XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 8 gennaio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


      La VII Commissione,
          premesso che:
              l'Italia si appresta a celebrare il Settantesimo anniversario della Resistenza e della Guerra di liberazione;
              l'azione e gli interventi che saranno promossi per affrontare questo appuntamento – ricco di significato per la storia recente della Nazione – dovrebbero svolgersi secondo il sapiente intreccio di storia e memoria che, secondo gli indirizzi storiografici più attuali e avvertiti, non possono essere considerati come sinonimi. Fare storia, in senso attivo, significa infatti sottoporre a continua ricerca le conoscenze, saper adottare prospettive nuove, riuscire ad illuminare gli angoli lasciati in ombra, mentre l'azione di memoria rende partecipi di un processo che è di conoscenza, ma anche di presa in carico e di responsabilità. È, peraltro, dalla combinazione di passione civile e di rigore intellettuale – cioè di storia e memoria – che può costruirsi un orizzonte comune in cui la conoscenza del passato costituisce fonte di un progetto futuro;
              la ricorrenza del Settantesimo della Liberazione dovrebbe diventare propulsore di ricerche che si muovano verso un orizzonte nazionale, in grado di valorizzare quanto già svolto a livello locale, per non disperdere il patrimonio di informazioni e studi che in questi anni, data la peculiarità della nostra storia, si è accumulato su temi e fenomeni specifici. Dovrebbe quindi diventare una occasione per portare a sintesi, con una prospettiva nazionale, gli sforzi che a carattere locale sono già stati compiuti;
              è necessario attribuire un significato storico alla ricorrenza, perché diventi occasione di rivisitare criticamente i grandi fenomeni storici – sottraendoli alle dispute del dibattito politico – quali, ad esempio, il rapporto tra Resistenza/Resistenze e gli spostamenti forzati di popolazioni con l'esito drammatico delle deportazioni nelle sue molteplici forme;
              le ricerche, la divulgazione e gli interventi didattici messi in campo nel Settantesimo dovranno riuscire a rappresentare il significato profondo dell'antifascismo e dell'esperienza resistenziale, per trasferire la ricchezza progettuale di quel portato nel nostro presente dando nuovo slancio alla ricerca e all'agire civico;
              le celebrazioni dovrebbero costituire non il fine ma il mezzo per, cioè farsi punto di partenza per dare impulso alla ricerca rigorosa, non agiografica o retorica, di quanto è accaduto, sia per aprire nuove piste di lavoro, sia per rileggere le vicende con occhi diversi. La distanza che separa da quegli avvenimenti permette di poterli osservare in modo laico, ma non per questo meno partecipe. Due ambiti sembrano, in questa prospettiva, emergenti:
                  il tema delle stragi nazifasciste, affrontato più come indagine di storia legate ad un territorio piuttosto che in modo sistematico e complessivo, è invece necessario per comprendere la strategia di cui le singole stragi attuate nel corso del conflitto sono parte. Il tema delle stragi, inoltre, richiama una riflessione sulla violenza, in particolare la violenza ai civili che è stata la cifra della brutalizzazione della guerra nel XX secolo. In questi ultimi anni le stragi nazifasciste, quando possibile, sono state riaperte nelle aule dei tribunali: per molte di esse però questo percorso non è più praticabile e i fascicoli ritrovati nel cosiddetto «Armadio della vergogna» rischiano di essere richiusi di nuovo. L'indagine storica, che non vuole formulare giudizi, può raggiungere una «verità aperta» e fornire la comprensione complessiva del fenomeno: a tal fine occorrerebbe affrontare sia una indagine quantitativa, mappando geograficamente sul territorio il fenomeno, sia qualitativa ricostruendo, là dove possibile, i profili umani e intellettuali delle vittime nonché le ripercussioni sulle comunità. Le storie di vita, quando sono una scelta metodologica praticabile, permettono di rompere la rigidità delle interpretazioni e di dare corpo ad una storia che rischia di apparire lontana e astratta;
              portare alla luce agenti storici dell'antifascismo e delle «resistenze», lasciati    ai margini della ricostruzione dei grandi eventi, quali – ad esempio — i civili, le donne, i deportati razziali e politici, gli IMI (internati militari italiani): i molteplici modi e le forme di opposizione al regime fasciata e all'occupazione nazista espresse dalle azioni di questi soggetti, ma anche le loro vicende di deportazione, godono ancora oggi di studi limitati e parziali. La biografia, la definizione del percorso di vita, raccolta con l'obiettivo di costruire di una banca dati aperta a sempre nuove acquisizioni, può costituire lo strumento di analisi su cui poi innescare un lavoro di ricostruzione storiografica. Analoga luce va portata sulle scelte e sulle vicende personali e collettive di coloro i quali sostennero il regime fascista e collaborarono con gli occupanti, al fine di restituire un quadro interpretativo non ideologico e complessivo;
              la fisicità dei luoghi che sono stati teatro di fatti cruenti legati all'antifascismo, alla deportazione razziale e politica, al movimento resistenziale e alla Guerra di Liberazione mantiene, nel tempo, una capacità evocativa che è in grado di rende visibile ciò che non lo è, cioè la storia, e al contempo di preservarla tenacemente contro l'oblio. Sono elementi simbolici della comunità, inseriti in un territorio specifico, che finiscono per caratterizzare in maniera forte con la loro presenza. Nei luoghi ci si riconosce, il passato e il presente si saldano. Per questo la loro importanza va oltre la conoscenza dei fatti cui rimandano, perché la loro funzione non è solo storica ma identitaria. Molti luoghi di «memoria» restano inscritti esclusivamente in un contesto locale, alcuni lo travalicano e appartengono alla storia del nostro Paese per la funzione che ebbero nel corso della Seconda Guerra, per quello che rappresentarono successivamente. È chiaro che il luogo di memoria nasce dal lavorio del tempo, ma soprattutto dalla volontà degli uomini e delle donne che, prendendosi cura delle pietre, intendono custodire la memoria delle storie che esse racchiudono. Oggi è urgente definire un lessico della memoria, a partire dalla individuazione dei luoghi legati al secondo conflitto: per essi andrebbe dedicato uno strumento di conoscenza di base, quale la schedatura con parametri uniformi per tutto il territorio, garantendo quindi la possibilità di riconoscere tali luoghi e renderli rintracciabili; al contempo si dovrà ricostruire, per quanto possibile, una mappa di ciò che non c’è più. L'obiettivo è di salvare ciò che resta e conoscere ciò che si è perso. Sui luoghi, che permettono l'incontro fruttuoso tra la ricerca, la divulgazione e il lavoro pedagogico, bisogna investire perché sono una risorsa per la storia e un monito per la memoria;
              la lotta di Liberazione fu un movimento collettivo, somma di tante scelte individuali di donne e uomini comuni che si impegnarono per affermare i principi di libertà ed indipendenza a fronte di sofferenze e, spesso, fino al sacrificio personale. I protagonisti di quelle esperienze fondative della Repubblica meritano il riconoscimento, non solo per il dovere della memoria, ma soprattutto per trasmettere alle nuove generazioni i valori e i principi della Carta Costituzionale;
              resta ferma la rigorosa tutela della libertà di studio e ricerca,

impegna il Governo:

          a promuovere gli studi e le ricerche sull'esperienza storica della opposizione al fascismo, della Resistenza e della Liberazione, a partire dalle memorie dei territori per giungere alle grandi vicende nazionali;
          in particolare, a dare impulso agli studi e alle ricerche sul ruolo delle donne, dei civili, degli internati militari italiani nell'esperienza resistenziale, nonché di coloro i quali si schierarono con il regime, anche al fine di realizzare banche di dati – progressivamente implementabili su dati il più possibile uniformi – utili ad intrecciare le vicende personali alla storia generale;
          a contribuire fattivamente alla realizzazione del catalogo digitalizzato delle stragi nazifasciste, che le collochi sul territorio nazionali e connetta le biografie di vittime e carnefici al contesto locale e al quadro storiografico generale;
          a promuovere la realizzazione di un Centro nazionale di documentazione, informazione e comunicazione multimediale, particolarmente indirizzato alle giovani generazioni e volto a diffondere la conoscenza delle vicende storiche della Resistenza;
          a sostenere concretamente la creazione della rete dei luoghi della memoria al fine di agevolarne la salvaguardia, la conoscenza e la valorizzazione, avvalendosi sia del Centro nazionale di documentazione, informazione e comunicazione multimediale sia della esecuzione di uno specifico programma di identità visiva;
          a conferire un attestato ai partigiani, ai combattenti, ai patrioti e ai reduci, ai militari che hanno contribuito alla lotta di Liberazione, mediante un elenco da definirsi in collaborazione con le associazioni combattentistiche e con gli enti locali;
          a sostenere programmi e progetti che partendo dalla conoscenza del conflitto passato consentano di far riflettere le nuove generazioni sull'attualità, sulla gestione dei conflitti attraverso il confronto verbale e, dunque, mediante la promozione di percorsi di dialogo e pace.
(7-00559) «Ghizzoni, D'Ottavio, Gribaudo, Coscia, Ascani, Blazina, Bossa, Carocci, Coccia, Crimì, Incerti, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Orfini, Pes, Piccoli Nardelli, Rampi, Rocchi, Andrea Romano, Paolo Rossi, Sgambato, Ventricelli».


      La XII Commissione,
          premesso che:
              la malattia del legionario, più comunemente definita legionellosi, è un'infezione polmonare causata dal batterio Legionella pneumophila;
              nel 1983, con decreto ministeriale (decreto ministeriale 7 febbraio 1983) il Ministero della sanità ha incluso la legionellosi tra le malattie infettive e diffusive soggette ad obbligo di denuncia. Data la necessità di promuovere la raccolta di informazioni più accurate, l'Istituto superiore di sanità ha avviato un programma nazionale di sorveglianza e l'istituzione del registro nazionale della legionellosi;
              parallelamente al sistema di sorveglianza dei casi italiani, esiste un programma di sorveglianza internazionale (European Working Group for Legionella Infections, EWGLINET) iniziato nel 1986 e coordinato fino al 1993 dal National Bacteriology Laboratory di Stoccolma e, successivamente, dall’Health Protection Agency (HPA), Communicable Disease Surveillance Centre (CDSC) di Londra;
              l'infezione da legionella viene trasmessa da flussi di aerosol e di acqua contaminata, come nel caso di ambienti condizionati o con l'uso di umidificatori. Il batterio, infatti, si riproduce soprattutto in ambienti umidi e tiepidi o riscaldati, come i sistemi di tubature, i condensatori, le colonne di raffreddamento dell'acqua, sui quali forma un film batterico. Sedimenti organici, ruggini, depositi di materiali sulle superfici dei sistemi di stoccaggio e distribuzione delle acque ne facilitano l'insediamento;
              come sottolineato dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute, la legionellosi pone un serio problema di salute pubblica, poiché costituisce un elemento di rischio in tutte le situazioni in cui le persone sono riunite in uno stesso ambiente, come avviene in case di cura, residenze per anziani, ospedali, piscine e terme e altri luoghi pubblici, nei quali è in funzione un sistema di condizionamento, di umidificazione o di trattamento dell'aria o di ricircolarizzazione delle acque;
              in questi ultimi mesi, si sono verificati diversi casi di legionellosi. Per citarne alcuni: sei casi nel comune di Bresso (MI), tre casi nel quartiere Niguarda di Milano, due ricoveri all'ospedale Mandic di Merate in provincia di Lecco;
              come riporta il rapporto dell'Istituto superiore di sanità, nel 2012 all'ISS sono pervenute 1.350 schede di sorveglianza relative ad altrettanti casi di legionellosi. Un numero in aumento rispetto a tutti gli anni precedenti, e un incremento di ben il 33 per cento rispetto ai casi notificati nel 2011;
              è da considerare il fatto che dei 1.350 casi notificati, 72 (il 5,3 per cento) hanno riguardato persone che erano ricoverate in ospedale o in clinica. Questo dato evidenzia peraltro la necessità per i nosocomi — a tutela della salute sia dei ricoverati che degli operatori sanitari – di adottare le migliori misure di prevenzione e controllo disponibili, per ridurre al minimo il rischio di acquisire la malattia in ospedale;
              la normativa italiana è sostanzialmente costituita dalle «linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi», approvate dalla Conferenza Stato-regioni, e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 5 maggio 2000;
              questo strumento ha disciplinato la bonifica delle reti idriche contaminate dal batterio, ma con sistemi ormai datati come lo shock termico e la iperclorazione. Non sono stati inoltre recepiti i risultati di alcune sperimentazioni condotte negli scorsi anni dall'Istituto superiore di sanità in alcuni ospedali pubblici, quali Trento;
              i metodi individuati a suo tempo dal Ministero presentano diversi limiti, e inoltre è totalmente assente la prevenzione nei mezzi di trasporto (treni, aerei, navi e altro);
              esistono attualmente nuovi metodi di bonifica e profilassi che utilizzano il biossido di cloro, il perossido di idrogeno e argento e altro, che non sono contemplati nelle linee guida del 2000,

impegna il Governo

a provvedere, con il coinvolgimento dell'Istituto superiore di sanità, alla revisione ed aggiornamento delle linee guida nazionali del 2000 sulla legionellosi, anche alla luce dei nuovi metodi di bonifica e profilassi, al fine di consentire una più efficace attività di prevenzione, prevedendo anche le condizioni dettagliate di impiego dei nuovi metodi di sanificazione, con particolare riferimento ad edifici pubblici e strutture sanitarie, strutture ricettive e mezzi di trasporto, modalità costruttive dei nuovi edifici ed obblighi dei condominii, anche con riferimento alle normative sul risparmio energetico e ai materiali degli impianti.
(7-00560) «Nicchi, Matarrelli».


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              il Governo ha approvato il decreto-legge n.  136 del 10 dicembre 2013 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 2014, n.  6, comunemente conosciuto come decreto-legge «Terra dei Fuochi» proprio in considerazione del fatto che i territori cui il provvedimento in questione fa riferimento sono geograficamente conosciuti come «Terra dei Fuochi»;
              le disposizioni normative contenute all'interno di tale decreto si sono rivelate assolutamente insufficienti per la risoluzione delle criticità presenti all'interno del territorio destinatario del provvedimento e non soddisfacenti sotto tutti i punti di vista;
              occorre infatti affrontare i problemi al cuore e risolverli attraverso gli strumenti appropriati;
              è il caso di ridiscutere la presenza, inutile, del corpo di polizia provinciale che oltre a non avere nessuna utilità, andrebbe legata alla dichiarata volontà di eliminazione delle province; sarebbe opportuno affidare quindi maggiori poteri ad altri corpi di polizia, in primis il Corpo forestale dello Stato, e creare personale specializzato, eventualmente attingendo al personale del soppresso corpo di polizia provinciale, sul piano degli interventi specifici di contrasto agli sversamenti e ai roghi;
              un ruolo fondamentale nella repressione dei crimini ambientali è svolto dal Corpo forestale dello Stato, in un ottica di potenziamento di questo sarebbe opportuno accorpare, al Corpo, le polizie provinciali così come far confluire al suo interno unità provenienti dal piano di dismissione dell'aeronautica;
              è necessario affrontare la questione della caratterizzazione dei terreni; in questo campo molto è legato alla controversa questione delle indagini realizzate in passato e documentate in alcuni rapporti che sono stati pubblicati in questi anni nonché alle caratterizzazioni inserite proprio nel decreto «Terra dei Fuochi» di cui sopra e delle quali nessuno sembra avere traccia;
              tale caratterizzazione deve andare di pari passo alla rielaborazione della normativa per definire i parametri di valutazione delle concentrazioni inquinanti per suoli agricoli e soprattutto acque irrigue (attualmente assenti); urge predisporre un piano di incentivi da destinare alla eventuale conversione delle colture per i terreni/compromessi dall'inquinamento o comunque interdetti alla coltivazione di prodotti agricoli. In questa ottica si colloca l'idea della messa a dimora di alberi ad alto fusto (pioppo nello specifico) per la produzione di legname (opportunamente trattato in fase di reimpiego nei cicli industriali per evitare il rilascio di sostanze incamerate mediante fitoestrazione), o anche canapa che opportunamente supportata nella propria filiera potrebbe aprire un vero e proprio panorama di investimenti per gli svariati impieghi che può avere in altrettanti settori;
              in tale ultimo caso sarebbe utile affidare tale compito alle facoltà universitarie specializzate, come quella di agraria a Portici, creando dei gruppi di lavoro composti da agronomi, geologi, ed esperti di idraulica dei mezzi porosi. Questo aspetto è fondamentale per capire anche a che punto ci si trova relativamente al livello inquinamento dei suoli (geologi ed esperti di idraulica dei mezzi porosi possono dare un apporto importantissimo sul piano della composizione dei suoli e della permeabilità degli stessi, in modo da capire se e quali indagini effettuare in questo momento ai fini della caratterizzazione). La presenza di agronomi rientra nella sfera della salvaguardia del comparto agroalimentare già molto provato da anni di cattiva pubblicità della Campania come territorio senza speranza quando in realtà non è assolutamente così;
              è opportuno prevedere controlli su tutta la filiera dello smaltimento dei rifiuti, con impegno di tutti gli organi coinvolti, dal Corpo forestale dello Stato alla Guardia di finanza al fine di perseguire obiettivi di controllo a monte della filiera dello smaltimento dei rifiuti speciali ed attuare una campagna di controlli sulle aziende sommerse;
              individuare le attività sommerse è la chiave per arginare il fenomeno degli sversamenti abusivi di rifiuti speciali. È infatti da privilegiare un simile modus operandi rispetto, ad esempio, all'utilizzo di personale militare finalizzato a sanzionare chi materialmente appicca il fuoco al rifiuto e perseguendo così l'ultimo anello della catena senza mai individuare i reali responsabili;
              fondamentale è regolamentare i parametri relativi alle sostanze «inquinanti», contenute nelle acque destinate all'irrigazione. Oggi i pozzi, infatti, sono sequestrati sulla base del decreto legislativo n.  152 del 2006 che però non regolamenta le acque irrigue, ma solo quelle destinate al consumo neonatale; occorre quindi modificare il testo unico per l'ambiente con l'introduzione di uno o più articoli dedicati alla regolamentazione delle acque irrigue,

impegna il Governo:

