che non riconosce ai soggetti che intendono promuovere l'azionariato dei dipendenti di incidere concretamente,

impegna il Governo:

          a dare sollecita attuazione alla disposizione prevista nella legge 147 del 2013, di cui in premessa, affinché il Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell'economia, adotti in tempi rapidi il decreto volto a definire modalità e criteri per l'utilizzo delle risorse, pari complessivamente a 7 milioni di euro nel biennio 2014-2015, necessarie per incentivare iniziative rivolte alla partecipazione dei lavoratori al capitale e agli utili delle imprese e per la diffusione dei piani di azionariato rivolti ai lavoratori dipendenti;
              a riprendere nell'ambito di un provvedimento legislativo i contenuti di cui alla delega prevista al comma 62 dell'articolo 4 della legge n.  92 del 2012 (cosiddetta Riforma Fornero), intesa ad introdurre elementi di partecipazione dei lavoratori nella gestione delle imprese e sulla quale, nella precedente legislatura, si era registrata una considerevole convergenza;
              a definire un quadro normativo, compatibile con il contesto europeo, organico, efficace e al tempo stesso semplice in grado di favorire una legislazione favorevole alla promozione di regimi di partecipazione, anche azionaria, dei lavoratori dipendenti;
              a promuovere a livello europeo, anche in ambito del semestre italiano di presidenza del Consiglio, iniziative volte definire un quadro normativo coerente, in tutti gli Stati membri, in materia di partecipazione azionaria dei lavoratori dipendenti.
9/2679-bis-A/229. Tidei, Galperti, Bargero.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto legge 17 giugno 1996, n.  321, convertito con modificazioni dalla legge dalla legge 8 agosto 1996, n.  421, all'articolo 2 ha istituito il Consorzio obbligatorio per il collegamento informatico e telematico dei mercati agro alimentari all'ingrosso, al quale è attribuita personalità giuridica. Il Consorzio ha il compito di realizzare un sistema di collegamento informatico e telematico su tutto il territorio nazionale dei mercati agroalimentari all'ingrosso; nonché quello di gestire e diffondere le informazioni raccolte in modo da assicurare la trasparenza della formazione dei prezzi all'ingrosso dei prodotti agro alimentari; ed infine quello di provvedere al collegamento con organismi comunitari ed extra-comunitari, anche al fine di raccogliere e diffondere l'informazione sulle tendenze dei mercati internazionali;
              il suddetto Consorzio, vigilato dal Ministero dello sviluppo economico, è strutturato alla stregua di una compagine consortile costituita da diversi soggetti (oltre trenta mercati e varie associazioni di settore);
              nel corso degli ultimi anni, il Consorzio Infomercati, pur nell'ambito di una prudente gestione, ha consolidato una situazione finanziaria di progressivo aumento dell'indebitamento per il mancato apporto da parte dei Consorziati di risorse finanziarie necessarie a far fronte alla quota parte di investimenti non finanziati a suo tempo dall'intervento statale iniziale e per il mancato completamento della compagine consortile, a causa della mancata previsione di sanzioni verso i mercati agroalimentari all'ingrosso (MAA) di rilevanza regionale che, pur obbligati a partecipare al Consorzio non vi hanno tuttavia aderito. L'obbligo di partecipare al Consorzio per i mercati agroalimentari all'ingrosso inseriti nei piani regionali, o aventi rilevanza regionale, deriva, oltre che dalla suddetta disposizione legislativa, anche dallo statuto istitutivo di detto Consorzio;
              alla luce di quanto sopra narrato, attraverso una modifica dello Statuto, avvenuta con Decreto del Ministro dello sviluppo economico dell'8 luglio 2011, è stata inserita la previsione di consentire la partecipazione alla compagine consortile alle Amministrazioni, Enti pubblici. Associazioni nazionali delle categorie degli operatori che svolgono l'attività nei mercati agroalimentari all'ingrosso nella misura massima del 2 per cento, il sistema camerale e articolazioni operative di quest'ultimo sotto qualsiasi forma costituite nel limite massimo del 47 per cento;
              la modifica summenzionata ha consentito di realizzare significativi miglioramenti nel bilancio del Consorzio Infomercati, grazie alla partecipazione all'interno di esso della società di gestione della Borsa merci telematica italiana (BMTI), società consortile per azioni interamente costituita da organismi di diritto pubblico riferibili al sistema delle Camere di commercio. Tuttavia, anche se ciò ha permesso l'ordinata prosecuzione dell'attività del Consorzio Infomercati, alcuni dei consorziati hanno subordinato il pagamento dei debiti, per le quote consortili pregresse, dovute ad Infomercati, solo a seguito della soppressione, ex lege, del Consorzio stesso;
              a livello nazionale, la funzione di rilevazione e utilizzo dei prezzi all'ingrosso effettuata dai mercati agroalimentari all'ingrosso costituisce elemento di certezza non rinunciabile, è possibile salvaguardare la funzione pubblica di centralizzazione ed informatizzazione della rilevazione dei prezzi che era stata attribuita a Infomercati, mantenendo i relativi obblighi di comunicazione e rilevazione in capo ai mercati agroalimentari all'ingrosso, ma senza mantenere in vita il Consorzio Infomercati che, alla luce di quanto esposto, non apparirebbe più necessario;
              sul piano operativo infatti Borsa merci telematica italiana risulta in grado di autofinanziare lo svolgimento di tali funzioni attraverso l'utilizzo delle informazioni raccolte e la loro elaborazione in forma sinergica con le attività collegate alla gestione della piattaforma telematica delle borse merci ed ai servizi in materia di prezzi già forniti da tale società alle Camere di commercio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare misure, anche di natura normativa, al fine di procedere alla soppressione del Consorzio Infomercati, nonché al trasferimento alla società di gestione della Borsa merci telematica italiana dei rapporti attivi e passivi in essere necessari allo svolgimento di tutte quelle funzioni riconosciute al suddetto Consorzio.

9/2679-bis-A/230. Galperti, Tidei, Bargero.


      La Camera,
          premesso che:
              un Sud a rischio desertificazione umana e industriale, dove si continua a emigrare (116 mila abitanti nel solo 2013), non fare figli (continuano nel 2013 a esserci più morti che nati), impoverirsi (+40 per cento di famiglie povere nell'ultimo anno) perché manca il lavoro (al Sud perso 1'80 per cento dei posti di lavoro nazionali tra il primo trimestre del 2013 e del 2014); l'industria continua a soffrire di più (-53 per cento gli investimenti in cinque anni di crisi, -20 per cento gli addetti); i consumi delle famiglie crollano di quasi il 13 per cento in cinque anni; gli occupati arrivano a 5,8 milioni, il valore più basso dal 1977 e la disoccupazione corretta sarebbe del 31,5 per cento invece che il 19,7 per cento. Questo, in estrema sintesi, è il drammatico quadro che riporta lo SVIMEZ nel suo Rapporto sull'economia del Mezzogiorno per l'anno 2014;
              fino ad oggi, come richiamato anche dalla stessa Commissione europea, la dispersione e la parcellizzazione delle risorse in un numero eccessivo di progetti, la mancanza delle condizionalità ex ante, che mirano a garantire efficacia ed efficienza, la scarsa capacità amministrativa e l'assenza di piani specifici settoriali sono state le criticità che hanno caratterizzato la gestione dei fondi europei nel nostro Paese;
              circa il 65 per cento dei comuni meridionali ha realizzato almeno un progetto finanziato dai fondi strutturali. Infatti, i fondi strutturali sono andati sempre più sostituendosi a quelli ordinari (spesso bloccati dal Patto di stabilità interno o da altre esigenze di finanza pubblica) e si sono dispersi in mille rivoli perdendo la loro caratteristica di risorse aggiuntive in grado di imprimere una spinta al processo di sviluppo;
              tra i principali strumenti per il finanziamento di tali interventi, un ruolo cruciale è svolto dalle risorse destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione, che, come noto, ha l'obiettivo di colmare i ritardi ancora rilevanti nell'attuazione e, al contempo, rafforzare l'efficacia degli interventi, in attuazione degli impegni assunti con la lettera del Presidente del Consiglio al Presidente della Commissione Europea e al Presidente del Consiglio Europeo del 26 ottobre 2011 e in conformità alle Conclusioni del Vertice dei Paesi Euro dello stesso 26 ottobre 2011, impegnando quindi le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi in grave ritardo, garantendo una forte concentrazione delle risorse su alcune priorità;
              sul tema del rilancio economico e sociale del Mezzogiorno, in data 11 novembre 2014, la Camera dei Deputati ha approvato la mozione 1/00612;
              le pur fondamentali disposizioni, contenute dal provvedimento in oggetto, finalizzate a favorire l'assunzione a tempo indeterminato, attraverso l'esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per un periodo massimo di trentasei mesi, tuttavia, trovano la copertura finanziaria dei relativi oneri proprio a valere sulle risorse destinate al finanziamento del citato Piano di Azione Coesione, non ancora impegnate;
              se da un lato, appare ragionevole e condivisibile scongiurare il rischio che vadano inutilizzate le risorse non ancora impegnate, dall'altro, appare non solo auspicabile, ma assolutamente necessario, dare corso a tutte le misure volte a superare i ritardi e le inefficienze sin qui registrate nell'utilizzo delle risorse dei fondi strutturali e, in ogni caso, individuare i meccanismi, anche di carattere sostitutivo da parte dello Stato, finalizzati ad assicurare per il futuro la realizzazione nei territori del Mezzogiorno di quegli interventi indispensabili per il suo riscatto,

impegna il Governo

ad individuare, nel quadro di un ampio confronto con le Regioni e le Amministrazioni del Mezzogiorno, le opportune soluzioni, anche di carattere normativo, volte ad assicurare il tempestivo utilizzo delle risorse dei fondi strutturali del PAC per interventi e progetti da realizzarsi esclusivamente nelle Regioni obiettivo-convergenza del Sud, al fine di superare le situazioni di svantaggio socio-economico delle Regioni del Mezzogiorno, facendo ricorso, se occorresse, all'esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle Amministrazioni che si dovessero rivelare inadempienti, nella convinzione che, se non riparte l'economia del Mezzogiorno, è l'intero Paese che rimarrà più povero e più fragile, oltre che più ingiusto.
9/2679-bis-A/231. Piccione, Amoddio, Capodicasa, Iacono, Albanella, Cardinale, Amato, Moscatt, Schirò.


      La Camera,
          premesso che:
              i Conservatori italiani hanno subìto l'ennesimo taglio alle risorse per il funzionamento e la didattica; nella legge di stabilità 2015 vi sono inoltre ulteriori provvedimenti che li penalizzano e rischiano di condannarli a un regime di mera sopravvivenza. Nel contempo il Sistema AFAM (Alta Formazione Artistica e Musicale) presso il MIUR si trova in una fase di sostanziale destrutturazione;
              le istituzioni AFAM statali e legalmente riconosciute sono 137, in prevalenza Accademie, 43, e Istituti Superiori di Studi Musicali, 78 (di cui 58 sono Conservatori). Sono frequentate da circa 80.000 studenti, di cui circa il 45 per cento nel settore delle belle arti, e il resto nel comparto musicale;
              il Sistema AFAM ad oggi può contare solo su 10 milioni di euro per quanto riguarda il finanziamento al funzionamento. Solamente 10 anni or sono, tale finanziamento era di 30 milioni di euro (-66 per cento circa rispetto al 2004). Già 10 anni fa il finanziamento era gravemente carente rispetto le effettive necessità dato che la Legge di Riforma 508/99 (approvata a seguito di quanto prescritto dal «Trattato di Lisbona» e dal «Processo di Bologna») prevedeva un aggiornamento dell'intera offerta formativa (riorganizzata sul 3+2) con un notevolissimo incremento di materie nei curricoli e il contemporaneo mantenimento dei corsi del vecchio ordinamento (secondo la Legge di Riforma, ad esaurimento) e l'introduzione di nuove tipologie di corsi come quelli Abilitanti all'insegnamento che sono andati a sostituire i corsi degli SSIA nelle Università;
              oggi il funzionamento dell'intero Sistema AFAM costa allo Stato solo 10 milioni di euro, ovvero meno di quanto costa all'Erario una piccola università;
              attualmente la manutenzione ordinaria (che comprende il capitolo fondamentale della manutenzione degli strumenti musicali) è in capo alla singola Istituzione e quindi risente pesantemente dei tagli di questi ultimi 10 anni. La manutenzione straordinaria dovrebbe essere ancora in capo alle Province anche se una recente sentenza del Consiglio di Stato, che ha dato ragione alla Provincia di Sassari vs il Conservatorio di Sassari, potrebbe provocare un effetto a catena in tutta Italia per il quale tutte le Province smetteranno di curare la manutenzione straordinaria (e il pagamento delle utenze) delle Istituzioni AFAM. Il problema è da ricondursi al fatto che le Province hanno l'obbligo della manutenzione straordinaria (e utenze) nei confronti della Scuola Secondaria e, in effetti, le Istituzioni AFAM sono nel livello terziario. Tuttavia, la Riforma (ex Legge 508/99) non è ancora stata completata poiché manca ancora l'emanazione di due importanti Decreti Attuativi e all'interno di uno di questi verrà disciplinata la questione dell'appartenenza dell'AFAM al Settore dell'Edilizia Universitaria;
              i Conservatori nel Veneto sono sette e accolgono circa 4500 studenti. Le sette istituzioni si sono organizzate nel Consorzio dei Conservatori del Veneto, realizzando progetti in collaborazione quali masterclass, seminari, concerti; si segnalano su tutti la creazione dell'Orchestra dei Conservatori del Veneto, che ha svolto attività per otto anni, e il Seminario di Musica barocca di Villa Contarini a Piazzola sul Brenta, giunto alla sesta edizione e sempre diretto da docenti di fama internazionale;
              ogni anno nei Conservatori del Veneto si diplomano decine di strumentisti, cantanti e compositori che contribuiscono alla crescita culturale della nostra regione inserendosi nel mondo del lavoro come esecutori, insegnanti, operatori culturali nel settore pubblico e privato promuovendo la crescita culturale dei contesti sociali e la crescita economica della nostra Regione conferendo valore al core business del Turismo Culturale;
              ogni Conservatorio veneto ha alcune eccellenze che distinguono ogni istituzione dalle altre: per esempio all'interno del Conservatorio «C. Pollini» di Padova vi è un Dipartimento di Musica Elettronica che, grazie ad una Convenzione col Centro di Sonologia Computazionale del DEI Università di Padova, svolge ricerche sulla Computer Music che lo configura come uno dei 4 Centri di Ricerca a livello mondiale (gli altri sono in Svezia, in Germania e negli USA). Sempre al Conservatorio di Padova è presente un Corso di Laurea sulla Musica per le Disabilità (p. es. Musica in Braille per non vedenti) che opera ricerche in collaborazione con i Dipartimenti di Medicina e Psicologia dell'Ateneo di Padova. Anche questa è un'eccellenza a livello internazionale. Così è per tutti i Conservatori veneti;
              la mancanza di una reale autonomia impedisce al Consorzio Veneto dei Conservatori di strutturarsi come un sistema regionale in grado di ottimizzare costi e qualificare ulteriormente la Formazione Artistica in una Regione, come il Veneto, che dal punto di vista di Arte e Cultura è da secoli un fulgidissimo modello per tutto il mondo,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di varare misure urgenti volte alla salvaguardia dei sette Conservatori del Veneto, ripristinando i fondi previsti per il funzionamento di detti istituti, invertendo così, una tendenza in atto da 10 anni che impedisce, di fatto, alle Istituzioni AFAM di realizzare il proprio obbligo istituzionale di formazione, produzione artistica e ricerca nel territorio.
9/2679-bis-A/232. Zan.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge 8 novembre 2000, n.  328, finalizzata a promuovere interventi sociali, assistenziali e sociosanitari volti a superare la semplice assistenza del singolo, garantendo il sostegno della persona all'interno del proprio nucleo familiare, ha cambiato profondamente il sistema dei servizi e degli interventi sociali del territorio italiano;
              parallelamente all'emanazione di detta legge ha visto la luce la legge costituzionale n.  3 del 2001, legge di riforma del Titolo V della Costituzione. Con essa i servizi sociali assumono competenza regionale, attenuando la forza riformatrice della legge n.  328 del 2000, pur rimanendo quest'ultima legge quadro di riferimento per il sistema di welfare italiano, affermatosi dunque sulla base di leggi regionali attuative. Occorre tuttavia precisare che non tutte le regioni hanno provveduto ad emanare l'apposita normativa attuativa della legge quadro citata;
              la legge n.  328 del 2000 ha messo in campo un esteso tentativo di decentramento territoriale e di redistribuzione delle responsabilità, investendo gli enti locali di un ruolo centrale, anche in virtù del principio della sussidiarietà verticale. In questo senso gli enti locali sono chiamati ad implementare forme di aggregazione intercomunale (ambiti territoriali) e a promuovere forme unitarie di organizzazione e gestione associata dei servizi in ambito distrettuale (piano di zona) attraverso accordi formali;
              nella maggioranza dei casi il governo politico di tali ambiti territoriali è identificato nel comitato o nella conferenza dei sindaci;
              per quanto riguarda il modello organizzativo e gestionale del sistema dei servizi locali, la maggioranza delle regioni ha previsto la costituzione e il funzionamento di un ufficio, rappresentativo di tutti i comuni dell'ambito territoriale, deputato all'attuazione delle linee di indirizzo formulate dal comitato dei sindaci, svolgendo funzioni di supporto tecnico dello stesso e di gestione ed implementazione dei servizi e degli interventi sociali. Tale organismo è usualmente denominato «ufficio di piano»;
              le strutture in questione svolgono un ruolo centrale nell'applicazione della legge n.  328 del 2000 come strumenti tecnici ed organizzativi per la programmazione e la gestione dell'integrazione socio sanitaria;
              i comuni dell'ambito territoriale si dotano della configurazione necessaria e sufficiente per la gestione delle funzioni di loro competenza nell'attuazione del piano di zona ed eventualmente, possono scegliere una delle diverse forme di gestione associata previste dalla legislazione vigente; nel caso diffuso di adozione della forma dell'accordo di programma, non avendo il comitato o la conferenza dei sindaci uno status giuridico riconosciuto, la gestione del piano sociale di zona ricade formalmente e contabilmente sul comune capofila, che tuttavia non usufruiva di nessuna deroga specifica ai vincoli di legge per lo svolgimento di una funzione che in realtà riguarda non il proprio territorio ma quello di un numero più o meno ampio di comuni;
              in molti casi il comune capofila non è individuato in modo stabile e definitivo da legge regionale, ma la funzione viene assunta a rotazione dai vari comuni appartenenti all'ambito territoriale;
              tutto ciò determina notevoli problemi relativamente alla gestione finanziaria dei fondi e alla gestione tecnico amministrativa dei servizi, ma soprattutto per gli operatori afferenti alla struttura tecnica;
              la situazione descritta rende infatti impossibile l'assunzione a tempo indeterminato di detto personale, sottoposto a un regime di precariato da moltissimi anni, con tipologie contrattuali utilizzate per regolamentare i rapporti di lavoro con gli operatori esterni: da contratti a tempo determinato a contratti a collaborazione coordinata e continuativa, partite iva e agenzie interinali fino all'esternalizzazione a cooperative sociali;
              occorre precisare che i lavoratori in questione svolgono funzioni particolari e molto delicate, che spesso attengono alla valutazione dei risultati inerenti alla programmazione degli interventi socio sanitari. Appare quantomeno discutibile che si possa giungere all'esternalizzazione di figure professionali deputate a valutazioni oggettive che, per essere tali, devono risultare scevre da qualsiasi condizionamento;
              alla luce delle norme recentemente introdotte dal decreto-legge n.  101 del 2013, che prevedono, da un lato, la possibilità di assunzione a tempo indeterminato per i lavoratori che hanno maturato negli ultimi cinque anni almeno tre anni di servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, e dall'altro, limitano il ricorso a proroghe di contratti e all'uso del lavoro flessibile nel pubblico impiego, il personale operante negli uffici di piano, spesso definita proprio mediante la proroga di tipologie contrattuali atipiche, appare destinata ad andare incontro al surreale destino di un licenziamento de facto, pur in presenza di una forte necessità del proprio operato e della disponibilità delle risorse;
              per ovviare alla problematica descritta sono state approvate recentemente diverse disposizioni in materia di gestione di funzioni e servizi in forma associata da parte dei comuni, aventi l'obiettivo di allentare i rigidi vincoli posti dal patto di stabilità interno e da altre norme di legge, che causano problematiche nella gestione e nel funzionamento dei servizi;
              con una norma, introdotta dalla legge di stabilità per l'anno 2014, (legge n.  147 del 2013) si è cercato di ridurre l'impatto negativo del patto di stabilità interno sui comuni capofila che gestiscono funzioni e servizi in forma associata. Tali comuni possono ridurre i loro obiettivi con contestuale aumento degli obiettivi dei comuni associati, attraverso apposita procedura, comunicando poi la decisione al MEF. Con una successiva norma inserita alla Camera all'articolo 20, comma 5, del decreto-legge n.  90/2014, (c.d. decreto P. A.) vengono esclusi i consorzi socio assistenziali dai limiti posti dalla legge n.  244 del 2007, che stabilivano, per le amministrazioni comunali, la possibilità di aderire ad un'unica forma associativa per la gestione di servizi e funzioni. Con la legge di stabilità in esame, all’ articolo 37, comma 3, viene perfezionato il meccanismo di riduzione degli obiettivi del patto di stabilità interno per i comuni capofila nella gestione associata di funzioni e servizi, prevedendo a tal fine la necessità di un accordo tra il comune capofila e quelli associati;
              l'effettiva incidenza delle disposizioni da ultimo citate sulla possibilità, per i comuni capofila, di assumere il personale necessario al corretto funzionamento degli uffici di piano e dunque del sistema di welfare locale, appare tuttavia incerta;
con emendamento presentato a mia prima firma alla legge di stabilità avevo chiesto al Governo che fossero escluse dal patto di stabilità interno le risorse che i comuni capofila, nell'ambito della gestione di interventi e servizi sociali in forma associata, utilizzano per l'assunzione delle figure professionali necessarie al funzionamento della struttura tecnica dei piani di zona;
              la proficua interlocuzione con l'Esecutivo ha portato all'approvazione di un emendamento del Governo e di un subemendamento del Relatore che consente ai comuni di usufruire (mediante specifica procedura) di apposita riduzione degli obiettivi inerenti il patto di stabilità interno anche tenendo conto dell'esercizio della funzione di ente capofila;
              intervenendo durante l'esame del provvedimento in commissione il Sottosegretario di Stato Pier Paolo Baretta ha confermato che gli sforzi del Governo sulla questione sono rivolti a incidere positivamente sulla attuale situazione dei lavoratori degli uffici di piano e ha assicurato altresì un approfondimento ulteriore della questione nel corso dell'esame della legge di stabilità al Senato,

impegna il Governo

a verificare l'impatto delle citate disposizioni introdotte in sede emendativa del provvedimento in esame sulla situazione dei lavoratori degli uffici di piano, valutando la possibilità di intervenire ulteriormente ed in maniera specifica sulla questione durante l'esame del provvedimento al Senato.
9/2679-bis-A/233. Piazzoni.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge 8 novembre 2000, n.  328, finalizzata a promuovere interventi sociali, assistenziali e sociosanitari volti a superare la semplice assistenza del singolo, garantendo il sostegno della persona all'interno del proprio nucleo familiare, ha cambiato profondamente il sistema dei servizi e degli interventi sociali del territorio italiano;
              parallelamente all'emanazione di detta legge ha visto la luce la legge costituzionale n.  3 del 2001, legge di riforma del Titolo V della Costituzione. Con essa i servizi sociali assumono competenza regionale, attenuando la forza riformatrice della legge n.  328 del 2000, pur rimanendo quest'ultima legge quadro di riferimento per il sistema di welfare italiano, affermatosi dunque sulla base di leggi regionali attuative. Occorre tuttavia precisare che non tutte le regioni hanno provveduto ad emanare l'apposita normativa attuativa della legge quadro citata;
              la legge n.  328 del 2000 ha messo in campo un esteso tentativo di decentramento territoriale e di redistribuzione delle responsabilità, investendo gli enti locali di un ruolo centrale, anche in virtù del principio della sussidiarietà verticale. In questo senso gli enti locali sono chiamati ad implementare forme di aggregazione intercomunale (ambiti territoriali) e a promuovere forme unitarie di organizzazione e gestione associata dei servizi in ambito distrettuale (piano di zona) attraverso accordi formali;
              nella maggioranza dei casi il governo politico di tali ambiti territoriali è identificato nel comitato o nella conferenza dei sindaci;
              per quanto riguarda il modello organizzativo e gestionale del sistema dei servizi locali, la maggioranza delle regioni ha previsto la costituzione e il funzionamento di un ufficio, rappresentativo di tutti i comuni dell'ambito territoriale, deputato all'attuazione delle linee di indirizzo formulate dal comitato dei sindaci, svolgendo funzioni di supporto tecnico dello stesso e di gestione ed implementazione dei servizi e degli interventi sociali. Tale organismo è usualmente denominato «ufficio di piano»;
              le strutture in questione svolgono un ruolo centrale nell'applicazione della legge n.  328 del 2000 come strumenti tecnici ed organizzativi per la programmazione e la gestione dell'integrazione socio sanitaria;
              i comuni dell'ambito territoriale si dotano della configurazione necessaria e sufficiente per la gestione delle funzioni di loro competenza nell'attuazione del piano di zona ed eventualmente, possono scegliere una delle diverse forme di gestione associata previste dalla legislazione vigente; nel caso diffuso di adozione della forma dell'accordo di programma, non avendo il comitato o la conferenza dei sindaci uno status giuridico riconosciuto, la gestione del piano sociale di zona ricade formalmente e contabilmente sul comune capofila, che tuttavia non usufruiva di nessuna deroga specifica ai vincoli di legge per lo svolgimento di una funzione che in realtà riguarda non il proprio territorio ma quello di un numero più o meno ampio di comuni;
              in molti casi il comune capofila non è individuato in modo stabile e definitivo da legge regionale, ma la funzione viene assunta a rotazione dai vari comuni appartenenti all'ambito territoriale;
              tutto ciò determina notevoli problemi relativamente alla gestione finanziaria dei fondi e alla gestione tecnico amministrativa dei servizi, ma soprattutto per gli operatori afferenti alla struttura tecnica;
              la situazione descritta rende infatti impossibile l'assunzione a tempo indeterminato di detto personale, sottoposto a un regime di precariato da moltissimi anni, con tipologie contrattuali utilizzate per regolamentare i rapporti di lavoro con gli operatori esterni: da contratti a tempo determinato a contratti a collaborazione coordinata e continuativa, partite iva e agenzie interinali fino all'esternalizzazione a cooperative sociali;
              occorre precisare che i lavoratori in questione svolgono funzioni particolari e molto delicate, che spesso attengono alla valutazione dei risultati inerenti alla programmazione degli interventi socio sanitari. Appare quantomeno discutibile che si possa giungere all'esternalizzazione di figure professionali deputate a valutazioni oggettive che, per essere tali, devono risultare scevre da qualsiasi condizionamento;
              alla luce delle norme recentemente introdotte dal decreto-legge n.  101 del 2013, che prevedono, da un lato, la possibilità di assunzione a tempo indeterminato per i lavoratori che hanno maturato negli ultimi cinque anni almeno tre anni di servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, e dall'altro, limitano il ricorso a proroghe di contratti e all'uso del lavoro flessibile nel pubblico impiego, il personale operante negli uffici di piano, spesso definita proprio mediante la proroga di tipologie contrattuali atipiche, appare destinata ad andare incontro al surreale destino di un licenziamento de facto, pur in presenza di una forte necessità del proprio operato e della disponibilità delle risorse;
              per ovviare alla problematica descritta sono state approvate recentemente diverse disposizioni in materia di gestione di funzioni e servizi in forma associata da parte dei comuni, aventi l'obiettivo di allentare i rigidi vincoli posti dal patto di stabilità interno e da altre norme di legge, che causano problematiche nella gestione e nel funzionamento dei servizi;
              con una norma, introdotta dalla legge di stabilità per l'anno 2014, (legge n.  147 del 2013) si è cercato di ridurre l'impatto negativo del patto di stabilità interno sui comuni capofila che gestiscono funzioni e servizi in forma associata. Tali comuni possono ridurre i loro obiettivi con contestuale aumento degli obiettivi dei comuni associati, attraverso apposita procedura, comunicando poi la decisione al MEF. Con una successiva norma inserita alla Camera all'articolo 20, comma 5, del decreto-legge n.  90/2014, (c.d. decreto P. A.) vengono esclusi i consorzi socio assistenziali dai limiti posti dalla legge n.  244 del 2007, che stabilivano, per le amministrazioni comunali, la possibilità di aderire ad un'unica forma associativa per la gestione di servizi e funzioni. Con la legge di stabilità in esame, all’ articolo 37, comma 3, viene perfezionato il meccanismo di riduzione degli obiettivi del patto di stabilità interno per i comuni capofila nella gestione associata di funzioni e servizi, prevedendo a tal fine la necessità di un accordo tra il comune capofila e quelli associati;
              l'effettiva incidenza delle disposizioni da ultimo citate sulla possibilità, per i comuni capofila, di assumere il personale necessario al corretto funzionamento degli uffici di piano e dunque del sistema di welfare locale, appare tuttavia incerta;
con emendamento presentato a mia prima firma alla legge di stabilità avevo chiesto al Governo che fossero escluse dal patto di stabilità interno le risorse che i comuni capofila, nell'ambito della gestione di interventi e servizi sociali in forma associata, utilizzano per l'assunzione delle figure professionali necessarie al funzionamento della struttura tecnica dei piani di zona;
              la proficua interlocuzione con l'Esecutivo ha portato all'approvazione di un emendamento del Governo e di un subemendamento del Relatore che consente ai comuni di usufruire (mediante specifica procedura) di apposita riduzione degli obiettivi inerenti il patto di stabilità interno anche tenendo conto dell'esercizio della funzione di ente capofila;
              intervenendo durante l'esame del provvedimento in commissione il Sottosegretario di Stato Pier Paolo Baretta ha confermato che gli sforzi del Governo sulla questione sono rivolti a incidere positivamente sulla attuale situazione dei lavoratori degli uffici di piano e ha assicurato altresì un approfondimento ulteriore della questione nel corso dell'esame della legge di stabilità al Senato,

impegna il Governo

ad intervenire sulla regolazione delle associazioni e fusioni delle amministrazioni locali in modo da eliminare le penalizzazioni oggi connesse all'esercizio della funzione di comune capofila.
9/2679-bis-A/233.    (Testo modificato nel corso della seduta)     Piazzoni.


      La Camera,
          premesso che:
              la Conferenza Europea della Gioventù, tenutasi ad ottobre ultimo scorso, all'interno del Semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, è stato il primo evento interamente dedicato alle politiche giovanili che ha coinvolto tutti i delegati dei 28 Paesi dell'UE;
              il tema della Conferenza della Gioventù è il supporto all'accesso ai diritti da parte dei giovani per migliorare la loro autonomia e partecipazione alla vita sociale, perseguendo due obiettivi: analizzare l'attuale situazione dell'accesso dei giovani ai diritti, in funzione dell'accrescimento della loro autonomia e consentire alle organizzazioni giovanili e alle delegazioni ministeriali di concordare il quadro di interventi futuri per accrescere la partecipazione politica dei giovani;
              fare politiche per la gioventù significa sviluppare insieme capitale civico, capitale umano, capitale territoriale e gli attori di tali politiche devono essere partnership articolate, complesse e adeguate piuttosto che singole organizzazioni o gruppi, per razionalizzare la spesa, aumentarne l'efficacia, ridurne la dispersione, migliorarne la verificabilità e la sostenibilità e, insieme, sviluppare capacità di lavorare insieme;
              nel 2006 è stato istituito ai sensi ai sensi dell'articolo 19, comma 2, del decreto-legge 223/2006, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Fondo Nazionale per le Politiche giovanili;
              tale fondo ha lo scopo di promuovere il diritto dei giovani alla formazione culturale e professionale e all'inserimento nella vita sociale, anche attraverso interventi volti ad agevolare la realizzazione del diritto dei giovani all'abitazione, nonché per facilitare l'accesso al credito per l'acquisto e l'utilizzo di beni e servizi ed è destinato a finanziare azioni e progetti di rilevante interesse nazionale, nonché le azioni ed i progetti destinati al territorio, individuati di intesa con le regioni e gli Enti Locali;
              nell'aprile 2013 la Corte dei Conti, analizzando l'impiego delle risorse del Fondo Nazionale per le Politiche Giovanili, ha dettagliatamente e severamente giudicato la dispersione di risorse in iniziative con impatto insoddisfacente, individuando nella mancanza di sistematicità il principale fattore di debolezza,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, attraverso futuri provvedimenti, di promuovere un Piano Nazionale per la Gioventù e lo Sviluppo del Paese che programmi interventi a favore della popolazione giovanile, applicando il metodo del dialogo strutturato, come definito dall'Unione Europea, con i giovani, le loro rappresentanze e le organizzazioni attive sul piano nazionale, per permettere ai giovani stessi di essere parte creativa e proponente dell'intero processo.
9/2679-bis-A/234. Lavagno.


      La Camera,
          premesso che:
              la riforma Fornero, nell'innalzare l'età pensionabile, non ha tenuto conto della specificità del comparto scuola, per il quale, per esigenze didattiche, l'anno inizia il 1o settembre e si conclude il 31 agosto dell'anno successivo;
              per effetto di questo sfasamento, il personale docente non è potuto mettersi a riposo secondo il vecchio regime, pur avendo maturato i requisiti pensionistici entro l'anno scolastico 2011/2012, così come stabilito dall'articolo comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n.  449;
              la platea reale dei lavoratori coinvolti, inizialmente stimata in 4.000 unità, si sarebbe ulteriormente assottigliata negli ultimi due anni. Molti, infatti, sono andati in pensione avendo raggiunto i requisiti contributivi richiesti dalla riforma Fornero. Inoltre, almeno 780 lavoratori della scuola su 2500 hanno usufruito della deroga alla legge Fornero per coloro che avessero goduto di permessi per l'articolo 33, comma 3 della Legge 104 del 1992; recentemente è stata inoltre approvata la VI salvaguardia («Modifiche alla disciplina dei requisiti per la fruizione delle deroghe riguardanti l'accesso al trattamento pensionistico»), cui concorreranno anche i lavoratori della scuola, in misura di circa 300;
              il 17 aprile 2014 la Camera dei deputati ha approvato una risoluzione di approvazione del documento di economia e finanza che impegna il Governo «a provvedere per quanto riguarda la riforma del sistema previdenziale, alla soluzione del problema degli “esodati” e, per il settore della scuola, dei lavoratori cosiddetti “Quota 96”», con l'impegno di addivenire ad un rapida soluzione del problema che a tutt'oggi non è pervenuta;
              in sede di conversione del decreto-legge n.  90 del 2014, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari, alla Camera dei deputati in prima lettura era stata introdotta una norma concernente il ricambio generazionale nella scuola, la quale prevedeva – modificando l'articolo 24, comma 14, del decreto-legge 201/2011 – che le disposizioni previgenti alla riforma pensionistica del 2011 in materia di requisiti di accesso al sistema previdenziale continuino ad applicarsi anche al personale della scuola che abbia maturato i requisiti entro l'anno scolastico 2011/2012, secondo quanto disposto dall'articolo 59, comma 9, della legge 449/1997 (cosiddetta quota 96). Tale norma è stata soppressa al Senato;
              in data 7 agosto 2014, il Governo ha accolto un ordine del giorno che lo impegnava a reperire le risorse finanziarie necessarie al fine di consentire il collocamento in quiescenza del personale della scuola che abbia maturato i requisiti entro l'anno scolastico 2011-2012;
              sulla questione hanno assunto più volte posizione sia il Governo che numerosi parlamentari, tutti concordi sul fatto che «quota 96» vada risolta;
              in sede di esame della legge di stabilità erano stati presentati diversi emendamenti volti a trovare una soluzione definitiva, ma in commissione bilancio sono stati bocciati, in quanto non è stato possibile reperire le necessarie risorse finanziarie occorrenti alla copertura dei relativi oneri;
              il Governo ha ritenuto che la Legge di Stabilità non fosse la sede adatta a risolvere il problema e che la «soluzione arriverà con la riforma “La buona scuola”»,

impegna il Governo

a risolvere in via definitiva tale questione nel quadro della realizzazione del più ampio progetto di riforma contenuto nel piano «La buona scuola».
9/2679-bis-A/235. Di Salvo, Ghizzoni, Incerti, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 9 della Costituzione italiana promuove lo sviluppo della ricerca scientifica;
              la strategia dell'Unione europea per una crescita «intelligente, sostenibile e inclusiva» proposta dalla Commissione europea con la Comunicazione, adottata dal Consiglio europeo del 25 e 26 marzo 2010, sia concentrata sui settori principali di intervento ovvero: conoscenza e innovazione al fine di realizzare un'economia più sostenibile con un più alto tasso di occupazione e inclusione sociale;
              il medesimo Consiglio ha concordato tra gli obiettivi comuni che guidano l'azione degli Stati membri e dell'Unione il miglioramento le condizioni per la ricerca e lo sviluppo, in particolare allo scopo di portare al 3 per cento del PIL i livelli d'investimento pubblico e privato combinati in tale settore;
              la disciplina dei nuovi regolamenti UE relativi ai fondi strutturali e di investimento europei (SIE) per il periodo di programmazione 2014-2020 conferma e rilancia la strategia Europa 2020;
              l'Accordo di partenariato 2014-2020 per l'impiego dei fondi SIE è stato adottato il 29 ottobre 2014 dalla Commissione europea a chiusura del negoziato formale;
              il programma operativo nazionale «Sperimentazione di politiche attive per l'occupazione» (di seguito PON SPAO) è stato inviato in questi giorni alla Commissione europea e in approvazione, avendo apportato le modifiche richieste;
              l'ISFOL – Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori – è ente nazionale di ricerca principalmente nel campo della formazione, del lavoro e delle politiche sociali, fornisce supporto tecnico-scientifico allo Stato, alle regioni e agli Enti locali e fa parte del Sistema Statistico Nazionale (Sistan) collaborando con organismi e istituzioni comunitarie;
              circa 260 unità di personale sono con il contratto in scadenza il 31 dicembre 2014;
              il decreto-legge 66/2014 (Legge di conversione 23 giugno 2014, n.  89) all'articolo 14 comma 4-bis espressamente consente proroghe per il comparto ricerca a valere sulla programmazione dei fondi strutturali dell'UE;
              il quadro normativo esistente e lo stesso accordo di partenariato 2014-2020 per l'utilizzo dei fondi strutturali richiedono consistenti attività di monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro che l'Istituto, quale ente pubblico di ricerca, deve poter svolgere in piena autonomia;
              la salvaguardia del ruolo dell'ISFOL può contribuire in maniera determinante e strategica al rilancio del sistema Paese;
              le risorse stanziate a valere sulla programmazione FSE 2014-2020, in particolar modo sul PON SPAO consentono la copertura finanziaria del contratto per tutta la durata della programmazione per tutti i suddetti dipendenti a tempo determinato,

impegna il Governo:

          a prorogare urgentemente al 31 dicembre 2020 i contratti del personale a tempo determinato in scadenza il 31 dicembre 2014, garantendo quindi la continuità contrattuale, utilizzando le risorse del PON SPAO a titolarità del Ministero del Lavoro e di imminente approvazione da parte della Commissione europea;
          a rilanciare le attività dell'Isfol, assicurandone piena autonomia quale ente pubblico di ricerca, nell'ambito del settore strategico delle politiche del lavoro, della formazione e dell'inclusione sociale.
9/2679-bis-A/236. Miccoli, Albanella, Boccuzzi, Dell'Aringa, Gnecchi, Giacobbe, Gribaudo, Maestri, Martelli, Simoni.


