XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 353 di venerdì 19 dicembre 2014

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

      La seduta comincia alle 9,30.

      FERDINANDO ADORNATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

      (È approvato).

Missioni.

      PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Dambruoso, Di Lello, Epifani, Fedriga, Fico, Fontanelli, Fraccaro, Giancarlo Giorgetti, Merlo, Pes, Rampelli, Sanga, Sani, Scotto e Tabacci sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
      I deputati in missione sono complessivamente ottantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

      Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,40).

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative volte a fronteggiare le criticità derivanti dall'allontanamento dei minori dalla famiglia di origine a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria – n. 2-00788)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Binetti n. 2-00788, concernente iniziative volte a fronteggiare le criticità derivanti dall'allontanamento dei minori dalla famiglia di origine a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo all'onorevole Binetti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      PAOLA BINETTI. Signor Presidente, intendo illustrare la mia interpellanza urgente anche a partire da un caso concreto perché spesso i casi singolari contengono una tale forza espressiva che permettono di inquadrare meglio anche i problemi generali. Voglio partire da un caso molto particolare come quello di una bambina di nove anni, attualmente ne ha dieci, nei confronti della quale ci sono fondate e argomentate ragioni circa una serie di giochi erotici che suo padre avrebbe compiuto nei suoi confronti. Davanti ad una situazione di questo tipo, che ha creato ovviamente naturali tensioni all'interno della vita di famiglia, creando condizioni che in qualche modo hanno fatto precipitare il rapporto tra i due genitori, la bambina viene allontanata dalla figura paterna e affidata alla figura materna. Ciò avviene anche in concomitanza di una serie di eventi con implicazioni tali per cui la bambina è stata ricoverata al Bambin Gesù ed i medici, che l'hanno presa in carico, si sono resi conto di una serie di elementi che creavano un disagio profondo in questa bambina e sono intervenuti, Pag. 2interpellando gli organi di competenza. Fatto questo, la bambina è stata affidata alla mamma con un'evidente situazione di criticità nei confronti della figura paterna, tanto che i medici avevano raccomandato di non mantenere questa bambina da sola o insieme al padre anche per evidenti motivi di agitazione che questo creava nella bambina. La bambina viene in qualche modo affidata ad una sorta di programma di sostegno in cui si intrecciano due linee: da un lato, coloro che, da un punto di vista psicologico, vogliono aiutarla ad elaborare un trauma non indifferente per la bambina, dall'altro, l'azione dei tribunali che intendono indagare e verificare la costanza e la consistenza di questi fatti. È facile immaginare che una bambina di nove anni sottoposta a questo doppio stress possa a un certo punto esprimere disagio e non voler partecipare più ad una serie di interrogativi che hanno l'unico effetto di rievocare in lei situazioni di turbamento e di disagio. A questo punto nasce il paradosso assoluto di questa situazione. Di fronte alla bambina che in qualche modo pone resistenza a continuare una sorta di trattamento che si rivela invasivo, invadente e volto a mantenere attiva la dimensione traumatica, la bambina viene tolta alla madre, prelevata con forza dalla scuola e c’è una data ben precisa, c’è una sentenza del tribunale che dispone di questo e che è qualche giorno precedente. Ma il 19 febbraio di questo anno – stiamo parlando di dieci mesi fa – la bambina viene tolta alla madre e portata in una casa famiglia. Intendiamoci: la madre non aveva alcuna ragione di tensione e rappresentava per questa bambina comunque l'universo affettivo, il contesto costituito anche dalla famiglia materna e quindi i nonni e via seguitando. Questa bambina viene tolta e, da allora, è in una casa famiglia. Pertanto, non ha trascorso la Santa Pasqua con i genitori o perlomeno con la madre e con la famiglia materna, non ha trascorso con loro le vacanze estive, ad ottobre è stata cambiata di scuola e non trascorrerà con loro probabilmente il Natale. In tutto questo non c’è colpa della madre.
      In ogni caso, c’è un procedimento che va avanti, un procedimento di giustizia minorile che va avanti, senza renderci conto che è una bambina che è stata abusata dal padre, allontanata dalla madre, allontanata per dieci mesi dal contesto familiare ed è difficile dire quali ferite profonde ciò provoca in una bambina.
      Sappiamo tutti che i tempi della giustizia sono tempi di eternità, quasi tempi biblici, ma i tempi biblici della giustizia, commisurati ai problemi dei bambini, ad una età dello sviluppo come sono i dieci anni di questa creatura, sono veramente destinati a lasciare una traccia così profonda, che io mi chiedo fino a che punto è lecito che un tribunale intervenga, togliendo una figlia alla madre, ma togliendo, soprattutto, una madre alla figlia, senza che si senta l'urgenza di fare chiarezza in merito ad un problema e senza che si senta l'obbligatorietà morale di ristabilire i pesi e le responsabilità tra i due genitori.
      Tenete presente che, in questa fase, oltretutto, la bambina non riesce ad incontrare la madre nemmeno, almeno per lo spazio minimo che le viene concesso, in un colloquio a quattr'occhi, perché è sempre e costantemente sotto sorveglianza, sorveglianza degli assistenti sociali, sorveglianza degli psicologi. Io credo che questo non accada nemmeno in un carcere.
      Questo è un caso emblematico di mala giustizia minorile, che assume come cappello quello di una sindrome inesistente in medicina: l'ultimo trattato di psichiatria appena pubblicato il «DSM-5» non parla, esclude, anzi, addirittura la consistenza scientifica dalla famosa sindrome PAS, la sindrome da alienazione parentale, per cui la bambina viene tolta ad entrambi i genitori secondo una follia ideologica. Questa è la domanda, signor rappresentante del Governo.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Cosimo Maria Ferri, ha facoltà di rispondere.

      COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, Pag. 3buongiorno, rispondo all'interpellanza degli onorevoli Binetti e Dellai: devo dire che toccano un tema molto delicato, molto importante su cui l'attenzione del Governo, come poi dirò nelle conclusioni, è massima, tanto che, nelle proposte relative alla riforma della giustizia, il nostro Dicastero vuole istituire un apposito tribunale per la famiglia e per i diritti della persona. Questo proprio perché ci rendiamo conto che, in una giustizia nuova, moderna, veloce, di qualità, sia necessario indicare un percorso diverso e più efficace nella tutela della persona, della famiglia e dei minori.
      Quindi, il tema è molto attuale, molto centrale, parte, come diceva l'onorevole Binetti, da un caso specifico, un caso sul quale, però, è intervenuta la magistratura e, quindi, esiste tutto un percorso giurisprudenziale a cui noi dobbiamo attenerci nel dare la risposta e nel ricostruire i vari passaggi. Infatti, in merito alla delicatissima materia che involge le relazioni tra genitori e figli minori, appare doveroso premettere come sia massima l'attenzione riservata alla tutela della famiglia e, soprattutto, ai soggetti deboli, i cui diritti vengono ad essere incisi dall'intervento nella fase patologica della conflittualità di coppia dell'autorità giudiziaria.
      Il quadro normativo di riferimento attuale in ordine ai poteri del giudice, cui è devoluta la cognizione di situazioni di pregiudizio per i minori in ambito familiare, è delineato nel nostro codice civile dagli articoli che vanno dal 330 al 333, che disciplinano i provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale: un tempo, veniva chiamata potestà genitoriale. Nel sistema è previsto come il giudice possa disporre, in via cautelare ed urgente, anche l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratti e/o abusi del minore in ipotesi di comportamento dei genitori talmente gravi da non poter essere neutralizzate mediante misure meno invasive.
      Queste sono misure sì invasive, ma importanti, perché, quando ricorrono situazioni di questo genere, è chiaro che, se adita, l'autorità giudiziaria debba immediatamente intervenire con provvedimenti incisivi.
      Dalla stessa formulazione normativa emerge come siffatti provvedimenti costituiscano l’extrema ratio per realizzare la tutela del minore, proprio perché il legislatore, all'epoca, e anche il giudice, nella sua applicazione, devono bilanciare questi interessi e capire quali sono quelli diretti a tutelare i minori e quelli diretti a garantire ai genitori di esercitare pienamente la propria responsabilità genitoriale. Il sistema è, altresì, presidiato dall'obbligo di informativa che – ove si proceda per gravi reati consumati in ambito familiare o comunque in danno di minori – impone al procuratore della Repubblica procedente di dare notizia del fatto al tribunale per i minorenni, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti di cui agli articoli 155 e seguenti, nonché 330 e 333 del codice civile. In situazioni di estremo pericolo, in applicazione dell'articolo 403 del codice civile, tali provvedimenti potranno essere adottati in via di urgenza dagli organi di protezione dell'infanzia, ovvero dei servizi sociali, salva l'immediata ratifica degli stessi da parte dell'autorità giudiziaria. In siffatte ipotesi, i provvedimenti di allontanamento del minore possono dunque essere adottati – per evidenti ragioni di tutela dell'integrità psico-fisica dello stesso – in tempi rapidi ed anche inaudita altera parte, fatto salvo l'obbligo di instaurare, poi, il contraddittorio con i genitori.
      Ciò premesso, in ordine al caso richiamato nell'interpellanza, dalle informazioni acquisite dalla competente articolazione ministeriale è stato ricostruito l'iter del procedimento relativo alla decadenza dei genitori ed alla regolazione dell'esercizio della responsabilità sulla minore Giulia. L'affidamento della minore ai servizi sociali era stato disposto dalla Corte di appello di Roma, la quale, nel respingere in sede di reclamo il ricorso della madre, aveva rilevato l'insussistenza delle condizioni per la decadenza della responsabilità paterna e disposto l'esercizio congiunto. La Corte Pag. 4aveva, altresì, prescritto l'avvio di un percorso psicoterapeutico per la minore, il sostegno, anche terapeutico, ai genitori, e l'accesso ad un centro specializzato per consentire la ripresa dei rapporti tra la minore ed il padre. Quindi, possiamo vedere, anche da questi primi passaggi di intervento dell'autorità giudiziaria, la gradualità e, anche, la delicatezza con cui l'autorità giudiziaria era intervenuta nel decidere sulla questione delicata. Nel provvedimento la Corte aveva anche espressamente indicato che «i comportamenti inadempienti potranno dar luogo all'adozione di ulteriori provvedimenti a tutela della minore, anche ablativi della responsabilità e di modifica dell'attuale collocamento della minore».
      Successivamente, ad iniziativa del pubblico ministero competente, in data 19 dicembre 2012, il tribunale per i minorenni veniva investito di una nuova richiesta di valutazione del corretto esercizio della responsabilità genitoriale sulla scorta delle valutazioni operate dai responsabili del servizio di osservazione che avevano rappresentato l'impossibilità di realizzare le prescrizioni impartite dalla Corte d'appello a causa della mancata collaborazione della famiglia materna della bambina.
      All'esito del complesso procedimento – tenuto anche conto della mancata comparizione della madre, pur ritualmente citata, e della mancanza di collaborazione della famiglia – il tribunale aveva disposto, con provvedimento provvisorio ed urgente, la sospensione dei genitori dalla responsabilità, nonché la nomina di un tutore e di un curatore speciale per la minore e l'allontanamento immediato della bambina dal nucleo familiare. Sono stati altresì autorizzati gli incontri con il padre, in maniera graduale ed alla presenza di un osservatore, al fine di agevolarne la relazione, e disposto un trattamento psicoterapeutico per la minore.
      Il servizio investito dava inoltre atto anche delle difficoltà intercorse durante l'esecuzione della misura, quindi durante l'allontanamento, rappresentando come non fosse stato possibile effettuare un incontro preventivo con la madre della minore, «finalizzato a condividere» – cito testualmente il provvedimento – «la modalità di esecuzione del decreto di allontanamento individuato dal Servizio come meno traumatico possibile per la bambina». Questo non era stato possibile farlo per rifiuto a ricevere la relativa comunicazione, e che tale condotta confermava «la persistente mancanza di collaborazione della signora nella previsione di interventi protettivi per la figlia». Questi sono sempre passi del provvedimento dell'autorità giudiziaria. Dopo l'allontanamento ed un periodo di osservazione, il tutore, il responsabile della casa famiglia ed il servizio sociale mettevano in evidenza le criticità nel rapporto tra la madre e la bambina ed il buon ambientamento della minore nella casa famiglia oltre alla manifestazione di un sincero interesse verso il padre. Nel prosieguo dell'osservazione, il curatore più volte evidenziava come la madre della minore avesse adottato comportamenti espressivi «dell'incapacità della signora C. – che sarebbe appunto la madre – di accettare le proprie difficoltà e le conseguenti gravi problematiche che caratterizzano le sue relazioni endofamiliari ed in particolare quella con Giulia», comportamenti che sono stati valutati come diretti anche a condizionare l'atteggiamento della minore nei confronti propri e del padre.
      Alla luce di quanto evidenziato, riteneva il curatore speciale, che non sussistessero le condizioni quindi per prevedere un rientro della bambina presso la famiglia materna, perché il reinserimento avrebbe potuto significare annullare tutti i progressi fino ad oggi compiuti dalla minore. In ordine alle richieste della madre relative all'audizione della minore, inoltre, risulta come il tribunale avesse riservato l'adempimento all'esito dell'avvio e del consolidamento del percorso di sostegno psicoterapeutico che era appunto in atto. Il procedimento, nell'ambito del quale il giudice relatore veniva autorizzato all'astensione in seguito a numerosi esposti diretti a suo carico dalla madre della minore, veniva trasmesso, in data 8 ottobre, in corte d'appello, dove attualmente è Pag. 5trattenuto in decisione, in seguito a reclamo della signora Barbara. Alla stregua di quanto emerso, pertanto, non si ravvisano i presupposti per iniziative di competenza del Ministero della giustizia nel caso richiamato dagli illustri onorevoli interpellanti, considerata la complessità, che ho cercato di spiegare e mi scuso se sono entrato troppo nei dettagli in modo tecnico, ma che è indicativa e significativa di un percorso che c’è stato, dove l'autorità giudiziaria, con molta attenzione, ha prima instaurato un procedimento graduale, arrivando e utilizzando la misura dell'allontanamento come extrema ratio. Quindi, considerata la complessità dell'accertamento svolto, sia anche attraverso l'esercizio dei rimedi giurisdizionali previsti dalla legge e anche per il fatto che il procedimento non si è ancora concluso e quindi non è ancora definitivo e sta iniziando questo periodo di reinserimento e di attenzione sulla minore, ancora in atto, seppure oggi all'interno della casa famiglia, ciò non consente, come dicevo all'inizio, un intervento del Ministero della giustizia.
      Quanto, infine, alla richiesta della promozione di un monitoraggio dei provvedimenti di allontanamento, essa è interessante da un punto di vista statistico proprio per capire, quindi ringrazio gli onorevoli che hanno sottolineato questa necessità. Però, quando si parla di monitoraggio e di statistica, dobbiamo stare attenti perché non possiamo entrare nel merito del provvedimento, perché, se fosse un monitoraggio a fini statistici, solo indicativo come numeri, sarebbe possibile farlo, ma non si può fare un monitoraggio che abbia come oggetto un'analisi peculiare di ciascun procedimento che abbia ad oggetto la tutela del minore e che possa comportare l'adozione della misura dell'allontanamento, perché non ci sono categorie omogenee, univoche e quindi interpretabili nello stesso modo.
      Quindi non è possibile perché un caso ha una sua storia, un altro caso ha un'altra storia, e quindi è difficile farli rientrare in una statistica univoca e omogenea.
      Concludo come avevo iniziato, si coglie l'occasione in questa sede per richiamare il tema della tutela della famiglia e della persona, per evidenziare come esso rientri tra le linee di riforma della giustizia, e come sia stata appunto formulata l'ipotesi di istituzione di un apposito tribunale per la famiglia e per i diritti della persona con unificazione delle competenze in materia di famiglia, di minori, di adozioni, di separazioni e di divorzi, dove valorizzare le professionalità che si sono formate nelle esperienze del tribunale per i minorenni.