          a potenziare il Corpo forestale dello Stato, carente di uomini e mezzi, che secondo il rapporto ecomafie 2014 di Legambiente ha accertato nel 2013 oltre 10 mila reati ambientali contro i 65 della polizia di Stato;
          a dotare il Corpo forestale dello Stato di idoneo centro elaborazione dati ambientali ed agroalimentari così da essere in grado di incrociare dati tecnici e amministrativi, per pianificare ed attuare operazioni di polizia volte al pieno contrasto dei fenomeni illegali andando ad incidere su tutta la filiera criminale dal produttore di rifiuti, al trasportatore, allo smaltitore e, infine, all'incendiatore;
          ad assumere iniziative per la definizione entro un breve lasso di tempo, di parametri di valutazione delle concentrazioni inquinanti per suoli agricoli e per acque irrigue;
          ad assumere iniziative per stabilire che i terreni che dovessero risultare compromessi dall'inquinamento o comunque interdetti alla coltivazione di prodotti agricoli, qualora si dimostri la non colpevolezza del soggetto che ha il godimento del fondo, devono essere destinati, attraverso sopratutto incentivi statali, alla produzione di legname attraverso la messa a dimora di alberi ad alto fusto (come il pioppo) il cui legno deve essere opportunamente trattato in fase di reimpiego nei cicli industriali per evitare il rilascio di sostanze incamerate mediante fitoestrazione, oppure destinati alla produzione di canapa opportunamente supportata nella propria filiera o comunque ad altri tipi di coltura;
          a promuovere    ogni iniziativa utile affinché si provveda all'analisi dei terreni interessati, nonché all'elaborazione di piani di riutilizzo dei terreni inquinati, costituendo un gruppo di lavoro formato da esperti provenienti dal locale mondo universitario e composto da agronomi, geologi, ed esperti di idraulica dei mezzi porosi;
          a promuovere la regolamentazione dei parametri relativi alle sostanze «inquinanti» contenute nelle acque destinate all'irrigazione, disciplinando le caratteristiche di composizione e di utilizzazione delle stesse;
          a impegnarsi, di concerto con le istituzioni locali, nel dare slancio alla proposta di creazione di un marchio di qualità per i prodotti provenienti da zone in cui risulta assente la contaminazione, in modo da proteggere il comparto agroalimentare nei confronti di possibili quanto ingiustificati attacchi speculativi.
(7-00558) «Parentela, Micillo, Benedetti, Massimiliano Bernini, Busto, De Rosa, Daga, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Mannino, Rostellato, Terzoni, Segoni, Vignaroli, Zolezzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          in un articolo apparso sul settimanale l'Espresso del 19 giugno 2014 si denunciava l'esistenza di un accordo segreto per il «liberismo selvaggio»;
          tale scelta si dedurrebbe all'interno del Tisa (Trade in Services Agreement), trattato internazionale teso a liberalizzare totalmente i servizi essenziali come banche, sanità, trasporti, istruzione e sarebbe stato redatto su pressioni di grandi lobby e multinazionali;
          l'Espresso ha potuto rivelare parte dei contenuti di tale trattato grazie a WikiLeaks, l'organizzazione di Julian Assange;
          il nostro Paese starebbe negoziando tale trattato attraverso la Commissione europea ed è facilmente comprensibile quali e quanti siano gli interessi in gioco e come una tale ipotesi potrebbe colpire gli interessi delle popolazioni a livello mondiale;
          a sedere al tavolo delle trattative del Tisa sarebbero i Paesi che hanno i mercati del settore servizi più grandi del mondo: Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Canada, i 28 Paesi dell'Unione europea, più Svizzera, Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Israele, Turchia, Taiwan, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone, Pakistan, Panama, Perù, Paraguay, Cile, Colombia, Messico e Costa Rica;
          tra i maggiori sponsor del trattato vi sarebbe la «Coalition of Services Industries», lobby americana che porta avanti un'agenda di privatizzazione dei servizi, dove Stati e Governi sono semplicemente visti come un intralcio al business: «Dobbiamo supportare la capacita delle aziende di competere in modo giusto e secondo fattori basati sul mercato, non sui governi», scrive la Coalition of Services Industries nei suoi comunicati a favore del Tisa, documenti che sono tra i pochissimi disponibili per avere un'idea delle manovre in corso;
          non esiste alcuna bozza del trattato se non le parti che sono state rese pubbliche da WikiLeaks e che dimostrerebbero l'esistenza di negoziazioni in materia di servizi bancari, prodotti finanziari e assicurazioni;
          quello che appare, sin da subito, inquietante è la segretezza di tali trattative: «Questo documento deve essere protetto dalla rivelazione non autorizzata, ma può essere inviato per posta, trasmesso per email non secretata o per fax, discusso su linee telefoniche non sicure e archiviato su computer non riservati. Deve essere conservato in un edificio, stanza o contenitore chiusi o protetti». E il documento potrà essere desecretato «dopo cinque anni dall'entrata in vigore del Tisa e, se non entrerà in vigore, cinque anni dopo la chiusura delle trattative»;
          ancora una volta si starebbero prendendo decisioni fondamentali per il destino di milioni di persone in «segrete stanze» sia per evitare conflitti tra interessi diversi a livello globale, sia per frenare le eventuali rivolte sociali che i temi e le decisioni, eventualmente adottate, potrebbero determinare; il Tisa sarebbe la logica conseguenza del fallimento del «Doha Round», negoziati interni al WTO che fallirono per i contrasti tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo e la «segretezza» delle trattative sarebbe la dimostrazione delle forte preoccupazioni esistenti per le possibili proteste potrebbero nuovamente esplodere;
          secondo Jane Kelsey, professoressa di legge dell'università di Auckland, Nuova Zelanda, nota per il suo approccio critico alla globalizzazione, ciò che emerge dalla bozza resa pubblica e che: «... i governi che aderiranno al Tisa rimarranno vincolati ed amplieranno i loro attuali livelli di deregolamentazione della finanza e delle liberalizzazioni, perderanno il diritto di conservare i dati finanziari sul loro territorio, si troveranno sotto pressione affinché approvino prodotti finanziari potenzialmente tossici e si troveranno ad affrontare azioni legali prenderanno misure precauzionali per prevenire un'altra crisi»;
          l'articolo undici del testo fatto filtrare da WikiLeaks non lascia dubbi su come i dati delle transazioni finanziarie siano al centro delle mire e delle agende dei Paesi che trattano il Tisa; le posizioni sarebbero, attualmente, divergenti con L'Europa che richiede che «nessun paese parte delle trattative adotti misure che impediscano il trasferimento o l'esame delle informazioni finanziarie, incluso il trasferimento di dati con mezzi elettronici, da e verso il territorio del paese in questione». L'Unione europea precisa che, nonostante questa condizione, il diritto da parte di uno Stato che aderisce al Tisa di proteggere i dati personali e la privacy rimarrà intatto «a condizione che tale diritto non venga usato per aggirare quanto prevede questo accordo». Panama, invece, mette le mani avanti e chiede di specificare che «un paese parte dell'accordo non sia tenuto a fornire o a permettere l'accesso a informazioni correlate agli affari finanziari e ai conti di un cliente individuale di un'istituzione finanziaria o di un fornitore cross-border di servizi finanziari». Gli Stati Uniti, invece, sono netti: i Paesi che aderiscono all'accordo permetteranno al fornitore del servizio finanziario di trasferire dentro e fuori dal loro territorio, in forma elettronica o in altri modi, i dati. Nessuna precisazione sulla privacy, da parte degli Stati Uniti;
          l'Espresso dichiara, inoltre di avere contratto il «Public Services International» (Psi) una federazione globale di sindacati che rappresentano 20 milioni di lavoratori nei servizi pubblici di 150 paesi del mondo. L'italiana Rosa Pavanelli, prima donna alla guida del Psi, ha affermato di non avere alcun dubbio sul fatto che le negoziazioni del Tisa mirino a investire tutti i servizi, non solo quelli finanziari, quindi anche «sanità, istruzione e tutto il discorso della trasmissione dei dati» e che «L'Italia, come la maggior parte dei Paesi europei, ha delegato alla Commissione europea le trattative»;
          appare inammissibile che su tematiche così delicate e determinanti per il futuro di milioni di persone si tenti di arrivare ad accordi «segretati» tenendo all'oscuro l'opinione pubblica mondiale  –:
          se corrispondano al vero le notizie pubblicate dal settimanale l'Espresso;
          se corrisponda al vero che all'interno di questo negoziato vi sarebbero anche l'istruzione e la sanità e se non si ritenga, nel caso, che su tali questioni fondamentali per la giustizia sociale e la stessa democrazia non siano ammissibili accordi internazionali che si possano porre in contrasto con le norme dei singoli Paesi;
          se non si ritenga necessario rigettare l'ipotesi di affrontare e definire nuove regole finanziarie lontano dall'Organizzazione mondiale del commercio considerato soprattutto che, visti gli effetti devastanti della crisi che ha investito l'intera economia mondiale, non si può pensare neanche lontanamente di decidere in materia sotto la spinta delle lobby economiche che gestiscono il sistema dei servizi e delle multinazionali;
          se non si ritenga necessario rafforzare le regole nel settore finanziario affinché non si creino le basi per alimentare una nuova crisi economica globale che potrebbe affossare tutti gli sforzi, sin qui compiuti, per cercare di uscire dalla crisi;
          se siano coinvolti altri settori quali i servizi finanziari e assicurativi e se siano in discussione aspetti concernenti la privacy dei cittadini europei, e in quale maniera il Governo intenda operare per salvaguardare tale privacy.
(2-00798) «Zaccagnini, Kronbichler, Paglia, Scotto, Palazzotto, Marcon, Fitzgerald Nissoli».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
          da notizie apparse sulla stampa si apprende che nei 18 mesi che precedettero l'Olimpiade di Londra 38 atleti della FIDAL – che avevano l'obbligo di segnalare la propria reperibilità per i controlli antidoping a sorpresa – avevano ripetutamente disatteso a questo obbligo impedendo in questo modo la possibilità di essere sottoposti a controlli out of competition;
          l'intero sistema antidoping ha la sua punta di forza nei controlli a sorpresa effettuati sugli atleti ma, per effettuare questo genere di controlli, c’è la necessità da parte degli atleti di segnalare la reperibilità giorno per giorno. Una mancata segnalazione (prevista trimestralmente dalla WADA) comporta che tali controlli non si possano effettuare. Se qualcuno accumula in 18 mesi tre ritardi nell'invio del form con le informazioni (la cosiddetta «mancata o ritardata notifica»), o se salta un test per tre volte senza motivi validi, viene squalificato. Questo è quanto previsto dal Codice mondiale della Wada. È un punto tassativo;
          l'indagine condotta dai Nas e dai Ros, su mandato della procura di Bolzano, ha evidenziato che l'Agenzia CONI-NADO, pur riscontrando ripetute mancate segnalazioni delle reperibilità da parte degli atleti, non si sia mai attivata per la contestazione delle infrazioni e per la prevista squalifica compiendo una grave violazione del codice WADA soprattutto sul fronte delle «mancate reperibilità». Finora è emerso il caso dei 38 atleti della FIDAL, ma gli inquirenti di Bolzano hanno informato che in molte altre federazioni sportive la situazione è identica;
          la Commissione controlli antidoping del Coni, per un elevato numero di atleti di diversi sport, non avrebbe potuto effettuare esami antidoping a sorpresa, perché non era a conoscenza dei loro luoghi di reperibilità;
          la legge n.  376 del 14 dicembre 2000 «Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping» prevede all'articolo 4, comma 4, che: «A decorrere dalla data della stipulazione delle convenzioni di cui al comma 1, e comunque a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, cessano le attività del CONI in materia di controllo sul laboratorio di analisi operante presso il Comitato medesimo»;
          inoltre la stessa legge n.  376 del 2000 prevede all'articolo 3, comma 1-b), che la Commissione di vigilanza determini «... i casi, i criteri e le metodologie dei controlli ed individua le competizioni e le attività sportive per le quali il controllo sanitario è effettuato dai laboratori di cui all'articolo 4, comma 1, tenuto conto delle caratteristiche delle competizioni e delle attività sportive stesse...»;
          la presenza dell'Agenzia CONI-NADO in seno al CONI, a giudizio degli interpellanti disattende quanto previsto dalla legge n.  376 del 2000 che evidenzia con assoluta chiarezza la necessità di un organo terzo rispetto al CONI. L'attuale presenza dell'Agenzia presso il CONI si configura come una forma di sistema «controllore/controllato» che non garantisce l'indipendenza dei controlli e accertamenti sugli atleti, in particolare quelli di vertice ed inseriti nelle competizioni olimpiche e mondiali e, inoltre, non ottempera alle indicazioni della WADA che raccomanda la costituzione di Agenzie nazionali indipendenti rispetto al sistema sportivo;
          in occasione dell'Assemblea nazionale del mese di ottobre 2014, l'Associazione Libera con UISP, US ACLI, CSI e ACSI ha presentato il documento «Libera lo sport» in cui viene ribadita la necessità di separare chi controlla da chi è controllato con l'istituzione di una agenzia ad hoc;
          le vicende giudiziarie avvenute negli anni scorsi in relazione ai controlli incompleti ed irregolari sui giocatori di calcio, avevano già evidenziato la necessità di separare gli organi di controllo dai controllati che sono gli atleti delle stesse federazioni sportive facenti parte del CONI. A dimostrazione dei ciò, la positività dell'atleta Schwazer è stata rilevata da un organo terzo (WADA) e non dagli organi deputati al controllo del CONI;
          come riportato dai giornali, Damiano Tommasi presidente dell'Associazione italiana calciatori, sottolinea la premialità di finanziamenti alle Federazioni che ottengono successi sportivi. Questo meccanismo di premialità rischierebbe di costituire un vero e proprio stimolo per le Federazioni sportive a ricercare in ogni modo prestazioni sportive migliori, anche ricorrendo al doping;
          occorre inoltre tenere presente l'importanza fondamentale dell'informazione al fine di prevenire il doping tra i giovani praticanti. A tale riguardo, la relazione annuale della commissione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive per l'anno 2013 al Parlamento italiano inizia dichiarando che «Nel corso del 2013, la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive ha proseguito nel suo impegno finalizzato alla lotta ed alla prevenzione della diffusione del fenomeno doping nella popolazione giovanile e nei settori sportivi amatoriali, promuovendo iniziative in tema di ricerca e formazione superiore, al fine di incrementare le conoscenze sul fenomeno, quale base per lo sviluppo di nuove e mirate strategie di intervento a tutela della salute dei praticanti l'attività sportiva»  –:
          per quale motivo la Commissione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive non abbia affrontato il tema del conflitto tra controllore e controllato denunciando agli organi competenti la funzione di controllore del CONI;
          per quale motivo la stessa Commissione operi, vigili ed agisca solo sul contrasto al fenomeno del doping nella popolazione giovanile e nei settori amatoriali, mentre non le viene dato modo di vigilare e controllare su tutte le competizioni, anche quelle professionistiche e di vertice dove è maggiore il conflitto controllore/controllato;
          per quale motivo il sistema di controllo degli atleti di vertice sia monopolio assoluto del CONI e non venga affidato ad una struttura indipendente;
          se il Governo non ritenga opportuno per una maggiore e concreta tutela della salute degli atleti di alto livello e di tutte le persone che praticano sport assumere iniziative per istituire un organismo indipendente di controllo come è avvenuto da tempo nella maggior parte dei Paesi europei.
(2-00801) «Cova, Coccia, Casati, Crimì, Fragomeli, Amato, Coppola, Sbrollini, Castricone, Zanin, Prina, Romanini, Arlotti, Albini, Cenni, Casellato, Fossati, D'Ottavio, Cominelli, Nicoletti, Manfredi, Monaco, Carra, Mattiello, Crivellari, Fregolent, Chaouki, Scanu, Gasparini, Richetti, Malpezzi, Manzi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          alle 4:30 del 28 dicembre scorso a bordo della motonave Norman Atlantic battente bandiera italiana, partita dal porto greco di Igoumenitsa e diretta ad Ancona è scoppiato un gravissimo incendio;
          a bordo della nave secondo le prime stime sarebbero state presenti 411 passeggeri e 55 membri dell'equipaggio;
          l'allarme viene ufficialmente lanciato alle 4.47;
          la sequenza dei fatti secondo quanto hanno riportato le varie agenzie giornalistiche impegnate a rilanciare i fatti e i comunicati ufficiali della Presidenza del Consiglio e delle autorità impegnate nelle opere di salvataggio è nota; si sottolineano tuttavia alcuni profili critici;
              10:34 (AdnKronos) – I mezzi della Marina Militare stanno intervenendo per prestare i soccorsi al traghetto italiano Norman Atlantic, partito da Corfù e diretto ad Ancona, a bordo del quale si è sviluppato un violento incendio. Al momento la nave, con 466 persone a bordo, 170 delle quali già in salvo, si trova a circa 25 miglia marine da Otranto. Due elicotteri SH101 stanno per decollare da Catania, mentre un elicottero SH212 della Marina Militare è decollato dalla base di Grottaglie;
              10:53 (Adnkronos) – «Ogni ora dalle 11 aggiornamenti ufficiali sulla situazione del Norman Atlantic e sull'incidente ulteriore a largo di Ravenna (nave turca)». Lo scrive il premier Matteo Renzi su Twitter;
              10.57 (Nova) – Il Governo sta seguendo la vicenda del traghetto, battente bandiera italiana in fiamme al largo dell'isola greca di Corfù. È quanto si legge in un tweet del premier Matteo Renzi, il quale ha confermato di «essere in contatto con il premier Samaras» e ha garantito «il massimo coinvolgimento della nostra Marina». Un incendio è scoppiato alle 4:30 di questa mattina sulla nave Norman Atlantic, partita dal porto greco di Igoumenitsa e diretta ad Ancona. Secondo quanto riferito dall'emittente televisiva greca «Skai» sul posto sono già presenti sette navi passeggeri, quattro della Guardia costiera, tre elicotteri e due aerei, mentre sarebbe in arrivo una nave dei vigili del fuoco greci partita da Igoumenitsa. Permangono dei dubbi sul numero delle persone a bordo: inizialmente si è parlato di 466 fra passeggeri ed equipaggio, ma secondo le autorità greche sarebbero 478. (segue) (Res) NNNN;
              11:14 Lecce, 28 dic. (AdnKronos) – Un rimorchiatore con a bordo personale dei vigili del fuoco è partito questa mattina da Bari per concorrere ai soccorsi del traghetto Norman Atlantic che sta bruciando a circa 20 miglia marine da Otranto dopo che un incendio è scoppiato nel garage. Nella zona del disastro è intanto in corso una tempesta, che rende difficili i soccorsi. Nella zona del disastro sono stati inviati cinque elicotteri e un aereo C-130. (Zpu/AdnKronos) 28-dic-14;
              12.24 (AGI) – Un elicottero è riuscito a prelevare primi passeggeri dal traghetto Norman Atlantic, che ha preso fuoco stamane all'alba vicino Corfù. Lo ha reso noto il premier Matteo Renzi, su Twitter. «Gli aggiornamenti ufficiali proseguono ogni ora su siti istituzionali», ha aggiunto ancora il presidente del Consiglio;
              13.01 (AGI) – Un elicottero ha prelevato sette passeggeri dal traghetto Norman Atlantic, che ha preso fuoco stamane all'alba vicino Corfù. Lo rende noto su Twitter il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, che fa sapere che la Marina militare coordina i soccorsi. Sempre su Twitter, il portavoce del Ministro Andrea Armaro ha reso noto che «dirigono sulla scena il rimorchiatore Marietta Barretta e il RimTenax». Le Condizioni meteo non sono le migliori: «Vento da SW 35/40 Kts e mare forza 5»;
              13:05 (Adnkronos) – «Il Rimorchiatore Marietta Barretta e il RimTenax si stanno dirigendo verso il traghetto Norman Atlantic Condizioni meteo: vento da SW 35/40 nodi e mare forza 5.». Lo scrive su Twitter il portavoce del Ministro della difesa;
              13:41 (ANSA) – Contatto Ministri difesa Tirana-Roma, anche porti a disposizione – Il Ministro della difesa albanese Mimi Khodeli ha chiamato il suo omologo italiano Roberta Pinotti «per mettere a disposizione nave militare e comunicare disponibilità porti albanesi» per favorire i soccorsi al traghetto Norman Atlantic. «Una nave albanese si dirige in zona». È quanto riferiscono fonti di Governo;
              14:04 Brindisi (AdnKronos) – Tre rimorchiatori sono partiti da Brindisi per i soccorsi al traghetto Norman Atlantic. Due sono già in zona per le operazioni, il terzo è in navigazione. A bordo ci sono squadre dei vigili del fuoco, pronte per assistere i naufraghi. C’è grande attenzione al porto di Brindisi perché potrebbero arrivare qui i passeggeri evacuati dal traghetto e tratti in salvo a bordo di navi. Lo stesso traghetto Norman Atlantic, battente bandiera italiana ed appartenente ad una compagnia italiana, potrebbe essere rimorchiato e portato in Puglia se lo stato del mezzo navale e quelle atmosferiche dovessero consentirlo;
              14:13 (ANSA) – A bordo del traghetto Norman Atlantic ci sarebbero ancora circa 350 persone che si trovano nei ponti scoperti della nave. Secondo fonti greche, infatti, a bordo tra passeggeri ed equipaggio c'erano 478 persone. Di queste, 111 sono state tratte in salvo, secondo quanto reso noto dalla Marina italiana. Nove sono state trasferite con gli elicotteri in Puglia e il resto si trova sulle motonavi dirottate in zone. (ANSA);
              14:48 (ANSA) – Fonti Palazzo Chigi, stretta collaborazione con Grecia «Secondo contatto telefonico» in poche ore tra il premier Matteo Renzi e il suo omologo Antonis Samaras in merito al traghetto Norman Atlantic. È quanto rendono noto fonti di Palazzo Chigi sottolineando la «stretta collaborazione con la Grecia» sulla vicenda;
              15:07 (ANSA) – Brindisi – È salpata dal porto di Brindisi attorno alle 14.30 nave San Giorgio della marina militare che dirige nell'area delle operazioni di soccorso del traghetto Norman Atlantic in fiamme al largo dell'Albania. Nave San Giorgio è in assegnazione alla base navale di Brindisi ed è stata impiegata sino allo scorso luglio nell'operazione Mare Nostrum nell'ambito della quale ha operato 38 operazioni di soccorso;
              16:20 (ANSA) – Le operazioni di trasporto dei passeggeri che si trovano ancora a bordo della Norman Atlantic in fiamme «si estenderanno durante la notte». Lo scrive il Ministro della difesa Roberta Pinotti su Twitter;
              16:46 (AdnKronos) – È previsto per le 18 l'arrivo della Nave San Giorgio della Marina Militare nella zona in cui si trova alla deriva il traghetto Norman Atlantic, dopo l'incendio che lo ha colpito mentre navigava da Patrasso ad Ancona;
              16:52 (AdnKronos) – Il premier Matteo Renzi è rientrato da poco a palazzo Chigi, dove continua a seguire la vicenda del Norman Atlantic;
              17:29 (ANSA) – Sono 161 al momento le persone soccorse a bordo del traghetto Norman Atlantic. Il bilancio aggiornato è stato fornito dalla Marina Militare. A bordo ci sono ancora 317 persone. Le operazioni di soccorso continuano ad essere difficili a causa delle condizioni del mare e del fumo molto intenso;
              17:42 (ANSA) – Delle 161 persone portate in salvo, 17 – tra cui 6 donne e tre bambini – sono stati trasferiti all'ospedale di Galatina in lieve stato ipotermico. Altre sette persone, tra cui una donna incinta, 2 minori e un ferito sono stati invece portati a Brindisi. A bordo della motovedetta delle Capitanerie che sta rientrando a Brindisi con una vittima, ci sono anche altre due persone ferite: una era a bordo della Norman Atlantic e l'altra è un militare delle Capitanerie di porto che era impegnato nei soccorsi. Attualmente la nave si trova 39 miglia a nord est di Otranto, a 13 miglia da Valona. Sul posto sono presenti 8 mercantili, una motovedetta delle Capitanerie di Porto, una motovedetta albanese, 2 elicotteri dell'Aeronautica, un elicottero greco, 4 elicotteri della Marina militare, un aereo Atr42 che ha il coordinamento delle operazioni di soccorso, due elicotteri delle Capitanerie di Porto. Un ulteriore elicottero della Marina è pronto per decollare nella base di Grottaglie, mentre l'Aeronautica ha messo ha disposizione dei velivoli con capacità di visione notturna;
          a distanza di quasi due ore, nonostante l'ausilio dei mezzi richiamati, risultano portati in salvo appena altri 4 passeggeri, come riporta la seguente agenzia:
              19:30 (ANSA) – Soccorsi difficili per fumo, arrivata in zona nave San Giorgio – Sono attualmente 165 le persone messe in salvo che erano a bordo della Norman Atlantic mentre 4 sono i feriti, di cui un aerosoccorritore della Marina e un militare della Guardia Costiera. A bordo ci sono invece ancora 312 persone. Il nuovo bilancio è stato reso noto dalla Marina Militare che ribadisce le difficoltà nelle operazioni di soccorso a causa dell'elevata quantità di fumo presente e per il sopraggiungere del buio, Nella operazioni è però arrivata nave San Giorgio;
              21:01 (LaPresse) – La nave San Giorgio della marina militare ha assunto il coordinamento delle azioni di soccorso in mare per il traghetto Norman Atlantic, in fiamme a largo di Corfù;
              21:15 (AGI) – La nave San Giorgio della Marina militare, che alle 20,30 era a un miglio dalla nave Norman Atlantic, ha assunto la guida delle operazioni di soccorso;
              21:42 (AGI) – Sono 172 le persone tratte in salvo dalla nave Norman Atlantic, devastata da un incendio. Lo comunica la Guardia Costiera. Di queste, 16 sono giunte in Italia. La Guardia Costiera continua a coordinare i soccorsi;
          la sequenza dei salvataggi che segue dimostra come durante la rotta il lavoro è praticamente limitato e che sola la mattina riprende con vigore anche grazie all'ausilio della nave San Giorgio, confermando la gravità del ritardo nel suo utilizzo:
              22:07 (La Presse) – È salito a 190 il numero delle persone che si trovavano sul traghetto Norman Atlantic e che sono state messe in salvo dalla guardia costiera, dalla marina militare e dall'aeronautica. Al momento restano ancora a bordo 287 persone. Come riferisce la marina, le operazioni di soccorso proseguiranno anche durante la notte;
              04:56 del 29 dicembre (ANSA) – Marina militare: altri 257 ancora da recuperare – Secondo l'ultimo bilancio della Marina militare italiana, sono «221 le persone recuperate» e «257 quelle ancora da recuperare» dal traghetto Norman Atlantic, andato a fuoco al largo delle coste dell'Albania;
              05:04 (ANSA) – Marina militare: operano elicotteri con visori notturni – Secondo quanto rende noto la Marina militare italiana, personale medico e sanitario è salito a bordo del traghetto Norman Atlantic, andato a fuoco al largo delle coste dell'Albania. Sempre secondo la stessa fonte, elicotteri della Marina con capacità di visione notturna stanno operando nella zona;
              06:08 (ANSA) – Sono 251 le persone recuperate e 227 quelle ancora da recuperare dal traghetto Norman Atlantic, andato a fuoco al largo delle coste dell'Albania. Lo rende noto la Marina militare. Le operazioni, di soccorso continuano;
              06:58 (ANSA) – Sono 265 le persone recuperate e 213 quelle ancora da recuperare dal traghetto Norman Atlantic, andato a fuoco al largo delle coste dell'Albania. Lo rende noto la Marina militare italiana. Le operazioni di soccorso continuano, coordinate dalla nave San Giorgio della Marina;
              08:53 (ANSA) – Salvati in 310, 85 su nave San Giorgio – Roma, 29 dic – La Marina militare italiana su Twitter rende noto il bilancio dei soccorsi sul traghetto Norman Atlantic: 310 le persone portate via dalla nave, 168 ancora a bordo. In particolare 85 passeggeri sono sulla nave San Giorgio, uno è stato portato in elicottero all'ospedale di Grottaglie per una cardiopatia;
              11:58 (ANSA) – Il ministro della Marina mercantile greca, Miltiadis Varvisiotis, ha confermato che quattro corpi sono stati rinvenuti in acqua nelle operazioni di salvataggio del Norman Atlantic. Lo scrive su Twitter Kathimerini;
              12:20 (AGI) – «Nel giro di qualche ora contiamo di completare le operazioni di salvataggio. Sono quattro corpi in mare e credo di potere dire che il computo delle vittime sale a cinque». Lo ha detto Matteo Renzi alla Conferenza di fine anno sul disastro della Norman Atlantic;
              12:23 (AGI) – Ci sono ancora «60 persone ancora da trarre in salvo». Lo ha detto Matteo Renzi durante la conferenza di fine anno sull'incendio della Norman Atlantic. «Poteva essere una ecatombe» ha aggiunto il premier «evitata grazie al lavoro strepitoso dei soccorritori»;
              12:51 (ITALPRESS) – I Ministri Maurizio Lupi e Roberta Pinotti sono nella Centrale Operativa della Guardia Costiera per seguire le operazioni di soccorso del Norman Atlantic. Lo riferisce su Twitter il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
              13:10 (ITALPRESS) – «Sono rimaste 22 persone a bordo del traghetto, solo l'equipaggio. Tocca al comandante dichiarare la nave libera da persone». Lo ha annunciato il presidente del Consiglio Matteo Renzi, nel corso della conferenza stampa di fine anno, tornando sulla vicenda della Norman Atlantic;
              14:08 (ITALPRESS) – «A bordo della nave c’è solo il comandante, con il personale della marina militare italiana. Come fanno i comandanti seri, è l'ultimo ad abbandonare la nave». Lo ha detto il presidente del Consiglio Matteo Renzi, nel corso della conferenza stampa di fine anno, parlando del rogo della Norman Atlantic;
              16:54 (ANSA) – Atene – Sette morti, ma ancora 38 dispersi: è questo il bilancio provvisorio del naufragio della Norman Atlantic secondo l'edizione online del settimanale greco To Vima, considerato tra i più autorevoli;
              17:23 (AdnKronos) – La Guardia costiera greca ha riferito che sono 432 le persone tratte in salvo dal traghetto Norman Atlantic, su un totale di 478 tra passeggeri e membri dell'equipaggio. Come riporta Ekhatimerini, non è stata fornita alcuna spiegazione riguardo alla discrepanza. Considerando che il numero delle vittime è salito a 7, le persone disperse risulterebbero essere ancora 39. Per il sito To Vima, invece, le persone tratte in salvo sarebbero 433 e i dispersi 38;
          risulta fondamentale per comprendere la sequenza dei fatti e le azioni messe in campo dal Governo riepilogare alcuni elementi:
              il primo tweet del Presidente del Consiglio è delle 10.53 ovvero 6 ore e sei minuti dopo l'allarme;
              il secondo tweet è delle 12.24 con il quale si comunica che dopo 7 ore e 37 minuti dall'allarme i primi passeggeri sarebbero stati messi in salvo;
              il primo rimorchiatore risulta essere partito da Brindisi alle 11.14 ovvero 6 ore e 27 minuti dopo l'allarme;
              la nave San Giorgio, salpa da Brindisi alle 15.07 ovvero 10 ore e 20 minuti dopo l'allarme, il suo arrivo sull'area è prevista per le 18;
              alle 16.52 il Presidente del Consiglio arriva a Palazzo Chigi, 12 ore e 5 minuti dopo l'allarme;
              alle 19.30 la nave San Giorgio arriva nell'area di intervento, 14 ore e 43 minuti dopo l'allarme;
              alle 21.01 la nave San Giorgio assume il coordinamento delle operazioni, 16 ore e 14 minuti dopo l'allarme;
          appare fin troppo evidente che il dato macroscopico è non solo il tardivo e comunque destituito di significato operativo messaggio via Twitter del Presidente del Consiglio (6 ore e sei minuti dopo l'allarme) ma ciò che appare davvero ingiustificabile è la partenza della nave San Giorgio, dal vicinissimo porto di Brindisi, con dieci ore e venti minuti di ritardo rispetto all'allarme delle 4.47 del mattino del 28 dicembre;
          se la nave San Giorgio, come è stato verificato, sarebbe stata decisiva per le operazioni di soccorso non si comprendono le ragioni di una decisione così intempestiva e tardiva che ha messo a rischio la vita di centinaia di passeggeri e membri dell'equipaggio, così come quella degli altri soccorritori intervenuti nell'area;
          risulta evidente che tale tardivo intervento è frutto non di esigenze operative, sarebbe davvero poco rassicurante non disporre di una unità di quel livello non operativa, ma di scelte e decisioni politiche che risultano davvero incomprensibili e comunque gravi;
          risulta incomprensibile che i rilievi mossi dall'organizzazione Mou Paris non siano stati verificati con maggior attenzione anche dagli organismi nazionali e se soprattutto i limiti alla sicurezza, con particolare riferimento all'antincendio, non fossero tali da dover impedire alla nave di operare quel tipo di collegamento  –:
          se intenda il Governo dare spiegazioni sul motivo che ha indotto le autorità a far salpare la nave San Giorgio dal porto di Brindisi 10 ore e venti minuti dopo l'allarme;
          se intenda il Governo indicare la catena di comando e i tempi che hanno portato alla decisione di far intervenire la nave San Giorgio sull'area di crisi intorno alla nave Norman Atlantic;
          se intenda il Governo dare spiegazioni circa la partenza così tardiva degli stessi rimorchiatori dal porto di Brindisi, il primo dei quali è salpato 6 ore e 27 minuti dopo l'allarme, e per quale motivo gli stessi siano stati inviati solo dopo tanto tempo dall'allarme;
          se intenda il Presidente del Consiglio confermare o smentire il fatto che lo stesso si è recato a Palazzo Chigi solo dopo 12 ore dall'allarme e quando gli stessi ministri competenti abbiano raggiunto le sale operative e se intenda fornire spiegazioni sul fatto;
          se il Governo intenda dare spiegazioni relativamente all'assunzione del comando delle operazioni da parte della nave San Giorgio solo dopo 16 ore e 14 minuti dall'allarme lanciato dalla Norman Atlantic;
          se non ritenga il Governo di dover chiarire i motivi che hanno portato le autorità competenti a non fermare la nave Norman Atlantic in relazione ai rilievi mossi da Mou Paris con particolare riferimento alla sicurezza antincendio;
          se non intenda chiarire l'evoluzione numerica dei dispersi che sono ancora oggi indefiniti;
          se e quali provvedimenti intenda adottare su analoghi casi e con particolare riferimento a navi operative con analoghi problemi sulle rotte della Sardegna e il Mediterraneo;
          se non intenda sollevare dai rispettivi incarichi coloro che non avessero adempiuto con la necessaria tempestività ed efficacia nell'invio dei soccorsi a partire dai responsabili istituzionali dei dicasteri interessati. (5-04403)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PICCONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'Italia sta attraversando una crisi economico-finanziaria che ha colpito l'Europa e tutto il mondo occidentale, una crisi che sta durando più di una guerra mondiale e la cui soluzione appare oggi ancora lontana. Tra i fattori che hanno scatenato questa crisi va certamente annoverato il comportamento dei grandi istituti di credito e bancari che troppo spesso hanno abusato della loro posizione dominante sul mercato. La mancanza di comportamenti etici e solidali da parte di molti dei grandi istituti finanziari pesa, oggi più che mai, sulle spalle di imprese, lavoratori e famiglie;
          tra le pratiche illegali che più diffusamente caratterizzano il modus operandi di molti istituti bancari vi è quella dell'anatocismo o capitalizzazione composta degli interessi che aggrava il già preoccupante fenomeno usurario, fenomeno quello della usura che è ancora troppo diffuso e spesso ignorato nella nostra società;
          nella congiuntura economica che stanno attraversando società, imprese, famiglie, organizzazioni e istituzioni del nostro Paese occorre reperire e recuperare nuove risorse di carattere morale. Piuttosto che selezionare misure che si limitino a fronteggiare le emergenze, sarebbe necessario recuperare le buone prassi di comportamenti bancari corretti per ricondurre sul terreno della collaborazione economica e sociale quelle dinamiche che oggi vedono fronteggiarsi in un'ottica di scontro da un lato le imprese, le famiglie e i lavoratori e dall'altro gli istituti bancari e di credito;
          l'anatocismo bancario e la usura bancaria configurano una pratica invalsa da parte di molti istituti di credito italiani, dalla quale deriva una prassi patologica nella maturazione degli interessi a debito, che si riflette sullo strato sociale ed imprenditoriale del Paese. Si pensi a quanti capannoni stiano retrocedendo ai leasing ed alle banche con la conseguenza di licenziamento dei dipendenti;
          tra le conseguenze anche l'aggravio del peso sociale dovuto alla cassa integrazione, mobilità ed altri ammortizzatori sociali che pesano sulle spalle dei contribuenti;
          tale prassi deriva da un'interpretazione distorta del divieto di anatocismo posto dall'articolo 1283 del codice civile, secondo la quale gli istituti di credito hanno introdotto un uso condiviso nel circuito bancario di stipula dei contratti bancari con capitalizzazione trimestrale degli interessi a favore delle banche e con tassi che violano la legge n.  108 del 1996 (usura). Questo comportamento contrattuale viola evidentemente l'articolo 1284 del codice civile con conseguente nullità del contratto ex articoli 1418, 1325, e 1346 del codice civile e rende gratuiti i prestiti con piano di ammortamento ex articolo 1815 del Codice civile;
          con sentenza della Corte di cassazione del 4 novembre 2004, n.  21095 venne statuita l'illegittimità dell'anatocismo anche per i contratti pregressi. Precedentemente a tale pronuncia l'articolo 25, comma 2, del decreto legislativo n.  342 del 1999 introduceva un nuovo comma all'articolo 120 del decreto legislativo n.  385 del 1993, testo unico bancario (TUB), con il quale si stabilivano le modalità di produzione e di calcolo degli interessi sugli interessi;
          con la legge di stabilità per il 2014 (legge n.  147 del 2013) veniva modificato l'articolo 120, comma 2, del decreto legislativo n.  385 del 1993 che sanciva il principio volto ad assicurare ai clienti degli istituti di credito il rispetto delle regole di capitalizzazione degli interessi attivi e passivi, creando a parere dell'interrogante delle incongruenze e delle ambiguità sulla posizione del Governo in materia;
          i dati forniti da realtà importanti specializzate in materia, tra cui la SDL spa di Brescia – società per la tutela dei consumatori e degli utenti che opera tramite la SDL Fondazione ed il suo Centro Studi ci mostrano un quadro preoccupante. Infatti su circa 47.000 conti correnti aziendali esaminati il 99 per cento risulterebbe affetto da usura oggettiva, nel 71 per cento dei casi i tassi di interesse passivi erano superiori al tasso di soglia fissato trimestralmente dalla Banca d'Italia, e nel 74 per cento dei casi sarebbe stata rilevata usura soggettiva. Percentuali simili sarebbero state riscontrate sui conti correnti privati;
          a parere dell'interrogante la problematica richiede particolare attenzione viste le gravi conseguenze che si ripercuotono sulle nostre imprese e le nostre famiglie. Sostenere con strumenti normativi tutte le realtà che oggi rappresentano l'ultimo baluardo in difesa dello strapotere lobbistico e affaristico delle banche, e collaborare a creare una coscienza di responsabilità sociale dell'impresa e di pacificazione dell'ambiente nel quale i nostri operatori economici agiscono è anche compito del legislatore  –:
          se il Governo abbia intenzione di porre maggiore attenzione ai fatti esposti;
          se stia adottando o abbia intenzione di adottare iniziative normative in relazione alle criticità sollevate;
          se abbia intenzione di avviare una campagna di sensibilizzazione sociale e culturale sull'argomento. (4-07425)


      COLONNESE, TOFALO e SILVIA GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          un adolescente napoletano di 15 anni confessava a Il Mattino del 19 dicembre 2014 la sua scelta di prostituirsi pur non trovandosi in stato di necessità. La baby prostituzione è un fenomeno in forte crescita, conseguenza di un profondo disagio sociale unito alla diffusa convinzione fra i giovanissimi che la mercificazione del proprio corpo costituisca facile fonte di guadagno e non comporti conseguenze o rischi per il minore;
          il Centro direzionale di Napoli, luogo molto frequentato di giorno, ma completamente isolato di notte, pare essere la zona con più intenso traffico di prostituzione minorile;
          il nucleo di tutela dei minori della polizia municipale di Napoli negli ultimi sei mesi rendeva noto che sono in tutto 107 i bambini che si prostituivano: 30 sono di etnia rom, 22 di altra provenienza da Paesi dell'Est, 30 sono di origine africana o dell'America latina, mentre 25 sono di nazionalità italiana, in maggioranza napoletani. L'età media è di sedici anni;
          il reato di prostituzione minorile è un delitto previsto dal nostro codice penale all'articolo 600-bis. Tale tipologia di reato rientra tra i delitti contro la persona, contenuti nel Libro II, Titolo XII del codice;
          la legge di ratifica della convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, prevede che compiere atti sessuali con dei minori rientra nel reato ancora più grave della pedofilia  –:
          quali siano le azioni sinora intraprese finalizzate ad arginare il fenomeno della prostituzione minorile in Italia;
          quali iniziative, per quanto di competenza, intendano immediatamente adottare, a partire dalla famiglia e dalla scuola, per favorire la prevenzione del fenomeno ponendo fine allo stato di emergenza sociale derivante dal crescente disagio interiore delle nuove generazioni. (4-07426)


      MELILLA, SCOTTO, DANIELE FARINA, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 23 dicembre 2013 il Governo ha approvato il decreto-legge n.  146 convertito con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n.  10;
          all'articolo 7 del citato decreto si prevede l'istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone limitate o private della libertà personale;
          il Garante è costituito in collegio, composto da un presidente e da due membri, che sono nominati, previa delibera del Consiglio dei ministri, con decreto del Presidente della Repubblica, sentite le competenti Commissioni parlamentari;
          attraverso l'istituzione tempestiva di tale figura sarebbe stata già assicurata a qualunque detenuto, quale che fosse il suo status sociale e giudiziario, la possibilità di accedere a un'autorità indipendente capace di verificare e sollecitare la garanzia dei diritti previsti dall'ordinamento a prescindere dal formale ricorso giurisdizionale già previsto dall'ordinamento penitenziario, come richiesto dalle norme internazionali  –:
          per quale motivo, ad oltre un anno dall'approvazione della legge relativa all'istituzione della figura illustrata in premessa, non si sia ancora proceduto alla nomina del Garante e quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo per procedere rapidamente all'attuazione della normativa. (4-07439)


      FRANCO BORDO, DANIELE FARINA e SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          regione Lombardia ha organizzato il convegno «Difendere la Famiglia per Difendere la Comunità» per il giorno 17 gennaio alle ore 15,00 presso l'Auditorium Testori in Piazza Città di Lombardia 1 a Milano;
          il convegno è stato pubblicizzato oltre che con il logo di regione Lombardia, anche con il logo e il patrocinio di EXPO 2015;
          partecipanti al convegno risultano essere Roberto Maroni (presidente di regione Lombardia), Cristina Cappellini (assessore alla cultura, identità e autonomie di regione Lombardia), Massimo Introvigne (presidente Comitato «Si alla Famiglia»), Luigi Amicone (direttore del settimanale Tempi), Costanza Miriano (giornalista e autrice dei libri «Sposati e sii sottomessa» e «Obbedire è meglio»), Mario Adinolfi (direttore del quotidiano La Croce), Padre Maurizio Botta (Congregazione dell'Oratorio di San Filippo Neri), Mario Schicchitano (ricercatore clinico ITCI, coordinatore Progetto Pioneer), Massimiliano Romero (primo firmatario della mozione per la festa della famiglia tradizionale in regione Lombardia) in collaborazione con Alleanza Cattolica, Fondazione Tempi, Obiettivo Chaire e Nonni 2.0;
          il convegno ha una chiara impostazione confessionale e religiosa e in particolare Obiettivo Chaire è una organizzazione che non nasconde di essere propugnatrice delle teorie riparative dell'Omosessualità;
          nel sito internet ufficiale di Obiettivo Chaire (http://www.obiettivo-chaire.it/) non si fa mistero di voler valorizzare i testi del dottor Joseph Nicolosi (padre delle teorie che credono di potere e dovere guarire gli omosessuali) e di volersi rivolgere a «giovani e meno giovani, feriti nella propria identità sessuale, in particolare per tendenze di natura omosessuale» e ancora di avere una «attenzione rivolta a genitori, insegnanti ed educatori al fine di prevenire l'insorgere di tendenze omosessuali nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani» e di ricercare «cause (spirituali, psicologiche, culturali, storiche) che contribuiscono alla diffusione di atteggiamenti contrari alla legge naturale, riconoscibile dalla ragione rettamente formata»;
          l'omosessualità non è una malattia, infatti l'omosessualità è scomparsa dall'elenco dei disturbi mentali dal 1973 con la terza edizione del manuale diagnostico Dsm usato come riferimento mondiale per la diagnosi dei vari disturbi della sfera psichica. La posizione del mondo scientifico occidentale quindi ormai da più di quarant'anni è che l'omosessualità di per sé costituisca una variante del comportamento sessuale umano e che di conseguenza nessuna terapia possa essere effettuata per cambiare un orientamento sessuale. Ed è stata cancellata definitivamente dalla lista delle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie pubblicata dall'Organizzazione mondiale della sanità il 17 maggio 1990;
          l'Ordine nazionale degli psicologi ha preso netta posizione contro questa pratica: «Affermare che l'omosessualità possa essere curata è un'informazione scientificamente priva di fondamento e portatrice di un pericoloso sostegno al pregiudizio sociale» (Giuseppe Luigi Palma, presidente Ordine nazionale degli psicologi). Lo stesso hanno dichiarato l’American Psychological Association e numerosissime istituzioni scientifiche. Nel 2011 lo Stato della California, sede della comunità dove il dottor Joseph Nicolosi pratica le sue teorie della riparazione ha firmato una legge che rende le «terapie riparative» illegali per i minorenni;
          le terapie riparative sono deontologicamente scorrette, queste «terapie» fanno leva sull'uso indebito della fiducia e dello stato di dipendenza del paziente per influenzarlo. Inoltre, è palesemente una pratica discriminatoria. Gli articoli implicati vanno dal 3 al 5 del codice deontologico degli psicologi italiani;
          l'Ordine degli psicologi della Lombardia ha segnalato con una propria delibera del 2010 che «qualunque corrente psicoterapeutica mirata a condizionare i propri clienti verso l'eterosessualità o verso l'omosessualità è contraria alla deontologia professionale ed al rispetto dei diritti dei propri pazienti»;
          data l'impostazione del convegno «Difendere la Famiglia per Difendere la Comunità» con la partecipazione di numerosi relatori e organizzazioni confessionali radicali, che vedono nella limitazione dei diritti delle persone omosessuali e nella negazione di qualsivoglia estensione dei diritti civili la principale modalità per la difesa della famiglia, assieme ad organizzazioni che si prefiggono la «riabilitazione» degli omosessuali tramite la loro «cura», è evidente il tentativo di dare legittimità istituzionale e risalto a teorie medico-cliniche screditate, dannose e pericolose;
          la società Expo 2015 spa, di cui il Governo italiano detiene il 40 per cento delle quote, è una società costituita appositamente per organizzare e gestire l'Esposizione universale di Milano 2015 titolata «Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita»  –:
          quali iniziative il Governo intenda mettere in campo al fine di impedire che questo convegno abbia luogo con il patrocinio di EXPO 2015, al fine di preservare l'Esposizione universale di Milano e la reputazione dell'Italia dal danno d'immagine che ne deriverebbe dall'associazione di EXPO ad un convegno con tale impostazione e con questi contenuti;
          quali iniziative il Governo intenda mettere in campo al fine di impedire l'utilizzo improprio del logo e dei finanziamenti di EXPO 2015 per iniziative discriminatorie come quella sopra citata e, in ogni caso, per eventi che nulla hanno a che fare con la vocazione e il tema dell'Esposizione universale di Milano del 2015. (4-07442)


      PALESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          nel corso del 2011 è stata avviata, d'intesa con la Commissione europea, l'azione per accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013 (lettera del Presidente del Consiglio al Presidente della Commissione europea e al Presidente del Consiglio europeo del 26 ottobre 2011, tradottasi poi nelle conclusioni del vertice dei Paesi euro);
          è stato così predisposto il piano di azione per la coesione, inviato il 15 novembre 2011 al Commissario europeo per la politica regionale. Il piano di azione per la coesione si attua attraverso una revisione delle scelte di investimento già compiute con lo scopo di mettere in salvaguardia interventi/risorse i cui tempi di attuazione non risultano coerenti con i tempi della rendicontazione sui programmi comunitari (e di conseguenza avere più tempo a disposizione per realizzarli), e di avviare nuove azioni/progetti, alcune delle quali di natura prototipale che, in base agli esiti, potranno essere riprese nella programmazione 2014-2020;
          l'operazione prevedeva lo spostamento di una parte del cofinanziamento nazionale fuori dai programmi comunitari, in modo da poter attuare i progetti senza più le scadenze temporali della programmazione comunitaria. Questa operazione prevede il vincolo della destinazione territoriale delle risorse, vale a dire il divieto di usare queste risorse in territori diversi da quelli che le hanno generate;
          il piano di azione coesione è stato definito e attuato attraverso fasi successive di riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013 dei programmi operativi delle regioni meridionali e di quelli nazionali (che utilizzano risorse delle 4 regioni meridionali di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia). In parte estremamente residuale sono presenti piccole risorse di alcune regioni del Centro-nord (le risorse provengono dalle risorse del cofinanziamento nazionale prima presenti nei programmi comunitari che vengono successivamente trasferite al di fuori dei programmi e gestite con regole nazionali);
          sin dall'inizio non sono stati fissati termini per l'utilizzo delle risorse, tantomeno in termini di impegni, visto che si trattava di risorse che rientrano nella totale disponibilità dello Stato italiano e delle regioni (non più soggette ai vincoli dei fondi comunitari);
          complessivamente, a febbraio 2014, il piano di azione coesione ha raggiunto un valore pari a 13,5 miliardi di euro a cui concorrono risorse nazionali derivanti dalla riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei programmi operativi (11,5 miliardi di euro) e risorse riprogrammate attraverso rimodulazione interna ai medesimi programmi (2,0 miliardi di euro);
          le prime due fasi (dicembre 2011 e poi maggio 2012) hanno riallocato un totale di risorse pari a 6,4 miliardi di euro e hanno riguardato in misura prevalente (4,9 miliardi) le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e in misura più contenuta (0,5 miliardi) le altre regioni del Sud e alcune del Centro-nord. La prima fase (PAC I) ha concentrato le risorse verso quattro priorità di intervento – istruzione, agenda digitale, occupazione e ferrovie – mentre la seconda fase (PAC II) è stata orientata in modo più deciso verso obiettivi di crescita e inclusione sociale, con particolare attenzione a misure dirette al contrasto della grave situazione della disoccupazione giovanile soprattutto al Sud;
          la terza riprogrammazione (dicembre 2012) consiste in una manovra di circa 5,7 miliardi di euro e riguarda, nell'area «Convergenza», i programmi operativi regionali di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e i programmi operativi nazionali «reti e mobilità» e «sicurezza per lo sviluppo» (per circa il 98 per cento). Riguarda inoltre i programmi operativi delle regioni Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Valle d'Aosta. La manovra attuata ha previsto una serie di misure con funzione anticiclica oltre al conseguimento di obiettivi di «salvaguardia» di progetti e opere pubbliche di rilievo strategico in attuazione nei programmi operativi 2007-2013 e all'avvio di «nuove azioni», anche con carattere prototipale, funzionale alla preparazione della programmazione 2014-2020;
          le «Misure straordinarie per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, e la coesione sociale» previste dalla legge 9 agosto 2013, n.  99, costituiscono i contenuti della quarta fase di riprogrammazione che ha mobilitato risorse pari a circa 2,1 miliardi di euro;
          la quinta fase di riprogrammazione è stata avviata dal Consiglio dei ministri il 27 dicembre 2013. Prevede la rimodulazione di 1,8 miliardi di euro già programmati nel piano di azione coesione su azioni non avviate o comunque in ritardo di attuazione. Gli investimenti sono destinati a misure specifiche per le imprese, per l'occupazione e per lo sviluppo delle economie locali;
          il piano di azione coesione finanzia progetti che fanno riferimento a macro tipologie di azioni quali: rafforzamento della dotazione infrastrutturale e tecnologica; rafforzamento delle competenze per l'occupazione; implementazione di misure anticicliche; salvaguardia di progetti validi avviati; promozione e realizzazione di «Nuove azioni»;
          il comma 122 della legge di stabilità 2015 introduce una regola mai precedentemente definita, ovvero quella della decurtazione delle risorse del fondo di rotazione in assenza di impegni (né tantomeno di obbligazioni giuridicamente vincolanti) e la applica retroattivamente, facendo riferimento alla data del 30 settembre 2014;
          sulla base delle caratteristiche del piano di azione coesione degli interventi scelti, tale decisione comporta l'instaurazione di centinaia di contenziosi tra regioni ed amministrazioni beneficiarie esterne in gran parte pubbliche (comuni) che si vedranno annullare interventi in relazione ai quali sono stati sottoscritti convenzioni e disciplinari, sono in corso procedure di gara, sono state comunque già sostenute spese (anche in assenza di obblighi giuridicamente vincolanti già conseguiti a quella data, ovvero di gare già aggiudicate), con il rischio più che concreto di generare debiti fuori bilancio;
          tali contenziosi assumeranno ricadute drastiche per quei casi in cui l'obbligo giuridicamente vincolante non presente alla data del 30 settembre, possa essere stato conseguito nei mesi successivi (ottobre-dicembre). A ciò si aggiunge la constatazione che i dati di monitoraggio non risultano in tutte le regioni esaustivi ed aggiornati a causa dei rallentamenti con i quali i soggetti beneficiari esterni alle amministrazioni regionali alimentano i sistemi stessi, con la conseguenza che possono non risultare nei sistemi inviati a quella data progetti che invece hanno conseguito OGV;
          va ulteriormente sottolineato che il taglio delle risorse compromette gli interventi già in corso, con particolare riferimento all'esigenza di porre in salvaguardia quei progetti inizialmente previsti nei programmi comunitari che successivamente sono stati trasferiti al di fuori perché non in grado di conseguire la chiusura delle attività entro i termini della programmazione comunitaria (dicembre 2015), a causa della complessità delle procedure e dei pareri autorizzativi, con la conseguente necessità di creare criticità finanziarie per quei progetti che non potranno più avere copertura finanziaria né sui programmi comunitari, né sui programmi del piano di azione coesione;
          a tale riguardo, il documento ufficiale del MISE-DPS dell'ottobre 2013 dal titolo «piano di azione coesione monitoraggio rafforzato rapido sullo stato di avanzamento – 1. Lo stato di avanzamento in generale», già sottolineava la centralità di questa questione nelle scelte sostenute per la definizione del piano di azione coesione;
          inoltre, se alcuni ritardi sono presenti nell'avanzamento dei programmi piano di azione coesione, ciò è dovuto alla insufficienza ed incertezza delle regole dettate a livello centrale, come espressamente riconosciuto dallo stesso MISE-DPS nel documento ufficiale già citato in precedenza;
          risulterebbe inoltre che sia stato letteralmente cancellato l'accordo sul piano di azione coesione, sottoscritto con le regioni  –:
          come spieghi il Governo una simile decisione che di fatto cancella con un «colpo di spugna» un lavoro di ricognizione, coordinamento, collaborazione tra Stato regioni e Commissione europea portato avanti per alcuni anni (e da due Governi) e che era finalizzato alla garanzia che, pur in presenza di ritardi nella spesa delle risorse, esse non sarebbero andate perse, ma spese per la realizzazione di opere strategiche per lo sviluppo del Paese e del Mezzogiorno in particolare;
          se il Governo, prima di procedere a cancellare con un «colpo di spugna» il piano di azione coesione, abbia effettuato una ricognizione su quante risorse vengano di fatto sottratte alle regioni a valere su quell'accordo e, in caso affermativo, a quanto ammontano queste risorse, regione per regione;
          se il Governo abbia valutato il fatto che la decisione comporta per molte regioni la creazione di debiti fuori bilancio, dato che, pur in assenza di impegni giuridicamente vincolanti alla data del 30 settembre, molti progetti certamente erano già stati avviati con il conseguente esborso di denaro;
          se il Governo abbia valutato con attenzione l'entità dei contenziosi che si andranno ad instaurare tra Stato e regioni (e, a cascata, tra regioni ed altri soggetti interessati) a causa di questa decisione;
          se il Governo non ritenga fortemente penalizzante per le regioni del Sud le norme introdotte con la legge di stabilità 2015;
          se il Governo non ritenga di dover immediatamente assumere iniziative per ripristinare i termini dell'accordo sul piano di azione coesione così assicurando alle regioni del Mezzogiorno quelle risorse precedentemente garantite e destinate al loro sviluppo. (4-07445)


      COLLETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il 24 dicembre 2014 il Consiglio dei ministri n.  43 ha approvato lo schema di decreto legislativo sulla delega fiscale ex legge 11 marzo 2014, n.  23;
          tra le altre cose la cosiddetta legge delega conferiva mandato al Governo di legiferare per l'articolo 5, in materia di abuso del diritto ed elusione fiscale, per l'articolo 6, in materia, tra l'altro, di gestione del rischio fiscale, di governance aziendale e di tutoraggio, nonché per l'articolo 8, in materia di revisione del sistema sanzionatorio;
          il decreto legislativo approvato prevedeva all'articolo 15 l'inserimento, dopo l'articolo 19 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n.  74, dell'articolo 19-bis avente ad oggetto «cause di esclusione della punibilità»;
          secondo quest'ultimo articolo, per i reati tributari «la punibilità è comunque esclusa quando l'importo delle imposte sui redditi evase non è superiore al tre per cento del reddito imponibile dichiarato o l'importo dell'imposta sul valore aggiunto evasa non è superiore al tre per cento dell'imposta sul valore aggiunto dichiarata. Per tali fatti sono raddoppiate le sanzioni previste dal decreto legislativo n.  471 del 1997»;
          tale norma andava ad incidere, fra le altre cose anche sulla mancata punibilità di reati molto gravi quali evasione fiscale, false fatturazioni e frode fiscale;
          una delle persone condannate per il reato di frode fiscale è l'ex Presidente del Consiglio nonché ex senatore ed attuale presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi, per il quale, qualora approvata, tale norma avrebbe significato l'annullamento della condanna definitiva che deve scontare, ivi comprese le sanzioni accessorie come l'interdizione dai pubblici uffici, nonché l'incandidabilità per cariche pubbliche;
          altra persona che avrebbe potuto beneficiare della norma è Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit, imputato per evasione fiscale ed attualmente amministratore delegato di MPS;
          successivamente il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi si è preso la responsabilità politica di tale norma, approvata prima delle decisive votazioni per il Presidente della Repubblica;
          lo stesso Renzi però si è rifiutato di specificare chi materialmente abbia redatto tale articolo;
          secondo il sito di informazione alternativa Dagospia tale norma sarebbe stata redatta in una riunione tra il Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, Franco Gallo, ex Presidente della Corte costituzionale ed a capo della commissione ministeriale che ha scritto il decreto legislativo, nonché il noto penalista Franco Coppi, anche difensore di Silvio Berlusconi nel processo penale che lo ha visto condannato per frode fiscale  –:
          se risulti vera la presenza dell'avvocato Franco Coppi nella sede del Ministero dell'economia e delle finanze nella riunione informale prima dell'approvazione del citato decreto legislativo;
          a che titolo l'avvocato Franco Coppi sia stato invitato in detta riunione e se lo stesso abbia materialmente suggerito l'adozione di tale norma;
          se all'incontro citato sia stato presente anche il Ministro dell'economia e delle finanze Padoan e l'ex Presidente della Corte costituzionale Franco Gallo;
          qualora fosse vero quanto esposto, se il Ministro dell'economia e delle finanze non voglia rassegnare le proprie dimissioni. (4-07455)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nella notte tra il 31 dicembre 2014 ed il 1o gennaio 2015 numerosi cittadini hanno notato l'intensificarsi di emissioni dal camino della raffineria API di Falconara Marittima;
          la causa sembra dovuta ad un problema elettrico che avrebbe bloccato la desolforazione nell'impianto;
          nella mattinata sono intervenuti anche i vigili del fuoco;
          sebbene l'incidente non sembra aver provocato danni al personale della raffineria vi è però il timore che possa avere determinato ripercussioni di carattere ambientale, con evidenti ricadute sulla salute delle popolazioni locali, a breve e a lungo termine;
          diventa sempre più a rilevante la necessità, al verificarsi di incidenti, di una maggiore informazione ai cittadini posto che la Raffineria, industria a rischio di incidenti rilevanti, insiste su un'area ad elevato rischio di crisi ambientale e di un SIN e lo stesso consiglio comunale di Falconara Marittima ha sollecitato un'informazione costante sui livelli di inquinamento  –:
          di quali informazioni il Ministro interrogato sia in possesso circa i fatti accaduti nella raffineria Api di Falconara Marittima il 1o gennaio 2015 ed in particolare quali ne siano state le cause, se siano stati superati i limiti relativi alle emissioni di inquinanti atmosferici derivanti dai cicli produttivi dell'impianto e quali azioni intenda intraprendere o sollecitare per una migliore e sollecita informazione ai cittadini. (5-04387)


      PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il 2 gennaio 2015 Sogin, si apprende dal sito istituzionale, ha consegnato ad Ispra la proposta di Carta delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) ad ospitare il deposito nazionale e parco tecnologico;
          Sogin nel sito dichiara che tale consegna sarebbe avvenuta «rispettando i tempi previsti dal decreto legislativo 31/2010, ossia entro 7 mesi dalla pubblicazione della guida tecnica numero 29 di Ispra, avvenuta il 4 giugno 2014»;
          secondo le informazioni riportate nel sito, per elaborare la Cnapi, Sogin ha applicato i criteri di localizzazione stabiliti dall'Ispa con la guida tecnica numero 29 e indicati dall'Iaea con la safety guide numero 29;
          dopo la consegna della Cnapi, Ispra ha due mesi di tempo per verificare la corretta applicazione dei criteri da parte di Sogin e validare la Carta. Al termine di tale lavoro – si legge ancora – è previsto che entro un mese il ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare comunichino il loro nulla osta affinché Sogin pubblichi la Cnapi;
          appare sin troppo evidente che i criteri apparentemente tecnici indicati da Ispra e applicati da Sogin portino ad individuare tra i potenziali siti anche la Sardegna, con a fianco altre 5 regioni;
          il piano della Sogin, presentato il 2 gennaio e sollecitato nemmeno dieci giorni fa alla Camera con un'interpellanza urgente dell'interrogante, ripercorre il piano Ispra per individuare il deposito unico nazionale. Il piano della Sogin propone una sovrapposizione di documenti impressionante ma che ha un comune denominatore: escludere tutte le aree a rischio sismico;
          l'Ispra e conseguentemente la Sogin arrivano alla Sardegna per esclusione di tutto il resto, contemplando però altre 5 regioni;
          carte e mappe che indicano rischi, pericoli, e che, in sintesi, affermano che la Sardegna sarebbe la terra più sicura per le scorie nucleari;
          il risultato è inaccettabile realizzare il deposito unico nazionale in Sardegna;
          a decidere tutto sono i criteri di esclusione individuati da Ispra;
          prima di tutto vengono escluse le aree vulcaniche attive e quiescenti, poi quelle contrassegnate da sismicità elevata e infine quelle interessate da fenomeni di fogliazione;
          la Sardegna secondo tutti i piani connessi e richiamati non rientrerebbe in alcun modo in queste prime tre priorità di esclusione;
          secondo tale simulazione la Sardegna sarebbe l'unica regione d'Italia a corrispondere a questi criteri individuati;
          il fatto stesso che tutti questi elementi che vengono ora esplicitamente rappresentati da Sogin sono un elemento di gravità assoluta proprio perché si sta tentando di mettere in piedi un piano che vede come sostanziale la Sardegna come terra di conferimento per le scorie nucleari;
          la Sardegna deve essere esclusa anche come ipotesi per la realizzazione del deposito unico nazionale delle scorie nucleari;
          questo piano di deposito unico nazionale, che non si farà mai né in Sardegna né in Italia;
          il deposito nucleare unico sarà secondo l'interrogante l'ennesimo pozzo senza fondo;
          questo piano della Sogin è solo l'ennesimo strumento delle lobby del nucleare e degli appalti che puntano a progettare, spendere e spandere con troppi omissis che devono essere respinti senza se e senza ma;
          le carte e gli studi allegati al piano rendono all'interrogante evidente che non si tratta di scelta tecnica;
          le risposte evasive ed elusive del Governo Renzi sono secondo l'interrogante indice di un implicito orientamento in senso favorevole a tale programma;
          si tratta di miliardi di euro per portare le scorie nucleari, realizzare un deposito unico nazionale, mantenere in piena efficienza le centrali esistenti e soprattutto un grande business nucleare;
          c’è un fiume di risorse verso le lobby nucleari che va immediatamente fermato;
          la Sardegna si è dichiarata totalmente contraria a qualsiasi ipotesi di deposito unico nucleare;
          il sottoscritto interrogante nel 2003 in qualità di presidente della regione Sardegna bloccò il piano del generale Jean per la realizzazione del deposito unico nazionale portando la conferenza dei presidenti ad approvare la proposta di rigettare integralmente quel piano che ora si ripresenta maldestramente;
          da mesi l'interrogante ripeteva con atti di sindacato ispettivo e pubbliche denunce che in ambienti Sogin si continuava a dire che la Sardegna sarebbe un sito ideale per il deposito unico nazionale di scorie nucleari;
          questo è un progetto che in Sardegna verrà respinto in tutti i modi;
          non passerà mai un piano irrazionale nell'approccio tecnico, scientifico e sociale e che ha dimostrato di essere fallimentare nella sostanza se dopo 11 anni non è stato fatto niente;
          ci sono flussi di denaro nel settore nucleare che non possono continuare a sfuggire al controllo di tutti. Sono soldi dei cittadini prelevati dalle bollette degli italiani e bisogna per mano alla revisione dei progetti. Tutto questo ha bisogno di soluzioni strategiche e non tampone;
          un deposito unico nazionale che per ragioni già evidenziate nel passato, costituzionali e di volontà popolare, non potrà trovare nessun accoglimento, per nessuna ragione, in Sardegna;
          dopo dodici anni dal blocco del progetto scellerato della Sogin per la realizzazione di un sito unico nazionale per stoccare tutte le scorie nucleari conservate nelle centrali italiane dismesse e il rientro di molte altre dall'estero il rischio ritorna attuale;
          va ridiscussa alla radice la decisione di realizzare un deposito unico nazionale alla luce di valutazioni di natura scientifica, economica e di opportunità;
          proposte che la Sardegna ha avanzato dodici anni fa condividendo l'impostazione del fisico Carlo Rubbia che aveva messo a punto un piano di ricerca per l'abbattimento della radioattività delle scorie;
          un deposito unico nazionale dal quale devono, comunque, essere escluse, senza se e senza ma, realtà come la Sardegna che hanno sia sul piano normativo costituzionale che popolare escluso la volontà di ospitare tale sito unico nazionale;
          una posizione che non si può nemmeno discutere;
          i sardi sono pronti ad ogni azione pur di respingere un'ipotesi che la Sardegna non accetterà mai  –:
          se il Governo intenda, nel pieno rispetto della trasparenza, far conoscere tale piano venendo incontro all'esigenza di ovviare a tale silenzio proprio dopo la presentazione dello stesso piano da parte di Sogin;
          se non ritenga di dover escludere la regione Sardegna per le ragioni richiamate, costituzionali, statutarie, ambientali e strategiche al fine di evitare anche gravi problemi all'ordine pubblico;
          se non ritenga di dover recedere da tale proposito di realizzare un deposito unico nazionale e individuare un piano che preveda ricerca avanzata per l'abbattimento della radioattività delle stesse scorie e la sistemazione nei depositi già in essere nelle aree che ospitano le vecchie centrali nucleari;
          se non ritenga di dover rendere note le risorse che effettivamente si spendono per la gestione di queste scorie nucleari e la loro effettiva consistenza. (5-04402)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PETRAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          secondo Luigi Alcaro, responsabile del servizio emergenze ambientali in mare dell'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, dipendente dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare), alcuni studi bibliografici, le interviste poste agli operatori della pesca e le indagini condotte in alcune aree pilota hanno permesso di evidenziare come la presenza di armi chimiche nei mari italiani sia accertata così come la presenza di prodotti di degradazione dell'iprite. La presenza di armi chimiche nel golfo di Taranto è testimoniata dai resoconti del nucleo smaltimento porti Puglie in cui si riferisce che migliaia di ordigni a caricamento chimico sono stati affondati al largo;
          numerose sono le richieste di prospezione e ricerca di idrocarburi nei mari italiani, in particolare sui progetti riguardanti il Mar Adriatico; con nota n.  0037599 del 14 novembre 2014, la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha richiesto «approfondimenti normativi, scientifici e presso le Istituzioni competenti, della compatibilità dell'esecuzione delle indagini sismiche previste con le aree di deposito di ordigni inesplosi in mare»  –:
          se il Governo non intenda sospendere le attività di ricerca nel golfo di Taranto, così come avvenuto nel Mar Adriatico, richiedendo approfondimenti scientifici e normativi sulla compatibilità dell'esecuzione delle indagini sismiche previste con aree di deposito di ordigni inesplosi in mare;
          se il Governo intenda avviare una campagna di monitoraggio nel golfo di Taranto volta ad individuare con precisione le aree di affondamento di armi chimiche attraverso la metodologia già sperimentata dall'ISPRA;
          se il Governo, successivamente alla campagna di monitoraggio e di analisi delle aree individuate come aree con presenza di armi chimiche, non intenda promuovere misure a tutela dei lavoratori del comparto della pesca e dei consumatori. (4-07427)


      ALBERTI, BASILIO, COMINARDI e SORIAL. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il caso Brescia-Caffaro è ormai tristemente noto come uno dei peggiori casi di inquinamento da Pcb e diossine della storia;
          con il decreto del 24 febbraio 2003 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha definito la perimetrazione del sito di interesse nazionale di Brescia Caffaro, aggiungendolo all'elenco dei SIN di cui la legge n.  426 del 1998;
          alla data odierna non si conoscono ancora gli oneri necessari per portare a termine la bonifica del sito, in quanto non è ancora stato redatto un progetto complessivo di bonifica;
          in data 25 ottobre 2013 il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, in risposta ad un'interrogazione parlamentare, riteneva «in via generale che i commissariamenti sono spesso la spia delle difficoltà in cui versano le istituzioni pubbliche che non riescono a far funzionare le cose in modo adeguato. Tuttavia, nel caso specifico del Sito Caffaro-Brescia, la particolare situazione di degrado e i risultati dei nuovi campionamenti in corso potrebbe indurre a rivedere tale giudizio e considerare la figura commissariale quale utile strumento (la «sciabola» di Sieyès ?) di un tavolo di coordinamento che, ad onor del vero, nei fatti si è già realizzato»;
          in data 23 dicembre 2013 con l'articolo 4-ter del decreto-legge n.  145 che prevede «Misure urgenti per accelerare l'attuazione di interventi di bonifica in siti contaminati di interesse nazionale», è stato previsto che «al fine di coordinare, accelerare e promuovere la progettazione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica nel sito contaminato di interesse nazionale Brescia Caffaro, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa individuazione delle risorse finanziarie disponibili, può nominare un commissario straordinario delegato ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 29 novembre 2008, n.  185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n.  2. Il compenso del commissario di cui al presente comma è determinato ai sensi dell'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111. Per lo svolgimento delle attività di cui al presente comma è istituita una contabilità speciale nella quale confluiscono le risorse pubbliche stanziate per la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica del predetto sito contaminato»;
          il commissario avrà il delicato compito di curare le fasi progettuali, la predisposizione dei bandi di gara, l'aggiudicazione dei servizi e dei lavori, le procedure per la realizzazione degli interventi, la direzione dei lavori, la relativa contabilità e il collaudo, promuovendo anche le opportune intese tra i soggetti pubblici e privati interessati;
          per le attività connesse alla realizzazione degli interventi, i commissari sono autorizzati ad avvalersi degli enti vigilati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di società specializzate a totale capitale pubblico e degli uffici delle amministrazioni regionali, provinciali e comunali;
          si apprende dalla stampa locale che secondo le dichiarazioni dell'assessore all'ambiente del comune di Brescia, sarebbe ormai deciso il nome del commissario straordinario per l'emergenza Caffaro e che verrebbe identificato nel dottore Roberto Moreni;
          il dottore Roberto Moreni ha ricoperto il ruolo di dirigente del settore urbanistica del comune di Brescia in pieno scandalo Caffaro, ha contribuito a definire le destinazioni d'uso dell'area Caffaro all'epoca della scoperta del secolare inquinamento provocato dall'azienda chimica di via Milano in Brescia, trasformandola da area industriale a residenziale prima dello scandalo e ripristinandone la destinazione industriale successivamente, con il conseguente aumento dei valori limite di tolleranza della contaminazione da pcb, cosa che di fatto ha evitato ai proprietari l'onere della completa tempestiva bonifica. Il dottor Moreni, attualmente in pensione, è in quiescenza dall'anno 2012;
          il decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90, prevede espresso divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza, salvo incarichi e collaborazioni prestati esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione;
          sempre secondo le dichiarazioni dell'assessore all'ambiente del comune di Brescia, il Ministero avrebbe chiesto una figura gradita al territorio, ma soprattutto tecnica, le cui competenze siano spendibili in modo pratico e che abbia anche una conoscenza del contesto;
          per quanto risulta agli interroganti, il dottor Moreni non avrebbe le qualifiche tecniche necessarie per la complessità del sito in questione e le sue precedenti esperienze lavorative lo porrebbero in una condizione di conflitto di interessi rilevante, in quanto lo hanno visto coinvolto in prima persona nelle dinamiche urbanistiche e autorizzative dei comparti rientranti nel SIN  –:
          se i Ministri siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
          se ritengano che gli interventi necessari per la bonifica del SIN Brescia-Caffaro, debbano rientrare tra quelli programmati nell'ambito del quadro strategico nazionale, ritenuti prioritari per i connessi riflessi sociali, nel rispetto degli impegni assunti a livello internazionale;
          se sia già stata istituita una contabilità speciale nella quale confluiscono le risorse pubbliche stanziate per la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica del predetto sito contaminato;
          a chi spetti la definizione del piano complessivo di bonifica del sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro e del piano finanziario e per quale motivo non siano ancora stati redatti;
          quali siano le effettive modalità, i tempi e i criteri che verranno presi in considerazione per la nomina del commissario per il sito di Brescia-Caffaro;
          quali siano le deroghe previste e concesse per il commissario che verrà nominato;
          quali siano le modalità di vigilanza e controllo sul suo operato;
          se non ritengano opportuno che la figura del commissario venga individuata tra persone competenti, prive di possibili conflitti di interessi e del tutto esterne alle vicende che hanno portato al sorgere delle problematiche da gestire e risolvere;
          se non ritengano opportuno, vista la complessità ed i tempi necessari per la bonifica del sito in questione, che il commissario da individuare venga incaricato per un periodo superiore ad un anno, pur nel rispetto del limite dei tre anni ai sensi dell'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111;
          se pertanto non ritengano opportuno individuare un commissario non in quiescenza. (4-07440)


      LODOLINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 1o gennaio 2015 presso la raffineria Api di Falconara Marittima una colonna di fumo nero si è alzata dalla torcia dell'impianto, che dal 7 gennaio ha fermato l'attività per due mesi per manutenzione;
          il vento forte ha trasportato la nube della raffineria Api verso il mare e, fortunatamente, non verso il centro abitato;
          secondo i vigili del fuoco, si sarebbe trattato di un guasto elettrico, risolto dalle squadre interne della raffineria, senza necessità di ulteriori interventi;
          analogo episodio sarebbe accaduto in data 4 settembre 2014;
          nella notte tra l'8 e il 9 luglio 2013, presso la raffineria Api di Falconara Marittima, tre scoppi consecutivi e poi le fiamme hanno interessato l'impianto di desolforazione in fase di riavvio  –:
          se sia a conoscenza dei fatti di cui sopra ed in particolare quali e siano state le cause, quali sostanze e in quali concentrazioni siano state bruciate in torcia, se siano stati superati i limiti relativi alle emissioni di inquinanti atmosferici derivanti dai cicli produttivi dell'impianto e quali iniziative di competenza, anche di natura normativa, il Governo intenda adottare, per accertare al più presto la regolarità delle autorizzazioni in materia di sicurezza e non pericolosità dell'azienda e il rispetto della normativa sulla sicurezza nel lavoro; se si intenda sistematizzare ed affinare gli studi finora compiuti nel campo del controllo sulla sicurezza del lavoro nella raffineria Api di Falconara Marittima, per giungere ad un Completo dossier che aiuti ad affrontare in modo auspicabilmente risolutivo il tema della sicurezza presso il sito industriale.
(4-07441)


      PAGLIA, FRANCO BORDO e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nel territorio Atc Ra 2 adiacente la Pineta di Classe, in località Fosso Ghiaia, comune di Ravenna, alcuni decenni fa è stato inserito un nucleo di daini non appartenente alla fauna originaria, presumibilmente a scopo di sfruttamento commerciale;
          nel corso degli anni la colonia ha potuto ampliarsi, in assenza di predatori naturali, al punto da divenire potenzialmente problematica per le attività agricole e la circolazione stradale e ferroviaria, nonostante non esistano evidenze provate di questi ultimi fenomeni;
          a partire da ottobre 2013 la provincia di Ravenna ha considerato la possibilità di prelievo sperimentale del daino nel suddetto territorio, incontrando la diffusa opposizione delle associazioni animaliste e di parte della cittadinanza, come dimostrano le oltre 11.000 firme raccolte in calce ad una petizione che chiede soluzioni alternative all'abbattimento;
          nell'autunno 2013 la provincia aveva redatto un piano di prelievo sperimentale, validati dall'ISPRA e dall'ente di gestione per i parchi e le biodiversità – delta del Po, limitato al periodo novembre-gennaio, conseguente a un censimento di 236 capi effettuato in gennaio;
          tale piano non aveva avuto seguito, anche per il sopravvenuto interessamento ai daini in sovrannumero dei parchi faunistici di Ravenna e Fasano;
          nell'ottobre 2014 la provincia di Ravenna apre nuovamente alla possibilità di abbattimento, per poi concretizzarla con delibera 252 del 12 novembre 2014, contro cui è stata depositato ricorso al TAR da parte di alcune associazioni;
          esiste inoltre un esposto contro l'abbattimento, basato sull'ipotesi che non sia stata verificata l'impossibilità di utilizzare quei metodi ecologici che la legge impone di adottare come alternativa prevalente;
          si deve inoltre sottolineare che in data 25 novembre 2014 la signora Eleonora Schonwald, proprietaria di un agriturismo in provincia di Ravenna, ha protocollato un'offerta di accoglienza per 67 daini, ovvero per la totalità dei capi eccedentari, assumendosi il pieno onere di cattura, trasferimento e mantenimento;
          si evidenzia anche che esiste un secondo censimento di febbraio 2014, che ha registrato 147 capi, con un calo di 89 unità in 12 mesi, ritenuto non attendibile dalla provincia sulla base di considerazioni di carattere esclusivamente induttivo  –:
          se, alla luce di quanto sopra evidenziato e della manifesta disponibilità di privati ad assumersi la responsabilità di accoglienza dei daini ritenuti in eccesso, non ritenga di dover assumere iniziative per autorizzare il trasferimento, data la necessità di una deroga ministeriale per operare in tale direzione. (4-07447)


      FRACCARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          dalla mozione 246/14 depositata presso il consiglio della provincia autonoma di Bolzano il 4 novembre 2014 e non ancora discussa, si apprende che l'area sottostante Castel Firmiano situata fra la periferia sud-occidentale della città di Bolzano e l'abitato di Frangarto, a poche decine di metri, dalla sponda destra del fiume Adige, è da mesi oggetto di indagini dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Trento per problemi di tutela ambientale a causa della presenza di discariche abusive, con rifiuti di diverso tipo e pericolosità accumulati illegalmente nei decenni;
          nel novembre 2014, dall'area menzionata sono stati prelevati dei campioni di percolato affiorante sulla superficie della discarica e non confluiti nella vasca di raccolta installata dall'amministrazione comunale locale, i quali sono stati oggetto di analisi presso il laboratorio analisi acque e cromatografia 29.3 dell'Agenzia provinciale per l'ambiente della provincia di Bolzano. Gli esami sono stati terminati in data 4 dicembre 2014 con il rapporto di prova 14LA15457 ed hanno evidenziato nel campione un pH di 10,1 e la presenza, fra le altre, di sostanze inquinanti quali fluoruri 190 mg/L (metodo di rilevazione UNI EN ISO 10304-1:1997), cloruri 590 mg/L (UNI EN ISO 10304-1: 1997), nitrati 29 mg/L (metodo di rilevazione UNI EN ISO 10304-1:1997), solfati 310 mg/L (metodo di rilevazione UNI EN ISO 10304-1:1997), arsenico 2600 μg/L (metodo di rilevazione APAT CNR IRSA 3020 Man 29 2003);
          da notizie di stampa si viene a conoscenza del fatto che l'area sia una delle discariche più vecchie d'Europa, aperta nel dopoguerra per accogliere i rifiuti inerti dei bombardamenti e successivamente trasformata in discarica di rifiuti tossici provenienti dalle fabbriche della zona industriale, come ad esempio gli scarti della lavorazione dell'alluminio, del magnesio e degli altiforni. Nell'anno 1966 vi furono accumulati i residui dell'incidente avvenuto alla Margesin di Lana, impresa che produceva fertilizzanti e pesticidi a base di arsenico, e sempre lì aveva sede il cosiddetto «gasometro», un enorme serbatoio per i rifornimenti di carburante da riscaldamento, le cui continue perdite hanno inquinato per anni il terreno circostante. L'area fu quindi destinata a campo nomadi a partire dagli anni Novanta ma chiusa nel 2006 dopo alcune segnalazioni di gravi patologie che colpirono i bambini che dimoravano nel campo. Fu contemporaneamente utilizzata per la pratica del tiro al piattello e ripulita dalle cartucce, dai proiettili e dai piattelli disseminati sul terreno solo nell'estate scorsa  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa;
          se intenda promuovere una verifica da parte del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di fare luce sullo stato dei luoghi;
          se e con quali risultati, la discarica vecchia di Castel Firmiano sia mai stata obiettivo di indagine in riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 24 aprile 2007 – Causa C135/05 avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell'articolo 226 CE, proposto il 22 marzo 2005.
(4-07451)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


      BASILIO, TOFALO, TURCO, RIZZO, ARTINI, CORDA e FRUSONE. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          con sentenza n.  5 del 7 febbraio 2014, depositata il 18 febbraio 2014, il tribunale militare di Roma ha dichiarato l'assoluzione della dottoressa Barbara Balanzoni, tenente medico dell'Esercito in riserva selezionata, dal contestato reato di «disobbedienza aggravata continua»;
          il predetto provvedimento, intervenuto all'esito di un procedimento penale intrapreso con decreto di rinvio a giudizio del 13 dicembre 2013, si è concluso con la piena assoluzione dell'imputata perché, come si può leggere nel testo della sentenza, «appare insussistente, ictu oculi, il contestato reato di disobbedienza continuata pluriaggravata»;
          in particolare, la fattispecie avrebbe difettato di un requisito essenziale per la configurazione del reato de quo, stante l'insussistenza di alcun «ordine» giuridicamente vincolante e suscettibile di disobbedienza, ma la presenza di mere norme di servizio impartite in via generale ed astratta dal comandante della base a tutti i militari del contingente, ivi compresa la dottoressa Balanzoni;
          all'ufficiale era stato, infatti, conferito formalmente dai superiori l'incarico di provvedere al benessere di tutti gli animali, sicché nel caso concreto il doveroso adempimento dell'incarico attribuitole consentiva, o addirittura imponeva, alla dottoressa Balanzoni di dare assistenza ad animali sofferenti;
          la sentenza in parola definisce, quindi, «palesemente illogico» qualificare come disobbedienza una condotta esecutiva di una specifica delega di una autorità militare superiore;
          a seguito di tale vicenda processuale, pochi mesi dopo, con sentenza n.  23 del 6 giugno 2014, depositata il 6 luglio 2014, il tribunale militare di Roma ha disposto una ulteriore assoluzione della dottoressa Balanzoni dai reati di «diffamazione continuata aggravata» ed «ingiuria ad inferiore aggravata»;
          anche il predetto provvedimento giudiziario si è concluso con la piena assoluzione dell'imputata perché «i fatti non sussistono» ed ha accertato la totale infondatezza dei capi d'accusa addebitati dalla procura militare di Roma;
          dall'istruttoria dibattimentale è emerso, infatti, che la dottoressa Balanzoni, durante la sua permanenza in servizio presso il «Multinational Battle Group» in Kosovo, non avrebbe mai pronunciato frase o espressioni ingiuriose o diffamatorie, circostanza in parte negata dagli stessi soggetti potenziali persone offese;
          dalle argomentazioni motivazionali della sentenza si legge che: «...la Balanzoni già da qualche mese precedente al giugno 2012 viveva all'interno del Reparto una situazione di forte tensione per continue incomprensioni con il Cap. Lettieri e, a marzo 2012, aveva anche dovuto subire la diffusione all'interno del Reparto, ad opera di anonimo, di un volantino contenente una foto che la ritraeva assopita all'interno di un veicolo militare, sovrastata dalla scritta «Pronto Soccorso medico sempre in allerta» e che, inoltre, ...può cogliersi l'evidenza di una ingiustizia che, ancora nei giorni successivi a tale evento, continuava a permanere inalterata»;
          le predette motivazioni hanno indotto il giudice militare a ritenere che eventuali espressioni diffamatorie fossero state pronunciate in stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso, in quanto tale non punibile per applicazione dell'esimente di cui all'articolo 599, comma 2, codice penale;
          il rinvio a giudizio dell'imputata sarebbe, quindi, avvenuto senza alcun fondamento probatorio ma sulla base di mere circostanze indiziarie, sorte presumibilmente a seguito di un ripetuto atteggiamento ostile e vessatorio posto in essere, nei mesi antecedenti al processo, da alcuni militari del reparto di servizio dell'imputata ai danni della stessa e documentato da note disciplinari redatte a distanza di poche settimane l'una dall'altra;
          dalle risultanze processuali sembrerebbe, quindi emergere un duplice profilo di responsabilità in ordine all'intera vicenda, ascrivibile sia ai militari preposti al comando del reparto di assegnazione della dottoressa Balanzoni durante la missione in Kosovo, sia    a quelle che gli interroganti giudicano marginali e superficiali attività inquirenti condotte dalla Procura militare di Roma;
          risulta all'interrogante quantomeno anomala la circostanza che la medesima procura militare, a distanza di pochi mesi, abbia indagato nei riguardi del medesimo ufficiale in ordine a tre diverse fattispecie di reato, formulando capi di imputazione poi rivelatisi tutti palesemente insussistenti all'esito dei relativi procedimenti giudiziari;
          oltre alla descritta vicenda che ha coinvolto la dottoressa Balanzoni, sono sempre più numerosi i casi di vessazioni ed atteggiamenti ingiusti e provocatori ai danni di militari, soprattutto di sesso femminile, perpetrati all'interno dei reparti delle Forze armate durante le missioni internazionali;
          al contempo, la diretta gestione delle procure militari e dei tribunali militari da parte del Ministero della difesa non consente a tali organi di vantare, nell'ordinamento, una posizione di autonomia ed indipendenza analoga a quella di tutti gli altri organi giurisdizionali, con inevitabili ricadute sulla corretta amministrazione della giustizia militare  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e di quali elementi disponga in merito;
          quali provvedimenti ritenga opportuno adottare al fine di garantire maggiore trasparenza e meritocrazia nella selezione del personale preposto al comando dei reparti militari, con particolare riferimento ai reparti impegnati in missioni internazionali;
          se non ritenga auspicabile, anche in ragione dei principi costituzionali di libertà, autonomia ed indipendenza della magistratura complessivamente intesa, assumere iniziative per riorganizzare sotto il profilo delle competenze, degli organici e della gestione amministrativa, il funzionamento dei Tribunali e delle Procure militari. (4-07430)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