      La Camera,
          premesso che:
              nel 2009 è stata introdotta in via sperimentale l'indennità cosiddetta «una tantum» (con le integrazioni dell'articolo 7-ter della legge n.  33 del 2009, successivamente modificata dalla legge finanziaria 2010 (legge n.  191 del 2009) ed infine ridefinita dalla legge n.  92 del 2012 e dalla legge di stabilità (legge n.  228 del 2012), volta, almeno nelle intenzioni, a colmare una gravissima lacuna del sistema di protezione sociale: la vigente esclusione dal sistema di tutela della disoccupazione proprio dei soggetti più esposti alla disoccupazione ovvero i c.d. parasubordinati, lavoratori più precari tra i precari;
              questa indennità è stata scarsamente efficace a causa dei requisiti restrittivi previsti dalla normativa; nei fatti, a fronte di un ammontare di risorse stanziate pari a euro 200.000.000,00 a cui vanno ad aggiungersi sulla base di quanto disposto dall'articolo 2, comma 56, legge 28 giugno 2012, n.  92, euro 60.000.000,00 in ragione d'anno per gli anni 2013, 2014 e 2015, risulta da dati INPS che al 31 marzo 2013, le risorse finanziarie residue erano pari a euro 126.079.838,24 per un ammontare di risorse erogate nel periodo 2009-2012 pari ad euro 73.920.161,76. Al 31 marzo 2013 su 70.016 domande acquisite solo 26.587 erano quelle liquidate (il 37 per cento del totale);
              le richieste risarcitorie di alcune sedi territoriali dell'INPS per le somme erogate negli anni 2009/2010 ammontano, mediamente, a 4.000 euro circa;
              solo con circolare la n.  38 del 14 marzo 2013 l'istituto previdenziale ha precisato l'esclusione di questi lavoratori;
              in data 3 ottobre, lo stesso istituto interveniva annunciando con pubblica nota di voler «sospendere tutte le note di addebito già inviate e di bloccare i nuovi invii, in attesa di un riesame complessivo della normativa, che sarà oggetto di un confronto con i ministeri competenti»;
              nella logica dell'autotutela la P.A. ha il dovere di prevenire danni, costi e/o mancati introiti: costi procedurali e giudiziari che potrebbero seguire l'impossibilità di recupero delle somme indebite;
              in caso di eventuale ricorso al giudice competente, sia esso nazionale che della U.E, da parte dei citati lavoratori, per reiterata disparità giuridica, s'instaurerebbe ai sensi dell'articolo 105 del Codice di procedura civile, la facoltà della Presidenza del Consiglio dei ministri d'intervenire nel processo, sopportando parte degli oneri derivanti dalla eventuale soccombenza;
              tra i soggetti coinvolti vi sono stati e vi sono, lavoratori che versano in condizione di disoccupazione a seguito della conclusione di un assegno di ricerca, del dottorato o del contratto di collaborazione e che, in molti casi, si trovano tuttora senza lavoro, quindi non economicamente in grado di sanare la propria posizione;
              il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale con la sentenza n.  293 del 04/02/08 ha stabilito che se da un lato v’è in capo all'Amministrazione «solo l'obbligo di procedere al recupero», dall'altro ciò deve avvenire «con modalità tali da non incidere significativamente sulle esigenze di vita del debitore»;
              dal punto di vista strettamente giuridico si tratta di somme percepite in buona fede, salvo prova contraria difficilmente sostenibile, e che tali somme possono essere restituite senza aggravi e in modo rateizzato;
              dal punto di vista etico la riparazione dell'errore, da chiunque commesso, (quindi anche dallo Stato – INPS), deve comportare, comunque, un onere da parte di chi lo ha commesso,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di concedere ai lavoratori – di cui all'articolo 2, comma 26, legge n.  335 del 1995, titolari di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, di un assegno di ricerca e di una borsa per dottorato di ricerca, che per gli anni 2009, 2010, 2011 e 2012 hanno ricevuto il pagamento da parte dell'INPS della prestazione di cui all'articolo 19, comma 2, del decreto legge 29 novembre 2008, n.  185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n.  2 e successive modificazioni – di decadere dall'obbligo di ripetizione dell'indebito ai sensi dell'articolo 2033 del codice civile. Agli oneri di cui al presente comma si provvede a valere sulle risorse residue di cui all'articolo 19, comma 2-bis, del decreto legge 29 novembre 2008, n.  185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n.  2 e successive modificazioni.
9/2679-bis-A/237. Martelli, Miccoli, Albanella, Boccuzzi, Dell'Aringa, Gnecchi, Giacobbe, Gribaudo, Maestri, Simoni.


      La Camera,
          premesso che:
              il Comitato Olimpico Nazionale Italiano è un Ente di diritto pubblico posto sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri;
              al CONI è affidata l'organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale, ed in particolare la preparazione degli atleti e l'approntamento dei mezzi idonei per le Olimpiadi e per tutte le altre manifestazioni sportive nazionali e internazionali, la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, nonché la promozione della massima diffusione della pratica sportiva, sia per i normodotati che, di concerto con il Comitato italiano paralimpico, per i disabili. Il CONI, inoltre, deve assumere e promuovere le opportune iniziative contro ogni forma di discriminazione e di violenza nello sport;
              la delega che lo Stato affida al CONI va ben oltre i compiti che il Comitato Olimpico Internazionale affida ai Comitati Olimpici Nazionali, comprendendo una funzione di promozione generale dell'attività sportiva con specifica attenzione alle condizioni di salute dei praticanti, al compito di inclusione sociale che si attribuisce allo sport;
              il Governo ha più volte sottolineato, in ultimo in margine al Forum informale dei ministri dello Sport dell'Unione europea, presieduto dal Sottosegretario Delrio per conto della presidenza Italiana del Semestre, la centralità della funzione sociale dello sport, in ordine alle potenzialità dell'attività sportiva come strumento di prevenzione sanitaria, di inclusione sociale e di dialogo interculturale, di diffusione di sani stili di vita, di promozione di socialità anche nei tessuti urbani più disgregati, di animazione territoriale e riqualificazione urbana, di costruzione di occasioni di lavoro qualificato, soprattutto per i giovani;
              la diffusione dell'attività sportiva in Italia, dopo un forte incremento negli ultimi anni del secolo scorso, si è stabilizzata lasciando un tasso di sedentarietà assoluta, 41 per cento della popolazione, fra i più alti d'Europa, con gravi ricadute sulla salute della popolazione, soprattutto in età giovanile e in età avanzata;
              nonostante questo dato non vi sia stato, da parte dello Stato, un investimento rilevante sulla diffusione della pratica sportiva, che l'educazione fisica nella scuola dell'obbligo sia ben sotto gli standard orari europei, che i programmi di prevenzione sanitaria attraverso lo sport siano in fase pressoché pionieristica, che i progetti sportivi di rilevanza sociale siano proposti e realizzati dall'associazionismo sportivo con il limite del reperimento incostante e frammentato sul territorio delle risorse per l'autofinanziamento;
              nel testo della legge di stabilità 2015 il Governo ha proposto una sostanziale conferma del finanziamento erogato al CONI che ammonta a 407 milioni di euro;
              il Presidente del CONI Giovanni Malagò ha più volte manifestato il suo orientamento a mobilitare il mondo sportivo per le finalità di carattere sociale indicate come prioritarie dal Governo e dallo stesso CONI;
              occorrerà definire un rinnovato quadro normativo che sostenga questo obiettivo con interventi sul finanziamento, sulla programmazione, sulla governance del sistema delle politiche pubbliche nel campo dello sport e sulla valorizzazione degli organismi (in particolare federazioni sportive, enti di promozione, associazionismo sportivo)che lo organizzano sul territorio del Paese,

impegna il Governo:

          a condividere, attraverso un documento d'indirizzo con la presidenza del consiglio dei ministri, sentite le commissioni consiliari competenti, con il Comitato Olimpico Nazionale Italiano e con altri soggetti che percepiscano finanziamenti pubblici da impegnare nel campo dello sport, gli indirizzi e le priorità di utilità sociale dello sport portati avanti nell'esercizio delle proprie funzioni;
          a richiedere al CONI e agli altri soggetti che percepiscano finanziamenti pubblici nel campo dello sport, una relazione sull'attività operata al fine di corrispondere agli obiettivi e alle priorità di utilità sociale condivisi col Governo e sui risultati in questo senso raggiunti;
          a verificare la possibilità di dotare il CONI di un finanziamento straordinario, che consenta di potenziare le iniziative sportive inerenti le priorità di utilità sociale dello sport svolte da federazioni sportive, discipline associate, enti di promozione sportiva.
9/2679-bis-A/238. Fossati, Miotto.


      La Camera,
          premesso che:
              il Comitato Olimpico Nazionale Italiano è un Ente di diritto pubblico posto sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri;
              al CONI è affidata l'organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale, ed in particolare la preparazione degli atleti e l'approntamento dei mezzi idonei per le Olimpiadi e per tutte le altre manifestazioni sportive nazionali e internazionali, la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, nonché la promozione della massima diffusione della pratica sportiva, sia per i normodotati che, di concerto con il Comitato italiano paralimpico, per i disabili. Il CONI, inoltre, deve assumere e promuovere le opportune iniziative contro ogni forma di discriminazione e di violenza nello sport;
              la delega che lo Stato affida al CONI va ben oltre i compiti che il Comitato Olimpico Internazionale affida ai Comitati Olimpici Nazionali, comprendendo una funzione di promozione generale dell'attività sportiva con specifica attenzione alle condizioni di salute dei praticanti, al compito di inclusione sociale che si attribuisce allo sport;
              il Governo ha più volte sottolineato, in ultimo in margine al Forum informale dei ministri dello Sport dell'Unione europea, presieduto dal Sottosegretario Delrio per conto della presidenza Italiana del Semestre, la centralità della funzione sociale dello sport, in ordine alle potenzialità dell'attività sportiva come strumento di prevenzione sanitaria, di inclusione sociale e di dialogo interculturale, di diffusione di sani stili di vita, di promozione di socialità anche nei tessuti urbani più disgregati, di animazione territoriale e riqualificazione urbana, di costruzione di occasioni di lavoro qualificato, soprattutto per i giovani;
              la diffusione dell'attività sportiva in Italia, dopo un forte incremento negli ultimi anni del secolo scorso, si è stabilizzata lasciando un tasso di sedentarietà assoluta, 41 per cento della popolazione, fra i più alti d'Europa, con gravi ricadute sulla salute della popolazione, soprattutto in età giovanile e in età avanzata;
              nonostante questo dato non vi sia stato, da parte dello Stato, un investimento rilevante sulla diffusione della pratica sportiva, che l'educazione fisica nella scuola dell'obbligo sia ben sotto gli standard orari europei, che i programmi di prevenzione sanitaria attraverso lo sport siano in fase pressoché pionieristica, che i progetti sportivi di rilevanza sociale siano proposti e realizzati dall'associazionismo sportivo con il limite del reperimento incostante e frammentato sul territorio delle risorse per l'autofinanziamento;
              nel testo della legge di stabilità 2015 il Governo ha proposto una sostanziale conferma del finanziamento erogato al CONI che ammonta a 407 milioni di euro;
              il Presidente del CONI Giovanni Malagò ha più volte manifestato il suo orientamento a mobilitare il mondo sportivo per le finalità di carattere sociale indicate come prioritarie dal Governo e dallo stesso CONI;
              occorrerà definire un rinnovato quadro normativo che sostenga questo obiettivo con interventi sul finanziamento, sulla programmazione, sulla governance del sistema delle politiche pubbliche nel campo dello sport e sulla valorizzazione degli organismi (in particolare federazioni sportive, enti di promozione, associazionismo sportivo)che lo organizzano sul territorio del Paese,

impegna il Governo:

          a condividere, attraverso un documento d'indirizzo con la presidenza del consiglio dei ministri, sentite le commissioni consiliari competenti, con il Comitato Olimpico Nazionale Italiano e con altri soggetti che percepiscano finanziamenti pubblici da impegnare nel campo dello sport, gli indirizzi e le priorità di utilità sociale dello sport portati avanti nell'esercizio delle proprie funzioni;
          a richiedere al CONI e agli altri soggetti che percepiscano finanziamenti pubblici nel campo dello sport, una relazione sull'attività operata al fine di corrispondere agli obiettivi e alle priorità di utilità sociale condivisi col Governo e sui risultati in questo senso raggiunti;
          a verificare, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, la possibilità di dotare il CONI di un finanziamento straordinario, che consenta di potenziare le iniziative sportive inerenti le priorità di utilità sociale dello sport svolte da federazioni sportive, discipline associate, enti di promozione sportiva.
9/2679-bis-A/238.    (Testo modificato nel corso della seduta) Fossati, Miotto.


      La Camera,
          premesso che:
              l'adozione internazionale è un percorso di genitorialità molto sentito, tanto che l'Italia risulta essere il secondo Paese per numero di adozioni, rendendoci un paese accogliente nei confronti dei minori stranieri;
              questa scelta ha coinvolto dal 2000 quasi 34.000 coppie che hanno concluso il loro iter adottive e più di 2.000 famiglie stanno ancora in attesa di concludere il loro percorso;
              in data 14 luglio 2014 la Camera dei deputati ha presentato una mozione, approvata dalla stessa Aula, in cui impegna il Governo a dare maggiore attenzione al mondo delle adozioni internazionali, con particolare focus al sostegno economiche delle famiglie che hanno deciso di affrontare questo percorso;
              sempre nella stessa mozione si rileva che «proprio per far fronte agli elevati costi, nel 2005 è stato istituito un “Fondo di sostegno delle adozioni internazionali”, finalizzato al rimborso di parte delle spese sostenute per l'adozione di un bambino straniero nel corso dell'anno precedente, le cui funzioni sono state successivamente assorbite dal Fondo per le politiche della famiglia, istituito dall'articolo 19, comma 1, del decreto-legge n.  223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  248 del 2006, destinato a finanziare anche il sostegno delle adozioni internazionali»;
              vista la lettera inviata dal Sottosegretario On.  Graziano Delrio, in occasione di un convegno sulle adozioni internazionali in data 13 novembre 2014, alla dottoressa Silvia Della Monica, Presidente della Commissione Adozioni Internazionali, in cui ribadisce la «grande attenzione che il Governo riserva alle adozioni internazionali testimoniata a partire dalla scelta del Presidente del Consiglio di tenere direttamente su di se la responsabilità politica delle adozioni [...]» che si conclude con l'impegno da parte del Governo a sostenere economicamente queste famiglie,

impegna il Governo

non solo a e promuovere la cultura delle adozioni come parte di una rinnovata politica del Terzo settore ma anche a predispone risorse finanziarie adeguate per un sostegno economico alle famiglie che intraprendono il percorso adottivo al fine di porre fine alla sperequazione economica esistente tra adozione internazionale – con costi interamente a carico delle famiglie – e le altre forme di genitorialità con costi assorbiti dal sistema sanitario nazionale.
9/2679-bis-A/239. Patriarca, Capone, Casati, D'Incecco, Carnevali, Beni, Albini, Piazzoni, Piccione, Amato, Amoddio, Antezza, Miotto.


      La Camera,
          premesso che:
              l'adozione internazionale è un percorso di genitorialità molto sentito, tanto che l'Italia risulta essere il secondo Paese per numero di adozioni, rendendoci un paese accogliente nei confronti dei minori stranieri;
              questa scelta ha coinvolto dal 2000 quasi 34.000 coppie che hanno concluso il loro iter adottive e più di 2.000 famiglie stanno ancora in attesa di concludere il loro percorso;
              in data 14 luglio 2014 la Camera dei deputati ha presentato una mozione, approvata dalla stessa Aula, in cui impegna il Governo a dare maggiore attenzione al mondo delle adozioni internazionali, con particolare focus al sostegno economiche delle famiglie che hanno deciso di affrontare questo percorso;
              sempre nella stessa mozione si rileva che «proprio per far fronte agli elevati costi, nel 2005 è stato istituito un “Fondo di sostegno delle adozioni internazionali”, finalizzato al rimborso di parte delle spese sostenute per l'adozione di un bambino straniero nel corso dell'anno precedente, le cui funzioni sono state successivamente assorbite dal Fondo per le politiche della famiglia, istituito dall'articolo 19, comma 1, del decreto-legge n.  223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  248 del 2006, destinato a finanziare anche il sostegno delle adozioni internazionali»;
              vista la lettera inviata dal Sottosegretario On.  Graziano Delrio, in occasione di un convegno sulle adozioni internazionali in data 13 novembre 2014, alla dottoressa Silvia Della Monica, Presidente della Commissione Adozioni Internazionali, in cui ribadisce la «grande attenzione che il Governo riserva alle adozioni internazionali testimoniata a partire dalla scelta del Presidente del Consiglio di tenere direttamente su di se la responsabilità politica delle adozioni [...]» che si conclude con l'impegno da parte del Governo a sostenere economicamente queste famiglie,

impegna il Governo

non solo a e promuovere la cultura delle adozioni come parte di una rinnovata politica del Terzo settore ma anche a valutare l'opportunità di predisporre risorse finanziarie adeguate per un sostegno economico alle famiglie che intraprendono il percorso adottivo al fine di porre fine alla sperequazione economica esistente tra adozione internazionale – con costi interamente a carico delle famiglie – e le altre forme di genitorialità con costi assorbiti dal sistema sanitario nazionale.
9/2679-bis-A/239.    (Testo modificato nel corso della seduta) Patriarca, Capone, Casati, D'Incecco, Carnevali, Beni, Albini, Piazzoni, Piccione, Amato, Antezza, Amoddio, Miotto.


      La Camera,
          premesso che:
              secondo gli ultimi dati Istat pubblicati a luglio 2014 risulta che: nel 2013, il 12,6 per cento delle famiglie è in condizione di povertà relativa (per un totale di 3 milioni 230 mila) e il 7,9 per cento lo è in termini assoluti (2 milioni 28 mila). Le persone in povertà relativa sono il 16,6 per cento della popolazione (10 milioni 48 mila persone), quelle in povertà assoluta il 9,9 per cento (6 milioni 20 mila);
              tra il 2012 e il 2013 l'incidenza di povertà assoluta è aumentata dal 6,8 per cento al 7,9 per cento (per effetto dell'aumento nel Mezzogiorno, dal 9,8 al 12,6 per cento), coinvolgendo circa 303 mila famiglie e 1 milione 206 mila persone in più rispetto all'anno precedente;
              la povertà assoluta aumenta tra le famiglie con tre (dal 6,6 all'8,3 per cento), quattro (dall'8,3 all'11,8 per cento) e cinque o più componenti (dal 17,2 al 22,1 per cento). Peggiora la condizione delle coppie con figli: dal 5,9 al 7,5 per cento se il figlio è uno solo, dal 7,8 al 10,9 per cento se sono due e dal 16,2 al 21,3 per cento se i figli sono tre o più, soprattutto se almeno un figlio è minore. Nel 2013, 1 milione 434 mila minori sono poveri in termini assoluti (erano 1 milione 58 mila nel 2012);
              nel Mezzogiorno, all'aumento dell'incidenza della povertà assoluta (circa 725 mila poveri in più, arrivando a 3 milioni 72 mila persone), si accompagna un aumento dell'intensità della povertà relativa, dal 21,4 al 23,5 per cento;
              a fronte di un quadro così drammatico sarebbe stato necessario avviare una politica organica di lotta alla povertà mentre, i provvedimenti fino ad ora attuati, come il bonus gas, il bonus per l'energia elettrica, i contributi per gli affitti, i libri scolastici gratuiti, l'assegno per la maternità, l'assegno per il nucleo familiare dai terzo figlio, pur se meritevoli sono risultati settoriali;
              gli unici provvedimenti di lotta alla povertà ed integrazione dei reddito messi in atto fino ad ora sono stati l'istituzione della social card ordinaria, con l'articolo 81, comma 29 e seguenti, del decreto-legge n.  112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  133 del 2008, rivolta a cittadini italiani di età pari o superiore a 65 anni o minori di 3 anni, che versano in condizione di maggior disagio economico per l'acquisto di beni e servizi e la social card sperimentale, denominata Sostegno per l'inclusione attiva (SIA), con l'articolo 60 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n.  5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n.  35, nei comuni con più di 250.000 abitanti (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia, Verona) al fine di favorirne la diffusione tra le fasce di popolazione in condizione di maggior bisogno al fine di poterne valutare la possibile estensione su tutto il territorio nazionale come strumento di contrasto alla povertà assoluta. Misura questa estesa non solo ai cittadini comunitari o quelli in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornati di lungo periodo ma anche ai territori delle regioni del Mezzogiorno non coperti dalla precedente sperimentazione;
              in data 26 novembre u.s. i dati forniti da Ministro del lavoro e delle politiche sociali in seguito alla risposta all'atto di sindacato ispettivo n.  5-03888 evidenziavano come quest'ultima misura avesse riguardato più di 6500 nuclei familiari, corrispondenti a 27.000 persone,

impegna il Governo:

          ad adottare politiche tali da incentivare il ruolo del terzo settore nella co-progettualità delle nuove iniziative locali contro la povertà, utilizzando la rete del terzo settore per avvicinare le persone emarginate che altrimenti continuerebbero a non essere raggiunte dalle misure economiche e d'inserimento sociale nonché al fine di poter offrire una maggiore qualità e capillarità dei servizi;
          ad individuare ulteriori risorse economiche volte ad estendere l'utilizzo della social card sperimentale o SIA, secondo una programmazione condivisa con le singole regioni;
          a creare una strategia integrata che garantisca una interazione positiva delle politiche economiche, sociali e dell'occupazione, promuovendo la qualità dell'occupazione, della politica sociale e delle relazioni industriali, consentendo così il miglioramento del capitale umano e sociale.
9/2679-bis-A/240. Lenzi, Capone, Argentin, Casati, D'Incecco, Carnevali, Beni, Albini, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Amato, Amoddio, Miotto.


      La Camera,
          premesso che:
              da alcuni mesi si attende la possibilità per i malati di epatite C di poter accedere alle terapie che risultano molto efficaci fino a percentuali altissime di guarigione, mediante un farmaco (sofosbuvir – Sovaldi) che ha superato il vaglio di tutte le autorità di regolazione, Aifa compresa, ma che non è a disposizione delle strutture del Servizio sanitario nazionale, eccetto che per le poche centinaia di casi trattati per uso compassionevole;
              nonostante le pressanti richieste dei malati e delle associazioni che li rappresentano ed i ripetuti atti di sindacato ispettivo che sono stati formalizzati, non è stato ancora emanato il decreto ministeriale che autorizza la somministrazione della terapia a carico del servizio sanitario nazionale;
              si tratta di un farmaco salvavita che ha un costo elevato e che dovrebbe essere assicurato a circa 20.000 pazienti in via prioritaria ed urgente, ma che si stima debba essere garantito in futuro, a circa 400.000 persone alle quali la malattia è stata diagnosticata;
              a seguito dell'impegno ripetuto dagli organi ministeriali nei mesi scorsi in ordine alla predisposizione di un apposito fondo per far fronte alla fornitura di tali onerosissimi farmaci a coloro che con ansia attendono di poterci accedere, come avviene in altri paesi europei e non, la presente legge di stabilità non ha affrontato la questione che perciò è stata sollevata con apposito emendamento – n.  39.41 – ritirato in sede di esame nella Commissione Bilancio;
              la questione assume caratteristiche di grande urgenza anche perché ogni ritardo moltiplica i costi umani e sociali per i malati di epatite C che invece potendo accedere alla cura potrebbero nella maggioranza dei casi evitare il trapianto e guarire;

impegna il Governo

a disporre nei successivi passaggi parlamentari della presente legge di stabilità per il 2015, apposito finanziamento per consentire l'accesso ai farmaci innovativi per la cura dell'epatite C ai malati che ne abbisognano.
9/2679-bis-A/241. Miotto, Casati, D'Incecco, Carnevali, Beni, Albini, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              il numero di persone in difficoltà in Italia è in continuo aumento e, nel documento «La povertà in Italia» presentato lo scorso 14 luglio l'Istat ha dichiarato che nel 2013 6 milioni 20 mila persone sono in stato di povertà assoluta (quasi il 10 per cento della popolazione italiana !) tra cui 1 milione 434 mila minori e 888 mila anziani;
              il dato impressionante è che le persone in povertà assoluta sono aumentate di circa 2,6 milioni in due anni, dal 2011 al 2013, in particolare nel Mezzogiorno;
              in Italia oltre 4.000.000 di persone soffrono la fame, in quanto sono sotto la soglia della povertà alimentare e il numero degli indigenti alimentari è in continuo aumento. Tra questi il 10 per cento sono bambini con meno di 5 anni di età e il 14 per cento sono persone con più di 65 anni;
              tutte queste persone vengono sostenute da circa 15.000 Strutture caritative, che distribuiscono pacchi alimentari ed erogano pasti caldi;
              com’è noto, il decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  134, ha istituito, all'articolo 58, il fondo per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti;
              la legge di stabilità 2014 (legge 147/2013) ha finanziato con 10 milioni di euro, il Fondo destinato a finanziare programmi annuali di distribuzione di derrate alimentari agli indigenti, istituito presso l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura – AGEA. Sono state inoltre introdotte norme sulla raccolta e distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari da parte delle ONLUS e degli operatori del settore alimentare, prevedendo che i soggetti indicati debbano garantire un corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti, ciascuno per la parte di competenza (commi 236-239);
              nel provvedimento in esame sono stati stanziati 5 milioni di euro per il fondo per la distribuzione delle derrate alimentari;
              tale stanziamento è insufficiente a far fronte ai bisogni alimentari di quel oltre 4.000.000 di persone che in Italia soffrono la fame:

impegna il Governo

ad individuare ulteriori risorse finanziarie volte ad ampliare ulteriormente gli stanziamenti già previsti, ripristinando per quanto possibile almeno le condizioni già previste nella legge di stabilità.
9/2679-bis-A/242. Capone, Casati, D'Incecco, Carnevali, Beni, Albini, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Amato, Miotto.


      La Camera,
          premesso che:
              la piena partecipazione delle persone con disabilità alla società e all'economia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva è uno dei punti chiave della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (2000) e una delle priorità stabilite nella Strategia Europea sulla disabilità 2010-2020;
              la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2007 si basa sul principio dell'accessibilità come prerequisito per consentire di godere pienamente dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sottolineando in particolare il diritto dell'accesso ai saperi;
              l'Agenda digitale europea (Pilastro VI, Azione 65) e la Strategia Italiana per l'Agenda Digitale (punto A.2.3 Competenze digitali e inclusione) hanno tra i loro obiettivi primari la realizzazione di una piena cittadinanza digitale costruendo le condizioni per l'uguaglianza delle opportunità di accesso ai contenuti digitali, con particolare riferimento ai libri;
              sul tema l'Italia è leader a livello internazionale, grazie agli investimenti fatti dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che hanno consentito la realizzazione di infrastrutture considerate tra le più avanzate a livello internazionale, come riconosciuto, tra gli altri, dalle agenzie ONU che si occupano di ICT e disabilità (G3ICT) e di proprietà intellettuale (OMPI), dalla Commissione e dal Parlamento europeo, dalle associazioni degli editori europea (FEP) e internazionale (IPA), dal Book Industry Study Group statunitense (BISG) e soprattutto dal Daisy Consortium, il principale organismo internazionale che si occupa di accessibilità per i non vedenti;
              la Francia, la Germania e il Belgio si stanno attivando per adottare misure che vanno nella stessa direzione, mentre negli USA è stato siglato un accordo tra le associazioni di editori e di non vedenti per realizzare un servizio analogo a quello già in opera in Italia entro il 2016;
              in precedenza il fondo destinato ai contributi per rendere accessibili i testi era di importo pari a 3 milioni di euro annui per la produzione di poche centinaia di titoli, mentre gli investimenti realizzati e l'uso delle tecnologie consentono di investire risorse dieci volte minori per ottenere risultati molto maggiori, con un guadagno di produttività di almeno 35 volte;
              per mantenere questi vantaggi di produttività è necessario dare continuità all'utilizzo delle infrastrutture create così da valorizzare gli investimenti fatti e razionalizzare la spesa pubblica in questo ambito;

impegna il Governo

          ad assumere le opportune misure per la realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale europea (Pilastro VI, Azione 65) e della Strategia Italiana per l'Agenda Digitale (punto A.2.3 Competenze digitali e inclusione) di piena inclusione dei disabili e di pari opportunità di accesso ai libri digitali;
          a valutare, in particolare, l'opportunità di destinare un contributo a favore di un soggetto non a fini di lucro che presenti un piano almeno triennale di attività volte a facilitare la produzione diretta di libri accessibili per i disabili visivi da parte degli editori, fornendo tutte le garanzie per il migliore uso delle risorse erogate, vincolando il soggetto proponente a compartecipare agli investimenti e legando l'erogazione dei fondi al raggiungimento di risultati facilmente misurabili in termini di numero di libri resi accessibili.
9/2679-bis-A/243. D'Incecco, Casati, Capone, Beni, Casati, Albini, Patriarca, Argentin, Piazzoni, Piccione, Amato, Amoddio, Antezza, Miotto.


      La Camera,
          premesso che:
              come si legge sul sito «Presidenza Consiglio dei ministri – Dipartimento della Gioventù e del servizio civile nazionale» il Servizio civile nazionale, istituito con la legge 6 marzo 2001 n.  64, che dal 1o gennaio 2005 si svolge su base esclusivamente volontaria – è un modo di difendere la patria, il cui «dovere» è sancito dall'articolo 52 della Costituzione; una difesa che non deve essere riferita al territorio dello Stato e alla tutela dei suoi confini esterni, quanto alla condivisione di valori comuni e fondanti l'ordinamento democratico. È la opportunità messa a disposizione dei giovani dai 18 ai 28 anni di dedicare un anno della propria vita a favore di un impegno solidaristico inteso come impegno per il bene di tutti e di ciascuno e quindi come valore di coesione sociale. Il servizio civile volontario garantisce ai giovani una forte valenza educativa e formativa, una importante e spesso unica occasione di crescita personale, una opportunità di educazione alla cittadinanza attiva, contribuendo allo sviluppo sociale, culturale ed economico del nostro Paese. Chi sceglie di impegnarsi per dodici mesi nel Servizio civile volontario, sceglie di aggiungere un'esperienza qualificante al proprio bagaglio di conoscenze, spendibile nel corso della vita lavorativa, quando non diventa addirittura opportunità di lavoro, nel contempo assicura una sia pur minima autonomia economica. Le aree di intervento nelle quali è possibile prestare il Servizio Civile Nazionale sono riconducibili ai settori: assistenza, protezione civile, ambiente, patrimonio artistico e culturale, educazione e promozione culturale, servizio civile all'estero;
              è in discussione in parlamento un disegno di legge delega proposto dallo stesso Governo che prevede di aprire la partecipazione al servizio civile a 100.000 giovani;
              il provvedimento in esame prevede per il 2015 uno stanziamento per il Servizio civile nazionale pari a 65.730.527;
              per far partire un contingente di almeno 40.000 giovani, pari a quello dello scorso anno, occorrerebbe un ulteriore stanziamento pari a 135 milioni di euro,

impegna il Governo

ad individuare risorse economiche necessarie a consentire una reale programmazione dei progetti e il soddisfacimento delle aspettative delle migliaia di giovani che annualmente vorrebbero partecipare a questa fondamentale esperienza di vita.
9/2679-bis-A/244. Beni, Capone, Casati, D'Incecco, Carnevali, Albini, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Amato, Amoddio, Antezza, Miotto.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame non dispone alcun contributo a favore dell'Unione Italia Ciechi che negli anni scorsi erano invece stati assicurati per consentire all'ente che, ha la funzione di rappresentare e tutelare gli interessi morali e materiali dei oltre un milione di minorati della vista in Italia, di poter operare;
              la preoccupazione espressa in questi giorni del Presidente dell'Unione italiana ciechi sono fondate e vanno raccolte perché le funzioni dell'Ente sono di elevato rilievo sociale che vengono messe in discussione in assenza del sostegno che finora era stato assicurato. Si tratta di funzioni talvolta rese a supporto o in sostituzione delle amministrazioni pubbliche, nel campo assistenziale, dell'integrazione scolastica, della riabilitazione, nella fornitura di strumenti per la emancipazione culturale, l'uso di dispositivi tecnologici che consentono maggiore integrazione sociale, nonché la consulenza patronale che consente a migliaia di persone un accesso più agevole ai servizi sociali;
              la legge di stabilità 2014 aveva previsto un contributo di 6 Milioni di euro a favore dell'UIC, totalmente azzerato nella legge di stabilità 2015:

impegna il Governo

a disporre, nelle eventuali ulteriori letture della presente legge di stabilità, il finanziamento a favore dell'Unione Italiana Ciechi nella misura già accordata nell'esercizio finanziario 2014 al fine di poter consentire il proseguimento delle attività istituzionali che l'Ente svolge da oltre 45 anni.
9/2679-bis-A/245. Casati, Argentin, Capone, D'Incecco, Carnevali, Beni, Albini, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Amato, Amoddio, Antezza, Miotto.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame non dispone alcun contributo a favore dell'Unione Italia Ciechi che negli anni scorsi erano invece stati assicurati per consentire all'ente che, ha la funzione di rappresentare e tutelare gli interessi morali e materiali dei oltre un milione di minorati della vista in Italia, di poter operare;
              la preoccupazione espressa in questi giorni del Presidente dell'Unione italiana ciechi sono fondate e vanno raccolte perché le funzioni dell'Ente sono di elevato rilievo sociale che vengono messe in discussione in assenza del sostegno che finora era stato assicurato. Si tratta di funzioni talvolta rese a supporto o in sostituzione delle amministrazioni pubbliche, nel campo assistenziale, dell'integrazione scolastica, della riabilitazione, nella fornitura di strumenti per la emancipazione culturale, l'uso di dispositivi tecnologici che consentono maggiore integrazione sociale, nonché la consulenza patronale che consente a migliaia di persone un accesso più agevole ai servizi sociali;
              la legge di stabilità 2014 aveva previsto un contributo di 6 Milioni di euro a favore dell'UIC, totalmente azzerato nella legge di stabilità 2015:

impegna il Governo

a disporre, nelle eventuali ulteriori letture della presente legge di stabilità, il finanziamento a favore dell'Unione Italiana Ciechi.
9/2679-bis-A/245.    (Testo modificato nel corso della seduta) Casati, Argentin, Capone, D'Incecco, Carnevali, Beni, Albini, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Amato, Amoddio, Antezza, Miotto.