      PRESIDENTE. La deputata Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

      PAOLA BINETTI. Presidente, motivo di soddisfazione nasce dalla considerazione finale, che tocca due aspetti: primo, l'assoluta singolarità dei casi, di ogni caso, per cui non si possono elaborare delle statistiche che facciano di tutta un'erba un fascio, perché, come diceva un famoso scrittore, le famiglie tristi sono tristi ognuna a modo suo, le famiglie infelici sono infelici ognuna a modo suo; e quindi non si può forse riuscire a codificare in cluster ben precisi i motivi che portano all'allontanamento dei minori dalla propria famiglia. La seconda cosa di soddisfazione è l'auspicio che il tribunale della famiglia possa prendere forma in un modo in cui le competenze reali siano competenze di prossimità ai bisogni della bambina, ai bisogni dei minori.
      Fatte salve queste due osservazioni, io voglio tornare indietro a quello che ha detto il sottosegretario Ferri. E concretamente voglio tornare su un punto: pochi giorni fa, mercoledì scorso, in occasione di un question time in cui io sollevavo – era allora presente il Ministro Orlando – il tema dell'affido ad entrambi i genitori, dell'affido condiviso, come garanzia per il minore di poter avere accanto una presenza significativa del padre e della madre, i dati che io citavo, dei dati scientifici di un certo peso, di un certo rilievo fatti sia negli Stati Uniti sia in Nord Europa, da Pag. 6dove proviene la valutazione critica maggiore di situazioni di famiglie in crisi, proprio il Ministro invece metteva in evidenza come non fosse una prassi casuale, ma fosse una prassi intenzionale in Italia l'affido del minore alla figura materna, e quindi l'attribuire una sorta di garanzia nella gestione complessiva dei problemi dei bambini alle figure materne, soprattutto ai minori quando la loro età era particolarmente piccola.
      Questo è un po’ sostanzialmente una contraddizione con quello che stiamo ascoltando oggi, perché in questo caso specifico in cui il rapporto del padre con la figlia presenta dubbi sostanziali – il sottosegretario non me ne voglia, ma lei ha citato una parte delle argomentazioni che sono presenti nelle famose relazioni tecniche, ce ne sono anche altre, in cui la bambina esprime, descrive e interviene su questo – si può davvero rimproverare a una madre l'idea di voler tutelare questa figlia, primo, dall'abuso paterno, secondo, da quell'abuso indotto, che è quello circostanziale proprio da quella capacità insistita nell'indagine, nella diagnosi, nel colloquio, in cui la bambina è forzata a descrivere, a tornare, a ripetere, a precisare ? Sappiamo tutti che questo applicato al femminile è un doppio stupro, è una doppia violenza ! Sappiamo che è una delle ragioni principali per cui molto spesso le donne non denunciano: perché nel momento della denuncia, della ricostruzione dei fatti, degli eventi, l'umiliazione, la mortificazione, l'insistenza sono elementi aggiuntivi di disagio e di sofferenza ! Davanti alla bambina che esprime disagio a partecipare a questa sorta di rituali, ci si può forse stupire che la madre avesse inteso assecondarne il desiderio di tutela, il desiderio anche di pudore ?
      E tutto questo dev'essere utilizzato sottraendo la figlia alla madre ! Perché non c’è colpa della madre !
      Non c’è niente che le possa essere rimproverato. Anche questa mancata collaborazione, ma va inquadrata in un contesto. Oltretutto, ci sono anche segni concreti in cui ci sia stata da parte della famiglia materna comunque un desiderio inclusivo. A me sembra che poi il tempo sia maledettamente lungo per un bambino. Ma noi veniamo da anni di studi in cui sappiamo che l'istituzionalizzazione di un bambino ha effetti deleteri sul suo sviluppo, nasce da ciò tutta la cultura che in Italia si è sviluppata nei confronti della cultura dell'affido: meglio una famiglia reale che non un'istituzione. Poi, io non so da dove ricavino gli elementi che la bambina stia bene nella casa famiglia, laddove ci sono molti passaggi in cui invece si esprime il disagio, disagio anche fisico.
      Questa bambina incontra la madre sotto lo sguardo costante e continuo e sotto uno sguardo che è uno sguardo giudicante, qualunque cosa dica alla madre. Non l'incontra mai a quattrocchi per poter esprimere ciò che lei vuole. Lei sa, perché le è stato detto, che questa situazione è destinata a protrarsi nel tempo, con una lesione affettiva profonda e radicale.
      Ma cosa diremo poi a questa bambina ? Pensiamo di tenerla tutta la vita in una casa famiglia o ad un certo punto la rimanderemo dalla mamma e dal papà e cosa le diremo in quel momento ? Sa, noi stavamo studiando il tribunale della famiglia o noi ci stavamo in qualche modo intrattenendo con cavilli e falsi problemi rispetto a ipotetici processi di sviluppo successivo.
      Quali ferite avrà lasciato nei confronti di un padre così, nei confronti di una madre che in qualche modo viene stigmatizzata, allontanata e rimossa, nei confronti di una non famiglia ? È molto dubbioso credere che tutto questo sia meglio, per esempio, di una richiesta semplice. Lo chiedono anche i nostri marò: fateci tornare a casa per Natale.
      Lo chiede chiunque, lo si concede a chiunque, ma no, in questo caso no, neanche questa madre potesse essere accusata larvatamente di agire con violenza nei confronti della bambina, come in quei casi drammatici che i mezzi di comunicazione ci rimandano. No, c’è una volontà ideologicamente strutturata di allontanamento, Pag. 7potrei quasi dire che accanto al tribunale della famiglia c’è una cultura della non famiglia. Non è possibile ! È vero quello che dice il sottosegretario, per carità di Dio, il processo è ancora aperto, ma è per questo che noi abbiamo fatto questa interpellanza, per richiamare l'attenzione su processi che esigono un'assunzione di responsabilità concreta nei confronti della vita, della vita futura, della fiducia nei confronti delle istituzioni. Ma che diamine di fiducia si può avere quando lo stigma che colpisce, in questo caso specifico la madre, è quello di dire: questa donna è pericolosa per te ! Dico, neanche avesse fatto dei tentativi di non so cosa.
      Ora non credo, signor sottosegretario, che la gestione di questo caso sia così pulitamente condotta da marcare un'unica direzione che è quella della distanza, di una distanza a tempi indeterminati. Credo che qualunque cultura sullo sviluppo psicologico di un bambino, qualunque cultura, qualunque indirizzo lei voglia assumere, qualunque scuola, la vuole freudiana, la vuole hegeliana, scelga una scuola che vuole, cognitivo-comportamentale, scelga quella che vuole, ma nessuno potrà dimostrare quanto non sia profondamente lesivo dire a una bambina: no, con la mamma no, tua mamma è pericolosa perché. Ma di che cosa stiamo parlando ? Che questa mamma ha qualche problema a farle riconoscere il rapporto con il padre ? È il minimo che possa succedere. Che si possa raccomandare a questa donna di essere più prudente nel giudizio sul padre ? Ok.
      Ma questo non significa che allontanare una figlia da una madre non sia uno stigma profondissimo per lei. Ma per tutta la sua vita successiva: ma chi era tua madre ? Non che cosa ha fatto tuo padre, ma chi era tua madre e cosa ha fatto tua madre ! Ma stiamo scherzando ?
      Io voglio augurarmi davvero che l'avere sollevato il problema significhi portarlo ai massimi livelli di attenzione, per questa bambina, per questa famiglia e per tutte le altre situazioni che, come giustamente lei ha detto, sono uguali e diverse. Ma ogni bambino merita di sapere che il suo primo diritto è il diritto ad avere una famiglia !

(Iniziative per prevenire e contrastare il radicamento della criminalità organizzata in Umbria – n. 2-00785)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Ciprini n. 2-00785, concernente iniziative per prevenire e contrastare il radicamento della criminalità organizzata in Umbria (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo alla deputata Ciprini se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      TIZIANA CIPRINI. Grazie Presidente. In Umbria e a Perugia è allarme ’ndrangheta. L'Umbria, considerata da sempre non a rischio rispetto al fenomeno mafioso, sta diventando terreno molto fertile per la proliferazione di forme di criminalità organizzata, che sta generando un vero e proprio inquinamento dell'economia locale, avvantaggiandosi della crisi economica e della ricaduta che questa ha sulle piccole e medie imprese.
      Il 10 dicembre scorso è partita un'importante operazione di Polizia che ha interessato l'Umbria. Estorsioni, minacce, intimidazioni e violenze nei confronti degli imprenditori locali, soprattutto del settore edile. Agivano così i 61 arrestati appartenenti a una vera e propria «holding criminale», collegata alla ’ndrangheta umbra, che opera a Perugia da 6 anni e interessata al mercato della green economy, come ha spiegato il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti.
      Le cellule operavano prevalentemente nella zona del perugino, ma allungavano i loro tentacoli anche ad alcune province toscane, laziali, marchigiane, emiliane e lombarde, fino a sconfinare in Germania, ed erano legate alla cosca Farao-Marincola di Cirò Marina, a Crotone, radicata anche nel varesotto. I clan locali, però, tenevano contatti anche con la mafia albanese, soprattutto per quanto riguarda il traffico di droga e lo sfruttamento della prostituzione.Pag. 8
      Le forze dell'ordine stanno procedendo con il sequestro di beni mobili e immobili che, si pensa, siano il frutto dell'attività malavitosa del clan, per un valore stimato che supera i 30 milioni di euro. Le misure cautelari, emesse su richiesta della procura distrettuale antimafia di Perugia, considerano i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, danneggiamento, bancarotta fraudolenta, truffa, trasferimento fraudolento di valori, con l'aggravante delle finalità mafiose, fino all'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione. Un'organizzazione che si era «infiltrata nel tessuto economico locale», come si legge in una nota dei carabinieri del ROS, che hanno condotto l'operazione «Quarto Passo», mostrando quanto la malavita calabrese stia conquistando il territorio nazionale, dopo essersi oramai da anni stabilita anche nel Nord Italia.
      La coincidenza ha voluto che l'operazione di Polizia cadesse proprio a seguito della conferenza tenutasi a Perugia il 28 novembre 2014 su «Mafia e droga, allarme Umbria. Espansione del fenomeno delle infiltrazioni nel territorio e collegamenti con le organizzazioni del narcotraffico», cui ha partecipato anche la presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, Rosy Bindi.
      Il fenomeno, dunque, non è nuovo. Già nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia per il periodo 2011-2012, si legge che: «è evidente l'elevata appetibilità che le aree del centro nord d'Italia, caratterizzate da contesti ricchi e sedi di importanti crocevia per lo spaccio delle sostanze stupefacenti (emblematico è, a tale proposito, il caso di Perugia) rivestono».
      In effetti, pur se non paragonabile alle grandi città, come Roma, Milano e Torino, il capoluogo perugino, con il suo relativo benessere e un'ampia popolazione universitaria, è una piazza interessante per le organizzazioni criminali, che trovano nella città un mercato ricco per la cessione degli stupefacenti, ma anche per avviare altre attività illecite. Come è evidenziato nella relazione della commissione d'inchiesta della regione Umbria sulle infiltrazioni mafiose, del settembre 2012, emerge con chiarezza che la situazione umbra manifesta i segni di infiltrazioni criminali di stampo mafioso nell'economia legale e si sottolinea che la nuova strategia delle organizzazioni criminali di stampo mafioso è l'espansione delle attività al di fuori del contesto territoriale del Mezzogiorno, non nella forma classica del controllo pieno e del dominio del territorio, ma nella ricerca di impieghi e attività utili al riciclaggio di enormi quantità di denaro liquido provenienti dal traffico di droga, armi ed esseri umani. La criminalità organizzata ha, quindi, un contesto di finanziarizzazione dell'economia.
      La relazione della commissione precisa che l'Umbria, sotto tale aspetto, non ha anticorpi sviluppati e un vigile controllo sociale nei confronti del fenomeno criminale mafioso, e nemmeno l'abitudine a tenere alta la guardia dell'attenzione e del sospetto. Perciò l'Umbria corre il rischio di essere un campo fertile in cui infiltrarsi, acquisire patrimoni, attività con forte flusso di cassa, per operare il riciclaggio dei proventi delle attività malavitose.
      Emerge, poi, dalle audizioni che l'assenza di comprovati fenomeni di radicamento ingenera nell'opinione pubblica, nelle organizzazioni sociali ed economiche e anche nel sistema istituzionale, un atteggiamento di sottovalutazione del fenomeno delle infiltrazioni malavitose. Di fronte alle inchieste giudiziarie che evidenziavano un fenomeno in espansione, davanti alle stesse segnalazioni giornalistiche, è prevalsa a lungo l'idea di considerarli episodi isolati, intrusioni in un contesto sano che restava totalmente refrattario all'infiltrazione. Alcuni dei soggetti auditi, pur senza giungere a posizioni negazioniste, hanno manifestato un'esplicita sottovalutazione del rischio di infiltrazione.
      Proprio nel 2011 si sono verificati numerosi eventi «sentinella» comprovanti Pag. 9infiltrazioni della criminalità nel tessuto perugino: è nota l'operazione «Apogeo» del 2011, condotta nelle province di Perugia, Caserta, Ancona, Firenze, Padova e Pesaro, nel corso della quale i carabinieri del ROS e i militari della Guardia di finanza di Perugia e Firenze hanno concluso un importante intervento nei confronti di un'organizzazione criminale dedita alla truffa aggravata, al riciclaggio, alla bancarotta fraudolenta, all'emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con l'aggravante del metodo mafioso.
      L'organizzazione, anche in questo caso, aveva sede a Perugia. Risulta confermata la presenza della ’ndrangheta in provincia di Perugia e, dopo i fatti dell'indagine «Apogeo», anche la presenza della camorra, con alcune evidenze anche nella provincia di Terni. Dal rapporto ecomafie 2014 emerge un quadro poco rassicurante sulla penetrazione delle associazioni criminali nel tessuto economico e sociale umbro.
      Anche il problema della diffusione delle sostanze stupefacenti è strettamente collegato alla criminalità organizzata: la commissione regionale ha precisato che la situazione umbra, specie nella zona urbana perugina, desta forte preoccupazione. Perugia è al centro di una rete di smercio che copre un'area molto vasta della regione. La provenienza dei morti per overdose, in numero eccezionalmente elevato, indica che la dimensione del fenomeno abbraccia anche le regioni vicine. Questa caratteristica attira in Umbria, soprattutto a Perugia, organizzazioni criminali di varia provenienza, che si dividono il mercato. Nella relazione della procura nazionale antimafia l'Umbria è segnalata per una presenza particolarmente numerosa di quelle che la DIA chiama mafie «alloctone»: albanesi, nigeriane, magrebine. È facile ipotizzare legami con le organizzazioni criminali che in Italia detengono tale mercato.
      Nei primi sei mesi del 2014, il bilancio dell'attività della Guardia di finanza del comando provinciale di Perugia è stato di otto chili tra hashish e marijuana, otto etti di cocaina e 661 grammi di eroina; finora sono state 14 le persone finite in manette per spaccio e 51 i denunciati. E, infine, secondo l'ordinanza di custodia cautelare, in riferimento alla recente operazione di Polizia del 10 dicembre 2014, il GIP di Perugia scrive che sarebbe riduttivo definire l'associazione come «un'articolazione periferica della struttura criminale calabrese», ma si tratterebbe di «un'autonoma associazione, composta da soggetti residenti in Umbria da oltre un decennio» che operano autonomamente ed in via esclusiva in Umbria, conservando sempre un «basso profilo» criminale, al fine di non attirare sull'organizzazione l'attenzione delle forze dell'ordine in un territorio, quale quello umbro, a torto ancora ritenuto da taluni «isola felice», ed invece in via di progressiva «mafizzazione».
      Gli imprenditori erano spesso costretti ad emettere fatture false per coprire pagamenti illeciti o, addirittura, cedere le proprie imprese agli indagati o a loro prestanome, che, dopo avere «spolpato» l'azienda, ne provocavano la bancarotta fraudolenta. Vittime di truffa anche i fornitori di materiali edili, i cui prodotti venivano poi rivenduti a ricettatori calabresi proprietari di imprese che li reimpiegavano per costruire edifici nella stessa Umbria, Toscana e Calabria. Una parte dell'organizzazione, che faceva capo a Francesco Pellegrino, rubava materiale edile e macchine operatrici nelle Marche, per rivenderle sul mercato legale o a ditte calabresi. I proventi delle attività illegali, si legge nella nota del ROS, sono stati reimpiegati per acquistare beni immobili ed attività commerciali nel settore dell'intrattenimento e del fotovoltaico, anche intestati a prestanome, per dissimulare la reale riconducibilità dei beni alla cosca. Beni che i militari, appunto, hanno stimato in 30 milioni di euro.
      Il procuratore nazionale antimafia, spiega come «questa operazione conferma gli interessi della criminalità organizzata verso la green economy»; ed infatti la Direzione nazionale antimafia nel proprio rapporto annuale rappresentava Pag. 10l'Umbria come crocevia della droga, terra di «integrazione criminale», campo di gioco per più etnie che intessono rapporti con «soggetti italiani residenti nella regione» per trattare affari illegali e «covo freddo» di camorra e ’ndrangheta, che reinvestono i capitali provento delle attività criminali, lavando in Umbria il denaro sporco; nell'agosto del 2013 io stessa denunciai in quest'Aula le infiltrazioni nella «felice Umbria» delle organizzazioni malavitose e del narcotraffico, eppure fui duramente contestata perché, a detta di contestatori, non conoscevo la regione in cui vivevo. Invece, le recenti vicende di cronaca giudiziaria hanno fatto emergere una sostanziale sottovalutazione, anche da parte della politica nazionale, nonché un'insufficiente attenzione da parte delle istituzioni competenti, del fenomeno e del suo impatto sulla società e sull'economia del territorio umbro che, per le sue caratteristiche, appare fortemente appetibile alle organizzazioni criminali.
      In sostanza, si chiede al Viceministro, quali misure intenda attuare per contribuire alla prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata in Umbria e per rafforzare l'azione di contrasto.

      PRESIDENTE. Il Viceministro dell'interno, Filippo Bubbico, ha facoltà di rispondere.