      ALBERTI, TRIPIEDI, CRIPPA, PESCO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          attualmente (dal 1° ottobre 2013) le aliquote IVA sono le seguenti: 22 per cento (ordinaria), 10 per cento (ridotta) e 4 per cento (super-ridotta);
          secondo la direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto e successivi atti modificativi:
              gli Stati membri possono applicare una o due aliquote ridotte;
              le aliquote ridotte si applicano unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell'allegato III;
              le aliquote ridotte sono fissate ad una percentuale della base imponibile che non può essere inferiore al 5 per cento;
          nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea serie L n.  316/37, del 27 novembre 2013, è stata pubblicata la decisione di esecuzione del Consiglio 2013/678/UE del 15 novembre 2013, riguardante la proroga dell'autorizzazione ad applicare una misura di deroga all'articolo 285 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, con contestuale innalzamento della relativa soglia a 65.000 euro;
          secondo i dati forniti dall'Italia, la misura di deroga ha solo un'incidenza trascurabile sul gettito fiscale complessivo riscosso allo stadio del consumo finale e non incide sulle risorse proprie dell'Unione provenienti dall'Iva;
          secondo il rapporto allegato al Libro verde, la complessità del sistema provoca un mancato introito da Iva, dovuto a frodi Iva, mancati pagamenti, errori ed altro, che per il 2009 può essere prudentemente stimato pari al 6,9 per cento del prodotto interno lordo e al 12 per cento delle entrate Iva dell'Unione europea. Ciò significa un'evasione pari a circa 118,8 miliardi di euro; secondo il rapporto, in Italia la percentuale salirebbe al 22 per cento, per un totale di circa 29 miliardi di euro di Iva evasa rispetto ad un gettito complessivo pari a oltre 130 miliardi di euro;
          le entrate Iva in Italia rappresentano circa il 13,8 per cento delle entrate fiscali totali;
          secondo i dati del Ministero dell'economia e delle finanze nel periodo gennaio-ottobre 2014 si registra un gettito delle imposte indirette pari a 150.936 milioni di euro con un incremento del 2,9 per cento (+4.264 milioni di euro), rispetto ai primi dieci mesi dello scorso anno;
          il gettito Iva cresce del 2,4, per cento (+1.975 milioni di euro). In particolare, continua l'andamento positivo dell'Iva sugli scambi-interni del 3 per cento, (+2.200 milioni di euro), mentre resta negativa del 2 per cento la componente dell'Iva sulle importazioni da Paesi extra-Unione europea, rispetto all'analogo periodo dei 2013;
          il 12 febbraio 2014 la Camera dei deputati ha approvato diverse mozioni sulle iniziative per armonizzare il sistema europeo dell'imposta sul valore aggiunto alla luce del Libro verde sul futuro dell'Iva adottato dalla Commissione europea, che impegnano il Governo a garantire tra l'altro che le priorità strategiche indicate nel documento, si traducano in azioni concrete; che il maggior gettito derivante dall'attività di contrasto alle frodi venga destinato alla riduzione delle aliquote Iva; che il regime di vantaggio sia esteso ai soggetti passivi il cui volume d'affari non sia elevato che vengano predisposte misure più efficaci nel contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale; che venga previsto un aumento dell'aliquota dell'imposta sostitutiva sulle rendite finanziarie e una revisione dell'imposta sulle transazioni finanziarie, destinando il maggior gettito derivante da queste misure alla riduzione delle aliquote Iva;
          l'articolo 81 della Costituzione prevede che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provveda ai mezzi per farvi fronte, pertanto è necessario conoscere il gettito derivante dall'aliquota Iva applicata ad ogni bene e servizio  –:
          quale sia l'importo del gettito derivante dall'aliquota IVA ordinaria (22 per cento) suddiviso per tipologia di bene/servizio;
          quale sia l'importo del gettito derivante dall'aliquota IVA ridotta (10 per cento) suddiviso per tipologia di bene/servizio;
          quale sia l'importo del gettito derivante dall'aliquota IVA super-ridotta (4 per cento) suddiviso per tipologia di bene/servizio;
          se sia stata prodotta, anche a livello europeo, e dove sia reperibile, una relazione di valutazione dell'impatto delle aliquote ridotte applicate ai servizi prestati localmente, in particolare, in termini di creazione di occupazione, di crescita economica e di buon funzionamento del mercato interno. (4-07431)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MURA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il giorno di Natale, alle 7 di mattina un detenuto di 31 anni, si è impiccato con una corda rudimentale nel carcere di Trani (Bat). Stava scontando una condanna per detenzione di sostanze stupefacenti, pena che sarebbe terminata a febbraio prossimo;
          nella notte tra il 25 e il 26 dicembre un altro recluso, italiano, 44 anni, si è suicidato nel carcere Pagliarelli di Palermo impiccandosi con un lenzuolo. Era appellante dopo una condanna in primo grado;
          i motivi vanno ricercati principalmente nell'accentuato senso di solitudine per la lontananza dalle famiglie, nell'assenza di proposte «trattamentali» (con la sospensione dei corsi scolastici e delle attività lavorative) e nella riduzione, causa ferie, di un personale già sotto-organico durante il resto dell'anno;
          dall'inizio anno sono 43 i detenuti che si sono tolti la vita: avevano un'età media di 40 anni, 37 gli italiani e 6 gli stranieri, 2 le donne. 37 detenuti si sono impiccati, 5 si sono asfissiati con il gas del fornelletto da camping in uso nelle celle, 1 si è dissanguato tagliandosi la carotide con una lametta da barba;
          le carceri nelle quali si sono registrate più vittime sono Napoli Poggioreale (4) e Padova casa di Reclusione (3);
          negli ultimi 5 anni (2009-2014) 19 detenuti si sono uccisi durante le festività natalizie (24 dicembre-6 gennaio), una frequenza doppia rispetto al resto dell'anno  –:
          quali provvedimenti intenda adottare per garantire che durante le festività, non solo natalizie, vengano aumentate, e non certo diminuite, le proposte trattamentali a favore dei detenuti, la cui sospensione genera nei loro confronti un profondo senso di frustrazione e abbandono;
          se non ritenga opportuno, come già evidenziato in precedenti interrogazioni, aumentare il personale nelle strutture carcerarie italiane, oggi sotto organico, in modo da garantire il giusto supporto, anche di carattere psicologico, ai detenuti che in particolari periodi dell'anno possono subire il peso della solitudine dovuto alla lontananza dalle famiglie. (5-04385)


      BRUNO BOSSIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 25 dicembre 2014 l'interrogante, aderendo all'iniziativa «Natale in carcere» promossa dal Partito Radicale congiuntamente al Partito Democratico ed all'Associazione «Argomenti 2000», si è recata ex articolo 67, comma 1, lettera b) dell'ordinamento penitenziario di cui alla legge n.  354 del 1975 in visita ispettiva, senza preannuncio, presso la casa di reclusione di Rossano (Cosenza). Nella circostanza, è stata accompagnata, ex articolo 67, comma 2, dell'ordinamento penitenziario, dai propri collaboratori Emilio Quintieri, esponente dei Radicali Italiani, Gaspare Galli e Francesco Adamo, rappresentanti dei Giovani Democratici di Cosenza;
          nel corso della predetta ispezione, è stata riscontrata una criticità in ordine al ruolo ed alle funzioni della magistratura di sorveglianza di Cosenza, peraltro già richiamata nella precedente interrogazione a risposta in Commissione n.  5/03559 del 16 settembre 2014, allo stato rimasta inevasa da parte del Governo, nonostante il decorso dei termini previsti dall'articolo 133, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati:
          infatti, la delegazione, durante i colloqui con i detenuti ha nuovamente ricevuto numerose lamentele afferenti la scarsa presenza del magistrato di sorveglianza nell'istituto e, nello specifico, la mancata attività ispettiva da parte dello stesso all'interno dei locali di detenzione; altre lamentele riguardano l'impossibilità di avere colloqui con il direttore dell'istituto e con il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria della Calabria;
          l'articolo 5, comma 1, del regolamento di esecuzione penitenziaria approvato con decreto del Presidente della Repubblica n.  230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il Magistrato di Sorveglianza, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell'Istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati»;
          l'articolo 75, comma 1, del predetto regolamento prevede, altresì, che «Il Magistrato di Sorveglianza, il Provveditore Regionale e il Direttore dell'Istituto, devono offrire a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il Direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali. Gli accessi in Istituto del Magistrato di Sorveglianza e del Provveditore Regionale sono annotati in un registro riservato a ciascuna delle due Autorità, nel quale le stesse indicano i rilievi emersi a seguito degli accessi predetti. Anche il Direttore annota in apposito registro le udienze effettuate...»;
          a giudizio dell'interrogante, la magistratura di sorveglianza, la cui funzione istituzionale è quella di sorvegliare l'esecuzione della pena e della misura cautelare custodiale inframuraria, di vigilare sugli istituti penitenziari e controllare che l'attuazione del trattamento dei condannati e degli imputati risulti conforme ai principi sanciti dalla Costituzione Repubblicana e dall'ordinamento penitenziario anche mediante segnalazioni al Ministero della giustizia, non può essere svolta nella maniera più appropriata, da parte del magistrato di sorveglianza di Cosenza, se non attraverso le visite ai locali ove sono ristretti i detenuti e mediante l'audizione personale degli stessi e, in particolare, di coloro i quali ne fanno espressa, richiesta; analoghe considerazioni – per quanto di rispettiva competenza – valgono per il direttore dell'istituto penitenziario di Rossano e per il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria della Calabria che, per espressa previsione di legge, debbono fare frequenti visite negli istituti e tenere udienze, anche individuali, con i detenuti che lo desiderano  –:
          se e di quali informazioni disponga il Ministro interrogato in ordine a quanto in premessa riportato e se i fatti narrati corrispondano al vero; in caso affermativo, quali iniziative di propria competenza, intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate con riferimento al ruolo ed alle funzioni della magistratura di sorveglianza nonché del direttore dell'istituto e del provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria;
          se non si ritenga opportuno appurare, anche attraverso la visione degli appositi registri, quante siano state le visite effettuate, negli ultimi 5 anni, presso la casa di reclusione di Rossano dal magistrato di sorveglianza e dal provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria e se e quante volte i predetti si siano recati ad ispezionare i locali ove sono ristretti i detenuti e quante udienze abbiano intrattenuto con gli stessi anche attraverso la visione di eventuali atti effettuati;
          se il direttore dell'istituto offra, con particolare frequenza, ai detenuti la possibilità di poter avere con lo stesso dei periodici colloqui individuali e se e quante volte il predetto si sia recato ad ispezionare i locali ove sono ristretti i medesimi;
          se e cosa sia emerso, all'esito degli accessi nell'istituto penitenziario di che trattasi da parte del magistrato di sorveglianza e del provveditore regionale, facendo riferimento a quanto rispettivamente annotato dagli stessi negli appositi registri;
          se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere, dopo le opportune verifiche sollecitate con il presente atto di sindacato ispettivo, anche con riferimento alla possibilità di incrementare l'organico dell'ufficio di sorveglianza di Cosenza (composto soltanto da 2 magistrati) avente giurisdizione su ben 4 istituti penitenziari (Rossano, Cosenza, Paola e Castrovillari). (5-04399)


      BRUNO BOSSIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 25 dicembre 2014 l'interrogante, aderendo all'iniziativa «Natale in Carcere» promossa dal Partito Radicale congiuntamente al Partito Democratico ed all'Associazione «Argomenti 2000», si è recata ex articolo 67, comma 1, lettera b) dell'ordinamento penitenziario di cui alla legge n.  354 del 1975 in visita ispettiva, senza preannuncio, presso la casa di reclusione di Rossano (Cosenza). Nella circostanza, è stata accompagnata, ex articolo 67, comma 2, dell'ordinamento penitenziario, dai propri collaboratori Emilio Quintieri, esponente dei Radicali Italiani, Gaspare Galli e Francesco Adamo, rappresentanti dei Giovani Democratici di Cosenza;
          stante l'assenza del direttore e del comandante di reparto, è stata ricevuta ed accompagnata dal personale di polizia penitenziaria operante; sono stati visitati il reparto di isolamento, sito al piano terra, recentemente ristrutturato, ove vi erano allocati n.  5 detenuti per motivi disciplinari ex articolo 33, comma 2, dell'ordinamento penitenziario, nonché i reparti dell'alta sicurezza (As3) e della media sicurezza; nel corso dell'attività ispettiva, l'interrogante unitamente ad i propri accompagnatori, si è intrattenuta a parlare con numerosi detenuti, entrando anche nelle rispettive camere di pernottamento, recentemente oggetto di interventi di ristrutturazione finalizzati alla predisposizione della doccia all'interno del vano adibito a servizio igienico, così come sollecitato dalla sottoscritta in un suo precedente atto di sindacato ispettivo (interrogazione a risposta in Commissione n.  5/03559 del 16 settembre 2014, ad oggi rimasta senza risposta), adeguando finalmente detti locali a quanto sancito dall'articolo 134 del regolamento di esecuzione penitenziaria approvato con decreto del Presidente della Repubblica n.  230 del 2000;
          tanti detenuti, sia dell'alta che della media sicurezza, come del resto già rappresentato nella precedente interrogazione, hanno nuovamente lamentato l'eccessiva lontananza del luogo di detenzione dalla residenza dei propri familiari e, quindi, la impossibilità di fruire dei colloqui visivi con i propri congiunti tra i quali figli e/o nipoti anche minorenni; i predetti, più volte, anche per il tramite dei loro difensori, hanno chiesto agli uffici competenti del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ed in alcuni casi anche all'ufficio di sorveglianza di Cosenza, di poter ottenere un trasferimento, anche solo temporaneo, in altro istituto penitenziario prossimo alla residenza dei propri familiari, per poter mantenere contatti con gli stessi; dette istanze, secondo quanto riferito all'interrogante, sarebbero state respinte senza fornire copia del provvedimento ai detenuti e/o ai loro difensori; tante altre, invece, allo stato sono rimaste inevase;
          l'articolo 42, comma 1, dell'ordinamento penitenziario, prescrive che «i trasferimenti sono disposti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell'Istituto, per motivi di giustizia, di salute, di studio e familiari» ed al comma 2 stabilisce che «nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in Istituti prossimi alla residenza delle famiglie»;
          l'articolo 15, comma 1, dell'ordinamento penitenziario, prescrive che «il trattamento del condannato e dell'internato, è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive, e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia.»; l'articolo 18, comma 3, dell'ordinamento penitenziario sancisce che «particolare favore viene accordato ai colloqui con i familiari»; l'articolo 28, comma 1, dell'ordinamento penitenziario prevede che «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»;
          per quanto avuto modo di accertare nel corso delle visite sino ad ora effettuate, si registrano, invece, continui e frequenti trasferimenti da istituto ad istituto e, da regione a regione, i quali non sembrano assolutamente motivati da interessi di avvicinamento all'ambiente di provenienza, ma dagli interessi interni, dell'amministrazione, in aperto contrasto con quanto prevede la normativa sopra richiamata e l'articolo 27, comma 3, della Costituzione che stabilisce che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
          con circolare n.  3564/6104 del 20 febbraio 2014 emessa dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, è stata definita in maniera organica la materia dei trasferimenti dei detenuti. Nella stessa, si eleva il principio della «territorialità della pena» ad esigenza prevalente da coniugare con la incolumità personale, la salute e la sicurezza. Tale principio prioritario, poiché assume rilevanza fondamentale ai fini del trattamento, deve essere garantito dall'amministrazione penitenziaria. Ed infatti, detta circolare recita «al fine di dare massima espansione al principio di territorialità della pena, deve essere assicurato, nella misura più ampia possibile, raccoglimento delle istanze di trasferimento dei detenuti»; inoltre, la condotta intramuraria tenuta dal detenuto non potrà, di per sé sola, essere di ostacolo all'accoglimento e neppure potrà, di regola, rilevare nella valutazione della medesima istanza;
          pare che siano numerosi, invece, i trasferimenti dei detenuti dalla casa di reclusione di Rossano, improvvisi ed immotivati, spesso anche seguito di «sanzioni disciplinari» inflitte dal direttore o dal consiglio di disciplina dell'istituto penitenziario e sempre senza rispettare il principio di territorialità della pena  –:
          se e di quali informazioni disponga il Ministro della giustizia e quale sia il suo orientamento in merito ai fatti rappresentati in premessa;
          quante siano le istanze di trasferimento – definitive o temporanee – formulate durante l'anno appena trascorso, dai detenuti ristretti nella casa di reclusione di Rossano o dai loro difensori, agli uffici competenti del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria o, in alternativa, a seguito di reclamo giurisdizionale, all'ufficio di sorveglianza di Cosenza; quante tra queste siano state accolte e quante ne siano state rigettate nonché quante siano, allo stato, quelle rimaste inevase e quali siano i motivi di tale ritardo; quante siano le istanze di trasferimento attualmente pendenti innanzi detti uffici ed entro quali tempi si prevede che le stesse possano essere definite;
          se il Ministro interrogato non intenda, alla luce di quanto in premessa evidenziato, agire per quanto di competenza, al fine di ridurre al minimo i trasferimenti dei detenuti e se non intenda effettuare un maggior controllo sulle motivazioni addotte dagli istituti che chiedono ai superiori uffici tali trasferimenti, il più delle volte, nei confronti di detenuti ritenuti «scomodi» perché troppo «attivi» nel chiedere il rispetto dei loro diritti e delle stesse leggi dello Stato;
          cosa si intenda fare per garantire ai detenuti che l'espiazione della pena o, l'esecuzione della custodia per gli imputati, avvenga in istituti prossimi alla residenza delle famiglie e, qualora esistano valide ragioni che non consentano di poter rispettare il principio di territorialità dell'esecuzione penale, se non si ritenga doveroso consentire agli stessi di ottenere dei trasferimenti temporanei – a giudizio dell'interrogante non inferiori a 6 mesi – per poter fruire dei colloqui riconosciutigli dalla legge penitenziaria al fine di mantenere e migliorare i contatti ed i legami con i propri familiari e le altre persone autorizzate e, comunque, aventi diritto. (5-04400)

Interrogazione a risposta scritta:


      D'INCÀ, NICOLA BIANCHI e COZZOLINO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la trasmissione REPORT ha mandato in onda il giorno 14 dicembre 2014 un servizio di Giulio Valesini intitolato «la cricca del Po» per i lavori urgenti svolti sugli argini delle zone a rischio del fiume Po in provincia di Rovigo, svolti parzialmente o non effettuati;
          le accuse sono di corruzione, truffa ai danni dello Stato, falsità ideologica e frode nelle pubbliche forniture per mezzo milione di euro, secondo le ricostruzioni degli inquirenti. Indagati sono quattro funzionari dell'AIpo (Agenzia interregionale per il fiume Po), che avrebbero predisposto e avallato come urgenti, a favore di tre imprenditori, i lavori di arginatura subacquea del fiume a Ca’ Zuliani, vicino a Porto Tolle, senza che lo fossero realmente. Un modus operandi che si sarebbe ripetuto in modo simile in altri tre casi a Castelmassa, sempre nel 2008;
          nell'intervista di REPORT l'imprenditore Orlandini (indagato e reo confesso) spiega che per «Per dare 20 mila al dirigente dell'AIpo e guadagnarci anch'io, ho portato meno materiale di quello richiesto per sistemare degli argini. Da capitolato dovevamo fare il lavoro di argine con 5.000 metri cubi di pietre. In realtà ne abbiamo messi 1.400-1.500». A guadagnarci anche la ditta di fornitura delle pietre, di proprietà di Francesco Barbetta (indagato): «Sulle quantità di pietre che fattura in più, ma che materialmente non porta devo restituirgli il 20 per cento: 15 mila euro. Lo stabilivamo noi, tanto nessuno sarebbe andato a controllare»;
          dall'indagine risultano falsificati i documenti di trasporto (DDT) dei materiali, per far risultare quantitativi maggiori di pietre consegnate. In essi figuravano anche consegne in cantieri dove i camion della ditta fornitrice non erano mai stati. In alcuni casi è addirittura risultato che gli autisti avessero fatto consegne durante il loro periodo di ferie o con camion già rottamato;
          Sandro Bortolotto (indagato), responsabile dei procedimenti di AIpo Rovigo, indirettamente ammette la facilità con cui poter nascondere progetti fittizi di risanamento perché gli interventi al 90 per cento sono subacquei e quindi sarebbe molto difficile la verifica. Tutti i membri dell'AIpo che sono finiti sotto indagine attualmente sono ancora al loro posto e continuano a svolgere il loro lavoro di sovrintendenza e mantenimento degli argini;
          a giugno 2013 Sergio Berlato (ex eurodeputato Pdl, ora membro della direzione nazionale di Fdl AN) aveva posto l'accento sui lavori affidati con discutibili procedure di somma urgenza (che hanno norme diverse e di fatto senza controlli in nome dell'urgenza, vera o presunta, rispetto alle classiche gare d'appalto), che riguardavano il settore idrico e venivano «effettuati soprattutto a Vicenza, Padova, Rovigo, Venezia». Berlato chiedeva infine al giornalista: «se un camion ha fatto decine di viaggi per trasporto materiali, fatturati e pagati, e quel camion è fermo da tempo in una rimessa perché non funzionante, cosa vi chiedereste?»;
          AIpo – l'Agenzia Interregionale per il fiume Po – è l'ente strumentale delle regioni Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto che cura la gestione del più grande fiume italiano occupandosi di sicurezza idraulica, di demanio idrico e di navigazione fluviale. Per svolgere tali funzioni, AIpo è articolata con sedi territoriali nel bacino – da Torino (Moncalieri), fino a Rovigo – e ha la sua sede principale a Parma;
          dopo il terremoto in Emilia Romagna del 2012, AIpo manda una relazione al commissario delegato Veneto per l'emergenza, il governatore Zaia, in cui si parla di «severi danni alle opere di presidio idraulico in conseguenza degli eventi sismici verificatisi nel territorio della provincia di Rovigo nel mese di maggio 2012, provocando numerosi franamenti e cedimenti delle difese di sponda. Tali cedimenti si sono verificati soprattutto nei territori dei comuni di Ficarolo, Salara, Stienta, Calto e Bergantino» (nota prot. n.  22735 del 25 giugno 2012-AIpo);
          la nota della prefettura di Rovigo del 31 ottobre 2012, prot. n.  24784 inoltrata al commissario Zaia riferisce che l'assetto strutturale del fiume Po ha subito un generale indebolimento per effetto delle sollecitazioni agli argini ed alle connesse opere di difesa idraulica conseguenti al terremoto, con ingentissimi danni quantificabili in euro 4.630.000,00;
          nell'ordinanza n.  27 del 17 dicembre 2013 il commissario delegato veneto Zaia, a fronte di una stima dei danni alle arginature del Po di oltre 4,6 milioni di euro, stanzia solo 415.067,99 euro per il ripristino sponde del Po a Calto. Le somme complessive a disposizione del Veneto sono di 9 milioni di euro, per lo più destinate alla messa in sicurezza di strutture edilizie pubbliche e al restauro delle chiese appartenenti allo Stato Vaticano;
          a gennaio 2014 avviene il cedimento dell'argine del fiume Secchia che ha provocato l'alluvione nel modenese. Allora i tecnici AIpo diedero la colpa del crollo dell'argine a nutrie e volpi dichiarando «la falla del Secchia è avvenuta in un tratto di alveo rettilineo, regolarmente sottoposto a manutenzione attraverso periodici sfalci (l'ultimo intervento è stato concluso il 3 dicembre), pulizie del corpo arginale e già interessato da verifiche post sisma senza che emergessero criticità di rilievo» (fonte: la Gazzetta di Modena 20 gennaio 2014). «La manutenzione – spiega AIpo – viene fatta solo sulle opere idrauliche perché per intervenire sull'alveo di un fiume servono progetti, e i costi sono molto diversi. Spendiamo 18 milioni solo per agire sugli argini, e lavorare su 1 chilometro di alveo costerebbe tra i 500 mila e il milione di euro» (fonte: Il Fatto Quotidiano 14 febbraio 2014);
          l'inchiesta che vede coinvolto AIpo e imprenditori sui lavori di arginatura subacquea del Po a Porto Tolle e a Castelmassa è partita nel 2008. La chiusura delle indagini risale all'agosto 2013, quando il pm Stefano Longhi si trasferisce alla procura di Ferrara. Da allora il fascicolo non ha fatto passi avanti ed è stato riassegnato di recente al pubblico ministero Andrea Girlando, entrato alla procura di Rovigo solo a febbraio 2014. È ormai vicinissima la prescrizione per i reati contestati e non è stata ancora fissata l'udienza preliminare;
          il tribunale di Rovigo a febbraio 2014 acquisisce 9 magistrati e giudici ma il personale delle cancellerie e delle segreterie resta invariato e a fronte dell'acquisizione della competenza su 32 nuovi comuni (con l'accorpamento del tribunale di Este) e un incremento della mole di lavoro del 58 per cento in più rispetto all'anno precedente. Mancano inoltre gli spazi fisici per uffici e aule di dibattimento, dopo la chiusura delle sedi periferiche  –:
          se siano a conoscenza dell'inchiesta sulle finte opere urgenti sulle arginature del Po in provincia di Rovigo e di eventuali casi analoghi avvenuti in altri tratti del maggiore fiume italiano;
          se siano a conoscenza dell'entità dei danni provocati dal sisma del 2012 alle arginature del Po e dell'insufficienza dei fondi stanziati per la loro messa in sicurezza e come intendano risolvere il problema;
          cosa intendano fare, alla luce di questa inchiesta rodigina che vede coinvolta AIpo, nei confronti dello stesso ente, e che verifiche intendano promuovere per accertare lo stato reale delle arginature del Po;
          come intendano affrontare i problemi sorti nei tribunali italiani, dopo la soppressione delle sedi di giustizia periferiche e l'accorpamento delle competenze, per evitare che reati come questi cadano in prescrizione per insufficienza di personale che porti avanti le cause. (4-07452)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


      TINO IANNUZZI, BORGHI e MANFREDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il collegamento stradale Salerno-Avellino, nel tratto fra Mercato San Severino e Salerno, svolge una funzione di assoluta valenza nazionale; infatti, tale arteria collega le autostrade A30 Caserta ed A3 Salerno-Reggio Calabria, fungendo, quindi, da raccordo autostradale;
          questa rete stradale è interessata da un enorme volume di traffico che, spesso, determina interminabili ingorghi con code chilometriche di veicoli che paralizzano la circolazione con grave pericolo per gli utenti; il potenziamento e l'adeguamento di tale strada sono necessari per alleggerire e rendere scorrevoli e celeri il traffico e le comunicazioni verso il Sud e dal Sud, attraverso il collegamento fra le autostrade A30 e A3;
          il raccordo Salerno-Avellino presenta condizioni di sicurezza assolutamente inadeguate e carenti, proprio per la ristrettezza e l'insufficienza della sede stradale – due sole corsie per ogni senso di marcia – e per il livello del traffico assai elevato;
          il potenziamento del raccordo è una priorità assoluta nella politica infrastrutturale del Paese, essendo parte integrante dell'asse autostradale Roma-Caserta-Salerno-Reggio Calabria;
          dopo anni di discussioni in merito alla soluzione progettuale più idonea, l'Anas, ha indetto fin dal 2002 una gara per progettare l'adeguamento dell'attuale tracciato stradale, ampliandolo da due a tre corsie per ogni direzione di marcia, oltre alla striscia dell'emergenza ed alla messa in sicurezza dell'intero raccordo;
          il costo complessivo del progetto del I lotto, Salerno-Fratte-Mercato San Severino, lungo circa 8,5 chilometri, è stato stimato in 237 milioni di euro; tale lotto costituisce una sorta di «lotto zero», di «porta di accesso» all'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria;
          è necessario il finanziamento integrale dell'opera, attesa la valenza strategica nazionale del raccordo nel lotto Salerno-Fratte-Mercato San Severino;
          il finanziamento di tale lotto è stato oggetto di diverse e contraddittorie vicende, puntualmente e dettagliatamente elencate dall'interrogante in precedenti atti di sindacato ispettivo, l'ultimo nella presente legislatura il 14 maggio 2014 con il n.  4-04819;
          nella risposta a quest'ultima interrogazione, il Ministero delle infrastrutture ha precisato la volontà «di condividere in sede CIPE la proposta della Regione Campania» e di sottoporre all'approvazione dello stesso CIPE «il progetto preliminare dell'intero intervento con la richiesta di approvazione di un primo lotto funzionale», che «dovrà comprendere il tratto Mercato San Severino-Fratte Salerno»;
          è pertanto indispensabile la immediata attivazione della regione Campania, senza altri negativi e ingiustificati ritardi e rinvii;
          dei 237 milioni di euro necessari per la realizzazione del primo lotto, 123 milioni di euro per il primo stralcio funzionale (Fratte-Svincolo Baronissi) vanno coperti con il finanziamento previsto nell'APQ (Accordo Quadro di Programma) Regione Campania, per la cui stipula ANAS e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si sono fortemente e positivamente attivati; i restanti 114 milioni di euro per il secondo stralcio funzionale (svincolo Baronissi – barriera di Mercato San Severino), invece, sono stanziati nell'ambito del contratto di programma 2015 da stipulare a valere sulle risorse finanziate dalla legge di stabilità (per l'anno 2015) 23 dicembre 2014 n.  190 proprio per questa infrastruttura  –:
          quale sia il quadro attuale e preciso della situazione complessiva del finanziamento, pari a 237 milioni di euro, del 1o lotto Salerno-Fratte-Mercato San Severino del Raccordo Salerno Avellino, articolato in due distinti e collegati stralci funzionali, specificando, altresì, i tempi previsti per la sua concreta erogazione e se il Ministero e l'ANAS intendano autorizzare, come è necessario ed urgente, l'immediata utilizzazione dei fondi già assegnati, per appaltare, senza ulteriori e dannosi rinvii e ritardi, i lavori relativi al primo stralcio del 1o lotto Fratte-Mercato San Severino. (5-04391)


      GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in data 20 novembre 2014 è stata svolta presso la Commissione VIII della Camera una interrogazione a risposta immediata la «5-04078 Grimoldi: Intendimenti del Governo circa il finanziamento dello studio di fattibilità del prolungamento della metropolitana di Milano M5»;
          in risposta a tale interrogazione il Ministro ha riferito l'intenzione del Governo di assegnare priorità funzionale all'ipotesi di prolungamento della metropolitana di Milano M5 da San Siro verso Figgino, piuttosto che verso Monza, Lissone-Muggiò, in quanto i comuni di Milano e di Figgino avrebbero già dato disponibilità di un'area dove ubicare il secondo deposito del materiale rotabile per garantire, in tal modo, le frequenze previste dal progetto, mentre, al contrario, i comuni della tratta Bignami-Monza non avrebbero ancora manifestato o individuato aree in grado di rispondere a una simile esigenza;
          peraltro, il Ministro ha ribadito la necessità di dare piena attuazione all'intero asse, soprattutto se si tiene conto che il bacino di utenza tenderà a crescere proprio in funzione dell'intera evoluzione dell'asse metropolitano e delle sue interazioni con gli altri segmenti;
          la linea metropolitana di Milano oggi chiamata M5 è oggetto di un accordo di programma del 1999 che si china «Monza Metropolitana – collegamento tra Monza e la stazione ferroviaria di Milano Garibaldi»;
          lo sviluppo in corso di questa linea da Garibaldi a San Siro è stato possibile perché la regione Lombardia e il comune di Monza non si sono opposte, con senso di responsabilità in vista di Expo 2015;
          privilegiare un ulteriore sviluppo da San Siro verso Figino-Settimo Milanese rispetto al collegamento tra Bignami e Monza significherebbe snaturare completamente quell'accordo di programma e non rispondere ad urgenti esigenze di trasporto e mobilità;
          Monza è città densamente urbanizzata in un'area che secondo l'Istat è al vertice in Italia per densità di abitanti per chilometri quadrati;
          il collegamento con Monza significherebbe anche rendere effettivo l'accesso alla Villa Reale, al parco e all'Autodromo;
          esiste, uno studio di fattibilità redatto da Metropolitana milanese che prevede tre ipotesi di itinerario e localizza lo spazio per l'indispensabile, deposito di linea, oggi mancante; lo studio, commissionato dal, comune di Monza, è stato classificato da Metropolitana milanese come DB-0001 ed è del febbraio 2012;
          risorse per la realizzazione dell'infrastruttura potrebbero essere reperite anche nell'ambito dei fondi europei;
          il prolungamento della M5 da Bignami sino a Nord di Monza, al confine con Lissone, significherebbe tra l'altro anche la copertura con il servizio di trasporto di massa di un altra area densamente urbanizzata, cioè il comune di Cinisello Balsamo;
          questa linea contribuirebbe notevolmente a ridurre il traffico privato e l'inquinamento non solo in Monza e Cinisello, ma anche nelle zone periferiche nord di Milano  –:
          se il Ministro non intenda avviare le procedure per affrontare lo sviluppo della M5 di Milano sino a Monza, Lissone-Muggiò come priorità per il dopo Expo 2015. (5-04392)


