XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 19 dicembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


      Le Commissioni I e IV,
          premesso che:
              nel 1917 (decreto luogotenenziale n.  357 del 25 febbraio 1917) 12.000 caporali e soldati di tutte le Armi e Corpi vennero assunti con la denominazione di «carabinieri ausiliari», necessari a coprire le necessità dell'Arma durante il periodo di guerra in essere;
          nel 1945 (decreto legislativo luogotenenziale n.  857 del 9 novembre 1945) venne disposto il reclutamento «volontario» di carabinieri ausiliari, per la ferma di leva di 18 mesi tra i giovani appartenenti alla classe chiamata alle armi. Con esplicito richiamo al suddetto decreto, la successiva legge 18 febbraio 1963 mantenne l'arruolamento di giovani aspiranti a compiere la ferma di leva nell'Arma dei carabinieri stabilendo che essi, dopo avere frequentato con esito positivo un corso d'istruzione di tre mesi presso le legioni allievi, godessero dei trattamento economico previsto per i carabinieri effettivi (lire 50.000);
              la legge 11 febbraio 1970, n.  56, aggiunse alla condizione preesistente di arruolamento dei carabinieri ausiliari nei limiti delle vacanze nei quadri organici, quella «dei limiti dei posti disponibili nel contingente determinato annualmente con legge di bilancio»;
              in seguito alla sospensione del servizio di leva con la legge n.  226 del 2004 con il giuramento del 21 gennaio 2005 alla scuola di Fossano, e del successivo 28 gennaio in quella di Benevento, sono terminati i corsi dei carabinieri ausiliari;
              ai sensi del primo comma dell'articolo 16 della legge 23 agosto 2004, n.  226, il reclutamento del personale nelle carriere iniziali delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare, è riservato ai volontari di Esercito, Marina e Aeronautica in ferma prefissata di un anno (ovvero in rafferma annuale) in servizio o in congedo. Invece un militare congedatosi senza demerito dopo avere prestato servizio per un anno presso la stessa Arma dei carabinieri, non può partecipare ai concorsi banditi da quest'ultima;
              tale disparità di trattamento derivante direttamente dalla legge 23 agosto 2004, n.  226, risulta per i firmatari del presente atto irragionevole ed illogica onde risulta costituzionalmente di dubbia legittimità in riferimento all'articolo 3 della Costituzione;
              la legge n.  226 del 2004 come è noto, è ispirata della volontà di snellire i ranghi delle forze armate e al contempo, di professionalizzare il relativo personale attingendolo esclusivamente dai volontari e non più dagli ascritti alla leva obbligatoria;
              in quest'ottica è stato ragionevole e congruo sospendere la leva militare obbligatoria, ma non certo discriminare coloro che frattanto hanno svolto servizio ausiliario nell'Arma dei carabinieri e che, in base alla precedente normativa, avrebbero avuto titolo per aspirare al reclutamento dei carabinieri in servizio permanente effettivo;
              considerata alla luce dei valori costituzionali coinvolti, la ponderazione degli interessi compiuta dal legislatore con le disposizioni impugnate, e ora descritta, si rivela a giudizio dei firmatari del presente atto palesemente irragionevole in quanto comporta un bilanciamento dei valori arbitrariamente differenziato e contrastante con quello presupposto dalla Costituzione, all'articolo 3, riguardo al divieto di discriminazione e al principio di uguaglianza;
              in data 11 febbraio 2014 è stata assegnata alle Commissioni I e IV della Camera dei deputati la petizione n.  521 presentata dal signor Simone Donazio in qualità di portavoce nazionale del comitato carabinieri ausiliari con la quale si chiede di poter equiparare coloro che hanno svolto il servizio sostitutivo di leva in qualità di ausiliari nelle Forze di polizia a coloro che hanno svolto il medesimo servizio nelle Forze armate;
              in data 13 ottobre 2014 è stata assegnata in Commissione IV della Camera dei deputati la petizione n.  751 presentata dal signor Maurizio Taccola con la quale si chiede l'immissione in servizio del personale ausiliario delle Forze armate risultato idoneo alla ferma quadriennale, ma non prescelto;
              in passato sono già state presentate diverse interrogazioni parlamentari, mozioni ed emendamenti da diversi schieramenti politici con l'intenzione di rivendicare quanto denunciato dai carabinieri ausiliari in congedo, pur senza mai aver ottenuto riconoscimenti di nessun tipo in termini di equiparazione giuridica ed in palese contrasto con quanto previsto, a suo tempo, per il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco con l'articolo 6 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n.  139, e in deroga alla vigente normativa;

impegna il Governo:

          ad attivarsi immediatamente per dare possibilità agli uomini e alle donne che hanno servito la patria di aver riconosciuto quanto segue:
              a) accesso immediato al programma S.I.L.D. (sistema informativo lavoro difesa);
              b) riserve nella partecipazione a concorsi pubblici;
              c) reinserimento dei volontari delle, Forze armate congedati senza demerito nel mondo del lavoro, prevedendo la loro partecipazione anche in corsi di formazione e apprendistato;
              d) riconoscimento, secondo quanto previsto dal C.O.M., ai volontari di truppa congedati senza demerito dei titoli e requisiti minimi professionali e di formazione di cui all'articolo n.  138 del regio decreto 18 giugno 31, n.  773, e successive modifiche, per l'idoneità a guardia particolare giurata e per l'iscrizione all'albo prefettizio, di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale 6 ottobre 2009 del Ministero dell'interno.
(7-00551) «Rizzo, Cozzolino, Corda, Frusone, Paolo Bernini, Tofalo».


      Le Commissioni I e IV,
          premesso che:
              la normativa dell'Unione europea evidenzia il principio di parità di trattamento a tutela del cittadino europeo contro ogni forma di discriminazione fondata sul sesso, sulla razza, sulla religione, sull'età, sulla disabilità e sull'orientamento sessuale. Pertanto, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta che riguardi le scelte religiose, le convinzioni personali, l'età, la disabilità o l'orientamento sessuale;
              il Trattato di Amsterdam, introducendo l'articolo 13 al Trattato istitutivo della Comunità europea, ha infatti conferito al Consiglio il potere di adottare ”i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali;
              la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Capo III, articolo 20 recita: «Tutte le persone sono uguali davanti alla legge», sottolineando il diritto di uguaglianza di fronte alla legge; l'articolo 21 recita: «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, sulla razza, sul colore della pelle, sull'origine etnica o sociale, sulle caratteristiche genetiche, sulla lingua, sulla religione o sulle convinzioni personali, sulle opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, sull'appartenenza ad una minoranza nazionale, sul patrimonio, sulla nascita, sugli handicap, sull'età o sulle tendenze sessuali», evidenziando il divieto di qualsiasi forma di discriminazione, compresa l'età;
              l'obiettivo della direttiva 2000/43/CE è quello di favorire la partecipazione di tutte le persone alla società democratica a prescindere dalla razza o dall'origine etnica, attraverso azioni che rendano effettivo il principio della parità di trattamento nell'ambito dell'attività di lavoro dipendente o autonomo, come anche in altri ambiti quali l'istruzione, la protezione sociale, la sicurezza sociale, l'assistenza sanitaria, le prestazioni sociali, l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura;
              la direttiva europea 2000/43/CE – nozione di discriminazione (articolo 2) recita: «Si ha una discriminazione diretta quando una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe stata trattata un'altra in una situazione analoga a causa della sua razza od origine etnica. Si ha una discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere persone di una determinata razza o di origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone a meno che non siano giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari»;
              l'articolo 3 della Costituzione recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
              l'individuazione ed il ruolo sistematico del principio di uguaglianza trova determinazione nell'articolo 3 e si configura in un'interpretazione unitaria e sistematica del precetto costituzionale. Infatti, tutto ciò comporta che l'articolo rappresenti oggetto di considerazione unitaria da parte dell'interprete, evidenziando l'uguaglianza formale e l'uguaglianza sostanziale. Pertanto, il significato dell'uguaglianza costituzionale trova il proprio luogo interpretativo alla stregua dell'interconnessione sistematica dei princìpi che strutturano l'ordine costituzionale;
              la Corte di giustizia dell'Unione europea con la sentenza del 13 novembre 2014 sulla causa C-416/13 che ha visto contrapposto un cittadino spagnolo al municipio di Oviedo interviene sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, che devono essere interpretate nel senso che ostano ad una normativa nazionale che fissa a 30 anni l'età massima per l'assunzione degli agenti della polizia locale,

impegnano il Governo:

          ad assumere iniziative normative per:
              modificare il 6o comma dell'articolo 3 della legge 15 maggio 1997, n.  127, prevedendo che la partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non sia soggetta ai limiti di età senza alcuna deroga;
              abrogare l'articolo 703 della sezione III del decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66;
              abrogare gli articoli 2199-2200-2201 della sezione IV personale militare, parte I reclutamento.
(7-00552) «Rizzo, Cozzolino, Frusone, Paolo Bernini, Tofalo».


      La VI Commissione,
          premesso che:
              l'articolo 26 del decreto-legge n.  91 del 2014 interviene retroattivamente sugli incentivi in favore degli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile fotovoltaica;
              tali interventi introducono tre opzioni di riduzione dei suddetti incentivi, a scelta dei produttori di energia fotovoltaica;
              tutte le opzioni mettono a serio rischio di default migliaia di piccole imprese italiane che hanno investito in tale settore;
              per mitigare il devastante effetto derivante dai minori introiti e dalla conseguente sensibile riduzione delle liquidità di cassa per le migliaia di piccole aziende colpite dalla riduzione degli incentivi, il legislatore ha previsto quale misura compensativa, all'articolo 26, comma 5, del decreto – legge n.  91 del 2014, la possibilità di accedere al credito, per un importo pari al mancato flusso nei restanti anni di incentivazione degli impianti, con garanzia emessa dalla Cassa depositi e prestiti, le cui modalità di accesso sarebbero state stabilite con successivo decreto del Ministero dell'economia e delle finanze;
              al fine di mitigare l'effetto derivante dai minori introiti e della conseguente riduzione della liquidità di cassa, con ordine del giorno numero n.  9/2568-AR/180 del 6 agosto 2014, la Camera dei deputati ha impegnato il Governo a intervenire presso il sistema creditizio al fine di ottenere l'allungamento della durata del finanziamento (finanziamenti bancari, mutui e/o leasing) per tutte le aziende interessate dal predetto articolo 26, in misura pari al periodo di prolungamento di erogazione degli incentivi previsti dal citato decreto-legge n.  91;
              il numero di aziende cospicue che operano nel settore, lamentano l'impossibilità di accedere al credito con tutti gli operatori bancari, pur in presenza di merito creditizio, per policy dei vari istituti, preoccupati delle conseguenze del succitato decreto, con conseguente rischio di perdita di migliaia di posti di lavoro e il rischio di default di migliaia di programmi di investimento con impianti già realizzati in full equity e/o con dilazioni di pagamento dei fornitori in vista di finanziamenti di scopo, all'epoca della realizzazione deliberati ma non perfezionati in attesa della connessione alla rete;
              per policy aziendale i principali istituti di credito, quali ad esempio Intesa San Paolo, non hanno concesso alle aziende operanti nel settore «fotovoltaico» la moratoria già in essere a seguito del protocollo di intesa, datato 1° luglio 2013, tra l'Associazione bancaria italiana (ABI) e le associazioni dei rappresentanti delle piccole e medie imprese, che concedeva a tutte le aziende sane, senza discriminazione alcuna, di richiedere, visto il perdurare della crisi economica e al fine di rimettere in moto l'economia attraverso liquidità di cassa da destinare a nuovi investimenti, la possibilità di usufruire alternativamente di due opzioni: 1) il congelamento della quota capitale prevista nei canoni di leasing immobiliare e mobiliare per dodici mesi; ovvero, 2) il prolungamento della durata dei mutui rispetto al precedente accordo (3 anni per i mutui chirografari, 4 per quelli ipotecari);
              il Ministero dello sviluppo economico ha emanato il decreto attuativo di una delle tre opzioni (specificatamente l'opzione «b») con un grave ritardo di 23 giorni, che ha reso di fatto impossibile una scelta seria e consapevole da parte dei produttori;
              il Ministero dell'economia e delle finanze sta accumulando un grave ritardo nell'emanazione del decreto di natura non regolamentare previsto dal predetto comma 5 dell'articolo 26 del decreto-legge n.  91 del 2014, che dovrebbe disciplinare i criteri e le modalità di accesso ai finanziamenti bancari garantiti dalla Cassa depositi e prestiti, che consentirebbero agli operatori di mitigare, almeno in parte, gli effetti negativi dei tagli previsti dalla norma;
              si ritiene opportuno impedire che le aziende del settore possano diventare insolventi a seguito della diminuzione dell'incentivo annuo, a cui purtroppo non potrà corrispondere un'equivalente riduzione della rata del finanziamento a loro carico e degli altri costi operativi;
              il sistema creditizio può senza problemi allungare la durata dei finanziamenti (finanziamenti bancari, mutui e/o leasing), così come già sperimentato con gli accordi precedenti tra l'ABI e le organizzazioni imprenditoriali o comunque trovare, in collaborazione con i produttori, soluzioni senza aggravi di costo (spread o waiver fee),

impegna il Governo:

          a) a emanare un decreto in cui vengano definite le modalità di accesso alla garanzia della Cassa depositi e prestiti prevista dal predetto articolo 26, comma 5, del decreto legge n.  91 del 2014;
          b) ad intervenire presso il sistema creditizio come già previsto, convocando un tavolo tecnico con l'ABI, al fine di:
              1) ottenere il prolungamento, attraverso una nuova moratoria, della durata dei finanziamenti bancari, mutui e/o in leasing per tutte le aziende interessate dal predetto articolo 26, in misura non inferiore al periodo di prolungamento di erogazione degli incentivi previsti dal decreto nel caso di scelta dell'opzione a) e in misura congrua a impedire il default delle iniziative e comunque non inferiore al periodo massimo concesso per i mutui fondiari, pari a 4 anni, dalla moratoria negoziata con protocollo di intesa datato 1° luglio 2013 tra l'ABI e le associazioni dei rappresentanti delle piccole e medie imprese, indipendentemente dalla forma tecnica del finanziamento stesso (mutuo, leasing);
          ad assumere le iniziative di competenza attraverso un accordo con l'ABI per assicurare un monitoraggio relativo a tali operazioni in modo che sia prevista in tale accordo la possibilità di:
              a) segnalare gli istituti bancari che, in presenza di merito creditizio, si rifiutino in modo discriminatorio di concedere la moratoria già in essere a operatori del settore, prorogando di 12 mesi i termini per la richiesta di accesso ai benefici della stessa moratoria;
              b) segnalare gli istituti bancari che, in presenza di merito creditizio, si rifiutino di finanziare impianti già connessi in rete o da connettere, in modo discriminatorio nei confronti degli operatori del settore della green economy;
              c) segnalare gli istituti bancari che, in presenza di merito creditizio, si rifiutino di finanziare altri programmi di investimento in modo discriminatorio nei confronti di operatori del settore della green economy, perché ritenuti comunque «soggetti a rischio», fornendo di contro garanzie del Governo di impegno e salvaguardia sul settore delle imprese operanti delle iniziative a regime e di quelle in corso e dei posti di lavoro connessi.
(7-00553) «Pagano».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      VALLASCAS, FANTINATI, ROSTELLATO, RIZZETTO e BENEDETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il 17 dicembre 2014, l'Agenzia per l'Italia Digitale ha annunciato la graduale chiusura del servizio di posta certificata Cec PAC (comunicazione elettronica certificata tra pubblica amministrazione e cittadino); servizio istituito con il decreto-legge 28 novembre 2008, n.  185, poi regolamentato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 maggio 2009 recaste «Disposizioni in materia di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini»;
          rispetto alla posta elettronica certificata, già operativa, il nuovo servizio era circoscritto alle comunicazioni digitali tra cittadino e pubblica amministrazione;
          una condizione che ha fortemente limitato l'utilità del servizio e la sua diffusione tra i cittadini, nonostante l'accesso fosse gratuito per coloro che ne avessero fatto richiesta;
          secondo gli obiettivi iniziali, il servizio avrebbe dovuto registrare circa 2 milioni di attivazioni entro il 2010, dati che sono stati fortemente ridimensionati nel corso degli anni di operatività del servizio;
          a tutt'oggi, infatti risultano 2,1 milioni di pre-attivazioni on-line, e solo 1,2 milioni di caselle attivate dai cittadini presso gli uffici postali;
          a ridimensionare ulteriormente le aspettative iniziali sono i dati sull'effettivo utilizzo del servizio: secondo l'Agenzia per l'Italia Digitale, 1'82 per cento delle caselle attivate non è stata mai utilizzata;
          l'esiguità dei numeri riferiti dall'Agenzia per l'Italia Digitale delineano un vero e proprio fallimento del servizio che, nonostante dati iniziali negativi, ha continuato ad operare per quattro anni, sovrapponendosi a un servizio analogo, peraltro dotato di maggiori funzionalità, con costi ingenti per la collettività;
          il procedimento di sospensione del servizio, iniziato il 18 dicembre 2014, terminerà 18 marzo 2018 con la possibilità offerta agli utenti della Cec PAC di richiedere una casella PEC gratuita per un anno;
          l'Agenzia per l'Italia Digitale, nel comunicare la notizia della sospensione graduale del servizio, ha annunciato un risparmio di circa 19 milioni di euro, risorse che saranno impiegate per lo sviluppo e il potenziamento del digitale, ma non ha esplicitato i costi sostenuti per l'attivazione del servizio, per la sua gestione e per la sua chiusura che prevede, tra l'altro, la migrazione delle utenze verso la Pec;
          sembrerebbe che la chiusura della Cec PAC inauguri un processo di cancellazione di tutti quei progetti digitali che si sono rivelati fallimentari o eccessivamente onerosi rispetto ai risultati ottenuti  –:
          se non ritenga opportuno verificare l'ammontare complessivo delle risorse finanziarie impiegate nel processo di attivazione, gestione quadriennale e, sospensione progressiva sino al 2018 della comunicazione elettronica certificata tra pubblica amministrazione e cittadino;
          se non intenda opportuno verificare in base a quali previsioni, studi e simulazioni sia stato avviato il servizio di Cec PAC;
          quali siano gli indicatori in base ai quali è stato mantenuto in funzionante un servizio che si è rivelato da subito inutile e fallimentare con altissimi costi per la collettività;
          se non ritenga opportuno verificare se vi siano delle responsabilità nella ritardata sospensione di un servizio che, considerati i dati di gestione, si sarebbe dovuto chiudere in tempi in tempi più brevi al fine di evitare un inutile sperpero di risorse pubbliche;
          se vi sia la previsione di chiudere o sospendere altri progetti digitali che si siano rivelati fallimentari o troppo costosi in relazione alla loro utilità. (5-04337)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CARFAGNA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          secondo recenti notizie di stampa il dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio non ha rinnovato il finanziamento biennale al progetto pilota SACRAI, servizio di assistenza, cura e ricerca sull'abuso all'infanzia, operante presso l'istituto di neuropsichiatria infantile dell'università La Sapienza di Roma, sito in via dei Sabelli. Il finanziamento, dell'ammontare complessivo di circa centomila euro, non viene erogato da giugno scorso e da allora i medici e gli infermieri starebbero lavorando gratis pur di non interrompere le terapie a favore dei minori abusati non abbienti. Ma a fine anno, in assenza di rifinanziamento pubblico il servizio dovrà chiudere i battenti e lasciare liberi i locali dell'università;
          l'ateneo romano avrebbe concesso una proroga a titolo gratuito al personale con la possibilità di proseguire il servizio ma solo fino al 31 dicembre 2014, cioè quando scadrà anche la copertura assicurativa sanitaria, senza la quale non si può erogare alcun servizio. Terapie a rischio per almeno venti minori abusati o autori di abusi a Roma. A cui vanno aggiunti altri minori, vittime di abusi sessuali e maltrattamenti che, statistiche di questi due anni alla mano, non potranno più usufruire del servizio di assistenza cura e ricerca sull'abuso all'infanzia del progetto che opera dal novembre 2012 e che nei suoi 18 mesi di attività ha ricevuto richieste di assistenza a minori di gran lunga superiori a quanto previsto: circa 51 segnalazioni pervenute contro le 30 prospettate;
          sono stati svolti 46 incontri di consulenza agli operatori dei servizi territoriali sui casi di sospetto abuso sessuale e maltrattamento, 25 supervisioni ai servizi sanitari ed ai municipi mediante incontri sul singolo caso, 40 valutazioni psicodiagnostiche, 20 prese in carico psicoterapeutiche di minori (vittime e autori), valutazioni/monitoraggi per conto del tribunale minorile e ordinario, consulenze legali e incontri con la magistratura (ordinaria e minorile), due convegni di rilevanza nazionale sui temi degli abusi e del trauma, attività di ricerca sui minori autori di reati sessuali  –:
          se il Presidente del Consiglio sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative intenda avviare per non permettere che venga sospeso il servizio di assistenza, cura e ricerca sull'abuso dei minori presso l'istituto di neuropsichiatria infantile dell'università La Sapienza di Roma. (4-07344)


      CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la città di Salerno ha vissuto e affrontato la camorra e continua a combatterla ogni giorno grazie al lavoro instancabile di magistrati e forze dell'ordine, ma sarebbe un grave errore pensare di poter abbassare la guardia, perché l'allarme criminalità resta alto;
          destano, in particolare, preoccupazione diversi episodi succedutisi negli ultimi anni, da ultimo, ma solo in ordine temporale, i gravi «disordini» avvenuti in occasione della processione di San Matteo, patrono di Salerno, lo scorso 21 settembre e oggetto di sindacato ispettivo n.  4-06305 a firma dell'interrogante;
          il clima era apparso teso già alla vigilia, quando la Curia salernitana aveva comunicato di volersi uniformare alle indicazioni della Conferenza episcopale, dettate dalla volontà di evitare omaggi alle case dei boss come accaduto in Calabria, vietando «gli inchini», le soste, in particolare, nell'atrio del Comune e le «girate» delle statue dei santi patroni;
          da qui la rivolta dei portatori che hanno ritardato l'inizio del corteo e disatteso le direttive del presule compiendo «inchini» e «giravolte» lungo tutto il percorso della processione, durante la quale il vescovo è stato oggetto di fischi e insulti;
          la vicenda è finita sotto la lente di ingrandimento della procura di Salerno, secondo cui alcune giravolte e inchini sarebbero stati omaggi a camorristi uccisi del clan Grimaldi;
          lo strappo finale, però, si è consumato dinanzi al comune di Salerno quando le statue sono entrate a Palazzo di Città contravvenendo alla disposizione dell'arcivescovo e, in particolare, perplessità e profili di responsabilità a carico dell'amministrazione desta la circostanza, riportata su diversi organi di stampa che «Il portone di Palazzo di Città, chiuso fino a quel momento, è stato aperto alle 20.15 proprio in concomitanza con l'arrivo della processione.»;
          desta preoccupazione, poi, l'inchiesta sulle attività criminali di un'organizzazione di stampo camorristico in città e rivelatrici, in primis, di possibili «agganci» nel settore delle municipalizzate, su cui troppo poco si è detto e fatto;
          nell'ambito di tale inchiesta, al centro delle quali ci sarebbero le società comunali in cui lavorerebbero i parenti di alcuni degli indagati, le intercettazioni su tale Salvatore Del Giorno, sospettato di stare riorganizzando un clan dedito alla droga e alle estorsioni, lascerebbero pensare a promesse che qualcuno, all'interno delle istituzioni locali, non avrebbe mantenuto;
          l'indagine condotta dalla direzione distrettuale antimafia è partita da una testa di maiale con un limone in bocca collocata un anno fa sulla cassetta postale del sindaco Vincenzo De Luca e interpretato quale «atto intimidatorio deciso da un'organizzazione di stampo camorristico, conseguenza – forse – di promesse non mantenute»;
          tutto il materiale di indagine è stato inserito nel fascicolo che il sostituto procuratore Vincenzo Montemurro ha aperto agli inizi dell'anno sul Pd locale, sul sistema delle municipalizzate e sui presunti brogli denunciati alle primarie del 16 febbraio 2014;
          l'ipotesi investigativa, infatti, ha allungato l'ombra della camorra sulla campagna tesseramento 2012 in provincia di Salerno e sulle primarie del Pd, con il coinvolgimento di personaggi contigui ai clan nella lotta tra correnti per conquistare il maggior numero di iscritti e, quindi, la quota massima di potere all'interno del partito e delle istituzioni locali;
          dopo aver ascoltato politici, dirigenti di partito e militanti, le recenti dichiarazioni di Enrico Esposito avrebbero portato l'indagine a una svolta decisiva: ex consigliere comunale del PD deluchiano di Nocera Inferiore e imprenditore della Esa costruzioni, la società che stava realizzando in subappalto i lavori di Piazza della Libertà, poi raggiunta da un'interdittiva antimafia, avrebbe infatti dichiarato «Non sono un burattinaio, direi piuttosto un burattino», ridimensionando il suo ruolo nello scacchiere provinciale, che rimane caratterizzato da un pericoloso intreccio tra politica e malaffare;
          la stessa società Esa costruzioni è nel mirino di una delicata indagine della procura di Salerno per i reati di truffa e smaltimento illecito di rifiuti, collegata a un'altra inchiesta avviata nel 2010 per il crac del pastificio Amato, posto che la società edile è la stessa che si aggiudicò l'appalto per demolire l'opificio di cui oggi resta solo uno scheletro di cemento;
          la nuova inchiesta, in particolare, si concentra sul presunto smaltimento in discariche abusive dei materiali di scavo di piazza della Libertà e per l'interramento, nel cantiere della piazza, di detriti provenienti dalla demolizione del centenario pastificio;
          già nel 2009, in una lettera aperta al presidente Napolitano sui rischi di infiltrazione camorristica negli appalti pubblici della provincia di Salerno, Fausto Morrone, nella sua veste di segretario provinciale della Cgil e di consigliere comunale, scriveva: «Quasi in ogni cantiere di opere pubbliche del capoluogo, inspiegabilmente, ci sono presenze non chiare o, addirittura, eccessivamente esplicite in quanto a collusioni con la camorra. [...] Ad oggi, l'Amministrazione Comunale non è riuscita a concludere nessuna delle grandi opere avviate oltre un decennio fa, proprio a causa di aggiudicazioni problematiche e per l'aver coinvolto, nella realizzazione delle medesime, il fior fiore dei faccendieri.»;
          come si legge in un interessante articolo a firma di Adriana Stazio di marzo 2010, in questo clima di totale inerzia nei confronti della prevenzione delle infiltrazioni camorriste «è capitato» poi che siano stati assunti nelle società miste del comune di Salerno personaggi imparentati con noti camorristi, come Ciro D'Agostino, figlio del boss, assunto il 9 maggio 2004 alla Salerno Sistemi; oppure è sempre capitato che siano stati concessi alloggi popolari a un noto esponente dello stesso clan, condannato poi per l'attentato all'assessore alle politiche sociali e all'emergenza abitativa, l'avvocato Rosa Masullo, rea di avergli revocato l'alloggio;
          una battaglia difficile, una guerra contro la prepotenza, l'indifferenza, le complicità; alla fine, la casa viene liberata e la Masullo riceve un pacco dono: cinque chili di esplosivo davanti alla porta del suo studio;
          come denunciato dalla stessa vittima e oggetto dell'interrogazione parlamentare n.  4-10876 a firma dell'on.  Pepe, in quella stessa circostanza, in maniera quantomeno equivoca, il sindaco De Luca non ritenne opportuno far costituire parte civile l'amministrazione comunale di Salerno e, come se ciò non bastasse, il nuovo assessore, succeduto nella delega all'avvocato Masullo, riassegnò proprio al medesimo delinquente l'alloggio precedentemente revocato;
          nel 2011 Morrone tornava a scrivere, in maniera eloquente: «Per molti anni, io insieme ad altri, abbiamo disvelato e denunciato reiterate infiltrazioni di aziende legate alla camorra negli appalti pubblici della città di Salerno. Mai siamo stati smentiti, molte volte alle nostre denunce sono seguite le interdittive antimafia, gli arresti e la sospensione degli appalti. Mai ho ascoltato una riflessione autocritica o critica, su questa delicata materia, nei confronti dell'amministrazione che governa il Comune da vent'anni. Alla luce della recente e ulteriore interdittiva antimafia che ha colpito alcune imprese che operano nel cantiere di via Leucosia, mi sembra opportuno e mi preme sottolineare ai più distratti la massa rilevantissima di infiltrazioni riscontrata in importanti appalti pubblici in città in questi anni: IN.CA. (Lungoirno); EDREVEA (parcheggio ex cementificio); Delfino (Palasalerno); Campania Appalti (termovalorizzatore); ESA Costruzioni Generali (Piazza della Libertà); Cenn e Acqua Mar (barriera marina via Leucosia); Citarella (parcheggi via Camillo Sorgenti); Daneco (impianto di compostaggio). Come si può notare l'elenco delle infiltrazioni è sostanzioso e sistematico e riguarda quasi tutte le grandi opere pubbliche appaltate dal Comune di Salerno. Considerando che tutte le infiltrazioni sono venute alla luce dopo la cantierizzazione dei relativi appalti, se ne ricava che l'economia camorristica ha avuto modo, comunque, di drenare ingenti risorse pubbliche. Se ne ricava, altresì, che si è di fronte a un ente appaltante con una debolezza penetrativa angosciante. La domanda che mi pongo è la seguente: è normale, è logico, è credibile attribuire il tutto alla incapacità di un ente di saper tutelare se stesso e le risorse pubbliche? Se la risposta è sì, almeno si doti questo Comune di un'assistenza tecnica dello Stato che possa prevenire l'alimentazione ulteriore della suddetta lista di infiltrazioni.»;
          altri gravi episodi sono stati oggetto di attenzione da parte della magistratura, quali la rissa al congresso giovanile del Pd e l'aggressione alla candidata regionale Antonella Buono;
          quanto alla prima vicenda, risalente al luglio 2009, è la storia di uno dei più brutti episodi della storia recente di Salerno: non si è trattata di una semplice rissa tra giovani, ma di un assalto di decine di adulti, arrivati sul posto con auto di servizio di una società mista del comune, indossando ancora indumenti da lavoro con la scritta «Salerno pulita» e a dirigere le operazioni sarebbe stato, come riportato da Isaia Sales in un articolo su Repubblica del 21 luglio 2009, un consigliere comunale del Pd, padre della ragazza la cui elezione a segretario provinciale era stata annullata dall'organismo nazionale dei giovani Pd;
          nonostante ad oggi non si conoscano ancora i mandanti dell'aggressione, né perché una quarantina di persone, che in seguito si è appurato non essere iscritti ai Giovani democratici e nemmeno al Pd, siano andati a manifestare sotto la sede di un congresso politico noto solo agli addetti ai lavori, quattordici sono stati i rinviati a giudizio per «attentato ai diritti politici», molti dei quali «curiosamente» assunti nelle municipalizzate del comune di Salerno, alcuni persino nei mesi successivi agli scontri;
          i pestaggi e le aggressioni, oltre a rappresentare manifestazione di inaudita violenza, si connotano di un ulteriore allarmante profilo, rappresentato dalla appartenenza degli aggressori, o almeno di taluni di essi, ad organizzazioni camorristiche, come denunciato da uno degli aggressori e come le minacce rivolte ai giovani partecipanti al congresso e al giornalista de Il Mattino, Fulvio Scarlata, dimostrano;
          altra indagine della Digos è quella sulla violenta aggressione ai danni della candidata Adc al consiglio regionale della Campania, Antonella Buono, picchiata e minacciata durante la campagna elettorale a Salerno sempre in occasione delle elezioni 2010;
          un grave episodio che ha gettato ancora una volta un'inquietante ombra sulle elezioni e che si aggiunge all'allarme lanciato in quei giorni sul fenomeno della vendita del voto;
          secondo le testimonianze rilasciate dalla stessa vittima «i nostri aggressori dopo averci minacciato di morte si sono dileguati a piedi e poi hanno raggiunto una vettura poco distante. Si tratta di attacchini che hanno urlato contro di noi minacce di morte ed hanno affisso manifesti di De Luca sui miei»;
          come si legge in un interrogazione presentata nella XVI legislatura (4-10876) a discapito del suo delicato ruolo istituzionale, il sindaco Vincenzo De Luca, non avrebbe «mai condannato in modo assoluto e incondizionato ogni forma di criminalità organizzata, ma al contrario avrebbe esternato una equivoca simpatia e perfino connivenza con i delinquenti locali»;
          ancor meno si è detto dei coinvolgimenti penali in processi di camorra di alcuni degli uomini vicini al sindaco, né di quel dicembre 2005 in cui il comune di Salerno arrivò vicino allo scioglimento per infiltrazioni camorristiche;
          è sotto gli occhi di tutti l'enormità degli scandali dell'Expo di Milano, del Mose di Venezia e, da ultimo, solo in ordine temporale, di «Mafia Capitale» che hanno svelato come la delinquenza nel nostro Paese spesso faccia sistema con la politica e le istituzioni e a cui, puntuale come sempre, è seguita l'indignazione delle istituzioni;
          almeno per una volta si vorrebbe evitare lo scoppio di un altro caso annunciato, come quello che potrebbe travolgere la città di Salerno, magari non oggi, ma tra qualche anno, a cui seguirebbe una tardiva indignazione, a comando, delle istituzioni  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non si ritenga opportuno, se non necessario, valutare se sussistano i presupposti per l'invio di una commissione di accesso ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo n.  267 del 2000 per verificare la corretta gestione dell'amministrazione ed escludere l'infiltrazione camorristica all'interno della stessa. (4-07369)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


      MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, DI BENEDETTO, DI VITA, D'UVA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          con la direttiva n.  2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento) sono state introdotte diverse modifiche alle precedenti direttive in materia che dovevano essere recepite nei diversi ordinamenti nazionali entro il 7 gennaio 2013;
          l'Italia ha recepito detta direttiva – ben oltre la scadenza prefissata – dapprima con l'approvazione dei principi e dei criteri direttivi specifici per il recepimento, con l'articolo 3 della legge n.  96 del 6 agosto 2013 e con la successiva adozione del decreto legislativo 4 marzo 2014, n.  46, entrato in vigore l'11 aprile 2014;
          con il decreto legislativo n.  46 del 2014, tra le altre cose, è stato sostanzialmente riscritto il titolo III della parte II del decreto legislativo n.  152 del 2006 che disciplina l'autorizzazione integrata ambientale;
          alcune delle novità più rilevanti introdotte dal decreto legislativo n.  46 del 2014 tengono conto della necessità di aumentare gli strumenti idonei a valutare complessivamente l'incidenza degli impatti che le installazioni, nelle quali si svolgono una o più attività elencate all'allegato VIII alla parte seconda del decreto legislativo n.  152 del 2006 hanno rispetto al sito nel quale sono localizzate;
          a questo scopo, è stato aggiornato l'elenco della documentazione che il gestore deve produrre al momento della presentazione della domanda di autorizzazione, includendo la cosiddetta relazione di riferimento che, stando alla definizione stabilita dal novellato articolo 5 del decreto legislativo n.  152 del 2006, contiene informazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque sotterranee, con riferimento alla presenza di sostanze pericolose pertinenti, grazie alle quali è possibile effettuare una comparazione dello stato del sito prima dell'avvio dell'attività, durante l'esercizio e al momento della cessazione della stessa attività;
          al fine di assicurare quanto riportato nel punto precedente, in base all'articolo 29-sexies, comma 9-quinquies del decreto legislativo n.  152 del 2006, il gestore ha l'obbligo di trasmettere all'autorità competente – per la validazione – la relazione di riferimento prima della messa in servizio della nuova installazione o prima dell'aggiornamento dell'autorizzazione rilasciata per l'installazione esistente, quando l'attività comporta l'utilizzo, la produzione o lo scarico di sostanze pericolose;
          con la medesima finalità, l'autorità competente, al momento della cessazione dell'attività, deve valutare lo stato di contaminazione del suolo e delle acque sotterranee da parte di sostanze pericolose pertinenti usate, prodotte o rilasciate dall'installazione obbligando, se necessario, il gestore a rimediare all'eventuale inquinamento significativo del suolo e delle acque sotterranee indotte dalle stesse sostanze pericolose;
          a questo scopo, è stato introdotto l'obbligo – non previsto dalla disciplina previgente seppure ammesso, come facoltà, dalla giurisprudenza amministrativa – di prestare una garanzia fideiussoria in relazione all'obbligo di adottare le misure necessarie a porre rimedio all'inquinamento significativo del suolo o delle acque sotterranee con sostanze pericolose, rispetto allo stato nel quale si trovavano il suolo e le acque sotterranee constatato nella cosiddetta relazione di riferimento;
          altre significative modifiche del decreto legislativo n.  152 del 2006, riguardano la durata della stessa autorizzazione integrata ambientale, che è sfata raddoppiata portandola a 10 anni, e la disciplina del riesame e del rinnovo della stessa autorizzazione;
          in base alla nuova disciplina del riesame, definita dall'articolo 29-octies, l'autorità competente procede al riesame periodico dell'autorizzazione, confermando o aggiornamento le condizioni per l'esercizio dell'attività;
          l'articolo 29-octies distingue il riesame ordinario, da svolgersi entro quattro anni dalla pubblicazione delle decisioni relative alle BAT riferite all'attività principale dell'installazione ovvero a dieci anni dal rilascio dell'autorizzazione o dall'ultimo riesame effettuato, e quello che viene disposto dall'autorità competente, in tutti i casi nei quali si verifica una delle situazione elencate nel comma 4 dello stesso articolo;
          con riferimento al riesame dell'autorizzazione, viene stabilito che il procedimento venga svolto con le stesse modalità previste per il rilascio dell'autorizzazione, fatta salva una semplificazione degli oneri a carico dell'autorità competente, in fatto di pubblicità e informazione;
          con il decreto legislativo n.  46 del 2014 è stata altresì rivista la materia dei controlli stabilendo – con la riscrittura del comma 6 e l'aggiunta dei commi 6-bis dell'articolo 29-sexies – che la frequenza e la metodologia dei controlli ordinari sono definiti nella parte prescrittiva dell'autorizzazione, in funzione del tipo di installazione, della specifica attività svolta e delle matrici ambientali interessate, che la stessa autorizzazione debba prevedere controlli ordinari specifici con frequenze prestabilite dalla legge, fatta salva la possibilità che si rendano necessarie modalità e frequenze di controllo diverse;
          in base al comma 6-ter del citato articolo 29-sexies, è stato altresì stabilito che nell'ambito dei controlli debba essere prevista un'attività ispettiva presso le installazioni – con oneri a carico del gestore da parte dell'autorità di controllo che preveda l'esame di tutta la gamma degli effetti ambientali indotti dalle installazioni interessate, e che dette visite sono inserite in un piano di ispezione ambientale a livello regionale, periodicamente aggiornato dalla regione, che contiene: a) analisi generale dei problemi pertinenti; b) l'identificazione dell'area geografica coperta dal piano di ispezione: c) le procedure per la programmazione delle ispezioni ordinarie e di quelle straordinarie, da effettuarsi in caso di denunce, di gravi incidenti, di guasti e di infrazioni in materia ambientale;
          per quanto riguarda la cosiddette misure interdittive, con alcune modifiche all'articolo 29-decies, si è provveduto a:
              a) includere la chiusura dell'installazione «nel caso in cui l'infrazione abbia determinato esercizio in assenza di autorizzazione»;
              b) modificare l'istituto della diffida, in base al quale, ora, al gestore dell'installazione non viene assegnato soltanto il termine entro il quale eliminare le inosservanze, ma anche un termine entro il quale devono essere applicate «tutte le appropriate misure provvisorie o complementari che l'autorità competente ritenga necessarie per ripristinare o garantire provvisoriamente la conformità»;
              c) prevedere la sospensione dell'attività nel caso in cui si verifichino situazioni o si reiterino violazioni più di due volte l'anno;
          le modifiche contenute nel decreto legislativo n.  46 del 2014, sono funzionali a un rafforzamento dei momenti di controllo del rispetto delle condizioni contenute nell'atto autorizzativo durante il funzionamento dell'installazione autorizzata, nonché degli strumenti attraverso i quali assicurare la conservazione delle condizioni nelle quali si trovano le matrici ambientali al momento dell'inizio dell'attività ovvero, in caso di compromissione, il loro ripristino;
          è indispensabile che la nuova normativa trovi immediata e piena applicazione anche e soprattutto rispetto ad installazioni in esercizio che operano sulla base di autorizzazioni integrate ambientali rilasciate in base alla normativa previgente;
          detta esigenza rischia di essere contraddetta dalle linee di indirizzo sulle modalità applicative della disciplina in materia di prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento, recata dal titolo III-bis alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, alla luce delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 4 marzo 2014, n.  46, fornite dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 27 ottobre 2014;
          in base a quanto riportato nelle linee di indirizzo, e in particolare nelle lettere b) e c) del punto 3, Applicazione dell'istituto del rinnovo periodico, alle autorità competenti al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale viene data l'indicazione di convertire in procedimenti di riesame i procedimenti di rinnovo periodico avviati dopo il 7 gennaio 2013 ed in corso, e di archiviarli – su richiesta del gestore – ad esito dello scambio delle informazioni descritte alla successiva lettera d);
          in base a quanto riportato alla lettera d) del medesimo punto 3, le nuove scadenze di legge, così come modificate dal decreto legislativo n.  46 del 2014, trovano applicazione alle autorizzazione integrate ambientali in vigore alla data dell'11 aprile 2014;
          in merito a ciò, nelle linee di indirizzo, ci si limita a segnalare l'opportunità che la ridefinizione della scadenza – rectius la proroga – «sia resa evidente da un carteggio tra gestore e autorità competente, anche in forma di lettera circolare, che confermi l'applicazione della nuova disposizione di legge alla durata delle AIA vigenti, facendo salva la facoltà per l'autorità competente di avviare di sua iniziativa un riesame alla data del previsto rinnovo», precisando che lo stesso carteggio debba chiarire le modalità di gestione della proroga e l'applicazione delle garanzie fideiussorie previste dalla nuova normativa;
          al successivo punto 4) delle linee di indirizzo, per quel che concerne le modalità di gestione dei procedimenti in corso, alle autorità competenti al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale viene data l'indicazione di adeguare i procedimenti avviati dal 7 gennaio 2013 al 10 aprile 2014 alle nuove procedure, facendo salvi gli esiti conseguiti allo stato degli atti;
          in merito alla richiesta di presentazione della relazione di riferimento, nello stesso documento con le linee di indirizzo, è stato precisato, altresì, che la richiesta, da parte dell'amministrazione competente – eventualmente nella forma di avvio del riesame – viene indirizzata a tutti i gestori di installazione dotate di AIA o con procedimenti di AIA in corso, per le quali non si sia già provveduto a validare una relazione di riferimento, e che la validazione della relazione può essere effettuata dall'autorità competente con tempi indipendenti da quelli connessi al rilascio dell'autorizzazione e anche prima del primo aggiornamento dell'AIA effettuato in attuazione delle disposizioni recate dal decreto legislativo n.  42 del 2014;
          con successivo decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 13 novembre 2014, sono state definite le modalità per la redazione della relazione di riferimento stabilendo – all'articolo 4 – i termini entro i quali i gestori in possesso di autorizzazione statale al momento dell'entrata in vigore del medesimo decreto sono tenuti a presentare la relazione di riferimento ovvero ad effettuare la procedura prevista per accertare la sussistenza dell'obbligo di presentazione della medesima relazione  –:
          se intenda procedere a una integrazione delle linee di indirizzo, in modo da precisare che all'interno dei procedimenti di rinnovo periodico avviati dal 7 gennaio 2013 al 10 aprile 2014 – per i quali va previsto l'adeguamento alle nuove procedure, e non l'archiviazione come definito dal punto 3) lettera c) – vadano compresi anche quelli rispetto ai quali, durante l'arco temporale sopracitato, il gestore dell'installazione abbia provveduto a inoltrare all'amministrazione competente la domanda di rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale ex articolo 29-octies, comma 1, del testo previgente del decreto legislativo n.  152 del 2006, ancorché l'amministrazione competente abbia provveduto a dare formale avvio al procedimento soltanto in una data successiva al 10 aprile 2014;
          se, con un eventuale aggiornamento delle linee di indirizzo, intenda precisare che:
              a) all'interno dei procedimenti di rinnovo periodico avviati dopo il 7 gennaio 2013 ed in corso, da convertire in procedimenti di riesame con le modalità previste dalla nuova normativa – e non da archiviare vadano compresi i procedimenti di rinnovo periodico riferiti ad autorizzazioni con scadenza successiva al 10 aprile, per i quali — in base al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 13 novembre 2014 – il gestore è comunque tenuto a presentare la relazione di riferimento entro i prossimi 12 mesi;
              b) l'eventuale archiviazione dei procedimenti di rinnovo periodico, avviati dopo il 7 gennaio 2013 ed in corso, debba essere preceduta da un'apposita procedura — alla quale assicurare la piena partecipazione del pubblico — con la quale l'amministrazione competente verifica se sussistano ovvero escluda che si possono manifestare le condizioni elencate nell'articolo 29-octies, comma 4, in presenza delle quali è necessario procedere al riesame dell'autorizzazione;
          se intenda procedere a un'integrazione delle linee di indirizzo, in modo da sottrarre alla piena discrezionalità delle amministrazioni competenti al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale la definizione e la gestione delle procedure descritte nel punto 3 lettera b), c) e d) delle stesse linee di indirizzo, e in particolare i seguenti aspetti:
              a) la tempistica, le modalità per la presentazione dell'istanza con la quale il gestore richiede l'archiviazione di procedimenti di rinnovo periodico dell'autorizzazione integrata ambientale avviati dopo il 7 gennaio 2013, in corso e riferiti ad autorizzazioni con scadenza successiva al 10 aprile 2014, e la documentazione da allegare alla medesima istanza;
              b) la tempistica, le modalità e i contenuti minimi del «carteggio tra gestore e autorità competente», di cui al punto 3, lettera d) delle linee di indirizzo, attraverso il quale procedere alla proroga delle scadenza delle autorizzazione integrate ambientali in vigore alla data dell'11 aprile 2014, con specifico riferimento alle modalità con le quali gestire la proroga delle stesse autorizzazioni sotto la vigenza delle nuovi disposizioni introdotte con il decreto legislativo n.  46 del 2014, in merito alla disciplina dei controlli e delle ispezioni, delle misure interdittive, delle garanzie fideiussorie prestate quale condizione dell'efficacia nonché all'indicazione della tempistica per il rispetto delle prescrizioni;
              c) l'individuazione dei casi nei quali all'applicazione della nuova disposizione di legge alla durata delle autorizzazioni integrate ambientali — con la conseguente proroga dell'efficacia dei termini di efficacia – debba essere necessariamente associato il riesame, ad iniziativa dell'autorità competente, della stessa autorizzazione;
          se gli obblighi e i termini concernenti la relazione di riferimento — fissati con il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 13 novembre 2014 richiamato nelle premesse — trovino automatica e immediata applicazione anche rispetto ai gestori in possesso di autorizzazione integrata rilasciata dalle regioni ovvero debbano essere recepiti con appositi atti di competenza regionale. (4-07350)


