XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 10 giugno 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 10 giugno 2015.

      Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Businarolo, Caparini, Capezzone, Carbone, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Dieni, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Guerra, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Merlo, Meta, Migliore, Molea, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

      Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Businarolo, Caparini, Capezzone, Carbone, Casero, Castiglione, Catania, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Dieni, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Guerra, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Merlo, Meta, Migliore, Molea, Nicoletti, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vignaroli, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

      In data 9 giugno 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
          DELLAI ed altri: «Misure di contrasto alla povertà strutturale, per il sostegno al reddito e per l'inclusione attiva» (3165);
          BUSTO: «Norme per la realizzazione di una rete di itinerari per la mobilità ciclistica e per la riattivazione e la riconversione delle linee ferroviarie dismesse» (3166).

      Saranno stampate e distribuite.

Modifica del titolo di una proposta di legge.

      La proposta di legge n.  3090, d'iniziativa dei deputati MORASSUT ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Modifica degli articoli 114, 116, 131 e 132 della Costituzione, concernenti la struttura della Repubblica, la determinazione delle regioni, le forme e le condizioni particolari della loro autonomia e il procedimento per la fusione di regioni esistenti, la modifica del loro territorio e l'istituzione di nuove regioni».

Assegnazione di un progetto di legge a Commissione in sede referente.

      A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, il seguente progetto di legge è assegnato, in sede referente, alla sottoindicata Commissione permanente:

          I Commissione (Affari costituzionali):
      PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE MORASSUT ed altri: «Modifica degli articoli 114, 116, 131 e 132 della Costituzione, concernenti la struttura della Repubblica, la determinazione delle regioni, le forme e le condizioni particolari della loro autonomia e il procedimento per la fusione di regioni esistenti, la modifica del loro territorio e l'istituzione di nuove regioni» (3090) Parere delle Commissioni II, V, VII, VIII e XI.

Trasmissione dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

      Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha trasmesso un decreto ministeriale recante variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzate, in data 19 maggio 2015, ai sensi dell'articolo 23, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n.  289.

      Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura).

Trasmissione dal Ministro della salute.

      Il Ministro della salute, con lettera del 4 giugno 2015, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data all'ordine del giorno CASTELLI n.  9/2803-A/22, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 20 febbraio 2015, concernente la tutela della qualità e della sicurezza dei prodotti del sangue destinati alla trasfusione.

      La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla XII Commissione (Affari sociali) competente per materia.

Annunzio di risoluzioni del Parlamento europeo.

      Il Parlamento europeo ha trasmesso il testo di ventisette risoluzioni e di una decisione approvate nella tornata dal 27 al 30 aprile 2015, che sono assegnate, ai sensi dell'articolo 125, comma 1, del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, nonché, per il parere, alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), se non già assegnate alle stesse in sede primaria:
          Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio che autorizza gli Stati membri ad aderire, nell'interesse dell'Unione europea, alla convenzione internazionale dell'Organizzazione marittima internazionale sulle norme relative alla formazione degli equipaggi dei pescherecci, al rilascio dei brevetti ed alla guardia (Doc. XII, n.  695) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione concernente la posizione del Consiglio sul progetto di bilancio rettificativo n.  2/2015 dell'Unione europea per l'esercizio 2015, sezione III – Commissione (Doc. XII, n.  696) – alle Commissioni riunite V (Bilancio) e XIV (Politiche dell'Unione europea);
          Risoluzione legislativa concernente la posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti di omologazione per lo sviluppo del sistema eCall di bordo basato sul servizio 112 e che modifica la direttiva 2007/46/CE (Doc. XII, n.  697) – alla IX Commissione (Trasporti);
          Risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 98/70/CE relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel e la direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (Doc. XII, n.  698) – alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e XIII (Agricoltura);
          Risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE per quanto riguarda la riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero (Doc. XII, n.  699) – alla VIII Commissione (Ambiente);
          Risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di anidride carbonica generate dal trasporto marittimo e che modifica la direttiva 2009/16/CE (Doc. XII, n.  700) – alla VIII Commissione (Ambiente);
          Risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n.  223/2009, relativo alle statistiche europee (Doc. XII, n.  701) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
          Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (CE) n.  850/98, (CE) n.  2187/2005, (CE) n.  1967/2006, (CE) n.  1098/2007, (CE) n.  254/2002, (CE) n.  2347/2002 e (CE) n.  1224/2009 del Consiglio e abroga il regolamento (CE) n.  1434/98 del Consiglio per quanto riguarda l'obbligo di sbarco (Doc. XII, n.  702) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
          Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione europea e dei suoi Stati membri, del protocollo dell'accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Federazione russa, dall'altra, per tener conto dell'adesione della Repubblica di Croazia all'Unione europea (Doc. XII, n.  703) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione sul seguito dell'attuazione del Processo di Bologna (Doc. XII, n.  704) – alla VII Commissione (Cultura);
          Risoluzione sul cinema europeo nell'era digitale (Doc. XII, n.  705) – alla VII Commissione (Cultura);
          Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n.  1304/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo, per quanto riguarda un aumento del prefinanziamento iniziale versato a programmi operativi sostenuti dall'Iniziativa a favore dell'occupazione giovanile (Doc. XII, n.  706) – alla XI Commissione (Lavoro);
          Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante abrogazione del regolamento (CEE) n.  3030/93 relativo al regime comune da applicare alle importazioni di alcuni prodotti tessili originari dei Paesi terzi (Doc. XII, n.  707) – alla X Commissione (Attività produttive);
          Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle misure di salvaguardia previste nell'accordo tra la Comunità economica europea e il Regno di Norvegia (testo codificato) (Doc. XII, n.  708) – alla X Commissione (Attività produttive);
          Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad alcune procedure di applicazione dell'accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Albania, dall'altra (testo codificato) (Doc. XII, n.  709) – alla X Commissione (Attività produttive);
          Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad alcune procedure di applicazione dell'accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Bosnia-Erzegovina, dall'altra, e dell'accordo interinale sugli scambi e sulle questioni commerciali tra la Comunità europea, da una parte, e la Bosnia-Erzegovina, dall'altra (testo codificato) (Doc. XII, n.  710) – alla X Commissione (Attività produttive);
          Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad alcune procedure di applicazione dell'accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la ex Repubblica iugoslava di Macedonia, dall'altra (testo codificato) (Doc. XII, n.  711) – alla X Commissione (Attività produttive);
          Decisione sul discarico per l'esecuzione del bilancio generale dell'Unione europea per l'esercizio 2013, sezione III – Commissione e agenzie esecutive (Doc. XII, n.  712) – alla V Commissione (Bilancio);
          Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che concerne il regime comune applicabile alle importazioni di prodotti tessili da taluni Paesi terzi, non contemplato da accordi bilaterali, da protocolli o da altre disposizioni né da altro regime unionale specifico in materia di importazioni (rifusione) (Doc. XII, n.  713) – alla X Commissione (Attività produttive);
          Risoluzione sul secondo anniversario del crollo dell'edificio Rana Plaza e la situazione del Patto di sostenibilità del Bangladesh (Doc. XII, n.  714) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione sulle recenti tragedie nel Mediterraneo e sulle politiche dell'Unione europea in materia di migrazione e asilo (Doc. XII, n.  715) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
          Risoluzione sulla persecuzione dei cristiani nel mondo, in relazione all'uccisione di studenti in Kenya per mano del gruppo terroristico al-Shabaab (Doc. XII, n.  716) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione sulla distruzione di siti culturali ad opera dell'ISIS/Da'ish (Doc. XII, n.  717) – alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e VII (Cultura);
          Risoluzione sulla situazione nelle Maldive (Doc. XII, n.  718) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione sulla Banca europea per gli investimenti – Relazione annuale 2013 (Doc. XII, n.  719) – alla V Commissione (Bilancio);
          Risoluzione sulla situazione in Nigeria (Doc. XII, n.  720) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione sulla situazione nel campo profughi di Yarmouk in Siria (Doc. XII, n.  721) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione sull'arresto di attivisti impegnati a favore dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori in Algeria (Doc. XII, n.  722) – alla III Commissione (Affari esteri).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

      La Commissione europea, in data 9 giugno 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
          Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Piano d'azione dell'UE contro il traffico di migranti (2015-2020) (COM(2015) 285 final);
          Proposta di decisione del Consiglio che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia (COM(2015) 286 final), corredata dai relativi allegati (COM(2015) 286 final – Annexes 1 to 3).

Trasmissione dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza.

      L'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, con lettera in data 25 maggio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 18, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012, n.  168, il conto finanziario della medesima Autorità per l'anno 2014, corredato dalla relazione illustrativa, approvato in data 25 maggio 2015.

      Questo documento è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali), alla V Commissione (Bilancio) e alla XII Commissione (Affari sociali).

Trasmissione dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia.

      Il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, con lettera in data 8 giugno 2015, ha trasmesso una risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n.  1829/2003 per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare l'uso di alimenti e mangimi geneticamente modificati sul loro territorio (COM(2015) 177 final) e sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Revisione del processo decisionale in tema di organismi geneticamente modificati (OGM) (COM(2015) 176 final).

      Questo documento è trasmesso alla XII Commissione (Affari sociali), alla XIII Commissione (Agricoltura) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Atti di controllo e di indirizzo.

      Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: DISPOSIZIONI PER L'ADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI DERIVANTI DALL'APPARTENENZA DELL'ITALIA ALL'UNIONE EUROPEA – LEGGE EUROPEA 2014 (A.C. 2977-A)

A.C. 2977-A – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

PARERE FAVOREVOLE

      sull'emendamento 5.201 (Nuova formulazione) con la seguente condizione, volta a garantire il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione:
          «dopo le parole: per l'esercizio delle funzioni aggiungere le seguenti: di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie».

PARERE CONTRARIO

sulle proposte emendative 0.5.200.1 e 0.5.200.2, in quanto suscettibili di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica privi di idonea quantificazione e copertura.

NULLA OSTA

sulle restanti proposte emendative contenute nel fascicolo n.  2, non comprese nel fascicolo n.  1.

A.C. 2977-A – Articolo 5

ARTICOLO 5 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 5.
(Disposizioni relative ai costi amministrativi a carico dei fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche. Procedura di infrazione n.  2013/4020).

      1. Al codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1o agosto 2003, n.  259, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) all'articolo 34:
              1) il comma 2 è sostituito dal seguente:
      «2. Per la copertura dei costi amministrativi sostenuti per le attività di competenza del Ministero, la misura dei diritti amministrativi di cui al comma 1 è individuata nell'allegato n.  10»;
              2) dopo il comma 2 sono aggiunti i seguenti:
      «2-bis. Per la copertura dei costi amministrativi complessivamente sostenuti per l'esercizio delle funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie, nonché di ogni altra funzione attribuita dalla legge all'Autorità nelle materie di cui al comma 1, la misura dei diritti amministrativi di cui al medesimo comma è determinata ai sensi dell'articolo 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n.  266, in proporzione al totale dei ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto dell'autorizzazione generale ovvero della concessione di diritti d'uso.
      2-ter. Il Ministero, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e l'Autorità pubblicano annualmente i costi amministrativi sostenuti per le attività di cui al comma 1 e l'importo complessivo dei diritti riscossi ai sensi, rispettivamente, dei commi 2 e 2-bis. In base alle eventuali differenze tra l'importo totale dei diritti e i costi amministrativi, vengono apportate opportune rettifiche»;
          b) all'allegato n.  10, il comma 1 dell'articolo 1 è sostituito dal seguente:
      «1. Al fine di assicurare la copertura degli oneri di cui al comma 1 dell'articolo 34 del Codice, le imprese titolari di autorizzazione generale per l'installazione e la fornitura di reti pubbliche di comunicazioni, comprese quelle basate sull'impiego di radiofrequenze, le imprese titolari di autorizzazione generale per l'offerta del servizio telefonico accessibile al pubblico, con esclusione di quello offerto in luoghi presidiati mediante apparecchiature terminali o attraverso l'emissione di carte telefoniche, sono tenute al pagamento di un contributo annuo, compreso l'anno dal quale decorre l'autorizzazione generale. Tale contributo, che per gli anni successivi a quello del conseguimento dell'autorizzazione deve essere versato entro il 31 gennaio di ciascun anno, anche nel caso di rinuncia qualora inviata in data successiva al 31 dicembre dell'anno precedente, è determinato nei seguenti importi:
              a) nel caso di fornitura di reti pubbliche di comunicazioni:
                  1) sull'intero territorio nazionale: 127.000 euro;
                  2) su un territorio avente più di 1 milione e fino a 10 milioni di abitanti: 64.000 euro;
                  3) su un territorio avente più di 200.000 e fino a 1 milione di abitanti: 32.000 euro;
                  4) su un territorio avente fino a 200.000 abitanti: 17.000 euro;
                  5) per le imprese che erogano il servizio prevalentemente a utenti finali in numero pari o inferiore a 50.000: 500 euro ogni mille utenti. Il numero degli utenti è calcolato sul quantitativo delle linee attivate a ciascun utente finale;
              b) nel caso di fornitura di servizio telefonico accessibile al pubblico:
                  1) sull'intero territorio nazionale: 75.500 euro;
                  2) su un territorio avente più di 1 milione e fino a 10 milioni di abitanti: 32.000 euro;
                  3) su un territorio avente più di 200.000 e fino a 1 milione di abitanti: 12.500 euro;
                  4) su un territorio avente fino a 200.000 abitanti: 6.400 euro;
                  5) per le imprese che erogano il servizio prevalentemente a utenti finali in numero pari o inferiore a 50.000: 300 euro ogni mille utenti. Il numero degli utenti è calcolato sul quantitativo delle risorse di numerazione attivate a ciascun utente finale;
              c) nel caso di fornitura del servizio di comunicazioni mobili e personali, salvo il caso in cui il contributo sia stato determinato in una procedura di selezione competitiva o comparativa:
                  1) per le imprese che erogano il servizio a un numero di utenti pari o inferiore a 50.000: 1.500 euro ogni mille utenti;
                  2) per le imprese che erogano il servizio ad un numero di utenti superiore a 50.000: 75.500 euro;
          d) nel caso di fornitura, anche congiuntamente, di servizi di rete o di comunicazione elettronica via satellite:
              1) fino a 10 stazioni: 2.220 euro;
              2) fino a 100 stazioni: 5.550 euro;
              3) oltre 100 stazioni: 11.100 euro».
          c) all'allegato n.  10:
              1) dopo l'articolo 1 è inserito il seguente:
      «Art. 1-bis. – (Diritti amministrativi in materia di tecnologia digitale terrestre). – 1. Al fine di assicurare la copertura degli oneri di cui all'articolo 34, comma 1, del codice, le imprese titolari di autorizzazione generale per l'attività di operatore di rete televisiva in tecnologia digitale terrestre sono tenute al pagamento annuo, compreso l'anno a partire dal quale decorre l'autorizzazione generale, di un contributo che è determinato sulla base della popolazione potenzialmente destinataria dell'offerta. Tale contributo, che per gli anni successivi a quello del conseguimento dell'autorizzazione deve essere versato entro il 31 gennaio di ciascun anno, anche nel caso di rinuncia qualora inviata in data successiva al 31 dicembre dell'anno precedente, è determinato nei seguenti importi:
          a) nel caso di fornitura di reti televisive digitali terrestri:
              1) sull'intero territorio nazionale: 111.000 euro;
              2) su un territorio avente fino a 50 milioni di abitanti: 25.000 euro;
              3) su un territorio avente fino a 30 milioni di abitanti: 18.000 euro;
              4) su un territorio avente fino a 15 milioni di abitanti: 9.000 euro;
              5) su un territorio avente fino a 5 milioni di abitanti: 3.000 euro;
              6) su un territorio avente fino a 1 milione di abitanti: 600 euro;
              7) su un territorio avente fino a 500.000 mila abitanti: 300 euro»;
          2) dopo l'articolo 2 è inserito il seguente:
      «Art. 2-bis. – (Contributi annui per i collegamenti in ponte radio). – 1. Le imprese titolari di autorizzazione generale per l'attività di operatore di rete televisiva in tecnologia digitale terrestre per l'utilizzo di frequenze radioelettriche per i collegamenti in ponte radio sono tenute al pagamento dei contributi di seguito indicati per ogni collegamento monodirezionale:
          a) euro 2 per ogni MHz nella gamma di frequenza superiore a 14 GHz;
          b) euro 4 per ogni MHz nella gamma di frequenza tra un valore pari o inferiore a 14 GHz e un valore pari o superiore a 10 GHz;
          c) euro 8 per ogni MHz nella gamma di frequenza tra un valore inferiore a 10 GHz e un valore pari o superiore a 6 GHz;
          d) euro 16 per ogni MHz nella gamma di frequenza inferiore a 6 GHz».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 5 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 5.
(Disposizioni relative ai costi amministrativi a carico dei fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche. Procedura di infrazione n.  2013/4020).