      FILIPPO BUBBICO, Viceministro dell'interno. Signora Presidente, con l'interpellanza si richiama l'attenzione del Governo sull'infiltrazione della criminalità organizzata in Umbria, in modo particolare a Perugia, come l'interpellante ha potuto ampiamente sottolineare, e si chiede, ovviamente, di conoscere quali misure si intendano adottare per rafforzare l'azione di prevenzione e contrasto da parte delle forze di polizia. Bisogna, innanzitutto, dire che le indagini e le operazioni di polizia giudiziaria svolte nel corso degli anni hanno consentito di delineare uno scenario di presenze nella regione e di cointeressenze fra soggetti malavitosi collegati con i contesti criminali d'origine, in modo particolare quelli calabresi, come ricordato, e quelli campani, che cercano di integrarsi nel tessuto sociale ed economico per reinvestire i proventi illeciti attraverso l'acquisto di beni immobili, l'avvio o l'acquisizione di attività commerciali e l'avvio di attività nello spazio rurale, anche di tipo agricolo.
      In particolare, è emerso che in Umbria la ’ndrangheta ramifica i suoi interessi in diversi settori quali il narcotraffico, le estorsioni, l'usura, l'ecomafia, il mercato illecito di armi, gli appalti pubblici e il riciclaggio di denaro. Risulta, inoltre, rilevante la presenza della criminalità di matrice straniera che si manifesta nella commissione di un'ampia gamma di delitti in particolare nei settori degli stupefacenti, dello sfruttamento della prostituzione, delle rapine e dei furti. Lo scenario appena delineato, dunque, riguarda in particolar modo la provincia di Perugia. In quella di Terni, per fortuna, non sono stati rilevati, al momento, fenomeni delittuosi ascrivibili a sodalizi di tipo mafioso o, comunque, ad associazioni criminali che abbiano il controllo delle attività illecite poste in essere nel territorio. Va ricordato che in tale contesto sono state adottate diverse iniziative di prevenzione e contrasto delle varie forme di illegalità.
      La DIA (Direzione investigativa antimafia) di Roma, che ha competenza sul territorio regionale umbro, svolge una costante attività di monitoraggio per prevenire le infiltrazioni mafiose negli appalti dei lavori pubblici, in modo particolare. In tale ambito è stata individuata una società riconducibile a una famiglia ’ndranghetista, nei cui confronti il prefetto di Perugia ha emesso lo scorso 22 settembre una misura interdittiva. Nel corrente anno, la DIA ha inoltre effettuato tre accessi a cantieri e ha esaminato le posizioni di 51 imprese con sede nella regione, ma operanti sull'intero territorio nazionale.
      L'attività di prevenzione delle forze di polizia può, inoltre, giovarsi dell'uso del patrimonio informativo del progetto MACRO Pag. 11che, attraverso una mappatura informatizzata su base nazionale dei sodalizi criminali, consente il censimento delle organizzazioni criminali di tipo mafioso, italiane e straniere, delle quali siano state individuate la denominazione, l'area d'influenza, le attività e i soggetti collegati.
      Nella regione Umbria il progetto è stato avviato nel mese di ottobre 2013, con la costituzione del gruppo provinciale interforze presso la prefettura di Perugia, ed è proseguito nello scorso mese di marzo con l'istituzione del gruppo interforze di Terni.
      Per quanto riguarda in modo specifico l'azione di contrasto, informo che la questura di Perugia ha potenziato le risorse umane e strumentali destinate alla sezione «criminalità organizzata» della squadra mobile e ha istituito un apposito nucleo presso la divisione anticrimine che opera nel campo delle misure di prevenzione patrimoniali. Tali unità agiscono in stretta collaborazione con la Guardia di finanza che ha svolto nel corrente anno accertamenti nei confronti di 89 soggetti, avanzando all'autorità giudiziaria proposte di sequestro, finalizzate alla confisca di beni, per oltre 6 milioni di euro.
      Alle iniziative illustrate si aggiunge un articolato progetto denominato GRIFO, già in fase di attuazione, che vede impegnati la questura di Perugia e uffici del Dipartimento della pubblica sicurezza nel contrasto allo spaccio diffuso di sostanze stupefacenti e ai reati in genere connessi alla presenza di stranieri irregolari. Tra le operazioni più significative nell'ambito di tale progetto, informo che lo scorso 15 ottobre sono state arrestate 36 persone responsabili a vario titolo di associazione finalizzata al traffico internazionale e allo spaccio di ingenti quantitativi di eroina e cocaina.
      Più in generale, nel capoluogo perugino l'azione di repressione volta a contrastare il traffico di stupefacenti ha portato quest'anno, nel corso di 243 operazioni, al sequestro di oltre 35 chilogrammi di sostanze stupefacenti e psicotrope e alla segnalazione all'autorità giudiziaria di 487 persone con un sensibile incremento, per tale ultimo aspetto, pari a circa il 60 per cento rispetto al 2013.
      L'impegno profuso dalle Forze di polizia e dalla magistratura per la tutela della legalità è testimoniato in maniera tangibile anche dagli esiti di alcune importanti operazioni, peraltro già ricordate dall'interpellante. Mi riferisco, in particolare, alla recente operazione denominata «Quarto Passo», che ha portato, lo scorso 10 dicembre, all'arresto di 57 persone, in gran parte originarie della provincia di Crotone e insediatesi da tempo in Umbria, ritenute aderenti ad un sodalizio criminale mafioso operante in provincia di Perugia, ma con collegamenti con le cosche calabresi. Tutti i soggetti coinvolti risultano indagati, a vario titolo, per una serie di gravi reati contestati con l'aggravante del metodo mafioso.
      I risultati dell'azione investigativa hanno determinato anche il sequestro preventivo, finalizzato alla successiva confisca, di beni mobili ed immobili e cespiti bancari, per un valore complessivo di circa 30 milioni di euro. In particolare, le indagini condotte dal ROS dei carabinieri di Perugia hanno documentato l'operatività di un'organizzazione della ’ndrangheta, collegata alla cosca Farao-Marincola di Cirò (Crotone), operante sul territorio umbro almeno dal 2008. Il sodalizio criminale è risultato particolarmente attivo nell'infiltrazione del tessuto economico locale mediante condotte usurarie ed estorsive ai danni di piccoli imprenditori e piccole attività commerciali e conseguenti attività di riciclaggio anche attraverso l'impiego di prestanome.
      Sono stati rilevati, inoltre, interessi del sodalizio criminale nei settori dell'intrattenimento, del fotovoltaico, del traffico di cocaina, nonché nel favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di giovani donne provenienti dall'est Europa.
      Gli sviluppi delle indagini in corso e gli scenari da esse disvelati hanno formato oggetto di approfondimento a livello di autorità provinciali di pubblica sicurezza con il coinvolgimento dei vertici delle Forze di polizia, convenendosi sull'opportunità Pag. 12di dare il massimo impulso alle attività info-investigative, anche al fine di impedire la consumazione di nuovi reati.
      In tal senso, le Forze di polizia procederanno al puntuale monitoraggio delle posizioni delle imprese edili coinvolte nell'operazione «Quarto Passo» ai fini dell'eventuale adozione di provvedimenti di prevenzione amministrativa antimafia. Sarà inoltre rafforzata la sorveglianza sulle cosiddette «grandi opere» in corso di realizzazione sul territorio regionale (in modo particolare per quanto riguarda le infrastrutture in fase di realizzazione nel cosiddetto «Quadrilatero Umbria-Marche», attraverso il raddoppio della direttrice ferroviaria Orte-Falconara) e tutto questo verrà effettuato anche con la verifica e l'operatività di ulteriori controlli ispettivi presso i cantieri in essere.
      Voglio sottolineare che i risultati da ultimo conseguiti nell'attività di contrasto della criminalità organizzata vanno ad aggiungersi a quelli ottenuti il 24 giugno scorso dall'Arma dei carabinieri, con l'operazione «Mediterraneo» conclusasi con l'arresto di 54 persone, che ha messo in luce la capacità di una cosca reggina di reinvestire i patrimoni illeciti e di acquisire partecipazioni societarie in diversificate attività imprenditoriali e commerciali situate anche in Umbria e fittiziamente intestate a terzi compiacenti.
      Nell'ambito delle azioni dei pubblici poteri, mi preme segnalare le iniziative della prefettura di Perugia, volte alla creazione di stabili sedi di raccordo e vicinanza tra i livelli istituzionali e la società civile. La prefettura ha avviato specifici contatti con le rappresentanze di enti locali e con le associazioni di categoria, al fine di pervenire alla stipula di specifici patti di legalità, volti all'innalzamento del livello di cautela antimafia nel settore dei contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture. Inoltre, si sta valutando l'opportunità di sviluppare apposite intese con gli organismi di rappresentanza delle imprese e del commercio, per monitorare cessioni e passaggi di proprietà di attività economiche e commerciali che potrebbero evidenziare profili sintomatici di infiltrazione mafiosa o di reati di tipo usurario o estorsivo.
      Il quadro degli interventi che ho appena delineato testimonia dell'attenzione prestata dalle istituzioni al mantenimento di elevati livelli di sicurezza pubblica nella regione e posso senz'altro assicurare che le attività di prevenzione e contrasto di ogni forma di illegalità proseguiranno con il massimo impegno per salvaguardare i cittadini umbri ed il loro territorio da ogni tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali.

      PRESIDENTE. La deputata Ciprini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

      TIZIANA CIPRINI. Grazie Viceministro per la risposta, ma quello che veramente preoccupa è l'atteggiamento negazionista della questione della presenza mafiosa in Umbria da parte della classe politica di centrosinistra, che amministra la regione umbra da sessant'anni. Quando, nel 2013, denunciai proprio in quest'Aula la situazione dell'Umbria, interessata da infiltrazioni mafiose e dal narcotraffico, fui pesantemente attaccata da un membro del gotha negazionista del PD umbro, finito anch'egli in Parlamento, che disse (testuali parole): «Forse l'onorevole Ciprini non conosce l'Umbria, pur essendo stata inconsapevolmente ed incolpevolmente eletta in questa regione, forse l'onorevole Ciprini non frequenta l'Umbria».
      Sembra quasi che sia calato un ordine di scuderia di porre sotto silenzio il problema per evitare forse pericolose attribuzioni di colpa e di connivenza per il PD umbro. E non parlare dei problemi dell'Umbria, perché altrimenti si danneggia all'esterno l'immagine della regione come terra felice, è un buon metodo per risolvere la questione dell'infiltrazione della criminalità organizzata ? Il primo passo, secondo me, per risolvere un problema è riconoscere con franchezza di avere un problema. L'atteggiamento negazionista è già costato due poltrone in termini amministrativo-politici. La prima a saltare fu Pag. 13quella dell'ex primo cittadino del capoluogo, in quota al PD, che aveva perso la poltrona anche per aver fatto lo struzzo sul problema droga e infiltrazioni criminali a Perugia, perché, secondo l'ex sindaco di Perugina, non si doveva danneggiare all'esterno l'immagine della città.
      Ebbene, dopo sessant'anni di guida del comune di Perugia del centrosinistra, il comune è passato nelle mani di Forza Italia. La seconda poltrona saltata – lo ricorderà bene il signor Viceministro – è quella del prefetto Reppucci, che è stato da voi rimosso per aver dato semplicisticamente e offensivamente la colpa dell'emergenza droga a Perugia ai figli dei perugini e ai loro genitori.
      Ebbene, è noto a tutti che Perugia è diventata la centralina dello spaccio nel centro Italia. Da noi arrivano acquirenti dalle Marche e dalla Toscana ed è anche capitato che alcuni di loro, purtroppo, trovano la morte nella nostra città. A Perugia, poi, c’è il fenomeno del piccolo imprenditore della droga «fai da te», ovvero il magrebino che si reca a Scampia a fare il pieno di droga, la lavora nel suo laboratorio-tugurio, ma, non essendo un professionista, la taglia male o non la taglia affatto, e questo fa innalzare il numero di morti per droga nella nostra città.
      Gli spacciatori si fronteggiano a colpi di coltello e arma da fuoco in pieno centro storico, sotto gli uffici del comune, per rubarsi a vicenda la sim del telefono, il vero pacchetto clienti dei piccoli imprenditori del fai da te. Evidentemente, se un siffatto mercato della droga ha attecchito a Perugia, è perché ha trovato condizioni favorevoli e maglie larghe che hanno favorito il fiorente business interregionale dello spaccio. Non parlerei di qualche connivenza, come fece l'ex sindaco; parlerei piuttosto di grosse connivenze e interessi.
      Intanto, nel centro storico ci sono cittadini volenterosi e attivi che hanno ripreso in mano la gestione dei propri quartieri, ad esempio organizzando eventi oppure tagliando l'erba per togliere nascondigli agli spacciatori e costringerli a delocalizzare le proprie attività illecite.
      La Commissione antimafia ha scritto che in Umbria non ci sono gli anticorpi sviluppati e manca un vigile controllo da parte degli amministratori locali. C’è, quindi, un atteggiamento colpevole e diffuso di sottovalutazione del fenomeno delle infiltrazioni malavitose. Quindi, un politico che nega, signor Viceministro, è un politico complice. Perché nega ? Ha qualcosa da temere ? Atteggiamenti del genere non possono essere più tollerati.
      Eppure, già da tempo si parla di mafizzazione dell'Umbria. L'Umbria fa parte di quelle regioni silenti, che dell'indifferenza di tutti è diventata la lavanderia di Cosa nostra: commercio, appalti, usura, edilizia sono i settori dell'infiltrazione criminale. L'Umbria è tra le rotte del narcotraffico internazionale per collocazione geografica, poco collegata al resto d'Italia, quindi meno esposta. Riciclaggio di denaro sporco derivante da droga, prostituzione, scommesse illecite, investimenti nel mercato edilizio umbro, con massiccia presenza di imprese edili campane e calabresi, appalti e tecnica del massimo ribasso: si fanno offerte non sostenibili per le imprese locali dei settori dell'edilizia, del ciclo dei rifiuti, della gestione dei servizi sanitari.
      I primi contagi si sono verificati a fine anni Novanta, con gli appalti sulla ricostruzione post sisma e sin dal 2010, da un rapporto dei servizi segreti ai vertici dello Stato, risulta che l'Umbria è la quinta regione d'Italia per la presenza dei clan mafiosi e camorristici. Regione di soggiorno obbligato per molti boss di primo calibro, proprio perché ritenuta neutra, l'Umbria è diventata terra di conquista delle nuove rotte disegnate dalle mafie, camorra e ’ndrangheta in testa. L'Umbria è stata individuata come luogo ideale nel quale agire indisturbati. Le cosche sondano il terreno, fiutano la possibilità di costruire aziende pulite e utilizzano questa copertura per muoversi e fare affari della regione stessa, ma, soprattutto, nel resto d'Italia. Prestanome più o meno consapevole, l'Umbria si scopre base di smistamento, Pag. 14progettazione e investimento degli affari delle mafie italiane e straniere. Eppure, qualcuno continua a dire che il problema non esiste.
      Mafia Spa è l'unica azienda che al momento sta facendo affari d'oro in tutta Italia e in Umbria sta annientando l'economia legale. Quindi, nella regione di San Francesco ora comandano purtroppo i lupi. E adesso si scopre che «Mafia capitale» ha allungato i suoi tentacoli anche a Terni, con collegamenti tra le amministrazioni, le coop e la criminalità dei cosiddetti colletti bianchi e i faccendieri vari, come Buzzi.
      Ebbene, ricordo che la corruzione ci costa 60 miliardi l'anno, secondo la Corte dei conti e toglie lavoro agli imprenditori onesti. E, a proposito di misure anticorruzione che riguardano anche il coinvolgimento della pubblica amministrazione, il procuratore antimafia Roberti ha dichiarato che preferisce la proposta del MoVimento 5 Stelle a quella di Renzi perché abbiamo proposto che la prescrizione per i casi di corruzione scatti dal momento in cui il fatto è scoperto e non dal momento in cui il fatto è commesso. Inoltre, in Umbria c’è il problema della carenza organica di risorse da destinare alla giustizia. Ci sono gravissime carenze di organico sia come magistrati sia come personale amministrativo nei tribunali. Va bene fare le indagini e le inchieste ma se poi non si fornisce personale e risorse adeguate alla giustizia come si fa a celebrare i processi e a sradicare le infiltrazioni ? Come il Governo vuole fronteggiare l'emergenza se non fornisce risorse alla giustizia ? E a proposito di giustizia, gravi anomalie si sarebbero riscontrate nel sistema di giustizia ad esempio di Terni. Sulla procura della Repubblica di Terni il MoVimento 5 Stelle ha acceso un faro nell'autunno 2013 in vista della sentenza di primo grado che vedeva imputati l'attuale presidente del consiglio regionale dell'Umbria, Eros Brega, del PD, altresì presidente delle Assemblee legislative d'Italia, incriminato per numerose ipotesi di reato tra cui peculato e concussione. In particolare, tramite un'interrogazione del MoVimento 5 Stelle al Senato, si segnalò come il relativo collegio giudicante fosse composto da un magistrato la cui famiglia, padre e fratello, avevano ricevuto le lucrose consulenze alcuni anni prima proprio quando Brega era assessore comunale e deliberò tali incarichi. Nonostante il potenziale conflitto di interessi, si è andati a sentenza senza procedere a sostituzioni. Brega è stato quindi assolto e prescritto ed il PM ha poi inoltrato ricorso in Corte d'appello, notizia finora mai emersa sui media a dispetto del rilevante ruolo pubblico ricoperto da Brega nonché del fatto che questi si ricandiderebbe di nuovo in consiglio regionale. Pur essendo trascorso ormai un anno dall'interrogazione citata, non è stata fornita risposta ma, secondo qualificate fonti, i procuratori di Terni avrebbero ricevuto un questionario dal Ministero. Insomma, Viceministro, il cuore verde d'Italia ha qualche problema di cardiopatia. In Commissione antimafia abbiamo richiesto per gennaio una missione urgente in Umbria e spero che il Ministero appoggerà questa iniziativa promossa dal MoVimento 5 Stelle.

(Elementi in ordine alla razionalizzazione dell'attività delle autorità indipendenti, con particolare riferimento alla sede dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – n. 2-00786)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Valeria Valente n. 2-00786, concernente elementi in ordine alla razionalizzazione dell'attività delle autorità indipendenti, con particolare riferimento alla sede dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo alla deputata Valente se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      VALERIA VALENTE. Signor Presidente, con l'interpellanza urgente di questa mattina, scritta e predisposta insieme all'onorevole Carloni, chiediamo al Governo finalmente qualche parola di chiarezza Pag. 15sulla vicenda della sede dell'Autorità garante per le comunicazioni. Vorremmo precisare subito che è una questione che può apparire quasi una faccenda in qualche modo burocratica e di riorganizzazione del lavoro e degli uffici e, invece, per noi rischia di divenire l'ennesimo depauperamento perpetrato ancora una volta ai danni del Mezzogiorno, in modo particolare ai danni della città di Napoli. Proviamo ad andare con ordine per ricostruire la vicenda. Come è noto, la sede principale dell'Autorità garante per le comunicazioni insiste a Napoli sin dalla sua costituzione ovvero nel 1998. La scelta del capoluogo campano non è stata sin dall'inizio casuale. Come fu scritto espressamente nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 1998, la sede dell'Autorità fu individuata a Napoli anche in un'ottica di equilibrata distribuzione sul territorio nazionale perché la città, da un lato, presenta aree idonee per l'insediamento e dispone di adeguate infrastrutture e, dall'altro, può assumere un ruolo significativo quale punto di riferimento dello sviluppo dell'intero Mezzogiorno in un settore tecnologicamente avanzato, così riferiva quel decreto. Pertanto, la sede dell'Agcom fu istituita a Napoli con una chiara scelta politica e precisamente, a nostro avviso, quella di tentare o comunque contribuire a rivitalizzare il Mezzogiorno in ragione della creazione anche di nuovi posti di lavoro anche con l'obiettivo ovviamente di creare un nuovo indotto economico come linfa preziosa per il tessuto territoriale e per le istituzioni locali nonché per il rafforzamento dei rapporti con le industrie e con gli operatori nazionali ed esteri. Da qui dunque la scelta di insediare a Napoli la sede principale dell’Authority, affiancando ad essa una sede secondaria a Roma – vorrei sottolinearlo con chiarezza – per meri ed esclusivi fini di rappresentanza. E, infatti, nella delibera di costituzione adottata dal consiglio dell'ente nel 10 marzo 1998, la sede romana viene espressamente definita ufficio di rappresentanza.
      Del resto, come da regolamento tuttora vigente, è a Napoli che di norma si riuniscono gli organi collegiali dell'ente. Insomma, appare chiaro che la sede principale – la sede, dunque, dell'Agcom – è a Napoli, e a Roma insiste soltanto una sede di rappresentanza.
      Ebbene, a questa situazione di diritto rischia, ad oggi, di non corrispondere più la situazione dei fatti e questo anche a seguito di scelte da parte dell'Autorità che, se non illegittime, a nostro avviso, sembrano quanto meno discutibili e di dubbia correttezza, dal momento che, a partire dal 2006, i vertici dell'ente hanno posto in essere una sorta, quasi, di moto centrifugo che, in palese contrasto con la ratio tanto della legge istitutiva, quanto soprattutto con la volontà chiara espressa dal legislatore a più riprese, ha finito per concentrare attività, uomini e risorse nella sede romana originariamente solo sede di rappresentanza, depauperando progressivamente così la sede principale di Napoli da diversi punti di vista.
      È ciò, attenzione, non in base all'intervento legislativo, ma esclusivamente in base ad un inciso contenuto in una delibera del consiglio dell'ente che, definendo la nuova dotazione organica del 2006, parla per la prima volta di sede secondaria ed operativa a Roma, invece che di ufficio di rappresentanza, come invece, appunto, previsto nella legge costitutiva.
      Nonostante, dunque, la mancanza di una copertura normativa che legittimasse il cambio di natura e funzioni della sede romana, come più volte denunciato dai sindacati, a partire dal 2007, si è assistito ad un vero e proprio spostamento di risorse umane e professionali della sede di Napoli verso Roma: distacco di personale, dunque, presso lo staff dei commissari, senza che, a mandato concluso, lo stesso personale abbia fatto più ritorno nella sede di origine, ovvero a Napoli; distacco di personale partenopeo presso altre autorità; trasferimenti a Roma di contrattisti e stagisti originariamente assegnati a Napoli; stabilizzazioni a Roma di dirigenti originariamente assegnati a Napoli e, poi, in via di fatto o dietro dei termini ad hoc, trasferiti a Roma.Pag. 16
      E sempre a Roma, infatti, nel 2009, l'Autorità ha trasferito l'ufficio di presidenza, l'ufficio di gabinetto, gli staff dei commissari, l'ufficio organizzazione, bilancio e programmazione, l'ufficio affari generali e contratti, depauperando, insomma, alla fine, svuotando e mortificando quella che oggi è ancora formalmente e sostanzialmente la sede principale dell'ente.
      È su questa situazione di fatto che si sono poi, innestati, di recente, gli effetti del «decreto Madia» sulla riforma della pubblica amministrazione, decreto licenziato il 24 giugno del 2014 e, poi, convertito dal Parlamento nella legge n.  114 del 2014. Ecco, come stabilito dall'articolo 22, infatti, il decreto prevede che le autorità indipendenti debbano concentrare gli uffici nella sede principale, salvo che per oggettive esigenze di diversa collocazione in relazione alle specifiche funzioni dei singoli uffici e che nella sede principale debba essere assegnato almeno il 70 per cento del personale.
      A rigore di logica, dunque, il decreto-legge, convertito in legge, stabilisce un principio chiaro: quello della concentrazione delle competenze e del personale nella sede principale dell'ente. Sede principale che, nel caso dell'Agcom, nonostante, appunto, quello che abbiamo provato a raccontare brevemente, è ancora a Napoli. Appare, dunque, chiaro che, nel modificare in sede di conversione il testo dell'articolo 22 del «decreto Madia», l'intenzione del legislatore è stata, ancora una volta, quella di mantenere le sedi delle autorità indipendenti nelle città in cui tali sedi sono state individuate e di richiedere, per esigenze, ovviamente, che noi peraltro condividiamo, semplicemente razionalizzazioni e potenziamenti delle sedi principali, riducendo contestualmente spese e dimensioni delle sedi secondarie.
      Nonostante questa ratio, a nostro avviso, chiara e difficilmente interpretabile in modo diverso, dal momento che a Roma è di fatto ormai concentrato il 65 per cento del personale, frutto ovviamente delle cose che ho detto prima, il rischio oggi che noi vediamo concreto – secondo anche diverse denunce fatte dai sindacati, in base ad alcune comunicazioni fatte dai vertici dell'azienda ai dipendenti – è che il decreto venga strumentalizzato in qualche modo per sanare nei fatti, poi, alla fine, un abuso che si è consumato negli ultimi anni a danno di Napoli e, quindi, della sede legale.
      Ecco perché, pur nel rispetto dell'autonomia e dell'indipendenza, ovviamente riconosciuta a questa Agenzia, chiediamo al Governo di verificare quale sia lo stato di attuazione delle disposizioni di legge, con specifico riferimento alla storia della sede principale dell'Autorità a Napoli.
      Ciò, nella prospettiva di garantire, intanto, un potenziamento di tale sede, sia per quanto concerne il numero del personale, sia per quanto riguarda la rilevanza delle attività in essa svolte. Alla luce delle ultime comunicazioni inoltrate, peraltro, dal consiglio ai dipendenti, chiediamo al Governo soprattutto quali informazioni abbia in ordine a eventuali iniziative dell'Autorità finalizzate a trasferire a Roma la sede principale dell'Autorità stessa e, in tale caso, quali comportamenti, soprattutto, intenda adottare per assicurare il mantenimento della sede principale dell'Autorità a Napoli.
      Vorrei chiarire, ovviamente, e mi avvio a concludere, che non si tratta di mero campanilismo o semplice difesa di interessi territoriali; si tratta di stabilire, innanzitutto per voi, qual è il valore, l'importanza e il peso, pure nei confronti di un'Autorità indipendente, della volontà espressa in modo chiaro e a più riprese dal Parlamento; una volontà espressa in piena continuità, del resto, con quanto deciso originariamente nel 1998 e cioè valorizzare, non mortificare, il ruolo strategico e l'importanza, anche simbolica, di tenere a Napoli, capitale del Mezzogiorno, una delle più importanti tra le Autorità garanti del nostro Paese.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato Cosimo Maria Ferri ha facoltà di rispondere.

      COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signora Presidente, Pag. 17ringrazio l'onorevole Valente per aver sottolineato l'importanza dell’Authority, l'importanza della vigilanza, l'importanza dell'indipendenza dell’Authority che, appunto, ha sede a Napoli e, a Roma, quella di rappresentanza. Importanza, perché ha le funzioni di regolamentazione e di vigilanza dei mercati, delle comunicazioni e dei servizi postali e svolge quel ruolo e quelle funzioni di garanzia a tutela dell'esercizio dei diritti fondamentali; vi voglio ricordare, tra gli altri, il pluralismo dell'informazione, la protezione dei minori nei media, il diritto d'autore online e la par condicio. Inoltre, l'indipendenza, che è il principale aspetto di queste authority, è proprio una categoria che ha ispirato anche il legislatore nell'istituirle.
      Venendo, quindi, ai quesiti posti nell'atto di sindacato ispettivo e premesso, appunto, come ho cercato di dire, che autonomia organizzativa e indipendenza sono i pilastri del modello organizzativo delle authority, si segnala, sulla base degli elementi forniti anche dalla stessa Autorità, quanto segue: il comma 9 dell'articolo 22 del decreto legislativo n.  90 del 2014, convertito nella legge 11 agosto 2014 n.  114, prescrive, alle lettere da a) ad e), alcuni criteri nonché limiti quantitativi di contenimento della spesa relativi alle Autorità che attualmente hanno più di una sede. Una di queste Autorità è l'Agcom; l'Autorità sta dando attuazione a quanto previsto dalla legge, partendo dalla considerazione che i criteri vadano calati nella specificità organizzativa e gestionale, attuale e prospettica, dell'Autorità stessa. Pertanto, per entrambe le sedi operative di Napoli e Roma, in base a quanto previsto dalla lettera a) del comma 9, l'Agcom ha preso contatti con l'Agenzia del demanio e con altre istituzioni pubbliche, per la sede di Napoli direttamente con l'ufficio del sindaco, per la ricerca di un edificio che consenta, innanzitutto, di ridurre le spese di locazione attualmente sostenute dall'Autorità per le due sedi, perché questa deve essere la stella polare che deve guidarci in questa azione anche di scelte governative, quella di razionalizzare le spese, garantendo, però, l'efficienza del servizio per gli utenti e per chi vive in questo mercato.
      Riguardo alla lettera b), l'Autorità, come dichiarato nell'ambito dell'audizione presso la Commissione affari costituzionali della Camera, è intenzionata a mantenere entrambe le sedi operative dell'Autorità, con l'obiettivo di contenere la spesa per il personale (trasferimenti e spostamenti) e tutelare tutti i dipendenti attualmente assegnati alle due sedi.
      Quindi, sta cercando di operare nella conservazione delle due sedi, tutelando non solo il servizio per gli utenti ma anche i diritti dei lavoratori.
      L'Autorità ha pertanto ritenuto di confermare l'attuale distribuzione del personale, che vede circa il 65 per cento dei dipendenti nella sede di Roma e il 35 per cento dei dipendenti nella sede di Napoli. L'Autorità ha ritenuto che l'attuale distribuzione del personale tra le due sedi rispecchi anche quanto disposto dalle lettere d) ed e) della richiamata legge n.  114 del 2014, che prevede, da un lato, la riduzione delle spese per trasferte e missioni tra le sedi, dall'altro, una presenza effettiva nella sede principale del 70 per cento del personale. La considerazione di Roma quale sede principale tra le due sedi operative, sebbene Napoli sia anche sede legale dell'Autorità, come è stato anche correttamente ricordato anche dagli onorevoli interpellanti, si basa pertanto sulla conservazione dell'attuale distribuzione del personale dell'Autorità, nell'intento di non voler effettuare trasferimenti forzosi del personale da una sede all'altra. Ne consegue che non vi è nessuna intenzione di potenziare – lo voglio sottolineare perché è oggetto dell'interpellanza – la sede di Roma dell'Autorità, né da un punto di vista delle attività né del numero di personale ad essa assegnato. Quindi, l'indirizzo è quello di mantenere quella percentuale che è stata già indicata e anche quella distribuzione di servizi che rende oggi entrambe le sedi operative. L'Autorità ha appena approvato una nuova organizzazione, che sarà operativa a partire dal 2015, e che prevede – anche questo lo Pag. 18voglio sottolineare perché è importante – una specializzazione della sede di Napoli (in cui si concentreranno le attività in materia di regolamentazione e vigilanza delle comunicazioni elettroniche e tutte le attività di tutela dei consumatori nei mercati di competenza due delle sei direzioni di linea) e, ancora, un rafforzamento delle attività di servizio alle linee (economico-statistico, giuridico, tecnico-ispettivo), oltre che delle attività dedicate alla gestione amministrativa e del personale. Saranno infine rafforzati, anche in attuazione alla legge n.  114 del 2014, i servizi logistici e di supporto che consentono un maggior coordinamento e una maggiore concentrazione delle funzioni trasversali alla gestione delle due sedi, anche con strumenti assimilabili a quelli previsti dallo stesso per l'integrazione dei servizi di più Autorità indipendenti. Mi riferisco, ad esempio, a strumenti informatici, piattaforme comuni, strumenti di comunicazione e processi di gestione on line, al fine di migliorare l'interazione e la collaborazione tra il personale delle due sedi.
      Concludo. Ho cercato di illustrare, l'intenzione della stessa Autorità – e questo il Governo intende appunto evidenziarlo in questa sede, rispondendo all'interpellanza –, di mantenere l'operatività di entrambe le sedi e destinare Napoli a un'ulteriore specializzazione. Ho elencato, parlando della riorganizzazione, che entrerà in vigore nel 2015, i principali servizi su cui si vuole puntare nella sede di Napoli. Questo è anche in linea con la legge n.  114 del 2014, perché la razionalizzazione delle spese – questo lo voglio sottolineare – è fondamentale.
      La distribuzione del personale è un altro punto di visione dell'Autorità. Un equilibrio che penso davvero corretto, perché da una parte taglia gli sprechi e razionalizza, dall'altra pensa ai servizi, all'efficienza e alla tutela dei consumatori e di tutti gli operatori.

      PRESIDENTE. La deputata Anna Maria Carloni ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta all'interpellanza Valeria Valente n. 2-00786, di cui è cofirmataria.

      ANNA MARIA CARLONI. Presidente, voglio dichiarare certamente la soddisfazione, perché finalmente il Governo, nella figura del sottosegretario che ringrazio veramente, oggi ci ha risposto. Voglio dire infatti che su questo tema già c’è una mia interrogazione fin dal 13 ottobre scorso, alla quale, nonostante le sollecitazioni, finora il Governo aveva ritenuto di non rispondere. Ringrazio sinceramente il sottosegretario. Sono invece, anzi, siamo del tutto insoddisfatte per il merito della risposta. Argomento brevemente, perché già l'onorevole Valente nella sua relazione aveva ben rappresentato le ragioni per le quali ci siamo mosse con tanta determinazione. Nella nostra città, Napoli, il tema dell'Agcom è particolarmente sentito.
      Prima di entrare nel merito delle considerazioni del sottosegretario, vorrei ricordare – già lo faceva l'onorevole Valente – il valore che ha avuto ancora all'atto di insediamento dell'Agcom, della promulgazione della legge n.  481 del 1995, la scelta allora di definire la sede principale dell'Autorità a Napoli. Era una scelta che rispondeva ad un disegno intanto di articolazione sul territorio nazionale delle Autorità garanti, e per quanto riguarda la nostra città e il suo ruolo storico nel Mezzogiorno, ad una chiara scelta strategica di sviluppo dei nostri territori. Cosa significa ? Significa che l'Agcom in questi anni ha sviluppato concreti rapporti con l'università, che l'80 per cento dei dipendenti dell'Autorità napoletana si sono formati nell'università di Napoli, che si è creata una cultura di polo digitale, che è cresciuta la cultura dell'ICT, che sono stati attivati una quantità di partenariati, che si è intervenuti concretamente a proposito di banda larga e ultralarga, sviluppando una serie di iniziative nel nostro territorio le quali costituiscono fonte primaria di sviluppo del nostro Mezzogiorno e di crescita dell'occupazione. Questa era la scelta, per la quale tanto ci siamo battuti nel 1994 !Pag. 19
      Da allora in poi, con un comportamento del tutto illegittimo da parte dell'Autorità, si è progressivamente spostata, da quella che una volta era una sede di rappresentanza, a Roma l'attività principale dell’Authority: questo è quello che è avvenuto in questi anni, e questo non stava scritto in nessun atto legislativo. Sono state fatte molte assunzioni, troppe assunzioni; e a proposito di questo, visto che oggi siamo regime di scarsità di risorse e di spending review, bisognerebbe intervenire. Sono state fatte troppe assunzioni a Roma. Continuamente – e questa è materia degli ultimi tempi – vengono dislocate nella capitale una serie di attività strategiche, di uffici: il personale momentaneamente, si dice, viene spostato a Roma; in realtà si sta lavorando, come illustrava nella relazione molto efficacemente l'onorevole Valente, a trasformare quella che è una situazione di fatto in una situazione di diritto. Non esiste nessun atto legislativo che dica che la sede di Roma è sede principale dell'Autorità. La sede legale, la sede principale dell'Autorità sono a Napoli !
      Per questo noi non siamo assolutamente soddisfatti della risposta: perché nella risposta per la prima volta – il Governo non lo aveva mai detto, e non lo ha detto il Parlamento ancora nell'atto di modifica del decreto Madia, ovverosia la legge n.  114 che del 2014 – si conferma il 70 per cento dell'occupazione nella sede principale a Roma; ma la sede principale non è a Roma !
      Ci sarà il 70 per cento dell'occupazione perché illegittimamente si è fatto questo, ma la sede principale è Napoli e per la prima volta il Governo distingue tra sede principale e sede legale, ma questo non sta scritto in nessuna legge, signor sottosegretario. Sede legale e sede principale sono a Napoli !
      Dunque, noi non possiamo assolutamente condividere questa impostazione. La materia non ha niente a che vedere con il campanilismo ma con una scelta strategica di sviluppo che è propria di questo Governo. Riguarda l'occupazione e la battaglia che il nostro Presidente del Consiglio sta facendo sui temi della crescita e dell'occupazione anche in Europa e riguarda il nostro Mezzogiorno, riguarda una città che il Governo non dovrebbe assolutamente spogliare da quelle che sono sue funzioni principali e strategiche, per ultima, approfitto, anche la sovrintendenza archeologica. Napoli non potrà certo diventare una periferia di Roma come Tor Bella Monaca; certamente, questo non è il disegno del Governo. Dunque, questo noi non lo possiamo accettare, non lo possiamo accettare per lo sviluppo del Sud e nel nome degli interessi della nostra città; non lo possiamo neanche accettare nel rispetto del Parlamento, nel rispetto degli atti del Parlamento, della legislazione che abbiamo modificato due mesi fa. Dunque, penso di essere stata chiara, mi spiace essere stata anche così ferma, ringrazio veramente il sottosegretario per il suo impegno ma mi auguro che queste determinazioni vengano modificate nella sostanza.

(Elementi in merito alla decisione dell'Aifa di vietare, in via cautelativa, l'utilizzo di due lotti del vaccino antinfluenza Fluad e iniziative per evitare situazioni di allarme ingiustificato – n. 2-00770)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Dellai e Binetti n. 2-00770, concernente elementi in merito alla decisione dell'Aifa di vietare, in via cautelativa, l'utilizzo di due lotti del vaccino antinfluenza Fluad e iniziative per evitare situazioni di allarme ingiustificato (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo alla deputata Binetti se intenda illustrare l'interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      PAOLA BINETTI. Presidente, sembrano passati, non due settimane, ma molti più giorni da quando si era scatenata la situazione di allarme relativamente ai decessi che erano seguiti all'assunzione del vaccino. È vero che in medicina siamo abituati a considerare il fatto che post hoc non vuol dire propter hoc, però certamente anche Luca Pani, presidente dell'Aifa, Pag. 20aveva parlato di una concordanza che richiedeva attenzione e prudenza al punto tale da aver stoppato i due lotti di vaccino.
      È vero che si trattava ancora una volta di vaccino che veniva somministrato attraverso le ASL e non attraverso le farmacie, quindi in qualche modo una somministrazione di vaccino che avveniva in un contesto, come potremmo dire, clinicamente più protetto, perché era, in una relazione diretta e controllata nel sistema sanitario nazionale, la somministrazione del farmaco, il seguire il paziente, il registrare il caso, proprio il caso di evento avverso. Proprio questo però aveva richiamato anche l'attenzione di tutti del perché le ASL avessero atteso tempo, un tempo che sembrava persino eccessivo, tra l'identificazione del problema e la sua segnalazione.
      Tutto questo aveva creato poco tempo fa, poche settimane fa, tanto allarme da spingere il presidente della federazione dei medici di medicina generale a sollecitare gli anziani a non desistere dalla loro vaccinazione, cioè a non farsi trarre in inganno da un dato ancora non pienamente accertato e quello che invece poteva essere vissuto come un vantaggio diretto.
      Sappiamo tutti infatti che la stagione invernale è la stagione più drammatica per gli anziani e lo è proprio in merito a quelli che si potrebbero considerare gli accidenti di tipo cardio-respiratorio, cioè agli eventi legati alla patologia del sistema respiratorio che, indipendentemente dall'assunzione del vaccino, portano una situazione di fragilità maggiore soprattutto quando siamo davanti a grandi anziani oppure anziani affetti da patologie concomitanti, tipo per esempio una BPCO. La prudenza con cui il Ministero si è mosso attraverso i suoi organismi tecnici e l'aver immediatamente aperto delle indagini presso l'Istituto superiore di sanità per valutare se ci fossero dei contaminanti in questi vaccini è stata vissuta un po’ dall'opinione pubblica da un lato come una situazione di allarme e dall'altro come un immediato contro allarme. Come dire, attenzione, questo si sta verificando, ma non desistete dal vaccinarvi.
      Una comunicazione «paradossa», che aveva portato anche il Ministero ad attivare un numero appunto presso il Ministero – il 1500, che poi dopo, mi sembra dal 12 dicembre, è stato abolito – perché tutte le persone che desideravano chiedere informazioni le potessero ottenere.
      Fin qui i fatti, i fatti che sembrano avere portato a una conclusione, cioè che non ci sono contaminanti all'interno di questi vaccini che ne giustifichino, in qualche modo, la loro sottrazione dal mercato. Ma vi è stata, questa sì, una gestione dell'informazione che è stata quanto meno, come dire, «conflittiva» per quello che riguarda la semplicità con cui un anziano si rapporta all'idea: ma vale la pena vaccinarmi o no ? Corro più rischi se mi vaccino o corro più rischi se non mi vaccino ? Era qualcosa che richiedeva una gestione non soltanto tecnica del problema, ma anche una gestione della comunicazione attraverso anche quelli che sono i grandi mezzi di comunicazione sociale per essere sicuri di arrivare alla maggioranza della popolazione molto più chiari e molto più precisi.
      Fin qui i fatti recenti. Ma questi fatti recenti hanno destato il nostro allarme, la nostra preoccupazione, perché, come sicuramente il Governo sa, due anni fa era successa una cosa analoga con la Novartis. La Novartis è l'impresa che produce il vaccino, il Fluad, ed è una delle più grandi imprese, fa parte di Big Pharma, è una delle più grandi industrie, seconda sola alla Pfizer, nel campo mondiale della produzione di farmaci. Due anni fa era successa una cosa analoga. L'allarme tocca la stessa azienda per gli stessi prodotti, con una modalità di gestione della comunicazione analogamente paradossale, conflittuale e che si scarica soprattutto sulle fasce più fragili.
      Quindi, la domanda è in che modo il Ministero non solo intende gestire ora ma, come si dice, siccome non c’è due senza tre, ci piacerebbe che il tre non si verificasse e, quindi, quali sono le misure che sotto il profilo tecnico, assistenziale e comunicativo, il Ministero intende assumere.