      ZOLEZZI, SEGONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          al chilometro 113,200 della strada statale n.  4 Salaria si ergono 13 piloni in cemento realizzati allo scopo di collegare attraverso uno svincolo, il nuovo tratto stradale della Salaria con la strada che porta al comune di Micigliano in provincia di Rieti. L'attuale opera per imponenza e caratteristiche copre completamente alla vista l'Abbazia benedettina di Santi Quirico e Giulitta, del X secolo, distante circa trenta metri dal nuovo impianto infrastrutturale;
          la zona per la sua rilevanza è sottoposta ad una serie di vincoli di carattere ambientale e paesaggistico: l'Abbazia, sottoposta a vincolo diretto e diffuso ai sensi del decreto legislativo n.  42 del 2004, e il cantiere stradale sono a ridosso di due grandi aree ZPS-SIC (ZPS IT6020005 Monti Reatini ZPS SIC IT 6020013 Gole del Velino), distanti tra di loro poche centinaia di metri, e di una grande area ritenuta importante per l'avifauna; l'area è altresì soggetta a vincolo paesaggistico apposto con decreto ministeriale 23 luglio 2010;
          considerata l'importanza e singolarità dell'abbazia per le sue valenze monumentali e paesaggistiche, il comune di Micigliano negli anni del Giubileo si prodiga e ottiene i fondi per il restauro ed il rilancio turistico del monumento religioso e dopo un lungo periodo di degrado ne viene avviata la completa ristrutturazione, ma, con la legge obiettivo, si predispone un piano di adeguamento della piattaforma stradale proprio all'altezza dell'abbazia;
          l'opera ribattezzata «l'otto volante», per le estreme dimensioni, sproporzionate rispetto alle reali necessità del traffico locale, rientra nel più vasto progetto di riqualificazione di un tratto di 3 chilometri della Salaria funzionale alla rettifica dell'attuale impianto stradale. Il Ministero delle infrastrutture e trasporti autorizzava i lavori che la società Anas appaltava all'impresa SAFAB spa, in data 13 novembre 2007;
          transitandovi, sono ben visibili i tredici piloni di cemento armato che si alzano al cielo a 30 metri dall'abbazia di Santi Quirico e Giulitta, costata 3,5 miliardi di vecchie lire nel Giubileo 2000, per costruire, in zona protetta, uno svincolo a tre uscite per il comune a più bassa densità abitativa della provincia (140 abitanti);
          nonostante il ricorso presentato al Tar Lazio dalla società Anas Spa contro il Ministero dei beni e le attività culturali (rg. n.  11137 del 2010), il 5 maggio 2010 viene emesso da parte della soprintendenza ai beni architettonici del Lazio nei confronti della Safab spa l'ordine di sospensione dei lavori e ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi degli «articoli 28, 160, 169 del decreto legislativo n.  42 del 2004, indirizzata unitamente al Nucleo Tutela del Patrimonio culturale dei Carabinieri di Roma e Antrodoco»;
          nella risoluzione in Commissione 7-00675 presentata il primo agosto 2011 l'onorevole Zamparutti segnala che «la ditta beneficiata dell'appalto, Safab spa, è stata oggetto di un'ostativa antimafia dalla prefettura di Roma nel novembre 2009 ed il ricorso proposto avverso la citata informativa antimafia e i conseguenti recessi dai contratti è stato respinto dal Tar Lazio – sezione 1-ter, con sentenza n.  3458 del 24 marzo 2011, depositata il 19 aprile 2011; recentemente, il 19 luglio 2011, Consiglio di Stato, sezione III, Nr. 4360, ha respinto, come già il Tar, il ricorso della Safab, nuova società derivante dalla precedente dopo che tre amministratori e un dipendente, vennero estromessi perché arrestati, avverso le informative antimafia emanate nei suoi confronti dalla prefettura di Roma (n.  220406, 220617 e 22654 del 23 novembre 2010)»;
          in un convegno del 5 maggio 2009 cui aderiscono Legambiente, Fai, WWF, Cai, Mountain Wildemess, ed Anisa (associazione nazionale insegnanti storia dell'arte), Italia Nostra propone un'alternativa per limitare i danni: un rettifilo con due semplici stop «a raso», il tutto con uno studio su popolazione, traffico e residenti realizzato dall'ingegnere Aldo Riggio docente di tecnica urbanistica a contratto dell'Università Tor Vergata di Roma, con l'intervento di Carlo Cecere ordinario d'ingegneria alla Sapienza di Roma;
          risulta ad oggi che non sia stata avviata alcuna opera di demolizione per il ripristino ambientale e paesaggistico. Le uniche operazioni di rilievo riguardano la copertura dei piloni in cemento con inerti ottenuti dallo scavo di una galleria distante pochi chilometri dallo svincolo in realizzazione. Tale operazione non può essere ritenuta congrua, visto che il riempimento della sopraelevazione condurrebbe, necessariamente, alla totale chiusura visiva dell'antica abbazia  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno valutare l'opportunità di revocare ogni autorizzazione, contratto o affidamento dei lavori di realizzazione del progetto di modifica del tratto stradale in questione, procedendo alla revisione del progetto e, comunque, adottando ogni intervento necessario all'effettivo ripristino dei luoghi al fine di attenuare la gravità del danno e ricondurre l'assetto dell'area alla situazione originaria, compatibile con il contesto ambientale paesaggisticamente tutelato e con la salvaguardia e la valorizzazione dell'abbazia. (5-04393)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'autorità portuale di Civitavecchia ha comunicato che dal 1o gennaio 2015 entreranno in vigore tasse portuali maggiorate, con aumenti compresi fra il 58 e il 200 per cento rispetto al 2014;
          l'aumento avrà impatti negativi sui flussi turistici verso la Sardegna: ogni passeggero nel 2015 spenderà, infatti, 9,5 euro contro i 6 del 2014, mentre per i pezzi privati, (auto, moto e camper) la nuova tariffa portuale sarà di 8 euro, invece che di 5 euro;
          i bus pagheranno ben 15 euro invece che 5: costi aggiuntivi sono equiparabili a una sorta di «tassa di sbarco» che non ha confronti con gli altri porti italiani, sardi compresi, o con quelli corsi;
          a Cagliari è applicata una «tassa portuale» di 3,15 euro per il passeggero (1,68 di tariffa più 1,45 di diritti di security), di 1,94 + 1,21 euro per le auto, un euro e 60 centesimi per le moto (0,77 + 0,83) e di 3,08 euro per gli altri mezzi (2,58 + 0,50). I costi sono da tre a cinque volte inferiori rispetto a quelli di Civitavecchia;
          sono ancora più basse le tariffe di Porto Torres nel 2014 (e non dovrebbero variare l'anno prossimo): 2,40 euro per passeggero (1 euro di tariffa più 1,40 di security), auto 0,7 euro + 1,70, camper e bus 0,40 + 2 euro, un euro e 10 centesimi (0,30 + 0,80) per le moto;
          a Olbia nel 2015, in caso di solo imbarco, la tassa sarà esattamente la metà (4,25 euro) di Civitavecchia per il passeggero, poco più della metà per moto e auto (4,25 e 4,15 euro), meno della metà (3,15 euro) per i camper, neppure paragonabile la tassa per i bus (2,25 euro). In caso di imbarco e sbarco (tratte di andata e ritorno da e per Olbia), le tariffe si riducono dal 40 per cento al 60 per cento: passeggeri 2,65 euro, auto e moto 2,25 euro, camper 1,25, bus 1,45;
          per quanto riguarda la penisola, molti dei porti sul Tirreno collegati con la Sardegna vantano tariffe di gran lunga inferiori allo scalo laziale. A Genova le tariffe sono ridotte di quasi il triplo, sia in «bassa stagione» (passeggero 3,21 euro, auto, camper e moto 3,96, bus 0,67) sia in estate (passeggero 3,92 euro, auto, camper e moto 5,09, bus 1,05). La tassa imposta dalle stazioni marittime toscane è ancora più contenuta: il passeggero paga 2,25 a Livorno, 2 euro a Piombino, la tassa sull'auto è 3,27 euro a Livorno, 3,10 a Piombino, quella su moto e camper, 4,51 a Livorno, 3,10 a Piombino, i bus pagano poco meno di due euro a Livorno e 8 euro a Piombino;
          per quanto riguarda la Corsica, la tassa sui passeggeri è di 1,82 euro a Bastia e 2 euro a Bonifacio, sull'auto 4,35 a Bastia e 2,13 a Bonifacio, sui camper 4,96 euro a Bastia e 3,84 a Bonifacio, sulle moto 8,25 euro (unica tariffa simile a Civitavecchia) e 4,41 a Bonifacio, sui bus 1,93 euro a Bastia e 1,70 a Bonifacio. In Corsica è prevista anche una tassa regionale «di sbarco», di 4,57 euro a Bastia e di 1,52 a Bonifacio;
          a fronte delle tariffe esorbitanti imposte dallo scalo laziale, si registrano servizi carenti, se non inesistenti, che vanno a ricadere interamente sui passeggeri, in particolare quelli sardi  –:
          se non ritengano ingiustificati gli aumenti decisi dall'autorità portuale di Civitavecchia che rischia, con la sua politica, di penalizzare ancora di più i viaggiatori sardi, già pesantemente colpiti in questi anni dall'aumento delle tariffe dei traghetti da e per l'isola;
          quali azioni intendano intraprendere affinché le tasse portuali di Civitavecchia siano riportate ai livelli del 2014, evitando così un aumento ingiustificato che non ha confronti con gli altri porti italiani, sardi compresi, o con quelli corsi;
          quali provvedimenti vogliano adottare per impedire che le rotte sarde, soggette a continuità territoriale, siano colpite da aumenti che inficiano le riduzioni previste per i residenti;
          quali misure vogliano assumere affinché il porto di Civitavecchia abbia servizi, oggi carenti se non inesistenti, in grado di competere con altri scali marittimi europei delle stesse dimensioni, anche attraverso una politica tariffaria che non sia punitiva nei confronti dei passeggeri nelle rotte soggette a continuità territoriale. (5-04386)


      FRUSONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          dal 2008 a oggi sarebbero diversi i crolli improvvisi, avvenuti presso i caselli autostradali dovuti, secondo gli inquirenti, anche a modifiche «fraudolente di disegni progettuali, soprattutto nella parte relativa alle saldature delle pensiline», così da «ovviare alle ripetute contestazioni di non conformità dei lavori»;
          la maxi inchiesta sui cantieri parte su impulso delle dichiarazioni di un ex dipendente di una delle società coinvolte (riconducibile all'imprenditore Mario Vuolo) messe a verbale dalla direzione investigativa antimafia di Milano. In particolare, fa riferimento al casello di Cherasco che, nel dicembre 2008, crolla sotto il peso della neve. Vengono fuori, a seguire, episodi ripetuti di cedimenti strutturali ai caselli, che riguardano la caduta di pannelli, tettoie, cartellonistica o impalcature in ferro. Tra cui quelli di Capannori sulla Firenze-Mare, Firenze Nord e Valdarno sull'autostrada del Sole e Rosignano sulla Rosignano-Civitavecchia erano stati realizzati in maniera irregolare;
          le rivelazioni fanno scattare a raffica una serie di perquisizioni in mezza Italia, da Firenze alla Campania passando per Roma, con il risultato di nove indagati e un capo d'accusa (attentato alla sicurezza dei trasporti per aver utilizzato manodopera non qualificata, materiale scadente o per non aver rispettato le procedure nella realizzazione delle opere);
          fra le imprese su cui sono in corso accertamenti ci sono la Carpenfer di Roma, la Patm e la Costruzioni Travi Elettrosaldati Srl, tutte riconducibili alla famiglia Vuolo. Secondo il testimone, un ex carabiniere assunto come responsabile alla sicurezza della Carpenfer, le aziende che vincevano gli appalti per i lavori in autostrada venivano «convinte» a subappaltare una serie di opere ad alcune ditte tra cui Carpenfer, Patm e Cte;
          Mario Vuolo è un imprenditore di Castellammare di Stabia con precedenti penali alle spalle e sospetti legami con il clan camorristico D'Alessandro. Il figlio di Mario Vuolo, Pasquale detto «Capa storta» viene definito «figura emergente del clan» e la nuora è figlia di un affiliato di spicco della cosca D'Alessandro. Hanno iniziato a fornire materiali per caselli e ponti autostradali sotto il nome di Carpenteria metallica, che ha chiuso i battenti in fretta e furia dopo avere ricevuto lo stop del prefetto per condizionamenti della camorra. Dalle ceneri della Carpenteria metallica nasce la Carpenfer Roma, che realizza il ponte ciclopedonale di Cinisello Balsamo e la pensilina di Cherasco, il primo a rischio crollo e posto sotto sequestro dalla magistratura, la seconda crollata come una castello di sabbia. Partono le indagini delle Procure di Monza e di Alba, e nel frattempo viene costituita un'altra società che si occupa di posizionare le strutture realizzate dalla gemella Carpenfer. I Vuolo quindi continuano a lavorare sotto l'insegna Ptam Costruzioni, pur non figurando tra i soci. I proprietari ufficiali sono la moglie di Mario Vuolo e, fino a giugno 2012, l'architetto Pino Celotto che nel giugno 2012 lascia la Ptam, si dimette dalla carica di amministratore e cede le quote alla signora Vuolo;
          gli inquirenti hanno raccolto prove della presenza di «ingenti capitali di dubbia provenienza e tentativi sistematici di corrompere i rappresentanti degli enti committenti»;
          le aziende subappaltanti avrebbero infatti utilizzato materiale scadente e manodopera non qualificata, o non avrebbero rispettato le procedure nella realizzazione delle opere;
          secondo quanto ricostruito dagli investigatori, gli imprenditori avrebbero tentato di corrompere alcuni rappresentanti degli enti committenti per ottenere delle modifiche fraudolente dei disegni progettuali, soprattutto nella parte relativa alle saldature delle pensiline;
          un modo, questo per ovviare alle ripetute contestazioni di non conformità dei lavori da parte delle varie stazioni appaltanti, e l'esistenza di diversi procedimenti penali relativi alla cattiva esecuzione delle opere pubbliche realizzate;
          il 6 novembre 2013 è stato sequestrato, su ordine della procura della Repubblica di Roma, il cavalcavia dell'A1 nei pressi del casello di Ferentino (FR), aperto solo quattro anni fa. La magistratura vuole vederci chiaro su alcuni «presunti vizi costruttivi dell'opera»  –:
          di quali informazioni disponga il Ministro interrogato in merito ai fatti descritti e se questi corrispondano al vero;
          come sia possibile che dei pregiudicati abbiano potuto realizzare appalti pubblici;
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, necessario ed urgente adottare un sistema di valutazione più efficace riguardante le fasi di progettazione e aggiudicazione delle opere, volto a garantire la sicurezza degli automobilisti;
          se il cavalcavia costruito nei pressi del casello di Ferentino e posto sotto sequestro possa essere in qualche maniera riconducibile alle già citate società sottoposte ad accertamenti. (5-04396)


      PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la nave Dimonios, la gemella di Norman Atlantic svolge il servizio di continuità territoriale sulle rotte sarde della Tirrenia;
          si tratta ancora una volta sulla continuità territoriale del gioco dei noleggi tra Balcani e Sardegna;
          il Governo deve porre immediatamente fine al traffico delle navi a noleggio e le compagnie che svolgono servizio pubblico abbiano navi proprie e sotto verifica costante;
          è sempre più evidente e fuori controllo il traffico delle navi a noleggio per svolgere un servizio pubblico di continuità territoriale da e per la Sardegna;
          navi gemelle della Norman Atlantic usate sulle rotte della Sardegna con riscontri simili degli organismi internazionali sulla sicurezza antincendio, certificati mancanti e indefiniti;
          sulla continuità marittima della Sardegna, oltre a 72 milioni di euro per pagare un servizio secondo l'interrogante vergognoso, si continua a registrare una situazione indefinita di noleggi e tratte che vengono svolte con mezzi occasionali e come risulta dalle verifiche internazionali non sempre in regola;
          nel silenzio generale si fa finta di non vedere questo traffico di noleggi di navi che vengono gestite stagionalmente su rotte delicate e onerate da servizio pubblico da una compagnia, la Tirrenia, che anziché disporre di proprie navi continua a mettere in campo una sequela di noleggi senza precedenti;
          il caso più eclatante è quella della nave Dimonios, gemella della ex Scintu e poi Norman Atlantic, in servizio alternato da Cagliari per Palermo e Napoli;
          si tratta di due navi con una storia che per molti versi coincide a partire dalla loro vicinanza nella cosiddetta Frottola Sarda;
          stesso cantiere, stessa sorte di navi da noleggio, e poi stesse verifiche. In questo caso ci sono due date che emergono su tutte;
          secondo quanto riporta EMSA, organismo europeo incaricato di un sistema di controllo dei traghetti RoRo e unità veloci da passeggeri il 13 dicembre del 2013 a Cagliari la Dimonios è stata sottoposta ad una verifica nella quale sono state rilevate 3 carenze: 2 Rilievi Sicurezza Antincendio (cod. 07109) con il fuoco fisso installazione di estinzione definito «Non come richiesto»; e un rilievo Salvataggio (cod. 11118 – giubbotti di salvataggio) – «Non come richiesto»;
          a questo si aggiunge che il sito dell'EMSA lascia indefinito il certificato sicurezza nave passeggeri rilasciato in Italia il 10 agosto del 2013 e che risulta, secondo il sito europeo di sicurezza navale, scaduto il 9 settembre del 2014;
          risulterebbero superate nell'ultima verifica solo le carenze richiamate nel sopralluogo ispettivo del 2013 mentre ad oggi non sarebbe presente il certificato sicurezza nave;
          tutto questo deve indurre non solo ad immediate e urgenti spiegazioni ma soprattutto a urgenti e reiterate verifiche sulla sicurezza di queste navi a noleggio, proprio perché l'incertezza gestionale e l'alternarsi di soggetti noleggiatori crea non poca incertezza nell'intero sistema del trasporto marittimo;
          è inaccettabile che per 72 milioni di euro che ogni anno lo Stato spende per la continuità territoriale si debba accettare il via vai di navi a noleggio, in entrate e uscita;
          dalla Dimonios alla Bonaria, dall'Amsicora al tentativo sventato della Moby Tommy il traffico dei noleggi sulle rotte della Sardegna è inaccettabile;
          tutto questo deve finire perché non è accettabile che la Sardegna sia legata a navi a noleggio per un servizio che dovrebbe essere costante sia nella qualità che nella stessa tipologia di mezzi;
          servono subito ispezioni e verifiche e soprattutto impedire che una compagnia marittima, in questo caso la Tirrenia, possa svolgere un servizio pubblico come la continuità territoriale senza avere proprie navi efficienti e adeguate al collegamento della Sardegna con il resto del continente;
          Dimonios, traghetto della società marittima Visemar di Navigazione, costruito nel 2007 nel Cantiere Navale Visentini, commissionato dalla Stena Line ha già cambiato numerosi noleggiatori;
          prima alla Baleària con il nome di Borja Dos per coprire la rotta Valencia- Palma di Maiorca, poi nel 2009 noleggiato alla compagnia di navigazione T-Link lines per la gestione della rotta Genova Voltri – Termini Imerese nel progetto «autostrade del mare» rinominandolo con il nome di T Rex Uno, servizio terminato nel 2011 per fallimento della società marittima italiana;
          nel maggio del 2011 viene noleggiato dalla regione Sardegna tramite la controllata società marittima Saremar e rinominata Dimonios;
          il traghetto è stato impegnato dal 22 giugno 2011 al 15 settembre 2011 sulla tratta tra Porto Torres e Vado Ligure e dal 16 gennaio 2012 sulla tratta Olbia-Civitavecchia insieme al traghetto gemello Scintu;
          nell'autunno 2012 scaduto il contratto con la regione Sardegna la nave viene noleggiata brevemente dalla società Grandi navi veloci per rimpiazzare le proprie unità in manutenzione;
          nel dicembre 2012 viene noleggiata con un contratto di cinque anni con opzione d'acquisto dalla Tirrenia-CIN per inserirla sulle rotte Napoli-Cagliari – Palermo-Trapani, in seguito alla vendita del traghetto Toscana;
          è impensabile che tutto questo avvenga con la totale acquiescenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che continua a consentire alla Tirrenia operazioni come quelle descritte;
          la Tirrenia continua a incassare i soldi dello Stato, 72 milioni, e continua a fornire un servizio ridimensionato nelle rotte e frequenze e sempre più approssimativo con la strategia dei noleggi di comodo  –:
          se e come intenda il Governo far cessare immediatamente la gravissima gestione a noleggio delle tratte della continuità territoriale della Sardegna che mira alla radice la stessa efficienza e continuità del servizio;
          se e come intenda intervenire per verificare che i certificati siano tutti vigenti;
          se e come sia stato possibile che la nave Dimonios abbia operato nel 2013 nonostante i rilievi mossi sul piano della sicurezza;
          se il Governo intenda chiarire quale sia il numero delle navi a noleggio sulle rotte da e per la Sardegna e il loro singolo costo, compreso l'armatore che noleggia;
          se non intenda revocare urgentemente la convenzione alla Tirrenia per la palese inefficienza della continuità territoriale a partire dalla gravissima riduzione delle rotte da e per la Sardegna, avvenuta a seguito di dichiarazioni sui propri bilanci poi verificatesi non corrispondenti alla reale situazione economica. (5-04401)


      TRIPIEDI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, BALDASSARRE, BECHIS, RIZZETTO, DELL'ORCO, CRISTIAN IANNUZZI, DE LORENZIS, LIUZZI e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di gennaio 2014, ENAV (Ente nazionale per l'assistenza al volo), Spa comunicava disdetta del vigente CCNL Trasporto Aereo con efficacia dal 31 dicembre 2014 e conseguente entrata in vigore del nuovo contratto dal 1o gennaio 2015, a tutte le associazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo del 23 marzo 2012, per il personale dipendente della stessa azienda;
          con lettere del 6 e 30 giugno 2014, raccogliendo oltre 1600 sottoscrizioni, la Federazione ATM-PP (ANPCAT, LICTA e CILA, ora UNICA) richiedeva un referendum per l'approvazione del contratto collettivo del settore trasporto aereo;
          successivamente all'accordo raggiunto in data 16 luglio 2014 presso il Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti, le Confederazioni FILT-CGIL, FIT-CISL, UIL-T e UGL-T richiedevano il referendum approvativo di cui sopra;
          il vigente accordo interconfederale fra Confindustria e CGIL, CISL e UIL del 28 giugno 2011, modificato in data 10 gennaio 2014, indica che sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano nel settore una rappresentatività non inferiore al 5 per cento;
          i sindacati APCAT, LICTA e UNICA, essendo ancora in vigore il CCNL ENAV sottoscritto in data 23 marzo 2012 ed avendo legittime rappresentanze sindacali superiori al 5 per cento stabilito all'interno dell'azienda, chiedevano più volte di poter far parte delle varie commissioni elettorali. Tale richiesta non è mai stata accolta;
          nonostante nello stesso accordo sia indicato che Confindustria, CGIL, CISL e UIL si impegnano ad attenersi all'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, applicandone compiutamente le norme e a far sì che le rispettive strutture, a tutti i livelli, si attengano a quanto concordato nel suddetto accordo Interconfederale, i sindacati UNICA, LICTA e APCAT non sono stati ammessi al referendum;
          in data 16 luglio 2014, presso la sede del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di piazzale Porta Pia a Roma, si è tenuto un incontro con le organizzazioni sindacali CILA-AV (ora UNICA), LICTA, ANPCAT e la Società ENAV s.p.a., presieduto dal sottosegretario Del Basso De Caro, per affrontare le problematiche sottese alla proclamazione di uno sciopero indetto dalla CILA-AV per il giorno 20 luglio 2014. Dall'incontro è emersa la necessità di istituire un tavolo di confronto tecnico-istituzionale sulle problematiche sollevate dalle suddette organizzazioni sindacali. Il Sottosegretario di Stato ha peraltro chiesto di promuovere un chiarimento in ordine ai criteri di rappresentatività aziendale e di settore e, sulla premessa che il contratto sottoscritto in data 27 maggio 2014 entrerà in vigore il 1o gennaio 2015, ha auspicato che gli istituti di democrazia partecipata (referendum) di cui all'accordo interconfederale già sottoscritto, venissero attivati in epoca largamente anteriore alla data in entrata in vigore del nuovo contratto;
          in data 2 dicembre 2014, i sindacati UNICA, LICTA e APCAT, tramite comunicato scritto, richiedevano incontro urgente al Presidente di Assocontrol, al Presidente del Consiglio di amministrazione di ENAV SpA, alle segreterie nazionali di FILT-CGIL, FIT-CISL, UIL-T e UGL-T. Tale richiesta non ha mai avuto risposta;
          in data 5 dicembre 2014, è stata inviata una diffida al Comitato nazionale per il referendum in cui si richiedeva differimento della consultazione per consentire una partecipazione anche dei sindacati dissenzienti;
          sempre in data 5 dicembre 2014, ENAV, tramite comunicato scritto, affermava che le attività organizzative dei referendum sono di esclusiva competenza delle organizzazioni sindacali promotrici e che la commissione elettorale autonomamente costituita dalle organizzazioni sindacali promotrici è l'organo competente a dirimere eventuali controversie. Nonostante i sindacati UNICA, LICTA e ANPCAT abbiano partecipato e sottoscritto il CCNL attualmente in vigore ed abbiano, all'interno dell'azienda, rappresentanze sindacali legittimamente costituite, sono stati estromessi dal tavolo;
          nelle giornate del 9, 10, 11, 12, 13 e 15 dicembre 2014 si è tenuto il referendum per l'approvazione delle intese sottoscritte il 2 agosto 2013, del nuovo CCNL trasporto Aereo, parte generale, e servizi ATM (Assocontrol, Assaereo, Assocatering e Assoaeroporti), parte specifica;
          in data 10 dicembre 2014, tramite un comunicato del sindacato UNICA rivolto al direttore generale di ENAV, al Comitato nazionale Referendum e ad Assocontrol (unione delle aziende ENAV S.p.A., SICTA e Techno Sky S.r.l.), veniva chiesto perché dalla contrattazione e dalla consultazione referendaria sia stato escluso il personale dell'azienda Techno Sky S.r.l.. Tale richiesta non ha mai avuto risposta;
          svariati esposti e diffide sono state depositate dai legali dei rappresentanti dei sindacati UNICA, LICTA e APCAT, a causa delle numerose irregolarità tenutesi prima, durante e dopo il referendum sopra indicato;
          sono stati depositati esposti presso le competenti autorità di polizia di Bergamo (10 dicembre), Milano (11 dicembre), Venezia (11 dicembre), Palermo (12 dicembre) e Fiumicino (12 dicembre), dove veniva denunciata la mancata partecipazione e controllo dell'espletamento del referendum finalizzato all'approvazione del CCNL, settore trasporto aereo, dai lavoratori delle sigle sindacali UNICA, LICTA e APCAT, in netto contrasto con quanto riportato dal sopra citato vigente accordo interconfederale fra Confindustria e CGIL, CISL e UIL;
          in un ulteriore esposto depositato presso la sezione di Bologna in data 16 dicembre 2014, quindi successivo al referendum svolto, veniva denunciata l'esclusiva pianificazione pratica del referendum di esclusiva pertinenza delle organizzazioni sindacali confederali CGIL, CISL, UIL e UGL;
          la mancata comunicazione con congruo anticipo ai lavoratori delle diverse aziende interessate degli orari di svolgimento del referendum e il fatto che ai dipendenti ENAV non fosse stato ufficialmente comunicato nulla; il 15 dicembre 2014, nella sede di Bologna, i seggi avrebbero dovuto aprire alle ore 9 e non alle 10 e chiudere alle 14 e non alle 12 come effettivamente accaduto, con la conseguenza di ledere il diritto al voto di diversi lavoratori che per problemi di turnazione e mancato avviso hanno perso l'opportunità di votare; a molti lavoratori non è stata richiesta l'esibizione di un documento di identità al momento del voto, cosa espressamente prevista dal regolamento, a cui è stato invece chiesto di apporre una firma accanto al proprio nome su di una lista di dipendenti che risultava essere, dal secondo giorno di consultazione, diversa da quella del primo giorno con la conseguenza che chi aveva votato il primo giorno, avrebbe potuto farlo anche il secondo, anche in diversa sede; ai rappresentanti dei sindacati non ammessi al tavolo, è stato negato di poter assistere allo scrutinio in qualità di semplici osservatori;
          in data 19 dicembre 2014, UNICA comunicava che, insieme a LICTA e ANPCAT, in riferimento al referendum approvativo del CCNL Trasporto Aereo e servizi ATM, aveva formalmente presentato ricorsi che contestavano il risultato e ne richiedevano l'annullamento e diffidavano Assocontrol ed Enav, in particolare, dal voler applicare il nuovo CCNL ai propri dipendenti;
          in una diffida legale datata 19 dicembre 2014, sempre i rappresentanti sindacali di UNICA, LICTA e ANPCAT, confermavano e denunciavano ulteriori irregolarità verificatesi nel corso del referendum in questione, quali la sola partecipazione al comitato elettorale del fronte del Sì; la presenza di urne non sigillate e lasciate incustodite; la possibilità di votare in ogni seggio senza che il nominativo del votante fosse spuntato regolarmente dall'elenco generale con l'ovvio rischio di voti doppi; il cambiamento degli orari di votazione in alcune sedi senza adeguato preavviso; la circostanza piuttosto anomala che aumenta i sospetti di uno svolgimento non corretto del referendum, legata al fatto che non vi sia stata una sola scheda contestata; l'assenza di certificazione del referendum;
          sempre in un ricorso depositato successivamente al referendum dai legali dei sindacati UNICA, LICTA e ANPCAT, veniva altresì denunciato in diverse sedi preposte e senza alcun preavviso, non si sono svolte le votazioni; in diversi casi, apposti sulle urne in maniera leggibile per i votanti, vi erano manifesti che invitavano a votare per il Sì; l'Azienda e i sindacati confederali CGIL, CISL, UIL e UGL, promotori per l'approvazione del suddetto referendum, hanno invitato a votare Sì, organizzando più incontri con i lavoratori; qualsiasi organizzazione sindacale o associazione di lavoratori contraria a detto referendum è stata esclusa da ogni comitato elettorale; si ricordava che ai sensi dell'articolo 21 della legge 300 del 1970, le competenze referendarie sono attribuite alle rappresentanze sindacali esistenti in azienda; il referendum non risultava avere alcuna certificazione; risultava non esistere il numero certo di schede stampate e consegnate ai singoli seggi; nei dati regionali pubblicati non vi è stato il reale conteggio di tutti i voti come, ad esempio, nella regione Sardegna, dove gli aventi diritto al voto effettivi sono risultati essere 90 e non 68 come indicato. Ciò dovuto al fatto che non sono state considerate le schede della sezione di Alghero dove 18 avrebbero votato NO, 3 Sì e un lavoratore non avrebbe espresso il proprio voto, con la conseguenza che il dato regionale andrebbe modificato in 60 NO, 16 Sì e 14 non votanti;
          l'esito finale del referendum ha visto prevalere il Sì con 30 voti di scarto rispetto al NO, per un totale di 1346 NO, 1316 Sì, 5 schede bianche, 6 nulle e nessuna contestata  –:
          se il Ministro ritenga, alla luce delle circostanze descritte in premessa, che gli auspici del Sottosegretario Del Basso De Caro, formulati nell'incontro del 16 luglio 2014, abbiano avuto un seguito;
          quali iniziative per quanto di competenza si intendano assumere per pervenire a un chiarimento sui criteri di rappresentatività aziendale e di settore con riferimento alle organizzazioni sindacali. (5-04404)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          Trenitalia nei mesi scorsi aveva promesso vari interventi di miglioramento della qualità e quantità dell'offerta di treni da Avezzano a Roma;
          il nuovo orario invernale ferroviario era il momento in cui concretizzare i vari impegni assunti anche con la regione Abruzzo e in particolare con il presidente della giunta regionale nonché assessore regionale ai trasporti;
          la delusione è stata grande nel vedere che nessun miglioramento è stato deciso;
          in particolare il Ministro interrogato aveva promesso di attestare almeno un treno dei pendolari marsicano nella stazione di Roma Termini (per i pendolari abruzzesi l'ingresso a Roma Termini è precluso, mentre per i pendolari di Guidonia lo spazio per entrare a Roma Termini è stato trovato, nonostante il loro viaggio verso Roma sia molto meno gravoso di quello dei pendolari marsicani);
          inoltre, non si è prodotto nessun utile confronto con la regione Lazio per consentire tracce orario più veloci per alcuni treni abruzzesi in ingresso a Roma e in uscita da Roma, e per individuare anche soluzioni più idonee per gli incroci dei treni Avezzano Roma nel tratto Tivoli Roma  –:
          se non intenda assumere iniziative di competenza per evitare l'attuale immotivata penalizzazione dei treni marsicani verso Roma, per l'eccessivo tempo di percorrenza, per la pessima qualità del materiale rotabile utilizzato e per il divieto di accesso alla stazione Termini. (4-07424)


      MOLTENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          dal 1° gennaio 2015, il pedaggio sull'autostrada A9, al casello di Fino Monasco è aumentato dell'11,5 per cento, passando da 0,70 a 0,80 euro;
          per un altro anno i cittadini sono vessati dal generale rincaro dei pedaggi autostradali che già hanno subito un aumento medio del 3,9 per cento dal 1° gennaio 2014;
          eppure il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti aveva assicurato sulla stampa che gli aumenti del 2015 non sarebbero stati superiori all'1,5 per cento;
          l'aumento dei pedaggi, sulla A9, di molto superiore alla media nazionale, penalizza e discrimina soprattutto i lavoratori pendolari che percorrono anche due volte al giorno il casello di Fino Monasco, ed è una somma eccessiva e insostenibile per i cittadini, soprattutto se si pensa che in tanti oggi usano il casello di Fino Monasco per «sfuggire» a quello di Grandate, che è uno dei più cari d'Italia;
          la Milano Como è l'autostrada più cara d'Italia, con un pedaggio di 8 euro andata e ritorno per 34 chilometri, e l'aumento deciso dal Governo con il «blitz» di fine anno rappresenta un fattore di freno per lo sviluppo del Paese, anche perché l'aumento interessa un'autostrada dove si veicola ricchezza e produzione che maggiormente contribuiscono al prodotto interno lordo nazionale;
          per i pendolari del Nord, che si sentono vessati dai rincari insopportabili dei pedaggi, risulta ovvio e inaccettabile il paragone con la totale assenza di pedaggi sulle autostrade e raccordi gestiti dall'Anas Spa, come il grande raccordo anulare di Roma, l'A91 Roma-aeroporto Fiumicino, l'A19 Palermo-Catania, l'A18 diramazione di Catania, il RA 15 tangenziale ovest di Catania, e l'A3 – Salerno-Reggio Calabria che, come è noto, costa allo Stato oltre 10 miliardi di euro e si prevede senza pedaggio; i costi del mancato pedaggio su tali autostrade ricade sulla fiscalità generale e viene pagato soprattutto dai contribuenti del Nord che maggiormente concorrono alla finanza statale;
          peraltro, gli aumenti dei pedaggi determinano un aumento generale del costo del trasporto delle merci che si presenta come quello più alto in Europa, superando abbondantemente la soglia di 1,5 euro per chilometro, mettendo in crisi la competitività del Nord e dell'intero Paese  –:
          se il Ministro non intenda chiarire i motivi del rincaro del pedaggio sull'A9, e se intenda assumere le opportune iniziative per rivedere gli incrementi dei pedaggi e revocare l'aumento insostenibile del pedaggio al casello di Fino Monasco. (4-07429)


      MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la società concessionaria delle autostrade A24 e A25 che collegano l'Abruzzo a Roma ha preannunciato l'ennesimo rincaro delle tariffe ben oltre il tasso di inflazione come ormai fa da molti anni a questa parte sta determinando un grave danno agli utenti abruzzesi e laziali;
          questi rincari sono ingiustificati anche in considerazione dello stato della infrastruttura;
          da anni si aspetta che venga costruita una stazione di servizio tra Chieti e Avezzano visto che per quasi 100 chilometri non c’è alcuna struttura per il rifornimento di carburanti e per servizi di necessità  –:
          se non ritenga doveroso intervenire al fine di evitare un ulteriore «salasso» per l'economia e i cittadini abruzzesi e laziali. (4-07434)


      LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          quanto si apprende da nota diffusa dalla FIT CISL MARCHE l'aeroporto di Ancona Falconara, infrastruttura imprescindibile e fondamentale per l'economia di tutto il territorio regionale, sarebbe stato inserito dall'ENAV (Ente nazionale assistenza al volo) nel gruppo di aeroporti definiti «a basso traffico» insieme a Perugia, Grottaglie, Lampedusa, Brescia, e altri, e su tale premessa, è stato avviato un programma di ristrutturazione interna con riduzioni di costi, di apparati tecnologici e di personale;
          questo ridimensionamento potrebbe deprimere fortemente le speranze di sviluppo del territorio e minare nelle fondamenta anche il nuovo piano industriale della società di gestione (Aerdorica) e il progetto della regione Marche, intenzionata ad investire circa 20 milioni di euro per determinare lo sviluppo dell'aeroporto con l'obiettivo del raddoppiare in cinque anni il numero dei passeggeri e della quantità di merci;
          il declassamento dell'aeroporto inoltre potrebbe inibire le aspettative di sviluppo legate al progetto della macro regione adriatico-ionica e tutte quelle sinergie di collegamenti e scambi culturali e commerciali, su cui fortemente si stanno impegnando le comunità e le istituzioni locali. Di fatto viene mortificata la realtà locale chiudendo la porta alla valorizzazione che il territorio meriterebbe. A riprova di quello che l'interrogante sostiene, l'ENAV ha avviato un ulteriore programma di dismissione di importanti ausili tecnologici per la fornitura dei servizi alla navigazione aerea nell'aeroporto di Ancona/Falconara (o meglio dell'aeroporto delle Marche);
          nello specifico vengono dismessi: l'ATIS, il servizio automatico di trasmissione delle informazioni utili al pilota per acquisire in modo aggiornato e continuativo i dati meteorologici per l'atterraggio e decollo, fondamentale in caso di condizioni meteo marginali; l'apparato di emergenza delle frequenze di comunicazione; il sistema meteo di riserva che gestisce l'acquisizione e distribuzione di dati temperatura, umidità dell'aria, pressione, vento;
          la dismissione di questi apparati, che sono solitamente ridondanti per ovviare alle pericolose conseguenze in caso di avaria di quelli principali, non comporterebbe nemmeno risparmi economici evidenti, in quanto questi apparati automatici necessitano di una manutenzione trimestrale o semestrale, svolta da personale tecnico già presente in loco (tra l'altro già ridimensionato a giugno 2014 di due unità con profondo disagio per le famiglie dei lavoratori coinvolti);
          a ciò si aggiunge il piano di ristrutturazione dell'ENAV che prevede che i controllori di volo e gli osservatori meteo «esperti» vengano trasferiti negli aeroporti maggiori (ovvero in aeroporti solo classificati di maggiore interesse, ma non necessariamente aventi le caratteristiche strategiche, in termini di traffico merci e passeggeri del nostro aeroporto) e sostituiti, in quantità numericamente ridotta, da personale neo assunto, abilitato a entrambe le funzioni  –:
          quali garanzie di sviluppo e di mantenimento degli standard di sicurezza si possano assicurare per il futuro, in vista di un necessario potenziamento tecnologico/infrastrutturale di cui il citato aeroporto ha urgente necessità, evitando che siano dismessi importanti apparati di sicurezza e che si trasferiscano alte professionalità in altri aeroporti. (4-07435)