Subemendamento all'emendamento 5.201 (Nuova formulazione) della Commissione.

      All'emendamento 5. 201 (Nuova formulazione), dopo le parole: per l'esercizio delle funzioni aggiungere le seguenti: di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie.
0. 5. 201.1. La Commissione.
(Approvato)

      Al comma 1, lettera a), numero 2), sostituire il capoverso comma 2-bis con il seguente:
      2-bis. Per la copertura dei costi amministrativi complessivamente sostenuti per l'esercizio delle funzioni attribuite dalla legge all'Autorità nelle materie di cui al comma 1, la misura dei diritti amministrativi di cui al medesimo comma 1 è determinata ai sensi dell'articolo 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n.  266, in proporzione ai ricavi maturati dalle imprese nelle attività oggetto dell'autorizzazione generale o della concessione di diritti d'uso.
5. 201.(Nuova formulazione) La Commissione.
(Approvato)

      Al comma 1, lettera b), capoverso comma 1, lettera a), sostituire i numeri 2), 3) e 4) con i seguenti:
          2) su un territorio avente più di 1 milione e fino a 10 milioni di abitanti: 2.000 euro;
          3) su un territorio avente più di 200.000 e fino a 1 milione di abitanti: 1.000 euro;
          4) su un territorio avente fino a 200.000 abitanti: 500 euro.
5. 1. Galgano.

Subemendamenti all'emendamento 5. 200 della Commissione

      All'emendamento 5.200 della Commissione, sostituire il numero 4 con i seguenti:
          4) su un territorio avente più di 10 milioni e fino a 15 milioni di abitanti: 9.000 euro;
          4-bis) su un territorio avente più di 5 milioni e fino a 10 milioni di abitanti: 6.000 euro.
*0. 5. 200. 1. Caparini, Gianluca Pini.

      All'emendamento 5.200 della Commissione, sostituire il numero 4 con i seguenti:
          4) su un territorio avente più di 10 milioni e fino a 15 milioni di abitanti: 9.000 euro;
          4-bis) su un territorio avente più di 5 milioni e fino a 10 milioni di abitanti: 6.000 euro.
*0. 5. 200. 2. Galgano.

      Al comma 1, lettera c), numero 1), capoverso «Art. 1-bis», sostituire la lettera a) con la seguente:
          a)
nel caso di fornitura di reti televisive digitali terrestri:
              1) sull'intero territorio nazionale: 111.000 euro;
              2) su un territorio avente più di 30 milioni e fino a 50 milioni di abitanti: 25.000 euro;
              3) su un territorio avente più di 15 milioni e fino a 30 milioni di abitanti: 18.000 euro;
              4) su un territorio avente più di 5 milioni e fino a 15 milioni di abitanti: 9.000 euro;
              5) su un territorio avente più di 1 milione e fino a 5 milioni di abitanti: 3.000 euro;
              6) su un territorio avente più di 500.000 e fino a 1 milione di abitanti: 600 euro;
              7) su un territorio avente fino a 500.000 mila abitanti: 300 euro”;
5. 200. La Commissione.
(Approvato)

      Al comma 1, lettera c), numero 1), capoverso «Art. 1-bis», lettera a), dopo il numero 4), aggiungere il seguente:
      4-bis) su un territorio avente fino a 10 milioni di abitanti: 6.000 euro.
*5. 20. Caparini, Gianluca Pini, Bossi.

      Al comma 1, lettera c), numero 1), capoverso «Art. 1-bis», lettera a), dopo il numero 4), aggiungere il seguente:
      4-bis) su un territorio avente fino a 10 milioni di abitanti: 6.000 euro.
*5. 21. Galgano.

A.C. 2977-A – Proposta emendativa

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 8 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 8.
(Disposizioni in materia di affidamento di servizi pubblici locali. Procedure di infrazione n.  2012/2050 e 2011/4003).

      Dopo l'articolo 8, aggiungere il seguente:

Art. 8-bis.
(Disposizioni relative ai viaggi, vacanze e circuiti «tutto compreso». Procedura d'infrazione 2012/4094).

      1. Al decreto legislativo 23 maggio 2011, n.  79, recante Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n.  246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) all'articolo 50, comma 2:
              1) il primo periodo è sostituito dal seguente: «In ogni caso i contratti di turismo organizzato sono assistiti da polizze assicurative o garanzie bancarie che, per i viaggi all'estero ed i viaggi che si svolgono all'interno di un singolo Paese, garantiscono, nei casi di insolvenza o fallimento dell'intermediario o dell'organizzatore, il rimborso del prezzo versato per l'acquisto del pacchetto turistico ed il rientro immediato del turista.»;
              2) dopo il primo periodo, è inserito il seguente: «L'obbligo, per l'organizzatore e l'intermediario, di stipulare le polizze o fornire le garanzie di cui al primo periodo, decorre dal 1o gennaio 2016.»;
              3) il secondo periodo è abrogato;
          b) l'articolo 51 è abrogato a decorrere dal 1o gennaio 2016.

      2. Per i contratti di vendita dei pacchetti turistici, così come definiti dall'articolo 34, del decreto legislativo 23 maggio 2011, n.  79, recante Codice del turismo, stipulati entro il 31 dicembre 2015, continua ad applicarsi la disciplina dell'articolo 51, del decreto legislativo 23 maggio 2011, n.  79, recante Codice del turismo. Le istanze di rimborso relative a contratti di vendita dei pacchetti turistici stipulati entro il 31 dicembre 2015, devono essere presentate, a pena di decadenza, entro 3 mesi dalla data in cui si è concluso o si sarebbe dovuto concludere il viaggio, e sono definite fino ai limiti della capienza del Fondo nazionale di garanzia, la cui gestione liquidatoria è assicurata dall'amministrazione competente.
8. 0200. La Commissione.
(Approvato)

A.C. 2977-A – Proposta emendativa

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 18 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 18.
(Disposizioni relative al sistema di identificazione degli animali della specie bovina. Attuazione della direttiva 2014/64/UE, che modifica la direttiva 64/432/CEE per quanto concerne le basi di dati informatizzate che fanno parte delle reti di sorveglianza degli Stati membri).

      Dopo l'articolo 18, aggiungere il seguente:

Art. 18-bis.
(Disposizioni in materia di organismi geneticamente modificati. Attuazione delle misure transitorie di cui all'articolo 26-quater della direttiva 2001/118/CE – Caso EU-Pilot 3972112/ SNCO).

      1. Nelle more dell'attuazione della direttiva 2015/412/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2015, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (OGM) sul loro territorio, ai fini dell'applicazione delle misure transitorie di cui all'articolo 26-quater della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, richiede alla Commissione europea, entro il 3 ottobre 2015, l'adeguamento dell'ambito geografico delle notifiche o domande presentate o delle autorizzazioni alla coltivazione di OGM già concesse anteriormente al 2 aprile 2015, rispettivamente, ai sensi della citata direttiva 2001/18/CE e del regolamento (CE) n.  1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 settembre 2003.
      2. Qualora il notificante o richiedente, ai sensi dell'articolo 26-quater, paragrafo 4, della direttiva 2001/18/CE, confermi l'ambito geografico della sua notifica o domanda iniziale, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, possono essere adottate misure che limitano o vietano in tutto il territorio nazionale o in parte di esso la coltivazione di un OGM o di un gruppo di OGM definiti in base alla coltura o al tratto, una volta autorizzati a norma della parte C della direttiva 2001/18/CE o del regolamento (CE) n.  1829/2003, con le modalità di cui all'articolo 26-ter della direttiva 2001/18/CE.
      3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque viola i divieti di coltivazione introdotti ai sensi dei commi 1 e 2, è punito con la multa da euro 25.000 a euro 50.000. L'autore del delitto di cui al presente comma è tenuto altresì a rimuovere, a propria cura e spese, secondo le prescrizioni del competente organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, le coltivazioni di sementi vietate ed alla realizzazione delle misure di riparazione primaria e compensativa nei termini e con le modalità definiti dalla regione competente per territorio.
      4. Restano fermi i divieti di coltivazione introdotti con atti adottati, anche in via cautelare ai sensi degli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) n.  178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002.
      5. All'articolo 1 del decreto legislativo 24 aprile 2001, n.  212, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 2, primo periodo, le parole: «, continuano ad applicarsi le disposizioni recate dal decreto legislativo 3 marzo 1993, n.  92 e successive modificazioni» sono sostituite dalle seguenti: «si applicano le disposizioni recate dal decreto legislativo 8 luglio 2003, n.  224»;

          b) al comma 2 il secondo periodo è abrogato:

          c) al comma 4 la lettera a) è abrogata;

          d) al comma 4, alla lettera b), le parole: «decreto legislativo n.  92 del 1993, e successive modificazioni» sono sostituite dalle seguenti: «decreto legislativo 8 luglio 2003, n.  224»;

          e) i commi 5 e 6 sono abrogati.
18. 0200. La Commissione.
(Approvato)

A.C. 2977-A – Proposta emendativa

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 21 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 21.
(Disposizioni finalizzate al corretto recepimento della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio. Procedura di infrazione n.  2014/2123).

      Dopo l'articolo 21, aggiungere il seguente:

Art. 21-bis.
(Disposizioni relative allo stoccaggio geologico di biossido di carbonio – Caso EU-PILOT 7334/15/CLIM).

      1. Al decreto legislativo 14 settembre 2011, n.162, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) all'articolo 2, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente:
      «1-bis. È vietato lo stoccaggio di CO2 in un sito di stoccaggio il cui complesso di stoccaggio si estende oltre l'area di cui al comma 1, fatti salvi gli accordi di cui all'articolo 30.»;

          b) all'articolo 8, il comma 4 è sostituito dal seguente:
      «4. Ai fini della valutazione del complesso di stoccaggio, le attività comprese nel programma lavori della licenza di esplorazione possono prevedere una fase di sperimentazione e il monitoraggio relativo all'iniezione di CO2.»;

          c) all'articolo 22, il comma 2 è sostituito dal seguente:
      «2. Il Comitato, su indicazione degli organi di vigilanza e controllo, può prescrivere in qualsiasi momento provvedimenti correttivi necessari nonché provvedimenti relativi alla tutela della salute pubblica che il gestore è tenuto ad adottare. Tali provvedimenti possono essere supplementari o diversi rispetto a quelli descritti nel piano dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 13, comma 1, lettera p)»;

          d) all'articolo 29, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:
      «1-bis. In caso di controversie transfrontaliere si applicano le modalità di risoluzione delle controversie dello Stato membro che ha giurisdizione sulla rete di trasporto o sui siti di stoccaggio ai quali è negato l'accesso. Se, nelle controversie transfrontaliere, la rete di trasporto o il sito di stoccaggio interessano più Stati membri, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente avviano consultazioni al fine di garantire un'applicazione coerente del presente decreto».;

          e) all'articolo 30, le parole: «promuovono la stipula di accordi specifici con Paesi non appartenenti all'Unione europea» sono sostituite dalle seguenti: « promuovono la stipula di accordi specifici con Paesi appartenenti all'Unione europea».
21. 0200. La Commissione.
(Approvato)

A.C. 2977-A – Articolo 22

ARTICOLO 22 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Capo IX
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ENERGIA

Art. 22.
(Modifiche agli articoli 2 e 9 del decreto legislativo 4 luglio 2014, n.  102, di attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE, per la risoluzione di rilievi di cui alla procedura di infrazione n.  2014/2284).