      NESCI e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sui rifiuti in Calabria gli interroganti hanno già presentato una lunga e dettagliata interrogazione, n.  4-01056 del 2 luglio 2013, relativa soprattutto alla lunga fase dell'emergenza ambientale dichiarata dal Governo per risolvere i gravi problemi di smaltimento nel territorio;
          ad oggi nulla è stato risolto, purtroppo, mentre ai cittadini è richiesto di pagare ogni volta le tasse del servizio, come già osservato nell'interrogazione n.  4-02193, nonostante l'immondizia sia ammucchiata per le strade della Calabria e da ciò derivino pericoli per la salute dei cittadini;
          forti criticità igienico-sanitare sono presenti su tutto il territorio regionale, in cui di frequente si vedono strade e piazze come discariche a cielo aperto;
          la situazione della città di Catanzaro e dell'intera sua provincia appare particolarmente preoccupante, specie per gli effetti che potrebbero derivarne per la salute pubblica;
          la discarica di Alli, nel territorio catanzarese, funziona parzialmente e vi sono ripercussioni nelle vicine discariche, con frequente accumulazione nelle aree urbane della provincia;
          spesso si scaricano a vista, nel territorio catanzarese, rifiuti di ogni sorta e si registrano diversi roghi per abbassare i tanti cumuli sparsi, con tutte le conseguenze connesse ai fumi della combustione  –:
          se siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa e se ritengano opportuno promuovere, negli ambiti di rispettiva competenza, iniziative per la difesa dell'ambiente e per la tutela della salute dei cittadini. (4-07351)


      NICCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          Magliano e Sovana in Toscana, patrimoni storici ed archeologici italiani hanno subito ripetuti danneggiamenti in questi ultimi anni a seguito del maltempo;
          a Magliano nella notte del 15 dicembre u.s. sono crollate circa 25 metri di fortificazioni. Il muro di cinta si è sgretolato, i massi sono precipitati sulla strada sottostante;
          il tratto crollato aveva ceduto nel 2013 inclinandosi di 45 gradi. La zona era stata transennata in attesa di interventi di consolidamento;
          il comune è stato costretto a ricorrere a un escavatore privato che è entrato nel centro storico per cercare di mettere in sicurezza l'abitato e proteggerlo dallo stesso rischio di cedimento delle mura;
          Magliano oggi è un paese in emergenza, messo in ginocchio dalla pioggia che, questa volta non ha inflitto danni alle persone ma ha colpito al cuore il patrimonio storico del paese;
          come e il territorio mancianese o la zona sud della Maremma, a ottobre 2014 anche il comune di Sorano ha dovuto soccombere ai colpi del maltempo. Ammonta a 570 mila euro la stima dei danni accertati al territorio su strade, ponti e al patrimonio archeologico;
          parte del parco archeologico di Sovana è ancora inagibile per l'alluvione dello scorso ottobre: 250 mila euro di danni, una zona ancora «off limits»;
          l'alluvione del novembre 2012 ha riguardato la prima parte del fosso Calesine (torrente che scorre in prossimità del parco archeologico), ovvero il tratto a monte l'alluvione del 2014 ha riguardato invece il tratto a valle del fosso, quindi ha portato via i due ponticelli di accesso all'area archeologica che conducono alla tomba della Sirena e alla via cava di San Sebastiano che sono due gioielli assoluti e di valore culturale inestimabile. Così quell'area è irraggiungibile: i ponti chiusi, da ottobre 2014;
          si apprende da fonti giornalistiche che il comune di Sorano non ha fondi per poter ripristinare i due ponticelli e per poter sistemare tutto l'argine del Calesine che l'acqua si è portato via;
          vengono colpiti due beni fondamentali anche per lo sviluppo economico sostenibile  –:
          se non intenda intervenire con degli stanziamenti urgenti in modo da rimettere in sesto subito i territori colpiti di Magliano e di Sorano;
          se non intenda intervenire con delle politiche di messa in sicurezza dei territori così da difenderli da ulteriori possibili futuri danneggiamenti. (4-07355)


      NICCHI, ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in Toscana è presente la palude interna più vasta d'Italia: il Padule di Fucecchio. Situato fra le province di Pistoia e Firenze, esso interessa 6 diversi comuni (due dell'area fiorentina e quattro dell'area pistoiese), ma, per ragioni storiche, concorre a definire l'identità culturale di un territorio assai più vasto che comprende l'intera Valdinievole e un segmento importante del Valdarno;
          il Padule è caratterizzato da una grande estensione territoriale, una notevole diversificazione ambientale, una collocazione geografica di cerniera fra le regioni climatiche continentali e quelle mediterranee;
          in ragione della sua rilevanza naturalistica e ambientale il Padule di Fucecchio è stato inserito fra le aree natura 2000 sulla base delle direttive europee «Habitat» e «Uccelli». In esso ricadono infatti due SIC e due ZPS contermini strettamente connessi sotto il profilo ecologico, denominati rispettivamente «Padule di Fucecchio» (codice IT5130007, 2081 ettari) e «Bosco di Chiusi e Paduletta di Ramone» (codice IT5140010, 418 ettari);
          l'intera area, ovvero la superficie delle due aree natura 2000 di cui sopra, è stata inserita nell'elenco delle zone umide di importanza internazionale, sulla base della convenzione di Ramsar;
          a fronte di questi riconoscimenti appare troppo limitata la superficie interessata da aree protette (complessivamente pari a soli 230 ettari), con una tendenza negli ultimi anni addirittura negativa, che ha visto la cancellazione di ampliamenti già previsti negli strumenti di pianificazione di province e regione;
          ruolo rilevante nella tutela del Padule di Fucecchio è svolto, da oltre venti anni, dal Centro di ricerca, promozione e documentazione del Padule di Fucecchio, Onlus, il cui consiglio di amministrazione è costituito da membri della provincia di Pistoia, dei comuni aderenti e di associazioni;
          il Centro rappresenta un'esperienza di gestione pubblica di un patrimonio pubblico che ha funzionato bene sia dal lato economico (con amministratori, compreso il presidente, a costo zero), sia sul lato dei risultati conseguiti: uno staff di persone costituito da due dipendenti, vari collaboratori esterni (guide ambientali, professionisti esperti in varie discipline e altri) e da un nutrito gruppo di volontari;
          il CRPD ha ottenuto importanti riconoscimenti scientifici per i risultati ottenuti. Gli uccelli presenti nell'area sono aumentati notevolmente quanto al numero e si sono aggiunte nuove specie che venti anni fa avevano abbandonato l'area; il CRPD ha inoltre gestito due riserve naturali una delle quali («Le Morette») di proprietà della provincia di Pistoia. Nel 2013 è stato anche inaugurato un nuovo centro visite dell'area protetta, una struttura all'avanguardia, che in pochi mesi ha visto l'affluenza di oltre cinquemila visitatori, e dove si sono susseguite mostre, conferenze e ed altre attività didattiche, scientifiche e culturali;
          attualmente si sono verificati dei fatti che fanno temere per il futuro del Centro e per la tutela dell'area: la provincia di Pistoia ha ridotto la superficie dell'oasi di protezione «Brugnana-Ramone-Chiusi», comunicando altresì che per il 2015 non contribuirà più al finanziamento del Centro. I comuni di Larciano, Ponte Buggianese e Lamporecchio hanno rotto, ciascuno per proprio conto, il rapporto associativo con il CRPD;
          per garantire un futuro al CRPD, nel maggio 2014, è stato promosso un appello dai ricercatori che hanno svolto attività di ricerca e/o di consulenza scientifica in ambito botanico, zoologico e ambientale nel Padule di Fucecchio. La morte del centro potrebbe provocare l'entrata in campo di soggetti portatori d'interessi privati, rispetto ai quali non v’è garanzia alcuna del perseguimento del bene comune  –:
          se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza in sede europea al fine di ampliare, sulla base di criteri tecnici, l'estensione delle aree protette SIC e ZPS (che attualmente interessano appena il 10 per cento dell'area). (4-07362)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


      RIZZO, VILLAROSA, PAOLO BERNINI, CORDA, ALBERTI, CASO, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SIBILIA, CANCELLERI, BARBANTI, FRUSONE, PESCO, TOFALO e D'AMBROSIO. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il 25 novembre 2014 sulla testata giornalistica online Unimondo.org, è stato pubblicato un articolo a firma Giorgio Beretta dal titolo «Cannoni OTO MELARA sulle corvette di Myanmar: e l'embargo ?»;
          in detto articolo si fa riferimento ai cannoni navali compatti Oto Breda da 76 mm., prodotti dalla Oto Melara, presenti sulla fregata Aung Zeya e sulle tre corvette classe Anawrahta di Myanmar così come riportato di recente dal sito di informazione della rivista IHS Jane's e documentato da diverse foto delle due corvette UMS Anawrahta (771) e UMS Bayintnaung (772) e da altre fonti, tra cui il sito si informazione militare Global Security;
          nei confronti di Myanmar/Birmania c’è un embargo di armi e sistemi militari decretato dal Consiglio dell'Unione europea già dal 1991 che è stato confermato nel mese di aprile 2014 e prorogato fino al fino all'aprile 2015;
          l'autorizzazione all'esportazione dall'Italia di questi cannoni non figura in nessuna delle relazioni che dal 1990 i vari Governi hanno inviato alle Camere e nemmeno nelle relazioni ufficiali dell'Unione europea nelle quali i Governi nazionali sono tenuti a riportare gli armamenti e materiali militari che esportano nel mondo. La decisione 2014/214/PESC del Consiglio proroga fino al 30 aprile 2015 le misure restrittive adottate dal Consiglio il 22 aprile 2013, cioè proroga la decisione 2013/184/PESC per il protrarsi delle violazioni nel paese asiatico. Questa decisione afferma che: «Sono vietati la vendita, la fornitura, il trasferimento o l'esportazione al Myanmar/Birmania di armamenti e materiale connesso di qualsiasi tipo, comprese armi e munizioni, veicoli e materiale militari, materiale paramilitare e relativi pezzi di ricambio, nonché materiale che potrebbe essere utilizzato a fini di repressione interna, da parte degli Stati membri o in provenienza dal territorio degli Stati membri ovvero mediante navi o aeromobili battenti bandiera degli stessi, siano tali armamenti o materiali originari o non di detto territorio» (articolo 1.a). Sono anche vietata la prestazione di servizi finanziari e di intermediazione connessi con la vendita di tali materiali militari «destinati ad essere utilizzati in Myanmar» (articolo 1.b) e «la partecipazione, consapevole e deliberata, ad attività aventi l'obiettivo o il risultato di eludere i divieti di cui sopra» (articolo 1.c). Vengono esclusi, ovviamente, sistemi protettivi e altro materiale destinato ad operatori umanitari o a missioni dell'Onu e dell'Unione europea;
          nelle 15 relazioni pubblicate dal Consiglio dell'Unione europea non figura alcuna autorizzazione di sistemi militari da parte dell'Italia a Myanmar e non figura nemmeno in alcuna delle relazioni che i vari Governi italiani che si sono succeduti dal 1990 al 2013 hanno inviato al Parlamento. In entrambe i documenti, se queste esportazioni sono state autorizzate ed effettuate dall'Italia anche in ottemperanza all'embargo, dovrebbero essere in qualche modo riportate così come l'eventuale «concessione di licenze di fabbricazione e trasformazione o adattamento di materiali e mezzi (militari)» in loco o a Stati terzi;
          come riporta un articolo pubblicato sul sito internet del mensile indiano Force a commento della visita di una delegazione della Marina militare indiana alle varie aziende del gruppo Finmeccanica nel novembre del 2012, Oto Melara (l'azienda che produce i cannoni navali Oto Breda) ha un «accordo aperto» («an open agreement») con la Bharat Heavy Electricals Ltd (BHEL) che avrebbe la licenza di produrre questi cannoni già dal 1995;
          il mensile indiano riporta che «secondo i funzionari della Oto Melara, l'accordo con BHEL prevede anche la possibilità di esportazione di questi cannoni se la BHEL ne ha l'opportunità»;
          Oto Melara, l'azienda che produce quei cannoni navali, è una controllata di Finmeccanica di cui l'azionista di maggioranza è il Governo, nello specifico il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF)  –:
          se non ritengano di chiarire la presenza dei cannoni navali Oto Melara sulle corvette e navi militari della Repubblica dell'Unione del Myanmar;
          se la fornitura di tali cannoni navali alla Marina militare di Myanmar sia stata effettuata dalla azienda indiana Bharat Heavy Electricals Ltd (BHEL) o da altre aziende su esplicita autorizzazione da parte dei Ministeri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e della difesa e delle autorità competenti della Repubblica italiana;
          se non ritengano di chiarire il motivo della mancanza delle dovute informazioni nelle relazioni governative e all'Unione europea relative a esportazioni e licenze di produzione, in loco o a terzi, qualora siano state effettuate dal nostro Paese ai sensi della legge n.  185 del 9 luglio del 1990. (4-07348)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


      La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
          è dei giorni scorsi la notizia, riportata anche a mezzo stampa, dell'ennesimo episodio di fallimento di azienda dovuto alla inadempienza, da parte dello Stato, nel provvedere al pagamento dei debiti contratti con gli imprenditori;
          è il caso del signor Maurizio Avanzi, imprenditore edile del bresciano che dall'11 novembre 2014 ha consegnato la sua azienda nelle mani del curatore fallimentare indicato dal tribunale di Brescia; a muovergli istanza di fallimento i suoi dipendenti (sei) licenziati nel mese di febbraio 2014 e ancora in attesa di Tfr; storie personali, familiari e imprenditoriali che si intrecciano con un'unica grande questione che nessuna delle persone coinvolte aveva effettivamente il potere di determinare e risolvere, ovvero quella del mancato pagamento dei debiti della pubblica amministrazione;
          l'imprenditore bresciano avrebbe infatti potuto mettere in sicurezza azienda e famiglie dei dipendenti coinvolti con circa 80.000 euro, ovvero solo una parte della cifra di cui lo stesso è creditore nei confronti dello Stato: il signor Avanzi vanta infatti crediti per decine di migliaia di euro per cantieri realizzati per conto dello Stato in provincia di Brescia; in particolare, deve ricevere 46.000 euro per lavori realizzati addirittura nel 1997 nella caserma dei carabinieri di Gavardo; 40.000 euro circa per lavori realizzati alla caserma della Guardia di finanza di Desenzano; 62.000 per il cantiere nella Forestale di Gavardo (contributo che, tra l'altro, stava per essere liquidato il 3 dicembre 2014, quando oramai la ditta risultava già fallita);
          nel corso di quest'anno, il Governo ha continuato ad illudere con promesse mai mantenute i tanti imprenditori che vantano crediti nei confronti della pubblica amministrazione, e che, proprio per questo, faticano a portare avanti la propria attività e a pagare i propri dipendenti, creando un corto circuito ad ampio raggio, coinvolgendo un indotto di aziende e famiglie che produce un valore difficile da quantificare;
          nella sua famosa conferenza di inizio mandato «La Svolta Buona», il Presidente del Consiglio Renzi aveva promesso di ripagare alle imprese, entro luglio 2014, l'integralità dei debiti commerciali della pubblica amministrazione che, come riportato in una delle sue slide, ammontavano a 68 miliardi di euro (oltre ai 22,8 già liquidati dai governi Monti e Letta);
          in un momento successivo, il premier ha poi promesso di pagare tutti i debiti entro il 21 settembre 2014. Il DEF ha spostato la scadenza di un mese, il Ministero dell'economia e delle finanze ha poi, a quanto consta all'interpellante, ulteriormente corretto il tiro: «entro il 2014»;
          nel frattempo, l’outstanding dei debiti è aumentato ulteriormente, e continua ad aumentare inesorabilmente, mese dopo mese;
          al 30 ottobre (data di aggiornamento del sito del Ministero dell'economia e delle finanze) i debiti pagati, inclusi quelli liquidati dai governi Monti e Letta, ammontano solo a 32,5 miliardi di euro;
          questi ritardi, come testimonia anche il caso riportato, hanno provocato effetti devastanti sulle imprese, che, in molti casi, sono state costrette a dichiarare fallimento, licenziare dipendenti, rinviare investimenti o indebitarsi con le banche nella speranza di trovare liquidità sufficiente per mandare avanti l'attività. Secondo recenti stime di Confartigianato, gli interessi sui prestiti contratti dagli imprenditori con le banche per colpa del mancato pagamento dei debiti dello Stato ammontano a circa 2,1 miliardi di euro;
          sul tema del ritardo dei pagamenti è intervenuta anche la Commissione europea, aprendo una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, per il mancato rispetto della direttiva late payment, recepita tramite il decreto legislativo 9 novembre 2012, n.  192, che fissa a 30 giorni il limite massimo entro il quale le pubbliche amministrazioni sono tenute a pagare i propri debiti. Tale soglia non è stata rispettata dallo Stato italiano se si pensa che il tempo medio di pagamento è pari a 180 giorni, ben 150 in più rispetto alla soglia stabilita dalla legge, il che rende l'Italia il peggior pagatore dell'Unione europea. Questo comportamento irrispettoso produrrà un costo salato sui conti pubblici per le sanzioni previste dalla direttiva  –:
          a quanto ammontino esattamente i debiti commerciali attualmente esistenti nei bilanci della pubblica amministrazione;
          quali iniziative il Governo intenda intraprendere e quale sia la tempistica prevista per provvedere al pagamento di tutti i debiti della pubblica amministrazione;
          se il Governo intenda adottare delle iniziative urgenti per risarcire gli imprenditori che si sono dovuti indebitare o che hanno addirittura dovuto dichiarare fallimento a causa del mancato pagamento dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione.
(2-00792) «Gelmini».

Interrogazioni a risposta scritta:


      REALACCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il mar Mediterraneo, il più esteso mare chiuso del pianeta, ha una superficie di circa 2,5 milioni di chilometri quadrati (0,7 per cento delle acque del globo);
          sul suo specchio si affacciano oltre 20 Stati, con circa 400 milioni di abitanti di cui più di 130 milioni vivono nelle zone costiere;
          questa intensa antropizzazione determina un forte impatto ambientale sulle acque e sull'ecosistema;
          in particolare, affluisce nel Mediterraneo una quantità ingentissima di liquami civili, idrocarburi e reflui industriali. Tra i fattori di pressione, uno dei più rilevanti attiene al trasporto marittimo di petrolio greggio e dei prodotti della raffinazione, sia per l'elevato numero di incidenti verificatisi, con conseguente versamento in mare di grandi carichi di prodotti petroliferi, sia per attività ordinarie connesse alla navigazione soprattutto industriale (scarico in mare delle acque di sentina, lavaggio delle cisterne delle petroliere);
          è del tutto evidente che il Mediterraneo rappresenta, quindi, un'area che necessita di particolare tutela per arginare i fenomeni di inquinamento e di danno ambientale;
          proprio per tutelare il nostro mare, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha attivato un servizio antinquinamento finalizzato alla prevenzione e al contrasto degli inquinamenti marini lungo tutti i circa 7.500 chilometri di costa italiana, mediante l'impiego di unità navali specializzate. Questo sistema di tutela e prevenzione nazionale è stato istituito in attuazione della normativa nazionale e in ottemperanza a quanto previsto dalle convenzioni internazionali, cui l'Italia ha aderito, in materia di lotta agli inquinamenti marini da idrocarburi e da sostanze tossico-nocive in genere;
          l'affidamento del suddetto servizio, previsto dalla legge n.  979 del 1982, è in scadenza nei prossimi mesi, ed è per questo quanto mai urgente l'emanazione del bando di gara comunitario atto a rinnovarlo;
          ad oggi, risulterebbe all'interrogante, per procedere all'indizione del bando comunitario manca solo l'autorizzazione per l'impegno di spesa pluriennale, già richiesta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da parte della Ragioneria dello Stato;
          è importante sottolineare che i fondi, in attesa del nulla osta della Ragioneria, sono già allocati sul capitolo 1644 «PG 01 U.d.V. 1.10 — interventi anni 2015/2016/2017» di pertinenza del Ministero dell'ambiente e tutela del territorio e del mare  –:
          se il Ministro interrogato sia conoscenza dei fatti sopraesposti;
          se intenda attivarsi con la massima urgenza, presso la Ragioneria dello Stato, per impedire che alla scadenza dell'affidamento in corso del servizio antinquinamento in mare finalizzato alla prevenzione e al contrasto degli inquinamenti marini, detto servizio venga sospeso con rischi evidenti e pesanti per lo stato di salute del mare. (4-07349)


      RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          l'11 settembre 2014 AlexBank, banca egiziana controllata da Intesa Sanpaolo, nell'ambito del piano di rinnovamento della rete, ha inaugurato una nuova filiale ad Alessandria d'Egitto;
          la filiale si trova in uno dei più antichi edifici della città, situato nell'area della Raml Station di Alessandria d'Egitto, fino al precedente mese di aprile sede del consolato italiano;
          l'imponente edificio, di proprietà del Governo italiano, fu costruito lungo la lunghissima e spettacolare litoranea di Alessandria nel 1918, quando la comunità italiana di quella città contava oltre diecimila presenze  –:
          in base a quali criteri sia stata effettuata la scelta del nuovo locatario dell'edificio di cui in premessa, e quali siano le condizioni della stessa locazione;
          quali iniziative siano state assunte per preservare la diffusione della lingua e della cultura italiana nella zona di Alessandria. (4-07359)


      NUTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'Agenzia delle entrate è una agenzia fiscale posta sotto la vigilanza del Ministero dell'economia e delle finanze;
          Gabriella Alemanno, sorella di Gianni Alemanno, come lei stessa dichiara nel proprio curriculm vitae disponibile sul sito web dell'Agenzia delle entrate, è stata nominata, quando il fratello era Ministro della Repubblica, dirigente generale dell'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, ricoprendo le posizioni di vicedirettore e direttore per le strategie;
          nel 2008, quando il fratello venne eletto sindaco di Roma, è stata nominata dall'allora Governo Berlusconi direttore generale dell'Agenzia del territorio fino al dicembre 2012, quando la predetta agenzia viene incorporata all'interno dell'Agenzia delle entrate e Gabriella Alemanno viene nominata vicedirettore;
          la stampa ha duramente criticato l'utilizzo dei fondi dell'Agenzia da parte di Gabriella Alemanno: Il Fatto Quotidiano in un articolo del 27 dicembre 2011, descrive ampiamente l'aumento delle spese istituzionali sostenute dall'Agenzia, passate da 80 mila euro nel 2009 a poco meno di un milione e mezzo di euro nel 2011, destinate in buona parte a costose cene, gioielli, sostegno a produzioni cinematografiche, fino a cene per il fratello sindaco di Roma;
          inoltre, secondo quanto emerso nell'estate del 2013 nel corso del processo contro la cosca della ’ndrangheta dei Valle-Lampada, la segreteria di Gabriella Alemanno si sarebbe adoperata per favorire un incontro tra un funzionario dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e Giulio Lampada, boss dell'omonima cosca mafiosa, al fine di porre in essere una «velata ipotesi corruttiva che non si attuò», come dichiarato dal pubblico ministero competente; dal processo è emerso che i Valle-Lampada erano molto attivi nel settore del gioco d'azzardo illegale e «cercavano di ungere a destra e a sinistra con i politici per cercare di entrare in contatto coi Monopoli di Stato», ove Gabriella Alemanno era stata esponente di vertice per molti anni;
          nella recente inchiesta «mondo di mezzo», Gianni Alemanno risulta essere indagato per associazione di tipo mafioso, in cui sono coinvolti numerosi esponenti della criminalità organizzata, tra cui anche soggetti riconducibili alla ’ndrangheta;
          come si evince dalla normativa di settore e come si può ben leggere dal suo sito web istituzionale, l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, di cui ha fatto parte per anni, ricoprendo posizioni di vertice Gabriella Alemanno, ha funzioni di regolazione e controllo del comparto del gioco pubblico, di garantire all'utente la facile fruizione nell'ambito di un contesto regolamentato e costantemente monitorato, verificando costantemente la regolarità del comportamento degli operatori ed intervenendo nel contrasto di ogni fenomeno illegale;
          negli ultimi anni, nelle sue consuete relazioni semestrali, la direzione investigativa antimafia descrive con connotati allarmanti la profonda penetrazione del sistema criminale nell'industria del gioco d'azzardo, sia legale che illegale, e degli ingenti profitti che questo settore garantisce, anche a causa di un sistema di controlli e di misure preventive del tutto inadeguate a contrastare le infiltrazioni mafiose;
          attualmente Gabriella Alemanno, nella veste di vicedirettore dell'Agenzia delle entrate, è responsabile di tre diverse direzioni centrali (catasto e cartografia, pubblicità immobiliare e affari legali, osservatorio mercato immobiliare e servizi estimativi);
          dalle indagini «mondo di mezzo» emerge come il sistema criminale mafioso fosse operativo anche nel settore immobiliare e dei servizi relativi alla manutenzione ordinaria degli immobili pubblici, in particolare tramite la Cooperativa 29 giugno;
          il direttore dell'Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi, in riferimento alle indagini «mondo di mezzo» ha affermato che «ci saranno senz'altro risvolti fiscali. Occorre però attendere la fine delle indagini per avere accesso ai documenti»  –:
          di quali elementi disponga circa l'operato di Gabriella Alemanno all'interno delle pubbliche amministrazioni ove ha prestato e presta servizio, in particolare presso l'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, presso l'Agenzia del territorio e attualmente presso l'Agenzia delle entrate. (4-07370)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MAESTRI, ROMANINI, MARCHI, INCERTI, IORI, GANDOLFI e BERGONZI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il comma 1 dell'articolo 18 del decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n.  114, ha previsto la soppressione — a decorrere dal 1o luglio 2015 — delle sezioni staccate di TAR ubicate in comuni che non siano sedi di corte di appello, nelle more della rideterminazione dell'assetto organizzativo dei tribunali amministrativi regionali;
          il comma 1-bis, infatti, prevede che entro il 31 dicembre 2014 il Governo, sentito il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, presenti alle Camere una relazione sull'assetto organizzativo dei tribunali amministrativi regionali, comprendente un'analisi dei fabbisogni, dei costi delle sedi e del personale, del carico di lavoro di ciascun tribunale e di ciascuna sezione, allegando ad essa un piano di riorganizzazione che preveda misure di ammodernamento e razionalizzazione della spesa nonché l'eventuale individuazione di sezioni da sopprimere, tenendo conto della loro collocazione geografica, del carico di lavoro e dell'organizzazione degli uffici giudiziari;
          la sezione staccata di Parma del TAR dell'Emilia-Romagna esercita la propria competenza sulle province di Parma, Reggio Emilia e Piacenza. La sezione staccata, in pochi anni, ha diminuito in maniera molto significativa l'arretrato e i tempi per giungere ad una decisione di merito si avvicinano molto proprio al limite di 1 anno che lo stesso Presidente del Consiglio ha posto quale obiettivo per la giustizia civile;
          la sua soppressione dunque rischia di produrre un impatto generale negativo sul funzionamento del sistema giudiziario amministrativo, con un aggravio di costi per i cittadini e le imprese, un significativo incremento del carico di lavoro della sezione di Bologna, già oggi particolarmente gravata, e modesti risparmi per la finanza pubblica  –:
          se il Ministro interrogato abbia predisposto la relazione di cui al comma 1-bis dell'articolo 18 del decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90 (legge n.  114 del 2014) e se non ritenga di riconsiderare la chiusura della sezione di Parma del TAR dell'Emilia-Romagna. (5-04335)


      MORANI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          le carenze di organico del personale amministrativo del Ministero della giustizia ammontano ad oggi a oltre 9.400 unità;
          a causa di tali gravi carenze di organico vi è un conclamato ritardo nel deposito e nella pubblicazione delle sentenze;
          per far fronte a queste lacune, vista l'impossibilità di bandire nuovi concorsi pubblici, per carenza di fondi sono state introdotte le disposizioni di cui all'articolo 4 del decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n.  114;
          in osservanza di quanto previsto dalla normativa citata, in data 27 novembre 2014, veniva pubblicato sul sito del Ministero della giustizia un avviso riguardante la mobilità del personale pubblico presso i tribunali nel seguente tenore letterale:
              «Giustizia: bando mobilità per 1.031 posti personale amministrativo – 27 novembre 2014 – Il Ministero della Giustizia pubblicherà il prossimo 2 dicembre un bando di mobilità volontaria esterna per la copertura di complessivi 1.031 posti vacanti di personale amministrativo destinato agli uffici giudiziari»;
          la procedura, rivolta al personale dipendente a tempo pieno ed indeterminato appartenente, non solo al comparto ministeriale, ma anche ad altre amministrazioni, rappresenta un importante risultato che consente di ovviare alle croniche carenze di organico degli uffici giudiziari, dovute al blocco del turn over, e, in molti casi, di recuperare la funzionalità ed efficienza di detti uffici;
          il 2 dicembre 2014 il bando non è stato pubblicato disattendendo l'indicazione comparsa il 27 novembre scorso nel sito del Ministero della giustizia, ancora presente e leggibile il 10 dicembre 2014  –:
          quali siano le motivazioni per le quali non sia stato pubblicato il bando per la mobilità del personale in favore del Ministero della giustizia;
          se il Ministro interrogato sia in grado di confermare la pubblicazione del bando indicando la data in cui essa avverrà.
(5-04336)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      TURCO, BRUGNEROTTO, BECHIS, COMINARDI, ROSTELLATO, VALLASCAS, PRODANI, DA VILLA, SPESSOTTO, DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          è notizia di questi giorni, apparsa sulla cronaca locale della città di Verona, che i lavori per la realizzazione del progetto di quadruplicamento della linea ferroviaria Alta velocità, Fortezza-Verona potrebbero interessare una nuova palazzina dell'ATER (Azienda territoriale per l'edilizia residenziale) di Verona, per l'edilizia residenziale pubblica, in via del Fortino, zona San Massimo, Verona;
          la palazzina di recentissima realizzazione, costata 2 milioni di euro, e che consta di otto appartamenti per i quali è stato già pubblicato il bando d'assegnazione, verrebbe a trovarsi proprio sul tracciato veronese del lotto 4 del TAV [compreso tra la stazione di Pescantina (Verona) e il nodo di Verona] verso il Brennero, e rischia di dover essere espropriata ed abbattuta per lasciare spazio ai nuovi binari;
          il progetto da parte di ITALFERR (Italferr spa partecipata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato italiane spa, è l'ente incaricato della supervisione, del coordinamento della progettazione e della realizzazione delle linee ferroviarie) che prevede l'interramento della linea ferroviaria esistente e di quella di nuova realizzazione, coinvolgerà anche alcune altre unità immobiliari, principalmente di proprietà di privati, situate nell'immediata prossimità dei binari, che verosimilmente verranno espropriate per consentire il passaggio dei binari;
          la costruzione è stata realizzata nonostante il comune di Verona in data 14 maggio 2013 avesse sottoscritto un protocollo, anche con RFI (Rete ferroviaria italiana) e la regione Veneto relativamente al progetto preliminare TAV Brennero che avrebbe interessato il territorio veronese;
          sebbene al protocollo non fosse stato allegato il progetto preliminare, dagli allegati risulta comunque una traccia che lasciava genericamente intendere il passaggio nella zona di San Massimo nelle vicinanze della linea ferroviaria esistente, adiacente alla zona dove ora sorge la nuova palazzina dell'ATER Verona;
          l'articolo 6, comma 2, del protocollo, stabilisce, inoltre, che il comune, di concerto con RFI definirà le ipotesi progettuali con l'utilizzo delle aree ferroviarie che risulteranno libere ed usufruibili, per consentire il passaggio in galleria di tratti di linea esistente e del tracciato dei nuovi binari che verranno realizzati;
          allo stato, quindi, appare più che possibile che la palazzina dell'ATER, di nuova costruzione, possa venir espropriata ed abbattuta anch'essa e ci si chiede se tale nuova costruzione, edificata dove il comune di Verona avrebbe dovuto sapere, sarebbe stato realizzato tale progetto ferroviario, sia dovuta solo ad un difetto di comunicazione tra il comune e l'azienda territoriale per l'edilizia residenziale e, soprattutto, se la concessione edificatoria all'ATER di Verona sia stata rilasciata prima o dopo la firma del protocollo da parte del comune stesso;
          si osserva che, in ogni caso, tale difetto di comunicazione ha portato all'edificazione di un'area prima non edificata, e si attende di vedere se l'indennizzo per l'espropriazione, auspicabilmente maggiore, ora che il terreno è edificato, possa compensare la spesa di oltre 2 milioni di denari pubblici che è stata affrontata per la nuova costruzione  –:
          se sia a conoscenza della situazione testé descritta;
          se e quali iniziative sia in grado di promuovere per scongiurare l'ipotesi di abbattimento della costruzione di nuova edificazione di cui in premessa;
          se ritenga che Italferr spa, al fine della realizzazione del nuovo tracciato TAV Verona-Fortezza, ed in particolare per il tratto terminale a sud, Pescantina (Verona)-Verona, in caso di esproprio dell'immobile ove sorge l'edificio de quo, possa riconoscere l'indennizzo economico al proprietario commisurandolo al valore dell'attuale costruzione, anche nel caso si dovesse accertare che la concessione edificatoria sia stata rilasciata all'ATER di Verona, successivamente alla firma da parte del comune di Verona del protocollo con Rete ferroviaria italiana e regione Veneto. (5-04338)


      PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la Tirrenia taglia i servizi alla Sardegna e continuando a guadagnare a danno dei sardi;
          dichiara perdite per tagliare le tratte dell'isola e poi annuncia bilanci a gonfie vele;
          Governo e regione Sardegna non tengono conto delle disposizioni in tema di continuità territoriale;
          il Governo deve immediatamente chiarire perché ha giustificato la modifica della convenzione con i conti in rosso di Tirrenia;
          è un fatto di una gravità inaudita sul quale deve intervenire quanto meno la magistratura contabile;
          ad agosto 2014, quando il bilancio 2013 della Tirrenia non era stato ancora presentato, il Governo di Renzi dichiarava che la Tirrenia navigava in brutte acque e, se anche non esisteva ancora il bilancio 2013, bisognava soccorrere la compagnia con la modifica della convenzione;
          il risultato di questa operazione è stato, di fatto, tutto a favore della Tirrenia che oltre a continuare ad incassare dallo Stato 72 milioni di euro senza alcun controllo, dall'altra ha tagliato drasticamente i servizi per la Sardegna, isolando ancora di più il Sud dell'isola;
          un'operazione intervenuta tra il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con la partecipazione della regione, che accorda la modifica della convenzione con la giustificazione dei conti in rosso della compagnia;
          tutto questo deve essere immediatamente riesaminato;
          in Commissione trasporti della Camera era stata sostenuta la tesi dei conti in rosso e quindi con palesi e contradditorie informazioni rispetto a quello che si è verificato con la presentazione del bilancio Tirrenia 2013;
          il 7 novembre 2013 la Tirrenia aveva presentato istanza di attivazione della clausola di salvaguardia di cui all'articolo 9 della convenzione, che prevede che, fermo il guadagno di 72 milioni di euro, qualora si prospettino «scostamenti imprevedibili di carattere strutturale, in eccesso o in difetto» dei ricavi da attività in convenzione riconducibili a crisi settoriale o squilibri di mercato le parti prevedono un accordo per ripristinare le condizioni di equilibrio, fermi restando i lauti guadagni di Tirrenia;
          tutto questo quando il bilancio Tirrenia 2013 era sconosciuto;
          i Ministeri dichiaravano di voler procedere alla modifica richiesta nonostante il bilancio non fosse noto, fidandosi di Tirrenia;
          il risultato di questi ultimi giorni è di una gravità inaudita: la Tirrenia da una parte ha guadagnato sempre i 72 milioni di euro, ha inizialmente preannunciato di avere bilanci in rosso sulla convenzione, ha convinto regione e Ministeri a tagliare i servizi alla Sardegna e ora dichiara il bilancio in attivo;
          tutto questo è inaccettabile;
          a questo si aggiunge una gestione della Compagnia davvero poco chiara a partire dalla gestione dei noleggi;
          nei giorni scorsi i traghetti Espresso Catania ed Espresso Ravenna sono entrati in servizio fra Turchia ed Egitto mentre l'Aurelia passa temporaneamente ad Adria Ferries;
          nel contempo la Tirrenia ha noleggiato da Grimaldi due ro-ro che inserirà nell'Adriatico;
          secondo fonti interne due unità ro-pax Espresso Ravenna ed Espresso Catania sarebbero state cedute con un contratto di noleggio a tempo a una società pubblica egiziana (Triumph Shipping Company) che le impiegherà su una nuova linea fra il porto turco di Mersin e l'Egitto;
          la rata di nolo giornaliera, secondo fonti di mercato, dovrebbe aggirarsi intorno ai 12 mila dollari per nave;
          un'operazione di time charter che ha sollevato nei giorni scorsi l'attenzione dell'Unione sindacale di base, che aveva dato parere contrario alla bozza di accordo prospettata da Tirrenia CIN «di imbarcare, a bordo delle unità noleggiate su linee estere, personale marittimo straniero proveniente da Paesi della Comunità Europea»;
          il traghetto Aurelia, invece, è stato ceduto ad Adria Ferries fino al prossimo mese di gennaio;
          Tirrenia nel frattempo ha preso a noleggio da Grimaldi Group le due navi ro-ro Eurocargo Catania ed Eurocargo Sicilia, già operative sulla tratta Ravenna-Catania con scalo intermedio a Brindisi;
          all'interno di questo accordo Grimaldi ha chiesto e ottenuto che una parte dalla capacità di stiva delle due navi ro-ro le fosse riservata per i propri traffici di rotabili nell'Adriatico;
          tutto questo conferma il rischio evidente dell'aggiramento, che il sottoscritto interrogante ha più volte sostenuto, di quella clausola comunitaria che aveva impedito l'operazione iniziale di acquisto di Tirrenia da parte di una compagine composta da tutti gli armatori napoletani  –:    
          se non intenda urgentemente dare chiarimenti con riguardo ai conti della Tirrenia e alla grave modifica della convenzione a scapito della Sardegna e della continuità territoriale;
          se non intenda revocare la modifica della convenzione per assenza dei presupposti;
          se non intenda intervenire per l'abbattimento delle tariffe in merito alla diminuzione del costo del carburante;
          se non intenda ripristinare tutte le rotte e frequenze cancellate per comunicazioni che ad oggi non possono essere fondate;
          se non intenda far chiarezza e come i noleggi posti in essere dalla società Tirrenia abbiano inciso nei bilanci della continuità territoriale. (5-04343)

Interrogazioni a risposta scritta:


      RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la filiera del corriere espresso ha raggiunto in Italia un fatturato complessivo ragguardevole e comunque superiore ai 3,5 miliardi di euro, che gli ha permesso di essere l'unico comparto del settore autotrasporti a mantenere un trend di crescita positivo, con una posizione di tutto rispetto del 12 per cento nel PIL del nostro paese;
          non esistono dati attendibili sul numero degli addetti totali del settore, dagli operatori di facchinaggio, ai padroncini-autisti;
          il mercato è dominato da grandi gruppi nazionali multinazionali (Dhl express Italy, Sda Express courier, Tnt express Italy, Ups, Brt corriere espresso), che insieme assommano circa il 55 per cento del fatturato nazionale, mentre il restante è appannaggio di aziende private, piccole o medio-piccole;
          la stretta connessione con il settore dell’e-commerce, a sua volta in forte sviluppo, lascia prevedere significative possibilità di crescita per i prossimi anni;
          il settore è molto dinamico e caratterizzato dalla presenza di pochi player con grandi capacità finanziarie e di pianificazione, capaci di generare utili importanti tanto su scala globale, quanto in riferimento al mercato italiano;
          purtroppo il settore è penetrato da criminalità organizzata con finalità di riciclaggio di denaro sporco, usura e frode fiscale, nonché lavoro nero e sfruttamento di manodopera;
          l'organizzazione del servizio nel nostro Paese pare aver trovato la propria forma consolidata nell'esternalizzazione dei servizio di consegna a cooperative di ridotte dimensioni e capacità finanziaria, non censite e iscritte alle centrali cooperative e quindi facilmente sottraibili a verifiche, ispezioni e controlli;
          i contratti stipulati tra committenti e aziende cooperative avrebbero caratteristiche tali da renderli di fatto incompatibili con lo svolgimento del servizio secondo le prescrizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro di riferimento e i costi standard del settore trasporti, posto che trasformerebbero i rapporti instaurati tra cooperative e committenti in mere prestazioni di mano d'opera e/o appalto illecito, mancando gli stessi contratti dei contenuti essenziali per lo sviluppo e la libertà d'impresa, quali i volumi delle merci, del numero dei colli e merci movimentati, e non per ultimo il peso delle merci e colli movimentati, essenziali al fine di determinare tariffe, ricavi e costi per la gestione delle imprese cooperative;
          inoltre si verificherebbe l'eliminazione degli intermediari spesso presenti tra committenti e aziende cooperative, per avere nella filiera del settore controllo della legalità e il rispetto fiscale, retributivo e contributivo, consentendo royalty illegali e prive di logica;
          infine, sembra verificarsi nel settore il frequente ricorso ad un uso improprio della contrattazione di secondo livello, sempre più utilizzata a discapito del socio-lavoratore, e mai a discapito del mercato, delle multinazionali e dei committenti;
          appare pertanto opportuno che sia effettuata una attività di vigilanza sulla piena applicazione del CCNL di riferimento da parte delle aziende cooperative, e sia costituito un albo a livello regionale, provinciale e comunale di tutte le imprese che applicano a pieno il CCNL di riferimento, escludendo le altre aziende dalla partecipazione a gare, appalti e affidamenti diretti di servizi di logistica, facchinaggio e distribuzione merci  –:
          quali iniziative intenda assumere per verificare la correttezza delle procedure adottate nel settore, sia sotto il profilo del rispetto delle disposizioni dei contratti collettivi, sia con riferimento alla esternalizzazione dei servizi;
          quali iniziative di competenza anche normative, intenda assumere volte a tutelare gli addetti alla logistica e distribuzione delle merci, e a prevenire e contrastare le infiltrazioni della malavita nel settore. (4-07356)


      RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nella seduta di martedì 30 settembre 2014 il Consiglio dei ministri ha adottato, su proposta del Ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, il «Piano nazionale degli aeroporti»;
          la proposta contenuta nel «Piano» prevede la riduzione in Italia dai 112 aeroporti esistenti a 37, di cui 11 strategici e 26 nazionali, tra i quali figura anche quello di Crotone;
          il piano nazionale prevede un potenziamento di questi scali sia dal punto di vista delle infrastrutture sia per quanto riguarda l'accessibilità ad essi, ai fini del miglioramento sia della domanda sia della qualità dei servizi, e l'obbligo per le società di gestione di dimostrare il raggiungimento dell'equilibrio economico/finanziario in un arco temporale che è stato individuato in tre anni;
          inoltre, anche in considerazione del regolamento europeo «Orientamenti della Commissione europea sugli aiuti di stato agli aeroporti e alle compagnie aeree» del marzo 2014, lo scalo crotonese deve essere messo in grado di poter competere con gli altri scali nazionali anche dal punto di vista dei servizi e dei relativi costi, come ad esempio il costo del servizio ATC, ad oggi interamente a carico dell'aeroporto e che dovrà successivamente essere coperto interamente dall'ENAV, così come già accade in tutti gli altri scali nazionali, per evitare distorsioni nel mercato ed eventuali procedura d'infrazione da parte della Comunità europea;
          la società di gestione dell'aeroporto di Crotone aveva già richiesto con nota ufficiale del giugno 2013, al Ministero della infrastrutture e trasporti, all'ENAC e all'ENAV l'ampliamento del servizio ENAV da AFIS a ATC, richiedendo un incontro urgente al fine di proporre ai tavoli ministeriali competenti l'inserimento del servizio ATC nel contratto di programma Stato – Enav;
          la richiesta è stata ulteriormente ribadita con note del gennaio 2014 agli enti preposti, ma senza alcun esito;
          la società aeroporto S. Anna e le istituzioni locali, per non perdere la grande occasione dell'attivazione dei voli Ryanair, determinanti per far uscire definitivamente il territorio da quell'isolamento che ormai caratterizza il tessuto economico e sociale di Crotone, è stata costretta a sottoscrivere un contratto di natura privatistica e oneroso con ENAV, al pari di quanto già fatto per l'aeroporto di Comiso (anch'esso nel piano nazionale), certi che tale sforzo sarebbe sfociato, proprio come è stato per l'aeroporto di Comiso, in un impegno da parte del Ministero delle infrastrutture e trasporti alla copertura finanziaria dei servizi Enav a carico del contratto di programma già da quest'anno;
          il costo del servizio ATC è di centomila euro al mese, una spesa che – come è facile intuire – per una società che ha già problemi dal punto di vista economico e finanziario, tanto da aver già dovuto firmare con il tribunale un «concordato» per coprire i debiti passati, è un vero e proprio salasso che rischia di portare alla chiusura lo scalo crotonese, unica infrastruttura funzionante sulla fascia ionica, già penalizzata da Trenitalia con il taglio dei treni a lunga percorrenza e da un servizio viario che si basa solo sulla statale 106, la strada della morte (sono già 11 i morti nel 2014);
          peraltro, giova ricordare che la torre di controllo dell'aeroporto di Crotone è stata realizzata con fondi europei, con una spesa di circa venti milioni di euro, proprio con la finalità di creare il servizio ATC per lo stesso aeroporto  –:
          se sia informato dei fatti di cui in premessa e quali iniziative intenda assumere in merito, al fine di salvaguardare lo scalo crotonese e tutto il territorio.
(4-07357)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