      La Camera,
          premesso che:
              la Legge 9 gennaio 2004, n.  4 «Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici» dispone che «La Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici»;
              è tutelato e garantito, in particolare, il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione e ai servizi di pubblica utilità da parte delle persone disabili, in ottemperanza al principio di uguaglianza ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione;
              secondo l'articolo 21 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano con la Legge 3 marzo 2009, n.  18, si afferma il diritto delle persone con disabilità all'accesso e a ricevere informazioni su base del principio di uguaglianza evitando, pertanto, ogni forma di discriminazione;
              nonostante l'impegno della Pubblica Amministrazione ancora oggi, dove sono disponibili soluzioni tecnologiche diffuse e gratuite, molti siti istituzionali della PA. sono ancora inaccessibili alle persone non vedenti o ipovedenti e spesso sono scarsamente fruibili da chiunque;
              la FISH, Federazione Italiana per il superamento dell’handicap, ha riscontrato la difficoltà per queste persone ad accedere alla consultazione di materiali e specifici documenti sui siti istituzionali della Pubblica Amministrazione e che a pubblicazione di molti documenti non risponde ai più elementari requisiti (condivisi a livello internazionale) di accessibilità;
              la FISH ha presentato un esposto/segnalazione all'Agenzia Italia Digitale (AgID), organismo, istituito presso la Presidenza del Consiglio, che svolge anche attività di controllo,

impegna il Governo

ad individuare tutte le misure necessarie per garantire alle persone con disabilità, in particolare alle persone non vedenti o ipovedenti, l'accesso all'informazione in generale della Pubblica Amministrazione, attraverso l'adeguamento dei servizi digitali erogati, evitando di conseguenza ogni forma di esclusione e di discriminazione.
9/2679-bis-A/246. Carnevali, Argentin, Amato, Amoddio, Antezza, Miotto.


      La Camera,
          premesso che:
              a norma del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297, «Il Governo della Repubblica ha facoltà di istituire, mantenere e sussidiare all'estero scuole ed altre istituzioni educative» (articolo 625, comma 1), per cui lo Stato italiano ha promosso, sostiene e sovvenziona attualmente 36 istituzioni scolastiche e formative italiane all'estero, che occupano quest'anno scolastico 772 unità di personale (decreto interministeriale 3984 del 4 luglio 2014 - contingente di personale scolastico nelle istituzioni scolastiche e formative italiane all'estero);
              le Istituzioni Scolastiche e Formative Italiane all'estero vengono gestite dal Ministero degli Affari Esteri;
              il personale da destinare alle Istituzioni Scolastiche e Formative Italiane all'estero viene reclutato tramite selezione, da parte del Ministero degli Affari Esteri, fra il personale in servizio presso il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca;
              il personale selezionato costituisce comunque un'eccellenza che si distingue per le particolari competenze linguistiche e gestionali, e che la presenza di personale italiano all'estero contribuisce sostanzialmente alla promozione e alla diffusione della cultura italiana, incrementando le relazioni e le possibilità di scambi a livello culturale, linguistico e commerciale;
              non esiste una norma che impedisca al personale scolastico dipendente dalle amministrazioni della Province Autonome di partecipare alle selezioni indette dal Ministero degli Affari Esteri, e di accedere alle destinazioni di servizio nelle Istituzioni Scolastiche e Formative Italiane all'estero;
              non esiste un accordo specifico fra i Ministeri degli Affari Esteri, dell'Istruzione Università e Ricerca, e dell'Economia e Finanze, e la Provincia Autonoma di Trento, in materia di personale scolastico da destinare alle Istituzioni Scolastiche e Formative Italiane all'estero;
              le Istituzioni Scolastiche e Formative Italiane all'estero svolgono attività di interesse nazionale, il cui beneficio potenzialmente ricade su tutti i cittadini indistintamente, e al cui sostegno deve specularmente contribuire l'intera comunità nazionale;
              l'effettiva destinazione all'estero del personale scolastico è subordinata al rilascio di specifico nulla osta da parte dell'amministrazione di appartenenza;
              di norma il nulla osta per la destinazione all'estero non viene negato al personale dipendente del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca;
              nel presente anno scolastico la Provincia Autonoma di Trento ha negato il nulla osta per la destinazione al servizio in Istituzioni Scolastiche e Formative Italiane all'estero ad alcuni dirigenti scolastici, in servizio nella scuola trentina, che avevano in precedenza superato le selezioni indette dal Ministero degli Affari Esteri;
              le motivazioni dei dinieghi del nulla osta sono di natura organizzativa, ma soprattutto di natura finanziaria, poiché il bilancio e la gestione del personale della scuola sono totalmente in carico alla Provincia Autonoma di Trento;
          considerato che:
              la posizione della Provincia Autonoma di Trento, fondata non su una contingenza, ma sull'assetto strutturale delle competenze previste dallo Statuto, prefigura una stabile disparità di trattamento e una diseguaglianza fra cittadini alle dipendenze delle amministrazioni autonome e delle corrispondenti amministrazioni dello Stato;
              è di tutta evidenza la necessità di rimuovere la disparità di trattamento venutasi a creare per la mancanza del citato accordo,

impegna il Governo

a prevedere e regolamentare la possibilità per il personale scolastico alle dipendenze della Provincia Autonoma di Trento, nonché di eventuali altre amministrazioni autonome, di accedere ai posti nelle istituzioni scolastiche e formative italiane all'estero alle medesime condizioni del personale dipendente dal Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca; oltreché a promuovere in tempo utile un accordo specifico fra i Ministeri degli Affari Esteri, dell'Istruzione Università e Ricerca, e dell'Economia e Finanze, e la Provincia Autonoma di Trento, nonché eventuali altre amministrazioni autonome.
9/2679-bis-A/247. Nicoletti.


      La Camera,
          premesso che:
              a norma del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297, «Il Governo della Repubblica ha facoltà di istituire, mantenere e sussidiare all'estero scuole ed altre istituzioni educative» (articolo 625, comma 1), per cui lo Stato italiano ha promosso, sostiene e sovvenziona attualmente 36 istituzioni scolastiche e formative italiane all'estero, che occupano quest'anno scolastico 772 unità di personale (decreto interministeriale 3984 del 4 luglio 2014 - contingente di personale scolastico nelle istituzioni scolastiche e formative italiane all'estero);
              le Istituzioni Scolastiche e Formative Italiane all'estero vengono gestite dal Ministero degli Affari Esteri;
              il personale da destinare alle Istituzioni Scolastiche e Formative Italiane all'estero viene reclutato tramite selezione, da parte del Ministero degli Affari Esteri, fra il personale in servizio presso il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca;
              il personale selezionato costituisce comunque un'eccellenza che si distingue per le particolari competenze linguistiche e gestionali, e che la presenza di personale italiano all'estero contribuisce sostanzialmente alla promozione e alla diffusione della cultura italiana, incrementando le relazioni e le possibilità di scambi a livello culturale, linguistico e commerciale;
              non esiste una norma che impedisca al personale scolastico dipendente dalle amministrazioni della Province Autonome di partecipare alle selezioni indette dal Ministero degli Affari Esteri, e di accedere alle destinazioni di servizio nelle Istituzioni Scolastiche e Formative Italiane all'estero;
              non esiste un accordo specifico fra i Ministeri degli Affari Esteri, dell'Istruzione Università e Ricerca, e dell'Economia e Finanze, e la Provincia Autonoma di Trento, in materia di personale scolastico da destinare alle Istituzioni Scolastiche e Formative Italiane all'estero;
              le Istituzioni Scolastiche e Formative Italiane all'estero svolgono attività di interesse nazionale, il cui beneficio potenzialmente ricade su tutti i cittadini indistintamente, e al cui sostegno deve specularmente contribuire l'intera comunità nazionale;
              l'effettiva destinazione all'estero del personale scolastico è subordinata al rilascio di specifico nulla osta da parte dell'amministrazione di appartenenza;
              di norma il nulla osta per la destinazione all'estero non viene negato al personale dipendente del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca;
              nel presente anno scolastico la Provincia Autonoma di Trento ha negato il nulla osta per la destinazione al servizio in Istituzioni Scolastiche e Formative Italiane all'estero ad alcuni dirigenti scolastici, in servizio nella scuola trentina, che avevano in precedenza superato le selezioni indette dal Ministero degli Affari Esteri;
              le motivazioni dei dinieghi del nulla osta sono di natura organizzativa, ma soprattutto di natura finanziaria, poiché il bilancio e la gestione del personale della scuola sono totalmente in carico alla Provincia Autonoma di Trento;
          considerato che:
              la posizione della Provincia Autonoma di Trento, fondata non su una contingenza, ma sull'assetto strutturale delle competenze previste dallo Statuto, prefigura una stabile disparità di trattamento e una diseguaglianza fra cittadini alle dipendenze delle amministrazioni autonome e delle corrispondenti amministrazioni dello Stato;
              è di tutta evidenza la necessità di rimuovere la disparità di trattamento venutasi a creare per la mancanza del citato accordo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere la possibilità per il personale scolastico alle dipendenze della Provincia Autonoma di Trento, nonché di eventuali altre amministrazioni autonome, di accedere ai posti nelle istituzioni scolastiche e formative italiane all'estero alle medesime condizioni del personale dipendente dal Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca; oltreché a promuovere in tempo utile un accordo specifico fra i Ministeri degli Affari Esteri, dell'Istruzione Università e Ricerca, e dell'Economia e Finanze, e la Provincia Autonoma di Trento, nonché eventuali altre amministrazioni autonome.
9/2679-bis-A/247.    (Testo modificato nel corso della seduta) Nicoletti.


      La Camera,
          premesso che:
              nell'area prospiciente il litorale di Brenzone (Verona) sul lago di Garda – è presente un consistente quantitativo di materiali esplosivi e di ordigni bellici, con particolare riferimento alla situazione provocatasi a seguito dell'esplosione, avvenuta nel 1954, di un importante cantiere di dispolettamento degli ordigni stessi, che si trovava sull'isola di Trimelone, ex polveriera militare, sita nel comune di Brenzone stesso;
              il cantiere in questione, di proprietà di una ditta civile, si era occupato negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, della raccolta, dell'immagazzinamento in appositi bunker di cemento armato e della disattivazione, di ordigni ceduti dall'Esercito italiano, ovvero appartenuti alle forze armate tedesche o alleate;
              l'esplosione del sopracitato cantiere – nell'anno 1954 – è stata talmente violenta da proiettare rocce e manufatti del peso di oltre 15 tonnellate all'interno del Lago di Garda, con una serie continua di esplosioni, durata tre giorni e tre notti. L'esplosione ha coinvolto una ampia area lacustre in comune di Brenzone e la prospiciente Isola di Trimelone, che tuttora presentano rilevanti situazioni di pericolo per tutti i fruitori dell'area: su tutto il fondale attorno all'isola stessa si trovavano disseminati migliaia di ordigni e casse di esplosivo di ogni tipo;
              il dipartimento della Protezione Civile di Roma, con decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri n.260 del 27 gennaio 2005, assegnava inizialmente alla Prefettura di Verona l'importo di euro 662.000,00 per l'avvio degli interventi di bonifica;
              la giunta regionale del Veneto, provvedeva ad integrare tale somma con provvedimento n.  785 dell'il marzo 2005, e relativo decreto n.  3/05, e assegnava al comune di Brenzone un finanziamento straordinario di euro 200.000,00 per le finalità sopra ricordate;
              tale dotazione finanziaria è risultata sufficiente per avviare una prima fase dei lavori di bonifica che, peraltro, sono apparsi assai più impegnativi di quanto previsto inizialmente. Gli ordigni già rimossi ed inertizzati, all'epoca, ammontano a quasi 20.000 pezzi complessivi;
              dopo il primo intervento, dal 2009, però, più nulla è stato fatto. Si era ipotizzato uno stanziamento di 700 mila euro (protezione civile nazionale e regione, 350 mila ciascuno) per terminare la bonifica almeno fino a 30 metri di profondità;
          considerato che:
              in passato, vi sono state anche intrusioni di sconosciuti sull'isola approfittando di un buco creatosi presso la casamatta presente. Ignoti pare abbiano asportato del materiale bellico inerte accatastato in una delle casematte;
              sull'isola è ancora in vigore il divieto di sbarco, di attracco, di pesca, e di avvicinamento;
              all'interno delle casematte sono stoccati centinaia di bossoli di ordigni e di spolette di ogni genere. Se però finora la superficie dell'isola è stata liberata dagli ordigni, non altrettanto si può dire dei fondali intorno. I primi dieci metri di profondità sono stati bonificati nel 2008, mentre restano da fare i lavori di sminamento almeno fino a 30 metri;
              è doveroso riprendere le azioni di risanamento della zona in modo da favorirne la pubblica fruizione ed eliminare il pericolo costante che quell'arsenale bellico rappresenta per la comunità locale e che la bonifica eliminerebbe anche il rischio della possibile attrazione di soggetti o organizzazioni con finalità illecite,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di avviare, attraverso la Protezione Civile, il confronto con la Regione Veneto e con il comune di Brenzone (VR) al fine di aggiornare le azioni da porre in essere per bonificare l'area interessata fino alla profondità di 30 metri.
9/2679-bis-A/248. D'Arienzo.


      La Camera,
          premesso che:
              con accordo concluso ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997 n.  281, tra Governo, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano, è stato istituito, con atto di repertorio n.  71 CSR del 29 marzo 2007, presso l'Ospedale di Malcesine (VR), il Centro di Riferimento Nazionale per lo Studio e la Cura del Esiti Tardivi della Poliomielite;
              la struttura è gestita dalla Azienda ULSS 22 della Regione Veneto e fa parte della rete ospedaliera della medesima Regione;
              gli oneri gestionali sono stati fino ad ora sostenuti interamente dall'Azienda ULSS 22 della Regione Veneto;
              la citata struttura accoglie, da tutte le Regioni d'Italia nonché dalle Province Autonome di Trento e Bolzano, pazienti portatori di esiti della poliomielite e di effetti tardivi della poliomielite (la c.d. «Sindrome Post Polio»);
              in nessun'altra Regione o Provincia Autonoma esiste un analogo Centro ove i polio survivors quantificabili in Italia in circa 80.000 casi – possano trovare adeguati interventi di cura e riabilitazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di farsi promotore di un accordo, da sottoporre in sede di Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, affinché tutte le Regioni e le Province Autonome concorrano con fondi propri alla gestione del Centro Nazionale di Riferimento per lo Studio e la Cura degli Esiti Tardivi della Poliomielite al fine di non lasciare l'onere gestionale del Centro Nazionale alla sola Regione Veneto.
9/2679-bis-A/249. Narduolo.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 26, al comma 10, del provvedimento in corso di esame prevede, per l'esercizio finanziario 2015, la riduzione complessiva e proporzionale degli stanziamenti per il finanziamento delle attività degli istituti di patronato e assistenza sociale e la conseguente riduzione dell'aliquota di prelevamento sul gettito dei contributi previdenziali obbligatori incassati da tutte le gestioni amministrate;
              il cosiddetto Fondo per i patronati, che ammonta annualmente a circa 430 milioni di euro, è composto, a legislazione vigente, dallo 0,226 per cento del monte contributi obbligatori versati agli enti previdenziali;
              a seguito dell'approvazione in sede referente di un emendamento di maggioranza, la citata riduzione degli stanziamenti è stata portata da 150 milioni a 75 milioni di euro;
              la riduzione di tali finanziamenti, anche nei termini della metà dell'importo inizialmente previsto dal disegno di legge di stabilità, non è affrontabile in maniera ordinaria, ma sarà necessaria una ristrutturazione straordinaria che porterà inevitabilmente alla riduzione dell'offerta di servizi e una minore tutela dei cittadini;
              il testo del disegno di legge di stabilità, come modificato in sede referente, inoltre prevede, sulla base di convenzioni specifiche, che gli istituti di patronato possano svolgere attività di informazione, istruttoria, assistenza ed invio di istanze, nonché attività di consulenza e trasmissione telematica di dati in materia di assistenza e previdenza sociale, infortuni e malattie professionali, con un contributo all'erogazione del servizio secondo lo schema di convenzione definito con apposito decreto del Ministero del Lavoro e del Ministero della Semplificazione e della Pubblica Amministrazione, da emanarsi entro il 30 giugno 2015, sentiti gli istituti di patronato e di assistenza sociale;
              con decreto del Ministero del Lavoro, sentiti gli istituti di patronato e di assistenza sociale, sono individuate le prestazioni non rientranti nel finanziamento per le quali è ammessa l'esigibilità del citato contributo per l'erogazione del servizio;
              l'applicazione di un contributo per l'erogazione del servizio da parte degli istituti di patronato e di assistenza sociale nei casi di prestazioni non rientranti nelle attività finanziate creerebbe una grave discriminazione a danno dei soggetti appartenenti alle fasce di reddito più basse già ampiamente penalizzate dalla contingente situazione economica,

impegna il Governo

a prevedere l'opportunità, nell'ambito della presente manovra di bilancio, al fine di escludere la riduzione dell'offerta di servizi e la minore tutela dei cittadini in particolar modo per le fasce di reddito più svantaggiate, che il taglio agli stanziamenti per il finanziamento delle attività degli istituti di patronato e assistenza sociale venga ulteriormente abbassato rispetto al livello attuale nonché a ripristinare la gratuità delle prestazioni offerte dai patronati escludendo l'applicazione del contributo all'erogazione del servizio.
9/2679-bis-A/250. Garavini, Luciano Agostini, Albanella, Albini, Amoddio, Antezza, Argentin, Arlotti, Ascani, Baruffi, Basso, Battaglia, Beni, Bergonzi, Berlinghieri, Bini, Blazina, Boccuzzi, Borghi, Bossa, Bratti, Bruno Bossio, Camani, Campana, Cani, Capodicasa, Capone, Carnevali, Carocci, Carra, Carrescia, Casati, Casellato, Castricone, Cenni, Censore, Chaouki, Cimbro, Coccia, Cominelli, Crivellari, Culotta, Cuperlo, Dal Moro, Damiano, De Menech, Marco Di Maio, D'Incecco, D'Ottavio, Epifani, Fabbri, Gianni Farina, Fedi, Ferrari, Cinzia Maria Fontana, Fossati, Fragomeli, Fusilli, Gadda, Carlo Galli, Galperti, Gandolfi, Gasparini, Gelli, Ghizzoni, Giacobbe, Ginato, Ginefra, Ginoble, Giuliani, Giulietti, Gnecchi, Grassi, Greco, Gregori, Gribaudo, Giuseppe Guerini, Iacono, Tino Iannuzzi, Incerti, Iori, Laforgia, La Marca, Lattuca, Lenzi, Leva, Lodolini, Malisani, Maestri, Manfredi, Manzi, Marantelli, Marchetti, Mariani, Mariano, Martelli, Marzano, Massa, Mauri, Mazzoli, Miccoli, Minnucci, Miotto, Misiani, Mognato, Mongiello, Montroni, Moretto, Moscatt, Murer, Naccarato, Narduolo, Fitzgerald Nissoli, Oliverio, Paris, Pastorino, Patriarca, Peluffo, Petitti, Piazzoni, Piccione, Giorgio Piccolo, Prina, Porta, Quartapelle Procopio, Rampi, Ribaudo, Rigoni, Rocchi, Romanini, Paolo Rossi, Rossomando, Rostan, Rotta, Rubinato, Sanga, Giovanna Sanna, Sbrollini, Scuvera, Senaldi, Sgambato, Simoni, Stumpo, Tacconi, Taricco, Tentori, Terrosi, Tullo, Vaccaro, Valeria Valente, Ventricelli, Verini, Zanin, Zampa, Zappulla.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 26, al comma 10, del provvedimento in corso di esame prevede, per l'esercizio finanziario 2015, la riduzione complessiva e proporzionale degli stanziamenti per il finanziamento delle attività degli istituti di patronato e assistenza sociale e la conseguente riduzione dell'aliquota di prelevamento sul gettito dei contributi previdenziali obbligatori incassati da tutte le gestioni amministrate;
              il cosiddetto Fondo per i patronati, che ammonta annualmente a circa 430 milioni di euro, è composto, a legislazione vigente, dallo 0,226 per cento del monte contributi obbligatori versati agli enti previdenziali;
              a seguito dell'approvazione in sede referente di un emendamento di maggioranza, la citata riduzione degli stanziamenti è stata portata da 150 milioni a 75 milioni di euro;
              la riduzione di tali finanziamenti, anche nei termini della metà dell'importo inizialmente previsto dal disegno di legge di stabilità, non è affrontabile in maniera ordinaria, ma sarà necessaria una ristrutturazione straordinaria che porterà inevitabilmente alla riduzione dell'offerta di servizi e una minore tutela dei cittadini;
              il testo del disegno di legge di stabilità, come modificato in sede referente, inoltre prevede, sulla base di convenzioni specifiche, che gli istituti di patronato possano svolgere attività di informazione, istruttoria, assistenza ed invio di istanze, nonché attività di consulenza e trasmissione telematica di dati in materia di assistenza e previdenza sociale, infortuni e malattie professionali, con un contributo all'erogazione del servizio secondo lo schema di convenzione definito con apposito decreto del Ministero del Lavoro e del Ministero della Semplificazione e della Pubblica Amministrazione, da emanarsi entro il 30 giugno 2015, sentiti gli istituti di patronato e di assistenza sociale;
              con decreto del Ministero del Lavoro, sentiti gli istituti di patronato e di assistenza sociale, sono individuate le prestazioni non rientranti nel finanziamento per le quali è ammessa l'esigibilità del citato contributo per l'erogazione del servizio;
              l'applicazione di un contributo per l'erogazione del servizio da parte degli istituti di patronato e di assistenza sociale nei casi di prestazioni non rientranti nelle attività finanziate creerebbe una grave discriminazione a danno dei soggetti appartenenti alle fasce di reddito più basse già ampiamente penalizzate dalla contingente situazione economica,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di prevedere l'opportunità, nell'ambito della presente manovra di bilancio, al fine di escludere la riduzione dell'offerta di servizi e la minore tutela dei cittadini in particolar modo per le fasce di reddito più svantaggiate, che il taglio agli stanziamenti per il finanziamento delle attività degli istituti di patronato e assistenza sociale venga ulteriormente abbassato rispetto al livello attuale nonché a valutare la possibilità di ripristinare la gratuità delle prestazioni offerte dai patronati escludendo l'applicazione del contributo all'erogazione del servizio.
9/2679-bis-A/250.    (Testo modificato nel corso della seduta) Garavini, Luciano Agostini, Albanella, Albini, Amoddio, Antezza, Argentin, Arlotti, Ascani, Baruffi, Basso, Battaglia, Beni, Bergonzi, Berlinghieri, Bini, Blazina, Boccuzzi, Borghi, Bossa, Bratti, Bruno Bossio, Camani, Campana, Cani, Capodicasa, Capone, Carnevali, Carocci, Carra, Carrescia, Casati, Casellato, Castricone, Cenni, Censore, Chaouki, Cimbro, Coccia, Cominelli, Crivellari, Culotta, Cuperlo, Dal Moro, Damiano, De Menech, Marco Di Maio, D'Incecco, D'Ottavio, Epifani, Fabbri, Gianni Farina, Fedi, Ferrari, Cinzia Maria Fontana, Fossati, Fragomeli, Fusilli, Gadda, Carlo Galli, Galperti, Gandolfi, Gasparini, Gelli, Ghizzoni, Giacobbe, Ginato, Ginefra, Ginoble, Giuliani, Giulietti, Gnecchi, Grassi, Greco, Gregori, Gribaudo, Giuseppe Guerini, Iacono, Tino Iannuzzi, Incerti, Iori, Laforgia, La Marca, Lattuca, Lenzi, Leva, Lodolini, Malisani, Maestri, Manfredi, Manzi, Marantelli, Marchetti, Mariani, Mariano, Martelli, Marzano, Massa, Mauri, Mazzoli, Miccoli, Minnucci, Miotto, Misiani, Mognato, Mongiello, Montroni, Moretto, Moscatt, Murer, Naccarato, Narduolo, Fitzgerald Nissoli, Oliverio, Paris, Pastorino, Patriarca, Peluffo, Petitti, Piazzoni, Piccione, Giorgio Piccolo, Prina, Porta, Quartapelle Procopio, Rampi, Ribaudo, Rigoni, Rocchi, Romanini, Paolo Rossi, Rossomando, Rostan, Rotta, Rubinato, Sanga, Giovanna Sanna, Sbrollini, Scuvera, Senaldi, Sgambato, Simoni, Stumpo, Tacconi, Taricco, Tentori, Terrosi, Tullo, Vaccaro, Valeria Valente, Ventricelli, Verini, Zanin, Zampa, Zappulla.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 24, della legge 13 dicembre 2010, n.  220, Legge di stabilità per l'anno 2011, prevede un incremento del fondo di finanziamento ordinario delle università, destinato, per una quota, ad un piano straordinario per la chiamata di professori di seconda fascia per ciascuno degli anni 2011-2016;
              l'articolo 29, comma 9, della legge 30 dicembre 2010, n.  240, recante la riforma del sistema universitario italiano, prevede, a valere sulle medesime risorse previste dalla legge di stabilità del 2011 per il fondo di finanziamento ordinario delle università, la riserva di una quota non superiore a 13 milioni di euro per l'anno 2011, 93 milioni di euro per l'anno 2012 e 173 milioni a decorrere dall'anno 2013, per la chiamata di professori di seconda fascia;
              ad oggi, il finanziamento risulta erogato solo per gli anni 2011-2012 e 2013 e la ripartizione dei punti organico (che sono il metodo attraverso cui si calcolano i coefficienti assunzionali delle università) tra gli atenei ha generato una ingiustificata sperequazione tra gli stessi;
              l'articolo 14, comma 4, del decreto legge 24 giugno 2014, n.  90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n.  114, recante la semplificazione e trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari, ha disposto che le chiamate relative al piano straordinario per la chiamata dei professori di seconda fascia per gli anni 2012 e 2013 a valere sulle risorse di cui al citato articolo 29, comma 9, della legge 30 dicembre 2010, n.  240, siano effettuate entro il 30 giugno 2015;
              la legge di stabilità per l'anno 2014 non ha previsto stanziamenti per il citato piano straordinario;
              l'articolo 17, comma 10, del disegno di legge di stabilità 2015, in via di approvazione, prevede un incremento di 150 milioni di euro per il fondo di finanziamento ordinario delle università, finalizzato all'incremento della quota premiale, di cui all'articolo 2 comma 1 del decreto legge 10 novembre 2008, n.  180, convertito con modificazioni dalla legge 9 gennaio 2009, n.  1;
              nulla è disposto in merito al finanziamento del piano straordinario per la chiamata dei professori di seconda fascia,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di procedere al rifinanziamento e alla distribuzione delle risorse di cui al piano straordinario per la chiamata dei professori di seconda fascia delle università italiane, per gli anni 2014, 2015 e 2016, a valutare la possibilità di destinare al piano straordinario professori di seconda fascia una quota parte dello stanziamento dei 150 milioni di euro previsto nell'articolo 17 comma 10 della legge di stabilità, al fine di portare tale piano straordinario a conclusione entro i prossimi tre anni e garantire un futuro ai ricercatori universitari che sostengono da tempo l'offerta formativa degli atenei italiani e degli studenti.
9/2679-bis-A/251. Ventricelli.


      La Camera,
          premesso che:
              in questi giorni è in discussione il disegno di legge di stabilità (A.C. 2679-bis), che reca le misure necessarie a conseguire gli obiettivi programmatici di finanza pubblica indicati nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014;
              il citato provvedimento prevede un insieme di misure con effetti riduttivi della spesa delle amministrazioni centrali con conseguente riduzione dei trasferimenti alle imprese ed agli enti ed organismi pubblici deputati alla salvaguardia ed alla promozione dei territori;
              in merito all'intervento sulla fiscalità, il disegno di legge già prevede delle misure che intendono intervenire a sostegno della crescita economica alleggerendo l'imposizione sul lavoro e sui fattori produttivi mentre in altri settori stabilisce un incremento del carico fiscale;
              nella Regione Marche, la legge regionale n.  5 del 3 aprile 2013 in materia di «Norme in materia di raccolta e coltivazione dei tartufi e di valorizzazione del patrimonio tartufigeno» promuove la tutela e la valorizzazione del patrimonio tartufigeno e dell'ambiente naturale in cui i tartufi si riproducono e riconosce il ruolo degli ecosistemi tartufigeni nello sviluppo socio-economico del territorio;
              la citata legge disciplina, in particolare, la cerca, la raccolta, il commercio e la coltivazione dei tartufi assicurando sul territorio regionale una presenza costante del prodotto caratterizzante in particolare le comunità montane e limitrofe dell'entroterra;
              il tartufo è una risorsa che può contribuire al consolidamento dell'economia delle aree montane e svantaggiate, ridare vitalità a queste aree marginali e quindi frenarne l'esodo demografico;
              sebbene la produzione sia in calo, il tartufo ancora oggi resta una valida risorsa per il mantenimento e lo sviluppo dell'economia delle comunità di montagna di diverse regioni (Marche, Umbria e Piemonte, in particolare) purché integrata nell'ambito delle risorse aziendali o comunque resa di pertinenza degli abitanti di queste aree che avrebbero tutto l'interesse a curare, migliorare e salvaguardare le loro tartufaie o comunque i territori adibiti a crescita naturale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di ridurre, una volta esaminate le compatibilità finanziarie, l'aliquota sul commercio dei tartufi al 4 per cento, equiparandola agli altri ortaggi e piante mangerecce di cui alla tabella A, parte II, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n.  633.
9/2679-bis-A/252. Marchetti.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 16 dell'articolo 35 del presente disegno di legge definisce il concorso dei comuni al contenimento della spesa pubblica, stabilendo, a decorrere dall'anno 2015, una riduzione della spesa corrente di 1.200 milioni di euro;
              la riduzione è operata direttamente sul Fondo di solidarietà comunale, la cui dotazione viene pertanto ridotta di 1.200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;
              il Fondo di solidarietà comunale, istituito dall'articolo 1, comma 380, della legge di stabilità per il 2013 (legge n.  228/2012), in ragione della nuova disciplina dell'imposta municipale propria (IMU), introdotta con la legge di stabilità medesima, ha attribuito ai comuni l'intero gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato,

impegna il Governo

a prevedere che le risorse del Fondo di solidarietà comunale siano idonee a garantire l'esclusione del gettito IMU derivante dagli immobili ad uso produttivo.
9/2679-bis-A/253. Terrosi, Albini.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 16 dell'articolo 35 del presente disegno di legge definisce il concorso dei comuni al contenimento della spesa pubblica, stabilendo, a decorrere dall'anno 2015, una riduzione della spesa corrente di 1.200 milioni di euro;
              la riduzione è operata direttamente sul Fondo di solidarietà comunale, la cui dotazione viene pertanto ridotta di 1.200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;
              il Fondo di solidarietà comunale, istituito dall'articolo 1, comma 380, della legge di stabilità per il 2013 (legge n.  228/2012), in ragione della nuova disciplina dell'imposta municipale propria (IMU), introdotta con la legge di stabilità medesima, ha attribuito ai comuni l'intero gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di operare perché, nell'ambito dell'eventuale introduzione della cosiddetta local tax, sia adeguatamente compensato attraverso il Fondo di solidarietà il venir meno del gettito derivante dall'IMU immobili ad uso produttivo.
9/2679-bis-A/253.    (Testo modificato nel corso della seduta) Terrosi, Albini.


      La Camera,
          premesso che:
              gli aspetti della sicurezza, della prevenzione e della riqualificazione degli impianti sportivi, in primis quelli scolastici, adibiti al mattino all'utilizzo degli studenti ed usufruiti nel pomeriggio anche dalle società sportive meritano attenzione prioritaria;
              per i piani di emergenza e sicurezza dei Coc (Centri operativi comunali) sono fondamentali i richiamati impianti sportivi ed in particolare le palestre;
              il Governo, in collaborazione con l'Istituto di Credito sportivo, ha lanciato un piano strategico che permette a comuni e province di usufruire di finanziamenti a tasso zero per un importo massimo di 150 mila euro ammortizzabili in 15 anni. Tale piano nasce dalla collaborazione tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Comuni, Istituto di Credito Sportivo, Anci ed Upi e prevede circa 500 interventi in tutta Italia, equamente distribuiti a livello regionale in base alla popolazione in età scolastica, permettendo così a Province e Comuni di accedere a mutui a tasso zero per ristrutturare gli impianti sportivi delle scuole;
              i finanziamenti potranno essere utilizzati per realizzare spazi sportivi scolastici nuovi o per ristrutturare, ammodernare, ampliare, completare, attrezzare, riconvertire e mantenere le strutture già esistenti. Gli investimenti potranno, inoltre, riguardare anche la messa a norma e in sicurezza delle palestre, compresi gli interventi di bonifica dall'amianto;
              il bando per accedere ai finanziamenti previsti dal nuovo piano del Governo, che si aggiunge a quello sull'edilizia scolastica già comprensivo di una quota destinata alle palestre delle scuole, si è aperto lo scorso lunedì 24 novembre;
              l'erogazione delle somme agli enti vincitori del bando è prevista a partire da gennaio 2015;
              il cospicuo numero di domande arrivate in un solo giorno e la rapidità con cui Comuni e Province hanno risposto all'apertura del bando sono la conferma ulteriore di quanto per i territori sia prioritario e fondamentale l'intervento sull'impiantistica sportiva delle scuole, per garantire un servizio di qualità ad alunni e studenti in primis, ma alle comunità in generale;
              il bando ha messo in evidenza come le esigenze delle realtà locali siano quantitativamente maggiori rispetto al pur lodevole piano di investimenti già messo a disposizione dall'Istituto di credito sportivo,

impegna il Governo

a consentire l'esclusione dal patto di stabilità interno delle spese sostenute dagli enti locali per la realizzazione degli interventi sull'impiantistica sportiva di base citati in premessa.
9/2679-bis-A/254. Lodolini, Brandolin, Giulietti, Fragomeli.