      1. Dopo la lettera c) del comma 2 dell'articolo 2 del decreto legislativo 4 luglio 2014, n.  102, sono inserite le seguenti:
      «c-bis) aggregatore: un fornitore di servizi su richiesta che accorpa una pluralità di carichi utente di breve durata per venderli o metterli all'asta in mercati organizzati dell'energia;
      c-ter) diagnosi energetica: una procedura sistematica finalizzata a ottenere un'adeguata conoscenza del profilo di consumo energetico di un edificio o gruppo di edifici, di un'attività o di un impianto industriale o commerciale ovvero di servizi pubblici o privati, a individuare e a quantificare le opportunità di risparmio energetico sotto il profilo dei costi e dei benefìci e a riferire in merito ai risultati;».

      2. Dopo la lettera c) del comma 7 dell'articolo 9 del decreto legislativo 4 luglio 2014, n.  102, è inserita la seguente:
      «c-bis) quando inviano contratti, modifiche contrattuali e fatture ai clienti finali o nei siti web destinati ai clienti individuali, i distributori di energia, i gestori del sistema di distribuzione o le società di vendita di energia al dettaglio comunicano ai loro clienti in modo chiaro e comprensibile i recapiti dei centri indipendenti di assistenza ai consumatori, delle agenzie per l'energia o di organismi analoghi, inclusi i relativi indirizzi internet, dove i clienti possono ottenere informazioni e consigli sulle misure di efficienza energetica disponibili, sui profili comparativi dei loro consumi di energia nonché sulle specifiche tecniche delle apparecchiature elettriche al fine di ridurre il consumo delle stesse. Tale elenco è sottoposto a un controllo annuale da parte dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico».

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 22 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 22.
(Modifiche agli articoli 2 e 9 del decreto legislativo 4 luglio 2014, n.  102, di attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE, per la risoluzione di rilievi di cui alla procedura di infrazione n.  2014/2284).

      Sopprimerlo.
22. 300. Governo.

(L'Assemblea ha respinto il mantenimento dell'articolo 22)

A.C. 2977-A – Articolo 24

ARTICOLO 24 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 24.
(Disposizioni per la corretta attuazione del terzo pacchetto energia. Procedura di infrazione n.  2014/2286).

      1. Al decreto legislativo 1o giugno 2011, n.  93, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) all'articolo 16:
              1) il comma 1 è abrogato;
              2) il comma 2 è sostituito dal seguente:
      «2. Il Gestore trasmette annualmente all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico e al Ministero dello sviluppo economico il piano decennale di sviluppo della rete, che contiene misure efficaci atte a garantire l'adeguatezza del sistema e la sicurezza di approvvigionamento, tenendo conto anche dell'economicità degli investimenti e della tutela dell'ambiente. L'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, ricevuto il piano, lo sottopone alla consultazione degli utenti della rete effettivi o potenziali secondo modalità aperte e trasparenti e rende pubblici i risultati della consultazione»;
              3) il comma 6 è sostituito dal seguente:
      «6. Il Ministero dello sviluppo economico valuta la coerenza del piano decennale di sviluppo della rete con la strategia energetica nazionale di cui all'articolo 3, con i programmi infrastrutturali derivanti da accordi internazionali firmati dal Governo italiano e con l'esigenza di garantire, nel medio e lungo termine, la sicurezza degli approvvigionamenti di cui all'articolo 8,»;
              4) dopo il comma 6 è inserito il seguente:
      «6-bis. L'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico valuta se il piano decennale di sviluppo della rete contempli tutti i fabbisogni in materia di investimenti individuati nel corso della procedura consultiva e se esso sia coerente con il piano decennale di sviluppo non vincolante della rete a livello europeo di cui all'articolo 8, paragrafo 3, lettera b), del regolamento (CE) n.  715/2009. Se insorgono dubbi sulla coerenza con il piano decennale di sviluppo della rete a livello europeo, l'Autorità consulta l'Agenzia per la cooperazione tra i regolatori nazionali dell'energia. L'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico può chiedere al Gestore di modificare il suo piano decennale di sviluppo della rete»;
              5) il comma 7 è sostituito dal seguente:
      «7. L'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico effettua il monitoraggio dell'attuazione del piano decennale di sviluppo della rete»;
              6) il comma 8 è sostituito dal seguente:
      «8. Nei casi in cui il Gestore, per cause a esso imputabili, non realizzi un investimento che, in base al piano decennale di sviluppo della rete, doveva essere realizzato nel triennio successivo, e nei casi in cui la mancata realizzazione costituisca ostacolo all'accesso al sistema o allo sviluppo concorrenziale del mercato del gas naturale, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico impone al Gestore di realizzare l'investimento medesimo entro un termine definito, purché tale investimento sia ancora pertinente sulla base del più recente piano decennale di sviluppo della rete»;

              7) dopo il comma 9 è aggiunto il seguente:
      «9-bis. Le modalità di valutazione dei piani decennali di sviluppo della rete, di cui al presente articolo, si applicano anche ai piani in corso di valutazione»;

          b) all'articolo 15, il secondo periodo del comma 5 è sostituito dal seguente: «L'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico adotta le misure di cui all'articolo 16.»;

          c) all'articolo 32, comma 1, le parole: «, sulla base degli indirizzi del Ministero dello sviluppo economico,» sono soppresse;

          d) all'articolo 37, il comma 3 è sostituito dal seguente:
      «3. L'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico individua le modalità e le condizioni delle importazioni e delle esportazioni di energia elettrica per mezzo della rete di trasmissione nazionale, tenendo conto delle disposizioni adottate dal Ministro dello sviluppo economico in relazione agli impegni sull'utilizzo della capacità di transito di energia elettrica derivanti da atti e da accordi internazionali nonché da progetti comuni definiti con altri Stati»;
          e) all'articolo 43, dopo il comma 2 è inserito il seguente:
      «2-bis. In attuazione dell'allegato I, punto 1, lettera j), della direttiva 2009/72/CE e della direttiva 2009/73/CE, i consumatori ricevono un conguaglio definitivo a seguito di un eventuale cambio del fornitore di energia elettrica o di gas naturale non oltre sei settimane dopo aver effettuato il cambio di fornitore»;
          f) all'articolo 45:
      1) il comma 4 è sostituito dal seguente:
      «4. Le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico per violazioni delle disposizioni del presente decreto non possono essere inferiori, nel minimo, a 2.500 euro e non possono superare il 10 per cento del fatturato realizzato dall'impresa verticalmente integrata, o dal gestore di trasmissione, nell'ultimo esercizio chiuso prima dell'avvio del procedimento sanzionatorio»;
      2) dopo il comma 7 è aggiunto il seguente:
      «7-bis. In caso di violazione persistente da parte del Gestore degli obblighi su di esso incombenti ai sensi della direttiva 2009/73/CE, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico assegna a un gestore di trasporto indipendente tutti o alcuni specifici compiti del Gestore».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 24 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 24.
(Disposizioni per la corretta attuazione del terzo pacchetto energia. Procedura di infrazione n.  2014/2286).

      Al comma 1, lettera a), numero 1), aggiungere, in fine, il seguente periodo: Di conseguenza perde efficacia il decreto ministeriale 27 febbraio 2013 recante il Regolamento, di cui all'articolo 16, comma 1 del decreto legislativo 1o giugno 2011, n.  93, per la redazione del Piano decennale di sviluppo delle reti di trasporto di gas naturale.;

      Conseguentemente, al medesimo comma:
          lettera a), numero 3), capoverso comma 6, aggiungere, in fine, le parole:
, senza pregiudizio delle competenze dell'Autorità di regolamentazione per quanto riguarda il piano decennale di sviluppo della rete.;
lettera d), capoverso comma 3, sostituire le parole: delle disposizioni adottate con le seguenti: degli indirizzi adottati.
24. 200. La Commissione.
(Approvato)

      Al comma 1, lettera a), numero 3), capoverso comma 6, dopo le parole: Il Ministro dello sviluppo economico aggiungere le seguenti:, sentite le Regioni territorialmente interessate,
24. 20. Gianluca Pini, Bossi, Caparini.

      Al comma 1, lettera a), numero 6), capoverso comma 8, sostituire le parole da:, purché tale investimento fino alla fine del capoverso con le seguenti:; nel caso in cui tale investimento non sia più pertinente sulla base del più recente piano decennale di sviluppo della rete, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico impone al Gestore di realizzare un investimento analogo per costi e per benefici apportati al piano decennale di sviluppo.
24. 21. Segoni.

      Al comma 1, lettera a), numero 6), capoverso comma 8, sostituire le parole da:, purché tale investimento fino alla fine del capoverso con le seguenti:; nel caso in cui tale investimento non sia più pertinente sulla base del più recente piano decennale di sviluppo della rete, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico impone al Gestore di compensare il mancato costo di investimento nelle bollette degli utenti.
24. 22. Segoni.

      Al comma 1, lettera f), numero 1), capoverso comma 4, sostituire le parole: a 2.500 euro con le seguenti: all'1 per cento.
24. 23. Segoni.

A.C. 2977-A – Articolo 28

ARTICOLO 28 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Capo XII
DISPOSIZIONI FINALI

Art. 28.
(Clausola di invarianza finanziaria).

      1. Dall'attuazione della presente legge, ad esclusione degli articoli 17 e 26, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dalla presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

A.C. 2977-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

      La Camera,
          premesso che:
              il nostro Paese è esposto nel settore dei rifiuti a pesanti procedure di infrazione da parte della Commissione europea. Si tratta in particolare delle procedure di infrazione n.  2003/2077 e 2007/2195;
              la procedura di infrazione n.  2007/2195 riguarda la gestione dei rifiuti in Campania. In data 20 giugno 2013 la Commissione europea ha deciso di deferire il nostro Paese alla Corte di giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 260 del TFUE per non essersi conformata alla sentenza della Corte di giustizia del marzo 2010 (causa C-297/08) che la riconosce responsabile di non aver stabilito una rete adeguata e integrata di impianti per lo smaltimento dei rifiuti in Campania;
              con tale decisione, la Commissione UE propone alla Corte di comminare all'Italia una sanzione pecuniaria nella forma di una somma forfettaria, calcolata sulla base di 28.090 euro per ogni giorno trascorso tra la data della prima sentenza ex articolo 258 TFUE (marzo 2010) e la data della seconda sentenza della Corte a seguito del deferimento in esame, inoltre una penalità di mora giornaliera pari a 256.819 euro dal giorno in cui la Corte pronuncerà la seconda sentenza fino al completo adempimento di quest'ultima;
              l'articolo 41 del decreto-legge n.  69 del 2013 (c.d. decreto «del fare»), convertito, con modificazioni, dalla legge n.  98 del 2013 reca, tra l'altro, disposizioni per accelerare le procedure per la realizzazione e l'avvio della gestione degli impianti di rifiuti in Campania,

impegna il Governo

a riferire al Parlamento sullo stato di attuazione delle azioni assunte dalla regione Campania e condivise dal Governo in merito alla realizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti della regione stessa al fine di evitare le penalità richieste dalla Commissione europea.
9/2977-A/1. Grimoldi, Gianluca Pini.


      La Camera,
          premesso che:
              il nostro Paese è esposto nel settore dei rifiuti a pesanti procedure di infrazione da parte della Commissione europea, sia per questioni relative a discariche sia per la rete integrata delle discariche. Si tratta in particolare delle procedure di infrazione n.  2003/2077 e 2007/2195;
              la procedura di infrazione n.  2003/2077 riguarda 218 discariche da bonificare in 18 regioni. La Corte di giustizia dell'Unione europea il 2 dicembre 2014 ha pronunciato la sentenza, relativa alla causa C-196/13, proponendo una sanzione pecuniaria nella forma di una somma forfettaria calcolata sulla base di 28.090 euro per ogni giorno trascorso tra la data della prima sentenza ex articolo 258 TFUE e la data della seconda sentenza della Corte a seguito del deferimento, nonché una penalità di mora giornaliera pari a 256.819 euro per ogni giorno successivo alla sentenza fino al momento di messa in regola,

impegna il Governo

a prevedere nella prossima legge europea, al fine di arrivare alla chiusura della procedura di infrazione n.  2003/2077, misure volte a disporre che le regioni interessate dalla suddetta procedura di infrazione approvino progetti per la bonifica o messa in sicurezza dei siti delle discariche presenti nel proprio territorio.
9/2977-A/2. Gianluca Pini, Grimoldi.