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      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

      VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Presidente, onorevoli interpellanti, la problematica delineata nell'interpellanza urgente in esame ritengo sia stata immediatamente fronteggiata dal Ministero della salute. D'altronde, l'allarme segnalato dall'onorevole Binetti si è evidentemente attenuato negli ultimi giorni.
      Ricostruisco brevemente la vicenda. Il 27 novembre 2014, acquisiti tutti gli elementi necessari per valutare in modo correlato i primi quattro casi pervenuti di segnalazione di eventi avversi ritenuti gravi, di cui tre decessi e una sospetta encefalopatia, l'Agenzia italiana del farmaco ha emesso il divieto di utilizzo di due lotti di vaccino Fluad, in ottemperanza all'articolo 132 del decreto legislativo n.  219 del 2006, che prevede, al comma 9, un obbligo di informazione tempestiva, all'Agenzia europea dei medicinali (EMA) nonché al pubblico, «di tutte le segnalazioni di sospette reazioni avverse gravi da medicinali verificatesi nel territorio nazionale».
      Il 1o dicembre 2014, a distanza di pochissimi giorni dal diffuso allarme mediatico creatosi a seguito della decisione dell'Agenzia di sospendere l'utilizzo dei due lotti del vaccino Fluad, l'Aifa e l'Istituto superiore di sanità hanno reso noto che l'esito delle prime analisi effettuate sui vaccini antinfluenzali, appartenenti ai lotti nn.  143301 e 142701, è risultato completamente negativo. I risultati dei test confermano la sicurezza del vaccino antinfluenzale, escludono la presenza di endotossine e hanno mostrato che nei lotti esaminati risulta conforme l'aspetto e il contenuto in antigene del vaccino del virus dell'influenza.
      L'incremento delle segnalazioni, avvenuto in questi giorni, è ritenuto attribuibile alla maggiore sensibilità mostrata da parte degli operatori sanitari e della popolazione in generale al fenomeno, anche a causa del diffuso allarmismo che ognuna di queste notizie, come storicamente rilevava l'onorevole Binetti, determina nella comunità nazionale.
      Si ricorda che il divieto di utilizzo cautelativo per il vaccino Fluad riguarda solo i due lotti specificati, mentre tutti gli altri potevano essere regolarmente somministrati.
      Il Ministero della salute, l'Aifa e l'Istituto superiore di sanità, sulla base di queste risultanze, hanno invitato tutti i soggetti, in particolare quelli a rischio, a continuare a sottoporsi alla vaccinazione antinfluenzale – e questa battaglia comunicativa è evidente che bisogna strutturarla ancora più profondamente nei prossimi anni – per evitare di andare incontro alle complicanze di questa malattia infettiva, che – ricordo ancora una volta – ogni anno causano circa 8 mila decessi in Italia, in particolare nella fascia di popolazione al di sopra dei 65 anni.
      A conferma della sicurezza e della qualità del vaccino, l'Agenzia, devo dire, si è subito attivata, divulgando attraverso i normali canali di comunicazione messaggi rassicuranti per la popolazione sotto il profilo scientifico, e, al fine di scongiurare i concreti rischi collegati al calo della copertura vaccinale, che determinano i rischi, gli effetti negativi e i dati statistici drammatici che ho segnalato innanzi, soprattutto nella popolazione a rischio, lo stesso direttore dell'Aifa si è sottoposto, come è noto, pubblicamente, ad una vaccinazione nel corso di una nota trasmissione televisiva, che è andata in onda proprio il 1o dicembre 2014.
      In particolare, l'Istituto superiore di sanità ha inteso precisare che, per entrambi i lotti, sono stati immediatamente ripetuti alcuni saggi sui campioni prelevati, atti a verificare la conformità di alcune specifiche esaminabili nel giro di 48 ore. Questi parametri hanno mostrato che il contenuto di endotossine (che indica l'eventuale presenza di contaminanti di origine batterica di tipo gram-negativo), l'aspetto della siringa preriempita e il contenuto in antigene sono completamente nella norma, come per i campioni inviati nel luglio 2014 dalla ditta produttrice e Pag. 22testati dallo stesso Istituto superiore di sanità per il rilascio e l'autorizzazione sul mercato.
      Superata questa fase di emergenza temporale, sono state avviate altre due analisi, il saggio di sterilità e il saggio di tossicità anormale, che saranno eseguite secondo quanto previsto dalle pertinenti monografie della farmacopea europea. Questi saggi richiedono tempi definiti un po’ più lunghi e i risultati saranno comunque disponibili da qui a breve. Nel frattempo, verranno eseguite ulteriori analisi chimiche, al fine di valutare in via estesa la conformità di altri parametri caratteristici del vaccino, ancorché meno critici in relazione alle problematiche che sono in esame al Ministero della salute sull'intera vicenda.
      Occorre tenere conto che, anche se la farmacovigilanza individua reazioni avverse temporalmente associate alla vaccinazione, questo non comporta in alcun modo la prova di un nesso causale fra la vaccinazione stessa e l'evento, per esempio il decesso. Inoltre, a seguito delle prime segnalazioni, era atteso un numero crescente di eventi, in conseguenza dell'allarme generato dalle informazioni pubbliche e dai mezzi di comunicazione di massa.
      Pertanto, l'Istituto superiore di sanità, ancora oggi, non ritiene che vi sia un'evidenza di un eccesso di mortalità legato alla vaccinazione. Ciò è stato ampiamente riportato e specificato sui diversi organi di informazione, al fine di completare, in questa fase di emergenza, con successo, l'indispensabile campagna vaccinale, che anche quest'anno, con l'organizzazione e la decretazione che è nota all'onorevole Binetti, è stata organizzata, per evitare effetti molto più gravi, che sarebbero sicuramente determinati, se non vi fosse questa campagna di vaccinazione.

      PRESIDENTE. La deputata Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta all'interpellanza.

      PAOLA BINETTI. Presidente, noi ci dichiariamo soddisfatti di questa risposta. Questa interpellanza, per una serie di ragioni, era stata posta circa due settimane fa, e quindi aveva la sua connotazione di urgenza sul piano della comunicazione in una situazione, in una collocazione di prossimità con gli eventi avversi.
      Certamente, quello che ci ha un po’ richiamato l'attenzione in queste due settimane che sono trascorse è che, dei famosi 8 mila decessi fisiologici, chiamiamoli così, degli anziani durante l'inverno, nulla si è saputo: né se ci fosse stato un collegamento con la somministrazione dei vaccini, né se non ci fosse stato un collegamento, come se una sorta di silenzio stampa fosse poi, a questo punto, sopravvenuto sopra questo evento.
      Questo è un tipo di comunicazione che prevede delle accelerazioni molto forti, noi nell'arco di due, tre giorni, abbiamo avuto prima tre decessi, poi undici decessi, poi gli altri otto casi ad alto rischio che si stavano presentando. Quindi, abbiamo avuto una concentrazione di comunicazione su aventi avversi, in parte fisiologici, anzi, come il sottosegretario ha avuto la amabilità di puntualizzare, del tutto sprovvisti di legame con la somministrazione del vaccino, ma da quel momento in poi non abbiamo avuto alcun tipo di comunicazione, nemmeno nella piena e ampia giustificazione del fatto che il nesso non c'era, ma che comunque la morte era un fatto fisiologico. Dopo voglio arrivare con questo tipo di ragionamento ? Voglio arrivare sulla gestione del tutto scomposta, in realtà, della comunicazione. Noi sappiamo che nella percezione dei fenomeni di salute pubblica, a parte la patologia in senso proprio, ci sono due elementi, uno che forma parte della prevenzione, ed è l'educazione del paziente, quindi, in qualche modo, la conoscenza, il coinvolgimento del paziente nei processi decisionali che lo riguardano, e l'altro è la comunicazione complessiva dei fenomeni, che contribuisce a creare quei fenomeni di panico per cui, ad un certo punto, abbiamo una concentrazione di persone a procurarsi un determinato tipo di farmaco, tant’è vero che abbiamo assistito in alcuni momenti alla scomparsa di alcuni Pag. 23farmaci dalla farmacie tanto era stato il timore di restarne privi da parte di pazienti, o viceversa questa sorta, tra virgolette, di nebulosità totale per cui sembra che, di fatto, nessuno anziano, d'allora a oggi, sia più defunto per qualunque tipo di notizia. Gestire la campagna di comunicazione è oggi un obiettivo fondamentale sotto il profilo della tutela della salute perché, come il sottosegretario sa, nella prima fase di questa operazione sono rimaste in giacenza oltre il 20 per cento delle dosi previste di farmaco che avrebbero dovuto essere consumate, perché l'elemento di prudenza, l'elemento di timore, se vogliamo, in certi casi, persino l'elemento di panico, hanno creato un rallentamento nell'assunzione e nella somministrazione del vaccino. Questo cosa significa ? Significa che se è vero che il vaccino serva a ridurre gli eventi avversi, il «non vaccino» evidentemente aumenta il rischio degli eventi avversi.
      Mi sembra importante sottolineare che la Novartis non è estranea a questo fatto perché, insisto, Fluad e Agrippal furono già ritirati nel 2012. Non che questa è una cosa si è verificata quest'anno: nel 2014 ci troviamo davanti un fenomeno per la prima volta. No, noi sappiamo già che avvenne con la stessa casa farmaceutica, lo stesso farmaco, pochissimi anni fa, nella precedente legislatura, e qualcuno di noi che era presente nel Parlamento se lo ricorda perché anche allora furono fatte interrogazioni, interpellanze e così via, e anzi la Commissione di inchiesta che si occupava di queste cose intervenne su questo tema. Il tema vero è che allora quello di cui si parlò era il fatto che tra questi effetti collaterali non ci fossero elementi immediati, che questi elementi immediati non erano di tipo tossicologico, non erano di tipo infettivo, riguardavano semplicemente la stabilizzazione dei prodotti, riguardavano concretamente la percentuale di presenza di proteine all'interno del farmaco, erano una sorta di reazione di tipo chimico che avevano, evidentemente, un grado di instabilità maggiore. Quindi, non si trattava di trovare dei corpi estranei di qualunque natura fossero, ma si trattava semplicemente di assumere un'ipotesi di maturazione del farmaco, prima di poter essere somministrato, e somministrato nei modi opportuni. Ma io non voglio tornare sulla dinamica chimico-fisica del processo. Io voglio tornare, invece, sulla dinamica comunicativo del processo.
      Poiché immagino che la Novartis, essendo la più grossa casa produttrice di vaccini, e in molti casi benemerita casa produttrice di vaccini, sarà la stessa che l'anno prossimo ci fornirà di nuovo il Fluad e l'Agrippal, non sarà possibile allora che l'assunzione della comunicazione preveda a monte l'ipotesi dell'evento avverso, e attivi a monte un'ipotesi di comunicazione attraverso i medici di famiglia, attraverso le farmacie, attraverso le ASL, che faccia da barriera rispetto a questo allontanamento dal farmaco.
      Insisto, se è vero che i 19 morti non sono da attribuire all'assunzione del farmaco e, anzi, sottolineiamo tutti – lo faceva anche il presidente della federazione dei medici di medicina generale, con questa sua insistenza esplicita, con questa sua presa di posizione, che potremmo riassumere come «vaccinatevi, vaccinatevi, vaccinatevi, perché vaccinarsi fa bene» –, allora io mi devo preoccupare anche di quella parte della popolazione che, invece, non si è vaccinata.
      Quando si tratta di salute pubblica e quando si tratta di quelle che poi consideriamo – quelle che peraltro sono – delle vere e proprie epidemie e sappiamo che il picco dell'epidemia influenzale quest'anno non c’è ancora stato – nonostante fosse annunciato il suo primo picco proprio in questo mese di dicembre, tra il 15 e il 20 dicembre, però di fatto non sappiamo se si sia ancora verificato il picco dell'epidemia –, ci piacerebbe avere delle valutazioni complessive, non solo sulla somministrazione del vaccino, ma sulla mancata somministrazione del vaccino. Ci piacerebbe davvero avere una valutazione critica dei numeri che desse ragione di quel bene complessivo che è la salute pubblica, che – certamente – ha una sua lettura a livello Pag. 24individuale, perché se muoio io sono io che sono morta e l'evento è totalmente irreversibile. Ma quando io gestisco i numeri e le fasce, allora ho bisogno di darne in qualche modo una lettura critica, che sappia assumere a monte, tra le variabili, la variabile comunicazione.
      Devo dire che dispiace per la seconda volta attribuire la questione, da un lato, alla casa farmaceutica Novartis, dall'altro, alla gestione, anche se nel 2012 vi erano un altro Governo, un'altra legislatura, un altro Ministro, altri sottosegretari. Quindi, potremmo dire che c’è stato un cambio nell'assetto gestionale, ma certamente non c’è stato un cambio nel paradigma della comunicazione.

(Elementi in merito alla spesa sostenuta dallo Stato per la somministrazione dei vaccini antinfluenzali e chiarimenti in relazione all'efficacia degli stessi e a eventuali reazioni avverse, con particolare riferimento al vaccino Fluad – n. 2-00772)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Silvia Giordano n. 2-00772, concernente elementi in merito alla spesa sostenuta dallo Stato per la somministrazione dei vaccini antinfluenzali e chiarimenti in relazione all'efficacia degli stessi e a eventuali reazioni avverse, con particolare riferimento al vaccino Fluad (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo al deputato Cecconi se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      ANDREA CECCONI. Grazie Presidente. Questa interpellanza riprende un po’ l'interpellanza che è stata svolta poc'anzi dall'onorevole Binetti in merito a quello che è successo nel mese scorso con la somministrazione del vaccino antinfluenzale Fluad, anche se le domande ovviamente vanno puntualmente in un'altra direzione. Ci aspettiamo dal sottosegretario risposte piuttosto puntuali, perché in questo Paese è necessario cominciare a fare chiarezza in merito a un sistema vaccinale del Paese. Infatti, i dubbi della popolazione incominciano ad essere veramente allarmanti.
      Ripercorro un po’ quella che è stata la storia degli ultimi mesi con la somministrazione del vaccino prodotto dalla Novartis. Il 12 novembre si è avuta la prima segnalazione, il decesso di un signore di 68 anni che è morto subito dopo, poco dopo l'iniezione del vaccino. Il 16 novembre un altro uomo di 87 anni è morto, due giorni dopo la somministrazione, con problemi ai centri nervosi, con un'encefalite. È giusto ricordare che quando si somministra un vaccino, il medico che procede chiede sempre se lo stato di salute del paziente è buono, perché non si somministra ovviamente un vaccino a chi ha uno stato di salute precario. Entrambe le persone erano in salute, o almeno così i medici hanno valutato. E un'encefalite che si sviluppa in due giorni è un evento che può succedere, ma è molto particolare. Il 18 novembre si è verificato un altro decesso di una signora di 79 anni, che è tornata in ospedale poco dopo, due, tre giorni dopo la vaccinazione in stato comatoso per poi morire il giorno successivo.
      A questo punto noi ci chiediamo: qual è stato il ritardo ? Perché c’è stato questo ritardo di circa 15 giorni da parte dell'Aifa nell'incominciare a bloccare i due lotti del vaccino ?
      E ci chiediamo anche come il sistema di allerta e di segnalazione funzioni in questo Paese, perché dalle cronache nazionali non di questi mesi, ma degli ultimi anni, i problemi con le vaccinazioni sono stati innumerevoli. Non è soltanto la questione del Fluad, anche altri lotti di vaccini sono stati ritirati in passato, queste due lotti sono stati ritirati. Ma è necessario dare una spiegazione ai cittadini, perché se voi vi recate, o vi siete recati, recentemente nei reparti e nei dipartimenti di prevenzione delle Asl, dove le mamme con i bambini di tre mesi portano i loro bambini a vaccinare, lo stato di allarme e di perplessità è salito a livelli allarmanti, perché il Governo, perché le Asl non stanno affrontando il problema dei vaccini Pag. 25con la dovuta attenzione e questo ormai credo che sia chiaro a tutti. Ed anche perché sulla questione dei vaccini c’è un'aura di mistero per cui non sappiamo quanto si spende, chi produce, non c’è una spiegazione certa di quelli che sono gli effetti ed i benefici, l'informazione è piuttosto sommaria.
      Io sono padre di un bambino di 2 anni, ho affrontato la questione delle vaccinazioni recentemente e posso dire francamente che le informazioni che arrivano dalle Asl o dal pediatra di libera scelta sono informazioni che sono francamente molto sommarie, unilaterali. Si dice e si racconta quanto è bello vaccinare, quanto sia importante vaccinare, quanto sia utile vaccinare, però dobbiamo renderci conto che siamo in un mondo dove le informazioni circolano con una certa velocità, anche con una certa importanza e non si danno mai spiegazioni di quelle che sono tutte le reazioni avverse ed i problemi anche della magistratura (nonostante si dice che non ci sia un nesso di causalità, la magistratura dice che il nesso di causalità c’è).
      Poi abbiamo Luca Pani che va in televisione a farsi il vaccino o i cartelloni sugli autobus che cercano di incentivare la vaccinazione, ma non è una spiegazione sufficiente che si può dare ad una madre di venti o trent'anni, che ha una capacità di informarsi molto superiore rispetto ad un cartellone che c’è sul tram e noi non stiamo dicendo a queste persone assolutamente niente. E non è neanche sufficiente dire che i lotti che sono stati ritirati alle analisi sono risultati sterili, senza contaminazione, perché è evidente che non è un problema di sterilità e di non contaminazione da parte di altri batteri o da parte di altre sostanze che determina delle reazioni avverse. E dire che non c’è un nesso di causalità perché non si è riscontrato, non vuol dire che il nesso di causalità non ci sia, perché tanto è da chiarire sulla questione dei vaccini.
      Le domande che noi facciamo puntualmente sono: quanto spendiamo ogni anno per questi vaccini ?Quali sono gli studi che ci confermano che la somministrazione delle vaccinazioni antinfluenzali, in questo caso, ha poi un riscontro rispetto ai soggetti ultrasessantenni che fanno questo genere di pratica ? Ed io aggiungerei che, se è vero che ci sono 8 mila decessi l'anno per influenza nei pazienti e nei soggetti ultrasessantacinquenni, anche se non è qui nel testo, il dato non va un attimo estrapolato: quante di queste 8 mila persone sono state vaccinate ? Quindi quanto è efficace a ridurre gli effetti avversi dell'influenza nei soggetti ultrasessantacinquenni ?
      Infatti queste sono informazioni che mancano completamente o vengono date in maniera molto generica e le persone sono prese dalle notizie di cronaca, prese dalle notizie su Internet, prese da esperienze personali, perché le esperienze personali ci sono e molte delle reazioni avverse che vengono attribuite alla somministrazione di vaccini, nei bambini o negli anziani, molto spesso non vengono segnalate al sistema di farmacovigilanza e questo è un problema, sottosegretario: il sistema di farmacovigilanza non funziona bene per i vaccini. Spesso quando il bambino viene portato dal pediatra o quando l'anziano viene portato dal suo medico curante e gli viene detto che è stato fatto il vaccino qualche giorno prima, una settimana prima o qualche ora prima, non avviene alcuna segnalazione.
      Infatti, non è soltanto un problema di arrossamento della cute o di qualche linea di febbre. Spesso le reazioni sono superiori. Io sono infermiere e mi è capitato di lavorare in strutture per anziani, dove, ovviamente, tutti erano sopra i 65 anni e tutti venivano vaccinati per l'influenza e i problemi di reazioni successive si sono verificati e non sono stati segnalati dal medico competente, perché il sistema non funziona.
      Oltre a questo, ci piacerebbe sapere cosa l'EMA ha riferito lunedì 1o dicembre 2014, quando doveva analizzare proprio la questione dei decessi correlati alla somministrazione di Fluad, e perché l'Aifa ha tardato tanto a sospendere e a ritirare i lotti per fare le dovute analisi sui campioni. Che poi lei, nella risposta alla precedente Pag. 26interpellanza, ha detto che i liquidi all'interno di queste siringhe erano a posto, ripeto che per noi è poca cosa, perché bisogna valutare attentamente se c’è il nesso di causalità. Quello è determinante e non è detto che, se il liquido è sterile e non c’è contaminazione, allora non c’è nesso di causalità, perché le sostanze all'interno dei vaccini sono numerose e una valutazione attenta di quello che succede è importante per questo Paese, anche perché le mamme, che portano a vaccinare un bambino di tre mesi, vogliono avere la certezza che quello che stanno facendo sul proprio bambino non gli nuocerà in futuro o nel presente.
      Su questa cosa c’è tanto allarme in questo Paese, perché ci sono delle carenze informative e delle spiegazioni poco chiare sia da parte delle case farmaceutiche, sia dell'Aifa, sia del Governo, sia delle ASL. Non bisogna avere paura di essere chiari, non bisogna aver paura di dire ai cittadini e alle mamme che ci sono delle reazioni avverse importanti. Bisogna fare una campagna culturale e informare adeguatamente, spiegando che le reazioni avverse, come tutti i farmaci, ci sono, perché tutti i farmaci possono causare delle reazioni avverse.
      Se ci sono dei dubbi su alcuni tipi di vaccini, per esempio l'esavalente, che è stato ritirato più volte anche in numerosi Paesi europei, se non mondiali, piuttosto che mettere a repentaglio la salute dei nostri cittadini, si fa una riflessione più attenta, perché vaccini storicamente già utilizzati e più sicuri in questo Paese e nel nostro mondo ci sono. Quindi, non è soltanto una questione commerciale e farmaceutica.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.