      ZARATTI, SCOTTO, AIRAUDO, PLACIDO e PIRAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          come riportato dalla stampa nazionale e locale, poco prima della notte di Capodanno 2015 Groundcare, la principale società di handling aeroportuale di Fiumicino ha avviato le procedure di licenziamento di ben 450 persone;
          peraltro, nonostante le rassicurazioni profuse solo lo scorso 10 dicembre 2014 dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in occasione dello svolgimento della interrogazione a risposta immediata n.  3-01214 sulla vertenza Groundcare e l'obiettivo di favorirne la tutela occupazionale, l'evoluzione della situazione in questione ha avuto purtroppo un epilogo agghiacciante;
          nelle giornate tra il 30 e il 31 dicembre 2014, infatti, sono stati chiamati in massa a firmare la propria lettera di licenziamento circa 450 lavoratori su poco più di 850 complessivi in forza presso la società;
          questi lavoratori si sono recati in una sala della Palazzina Epua di Fiumicino per ritirare la lettera di licenziamento, ma oltre alla firma di quella lettera è stata pure richiesta, per quanto risulta, anche la sottoscrizione di una liberatoria al fine di rinunciare sia al pagamento del mancato preavviso, sia all'esperimento di qualsiasi azione legale rispetto alla mancata selezione del personale da espellere;
          inoltre, la firma sulla liberatoria sembrerebbe stata sollecitata con l'esplicito riferimento in forza del quale, in caso di rifiuto della sottoscrizione, oltre al mancato inserimento nel bacino di ricollocazione, il licenziamento sarebbe stato recapitato successivamente al 1o gennaio 2015, in modo da penalizzare il lavoratore nell'accesso alla mobilità che, come noto, dal 1o gennaio 2015 ha subito una drastica riduzione per effetto dell'entrata in vigore della cosiddetta «Legge Fornero»;
          per quanto risulta, fortunatamente, qualcuno ha anche chiamato la polizia e la liberatoria a quel punto è diventata facoltativa, mentre prima associata di fatto al rilascio della lettera di licenziamento;
          ad avviso degli interroganti non appare possibile che il traffico aeroportuale continui a crescere a dismisura e al contempo si continui a licenziare personale indiscriminatamente  –:
          quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione considerata l'enorme contraddizione tra lo sviluppo del mercato del trasporto aereo italiano e la gravissima situazione occupazionale che sta interessando l'intero comparto aereo-aeroportuale, di cui il caso Groundcare rappresenta purtroppo un caso eclatante e quali iniziative di competenza intenda assumere per consentire la tutela e la protezione sociale delle persone licenziate poco prima della notte di capodanno 2015. (4-07436)


      BERRETTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il comune di Giarre è proprietario e gestore degli alloggi di e.r.p. siti in Giarre in via Carducci, realizzati da parte del comune secondo legge regionale n.  12 del 1952;
          gli alloggi erano di 48 metri quadrati e di 56 metri quadrati e sono stati assegnati ai soggetti collocati utilmente in graduatoria tenendo conto dei requisiti previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 1035/72, in base alla consistenza del nucleo familiare al momento della scelta e consegna dell'alloggio (ex articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 1035/72)
          il complesso edilizio era costituito da due palazzine di 24 alloggi per un totale di 48 alloggi;
          il comune di Giarre con delibera di G.M n. 48 del 4 marzo 2004 ha aderito al bando pubblico della regione siciliana per la realizzazione di programmi innovativi in ambito urbano denominati contratti di quartiere II;
          il suddetto bando approvato con D.A. leggi provinciali del 7 agosto 2003 prevedeva dei finanziamenti per il recupero urbano di contratti di quartiere II al fine di riqualificare edilizia e.r.p. attraverso il miglioramento delle condizioni ambientali, con particolare riguardo agli interventi di edilizia residenziale agevolata e sovvenzionata;
          la determina del dirigente III area n. 222 del 5 agosto 2011 ha approvato il progetto esecutivo ai sensi della legge regionale n. 12 del 2011, per la realizzazione di n. 40 alloggi ERP con annesso Centro Sociale e completamento struttura teatrale;
          a seguito dell'approvazione del progetto esecutivo è stato redatto un bando di gara per pubblico incanto o procedura aperta denominato: «Contratto di Quartiere II Teatro al Carmine: Realizzazione di n. 40 alloggio ERP con annesso centro sociale e completamento della struttura teatrale con annesso disciplinare di gara»;
          in data 18 giugno 2012 tale bando viene affidato alla Sicula Costruzione con una proposta migliorativa che consiste nella realizzazione di 48 alloggi, invece di 40 e della allocazione degli assegnatari in alloggi siti in Mascali frazione Fondachello;
          in data 18 settembre 2012 viene dato il via ai lavori;
          i lavori programmati nel contratto di, quartiere Teatro al Carmine, consistevano nella demolizione dei fatiscenti alloggi di edilizia popolare esistenti in via Carducci (di proprietà comunale) e la realizzazione di nuovi alloggi di edilizia residenziale; realizzazione al piano terra del complesso di edilizia residenziale di un centro sociale a servizio dei residenti del quartiere Carmine; realizzazione di due strade perimetrali laterali al fabbricato, di collegamento con la viabilità esistente e un parcheggio nell'area sud del lotto, tra il nuovo organismo edilizio e la via Teatro; sistemazione del parcheggio a raso di via Teatro e il recupero strutturale dello storico teatro incompiuto (teatro «Nuovo»);
          il comune di Giarre con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 2 marzo 2005 è stato inserito nella graduatoria al numero 24 delle proposte di contratti di quartiere II ritenute ammissibili a finanziamento per un importo complessivo di euro 6.000.000. Inizialmente sono state finanziate le proposte fino al n.  23 di quelle collocate in graduatoria;
          con D.A. leggi provinciali della regione siciliana del 26 febbraio 2007 si è provveduto all'approvazione del piano di recupero del quartiere Carmine del comune di Giarre dove veniva previsto nel progetto la demolizione di 48 alloggi di edilizia residenziale pubblica di via Carducci e la loro ricostruzione, per quanto riguarda tale opere inserita nel progetto di quartiere al Carmine, veniva subordinata alla predisposizione di un piano particolareggiato che doveva essere approvato dal consiglio comunale dell'ente;
          con legge 29 novembre 2007 n.  222, all'articolo 21-bis si è stato previsto uno slittamento della graduatoria ed il conseguente finanziamento di tutti i progetti presentati dei Contratti di Quartiere II;
          l'ente comunale con nota del 28 marzo 2008 prot. 8709 inviata al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e alla regione siciliana assessorato ai Lavori pubblici ha ribadito la volontà di ottenere il finanziamento del Contratto di Quartiere II Teatro al Carmine;
          il comune di Giarre è stato ammesso al finanziamento; in data 8 marzo 2011 il protocollo di intesa con Ministero delle infrastrutture e con decreto del 21 dicembre 2012 della regione siciliana ha determinato l'impegno di spese a carico della regione;
          in data 8 aprile 2010 è stato effettuato avviso pubblico per l'affidamento dei servizi di progettazione definitiva dei lavori di realizzazione n. 48 alloggi di e.r.p.;
          la redazione del progetto di esecutivo veniva affidato alla Litos progetti s.r.l.;
          il bando di gara, approvato con determina dirigenziale n.  62 del 13 marzo 2013 per l'affidamento dei lavori di realizzazione dei 40 alloggi di e.r.p. veniva vinta dalla Sicula costruzione s.r.l.;
          la Sicula Costruzione come risulta dal verbale di aggiudicazione, risulta vincitrice con punteggio 81,2666 proprio perché presentava come proposta migliorativa la modifica del progetto esecutivo realizzando 48 alloggi di edilizia residenziale pubblica e in base all'articolo 4 del bando effettuava un offerta economica più vantaggiosa ai sensi dell'articolo 83 del decreto legislativo n.  163 del 2006, una soluzione volta a migliorare il livello dell'offerta pubblica a favore dei nuclei familiari in condizioni economiche disagiate;
          il suddetto miglioramento proposto da parte della Sicula Costruzione era quello di realizzare tre alloggi invece dei due indicati nel progetto esecutivo redatto dalla Litos progetti s.r.l. effettuando un frazionamento interno degli originali appartamenti, cioè un ridimensionamento degli alloggi    prevedendo la realizzazione di alloggi monovani di 30 metri quadrati;
          il complesso è abitato da famiglie, spesso numerose, e anziani;
          gli assegnatari sono stati trasferiti con i propri nuclei familiari in appartamenti per il tempo necessario al completamento dei nuovi alloggi, precisamente per 546 giorni;
          i lavori hanno avuto inizio in data 25 giugno 2013, la ditta provvedeva a demolire gli alloggi nei mesi di luglio e agosto del 2013;
          i residenti hanno espresso preoccupazione per l'effettiva abitabilità dei nuovi alloggi;
          solo nel mese di giugno del 2014 i residenti hanno potuto prendere visione degli appartamenti in corso di realizzazione;
          a seguito di tale ispezione sono state riscontrate numerose violazioni dei criteri minimi per l'abitabilità;
          a ciò si aggiunga l'assenza di una variante votata dal consiglio comunale per la modifica e l'ampliamento del progetto, tale assenza pregiudicherebbe i requisiti per l'assegnazione del finanziamento del progetto «programma di quartiere II»  –:
          quali verifiche intenda svolgere per assicurarsi che tutti i criteri per l'attribuzione del finanziamento statale siano stati rispettati. (4-07438)


      RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il crollo avvenuto sul viadotto Scorciavacche sulla Palermo-Agrigento, una settimana soltanto dopo l'inaugurazione, ripropone nuovamente le difficoltà connesse all'equilibrio tra i costi finanziari sostenuti per la realizzazione delle opere infrastrutturali di collegamento e l'efficienza durevole di tali interventi, nel corso degli anni;
          l'inchiesta da parte della magistratura, sul cedimento del tratto stradale, costato 13 milioni di euro, a giudizio dell'interrogante, sebbene necessaria ed inevitabile, non esonera dalle responsabilità culturali e progettuali che caratterizzano il livello di scarsa produttività nel nostro Paese, nell'ambito della realizzazione delle opere pubbliche stradali e non solo, come si evince dai cronici ritardi relativi al compimento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, oppure di altri interventi di collegamento rimasti incompiuti in diverse regioni della penisola;
          l'interrogante evidenzia che il crollo avvenuto sulla strada Palermo-Agrigento, la cui opera di un solo chilometro è stata realizzata inaspettatamente in anticipo rispetto ai tempi previsti per il prossimo marzo, stante i cronici ritardi che contraddistinguono i lavori pubblici in Italia, esige a tal fine una rapida inchiesta anche da parte del Ministero interrogato, nei confronti dell'ANAS e della ditta costruttrice, al fine di accertare in tempi rapidi, quali siano i motivi dello sprofondamento avvenuto sul tratto stradale interessato, nonché l'accertamento dei collaudi previsti, che evidentemente non sono stati adeguatamente monitorati  –:
          quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e quali iniziative urgenti e necessarie intenda intraprendere al fine di verificare le responsabilità del crollo avvenuto sulla strada Palermo-Agrigento, il cui evento ancora una volta dimostra l'inefficienza del sistema delle opere pubbliche nazionali, in particolare quelle stradali, con riguardo alla qualità e alla funzionalità delle opere di collegamento la cui dotazione infrastrutturale, confina il nostro Paese in fondo alla classifica dei Paesi europei. (4-07444)


      RIBAUDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in data 23 dicembre 2014, in anticipo di tre mesi rispetto ai tempi previsti, è avvenuta l'apertura della variante «Scorciavacche 2», lungo la strada statale 121 nell'ambito dei lavori di ammodernamento dell'itinerario Palermo – Lercara Friddi;
          tale variante è costata all'Anas 13 milioni di euro;
          il 28 dicembre si è verificato «un anomalo cedimento del piano viabile in corrispondenza del rilevato retrostante della spalla del viadotto», per cui metà della carreggiata è sprofondata e la restante parte presenta una profonda spaccatura;
          in conseguenza di ciò è scattata la chiusura al traffico della statale 121 «Catanese», nel tratto compreso tra il chilometro 226 e il chilometro 227, nei pressi di Mezzojuso, con deviazione del traffico veicolare sulla strada provinciale 55;
          a seguito di quanto verificatosi, è scattata l'inchiesta della procura di Termini Imerese (Palermo) per crollo colposo sul cedimento del tratto di strada che precede il viadotto Scorciavacche sulla statale 121 Palermo-Agrigento;
          la procura di Termini Imerese ha sequestrato l'area, affidando una consulenza tecnica ai periti;
          tale variante costituisce un passo importante verso la realizzazione dell'intero itinerario, che è strategico per l'intera isola, perché costituisce l'unico collegamento diretto tra le province di Palermo e Agrigento;
          occorre salvaguardare l'incolumità delle migliaia di cittadini che giornalmente percorrono quella strada, già oggetto di numerosi incidenti nel corso degli anni, molti dei quali mortali;
          al fine di individuare i responsabili, occorre fare luce sull'appalto, sui lavori e anche sulla commissione di collaudo, al fine di evitare che fatti simili si ripetano in futuro  –:
          se il Ministro abbia messo in atto tutte le azioni al fine di fare luce su quanto accaduto il 28 dicembre 2014 lungo la strada statale 121 «Catanese», nel tratto compreso tra il chilometro 226 e il chilometro 227, e individuare in maniera univoca, i responsabili;
          se allo stato attuale sia garantita e salvaguardata l'incolumità delle migliaia di cittadini che giornalmente percorrono quella strada;
          quali provvedimenti siano stati adottati o si intendano adottare, per prevenire il verificarsi in futuro dei suddetti fatti ritenuti inammissibili. (4-07448)


      NICCHI, PELLEGRINO, ZARATTI e MATARRELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'emergenza abitativa nel nostro Paese è sempre più drammatica e acuita dalla grave crisi economica in atto e finisce per colpire principalmente le fasce sociali più deboli della società;
          come hanno in questi giorni ricordato i tre assessori alle politiche abitative delle tre grandi città di Roma, Milano e Napoli, con un appello al Governo, ogni giorno sono 140 gli sfratti eseguiti con la forza pubblica: una sentenza di sfratto colpisce, secondo le statistiche una ogni 353 famiglie. Escludendo quelle proprietarie di case e gli assegnatari di alloggi pubblici, ciò significa che ogni anno in Italia una sentenza di sfratto – quasi sempre per morosità incolpevole – colpisce una famiglia su quattro;
          il 31 dicembre 2014 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  302, il decreto-legge n.  193 del 2014 recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», ma a differenza dei precedenti decreti di proroga termini, il testo non prevede alcuna proroga del blocco degli sfratti scaduto a fine anno;
          da cinque anni a questa parte, segnalano gli assessori, Roma ha registrato oltre 10 mila sentenze per fine locazione; 4500 a Napoli e 4 mila le sentenze di sfratto a Milano, sempre tra il 2008 e il 2013. Circa il 70 per cento delle famiglie avrebbe i requisiti di reddito e sociali (anziani, minori, portatori di handicap) previste dalla legge per la proroga;
          lo stesso Piero Fassino, presidente dell'ANCI ha dichiarato che «l'emergenza abitativa (...) sollecita una valutazione sull'opportunità di una proroga, almeno temporanea»  –:
          per quali motivi il Governo abbia ritenuto di non inserire nel decreto-legge n.  192 del 2014 la proroga del blocco degli sfratti scaduto a fine 2014. (4-07450)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      DE MENECH. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nella regione Veneto si è registrato un calo generale dei reati nel decennio 2001-2011, ma rapine e furti all'interno delle case sono, in controtendenza con i dati generali, in aumento;
          nel corso del 2014 i reati e i furti nella provincia di Belluno sono diminuiti, ma sono aumentate le razzie in abitazione. Lo scorso novembre sono stati denunciati 69 casi di furti in abitazione; un terzo di quelli registrati nei primi 11 mesi dell'anno appena concluso;
          i comuni di Belluno, Feltre, Limana, Pieve e Puos d'Alpago, Ponte nelle Alpi, Santa Giustina, Sospirolo e Trichiana, rappresentano le zone dove si sono concentrate le azioni delittuose e sono le zone più centrali della provincia e vicine alla più comoda via di fuga (autostrada);
          i dati generali hanno recentemente assegnato il quinto posto a Belluno nella classifica delle province più sicure d'Italia e registrano un calo dei delitti totali (5197 quelli denunciati contro i 5616 nei primi 11 mesi del 2013 e i 5354 del 2012) e del numero dei furti (1890 contro i 1921 del 2013 e i 2004 del 2012), mentre sono appunto cresciuti i furti in abitazione. Nei primi 11 mesi del 2014, infatti, sono state denunciate 228 razzie in abitazione, contro le 206 del 2013 e le 185 del 2012. Sono in calo, invece, i furti negli esercizi commerciali, scesi dai 107 del 2013 e dai 99 del 2012 ai 98 dell'anno 2014;
          con i 69 furti in casa denunciati novembre 2014 è stato il mese con la maggior incidenza della tipologia specifica di reato. Un dato più che raddoppiato rispetto a ottobre (30 casi) e triplicato rispetto ad agosto e settembre (rispettivamente 25 e 22). Mesi «caldi» anche quelli di giugno (53), gennaio (45) e maggio (44);
          gli amministratori locali, negli ultimi anni, hanno dato fondo ai bilanci comunali per dotare il territorio di strumenti di prevenzione, come le telecamere e i sistemi di allarme;
          diversi comuni hanno attivato progetti di video-sorveglianza creando una sempre maggior sinergia tra le varie parti del territorio;
          il solo comune di Ponte nelle Alpi, aderendo ad un progetto intercomunale del 2011, ha installato 30 telecamere nei punti strategici del territorio ed ha speso 127.000 euro accedendo anche a dei contributi regionali. L'intero progetto intercomunale prevedeva una spesa di circa 400.000 euro;
          forze dell'ordine e agenti della polizia locale sono impegnati a pieno regime per fare prevenzione, monitorando il territorio;
          è stato istituito un tavolo tecnico tra carabinieri e polizia che prevede una serie di servizi di prevenzione e repressione della criminalità in genere, in particolare del fenomeno dei furti in appartamento;
          i comuni hanno organizzato degli incontri per formare ed informare i cittadini;
          nel mese di dicembre 2014 sono state fermate quattro persone a Levego (Belluno) – ritenute sospette – a bordo di un auto con grossi cacciaviti nel baule, oltre a monili in oro e argento. Tre sono stati denunciati a piede libero e uno arrestato per ricettazione e detenzione di attrezzatura da scasso di porte o finestre delle case. I quattro fermati risultano senza fissa dimora, almeno in provincia;
          la polizia di Belluno ha denunciato due stranieri senza fissa dimora e pluripregiudicati, perché sospettati di essere gli autori di un tentato furto in casa avvenuto la notte del 20 novembre a Ponte nelle Alpi. Denuncia possibile grazie alla registrazioni delle immagini di una telecamera di video sorveglianza installata in territorio pontalpino;
          dopo i fermi e l'arresto il fenomeno ha subito soltanto un rallentamento, ma sono stati comunque registrati altri nuovi episodi;
          i ripetuti furti nelle abitazioni rendono le persone ogni giorno più fragili e insicure  –:
          se il Governo intenda adottare misure straordinarie di difesa e quali iniziative di competenza, anche normative, intenda assumere in una situazione in cui i responsabili dei furti, quando fermati dalle forze dell'ordine, vengono sempre più spesso rimessi in libertà in attesa del processo;
          se nel cosiddetto «pacchetto giustizia», che rivedrà il sistema penale e penitenziario italiano, saranno presenti interventi puntuali per garantire legalità, accertare le responsabilità, definire i tempi dei processi e la certezza delle pene.
(5-04395)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          al degrado delle condizioni di sicurezza nel territorio della provincia di Como, attestato dall'inarrestabile crescita dei reati contro il patrimonio e degli episodi di microcriminalità, si aggiunge adesso un'emergenza legata all'aggravarsi dello spaccio di stupefacenti;
          la stampa locale rileva in effetti un fenomeno nuovo e particolarmente inquietante nell'Olgiatese, dove gruppi di spacciatori utilizzerebbero le aree boschive per procedere allo smercio di stupefacenti, approfittando dell'esiguità dei presidi delle forze dell'ordine nell'area;
          i comuni maggiormente interessati dallo spaccio di droga nei boschi sono Olgiate Comasco, Albiolo, Binago, Solbiate e Castelnuovo Bozzente. Ne risentono tuttavia anche altri centri, fino al territorio comunale di Venegono, in provincia di Varese;
          esiste un vero e proprio problema di controllo e stabilimento della legalità sul territorio, che può essere affrontato e risolto anche nelle aree boschive soltanto con un'accresciuta presenza e mobilità delle forze dell'ordine;
          è peraltro opinione diffusa in zona che all'aggravarsi della situazione abbiano concorso anche alcune scelte poco opportune in materia di politica giudiziaria, come i periodici decreti svuota carceri o la depenalizzazione di fatto del reato di «piccolo spaccio»;
          per contrastare il commercio clandestino di stupefacenti nei boschi dell'Olgiatese e sensibilizzare il Governo centrale sull'emergenza in atto e la necessità di varare interventi adeguati a fronteggiarla, amministratori e movimenti politici locali dei comuni maggiormente coinvolti stanno ponendo allo studio iniziative congiunte  –:
          quali misure il Governo intenda assumere per contenere e reprimere l'emergenza spaccio stupefacenti che interessa i boschi dell'Olgiatese comasco e se, in particolare, non ritenga opportuno potenziare i presidi locali delle forze dell'ordine.
(4-07423)


      OCCHIUTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il comune di Cariati ha inteso aderire alla procedura di Riequilibrio Finanziario Pluriennale di cui agli articoli 243-bis s.s. del Testo Unico Enti Locali con i seguenti provvedimenti: Delibera di Giunta Municipale n.  028 del 14 marzo 2013: «Adesione alla procedura di Riequilibrio Finanziario Pluriennale – Proposta di deliberazione consiliare»; Delibera di C.C. n.  05 del 23 marzo 2013: «Adesione alla procedura di Riequilibrio Finanziario»; Delibera di C.C. n.  19 del 22 maggio 2013: «Piano di Riequilibrio Finanziario Pluriennale – Approvazione»; Delibera di C.C. n.  31 del 21 ottobre 2013 «Piano di Riequilibrio Pluriennale – Rideterminazione per gli effetti del decreto-legge n.  35 del 2013»;
          ai sensi del comma secondo, articolo 243-bis Tuel, la deliberazione n.  19 del 2013 di ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale è stata trasmessa, nel termine previsto di 5 giorni dalla data di esecutività della stessa, alla competente sezione regionale della Corte dei conti e al Ministero dell'interno;
          nonostante il comma primo, dell'articolo 243-quater preveda che la Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali del Ministero dell'interno, entro il termine di sessanta giorni dalla data di presentazione del piano, debba svolgere la necessaria istruttoria, ad oggi non si conosce l'esito della procedura avviata;
          la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione Catanzaro, n.  904/2013 confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n.  00209/2014 depositata in data 17 gennaio 2014 ha annullato la delibera del Consiglio comunale di Cariati n.  63 del 29 novembre 2012 con oggetto «Salvaguardia degli Equilibri di Bilancio e Ricognizione Stato di Attuazione dei Programmi esercizio 2012 – articolo 193 decreto legislativo n.  267 del 2000», nonché ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, tra cui certamente sono ricomprese le delibere consiliari n.  19 del 22 maggio 2013, n.  31 del 21 ottobre 2013;
          il comune di Cariati avrebbe disatteso il Piano di Riequilibrio Finanziario Pluriennale con l'adozione di successive delibere consiliari non rispettose degli impegni assunti: su tutte la delibera consiliare n.  31 del 21 luglio 2014 avente ad oggetto «approvazione Rendiconto Finanziario Esercizio 2013» con il quale si evincerebbe un notevole peggioramento del disavanzo di amministrazione del 2013 rispetto a quello dell'anno: precedente (disavanzo 2012: euro 1.251.599,41; disavanzo 2013: euro 1.866.445,40);
          la delibera n.  31 del 2014, ad esempio avrebbe subito pareri negativi tecnico-contabili da parte del responsabile dell'area finanziaria comunale;
          nel Rendiconto di Bilancio 2013 e nel Bilancio di Previsione 2014 del comune di Cariati risulterebbe erroneamente contabilizzata l'anticipazione di liquidità concessa dalla Cassa Depositi e Prestiti ai sensi del decreto-legge n.  35 del 2013;
          alcuni consiglieri di minoranza dell'Ente avrebbero già informato e trasmesso tutti gli atti della vicenda agli organi preposti della Prefettura di Cosenza, del Ministero dell'interno, della Sezione Regionale e della Procura Regionale della Corte dei Conti della Calabria  –:
          quali iniziative di competenza si intendano adottare in relazione al processo di indebitamento del comune di Cariati ed al fine di ottenere la conclusione dell’iter amministrativo-contabile evidenziato in premessa ed avviato ai sensi dell'articolo 243-bis. (4-07432)


      PETRAROLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 9 dicembre 2010 l'allora Ministro dell'interno, Roberto Maroni inaugurava la Swallowers One presso il terminal 2 dell'Aeroporto Milano – Malpensa. Si tratta di un importante sistema e di una struttura specializzata ed attrezzata per il fermo di narcotrafficanti, sul modello olandese di Amsterdam – Schipol. Questo significativo strumento a disposizione degli uomini della Guardia di Finanza e delle Forze dell'ordine è costato circa un milione di euro, grazie all'apporto economico di Sea e alla collaborazione con l'ospedale di Gallarate. La Swallowers one consente di azzerare l'effetto Houdini, ossia la magica sparizione di ovetti ripieni di polvere bianca individuati dai raggi X, ma mai evacuati dagli ovulatori;
          a distanza di pochi anni, così come si apprende dal quotidiano online la prealpina.it del 27 dicembre 2014, la Swallowers One è pressoché fuori uso, utilizzata dalle forze dell'ordine solo come struttura detentiva. La causa, a quanto si apprende, è la cronica mancanza di fondi per ripristinare la strumentazione fuori uso o acquistarne di nuove, come ad esempio l'ecografo. Da tempo ormai i vettori di cocaina vengono trasportati all'ospedale Sant'Antonio Abate, come accadeva prima dell'entrata in funzione della Swallowers One  –:
          quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, per risolvere il problema sicurezza che si è venuto a creare con il malfunzionamento della struttura denominata Swallowers One, in particolar modo considerando l'avvicinarsi di EXPO 2015 e l'incremento di passeggeri che interesserà l'aeroporto Milano – Malpensa. (4-07437)


      LUIGI DI MAIO, CIPRINI, FRUSONE, NESCI e LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto denunciato da fonti sindacali, lo scorso 26 dicembre 2014 alcuni poliziotti del reparto mobile di Palermo, della questura di Messina e personale della polizia scientifica sono stati impiegati presso il porto di Messina per dare assistenza allo sbarco dei circa novecento migranti, appena salvati nel canale di Sicilia;
          sempre secondo le medesime segnalazioni, i poliziotti che hanno raggiunto il molo verso le 18, si sono presto resi conto che, nonostante la pioggia battente ed il freddo, non era stata preparata l'assistenza necessaria per l'accoglienza dei migranti eccezion fatta per due tende, una della CRI ed una della Protezione Civile Regionale assolutamente insufficienti a dare riparo sia ai poliziotti che ai migranti dalle piogge che fino alla serata hanno continuato a cadere abbondanti;
          secondo quanto segnalato, a soffrire questa situazione c'erano ovviamente anche i migranti, il cui unico «riparo», per alcune ore è stato il telino termico in vinile dato loro a bordo della nave militare ed i cui animi, come è comprensibile, si andavano sempre più esagitando. Le operazioni al molo sono andate avanti ben oltre le 21, quando tutti fradici e infreddoliti, migranti e poliziotti, sono stati trasportati con autobus pubblici e privati, che hanno fatto la spola, dal porto all'ex campo di baseball, dove è stata allestita una tendopoli  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e se non ritenga di dover intervenire affinché simili incresciose vicende non abbiano a ripetersi. (4-07443)


      DAMBRUOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 19 della Costituzione della Repubblica riconosce al tutti il diritto «di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume», concetto quest'ultimo inteso dalla Corte Costituzionale come «comune sentimento della morale. Vale a dire, non soltanto ciò che è comune alle diverse morali del nostro tempo, ma anche alla pluralità delle concezioni etiche che convivono nella nostra società contemporanea. Tale contenuto minimo altro non è se non il rispetto della persona umana, valore che anima l'articolo 2 della Costituzione» (sentenza n.  293/2000 della Corte Costituzionale);
          lo Stato italiano – ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione – ha stipulato negli anni intese con le rappresentanze di diverse confessioni religiose e, anche in assenza di queste ultime, il Ministero dell'interno riconosce personalità giuridica a tutti gli enti di culto acattolici in possesso dei requisiti prescritti dalla cosiddetta legislazione sui culti ammessi (legge 24 giugno 1929, n.  1159, recante «Disposizioni sull'esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi» e regio decreto 28 febbraio 1930, n.  289, recante «Norme per l'attuazione della legge 24 giugno 1929, n.  1159, sui culti ammessi nello Stato e per coordinamento di essa con le altre leggi dello Stato»);
          con decreto ministeriale del 23 aprile 2007, l'allora Ministro dell'interno ha adottato la carta dei valori della cittadinanza e integrazione – condivisa da numerose comunità religiose tra cui alcune rappresentate anche nel Comitato per l'Islam italiano – al fine di «dare un concetto unitario di cittadinanza e di convivenza tra le diverse comunità nazionali, etniche, e religiose, che si sono radicate negli ultimi anni sul territorio italiano», ponendo le basi per «un patto tra cittadini e immigrati in vista di una integrazione che vuole conciliare il rispetto delle differenze di cultura e di comportamento legittime e positive con il rispetto dei valori comuni»;
          il Comitato per l'Islam italiano – istituito presso il Ministero dell'interno per migliorare l'inserimento sociale e l'integrazione delle comunità musulmane nel nostro Paese – ha espresso pareri su svariati temi legati all'immigrazione, con particolare riguardo all'esercizio dei diritti civili dei cittadini stranieri e all'applicazione del concetto di «buon costume» al principio costituzionale di libertà religiosa;
          la giunta del comune di Milano, con la delibera n.  2010 del 10 novembre 2010, ha individuato le linee di indirizzo per l'assegnazione in uso di immobili comunali per finalità religiose e per ulteriori attività sociali e culturali;
          con la successiva delibera n.  2475 del 30 novembre 2012, la stessa giunta ha definito requisiti e modalità di iscrizione nell'albo delle associazioni e organizzazioni a carattere religioso presenti sul territorio cittadino, condizione questa necessaria per partecipare al bando per la realizzazione di tre luoghi di culto su aree del comune di Milano, pubblicato il 30 dicembre 2014;
          al suddetto albo delle associazioni religiose risultano iscritte anche realtà e organizzazioni le cui sigle compaiono nelle black list governative di alcuni Paesi stranieri  –:
          se il Ministro sia al corrente di quanto riferito in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere da un lato per assicurare il diritto alla libertà di culto di gruppi religiosi diversi dal cattolico e dall'altro    per garantire il pieno rispetto delle norme di pubblica sicurezza e di prevenzione di ogni forma di estremismo religioso. (4-07449)


      FAVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
           il 19 dicembre 2014 è stato aggiudicato un appalto bandito dalla regione Siciliana per la progettazione esecutiva e la costruzione di un impianto di smaltimento di rifiuti urbani nel comune di Gela;
          aggiudicataria dell'appalto è risultata l'associazione temporanea di imprese tra il Consorzio cooperative costruzioni e il consorzio stabile Agorà;
          l'identità del vincitore dell'appalto era stata indicata, con chirurgica precisione, dieci giorni prima in una lettera che l'amministratore delegato della «Cesaro Mac Import», una delle imprese partecipanti alla gara d'appalto, aveva spedito a più destinatari, privati e istituzionali (tra cui il procuratore della Repubblica di Palermo, il presidente della regione Sicilia e l'assessore regionale al territorio);
          nella lettera si specificava non solo chi si sarebbe aggiudicato l'appalto ma anche il fatto che la gara sarebbe stata vinta grazie a un punteggio tecnico altissimo, capace di prevalere sugli altri due parametri (offerta tempo e offerta economica), cosa che si è puntualmente verificata;
          nella lettera si collegava inoltre l'esito della gara d'appalto all'incarico che avrebbe ricevuto proprio in quei giorni il presidente della commissione aggiudicatrice, l'ingegnere Manlio Munafò, nominato dal presidente della regione Crocetta commissario della ex provincia di Palermo;
          nella lettera si riferisce inoltre che all'appalto di fatto partecipa anche l'impresa Mondello di Gela, più volte segnalata in passato dalla DDA che la descrivevano alla stregua di un'entità economica gestita da soggetti collegati al clan mafioso dei Rinzivillo di Gela; in un'occasione le indagini avevano accertato la sussistenza di precedenti penali, anche per reati di mafia, in capo a tredici dipendenti della stessa impresa  –:
          se le imprese coinvolte siano tutte regolarmente in possesso della certificazione antimafia;
          se alla luce delle circostanze riportate in premessa, ritenga che sussistano i presupposti per le opportune verifiche.
(4-07454)