      La Camera,
          premesso che:
              la questione della rimozione, dello smaltimento dell'amianto e delle gravi patologie ad esso correlate è un tema di grande attualità nel Paese;
              lo scorso 19 novembre la Suprema Corte di Cassazione ha accolto, con una decisione che ha sollevato molte polemiche, la richiesta del Procuratore generale nel processo Eternit: dichiarando la prescrizione del procedimento, annullandola condanna per il cittadino svizzero Stephan Schmidheiny, unico imputato, con la conseguente impossibilità per i familiari delle vittime e per le comunità e gli enti locali di ottenere i risarcimenti;
              i fatti sui quali era chiamata a discutere la Cassazione riguardavano avvenimenti del giugno 1976. La causa, avviata da circa 6 mila parti offese ed era inerente anche alla morte di circa 3 mila persone;
              dal secondo Dopoguerra fino al 1992, quando è stato vietata per legge ogni attività di estrazione, di commercio, di importazione, di esportazione e di produzione di amianto, sono state prodotte nel nostro Paese 3.748.550 tonnellate di amianto grezzo. Il periodo tra il 1976 e il 1980 è stato quello di maggiore picco nei livelli di produzione, con più di 160.000 tonnellate annue prodotte; fino al 1987 la produzione non è mai scesa sotto le 100.000 tonnellate annue, per poi decrescere rapidamente fino al divieto dell'uso. Anche le importazioni italiane di amianto grezzo sono state molto consistenti, mantenendosi superiori alle 50.000 tonnellate annue fino al 1991: complessivamente, dal dopoguerra al 1992, l'Italia ha importato 1.900.885 tonnellate;
              per il costo contenuto e l'ampia disponibilità, l'utilizzo dell'amianto è avvenuto in numerosissime applicazioni industriali, sfruttando le proprietà di resistenza al fuoco, di isolamento e di insonorizzazione;
              i primi studi sugli effetti nocivi sulla salute dell'amianto sono stati pubblicati nella metà degli anni Trenta del Novecento, le acquisizioni scientifiche intorno alla sua cancerogenicità si sono poi progressivamente sviluppate nel corso degli anni Sessanta e Settanta;
              la legge 27 marzo 1992, n.  257 «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto» ha previsto essenzialmente: il divieto di estrazione, di lavorazione e di commercializzazione dell'amianto; la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio; misure per la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori in precedenza esposti all'amianto; misure per il risarcimento degli stessi e per il riconoscimento della qualifica di malattia professionale e del danno biologico. E su questi temi c’è ancora molto da fare;
              dal 1992 ad oggi, la predetta legge è stata soltanto parzialmente attuata, in particolare per ciò che concerne la mappatura della presenza di amianto e la relativa bonifica nonché per quanto concerne l'individuazione dei siti di discarica o le modalità di trattamento del materiale rimosso; di fatto in tutto il Paese si continua a rinvenire amianto in manufatti ancora in opera, soprattutto in grandi impianti a servizio di processi produttivi, navi e traghetti, oltre che negli ambienti pubblici: scuole, ospedali e altri edifici aperti al pubblico. Materiale contenente amianto è presente anche negli edifici privati e, dunque, si rende necessario incentivarne la bonifica;
              è pertanto evidente che sia la popolazione lavorativa sia la popolazione generale continua ad essere esposta a una fonte di grave rischio per la salute;
              la concretizzazione del rischio di esposizione ad amianto comporta nelle persone esposte l'insorgere delle cosiddette patologie asbesto-correlate che si manifestano sotto forma di mesotelioma, tumore al polmone, alla laringe, all'ovaio, e altro, come tra l'altro accertato dalla sentenza del 13 febbraio 2012, emessa dal tribunale di Torino, con la quale erano stati condannati i massimi vertici della multinazionale elvetica Eternit;
              nel nostro Paese è atteso il picco di morti per mesotelioma pleurico nel 2025: da qui ad allora si stimano almeno altre 25 mila vittime. Attualmente le vittime uccise da malattie asbesto-correlate sono più di 1600 all'anno ed anche la soglia di età si abbassa. Una fascia particolarmente colpita, attualmente, è tra i 50 e i 60 anni, quelli che vengono considerati i «bambini di ieri», cioè coloro che hanno respirato la fibra quando erano ragazzi;
              l'asbestosi, che si sviluppa anche a distanza di molto tempo, è causa di gravi sofferenze e di un inaccettabile numero di vittime, oltreché costituire un pesante aggravio economico per il Servizio sanitario nazionale;
              in Italia, secondo le stime di Cnr e Ispesl e Legambiente, ci sono ancora 32 milioni di tonnellate di amianto sparse per il territorio nazionale; ancora non ci sono dati certi e dettagliati su quanto amianto ancora si nasconde all'interno di siti industriali, edifici pubblici o privati, cave, reti idriche; 34.148 sono i siti ancora da bonificare: da Casale Monferrato, a Broni in provincia di Pavia, alla Isochimica di Avellino;
              dei sopraddetti 32 milioni di tonnellate di Eternit che si stima essere in circolo in Italia, anche nei tetti di 3.000 scuole, ne sono state rimosse e smaltite legalmente appena il 2 per cento, mentre non si conosce ancora con precisione dove sia il restante 98 per cento, dato che non esiste un completo censimento nazionale e le regioni procedono in questo campo con diverse modalità;
              la più efficace misura di bonifica e rimozione dell'amianto fu il cosiddetto «bonus eternit», ovvero un maggiore incentivo per la sostituzione di tetti in amianto con pannelli fotovoltaici. Infatti i passati «Conto Energia» avevano riservato un incentivo maggiore di quello previsto ai soggetti che effettuavano la rimozione di un tetto in Eternit per l'installazione di un impianto fotovoltaico. A fine 2012, grazie a questa possibilità, di cui avevano approfittato soprattutto nel Nord e Centro Italia, erano stati risanati 26.000 tetti con amianto, per una superficie di 20 chilometri quadrati e una potenza elettrica ottenuta di circa 2,5 GW. Dal luglio 2013 il sopraddetto tipo di incentivo è terminato;
              nel parere dato dalla Vili commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera al Disegno di Legge di «Stabilità 2015» (AC 2679-bis) si invitava ad estendere gli incentivi fiscali per il risparmio energetico anche agli interventi di bonifica e di rimozione dell'amianto dal patrimonio edilizio esistente;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di utilizzare, compatibilmente con le risorse di finanza pubblica, la misura del credito di imposta del 65 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici anche per gli interventi di bonifica e rimozione di manufatti in amianto nel patrimonio edilizio esistente, permettendone altresì l'accesso anche alle imprese e stabilizzandolo.
9/2679-bis-A/255. Realacci, Borghi, Tino Iannuzzi, Braga, Matarrese, Pastorelli, Verini, Arlotti, Mariastella Bianchi, Bratti, Carrescia, Cominelli, Covello, Dallai, De Menech, Gadda, Ginoble, Manfredi, Mariani, Marroni, Mazzoli, Morassut, Giovanna Sanna, Zardini, Lodolini, Narduolo, Petitti, Iacono, Fregolent, Moscatt, Venittelli, Sgambato, Marantelli, Rampi, Galperti, Mariano, Prina, Giuditta Pini, Fedi, Giulietti, Censore, Amoddio, Schirò, Mongiello, Marzano, Montroni, Patriarca, Sbrollini, Carrozza, Capone, Basso, Gribaudo, Cenni, Antezza, Cardinale, Carra, Pes, Zanin, Rossomando, Tidei, Ferranti, Minnucci, Taricco, Senaldi, Amato, Salvatore Piccolo, Albanella, Manzi.


      La Camera,
          premesso che:
              in data 28 novembre 2014, il Ministero del Lavoro ha comunicato la firma del decreto, con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, del decreto di ripartizione di 503 milioni di euro per il finanziamento degli ammortizzatori in deroga, somma rinveniente dai 728 milioni di euro stanziati con il decreto cosiddetto «Sblocca-Italia»;
              a copertura dell'anno 2014 rimangono da ripartire ulteriori 225 milioni di euro nonché i residui della legge di stabilità 2014 destinati agli ammortizzatori in deroga e per i quali sono in corso una serie di incontri bilaterali tra Ministero e Regioni al fine di definire platee e criteri anche in considerazione dell'entrata in vigore del DM 83473;
              con la previsione introdotta con l'errata corrige al citato DM 83473 all'articolo 6 comma è data facoltà alle regioni di poter prevedere una ulteriore proroga degli ammortizzatori in deroga anche per i percettori di mobilità in deroga con più di tre anni di beneficio senza soluzione di continuità fino al prossimo 31 dicembre 2014 destinando a tale platea il 5 per cento delle risorse attribuite alle singole regioni nell'ambito dei riparti;
              con e risorse stanziate dall'ultimo decreto di riparto saranno coperti solamente alcune mensilità del 2014 e considerato che nell'ambito delle singole regioni al massimo la copertura con i precedenti riparti si era giunti ad erogare l'ammortizzatore in deroga per le prime due mensilità dell'anno 2014;
              restano pertanto, in considerazione del fatto che siamo all'ultimo mese dell'anno, diverse mensilità ancora da erogare;
              presumibilmente il saldo del 2014 avverrà nell'anno 2015 e questo rischia di comportare per i percettori di ammortizzatori in deroga una ulteriore beffa e cioè la tassazione delle risorse che andranno assegnate a completamento del 2014 rischia di seguire a competenza di cassa e non quello, più razionale, di competenza e questo comporterebbe una rilevante decurtazione dell'indennità percepita;
              considerato che rimane aperta la questione di armonizzare i regimi degli ammortizzatori sociali anche in vista della approvazione della legge delega denominata jobs act che presumibilmente avverrà entro i primi mesi del 2015;
              al fine di evitare di lasciare senza alcuna tutela lavoratori in oggettiva difficoltà e con una età anagrafica e contributiva complessa e articolata va affrontata in maniera definitiva il percorso di superamento dell'esercizio degli ammortizzatori in deroga con la nuova aspi anche in relazione alle ulteriori e significative risorse stanziate per gli ammortizzatori sociali nel presente disegno di legge di stabilità all'articolo 11;

impegna il Governo:

          a) procedere al più presto ai riparto delle risorse residue al fine di coprire le mensilità rimanenti dell'anno 2014 e a consentire d'intesa con l'Inps e l'Agenzia delle Entrate alla applicazione del criterio di competenza al fine di scongiurare un incremento della tassazione ed una decurtazione ulteriore degli importi delle indennità;
          b) a verificare la possibilità di attivare un tavolo di confronto con le organizzazioni sindacali al fine di gestire la fase di passaggio tra il regime attuale degli ammortizzatori in deroga e le nuove forme di tutela che saranno introdotte con l'approvazione della legge delega attualmente in discussione al Senato;
          c) a verificare la possibilità, come previsto dal dispositivo dell'ordine del giorno n.  9/2660-A/109, accolto dal Governo come raccomandazione, nel corso della seduta dei 25 novembre 2014, in accordo con le regioni, di prorogare i trattamenti in deroga attualmente in essere almeno fino all'entrata in vigore dei decreti delegati relativi ai nuovi ammortizzatori sociali.
9/2679-bis-A/256. Burtone, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              in data 28 novembre 2014, il Ministero del Lavoro ha comunicato la firma del decreto, con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, del decreto di ripartizione di 503 milioni di euro per il finanziamento degli ammortizzatori in deroga, somma rinveniente dai 728 milioni di euro stanziati con il decreto cosiddetto «Sblocca-Italia»;
              a copertura dell'anno 2014 rimangono da ripartire ulteriori 225 milioni di euro nonché i residui della legge di stabilità 2014 destinati agli ammortizzatori in deroga e per i quali sono in corso una serie di incontri bilaterali tra Ministero e Regioni al fine di definire platee e criteri anche in considerazione dell'entrata in vigore del DM 83473;
              con la previsione introdotta con l'errata corrige al citato DM 83473 all'articolo 6 comma è data facoltà alle regioni di poter prevedere una ulteriore proroga degli ammortizzatori in deroga anche per i percettori di mobilità in deroga con più di tre anni di beneficio senza soluzione di continuità fino al prossimo 31 dicembre 2014 destinando a tale platea il 5 per cento delle risorse attribuite alle singole regioni nell'ambito dei riparti;
              con e risorse stanziate dall'ultimo decreto di riparto saranno coperti solamente alcune mensilità del 2014 e considerato che nell'ambito delle singole regioni al massimo la copertura con i precedenti riparti si era giunti ad erogare l'ammortizzatore in deroga per le prime due mensilità dell'anno 2014;
              restano pertanto, in considerazione del fatto che siamo all'ultimo mese dell'anno, diverse mensilità ancora da erogare;
              presumibilmente il saldo del 2014 avverrà nell'anno 2015 e questo rischia di comportare per i percettori di ammortizzatori in deroga una ulteriore beffa e cioè la tassazione delle risorse che andranno assegnate a completamento del 2014 rischia di seguire a competenza di cassa e non quello, più razionale, di competenza e questo comporterebbe una rilevante decurtazione dell'indennità percepita;
              considerato che rimane aperta la questione di armonizzare i regimi degli ammortizzatori sociali anche in vista della approvazione della legge delega denominata jobs act che presumibilmente avverrà entro i primi mesi del 2015;
              al fine di evitare di lasciare senza alcuna tutela lavoratori in oggettiva difficoltà e con una età anagrafica e contributiva complessa e articolata va affrontata in maniera definitiva il percorso di superamento dell'esercizio degli ammortizzatori in deroga con la nuova aspi anche in relazione alle ulteriori e significative risorse stanziate per gli ammortizzatori sociali nel presente disegno di legge di stabilità all'articolo 11;

impegna il Governo:

          a) a verificare la possibilità di procedere in tempi brevi al riparto delle risorse residue al fine di coprire le mensilità rimanenti dell'anno 2014 e a consentire d'intesa con l'Inps e l'Agenzia delle Entrate alla applicazione del criterio di competenza al fine di scongiurare un incremento della tassazione ed una decurtazione ulteriore degli importi delle indennità;
          b) a verificare la possibilità di attivare un tavolo di confronto con le organizzazioni sindacali al fine di gestire la fase di passaggio tra il regime attuale degli ammortizzatori in deroga e le nuove forme di tutela che saranno introdotte con l'approvazione della legge delega attualmente in discussione al Senato;
          c) a verificare la possibilità, come previsto dal dispositivo dell'ordine del giorno n.  9/2660-A/109, accolto dal Governo come raccomandazione, nel corso della seduta dei 25 novembre 2014, in accordo con le regioni, di prorogare i trattamenti in deroga attualmente in essere almeno fino all'entrata in vigore dei decreti delegati relativi ai nuovi ammortizzatori sociali.
9/2679-bis-A/256.    (Testo modificato nel corso della seduta) Burtone, Antezza, Amoddio.


      La Camera,
          premesso che:
              il rilancio della sanità pubblica non può prescindere dalla partecipazione attiva dei suoi operatori e ogni processo di riorganizzazione ed efficientamento delle strutture non può non prevedere che una quota dei risparmi sia destinata, secondo criteri definiti dalla contrattazione integrativa, al personale direttamente coinvolto e alla stessa contrattazione decentrata;
              va valutata l'apertura per l'ambito sanitario di un apposito confronto a livello nazionale sul contratto concernente l'attuale comparto e le aree di contrattazione che demandi alla contrattazione di secondo livello la definizione delle modalità di efficientamento e riorganizzazione che producano la disponibilità di ulteriori risorse;
              non vi è alcun dubbio che la responsabilizzazione degli stessi lavoratori all'organizzazione e all'andamento delle aziende sanitarie, nella lotta agli sprechi ed alla razionalizzazione della spesa, può permettere il recupero in maniera non conflittuale di risorse significative nonché una migliore e più incisiva programmazione anche nella erogazione di servizi ai cittadini;
              lo sviluppo della contrattazione integrativa di secondo livello in linea con le riforme della Pubblica Amministrazione deve puntare alla valorizzazione e al riconoscimento di capacità e competenze, in grado di premiare il merito;
              è questa una valutazione necessitata anche da un indispensabile riequilibrio economico in considerazione del blocco della contrattazione nel pubblico impiego;
              sarebbe pertanto utile consentire la ricomposizione di un tavolo di confronto presso l'Aran per il comparto sanità e la dirigenza area III e IV finalizzato a rivedere l'organizzazione del lavoro del comparto stesso e finanziare con le risorse derivanti dai risparmi la contrattazione aziendale di secondo livello ovviamente con principi perequativi;

impegna il Governo:

entro 60 giorni dall'entrata in vigore della presente legge ad autorizzare l'Aran, ricevuto l'atto di indirizzo del Comitato di settore e della Presidenza del Consiglio dei ministri, ad aprire un tavolo di contrattazione integrativo per il Comparto sanità e l'area della dirigenza III e IV, con l'obiettivo di stabilire i criteri di finanziamento degli istituti della contrattazione aziendale attraverso i risparmi di spesa conseguiti e certificati a seguito dell'impegno dei personale dipendente consentendo la ripresa della contrattazione pubblica nel comparto e consentire una migliore e più funzionale organizzazione per la realizzazione del patto per la Salute.
9/2679-bis-A/257. Cardinale, Burtone, Sbrollini.


      La Camera,
          premesso che:
              il rilancio della sanità pubblica non può prescindere dalla partecipazione attiva dei suoi operatori e ogni processo di riorganizzazione ed efficientamento delle strutture non può non prevedere che una quota dei risparmi sia destinata, secondo criteri definiti dalla contrattazione integrativa, al personale direttamente coinvolto e alla stessa contrattazione decentrata;
              va valutata l'apertura per l'ambito sanitario di un apposito confronto a livello nazionale sul contratto concernente l'attuale comparto e le aree di contrattazione che demandi alla contrattazione di secondo livello la definizione delle modalità di efficientamento e riorganizzazione che producano la disponibilità di ulteriori risorse;
              non vi è alcun dubbio che la responsabilizzazione degli stessi lavoratori all'organizzazione e all'andamento delle aziende sanitarie, nella lotta agli sprechi ed alla razionalizzazione della spesa, può permettere il recupero in maniera non conflittuale di risorse significative nonché una migliore e più incisiva programmazione anche nella erogazione di servizi ai cittadini;
              lo sviluppo della contrattazione integrativa di secondo livello in linea con le riforme della Pubblica Amministrazione deve puntare alla valorizzazione e al riconoscimento di capacità e competenze, in grado di premiare il merito;
              è questa una valutazione necessitata anche da un indispensabile riequilibrio economico in considerazione del blocco della contrattazione nel pubblico impiego;
              sarebbe pertanto utile consentire la ricomposizione di un tavolo di confronto presso l'Aran per il comparto sanità e la dirigenza area III e IV finalizzato a rivedere l'organizzazione del lavoro del comparto stesso e finanziare con le risorse derivanti dai risparmi la contrattazione aziendale di secondo livello ovviamente con principi perequativi;

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di autorizzare l'Aran, ricevuto l'atto di indirizzo del Comitato di settore e della Presidenza del Consiglio dei ministri, ad aprire un tavolo di contrattazione integrativo per il Comparto sanità e l'area della dirigenza III e IV, con l'obiettivo di stabilire i criteri di finanziamento degli istituti della contrattazione aziendale attraverso i risparmi di spesa conseguiti e certificati a seguito dell'impegno dei personale dipendente consentendo la ripresa della contrattazione pubblica nel comparto e consentire una migliore e più funzionale organizzazione per la realizzazione del patto per la Salute.
9/2679-bis-A/257.    (Testo modificato nel corso della seduta) Cardinale, Burtone, Sbrollini.


      La Camera,
          premesso che:
              lo Stato con la legge 29 novembre 1984, n.  798, ha riconosciuto la salvaguardia di Venezia e della sua laguna, problema di preminente interesse nazionale;
              a tal fine lo Stato è impegnato a garantire la salvaguardia dell'ambiente paesistico, storico, archeologico e artistico della città di Venezia e della sua laguna, tutelandone il delicato e particolare equilibrio idraulico, assicurandone adeguato supporto per la vitalità sociale ed economica di un patrimonio mondiale;
              sulla base del riconoscimento della propria «specialità» la città di Venezia è destinataria, come previsto per legge, prioritariamente di:
          a) finanziamenti destinati alla tutela del patrimonio culturale e interventi conservativi del patrimonio immobiliare;
          b) finanziamenti per opere di urbanizzazione primaria nonché per la sistemazione di ponti, canali e fondamenta sui canali di competenza comunale;
          e) stanziamenti per l'acquisizione di aree da destinare a insediamenti produttivi e la loro urbanizzazione;
              negli ultimi anni le risorse per la salvaguardia di Venezia sono state destinate, sostanzialmente, alla realizzazione del Mose e, pertanto, si è registrato un oggettivo ridimensionamento delle risorse, complessivamente, a disposizione della città e, quindi, finalizzati agli obiettivi di cui in premessa;

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di assicurare il pieno riconoscimento della specialità di Venezia, come stabilito da legge dello Stato, attraverso lo stanziamento di nuove risorse, per interventi di recupero architettonico, urbanistico, ambientale e socio-economico della città e della sua laguna.
9/2679-bis-A/258. Martella, Mognato, Murer, Zoggia, De Menech.


      La Camera,
          premesso che:
              con il presente disegno di legge di stabilità il Governo ha stanziato per la prima volta 50 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015, destinata alla cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo;
              nel solo 2013 gli operatori del gioco hanno investito in Italia ben 105 milioni di euro, di cui il 37 per cento per il gioco online, il 31 per cento per Lotterie e Gratta e Vinci, il 24 per cento sulle scommesse e 18 per cento sulle slot;
              oggi in Italia come riporta il Dipartimento politiche anti droga della Presidenza del Consiglio si stima siano circa 32 milioni gli italiani che giocano, pari al 54 per cento della popolazione e secondo un'indagine del Codacons, il 50 per cento dei disoccupati italiani presenta forme più o meno gravi di dipendenza dal gioco;
              risultano affetti da ludopatia il 33 per cento dei giocatori di videolottery, il 25 per cento delle casalinghe e il 17 per cento dei pensionati e degli studenti;
              il decreto-legge n. 158 del 2012, noto come «decreto Balduzzi» nel quale sono stati introdotti i limiti e le sanzioni per il contrasto ai fenomeni patologici legati al gioco d'azzardo non ha prodotto fino ad ora gli effetti sperati;
              i concessionari del gaming spendono 105 milioni di euro l'anno in pubblicità e 87 milioni in sponsorizzazioni. Di questi almeno 50 milioni sono «imposti» dallo Stato in base alle convenzioni stipulate con i concessionari stessi;
              una, possibile, soluzione da adottare potrebbe essere quella di destinare allo Stato, alle regioni e alle Asl, gli importi attualmente previsti dalle vigenti concessioni per il Superenalotto, Lotto e Gratta e Vinci, in materia di pubblicità, vincolandoli a misure di contrasto nei confronti delle cosiddette ludopatie e alla cura dei giocatori patologici;
              questi obblighi potrebbero poi essere assunti anche nell'ambito delle altre convenzioni in essere, da rinnovare o da stipulare ex novo imponendo la medesima destinazione;
              le risorse rivenienti da tali misure potrebbero pertanto andare ad implementare le risorse del Fondo stanziato dal presente disegno di legge;

impegna il Governo:

ad attivare entro 60 giorni dalla approvazione definitiva del presente disegno di legge un tavolo di confronto con tutti i soggetti istituzionali competenti e gli operatori del settore al fine di valutare l'opportunità di modificare le attuali convenzioni di concessione relative al Superenalotto, Lotto e Gratta e Vinci, trasformando l'obbligo a carico dei concessionari di effettuare iniziative pubblicitarie in obbligo di trasferire le medesime risorse allo Stato, ai Comuni ed alle Regioni per finanziare progetti e programmi di prevenzione e cura delle ludopatie.
9/2679-bis-A/259. Anzaldi, Baroni, Gelli.


      La Camera,
          premesso che:
              con il presente disegno di legge di stabilità il Governo ha stanziato per la prima volta 50 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015, destinata alla cura delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo;
              nel solo 2013 gli operatori del gioco hanno investito in Italia ben 105 milioni di euro, di cui il 37 per cento per il gioco online, il 31 per cento per Lotterie e Gratta e Vinci, il 24 per cento sulle scommesse e 18 per cento sulle slot;
              oggi in Italia come riporta il Dipartimento politiche anti droga della Presidenza del Consiglio si stima siano circa 32 milioni gli italiani che giocano, pari al 54 per cento della popolazione e secondo un'indagine del Codacons, il 50 per cento dei disoccupati italiani presenta forme più o meno gravi di dipendenza dal gioco;
              risultano affetti da ludopatia il 33 per cento dei giocatori di videolottery, il 25 per cento delle casalinghe e il 17 per cento dei pensionati e degli studenti;
              il decreto-legge n. 158 del 2012, noto come «decreto Balduzzi» nel quale sono stati introdotti i limiti e le sanzioni per il contrasto ai fenomeni patologici legati al gioco d'azzardo non ha prodotto fino ad ora gli effetti sperati;
              i concessionari del gaming spendono 105 milioni di euro l'anno in pubblicità e 87 milioni in sponsorizzazioni. Di questi almeno 50 milioni sono «imposti» dallo Stato in base alle convenzioni stipulate con i concessionari stessi;
              una, possibile, soluzione da adottare potrebbe essere quella di destinare allo Stato, alle regioni e alle Asl, gli importi attualmente previsti dalle vigenti concessioni per il Superenalotto, Lotto e Gratta e Vinci, in materia di pubblicità, vincolandoli a misure di contrasto nei confronti delle cosiddette ludopatie e alla cura dei giocatori patologici;
              questi obblighi potrebbero poi essere assunti anche nell'ambito delle altre convenzioni in essere, da rinnovare o da stipulare ex novo imponendo la medesima destinazione;
              le risorse rivenienti da tali misure potrebbero pertanto andare ad implementare le risorse del Fondo stanziato dal presente disegno di legge;

impegna il Governo:

ad attivare un tavolo di confronto con tutti i soggetti istituzionali competenti e gli operatori del settore al fine di valutare l'opportunità di modificare le attuali convenzioni di concessione relative al Superenalotto, Lotto e Gratta e Vinci, trasformando l'obbligo a carico dei concessionari di effettuare iniziative pubblicitarie in obbligo di trasferire le medesime risorse allo Stato, ai Comuni ed alle Regioni per finanziare progetti e programmi di prevenzione e cura delle ludopatie.
9/2679-bis-A/259.    (Testo modificato nel corso della seduta) Anzaldi, Baroni, Gelli.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge 6 marzo 2001 n. 64 ha istituito il Servizio Civile Nazionale: un Servizio volontario aperto ai giovani dai 18 ai 28 anni finalizzato alla difesa non armata, ai sensi degli articoli 52, primo comma, e 11 della Costituzione, dando oro la possibilità di effettuare un percorso di formazione sociale, civica, culturale e professionale attraverso l'esperienza umana di solidarietà sociale, attività di cooperazione nazionale ed internazionale, di salvaguardia e tutela del patrimonio nazionale;
              l'istituto è finanziato tramite il Fondo nazionale per il servizio civile istituito con Legge n.  230 del 1998, articolo 19 che, per l'anno 2015, ha subito un taglio di circa 40 milioni;
              risulta strategicamente rilevante l'importanza di investire, soprattutto in un periodo di crisi occupazionale come quello attuale, su uno strumento così efficace ed utile per i giovani per acquisire competenze da poter utilizzare in un successivo percorso lavorativo ma, soprattutto, per fare esperienza di cittadinanza attiva a tutela del Paese;
              considerata la chiara intenzione del Governo e del Parlamento di riformare l'istituto del Servizio Civile Nazionale rendendolo universale attraverso l'approvazione della Delega al Governo per la riforma del Terzo Settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale (articolo 5 atto Camera n.  2617),

impegna il Governo:

          a valutare in maniera approfondita gli effetti delle disposizioni richiamate al fine di ripristinare, nel corso dell'iter della manovra di bilancio, i fondi prima assegnati per il 2015 al Servizio Civile Nazionale;
              ad assegnare prioritariamente all'istituto del Servizio civile universale i fondi destinati alla legge Delega al Governo per la riforma del Terzo Settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale;
          a garantire, gradualmente fino al 2017, i fondi per assicurare un contingente di 100.000 giovani in Servizio civile universale.
9/2679-bis-A/260. Bonomo, Sereni, Campana, Lenzi, Ascani, Braga, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame prevede l'istituzione del Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, in cui confluiscono le risorse dell'analogo Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali dal decreto-legge 95/2012 (convertito dalla legge n.  135 del 2012) che viene contestualmente soppresso;
              il Fondo era stato istituito dall'articolo 23, comma 11, del decreto-legge n.  95/2012, con una dotazione di 5 milioni di euro per l'anno 2012, successivamente incrementata di 20 milioni per l'anno 2013,
              dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n.  120/2013 (legge n.  137/2013) nonché, di 40 milioni di euro per il 2014 e di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016 dall'articolo 1, comma 202 e 203, della legge n.  147/2013 (legge di stabilità 2014), ed è incrementato ulteriormente di 12,5 milioni di euro all'anno a decorrere dal 2015 dal comma 14 dell'articolo 17;
              nell'ultimo anno i comuni hanno, per fare fronte all'emergenza e gestire ed accogliere i minori non accompagnati, dovuto anticipare i fondi necessari, fondi che fino ad ora non hanno recuperato e hanno avuto scarso, se non nullo, accesso al Fondo esistente,

impegna il Governo

a garantire che, oltre ai finanziamenti necessari per il 2014, vengano sanate le situazioni pregresse ed erogate per intero le somme anticipate dai comuni per la gestione dei minori stranieri non accompagnati.
9/2679-bis-A/261. Battaglia.


      La Camera,
          premesso che:
              sulla vicenda dei lavoratori dello stabilimento Isochimica, nel sito di Pianodardine di Avellino, in relazione alla estrema pericolosità delle lavorazioni di decoibentazione delle carrozze dei convogli ferroviari, da tempo è in corso in parlamento un confronto con il Governo per tutelare i diritti, vantati giustamente dai lavoratori interessati, con adeguate soluzioni legislative;
              a tal fine è stato portato avanti un costante lavoro per riconoscere alle maestranze della ex stabilimento Isochimica, i necessari benefici previdenziali e contributivi in quanto, va sottolineato, si tratta di una fabbrica che ha svolto attività di coibentazione e bonifica, che ha cessato le attività per intervenuta procedura di fallimento, ed il cui sito e’ finalmente interessato da un piano di bonifica da parte dell'ente territoriale e delle istituzioni preposte, proprio per la sua condizione fortemente e pericolosamente inquinante;
              nel percorso parlamentare della Legge di Stabilità per l'anno 2015, in prima lettura ed in Commissione Bilancio della Camera dei deputati è stato presentato uno specifico emendamento 11.20, sottoscritto dai presentatori di questo ordine del giorno, finalizzato alla risoluzione di questa drammatica vicenda;
              come si evince dai resoconti parlamentari della Commissione in riferimento nel chiedere il ritiro dell’ emendamento citato in premessa, il Governo si è impegnato ad individuare una soluzione normativa per i lavoratori Isochimica, che risultano ammalati con patologia asbesto correlata accertata e riconosciuta ai sensi dell'articolo 13, comma 7 della legge 27 marzo 1992 n.  257,

impegna, il Governo

a valutare la possibilità di inserire nel primo provvedimento utile, nei limiti delle risorse della finanza pubblica, con apposita previsione normativa, una soluzione adeguata per gli ex lavoratori Isochimica, con l'obiettivo di assicurare finalmente certezza nel percorso di riconoscimento dei diritti e della posizione, giustamente sollecitati con urgenza e da tempo dai suddetti lavoratori.
9/2679-bis-A/262. Paris, Famiglietti, Giorgio Piccolo, Tino Iannuzzi, Bonavitacola, Zappulla, Damiano, Baruffi, Maestri, Gribaudo, Fabbri, Narduolo, Realacci, D'Agostino, Amoddio.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, all'articolo 1 comma 42, proroga per l'anno 2015 le detrazioni fiscali ai fini IRPEF per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica; in particolare, il testo approvato dal Consiglio dei Ministri manteneva anche per il 2015 la detrazione pari al 50 per cento delle spese sostenute per le ristrutturazioni edilizie e per il connesso acquisto di mobili e la detrazione pari al 65 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica, inclusi quelli relativi alle parti comuni degli edifici condominiali;
              l'esame in commissione ha consentito di migliorare tale formulazione originaria e di disporre la proroga sino al 3 1 dicembre 2015 delle detrazioni attualmente previste (65 per cento) anche per gli interventi, così rilevanti, relativi all’ adozione di misure antisismiche: per tali interventi infatti il testo approvato dal Consiglio dei Ministri confermava le detrazioni previste a legislazione vigente, ossia il 65 per cento sino al 31 dicembre 2014 e solamente il 50 per cento, invece, per le spese sostenute nell'anno di imposta 2015;
              al riguardo si sottolinea che la VIII Commissione ha sempre sostenuto in modo condiviso ed unitario la necessità di potenziare le agevolazioni fiscali relative all'adozione di misure antisismiche per favorire l'indispensabile consolidamento statico del nostro patrimonio immobiliare, sovente in condizioni critiche ed inadeguate a resistere a eventi calamitosi anche di media entità;
              il primo atto approvato dalla VIII Commissione all'inizio della legislatura è stato proprio una risoluzione (n.  7-00003) che impegnava il Governo a rafforzare le politiche ambientali e a favorire l'edilizia di qualità ed energeticamente efficiente attraverso la riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare, assumendo iniziative dirette a dare stabilità e ad incrementare l'agevolazione fiscale, allora prevista nella misura del 55 per cento, per l'efficientamento energetico degli edifici, in particolare estendendo gli interventi al consolidamento antisismico del patrimonio edilizio esistente;
              tali richieste sono scaturite innanzitutto dalla considerazione che i cosiddetti eco bonus rappresentano un irrinunciabile valore sia ambientale che economico: sulla base delle stime elaborate dal CRESME, nel periodo 1998/2011 gli investimenti attivati attraverso gli incentivi fiscali – sulle ristrutturazioni edilizie e poi anche sull'efficientamento energetico degli edifici – hanno raggiunto la cifra di circa 102 miliardi di euro e hanno contribuito alla creazione di oltre 1,5 milione di occupati, di cui 1 milione diretti e oltre 500.000 indiretti. Negli ultimi 3 anni i dati indicano una crescita costante: nel 2011 sono stati spesi 17,7 miliardi, nel 2012 19,2 miliardi e nel 2013 si è arrivati a 27,8 miliardi, con un aumento di circa il 46 per cento e un valore pari al 2 per cento del Pil; per il 2014 i dati ad oggi disponibili confermano un trend di ulteriore e significativa crescita di oltre il 50 per cento;
              a ciò si aggiunge il fatto che l'Italia, per la sua particolare posizione nel contesto geodinamico del Mediterraneo, è uno dei paesi a maggiore pericolosità sismica in Europa: oltre il 60 per cento del territorio italiano è classificato a rischio sismico più o meno elevato secondo una suddivisione in tre zone; c’è anche una zona 4, a bassa pericolosità ma comunque a rischio per la presenza di edifici vulnerabili, secondo le valutazioni Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia;
              la proroga sino al 31 dicembre 2015 delle detrazioni attualmente previste (65 per cento) per gli interventi relativi all'adozione di misure antisismiche riguarda soltanto gli edifici dei comuni compresi nelle zone 1 e 2, escludendo i 1544 comuni compresi nella zona 3;
              tale esclusione rappresenta un forte svantaggio per i comuni interessati e i loro abitanti, che non potendo usufruire delle detrazioni fiscali si troveranno nella maggior parte dei casi nell'impossibilità di adeguare le loro abitazioni ai criteri antisismici, con evidente aumento del rischio per l'incolumità personale e per il danneggiamento delle strutture,

impegna il Governo

a inserire i 1544 comuni compresi nella zona, classificata quale zona 3 ai fini del rischio sismico, tra quelli che possono beneficiare delle detrazioni fiscali degli ecobonus attualmente previste nella misura del 65 per cento, per i lavori di messa in sicurezza e di consolidamento antisismico del patrimonio immobiliare.
9/2679-bis-A/263. Tino Iannuzzi, Realacci, Mazzoli, Mariani, Manfredi, Mariastella Bianchi, Zardini, Arlotti, Carrescia, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, all'articolo 1 comma 42, proroga per l'anno 2015 le detrazioni fiscali ai fini IRPEF per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica; in particolare, il testo approvato dal Consiglio dei Ministri manteneva anche per il 2015 la detrazione pari al 50 per cento delle spese sostenute per le ristrutturazioni edilizie e per il connesso acquisto di mobili e la detrazione pari al 65 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica, inclusi quelli relativi alle parti comuni degli edifici condominiali;
              l'esame in commissione ha consentito di migliorare tale formulazione originaria e di disporre la proroga sino al 3 1 dicembre 2015 delle detrazioni attualmente previste (65 per cento) anche per gli interventi, così rilevanti, relativi all’ adozione di misure antisismiche: per tali interventi infatti il testo approvato dal Consiglio dei Ministri confermava le detrazioni previste a legislazione vigente, ossia il 65 per cento sino al 31 dicembre 2014 e solamente il 50 per cento, invece, per le spese sostenute nell'anno di imposta 2015;
              al riguardo si sottolinea che la VIII Commissione ha sempre sostenuto in modo condiviso ed unitario la necessità di potenziare le agevolazioni fiscali relative all'adozione di misure antisismiche per favorire l'indispensabile consolidamento statico del nostro patrimonio immobiliare, sovente in condizioni critiche ed inadeguate a resistere a eventi calamitosi anche di media entità;
              il primo atto approvato dalla VIII Commissione all'inizio della legislatura è stato proprio una risoluzione (n.  7-00003) che impegnava il Governo a rafforzare le politiche ambientali e a favorire l'edilizia di qualità ed energeticamente efficiente attraverso la riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare, assumendo iniziative dirette a dare stabilità e ad incrementare l'agevolazione fiscale, allora prevista nella misura del 55 per cento, per l'efficientamento energetico degli edifici, in particolare estendendo gli interventi al consolidamento antisismico del patrimonio edilizio esistente;
              tali richieste sono scaturite innanzitutto dalla considerazione che i cosiddetti eco bonus rappresentano un irrinunciabile valore sia ambientale che economico: sulla base delle stime elaborate dal CRESME, nel periodo 1998/2011 gli investimenti attivati attraverso gli incentivi fiscali – sulle ristrutturazioni edilizie e poi anche sull'efficientamento energetico degli edifici – hanno raggiunto la cifra di circa 102 miliardi di euro e hanno contribuito alla creazione di oltre 1,5 milione di occupati, di cui 1 milione diretti e oltre 500.000 indiretti. Negli ultimi 3 anni i dati indicano una crescita costante: nel 2011 sono stati spesi 17,7 miliardi, nel 2012 19,2 miliardi e nel 2013 si è arrivati a 27,8 miliardi, con un aumento di circa il 46% e un valore pari al 2 per cento del Pil; per il 2014 i dati ad oggi disponibili confermano un trend di ulteriore e significativa crescita di oltre il 50 per cento;
              a ciò si aggiunge il fatto che l'Italia, per la sua particolare posizione nel contesto geodinamico del Mediterraneo, è uno dei paesi a maggiore pericolosità sismica in Europa: oltre il 60 per cento del territorio italiano è classificato a rischio sismico più o meno elevato secondo una suddivisione in tre zone; c’è anche una zona 4, a bassa pericolosità ma comunque a rischio per la presenza di edifici vulnerabili, secondo le valutazioni Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia;
              la proroga sino al 31 dicembre 2015 delle detrazioni attualmente previste (65 per cento) per gli interventi relativi all'adozione di misure antisismiche riguarda soltanto gli edifici dei comuni compresi nelle zone 1 e 2, escludendo i 1544 comuni compresi nella zona 3;
              tale esclusione rappresenta un forte svantaggio per i comuni interessati e i loro abitanti, che non potendo usufruire delle detrazioni fiscali si troveranno nella maggior parte dei casi nell'impossibilità’ di adeguare le loro abitazioni ai criteri antisismici, con evidente aumento del rischio per l'incolumità personale e per il danneggiamento delle strutture,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di inserire i 1544 comuni compresi nella zona, classificata quale zona 3 ai fini del rischio sismico, tra quelli che possono beneficiare delle detrazioni fiscali degli ecobonus attualmente previste nella misura del 65 per cento, per i lavori di messa in sicurezza e di consolidamento antisismico del patrimonio immobiliare.
9/2679-bis-A/263.    (Testo modificato nel corso della seduta) Tino Iannuzzi, Realacci, Mazzoli, Mariani, Manfredi, Mariastella Bianchi, Zardini, Arlotti, Carrescia, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              la «Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche», istituita il 25 maggio 2014 presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha il compito di imprimere un'accelerazione all'attuazione degli interventi di messa in sicurezza del territorio e di supportare la nuova programmazione delle risorse per il periodo 2014-2020;
              il decreto-legge n.  91 del 2014 ha reso ordinaria l'attribuzione ai presidenti di regione di funzioni per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico e contemporaneamente, ha avviato un procedimento di ricognizione dello stato di attuazione di tutti gli interventi finanziati anche in data antecedente al 2009 per procedere alla revoca delle risorse economiche non ancora utilizzate con l'obiettivo di canalizzare le stesse su interventi altrettanto urgenti ma immediatamente cantierabili;
              il Piano per la mitigazione del rischio alluvioni redatto dalla Struttura di Missione per 14 aree metropolitane prevede investimenti per oltre 1 miliardo di euro e mediante l'attività di ricognizione e riprogrammazione svolta dalla stessa Struttura di missione è stato già possibile sbloccare un residuo di risorse provenienti dalla programmazione 2007-2013 dei Fondi strutturali pari a 110 milioni di euro;
              nella presente legge di Stabilità il Fondo per le emergenze nazionali (cap. 7441) per 140 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2015-2017 è stato ulteriormente finanziato con una quota di 60 milioni di euro, rimanendo tali risorse acquisite al bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri nell'anno 2015;
              contemporaneamente alla ricostruzione dei danni provocati dal dissesto idrogeologico, sia necessario attivare una politica di prevenzione di tipo strutturale e sistemico, in quanto la complessità delle questioni su cui intervenire riguarda una pluralità di interventi di prevenzione, di mitigazione e di messa in sicurezza di un territorio a grande fragilità;
              gli interventi strutturali di prevenzione e di mitigazione del dissesto idrogeologico richiedono la continuità e la certezza dei finanziamenti per le regioni e i comuni che sono direttamente coinvolti nell'opera di manutenzione del territorio;
              tali finanziamenti potrebbero trovare apposita collocazione in un «Fondo per la mitigazione del rischio idrogeologico» al quale le regioni, autorizzate dal Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, potrebbero ricorrere mediante la stipula di appositi mutui trentennali, sulla base di criteri di economicità e di contenimento della spesa, con oneri di ammortamento a totale carico dello Stato, con la Banca europea per gli investimenti, con la Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa, con la società Cassa depositi e prestiti Spa, e con i soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività bancaria, ai sensi del decreto legislativo 1o settembre 1993, n.  385;
              al fine di garantire l'efficacia e l'efficienza degli interventi e l'adeguato e razionale utilizzo delle risorse finanziarie è necessario che le regioni approvino un piano dettagliato degli interventi, corredato dei rispettivi progetti definitivi ai sensi dell'articolo 93 del decreto legislativo n.  163 del 2006,