      La Camera,
          premesso che:
              il nostro Paese è esposto nel settore dei rifiuti a pesanti procedure di infrazione da parte della Commissione europea, sia per questioni relative a discariche sia per la rete integrata delle discariche. Si tratta in particolare delle procedure di infrazione n.  2003/2077 e 2007/2195;
              la procedura di infrazione n.  2003/2077 riguarda 218 discariche da bonificare in 18 regioni. La Corte di giustizia dell'Unione europea il 2 dicembre 2014 ha pronunciato la sentenza, relativa alla causa C-196/13, proponendo una sanzione pecuniaria nella forma di una somma forfettaria calcolata sulla base di 28.090 euro per ogni giorno trascorso tra la data della prima sentenza ex articolo 258 TFUE e la data della seconda sentenza della Corte a seguito del deferimento, nonché una penalità di mora giornaliera pari a 256.819 euro per ogni giorno successivo alla sentenza fino al momento di messa in regola,

impegna il Governo

a prevedere, al fine di arrivare alla chiusura della procedura di infrazione n.  2003/2077, misure volte a disporre che le regioni interessate dalla suddetta procedura di infrazione approvino progetti per la bonifica o messa in sicurezza dei siti delle discariche presenti nel proprio territorio.
9/2977-A/2.    (Testo modificato nel corso della seduta) Gianluca Pini, Grimoldi.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 19 interviene sulla disciplina relativa alla cattura di uccelli a fini di richiamo, prevedendo che l'attività di cattura per l'inanellamento e per la cessione a fini di richiamo può essere svolta solo con mezzi o metodi di cattura che non sono vietati dall'allegato V della direttiva 2009/147/UE, e vietando, quindi, l'utilizzo delle reti, attualmente permesso alle sole condizioni riguardanti la caccia in deroga;
              nessuna richiesta di adeguamento della nostra legge nazionale è stata effettivamente richiesta dalla Commissione europea e, come si evince chiaramente dal citato parere motivato ex articolo 258 del TFUE dello scorso 26 novembre, la stessa Commissione europea non chiede modifiche alla nostra legge n.  157 del 1992, ma di fatto critica la mancata tempestività del Governo nel farla applicare;
              la cattura di uccelli da utilizzare come richiami vivi è da considerarsi attività in deroga soggetta a quanto disposto dall'articolo 19-bis della legge n.  157 del 1992, che puntualmente applica e si rifà alla direttiva 2009/147/UE, ed è chiaro che ogni modifica riferita al comma 1 dell'articolo 19 è da ritenersi superflua;
              la Commissione europea ha espresso il proprio apprezzamento alla nostra legge n.  157 del 1992, tuttavia, la stessa istituzione ha precisato che, per archiviare la procedura in questione, è necessario che il Governo italiano applichi in maniera costante e tempestiva il sistema di controllo dei provvedimenti regionali previsto dall'articolo 19-bis della legge n.  157 del 1992;
              ad oggi infatti applicando il regime di deroga con l'articolo 19-bis lo Stato italiano ha di fatto tutto il tempo necessario (60 giorni) per esercitare il potere di annullamento per provvedimenti regionali ritenuti in contrasto con il dettato normativo,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative affinché l'autorizzazione alla gestione di tali impianti sia concessa dalle regioni nel rispetto delle condizioni e delle modalità previste all'articolo 19-bis della legge n.  157 del 1992.
9/2977-A/3. Guidesi, Gianluca Pini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 20 interviene nuovamente, dopo le modifiche apportate dal decreto-legge n.  91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  116 del 2014, sui divieti relativi al commercio di specie di uccelli viventi, prevedendo che il divieto di commercializzazione riguardi gli esemplari di tutte le specie di uccelli europei tutelati dalla direttiva 2009/147/UE (direttiva «Uccelli») e non solo di quelle presenti in Italia, anche se importate dall'estero;
              a seguito di ciò il secolare e tradizionale spiedo bresciano, la «polenta e osei» bergamasca piuttosto che tutti i secolari piatti tradizionali tipici dell'arte culinaria di molte province italiane, non potranno utilizzare la piccola selvaggina se non solo a casa dei cacciatori stessi o dai destinatari del regalo ornitologico; tutto ciò non lascia molti spazi d'azione a centinaia di ristoratori che hanno impostato la loro attività e arte culinaria su piatti tipici locali nei quali figurano i piccoli volatili;
              la legge così modificata mette di fatto a rischio di chiusura l'attività commerciale di moltissimi esercenti e di conseguenza il licenziamento di migliaia di dipendenti;
              in un momento di crisi economica come quella che stiamo affrontando, vietare senza motivo il commercio di uccelli o parti di essi legittimamente catturati o abbattuti in altri paesi è, ad avviso del presentatore, poco lungimirante e sicuramente dannoso per l'economia del nostro paese,

impegna il Governo

ad adottare con urgenza idonee iniziative normative che tengano conto del danno economico e sociale che si sta creando nonché delle conseguenze sopra descritte e della gravità della situazione.
9/2977-A/4. Borghesi, Gianluca Pini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 24 apporta numerose modifiche al decreto legislativo n.  93 del 2011 di recepimento del cd. «terzo pacchetto energia;
              la maggior parte degli interventi punta a rafforzare i poteri dell'Autorità per l'energia e la sua indipendenza dal Ministero dello sviluppo economico (MiSE), in particolare in materia di piano decennale di sviluppo della rete elettrica. In tale ambito, si ridimensiona il ruolo del MiSE, che attualmente detta gli indirizzi per l'elaborazione del Piano da parte di Terna e svolge alcune delle funzioni in materia di monitoraggio ed attuazione del Piano che la normativa comunitaria riserva all'Autorità nazionale di regolamentazione,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere l'inserimento del parere delle Regioni territorialmente interessate sulla valutazione del piano decennale di sviluppo delle reti di trasporto di gas naturale.
9/2977-A/5. Allasia, Gianluca Pini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 5 affronta la problematica dei diritti amministrativi nel settore delle comunicazioni elettroniche;
              gli operatori di rete televisiva per la diffusione digitale terrestre in ambito locale devono corrispondere entro il 31 gennaio di ogni anno i diritti amministrativi di cui all'articolo 34 del decreto legislativo 1o agosto 2003, n.  259, recante Codice delle comunicazioni elettroniche;
              il testo prevede una modifica all'allegato 10 del medesimo Codice, laddove si definiscono gli scaglioni differenti per l'ammontare del contributo in base alla popolazione potenzialmente destinataria dell'offerta;
              la maggior parte degli operatori di rete televisiva locale coprono un territorio con un numero di abitanti compreso fra i 200.000 e 10 milioni e ad oggi viene loro chiesto di corrispondere 55.500,00 euro, oltre ai contributi dovuti per la concessione dell'uso delle frequenze: si tratta di cifre assolutamente insostenibili per tutti gli operatori ed è evidente che tali tariffe siano prive di ragionevolezza e di proporzionalità, in relazione alle dimensioni economiche e patrimoniali delle tv locali;
              la legge n.  9 del 2014 ha previsto una forte riduzione dei diritti amministrativi per gli operatori delle comunicazioni elettroniche diversi da quelli televisivi e il Tar Lazio si è recentemente pronunciato (sebbene solo in sede cautelare) nel senso di un riesame della problematica da parte del Ministero dello sviluppo economico, con riferimento alla mancata proporzionalità dei diritti amministrativi imposti e di penalizzazione delle piccole e medie imprese del settore rispetto agli operatori nazionali;
              i nuovi scaglioni previsti dal testo in esame, seppure si muovono nella direzione di sanare parte degli effetti distorsivi della normativa vigente, riportano ancora l'anomalia di unire in un solo gruppo le imprese con una copertura dai 5 ai 15 milioni di abitanti, mentre per calibrare più equamente le tariffe sulla base delle dimensioni patrimoniali ed economiche delle imprese televisive locali, sarebbe il caso di prevedere uno scaglione intermedio fra i due,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della norma richiamata al fine di intervenire con gli appositi strumenti normativi per aumentare gli scaglioni previsti dall'allegato 10 del decreto legislativo 1o agosto 2003, n.  259, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche, inserendo anche la previsione di una copertura su un territorio di 10 milioni di abitanti con relativo ammontare del contributo, così da calibrare le tariffe sulla base delle dimensioni patrimoniali ed economiche delle imprese televisive locali.
9/2977-A/6. Caparini, Gianluca Pini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 5 affronta la problematica dei diritti amministrativi nel settore delle comunicazioni elettroniche;
              gli operatori di rete televisiva per la diffusione digitale terrestre in ambito locale devono corrispondere entro il 31 gennaio di ogni anno i diritti amministrativi di cui all'articolo 34 del decreto legislativo 1o agosto 2003, n.  259, recante Codice delle comunicazioni elettroniche;
              il testo prevede una modifica all'allegato 10 del medesimo Codice, laddove si definiscono gli scaglioni differenti per l'ammontare del contributo in base alla popolazione potenzialmente destinataria dell'offerta;
              la maggior parte degli operatori di rete televisiva locale coprono un territorio con un numero di abitanti compreso fra i 200.000 e 10 milioni e ad oggi viene loro chiesto di corrispondere 55.500,00 euro, oltre ai contributi dovuti per la concessione dell'uso delle frequenze: si tratta di cifre assolutamente insostenibili per tutti gli operatori ed è evidente che tali tariffe siano prive di ragionevolezza e di proporzionalità, in relazione alle dimensioni economiche e patrimoniali delle tv locali;
              la legge n.  9 del 2014 ha previsto una forte riduzione dei diritti amministrativi per gli operatori delle comunicazioni elettroniche diversi da quelli televisivi e il Tar Lazio si è recentemente pronunciato (sebbene solo in sede cautelare) nel senso di un riesame della problematica da parte del Ministero dello sviluppo economico, con riferimento alla mancata proporzionalità dei diritti amministrativi imposti e di penalizzazione delle piccole e medie imprese del settore rispetto agli operatori nazionali;
              i nuovi scaglioni previsti dal testo in esame, seppure si muovono nella direzione di sanare parte degli effetti distorsivi della normativa vigente, riportano ancora l'anomalia di unire in un solo gruppo le imprese con una copertura dai 5 ai 15 milioni di abitanti, mentre per calibrare più equamente le tariffe sulla base delle dimensioni patrimoniali ed economiche delle imprese televisive locali, sarebbe il caso di prevedere uno scaglione intermedio fra i due,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire con gli appositi strumenti normativi per aumentare gli scaglioni previsti dall'allegato 10 del decreto legislativo 1o agosto 2003, n.  259, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche, inserendo anche la previsione di una copertura su un territorio di 10 milioni di abitanti con relativo ammontare del contributo, così da calibrare le tariffe sulla base delle dimensioni patrimoniali ed economiche delle imprese televisive locali.
9/2977-A/6.    (Testo modificato nel corso della seduta) Caparini, Gianluca Pini.