      ANTIMO CESARO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il prefetto della provincia di Roma ha comunicato alla FAND – Fondazione accademia nazionale di danza, l'avvio di un procedimento di commissariamento della Fondazione medesima;
          nel fascicolo degli atti relativi al procedimento di commissariamento si rinvengono esclusivamente atti e note riguardanti il trasferimento della sede della FAND da Roma ad Augusta (trasferimento avviato a seguito di regolare delibera datata 11 settembre 2014 adottata dagli organi statutari della FAND) e le corrispondenti note tra prefettura di Siracusa e prefettura di Roma;
          occorre precisare che l'interrogante non riscontra alcuna delle condizioni, previste dall'articolo 25 del codice civile, che determinano il commissariamento prefettizio Fondazione, quali ad esempio:
              a) provvedere alla nomina e alla sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell'atto di fondazione non possono attuarsi;
              b) annullare, sentiti gli amministratori, le deliberazioni contrarie a norme imperative dell'ordinamento nazionale, all'atto di fondazione, all'ordine pubblico o al buon costume;
              c) sciogliere l'organo di amministrazione e nominare un commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto o dello scopo della fondazione o della legge;
              d) autorizzare le azioni contro gli amministratori per fatti riguardanti la loro responsabilità, esercitate dal commissario straordinario, dai liquidatori o dai nuovi amministratori;
          l'assenza delle condizioni che legittimano l'esercizio del potere di commissariamento ad avviso dell'interrogante configura l'avvio di tale procedimento come eccessivo, non fondato su presupposti oggettivi ed improprio;
          nel corso dell'attuale gestione dell'Accademia:
              a) è ripresa una significativa collaborazione con l'Accademia nazionale di danza – AND in occasione della XIII edizione del Premio Roma «Jia Ruskaja» 2014. Durante lo svolgimento del Premio suddetto si sono esibiti allievi dell'Accademia nazionale di danza che hanno ricevuto ben due premi della rassegna; il lavoro svolto ha ottenuto riconoscimenti da parte delle maggiori scuole di danza italiane (Milano, Roma, Napoli) ed internazionali (Mosca, New York, Copenaghen, Madrid, Amburgo, Avana);
              b) sono riprese a pieno sia le attività istituzionali della Fondazione, in ottemperanza alle indicazioni testamentarie della fondatrice, Eugenia Borissenko in arte Jia Ruskaja, sia le attività inerenti i centri di formazione e di riposo per gli artisti impegnati nelle arti coreutiche;
              c) si sta consolidando un'azione di difesa del patrimonio della Fondazione, nonostante il persistere di un forte indebitamento da imputare totalmente alla precedente gestione amministrativa;
          negli stessi giorni in cui è stato avviato il procedimento di commissariamento, la Fondazione accademia nazionale di danza, grazie alla sua meritoria attività nazionale ed internazionale, in occasione del premio «Jia Ruskaja», ha ricevuto non solo i complimenti del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, unitamente agli auguri per la prosecuzione della sua attività, ma soprattutto è stata insignita dal Presidente della Repubblica della medaglia al valore per i rapporti con la società civile; ne consegue che l'autorità amministrativa di vigilanza sta commissariando una Fondazione la cui attività è riconosciuta come fonte di lustro al nostro Paese dalle autorità poiltiche  –:
          quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati in merito alla vicenda esposta in premessa. (3-01236)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      IORI, MARCHI, FABBRI e ARLOTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella prima settimana di marzo 2014 il Ministero dell'interno ha sottoposto all'attenzione dei questori della Repubblica un progetto di razionalizzazione della dislocazione dei presidi di polizia sul territorio, in un'ottica di rivisitazione ed ottimizzazione dei commissariati di polizia di Stato (nelle sue quattro specialità: stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e delle stazioni del Corpo carabinieri e delle forze speciali a carattere sussidiario;
          nell'ambito di detta spending review è prevista la soppressione di ben 74 sezioni provinciali di polizia postale e delle comunicazioni, unica specialità addetta allo studio, repressione e contrasto dei reati commessi tramite la rete internet, in particolare a danno dei minorenni;
          nella sola regione Emilia Romagna verranno soppresse le sezioni di Ferrara, Forlì, Modena, Parma, Piacenza, Ravenna e Reggio Emilia. Quest'ultima sezione verrà chiusa già nei primi mesi del 2015;
          il rapporto di Inhope-International Association of Internet Hotlines rilevava nel 2010 ben 24.000 segnalazioni di siti contenenti immagini e video pedopornografici;
          il fenomeno dell'adescamento di minorenne di cui all'articolo 609-undecies c.p. perpetrato tramite l'utilizzo degli strumenti telefonici e telematici è in costante aumento ed a seguito della diffusione dei social network coinvolge vittime con fasce di età sempre più basse;
          tra il 1° aprile 2010 ed il 30 settembre 2011 grazie al lavoro della polizia postale e delle comunicazioni sono stati monitorati 31.432 siti sospetti. Solo nel corso del 2010 le operazioni sotto copertura hanno determinato l'apertura di 63 indagini con sottoposizione a provvedimenti restrittivi e alla denuncia di altre 582 persone per reati connessi alla pornografia minorile;
          la ricerca svolta nel febbraio 2014 da IPSOS per Save The Children su un campione di ragazzi dai 12 ai 17 anni mette in luce una diffusione capillare degli strumenti informatici fra i minori, oltre a rilevare che per ben il 72 per cento degli adolescenti il cyber bullismo è il fenomeno sociale più pericoloso del proprio tempo;
          l'indagine conoscitiva sulle condizioni dell'infanzia e dell'adolescenza di Telefono Azzurro ed Eurispes del 2012 evidenzia i pericoli e l'inadeguatezza della rete internet per i minorenni, riferendo un incremento delle denunce relative alla diffusione (minacciata o attuata) di foto e video «intimi» tramite le tecnologie informatiche ed i social network: un adolescente su 5 ha trovato online proprie foto imbarazzanti senza averne precedentemente autorizzato la pubblicazione. Più di un bambino su 4 (25,9 per cento) ammette di essersi imbattuto in pagine Internet contenenti immagini di violenza, il 16 per cento dei bambini ha trovato in rete immagini di nudo, il 13 per cento siti che esaltano la magrezza, il 12,2 per cento siti con contenuti razzisti. Inoltre, più di un bambino su 10 riferisce di aver trovato online sue foto private (12,4 per cento) o sue foto che lo mettevano in imbarazzo (10,8 per cento); l'8,3 per cento ha visto pubblicati in rete video privati, il 7,1 per cento rivelazioni su propri fatti personali, il 6,7 per cento video imbarazzanti in cui egli stesso era presente;
          la polizia postale e delle comunicazioni è l'unica specialità della polizia di Stato idonea a prevenire, contrastare e reprimere la diffusione delle pedopornografia e della pedofilia tramite la rete internet, la pubblicazione di contenuti inappropriati per minorenni, l'adescamento online, il cyberbullismo, le minacce, lo stalking, e le diffamazioni sulla rete, le truffe e la pirateria informatica, i furti di identità, il phishing e in ultimo la diffusione di virus, worm, trojan horses, spyware, e programmi concepiti per invadere, danneggiare, sottrarre e nei casi più estremi cancellare dati personali. In una società sempre più «informatizzata» tali crimini sono in costante aumento. L'evoluzione tecnologia, inoltre, ha portato e porterà in futuro, alla nascita di nuove fattispecie criminose attuate tramite la rete internet;
          in tale prospettiva la specialità della polizia postale e delle comunicazioni andrebbe implementata, dotata dei migliori e più avanzati mezzi tecnologici e potenziata. In particolare, non risponde ad una maggiore efficacia la soppressione delle sezioni presenti sul territorio, le quali, oltre alla prevenzione e al contrasto del fenomeno, attuano il rapporto diretto con il cittadino attraverso la quotidiana attività di front office per acquisire denunce, esposti e richieste di ogni genere;
          la polizia postale, oltre alla repressione ed al contrasto dei crimini perpetrati tramite la rete, attua un'attività di prevenzione e formazione, rivolta ai ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori italiane, per fornire agli studenti ed alle famiglie conoscenze idonee a garantire una navigazione in internet consapevole e sicura. Predispone altresì collaudati progetti di sensibilizzazione e formazione degli insegnanti circa i rischi e pericoli della rete e svolge workshop gratuiti presso le scuole che ne fanno richiesta;
          la razionalizzazione delle risorse umane, a cui è finalizzata detta chiusura, è inoltre vanificante in gran parte dell'esperienza e della professionalità acquisita nel corso degli anni dal personale specializzato delle sezioni di polizia, postale e delle comunicazioni destinate alla chiusura;
          sebbene il dipartimento di pubblica sicurezza abbia previsto la ricollocazione del personale di polizia postale e delle comunicazioni, presso gli uffici investigativi delle questure, per svolgere indagini in tema di reati informatici, rimane incomprensibile il sistema di direzione, coordinamento e aggiornamento del personale, in tali strutture non specializzate;
          le sezioni della polizia postale e delle comunicazioni sono sovvenzionate, ad eccezione che per gli stipendi, dalla società Poste Italiane spa, società privata che assume sul proprio bilancio tutti i costi di gestione che non vanno a gravare, conseguentemente, su quelli del Ministero dell'interno. La soppressione delle sezioni non produrrebbe dunque alcun beneficio economico per lo Stato. La chiusura comporterebbe, invece, un aggravio di spesa per dotare il personale trasferito di locali, computer, attrezzature tecnologiche ed informatiche, arredi, autovetture di servizio, ed ogni altro strumento necessario, il cui costo, ad oggi, è a carico della società privata Poste Italiane spa  –:
          se il Ministro non ritenga opportuno preservare le sezioni di polizia postale e delle comunicazioni, considerato che:
              a) il beneficio economico per lo Stato derivante dalle soppressioni di dette sezioni è irrisorio, stanti il sovvenzionamento di Poste Italiane e l'aggravio di spesa per dotare il personale trasferito nelle questure, di locali, attrezzature informatiche ed ogni altro strumento necessario;
              b) il depotenziamento di questa specialità, resa sempre più necessaria dal numero crescente di reati informatici commessi tramite la rete internet soprattutto a danno di minorenni, comporta una diminuita attività di contrasto, protezione e prevenzione. (5-04341)


      CARRESCIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          da qualche mese, nella città di Ancona e in provincia si registra un sensibile aumento della microcriminalità, in particolare di furti negli appartamenti, rapine e scippi;
          sempre più frequenti sono le intrusioni in appartamenti, i tentativi di truffa a danno di persone anziane, il furto di materiali dai cantieri, accattonaggio, risse, soprattutto fra immigrati o provocate dai medesimi;
          nella notte del 15 dicembre 2014 nel Palascherma di Jesi, dove sono cresciuti campioni e campionesse che hanno vinto Olimpiadi e campionati mondiali fra i quali Stefano Cerioni, Valentina Vezzali, Giovanna Trillini ed Elisa Di Francisca, ignoti ladri si sono introdotti all'interno dopo aver tagliato la recinzione metallica e infranto un lucernaio e non avendo trovato niente di valore, hanno dato fuoco all'archivio del Club Scherma che contiene documenti che narrano la storia della più medagliata società italiana in questo sport;
          danneggiamenti, intrusioni, atti di vandalismo, per poi arrivare ai veri e propri casi di furti piccoli e grandi o di rapine, sono una realtà tristemente all'ordine del giorno per un crescente numero di privati e aziende;
          la diffusa mancanza di sicurezza rischia di minare alla base, in una fase già di per sé di fortissima crisi, questa situazione, inedita per la realtà marchigiana e sta creando uno stato di forte disagio e di insicurezza nella popolazione e di sfiducia verso le Istituzioni;
          oltre che nel comune capoluogo il fenomeno riguarda la Vallesina ed il senigalliese, territori nei quali, oltre che il citato episodio del Palascherma di Jesi, in alcuni comuni come Santa Maria Nuova, Maiolati Spontini, San Marcello, Castelbellino, Staffolo, Cupramontana, San Paolo di Jesi, Belvedere Ostrense, Senigallia, Trecastelli e altri si va diffondendo una situazione di insicurezza dovuta sia a situazioni di illegalità legate ad abusivismo commerciale, immigrazione clandestina, traffico di droga, stanziamenti abusivi di nomadi, sia alle gravi carenze di risorse a disposizione delle forze dell'ordine, umane, materiali e logistiche;
          più volte, in questo ultimo periodo la recrudescenza dei reati in alcuni comuni della provincia di Ancona è stata, grazie alla sensibilità e all'attenzione della locale prefettura, portata all'esame del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica che ha preso atto della ricorrenza di reati di natura predatoria, soprattutto furti, in particolare presso abitazioni in alcune zone della provincia e della conseguente preoccupazione dei cittadini derivante dalla concentrazione di tali reati in un breve lasso di tempo e dalle modalità di insolita audacia;
          per rassicurare i cittadini risulta che la stessa prefettura abbia disposto l'intensificazione della vigilanza sul territorio e incontri informativi delle forze di polizia con i cittadini per rafforzare la vicinanza con la comunità locale anche attraverso suggerimenti sui comportamenti da tenere per prevenire e ostacolare reati predatori;
          il fenomeno delinquenziale ha finito, però, per spostarsi in altri comuni assumendo una preoccupante diffusione che va stroncata con interventi urgenti di prevenzione e l'inasprimento delle pene  –:
          se i Ministri interrogati ritengano di dover implementare l'organico delle forze dell'ordine ed in particolare di polizia e carabinieri in provincia di Ancona;
          se ritengano di dover rafforzare le misure di sicurezza nel capoluogo e negli altri comuni della provincia di Ancona che, in più occasioni, di recente sono stati teatro di atti criminosi ai danni dei cittadini;
          se ritengano opportuno intensificare con urgenza, nei comuni interessati, specifici servizi esterni di pattuglia e perlustrazione delle forze dell'ordine, con compiti di prevenzione e repressione, ed intensificare le iniziative per l'applicazione delle misure di prevenzione personali (fogli di via obbligatori, avvisi orali e di sorveglianza speciale di P.S.);
          quali ulteriori iniziative intendano assumere per ridurre l'allarme sociale che si sta diffondendo nella comunità provinciale. (5-04342)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BORGHESI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          a livello europeo il settore armiero è stato recentemente disciplinato con l'adozione del regolamento (CE) n.  258/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 2012, emanato con l'intento di armonizzare le normative dei singoli Stati dell'Unione;
          a causa di un recepimento troppo restrittivo delle nuove normative europee, la già complessa istruttoria aziendale delle pratiche è passata dalle 16 pagine alle attuali 86 pagine, caricando di ulteriore lavoro gli uffici delle questure e del Ministero dell'interno e paralizzando di fatto l'attività di export dell'intero comparto con conseguenti danni economici e finanziari per le imprese che rischiano di portare alla chiusura delle stesse e alla perdita di numerosi posti di lavoro;
          in altri Stati europei, l'applicazione del regolamento 258/2012 pare non sia stata così immediata e restrittiva, aumentando dunque il grado di disparità di trattamento delle imprese armiere all'interno dei Paesi dell'Unione europea;
          in Italia, a differenza di altri Paesi dell'Unione europea, non vi è una lista di Paesi «Black list» verso i quali è fatto divieto esportare ma serve presentare per ogni singola operazione un'apposita istanza, il potenziale cliente deve poi spedire la licenza di importazione dopodiché occorre attendere ogni volta il permesso delle autorità italiane solo per sapere se è possibile oppure no la spedizione in quel Paese. Tutte le procedure non sono svolte on-line ma su supporto cartaceo con conseguenti aggravi di costi. Benché il regolamento europeo preveda la possibilità di chiedere «open licence» valide per più clienti e per più quantitativi, la normativa italiana non ha recepito tale opportunità e permette al massimo licenze multiple valide solo per un solo destinatario  –:
          se ed in che modo il Ministro intenda assumere iniziative per modificare la normativa di attuazione del regolamento comunitario in questione al fine di permettere l'attività di export alleggerendo oneri e gravami burocratici che da diversi mesi stanno danneggiando pesantemente le imprese armiere rischiando di comprometterne la produzione ed i livelli occupazionali. (4-07347)


      RICCIATTI, LUCIANO AGOSTINI, LODOLINI, FAVA e QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 18 dicembre 2014 diverse testate, tra le quali Il Corriere Adriatico, Il Messaggero e Il Resto del Carlino, riportano la notizia di un nuovo caso accertato — e di particolare gravità — di infiltrazioni della ‘Ndrangheta nella regione Marche;
          il caso specifico, localizzato nella cittadina di Porto Sant'Elpidio (Fermo), riguarda la conclusione di una indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, che ha portato all'arresto di Davide Carrozzo, calabrese d'origine e residente nella città marchigiana, dedito, secondo l'accusa, al traffico di sostanze stupefacenti per conto della cosca;
          all'indagato viene contestato anche il reato ex articolo 416-bis codice penale;
          l'area della provincia di Fermo risulta essere particolarmente interessata da fenomeni di infiltrazione criminale, in particolar modo di stampo ‘ndranghetista;
          dalle prime informazioni disponibili, anche in questo caso si delinea lo scenario, più volte segnalato e denunciato dall'interrogante al Ministro interrogato, che vede un crescente controllo delle mafie sulle attività economiche del territorio, nonché il coinvolgimento diretto nelle attività criminali di diversi imprenditori;
          secondo quanto riporta la stampa, infatti, dall'indagine, «emerge uno spaccato di vita criminale fatto di imprenditori che facevano parte della criminalità organizzata»;
          uno scenario preoccupante che non riguarda solo le classiche attività criminali dei traffici illegali di sostanze stupefacenti, armi o prostituzione, quindi, ma anche la penetrazione in attività economiche legali;
          tali infiltrazioni, per il loro grado di intensità e crescente diffusione, minano pericolosamente il sistema economico della regione, anche per gli effetti indiretti legati alla concorrenza con le imprese «sane»  –:
          considerata la frequenza con la quale si apprende di eventi legati ad attività di infiltrazioni criminali nel tessuto economico marchigiano, quali misure il Ministro interrogato abbia intrapreso e intenda attuare sul piano della prevenzione, per contrastare il radicamento di tale fenomeno. (4-07352)


      NESCI, DADONE, NUTI, D'UVA e PARENTELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          come già scritto nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-06982 presentata nella seduta 336 del 21 novembre 2014 risulta che le cosche della ’ndrangheta cosentina, lametina e crotonese avessero progettato un attentato nei confronti di Pierpaolo Bruni, pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro;
          secondo quanto ricostruito dal quotidiano La Gazzetta del Sud nell'edizione del 18 novembre 2014, «l'uomo, pur essendo recluso, sarebbe stato informato dai “compari” rimasti in libertà che il magistrato viaggia a bordo di una Bmw 320 blindata di colore grigio, protetto solo da due guardie del corpo. E che il punto ideale per colpirlo sarebbe una galleria posta lungo la superstrada che attraversa la Sila. Una galleria nei cui pressi vi sarebbero installate delle telecamere. Di più. Il detenuto avrebbe inoltre rivelato che il pm Bruni è da tempo pedinato e questa circostanza spiegherebbe la precisione delle informazioni assunte dalle cosche in merito al dispositivo di sicurezza messo in piedi per proteggerlo»;
          non è questo, peraltro, nemmeno il primo tentativo di attentato mortale di cui è vittima il pubblico ministero Bruni: come denunciato dalla scrivente in una precedente interrogazione la n.  4-04322, nella notte tra il 16 e 17 marzo 2014 l'autovettura del padre del magistrato, parcheggiata in prossimità dell'abitazione di famiglia, è stata prima manomessa e poi spostata in una zona a rimozione forzata, per poi essere ritrovata bruciata nelle campagne di Isola Capo Rizzuto;
          come denunciato da L'Espresso in un articolo del primo dicembre dal titolo «Il PM a rischio protetto meno di un Ministro», soltanto pochi giorni dopo la notizia di morte succitata, «per disposizione della prefettura di Crotone è stata rimossa la videosorveglianza davanti casa del magistrato che dal 2007 faceva da scudo alla sua abitazione. La motivazione ufficiale è che il rischio si è ridimensionato»;
          la rimozione del circuito di videosorveglianza appare agli odierni interroganti totalmente illogica ed estremamente pericolosa;
          la deputata Dalila Nesci, peraltro, ha telefonato personalmente al prefetto, dottoressa Maria Tirone, e in seguito, esattamente il 3 dicembre 2014, ha incontrato il viceministro dell'interno Filippo Bubbico, nel tentativo di promuovere la risoluzione delle vicenda della videosorveglianza del magistrato Bruni, assolutamente paradossale e inspiegabile;
          ciononostante, il circuito di videosorveglianza presso l'abitazione del pm non è stato ancora ripristinato;
          il prefetto Tirone di lì a poco veniva trasferito a Foggia, come deliberato dal Consiglio dei ministri n.  41 del 12 dicembre 2014 e al suo posto, per la prefettura di Crotone, è stato inviato il prefetto Vincenzo De Vivo, proveniente dalla prefettura di Oristano;
          secondo quanto risulta agli interroganti, tale movimento di prefetti risulta essere una decisione premiale nei confronti della stessa dottoressa Tirone, la quale aspirava a spostarsi nella città foggiana;
          non sfugge all'attenzione degli interroganti, peraltro, che la nomina del prefetto Tirone a Foggia suona strana, anche perché avviene proprio a ridosso della visita del Ministro Angelino Alfano nella città pugliese (il 18 dicembre), «anche se — come osserva il quotidiano Il Mattino di Foggia — il mandato della Latella (Luisa, trasferita a Catanzaro, nda) era ormai in scadenza»;
          la questione è molto delicata perché dietro alla notizia dell'attentato di morte per Pierpaolo Bruni ci potrebbero essere anche gli intrecci politico-mafiosi su cui il pm sta conducendo indagini e che riguarderebbero, stando a Il Corriere della Calabria, esponenti politici di spicco del Pdl;
          come infatti ricostruisce Paolo Polichieni su Il Corriere della Calabria, «c’è il troncone mafia-politica dell'operazione “Vulpes”. Ci sono gli “omissis” che coprono i nomi di tre storici esponenti politici di primissimo piano di Cosenza. C’è il timore delle cosche di non poter procedere ad una riorganizzazione del proprio assetto verticistico, faticosamente raggiunto in quel di Cosenza dopo la bufera seguita alle rivelazioni del boss pentito Franco Pino. C’è un sacco di robaccia, insomma, nello scenario al quale lavorano febbrilmente in queste ore i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Cosenza per venire a capo del progettato attentato in danno del pm Pierpaolo Bruni. Progetto che si porta dietro anche grande allarme per la sicurezza di un altro pubblico ministero della Dda catanzarese, assai esposto sul fronte cosentino: Vincenzo Luberto»;
          altro pubblico ministero in questi giorni bersagliato da pesanti minacce mafiose e impegnato, anche lui, nella lotta alla ’ndrangheta e ai legami di questa con la politica, è Giuseppe Lombardo, procuratore della Dda di Reggio Calabria;
          lo stesso Lombardo ha parlato di «sciame intimidatorio di cui sono oggetto in queste ultime settimane», ma «tutto questo, in ogni caso, non servirà certamente ad interrompere il lavoro in cui è impegnata la Procura distrettuale di Reggio Calabria»;
          l'ultimo episodio è avvenuto il 2 dicembre 2014 ma reso noto il 17 dello stesso mese: una telefonata anonima arrivata alla Guardia di finanza in cui la voce di «un uomo che parla con calma, con freddezza, scandendo bene le parole in Italiano corretto e quasi senza accento» dice: «Siamo pronti ad ucciderlo»;
          anche Lombardo non è nuovo a tali pesanti minacce: il 28 novembre era arrivata un'altra telefonata anonima, sempre dallo stesso contenuto intimidatorio. Nel 2013 erano venute fuori delle intercettazioni di alcuni familiari di esponenti di vertice del clan Labate nelle quali gli interlocutori dicevano «A quello prima lo spariamo è meglio è». E «Quello» era proprio Lombardo. Successivamente era stata la volta di un pacco spedito al pm nel quale si parlava per la prima volta di «200 chili di esplosivo» pronti all'uso;
          tra le tante indagini che Lombardo ha in mano, anche quelle che ruotano intorno all'asse Amedeo Matacena e Claudio Scajola  –:
          se non ritenga urgente e improrogabile il ripristino del circuito di videosorveglianza presso l'abitazione del dottor Bruni;
          quali siano i motivi per cui è stato disposto il trasferimento del prefetto Maria Tirone a Foggia, scelta che, per quanto detto in premessa, appare un'evidente promozione, nonostante la decisione che gli interrogati giudicano illogica di rimuovere la videosorveglianza al pubblico ministero Bruni, proprio all'indomani della notizia del progetto di morte contro di lui;
          quali siano le misure attualmente previste per garantire l'incolumità al dottor Lombardo e ai suoi familiari e se non ritenga di aumentare le misure di protezione attualmente predisposte, per assicurare al magistrato e ai suoi familiari la massima incolumità e sicurezza, affinché lo stesso svolga nelle migliori condizioni possibili il proprio delicatissimo lavoro. (4-07360)