      PALESE, ALTIERI, CHIARELLI, CIRACÌ, DISTASO, FUCCI, MARTI, ELVIRA SAVINO e SISTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la prefettura di Lecce con provvedimento del 31 dicembre 2014 ha disposto il commissariamento, ai fini dello scioglimento, del consiglio comunale di Porto Cesareo (Lecce);
          il prefetto di Lecce ha infatti ritenuto di proporre lo scioglimento del consiglio comunale «rilevata la sussistenza delle condizioni richieste dall'articolo 141, comma 1, lettera b), n.  4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267»;
          nell'emanazione del provvedimento, la prefettura ha recepito un parere di pari data (31 dicembre 2014) espresso dal Ministero dell'interno (n.  15925/128), il quale ha rappresentato che la riunione del consiglio comunale di Porto Cesareo convocata per i giorni 3 e 5 gennaio 2015 per procedere alla surroga di un consigliere dimissionario «non è legittimamente disposta in quanto non sussiste il numero legale per la riunione del citato Consiglio comunale in prima convocazione e conseguentemente non è possibile procedere alla seduta in seconda convocazione»;
          tale parere è stato reso in apparente contrasto non solo con quanto deciso dal Consiglio di Stato in precedenza, ma anche con quanto ritenuto, in vicende simili se non identiche, dallo stesso Ministero dell'interno;
          il Consiglio di Stato, infatti, aveva così deciso: «deve ritenersi indifferente per la validità delle deliberazioni, che risultano adottate in secondo convocazione, con la presenza di un terzo dei consiglieri assegnati al comune, conoscere le ragioni del mancato raggiungimento del numero legale in prima convocazione. La seconda convocazione di un collegio deliberante ha lo scopo di ridurre il quorum strutturale necessario per la validità delle deliberazioni, onde evitare, in base ad un principio di efficienza dell'organo collegiale, la paralisi di questo. In relazione a tale finalità sono irrilevanti le ragioni per le quali non si è potuta tenere l'adunanza in prima convocazione, qualunque ne possa essere la ragione»;
          è proprio questo il caso di Porto Cesareo come risulta dall'identità del precedente deciso dal massimo organo di giustizia amministrativa; anche in quel precedente (comune di Castelletto d'Orba) si trattava di procedere alla surroga del consigliere comunale in una situazione che vedeva il venir meno della metà più uno dei consiglieri assegnati con la conseguente impossibilità di deliberare in prima convocazione;
          il Ministero dell'interno, in una fattispecie identica a quella di Porto Cesareo, nel rispondere ad un quesito posto dal comune di Corniglio (Parma), aveva già chiarito: «Esaminata la questione sorta in un comune circa la possibilità di procedere alla surroga dei consiglieri dimissionari nella seduta di seconda convocazione, tenuto conto che il quorum richiesto dallo Statuto per la regolarità della prima convocazione – sei consiglieri – non può essere raggiunto, si osserva al riguardo che in mancanza di una norma espressa sui motivi che impediscono il raggiungimento del numero legale per la prima convocazione, occorre tenere conto della giurisprudenza amministrativa in cui vengono affermati principi che inducono a non escludere la celebrazione della seduta in seconda convocazione nonostante l'impossibilità del quorum stabilito per la prima. Ancor più se si considera che sussiste nei confronti degli organi elettivi l'obbligo di attivare le procedure di surrogazione per ricostituire il proprio plenum quando questo, per qualsiasi causa, sia venuto meno secondo le modalità disciplinate dall'articolo 38 del decreto legislativo n.  267 del 2000» (parere Ministero dell'interno-direzione centrale per le autonomie locali prot. n.  15996/39 del 15 febbraio 2002);
          quanto autorevolmente ritenuto dal Ministero dell'interno vale ovviamente sia per le norme di legge che per le norme statutarie che disciplinano in linea generale il quorum ordinario per la validità delle sedute di prima convocazione. La fattispecie di Porto Cesareo era quindi già stata affrontata e risolta sia in sede giurisdizionale, sia con espresso parere ministeriale, sicché era pacifico che, in ipotesi di surroga dei consiglieri nei casi diversi da quelli delle dimissioni ultra dimidium, non era necessario raggiungere il quorum per la prima convocazione;
          tra l'altro il sindaco, con nota del 2 ottobre 2014, aveva già chiesto al prefetto un parere sugli esatti adempimenti da tenere per garantire il funzionamento del consiglio, e, con sua risposta, lo stesso prefetto aveva indicato ogni iter da percorrere;
          sorge spontaneo chiedersi come sia stato possibile che il 31 dicembre 2014 alle ore 19,30 sia stato comunicato siffatto provvedimento sulla base di un parere reso dal Ministero dell'interno in pari data con una celerità quindi che non si riscontra in alcun altro atto e/o procedimento dell'amministrazione dell'interno e della stessa Prefettura di Lecce;
          la prefettura di Lecce, inoltre, non avrebbe trasmesso al comune il parere, parte integrante del decreto, e secondo quanto risulta agli interroganti – neppure a seguito di istanza di accesso – avrebbe rilasciato tempestivamente copia del medesimo parere;
          va rilevato altresì come, ad avviso degli interroganti, il decreto prefettizio riecheggi enunciazioni di carattere politico e contrasti con la volontà popolare della comunità di Porto Cesareo sicché il Governo non sembra aver interpretato il ruolo di garante delle istituzioni locali;
          l'autorevolezza delle istituzioni verrà percepita dai cittadini se la loro azione rimane connotata dal rispetto di principi di leale collaborazione e di buona amministrazione ormai patrimonio giuridico acquisito e codificato sia con riferimento ai precetti della Costituzione repubblicana sia in relazione ai valori affermati dal diritto europeo che elevano la «buona amministrazione» come un diritto dei cittadini  –:
          quali siano le ragioni per le quali la prefettura di Lecce, con provvedimento del 31 dicembre 2014, ha disposto il commissariamento, ai fini dello scioglimento, del consiglio comunale di Porto Cesareo recependo un parere di pari data espresso dal Ministero dell'interno, parere reso in aperto contrasto non solo con quanto deciso dal Consiglio di Stato ma anche con quanto ritenuto, in vicende simili se non identiche, dallo stesso Ministero dell'interno;
          se il Ministro interrogato non intenda ulteriormente approfondire la questione, anche per valutare eventuali violazioni procedimentali e per prendere ulteriori e opportuni provvedimenti in merito.
(4-07456)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
          il nuovo concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina si è svolto dal 28 al 31 ottobre 2014, in più di 400 sedi differenti in tutta Italia;
          il concorso era strutturato in questo modo: il 28 ottobre era prevista la prova comune composta da 70 quesiti di medicina (argomenti clinici e pre-clinici);
          il 29, 30 e 31 i candidati dovevano svolgere una prova composta da 30 quesiti di macroarea (medica, chirurgica e dei servizi clinici) uguali per tutti i candidati, seguita da una prova composta da 10 quesiti di area specialistica, differenti per ogni scuola. Ciascun candidato poteva scegliere fino a due scuole per ogni area;
          già dal primo giorno, come evidenziato da numerosi articoli e testimonianze dirette di partecipanti al concorso, sono emerse varie criticità:
              a) mancato rispetto delle procedure concorsuali previste nel bando in merito all'assegnazione dei posti a sedere, messo in alcuni casi a verbale;
              b) allestimento non idoneo delle sedi in cui si è svolta la prova. Diversi candidati hanno segnalato pc non adeguatamente distanziati, tastiere a disposizione dei candidati, collegamento alla rete internet dei pc;
              c) controlli non uniformi, pertanto non adeguati, su tutto il territorio nazionale. In alcune sedi è stato possibile introdurre telefoni cellulari, come testimoniato da alcune foto circolanti su internet. Si segnala anche che in alcune aule è stato concesso ai candidati di abbandonare la postazione durante l'espletamento della prova per andare in bagno, ciò in violazione di quanto statuito dal bando;
              d) mancanza di linee guida in merito alla risoluzione di criticità intervenute durante lo svolgimento della prova. In una sede, in seguito ad un blackout, i candidati hanno ripetuto la prova a distanza di due ore, quindi non più contemporaneamente alle altre sedi nazionali, e dopo averne già visualizzato il contenuto;
              e) tutte le suddette segnalazioni dimostrano l'assenza di garanzia di condizioni paritarie fra tutti i candidati su tutto il territorio nazionale nello svolgimento delle prove, con conseguente possibilità, in alcune aule d'esame, di interazione fra gli stessi;
              f) tutte le irregolarità sopra esposte hanno immediatamente allarmato i concorrenti a livello nazionale, dando il via a segnalazioni indirizzate al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in seguito alle quali, il secondo giorno di prove, è stata inviata una circolare, letta a tutti i candidati, in cui si chiedeva un controllo più rigoroso da parte dei vigilanti e responsabili d'aula;
              g) l'irregolarità più eclatante tuttavia si è manifestata in data 1o novembre 2014, quando il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con un comunicato stampa ufficiale affermava che, a seguito dei controlli di ricognizione finali sullo svolgimento dei test, era stata rilevata una grave anomalia nella somministrazione delle prove scritte del 29 e 31 ottobre che riguardavano rispettivamente le scuole dell'area medica e quelle dell'area dei servizi clinici; il Cineca, il consorzio interuniversitario incaricato di somministrare i test, tramite lettera ufficiale inviata al Ministero la sera del 31 ottobre 2014, aveva ammesso «un errore nella fase di codifica delle domande durante la fase di importazione» di queste ultime nel data-base utilizzato per la generazione dei quiz;
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, quindi, preso atto di quanto accaduto, stabiliva di annullare e ripetere le prove oggetto dell'errore determinato dal Cineca, ovvero i 30 quiz comuni all'area medica e i 30 quiz comuni all'area dei servizi clinici fissando allo scopo la data del 7 novembre. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca comunicava inoltre che il 3 novembre il Ministro Giannini avrebbe firmato apposito decreto;
          in data 3 novembre 2014, tuttavia, il Ministro Giannini non firmava alcun decreto ed il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ribaltava la propria decisione annunciando, con un secondo comunicato stampa, che le prove per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina del 29 e 31 ottobre non si sarebbero più dovute ripetere, avendo trovato una soluzione in grado di salvare i test;
          a seguito di un consulto con la Commissione nazionale, incaricata prima del concorso per validare le domande del quiz, nonché con l'Avvocatura di Stato, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca decideva che 28 quesiti su 30 proposti ai candidati sia per l'area medica (29 ottobre) che per quella dei servizi clinici (31 ottobre) erano comunque da ritenersi validi ai fini della selezione, poiché i settori scientifico-disciplinari di ciascuna area erano in larga parte comuni. Pertanto procedeva con la neutralizzazione di solo due domande per area;
          contrariamente a quanto affermato nel comunicato, tale decisione non ha tuttavia salvato la bontà del test, alterando invece la graduatoria in maniera sostanziale;
          non si comprende come mai inizialmente la decisione fosse quella di far ripetere le due prove invertite, basata sulla considerazione che i quesiti appartenessero a due aree differenti, come da bando, mentre con un giudizio a posteriori, la commissione nazionale ha ritenuto i quesiti delle due aree sovrapponibili, ad esclusione di 2 domande per ciascuna area. Peraltro individuate su criteri ancora ignoti;
          la neutralizzazione delle due domande, avvenuta attribuendo 1 punto per ciascuna, ha stravolto interamente la graduatoria, uniformando il punteggio dei candidati. Giova ricordare che inizialmente era attribuito 1 punto per ogni risposta corretta, 0 punti per la risposta non data e 0,3 per ogni risposta errata. Uniformare il punteggio dei candidati ha determinato secondo gli interpellanti una illegittimità che va contro il merito degli stessi. In questo modo coloro che avevano fornito le risposte sbagliate hanno avuto un vantaggio superiore rispetto a chi aveva risposto correttamente;
          si aggiunga che non è dato sapere quali membri della commissione nazionale hanno partecipato a tale valutazione;
          non è noto se il provvedimento di neutralizzazione dei quesiti, adottato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, necessiti di atto ministeriale ufficiale, non essendo stata emanata al momento alcuna disposizione ufficiale, ad eccezione del comunicato stampa sopra menzionato;
          a seguito di segnalazioni inviate, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha provveduto a neutralizzare ulteriori due quesiti, appartenenti alle prove specialistiche di malattie dell'apparato cardiovascolare e endocrinologia e malattie del ricambio, ad avviso degli interpellanti determinando anche qui un'illegittimità contro il merito;
          la prova che ciascun candidato ha svolto e che può scaricare in formato PDF dal sito www.universitaly.it, risulta essere sostanzialmente modificata, poiché riporta non più le risposte realmente fornite dal candidato durante lo svolgimento della stessa, ma quelle corrette ovvero neutralizzate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Appare chiaro che, ove non esistesse più un file originale non modificabile della prova svolta dal candidato, si perderebbe la certezza dell'inalterabilità della prova concorsuale, per eventuale manomissione o contraffazione operata da soggetti terzi;
          molti dei quesiti a cui sono stati sottoposti i candidati, risultano essere quantomeno dubbi e fuorvianti, lasciando ampio spazio ad interpretabilità in merito alle possibili risposte selezionabili. In alcuni casi è possibile che più di una risposta risulti corretta, ovvero quella ritenuta ufficialmente corretta non sia in realtà tale. Dilemma che sarebbe stato evitato mediante l'indicazione di una bibliografia di riferimento, come disposto dal decreto ministeriale 30 giugno 2014, n.  105, articolo 2, comma 1;
          il punteggio medio della prima giornata di prove, in alcune sedi risulta discostarsi enormemente dalla media dei punteggi nazionali, sollevando il legittimo sospetto di svolgimento non regolare della prova da parte dei candidati di tali sedi;
          i partecipanti, con ulteriori segnalazioni, hanno messo in luce un'organizzazione superficiale, lacunosa e poco trasparente del concorso:
              a) la comunicazione di sedi e orari del concorso è avvenuta oltre il termine previsto dal bando (almeno 20 giorni prima dell'inizio del concorso);
              b) la mancanza della comunicazione nei tempi adeguati del numero di concorrenti iscritti. Il numero totale dei candidati, infatti, è stato pubblicato solo il giorno di inizio del concorso. Il numero dei candidati per ciascuna scuola non è stato mai comunicato se non al momento della pubblicazione delle prime graduatorie;
              c) al momento non è noto se siano state poste in essere le dovute verifiche, capillari e non a campione, delle autocertificazioni riguardanti le tesi di laurea sperimentale e i voti che ciascun candidato ha dichiarato per ciascuna materia. Tali parametri sono stati considerati per l'attribuzione dei punteggi per il curriculum individuale, risultando determinanti per l'elaborazione della graduatoria;
              d) il software utilizzato per la prova concorsuale, presenta presumibilmente un'anomalia per cui era possibile modificare inavvertitamente e involontariamente la risposta fornita ai quesiti, cliccando in un punto differente dello schermo rispetto a quello ove doveva apporsi la spunta di selezione (in gergo «radio») modificando in questo modo la scelta del candidato;
              e) l'elevato numero delle sedi individuato non ha garantito omogeneità nei controlli dei candidati da parte del personale preposto. Nell'elenco fornito dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca compaiono 169 sedi per un totale di 442 aule. Inoltre, altre sedi sono state designate per lo svolgimento del test pur non comparendo in tale elenco  –:
          se il Ministro alla luce dei fatti esposti non intenda:
              a) tutelare il totale dei candidati del concorso nazionale, poiché tutti indistintamente sono stati lesi dalle numerose irregolarità elencate e pertanto hanno diritto a ricevere delle borse di specializzazione in sovrannumero, come forma risarcitoria;
              b) distribuire le risorse aggiuntive di medici nei policlinici universitari e nei presidi ospedalieri territoriali, in linea con l'articolo 43 del decreto-legge n.  368 del 17 agosto 1999, nel rispetto degli standard formativi e garantendo un «tronco comune» tra gli atenei ed il territorio, secondo l'articolo 2 del decreto ministeriale sul riassetto delle scuole di specializzazione di area sanitaria, 1o agosto 2005;
              c) implementare il numero dei contratti di formazione specialistica, in linea con gli standard dei Paesi europei, secondo l'articolo 14 della carta dei diritti Fondamentali dell'Unione europea e l'articolo 4 della Costituzione italiana;
              d) rivisitare e rielaborare il bando per l'ammissione alle scuole di specializzazione in medicina del decreto ministeriale n.  612 del 8 agosto 2014, correggendo le irregolarità emerse e conservando la «nazionalità» del concorso, a tutela dei futuri medici abilitati ed in nome del concetto di meritocrazia.
(2-00797) «Rondini, Grimoldi, Fedriga».

Interrogazione a risposta scritta:


      BRUNO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          alcuni rettori sono stati eletti per ricoprire l'incarico per il quadriennio accademico che da novembre 2010 termina a ottobre 2014;
          la legge 30 dicembre 2010, n.  240, prevede all'articolo 2, comma 9, ultimo periodo, che: «Il mandato dei rettori i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono stati eletti ovvero stanno espletando il primo mandato è prorogato di due anni e non è rinnovabile»;
          nella medesima legge, all'articolo 29, comma 11, si abroga l'articolo 14, quinto comma, della legge 18 marzo 1958, n.  311, che recitava: «... per l'ufficio di rettore, il professore che lo ricopre, nell'atto che è collocato a riposo nei limiti di età può continuare in tale ufficio fino alla scadenza del triennio per il quale era stato eletto»;
          il decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n.  144, stabilisce, all'articolo 1, commi 1 e 2, in sostanza, l'obbligo di collocamento a riposo per i professori universitari di ruolo al 31 ottobre 2014 se a questa data, come i casi di cui trattasi, si sono compiuti i 70 anni di età;
          sullo stesso argomento, è già stata presentata, in data 9 settembre 2014 una interrogazione a risposta scritta (4-05941), ad oggi priva di risposta, che ha trovato vasta ed autorevole eco sugli organi di stampa locali e nazionali (si veda, per tutti, Gian Antonio Stella, Siamo CoeRenzi, per favore, su Sette, supplemento del Corriere della Sera del 3 dicembre 2014);
          successivamente alla presentazione della suddetta interrogazione e nelle more di una risposta, e delle eventuali determinazioni, del Ministro interrogato, in risposta ad una richiesta inviata dal direttore generale dell'università degli studi di Brescia, in cui, peraltro, si suggeriva la proroga ope legis del mandato dei rettori, il capo dipartimento del Ministero, professor Marco Mancini, con nota del 2 ottobre 2014, ha sostenuto che la medesima proroga poteva rappresentare una «possibilità»;
          il medesimo direttore generale dell'università degli studi di Brescia ha dichiarato in una nota trasmessa a tutti gli uffici dell'ateneo, che: «il mandato del rettore terminerà il 31 ottobre 2016», per come risulta anche dalle notizie apparse sulla stampa locale in data 1o novembre 2014;
          a tutt'oggi rettori collocati in quiescenza come professori universitari di ruolo, permangono nella carica nonostante si fatichi a riconoscere il titolo giuridico attraverso il quale detta permanenza sia possibile, atteso che ad avviso dell'interrogante solo un decreto del Ministro competente può immettere nella carica un rettore;
          recenti dichiarazioni del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia (Repubblica Tv del 6 novembre 2014) hanno confermato la volontà di ottemperare, da parte del Governo, alle disposizioni della legge 11 agosto 2014, n.  144, che, tra l'altro, ha abrogato qualsivoglia forma di trattenimento in servizio  –:
          se il Ministro interrogato abbia assunto qualche iniziativa, per quanto di competenza, per chiarire inequivocabilmente la posizione giuridica dei rettori ricadenti nella fattispecie evidenziata nelle premesse, assumendo altresì iniziative per l'indizione, negli atenei interessati, delle elezioni per il rinnovo della carica di rettore. (4-07433)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XI Commissione:


      GNECCHI, DAMIANO, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DELL'ARINGA, DI SALVO, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, MAESTRI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROTTA, SIMONI, VENITTELLI e ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  214 del 2011, approvata nel dicembre 2011, è intervenuto sul sistema previdenziale italiano penalizzando fortemente coloro che erano prossimi al raggiungimento dei requisiti pensionistici previgenti e allungando oltremodo il periodo di attesa della pensione;
          nella Gazzetta Ufficiale n.  301 del 30 dicembre 2014 è stato pubblicato il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze recante adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita adottato dal Ragioniere generale dello Stato di concerto con il direttore generale delle politiche previdenziali e assicurative, che sulla base dei calcoli forniti dall'ISTAT sull'aspettativa di vita, ha proceduto all'adeguamento dei requisiti pensionistici, incrementandoli di ulteriori quattro mesi a partire dal 1o gennaio 2016;
          in questa fase sarebbe prioritario garantire un lavoro ai giovani e questo Governo fin dal suo insediamento cerca di favorire la staffetta generazionale;
          tale ulteriore incremento di quattro mesi per l'aspettativa di vita, come già quello precedente di tre mesi, introdotto a partire dal 1o gennaio 2013, penalizza fortemente anche quei lavoratori che potevano accedere alla deroga (salvaguardia) prevista dal comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011;
          l'incremento dei requisiti per l'accesso alla pensione penalizza quindi ulteriormente la possibilità per i giovani di entrare nel mondo del lavoro in sostituzione delle persone anziane e ciò è ben evidenziato dalle statistiche sul preoccupante livello della disoccupazione giovanile del nostro Paese, pubblicate periodicamente dall'ISTAT, e renderà ancora più complicata la gestione delle salvaguardie per persone già in difficoltà, con una ulteriore penalizzazione delle donne che avrebbero dovuto compiere i 60 anni entro la fine della mobilità e che a fronte di qualche mese di attesa, se non fosse intervenuta la riforma previdenziale del 2011 con l'innalzamento dell'età per la pensione di vecchiaia senza gradualità, si troveranno 7 anni senza lavoro, senza ammortizzatori sociali e senza pensione;
          secondo alcuni studi l'aspettativa di vita di un lavoratore dipende da diversi fattori, tra i quali il reddito, il livello di istruzione, la provenienza familiare, l'esposizione a fattori di rischio connessi con l'attività lavorativa svolta, le abitudini e gli stili di vita;
          in particolare, un recente studio, realizzato da Carlo Maccheroni, componente del Centro di ricerca sulle dinamiche sociali dell'università Bocconi e docente di demografia all'università di Torino, dimostra che un laureato di 35 anni oggi ha un'aspettativa di vita di 7,6 anni in più rispetto ad un coetaneo con un titolo di studio inferiore. La maggiore aspettativa di vita è leggermente diversa per le donne: una laureata di 35 anni oggi, infatti, sempre secondo lo studio, ha una prospettiva di sopravvivenza di 6,5 anni più lunga di una coetanea con titolo di studio inferiore. La differente mortalità sottintende differenze nella gestione della salute e nelle condizioni di vita, spiega il professor Maccheroni, ma le disuguaglianze non sono riconducibili solo al diverso bagaglio di conoscenze acquisite durante il percorso scolastico/formativo, che di per sé implica una differenza retributiva che influenza la vita e la salute, ma si manifestano anche nell'attitudine ad ampliare le proprie conoscenze in molti campi. Chi ha un grado di istruzione più elevato, secondo la ricerca che ha quantificato queste differenze, ha più facilità a reperire e gestire conoscenze, che regolano positivamente i comportamenti riguardo a uno stile di vita salutare e a un più informato accesso alle cure sanitarie. Aggiunge sempre lo studio, che analizza anche sistemi di welfare: un sistema che basa il calcolo della pensione su dati medi di aspettativa di vita uguali per tutti, come dalla «riforma Dini», rischia di creare sperequazioni nel trattamento. Le statistiche dimostrano, infatti, che la vita media è aumentata tanto per gli uomini come per le donne, ma ciò che questa ricerca evidenzia è che per gli strati sociali più bassi aumenta meno che per quelli più alti. Le politiche sociali varate dai Governi negli ultimi decenni, conclude il docente universitario, non sono quindi ancora riuscite ad incidere positivamente sulla situazione;
          un recente studio dell'INSEE (struttura di ricerca francese) ha dimostrato quanto pesino le differenze sociali sulla longevità, tanto da arrivare ad accertare che l'aspettativa di vita di un dirigente, è di sei anni e sei mesi più elevata, rispetto ad un coetaneo operaio. Una precedente ricerca in Inghilterra – Galles del 2004, già verificava che l'aspettativa di vita dopo i 65 anni, per i professionisti è di circa 18 anni, mentre quella di un operaio non qualificato di circa 13 anni;
          ciò significa che coloro che hanno svolto lavori meno qualificati e hanno versato per 40 anni contributi e oltre, godono della pensione per un numero minore di anni e ciò dovrebbe essere sufficiente a supportare la motivazione che null'altro si può chiedere a coloro che svolgono lavori manuali e che hanno iniziato l'attività lavorativa dall'età di 15 anni;
          sull'aspettativa di vita sarebbe opportuno differenziare le tipologie di lavoro, classificare in modo dettagliato i lavori usuranti, rivedere anche quali lavori nella realtà portino ad una vita più breve, come dimostrano alcuni studi statistici sui macchinisti e personale viaggiante sui treni di cui spesso si è occupata la commissione lavoro;
          considerato che l'applicazione delle disposizioni un materia di aspettativa di vita sta già creando situazioni gravi per i lavoratori e, in particolare, le lavoratrici esclusi dalle deroghe previste dal comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  214 del 2011, proprio a causa degli incrementi dei requisiti pensionistici per l'aspettativa di vita  –:
          se non ritenga il Ministro interrogato di intervenire per verificare la reale esistenza in vita dei titolari di pensioni INPDAI e delle casse professionali e dei titolari di pensioni di anzianità, con particolare attenzione ai lavoratori precoci e alla classe di importo della pensione in godimento e, conseguentemente, per promuoverle la sospensione del decreto di cui in premessa per dare corso agli approfondimenti necessari per individuare un criterio di adeguamento dell'aspettativa di vita che tenga conto anche delle mansioni svolte, delle qualifiche, della durata dell'attività lavorativa e dell'effettiva durata della pensione in essere. (5-04388)


      RIZZETTO, COMINARDI, TRIPIEDI, CIPRINI, BECHIS, CHIMIENTI e BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di settembre del 2014, è scaduta la mobilità per i 73 lavoratori di Crotone del call center Inps/Inail che erano stati assunti dalla società Getek di Roma;
          questi lavoratori, per cinque anni, hanno svolto il servizio informativo Inps/Inail, per il quale hanno ricevuto una specifica formazione. Nel 2010 hanno perso il lavoro per un cambio di appalto in favore di altra impresa, poiché nel bando di gara non è stata inserita la clausola di salvaguardia dei posti di lavoro;
          di questa vicenda sono a conoscenza da tempo il Ministro interrogato e il direttore generale dell'Inps, ma, nonostante le promesse di ricollocamento, nulla di concreto è stato fatto per i 73 operatori. È ulteriormente grave che in questi anni sono state formate ed assunte centinaia di persone per svolgere lo stesso servizio, invece di avvalersi della già acquisita professionalità di questi lavoratori;
          sul caso in questione, il 24 settembre 2014 è stata fornita una risposta insoddisfacente alla interrogazione Rizzetto 5-03436  –:
          se e quali iniziative stia intraprendendo il Ministro interrogato per il ricollocamento dei 73 operatori di Crotone. (5-04389)


      PRATAVIERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          è notizia pubblicata su Il Gazzettino Nordest del 22 dicembre 2014 quella di una donna costretta a pagare una rilevante somma per essere assunta da una cooperativa e licenziata dopo un mese dal rinnovo del contratto perché incinta;
          secondo quanto riportato dall'articolo di stampa, la donna ha pagato mille euro a fondo perduto e tremila euro come quota sociale per poter lavorare con Codess sociale, una cooperativa di Padova che aderisce alla lega delle cooperative;
          la donna, pur di essere assunta alla Casa di riposo Villa Fiorita di Spinea, ha accettato qualunque richiesta, sottoscrivendo peraltro un contratto che prevedeva innumerevoli clausole e vincoli, nonché l'inquadramento ad una categoria inferiore;
          dopo neanche un anno di lavoro, ad ottobre 2014, la donna resta incinta, le viene comunque rinnovato il contratto, in scadenza a fine ottobre, ma solo per un mese; da novembre la donna è senza lavoro e neanche più incinta, avendo subito, forse per colpa dello stress, un aborto spontaneo  –:
          se e quali provvedimenti di propria competenza il Ministro intenda adottare, in generale, per intervenire sul sistema delle cooperative che appare all'interrogante inquinato e, con riguardo al caso specifico, a tutela della lavoratrice raggirata e se non ritenga opportuno, alla luce dei continui scandali che investono il mondo delle cooperative, intensificare i controlli orientandoli specificatamente su quelle false e malsane, che hanno rapporti border line con vere e proprie associazioni criminali e che molto spesso operano speculazioni sui soggetti più deboli e bisognosi. (5-04390)

Interrogazione a risposta scritta:


      NICCHI, AIRAUDO, PLACIDO e MATARRELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          un articolo di Chiara Saraceno, pubblicato sulla rivista Micromega del 28 dicembre 2014, si concentra su «quei lavoratori invisibili che sono i bambini e ragazzi sotto i quattordici anni che lavorano in totale condizione di illegalità e non appaiono in nessuna statistica del lavoro»;
          come riporta il suddetto articolo, le stime, che comprendono sia gli italiani che stranieri, variano, e sono ferme a circa quindici anni fa, quando «l'Istat stimava vi fossero circa 144 mila bambini tra i 7 e i 14 anni “economicamente attivi”, mentre uno studio della Cgil ne stimava circa 400 mila»;
          la tabella per età degli infortuni sul lavoro denunciati del rapporto INAIL, anno 2013, denuncia 63.828 minori di 14 anni che hanno subito un infortunio sul lavoro: il 9,19 per cento di tutti gli infortuni dell'anno;
          questo numero è rimasto pressoché stabile nell'ultimo triennio (ma è aumentato rispetto al 2009), a fronte di una diminuzione in tutte le altre fasce di età;
          è il doppio circa della stima fatta dall'ISTAT nel 1988;
          anche tenendo conto che alcuni di questi incidenti possono essere avvenuti mentre il bambino aiutava occasionalmente un genitore nelle sue attività, la cifra è circa il doppio di quella – 31.500 – che l'ISTAT quindici anni fa stimava riguardasse situazioni di vero e proprio sfruttamento;
          la cifra di oltre sessantamila bambini coinvolti in incidenti sul lavoro in un anno suggerisce che i bambini lavoratori siano molti di più  –:
          se non intenda attivarsi al fine di giungere a una quantificazione più aggiornata e reale del fenomeno del lavoro minorile nel nostro Paese;
          se non si ritenga indispensabile prevedere opportune iniziative volte a contrastare il fenomeno del lavoro minorile illegale e degli infortuni sul lavoro dei minori. (4-07446)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MARTELLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          come riportato dagli organi di stampa, da qualche tempo, nei pub della Gran Bretagna si è diffusa la «moda» di servire il Prosecco alla spina;
          si tratta di una moda assai popolare in Gran Bretagna con decine di locali che hanno installato attrezzature per servire il Prosecco alla spina e con i consumatori inglesi che apprezzano la novità anche per il risparmio in quanto un bicchiere alla «spina» costa 4 sterline, mentre comprare una bottiglia costa da 25 sterline in su;
          i tre consorzi di produttori sono intervenuti intimando il rispetto delle modalità di erogazione minacciando il ricorso alle vie legali in quanto il prosecco alla spina infrange le regole previste dalla Unione europea la loro violazione equivale a giudizio dell'interrogante ad una vera e propria frode;
          da tempo è in atto soprattutto nel nostro Paese un'azione rivolta a contrastare la diffusione nei bar ristoranti enoteche ed esercizi vari di azioni che danneggiano le produzioni certificate, in quanto il prosecco può essere venduto solo in bottiglia di vetro con regolare fascetta del consorzio di tutela Docg proprio a garanzia di provenienza e qualità;
          la Gran Bretagna va ricordato che rappresenta il terzo paese di importazione di prosecco con 5 milioni di bottiglie all'anno ed un fatturato di oltre 22 milioni di euro solo nell'ultimo anno  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda assumere nelle sedi preposte per tutelare una delle eccellenze del «made in Italy» e contrastare il pericolo di immissione sul mercato di prodotti contraffatti che danneggerebbero un intero territorio ed il suo comparto a discapito della qualità e della certezza della provenienza.
(5-04397)