impegna il Governo

          ad istituire con urgenza, nell'ambito delle risorse disponibili, il «Fondo per la mitigazione del rischio idrogeologico» al quale le regioni interessate possano ricorrere per il finanziamento degli interventi di mitigazione e di prevenzione dal dissesto idrogeologico, mediante la stipula di appositi mutui trentennali, con oneri di ammortamento a totale carico dello Stato, con la Banca europea per gli investimenti, con la Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa, con la società Cassa depositi e prestiti Spa, e con i soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività bancaria, ai sensi del decreto legislativo 1o settembre 1993, n.  385;
          a dotare di copertura finanziaria il «Fondo per la mitigazione del rischio idrogeologico» con un contributo pluriennale per la durata dell'ammortamento del mutuo, a decorrere dall'anno 2015;
          a definire, tramite una apposita iniziativa legislativa, tempi certi e modalità per semplificare le procedure amministrative degli interventi di manutenzione e per la concessione di finanziamenti per gli interventi di manutenzione del territorio urgenti, stabilendo le modalità di attuazione del «Fondo per la mitigazione del rischio idrogeologico».
9/2679-bis-A/264. Mariani, Braga, Borghi, Bratti, Manfredi, Tino Iannuzzi, Giovanna Sanna, Mazzoli, Mariastella Bianchi, Morassut, Arlotti, Carrescia, Zardini, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              obiettivo principale della gestione del territorio è evitare il consumo indiscriminato del suolo, la contestuale valorizzazione e tutela dei terreni non edificati e il puntare decisamente sul riuso e sulla rigenerazione urbana;
              i dati statistici, infatti, ci dicono che in Italia si consumano ogni anno circa 500 chilometri quadrati di territorio senza una pianificazione globale; i dati più recenti segnalano che, ogni giorno, cento ettari di terreno vanno persi. Calcolando la cifra con riferimento agli ultimi quarant'anni si arriva alla somma di una superficie ci circa 5 milioni di ettari. Siamo passati da un totale di aree coltivate di 18 milioni di ettari a meno di 13 milioni;
              questo trend molto grave ha un costo economico e sociale rilevante; infatti l'impermeabilizzazione del suolo è un fattore che incide enormemente sull'approvvigionamento alimentare in quanto interessa terreni migliori – fertili, pianeggianti, limitrofi ai centri abitati, ricchi di infrastrutture e di facile accesso – ed assume rilevo anche nell'ambito dei gravi fenomeni di dissesto idrogeologico del nostro Paese;
              la legge di stabilità 2015, nel testo approvato dalla commissione referente all'articolo 2, comma 211, proroga all'anno 2015 l'applicazione della disciplina concernente l'utilizzo dei proventi dei permessi di costruire e delle sanzioni previste dal testo unico in materia edilizia, decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.  380, che è contenuta nell'articolo 2, comma 8 della legge n.  244 del 2007;
              tale norma ha consentito di utilizzare, dal 2008 fino all'anno in corso, i predetti proventi per una quota non superiore al 50 per cento per il finanziamento di spese correnti e per una quota non superiore ad un ulteriore 25 per cento esclusivamente per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale;
              per contenere l'aumento indiscriminato delle edificazioni e quindi di un'eccessiva urbanizzazione, si discute da tempo sulla opportunità di prevedere che tali proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni in materia edilizia previsti dal testo unico in materia edilizia, decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.  380, siano destinati dagli enti locali esclusivamente alla realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e ad opere di manutenzione straordinaria del territorio;
              il provvedimento del Governo C. 2039 sul «Contenimento del suolo e riuso del suolo edificato» – in fase di comitato ristretto alla Camera dei deputati – con l'obiettivo di garantire un equilibrio nell'assetto territoriale tra zone suscettibili di utilizzazione agricola e zone edificate ed edificabili – va appunto in questa direzione, prevedendo la soppressione nell'articolo 2, comma 8 della legge n.  244 del 2007 e la destinazione esclusiva dei proventi dei permessi di costruire e delle sanzioni previste dal testo unico in materia edilizia, decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.  380, per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, per il risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, per interventi di qualificazione dell'ambiente e del paesaggio, anche ai fini della messa in sicurezza delle aree esposte a rischio idrogeologico e sismico e della tutela e della riqualificazione del patrimonio rurale pubblico;
              nella situazione attuale considerato lo stato di difficoltà della finanza locale si può comprendere la necessità della proroga per coprire spesa corrente, tuttavia appare essenziale ribadire la visione strategica su tale materia dando chiare indicazioni al riguardo;
              il Governo ha manifestato l'intenzione di procedere ad una revisione della tassazione locale attraverso l'introduzione di una local tax che abbia tra le finalità quelle di procedere ad una semplificazione dell'attuale sistema e contestualmente ad una maggiore autonomia degli enti locali coniugata a principi di equità fiscale,

impegna il Governo:

          nell'ambito della revisione della tassazione locale:
              a prevedere l'effettiva destinazione dei proventi dei permessi di costruire e delle sanzioni previste dal testo unico in materia edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.  380, per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria;
              ad introdurre misure premiali per quei comuni che adottano una tassazione locale orientata alla riduzione del consumo di suolo e al recupero del patrimonio edilizio esistente.
9/2679-bis-A/265. Braga, Mariani, Bratti, Manfredi, Tino Iannuzzi, Carrescia, Mazzoli, Zardini, Giovanna Sanna, Arlotti, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 42 del disegno di legge al nostro esame proroga le detrazioni per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica; in sede referente i benefici fiscali per la riqualificazione energetica sono stati estesi alle schermature solari, agli impianti di climatizzazione invernale alimentati da biomasse combustibili nonché all'adozione di misure antisismiche;
              gli incentivi fiscali alla ristrutturazione edilizia e alla riqualificazione energetica degli edifici hanno rilevanti ricadute in termini di investimenti e di occupazione;
              la disciplina normativa degli incentivi per gli interventi di riqualificazione energetica e di ristrutturazione edilizia è stata modificata nel 2012 e nel 2013; in particolare, i decreti-legge n.  83 del 2012 e n.  63 del 2013 hanno inciso sulle percentuali di detrazione e sui limiti massimi di costo agevolabile;
              nel periodo 2012-2013, l'aumento degli incentivi, ha incrementato la domanda di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica e ha reso gli interventi fiscalmente detraibili ancora più concorrenziali rispetto a quelli realizzati attraverso forme di attività sommersa, con importanti effetti sull'emersione del lavoro in nero;
              gli investimenti privati nella riqualificazione edilizia che beneficiano della detrazione fiscale hanno segnato nel 2012 un significativo incremento (14,5 miliardi di euro nel 2012 rispetto a 12,0 miliardi di euro nel 2011) con un netto aumento degli interventi per le ristrutturazioni (11,5 miliardi di euro, contro gli 8,7 del 2011) e una riduzione degli interventi finalizzati al risparmio energetico (3 miliardi di euro contro i 3,3 del 2011, circa il 10 per cento in meno) per la forte concorrenza prodotta dall'incremento dal 36 al 50 per cento delle detrazioni per i lavori di ristrutturazione edilizia a decorrere dal giugno 2012;
              il 2013 è stato caratterizzato da un ulteriore ed eccezionale aumento dell'importo dei lavori detraibili: circa 19 miliardi di euro rispetto ai 14,5 miliardi del 2012 (+ 31 per cento); complessivamente, dei 19 miliardi di investimenti del 2013, 14.5 miliardi di euro sono imputabili alle ristrutturazioni edilizie e 4,5 miliardi agli interventi di efficientamento energetico, che, a partire dal 30 giugno 2013 hanno beneficiato di un'innalzamento dell'aliquota dal 55 per cento al 65 per cento, che è stata altresì estesa alle spese per l'adeguamento antisismico degli edifici;
              gli incentivi alla ristrutturazione edilizia hanno importanti ricadute sulla produzione e sulla commercializzazione dei materiali e dei servizi per l'edilizia;
              i dati ISTAT sulla produzione di materiali, sistemi e componenti per le costruzioni, hanno registrato, nel primo semestre del 2013, una crescita della produzione di prodotti sanitari e soprattutto di cemento; significativi anche gli effetti dell'incremento delle attività di ristrutturazione del patrimonio edilizio sul settore della distribuzione di materiali idrotermosanitari, di finitura e di impiantistica;
              l'IVA è disciplinata a livello europeo dalla cosiddetta direttiva IVA, che attribuisce agli Stati membri la facoltà di applicare una o due aliquote ridotte, comunque non inferiori al 5 per cento, esclusivamente per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi delle categorie individuate nell'allegato III della direttiva;
              a legislazione vigente, i beni, escluse le materie prime e semilavorate, forniti per la realizzazione degli interventi di recupero di cui all'articolo 31 primo comma, lettere a), b), c) e d), della legge 5 agosto 1978, n.  457, e le prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto relativi alla realizzazione degli interventi di recupero di cui all'articolo 31 primo comma, lettere a), b), c) e d), della legge 5 agosto 1978, n.  457, sono assoggettati all'aliquota agevolata del 10 per cento;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre opportune modifiche alla disciplina dell'IVA al fine di applicare l'aliquota ridotta del cinque per cento in particolare ai beni, escluse le materie prime e semilavorate, forniti per la realizzazione degli interventi di recupero di cui all'articolo 31 primo comma, lettere a), b), c) e d), della legge 5 agosto 1978, n.  457, e alle prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto relativi alla realizzazione degli interventi di recupero di cui all'articolo 31 primo comma, lettere a), b), c) e d), della legge 5 agosto 1978, n.  457.
9/2679-bis-A/266. Manfredi, Mariani, Sanga, Braga, Borghi, Tino Iannuzzi, Bratti.


      La Camera,
          premesso che:
              gli enti locali e il loro sistema di welfare hanno pesantemente subito l'impatto della crisi economico-finanziaria e le restrizioni imposte dal patto di stabilità interno, sia in termini di aumento dei bisogni dei cittadini sia per la progressiva e continua diminuzione delle risorse, tanto che appaiono ormai messi in discussione la ragione sociale e il ruolo dei Comuni, che si trovano quotidianamente ad affrontare gli effetti della crisi economica che ogni giorno assume i contorni sempre più nitidi di una crisi sociale profonda;
              proprio in funzione di queste gravi difficoltà, la legge di stabilità 2015, nel testo approvato dalla commissione referente all'articolo 2, comma 211, proroga all'anno 2015 l'applicazione della disciplina concernente l'utilizzo dei proventi dei permessi di costruire e delle sanzioni previste dal TU in materia edilizia, decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.  380, che è contenuta nell'articolo 2, comma 8 della legge n.  244 del 2007 e che ha consentito di utilizzare, dal 2008 fino all'anno in corso, i predetti proventi per una quota non superiore al 50 per cento per il finanziamento di spese correnti e per una quota non superiore ad un ulteriore 25 per cento esclusivamente per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale;
              l'articolo 17 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.  133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n.  164, ha apportato numerose modifiche al Testo unico in materia edilizia (decreto del Presidente della Repubblica n.  380/2001), finalizzate a semplificare la vigente disciplina e sostenere, così, la ripresa del settore;
              in particolare al comma 1, lettera a) è stata modificata la definizione di manutenzione straordinaria, in cui rientrano le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, che non comportino modifiche delle destinazioni di uso, al fine di prevedere, per i predetti interventi, il rispetto della volumetria complessiva degli edifici, in luogo dell'invarianza dei volumi e delle superfici delle singole unità immobiliari;
              in forza delle modifiche introdotte all'articolo 17, inoltre, rientrano tra gli interventi di manutenzione straordinaria quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere, anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso;
              in base a tali modifiche per realizzare l'intervento con la comunicazione di inizio lavori (CIL) rispetto al testo previgente, rimane la sola condizione che l'intervento non deve riguardare le parti strutturali dell'edificio;
              con riguardo alle opere interne, infine, la lettera h), numero 1), del comma 1 dell'articolo 17, stabilisce che, per gli interventi di manutenzione straordinaria effettuabili previa comunicazione di inizio lavori (opere e modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso; frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione di uso, ivi compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell'edificio), il contributo di costruzione deve essere commisurato alle sole opere di urbanizzazione, purché tali interventi comportino aumento del carico urbanistico;
              il predetto contributo di costruzione assume, nel contesto di grave crisi degli enti locali sopra descritto, una grande rilevanza per ridare fiato agli investimenti non solo nell'ambito delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ma anche per quanto riguarda l'erogazione di servizi di welfare indispensabili nel contesto dell'attuale profonda crisi sociale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di precisare meglio la disciplina del contributo di costruzione, d'intesa con la Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, individuando criteri omogenei per la sua applicazione a partire dalla necessità di commisurare tale contributo al valore patrimoniale dell'immobile, prevedendo un'adeguata progressività del contributo medesimo.
9/2679-bis-A/267. Arlotti.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2 del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n.  98 prevede, al comma 1, l'accesso delle micro, piccole e medie imprese a finanziamenti e a contributi a tasso agevolato per gli investimenti, anche mediante operazioni di leasing finanziario, in macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo, nonché per gli investimenti in hardware, software ed in tecnologie digitali;
              i commi 2 e 3 del medesimo articolo 2 disciplinano la concessione dei finanziamenti da parte di banche e società di leasing finanziario, a valere su un plafond di provvista costituito presso la gestione separata di Cassa depositi e prestiti S.p.a.;
              con decreto ministeriale 27 novembre 2013 del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, emanato ai sensi del comma 5 del citato articolo 2, si è provveduto a definire i requisiti, le condizioni di accesso, la misura massima e le modalità per la concessione e l'erogazione dei contributi;
              in particolare l'articolo 5 del citato decreto ministeriale 27 novembre 2013 stabilisce gli investimenti ammissibili confermando le finalità del finanziamento che deve essere interamente utilizzato per l'acquisto, o l'acquisizione nel caso di operazioni di leasing finanziario, di macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo, nonché di hardware, software e tecnologie digitali, classificabili, nell'attivo dello stato patrimoniale, alle voci B.II.2, B.II.3 e B.II.4, dell'articolo 2424 del codice civile, e destinati a strutture produttive già esistenti o da impiantare, ovunque localizzate nel territorio nazionale;
              l'articolo 5 del decreto ministeriale 27 novembre 2013, tuttavia, nello specificare la finalizzazione degli investimenti ammissibili (creazione di una nuova unità produttiva; ampliamento di una unità produttiva esistente; diversificazione della produzione di uno stabilimento; cambiamento fondamentale del processo di produzione complessivo di una unità produttiva esistente; acquisizione degli attivi direttamente connessi ad una unità produttiva, nel caso in cui l'unità produttiva sia stata chiusa o sarebbe stata chiusa qualora non fosse stata acquisita e gli attivi vengano acquistati da un investitore indipendente), sembra escludere o, quantomeno, ridurre l'impatto dell'innovazione introdotta dal decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, riguardo al finanziamento per investimenti in hardware, software e tecnologie digitali;
              la questione è di grande rilevanza se si considera che numerose aziende producono dispositivi, software ed hardware finalizzati al contrasto del fenomeno della contraffazione e che molte aziende interessate a tutelare le proprie produzioni dal mercato del falso, si sono attivate e si stanno attivando per dotarsi di tali tecnologie e dispositivi che consentono il controllo diretto da parte del produttore, del venditore e del consumatore, riguardo alla veridicità delle informazioni relative alla merce acquistata, soprattutto per quanto attiene l'effettiva tracciabilità dei materiali e dei prodotti con marchio made in Italy e 100 per cento made in Italy,

impegna il Governo

a chiarire con proprio provvedimento che ai finanziamenti previsti dall'articolo 2 del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69, sono ammesse, non solo le imprese che producono hardware, software e tecnologie digitali, ma anche le imprese del settore manifatturiero ed agroalimentare che se ne dotano con particolare riguardo a quelle che finalizzano tali dispositivi e tecnologie al contrasto del fenomeno della contraffazione nel campo del made in Italy.
9/2679-bis-A/268. Cenni, Mongiello, Taranto, Baruffi, Camani, Berretta, Senaldi, Donati, Amoddio, Antezza.


      La Camera,
          premesso che:
              il sistema tramviario fiorentino, attualmente in fase di realizzazione, sarà costituito a regime da tre linee tranviarie principali per uno sviluppo di circa 20 km;
              con deliberazione di Giunta n.  52 del 28 marzo 2011 il Comune di Firenze ha approvato il Progetto Esecutivo delle Linee 2 e 3 (Io lotto) del sistema tramviario, fatta salva la tratta di passaggio al Duomo (Unità - Duomo - San Marco - Libertà) e tutte le attività connesse, fra cui l'adeguamento ai veicoli e alla sede per consentire l'attraversamento del centro storico con il sistema a batterie;
              la tramvia fiorentina è un'opera strategica per la mobilità del capoluogo toscano e per i Comuni limitrofi, anche in forza del potenziale allungamento ai Comuni di Campi Bisenzio e Sesto Fiorentino;
              sulla base di un accordo siglato nel 2013 con l'Unione Europea, il finanziamento di 36,6 milioni di euro di fondi europei del POR-CreO 2007-2013, alla Regione Toscana è stato prolungato fino al 31 marzo 2019, dando la possibilità di chiudere i lavori per la costruzione di tre linee per un'opera che complessivamente comporta una spesa di 600 milioni, compreso il tratto interrato che attraverserà il centro;
              l'Unione Europea ha anche preso in considerazione la proposta, avanzata sempre dalla Regione, di estendere il sistema tramviario fiorentino a Sesto Fiorentino e Campi Bisenzio con altre due linee; quasi 70 milioni sono già stati impegnati dalla Regione Toscana per la realizzazione dei lavori della tramvia fiorentina, comprensivi di 31,2 milioni di euro di risorse proprie e di 36,6 milioni di fondi europei, ai quali debbono aggiungersi risorse per l'acquisto dei tram e i fondi annuali di esercizio; la parte più cospicua di risorse è a carico del Comune di Firenze che ha approvato con deliberazione della Giunta del Comune di Firenze n.  119/2012, un costo complessivo pari a 424.845.428,84 milioni di euro per il Progetto Esecutivo delle linee 2 e 3 (1o Lotto),

impegna il Governo

in sede di discussione al Senato della Legge di Stabilità, a prevedere che le spese sostenute dal Comune di Firenze per la realizzazione del sistema tramviario fiorentino siano escluse dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno.
9/2679-bis-A/269. Albini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame prevede la proroga delle detrazioni per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica, mantenendo anche per il 2015 le attuali misure del 5o per cento per le ristrutturazioni e per il connesso acquisto di mobili e del 65 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica, inclusi quelli relativi alle parti comuni degli edifici condominiali, e di consolidamento antisismico degli edifici esistenti;
              l'articolo 3 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.  380, reca le definizioni degli interventi edilizi;
              al comma 1, lettera d) sono definiti gli interventi di ristrutturazione edilizia come «gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. ...»;
              in molte realtà urbane e non del Paese, soprattutto al Sud, sono tuttora presenti un numero significativo di edifici residenziali privi del prospetto esterno, mai completato presumibilmente per ragioni economiche;
              il completamento del prospetto esterno degli edifici, diversamente dal semplice rifacimento, non appare specificato tra le tipologie degli interventi di ristrutturazione edilizia sulla base del citato decreto del Presidente della Repubblica, nonostante il fatto che la presenza diffusa di edifici non completati esternamente rappresenti un elemento di degrado e di cattiva manutenzione nelle zone interessate dal fenomeno;
              da interlocuzioni avute in particolare con l'Agenzia delle Entrate, la fattispecie d'intervento riguardante il completamento del prospetto esterno degli edifici sembrerebbe però essere assimilata agli interventi di ristrutturazione edilizia,

impegna il Governo

a chiarire che tra gli interventi di ristrutturazione edilizia sono compresi anche quelli necessari per il completamento del prospetto esterno degli edifici residenziali.
9/2679-bis-A/270. Moscatt.


      La Camera,
          premesso che:
              l'Associazione nazionale vittime civili di guerra Onlus è l'ente morale, sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'interno ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 27 febbraio 1990, incaricato per legge dal 1943 della rappresentanza e della tutela delle oltre 120.000 vittime civili di guerra italiane e delle loro famiglie;
              l'Associazione tramite le proprie oltre 100 sedi periferiche offre quotidiana assistenza alle vittime civili di guerra ed ai loro congiunti;
              negli ultimi anni, inoltre, in cui in tutto il mondo oltre 50 conflitti hanno prodotto 4 milioni di vittime civili di guerra, l'Associazione ha avuto un ruolo di primo piano nella sensibilizzazione delle istituzioni e della comunità internazionale per far conoscere questi drammatici e dolorosi eventi e per diffondere e promuovere una cultura della pace e della solidarietà che deve vincere sulla violenza, sul terrorismo e sulla guerra;
              tra le pregevoli attività sociali che svolge l'Associazione, vi rientra anche il servizio relativo alla divulgazione ed alla sensibilizzazione del pubblico in ordine al tema degli ordigni bellici inesplosi ed ai rischi che corrono le persone quando si imbattono in questi oggetti. Tale compito lo assolve, in particolare, tramite lo specifico Dipartimento ordigni bellici inesplosi impegnato a condurre ricerche, studi e iniziative sul tema, in Italia e nel mondo;
              in materia di armi ed ordigni bellici abbandonati o appositamente disseminati per creare vittime e danni verso le persone civili innocenti, va segnalato l'impegno dell'ONU che ha istituito la Giornata Mondiale per la Promozione e l'Assistenza all'Azione contro le Mine e gli ordigni bellici inesplosi che si celebra il 4 Aprile di ogni anno. Delle sventurate vittime di queste armi, tre su quattro sono civili, che azionano questi congegni a volte anche dopo molti anni dalla fine di una guerra;
              ogni anno, nel mondo, secondo i dati forniti dall'agenzia dell'ONU contro le mine antiuomo, 10 persone sono uccise o mutilate dall'esplosione di mine. E c’è una mina inesplosa ogni 17 bambini;
              i bambini sono particolarmente esposti agli ordigni inesplosi, incluse le bombe a grappolo, perché sono spesso colorate, luccicanti e quindi attraenti ai loro occhi. Inoltre i bambini, per la corporatura ancora piccola, hanno più probabilità di morire in seguito alle esplosioni rispetto agli adulti. E i dati lo confermano: oltre 1'85 per cento muore prima di raggiungere l'ospedale. Ma anche chi non riesce a sopravvivere perde la vitalità dell'infanzia, costretto a vedere mutilati arti e sogni;
              secondo l'UNICEF i bambini rappresentano più di un terzo delle vittime civili. La loro curiosità naturale li espone a maggiori rischi, poiché spesso quando si imbattono in tali ordigni, non conoscendoli, cercano di aprirli o di giocarci. Essi sono pertanto più esposti degli adulti al rischio di morire o di ferirsi per le conseguenze delle esplosioni;
              lo sviluppo di intere regioni dei Paesi più contaminati è gravemente ostacolato dalla presenza di ordigni inesplosi, che per anni dopo la fine di un conflitto impediscono la costruzione di case, strade, scuole, strutture sanitarie e altri servizi essenziali. Inoltre ostacolano seriamente l'accesso ai terreni agricoli, la loro irrigazione, il pascolo e l'allevamento del bestiame. Inoltre, rendono lento e rischioso il rimpatrio di rifugiati e sfollati, causando morti e fatica aggiuntiva nel ricostruire un tessuto sociale positivo e forte;
              in oltre 60 Paesi del mondo ci sono oggi più di 100 milioni di mine (Afghanistan, Bosnia, Cambogia, Iraq, Yemen, Sudan, Angola, Somalia, Mozambico, Vietnam sono tra i Paesi più colpiti). Secondo alcune stime per sminare completamente l'Afghanistan, procedendo agli attuali ritmi, occorrerebbero oltre 4.000 anni, dato che fa capire quanto profondamente e quanto a lungo gli ordigni bellici rendano insicuro il territorio;
              l'Italia con la legge n.  374 del 1997 ha messo al bando questo vergognoso strumento di distruzione di massa e nel 1999 ha ratificato il trattato di Ottawa, firmato da oltre 120 Paesi. Purtroppo molti grandi Stati ancora producono questo barbaro e vigliacco armamento che colpisce soprattutto i civili e causa danni anche a decenni di distanza dalla cessazione dei conflitti;
              ma non si pensi che si tratta di un fenomeno tragico che riguarda solo paesi lontani;
              i relitti di ordigni bellici inesplosi risalenti al Secondo conflitto mondiale sono tuttavia anche ed ancora intensamente presenti nel nostro Paese e gli effetti di lungo periodo sul territorio si fanno ancora sentire, tanto che ogni anno vengono rinvenuti oltre 60.000 ordigni (dati del Ministero della Difesa), i quali nel 2013 hanno causato 11 gravi ferimenti e già altri nei primi mesi del 2014;
              il nostro Paese è chiamato a fare la sua parte, sia nel proprio territorio ampliando gli interventi di bonifica sistematica ed informando sui rischi a cui incorre chi si imbatte in questi ordigni, sia rinnovando il suo impegno a sostegno delle azioni contro le mine, ad esempio finanziando adeguatamente il Fondo istituito con la legge n.  58 del marzo 2001 che, negli ultimi anni è stato drasticamente ridotto;
              è un dovere, una responsabilità etica e civile di tutte le Istituzioni nazionali e internazionali impegnarsi affinché sia interdetta in tutto il mondo la fabbricazione di nuove mine antiuomo e sia assicurata la distruzione di quelle esistenti e nello stesso tempo si proceda con convinzione e determinazione alla bonifica dei territori contaminati;
              l'Associazione nazionale vittime civili di guerra, affiancando le specifiche iniziativa dell'ONU, sta portando avanti una campagna di sensibilizzazione e prevenzione sul tema degli ordigni bellici inesplosi, perché spesso il silenzio è il peggiore dei nemici e spesso le vittime sono innanzitutto vittime dell'ignoranza, intesa come non conoscenza. La campagna in oggetto è stata presentata con il titolo «Un ordigno inesploso può sembrare un gioco, ma non è uno scherzo», ed è volta all'informazione sull'attualità di questo fenomeno e alla prevenzione sul rischio di incidenti connessi al ritrovamento di ordigni bellici;
              chiunque si imbatte oggi in qualche parte del Paese in un ordigno bellico, infatti, talvolta lo scambia per qualche oggetto di uso comune (ad es. un lumino, un giocattolo, un rottame, una penna), altre volte lo ritiene innocuo, magari un reperto da collezionare, pensando erroneamente che a distanza di tanti anni abbia perso la capacità di detonare. Con una corretta informazione dell'entità del fenomeno – e dunque sulla concreta possibilità di imbattersi in uno di questi ordigni – e della pericolosità di questi se manipolati da personale non specializzato, molti tragici incidenti potrebbero essere evitati;
              con questa campagna l'Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra ha due obiettivi: informare le persone sulla possibilità di imbattersi in questi ordigni e quando ciò avviene, di non toccare mai gli oggetti ritrovati, qualsiasi forma abbiano, anche apparentemente la più innocua, e di chiamare subito le forze dell'ordine;
              occuparsi dei problemi degli ordigni bellici inesplosi e delle mine antiuomo disseminate per distruggere le generazioni future dei paesi interessati da conflitti bellici, ma anche della necessità di procedere alla bonifica dei territori contaminati da questi ordigni, oltre che adoperarsi perché la popolazione sia informata sui rischi ed i pericoli che essi comportano fa naturalmente parte della missione dell'Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra,

impegna il Governo

          a rafforzare ed intensificare la collaborazione, anche a titolo oneroso, con l'Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra nelle iniziative dirette sia a sensibilizzare il pubblico sui pericoli rappresentati dagli ordigni bellici inesplosi e sui rischi che essi rappresentano in caso di loro ritrovamento e sia a promuovere azioni di sollecito verso le istituzioni nazionali e internazionali affinché sia interdetta in tutto il mondo la fabbricazione di nuove mine antiuomo e sia assicurata la distruzione di quelle esistenti, avviando la bonifica dei territori in cui sono disseminati;
          a valutare la possibilità di incrementare le risorse del Fondo per lo sminamento umanitario e la bonifica di aree con residuati bellici esplosivi di cui all'articolo 1 della legge 7 marzo 2001, n.  58.
9/2679-bis-A/271. Mongiello, Oliverio, Amoddio.


      La Camera,
          premesso che:
              la popolazione residente nelle province interamente montane è quotidianamente esposta a una peculiare condizione di disagio, a causa delle generali difficoltà di spostamento sul territorio e delle frequenti interruzioni o limitazioni dei collegamenti viari, in particolare nei periodi invernali;
              buona parte degli appezzamenti di terreno posti in zone interamente montane sono irraggiungibili per gran parte dell'anno a causa del gelo e delle precipitazioni nevose;
              i proprietari di appezzamenti di terreno in zone interamente montane sono – spesso a proprie spese – in prima linea nella salvaguardia dell'ambiente e nell'azione contro il rischio idrogeologico e gli incendi boschivi, tramite la Costruzione e la manutenzione di canali, muri a secco, terrazzamenti, strade consortili e altri presidi volti a preservare il patrimonio comune;
              la produzione di beni alimentari in terreni posti in zone montane risulta molto più onerosa e dispendiosa di quanto non accada per analoghi terreni posti in zone di pianura, tanto che la produzione vitivinicola in queste zone è fino a quattro volte più costosa di quella di pianura, venendo perciò comunemente definita «viticoltura eroica»;
              in relazione a queste particolari condizioni, il legislatore ha riconosciuto uno speciale trattamento fiscale a tali territori, disponendo – attraverso l'articolo 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n.  504 del 1992 – la totale esenzione dall'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina;
              l'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n.  66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n.  89 del 2014, ha disposto una revisione del regime di esenzione dall'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, destinata ad ampliare – già dall'anno d'imposta in corso e dunque con effetto sostanzialmente retroattivo – la platea dei contribuenti assoggettati all'imposta. In particolare, la citata disposizione ha previsto che, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole e forestali e il Ministro dell'interno, siano rideterminati i comuni nei quali si applica la prevista esenzione IMU sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco del comuni italiani predisposto dall'istituto nazionale di statistica (ISTAT);
              per le predette difficoltà di collegamento, nella maggior parte dei comuni di montagna la sede della casa comunale è stata nel tempo spostata o costruita ab initio a fondovalle; pertanto, la sua altitudine – assunta dall'ISTAT a riferimento per la classificazione statistica dei comuni – non può ritenersi un indice minimamente idoneo a definire la natura «montana» di un comune, a maggior ragione se tale definizione è posta a fondamento di un trattamento fiscale differenziato per i contribuenti;
              pertanto, se il suddetto decreto ministeriale – a tutt'oggi in via di emanazione – assumesse tale indice come nuovo riferimento per individuazione dei comuni montani esonerati dalla riscossione dell'IMU agricola si determinerebbe, in via di fatto, un'irragionevole disparità di trattamento tra territori del tutto omogenei, basata su un dato del tutto accidentale quale la collocazione in quota della casa comunale;
              l'articolo 1, comma 3, della legge n.  56 del 2014 (cosiddetta «legge Delrio») riconosce e tutela la specificità degli enti di area vasta interamente montani e confinanti con Paesi stranieri, prevedendo in capo ad essi la cura e la valorizzazione del territorio e assegnando ad essi particolari forme di autonomia; in tal senso, le province di Belluno, Sondrio e Verbano-Cusio-Ossola, i cui comuni sono tutti riconosciuti dall'ISTAT come totalmente montani, dovrebbero ritenersi assoggettati a questo particolare regime di autonomia, manifestamente incompatibile con l'assimilazione di trattamento fiscale disposta dal decreto-legge n.  66 del 2014,

impegna il Governo:

          in sede di adozione del decreto attuativo dell'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n.  66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n.  89 del 2014 – a tenere in adeguata considerazione le esigenze di peculiare tutela poste dallo status di territorio agricolo montano, in particolare attraverso l'adozione di criteri per l'individuazione dei comuni montani basati su indici obiettivi e adeguati a cogliere tale specialità;
          a valutare l'opportunità di adottare a tal fine i criteri già previsti dall'articolo 1 della legge n.  991 del 1992 (Provvedimenti agevolati in favore dei territori montani), che individuava come montani i «comuni situati per almeno 180 per cento della loro superficie al di sopra di 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio comunale non è minore di 600 metri. Tale criterio, già lungamente utilizzato dal legislatore, consentirebbe una più obiettiva e puntuale valutazione delle condizioni di ciascun comune ai fini dell'esenzione dalla IMU per i territori agricoli, con ciò scongiurando il rischio di instaurazione di contenziosi destinati a pregiudicare la stessa efficacia della nuova disciplina fiscale, nonché l'entità del gettito atteso;
          a valutare l'opportunità, in ogni caso, di rinviare all'esercizio di imposta 2015 l'applicazione della nuova disciplina – in ottemperanza al principio di non retroattività delle norme fiscali, di cui alla legge n.  212 del 2000 (cosiddetta «Statuto del contribuente») – anche in modo da consentire ai comuni di adottare i provvedimenti amministrativi necessari a garantire a riscossione dell'imposta;
          a valutare la necessità di riconoscere il peculiare status di autonomia recentemente attribuito alle province interamente montane e confinanti con Paesi stranieri, ai sensi della legge n.  56 del 2014 (cosiddetta «legge Delrio»), attraverso un'espressa esclusione dei comuni interamente montani delle province di Belluno, Sondrio e Verbano-Cusio-Ossola dall'ambito di applicazione della nuova disciplina fiscale.
9/2679-bis-A/272. Borghi, Mariani, De Menech, Terrosi, Lattuca.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge di stabilità per il 2015, interviene con una serie di misure nell'ambito della finanza locale, volte, da un lato alla definizione del concorso finanziario dei comparto regioni, province, città metropolitane e comuni al contenimento della spesa pubblica per gli anni 2015-2018 e successivi, dall'altro alla ridefinizione delle regole del patto di stabilità interno, ai fini della realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica;
              in tale ambito, alcuni degli interventi suindicati, sono affiancati da misure agevolative di carattere fiscale in favore di enti locali colpiti da calamità naturali che hanno determinato gravi ripercussioni sul tessuto sociale ed economico delle popolazioni colpite e dalle amministrazioni coinvolte;
              i commi 31 e 32 dell'articolo 44 della manovra economica triennale, a tal fine, intervengono rispettivamente, con misure agevolative nei riguardi dei titolari di imprese che abbiano subito un danno economico alle loro attività, a seguito del sisma del maggio 2012 attraverso un finanziamento garantito dallo Stato e con un rimborso ai soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 (che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa) che abbiano versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al dovuto;
              occorre a tal fine evidenziare come il ripristino delle condizioni di normalità derivanti dagli effetti provocati dal sisma del 2009 che colpito l'Abruzzo ed in particolare la città di l'Aquila, dal punto di vista sociale, economico e della ripresa delle attività produttive a distanza di quasi sei anni, non sono stati superati;
              le misure previste nel corso degli anni, nonostante abbiano contribuito sebbene parzialmente alla ripresa nei riguardi delle aree interessate dal tragico evento calamitoso, appaiono insufficienti per determinare una completa e definitiva risoluzione delle numerose criticità finanziarie ancora irrisolte;
              interventi affini e similari di agevolazione fiscale, con quelli in precedenza indicati, appaiono pertanto indispensabili nei riguardi della comunità locale aquilana, al fine di un definitivo superamento delle complessità e delle emergenze economico e sociali tutt'altro che definite,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere misure affinché per i fabbricati, ubicati nelle zone colpite dal sisma del 6 aprile 2009, nel comune dell'Aquila purché distrutti od oggetto di ordinanze sindacali di sgombero in quanto inagibili totalmente o parzialmente, siano esenti dall'applicazione della TASI di cui all'articolo 1, commi 639 della legge n.  147 del 2013 e successive modificazioni, fino alla definitiva ricostruzione ed all'agibilità dei fabbricati stessi, nel limite massimo di 30 milioni di euro per il triennio 2015-2017.
9/2679-bis-A/273. Fabrizio Di Stefano.