      VITO DE FILIPPO, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, onorevoli interpellanti, in merito all'interpellanza in esame, ho puntualmente richiesto un dossier documentale all'Agenzia italiana del farmaco, che ovviamente riassumo nella risposta, che altrimenti rischierebbe di essere troppo lunga; l'Aifa ha inteso precisare, in tale dossier, in via preliminare che, al momento attuale, sono disponibili solo i dati relativi alla campagna vaccinale antinfluenzale dell'anno scorso. Mi riferisco ai dati finanziari ottobre 2013-marzo 2014. I dati consolidati della campagna vaccinale 2014-2015 saranno disponibili a partire dal mese di aprile 2015.
      Come è dato riscontrare in una tabella, che consegnerò agli onorevoli interpellanti e che si mette ovviamente a disposizione, nella precedente campagna vaccinale sono stati acquistati quasi 3 milioni di dosi di Fluad, su un totale di quasi 13 milioni di dosi di vaccini antinfluenzali, per una spesa complessiva di quasi 56 milioni di euro. Mi riferisco alla campagna vaccinale 2013-2014. Di questa somma, 48,8 milioni di euro sono stati spesi a carico del Servizio sanitario nazionale e la quota relativa a Fluad è pari a 16,6 milioni di euro.
      Tutto ciò premesso, l'Aifa segnala che, dopo un'attenta valutazione di tutte le evidenze disponibili, il Comitato per la valutazione dei rischi per la farmacovigilanza, riunito presso l'Agenzia europea dei medicinali EMA a Londra, ha concluso che non vi è nessun collegamento e nessun nesso causale tra i vaccini antinfluenzali Fluad e gli eventi avversi segnalati in questi giorni.
      A questo riguardo, è stato emanato dal Comitato dell'EMAa uno specifico comunicato il 3 dicembre 2014, con cui vengono rassicurati gli Stati membri sulla sicurezza del vaccino contro l'influenza.
      Infatti, il comitato per la valutazione dei rischi e la farmacovigilanza dell'EMA ha concluso che «non vi è alcuna prova che Fluad, un vaccino antinfluenzale prodotto da Novartis, abbia causato in Italia gravi eventi, compresi i decessi. La segnalazione di questi casi aveva portato l'Agenzia Italiana del Farmaco a sospendere il 27 novembre 2014 l'uso di due lotti di Fluad, come misura precauzionale». Questa è una puntuale citazione del comunicato del comitato dell'Ema.Pag. 27
      Il Fluad è utilizzato nelle persone anziane (65 anni di età e oltre), in particolare in quelle che presentano patologie concomitanti e che sono ad aumentato rischio di complicanze. Dopo la revisione dei casi segnalati, il comitato ha concluso che «non vi era alcuna prova di una relazione causale tra gli eventi fatali riportati e la somministrazione di Fluad», che è autorizzato nell'Unione europea in diversi Stati membri. Tale vaccino viene utilizzato anche per le campagne di vaccinazione antinfluenzale 2014/15 sia in Austria sia in Germania sia in Spagna.
      La valutazione del comitato è rassicurante, «poiché gli Stati membri in tutta l'Unione Europea stanno conducendo le loro campagne annuali di vaccinazione antinfluenzale. L'influenza può causare malattie gravi o la morte soprattutto negli anziani e nelle persone con patologie croniche. L'Organizzazione mondiale della sanità stima che le epidemie influenzali annuali possono causare da 3 a 5 milioni circa di casi di patologie gravi in tutto il mondo e da 250.000 a 500.000 morti. I vaccini influenzali rappresentano lo strumento più efficace per prevenire questa malattia e le gravi complicanze che può causare»; ancora una volta questa è una parte del comunicato stampa del comitato dell'EMA.
      Il divieto di utilizzo cautelativo disposto dall'Aifa lo scorso 27 novembre, sulla base del principio di precauzione, ha riguardato esclusivamente due lotti specifici, come ho già segnalato nella precedente interpellanza, del vaccino Fluad, mentre i vaccini antinfluenzali in commercio in Italia quest'anno, compreso il Fluad, sono 11.
      L'Aifa osserva che l'incremento delle segnalazioni tramite la rete nazionale di farmacovigilanza è originato molte volte da un eccesso di sensibilità, mostrata da parte degli operatori sanitari o della popolazione generale, al fenomeno, in ragione del rilievo mediatico che alcune notizie purtroppo assumono su alcuni eventi come quelli che sono stati raccontati e indicati nei giorni di più alto picco di comunicazioni su tali questioni.
      Più in particolare, un riscontro ai quesiti dell'interpellanza: l'Aifa precisa che il virus dell'influenza è un virus instabile caratterizzato da una elevata variazione antigenica.
      Queste caratteristiche, per dare un quadro di come si arriva alla scelta del vaccino, implicano la necessità di un continuo aggiornamento della composizione dei vaccini antinfluenzali.
      Per i vaccini stagionali, la scelta della composizione viene effettuata annualmente in funzione dei dati di monitoraggio dei virus diffusi da parte dell'OMS, che emette una raccomandazione a febbraio per l'emisfero Nord e a settembre per l'emisfero Sud, sulla base delle caratteristiche genetiche ed antigeniche dei virus circolanti, nonché di informazioni epidemiologiche e cliniche che raccoglie in questi due emisferi del pianeta.
      L'EMA emette la sua raccomandazione per l'Unione europea nel mese di marzo, sulla base delle proprie considerazioni epidemiologiche e sulla base della disponibilità industriale di ceppi compatibili a questi dati epidemiologici.
      A livello nazionale, il Ministero della salute emana annualmente una circolare, nella quale viene recepita la composizione del vaccino per la stagione corrente e sono fornite ulteriori indicazioni sulle popolazioni a rischio per le quali è raccomandata la vaccinazione. La circolare di quest'anno porta il nome di «Prevenzione e controllo dell'influenza: raccomandazioni per la stagione 2014-2015» ed è stata pubblicata il 10 settembre 2014.
      I titolari di Autorizzazione all'immissione in commercio dei vaccini presentano, nei mesi seguenti, una modifica del proprio dossier di AIC (Autorizzazione all'immissione in commercio), documentando le attività di produzione, convalida e controllo effettuate con i nuovi ceppi, al fine di rendere disponibili i prodotti per la campagna vaccinale dell'anno successivo. Per il completamento di tutte le fasi di produzione e di controllo sono, in genere, necessari mediamente dai sei agli otto mesi.Pag. 28
      A livello mondiale, il coordinamento della raccolta dei campioni per il monitoraggio epidemiologico è effettuato nell'ambito del Sistema di sorveglianza e risposta per l'influenza. Il sottotipo A/H3N2 è stato individuato dall'Organizzazione mondiale della Sanità come uno dei tre ceppi maggiormente circolanti ed è stato raccomandato per essere introdotto come principio attivo del vaccino antinfluenzale per diverse stagioni, inclusa anche la stagione 2014-2015.
      La composizione del vaccino per la stagione corrente è identica a quella utilizzata nella stagione scorsa 2013-2014, per tutti e tre i ceppi inclusi nel vaccino.
      Relativamente ai dati di qualità, nel contesto degli eventi avversi riportati fino al 30 novembre 2014, che hanno coinvolto sei lotti del vaccino antinfluenzale «Fluad», la ditta Novartis ha fornito una documentazione – era uno degli altri punti di richiesta nell'interpellanza – finalizzata alla revisione dei requisiti di qualità del prodotto. L'intento principale è stato quello di mettere in evidenza eventuali aspetti di comunanza tra i lotti coinvolti, tali da offrire eventuali spunti di indagine nella ricerca di una correlazione causale tra la somministrazione del vaccino e gli eventi avversi gravi che sono stati più volte citati e segnalati.
      A tal fine, la ditta ha focalizzato l'attenzione sulla genealogia dei lotti, per verificare l'eventuale utilizzo degli stessi lotti di principio attivo e/o adiuvante in altri lotti di vaccino non oggetto di segnalazioni. Sono stati, inoltre, rivalutati i cambiamenti effettuati, nel corso dell'ultimo anno nel processo di produzione del vaccino «Fluad» e dell'adiuvante, presso tutti i siti di produzione coinvolti, al fine di rivalutare l'eventuale impatto sulla qualità del prodotto alla luce degli eventi avversi che sono stati segnalati.
      La revisione fornita da Novartis non evidenzia problemi di qualità che possano giustificare eventi avversi quali quelli segnalati.
      Quanto alle verifiche sui lotti oggetto del divieto di utilizzo prima delle segnalazioni, l'Aifa fa presente che ogni singolo lotto di vaccino, prima dell'immissione in commercio, viene sottoposto non solo ai controlli di qualità effettuati dalla ditta produttrice, ma anche a verifiche analitiche effettuate da un laboratorio nazionale di controllo, allo scopo di confermare la conformità agli standard previsti dalle autorità internazionali. L'autorità competente in Italia e in Europa per il controllo analitico del vaccino, come è noto, è l'Istituto superiore di sanità.
      In data 27 novembre 2014, l'Aifa ha emesso, ai sensi dell'articolo 142 del decreto legislativo n.  219 del 2006, il divieto di utilizzo di due lotti del vaccino «Fluad» prodotto dalla Novartis e, in ottemperanza all'articolo 132 dello stesso decreto legislativo, che prevede, al comma 9, un obbligo di informazione tempestiva all'EMA, nonché al pubblico «di tutte le segnalazioni di sospette reazioni avverse gravi da medicinali verificatesi nel territorio nazionale», ha, quindi, emanato un comunicato diffuso a tutta la filiera di vendita e distribuzione, nonché alle associazioni di categoria dei medici di famiglia e ai singoli assessorati alla salute delle regioni italiane.
      Infatti, in tale data, l'Aifa ha avuto a disposizione tutti gli elementi necessari per valutare, in modo correlato, i primi quattro casi di segnalazione di eventi avversi gravi. Quanto alle singole segnalazioni, si specifica quanto segue: il primo caso è stato comunicato all'Aifa tramite la rete nazionale di farmacovigilanza in data 12 novembre 2014 e la relazione clinica è pervenuta in data 27 novembre 2014. Il secondo caso, relativo ad un diverso lotto, è pervenuto in data 13 novembre 2014 e la relazione clinica è stata fornita il 19 novembre 2014. In data 14 novembre 2014, l'AIFA ha richiesto il campionamento di entrambi i lotti.
      Il terzo caso è pervenuto in data 25 novembre 2014, come reazione attribuita al vaccino antinfluenzale senza specificazione del nome del vaccino e del numero di lotto, dati che sono stati inviati successivamente, solo il 26 novembre 2014. Il quarto caso è pervenuto il 25 novembre 2014, privo dell'indicazione del numero di Pag. 29lotto, che è stato comunicato solo successivamente, in data 26 novembre 2014.
      Dopo la segnalazione dei primi due casi, l'Aifa ha disposto il campionamento dei due diversi lotti di Fluad coinvolti, in data 14 novembre 2014. Solo nel pomeriggio del 26 novembre sono stati disponibili tutti gli elementi che portavano a collegare tre degli eventi allo stesso lotto; pertanto, in data 27 novembre 2014, è stato emanato il divieto d'uso dei due lotti già oggetto del precedente campionamento del 14 novembre.
      Si osserva che la linea guida EMA prevede che, ad ogni cambio di composizione del vaccino influenzale, la valutazione della tolleranza e dell'efficacia del vaccino sia valutata separatamente in due gruppi di volontari sani di almeno cinquanta soggetti, uno di età compresa fra i 18 e i 60 anni e l'altro di età superiore ai 60 anni. Questi studi clinici sono stati presentati per tutti i vaccini influenzali per la stagione 2013-2014, ivi compresi quelli effettuati da Novartis per il Fluad. Per la stagione corrente non è stato necessario effettuare altri studi clinici, poiché la composizione del vaccino, come già ricordato, è rimasta invariata per quest'anno. Pertanto, la sopra citata linea guida EMA è stata revocata dall'Agenzia europea in data 23 gennaio 2014, con l'adozione di una nota esplicativa secondo la quale non sarà più necessario, a partire dalla stagione 2015-2016, presentare gli studi clinici fino ad oggi richiesti a supporto dell'aggiornamento attuale dei ceppi del vaccino stagionale per l'influenza, in quanto viene ritenuto più significativo effettuare ulteriori studi. L'obiettivo di questi studi è quello di evidenziare, in tempo reale, un potenziale aumento della reattività e di eventi allergici correlati al vaccino antinfluenzale, scegliendo allo scopo i Paesi dove la campagna vaccinale inizia prima, in relazione alle condizioni climatiche più rigide.
      La nuova linea guida prevede la valutazione di almeno cento soggetti vaccinati per ciascun gruppo di età e questo approccio consentirà di superare il limite dell'arruolamento di soggetti sani previsto dalla precedente linea guida dell'EMA che ho più volte citato.
      Da ultimo, desidero ancora una volta comunicare e ribadire, come ho fatto anche nella precedente interpellanza, che l'Istituto Superiore di Sanità non ritiene che, al momento attuale, vi sia evidenza di un eccesso di mortalità legato alla vaccinazione antinfluenzale e io penso che questa comunicazione faccia parte della più generale attività di comunicazione che, sulle campagne vaccinali, tutti i soggetti e decisori pubblici hanno il dovere di diramare puntualmente.

      PRESIDENTE. Il deputato Cecconi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta.