SALUTE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
          la legionellosi, patologia letale con una media del 16 per cento dei casi, è una forma di polmonite batterica il cui contagio, trasmissibile per via aerea, interessa in particolar modo soggetti immunodepressi e quindi maggiormente esposti a rischio;
          l'infezione si contrae per inalazione di acqua nebulizzata contaminata dal batterio della legionella. Pertanto gli impianti di condizionamento, gli impianti idrici delle docce e perfino le vasche idromassaggio, costituiscono dei siti favorevoli per la diffusione del batterio;
          negli ultimi anni, sia in Italia che all'estero, si è registrato un significativo aumento dei casi in particolare nell'ambito delle strutture ospedaliere e in quelle residenziali per anziani;
          poiché la legionellosi è caratterizzata da un alto tasso di mortalità, anche in conseguenza della debolezza dei soggetti, esposti a rischio, in Italia è una malattia soggetta a obbligo di notifica nella classe II (decreto ministeriale 15 dicembre 1990), ma dal 1983 viene anche sorvegliata da un sistema di segnalazione;
          i metodi di prevenzione della legionellosi attualmente utilizzati sono principalmente lo shock termico e l'iperclorazione delle acque;
          il primo si è rivelato scarsamente efficace, a causa della difficoltà di portare a temperatura sufficientemente elevata l'acqua contenuta in impianti idrici spesso obsoleti o troppo ampi. Il secondo si caratterizza per effetti negativi su una parte delle attrezzature e degli impianti e soprattutto per l'alterazione dell'acqua destinata al consumo umano ben oltre i limiti consentiti dalla legge. È purtroppo frequente e assolutamente paradossale che negli ospedali, a seguito di iperclorazione anti legionella, venga esposto il cartello «acqua non potabile»;
          le «Linee Guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi», attualmente vigenti furono approvate nell'anno duemila e da allora non sono state aggiornate, mentre si registra soltanto un progetto di ricerca, avviato nel 2007, dal Ministro della salute che peraltro non si è tradotto in indicazioni operative;
          è presumibile che grazie ai progressi tecnologici degli ultimi anni siano disponibili tecnologie che consentano di eliminare le colonie di legionella senza gli inconvenienti sopra ricordati  –:
          se non ritenga, opportuno istituire un tavolo di lavoro, utilizzando le migliori competenze del settore, finalizzato a predisporre nuove linee guida, in grado di affrontare, con mezzi e misure adeguate, la legionellosi in modo più appropriato ed efficace.
(2-00799) «Monchiero, Mazziotti Di Celso».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
          lo Stato italiano, attraverso le sue leggi, finalizza la procreazione responsabile alla tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento (all'articolo 1, comma 1, lettera c), della legge n.  405 del 1975). Questa tutela è ribadita anche all'articolo 1, comma 1, della legge n.  194 del 1978 che, pur permettendo l'aborto in casi che dovrebbero essere eccezionali, proclama la tutela della vita umana dal suo inizio, cioè dal concepimento e non dall'inizio della «gravidanza» (che l'OMS, per convenzione, fa decorrere dall'impianto in utero). La legge n.  40 del 2004, da ultimo, all'articolo 1, comma 1, riconosce al concepito nelle procedure di fecondazione assistita le tutele che garantisce ai suoi genitori (passaggio mai modificato da alcuno dei numerosi interventi della Corte costituzionale);
          è quindi importante sapere se i farmaci utilizzati per la contraccezione d'emergenza, il Levonorgestrel (LNG, Norlevo) e l'Ulipristal Acetato (UPA, ellaOne), agiscano sempre prevenendo il concepimento o anche attraverso altri meccanismi di azione e se il loro uso sia, di conseguenza, sempre compatibile con le leggi e, prima ancora, con i princìpi che le fondano;
          un'informazione corretta sul meccanismo d'azione di questi farmaci appare dunque doverosa ed è presupposto indispensabile perché siano pienamente liberi sia il consenso informato al loro utilizzo da parte della donna, sia la scelta professionale del medico in merito alla loro prescrizione;
          la libertà di coscienza del medico e di tutti gli operatori sanitari è un bene costituzionalmente rilevante ed essa non può prescindere da un'informazione corretta (CNB pronunciamento 12 luglio 2012);
          per contraccezione d'emergenza si intende l'assunzione di farmaci a seguito di un rapporto sessuale non protetto avvenuto nel periodo fertile del ciclo mestruale e cioè nei 4-5 giorni che precedono l'ovulazione e nel giorno dell'ovulazione stessa: solo in tali giorni, infatti, il muco cervicale consente il passaggio agli spermatozoi. Fra essi, il giorno più fertile, cioè quello in cui la probabilità di concepire è più alta, è il giorno che precede l'ovulazione, seguito dal giorno ancora precedente e dal giorno stesso dell'ovulazione. In questi tre giorni è anche massima l'incidenza di rapporti sessuali, sia protetti, sia non protetti;
          assumere questi farmaci costituisce un tentativo estremo che si trova a fare i conti con il fatto che, grazie al muco fertile, gli spermatozoi hanno già attraversato il collo dell'utero e in buona parte hanno anche già raggiunto la tuba e che l'ovulazione è ormai prossima;
          per evitare che clinicamente compaia una gravidanza si può impedire in extremis che avvenga l'ovulazione e cioè prevenire il concepimento, oppure fare in modo che il figlio concepito non trovi all'interno dell'utero il terreno accogliente di cui ha bisogno;
          la differenza sostanziale fra le due ipotesi è chiara: nel primo caso non si giunge al concepimento, nel secondo viene attivamente soppresso l'embrione ancora prima che si manifesti la sua presenza;
          i farmaci attualmente utilizzati nella contraccezione d'emergenza sono il Levonorgestrel (LNG, Norlevo), un potente progestinico sintetico, e l'Ulipristal Acetato (UPA, ellaOne), un potente antiprogestinico sovrapponibile per caratteristiche chimiche al Mifepristone (RU486, Myfegyne);
          l'azienda produttrice (HRA Pharma), la Food and Drugs Administration degli Stati Uniti (USFDA), l'Agenzia europea dei medicinali (EMA), le più rappresentative società scientifiche internazionali e nazionali dei ginecologi sostengono e divulgano che i contraccettivi d'emergenza prevengono o ritardano l'ovulazione e quindi impediscono il concepimento, senza interferire in alcun modo con l'annidamento;
          la realtà dei fatti che si evince dagli studi sperimentali è, invece, profondamente diversa;
          per tutti i riferimenti bibliografici riguardanti tali studi, si rimanda alla position paper della SIPRe – Società italiana procreazione responsabile – al sito: http://www.sipre.eu;
          gli studi sperimentali, inclusi quelli che hanno portato all'approvazione dei due farmaci, evidenziano che Norlevo ed ellaOne non sono in grado di prevenire con certezza il concepimento, se non quando vengano assunti proprio all'inizio del periodo fertile. Nei giorni fertili successivi, infatti, e soprattutto nei giorni più prossimi alla liberazione dell'ovocita, questi farmaci non hanno più alcun effetto sull'ovulazione e sul concepimento, mentre rendono l'endometrio inospitale per l'embrione. I giorni fertili più prossimi all'ovulazione sono, peraltro, i giorni più fertili del ciclo mestruale e sono anche quelli in cui statisticamente sembrano concentrarsi il maggior numero di rapporti sessuali e in cui si verificano il maggior numero di concepimenti;
          per quanto riguarda Norlevo, ogni compressa contiene 1.5 mg di Levonorgestrel, da assumersi per via orale in unica dose. Il farmaco viene presentato come contraccettivo di emergenza da utilizzare entro 72 ore dal rapporto sessuale non protetto, evidentemente avvenuto in uno dei giorni fertili pre-ovulatori. L'efficacia del trattamento, tuttavia, sembra persistere fino a 96 ore senza riduzione significativa;
          la Federazione internazionale dei ginecologi e ostetrici (FIGO) e il Consorzio internazionale per la contraccezione d'emergenza (ICEC) nei loro statement ufficiali congiunti del 2008, del 2011 e del 2012, «How do Levonorgestrel-only emergency contraceptive pills (LNG ECPs) work to prevent pregnancy ?», affermano che il Levonorgestrel agisce posticipando o inibendo l'ovulazione e che quindi previene il concepimento senza interferire con l'annidamento di un embrione eventualmente concepito;
          in realtà, proprio dagli studi citati a sostegno di queste affermazioni, appare evidente che la maggioranza delle donne studiate ovula regolarmente quando assume il farmaco nella fase pre-ovulatoria avanzata, che comprende anche i giorni più fertili del ciclo. Gli studi citati, oltre a evidenziare che le donne ovulano, dimostrano anche che in queste stesse donne il Levonorgestrel – somministrato nel periodo fertile pre-ovulatorio – impedisce la formazione di un corpo luteo adeguato, rendendo insufficiente la produzione di quegli ormoni (progesterone in particolare) che hanno il compito di preparare l'endometrio all'impianto. Ne consegue l'impossibilità per l'embrione di annidarsi;
          va segnalato, tuttavia, che LNG, assunto nei giorni fertili, è comunque molto efficace: esso previene il 70 per cento delle gravidanze, pur essendo incapace di inibire l'ovulazione proprio nei giorni più fertili del ciclo, quelli in cui si concentrano il maggior numero di rapporti e di concepimenti. In uno studio, in particolare, oltre il 70 delle pazienti trattate con Norlevo nei giorni fertili pre-ovulatori ovularono normalmente al momento previsto, senza però che poi comparisse alcuna gravidanza a seguito dei rapporti sessuali non protetti. Evidentemente la ragione del successo del Norlevo risiede in altro: le modificazioni indotte nell'endometrio che lo rendono inadatto all'annidamento dell'embrione;
          gli studi di coorte, a ulteriore conferma, dimostrano con estrema chiarezza che è proprio la somministrazione del Levonorgestrel nel periodo pre-ovulatorio a impedire che compaiano gravidanze clinicamente evidenti e, dal momento che l'ovulazione non viene impedita e il concepimento può normalmente seguire, l'effetto contraccettivo sarà necessariamente post-concezionale;
          malgrado tali evidenze, gli esperti della FIGO sostengono che il Levonorgestrel non impedisce l'annidamento e lo esplicitano in tutte le successive edizioni degli statement. Per dimostrarlo si rifanno a due studi che utilizzano colture di tessuto endometriale prelevato da donne fertili con cicli normali, che non avevano ricevuto alcun trattamento ormonale;
          in particolare, nei due studi citati vengono utilizzate colture da endometrio luteale prelevato cinque giorni dopo l'ovulazione, cioè nel periodo di sua massima recettività. In questo endometrio del tutto ospitale vengono impiantati embrioni. La presenza in coltura del Levonorgestrel consentirebbe l'impianto del 45 per cento degli embrioni;
          anche volendo accettare che il Levonorgestrel, aggiunto in coltura, non interferisca con l'annidamento, va ribadito, tuttavia, che in questi studi viene utilizzato endometrio normale ottenuto da pazienti che non avevano assunto alcun trattamento ormonale; non si utilizza endometrio prelevato da pazienti trattate con Levonorgestrel nei giorni fertili pre-ovulatori. La sola cosa che questi studi consentono di affermare è che il Levonorgestrel, somministrato cinque giorni dopo il concepimento, in piena e normale fase luteale, non impedisce un annidamento che sia già in corso; ma non sono certo questi i giorni in cui viene raccomandato il ricorso alla contraccezione d'emergenza;
          per quanto riguarda ellaOne, ogni compressa contiene 30 mg di Ulipristal Acetato nella sua forma micronizzata, da assumersi per via orale in unica dose. È unanimemente riconosciuto che 30 mg di UPA micronizzato equivalgono a 50 mg di UPA non micronizzato, il principio attivo somministrato in capsule di gelatina che era stato utilizzato nelle precedenti sperimentazioni cliniche;
          l'azienda produttrice, HRA Pharma, sostiene che ellaOne, somministrato nel periodo fertile del ciclo mestruale, abbia la capacità di posticipare l'ovulazione e quindi impedisca l'incontro di uovo e spermatozoo. Il farmaco avrebbe la capacità di inibire l'ovulazione e di differirla di cinque giorni anche quando venisse assunto immediatamente prima dell'ovulazione, e agirebbe con efficacia immutata anche se assunto fino a cinque giorni dopo il rapporto non protetto;
          questa posizione ufficiale, che si basa su un unico studio che valuta l'effetto di ellaOne sull'ovulazione, quello di Brache appena citato, è fatta propria in toto e così divulgata da ICEC e FIGO (http://sigo.it);
          benché il numero di donne valutate sia esiguo, solo 34, esse vengono considerate dapprima complessivamente e quindi stratificate in tre gruppi a seconda che ricevano Ulipristal prima che LH inizi ad aumentare (inizio del periodo fertile), oppure durante la fase di incremento di LH, (secondo-terzo giorno fertile del ciclo) o, ancora, dopo che il picco di LH è stato raggiunto: le 24-48 ore pre-ovulatorie e giorno dell'ovulazione, corrispondenti agli ultimi giorni, i più fertili, del ciclo mestruale;
          la valutazione complessiva evidenzia che l'assunzione di ellaOne nel periodo fertile del ciclo mestruale inibisce o posticipa l'ovulazione complessivamente nel 58,8 per cento delle donne. Questo significa che il 41,2 per cento delle donne trattate nel periodo fertile ovulano regolarmente e possono concepire;
          la successiva valutazione dell'efficacia anti-ovulatoria di ellaOne in relazione al momento di assunzione del farmaco, nelle tre diverse fasi del periodo fertile, evidenzia che l'ovulazione risulta costantemente ritardata soltanto nelle otto donne trattate all'inizio del periodo fertile. Se l'ormone LH ha già iniziato a crescere l'ovulazione è ritardata nel 78 per cento dei casi: in undici donne su quattordici (tre donne ovulano e possono concepire). Nelle pazienti in cui il picco di LH è già stato raggiunto l'ovulazione è ritardata in un solo caso su dodici: il 92 per cento delle donne studiate ovula e può dunque concepire;
          l'autrice stessa dell'articolo, nel paragrafo dei risultati, precisa che al picco di LH, uno-due giorni prima dell'ovulazione, il farmaco non ha più alcuna capacità di impedirla e funziona esattamente come un placebo. Si tratta, come detto, dei giorni più fertili del ciclo, quelli in cui si verifica il maggior numero di concepimenti; i giorni nei quali un farmaco con una efficacia «contraccettiva» costantemente superiore all'80 per cento dovrebbe inibire l'ovulazione con la massima efficacia se il suo effetto fosse riconducibile a una azione anti-ovulatoria;
          è dimostrato invece, come si è visto, che ellaOne, assunto nel periodo più fertile del ciclo e cioè uno-due giorni prima dell'ovulazione, non agisce con meccanismo anti-ovulatorio. La sua capacità di inibire l'ovulazione, infatti, è massima (100 per cento) solo all'inizio del periodo fertile; successivamente si riduce in modo rapido e progressivo fino a quasi azzerarsi (8 per cento) nei due giorni pre-ovulatori. Nonostante questo, la sua efficacia, superiore all'80 per cento, non si riduce nel tempo: sia che il farmaco sia assunto nel primo giorno dopo il rapporto a rischio, sia che esso sia assunto invece nel secondo, nel terzo, nel quarto o addirittura nel quinto giorno dopo il rapporto stesso, l'efficacia nel prevenire la gravidanza indesiderata si mantiene costantemente elevata;
          se il meccanismo contraccettivo fosse davvero correlato all'inibizione dell'ovulazione ci si attenderebbe un progressivo calo della sua efficacia col passare dei giorni, man mano che il momento dell'ovulazione si approssima. Invece l'efficacia di ellaOne rimane costantemente elevata. Ciò evidenzia che il meccanismo contraccettivo va ricondotto ad altro, in particolare alla sua azione di inibizione dell'endometrio;
          l'assunzione di una sola dose di Ulipristal, infatti, altera profondamente la recettività del tessuto endometriale, sia che essa avvenga a metà della fase follicolare, prima ancora che inizino i giorni fertili, sia che essa avvenga a metà ciclo nei giorni immediatamente successivi all'ovulazione (a concepimento avvenuto), sia che essa avvenga, infine, a metà della fase luteale, proprio nei giorni in cui l'embrione dovrebbe annidarsi;
          l'effetto inibitorio sulla maturazione dell'endometrio è diretto ed è legato all'inibizione dei recettori tissutali per il Progesterone (è esattamente lo stesso meccanismo con cui agisce la pillola RU486). In sostanza, ellaOne occupa quelle strutture cellulari alle quali il Progesterone dovrebbe legarsi per poter espletare la sua funzione pro-gestazione. Il Progesterone è presente ma non può agire, venendo meno così l'espressione di quelle proteine che rendono l'endometrio ospitale e l'organismo materno accogliente nei confronti del figlio;
          questi effetti sono sovrapponibili a quelli osservati dopo somministrazione di Mifepristone (RU486), la pillola utilizzata per interrompere la gravidanza, ma UPA è efficace a dosaggi ancora inferiori;
          questa inibizione si osserva anche quando alla donna vengono somministrati dosaggi di Ulipristal sensibilmente più bassi di quanto è contenuto nella pillola ellaOne: per rendere l'endometrio ostile all'embrione bastano dosi anche cinque volte inferiori a quelle assunte, con scarso successo, a fini anti-ovulatori. È documentato, infatti, che la soglia di farmaco sufficiente per alterare l'endometrio è inferiore a quella richiesta per interferire col normale sviluppo dei follicoli ovarici. Negli studi sperimentali, già alle dosi di 50 e 100 mg, UPA non micronizzato determina una riduzione nello spessore endometriale e un incremento dei recettori progestinici (che indicano il prevalere dell'effetto estrogenico), effetti che impediscono l'annidamento dell'embrione;
          quanto a ellaOne, la cui compressa contiene 30 mg di UPA micronizzato, occorre ribadire che tale dose equivale esattamente ai SO mg di UPA non micronizzato che sono stati somministrati nello studio della Stratton e che, di conseguenza, non può che avere gli stessi effetti anti-annidamento sull'endometrio;
          con ellaOne, dunque, l'endometrio sarà sempre inospitale ed ogni volta che avverrà un concepimento l'embrione, inevitabilmente, non potrà sopravvivere;
          in sintesi, le donne che assumono Ulipristal dopo un rapporto sessuale avvenuto nel periodo fertile del ciclo prevalentemente ovulano e possono concepire. Gli spermatozoi saranno già entrati e l'uovo viene liberato: nulla osta al concepimento. L'endometrio, però è irrimediabilmente compromesso, indipendentemente dal momento in cui Ulipristal venga assunto;
          d'altra parte, la grande e reclamizzata novità di ellaOne, presentata come «la pillola dei cinque giorni dopo», è proprio quella di essere totalmente efficace anche se presa cinque giorni dopo il rapporto sessuale avvenuto nel periodo fertile del ciclo. Se immaginiamo un rapporto sessuale avvenuto il giorno prima dell'ovulazione, con il concepimento entro le successive 24 ore (e quindi 48 ore dopo quel rapporto sessuale), come potrà invocarsi un'azione anti-ovulatoria e anticoncezionale per un agente chimico assunto con immutata efficacia fino a cinque giorni da quel rapporto e quindi fino a quattro giorni dopo l'ovulazione e fino a tre giorni dopo il concepimento ? Si avrà esclusivamente un'azione anti-annidamento;
          è evidente da tutte le considerazioni esposte che questi farmaci agiscono prevalentemente impedendo l'annidamento dell'embrione in utero, ma questo effetto non è compatibile, come si è detto all'inizio, con i principi fondamentali su cui si fondano le nostre leggi e la nostra stessa Costituzione;
          nel recente documento «Levonorgestrel and Ullpristal remain suitable emergency contraceptives for all women, regardless of bodyweight» (EMA/631408/2014), rilasciato dall'EMA il 30 settembre 2014 a seguito della «Artiche 31 referral procedure» relativa all'efficacia dei contraccettivi di emergenza nelle donne in sovrappeso, si è preteso di confermare per i contraccettivi di emergenza il solo meccanismo d'azione anti-ovulatorio. In quel documento, alla fine del capitolo diretto ai medici «Information to healthcare professionals», sono riportate sei voci bibliografiche. La referenza n.  6 di pag. 3 richiama, attualizzandolo, un precedente documento dell'EMA: «CHMP Assessment Report for Ellaone» (EMEA-261787-2009), dal quale si evince che EMA è ben consapevole del fatto che:
              1. l'efficacia di Ulipristal Acetato (UPA) e l'efficacia del Mifepristone (RU486) nell'interrompere la gravidanza nei primati sono equivalenti (pag. 10);
              2. nella contraccezione d'emergenza «alterazioni dell'endometrio possono contribuire all'efficacia di Ulipristal» (pag. 23), riconoscendosi così un meccanismo d'azione post-concezionale che, tuttavia, non viene mai riportato nel foglietto illustrativo di ellaOne;
              3. è concreta la possibilità che UPA sia utilizzato off-label per interrompere la gravidanza, ma non si riesce a immaginare come ciò possa essere evitato, se non, forse, attraverso un attento controllo delle prescrizioni (pag. 45) (quelle prescrizioni che EMA propone di eliminare);
          sono dati noti già dal 2009, epoca d'iniziale approvazione del prodotto ellaOne con procedura centralizzata EMA. Già da allora EMA sapeva cose che non ha ritenuto opportuno comunicare;
          i tre studi sull'endometrio che in questa interrogazione sono citati (due della Stratton e uno della Passaro) sono gli stessi richiamati nel documento EMA del 2009, esattamente a pagina 22: la sigla che li individua nella sperimentazione HRA Pharma è «HRA2914» seguita dal numero specifico. Sulla loro base è espressa la conclusione di pagina 23 che ammette un verosimile effetto post-concezionale, mai comunicato nei documenti informativi ufficiali;
          non sono seguiti, negli anni successivi, altri studi sperimentali. Tutti tre gli studi – evidentemente non superati – evidenziano che per deprimere l'endometrio e renderlo inospitale bastano dosaggi di Ulipristal Acetato largamente inferiori a quelli contenuti in ellaOne (Stratton «HRA2914-505». Human Reproduction 2000; 1092-1099. Vedi pag. 1098, primo paragrafo della discussione). Ma questi studi evidenziano anche che, quanto a capacità di inibire la maturazione secretiva dell'endometrio, Ulipristal è praticamente sovrapponibile alla RU486 e agisce a dosaggi anche molto inferiori (Stratton «HRA2914-506» Fertility & Sterility 2010; 93:2035-2041. Vedi pag. 2039, colonna sinistra, ultime sette righe) e (Passaro «HRA2914-503». Human Reproduction 2003; 18:1820-1827. Vedi pag. 1826, primo paragrafo);
          questi tre studi evidenziano che in caso di concepimento l'endometrio sarà sempre inospitale e l'embrione non potrà annidarsi né, evidentemente, sopravvivere;
          l'EMA, agenzia chiamata a tutelare, a livello europeo, la salute dei cittadini e le libertà professionale dei medici, manca di richiamare, quel che essa stessa conosce ed esplicitamente ammette già dal 2009: e cioè che Ulipristal possa agire con meccanismo post-concezionale e abbia effetti anche francamente abortivi con la stessa efficacia del Mifepristone (RU486);
          che gli effetti di Ulipristal e Mifepristone siano largamente sovrapponibili nell'apparato riproduttivo femminile è ampiamente noto dalla letteratura e documentato nella pratica clinica. Mifepristone è utilizzato come contraccettivo di emergenza a dosi di 25-50 mg in Cina. Se somministrato a metà della fase follicolare, prima ancora che inizino i giorni fertili, i suoi effetti sull'ovulazione sono simili a quelli di UPA, anche se UPA è efficace a dosaggi molto inferiori;
          parimenti, nella fase luteale iniziale, 200 mg di Mifepristone sono altamente efficaci nell'impedire la gravidanza; è superfluo sottolineare che in quella fase del ciclo ovulazione e concepimento sono già avvenuti. È lo stesso effetto riscontrato con dosaggi di Ulipristal largamente inferiori;
          infine, somministrato nella fase medio-luteale, anche il Mifepristone come Ulipristal non micronizzato, alla medesima dose di 200 mg, determina costantemente un sanguinamento endometriale anticipato;
          Mifepristone (RU486) alla dose di 200 mg è il farmaco che si usa per interrompere la gravidanza. Ulipristal non è mai stato utilizzato per l'interruzione della gravidanza nella donna. I due farmaci, tuttavia, condividono le stesse attività sia sullo sviluppo dei follicoli ovarici, sia sull'endometrio, a dosaggi che sono sostanzialmente sovrapponibili. Inoltre, sia Ulipristal sia Mifepristone, sempre alle medesime dosi (5 mg al giorno per trattamenti di tre mesi), sono in grado di ridurre il volume dei fibromi uterini e di ridurre l'intensità delle emorragie uterine;
          attualmente Ulipristal micronizzato è disponibile in farmacia per il trattamento pre-operatorio dei fibromi uterini. Il nome del preparato commerciale è Esmya: una confezione contiene un blister con 28 compresse da 5 mg ognuna, per un totale complessivo di 140 mg (ellaOne ne contiene 30 mg);
          preme solo ricordare che 120 mg di Ulipristal micronizzato (dosaggio inferiore a quanto contenuto in una confezione di Esmya ed ottenibile con sole quattro compresse di ellaOne) equivalgono a 200 mg di Ulipristal non micronizzato: la dose equivalente a quei 200 mg di Mifepristone che si usano nei protocolli per l'interruzione della gravidanza. Entrambi i farmaci, a questi dosaggi, somministrati sette giorni dopo l'ovulazione e il concepimento, esattamente nei giorni in cui si perfeziona l'annidamento, determinano costantemente una mestruazione anticipata;
          questo dato andrebbe considerato con estrema attenzione nel decidere le modalità e i limiti di prescrizione dei preparati che contengono Ulipristal Acetato;
          in questa luce appare ancora più grave che lo scorso 21 novembre 2014 la stessa EMA abbia deliberato la richiesta di liberalizzare completamente la distribuzione di ellaOne, rendendo così vendibile, senza necessità di alcuna prescrizione medica, un principio attivo – Ulipristal Acetato – idoneo a interrompere la gravidanza. Il «consumatore» (la donna), a quel punto, non dovrà fare altro che procurarsi alcune confezioni di ellaOne per disporre del dosaggio di Ulipristal sufficiente a provocarsi, con efficacia, un aborto autogestito in evidente contrasto anche con la legislazione vigente  –:
          se non ritenga opportuno fornire una maggiore informazione in relazione a quanto esposto in premessa, al fine di tutelare i consumatori e i professionisti nonché l'esercizio costituzionale delle libertà del cittadino sia esso medico o paziente;
          se il meccanismo d'azione antinidatorio dei farmaci usati nella contraccezione d'emergenza non si ponga in contrasto con le leggi e con i principi che le fondano e, in particolare, se il loro uso, soprattutto ove al di fuori di ogni controllo medico, non si ponga in conflitto:
              con l'articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 405 del 1975, in base al quale lo Stato italiano finalizza la procreazione responsabile alla tutela del prodotto del concepimento, oltre che ovviamente della salute della donna;
              con l'articolo 1, comma 1, della legge 194 del 1978 dove afferma che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, ma tutela la vita umana dal suo inizio (cioè dal concepimento) e che l'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite;
              con l'articolo 1, comma 1, della legge 40 del 2004, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti nelle procedure di fecondazione medicalmente assistita, compreso il concepito;
          quali siano le ragioni per le quali l'Italia non si sia avvalsa, al momento di decidere la disponibilità di ellaOne, della clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 4, comma 4, della Direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, nel quale si afferma che la Direttiva stessa «non osta all'applicazione delle legislazioni nazionali che vietano o limitano la vendita, la fornitura o l'uso di medicinali a fini contraccettivi o abortivi. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle legislazioni nazionali in questione»;
          se, nel caso in cui la Commissione europea ratifichi la proposta dell'EMA di dispensare ellaOne senza prescrizione medica, l'Italia intenda adeguarsi totalmente o non intenda avvalersi della predetta clausola, al fine di evitare la diffusione dell'aborto autogestito e clandestino.
(2-00800) «Gigli, Dellai».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BORGHESI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in seguito alla conferma di positività di un virus influenzale sottotipo H5N8 ad alta patogenicità in un allevamento di tacchini da carne della provincia di Rovigo, è stato emesso un dispositivo dirigenziale prot. 27212 del 22 dicembre 2014 recante misure di controllo ed eradicazione per contenere l'eventuale diffusione del virus dell'influenza aviaria;
          successivamente è stato emesso un altro dispositivo dirigenziale prot. 27317 del 23 dicembre 2014 che sospende la deroga al divieto di utilizzo di uccelli da richiamo appartenenti agli ordini degli anseriformi e caradriformi nell'attività venatoria;
          nel secondo atto dirigenziale si dichiara che la sospensione è in accordo con quanto disposto a livello comunitario dalla decisione della Commissione 2005/734/CE del 19 ottobre 2005 e successive modificazioni;
          la decisione della Commissione europea 2005/734/CE del 19 ottobre 2005 e successive modifiche citata nell'atto dirigenziale, istituisce misure di biosicurezza per ridurre il rischio di trasmissione dell'influenza aviaria ad alta patogenicità provocata dal virus dell'influenza H5N1 ad alto rischio per la salute umana e non per il virus H5N8 che al contrario è considerato «altamente patogeno» per gli animali ma a basso rischio per l'uomo dai Centri europei per il controllo delle malattie (Ecdc);
          è stato dichiarato dalle stesse autorità sanitarie olandesi, britanniche e tedesche, ove il ceppo di virus si è scoperto agli inizi di novembre 2014 e confermato dalla stessa Commissione europea, che ci sia poco da temere, precisando che il rischio per la salute pubblica è molto basso e non c’è alcun pericolo per la catena alimentare addirittura precisando che a differenza dell'H5N1 il virus H5N8 è altamente contagioso negli uccelli, ma non è mai stato scoperto negli esseri umani;
          nel Regno Unito, le autorità hanno semplicemente imposto una zona di quarantena di dieci chilometri attorno alla fattoria dello Yorkshire dove è stato trovato il virus; nei Paesi Bassi è stato deciso un blocco di soli tre giorni delle esportazioni di tutto il pollame e una quarantena di trenta giorni attorno all'allevamento colpito e, secondo la Commissione europea, queste misure possono bastare a garantire la sicurezza posto che: «Sono stati seguiti tutti i protocolli e non possiamo che lodare il comportamento delle autorità sanitarie dei due stati membri»  –:
          se, considerato il danno economico e sociale che stanno creando le due ordinanze a migliaia di cittadini e lavoratori, non ritenga opportuno rivalutate le circostanze sopra descritte e considerando i reali rischi del virus influenzale sottotipo H5N8, rivedere immediatamente i provvedimenti di cui sopra ponendo in quarantena una zona cuscinetto di 10 chilometri intorno al solo allevamento dove il ceppo di virus è stato riscontrato così come condiviso dalla stessa Commissione europea per gli altri Paesi membri. (5-04394)


      GELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'agenzia italiana del farmaco (AIFA) e l'Istituto superiore di sanità (ISS) hanno comunicato che l'esito delle analisi effettuate sui vaccini antinfluenzali, appartenenti ai lotti (143301 e 142701) recentemente oggetto di divieto di utilizzo da parte dell'AIFA medesima, è stato completamente negativo;
          i risultati dei test hanno confermato la sicurezza del vaccino antinfluenzale con la conseguente rimozione del divieto di utilizzo dei lotti precedentemente sottoposti a ritiro dal mercato in via cautelativa;
          a seguito di alcune morti sospette si è proceduto al ritiro di due lotti di Fluad con la conseguenza di aver indotto preoccupazione tra chi era solito sottoporsi a questa vaccinazione, e, più in generale, la vicenda ha determinato di fatto un disorientamento della popolazione;
          va ricordato che l'influenza ogni anno causa, nel nostro Paese, circa 8.000 decessi, in particolare nella fascia di popolazione al di sopra dei 65 anni e quest'anno si stima che siano circa 2 milioni le persone che non si sono sottoposte a vaccino rispetto all'anno precedente;
          è del tutto evidente che ci sono delle responsabilità per questa cattiva gestione della comunicazione del rischio che ha spaventato i cittadini mettendo a rischio l'intera campagna vaccinale  –:
          in considerazione di quanto esposto in premessa, quali iniziative intenda assumere il Ministro per individuare le ragioni e le responsabilità di questo cattivo funzionamento del meccanismo di farmacovigilanza che, oggi, alla luce degli esiti negativi dei test sui lotti Fluad, espone la popolazione a maggiori rischi, e, conseguentemente, per rafforzare il sistema di allerta al fine di evitare che in futuro possano ripetersi casi simili. (5-04398)

Interrogazione a risposta scritta:


      COLONNESE, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, TOFALO, PETRAROLI e SIBILIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo pubblicato a pagina 21 sul quotidiano La Repubblica il 25 novembre 2014 divulgava la notizia della storica sentenza del tribunale del lavoro di Milano che obbliga il Ministero della salute al versamento bimestrale di un assegno vitalizio ad un bambino affetto da autismo al quale nel 2006 fu somministrato il vaccino esavalente Infanrix Hexa Sk, della casa farmaceutica Glaxo Smith Kline. Il giudice Di Leo emetteva la sentenza basandosi sulla sussistenza accertata del nesso causale tra vaccinazione e la malattia del bambino e nello specifico, come evidenziato nell'interrogazione a risposta in Commissione n.  5-04141, presentata da Silvia Giordano e altri, la sentenza riporta che nel vaccino vi sarebbe una specifica idoneità lesiva per il disturbo autistico;
          fra novembre e dicembre 2014 si sono verificate 21 morti sospette dopo la somministrazione del vaccino antinfluenzale Fluad, dell'industria farmaceutica Novartis Vaccines and diagnostics S.r.l.;
          una raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 dicembre 2009 esorta i Paesi dell'Unione europea a implementare il numero delle persone vaccinate contro l'influenza stagionale, fino a raggiungere per la stagione invernale 2014/2015, il 75 per cento delle categorie a rischio vaccinate;
          non è prevista ad oggi una sanzione nei confronti dei medici o centri vaccinali che non comunicano ai cittadini quali sono i rischi e le controindicazioni relativi a ciascun vaccino e gli interroganti ritengono doveroso, alla luce di quanto ultimamente accaduto in Italia, che venga introdotto tale strumento normativo;
          secondo gli interroganti quella che sembra soltanto una cattiva abitudine, comporta in realtà la lesione di un diritto inviolabile dell'uomo quale la libertà, sancita dall'articolo 3 della Costituzione italiana; quindi, nella fattispecie, la libertà di scegliere per sé e per i propri cari, in quanto chi riceve informazioni adeguate sullo scopo, la natura di ciascun vaccino, e ancora sulle conseguenze e i rischi da essi derivanti ha più probabilità di scegliere liberamente;
          con la parola «informativa» si intende un complesso di informazioni, comprendenti i rischi e le eventuali controindicazioni in forma di documento scritto, priva di valore legale di liberatoria dei medici e quindi diversa dal cosiddetto «consenso informato»  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere un'iniziativa normativa volta ad introdurre sul territorio nazionale l'obbligo alla raccolta in forma scritta di un'informativa sui rischi e sulle controindicazioni dei vaccini;
          se intenda assumere iniziative per introdurre una sanzione per i medici e responsabili dei centri vaccinali i quali non adempiono all'obbligo di informare adeguatamente i cittadini circa i rischi ed eventuali controindicazioni relative ai vaccini. (4-07428)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


      ROTTA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          la Funivia di Malcesine, è un consorzio di 3 enti pubblici che detengono rispettivamente il 45 per cento delle quote (provincia di Verona), il 30 per cento delle quote (comune di Malcesine) e il 25 per cento delle quote associative (Camera di commercio di Verona). Si occupa di trasporto di persone e cose dal comune di Malcesine fino alla cima del Monte Baldo (1720 metri);
          l'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n.  165 (Testo unico sul pubblico impiego) specifica che: «Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale»;
          in questa fattispecie, a giudizio dell'interrogante parrebbe rientrare a pieno titolo anche il consorzio funivie di Malcesine, in quanto consorzio di 3 enti pubblici, singolarmente assoggettati alla normativa sopradetta secondo il principio del controllo analogo;
          a giudizio dell'interrogante vi sarebbe un'obbligatorietà, per la funivia di Malcesine, di attenersi tanto al Testo unico del pubblico impiego quanto alle altre normative sulla trasparenza che impongono, dal 1o gennaio 2011, l'obbligo di avere l'albo pretorio on line e di adempiere a tutti gli altri obblighi relativi alla trasparenza;
          il consorzio non pubblica, né ha mai pubblicato dal 2011 ad oggi, sul proprio sito internet, nulla di quanto dovrebbe: nessuna delibera del Cda, nessuna determina, atto di spesa e altro. Ciò può essere riscontrato dalla lettura del sito: www.funiviedelbaldo.it;
          il direttore generale pro-tempore dell'Ente, ingegner Franco Falcieri, in una missiva del 21 febbraio 2011 inviata al presidente della provincia, a quello della Camera di commercio ed al sindaco di Malcesine, avrebbe sostenuto che «tali discipline non si applicano agli enti pubblici di natura economica quali il Consorzio, e dunque l'azienda non ha alcun obbligo di garantire trasparenza alle informazioni concernenti le misurazioni e le valutazioni delle performance, né ha l'obbligo di rendere accessibili, anche attraverso la pubblicazione sul sito istituzionale, le informazioni concernenti ogni aspetto della organizzazione, dei curricula, la retribuzione dei dirigenti, eccetera. Il Consorzio non è tenuto inoltre ad istituire una casella di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica; il Consorzio non è obbligato neppure a pubblicare sul sito internet i dati e gli indirizzi di posta elettronica dei dirigenti». Da questa linea, il Consorzio ATF (Azienda funicolare trasporti) di Malcesine non si è mai discostato;
          il consorzio della Funivia di Malcesine, quindi, finirebbe di fatto per disapplicare le seguenti norme:
              a) decreto legislativo 7 marzo 2005 n.  82 relativo al Codice dell'amministrazione digitale;
              b) decreto legislativo 27 ottobre 2009 n.  150 sulla riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro;
              c) legge 28 gennaio 2009 n.  2 sulla conversione del decreto anticrisi, che stabilisce la obbligatorietà per le amministrazioni pubbliche di istituire una casella di posta elettronica certificata;
              d) legge 18 giugno 2009 n.  69, che prevede l'obbligo per le amministrazioni pubbliche di pubblicare nel sito internet le retribuzioni annuali, i curricula, eccetera dei propri dirigenti  –:
          se il Ministro sia informato della questione inerente al consorzio della Funivia di Malcesine e se la normativa in materia di trasparenza e prevenzione della corruzione che opera per tutte le società controllate da pubbliche amministrazioni debba ritenersi applicabile anche al consorzio di cui in premessa. (4-07453)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Rossomando e altri n.  5-04374, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mattiello.

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Tofalo n.  4-07200, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  347 del 10 dicembre 2014.

      TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
          nel settore turistico balneare sono impegnate oltre 30.000 piccole e medie imprese che costituiscono un asse portante dell'apparato produttivo italiano e un settore strategico per il turismo;
          dal 2008, la Commissione europea ha avviato una procedura d'infrazione, la procedura n.  2008/4908 – per il mancato rispetto della direttiva Bolkestein, direttiva 2006/123/CE – nei confronti dell'Italia, a causa delle criticità sollevate in relazione al meccanismo del rinnovo automatico delle stesse concessioni e alla preferenza accordata al concessionario uscente;
          la direttiva «Bolkestein» prevede la messa in asta delle concessioni balneari già gestite e avviate dalle piccole e medie imprese le quali non potrebbero reggere offerte dalle multinazionali operanti nel settore finanziario;
          ad oggi, con il recepimento di tale direttiva, l'attuale stato dei fatti non riesce da un lato a risolvere e tutelare la situazione di chi ha già investito nel settore turistico balneare, e dall'altro evitare altre sanzioni per la mancata effettiva attuazione della direttiva «2006/123/CE»  –:
          se il Governo non intenda assumere improcrastinabilmente iniziative per il riordino del settore, coordinato e realizzato con tavoli di lavoro insieme a tutti gli interessati;
          se e come il Governo intenda tutelare gli interessi delle piccole e medie imprese almeno per l'aspetto riguardante il rientro dei costi;
          se il Governo intenda assumere iniziative normative affinché per la ristrutturazione delle strutture siano adottati criteri di autosufficienza energetica ed eco-compatibilità;
          se il Governo intenda assumere iniziative normative perché siano date in concessione delle aree marittime degradate tipo ex discariche, insediamenti militari, ex aree ferroviarie, da bonificare, e simili, per il recupero con risanamento e riconversione;
          se i Ministri intendano adottare il sistema delle evidenze pubbliche esclusivamente per le aree momentaneamente libere non destinate alla libera balneazione, dando quindi possibilità di richiedere in concessione, a scopo di bonifica e valorizzazione, tutte quelle aree marittime degradate come ex discariche, insediamenti militari, ex aree ferroviarie e similari. (4-07200)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interpellanza Zaccagnini n.  2-00626 del 10 luglio 2014;
          interrogazione a risposta orale Monchiero n.  3-01220 dell'11 dicembre 2014;
          interrogazione a risposta scritta Rondini n.  4-07260 dell'11 dicembre 2014;
          interrogazione a risposta in commissione Prataviera n.  5-04367 del 22 dicembre 2014.

ERRATA CORRIGE

      L'interrogazione a risposta in Commissione Rossomando e altri n.  5-04374 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  357 del 5 gennaio 2015. Alla pagina 20149, seconda colonna, alla riga quinta deve leggersi: «ROSSOMANDO, AMODDIO, GIORGIS e» e non: «ROSSOMANDO, AMODDIO, SORIAL e», come stampato.