      La Camera,
          premesso che:
              all'interno delle disposizioni inserite all'interno del disegno di legge di stabilità vi è l'istituzione di un Fondo per il finanziamento delle esigenze urgenti e indifferibili con una dotazione di 110 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e di 100 milioni di euro a decorrere dal 2018;
              il suindicato Fondo è finalizzato ad interventi di carattere sociale, volti alla stipula di convenzioni con i comuni per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili, per 100 milioni a decorrere dal 2015, e, quindi alla corretta prosecuzione del finanziamento di progetti per servizi socialmente utili;
              il Fondo è altresì finalizzato al concorso delle Forze armate alle operazioni di sicurezza e controllo del territorio per la prevenzione alla criminalità organizzata e delitti ambientali nelle province della regione Campania, per 10 milioni per ciascun anno del triennio 2015-2017;
              a tale ultimo obiettivo non corrisponde tuttavia un'adeguata previsione normativa, visto che, a norma di quanto stabilito dall'articolo 3, comma 2-ter, del decreto-legge 10 dicembre 2013, n.  136, recante «Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate», i prefetti delle province della regione Campania, nell'ambito delle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio finalizzate proprio alla prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e ambientale, sono autorizzati ad avvalersi di personale militare delle Forze armate solo sino al 31 dicembre 2014;
              pertanto, alla disposizione contenuta nel disegno di legge di stabilità sopra richiamata e all'istituzione di un Fondo finalizzato proprio a questo tipo di interventi, è necessario corrispondere una modifica normativa che preveda una specifica proroga della possibilità per i prefetti delle province della Regione Campania di avvalersi di tale tipo di personale;
              nelle operazioni di controllo e contrasto alla criminalità nella «terra dei fuochi» le Forze armate sono state sino ad ora una preziosa risorsa aggiuntiva rispetto alla polizia giudiziaria, che ha integrato in maniera fondamentale il lavoro svolto in un'area particolarmente delicata; il fenomeno di abbandono dei rifiuti ha infatti una pluralità di origini, dagli scarti dell'economia illegale e abusiva ai pneumatici smaltiti irregolarmente, e di fronte ad una pluralità di fenomeni è ancora necessaria, da parte delle istituzioni, una pluralità di risposte, in particolare attraverso la prosecuzione delle attività di pattugliamento del territorio da parte delle forze armate,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative, anche di tipo normativo, volte alla definizione di una destinazione chiara delle risorse richiamate in premessa, attraverso la proroga sino al 31 dicembre 2015 della possibilità per i prefetti delle province della regione Campania di avvalersi del personale delle Forze armate per il pattugliamento della «Terra dei fuochi».
9/2679-bis-A/274. Russo.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge di stabilità per il 2015, attraverso il documento dell'allegato n.  5 dell'articolo 19, comma 1, riduce pesantemente le dotazioni finanziarie in favore delle zone franche urbane così come previsto dal decreto-legge n.  66 del 2014 articolo 22-bis, comma 1;
              il provvedimento a tal fine, indica che per l'anno 2015 e 2017, i fondi saranno azzerati, mentre saranno ridotti per 50 milioni di euro per l'anno 2016;
              il ridimensionamento delle risorse previste in favore dello strumento agevolativo suindicato, rischia di penalizzare ulteriormente le condizioni già di estrema gravità sociale ed economica nazionale, in particolare del Mezzogiorno, il cui processo di desertificazione umana ed industriale rischia di accrescere pesantemente il differenziale di svantaggio delle aree del meridione, rispetto a quelle del Nord e in parte dell'Europa;
              le politiche d'intervento sfavorevoli per le aree sottoutilizzate, decise dal Governo e previste all'interno del disegno di legge di stabilità 2015, attraverso la riduzione pari a circa 4 miliardi di euro delle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, già destinate agli interventi del Piano di Azione e Coesione, in favore delle regioni del Mezzogiorno, unitamente all'assenza di misure significative a sostegno delle aree regionali ad alta criticità economica del Paese, confermano un quadro generale complessivamente carente relativo alle politiche di coesione, che aumenteranno i divari di sviluppo territoriale nel Paese;
              la regione Basilicata a tal fine, al cui interno dell'area geografica sono insediate una serie di micro e piccole imprese localizzate in un ampio perimetro che costituiscono il tessuto produttivo della città di Matera, sebbene inclusa all'interno del perimetro delle aree beneficiarie delle misure agevolative previste dalle zone franche urbane, non ha tuttavia beneficiato di alcun finanziamento, sia a causa delle risorse finanziarie già ridotte, che anche dei meccanismi di attribuzione spesso complessi deliberati dal CIPE;
              gli interventi riduttivi a tal fine, previsti dal disegno di legge di stabilità per il 2015, come in precedenza richiamati, rischiano pertanto di alimentare il disagio di crisi sociale ed economica, per l'intera area lucane, già pesantemente avvertita, anche a causa della mancanza d'investimenti per il triennio prossimo, da parte delle micro e piccole imprese interessate dai benefici speciali delle zone franche urbane, le cui ripercussioni sul tessuto socioeconomico regionale, saranno particolarmente evidenti nei prossimi mesi,

impegna il Governo:

          ad adottare le opportune iniziative per assicurare il finanziamento delle zone franche urbane, con particolare riguardo ai distretti produttivi presenti in Basilicata, che non hanno ancora beneficiato delle risorse previste dalla legge;
              a valutare l'opportunità, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili e i vincoli di bilancio, di prevedere, nei prossimi interventi legislativi, misure ad hoc volte a ripristinare i fondi ridotti dall'allegato 5, indicato dal comma 1 e seguenti dell'articolo 2 del disegno di legge di stabilità 2015, in favore delle zone franche urbane, i cui effetti negativi sul sistema delle imprese, in particolare del Mezzogiorno, rallenteranno ulteriormente i tentativi di ripresa economica e occupazionale.
9/2679-bis-A/275. Latronico.


      La Camera,
          premesso che:
              le attività turistiche e culturali, rappresentano storicamente una fonte di reddito importante nel nostro Paese, all'interno delle quali l'industria del turismo nazionale ed estero nel suo complesso rappresenta circa il 9,4 per cento del PIL, impiegando all'incirca 2,5 milioni di addetti, pari al 10,9 per cento dell'occupazione nazionale;
              le politiche d'incentivazione e di sostegno finalizzate alla valorizzazione delle mete turistiche italiane, in particolare nei riguardi di quei siti d'interesse storico-culturale, inseriti all'interno dell'UNESCO, quale patrimonio mondiale dell'umanità, rappresentano gli obiettivi principali di qualsiasi Governo anche al fine di contribuire in termini di crescita del prodotto interno lordo a sostegno dello sviluppo e di favorire incrementi occupazionali;
              a tal fine, il miglioramento della qualità dell'offerta accresce la competitività delle destinazioni turistiche, in particolar modo nel Mezzogiorno d'Italia e rappresenta una leva indispensabile per la crescita e lo sviluppo;
          nel nostro Paese, com’è peraltro è evidente, l'amministrazione pubblica con evidenti difficoltà, è in grado di reperire le necessarie risorse finanziarie da destinare direttamente alle spese e al sostentamento dei costi di gestione a favore delle Fondazioni liriche, musei, biblioteche, teatri, Fondazioni culturali, per gli interventi di manutenzione, protezione, restauro, promozione e valorizzazione di beni culturali, così come definiti dall'articolo 10 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42 recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n.  137;
              le rilevanti riduzioni delle dotazioni finanziarie nei confronti degli enti locali, pari a circa 4 miliardi di euro, previsti all'interno del disegno di legge di stabilità 2015, che si ripercuoteranno inevitabilmente anche nei riguardi del settore della cultura e dell'arte, a livello regionale, evidenziano la necessità di politiche d'intervento alternative, rispetto a quelle tradizionali finalizzate ai trasferimenti economici nei confronti del settore della cultura e dell'arte italiana;
              il credito d'imposta a tal fine, rappresenta uno strumento fiscale, ampiamente riconosciuto per le spese relative a interventi di ristrutturazione edilizia, per gli interventi di eliminazione delle barriere architettoniche, per l'incremento dell'efficienza energetica, nonché per le erogazioni liberali a sostegno della cultura (ArtBonus), la cui recente introduzione sta determinando positivi riscontri a livello settoriale;
              l'articolo 7 della manovra economica per il triennio, a tal fine, interviene con il medesimo strumento, nei riguardi delle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo, attraverso una serie di misure agevolative volte a sostenere il comparto anch'esso interessato da una crisi finanziaria, particolarmente grave;
              a tal proposito, prevedere la possibilità anche in via sperimentale, d'intervenire con misure similari come quelli in precedenza richiamati, da estendere anche in favore del sistema imprenditoriale nazionale che investe in favore delle attività turistico-culturali, volte a migliorare la qualità dell'offerta ricettiva per accrescere la competitività delle destinazioni turistiche, non potrà che determinare effetti virtuosi e migliorativi per il settore interessato,

impegna il Governo

a valutare, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili ed i vincoli di bilancio, l'opportunità di prevedere, nei prossimi interventi legislativi, misure ad hoc, finalizzate ad estendere anche per i soggetti che svolgono attività d'impresa nel settore turistico culturale, misure fiscali agevolative relative al credito d'imposta, in affinità con quelle indicate dall'articolo 1, commi 30 e seguenti del disegno di legge di stabilità per il 2015, che si rivolgono in differenti ambiti d'intervento.
9/2679-bis-A/276. Altieri, Ciracì, Distaso, Marti.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge di stabilità 2015, che unitamente alla legge di bilancio, costituisce la manovra di finanza pubblica per il triennio di riferimento, rappresenta lo strumento principale di attuazione degli obiettivi programmatici definiti con la Decisione di finanza pubblica;
              il provvedimento di finanza pubblica in particolare, contiene una serie di interventi che intendono introdurre un insieme di misure di carattere espansivo, volte a sostenere in termini concreti e significativi la ripresa e ad aiutare l'economia nazionale a superare la fase recessiva che ancora la caratterizza;
              a tal fine, gli interventi contenuti all'interno della manovra finanziaria triennale, per il settore dell'edilizia, che rappresenta il motore dell'economia nazionale, ed è interessato da una gravissima crisi settoriale che dura da sette anni, (la cui ricaduta dei livelli produttivi ha inciso pesantemente sull'occupazione, anche a causa della stretta creditizia), risultano ampiamente insufficienti per rilanciare il comparto ed interrompere una lunga crisi del settore delle costruzioni;
              all'interno di tale quadro economico e produttivo, necessitano conseguentemente misure di sostegno in grado di determinare un'inversione di tendenza per l'edilizia e delle costruzioni, al fine di determinare gli indispensabili presupposti per la ripresa del mercato interno, anche attraverso interventi agevolativi di carattere fiscale;
              l'esenzione dell'imposta municipale propria – IMU, relativa gli immobili costruiti dalle imprese di edilizia abitativa privata e destinata alla vendita, finalizzata a «svincolare» una parte di risorse delle aziende del settore destinate attualmente al pagamento dell'imposta, può infatti rappresentare un intervento consistente e di sostegno importante per un comparto determinante per il futuro economico nazionale, permettendone un utilizzo «produttivo» per effettuare nuovi investimenti con ricadute positive sul sistema produttivo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e la disciplina di bilancio, di introdurre, anche in via sperimentale, l'esenzione dell'imposta municipale propria di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, e successive modificazioni, nel limite massimo di 200 milioni di euro, relativa gli immobili di rimanenza e gli immobili merce, la cui produzione, scambio o vendita, costituisce oggetto dell'attività d'impresa, posseduti dalle imprese di costruzioni e rimasti invenduti al 31 dicembre 2014, per i successivi due anni dopo l'acquisto.
9/2679-bis-A/277. Marti, Altieri, Distaso, Ciracì.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge di stabilità all'esame dell'Aula contiene una disposizione, introdotta nel corso dell'esame in Commissione che prevede l'adozione di nuovi criteri per la composizione delle commissioni degli esami di maturità (articolo 4 legge 425/1997), da applicare per gli esami che si svolgeranno nel 2015 (a.s. 2014-2015)
              a tal fine, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità deve intervenire un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Entro lo stesso termine si provvede, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, a definire i compensi dei componenti della commissione;
              le economie derivanti restano nella disponibilità del MIUR e sono utilizzate per l'attuazione degli interventi previsti nel Piano «La Buona Scuola»;
              l'obiettivo della disposizione è quello di razionalizzare il sistema di valutazione degli alunni tenendo conto dell'esigenza di valorizzare i principi dell'autonomia scolastica e della continuità didattica, assicurando una coerenza degli standard valutativi e garantendo uno sviluppo ottimale della professione di docente in termini di conoscenze, competenze e approcci didattici e pedagogici e di verifica dell'efficacia delle pratiche educative;
              sarebbe opportuno prevedere, tra i criteri che andranno definiti all'interno del suddetto decreto ministeriale, che il solo Presidente della commissione degli esami di maturità sia di nomina esterna, mentre tutti altri componenti siano interni all'istituto di riferimento, in modo da valorizzare a pieno gli obiettivi richiamati, in particolare l'esigenza di garantire autonomia scolastica e, soprattutto continuità didattica, assicurando un sistema di valutazione degli studenti efficace ed obiettivo, che tenga conto del percorso scolastico effettuato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nell'ambito dell'emanazione del decreto del MIUR di ridefinizione dei criteri per la composizione delle commissioni degli esami di maturità, di prevedere un Presidente della commissione esterno e componenti interni all'istituto di riferimento.
9/2679-bis-A/278. Palese.


      La Camera,
          premesso che:
              nell'ambito delle misure destinate a finanziare gli interventi previsti dal disegno di legge di stabilità 2015, l'articolo 12, prevede che ai fini degli sgravi contributivi per le assunzioni con contratto a tempo indeterminato, la copertura degli oneri, sia prevista a valere sulle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, già destinate agli interventi del Piano di Azione e Coesione;
              il comma 3 del suesposto articolo in particolare, utilizza 1 miliardo di euro per ciascuna annualità 2015, 2016 e 2017 e 500 mila euro, per il 2018, attraverso le risorse indicate dal Fondo medesimo, le cui finalità istitutive, sono rivolte alla promozione e allo sviluppo territoriale delle aree sottoutilizzate;
              la manovra finanziaria triennale, attraverso un emendamento governativo, riduce inoltre, la quota nazionale di cofinanziamento pari a 500 milioni, che avrebbe consentito alle regioni del Mezzogiorno di superare per lo stesso importo, i limiti posti dal patto di stabilità interno, indicati all'articolo 36, al fine di ottemperare alle richieste della Commissione europea il 22 ottobre scorso nell'ambito del procedimento di valutazione dei documenti programmatici di bilancio per il 2015;
              i suesposti interventi normativi, che risultano incomprensibili ed estremamente penalizzanti, in considerazione dell'emergenza sociale, il crollo occupazionale e produttivo, ed il rischio di desertificazione umana ed industriale nel Mezzogiorno, determineranno con ogni probabilità, ulteriori ritardi nei confronti delle regioni meridionali, accentuando gli squilibri territoriali e i divari finanziari, con il resto del Paese e parte dell'Europa;
              a tal fine, la scelta del ridimensionamento della quota di cofinanziamento, che nasce da un esplicito invito della Commissione europea, in seguito ai notevoli ritardi di spesa registrati nel recente passato, da parte di quasi tutte le amministrazioni italiane, evidenzia la palese incapacità da parte del Governo, nel perseguire adeguate politiche di efficientamento, volte al superamento dei ritardi che, a cinque anni dall'avvio dell'operatività dei fondi strutturali 2007-20 13, ancora caratterizzano l'utilizzo dei fondi strutturali medesimi;
              lo svolgimento delle competenze attribuite all'Agenzia per la coesione territoriale (istituita ai sensi dell'articolo 10 del decreto-legge 31 agosto 2013, n.  101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n.  125), prevista dal precedente Governo Letta e sostenuta dal presente Esecutivo Renzi, finalizzate ad imprimere una svolta decisiva nella capacità di spesa dei fondi europei, risulta essere a tale proposito, estremamente deludente nella sua finalità istitutiva, in considerazione delle decisioni assunte dal Governo all'interno del disegno di legge di stabilità 2015, (attraverso il ridimensionamento della quota di cofinanziamento di cui avrebbero beneficiato le regioni meridionali causato dall'eccessivo ritardo nell'utilizzo dei fondi), che aggraveranno ulteriormente il differenziale esistente in termini di competitività e sviluppo a svantaggio del Mezzogiorno;
              la Cabina di regia per la gestione del Fondo per lo sviluppo e la coesione, prevista attraverso un emendamento anch'esso presentato dal Governo al disegno di stabilità per il 2015, che dovrà nascere entro il 30 aprile 2015, con il compito di definire i «piani operativi» per ciascuna area tematica nazionale e l'indicazione dei risultati attesi, rappresenta ad avviso del sottoscrittore, un ulteriore decisione inutile ed ambigua, che si configura come un duplicato della suesposta Agenzia, il cui operato si è dimostrato ad oggi estremamente inefficiente;
              risulta urgente e necessario pertanto, a partire dal gennaio 2015, avviare, da parte del Governo, politiche di accelerazione nell'attuazione della spesa relativa ai cofinanziamenti dei fondi strutturali previsti con il ciclo 2014-2020, concordati con la Commissione europea e con le amministrazioni di spesa, che siano in netta controtendenza, con le attività sino ad oggi svolte dall'Agenzia in precedenza richiamata, le cui funzioni ad essa attribuite, appaiono peraltro in evidente affinità, con quelle indicate dalla Cabina di regia prevista dall'articolo 44, comma 57, lettera c) del disegno di legge di stabilità 2015,

impegna il Governo:

          a prevedere misure volte a perfezionare l'attività istituzionale dell'Agenzia per la coesione territoriale, le cui evidenti difficoltà nell'imprimere una svolta decisiva nella capacità di spesa dei fondi europei, contribuiscono a determinare, sia il ridimensionamento della quota di cofinanziamento dei fondi strutturali comunitari, (con evidenti ripercussioni sullo sviluppo territoriale nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno), nonché l'introduzione di misure come quelle indicate dal disegno di legge di stabilità 2015, ed esposte nella premessa, che determineranno ulteriori effetti depressivi sullo sviluppo dell'economia del Mezzogiorno;
          a valutare inoltre l'opportunità di sopprimere l'istituzione della Cabina di regia, in precedenza richiamata, indirizzando i compiti indicati dal suesposto dall'articolo 44, comma 57, lettera c) del disegno di legge in esame, alla stessa Agenzia per la coesione territoriale, la cui struttura può indubitabilmente assolvere le identiche funzioni, previste dalla Cabina di regia.
9/2679-bis-A/279. Occhiuto.


      La Camera,
          premesso che:
              nell'ambito delle misure destinate a finanziare gli interventi previsti dal disegno di legge di stabilità 2015, l'articolo 12, prevede che ai fini degli sgravi contributivi per le assunzioni con contratto a tempo indeterminato, la copertura degli oneri, sia prevista a valere sulle risorse del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, già destinate agli interventi del Piano di Azione e Coesione;
              il comma 3 del suesposto articolo in particolare, utilizza 1 miliardo di euro per ciascuna annualità 2015, 2016 e 2017 e 500 mila euro, per il 2018, attraverso le risorse indicate dal Fondo medesimo, le cui finalità istitutive, sono rivolte alla promozione e allo sviluppo territoriale delle aree sottoutilizzate;
              la manovra finanziaria triennale, attraverso un emendamento governativo, riduce inoltre, la quota nazionale di cofinanziamento pari a 500 milioni, che avrebbe consentito alle regioni del Mezzogiorno di superare per lo stesso importo, i limiti posti dal patto di stabilità interno, indicati all'articolo 36, al fine di ottemperare alle richieste della Commissione europea il 22 ottobre scorso nell'ambito del procedimento di valutazione dei documenti programmatici di bilancio per il 2015;
              i suesposti interventi normativi, che risultano incomprensibili ed estremamente penalizzanti, in considerazione dell'emergenza sociale, il crollo occupazionale e produttivo, ed il rischio di desertificazione umana ed industriale nel Mezzogiorno, determineranno con ogni probabilità, ulteriori ritardi nei confronti delle regioni meridionali, accentuando gli squilibri territoriali e i divari finanziari, con il resto del Paese e parte dell'Europa;
              a tal fine, la scelta del ridimensionamento della quota di cofinanziamento, che nasce da un esplicito invito della Commissione europea, in seguito ai notevoli ritardi di spesa registrati nel recente passato, da parte di quasi tutte le amministrazioni italiane, evidenzia la palese incapacità da parte del Governo, nel perseguire adeguate politiche di efficientamento, volte al superamento dei ritardi che, a cinque anni dall'avvio dell'operatività dei fondi strutturali 2007-20 13, ancora caratterizzano l'utilizzo dei fondi strutturali medesimi;
              lo svolgimento delle competenze attribuite all'Agenzia per la coesione territoriale (istituita ai sensi dell'articolo 10 del decreto-legge 31 agosto 2013, n.  101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n.  125), prevista dal precedente Governo Letta e sostenuta dal presente Esecutivo Renzi, finalizzate ad imprimere una svolta decisiva nella capacità di spesa dei fondi europei, risulta essere a tale proposito, estremamente deludente nella sua finalità istitutiva, in considerazione delle decisioni assunte dal Governo all'interno del disegno di legge di stabilità 2015, (attraverso il ridimensionamento della quota di cofinanziamento di cui avrebbero beneficiato le regioni meridionali causato dall'eccessivo ritardo nell'utilizzo dei fondi), che aggraveranno ulteriormente il differenziale esistente in termini di competitività e sviluppo a svantaggio del Mezzogiorno;
              la Cabina di regia per la gestione del Fondo per lo sviluppo e la coesione, prevista attraverso un emendamento anch'esso presentato dal Governo al disegno di stabilità per il 2015, che dovrà nascere entro il 30 aprile 2015, con il compito di definire i «piani operativi» per ciascuna area tematica nazionale e l'indicazione dei risultati attesi, rappresenta ad avviso del sottoscrittore, un ulteriore decisione inutile ed ambigua, che si configura come un duplicato della suesposta Agenzia, il cui operato si è dimostrato ad oggi estremamente inefficiente;
              risulta urgente e necessario pertanto, a partire dal gennaio 2015, avviare, da parte del Governo, politiche di accelerazione nell'attuazione della spesa relativa ai cofinanziamenti dei fondi strutturali previsti con il ciclo 2014-2020, concordati con la Commissione europea e con le amministrazioni di spesa, che siano in netta controtendenza, con le attività sino ad oggi svolte dall'Agenzia in precedenza richiamata, le cui funzioni ad essa attribuite, appaiono peraltro in evidente affinità, con quelle indicate dalla Cabina di regia prevista dall'articolo 44, comma 57, lettera c) del disegno di legge di stabilità 2015,

impegna il Governo:

a prevedere misure volte a perfezionare l'attività istituzionale dell'Agenzia per la coesione territoriale, le cui evidenti difficoltà nell'imprimere una svolta decisiva nella capacità di spesa dei fondi europei, contribuiscono a determinare, sia il ridimensionamento della quota di cofinanziamento dei fondi strutturali comunitari, (con evidenti ripercussioni sullo sviluppo territoriale nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno), nonché l'introduzione di misure come quelle indicate dal disegno di legge di stabilità 2015, ed esposte nella premessa, che determineranno ulteriori effetti depressivi sullo sviluppo dell'economia del Mezzogiorno;
9/2679-bis-A/279.    (Testo modificato nel corso della seduta) Occhiuto.


      La Camera,
          premesso che:
              nel disegno di legge in esame recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Stabilità 2015», l'allegato 5 dell'articolo 19, comma 1, recante «riduzione di autorizzazioni di spesa concernenti trasferimenti correnti e in conto capitale in favore di imprese» alla voce Ministero per lo sviluppo economico, decreto-legge n.  66 del 2014 articolo 22-bis, comma 1, prevede una riduzione pari a 50 milioni di euro per l'anno 2016 delle risorse destinate alle zone franche urbane ed un azzeramento dei fondi per il prossimo anno 2015;
              le zone franche urbane, com’è noto, hanno quale primaria finalità quella di favorire lo sviluppo economico e sociale di aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale;
              in tale stato di difficoltà risultano esposte, com’è altrettanto noto, diverse zone geografiche della Sicilia, caratterizzate dall'intensificarsi degli sbarchi di clandestini, in particolare nelle aree limitrofe al canale di Sicilia, i cui continui sbarchi di immigrati, hanno determinato una situazione per alcuni versi senza precedenti in Italia;
              l'eccezionale ondata di flussi immigratori, che ha infatti interessato realtà territoriali siciliane, in particolare: Lampedusa, Agrigento, Siracusa e Trapani, ha provocato gravissime ripercussioni sull'economia territoriale delle medesime aree e soprattutto nei confronti nel settore turistico, che rappresenta l'unica risorsa turistica dell'Isola;
              interventi di defiscalizzazione per sostenere lo sviluppo economico e sociale delle aree urbane e delle località turistiche coinvolte dal fenomeno dell'immigrazione, risultano pertanto necessari al fine di garantire una maggiore assistenza dello Stato, per favorire le suindicate territorialità siciliane, fortemente caratterizzate dal disagio sociale, economico e occupazionale, con potenzialità di sviluppo inespresse, le cui condizioni di difficoltà si sono ulteriormente aggravate a causa dei continui sbarchi di immigrati che continuano a rappresentare un ostacolo alla crescita sociale ed economica dell'isola,

impegna il Governo

compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di bilancio, a prevedere nei prossimi provvedimenti legislativi, iniziative ad hoc volte a incrementare le risorse previste dall'articolo 22-bis, comma 1, del decreto legge n.  66 del 2014, in favore delle zone franche urbane e al contempo estendere le misure previste dal medesimo strumento agevolativo, anche in favore delle province di Agrigento, Siracusa e Trapani, in via sperimentale per il prossimo anno, la cui situazione sociale ed economica risulta essere fortemente aggravata dall'eccezionale ondata dei flussi immigratori, come esposto nella premessa.
9/2679-bis-A/280. Riccardo Gallo.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge di stabilità per il 2015, reca una serie di misure che, a giudizio del Governo, saranno necessarie, per conseguire gli obiettivi di consolidamento dei saldi di finanza pubblica indicati nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, basati su un percorso di risanamento finanziario più graduale di quello precedentemente esposto nel Documento di economia e finanza di aprile, motivato dal permanere di una condizione eccezionale della situazione economica del Paese;
              la manovra finanziaria, che rappresenta lo strumento principale di attuazione degli obiettivi programmatici definiti con la Decisione di finanza pubblica, interviene in diversi ambiti del tessuto sociale ed economico del Paese attraverso l'attivazione di misure di sostegno, a seguito di calamità naturali, verificatesi di recente in diverse aree del Paese;
              a tal fine il medesimo provvedimento, nel corso dell'esame in Commissione Bilancio, è stato integrato con l'incremento di una quota pari a 60 milioni di euro, destinata alle finalità del Fondo emergenze nazionali di cui all'articolo 5, comma 5-quinquies, della legge 24 febbraio 1992, n.  225, che rimane acquisita al bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri nell'anno 2015;
              tale decisione motivata peraltro a seguito delle recenti calamità alluvionali, che hanno interessato numerose regioni del Paese, tra cui la Toscana, rientra all'interno degli interventi di emergenza, che il Governo ha deliberato nelle scorse settimane, in favore di alcune aree del Paese devastate da eventi alluvionali di eccezionale gravità, le cui risorse aggiuntive attribuite al medesimo Fondo, peraltro insufficienti nel fronteggiare le rilevanti criticità esistenti, andranno ad incrementare gli stanziamenti nei confronti della Protezione Civile Nazionale;
              gli interventi straordinari deliberati dal Consiglio dei ministri, lo scorso mese di ottobre, in favore di numerose regioni coinvolte da eventi atmosferici e dissesti idrogeologici di particolare intensità, che hanno determinato fenomeni franosi, danneggiamenti ad edifici pubblici e privati, alle infrastrutture viarie, ferroviarie, idriche ed alle opere di bonifica ed irrigazione, nonché alla rete dei servizi essenziali ed alle attività agricole e produttive, sebbene condivisibili e necessari, non hanno tuttavia contemplato altrettante aree della penisola, anch'esse interessate da fenomeni alluvionali di eccezionale gravità;
              nella maremma Toscana ed in particolare nella provincia di Grosseto, i comuni di Orbetello, Capalbio, Manciano, Scansano, Magliano in Toscana e le aree limitrofe, nella giornata del 14 ottobre scorso, sono stati nuovamente colpiti a distanza di due anni, da un'ondata di maltempo di eccezionale gravità le cui precipitazioni intense, hanno provocato, l'esondazione di numerosi corsi d'acqua, dissesti di versante, ingenti danni alle infrastrutture viarie e danneggiamenti a numerose aziende agricole e colture di qualità eccellenti;
              gli effetti relativi ai danni economici, secondo una prima stima effettuata dalla regione Toscana in oltre 15 milioni di euro, hanno causato gravi ripercussioni sul tessuto produttivo della maremma grossetana, con interruzioni di numerose attività imprenditoriali e forti disagi alla popolazione interessata;
              il parere contrario del Governo all'ordine del giorno n.  9/2629-AR/82, presentato al decreto-legge 12 settembre 2014 n.  133, cosiddetto «sblocca-Italia», presentato dai sottoscrittori, che impegnava il Governo, affinché rendesse maggiore chiarezza in ordine a quali iniziative legislative prossime, intendesse adottare nei riguardi del territorio grossetano e della popolazione delle province dei comuni interessati dai gravissimi dissesti idrogeologici, intervenuti dalla seconda gravissima alluvione dello scorso ottobre, non essendo stati inclusi all'interno della Deliberazione del Consiglio dei ministri del 23 ottobre 2014, (relativi alla Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza degli eccezionali eventi meteorologici che nei giorni 19 e 20 settembre 2014 hanno colpito il territorio delle province di Firenze, Lucca, Pisa, Pistoia e Prato), risultano in netto contrasto con le recenti dichiarazioni del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Delrio, il quale in data 20 novembre, ha dichiarato che in tempi brevi si arriverà alla dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri e quindi ad uno stanziamento di risorse finanziarie da parte dello Stato proprio nei riguardi della medesima area della Toscana in precedenza indicata;
              a tal fine, appare necessario un intervento volto a definire in maniera risolutiva, quali siano le intenzioni del Governo nel porre in essere tutte le iniziative di carattere straordinario finalizzate al superamento della grave situazione determinatasi a seguito degli eventi meteorologici nella maremma grossetana,

impegna il Governo:

          a precisare se nell'ambito delle iniziative di carattere straordinario già deliberate dal Consiglio dei ministri il 23 ottobre 2014 che ha dichiarato lo stato di emergenza per il maltempo del 19 e 20 settembre 2014 nelle province di Firenze, Lucca, Pisa, Pistoia e Prato, intenda confermare i presupposti di emergenza anche per le aree della maremma della Toscana interessate dalla gravissima alluvione dello scorso 14 ottobre 2014, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n.  225 e successive modificazioni, per la dichiarazione dello stato di emergenza;
          a valutare inoltre l'opportunità del riconoscimento dello stato di calamità strumento legato esclusivamente al settore agricolo, nei riguardi delle numerose aziende agricole, situate nel perimetro delle aree della maremma grossetana anch'esse coinvolte dall'alluvione e dal dissesto idrogeologico del 14 ottobre 2014, i cui fenomeni di erosione e franosità hanno determinato ingenti danni alle colture e alle piantagioni agricole dell'imprenditoria agricola grossetana.
9/2679-bis-A/281. Faenzi, Parisi.