      La Camera,
          valutata nel dettaglio la disposizione recata dall'articolo 17 con riguardo alla possibilità di cumulo dei periodi di assicurazione svolti presso Organizzazioni internazionali;
          preso atto che la norma contempla la facoltà di cumulare a condizione che la durata totale dei periodi di assicurazione maturati ai sensi della legislazione italiana sia almeno di cinquantadue settimane;
          ricordato che il trattamento pensionistico col sistema contributivo – a differenza di quello retributivo – presuppone l'accantonamento di contributi da «restituire» al titolare sotto forma di pensione ricalcolati secondo predefiniti coefficienti di calcolo;
          periodi di contribuzione inferiori a cinquantadue settimane finirebbero col trasformarsi, pertanto, in contributi silenti a beneficio dell'ente pensionistico ma ad evidente danno del lavoratore,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative che prevedano la completa totalizzazione dei periodi assicurativi maturati dal lavoratore cittadino italiano durante l'arco della vita lavorativa nel territorio dell'Unione europea o della Confederazione elvetica alle dipendenze di Organizzazioni internazionali.
9/2977-A/7. Simonetti, Gianluca Pini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 9 del provvedimento in esame è finalizzato ad adeguare l'ordinamento interno alla direttiva 2008/115/CE, c.d. direttiva rimpatri;
              ai sensi dell'articolo 3, lettera b), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro, la direttiva stessa si applica anche «ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall'attività lavorativa a norma del diritto dell'Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n.  1030/2002»;
              negli ultimi anni il Ministero dell'interno è risultato più volte soccombente in qualità di resistente nei ricorsi proposti da cittadini di paesi terzi dinanzi alla magistratura amministrativa per l'annullamento dei provvedimenti di diniego alle richieste di conversione del permesso di soggiorno per motivi religiosi in permesso di soggiorno per motivi di lavoro;
              pur in mancanza di espressa previsione normativa, la possibilità di conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a motivi di lavoro è stata infatti sancita da una serie di pronunce della giurisprudenza che hanno definito un orientamento ormai consolidato dei Giudici Amministrativi del Tar in favore di tale conversione (si veda in proposito, tra le altre, T.A.R. Lazio, sez. II, 5 febbraio 2009, n.  1206; T.A.R. Lombardia, sez. IV, 2 marzo 2012, n.  696; T.A.R. Lazio 25 luglio 2012 n.  6943; T.A.R. Lazio 15 novembre 2012 n.  10487; T.A.R. Toscana, 7 marzo 2013, n.389; T.A.R. Lazio n.  10146 del 27 novembre 2013 e n.  285 del 9 gennaio 2015);
              tale orientamento è stato confermato dal Consiglio di Stato, che con la sentenza n.  1612 del 20 marzo 2013, in coerenza con le predette pronunce, ha statuito la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per motivi religiosi in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, attribuendo al Ministero dell'interno l'onere delle spese di giudizio;
              dalle suddette pronunce si evince come la normativa vigente, nel caso di abbandono dello status di religioso, non vieti espressamente la conversione del permesso per motivi religiosi in permesso per motivi di lavoro, non ponendo dunque vincoli generali al rinnovo del permesso di soggiorno per un titolo diverso da quello originariamente posseduto; tale assunto deriva da un principio generale enucleato dalla giurisprudenza di conversione dei premessi di soggiorno quando si verifichino i presupposti di un titolo di soggiorno diverso, fermo restando il rispetto delle quote di ingresso; secondo tale orientamento, la indicazione delle possibilità di conversione di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n.  394 del 31 agosto 1999 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) non può ritenersi tassativa, ristretta quindi alle ipotesi espressamente disciplinate, ma riguarda ogni titolo di soggiorno ivi incluso dunque quello rilasciato per motivi religiosi;
              nella citata sentenza la terza sezione del Consiglio di Stato, nel confermare la pronuncia del Tar – che aveva a sua volta confermato la possibilità di conversione del permesso rilevando tra l'altro come in casi del genere sarebbe del tutto «illogico imporre il rientro nel proprio paese solo a causa della rinuncia alla vita monacale» – ha affermato in particolare che la normativa vigente «non pone alcuna preclusione esplicita alla conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a motivi di lavoro subordinato e la tipologia dei casi di conversione non può intendersi affatto tassativa (“Ubi lex non dixit, non voluit”), né può giustificare un'interpretazione restrittiva della sua portata. Tant’è, come sottolinea il T.A.R., che laddove la norma ha inteso escludere tale possibilità lo ha esplicitamente previsto (cfr. articolo 40 decreto del Presidente della Repubblica n.  394 del 1999)»;
              rilevato che a brevissima distanza da tale pronuncia la medesima terza sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n.  02292 del 24 aprile 2013, ha fatto sorgere alcuni dubbi interpretativi in materia, asserendo di converso come non siano suscettibili «di applicazione estensiva o analogica» le disposizioni regolamentari che precisano le condizioni e i limiti della possibilità di conversione del permesso di soggiorno (senza contemplare in tale ambito la fattispecie del permesso di soggiorno per motivi religiosi), seppur precisando che la decisione allora adottata non avrebbe precluso all'interessato di ottenere il permesso di soggiorno per via ordinaria nel rispetto delle condizioni previste dalla legge;
              considerato altresì che in ogni caso la successiva giurisprudenza dei giudici amministrativi dei TAR ha continuato a ribadire in modo univoco la possibilità di convertire il permesso di soggiorno rilasciato per motivi religiosi in permesso di soggiorno per motivi sia di lavoro subordinato, sia di lavoro autonomo; a quest'ultimo proposito va richiamata, per inquadrare compiutamente la questione, la recente sentenza TAR Lazio (sez. seconda quater) del 9 gennaio 2015 n.  285, che nell'annullare un provvedimento della Questura di Roma di rigetto della richiesta di conversione del permesso per motivi religiosi in permesso di soggiorno per lavoro autonomo, ha affermato che «l'articolo 14, Dpr 31 agosto 1999 n.  394, nell'indicare le attività consentite in relazione ai permessi di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, di lavoro autonomo, familiari, di studio, espressamente consente la conversione di tali permessi di soggiorno per l'attività effettivamente svolta. La predetta disposizione, tuttavia, non può interpretarsi nel senso che soltanto le menzionate tipologie di permesso di soggiorno possano essere oggetto di conversione e, conseguentemente, che per quelle non espressamente ivi richiamate tale conversione non sarebbe consentita. Ciò nella considerazione che la menzionata disposizione non contiene alcuna espressa esclusione dalla conversione di altre tipologie di permesso di soggiorno diverse da quelle sopra citate (Tar Lazio sez. II quater, n.  1206 del 2009). Una diversa interpretazione sarebbe gravemente discriminatoria tra chi si trova in Italia in forza di un titolo di soggiorno per motivi religiosi rispetto, ad esempio, a chi sia entrato nel territorio nazionale con un permesso per motivi di studio o formazione. La medesima pronuncia ha inoltre rilevato come «l'orientamento della giurisprudenza sia anche costante nel considerare i permessi di soggiorno rilasciati in base alla conversione di altro titolo di soggiorno sottoposti comunque al rispetto delle quote di ingresso (si veda Consiglio Stato, sez. VI, n.  2498 del 2010, per cui i limiti derivanti dalle quote di accesso, annualmente definite con D.P.C.M., devono essere considerati presupposto per il rilascio di qualsiasi permesso di soggiorno; si veda, altresì, T.A.R. Lazio sez. II quater n.  5842 del 2013)»;
              preso atto del suddetto prevalente orientamento giurisprudenziale;
              rilevato che l'articolo 5, comma 5, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero – di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286, e successive modificazioni – non pone alcuna limitazione ai motivi giustificativi del rinnovo del permesso di soggiorno anche se diversi da quelli posti a base dell'originario permesso;
              considerato che ad oggi non risulta più applicata una circolare del Ministero dell'Interno del 5 luglio 2012 – espressamente richiamata nel sito all'indirizzo http://www.lineaamica.gov.it/risposte/immigrazione-conversione-permesso-soggiornomotivi-religiosi-lavoro-subordinato – che espressamente autorizzava le Questure a procedere alla conversione del titolo di soggiorno per motivi religiosi in permesso per motivi di lavoro previo accertamento della sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa vigente;
              considerata la disciplina dell'Unione europea in materia di soggiorno e lavoro nel territorio di uno Stato membro dei cittadini di Paesi terzi;
              rilevata l'esigenza di evitare del tutto ingiustificate discriminazioni nei confronti di chi si trova a soggiornare in Italia in forza di un titolo di soggiorno per motivi religiosi rispetto, ad esempio, a chi sia entrato nel territorio nazionale con un permesso per motivi di studio o formazione, nonché quella di evitare in futuro l'insorgere di eventuali altri contenziosi, anche a livello comunitario, e il connesso rischio di ulteriori aggravi di spese giudiziarie a carico dello Stato,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente apposita circolare ovvero altro atto di natura amministrativa o regolamentare diretto a chiarire, in coerenza con l'orientamento giurisprudenziale prevalente richiamato in premessa e con la disciplina europea, che nulla osta alla conversione del permesso di soggiorno rilasciato per motivi religiosi in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, sia autonomo che subordinato, fermi restando la verifica della sussistenza dei presupposti di legge in relazione al titolo di soggiorno richiesto e il rispetto delle quote di ingresso.
9/2977-A/8. Giuseppe Guerini, Tabacci, Pastorino, Tancredi, Gigli, Sberna, Palazzotto.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 9 del provvedimento in esame è finalizzato ad adeguare l'ordinamento interno alla direttiva 2008/115/CE, c.d. direttiva rimpatri;
              ai sensi dell'articolo 3, lettera b), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro, la direttiva stessa si applica anche «ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall'attività lavorativa a norma del diritto dell'Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n.  1030/2002»;
              negli ultimi anni il Ministero dell'interno è risultato più volte soccombente in qualità di resistente nei ricorsi proposti da cittadini di paesi terzi dinanzi alla magistratura amministrativa per l'annullamento dei provvedimenti di diniego alle richieste di conversione del permesso di soggiorno per motivi religiosi in permesso di soggiorno per motivi di lavoro;
              pur in mancanza di espressa previsione normativa, la possibilità di conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a motivi di lavoro è stata infatti sancita da una serie di pronunce della giurisprudenza che hanno definito un orientamento ormai consolidato dei Giudici Amministrativi del Tar in favore di tale conversione (si veda in proposito, tra le altre, T.A.R. Lazio, sez. II, 5 febbraio 2009, n.  1206; T.A.R. Lombardia, sez. IV, 2 marzo 2012, n.  696; T.A.R. Lazio 25 luglio 2012 n.  6943; T.A.R. Lazio 15 novembre 2012 n.  10487; T.A.R. Toscana, 7 marzo 2013, n.389; T.A.R. Lazio n.  10146 del 27 novembre 2013 e n.  285 del 9 gennaio 2015);
              tale orientamento è stato confermato dal Consiglio di Stato, che con la sentenza n.  1612 del 20 marzo 2013, in coerenza con le predette pronunce, ha statuito la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per motivi religiosi in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, attribuendo al Ministero dell'interno l'onere delle spese di giudizio;
              dalle suddette pronunce si evince come la normativa vigente, nel caso di abbandono dello status di religioso, non vieti espressamente la conversione del permesso per motivi religiosi in permesso per motivi di lavoro, non ponendo dunque vincoli generali al rinnovo del permesso di soggiorno per un titolo diverso da quello originariamente posseduto; tale assunto deriva da un principio generale enucleato dalla giurisprudenza di conversione dei premessi di soggiorno quando si verifichino i presupposti di un titolo di soggiorno diverso, fermo restando il rispetto delle quote di ingresso; secondo tale orientamento, la indicazione delle possibilità di conversione di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n.  394 del 31 agosto 1999 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) non può ritenersi tassativa, ristretta quindi alle ipotesi espressamente disciplinate, ma riguarda ogni titolo di soggiorno ivi incluso dunque quello rilasciato per motivi religiosi;
              nella citata sentenza la terza sezione del Consiglio di Stato, nel confermare la pronuncia del Tar – che aveva a sua volta confermato la possibilità di conversione del permesso rilevando tra l'altro come in casi del genere sarebbe del tutto «illogico imporre il rientro nel proprio paese solo a causa della rinuncia alla vita monacale» – ha affermato in particolare che la normativa vigente «non pone alcuna preclusione esplicita alla conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a motivi di lavoro subordinato e la tipologia dei casi di conversione non può intendersi affatto tassativa (“Ubi lex non dixit, non voluit”), né può giustificare un'interpretazione restrittiva della sua portata. Tant’è, come sottolinea il T.A.R., che laddove la norma ha inteso escludere tale possibilità lo ha esplicitamente previsto (cfr. articolo 40 decreto del Presidente della Repubblica n.  394 del 1999)»;
              rilevato che a brevissima distanza da tale pronuncia la medesima terza sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n.  02292 del 24 aprile 2013, ha fatto sorgere alcuni dubbi interpretativi in materia, asserendo di converso come non siano suscettibili «di applicazione estensiva o analogica» le disposizioni regolamentari che precisano le condizioni e i limiti della possibilità di conversione del permesso di soggiorno (senza contemplare in tale ambito la fattispecie del permesso di soggiorno per motivi religiosi), seppur precisando che la decisione allora adottata non avrebbe precluso all'interessato di ottenere il permesso di soggiorno per via ordinaria nel rispetto delle condizioni previste dalla legge;
              considerato altresì che in ogni caso la successiva giurisprudenza dei giudici amministrativi dei TAR ha continuato a ribadire in modo univoco la possibilità di convertire il permesso di soggiorno rilasciato per motivi religiosi in permesso di soggiorno per motivi sia di lavoro subordinato, sia di lavoro autonomo; a quest'ultimo proposito va richiamata, per inquadrare compiutamente la questione, la recente sentenza TAR Lazio (sez. seconda quater) del 9 gennaio 2015 n.  285, che nell'annullare un provvedimento della Questura di Roma di rigetto della richiesta di conversione del permesso per motivi religiosi in permesso di soggiorno per lavoro autonomo, ha affermato che «l'articolo 14, Dpr 31 agosto 1999 n.  394, nell'indicare le attività consentite in relazione ai permessi di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, di lavoro autonomo, familiari, di studio, espressamente consente la conversione di tali permessi di soggiorno per l'attività effettivamente svolta. La predetta disposizione, tuttavia, non può interpretarsi nel senso che soltanto le menzionate tipologie di permesso di soggiorno possano essere oggetto di conversione e, conseguentemente, che per quelle non espressamente ivi richiamate tale conversione non sarebbe consentita. Ciò nella considerazione che la menzionata disposizione non contiene alcuna espressa esclusione dalla conversione di altre tipologie di permesso di soggiorno diverse da quelle sopra citate (Tar Lazio sez. II quater, n.  1206 del 2009). Una diversa interpretazione sarebbe gravemente discriminatoria tra chi si trova in Italia in forza di un titolo di soggiorno per motivi religiosi rispetto, ad esempio, a chi sia entrato nel territorio nazionale con un permesso per motivi di studio o formazione. La medesima pronuncia ha inoltre rilevato come «l'orientamento della giurisprudenza sia anche costante nel considerare i permessi di soggiorno rilasciati in base alla conversione di altro titolo di soggiorno sottoposti comunque al rispetto delle quote di ingresso (si veda Consiglio Stato, sez. VI, n.  2498 del 2010, per cui i limiti derivanti dalle quote di accesso, annualmente definite con D.P.C.M., devono essere considerati presupposto per il rilascio di qualsiasi permesso di soggiorno; si veda, altresì, T.A.R. Lazio sez. II quater n.  5842 del 2013)»;
              preso atto del suddetto prevalente orientamento giurisprudenziale;
              rilevato che l'articolo 5, comma 5, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero – di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286, e successive modificazioni – non pone alcuna limitazione ai motivi giustificativi del rinnovo del permesso di soggiorno anche se diversi da quelli posti a base dell'originario permesso;
              considerata la disciplina dell'Unione europea in materia di soggiorno e lavoro nel territorio di uno Stato membro dei cittadini di Paesi terzi;
              rilevata l'esigenza di evitare del tutto ingiustificate discriminazioni nei confronti di chi si trova a soggiornare in Italia in forza di un titolo di soggiorno per motivi religiosi rispetto, ad esempio, a chi sia entrato nel territorio nazionale con un permesso per motivi di studio o formazione, nonché quella di evitare in futuro l'insorgere di eventuali altri contenziosi, anche a livello comunitario, e il connesso rischio di ulteriori aggravi di spese giudiziarie a carico dello Stato,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente apposita circolare ovvero altro atto di natura amministrativa o regolamentare diretto a chiarire, in coerenza con l'orientamento giurisprudenziale prevalente richiamato in premessa e con la disciplina europea, che nulla osta alla conversione del permesso di soggiorno rilasciato per motivi religiosi in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, sia autonomo che subordinato, fermi restando la verifica della sussistenza dei presupposti di legge in relazione al titolo di soggiorno richiesto e il rispetto delle quote di ingresso.
9/2977-A/8.    (Testo modificato nel corso della seduta) Giuseppe Guerini, Tabacci, Pastorino, Tancredi, Gigli, Sberna, Palazzotto.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 9 del provvedimento in esame è finalizzato ad adeguare l'ordinamento interno alla direttiva 2008/115/CE, c.d. direttiva rimpatri;
              la materia dei rimpatri dei cittadini di Paesi terzi è strettamente connessa con quella relativa ai criteri di permanenza legale sul territorio nazionale, nella maggioranza dei casi a titolo di lavoro o per motivi familiari;
              la Direttiva 2003/86/CE del Consiglio del 22 settembre 2003 relativa al diritto al ricongiungimento familiare, stabilisce al considerando n.  13 che: «occorre stabilire un sistema di regole procedurali che disciplinino l'esame della domanda di ricongiungimento familiare, nonché l'ingresso e il soggiorno dei membri della famiglia; tali procedure devono essere efficaci e gestibili rispetto al normale carico di lavoro delle amministrazioni degli Stati membri nonché trasparenti ed eque al fine di offrire agli interessati un livello adeguato di certezza del diritto»;
              tra i criteri generali per l'esercizio delle deleghe legislative sussiste il divieto di adottare nella fase di recepimento delle direttive europee ulteriori regole che comportano costi e oneri aggiuntivi per le imprese e i cittadini (c.d. divieto di gold plating);
              ai sensi dell'articolo 29 del Testo Unico sull'immigrazione (decreto legislativo n.  286 del 1998 e successive modifiche e integrazioni), uno dei requisiti per esercitare il diritto al ricongiungimento familiare è la disponibilità di un alloggio adeguato, circostanza che deve essere dimostrata da parte dei cittadini di Paesi terzi regolarmente residenti in Italia attraverso l'attestazione di idoneità alloggiativa rilasciata dal comune;
              nella quasi totalità dei comuni italiani l'ammontare del tributo richiesto per il rilascio dell'attestazione di idoneità varia tra i 30 ed i 50 euro; tuttavia alcune amministrazioni comunali hanno assunto delibere con cui sono stati incrementati tali importi, fissandoli talvolta anche a diverse centinaia di euro;
              in data 6 agosto 2014, in seguito al deposito presso la Camera dei Deputati di un atto di sindacato ispettivo riferito al caso specifico del comune di Bolgare (BG) che aveva aumentato fino a 500 (cinquecento) euro il costo del certificato de quo, il Ministero dell'interno ha precisato che «la questione è stata oggetto di attenta istruttoria da parte del Dipartimento per gli affari interni e territoriali che, a conclusione della medesima, ha invitato la Prefettura di Bergamo ad avviare i compiti ispettivi di competenza volti a verificare che l'anagrafe tenuta dal Comune di Bolgare sia gestita in conformità alla normativa vigente» (si veda la risposta ad interrogazione n.  4-05358);
              in pari data, il Tribunale di Bergamo ha dichiarato con ordinanza la natura discriminatoria per ragioni di etnia e nazionalità della menzionata delibera comunale;
              dalle suddette disposizioni e pronunce si evince che la normativa vigente vieta espressamente qualsiasi incremento indiscriminato della tassa richiesta per il rilascio dell'attestazione di idoneità alloggiativa, poiché si traduce in un aggravio del tutto illegittimo dei procedimenti amministrativi a carico dei cittadini di Paesi terzi ed è inoltre suscettibile di lederne il diritto all'unità familiare,