      AIRAUDO, FRATOIANNI, QUARANTA, COSTANTINO e PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          i centri di identificazione ed espulsione, nonostante rappresentino una abnormità giuridica, rappresentando un sistema di detenzione amministrativa che sanziona con la restrizione della libertà personale mere irregolarità amministrative – peraltro nei fatti dimostratisi luoghi degradanti per la dignità umana, oltre che inefficaci, sono ancora presenti nel nostro ordinamento e sul territorio;
          sulla delicatissima questione è urgente un intervento del legislatore, e al riguardo un ramo del Parlamento ha già approvato un provvedimento recante l'istituzione di una Commissione di inchiesta parlamentare sui CIE, CDA e CARA, rispetto al quale sin da inizio legislatura era stata presentata una proposta di legge dal gruppo «Sinistra Ecologia Libertà»;
          uno dei quattro centri italiani ancora aperti sui tredici esistenti è quello di Torino, caratterizzato da enormi problemi e recante da anni continui disagi ai residenti di corso Brunelleschi e dintorni, per le rivolte e le manifestazioni di protesta organizzate fuori dai cancelli della struttura;
          in una recentissima visita al CIE di Torino, effettuata da parlamentari, amministratori locali e consiglieri regionali di «Sinistra Ecologia Libertà», è stata riscontrata la presenza di 24 persone, tutte di sesso maschile, a fronte dei 210 posti letto;
          quelli utilizzabili, infatti, sono 21 nei dormitori e 3 nell'infermeria; i restanti sono inagibili per motivi di sicurezza in quanto, a seguito delle rivolte, gran parte delle aree sono state bruciate e rese inutilizzabili;
          l'ampliamento effettuato tre anni fa, e che ha portato la struttura alla capienza menzionata di 210 posti, è costato allo Stato ben 14 milioni di euro;
          tale spesa, se parametrata ai soli 24 posti agibili, nei fatti si quantifica in 583 mila euro a posto letto;
          tali cifre risultano abnormi, considerando che nella metà dei casi la detenzione si rivela inutile ai fini dell'identificazione del trattenuto;
          per quanto le persone attualmente detenute siano un decimo di quelle previste, il personale (attualmente composto in gran parte da operatori della Croce Rossa Italiana), le forze dell'ordine e i militari presenti a turno raggiungono oltre 40 unità;
          la Croce Rossa ha svolto fino al mese corrente il ruolo di «full service», gestendo dalla mensa alla pulizia, dall'avvocatura alla consulenza medica e psicologica; la Croce Rossa rilascia 3,5 euro al giorno a ospite (usati per lo più per tabacco e telefonate);
          la nuova gara ha assegnato la gestione «full service» dall'inizio del prossimo anno ad una cooperativa;
          dagli ultimi riscontri, risulta inoltre che un trattenuto su tre usi ansiolitici e antidepressivi;
          da molti giorni, peraltro, la caldaia del centro è guasta; mentre l'inverno si fa più rigido, 24 persone, detenute per il solo fatto di non essere ancora state identificate, si trovano dunque al freddo insieme agli addetti e agli operatori del centro;
          il malfunzionamento della caldaia era stato segnalato dalla Croce Rossa alla prefettura di Torino già la scorsa estate e si è ripresentato da 15 giorni, fino al guasto definitivo;
          successivamente, la ditta competente è finalmente intervenuta per mettere in pressione la pompa di calore;
          la sostituzione della caldaia, dal recente sopralluogo effettuato da rappresentanti istituzionali di SEL, risulta programmata nei prossimi giorni;
          aver lasciato i cosiddetti «ospiti» del centro nelle condizioni precarie e malsane illustrate, e costretti a dormire per una settimana con le giacche e a non potersi fare la doccia, è assolutamente inaccettabile;
          investire ulteriori risorse in tale struttura, per rimetterla a norma e per aumentare nuovamente i posti letto sarebbe un gravissimo errore politico, oltre che uno spreco di risorse pubbliche;
          al fine di gestire l'identificazione di queste persone, è possibile individuare rimedi più semplici, più dignitosi e meno dispendiosi;
          la maggior parte delle persone attualmente rinchiuse nel centro ha già scontato una pena detentiva e, nonostante ciò, non è stata identificata durante il periodo di detenzione perché la procedura non lo prevede; ciò significa nei fatti un prolungamento illegittimo della pena;
          peraltro, le alternative alla detenzione amministrativa, che gli interroganti ribadiscono essere assolutamente illegittima, possibile, a partire innanzitutto dalla puntuale e corretta applicazione della Direttiva 2008/115/CE (cosiddetta «direttiva rimpatri») e comunque improrogabile riforma complessiva del testo Unico Immigrazione (decreto legislativo 286 del 1998);
          sono urgenti una modifica del sistema degli ingressi, delle procedure di identificazione, della disciplina del soggiorno e delle espulsioni, una corretta applicazione della normativa europea sull'accoglienza che innalzi gli standard attualmente praticati, una riforma della legge sulla cittadinanza, una legge per l'introduzione del diritto di voto amministrativo, una legge organica sul diritto di asilo  –:
          quali siano gli intendimenti del Ministro riguardo a quanto rappresentato in premessa;
          se non ritenga ormai improcrastinabile provvedere alla chiusura del centro di identificazione ed espulsione di Torino;
          considerato che la struttura è senza riscaldamento, quali misure immediate intenda adottare al fine di provvedere alla cura e all'incolumità delle 24 persone, attualmente trattenute al freddo nel CIE di Torino;
          se, più in generale, non valuti che i centri di identificazione ed espulsione siano un'esperienza fallimentare, oltre che illegittima, e vadano superati e tutti chiusi al più presto;
          quali siano i suoi orientamenti un superamento della legge n.  189 del 2002, (legge Bossi-Fini) teso a garantire che ogni forma di limitazione della libertà personale degli stranieri debba essere conforme alla riserva di giurisdizione prevista dall'articolo 13 della Costituzione, e dunque che ogni competenza in materia spetti non più al giudice di pace, ma al tribunale in composizione monocratica, al pari di ogni altra questione inerente alla restrizione delle libertà fondamentali. (4-07366)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


      CIRACÌ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'Accademia nazionale di danza (AND) è una istituzione di alta cultura per lo studio delle discipline coreutiche, inserita nel compartimento dell'AFAM – alta formazione artistica, musicale e coreutica dal 1999 – di importanza e prestigio che non hanno eguali sul territorio nazionale, essendo l'unica istituzione pubblica in grado di rilasciare in materia, in Italia, diplomi accademici di I e II livello equipollenti alla laurea universitaria;
          nel novembre del 2013 il Ministro pro tempore Carrozza procedette al commissariamento dell'Accademia nazionale di danza (AND) per le gravi irregolarità gestionali e per il clima di tensione nel corpo docente e tra gli studenti, derivante dal progressivo degrado dell'Istituzione. Il suddetto Ministro nominò come commissario pro tempore il Maestro Bruno Carioti, un musicista che per 15 anni è stato direttore del Conservatorio dell'Aquila, presidente della Conferenza dei direttori dei conservatori di musica italiani, e, lo scorso anno, tra gli aspiranti che si contendevano la direzione del Conservatorio di Santa Cecilia di Roma; è comunque di tutta evidenza che non si tratta di un tecnico del settore della danza;
          il mandato del Commissario Carioti è scaduto il 31 ottobre 2014 e fino al 15 dicembre 2014 è rimasto in regime di prorogatio di 45 giorni come previsto dalla legge vigente;
          anche a seguito di alcuni atti di sindacato ispettivo il capo dipartimento Afam, Marco Mancini, al Commissario Carioti l'avvio del procedimento elettorale per il ritorno alla normalità;
          nei giorni successivi il commissario Carioti ha predisposto un regolamento elettorale come indicato dal decreto del Presidente della Repubblica n.  132 del 2003 che prevede, tra le altre cose, i requisiti richiesti per la candidabilità. Infatti lo statuto dell'Accademia è carente di tali requisiti e rimanda appunto al decreto del Presidente della Repubblica n.  132 del 2003, articolo 6, che, al comma 2, recita: «Il direttore è eletto dai docenti dell'istituzione, nonché dagli assistenti, dagli accompagnatori al pianoforte e dai pianisti accompagnatori, tra i docenti, anche di altre istituzioni, in possesso di particolari requisiti di comprovata professionalità stabiliti con il regolamento di cui all'articolo 2, comma 7, lettera a), della legge. In sede di prima applicazione e fino all'adozione del predetto regolamento, i requisiti sono stabiliti dallo statuto, con riferimento all'esperienza professionale e di direzione, acquisite anche in ambiti multidisciplinari ed internazionali». Il testo si riferisce quindi alla legge 21 dicembre 1999, n.  508, che prevede, oltretutto, che il regolamento venga emanato dal Ministro, approvato dal Consiglio dei ministri e firmato dal Capo dello Stato;
          il commissario, nello stilare il regolamento oltre a non rispettare di fatto il passaggio procedurale come descritto dalla legge n.  508 del 1999; non prevede una specifica provenienza per il futuro direttore dal settore coreutico;
          pertanto, uno dei docenti candidati, Joseph Fontano, ha presentato una diffida appigliandosi alla legge istitutiva dell'Accademia ovvero il decreto legislativo n.  1236 del 1948, confermato con il decreto legislativo n.  179 del 1o dicembre 2009, il cosiddetto «Taglia Leggi» del ministro pro tempore Calderoli. Si tratta di una legge tuttora vigente in cui vengono espressamente indicati i requisiti per il direttore all'articolo 6: compositrice di danza di riconosciuto valore;
          nonostante questo il commissario Bruno Carioti è stato eletto direttore dell'Accademia nazionale di danza con ben 61 voti su 82;
          il docente Fontano ha presentato ricorso al Tar in merito all'esito elettorale, adducendo come motivazione il fatto che, in base alla legge istitutiva, il direttore dovesse essere un coreografo di danza;
          in data 28 novembre 2014 il Tar ha ordinato la sospensione delle operazioni di voto che hanno decretato il commissario Carioti come nuovo direttore dell'Accademia nazionale di danza e ha rimandato l'udienza di trattazione del merito all'8 aprile 2015;
          il Tar ha considerato non superata la legge istitutiva del 1948 che prevedeva alla direzione una figura femminile esperta in composizione della danza e reclutata attraverso pubblico concorso  –:
          se non ritenga opportuno intervenire con immediatezza in relazione alle vicende dell'Accademia dal momento che il direttore eletto è stato sospeso e il commissario ha terminato il suo mandato anche in regime di prorogatio e de facto da alcuni giorni l'Accademia è senza una guida con gravi conseguenze sulla didattica e sull'ordine interno, tanto che gli alunni sono in autogestione e i docenti hanno proclamato lo stato di agitazione;
          se non ritenga opportuno avviare un'accurata verifica sulla gestione commissariale degli ultimi 12 mesi dell'Accademia nazionale di danza dal momento che appare evidente che ci sono stati fatti a giudizio dell'interrogati di dubbia regolarità quando invece il commissario era stato incaricato, proprio di sanare le irregolarità gestionali. (4-07365)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GIACOBBE, MAESTRI e GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 20 novembre 2014 tra ANAPA (Associazione nazionale agenti professionisti di Assicurazione) e UNAPASS (Unione nazionale agenti professionisti di Assicurazione) le organizzazioni sindacali Fiba-Cisl, Fisac-CGIL, FNA, UILCA è stato sottoscritto l'accordo per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro dipendenti di agenzia di assicurazione, contratto che riguarda circa 50.000 lavoratori e lavoratrici, che operano in aziende di piccola e piccolissima dimensione;
          il Sindacato nazionale agenti di assicurazione SNA, che aveva partecipato alla trattativa per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro 2005-2008, sfociata nella stesura e nella sottoscrizione del contratto collettivo nazionale di lavoro 2009-2011, non aveva ratificato quest'ultimo, continuando a far applicare ai propri iscritti il contratto collettivo nazionale di lavoro 2005-2008;
          ciò aveva determinando in sostanza nel settore la vigenza di due contratto collettivo nazionale di lavoro: il contratto collettivo nazionale di lavoro 2005-2008 tra SNA, UNAPASS e organizzazioni sindacali, (Fiba-Cisl, Fisac-CGIL, FNA, UILCA) ed il contratto collettivo nazionale di lavoro 2009-2011 tra SNA (che non ratifica), UNAPASS e organizzazioni sindacali (Fiba-Cisl, Fisac-CGIL, FNA, UILCA);
          nel corso del 2012 e del 2013 si sono svolti incontri tra il gruppo dirigente dello SNA e le organizzazioni sindacali per risolvere la vertenza, senza però che si verificassero risultati concreti;
          nel frattempo, a novembre 2012, veniva costituita la nuova associazione datoriale ANAPA, su iniziativa dei maggiori gruppi agenti e agenti fuoriusciti dallo SNA;
          a luglio 2013 le organizzazioni sindacali hanno inviato la piattaforma di rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro, scaduto il 31 dicembre 2011, a tutte le controparti ANAPA, SNA e UNAPASS, ma solo ANAPA e UNAPASS hanno partecipato al negoziato, sfociato poi nell'accordo di rinnovo sottoscritto lo scorso 20 novembre;
          qualche giorno prima della sottoscrizione di tale nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro 2012-2015, lo SNA ha sottoscritto un diverso accordo, stipulato con Fesica e Fisals aderenti alla Confsal; organizzazioni sostanzialmente esterne al settore assicurativo e che non risulterebbero avere alcuna rappresentatività dei lavoratori del comparto;
          lo SNA ha diffuso, subito dopo la sottoscrizione di quell'accordo, la notizia che la Sen.  Vicari, Sottosegretario allo sviluppo economico, avrebbe apprezzato le novità incluse nel contratto;
          secondo le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori del settore i contenuti di questo accordo, se venissero applicati, creerebbero una situazione di dumping sociale e contrattuale molto grave. L'accordo sembra effettivamente contenere una serie di previsioni peggiorative rispetto alla condizione pregressa, sia dal punto di vista economico, che normativo, che relativamente a diritti fondamentali dei lavoratori e lavoratrici;
          inoltre il contratto sottoscritto da FIBA FISAC FNA UILCA con ANPA e UNAPAS deriva da precedenti contratto collettivo nazionale di lavoro rispetto ai quali costituisce necessaria continuità, a differenza dell'accordo tra SNA e categorie della CONFSAL;
          le organizzazioni-maggiormente rappresentative dei lavoratori del settore hanno richiesto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, svolte le opportune verifiche, di intervenire per evitare il riconoscimento dell'accordo sottoscritto da SNA e Fesica Confsal/Fisafs Confsal  –:
          se il Ministro intenda affrontare il problema che si è generato nel settore delle agenzie dell'appalto assicurativo, alla luce delle vicende contrattuali che sono state descritte, che sono destinate, tra l'altro, a generare un diffuso contenzioso;
          se non ritenga che anche questa vicenda indichi la necessità di affrontare il tema della verifica della rappresentatività delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese, per garantire regole democratiche nell'esercizio delle relazioni sindacali ed efficacia ai contratti stipulati tra le stesse posto che sono state depositate apposite proposte di legge di iniziativa parlamentare nelle precedenti e nella presente legislatura. (5-04339)


      MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          Refresco è uno dei principali gruppi industriali europei nel campo dell'imbottigliamento di bevande analcoliche e succhi di frutta a marchio commerciale. Le competenze principali del gruppo sono la produzione di una vasta gamma di combinazioni di prodotti e imballaggio nel settore soft drinks e il co-sviluppo di nuovi prodotti. Refresco è stata fondata nel 2000 e ha siti di produzione in 9 Paesi europei. Il gruppo impiega circa 3.000 persone. La sede centrale è a Rotterdam, nei Paesi Bassi;
          il gruppo in Italia opera tramite la controllata Spumador spa la quale impiega circa 440 dipendenti nei cinque stabilimenti produttivi di Caslino al Piano (CO), Spinone al Lago (BG), Quarona Sesia (VC), Sant'Andrea (PR) e Sulmona (AQ);
          l'11 novembre 2014, l'azienda ha comunicato ai propri dipendenti la volontà di cessare la produzione a Sant'Andrea Bagni (Medesano-Parma). Dopo un incontro con i sindacati la fine delle attività produttive, inizialmente indicata entro dicembre 2014, è stata posticipata alla fine della stagione estiva 2015. Mentre continuano le trattative sindacali per garantire ai lavoratori gli ammortizzatori sociali (48 lavoratori a tempo indeterminato a cui si aggiungono circa 25 lavoratori stagionali, con contratti dai 6 agli 8 mesi), l'azienda si è detta disponibile alla ricollocazione del 20 per cento dei lavoratori negli altri stabilimenti, in particolare a Como e Sulmona;
          lo stabilimento di Sulmona (AQ), ex sito produttivo di Campari, è stato acquisito da Spumador nel novembre 2011. Secondo i lavoratori e i rappresentanti sindacali, la chiusura dello stabilimento di Sant'Andrea Bagni (PR) sarebbe la diretta conseguenza di alcuni importanti investimenti effettuati dall'azienda — che avrebbe beneficiato per questo anche di contributi ed incentivi pubblici — nello stabilimento di Sulmona dove si punterebbe ad estendere la produzione anche alle acque minerali;
          la chiusura dello stabilimento Spumador sito nel comune di Medesano avrà conseguenze molto negative per il territorio circostante e l'occupazione, in particolare per la zona appenninica delle valli Taro e Ceno anche in conseguenza della cessazione della produzione, già registrata nei mesi scorsi, nello stabilimento di Felegara del consorzio Casalasco del Pomodoro  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle intenzioni della Spumador spa in particolare con riferimento alla paventata chiusura dello stabilimento di Sant'Andrea Bagni nel comune di Medesano (Parma), e di quali azioni intenda farsi promotore al fine di salvaguardare il livello occupazionale di un territorio già profondamente segnato dalla crisi anche in conseguenza della chiusura dello stabilimento di Felegara del consorzio Casalasco del Pomodoro;
          se, come sostenuto dai lavoratori e rappresentanti sindacali, nello stabilimento di Sulmona sarebbero stati effettuati importanti investimenti che avrebbero goduto di specifici incentivi e agevolazioni fiscali tali da configurare ad avviso dell'interrogante un vero e proprio dumping tra i due siti produttivi. (5-04340)


      RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          Capitale Lavoro spa – società unipersonale della provincia di Roma (proprietà al 100 per cento dell'ente) – ha un capitale sociale di euro 2.050.000,00 con oltre 300 dipendenti, di cui 240 lavoratori vengono impegnati sulla commessa Sispi VII (servizi per l'impiego);
          i lavoratori in questione dal 2003/2004 prestano servizio nei Servizi per l'impiego senza interruzione attraverso contratti di servizio continuativi. Dal 2007/2008 sono impiegati con contratto a tempo indeterminato del CCNL commercio. Formalmente la funzione di tali lavoratori è quella di supporto al personale della provincia di Roma. Tuttavia, in concreto, come confermato documentalmente, sono da oltre 11 anni in sostituzione di personale; difatti, svolgono le stesse mansioni dei colleghi provinciali;
          complessivamente, Capitale Lavoro presenta un costo di finanziamento attuale (2014) di 23.009.289,46, euro di cui 8.200.000 euro destinato al supporto ai servizi per l'impiego. Dei 23.009.289,46 euro, circa 12 milioni costituiscono il costo del personale della società Capitale Lavoro;
          il 1o gennaio del 2015 si prevede il passaggio in proprietà di Capitale Lavoro alla Città metropolitana di Roma Capitale;
          per quanto concerne la riforma sul lavoro in essere, in base ai criteri della legge delega approvata il 10 dicembre 2014, n.  183, i lavoratori di Capitale Lavoro si ritiene debbano essere conteggiati e risultare come previsto al comma 4, lettera l), dove si dispone il seguente criterio: «determinazione della dotazione organica di fatto dell'Agenzia attraverso la corrispondente riduzione delle posizioni presenti nella pianta organica di fatto delle amministrazioni di provenienza del personale ricollocato presso l'Agenzia medesima». Tale trattamento deve essere esteso a tutti i lavoratori «esternalizzati» operanti all'interno dei servizi per l'impiego sul territorio italiano;
          ai lavoratori medesimi, tra l'altro, deve essere riferita la disposizione della legge delega di cui al comma 4, lettera h), che dispone la «possibilità di far confluire, in via prioritaria, nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell'Agenzia il personale proveniente dalle amministrazioni o uffici, soppressi o riorganizzati in attuazione della lettera) nonché di altre amministrazioni»;
          ed ancora, si ritiene necessario prevedere corsi di formazione ed aggiornamento professionale per i lavoratori dei servizi per l'impiego in vista del passaggio all'agenzia nazionale, in particolare, per quelli «esternalizzati» come i dipendenti di capitale lavoro  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quale siano, per quanto di competenza, i suoi orientamenti; in particolare se sussistano i presupposti per far confluire nei ruoli dell'Agenzia nazionale per l'occupazione di cui alla legge n.183 del 2014 i lavoratori di Capitale Lavoro, assumendo iniziative in tal senso ai sensi delle lettere h) e l) del comma 4 dell'articolo 1 della legge citata. (5-04345)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CRIMÌ. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la fondazione ENPAM, (Ente nazionale previdenza ed assistenza medici ed odontoiatri), ai sensi dell'articolo 3 dello statuto approvato con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministro del tesoro in data 24 novembre 1995, ha lo scopo di attuare la previdenza e l'assistenza a favore degli iscritti, dei loro familiari e superstiti, secondo quanto previsto dai regolamenti deliberati dall'ente medesimo ed approvati dalle autorità di vigilanza di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n.  509;
          le entrate sono costituite dai contributi obbligatori versati dagli iscritti a norma dell'articolo 3 del regolamento del fondo di previdenza generale; lo stesso articolo prevede il contributo minimo annuale suddiviso in quattro fasce con contribuzioni crescenti ovvero: sotto il trentesimo anno di età, dal trentesimo anno di età fino al trentacinquesimo anno di età, dal trentacinquesimo anno di età fino al quarantesimo anno di età, dal quarantesimo anno di età e fino al sessantacinquesimo anno di età;
          il consiglio nazionale dell'ENPAM con delibera del 29 novembre 2014 ha ridotto l'importo del contributo minimo annuale di cui al comma 3 dell'articolo 3 del regolamento del fondo di previdenza generale, limitatamente agli iscritti appartenenti alla quarta fascia, ovvero agli ultra quarantenni, portandolo da 1.410 euro annui a 1.075 euro annui;
          i contribuenti sopra i quarant'anni, che godono della riduzione dell'importo, deliberato dal consiglio nazionale, rappresentano una popolazione mediamente inserita in maniera stabile nel mondo del lavoro;
          per i giovani professionisti, entrati da poco nel mondo del lavoro, la citata delibera ENPAM non prevede alcuna riduzione del contributo, decisione che conferma la mancanza di attenzione verso le nuove generazioni, ancor più grave in quanto economicamente possibile visto che in termini demografici le tre fasce fino ai quarant'anni, rappresentano una popolazione di contribuenti in «transito», mentre gli ultra quarantenni rappresentano, demograficamente, una popolazione che godrà del vantaggio economico dai 40 fino al termine della vita lavorativa;
          la decisione dell'EMPAM ostacola e comunque non favorisce il lavoro dei giovani professionisti  –:
          se il Ministro interrogato ritenga necessario che la delibera ENPAM del 29 novembre 2014, in aperto contrasto con gli indirizzi governativi volti alla tutela dei giovani lavoratori, sia integrata con la riduzione del contributo anche per le fasce fino ai quarant'anni, che comprendono sostanzialmente le giovani generazioni di contribuenti, maggiormente rappresentative dei precari e di coloro si avviano al lavoro. (4-07354)


      BRUGNEROTTO, D'INCÀ, COZZOLINO, DA VILLA e ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          da organi di stampa si apprende che il museo di geologia e paleontologia di Palazzo Cavalli di Padova sarebbe a rischio imminente di chiusura, per mancanza di fondi, anche per via delle incertezze relative al rinnovo di una convenzione, tra università e comune di Padova, che ne aveva permesso la riapertura e che ad oggi non pare certa;
          museo di geologia e paleontologia di Padova rappresenta una realtà storica e culturale in città, ha origine nel lontano 1932 e custodisce un immenso patrimonio, costituito da ricche raccolte naturalistiche, archeologiche ed artistiche, di grande rilievo storico-scientifico. Qui, infatti, si trovano anche le collezioni naturalistiche donate dallo scienziato Antonio Vallisneri, uno dei principali esponenti della tradizione galileiana tra sei e settecento;
          il museo, aperto al pubblico dal 1974, rappresenta un punto di riferimento per l'intera cittadinanza, per le scuole e gli esperti del settore che lo frequentano numerosi. Inoltre, pare che l'università abbia in progetto di trasformare Palazzo Cavalli nel nuovo museo di storia naturale, facendolo diventare uno fra i più importanti poli museali naturalistici italiani, implementandolo con i musei di antropologia e zoologia, oltre ai musei di geologia, paleontologia e mineralogia, che già ospita;
          la chiusura del museo, oltre a rappresentare per la città di Padova una grave perdita culturale ed economica, comporterebbe, stante le notizie riportate dalla stampa, anche la perdita dei posti di lavoro dei numerosi dipendenti della cooperativa «Nuovi Spazi», che da anni svolgono varie mansioni all'interno del museo con relativa dispersione di professionalità specifiche  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti;
          se e quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, al fine di preservare i posti di lavoro messi a rischio dalla prospettata chiusura del museo per il quale occorrerebbe rinvenire con ogni iniziativa utile finanziamenti economici necessari alla sua sopravvivenza. (4-07361)


      RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          una moltitudine di società venete e friulane hanno ricevuto nel 2013 incarico per la costruzione del centro commerciale Tiare Shopping di Villesse (GO) del gruppo Inter IKEA Center Italia. Quest'ultima ha delegato l'Immobiliare Arco, Fogliata spa e Alfa Contract (tutte aziende la cui titolarità è dell'ingegner Fogliata Gabriele) per la realizzazione del centro stesso;
          a quanto è dato sapere, inizialmente, le aziende che dovevano svolgere i lavori avevano delle remore ad accettare l'incarico, poiché consideravano l'operazione pericolosa rispetto alla solvibilità delle imprese appaltanti. Difatti, nell'aprile del 2013, tali imprese prima di firmare i contratti per eseguire i lavori hanno ricevuto una convocazione da parte di Inter IKEA Center Italia presso il luogo dove doveva sorgere il centro commerciale, in occasione del quale l'Ikea garantiva l'adempimento puntuale dei pagamenti delle ditte subappaltatrici tramite delega passiva di pagamento a trenta giorni dall'emissione delle fatture. In pratica, le imprese dovevano effettuare la fatturazione alla società appaltante ed i pagamenti venivano eseguiti dal gruppo Inter IKEA;
          tale procedura di pagamento è stata rispettata fino all'apertura del centro commerciale Tiare di Villesse, in data 5 dicembre 2013. Successivamente i pagamenti non sono stati più saldati;
          questa vicenda è stata denunciata con manifestazioni delle imprese creditrici innanzi al centro commerciale e tramite la stampa. Già dal mese di febbraio 2013, dell'evolversi della situazione, sono state informate le istituzioni del territorio: regione Friuli Venezia Giulia, provincia Gorizia e comune di Villesse;
          le imprese in questione per svolgere gli incarichi si sono esposte notevolmente con banche e fornitori, per fornire il materiale nelle tempistiche concordate al centro commerciale Tiare Villesse di proprietà del gruppo Inter IKEA Center Italia, la quale, si ribadisce, aveva garantito dei pagamenti sicuri con delega passiva;
          il mancato pagamento dei lavori ha messo in una situazione di grave crisi queste aziende, molte delle quali non hanno più liquidità, avendo anticipato per il cantiere di Villesse migliaia di euro ai fornitori;
          di questa vicenda, si sottolinea, inoltre, l'ambiguità del fatto che la garanzia dei pagamenti fatti tramite Villesse Shopping Center, non sia stata più rispettata in corrispondenza dell'apertura del centro commerciale;
          le imprese che hanno lavorato per la costruzione del centro commerciale di Villesse hanno dapprima ricevuto la promessa di garanzia della multinazionale svedese, che le ha convinte ad accettare l'incarico. Mentre, appena il centro commerciale ha aperto, la multinazionale è venuta meno agli impegni assunti;
          in un incontro con il gruppo IKEA a Milano nel febbraio 2014 è stato consigliato alle imprese creditrici di trovare una transazione con l'appaltante – ingegner Fogliata – per chiudere i conteggi e pagamenti. Tuttavia, l'accordo transattivo proposto è risultato troppo gravoso per le aziende;
          nel tempo, nonostante queste aziende si siano più volte rivolte alle istituzioni del territorio per trovare una risoluzione a questa gravosa vicenda, nulla di concreto è stato fatto per trovare una soluzione;
          è evidente che i mancati pagamenti in questione hanno messo in una drammatica situazione gli imprenditori coinvolti del Friuli e del Veneto e, di conseguenza, i loro lavoratori;
          è assurdo che tali imprese possano rischiare il fallimento a causa di una condotta che appare all'interrogante non corretta del gruppo Inter IKEA Center Italia e delle società appaltanti;
          è urgente e necessario che i Ministri competenti, di concerto con le istituzioni territoriali, si attivino concretamente affinché le altre imprese creditrici ottengano i dovuti pagamenti per gli incarichi svolti  –:
          quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati sui fatti esposti in premessa;
          se e quali urgenti iniziative intendano adottare, anche di concerto con le istituzioni territoriali, per l'istituzione di un tavolo tra le parti interessate, affinché le imprese creditrici in questione ottengano i dovuti pagamenti. (4-07368)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


      FRANCO BORDO e ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          la Corte dei Conti ha segnalato che molti appalti dell'Expo 2015 di Milano sono stati assegnati senza gara;
          notizie di stampa riferiscono che la società «Eataly» sarà presente all'esposizione universale di Milano 2015 con due padiglioni da quattro mila metri quadrati ciascuno, in cui funzioneranno 20 ristoranti, uno per ogni regione. Il tema sarà: «Italy is Eataly» con l'idea di presentare «... il più grande ristorante che mente umana abbia mai pensato ...»;
          il presidente di ICIF, Italian Culinary Institute for Foreigners, ha presentato un esposto all'Autorità anticorruzione in cui denuncia presunte irregolarità nella gara per la ristorazione al padiglione Italia. Nell'esposto si chiede conto all'Autorità anticorruzione di comprendere come mai siano stati assegnati a «Eataly» due padiglioni senza gara e come mai il presidente dell'Autorità e il Bureau International des Expositions non abbiano nulla da eccepire in merito;
          l'amministratore delegato di Expo spa, Giuseppe Sala, alla presentazione del progetto di «Eataly» ha dichiarato che: «... l'esperienza di Eataly nel settore della gastronomia è uno dei migliori biglietti da visita con cui possiamo presentare il nostro Paese durante l'esposizione universale ...»;
          l'assegnazione senza gara e il ridurre ad unicum, in capo ad unico soggetto in regime di monopolio, una realtà così complessa e articolata qual è la gastronomia italiana, è decisamente illogico e privo di senso perché l'esposizione universale deve essere il luogo dove poter far convergere, per far conoscere realmente al mondo, le peculiarità della cucina italiana in tutte le sue sfaccettature orografiche che narrano di luoghi e di tradizioni che difficilmente si conciliano con l'agroindustria della gastronomia che ha quale core business ben altro. Il rischio è che una manifestazione così unica e importante che ha quale adagio «Nutrire il Pianeta, energia per la vita», che dovrebbe raccontare i territori tutti, montani, marginali, aree interne, e attraverso il cibo portare la narrazione culturale della biodiversità culinaria e dei prodotti di qualità che compongono l’humus delle storie delle tradizioni, rischia di trasformarsi nella sua negazione;
          sarebbe auspicabile che il Governo revochi in autotutela la concessione data a «Eataly» e conceda, invece, la possibilità di poter realmente esporre in modo universale quello che i percorsi delle diverse agricolture contadine di media e piccola scala hanno saputo offrire grazie al «recupero sostenibile delle varietà dei cibi» che è una dimensione agli antipodi della gastronomia postmoderna. Il «Nutrire il Pianeta» consiste, primariamente, nel far emergere quelle realtà che sono presidio del territorio quale bene comune, oltre al ripopolamento culturale dei percorsi gastronomici che il nostro Paese sta ri-percorrendo  –:
          quali siano stati i criteri che hanno portato all'assegnazione senza gara dei due padiglioni alla società «Eataly»;
          se il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, in qualità di titolare della delega su Expo 2015, non intenda intervenire al fine di sospendere l'assegnazione dei due padiglioni e di fare indire una gara ad evidenza pubblica con cui poter selezionare chi rappresenterà l'Italia e la sua ristorazione all'esposizione universale tenendo in debito conto delle migliaia di microcosmi del cibo che il nostro Paese sa raccontare. (4-07346)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PILI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          secondo la risposta scritta all'interrogazione n.  4-03062 il Ministro della difesa ha affermato che nell'ambito dell'accertamento dei livelli di contaminazione radioattiva condotto nell'area su cui insiste il poligono di Cellina Meduna l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa Friuli Venezia Giulia) ha accertato che «i primi risultati, hanno evidenziato, in 4 degli 8 bersagli statici presi in esame, la presenza di torio in “quantità nettamente superiore” a quella presente nel fondo ambientale della zona»;
          i tentativi di minimizzare l'ennesimo riscontro oggettivo sul grado di pericolosità dell'inquinamento all'interno delle basi militari si scontra con una situazione insostenibile sia sul piano ambientale che della salute degli stessi operatori;
          per essere più espliciti sul contenuto dei ritrovamenti si riportano le affermazioni rese in Parlamento dal professor Evandro Lodi Rizzini (CERN ed università di Brescia) alla Commissione parlamentare d'inchiesta sull'esposizione a possibili fattori patogeni, con particolare riferimento all'uso dell'uranio impoverito: «il torio, invece, è terribilmente diverso perché, a differenza dell'uranio, è caratterizzato da una catena di decadimenti. Infatti, nel caso dell'uranio si dovrebbero aspettare 250.000 anni per avere il secondo decadimento; viceversa il torio decade altre cinque volte nel giro di sette o otto anni e soprattutto gli ultimi quattro decadimenti in cui è coinvolto il polonio avvengono nella medesima giornata: due si succedono nell'arco di un minuto e gli ultimi due si succedono in picosecondi. Ciò significa che i quattro nuclidi sono sempre nello stesso punto; quindi, mentre il DNA cerca di ricombinarsi e di ripristinare la sua struttura dopo il danno subito in seguito al rinculo, arriva un secondo colpo, perché i tempi dell'emissione del torio, degli ultimi quattro decadimenti, sono quelli caratteristici della risistemazione del DNA o della sua trascrizione con l'RNA»;
          a questo si aggiunge che vi è un altro grave fattore di cui si deve tenere conto: come nel caso dei policlorobifenili, questi effetti nucleari (come riportato anche nel manuale della sicurezza del CERN) hanno una latenza decennale, a differenza dei processi chimici, che possono avere una latenza di ore o di giorni. Il torio può essere inalato o ingerito e in caso di inalazione la sua pericolosità, come si legge nei datasheet dell’Argonne national laboratory, è 500 volte più elevata della pericolosità da ingestione e cinque volte più elevata rispetto a quella dell'uranio;
          secondo le comunicazioni rese dal docente si può osservare che il massimo della pericolosità (indice 14.000) nel caso del torio si raggiunge dopo 20 anni;
          è stato osservato il decadimento naturale di un micron cubo di torio e si è visto che, come non accadrebbe mai nel caso dell'uranio, ci vogliono 20 anni perché la combinazione del torio nell'organismo e di tutti i nuclidi figli dia luogo al massimo della pericolosità dal momento dell'ingestione;
          l’Argonne national laboratory avverte che il torio è almeno cinque volte più pericoloso dell'uranio;
          il Ministro riferisce che «la contaminazione, presumibilmente connessa ad attività risalenti nel tempo, è circoscritta a piccole aree all'interno del poligono, delle dimensioni di alcune centinaia di metri quadrati»;
          risulta grave che le analisi effettuate dall'Esercito, e rese note a marzo 2013, abbiano rilevato «solo» una presenza, sopra la soglia consentita, di cadmio, nichel, zinco, vanadio, antimonio, rame e specialmente piombo;
          appare gravissimo che invece non sia stato rilevato il torio;
          nel poligono di Cellina Meduna si esercita la 132esima Brigata Ariete che impiega lo stesso munizionamento in dotazione nelle esercitazioni che si svolgono nella base di Teulada;
          tale munizionamento, appare evidente anche ai profani, è stato utilizzato a Teulada in quantità ben più rilevanti di quanto non sia stato adoperato nel poligono del Friuli Venezia Giulia e all'interno di esso circoscritto a poche centinaia di metri quadri, secondo quanto riferisce il Ministro della difesa;
          tale riscontro effettuato nel poligono del Friuli Venezia Giulia è la conferma che la situazione a Teulada è di una pericolosità notevolmente superiore senza che sia stata adottata nessuna azione di tutela sia sul personale militare tantomeno su quello civile, per non parlare dell'impatto ambientale;
          le considerazioni svolte dagli scienziati sulla dinamica temporale del torio e le sue gravissime ripercussioni sono la testimonianza di quanto sia sempre più grave il silenzio su questi temi e la totale assenza di qualsiasi piano di bonifica considerata l'assoluta assenza di progetti seri e concreti di intervento sull'area di Teulada  –:
          se non intenda adottare misure immediate per interdire l'utilizzo di aree militari potenzialmente e gravemente inquinate come si evince dai dati dell'Arpa del Friuli;
          se non intenda, visto l'utilizzo massiccio di tali analoghi munizionamenti soprattutto in Sardegna, intervenire con il blocco di qualsiasi tipo di esercitazione al fine di definire e avviare concretamente le azioni di bonifica sempre annunciate ma mai avviate;
          se non intenda garantire la piena e totale sicurezza al personale civile e militare costretto ad operare in un ambiente gravemente a rischio inquinamento e soprattutto con la presenza, come dimostrato dalle analisi dell'Arpa Friuli, di torio in quantità estremamente elevate rispetto ai limiti fissati dalle norme.
(5-04344)

Interrogazioni a risposta scritta:


      VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legislativo 24 aprile 2006, n.  219 «Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE», all'articolo 1, comma 1, lettera s) prevede per i grossisti di farmaci l'obbligo di servizio pubblico volto a: «(...) garantire in permanenza un assortimento di medicinali sufficiente a rispondere alle esigenze di un territorio geograficamente determinato e di provvedere alla consegna delle forniture richieste in tempi brevissimi su tutto il territorio in questione»;
          l'articolo 105, commi 3-bis, 3-ter e 3-quater del suddetto decreto legislativo, come modificato dal decreto legislativo 19 febbraio 2014, 17 stabilisce uno specifico procedimento finalizzato a monitorare i casi di distorsione distributiva e prevede la possibilità di irrogare sanzioni amministrative nei confronti dei distributori inadempienti. Tale norma affida un ruolo rilevante ai farmacisti, i quali devono procedere, direttamente o attraverso le associazioni rappresentative della categoria, ad effettuare un'apposita segnalazione all'autorità territorialmente competente (regioni, province autonome, o altre autorità individuate dalla normativa territoriale) in relazione alla irreperibilità di un farmaco nella rete distributiva territoriale, nonché all'indicazione del distributore all'ingrosso che non ha provveduto alla fornitura. Sulla base di tale segnalazione, l'autorità territorialmente competente deve accertare l'eventuale violazione «dell'obbligo di servizio pubblico» come sopra ricordato e la conseguente irrogazione di sanzioni di diversa entità fino a giungere, in caso di reiterazione della violazione, alla revoca dell'autorizzazione alla distribuzione all'ingrosso dei medicinali;
          il citato decreto legislativo 19 febbraio 2014, n.  17 «Attuazione della direttiva 2011/ 62 /UE che modifica la direttiva 2001/ 83/ CE» introduce regole ancora più stringenti relativamente ai cosiddetti farmaci essenziali e rafforza l'obbligo di servizio pubblico per i grossisti, così come disposto dall'articolo 1, comma 1, lettera s): «L'obbligo per i grossisti di garantire in permanenza un assortimento di medicinali sufficiente a rispondere alle esigenze di un territorio geograficamente determinato, nei limiti di cui i predetti medicinali siano forniti dai titolari di AIC, e di provvedere alla consegna delle forniture richieste in tempi brevissimi su tutto il territorio in questione; a tal fine, non possono essere sottratti, alla distribuzione e alla vendita per il territorio nazionale, i medicinali per i quali sono stati adottati specifici provvedimenti al fine di prevenire o limitare stati di carenza o indisponibilità, anche temporanee, sul mercato o in assenza di valide alternative terapeutiche»;
          con propria circolare del 18 giugno 2014, il Ministero della salute invitava tutti gli operatori della filiera del farmaco e le autorità territoriali alla puntuale e corretta osservanza di quanto disposto dal decreto legislativo 17 del 2014 al fine di contrastare il fenomeno dell'indisponibilità territoriale di determinati medicinali presso le farmacie;
          tale circolare, pur riconoscendo che «l'esportazione parallela costituisce una regolare forma di mercato in linea con il quadro normativo vigente», ribadisce tuttavia che tutti i medicinali per i quali sono stati adottati specifici provvedimenti per prevenire ovvero limitare stati di carenza o indisponibilità anche temporanea sul mercato non possono essere sottratti alla distribuzione e alla vendita destinata al territorio nazionale attraverso la pratica della «esportazione parallela»;
          nonostante la normativa sopra richiamata, le associazioni rappresentative della categoria dei distributori farmaceutici e la federazione nazionale dei titolari di farmacia segnalano frequenti distorsioni distributive ed indicano come concausa della conseguente indisponibilità territoriale di determinati medicinali proprio il fenomeno della «esportazione parallela», ovvero il fatto che sarebbero le stesse industrie farmaceutiche ad aver maggiore interesse a immettere taluni medicinali sul mercato estero piuttosto che su quello domestico;
          risulterebbe inoltre che l’export parallelo stia assumendo un assetto sempre più «puntiforme» e che ciò sia dovuto principalmente al fatto che si siano aggiunti alla figura del tradizionale distributore – grossista oltre mille farmacisti – su diciottomila titolari di farmacia presenti nel nostro Paese – concessionari dell'autorizzazione al commercio all'ingrosso, ma con il fine esclusivo dell'esportazione – sia pure di micro quantità di medicinali – e la totale esclusione della mission del distributore-grossista full-line;
          tale fenomeno, qualora effettivamente accertato nelle dimensioni ipotizzate, configurerebbe una vera e propria distorsione del mercato e delle funzioni del farmacista che, invece di collaborare alla piena disponibilità territoriale dei prodotti farmaceutici necessari alla propria comunità locale, attraverso la pratica distorta delle attività di esportazione parallela, paradossalmente concorrerebbe alla irreperibilità di quei farmaci che hanno una facile e remunerativa collocabilità sul mercato, al di fuori del territorio nazionale;
          in altri Paesi dell'Unione europea ed in particolare nel Regno Unito, tale fenomeno è stato affrontato attraverso l'introduzione della clausola denominata sunset clause (clausola del tramonto) in funzione della quale l'autorizzazione viene revocata se, dopo un'ispezione obbligatoria (che in Italia, sarebbe di competenza regionale) e trascorsi uno o due anni dalla concessione dell'autorizzazione, non risulti che il grossista abbia iniziato l'attività di distribuzione vera e propria ovvero non abbia soddisfatto i requisiti richiesti (per esempio, non detenga il 90 per cento dei farmaci)  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e come intenda efficacemente prevenire stati di carenza o indisponibilità, anche temporanea, di taluni medicinali sul territorio nazionale imputabili direttamente o indirettamente alla pratica della «esportazione parallela», attraverso la rigorosa applicazione della misura della revoca dell'autorizzazione alla distribuzione – all'ingrosso dei medicinali – come previsto dall'articolo 105, comma 3-quater, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n.  219 – ovvero attraverso l'introduzione di prassi già invalse da tempo in alcuni Paesi dell'Unione europea come la cosiddetta «sunset clause».
(4-07358)