      ANDREA CECCONI. Grazie, Presidente, è difficile dire se si è soddisfatti o meno da questo genere di interpellanza perché le domande erano molto puntuali e, quindi, da un certo punto di vista, si prende atto delle informazioni che il sottosegretario ci ha riferito, oggi, in Aula. Però, io vorrei un attimo puntare il dito su alcune questioni. Quando si parla di vaccini, sembra sempre di essere in un'aula di tribunale, in cui la presunzione di innocenza vale salvo prova contraria, nel senso che è difficile credere e riuscire anche a spiegare ai cittadini che una persona, che è in salute e si vaccina, dopo un quarto d'ora, muore per un arresto cardiaco. Può succedere, gli arresti cardiaci nel nostro Paese, come in tutto il mondo, sono frequenti e quindi, magari, non si poteva immaginare che quella persona avesse delle malformazioni o dei problemi dal punto di vista cardiaco.
      Poi, ad un altro soggetto in salute viene somministrato il vaccino e, dopo due giorni, muore per un'encefalite. L'encefalite è un evento molto particolare, non tanto frequente nel nostro Paese, e non vi erano state manifestazioni su quella persona due giorni prima; spieghiamo che forse un problema c’è stato, però può capitare. Poi, un altro soggetto sano fa il vaccino, dopo tre giorni entra in ospedale Pag. 30in coma e il giorno dopo muore. Si capisce che il nesso di causalità, siccome non ci sono prove schiaccianti che identificano che ci sia un nesso, non si può certo definire; l'EMA non lo può dire, l'Aifa non lo può dire, però qualche dubbio viene, proprio nel normale dialogo che c’è tra i cittadini. Capisco che non si possa puntare il dito né su un'azienda né su un vaccino né su una sostanza, però il dubbio bisogna farselo venire, perché il prossimo anno si verificheranno altre cose. Durante l'anno, reazioni avverse per i vaccini ci sono, qualche bambino muore, qualche anziano muore, e non c’è mai alcun nesso di causalità, fin che poi non si scopre, dopo cinque o dieci anni, che il nesso di causalità invece c'era. Ciò non soltanto perché il magistrato, a un certo punto, è zelante e identifica che il nesso c’è, ma perché, ad un ragionamento attento, dopo numerose segnalazioni e numerose reazioni avverse a un certo tipo di sostanza, un nesso si definisce.
      Quindi, trovo abbastanza improprio definire dopo solo tre, quattro giorni o due settimane, che non ci sia un nesso di casualità. Questa è una cosa che non direi, che non direi né come Aifa né come EMA. Più propriamente, direi che vi è la necessità di fare degli studi approfonditi per verificarlo. So che questo potrebbe creare allarme e un calo di vaccinazioni, però sempre negare completamente tutto non aiuta. Riguardo a quello che ha riferito in merito al fatto che le nuove linee guida identificano che non è più necessario fare uno studio clinico, perché le agenzie non lo ritengono più necessario, francamente non mi sento di condividere troppo questa scelta. Magari sui dati, sui numeri, effettivamente non ce n’è più necessità – non sono un ricercatore e non sono medico –, quindi dopo tanti anni di studi si può arrivare a questa conclusione, cioè che lo studio clinico non è né migliore né peggiore rispetto alla nuove alternativa della linea guida, però si tratta anche di rassicurazione che si dà all'esterno, perché, se uno sa che vi è stato un attento studio clinico su una certa sostanza, su un certo virus e su un certo vaccino, piuttosto che su un campione di cento persone, per vedere se c’è una reazione allergica o meno a quel dato farmaco, ha una garanzia.
      Poi vorrei puntare un attimo il dito sulla questione dell'immissione in commercio dei vaccini antinfluenzali, perché generalmente un farmaco comune ha un percorso, un trial clinico che prevede uno stadio 1, uno stadio 2 e dei tempi d'attesa per l'immissione in commercio da parte dell'Aifa che, a volte, vanno avanti anche per anni. Non è una novità se ci sono delle case farmaceutiche che lamentano che, nel nostro Paese, l'autorizzazione per l'immissione in commercio avviene con uno o due anni di ritardo rispetto agli altri Paesi europei, mentre qui l'autorizzazione per le immissioni in commercio per i vaccini si da sei mesi su sei mesi. E il vaccino non è sempre uguale anno dopo anno: speso le sostanze all'interno cambiano, il principio attivo può cambiare, gli eccipienti possono cambiare e non c’è uno studio attento come su tutti gli altri farmaci.
      Perché è evidente che tu hai necessità di dare una copertura vaccinale differente anno su anno, e quindi lo studio dev'essere ristretto.
      Ma uno studio quanto più è ristretto, quanto più dovrebbe essere attento. Se invece noi cominciamo con delle linee guida quanto più semplificate possibili, perché negli anni si è ormai evinto che più o meno la sostanza è quella, più o meno il principio attivo è quello, più o meno la tecnica di definizione e produzione dei vaccini è quella e, quindi, va bene così; secondo me si sta compiendo un grosso errore, e i cittadini, che sono sempre più portati ad informarsi, queste cose le colgono.
      E io capisco quando un Governo, quando l'Aifa o l'Istituto superiore di sanità cercano di mantenere quanto più possibile alta la vaccinazione nel Paese per una questione di salute pubblica e di tutela dei cittadini; e punta il dito magari anche su altri professionisti medici, che invece tendono ad andare in un'altra direzione. Però, per i cittadini un medico è un medico come un altro medico, e se ci Pag. 31si trova davanti un medico che ti dice «la vaccinazione è buona» e un altro medico che la dice che la vaccinazione non è buona, per un cittadino quelli son due medici, due persone che han fatto l'università; e quanto uno è più bravo a spiegare che sia buono o che non sia non buono, riesce a coinvolgere molte persone, perché i dati della vaccinazione in Italia sono in calo. Sono in calo da anni; e le questioni di questi mesi o degli anni precedenti o quelle che avverranno i prossimi mesi li faranno calare nuovamente.
      Se effettivamente vogliamo dare un'informazione corretta, allora prendiamoci la responsabilità di non dire sempre che tutto è bello, che tutto fa bene e che tutto è buono, quando poi abbiamo nel nostro Paese un'altra parte di professionisti che dicono esattamente il contrario. Perché tra le due persone probabilmente non ha ragione nessuna delle due: c’è un punto di caduta di mezzo, ed è quel punto di caduta di mezzo in cui dovrebbero inserirsi il Governo, lo Stato e le ASL. Quindi, io chiedo, a prescindere dalle risposte che ritengo puntuali e che analizzeremo, che, forse, in questo Paese bisogna cominciare a cambiare un po’ la cultura sulla questione vaccinale, cambiando proprio il metodo di informazione che si fa nei confronti dei cittadini, che per ora è carente, che è stato carente in passato e che non può più essere carente in futuro.

(Chiarimenti in merito alle nuove procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici, anche territoriali, e degli istituti autonomi per le case popolari, oggetto dell'intesa sancita in sede di Conferenza unificata il 16 ottobre 2014 – n. 2-00764)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Morassut n. 2-00764, concernente chiarimenti in merito alle nuove procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici, anche territoriali, e degli istituti autonomi per le case popolari, oggetto dell'intesa sancita in sede di Conferenza unificata il 16 ottobre 2014 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo al deputato Morassut se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      ROBERTO MORASSUT. Presidente, nella riunione del 16 ottobre 2014, la Conferenza unificata ha sancito l'intesa, prevista dall'articolo 3, comma 1, della legge n.  80 del 2014, sullo schema di decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, recante la definizione di procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici territoriali, nonché degli istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati.
      Dalle notizie fornite da vari organi di stampa e televisivi si evince che il provvedimento, tra le altre misure, introduce il meccanismo della vendita all'asta degli immobili, tenuto conto dei valori rilevati, per la medesima fascia e zona, dall'Agenzia delle entrate – Osservatorio del mercato immobiliare; prevede quindi che all'assegnatario venga riconosciuto il diritto di prelazione nell'acquisto a seguito dell'espletamento delle procedure d’’asta; consente la vendita in blocco degli immobili fatiscenti.
      Cittadini e sindacati degli inquilini hanno manifestato preoccupazione per le possibili ripercussioni che l'applicazione delle norme previste potrebbe determinare nei complessi delle case popolari, in particolare per l'introduzione del meccanismo della vendita all'asta e hanno chiesto il ritiro del sopradetto provvedimento. Risulta che già alcune regioni – nella fattispecie la Campania e il Lazio – hanno avanzato rilevi critici e richiesto il ritiro del provvedimento e il suo riesame nella Conferenza unificata. Si sono svolte poi successivamente a quella data numerose manifestazioni di protesta, organizzate da numerose organizzazioni sindacali rappresentative degli assegnatari, per chiedere la non pubblicazione del decreto e la sua ridiscussione.Pag. 32
      Le agenzie di stampa il 15 novembre hanno dato notizia che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato una nota di rettifica in cui, tra l'altro, si afferma che «non vi è alcun decreto attuativo» ma che, in accordo con il Ministero dell'economia e delle finanze con la Conferenza unificata, si «sta lavorando al testo di un decreto attuativo del cosiddetto Piano casa che prevede, per gli enti proprietari in accordo con le regioni, la possibilità di messa in vendita degli alloggi di edilizia popolare la cui manutenzione sia economicamente onerosa», aggiungendo in particolare che «il decreto permetterà agli inquilini di poter acquistare l'alloggio in cui vivono con diritto di prelazione e a condizioni vantaggiose».
      L'interpellanza quindi rivolge al Governo la richiesta per capire se il suddetto comunicato del 15 novembre prefiguri già oggi un ritorno del decreto alla Conferenza unificata per un approfondimento; se l'affermazione contenuta nel suddetto comunicato, secondo cui agli assegnatari sarebbe riconosciuto il diritto di prelazione, prefiguri una modifica di sostanza nelle procedure di vendita, in particolare con la rinuncia al meccanismo dell'asta pubblica e l'inserimento di una preventiva richiesta dell'assegnatario dell'esercizio del diritto di prelazione; se verrà esplicitamente, in ogni caso, previsto per gli assegnatari, in possesso dei requisiti della permanenza nell'edilizia residenziale pubblica, qualora non potessero esercitare il sopraddetto diritto di prelazione, il diritto a rimanere nell'alloggio in cui risiedono; se la valutazione degli immobili debba essere considerata valutazione a prezzo di mercato.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti, Umberto Del Basso De Caro, ha facoltà di rispondere.

      UMBERTO DEL BASSO DE CARO, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Presidente, rispondo ai quesiti posti dagli onorevoli interpellanti in merito alle richieste di chiarimento sulle procedure di alienazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, ivi compresi gli immobili di proprietà ex IACP, rilevando come il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sia particolarmente sensibile alle problematiche connesse al disagio abitativo. Infatti il MIT, nella necessità di assicurare una particolare tutela agli assegnatari di alloggi di edilizia popolare, ha predisposto apposite modifiche integrative al testo del decreto interministeriale oggetto dell'intesa espressa dalla Conferenza unificata nella seduta del 16 ottobre 2014 e citato dagli onorevoli interpellanti.
      Proprio ieri, 18 dicembre, detto schema è stato nuovamente sottoposto alla stessa Conferenza ai fini della prescritta intesa. Più precisamente, le modifiche intendono venire incontro alle esigenze degli assegnatari in possesso dei requisiti di permanenza nel sistema dell'edilizia residenziale pubblica fissati dalle vigenti normative regionali. Infatti, il provvedimento prevede per i legittimi assegnatari la precedenza per l'acquisto degli alloggi di proprietà degli ex IACP loro assegnati e l'applicazione di specifici sconti. Nel caso in cui gli assegnatari non intendano o non possano acquistare detto alloggio, ricade sull'ente proprietario l'onere di verificare la disponibilità di altro alloggio idoneo. Evidenzio, inoltre, che qualora gli assegnatari decidessero di acquistare l'alloggio ove risiedono potranno beneficiare di quanto disposto dall'articolo 3, comma 1, lettera b), del decreto legge n.  47 del 2014, il quale prevede la concessione di contributi in conto interessi sui finanziamenti per l'acquisto dei suddetti immobili. Sarà cura del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti seguire con la massima attenzione il prosieguo dell'iter affinché questo si concluda in tempi brevissimi.

      PRESIDENTE. Il deputato Morassut ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

      ROBERTO MORASSUT. Presidente, soddisfatto parzialmente, sostanzialmente sì, volevo sottolineare soltanto un aspetto, Pag. 33cioè la necessità negli atti che seguiranno, per seguire la partita della vendita degli alloggi, di tener conto che stiamo parlando molto spesso di famiglie. È vero che il mondo della residenza negli alloggi popolari, nei complessi di case popolari è anche caratterizzato da molte forme di abusivismo e anche di illegalità, che vanno sanate, ma è anche vero che ancora permangono grandissime fasce di ceti popolari non in condizioni spesso anche di acquistare; quindi, probabilmente il processo di vendita, pur nelle nuove condizioni che prevede anche degli sconti e degli abbattimenti di prezzo, si troverà di fronte a situazioni familiari in cui ci sarà l'impossibilità di acquistare l'alloggio. Il suggerimento è di ridurre al minimo le fattispecie, le situazioni nelle quali sia alla fine necessario un trasferimento in altro alloggio, perché, in gran parte dei casi suddetti, stiamo parlando di nuclei familiari anziani. La seconda osservazione è un po’ più generale, cioè tende a sottolineare che il processo di dismissione del patrimonio residenziale pubblico è articolato in vari soggetti.
      Qui stiamo parlando, ovviamente, del patrimonio comunale o del patrimonio IACP o ATER o ALER, enti comunque denominati sul territorio. Ma, per esempio, c’è anche il processo di dismissione del patrimonio degli enti previdenziali pubblici e privatizzati.
      Quindi, l'invito al Governo, poiché spesso gli immobili e anche i soggetti conduttori sono abbastanza omogenei e in molte situazioni noi troviamo immobili dove abbiamo, all'interno delle stesse scale, proprietà comunali o proprietà ATER o proprietà INPS e famiglie, bene o male, dello stesso ceto sociale, di valutare la possibilità di una normativa omogenea, il più possibile omogenea, che tratti gli sconti di prezzo, sulle valutazioni effettuate dall'Agenzia delle entrate, nella forma più omogenea possibile e che dia il minore spazio possibile a interpretazioni e a valutazioni di disparità di trattamento. Per il resto, la risposta del sottosegretario, che ringrazio, mi soddisfa.

(Esiti dell'ispezione ministeriale effettuata presso la sede di Genova del Registro italiano navale in relazione alle procedure adottate per la certificazione della sicurezza delle navi – n. 2-00787)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Biasotti n. 2-00787, concernente esiti dell'ispezione ministeriale effettuata presso la sede di Genova del Registro italiano navale in relazione alle procedure adottate per la certificazione della sicurezza delle navi (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo al deputato Biasotti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      SANDRO BIASOTTI. Signora Presidente, la mia interpellanza urgente riguarda il Rina – chiedo scusa per la voce – che è una delle più importanti società mondiali di registro di certificazione navale. Ha 150 anni di storia. Nasce nel 1861 ed ha progressivamente esteso i propri servizi. Oggi è una società che opera nell'ambiente, nella responsabilità sociale, nell'energia, nelle infrastrutture, nei trasporti, nella logistica. Il gruppo fattura oltre 300 milioni di euro, ha 4 mila dipendenti, di cui 2 mila in Italia, 1.000 a Genova, e, soprattutto, fa lavorare il 75 per cento di laureati sotto i 45 anni. Quindi, è proprio la classica società che noi dobbiamo tutelare ed aiutare.
      Ora una trasmissione, Report, come al solito che detta legge, ha rivelato un'intercettazione fra due ingegneri che avrebbero asserito delle inosservanze da parte del Rina in una certificazione della Costa Crociere. Ora, questa notizia era già nota da due anni, però il fatto che l'abbia detta Report ha subito mosso il Ministro Lupi nel fare una commissione d'inchiesta su questo argomento.
      L'interpellanza urgente che io le faccio è per avere notizie; alcuni organi di stampa avrebbero scritto che le notizie sono positive, però, io mi auguro che questo sia vero, e, quindi, aspetto una risposta ufficiale dal Ministero che lei rappresenta in questo momento.

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      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti, Umberto Del Basso De Caro, ha facoltà di rispondere.

      UMBERTO DEL BASSO DE CARO, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Grazie Presidente. In merito a quanto richiesto dagli onorevoli interpellanti, informo che la commissione ministeriale, appositamente istituita per verificare se vi siano state irregolarità in merito alle modalità e procedure seguite dal Registro italiano navale (Rina) per il rilascio delle attestazioni e certificazioni per la sicurezza del naviglio nazionale, ha concluso i propri lavori, redigendo un rapporto finale che è stato inviato ai competenti uffici del MIT.
      Il rapporto ha preso in esame i principali punti di criticità: indipendenza, imparzialità, procedure di certificazione, modalità di effettuazione delle prove in mare di unità navali, segnalati nella trasmissione RAI Report del 12 ottobre 2014 e relativi all'operato del Rina, in qualità di organismo autorizzato da questa amministrazione.
      Al momento posso dire che le risultanze del rapporto di ispezione mettono in evidenza la generale rispondenza delle attività esaminate ai principi di indipendenza nei rapporti con gli altri soggetti, oltre che una sostanziale e corretta applicazione delle procedure previste dalle norme e regolamenti nazionali in materia di ispezione e controllo del naviglio nazionale.
      Nello stesso rapporto, sulla base delle valutazioni effettuate, la commissione ha inoltre proposto alcune raccomandazioni, intese come azioni migliorative, finalizzate ad un miglioramento complessivo del monitoraggio e del controllo delle attività svolte dall'organismo Rina per conto dell'amministrazione statale, in un'ottica di sempre più evidente trasparenza ed imparzialità delle attività delegate al Rina da questo Ministero.
      Sugli esiti e le proposte della commissione sono in corso approfondimenti, su cui saranno forniti ulteriori elementi di dettaglio.

      PRESIDENTE. Il deputato Biasotti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

      SANDRO BIASOTTI. Sì, sono molto soddisfatto delle parole del sottosegretario, perché certificano – ho scritto velocemente –, sostanzialmente, la correttezza del Rina – il suo assenso mi conferma – e che vi è stato il rispetto di tutte le norme e dell'indipendenza di questa importante società. Questo mi gratifica, però, signor sottosegretario, la pregherei di estendere al Ministro la mia preoccupazione.
      Infatti, avremmo dovuto informare subito di questo importante risultato, perché lei può immaginare il danno di immagine che abbiamo creato al Rina: se lei pensa che il 12 ottobre vi è stata la trasmissione, dopo dieci giorni l'ispezione e sono passati due mesi, e per fortuna oggi lei è venuto qui a dare una risposta, però lei pensi in due mesi quanti eventuali e possibili danni possiamo avere creato.
      Quindi, sono molto soddisfatto del suo comportamento e sono ancora più soddisfatto del comportamento del Rina – non avevo dubbi, conoscendo personalmente l'amministratore delegato –, però la raccomandazione per altri successivi casi e, soprattutto, per la compiutezza di questa ispezione è che venga ufficializzata in pompa magna, come è stata ufficializzata in pompa magna questa commissione.

      PRESIDENTE. Grazie, onorevole Biasotti. Sta entrando il sottosegretario Zanetti, quindi possiamo passare alle successive interpellanze. Perfetto, un tempismo cronometrico.