impegna il Governo

ad adottare apposita circolare ovvero altro atto di natura amministrativa o regolamentare che specifichi le disposizioni della suddetta direttiva europea anche alla luce citata giurisprudenza, fissando criteri certi e univoci per la determinazione dell'importo delle tasse relative al rilascio dell'attestazione di idoneità alloggiativa, in maniera congrua e commisurata all'attività effettivamente svolta dagli uffici e comunque non superiore ad una soglia massima da stabilirsi eventualmente a cura del Governo medesimo.
9/2977-A/9. Piazzoni, Giuseppe Guerini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 9 del provvedimento in esame è finalizzato ad adeguare l'ordinamento interno alla direttiva 2008/115/CE, c.d. direttiva rimpatri;
              la materia dei rimpatri dei cittadini di Paesi terzi è strettamente connessa con quella relativa ai criteri di permanenza legale sul territorio nazionale, nella maggioranza dei casi a titolo di lavoro o per motivi familiari;
              la Direttiva 2003/86/CE del Consiglio del 22 settembre 2003 relativa al diritto al ricongiungimento familiare, stabilisce al considerando n.  13 che: «occorre stabilire un sistema di regole procedurali che disciplinino l'esame della domanda di ricongiungimento familiare, nonché l'ingresso e il soggiorno dei membri della famiglia; tali procedure devono essere efficaci e gestibili rispetto al normale carico di lavoro delle amministrazioni degli Stati membri nonché trasparenti ed eque al fine di offrire agli interessati un livello adeguato di certezza del diritto»;
              tra i criteri generali per l'esercizio delle deleghe legislative sussiste il divieto di adottare nella fase di recepimento delle direttive europee ulteriori regole che comportano costi e oneri aggiuntivi per le imprese e i cittadini (c.d. divieto di gold plating);
              ai sensi dell'articolo 29 del Testo Unico sull'immigrazione (decreto legislativo n.  286 del 1998 e successive modifiche e integrazioni), uno dei requisiti per esercitare il diritto al ricongiungimento familiare è la disponibilità di un alloggio adeguato, circostanza che deve essere dimostrata da parte dei cittadini di Paesi terzi regolarmente residenti in Italia attraverso l'attestazione di idoneità alloggiativa rilasciata dal comune;
              nella quasi totalità dei comuni italiani l'ammontare del tributo richiesto per il rilascio dell'attestazione di idoneità varia tra i 30 ed i 50 euro; tuttavia alcune amministrazioni comunali hanno assunto delibere con cui sono stati incrementati tali importi, fissandoli talvolta anche a diverse centinaia di euro;
              in data 6 agosto 2014, in seguito al deposito presso la Camera dei Deputati di un atto di sindacato ispettivo riferito al caso specifico del comune di Bolgare (BG) che aveva aumentato fino a 500 (cinquecento) euro il costo del certificato de quo, il Ministero dell'interno ha precisato che «la questione è stata oggetto di attenta istruttoria da parte del Dipartimento per gli affari interni e territoriali che, a conclusione della medesima, ha invitato la Prefettura di Bergamo ad avviare i compiti ispettivi di competenza volti a verificare che l'anagrafe tenuta dal Comune di Bolgare sia gestita in conformità alla normativa vigente» (si veda la risposta ad interrogazione n.  4-05358);
              in pari data, il Tribunale di Bergamo ha dichiarato con ordinanza la natura discriminatoria per ragioni di etnia e nazionalità della menzionata delibera comunale;
              dalle suddette disposizioni e pronunce si evince che la normativa vigente vieta espressamente qualsiasi incremento indiscriminato della tassa richiesta per il rilascio dell'attestazione di idoneità alloggiativa, poiché si traduce in un aggravio del tutto illegittimo dei procedimenti amministrativi a carico dei cittadini di Paesi terzi ed è inoltre suscettibile di lederne il diritto all'unità familiare,

impegna il Governo

a valutare, d'intesa con gli organismi rappresentativi degli enti locali, ogni opportuna iniziativa che specifichi le disposizioni della suddetta direttiva europea anche alla luce citata giurisprudenza, fissando criteri certi e univoci per la determinazione dell'importo delle tasse relative al rilascio dell'attestazione di idoneità alloggiativa, in maniera congrua e commisurata all'attività effettivamente svolta dagli uffici e comunque non superiore ad una soglia massima da stabilirsi eventualmente a cura del Governo medesimo.
9/2977-A/9.    (Testo modificato nel corso della seduta) Piazzoni, Giuseppe Guerini.


      La Camera,
          premesso che:
              nei giorni scorsi in materia di sicurezza alimentare è intervenuta una sentenza della Corte di giustizia europea che ha evidenziato la necessità di evitare di indurre i consumatori in errore attraverso una maggiore trasparenza delle informazioni;
              secondo la Corte di giustizia europea per quanto esatte ed esaustive le informazioni circa l'elenco degli ingredienti esso stesso può risultare inadeguato ad offrire tutte le informazioni necessarie e ciò può avvenire anche attraverso il packaging o riferimenti visivi della stessa etichetta;
              la sentenza di cui in premessa richiama la necessità di intervenire come sollecitato da più parti a tutela del made in Italy e per contrastare il fenomeno dell’italian sounding che penalizza importanti segmenti produttivi dell'agroalimentare italiano,

impegna il Governo

in considerazione di quanto riportato in premessa a porre, anche in sede comunitaria, la necessità di intervenire con rapidità al fine di adeguare la normativa vigente in materia di etichettatura dei prodotti alimentari, assicurando la massima trasparenza delle informazioni e la loro tracciabilità, anche, in particolare, attraverso l'imballaggio e la grafica, spesso ingannevoli per quanto rispettose della legge, nell'interesse dei consumatori per la sicurezza alimentare e per una maggiore e più incisiva azione di contrasto del fenomeno dell’italian sounding.
9/2977-A/10. Anzaldi.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 218, comma 1, lettera z), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152 recante «Norme in materia ambientale», per conseguire gli obiettivi finali di riciclaggio e di recupero dei rifiuti di imballaggio in conformità alla disciplina comunitaria indicati nell'Allegato E alla parte quarta del medesimo, contempla la possibilità di Accordi volontari cioè quelli formalmente conclusi tra le Pubbliche Amministrazioni competenti e i settori economici interessati, aperti a tutti i soggetti;
              l'opportuna modifica introdotta all'articolo 218 positivamente amplia la platea dei contraenti tali Accordi;
              tali Accordi devono disciplinare i mezzi, gli strumenti e le azioni per raggiungere gli obiettivi di cui all'articolo 220 del T.U.A.;
              ai sensi dell'articolo 225 del decreto legislativo 152 del 2006 il CONAI elabora annualmente un Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio che individua, con riferimento alle singole tipologie di materiale di imballaggio, le misure per conseguire i seguenti obiettivi:
                  a)    prevenzione della formazione dei rifiuti di imballaggio;
                  b)    accrescimento della proporzione della quantità di rifiuti di imballaggio riciclabili rispetto alla quantità di imballaggi non riciclabili;
                  c)    accrescimento della proporzione della quantità di rifiuti di imballaggio riutilizzabili rispetto alla quantità di imballaggi non riutilizzabili;
                  d)    miglioramento delle caratteristiche dell'imballaggio allo scopo di permettere ad esso di sopportare più tragitti o rotazioni nelle condizioni di utilizzo normalmente prevedibili;
                  e)    realizzazione degli obiettivi di recupero e riciclaggio la riduzione, in particolare attraverso lo sviluppo di prodotti e di tecnologie non inquinanti, della quantità e della nocività per l'ambiente sia delle materie e delle sostanze utilizzate negli imballaggi e nei rifiuti di imballaggio, sia degli imballaggi e rifiuti di imballaggio nella fase del processo di produzione, nonché in quella della commercializzazione, della distribuzione, dell'utilizzazione e della gestione post-consumo è un obiettivo di alto valore ambientale;
              l'incentivazione e la promozione della prevenzione alla fonte della quantità e della pericolosità nella fabbricazione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, costituiscono azioni fondamentali per cogliere gli obiettivi comunitari e nazionali in materia di rifiuti,

impegna il Governo

a favorire iniziative, attraverso incentivi di natura economica e fiscale per le Piccole e medie imprese che producono imballaggi, in conformità con i principi del diritto comunitario, volte a promuovere lo sviluppo di tecnologie pulite ed a ridurre a monte la produzione e l'utilizzazione degli imballaggi, nonché a favorire la produzione di imballaggi riutilizzabili ed il loro concreto riutilizzo.
9/2977-A/11. Carrescia.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 218, comma 1, lettera z), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152 recante «Norme in materia ambientale», per conseguire gli obiettivi finali di riciclaggio e di recupero dei rifiuti di imballaggio in conformità alla disciplina comunitaria indicati nell'Allegato E alla parte quarta del medesimo, contempla la possibilità di Accordi volontari cioè quelli formalmente conclusi tra le Pubbliche Amministrazioni competenti e i settori economici interessati, aperti a tutti i soggetti;
              l'opportuna modifica introdotta all'articolo 218 positivamente amplia la platea dei contraenti tali Accordi;
              tali Accordi devono disciplinare i mezzi, gli strumenti e le azioni per raggiungere gli obiettivi di cui all'articolo 220 del T.U.A.;
              ai sensi dell'articolo 225 del decreto legislativo 152 del 2006 il CONAI elabora annualmente un Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio che individua, con riferimento alle singole tipologie di materiale di imballaggio, le misure per conseguire i seguenti obiettivi:
                  a)    prevenzione della formazione dei rifiuti di imballaggio;
                  b)    accrescimento della proporzione della quantità di rifiuti di imballaggio riciclabili rispetto alla quantità di imballaggi non riciclabili;
                  c)    accrescimento della proporzione della quantità di rifiuti di imballaggio riutilizzabili rispetto alla quantità di imballaggi non riutilizzabili;
                  d)    miglioramento delle caratteristiche dell'imballaggio allo scopo di permettere ad esso di sopportare più tragitti o rotazioni nelle condizioni di utilizzo normalmente prevedibili;
                  e)    realizzazione degli obiettivi di recupero e riciclaggio la riduzione, in particolare attraverso lo sviluppo di prodotti e di tecnologie non inquinanti, della quantità e della nocività per l'ambiente sia delle materie e delle sostanze utilizzate negli imballaggi e nei rifiuti di imballaggio, sia degli imballaggi e rifiuti di imballaggio nella fase del processo di produzione, nonché in quella della commercializzazione, della distribuzione, dell'utilizzazione e della gestione post-consumo è un obiettivo di alto valore ambientale;
              l'incentivazione e la promozione della prevenzione alla fonte della quantità e della pericolosità nella fabbricazione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, costituiscono azioni fondamentali per cogliere gli obiettivi comunitari e nazionali in materia di rifiuti,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di favorire iniziative, compatibilmente con le risorse finanziarie complessivamente disponibili, attraverso incentivi di natura economica e fiscale per le Piccole e medie imprese che producono imballaggi, in conformità con i principi del diritto comunitario, volte a promuovere lo sviluppo di tecnologie pulite ed a ridurre a monte la produzione e l'utilizzazione degli imballaggi, nonché a favorire la produzione di imballaggi riutilizzabili ed il loro concreto riutilizzo.
9/2977-A/11.    (Testo modificato nel corso della seduta) Carrescia.