      La Camera,
          premesso che:
              nonostante la gravissima crisi economica in atto, il settore agricolo mantiene una produttività di alto livello qualitativo e tuttavia l'occupazione nell'economia primaria del nostro Paese continua a scendere;
              gli elevati costi di produzione e la crisi dei consumi non consente infatti l'incremento dei prezzi di vendita al fine di compensare gli aumenti dei fattori di produzione;
              l'agricoltura italiana ed in particolare il comparto agroalimentare, nonostante rappresenti un settore anticiclico avendo retto alla crisi economica e finanziaria meglio di altri comparti, è interessato da fattori economici sfavorevoli in particolare sul fronte delle esportazioni a causa dell'embargo stabilito dalla Federazione russa, le cui criticità stanno causando effetti avvertiti dal sistema agricolo;
              ulteriori difficoltà che incidono in maniera sfavorevole sul medesimo comparto, sono dettate delle variabili climatiche e dai danni derivanti dai dissesti idrogeologici che si sommano alla difficoltà di accesso al credito;
              a tal fine, le misure contenute dalla legge di stabilità per il 2015, risultano nel complesso insufficienti a rilanciare l'economia agricola nazionale, come si evidenzia dalle riduzioni delle agevolazioni in materia di accise sul gasolio, dal ridimensionamento del piano irriguo nazionale e dalle norme soppressive nei riguardi degli enti di ricerca agricoli;
              il comma 130 dell'articolo 2 della manovra economica, in particolare, che nella sua formulazione precedente prevedeva l'aumento a decorrere dal 1o gennaio 2015 dal 22 per cento al 26,5 per cento dell'aliquota di accisa agevolata per l'utilizzo di gasolio ai fini dello svolgimento di lavori agricoli, orticoli, di allevamento, legati alle attività di silvicoltura e piscicoltura e nella florovivaistica, dispone che i consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all'impiego agevolato siano ridotti a decorre dal 1o gennaio 2015 del 23 per cento, anziché del 15 per cento come previsto dalla normativa vigente;
              tale misura nonostante mitighi gli effetti dell'aumento dell'accisa per il gasolio agricolo, attraverso una riduzione della quantità del gasolio agevolato, rappresenta un puro artificio contabile, che non risponde alle esigenze del mondo della produzione agricola ed inoltre costituisce un intervento limitativo e penalizzante per gli operatori del settore, le cui ripercussioni rischiano di determinare effetti negativi sui bilanci aziendali per un comparto essenziale per la crescita del prodotto interno lordo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità compatibilmente con le risorse disponibili, di prevedere nei prossimi provvedimenti normativi, misure agevolative volte a sostenere il trasporto agricolo, attraverso l'introduzione di misure fiscali in grado di sostenere l'attività professionale delle imprese del settore, ed evitare ulteriori penalizzazioni per il comparto medesimo, il cui pericoloso innalzamento dei livelli fiscali, determinando evidenti ostacoli alla crescita e allo sviluppo dell'intera filiera.
9/2679-bis-A/282. Distaso, Altieri, Marti, Ciracì.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto legislativo n.  30 dicembre 1992 n.  502 recante «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n.  421» prevede all'articolo 6-ter che il Ministro della sanità determina con uno o più decreti il fabbisogno per il Servizio sanitario nazionale;
              il decreto-legge 30 dicembre 1992 n.  502 «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n.  421» prevede la formazione manageriale come requisito necessario per lo svolgimento degli incarichi relativi alle funzioni da svolgere;
              la Raccomandazione Ministeriale n.  9/2009 prevede l'istituzione di una funzione aziendale specificatamente preposta al Governo del patrimonio tecnologico biomedico, per la prevenzione degli eventi avversi conseguenti al malfunzionamento dei dispositivi medici e agli apparecchi elettromedicali, individuando tale funzione nei servizi di Ingegneria Clinica;
              l'articolo n.  134 della Legge di Stabilità 2013 promuove iniziative atte a favorire la sicurezza delle cure e attuare le pratiche di monitoraggio e di controllo dei contenziosi in materia di responsabilità professionale; invita le Regioni e le Province autonome a prevedere, all'interno delle strutture sanitarie, funzioni specifiche per la gestione del risk management, che includano, laddove presenti, competenze di medicina legale, medicina del lavoro, ingegneria clinica e farmacia, secondo quanto suggerito anche dalla Raccomandazione n.  9/2009 del Ministero della Salute;
              il decreto ministeriale 8 febbraio 2013 recante «Criteri per la composizione e il funzionamento dei comitati etici» richiede tra i componenti dei Comitati Etici un ingegnere clinico in relazione all'area medico-chirurgica oggetto dell'indagine con il dispositivo medico in studio;
              nel Testo Unico sulla Sicurezza nei Luoghi di Lavoro (decreto legislativo n.  81 del 2008 e s.m.i) sono presenti diversi richiami alla sicurezza delle «attrezzature di lavoro» che, nel settore sanitario, sono rappresentati dai dispositivi medici, dai medical device software e, più in generale, dalle tecnologie biomediche che vengono utilizzate per realizzare l'atto medico, ed è evidente che sono richieste competenze specialistiche per la gestione sicura ed appropriata di questi device, in un ambiente quale quello sanitario che presenta una combinazione ad elevata complessità di rischi, che è unica anche in relazione ad ambienti dove si è sviluppata la cultura ingegneristica del riskmanagement (es. l'aerospaziale);
          considerato che:
              l'ingegnere clinico rientra nella categoria dei soggetti oggetto di ricognizione ai fini della determinazione del fabbisogno sanitario;
              l'ingegnere clinico all'interno delle organizzazioni sanitarie rappresenta la figura professionale di riferimento e consente un governo strutturato dell'intero parco tecnologico, contribuendo ad innalzare il livello di sicurezza e ridurre il rischio clinico dell'intera organizzazione sanitaria, adottando metodologie ingegneristiche tipiche della gestione di processi complessi e caratterizzate da un approccio proattivo e reattivo strutturato. Con le sue competenze consente una gestione sicura, efficace ed economica di un asset sempre più rilevante per la moderna sanità, quale quello delle tecnologie biomediche in particolare, e dei dispositivi medici in generale. Le sue competenze tecniche consentono, infatti, di intervenire in tutti i processi di valutazione, acquisto e gestione dei dispositivi medici, nonché nei programmi di HTA, la cui importanza è sottolineata da quanto stabilito dal Patto per la Salute 2015-2017;
              gli ingegneri clinici, attualmente inquadrati nel comparto o nella dirigenza professionale, hanno in corso un percorso di assimilazione alla dirigenza sanitaria del SSN delle Regioni, ai fini di una riclassificazione degli stessi che integri l'insieme delle professioni oggi presenti in ambito sanitario a supporto del processo di cambiamento tecnologico ed innovazione nelle strutture sanitarie del SSN,

impegna il Governo

a intraprendere le necessarie iniziative legislative, al fine di sanare una chiara disparità di trattamento che vi è tra gli ingegneri clinici e le altre figure professionali previste dal SSN, per garantire che gli ingegneri clinici vengano equiparati alle categorie di medici, veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi con conseguente adeguamento dello status contrattuale, assimilandoli all'interno della Dirigenza Sanitaria del SSN delle Regioni.
9/2679-bis-A/283. Sisto.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto legislativo n.  30 dicembre 1992 n.  502 recante «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n.  421» prevede all'articolo 6-ter che il Ministro della sanità determina con uno o più decreti il fabbisogno per il Servizio sanitario nazionale;
              il decreto-legge 30 dicembre 1992 n.  502 «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n.  421» prevede la formazione manageriale come requisito necessario per lo svolgimento degli incarichi relativi alle funzioni da svolgere;
              la Raccomandazione Ministeriale n.  9/2009 prevede l'istituzione di una funzione aziendale specificatamente preposta al Governo del patrimonio tecnologico biomedico, per la prevenzione degli eventi avversi conseguenti al malfunzionamento dei dispositivi medici e agli apparecchi elettromedicali, individuando tale funzione nei servizi di Ingegneria Clinica;
              l'articolo n.  134 della Legge di Stabilità 2013 promuove iniziative atte a favorire la sicurezza delle cure e attuare le pratiche di monitoraggio e di controllo dei contenziosi in materia di responsabilità professionale; invita le Regioni e le Province autonome a prevedere, all'interno delle strutture sanitarie, funzioni specifiche per la gestione del risk management, che includano, laddove presenti, competenze di medicina legale, medicina del lavoro, ingegneria clinica e farmacia, secondo quanto suggerito anche dalla Raccomandazione n.  9/2009 del Ministero della Salute;
              il decreto ministeriale 8 febbraio 2013 recante «Criteri per la composizione e il funzionamento dei comitati etici» richiede tra i componenti dei Comitati Etici un ingegnere clinico in relazione all'area medico-chirurgica oggetto dell'indagine con il dispositivo medico in studio;
              nel Testo Unico sulla Sicurezza nei Luoghi di Lavoro (decreto legislativo n.  81 del 2008 e s.m.i) sono presenti diversi richiami alla sicurezza delle «attrezzature di lavoro» che, nel settore sanitario, sono rappresentati dai dispositivi medici, dai medical device software e, più in generale, dalle tecnologie biomediche che vengono utilizzate per realizzare l'atto medico, ed è evidente che sono richieste competenze specialistiche per la gestione sicura ed appropriata di questi device, in un ambiente quale quello sanitario che presenta una combinazione ad elevata complessità di rischi, che è unica anche in relazione ad ambienti dove si è sviluppata la cultura ingegneristica del riskmanagement (es. l'aerospaziale);
          considerato che:
              l'ingegnere clinico rientra nella categoria dei soggetti oggetto di ricognizione ai fini della determinazione del fabbisogno sanitario;
              l'ingegnere clinico all'interno delle organizzazioni sanitarie rappresenta la figura professionale di riferimento e consente un governo strutturato dell'intero parco tecnologico, contribuendo ad innalzare il livello di sicurezza e ridurre il rischio clinico dell'intera organizzazione sanitaria, adottando metodologie ingegneristiche tipiche della gestione di processi complessi e caratterizzate da un approccio proattivo e reattivo strutturato. Con le sue competenze consente una gestione sicura, efficace ed economica di un asset sempre più rilevante per la moderna sanità, quale quello delle tecnologie biomediche in particolare, e dei dispositivi medici in generale. Le sue competenze tecniche consentono, infatti, di intervenire in tutti i processi di valutazione, acquisto e gestione dei dispositivi medici, nonché nei programmi di HTA, la cui importanza è sottolineata da quanto stabilito dal Patto per la Salute 2015-2017;
              gli ingegneri clinici, attualmente inquadrati nel comparto o nella dirigenza professionale, hanno in corso un percorso di assimilazione alla dirigenza sanitaria del SSN delle Regioni, ai fini di una riclassificazione degli stessi che integri l'insieme delle professioni oggi presenti in ambito sanitario a supporto del processo di cambiamento tecnologico ed innovazione nelle strutture sanitarie del SSN,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di intraprendere le necessarie iniziative legislative, al fine di sanare una chiara disparità di trattamento che vi è tra gli ingegneri clinici e le altre figure professionali previste dal SSN, per garantire che gli ingegneri clinici vengano equiparati alle categorie di medici, veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi con conseguente adeguamento dello status contrattuale, assimilandoli all'interno della Dirigenza Sanitaria del SSN delle Regioni.
9/2679-bis-A/283.    (Testo modificato nel corso della seduta) Sisto.


      La Camera,
          premesso che:
              con la legge 56 del 7 aprile 2014, vengono riconosciute alle Province interamente montane e confinanti con stati esteri, un regime di specialità;
              questo riconoscimento prende vita in virtù di oggettive caratteristiche geografiche, fisiche, economiche, sociali ed etnico-culturali, e la presenza di diverse minoranze linguistiche, caratteristiche particolari che rendono indispensabile attribuire a questi territori forme speciali di autogoverno che fermino lo spopolamento attualmente in atto;
              questi territori, che pure presentano condizioni del tutto simili a quelle dei territori delle confinanti siano essi Stati esteri che regioni e province autonome, vengono obiettivamente a trovarsi in condizioni di indiscutibile squilibrio rispetto ai poteri di autogoverno e alla disponibilità di risorse riconosciuti, in dipendenza di ragioni storiche e di vincoli di carattere internazionale; tale squilibrio che deve essere ripianato con l'introduzione nel nostro ordinamento di una riforma, in linea con i principi ispiratori della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione e con l'attuazione del federalismo fiscale che, assicurando condizioni di effettiva autonomia nel governo del territorio e delle risorse, realizzi un pieno riequilibrio istituzionale ed economico tra i predetti territori ponendo le condizioni per il raggiungimento di un'effettiva uguaglianza e di una reale pari opportunità alle popolazioni residenti;
              allo stesso modo la natura prettamente centralistica del decentramento amministrativo attuato dalle regioni e il ruolo marginale e subalterno attribuito ai territori montani dalle politiche economiche, sociali e infrastrutturali attuate dalle stesse regioni, ha fortemente penalizzato le autonomie locali delle province montane; in questo senso la legge indirizza le regioni a un forte decentramento;
              per tutto quanto sopra detto appare dunque quanto mai necessario uno sforzo congiunto delle istituzioni e delle forze per realizzare un progetto di riforma istituzionale e finanziarla che restituisca pari dignità e uguali opportunità ai territori, interamente montani, transfrontalieri, con la presenza di diverse minoranze linguistiche e con vocazione a uno sviluppo economico integrato alle altre realtà territoriali dell'arco alpino;
              in considerazione dell'articolo 35-bis del documento in esame;

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di riconoscere nell'ambito dell'attuazione della legge di stabilità, e in particolare rispetto all'articolo 35-bis, alle Province interamente montane e confinanti con stati esteri le necessarie forme di autogoverno creando condizioni di autonomia amministrativa e finanziaria;
          a coordinare la sua azione anche con le regioni, affinché anche sui territori vengano riconosciute alle suddette province forme particolari di autonomia finanziaria e amministrativa.
9/2679-bis-A/284. De Menech, Borghi.


      La Camera,
          premesso che:
              il protrarsi della crisi economica e occupazionale del paese, in Sicilia ha assunto dimensioni drammatiche, con un numero di occupati che ha toccato il livello più basso degli ultimi diciassette anni e con un prodotto interno lordo che dovrebbe registrare una flessione prossima al 3,0 per cento. In tale contesto, si segnala la particolare situazione della provincia di Siracusa che oltre a dover affrontare gli effetti della più grave recessione dalla seconda guerra mondiale, sconta i ritardi nel finanziamento di due grandi programmi di riconversione e innovazione industriale e di riqualificazione ambientale del territorio;
              come noto, nel 2009 è stato siglato l'accordo di programma per interventi di riqualificazioni ambientali funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di interesse nazionale di Priolo, mentre nel dicembre 2005 era stato siglato l'accordo di programma sulla chimica e la riqualificazione delle attività industriali dell'area industriale di Priolo, Melilli, Augusta e Siracusa, finalizzato tra l'altro alla realizzazione di un centro di ricerche sulle nuove tecnologie sostenibili da utilizzare nella chimica, nella raffinazione e nell'energia e la realizzazione del Polo Metalmeccanico;
              nell'ultimo anno, con particolare crescente preoccupazione dei cittadini, è emersa la legittima denuncia per i ritardi che si sono accumulati per i processi di bonifica e risanamento, soprattutto per i perduranti miasmi provenienti dagli stabilimenti industriali;
              rispetto a tali obiettivi, sinora sono state rese disponibili risorse assolutamente inadeguate, peraltro nemmeno utilizzate, per consentire la pur minima realizzazione di quelle opere necessarie per risanare il territorio siracusano afflitto da un grave dissesto ambientale e per rilanciare il suo comparto industriale,

impegna il Governo:

          a definire un programma, certo nelle quantità e nei tempi, per il finanziamento degli accordi di programma citati in premessa, nonché per l'attivazione di una sede di confronto con la Regione Sicilia, le amministrazioni locali interessate e le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro al fine di definire le modalità di attuazione di detti accordi di programma, consentendo finalmente il rispetto di impegni già assunti da diversi anni e l'attuazione di quelle misure che possano offrire risposte al territorio e alle comunità della provincia di Siracusa sul piano della sicurezza e della tutela dell'ambiente e della salute nonché la promozione dello sviluppo industriale sostenibile e l'insediamento di un tessuto di piccole e medie imprese;
          a attivare una sorta di cabina di regia insieme alla Regione Sicilia e alle forze sociali del territorio, per un monitoraggio costante della realizzazione delle opere di bonifica e risanamento, a partire del nuovo progetto della rada del porto di Augusta.
9/2679-bis-A/285. Zappulla, Amoddio.


      La Camera,
          premesso che:
              gli archivi storici relativi alla storia delle culture politiche dell'età repubblicana costituiscono un patrimonio culturale fondamentale per la vita civile, sociale e istituzionale della nazione;
              negli ultimi anni si è avvertita la necessità di una comune organizzazione di tali attività, per meglio corrispondere agli scopi della digitalizzazione e al fine di valorizzare un patrimonio interconnesso, che consenta di tutelare e garantire la memoria delle culture polite del XX secolo del nostro Paese;
              con la recente approvazione dell'ormai noto «di cultura» la discussione politica, sui temi legati al settore, si è orientata – dopo diversi anni – verso il sostegno e la promozione dei beni culturali,

impegna il Governo

a sostenere la digitalizzazione e la salvaguardia dei materiali, delle testimonianze e dei documenti relativi alla storia delle culture politiche del XX secolo – anche attraverso la realizzazione di un portale della storia della Repubblica – al fine di assicurarne la conservazione e la fruizione.
9/2679-bis-A/286. Piccoli Nardelli, Manzi, Rampi, Orfini.


      La Camera,
          premesso che:
              sono migliaia i bambini ed ragazzi che lasciano la loro famiglia d'origine per scappare dalla violenza, dalle catastrofi naturali e dalla povertà: si tratta spesso di minori che raggiungono, soli, in condizioni drammatiche il nostro Paese per fuggire da miserie, persecuzioni, violenze o semplicemente in cerca di condizioni migliori che hanno a che fare con la sopravvivenza e la necessità di fuggire dalla miseria;
              come è noto i territori del nostro paese più impegnati nell'accoglienza e nell'inclusione sono quelli «di frontiera», sul mediterraneo, a partire dalla Sicilia, con i comuni, in particolare, e le comunità in prima linea nel fronteggiare al meglio l'emergenza;
              la legge in esame prevede l'istituzione del Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, in cui confluiscono le risorse dell'analogo Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali dal decreto-legge 95/2012 (convertito dalla L. 135/2012) che viene contestualmente soppresso;
              il Fondo era stato istituito dall'articolo 23, comma 11, del decreto-legge n.  95/2012, con una dotazione di 5 milioni di euro per l'anno 2012, successivamente incrementata di 20 milioni per l'anno 2013, dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n.  120/2013 (L. n.  137/2013) nonché, di 40 milioni di euro per il 2014 e di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016 dall'articolo 1, co. 202 e 203, della L. 147/2013 (legge di stabilità 2014), ed è incrementato ulteriormente di 12,5 milioni di euro all'anno a decorrere dal 2015 dal comma 14 dell'articolo 17;
              si prevede, inoltre, che i minori stranieri non accompagnati accedano ai servizi di accoglienza finanziati con il Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell'asilo (il Fondo che finanzia lo SPRAR, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati costituito dalla rete degli enti locali che, per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata, accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo;
              non sono state completamente pagate tutte le spese di accoglienza sostenute dagli enti locali e del terzo settore creando gravi danni economici che rischiano di portare i comuni in dissesto e gli enti gestori al fallimento;
              vi è l'esigenza di riorganizzare il settore uniformato stabilendo criteri unici di qualità e servizi in tutte le regioni,

impegna il Governo:

          a liquidare le spese dell'accoglienza per i minori stranieri sostenute nelle annualità 2013-2014 dagli enti locali e del terzo settore A prevedere nei decreti attuativi che il fondo venga utilizzato anche per la creazione ed il mantenimento degli Hub, ovvero le strutture di immediata accoglienza;
          ad adoperarsi, anche attraverso la convocazione di una conferenza stato regioni, perché si adottino criteri di gestione unici in tutto il Paese soprattutto per ciò che concerne numeri di posti per le strutture, qualità del servizio, personale impiegato;
          a predisporre, sia per la gestione del fondo che per eventuali nuovi canali come quelli dello sprar, una retta che sia confacente e congrua con le reali esigenze di accoglienza e quindi con le spese sostenute dagli enti locali e dagli enti del terzo settore.
9/2679-bis-A/287. Scuvera, Moscatt.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 44, comma 31, lettera b) prevede l'abrogazione dei commi 2 e 3 dell'articolo 63 della legge 21 novembre 2000, n.  342;
              nello specifico, il comma 2 dispone l'esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per gli autoveicoli e i motoveicoli di «particolare interesse storico e collezionistico» costruiti da almeno venti anni;
              la perdita di circa 300/325.000 veicoli d'interesse storico-collezionistico significherebbe un mancato esborso per le spese di manutenzione degli stessi, danneggiando piccoli riparatori, carrozzieri, distributori di benzina, ricambiati: settori questi già particolarmente colpiti per la diminuzione di lavoro;
              alla suddetta perdita si aggiungerebbe quella turistica, pari a circa euro 12.500.000 annui, che nasce da una media di 2.500 raduni per un costo unitario medio di euro 5.000,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare con tempestività efficaci iniziative, finalizzate alla salvaguardia del mondo dell'automobilismo d'epoca e del suo indotto (carrozzieri, meccanici, elettrauto per la manutenzione dei modelli).
9/2679-bis-A/288. Sottanelli.


      La Camera,
          considerato che:
              il comma 139 dell'articolo 1, approva l'elenco 1) con il quale viene costituito un fondo destinato stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili con oneri a carico del bilancio comunale nonché alla prosecuzione del finanziamento di progetti per servizi socialmente utili;
              con la norma in titolo si riprende quanto stabilito originariamente dal comma 11 dell'articolo 17 del disegno di legge, espunto in sede di esame del contenuto proprio della legge di stabilità, nonostante il fatto che la norma altro non faceva che replicare una disposizione rinnovata annualmente e più volte contenuta nelle precedenti leggi di stabilità;
              la disposizione, ove non recuperata avrebbe messe in gravi difficoltà i comuni di Napoli e Palermo, aree estremamente sensibili sotto il profilo dell'occupazione e della sicurezza sociale; a Palermo avrebbero rischiato il posto ben 2.356 lavoratori (amministrativi, vigili urbani, collaboratori dei servizi scolastici), mentre a Napoli i soggetti a rischio assommano a circa 1.300;
              la disposizione introdotta in legge di stabilità tuttavia non precisa l'esatta finalizzazione delle risorse,

impegna il Governo

a destinare le risorse di cui alla voce 1 dell'elenco 1), approvato dal comma 139 dell'articolo 1 del disegno di legge in esame, per le finalità di cui all'articolo 3, comma 1 del decreto legge 25 marzo 1997, n.  67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n.  135, e, nel limite di un milione di euro, per le finalità di cui all'articolo 2, comma 552, della legge 24 dicembre 24 dicembre 2007, n.  244.
9/2679-bis-A/289. Misuraca, Tancredi, Garofalo, Bosco.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame degli emendamenti al disegno di legge in titolo, è stato esaminato un emendamento volto ad introdurre una imposta di sbarco, in luogo dell'imposta di soggiorno, in favore dei comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e più specificatamente, in favore delle isole Eolie, un'imposta per l'accesso a zone disciplinate nella loro fruizione per motivi ambientali, in prossimità di fenomeni attivi di origine vulcanica;
              la disposizione era originariamente contenuta nel testo approvato al Senato del decreto legge 31 ottobre 2013, n.  126 (comma 3-bis dell'articolo 2), decaduto alla Camera, poi trasfusa nel Testo unificato del disegno di legge Camera n.  2256, attualmente all'esame della Commissione bilancio; la norma pertanto deve ritenersi positivamente valutata da tutti i gruppi parlamentari;
              in essa si prevede altresì che le maggiori entrate della nuova imposta siano destinate a finanziare interventi in materia di turismo e interventi di fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali nonché interventi in materia di polizia locale e sicurezza,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di introdurre quanto prima l'imposta in titolo in considerazione delle particolari necessità delle isole minori.
9/2679-bis-A/290. Garofalo, Misuraca, Tancredi.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge n.  133 del 2014 cosiddetto «sblocca Italia» e il disegno di legge di stabilità contengono numerose norme volte a favorire una maggiore capacità di autoproduzione energetica del nostro Paese e l'adozione di modelli innovati di produzione energetica, al fine di ridurre la dipendenza energetica;
              nel corso del dibattito in commissione sulla legge di stabilità è stato esaminato l'emendamento 19.020 volto a favorire la messa in opera delle installazioni tecnologiche necessarie a consentire il recupero ed il riutilizzo energetico per la produzione di elettricità, dei gas di discarica;
              tale attività, peraltro già ammessa e favorita della disposizioni vigenti, comporta una periodica movimentazione dei macchinari, in funzione del rapido esaurimento del gas prodotto; si ritiene pertanto opportuno accelerare i procedimenti amministrativi volti a consentire la possibilità di avviare rapidamente la captazione dei gas nell'ambito dei vari lotti di una medesima discarica,

impegna il Governo:

          a prevedere, nell'ambito di un prossimo provvedimento, che, previa domanda dell'operatore e assenso dell'amministrazione preposta, il trasferimento di un impianto di bonifica del biogas operante su un originario lotto di discarica ad ulteriori impianti realizzati sui nuovi lotti autorizzati presso la medesima discarica, non comporti variante essenziale o rilevante dell'impianto medesimo;
          a prevedere che gli impianti di cui al paragrafo precedente possano riutilizzare componenti tecniche quali attrezzature dei pozzi, sottostazioni di aspirazione e controllo, tubazioni, stazioni di aspirazione o captazione del biogas, sistemi di depurazione e/o liquefazione del biogas, sistemi di analisi e controllo, motori endotermici e camere di post-combustione rigenerate o revisionate dalle case costruttrici o da officine specializzate riconosciute dalle stesse case costruttrici.
9/2679-bis-A/291. Piso.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento il esame contiene diverse disposizione volte a favorire la chiusura dei contenziosi fiscali e delle posizioni fiscali che presentano aspetti di problematicità in funzione delle difficoltà del contribuente a versare quanto dovuto;
              in particolare sono previsti ampliamenti degli ambiti applicativi del ravvedimento operoso: vi si potrà accedere a anche nei casi di accesso o ispezione o di una vera e propria verifica da parte degli Ufficiali preposti;
              le vigenti disposizioni fiscali contengono una discrasia consistente nel fatto che a fronte di una dilazione di pagamento concessa al contribuente ai sensi dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n.  602 del 1973, concessione che rappresenta in qualche modo il riconoscimento dell'Amministrazione fiscale delle ragioni o difficoltà del contribuente, ove instaurato un anche procedimento penale, questo può continuare il suo iter; le diverse amministrazioni quindi finiscono per perseguire fini antitetici, l'una collaborativo, l'altra punitiva,

impegna il Governo

a prevedere in un prossimo provvedimento o nell'ambito dei decreti delegati della riforma fiscale (legge 11 marzo 2014, n.  23), che l'accoglimento dell'istanza di rateizzazione ai sensi dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n.  602 del 1973, comporta la sospensione dei procedimenti penali eventualmente connessi e dei relativi termini di prescrizione, decadendo la sospensione stessa in caso di decadenza dal beneficio della rateizzazione.
9/2679-bis-A/292. Piccone, Tancredi.


      La Camera,
          premesso che:
              con il comma 732 dell'articolo 1 della legge di Stabilità per il 2014 (n.  147 del 2014 si è stabilito che al fine di ridurre il contenzioso derivante dall'applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni delle concessioni demaniali e nelle del riordino della materia da effettuare entro il 15 maggio prima ed entro 15 ottobre 2014 i procedimenti giudiziari pendenti alla data del 30 settembre 2013 concernenti il pagamento in favore dello Stato dei canoni e degli indennizzi per l'utilizzo dei beni demaniali marittimi e delle relative pertinenze, potessero essere integralmente definiti, previa domanda all'ente gestore e all'Agenzia del demanio da parte del soggetto interessato;
              la disposizione era stata introdotta per sanare i contenziosi sui maxi canoni precedentemente applicati, tuttavia la data prevista per il definitivo riordino della materia è stata superata senza che la prevista riforma sia stata emanata; tale situazione sta destando lo sconcerto degli operatori di settore; peraltro nel corso del dibattito del provvedimento in esame il Governo ha preannunciato la prossima presentazione di un disegno di legge di riordino della materia, il che comporta lo spostamento in avanti della data della sua entrata in vigore;
              al fine evitare l'insorgere di ulteriori contenziosi,

impegna il Governo

a prevedere nel decreto-legge «mille proroghe» lo spostamento in avanti dei pagamenti riferiti solo ai maxicanoni pertinenziali in previsione del riordino delle concessioni demaniali marittime e dei canoni, ampliando la data di scadenza dell'avvio dei contenziosi relativi al calcolo dei canoni di concessioni e le relative agevolazioni ai procedimenti giudiziari pendenti alla data del 30 settembre 2014.
9/2679-bis-A/293. Vignali, Pizzolante, Tancredi.


      La Camera,
          premesso che:
              nel corso del dibattito del provvedimento in esame il Governo ha preannunciato la prossima presentazione di una legge di riordino della materia,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità dello spostamento dei pagamenti riferiti all'articolo 1, comma 251, del decreto-legge n. 296 del 27 dicembre 2006, anche in riferimento ai contenziosi in atto.
9/2679-bis-A/293.    (Testo modificato nel corso della seduta) Vignali, Pizzolante, Tancredi.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge 138/2011, convertito dalla legge 148/2011, e successive modificazioni, prevede piani di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica e fra questi uno specifico piano di razionalizzazione e accorpamento degli uffici giudiziari territoriali;
              l'articolo 1 della legge 148/2011, in particolare, prevede la riorganizzazione e il razionale accorpamento degli uffici giudiziari periferici presso le sedi centrali di Corte di Appello;
              la legge di Stabilità 2014 (legge 147/2013) al comma 286 ha conferito carattere di «assoluta priorità» alle procedure di permuta dei beni demaniali dello Stato con nuovi immobili destinati a uffici giudiziari sedi centrali di Corte di Appello;
              gli esistenti edifici giudiziari delle Corti di Appello versano in gran parte già versano in condizioni di conclamata insufficienza e inidoneità;
              le procedure di permuta con nuovi edifici giudiziari di Corte di Appello, consente al Demanio dello Stato di dotarsi direttamente e autonomamente di nuovi edifici destinati alla giustizia, tramite la permuta di immobili demaniali dismessi e spesso inefficienti e inadeguati, con edifici moderni, funzionali, economicamente efficienti e idonei a soddisfare, per un verso, la prioritaria e urgente esigenza del Paese di risolvere, in tempi rapidi, le pressanti esigenze degli uffici giudiziari di Corte di Appello, ivi comprese le accresciute esigenze di spazi derivanti dal citato piano di razionalizzazione e accorpamento degli uffici giudiziari, di cui alla citata legge 148/2011 il cui onere d'ora innanzi sarà riversato interamente sullo Stato;
              tale procedura potrebbe rilanciare, in aree a forte tensione occupazionale, un settore produttivo quale quello dell'edilizia fortemente in crisi facendo da volano per lo sviluppo economico e sociale, oltre che contribuire alla valorizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato;
              la realizzazione di nuovi edifici ad alto valore simbolico quali quelli giudiziari, in particolare su territori disagiati, diverrebbero importanti presidi di legalità e di affermazione della presenza dello Stato sul territorio,

impegna il Governo

ad assegnare e riservare, in sede di modifica del presente disegno di legge, alle procedure di permuta di edifici giudiziari di Corte di Appello risorse pari a 15 milioni di euro per ogni anno a decorrere dal 2016.
9/2679-bis-A/294. Alli.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge 138/2011, convertito dalla legge 148/2011, e successive modificazioni, prevede piani di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica e fra questi uno specifico piano di razionalizzazione e accorpamento degli uffici giudiziari territoriali;
              l'articolo 1 della legge 148/2011, in particolare, prevede la riorganizzazione e il razionale accorpamento degli uffici giudiziari periferici presso le sedi centrali di Corte di Appello;
              la legge di Stabilità 2014 (legge 147/2013) al comma 286 ha conferito carattere di «assoluta priorità» alle procedure di permuta dei beni demaniali dello Stato con nuovi immobili destinati a uffici giudiziari sedi centrali di Corte di Appello;
              gli esistenti edifici giudiziari delle Corti di Appello versano in gran parte già versano in condizioni di conclamata insufficienza e inidoneità;
              le procedure di permuta con nuovi edifici giudiziari di Corte di Appello, consente al Demanio dello Stato di dotarsi direttamente e autonomamente di nuovi edifici destinati alla giustizia, tramite la permuta di immobili demaniali dismessi e spesso inefficienti e inadeguati, con edifici moderni, funzionali, economicamente efficienti e idonei a soddisfare, per un verso, la prioritaria e urgente esigenza del Paese di risolvere, in tempi rapidi, le pressanti esigenze degli uffici giudiziari di Corte di Appello, ivi comprese le accresciute esigenze di spazi derivanti dal citato piano di razionalizzazione e accorpamento degli uffici giudiziari, di cui alla citata legge 148/2011 il cui onere d'ora innanzi sarà riversato interamente sullo Stato;
              tale procedura potrebbe rilanciare, in aree a forte tensione occupazionale, un settore produttivo quale quello dell'edilizia fortemente in crisi facendo da volano per lo sviluppo economico e sociale, oltre che contribuire alla valorizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato;
              la realizzazione di nuovi edifici ad alto valore simbolico quali quelli giudiziari, in particolare su territori disagiati, diverrebbero importanti presidi di legalità e di affermazione della presenza dello Stato sul territorio,

impegna il Governo

ad assegnare e riservare, in sede di modifica del presente disegno di legge, alle procedure di permuta di edifici giudiziari di Corte di Appello risorse adeguate.
9/2679-bis-A/294.    (Testo modificato nel corso della seduta) Alli.


      La Camera,
          premesso che:
              le prestazioni di trasporto di persone e dei rispettivi bagagli sono in via di principio assoggettate ad aliquota Iva in ragione del 10 per cento. La Tabella A, parte III, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  633, prevede l'applicazione di questa aliquota per le «prestazioni di trasporto di persone e dei rispettivi bagagli al seguito, escluse quelle esenti a norma dell'articolo 10, comma 14, del presente decreto». Questo in attuazione di quanto previsto dalla Direttiva 28 novembre 2006, n.  2006/112/CE, allegato III, che comprende, tra l'elenco delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi che possono essere assoggettate alle aliquote ridotte (di cui all'articolo 98 della citata direttiva), anche «il trasporto di persone e dei relativi bagagli»;
              questa disposizione si applica, in via generale, a tutte le prestazioni di trasporto (tra cui, ad esempio, il trasporto di persone a mezzo autobus, tram, metropolitana, etc.), tranne a quelle che rientrano nell'ambito applicativo dell'articolo 10, comma 14 del decreto del Presidente della Repubblica 633/72, così come modificato dall'articolo 2, comma 1, letta b) del decreto legge 29 settembre 1997, n.  328 (convertito dalla legge 29 novembre 1997, n.  410). Quest'ultima norma prevede, nella vigente formulazione, che «sono esenti dall'imposta (...) 14) prestazioni di trasporto urbano di persone effettuate mediante veicoli da piazza o altri mezzi di trasporto abilitati ad eseguire servizi di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare. Si considerano urbani i trasporti effettuati nel territorio di un comune o tra comuni non distanti tra loro oltre cinquanta chilometri»;
              secondo la norma vigente, le prestazioni di trasporto di persone sono soggette ad Iva, comprese quelle effettuate con mezzi di linea (bus); tuttavia le prestazioni di trasporto urbano effettuate mediante veicoli da piazza (taxi) sono esenti da Iva così come tutte le prestazioni urbane di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare;
              è dunque evidente una certa incoerenza delle disposizioni in vigore. Quanto al trasporto terrestre, l'esenzione dall'Iva è prevista per i soli veicoli da piazza e non per il trasporto di linea; nel caso dei trasporti per vie d'acqua l'esenzione è invece prevista anche per il trasporto di linea. Un'articolazione normativa sistematica e coerente deve invece distinguere tra figure affini, riconducibili a due grandi aree: il trasporto cosiddetto di linea, e il trasporto non di linea;
              sarebbe quindi opportuno prevedere un trattamento uniforme delle prestazioni di servizi di trasporto urbano di linea, assoggettando ad Iva al 10 percento anche il trasporto urbano di linea effettuato per vie d'acqua. Questo consentirebbe da un lato alle imprese interessate di avere titolo per la detrazione dell'Iva loro addebitata sugli acquisti secondo un principio di neutralità; dall'altro si centrerebbe l'obiettivo di armonizzare il diritto interno con gli obblighi comunitari: la Direttiva 28 novembre 2006/112/CE prevede infatti l'assoggettamento a Iva senza distinzioni del «trasporto di persone e dei rispettivi bagagli»;
              la differenza di trattamento sin qui descritta – con riferimento al trasporto di linea – non sembra inoltre trovare alcuna giustificazione apprezzabile, viola i princìpi di ragionevolezza e uguaglianza (articolo 3 della Costituzione), nonché il principio di neutralità dell'Iva ponendo definitivamente a carico dell'operatore di trasporto di linea per vie d'acqua l'onere del tributo, come se fosse un consumatore finale e non un imprenditore;
              visto l'articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n.  23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita) che prevede l'adozione di decreti legislativi con i quali introdurre norme per il recepimento della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, secondo i principi di razionalizzazione e attuazione del regime del gruppo ai fini dell'applicazione dell'Iva,

impegna il Governo

a modificare il trattamento Iva delle prestazioni di trasporto di linea per vie acquatiche, al fine di renderlo nel suo complesso più coerente con la disciplina fiscale generale del trasporto di persone, oltre che maggiormente conforme ai princìpi costituzionali e comunitari, nell'ambito dell'esercizio della delega conferita al Governo con la legge 11 marzo 2014, n.  23.
9/2679-bis-A/295. Roccella.