      ATTAGUILE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          le cronache hanno ben rappresentato tutta la vicenda drammatica che ha riguardato il cosiddetto «metodo Stamina»;
          la speranza che i malati hanno riposto nel metodo di cura è stata infinita;
          la fine traumatica della sperimentazione ha gettato nello sconforto pazienti e famiglie che vivono situazioni di assoluta drammaticità;
          i pazienti che ancora hanno fiducia nella cura da quasi 600 giorni dimorano con una tenda davanti al palazzo di Montecitorio, ricordandoci che non vogliono arrendersi alla malattia;
          gli stessi pazienti ricordano che «Posto che alla base del metodo scientifico c’è l'osservazione, non capiamo perché non si indaghi su cosa è successo nei pazienti che già si sono sottoposti alla terapia di cui al metodo Stamina visto che, come ripetiamo, tutti i pazienti hanno avuto – miglioramenti e nessun effetto collaterale dopo oltre 400 infusioni effettuate ?»;
          a detta degli stessi «il Ministro della salute Beatrice Lorenzin, ha garantito in più occasioni a Marco e Sandro Biviano, Tiziana Massaro (mamma del piccolo Federico Mezzina), Andera Sciarretta (papà della piccola Noemi) Ilaria Giovanelli (mamma del piccolo Daniele) di avere delle terapie alternative a Stamina che, a sua detta, stavano dando ottimi risultati, ma, di fatto non ha mai dato seguito a quelle promesse»;
          i pazienti dichiarano inoltre: «Siamo consapevoli che Stamina non rappresenta una cura definitiva, come del resto tante medicine o terapie non lo sono (cortisone, insulina, paracetamolo, ecc.) ma sappiamo con certezza che dal 2011 ad oggi, Stamina non ha prodotto alcun effetto collaterale sulle oltre 400 infusioni effettuate. Sappiamo per certo che le patologie destinate alla terapia Stamina sono gravissime, a rapida progressione e ad esito infausto, per le quali la medicina attualmente non può offrire nessun rimedio  –:
          se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda provvedere, in tempi rapidissimi, ad incontrare i rappresentanti dei pazienti e delle loro famiglie al fine di predispone una soluzione che possa dare un segnale di attenzione concreto alla «tenda blu» che davanti al Parlamento ogni giorno ci ricorda che ci sono moltissime famiglie che vivono un dramma quotidiano senza speranza. (4-07363)


      FRATOIANNI, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO e FERRARA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          a quanto si apprende da notizie di stampa, una giovane donna originaria dello Zimbabwe e residente a Castel Volturno, Mary Jacob, sarebbe deceduta all'ospedale San Paolo di Napoli, probabilmente in seguito ad un infarto;
          la signora Jacob si sarebbe recata cinque ore prima presso l'ospedale Santa Maria delle Grazie a Pozzuoli, lamentando difficoltà respiratorie e dolori al petto, ma non ha ricevuto assistenza, perché cacciata dalle guardie giurate, secondo quanto si apprende dalle dichiarazioni dei famigliari che l'hanno accompagnata;
          qualche ora, dopo il ritorno a casa, i famigliari avrebbero deciso di accompagnare la signora Jacob presso l'ospedale San Paolo di Napoli, dove la signora è deceduta;
          le fonti giornalistiche riferiscono che non si tratterebbe di un caso isolato di intolleranza da parte delle guardie giurate dell'ospedale Santa Maria delle Grazie, ma di atti reiterati  –:
          di quali elementi disponga in relazione ai fatti descritti in premessa e quali iniziative per quanto di competenza intenda assumere per contribuire a fare luce su quanto accaduto. (4-07367)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


      LENZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in Italia la società cooperativa è riconosciuta dalla Costituzione che attribuisce importanza alla funzione sociale della cooperazione quale strumento per l'emancipazione dei cittadini e per la gestione collettiva di attività economiche;
          l'articolo 45 recita testualmente: «la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e la finalità»;
          a livello internazionale la funzione sociale della cooperazione si concretizza nella definizione di cooperativa approvata dal XXXI Congresso dell'Alleanza cooperativa internazionale nel 1995 a Manchester, in occasione del quale la cooperativa è stata definita come: associazione autonoma di persone che si uniscono volontariamente per rispondere alle proprie esigenze economiche sociali e culturali ed alle proprie aspirazioni attraverso la creazione di una società a proprietà comune, controllata democraticamente;
          nella definizione si possono individuare alcune parole che sono i principi, la base, della cooperativa, quali «individuo», «unione volontaria», «soddisfazione dei bisogni economici, sociali e culturali», «società di proprietà comune», «controllo democratico»;
          le cooperative sociali sono state riconosciute a livello giuridico solo nel 1991 con l'emanazione da parte del Parlamento della legge n.  381 «disciplina delle cooperative sociali», nonostante forme di cooperazione di solidarietà sociale fossero attive sin dagli anni 70;
          le legge definisce le cooperative sociali attraverso lo scopo che l'articolo 1, indica in quello di «concorrere al perseguimento dell'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale del cittadino»;
          dal 1991 ad oggi la cooperazione sociale ha sempre di più assunto un ruolo cruciale nel processo di modernizzazione del sistema di welfare e nella creazione di valore aggiunto e occupazione nell'ambito dei servizi socio-sanitari e educativi  –:
          quali siano gli ultimi dati sul numero delle cooperative sia di tipo «A» che di tipo «B» presenti, il loro ambito operativo e la loro dislocazione regionale;
          quale sia l'attività di controllo verso questi enti e quale siano le risorse a disposizione e quelle impiegate per l'effettuazione di tali controlli;
          se il Ministro non ritenga opportuno, anche sulla base dei dati in suo possesso, prevedere nuove forme di controllo sull'attività di questi enti. (4-07345)


      REALACCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          come si evince da numerose agenzie stampa il 29 novembre 2014 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare onorevole Gian Luca Galletti ha dichiarato: «Nel 2015 faremo una gara che sostituirà il Sistri» archiviando il sistema di controllo per la tracciabilità dei rifiuti che ha fatto registrare notevoli difficoltà di gestione;
          come ha avuto modo di sottolineare l'interrogante in numerosi atti di sindacato ispettivo, alcuni ancora senza risposta, il SISTRI, ovvero il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, nacque con l'idea di attuare una semplificazione del processo di gestione e tracciabilità dei rifiuti (ospedalieri, urbani, speciali e pericolosi). Il SISTRI avrebbe dovuto avere in primis l'obiettivo di contrastare con efficacia le diffuse e pesanti illegalità connesse al ciclo dei rifiuti e anche di semplificare l’iter di certificazione e tracciabilità dei rifiuti. In realtà – tra rinvii, stop e modifiche alla normativa – il SISTRI non hai mai centrato le aspettative. E molti dubbi sono stati sollevati relativamente alla trasparenza delle procedure di affidamento del sistema adottate;
          il decreto-legge n.  150 del 2013 convertito dalla legge n.  15 del 2014 «Milleproroghe», posticipava fino al 31 dicembre 2014 l'applicazione dell'attuale regime «cartaceo», basato su registri di carico/scarico e formulari di trasporto, e del relativo regime sanzionatorio. Le sanzioni relative al Sistri decorreranno dal giorno successivo, ovvero dal 1o gennaio. Si confermava invece la partenza dell'operatività del sistema dal 3 marzo 2014 per i produttori di rifiuti speciali pericolosi, nonché i comuni e le imprese di trasporto di rifiuti urbani (pericolosi e non) della regione Campania;
          nelle ultime ore dalle maggiori organizzazioni di impresa e di categoria è richiesto a gran voce un provvedimento che proroghi la sospensione del regime sanzionatorio per l'inadempienza agli obblighi del SISTRI fino al 31 dicembre 2015  –:
          se i Ministri interrogati non intendano valutare l'opportunità di assumere iniziative per prorogare fino alla scadenza naturale del SISTRI, ovvero al 31 dicembre 2015 e comunque non prima degli effetti del bando della nuova gara, l'applicazione del regime sanzionatorio. (4-07353)


      PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'ultimo crack del 27 ottobre 2014, che ha travolto la cooperativa operaia di Trieste, Istria e Friuli, con un buco di 130 milioni di euro che mette a repentaglio i risparmi di 17.000 soci ed il futuro lavorativo di 600 dipendenti, ripropone allarme sul finanziamento delle coop attraverso i prestiti sociali, la gestione del risparmio in deroga al Testo Unico Bancario, il ruolo della vigilanza di Bankitalia;
          come raccontano molti quotidiani, a fine ottobre 2014, una storica cooperativa operaia si avvia verso il fallimento su richiesta della procura, con 103 milioni di «buco», 600 dipendenti in bilico e 17 mila soci rimasti con il cerino in mano. Mille dei quali sono già pronti a chiedere un risarcimento alla regione Friuli Venezia Giulia, mentre altri studiano una class action nei confronti delle coop a cui potrebbe partecipare anche il comune di Trieste. È in questo quadro che lunedì 27 ottobre, in un'aula del tribunale civile del capoluogo giuliano sotto il quale nel frattempo protestavano centinaia di risparmiatori, si è svolta l'udienza sulla richiesta di fallimento presentata dai pubblici ministeri Federico Frezza e Matteo Tripani per le coop operaie di Trieste, Istria e Friuli. L'inchiesta deflagrata una settimana fa vede indagato per falso in bilancio l’ex presidente Livio Marchetti in sella da dieci anni prima di essere esautorato dai pubblici ministeri. Nel mirino dei magistrati sono finite delle operazioni immobiliari infragruppo portate a termine per «gonfiare il patrimonio netto e rientrare solo fittiziamente nei parametri per il prestito sociale», come si legge nell'atto della procura triestina reso noto dal quotidiano Il Piccolo. In base all'attuale disciplina la raccolta di risparmio tra i soci delle coop denominata appunto prestito sociale, deve essere limitata a una cifra non superiore a cinque volte il patrimonio stesso della cooperativa;
          quindi secondo l'accusa la coop operaie ha compensato le pesanti perdite degli ultimi anni (37 milioni tra il 2007 e i primi mesi del 2014) con i proventi di cessioni avvenute solo sulla carta in quanto gli immobili venivano venduti «in casa» a società dello stesso gruppo. Un vecchio trucco praticato anche in Borsa, che sembra quindi funzionare ancora. E così a bilancio sono finiti guadagni netti (plusvalenze) «per 15 milioni su vendite di immobili ceduti internamente a società controllate al 100 per cento». Il trucchetto che ha permesso alla coop di stare in piedi nonostante quello che il consulente tecnico incaricato dalla procura definisce «uno scenario di precaria condizione finanziaria». Che si regge, appunto «sostanzialmente sul mantenimento del prestito sociale, il quale rappresenta la maggior parte delle passività finanziarie di breve periodo». Di qui la richiesta di fallimento. Anche se l'amministratore giudiziario Maurizio Consoli ha nel frattempo messo a punto un piano di salvataggio che vedrebbe coop Nordest intervenire in soccorso della cugina friulana acquistando per 70-80 milioni il centro commerciale Torri d'Europa, sul quale vantano già un diritto di prelazione in seguito a un finanziamento concesso a coop operaie che dovrebbe essere restituito entro fine anno. Peccato che anche i 103 milioni dei risparmiatori, ormai, esistano solo sulla carta: Consoli ha disposto la sospensione dei rimborsi «per salvare la società e conservarne il patrimonio». Vale a dire che i 17 mila soci prestatori non possono ritirarli. E il prestito sociale non è garantito fino a 104 mila euro, come invece i depositi bancari, bensì solo per una somma pari al 30 per cento di quanto versato. In questo caso a garanzia c’è una fidejussione concessa da Banca Generali. Per completare il quadro occorre aggiungere che la regione guidata dalla vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani in base a una legge del 2007, è tenuta a vigilare sull'attività delle cooperative. Di conseguenza il fatto che le irregolarità di gestione non siano emerse durante le revisioni svolte dal 2007 al 2013 «su incarico di Confcooperative o della Lega delle Cooperative», come riferito dal vicepresidente della giunta regionale Sergio Bolzonello, non fa venire meno le responsabilità politiche. Forse anche perché sa bene che la vicenda triestina è destinata a sollevare un nuovo polverone sul fenomeno dei prestiti sociali, che per l'universo delle coop italiane vale quasi 11 miliardi ma non è tutelato da adeguati fondi di garanzia né soggetto alla regolamentazione della Banca d'Italia, visto che le cooperative non sono istituti di credito e non dovrebbero agire come soggetti finanziari;
          in data 28 settembre 2013, a seguito di un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano intitolato: «Coop, gli oligarchi rossi che giocano in Borsa con i soldi dei soci», firmato da Giorgio Meletti, che accusava le cooperative di essere diventate banche d'affari che raccolgono risparmio – pur non essendo sottoposte ad alcuna vigilanza lanciandosi in rischiose operazioni finanziarie chiudendo i bilanci in perdita, con le «nove sorelle» inguaiate dopo aver investito chi su Unipol, chi su Monte dei Paschi, e partecipato al tentativo di salvare la Fonsai di Ligresti, Adusbef inviò una denuncia alla Banca d'Italia, chiedendo una maggiore vigilanza per impedire di mettere a rischio il risparmio degli investitori;
          scriveva infatti Meletti: «Potremmo parlare di banca clandestina, se non fosse tutto alla luce del sole. Basta entrare in un supermercato coop e diventare socio (che è come fare la tessera sconto in qualsiasi catena) per depositare i propri risparmi. Le nove grandi cooperative del consumo raccolgono ben 10,4 miliardi di euro. Sarebbe vietato;
          la coop infatti lo chiama «prestito soci», senza però spiegare al popolo che il prestito soci è un capitale messo a rischio nell'impresa che, sia essa una coop o una società di capitali, lo usa per la sua attività, come aprire un supermercato. Infatti accadono sotto gli occhi di tutti, comprese le autorità di vigilanza, due cose strane. La prima è che le coop utilizzano i risparmi dei loro soci non per mettere scaffali nuovi, ma per dedicarsi alla speculazione finanziaria. Esempio: l'Unicoop Firenze, la maggiore per fatturato (ben 3 miliardi di euro), ha in bilancio immobilizzazioni tecniche (ciò che serve per funzionare) per 2 miliardi e debiti verso i soci per 2,3 miliardi. Ma il debito complessivo è di 3 miliardi. Che ci fa la coop con tutti quei soldi ? Unicoop Firenze ha in bilancio 644 milioni di immobilizzazioni finanziarie: una vera merchant bank. I conti in rosso degli uomini al potere da decenni. La seconda stranezza è che queste banche d'affari a marchio coop non sono sottoposte ad alcuna vigilanza. La Banca d'Italia controlla le banche propriamente dette, ma le coop non se le fila nessuno, punto e basta. Negli ultimi anni, complice la crisi e nella disattenzione generale, si sono messe nei guai. L'anno scorso le «nove sorelle» (oltre 12 miliardi di fatturato, con 50 mila dipendenti e sette milioni di soci in tutto) hanno chiuso i loro bilanci in rosso per complessivi 135 milioni di euro, e proprio per colpa della finanza...»;
          la Banca d'Italia in data 22 gennaio 2014, riscontrando la nota Adusbef del 28 ottobre 2013, rispondeva che il quadro ordinamentale non avrebbe assegnato alla vigilanza alcun potere sull'operatività delle cooperative soggette ai controlli del Ministero dello sviluppo economico e delle associazioni nazionali di rappresentanza, ma che ciò posto – nell'evidenziare, con specifico riferimento alle caratteristiche dei cosiddetti «prestiti sociali», che la normativa vigente vieta alle società cooperative non bancarie la raccolta del risparmio presso i soci con possibilità di rimborso «a vista» – si rende noto che questo Istituto ha assunto le iniziative reputate doverose;
          in un articolo de Il fatto quotidiano, pubblicato il 10 dicembre 2014, dal titolo: «Il miracolo delle coop: la grande banca all'insaputa della vigilanza», Giorgio Meletti, prendendo spunto dal caso delle due cooperative di Trieste e Friuli, che avrebbero bruciato 130 miliardi di euro, torna a stigmatizzare i comportamenti della Banca d'Italia che avrebbe il dovere di vigilare sulla mole di investimenti personali con oltre 1 milione di libretti distribuiti alla clientela con la garanzia di «depositi a vista», ritirabili anche con il Bancomat, vietato dalla legge a chi non ha apposita autorizzazione con Palazzo Koch che se ne lava le mani  –:
          la Banca d'Italia e la Consob, secondo l'interrogante hanno il dovere di una maggiore vigilanza per impedire che questa sorta di «banca clandestina», possa mettere a rischio il risparmio degli investitori, dato che il «prestito soci», è un capitale messo a rischio nell'impresa che, sia essa una coop o una società di capitali, lo usa per la sua attività, utilizzando i risparmi dei loro soci non per mettere scaffali nuovi, ma per dedicarsi alla speculazione finanziaria;
          negli ultimi anni, complice la crisi e nella disattenzione generale, le «nove sorelle» (oltre 12 miliardi di fatturato, con 50 mila dipendenti e sette milioni di soci in tutto) a chiudere i loro bilanci in rosso per complessivi 135 milioni di euro, proprio per colpa della finanza e degli investimenti speculativi;
          se il Ministero dello sviluppo economico abbia nel corso delle precedenti verifiche ed ispezioni, rilevato l'anomalia di iniziative imprenditoriali quali quelle descritte in premessa e quali rilievi abbiano mosso gli ispettori ministeriali;
          se sia vero che non sia prevista una specifica forma di vigilanza sulla tipologia di attività descritta in premessa considerato che non appare accettabile che società cooperative giochino in borsa con i soldi dei soci, trasformandosi, di fatto, in banche d'affari;
          se non ritenga opportuno assumere un'iniziativa normativa diretta a disciplinare puntualmente i contenuti, le forme e le responsabilità di tale vigilanza, circoscrivendo, a tutela dei risparmiatori, i casi nei quali le attività descritte in premessa possano essere consentite, nonché stabilendo le sanzioni in caso di violazione della medesima normativa;
          quali misure urgenti il Governo intende attivare per tutelare i soci investitori delle coop, che come nell'ultimo crack, hanno visto andare in fumo 130 milioni di euro del sudato risparmio dei soci coop. (4-07364)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta scritta Naccarato e altri n.  4-07303, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cozzolino.

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Benedetti n.  7-00545, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  349 del 12 dicembre 2014.

      La XIII Commissione,
          premesso che:
              l'evoluzione della normativa su l'etichettatura dei prodotti alimentari ha visto il passaggio graduale, a partire da un iniziale interesse per le finalità igienico sanitarie, verso finalità di informazione atte a far acquisire al soggetto consumatore la consapevolezza dei propri diritti e a formare la sua capacità di orientamento e di scelta; scelta quindi non solo indirizzata alla salvaguardia della propria salute;
              le scelte dei consumatori infatti possono essere influenzate da considerazioni di natura sanitaria, economica, ambientale, sociale ed etica; il consumatore informato sulle modalità di produzione e distribuzione del prodotto o sulle condizioni di lavoro dei dipendenti, sarà in grado, per esempio, di effettuare scelte di carattere sociale ed etico;
              le norme in tema di etichettatura dei prodotti alimentari devono, non solo proteggere la salute pubblica ma anche assicurare l'informazione dei consumatori, la lealtà e la trasparenza nelle relazioni commerciali;
              il diritto all'informazione trova totale compimento quando il consumatore è informato su tutte le fasi di lavorazione del prodotto, in tutti i passaggi di filiera, consentendogli quindi di effettuare scelte consapevoli che considerino i vari aspetti (sanitario, economico, ambientale, sociale, etico) legati alla vita del prodotto; non può esserci reale e completa protezione del consumatore se non è garantita la reale e completa informazione sulla vita del prodotto; è parere dei presentatori che tra queste informazioni essenziali rientrano anche quelle relative all'alimentazione animale, da esplicitare nell'etichetta dei prodotti alimentari di origine animale e loro derivati;
              il 14 dicembre entrerà in vigore il regolamento (UE) N. 1169/2011 del Parlamento europeo e del consiglio, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori; detto regolamento all'articolo 38 stabilisce che «gli Stati membri possono adottare disposizioni nazionali concernenti materie non specificamente armonizzate dal presente regolamento purché non vietino, ostacolino o limitino la libera circolazione delle merci conformi al presente regolamento»;
              l'articolo 39 stabilisce che «gli Stati membri possono adottare (...) disposizioni che richiedono ulteriori indicazioni obbligatorie per tipi o categorie specifici di alimenti per almeno uno dei seguenti motivi: protezione della salute pubblica, protezione dei consumatori, prevenzione delle frodi, protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza delle denominazioni d'origine controllata e repressione della concorrenza sleale»;
              l'articolo 45 stabilisce che «gli stati membri che ritengano necessario adottare nuova normativa in materia di informazioni sugli alimenti notificano previamente alla Commissione e agli altri Stati membri le disposizioni previste precisando i motivi che le giustificano»,

impegna il Governo

ad assumere tutte le iniziative, anche nelle opportune sedi comunitarie, atte a rendere obbligatoria nei prodotti alimentari di origine animale e derivati, l'indicazione relativa alla presenza di organismi geneticamente modificati nella mangimistica usata per l'alimentazione animale.
(7-00545)
«Benedetti, Artini, Baldassarre, Bechis, Massimiliano Bernini, Ciprini, Daga, Parentela, Rostellato».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Giorgia Meloni n.  4-07291 del 16 dicembre 2014.