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Elementi ed iniziative in merito alla sicurezza nei tribunali italiani, anche alla luce della situazione del tribunale di Lodi – 3-01523

      TONINELLI, NUTI, COZZOLINO, CECCONI, DADONE, DIENI e D'AMBROSIO. Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 30 aprile 2015 il Ministro interrogato risulta essere stato reso edotto della gravissima situazione del tribunale di Lodi sotto il profilo della sicurezza dal competente procuratore della Repubblica;
          il dottor Vincenzo Russo, infatti, ha indirizzato in quella data una lettera circostanziata ai Ministri della giustizia e dell'interno, alla procura generale di Milano, al questore di Lodi e ai comandi provinciali di carabinieri, guardia di finanza e forestale, nonché al sindaco di Lodi. Nella lettera il procuratore lamentava l'insoddisfacente situazione del sistema di sicurezza del tribunale e aggiungeva, in particolare, che da alcune settimane non funzionava la chiusura magnetica della porta che dal garage dà accesso agli uffici;
          quasi un mese dopo, il 26 maggio 2015, una donna di 38 anni è riuscita ad entrare all'interno del palazzo di Giustizia di Lodi, avendo superato i controlli e le misure di sicurezza con un coltello dotato di una lama di 32 centimetri nascosto nella sua borsa, per poi tentare di aggredire un magistrato, probabilmente con intenti omicidi;
          a seguito di tale gravissimo episodio è emerso che ciò è stato possibile a causa di un grave problema di sicurezza all'interno del tribunale, in particolare per via del fatto che il metal detector necessario a individuare le armi ed impedirne l'ingresso all'interno del personale era fuori uso da sei mesi (come riportato dal quotidiano Il Cittadino di Lodi del 27 maggio 2015). È, quindi, evidente che nei mesi in cui lo strumento di rilevamento era essenziale per la sicurezza, chiunque avrebbe potuto entrare all'interno del tribunale portando con sé delle armi di qualsiasi tipo. Infatti, lo stesso prefetto Antonio Corona e il presidente del tribunale Ambrogio Ceron hanno verificato che il metal detector in questione non dava alcun segnale di allarme neppure dopo il passaggio della pistola semiautomatica di una guardia giurata del tribunale;
          è così emerso che questa intollerabile carenza nel sistema di sicurezza del tribunale lodigiano sarebbe conseguenza di un'indisponibilità finanziaria in capo all'ente preposto alla manutenzione ovvero il comune, causata dalla morosità del Ministero della giustizia nei confronti dell'ente locale in relazione a queste spese. Più specificamente, il comune non riceverebbe dal Ministero il canone d'affitto dell'immobile, ma solo un parziale rimborso delle spese di funzionamento: secondo i calcoli il debito del Ministero ammonterebbe a 6.402.020,19 euro;
          dal 1997 a fronte di 14,1 milioni di euro di rimborsi richiesti fino al 2014, ne sarebbero stati riconosciuti a titolo provvisorio o definitivo 12,6 milioni di euro;
          alla luce dei tragici avvenimenti del 9 aprile 2015 al palazzo di giustizia di Milano, ovvero dell'omicidio del giudice Ferdinando Ciampi, dell'avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani e di Giorgio Erba, ci si chiede come sia possibile che vi sia un palazzo di giustizia sprovvisto di strumenti essenziali e minimi per la prevenzione di pericoli mortali per chi vi opera svolgendo la delicatissima funzione di amministrazione della giustizia;
          sempre la stampa (Il Giorno del 28 maggio 2015, nella sezione della cronaca di Lodi) riporta le dichiarazioni dell'onorevole Lorenzo Guerini, vicesegretario del principale partito della maggioranza parlamentare, secondo le quali Governo e Parlamento avrebbero risolto il problema con la legge di stabilità per il 2015, in cui è stato stabilito infatti che da settembre i comuni verranno sgravati da queste spese, poste in capo ad essi dalla precedente legge del 1941, e tali spese saranno poste direttamente a carico del Ministero della giustizia. A questo proposito in questa sede si evidenzia che, come sopra riportato, l'attribuzione al Ministero della giustizia delle spese di gestione dei tribunali di per sé non sembra essere in alcun modo risolutiva, dato che la gravissima situazione del tribunale lodigiano è stata causata proprio dalla mancata erogazione al comune di Lodi dei rimborsi dovuti in base alle stesse spese, per cui il Ministero è già ad oggi, di fatto, responsabile della mancata erogazione che ha determinato la questione oggetto della presente interrogazione  –:
          quanti e quali siano i tribunali italiani nei quali sono stati rilevati e segnalati, da parte degli organi competenti, analoghi problemi relativi alla sicurezza e quali iniziative il Ministro abbia adottato e intenda adottare per risolvere il problema delle carenze relative alla sicurezza nei tribunali. (3-01523)


Dati relativi all'utilizzo dello strumento della negoziazione assistita e tempi e modalità per la realizzazione degli interventi volti a potenziare gli strumenti e le misure alternative al processo previsti nel decreto-legge n. 132 del 2014 – 3-01524

      ROSSOMANDO, FERRANTI, VERINI, AMODDIO, BAZOLI, BERRETTA, CAMPANA, ERMINI, GIULIANI, GRECO, GIUSEPPE GUERINI, IORI, LEVA, MAGORNO, MARZANO, MATTIELLO, MORANI, GIUDITTA PINI, ROSTAN, TARTAGLIONE, VAZIO, ZAN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto-legge 12 settembre 2014, n.  132, «Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile», convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014 n.  162, è stato avviato un importante percorso per affrontare il grave problema della lentezza della giustizia civile e della mole di arretrato dei procedimenti pendenti, attraverso il potenziamento di strumenti per la composizione stragiudiziale delle controversie, quali la negoziazione assistita;
          in particolare, proprio per quanto riguarda lo strumento della negoziazione assistita, ossia un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di uno o più avvocati, è stato previsto che il ricorso a tale procedura sia condizione di procedibilità per le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazioni di veicoli e natanti e per le domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non superiori a 50 mila euro. L'obbligo di ricorso alla negoziazione è in vigore dal 9 febbraio 2015;
          di grande importanza appare anche la disposizione prevista all'articolo 11 del medesimo decreto-legge n.  132 del 2014, dove si prevede la raccolta dei dati concernenti le procedure di negoziazione assistita, con l'obbligo per il Ministero della giustizia di una relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione della nuova disciplina;
          da notizie di stampa si apprende che sarebbe intenzione da parte del Ministero della giustizia quella di potenziare le cosiddette adr (alternative dispute resolution), ovvero le procedure alternative al processo, e di procedere all'assunzione di nuove risorse di personale da destinare a quei tribunali che metteranno a punto un piano per lo smaltimento dell'arretrato  –:
          se il Ministro interrogato sia già in possesso di un primo dato di monitoraggio relativo all'utilizzo dello strumento della negoziazione assistita e quali siano le modalità e i tempi per la realizzazione degli interventi volti a potenziare gli strumenti e le misure alternative al processo previsti nel decreto-legge n.  132 del 2014.
(3-01524)


Chiarimenti in merito ai tempi di applicazione della procedura prevista dalla «legge Severino» con riguardo alla sospensione dalla carica del presidente della giunta regionale della Campania – 3-01525

      RUSSO e BRUNETTA. Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 31 maggio 2015 si sono svolte le elezioni rinnovo del consiglio regionale della regione Campania;
          alla carica di presidente della regione è risultato eletto, allo stato, il candidato Vincenzo De Luca;
          il predetto candidato risulta attualmente condannato in primo grado con sentenza n.  153/15 dal tribunale di Salerno, per i reati di cui agli articolo 81, capoverso, 110 e 323 del codice penale;
          ai sensi dell'articolo 8, commi 1, lettera a), e 3, del decreto legislativo n.  235 del 2012, i titolari della carica di presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale, che abbiano subito una condanna di primo grado per i predetti reati, sono sospesi di diritto dalla stessa carica per un periodo di diciotto mesi;
          secondo la prevalente e consolidata giurisprudenza e come risulta dalla costante prassi applicativa della norma (si veda, tra gli altri, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 marzo 2013 di sospensione del signor Angelo Michele Iorio), la sospensione di diritto opera con effetto dichiarativo sin dalla proclamazione dell'elezione dell'interessato;
          nella risposta in data 5 giugno 2015 all'interpellanza urgente degli onorevoli Paolo Russo e Renato Brunetta, il Governo ha precisato che «il presupposto per il tempestivo avvio del procedimento di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n.  235 del 2012, finalizzato all'adozione della sospensione, di competenza del Consiglio dei ministri» è «la proclamazione degli eletti debitamente ufficializzata»;
          tale ufficializzazione, sempre in base alla prassi costantemente adottata dal Governo (si veda, tra gli altri, il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e, per quanto riguarda la regione Campania, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 maggio 2010, relativo ad analoga fattispecie, sospensione del signor Alberico Gambino ai sensi dell'articolo 15, commi 4-bis e 4-ter, della legge n.  55 del 1990), consiste nell'immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri, da parte dell'ufficio territoriale del governo, dell'avvenuta elezione dell'interessato e dell'avvenuta proclamazione della stessa elezione;
          la sentenza penale in questione è già nota all'amministrazione dell'interno, essendosi proceduto, in conseguenza della stessa, con provvedimento del prefetto di Salerno, a sospendere il predetto candidato dalla carica di sindaco di Salerno, ricoperta in precedenza, in applicazione dell'articolo 10 dello stesso decreto legislativo; per cui non è necessario attendere la comunicazione della sentenza da parte della cancelleria del tribunale, ai fini dell'assunzione dei conseguenti provvedimenti;
          del resto la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n.  13563 del 2012) ha già precisato che l'iniziativa dell'amministrazione concernente l'avvio e l'adozione del procedimento di sospensione, indipendente dalla comunicazione della cancelleria del tribunale, attiene alla fase cognitiva del provvedimento, senza incidere sulla ritualità procedurale dell'irrogazione della sospensione;
          nei precedenti casi in cui il presupposto della sospensione si è verificato prima della proclamazione dell'elezione alla carica (si vedano ancora i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri citati in precedenza), le predette comunicazioni dell'ufficio territoriale del governo sono sempre avvenute prima della riunione di insediamento del consiglio regionale della quale il soggetto destinatario del provvedimento di sospensione avrebbe fatto parte; e, nel caso della comunicazione dell'elezione, in data antecedente alla proclamazione dell'eletto; così come i relativi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di sospensione sono stati adottati e comunicati ai consigli regionali interessati in data antecedente alla prima adunanza degli stessi;
          come confermato dalla citata risposta ad interpellanza urgente, in data 5 giugno 2015, nel caso di specie la sollecitudine degli adempimenti amministrativi da parte degli organi dell'amministrazione dell'interno interessati «verrà in ogni caso assicurata analogamente a quanto avvenuto in precedenza»;
          oltre che al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento rispetto a casi analoghi, la conferma della tempestività degli atti dell'amministrazione dell'interno in conformità alla precedente prassi risulta particolarmente rilevante nel caso di specie, nel quale la circostanza che il signor Vincenzo De Luca risulti eletto alla carica di presidente di regione comporta che, attesi il carattere dichiarativo del provvedimento di sospensione e la sua efficacia sin dal momento della proclamazione, lo stesso De Luca non potrà legittimamente compiere alcun atto afferente la carica di presidente per tutto il periodo di sospensione dalla stessa, pena l'assoluta e insanabile nullità degli atti predetti  –:
          se, in ossequio alla prassi seguita in precedenti casi analoghi, nel caso di specie, la prefettura-ufficio territoriale del governo di Napoli abbia già provveduto a comunicare al Presidente del Consiglio dei ministri, e in quale data, l'avvenuta elezione del signor Vincenzo De Luca a presidente della regione Campania, nelle more della proclamazione, e se, una volta avvenuta quest'ultima, la suddetta prefettura-ufficio territoriale del governo provvederà a comunicare immediatamente al Presidente del Consiglio dei ministri la proclamazione del signor Vincenzo De Luca alla predetta carica, sì da consentire la tempestiva adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di sospensione dalla carica di presidente della giunta regionale e la sua comunicazione al nuovo consiglio regionale antecedentemente alla prima adunanza dello stesso, ai fini dei conseguenti adempimenti di legge, nonché prima del compimento di qualsivoglia atto da parte dello stesso signor Vincenzo De Luca, nella qualità di presidente della regione Campania. (3-01525)