      La Camera,
          premesso che:
              le prestazioni di trasporto di persone e dei rispettivi bagagli sono in via di principio assoggettate ad aliquota Iva in ragione del 10 per cento. La Tabella A, parte III, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  633, prevede l'applicazione di questa aliquota per le «prestazioni di trasporto di persone e dei rispettivi bagagli al seguito, escluse quelle esenti a norma dell'articolo 10, comma 14, del presente decreto». Questo in attuazione di quanto previsto dalla Direttiva 28 novembre 2006, n.  2006/112/CE, allegato III, che comprende, tra l'elenco delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi che possono essere assoggettate alle aliquote ridotte (di cui all'articolo 98 della citata direttiva), anche «il trasporto di persone e dei relativi bagagli»;
              questa disposizione si applica, in via generale, a tutte le prestazioni di trasporto (tra cui, ad esempio, il trasporto di persone a mezzo autobus, tram, metropolitana, etc.), tranne a quelle che rientrano nell'ambito applicativo dell'articolo 10, comma 14 del decreto del Presidente della Repubblica 633/72, così come modificato dall'articolo 2, comma 1, letta b) del decreto legge 29 settembre 1997, n.  328 (convertito dalla legge 29 novembre 1997, n.  410). Quest'ultima norma prevede, nella vigente formulazione, che «sono esenti dall'imposta (...) 14) prestazioni di trasporto urbano di persone effettuate mediante veicoli da piazza o altri mezzi di trasporto abilitati ad eseguire servizi di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare. Si considerano urbani i trasporti effettuati nel territorio di un comune o tra comuni non distanti tra loro oltre cinquanta chilometri»;
              secondo la norma vigente, le prestazioni di trasporto di persone sono soggette ad Iva, comprese quelle effettuate con mezzi di linea (bus); tuttavia le prestazioni di trasporto urbano effettuate mediante veicoli da piazza (taxi) sono esenti da Iva così come tutte le prestazioni urbane di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare;
              è dunque evidente una certa incoerenza delle disposizioni in vigore. Quanto al trasporto terrestre, l'esenzione dall'Iva è prevista per i soli veicoli da piazza e non per il trasporto di linea; nel caso dei trasporti per vie d'acqua l'esenzione è invece prevista anche per il trasporto di linea. Un'articolazione normativa sistematica e coerente deve invece distinguere tra figure affini, riconducibili a due grandi aree: il trasporto cosiddetto di linea, e il trasporto non di linea;
              sarebbe quindi opportuno prevedere un trattamento uniforme delle prestazioni di servizi di trasporto urbano di linea, assoggettando ad Iva al 10 percento anche il trasporto urbano di linea effettuato per vie d'acqua. Questo consentirebbe da un lato alle imprese interessate di avere titolo per la detrazione dell'Iva loro addebitata sugli acquisti secondo un principio di neutralità; dall'altro si centrerebbe l'obiettivo di armonizzare il diritto interno con gli obblighi comunitari: la Direttiva 28 novembre 2006/112/CE prevede infatti l'assoggettamento a Iva senza distinzioni del «trasporto di persone e dei rispettivi bagagli»;
              la differenza di trattamento sin qui descritta – con riferimento al trasporto di linea – non sembra inoltre trovare alcuna giustificazione apprezzabile, viola i princìpi di ragionevolezza e uguaglianza (articolo 3 della Costituzione), nonché il principio di neutralità dell'Iva ponendo definitivamente a carico dell'operatore di trasporto di linea per vie d'acqua l'onere del tributo, come se fosse un consumatore finale e non un imprenditore;
              visto l'articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n.  23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita) che prevede l'adozione di decreti legislativi con i quali introdurre norme per il recepimento della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, secondo i principi di razionalizzazione e attuazione del regime del gruppo ai fini dell'applicazione dell'Iva,

impegna il Governo

a modificare, compatibilmente con le regole comunitarie e in accordo con le regioni interessate, il trattamento Iva delle prestazioni di trasporto di linea per vie acquatiche, al fine di renderlo nel suo complesso più coerente con la disciplina fiscale generale del trasporto di persone, oltre che maggiormente conforme ai princìpi costituzionali e comunitari, nell'ambito dell'esercizio della delega conferita al Governo con la legge 11 marzo 2014, n.  23.
9/2679-bis-A/295.    (Testo modificato nel corso della seduta) Roccella.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di discussione del disegno di legge in esame presso la commissione bilancio è stato ammesso l'emendamento 44.285 con il quale si modificava la Legge fallimentare nel senso di prevedere che in sede di concordato preventivo, senza transazione fiscale, il fisco possa accettare una liquidazione pro quota delle imposte dovute;
              l'attuale comma 1 dell'articolo 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n.  267 (legge fallimentare) prevede che «con riguardo all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento»; detto articolo è stato interpretato in senso estensivo e applicato anche al concordato senza transazione fiscale, di cui all'articolo 160 Legge fallimentare, e parrebbe che i debiti fiscali non siano falcidiabili;
              tuttavia taluni tribunali (i quali hanno prodotto una applicazione a «macchia di leopardo» del 182-ter) in contrasto con gli orientamenti di Cassazione, hanno invece ritenuto tali debiti «falcidiabili», in quanto i tributi propri UE non sono così inderogabili (anche in forza di una sentenza della Corte UE) e inoltre hanno considerato illogico (articoli 97 e 3 della Costituzione) che la P.A. non possa valutare discrezionalmente la possibilità di accettare un pagamento inferiore al credito, ma superiore a quello ricavabile con la liquidazione del patrimonio del creditore;
              peraltro, non ammettendo la falcidia dei crediti erariali in caso di concordato preventivo, l'erario presumibilmente perderebbe la possibilità di incassare almeno una parte del proprio credito;
              in questo senso, il tribunale di Verona, in data 5 aprile 2013, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli articoli 160 e 182-ter della legge fallimentare, come interpretati dalla Corte di Cassazione nelle sentenze citate, per contrasto con l'articolo 97 della Costituzione, nella parte in cui non consente alla Pubblica Amministrazione di valutare in concreto la convenienza del piano concordatario e, con l'articolo 3 della Costituzione, nella parte in cui non consente alla pubblica amministrazione di accettare un pagamento inferiore al credito ma superiore a quello ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di modificare la legge fallimentare (regio decreto 16 marzo 1942, n.  267) nel senso indicato    nel primo capoverso delle premesse nel senso di considerare falcidiabili i debiti tributari dei soggetti ammessi al concordato preventivo o alle altre forme di amministrazione controllata.
9/2679-bis-A/296. Scopelliti, Pizzolante, Tancredi.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di discussione del disegno di legge in esame presso la commissione bilancio è stato ammesso l'emendamento 44.285 con il quale si modificava la Legge fallimentare nel senso di prevedere che in sede di concordato preventivo, senza transazione fiscale, il fisco possa accettare una liquidazione pro quota delle imposte dovute;
              l'attuale comma 1 dell'articolo 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n.  267 (legge fallimentare) prevede che «con riguardo all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento»; detto articolo è stato interpretato in senso estensivo e applicato anche al concordato senza transazione fiscale, di cui all'articolo 160 Legge fallimentare, e parrebbe che i debiti fiscali non siano falcidiabili;
              tuttavia taluni tribunali (i quali hanno prodotto una applicazione a «macchia di leopardo» del 182-ter) in contrasto con gli orientamenti di Cassazione, hanno invece ritenuto tali debiti «falcidiabili», in quanto i tributi propri UE non sono così inderogabili (anche in forza di una sentenza della Corte UE) e inoltre hanno considerato illogico (articoli 97 e 3 della Costituzione) che la P.A. non possa valutare discrezionalmente la possibilità di accettare un pagamento inferiore al credito, ma superiore a quello ricavabile con la liquidazione del patrimonio del creditore;
              peraltro, non ammettendo la falcidia dei crediti erariali in caso di concordato preventivo, l'erario presumibilmente perderebbe la possibilità di incassare almeno una parte del proprio credito;
              in questo senso, il tribunale di Verona, in data 5 aprile 2013, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli articoli 160 e 182-ter della legge fallimentare, come interpretati dalla Corte di Cassazione nelle sentenze citate, per contrasto con l'articolo 97 della Costituzione, nella parte in cui non consente alla Pubblica Amministrazione di valutare in concreto la convenienza del piano concordatario e, con l'articolo 3 della Costituzione, nella parte in cui non consente alla pubblica amministrazione di accettare un pagamento inferiore al credito ma superiore a quello ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di modificare la legge fallimentare (regio decreto 16 marzo 1942, n.  267) nel senso indicato    nel primo capoverso delle premesse nel senso di considerare falcidiabili, escludendo l'IVA, i debiti tributari dei soggetti ammessi al concordato preventivo o alle altre forme di amministrazione controllata.
9/2679-bis-A/296.    (Testo modificato nel corso della seduta) Scopelliti, Pizzolante, Tancredi.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di discussione del disegno di legge in esame, presso la commissione bilancio è stato ammesso l'emendamento 44.315 concernente la possibilità per i gestori delle concessioni di beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali con finalità turistico-ricreative e sportive, che utilizzino manufatti amovibili cui alla lettera e.5) del comma 1 dell'articolo 3 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.  380 di mantenere installati i predetti manufatti oltre il termine della stagione balneare o fino alla scadenza della concessione, senza necessità di nuova istanza, mediante pagamento di una maggiorazione del 5 per cento del canone di concessione;
              la misura è necessaria al fine di fronteggiare il grave stato di crisi del settore turistico balneare ed è favorita dalle regioni, con l'intento di favorire il prolungamento della stagione balneare e la produttività del comparto turistico; tuttavia talune Soprintendenze regionali, come ad esempio quella della Puglia, applicano rigidamente la normativa vigente, impedendo la possibilità di mantenere i manufatti citati oltre il periodo della stagione balneare;
              in questo senso era già stata approvata una disposizione del decreto legge n.  135 del 2013, successivamente decaduto,

impegna il Governo

in previsione della revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi ad emanare direttive nei confronti delle Soprintendenze regionali al fine di consentire il permanere, nelle aree date in concessione, manufatti amovibili cui alla lettera e.5) del comma 1 dell'articolo 3 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.  380, secondo le modalità previste dalle Regioni già per la stagione appena conclusa.
9/2679-bis-A/297. Pizzolante, Tancredi.


      La Camera,
          premesso che:
              è prossima l'emanazione del decreto previsto dall'articolo 22 del decreto-legge n.  66 del 2014, di riscrittura delle regole Imu per i terreni agricoli; dall'applicazione della norma è previsto un maggior gettito di 350 milioni di euro;
              il decreto ha il compito di individuare, sulla base dell'altitudine, i terreni esenti da Imu; la conferma dell'esenzione totale, già prevista dal 1993 per l'Ici, opera solo per i comuni con altitudine superiore a 600 metri. Nei comuni con altitudine compresa fra 281 e 600 metri, invece, l'esenzione opera solo per i terreni dei coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali;
              inizialmente la norma aveva effettivamente previsto la possibilità di diversificare «eventualmente» tra terreni posseduti da coltivatori diretti e gli altri, ma in sede di conversione in legge del decreto-legge n.  66 questa eventualità è stata espunta dal testo e quindi la norma primaria sembrava imporre in tutti i comuni montani il distinguo tra coltivatori diretti ed altri possessori, distinguo che però non sembra stata recepita nelle bozze di decreto che stanno circolando;
              la normativa, poi, fa riferimento ai terreni «posseduti» dai coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali, non è quindi richiesta la conduzione. Ciò sembrerebbe comportare che i terreni incolti montani posseduti dai coltivatori diretti sono sempre esenti;
              l'applicazione della norma, così come concepita sembra comportare disparità tra comune e comune parametri previsti dalla bozza di decreto creano più di un problema, perché in molti comuni l'altitudine al centro è ben lontana dall'indicare la condizione di tutto il territorio comunale;
              inoltre, in numerosissimi casi, il terreno è di proprietà dei genitori, dei fratelli o del coniuge del coltivatore professionale, il quale lo gestisce come bene di famiglia,

impegna il Governo

      al fine di evitare l'insorgere di innumerevoli contenziosi, la cui definizione è tutt'altro che certa in favore dell'erario, in forza delle diverse illogicità della norma originaria e della sua applicazione, ad introdurre norme che, assicurando la parità di gettito, stabiliscano:
          che il requisito della montanità o semi-montanità sia collegato all'altezza del terreno oggetto di tassazione;
          che l'esenzione si applica anche nel caso in cui il terreno sia di proprietà degli ascendenti, del coniuge o dei fratelli del coltivatore professionale che lo conduce;
          che l'esenzione si applica solo ai terreni in attualità di coltivazione o di conduzione agro-silvo-forestale.
9/2679-bis-A/298. Bosco, De Girolamo.


      La Camera,
          premesso che:
              è prossima l'emanazione del decreto previsto dall'articolo 22 del decreto-legge n.  66 del 2014, di riscrittura delle regole Imu per i terreni agricoli; dall'applicazione della norma è previsto un maggior gettito di 350 milioni di euro;
              il decreto ha il compito di individuare, sulla base dell'altitudine, i terreni esenti da Imu; la conferma dell'esenzione totale, già prevista dal 1993 per l'Ici, opera solo per i comuni con altitudine superiore a 600 metri. Nei comuni con altitudine compresa fra 281 e 600 metri, invece, l'esenzione opera solo per i terreni dei coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali;
              inizialmente la norma aveva effettivamente previsto la possibilità di diversificare «eventualmente» tra terreni posseduti da coltivatori diretti e gli altri, ma in sede di conversione in legge del decreto-legge n.  66 questa eventualità è stata espunta dal testo e quindi la norma primaria sembrava imporre in tutti i comuni montani il distinguo tra coltivatori diretti ed altri possessori, distinguo che però non sembra stata recepita nelle bozze di decreto che stanno circolando;
              la normativa, poi, fa riferimento ai terreni «posseduti» dai coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali, non è quindi richiesta la conduzione. Ciò sembrerebbe comportare che i terreni incolti montani posseduti dai coltivatori diretti sono sempre esenti;
              l'applicazione della norma, così come concepita sembra comportare disparità tra comune e comune parametri previsti dalla bozza di decreto creano più di un problema, perché in molti comuni l'altitudine al centro è ben lontana dall'indicare la condizione di tutto il territorio comunale;
              inoltre, in numerosissimi casi, il terreno è di proprietà dei genitori, dei fratelli o del coniuge del coltivatore professionale, il quale lo gestisce come bene di famiglia,

impegna il Governo

      al fine di evitare l'insorgere di innumerevoli contenziosi, la cui definizione è tutt'altro che certa in favore dell'erario, in forza delle diverse illogicità della norma originaria e della sua applicazione, a valutare la possibilità di introdurre norme che, assicurando la parità di gettito, stabiliscano:
          che il requisito della montanità o semi-montanità sia collegato all'altezza del terreno oggetto di tassazione;
          che l'esenzione si applica anche nel caso in cui il terreno sia di proprietà degli ascendenti, del coniuge o dei fratelli del coltivatore professionale che lo conduce;
          che l'esenzione si applica solo ai terreni in attualità di coltivazione o di conduzione agro-silvo-forestale.
9/2679-bis-A/298.    (Testo modificato nel corso della seduta) Bosco, De Girolamo.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame in commissione delle norme sull'Irap (ora commi 16-20 dell'articolo 1), è stato discusso l'emendamento 5.13 in materia di innalzamento della franchigia IRAP a favore delle imprese di ridotte dimensioni, al fine di bilanciare l'incremento della tassazione che si verifica a seguito dell'abrogazione della riduzione generalizzata delle aliquote IRAP prevista, dal 2014, dall'articolo 5, comma 2, disegno di legge in esame;
              in considerazione dello stato di crisi del sistema delle PMI, la riduzione delle aliquote IRAP, prevista dal decreto-legge n.  66 e la sua successiva soppressione con effetto retroattivo ha un impatto considerevole sulle stesse;
              si consideri che più di 3 milioni di imprese sono senza dipendenti, vale a dire il 70 per cento del totale delle 4.425.000 aziende italiane;
              è quindi necessario introdurre misure compensative al fine di limitare gli effetti negativi che, inevitabilmente, si verrebbero a creare su una vasta platea di imprese di piccole dimensioni. Ciò, può essere realizzato con l'incremento della franchigia (dagli attuali euro 10.500 ad euro 20.000) a favore di imprese individuali, società di persone e professionisti con una base imponibile che non supera euro 180.759,91;
              tale misura persegue, altresì, l'obiettivo, di esentare di fatto dall'IRAP i contribuenti privi di «autonoma organizzazione» secondo i canoni individuati dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (imprese o professionisti che svolgono l'attività in forma individuale, senza dipendenti e con utilizzo di mezzi che non eccedono il minimo indispensabile per lo svolgimento dell'attività),

impegna il Governo

a valutare la necessità di introdurre in un prossimo provvedimento l'innalzamento della franchigia IRAP dagli attuali euro 10.500 ad euro 20.000.
9/2679-bis-A/299. Sammarco, Tancredi, Saltamartini.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame in commissione delle norme sull'Irap (ora commi 16-20 dell'articolo 1), è stato discusso l'emendamento 5.13 in materia di innalzamento della franchigia IRAP a favore delle imprese di ridotte dimensioni, al fine di bilanciare l'incremento della tassazione che si verifica a seguito dell'abrogazione della riduzione generalizzata delle aliquote IRAP prevista, dal 2014, dall'articolo 5, comma 2, disegno di legge in esame;
              in considerazione dello stato di crisi del sistema delle PMI, la riduzione delle aliquote IRAP, prevista dal decreto-legge n.  66 e la sua successiva soppressione con effetto retroattivo ha un impatto considerevole sulle stesse;
              si consideri che più di 3 milioni di imprese sono senza dipendenti, vale a dire il 70 per cento del totale delle 4.425.000 aziende italiane;
              è quindi necessario introdurre misure compensative al fine di limitare gli effetti negativi che, inevitabilmente, si verrebbero a creare su una vasta platea di imprese di piccole dimensioni. Ciò, può essere realizzato con l'incremento della franchigia (dagli attuali euro 10.500 ad euro 20.000) a favore di imprese individuali, società di persone e professionisti con una base imponibile che non supera euro 180.759,91;
              tale misura persegue, altresì, l'obiettivo, di esentare di fatto dall'IRAP i contribuenti privi di «autonoma organizzazione» secondo i canoni individuati dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (imprese o professionisti che svolgono l'attività in forma individuale, senza dipendenti e con utilizzo di mezzi che non eccedono il minimo indispensabile per lo svolgimento dell'attività),

impegna il Governo

a valutare la necessità, per i soggetti non interessati dalla eliminazione dalla base imponibile dell'IRAP del costo del lavoro stabile, di introdurre in un prossimo provvedimento l'innalzamento della franchigia IRAP.
9/2679-bis-A/299.    (Testo modificato nel corso della seduta) Sammarco, Tancredi, Saltamartini.


      La Camera,
          premesso che:
              i commi 30 e successivi dell'articolo 1 del provvedimento in esame introducono il credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo;
              al fine di rafforzare l'efficacia della misura è stato presentato l'emendamento 7.44 volto a prevedere che il credito d'imposta del 50 per cento venga calcolato sul volume dell'investimento e non solo sull'incremento;
              in questo modo si potrebbe ulteriormente sostenere il rafforzamento e lo sviluppo delle collaborazioni tra imprese e sistema della ricerca pubblico e no-profit, da sempre un punto debole del nostro sistema nazionale. Inoltre, si favorirebbe l'afflusso di risorse private al sistema pubblico, aumentando l'effetto complessivo dell'intervento;
              inoltre, per incentivare l'inserimento nelle imprese di personale qualificato nelle attività di ricerca e innovazione, si propone di considerare tra le spese di personale ammissibili oltre a quelle per i ricercatori anche quelle per i tecnici di ricerca, rispondendo così a una reale esigenza delle imprese e del sistema formativo nazionale;
              infine riferimento all'ambito soggettivo di applicazione della misura, la proposta emendativa chiarisce che l'agevolazione interessa anche le Reti, le aggregazioni d'impresa, i soggetti residenti e non residenti con stabile organizzazione in Italia, che eseguano attività inquadrabili nel contesto della ricerca e dello sviluppo attraverso contratti con imprese UE;
              i maggiori oneri complessivi sono valutati in 50 milioni di euro nel primo anno, 60 nel secondo e 70 a partire dal terzo, ampiamente recuperati dal maggior gettito derivante dall'espansione economica ed occupazionale derivante dalla norma,

impegna il Governo

a valutare approfonditamente le disposizioni di cui ai commi da 30 a 40 dell'articolo 1, al fine di procedere, già nel corso dell'esame della presente legge di stabilità, alla modifica dei citati commi nel senso indicato in premessa.
9/2679-bis-A/300. Dorina Bianchi, Saltamartini, Tancredi.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 33 dell'articolo 3 sottopone a tassa di proprietà piena e ai conseguenti oneri assicurativi integrali le auto storiche tra i 20 e i 30 anni, presumendo maggiori entrate pari a 78 milioni di euro;
              con l'emendamento 44.290 è stata tentata una necessaria proposta di mediazione che aumenta il gettito e non distrugge il settore prevedendo che siano dichiarate storiche le auto con non meno di 25 anni (in luogo di 20) e che tutte le auto storiche (e non solo quelle che circolano) siano tenute a pagare le tasse automobilistiche agevolate, come tassa di possesso e non di circolazione;
              dai calcoli effettuati dall'Automobile club storico italiano (ASI) risulta che i veicoli colpiti dalla misura sono 375 mila e non i 447 individuati dalla relazione tecnica. Il gettito teorico è quindi di 56 milioni e non i 78 previsti dalla relazione tecnica;
              l'applicazione delle tariffe piene ai veicoli ultraventennali, determinerebbe l'antieconomicità di tali contratti e pertanto anche la demolizione dei veicoli stessi. L'ASI calcola che si salverebbero non più di 50.000 con un gettito di 7,5 milioni;
              il danno alle attività connesse sarebbe invece grave. Andrebbe perso:
                  il gettito fiscale dei circa 650 milioni di spese di manutenzione e riparazione. Tale perdita colpirebbe piccoli riparatori, carrozzieri, distributori di benzina, ricambisti, settori già particolarmente colpiti per la diminuzione di lavoro;
                  il danno al «turismo dei raduni storici» pari a circa euro 12.500.000 annui che nasce da una media di 2.500 raduni per un costo unitario medio di euro 5.000;
              rischia di accadere quanto già accaduto con le imposte sul lusso caricate su aeromobili e barche dal Salva Italia di Monti: da un gettito atteso di circa 450 milioni si è scesi ad un gettito di circa 150 milioni. Nel frattempo si sono realizzati nei due settori, ma in particolare in quello nautico, danni al PIL per 2 miliardi,

impegna il Governo

in sede di esame delle norme sulle auto storiche, previste dal comma 33 dell'articolo 3 del disegno di legge in esame, a prendere decisive forme di contemperamento delle attuali disposizioni, in modo da consentire la prosecuzione delle attività citate in premessa, a fronte di una riduzione del previsto maggior gettito, che allo stato appare meramente presunto.
9/2679-bis-A/301. Pagano.


      La Camera,
          premesso che:
              i commi 44 e successivi dell'articolo 1 intervengono in materia di regime fiscale e contributivo dei lavoratori autonomi;
              le disposizioni in titolo hanno suscitato, da più parti, numerose perplessità sugli impatti che rischiano di avere su giovani professionisti, freelance e in generale su tutti i lavoratori con partita IVA; sono stati evidenziati sia rischi di disparità di trattamento tra attività ed attività, sia la possibilità che numerosi soggetti (e in particolare i giovani) corrano il rischio di essere messi fuori mercato;
              la somma della revisione dei minimi, che per autonomi e professionisti comporta una stretta sui ricavi e un incremento del prelievo fiscale e l'ennesima crescita dell'aliquota previdenziale, produrranno come effetto l'insostenibilità reddituale per talune categorie di autonomi e professionisti;
              nei due anni precedenti per queste categorie era stato ottenuto il blocco dell'aumento dei contributi previdenziali e questa misura, nonostante il perdurare della crisi economica, non è prevista anche per il 2015,

impegna il Governo

a valutare approfonditamente gli effetti delle disposizioni citate, al fine di adottare ulteriori iniziative, già in sede di esame della presente legge di stabilità per il 2015, volte a prorogare il blocco dell'aumento dei contributi previdenziali per i lavoratori autonomi e a rivedere in termini di maggiore equità, i regimi dei minimi, eventualmente innalzando le relative soglie.
9/2679-bis-A/302. Saltamartini, Tancredi.


      La Camera,
          premesso che:
              i commi 44 e successivi dell'articolo 1 intervengono in materia di regime fiscale e contributivo dei lavoratori autonomi;
              le disposizioni in titolo hanno suscitato, da più parti, numerose perplessità sugli impatti che rischiano di avere su giovani professionisti, freelance e in generale su tutti i lavoratori con partita IVA; sono stati evidenziati sia rischi di disparità di trattamento tra attività ed attività, sia la possibilità che numerosi soggetti (e in particolare i giovani) corrano il rischio di essere messi fuori mercato;
              la somma della revisione dei minimi, che per autonomi e professionisti comporta una stretta sui ricavi e un incremento del prelievo fiscale e l'ennesima crescita dell'aliquota previdenziale, produrranno come effetto l'insostenibilità reddituale per talune categorie di autonomi e professionisti;
              nei due anni precedenti per queste categorie era stato ottenuto il blocco dell'aumento dei contributi previdenziali e questa misura, nonostante il perdurare della crisi economica, non è prevista anche per il 2015,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prorogare gli effetti delle disposizioni citate, al fine di adottare ulteriori iniziative, già in sede di esame della presente legge di stabilità per il 2015, volte a prorogare il blocco dell'aumento dei contributi previdenziali per i lavoratori autonomi.
9/2679-bis-A/302.    (Testo modificato nel corso della seduta) Saltamartini, Tancredi.


      La Camera,
          premesso che:
              nel corso del 2015 si terrà a Milano l'Esposizione Universale;
              sono in corso diverse azioni per promuove e sostenere le attività culturali in modo da garantire un'adeguata offerta a tutti i visitatori che dal Mondo verranno in Italia;
              tra le diverse e prestigiose imitazioni culturali milanesi è degna di merito e attenzione La Verdi che con un intenso e articolato programma di attività rivolte a persone di tutte le età, con forme anche molto innovative e con relazioni internazionali solide e strutturate, rappresenta un esempio di quella collaborazione tra risorse pubbliche e private e di quell'equilibrio tra investimento culturale e tenuta dei conti, e una virtuosa relazione tra sostegno pubblico, entrate dirette e sostegno da privati che sono in sintonia con le linee guida di intervento verso cui si stanno sviluppano le politiche culturali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità — compatibilmente con le risorse disponibili — a sostenere l'azione culturale de La Verdi.
9/2679-bis-A/303. Quartapelle Procopio, Rampi, Malpezzi, Gasparini, Cova, Fiano, Mauri, Laforgia, Casati, Amoddio.


      La Camera,
          premesso che:
              Con la soppressione dei tribunali ordinari e delle sezioni distaccate nonché delle procure della Repubblica di cui alla Tabella A del decreto legislativo n.  155 del 2012, i Comuni sede di accorpamento e di riorganizzazione si trovano ad affrontare investimenti consistenti, spesso a proprie spese, per predisporre gli immobili idonei necessari ad accogliere l'organico del personale in servizio presso le sedi soppresse,

impegna il Governo

ad adoperarsi affinché l'onere di tale accorpamento non gravi [in misura eccessiva] sugli enti locali, non solo in termini finanziari di bilancio ma anche in termini di vincoli sul patto di stabilità interno, valutando anche la possibilità che, in assenza di un trasferimento diretto dello Stato, tali spese possano essere alleggerite almeno in termini di patto di stabilità.
9/2679-bis-A/304. Gribaudo, Amoddio.


      La Camera,
          premesso che:
              Il 4 agosto 2014, è entrato in vigore il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze n.  83473, che ha modificato progressivamente sin dal 1 gennaio 2014, e per il successivo biennio 2015-2016 la possibilità di accedere alla cassa integrazione ed alla mobilità in deroga, sino alla completa scomparsa di tali strumenti dal 1 gennaio 2017;
              tra le limitazioni introdotte dal nuovo decreto, particolare gravità riveste quella che riguarda la durata dei trattamenti per entrambi gli istituti, che ha comportato la quasi immediata fuoriuscita dal bacino dei beneficiari, sin dal 1 settembre 2014, e di seguito nei mesi successivi, di migliaia di lavoratori nella sola regione Sardegna, che registra indicatori economici di vera emergenza sociale;
              nella regione, risultano presentate ad oggi richieste di cigs in deroga che interessano quasi 2.500 imprese, per complessivi 14.485 lavoratori, mentre per quanto riguarda la mobilità in deroga, risultano presentate richieste che interessano complessivamente oltre 15000 lavoratori;
              attualmente, circa 400 lavoratori già beneficiari di ammortizzatori in deroga sono in utilizzo presso amministrazioni pubbliche (Comuni, Province, ASL, ONLUS), le quali beneficiano delle loro prestazioni lavorative a fronte della corresponsione di un sussidio straordinario erogato dalla Regione Sardegna, che verrà però a cessare al prossimo 31 dicembre 2014, lasciando gli stessi privi di ogni forma di sostegno del reddito;
              come si evidenzia dai dati summenzionati, c’è il consistente rischio che le nuove disposizioni determinino un aggravio della già grave crisi occupazionale per la Sardegna, territorio che registra tassi di disoccupazione superiore a quelli medi nazionali ed allarmanti per la tenuta economica e sociale,

impegna il Governo:

          a garantire il reperimento delle risorse finanziarie necessarie per l'integrale copertura del fabbisogno per gli ammortizzatori sociali in deroga per la Regione Sardegna, come descritti in premessa, e pari a duecento milioni di euro per l'anno 2014;
          ad individuare, in sede di applicazione del decreto Interministeriale del 1 agosto 2014, azioni che, in una fase transitoria e limitata, ne mitighino i dirompenti effetti negativi conseguenti alla perdita di ogni forma di sostegno del reddito;
          a definire, in sede di determinazione dei criteri per la quantificazione del 5 per cento di cui all'articolo 6, comma 3 del Decreto Interministeriale in questione, indicatori che, nel valutare in maniera appropriata la situazione di particolare gravità che si registra nella regione Sardegna, consentano lo stanziamento di almeno sei milioni di euro;
          ad adottare disposizioni analoghe a quelle a suo tempo previste nel decreto legislativo 1 dicembre 1997, n.  468 (articolo 12) in favore dei lavoratori già beneficiari di ammortizzatori sociali nella regione Sardegna ed attualmente in regime di utilizzo presso amministrazioni ed enti pubblici;
9/2679-bis-A/305. Cani, Marrocu, Mura, Giovanna Sanna, Pes.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 24, comma 11, della legge 214/2011 ha fatto salva la situazione dei «soggetti di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004 n.  243 e successive modificazioni e integrazioni»;
              la norma prevede che, in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2015, è possibile conseguire il diritto all'accesso al trattamento pensionistico di anzianità, in presenza di anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e di una età pari o superiore a 57 anni, per le lavoratrici dipendenti e a 58 anni per le lavoratrici autonome, nei confronti delle lavoratrici che optano per la liquidazione del trattamento secondo le regole di calcolo del sistema contributivo;
              entro il 31 dicembre 2015. Il Governo è chiamato a verificare i risultati della sperimentazione, al fine di valutare una sua eventuale prosecuzione;
              continuano a trovare applicazione sia la disciplina della decorrenza basata sulle finestre che le disposizioni in materia di adeguamento alla c.d. speranza di vita;
              l'INPS ha interpretato, a suo tempo, la disposizione di legge in esame, ritenendo che l'accesso al regime sperimentale presupponga che la decorrenza della pensione avvenga entro il 31 dicembre 2015;
              secondo l'INPS i previsti requisiti (età e anzianità contributiva) dovrebbero essere perfezionati non oltre il 2014 e, più precisamente, alla luce della richiamata interpretazione arbitraria dell'INPS, per le lavoratrici dipendenti private entro il 30/11/2014, per le lavoratrici dipendenti pubbliche entro il 30/12/2014 e per le lavoratrici autonome entro il 31/05/2014;
              interpretazione arbitraria e lesiva di quanto disposto dalla norma di legge;
              sull'argomento è stata approvata una risoluzione in data 5 dicembre 2013, dalla XI Commissione Permanente della Camera e analoga risoluzione è stata approvata dalla Commissione Lavoro del Senato. Poiché a tutt'oggi l'INPS non ha reso alcun chiarimento modificativo dell'interpretazione restrittiva a suo tempo emanata,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di un intervento per modificare l'interpretazione restrittiva della legge data dall'INPS, al fine di consentire il rispetto dello spirito della norma «opzione donna», prevedendo la possibilità di poter accedere all'opzione pensionistica avendo maturato i necessari requisiti di età e anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2015, indipendentemente dall'applicazione della finestra mobile di accesso e di valutare, entro il medesimo termine, la possibilità di prorogare il regime sperimentale di accesso al trattamento pensionistico per le donne lavoratrice.
9/2679-bis-A/306. Marrocu.


NOTA DI VARIAZIONI AL BILANCIO DI PREVISIONE DELLO STATO PER L'ANNO FINANZIARIO 2015 E PER IL TRIENNIO 2015-2017 (A.C. 2680-bis)

A.C. 2680-bis – Nota di variazioni

      La Nota comporta modifiche: ai quadri generali riassuntivi per il triennio 2015-2017 in termini di competenza e di cassa; ad alcuni articoli del disegno di legge di bilancio triennale; allo stato di previsione dell'entrata (Tabella n. 1) e a tutti gli stati di previsione della spesa dei Ministeri (Tabelle da 2 a 14); ai relativi allegati tecnici per capitoli.

      Per le suddette modifiche si veda lo stampato A.C. 2680-bis.

DISEGNO DI LEGGE: BILANCIO DI PREVISIONE DELLO STATO PER L'ANNO FINANZIARIO 2015 E BILANCIO PLURIENNALE PER IL TRIENNIO 2015-2017 (A.C. 2680-A)

A.C. 2680-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

      La Camera,
          premesso che:
              l'università italiana vanta una tradizione di formazione di talenti di primissimo livello, come conferma l'esperienza del successo che i nostri laureati ottengono quando si recano all'estero, dove riescono ad occupare posti prestigiosi proprio grazie alla loro serietà e competenza;
              l'eccellenza e il talento vanno però coltivati e rinnovati soprattutto in tempi di crisi economica e sociale, creando le opportunità necessarie per stimolare e favorire l'emergere delle persone più brillanti a prescindere dalle loro condizioni familiari;
              l'esigenza di competere su uno scenario internazionale e il bisogno di formazione delle élites ha indotto riforme importanti nei sistemi di istruzione superiore di molti Paesi europei ed extraeuropei, nello spirito di chi vuole implementare la società della conoscenza, come il Trattato di Lisbona prima e quello di Bologna poi ci raccomandano;
              in Italia, accanto ai tradizionali corsi di laurea, sono state intraprese iniziative di valorizzazione dell'eccellenza in ambito universitario mediante la creazione di percorsi destinati a giovani di talento, che senza discriminare nessuno offrono alle persone più motivate la possibilità di coltivare a tutto campo la loro personalità;
              in questo contesto vanno annoverati anche i collegi universitari di merito legalmente riconosciuti dai Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca, veri centri d'eccellenza di antica tradizione, ma dotati di un elevato coefficiente di innovazione; centri in cui ogni studente, sulla base del proprio merito personale, è messo nelle condizioni di sviluppare capacità e talenti che integrano quelli strettamente culturali, specificamente messi a disposizione dalle rispettive facoltà;
              collegi universitari di merito legalmente riconosciuti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, infatti, cercano di sviluppare le capacità individuali e relazionali di ogni studente mettendole quotidianamente a confronto con quelle dei colleghi in un rapporto di collaborazione che favorisce lo sviluppo delle competenze culturali interdisciplinari, li sollecita a partecipare a scambi internazionali con iniziative che hanno un alto potenziale scientifico, umano e sociale, attraverso le diverse forme di collaborazione che creano abiti idonei alla direzione e al coordinamento di iniziative;
              considerato quindi che la valorizzazione del merito e delle eccellenze deve essere uno degli obiettivi del nostro Paese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative utili per sostenere e valorizzare i collegi universitari di merito legalmente riconosciuti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e, in quest'ottica, ad assumere le opportune iniziative affinché i tagli recati al Programma «Diritto allo studio nell'istruzione universitaria» non gravino sul capitolo 1696 dello stato di previsione del Ministero dei collegi universitari di merito legalmente riconosciuti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
9/2680-A/1. Vignali, Binetti.


      La Camera,
          premesso che:
              l'università italiana vanta una tradizione di formazione di talenti di primissimo livello, come conferma l'esperienza del successo che i nostri laureati ottengono quando si recano all'estero, dove riescono ad occupare posti prestigiosi proprio grazie alla loro serietà e competenza;
              l'eccellenza e il talento vanno però coltivati e rinnovati soprattutto in tempi di crisi economica e sociale, creando le opportunità necessarie per stimolare e favorire l'emergere delle persone più brillanti a prescindere dalle loro condizioni familiari;
              l'esigenza di competere su uno scenario internazionale e il bisogno di formazione delle élites ha indotto riforme importanti nei sistemi di istruzione superiore di molti Paesi europei ed extraeuropei, nello spirito di chi vuole implementare la società della conoscenza, come il Trattato di Lisbona prima e quello di Bologna poi ci raccomandano;
              in Italia, accanto ai tradizionali corsi di laurea, sono state intraprese iniziative di valorizzazione dell'eccellenza in ambito universitario mediante la creazione di percorsi destinati a giovani di talento, che senza discriminare nessuno offrono alle persone più motivate la possibilità di coltivare a tutto campo la loro personalità;
              in questo contesto vanno annoverati anche i collegi universitari di merito legalmente riconosciuti dai Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca, veri centri d'eccellenza di antica tradizione, ma dotati di un elevato coefficiente di innovazione; centri in cui ogni studente, sulla base del proprio merito personale, è messo nelle condizioni di sviluppare capacità e talenti che integrano quelli strettamente culturali, specificamente messi a disposizione dalle rispettive facoltà;
              collegi universitari di merito legalmente riconosciuti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, infatti, cercano di sviluppare le capacità individuali e relazionali di ogni studente mettendole quotidianamente a confronto con quelle dei colleghi in un rapporto di collaborazione che favorisce lo sviluppo delle competenze culturali interdisciplinari, li sollecita a partecipare a scambi internazionali con iniziative che hanno un alto potenziale scientifico, umano e sociale, attraverso le diverse forme di collaborazione che creano abiti idonei alla direzione e al coordinamento di iniziative;
              considerato quindi che la valorizzazione del merito e delle eccellenze deve essere uno degli obiettivi del nostro Paese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative utili per sostenere e valorizzare i collegi universitari di merito legalmente riconosciuti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e, in quest'ottica, a valutare l'opportunità di assumere le opportune iniziative affinché i tagli recati al Programma «Diritto allo studio nell'istruzione universitaria» non gravino sul capitolo 1696 dello stato di previsione del Ministero dei collegi universitari di merito legalmente riconosciuti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
9/2680-A/1.    (Testo modificato nel corso della seduta) Vignali, Binetti.


      La Camera,
          premesso che:
              nel corso dell'esame in sede referente sono state aumentate di 3,5 milioni di euro le risorse per il programma «Promozione e garanzia dei diritti e delle pari opportunità»,

impegna il Governo

a iscrivere le predette risorse nel cap. 2108 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze.
9/2680-A/2. Roberta Agostini, Antezza, Amoddio.