(Iniziative finalizzate a evitare la perdita del diritto del contribuente alla detrazione degli interessi passivi sui mutui per meri ritardi nei relativi adempimenti fiscali – n. 2-00768)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Fragomeli ed altri n. 2-00768, concernente iniziative finalizzate a evitare la perdita del diritto del contribuente Pag. 35alla detrazione degli interessi passivi sui mutui per meri ritardi nei relativi adempimenti fiscali (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo al deputato Fragomeli se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      GIAN MARIO FRAGOMELI. Grazie, Presidente. Sottosegretario, ho posto questa questione perché sembrerebbe una questione meramente tributaria, ma non lo è. Sappiamo tutti benissimo la finalità sociale che ha la prima casa, la costruzione della prima casa, in particolare la detraibilità dei mutui, che oggi sono sempre più difficili da aprire, e quindi le difficoltà del momento, in particolare anche per le giovani coppie, che sempre più faticano ad avere un reddito che gli consenta di poter aprire mutui, e quindi di risolvere questo problema.
      Quindi, una tematica che ha un alto valore sociale. Con questa interpellanza chiediamo che, in qualche modo, il Governo, il Ministero, possa rivedere, in parte, come ha fatto in altre fattispecie, una problematica come questa, cioè che il mancato rispetto di un termine normativo, perentorio, di 60 giorni, faccia decadere un'agevolazione che può avere una durata alquanto elevata.
      Pensiamo, appunto, all'apertura di un mutuo ventennale o trentennale: il fatto che non venga rispettato il termine di 60 giorni dal trasferimento della residenza all'ultimazione dei lavori comporterebbe il decadimento di tutta l'agevolazione. Quindi, ci sembra che, in qualche modo, i vincoli rispetto a questa agevolazione siano forse anche troppo elevati. Vorremmo, quindi, in qualche modo, porre riparo a questi vincoli, attraverso una procedura già introdotta con la legge n.  44 del 26 aprile 2012, cioè la forma del ravvedimento operoso, volto ad evitare che mere dimenticanze relative a comunicazioni ovvero, in generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente, precludano in generale al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali.
      Ci sembra proprio questo il caso lampante di un adempimento sostanziale che è stato fatto, del rispetto di tutte le tempistiche, però vorremmo, in qualche modo, capire se il Governo possa rivedere, alla stregua di questa normativa, anche la fattispecie della detraibilità degli interessi passivi sui mutui contratti per la costruzione di nuove abitazioni.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Enrico Zanetti, ha facoltà di rispondere.

      ENRICO ZANETTI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Con il documento in esame, gli onorevoli interpellanti chiedono al Governo se la remissione in bonis di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 2 marzo 2012, n.  16, possa trovare applicazione in una fattispecie riguardante la detrazione degli interessi passivi su mutui contratti per la ristrutturazione dell'abitazione principale di cui all'articolo 15, comma 1-ter, del decreto del Presidente della Repubblica n.  917, del 1986.
      In particolare, nell'interpellanza è chiesto se la remissione in bonis sia applicabile nell'ipotesi di mancata destinazione ad abitazione principale dell'unità immobiliare entro sei mesi dalla data di conclusione dei lavori di ristrutturazione, condizione richiesta dall'articolo 2, comma 2, del regolamento di attuazione adottato con decreto ministeriale 30 luglio 1999, n.  311, a pena di decadenza dal diritto alla detrazione. Diversamente, l'onorevole interpellante chiede al Governo che cosa intende fare per scongiurare che quei cittadini titolari di mutuo perdano il diritto di detrarre gli interessi passivi per meri ritardi procedurali.
      Al riguardo, sentiti anche gli uffici dell'amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue: l'istituto della remissione in bonis è volto a consentire la fruizione dei benefici fiscali nel caso in cui il contribuente, per mera dimenticanza, Pag. 36non adempia, nei termini previsti, agli obblighi di preventiva comunicazione o a qualunque altro adempimento di natura formale in presenza dei requisiti sostanziali richiesti dal legislatore. In altri termini la norma sulla remissione in bonis presuppone che il contribuente, pur avendo omesso la preventiva comunicazione, o altro adempimento di natura formale, abbia tuttavia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento. Nel caso prospettato, invece, la destinazione ad abitazione principale dell'unità immobiliare entro sei mesi dalla conclusione dei lavori di costruzione non è assimilabile né ad una comunicazione, né ad un adempimento di natura formale, costituendo essa stessa requisito sostanziale e condizione per accedere al beneficio della detrazione degli interessi passivi. L'inosservanza del termine dei sei mesi dalla data di conclusione dei lavori di costruzione, per destinare l'unità immobiliare ad abitazione principale determina, quindi, la mancanza di uno dei requisiti essenziali richiesti dalla norma per essere ammessi al beneficio della detrazione, precludendo al contribuente la possibilità di avvalersi dell'istituto della remissione in bonis. Ciò premesso, si ritiene che la detrazione in esame spetti nei particolari casi in cui il contribuente sia in grado di provare in modo inoppugnabile che, entro il termine di sei mesi, risiedeva in concreto nell'abitazione e che, sempre entro il predetto termine, abbia rivolto formale richiesta al comune di trasferimento di residenza, non rilevando, in senso contrario, la circostanza che il procedimento si completi positivamente in data successiva allo spirare del termine dei sei mesi per causa non imputabile al contribuente medesimo.

      PRESIDENTE. Il deputato Fragomeli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

      GIAN MARIO FRAGOMELI. Signora Presidente, no, non sono soddisfatto, perché diverge la mia interpretazione rispetto ai requisiti sostanziali che, invece, sono presenti nella risposta, nel senso che io credo che l'ultimazione dei lavori molto spesso avviene, però l'abitazione non è magari pronta per essere subito utilizzata e impiegata come prima casa. Succede che c’è appunto «la fine lavori» della costruzione di un'abitazione, ma non si è completato l'arredo, comunque non vi è la possibilità di potersi insediare in questa abitazione e, conseguentemente, trasferire la residenza. Siccome, sostanzialmente, stiamo parlando di un trasferimento di residenza che avviene successivamente ai sei mesi prescritti, mi sembrava logico, invece, assimilare questa fattispecie, perché se anche per quattro, cinque giorni, una settimana successiva, ai centottanta giorni previsti, un contribuente per varie motivazioni dimenticasse di trasferire la residenza, e magari era già presente in questa abitazione, oppure stava completando gli ultimi trasferimenti per potere trasferirsi in questa abitazione, considerare come un requisito sostanziale questo, mi sembra eccessivo. Stiamo parlando di un termine non legato all'attivazione del mutuo e dell'inizio lavori entro tre mesi, sei mesi, dall'apertura del mutuo. Stiamo parlando del trasferimento fisico in un'abitazione entro sei mesi dalla «fine lavori» certificata, e sappiamo tutti che molto spesso la «fine lavori» viene fatta anche se magari qualcosa non è completato per l'effettivo trasferimento in questa abitazione. Che una pratica per la residenza sia ostativa, da questo punto di vista, mi sembra eccessivo. Io speravo, invece, che oggi questa cosa si sarebbe potuta superare, prevedendo magari delle penalità in un arco temporale ridotto di 15, 20 giorni, ma effettivamente pensare che con un giorno solo di ritardo nel trasferimento di una residenza, quindi di una pratica meramente amministrativa per qualsivoglia motivo (un ufficio chiuso, un soggetto che arriva in ritardo allo sportello chiuso e presenta il trasferimento della residenza il giorno dopo), possano decadere delle agevolazioni ventennali o trentennali, mi sembra un'impostazione dell'amministrazione dello Stato fortemente penalizzante per il cittadino.Pag. 37
      Quindi, io veramente cercherò di capire con altri strumenti come fare, perché stiamo parlando di un trasferimento di residenza che avviene 24 ore dopo i sei mesi dalla formalizzazione della fine lavori, che – ribadisco – molto spesso non è l'elemento conclusivo per rendere perfettamente utilizzabile – non agibile, perché agibile lo è – un appartamento o una nuova costruzione.
      Quindi, per le motivazioni che adducevo anche in premessa, cioè per il fatto che stiamo parlando di prima casa, che stiamo parlando di persone che costruiscono una prima casa con molta fatica, con difficoltà di contrarre un mutuo com’è quello di oggi – stiamo parlando di giovani coppie che magari fanno fatica ad avere un reddito e un contratto a tempo indeterminato per poter aprire un mutuo –, non si può dire a queste persone che perdono la possibilità di detrarre 2.500 euro all'anno. Di questo stiamo parlando, non stiamo parlando di fattispecie di detrazioni di alti importi e, quindi, legate ad abitazioni di altissimo valore, stiamo parlando di prima casa.
      Quindi, io non capisco perché da questo punto di vista il Governo non voglia rivedere questa posizione, introducendo una possibilità di ravvedimento con delle penalizzazioni, che non precludano la detraibilità addirittura per periodi ventennali o trentennali.

(Iniziative volte a garantire l'erogazione dei fondi destinati ai comuni dell'Irpinia e della Lucania colpiti dal sisma del 1980 – n. 2-00756)

      PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Famiglietti n. 2-00756, concernente iniziative volte a garantire l'erogazione dei fondi destinati ai comuni dell'Irpinia e della Lucania colpiti dal sisma del 1980 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
      Chiedo al deputato Famiglietti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

      LUIGI FAMIGLIETTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, la presente interpellanza intende contribuire a fare chiarezza, dal punto di vista istituzionale, circa il completamento del processo di ricostruzione post sisma del 1980, che colpì Irpinia e Basilicata e dal quale pochi giorni fa sono trascorsi ben 34 anni. È un'interpellanza che, al netto delle polemiche e delle possibili strumentalizzazioni, ha come obiettivo quello di fare il punto sul processo di ricostruzione, in considerazione dei nodi tutt'ora aperti, che interessano amministrazioni locali e cittadini.
      A partire dal 1999 si è registrata una lentezza nell'erogazione dei contributi per effetto del coinvolgimento delle regioni nell'attività di reperimento delle risorse occorrenti. Con l'articolo 50, comma 1, lettera i), della legge 23 dicembre 1998, n.  448 (legge finanziaria per il 1999), la regione Campania è stata autorizzata a contrarre mutui di durata ventennale a decorrere dal 2000 e dal 2001, con copertura totalmente a carico del Ministero del tesoro. Tale coinvolgimento istituzionale, purtroppo, si è rivelato fonte di ulteriori lungaggini, anche a causa delle procedure per la contrazione dei mutui e per le necessarie autorizzazioni e del ritardato raccordo tra le regioni, Ministero del tesoro e Ministero delle infrastrutture.
      Alcuni dati danno la fotografia della situazione che si è venuta di fatto a registrare in Campania. Nell'ultimo decennio sono state, infatti, assegnate risorse per circa 350 milioni di euro in termini di competenza e per circa 200 milioni di euro in termini di cassa. Si tratta di somme pari a circa il 2 per cento del totale assegnato ai comuni a seguito del sisma ed enormemente inferiori a quelle stimate dalla regione Campania per la sola ricostruzione abitativa.
      La situazione, per effetto dell'entrata in vigore della legge finanziaria del 2007, che ha autorizzato un contributo quindicennale di 3,5 milioni di euro a decorrere da ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, da erogare alle regioni Campania e Basilicata, secondo modalità e criteri di ripartizione determinati con DPCM, è diventata ancora più critica.Pag. 38
      Infatti, a seguito delle due citate leggi finanziarie, il Ministero delle infrastrutture, con ritardo ha assegnato le risorse ai comuni. Per l'esattezza ha assegnato risorse per circa 80 milioni di euro nel 2008 e 51 milioni di euro nel 2010. Queste ultime, a distanza di vari anni dalla pubblicazione sul sito istituzionale e sulla Gazzetta Ufficiale, non sono ancora materialmente affluite nelle casse dei comuni, poiché la regione Campania, in mancanza, prima, di un'ulteriore autorizzazione statale, che ora sembra essere arrivata, e, poi, per i limiti del Patto di stabilità, non ha provveduto a contrarre i mutui occorrenti per dare la provvista finanziaria alle citate assegnazioni. Pertanto i fondi sono ancora fermi a livello nazionale.
      Oggi, dopo oltre trent'anni dalla legge n.  219 del 1981 e dopo ventidue anni dalla legge n.  32 del 1992, in presenza di queste criticità si ritiene indispensabile affrontare definitivamente la chiusura di questo capitolo. Un'esigenza dettata dalla necessità di superare, da un lato, la stratificazione di norme e meccanismi che si sono succeduti nel tempo e, dall'altro, la chiusura definitiva dell'intervento straordinario e l'introduzione effettiva e operativa di quei principi che pure erano previsti nel 1992, quali il contenimento della spesa pubblica, la ridefinizione degli ambiti territoriali di intervento, la rideterminazione della platea degli aventi diritto al contributo.
      Queste sono le ragioni che animano questa interpellanza. I colleghi che l'hanno sottoscritta, anche in rappresentanza delle esigenze manifestate dai comuni, vogliono chiudere: l'intento di questa interpellanza è sostanzialmente quello di chiudere una volta per tutte questo capitolo della ricostruzione e si può chiudere solo se c’è una volontà vera da parte di tutti i soggetti istituzionali coinvolti, a partire dalla regione Campania ed ovviamente i Ministeri delle infrastrutture e dell'economia. Ci auguriamo che nella risposta ci saranno elementi utili in tale direzione.

      PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Enrico Zanetti, ha facoltà di rispondere.

      ENRICO ZANETTI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signora Presidente, con l'interpellanza in oggetto l'onorevole Famiglietti ed altri chiedono quali iniziative si intendano adottare per sbloccare le risorse stanziate, ai sensi della delibera CIPE n.  37 del 2006 e non ancora liquidate ai comuni colpiti dagli eventi sismici del 1980, al fine di consentire la chiusura del processo di ricostruzione post sisma.
      Al riguardo, si fa presente che le risorse destinate ad interventi di ricostruzione, ai sensi della legge n.  219 del 1981, sono nella piena disponibilità degli enti locali interessati presso 631 diverse contabilità speciali, ciascuna corrispondente ad un ente locale per le risorse di sua spettanza, per un totale complessivo residuo di circa 219 milioni di euro.
      Preso atto che, pur in presenza di risorse, diverse contabilità speciali non risultano più movimentate per la finalità della predetta legge da oltre un biennio, il Ministero dell'economia e delle finanze, al fine di procedere alla razionalizzazione degli strumenti di gestione delle residue disponibilità finanziarie ed alla verifica dell'effettiva esigenza degli enti beneficiari di disporre delle risorse depositate sulle rispettive contabilità speciali non movimentate da un anno, ha richiesto a questi ultimi i motivi del mancato utilizzo delle risorse, gli interventi che si intendono ancora attuare con le risorse disponibili, nonché le disponibilità già impegnate dal punto di vista contabile e da impegnare entro la fine del 2014.
      L'elenco analitico dei 631 enti locali e delle corrispondenti risorse disponibili che giacciono inutilizzate dai medesimi presso le corrispondenti contabilità speciali, è disponibile a richiesta presso il Ministero.
      Inoltre, ai sensi dell'articolo 4, comma 91, della legge 24 dicembre 2003, n.  350, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha attivato dei mutui con la Cassa depositi e prestiti a favore delle regioni Campania e Basilicata.
      In particolare, Cassa depositi e prestiti ha comunicato che, a valere sulle citate risorse, la medesima ha accordato alle Pag. 39regioni Campania e Basilicata mutui per un importo complessivo di Euro 81.450.000, di cui erogati ad oggi euro 67.350.000.
      Nel testo della risposta vengono riportati i dati relativi ai singoli mutui, distinti per beneficiario, importo, data di concessione e stato delle erogazioni al 3 dicembre 2014.
      Ovviamente, l'utilizzo di tali fondi in favore degli enti colpiti dagli eventi sismici dipende dalle modalità di erogazione poste in essere dalle regioni.
      Infine, Cassa depositi e prestiti ha precisato di aver concesso ulteriori finanziamenti destinati agli interventi nei territori colpiti dal sisma 1980 e mutui in favore delle regioni Campania e Basilicata.

      PRESIDENTE. Il deputato Famiglietti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

      LUIGI FAMIGLIETTI. Signora Presidente, io non sono soddisfatto della risposta per il semplice fatto che nella richiesta si faceva esplicito riferimento alle risorse che sono state assegnate per circa 80 milioni nel 2008 e per 51 milioni nel 2010 e che, facendo riferimento specialmente alla regione Campania, sono oggi bloccate, perché la regione Campania, seppure autorizzata dal Ministero dell'economia, non riesce a provvedere a contrarre i mutui occorrenti, per via del patto di stabilità.
      Fermo restando che invece do atto del fatto che presso molti comuni che furono giudicati terremotati, presso alcune contabilità speciali di alcuni comuni, sono fermi dei finanziamenti, soprattutto in comuni che erano molto lontani dal cratere, cioè comuni del napoletano magari o del salernitano.
      Quindi, l'invito che io faccio al Governo è di istituire una task force o qualcosa del genere effettivamente per capire, laddove ci siano dei fondi fermi presso gli enti locali, perché siano fermi ed eventualmente riportarli a livello centrale; però, nello stesso tempo, ci sono dei comuni, che furono gravemente danneggiati, che hanno diritto di completare la ricostruzione ed, in base a queste ultime risorse assegnate a cui ho fatto riferimento, nel 2008 e nel 2010, i sindaci – tra i quali anche io, perché continuo ad essere sindaco di un piccolo comune terremotato – hanno fatto delle delibere a loro volta; hanno assegnato dei fondi sulla base di questi ultimi fondi del 2008 e del 2010.
      Oggi ci troviamo nell'impossibilità di liquidare i destinatari e i beneficiari, che a loro volta hanno fatto i lavori di ristrutturazione, perché la regione Campania non riesce a contrarre i mutui per via del Patto di stabilità.
      Quindi, si dovrebbe intervenire con una apposita norma per evitare che questi soldi passino attraverso la regione Campania – come si faceva all'inizio del post sisma, c’è un rapporto diretto tra Ministero e comuni – oppure bisogna capire con la regione Campania se possa andare in deroga al Patto di stabilità oppure attendere l'inizio del 2015 per poter contrarre questi mutui.
      Comunque, stiamo parlando di fondi diversi. Quindi, riassumendo, chiederei al Governo, nella persona del sottosegretario Zanetti, di prendere questa iniziativa, di concerto anche con il Ministero delle infrastrutture, cioè fare, una volta per tutte, una ricognizione di tutte le risorse giacenti ed eventualmente dare vita ad una cassa unica, che soddisfi le esigenze dei comuni che sono stati virtuosi poiché hanno utilizzato e speso bene le risorse ed oggi hanno bisogno di ulteriori risorse, che sono quelli gravemente danneggiati. Mentre rispetto ai comuni che evidentemente non avevano bisogno di risorse o comunque che, per incapacità amministrativa, non sono stati capaci di spenderle, è giusto che le loro risorse vengano riportate a livello centrale. Però, non vanno confusi i due aspetti. Ripeto per l'ultima volta: ci sono comuni che sono gravemente danneggiati e che attendono i fondi che sono stati stanziati e per colpa della regione Campania non riescono a liquidare. Poi vi sono altre somme effettivamente giacenti che ritengo sia giusto riportare a livello centrale.

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      PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

      PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato, in data 19 dicembre 2014, ha nominato componente della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi la senatrice Laura Cantini in sostituzione del senatore Salvatore Margiotta, dimissionario.

Ordine del giorno della seduta di domani.

      PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

      Sabato 20 dicembre 2014, alle 15,30:

      Comunicazioni del Presidente.

      La seduta termina alle 12,35.

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