Intendimenti del Governo in merito alle previsioni della «legge Severino» con riferimento alla sospensione dalla carica del presidente della giunta regionale della Campania ed ai conseguenti effetti – 3-01526

      SCOTTO e GIANCARLO GIORDANO. Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n.  235, reca il «Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n.  190»;
          tale normativa disciplina l'incandidabilità e la decadenza dei politici eletti ed impone l'immediata sospensione dall'incarico nei confronti degli amministratori pubblici condannati anche solo in primo grado per una serie di reati, tra cui quelli contro la pubblica amministrazione;
          l'articolo 8 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n.  235, stabilisce che: «Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate all'articolo 7, comma 1, coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all'articolo 7, comma 1, lettera a), b) e c)», e cioè, tra le altre cose, per corruzione, concussione, peculato e abuso d'ufficio;
          le cariche indicate all'articolo 7 sono quelle di «presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale, amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali»;
          il 31 maggio 2015 si sono svolte le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale della regione Campania;
          alla carica di presidente della regione è risultato eletto, allo stato e salva verifica da parte dei competenti uffici centrale circoscrizionale e centrale regionale, il candidato Vincenzo De Luca;
          Vincenzo De Luca è stato condannato a gennaio 2015 in primo grado a un anno di reclusione per abuso d'ufficio;
          la condanna prevedeva anche l'interdizione per un anno dai pubblici uffici;
          il caso di Vincenzo De Luca, dunque, rientra nell'ambito dell'applicazione del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n.  235, e quindi in caso di elezione è per lui prevista, ai sensi della normativa vigente, la sospensione dalla carica;
          secondo la prevalente e consolidata giurisprudenza la sospensione di diritto opera con effetto dichiarativo sin dal momento in cui è intervenuta la sentenza di condanna;
          pertanto, la sospensione del candidato in questione, ove risultasse proclamato presidente della regione, dovrebbe essere disposta senza indugio e con effetto immediato;
          il comma quarto dell'articolo 8 già citato prevede che, a cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero, i provvedimenti giudiziari che comportano la sospensione ai sensi del comma 1 siano comunicati al prefetto del capoluogo della regione coinvolta, cosicché egli ne dia immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri;
          quest'ultimo, sentiti il Ministro per gli affari regionali e il Ministro dell'interno, adotta il provvedimento che accerta la sospensione;
          attualmente il Presidente del Consiglio dei ministri è anche Ministro per gli affari regionali ad interim;
          il parere del Ministro dell'interno non è vincolante;
          la sentenza penale in questione è già nota all'amministrazione dell'interno essendosi proceduto, in conseguenza della stessa, con provvedimento del prefetto di Salerno, a sospendere il predetto candidato dalla carica di sindaco di Salerno, ricoperta in precedenza, in applicazione dell'articolo 10 dello stesso decreto legislativo;
          mentre la legge specifica che il prefetto del capoluogo regionale debba dare comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri immediatamente, nulla è detto dei tempi con cui il Presidente del Consiglio dei ministri debba adottare il provvedimento che accerta la sospensione;
          Vincenzo De Luca era il candidato di riferimento del Presidente del Consiglio dei ministri in Campania per queste elezioni regionali, come ampiamente emerso anche dalla più recente visita del Presidente del Consiglio dei ministri in Campania;
          il Presidente del Consiglio dei ministri, dunque, si trova oggi ad avviso degli interroganti in una condizione di evidente conflitto di interessi;
          infatti, ai sensi della cosiddetta «legge Severino», il segretario nazionale del Partito democratico, in qualità di Presidente del Consiglio dei ministri, dovrebbe adottare il provvedimento che accerta la sospensione del candidato del suo partito dopo aver espresso un parere a riguardo in qualità di responsabile del dipartimento per gli affari regionali;
          non è da sottovalutare come la mancanza di tempestività nell'adozione di tale atto potrebbe permettere un aggiramento della normativa vigente, dando il tempo a De Luca di formare una giunta regionale e garantire, una volta intervenuta la sospensione, il prosieguo della legislatura regionale attraverso il vicepresidente nominato;
          vi sono anche dubbi in merito a quest'ultima possibilità avanzati da esimi costituzionalisti, che sostengono come, mentre nei comuni la sospensione del sindaco non comporti lo scioglimento della giunta, nelle regioni la sospensione del presidente porterebbe anche allo scioglimento del consiglio e, quindi, a nuove elezioni;
          ai sensi dell'articolo 7 della legge regionale Campania n.  4 del 2009, la proclamazione dell'elezione del presidente della giunta regionale campana è formalizzata nel processo verbale redatto dall'ufficio centrale medesimo e consegnato alla presidenza provvisoria del consiglio regionale, nella prima adunanza del consiglio stesso, che ne rilascia ricevuta;
          è la proclamazione degli eletti, dunque, debitamente ufficializzata, che viene a concretare, nella fattispecie, il presupposto per il tempestivo avvio del procedimento di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n.  235 del 2012, finalizzato all'adozione della sospensione di competenza del Presidente del Consiglio dei ministri;
          ciò comunque implicherebbe il dovere, da parte delle istituzioni competenti, di far scattare immediatamente l'atto sospensivo, senza attendere la nomina della giunta e, quindi, del vicepresidente;
          secondo esperti giuristi, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale è indubbio che la sospensione obbligatoria integri gli estremi di un vero e proprio impedimento del presidente che gli preclude l'esercizio delle funzioni connesse alla carica, con conseguente impossibilità di compiere qualunque atto;
          la stessa Avvocatura dello Stato ha in passato evidenziato come a nulla valga lamentare che, con l'automatica sospensione, organi elettivi possano risultare decapitati o paralizzati, con conseguente scioglimento degli stessi, perché nessun inconveniente può ostacolare l'applicazione di una legge volta a interdire (anche se solo temporaneamente) ogni contatto tra la funzione pubblica e la persona incompatibile;
          la sospensione dovrebbe avvenire immediatamente dopo la proclamazione degli eletti, dunque prima della nomina della giunta e del vicepresidente, così da evitare che la normativa vigente venga, di fatto, aggirata con la creazione di un pericoloso precedente  –:
          quali misure il Governo intenda adottare in merito alle previsioni della cosiddetta «legge Severino» che porterebbe alla sospensione del presidente della regione, comportando anche secondo gli interroganti lo scioglimento del consiglio e, di conseguenza, nuove elezioni. (3-01526)


Iniziative di competenza per la gestione dell'emergenza profughi, anche con riferimento alla cooperazione tra i soggetti istituzionali coinvolti – 3-01527

      DELLAI, CAPELLI, GIGLI, FAUTTILLI, CARUSO, MARAZZITI, FITZGERALD NISSOLI, SANTERINI, LO MONTE, TABACCI, SBERNA e PIEPOLI. Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          gli ultimi sbarchi di profughi provenienti dalla Libia (oltre 5 mila migranti salvati nelle ultime 48 ore) hanno prodotto una serie di dichiarazioni di insofferenza da parti dei presidenti delle regioni Lombardia, Veneto e Liguria, tali da minacciare addirittura la riduzione dei trasferimenti regionali ai sindaci del territorio che continueranno a ospitare nuovi migranti, frutto di una reazione che appare agli interroganti intollerante rispetto al dramma umanitario dei migranti;
          il presidente della regione Lombardia avrebbe perfino scritto una lettera ai prefetti per diffidarli dal portare nel territorio lombardo nuovi profughi, mentre il leader della Lega Nord Matteo Salvini ha pubblicamente annunciato di «bloccare le prefetture» e di «presidiare tutte quelle strutture che, a spese degli italiani, qualcuno vuole mettere a disposizione di migliaia di immigrati clandestini», qualora gli immigrati fossero trasferiti al Nord;
          rispetto alla diffida ai comuni della regione Lombardia ad accogliere nuovi immigrati il prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, ha comunicato che «Milano attende le direttive e gli invii che il Governo effettuerà e risponderà secondo i criteri generali»;
          le dichiarazioni del presidente Maroni, seguite da quelle del presidente Zaia e del non ancora insediato presidente della Liguria, Toti, hanno determinato l'immediata censura del Governo attraverso il Vice Ministro dell'interno, che ha denunciato l'illegittimità dell'intervento del presidente della regione Lombardia, che è stato peraltro Ministro dell'interno e ha gestito un'emergenza immigrazione analoga, imponendo la presenza di immigrati nei diversi territori;
          anche il presidente dell'Anci ha sottolineato l'illegittimità delle dichiarazioni del presidente Maroni, in quanto «non è nei poteri di un presidente di regione decidere quale politica di accoglienza di profughi persegue il nostro Paese. Tanto meno è accettabile che si minaccino in modo ritorsivo, e illegalmente, riduzioni di risorse ai comuni che ospitano profughi»;
          per il presidente della regione Piemonte, Chiamparino, le dichiarazioni rese da Maroni e Zaia sono evidentemente strumentali, sottolineando che «un'eventuale interruzione dei trasferimenti ai comuni sarebbe oggetto di innumerevoli ricorsi»;
          si fa presente che nel 2011 l'allora Ministro dell'interno Maroni aveva siglato un accordo con gli enti locali «per affrontare l'emergenza profughi attraverso uno sforzo comune affinché fino a 50 mila profughi siano equamente distribuiti nel territorio nazionale, in ciascuna regione escluso l'Abruzzo (che aveva subito il terremoto)», cercando ed in quel caso ottenendo, in un momento di massima criticità, una collaborazione piena per evitare situazione di sovraffollamento in alcune regioni, come sta accadendo negli ultimi mesi in Sicilia, in Puglia, in Calabria e in parte in Campania e nel Lazio;
          la situazione descritta in premessa appare grave anche perché chi riveste importanti cariche istituzionali dovrebbe agire sempre con senso di responsabilità nei momenti in cui il proprio Paese si trova a dover fronteggiare emergenze che necessiterebbero di maggiore coralità e cooperazione  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere per fronteggiare tali emergenze, promuovendo la massima cooperazione tra i soggetti istituzionali coinvolti.
(3-01527)


Iniziative per sostenere l'impegno delle regioni meridionali con riferimento all'accoglienza dei migranti – 3-01528

      PISICCHIO. Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'Italia meridionale è da anni terra di approdo di un flusso migratorio che ha assunto dimensioni ormai insostenibili, con stime per il futuro che variano da 500.000 a 750.000 nuovi arrivi;
          nel nostro Paese nel 2014 sono già arrivati 174.000 immigrati non regolari, di cui 11.000 minori e 54.000 nei primi cinque mesi del 2015;
          l'onere dell'accoglienza grava in massima parte, se si esclude il Lazio, sulle regioni del Sud, con la Sicilia che arriva ad ospitarne il 20 per cento;
          il dramma della migrazione di intere popolazioni si abbatte su regioni che scontano ancora un divario con il resto del Paese a causa di problemi strutturali che ancora non sono stati affrontati con un piano di rilancio;
          l'Italia versa ogni anno circa sedici miliardi di euro all'Unione europea, ma i costi dell'emergenza umanitaria continuano a ricadere sul nostro Paese e sulle sue regioni meno ricche;
          i costi dell'assistenza ai migranti ed ai richiedenti asilo dal 2011 a fine 2014 sono stati pari a circa 2 miliardi e 288 milioni di euro e la stima per il solo 2015 raggiunge il miliardo;
          il piano europeo di redistribuzione dei migranti sta trovando forti resistenze da parte dei Paesi del Nord Europa;
          d'altro canto, non sembra che esista un'adeguata consapevolezza da parte delle istituzioni europee d'essere di fronte ad un'emergenza umanitaria di proporzioni bibliche, rispetto alla quale appaiono del tutto insufficienti le politiche di respingimento, mentre invece sarebbe indispensabile l'approntamento di una sorta di «piano Marshall» per i Paesi africani così drammaticamente colpiti da guerre, carestie e sottosviluppo  –:
          quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per sostenere lo sforzo umanitario delle regioni meridionali, considerando anche di negoziare il ristoro dei costi sostenuti per l'accoglienza ai migranti, deducendoli dal contributo annuale italiano al bilancio dell'Unione europea.
(3-01528)


Iniziative per un maggiore coinvolgimento dei Paesi dell'Unione europea nell'accoglienza dei migranti – 3-01529

      TANCREDI e DORINA BIANCHI. Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          dall'inizio del 2015 l'entità delle persone tratte in salvo nel Mediterraneo del Sud provenienti dal Nord Africa e principalmente dalla Libia non ha subito la benché minima flessione, superando, potenzialmente, la cifra record del 2014;

          la maggior parte delle persone salvate dai mezzi navali dell'operazione europea Triton è sbarcata in Italia e ha chiesto protezione internazionale;

          il Governo ha più volte sollecitato l'Unione europea a considerare il braccio di mare che separa l'Italia dal Nord Africa non come frontiera italiana, bensì come parte della frontiera esterna comune europea;

          il Governo ha più volte chiesto all'Europa di farsi carico del flusso costante di persone in fuga da guerre e persecuzioni il cui sogno è di crearsi una nuova vita in Europa e non solo nello Stato membro di primo approdo, che è quasi sempre l'Italia;

          l'operazione Triton ha sì sgravato l'Italia dall'onere di esser l'unico Stato membro a sopportare il costo dei salvataggi, ma, per rispondere alle regole europee, finisce col gravare l'Italia del maggior peso dell'accoglienza  –:

          quali iniziative il Governo intenda assumere in Europa affinché la pressione dei richiedenti protezione sull'Italia diminuisca e siano anche altri Stati membri a farsi carico del fenomeno. (3-01529)


Elementi ed iniziative in ordine ad un progetto di riorganizzazione dei commissariati di pubblica sicurezza di Roma – 3-01530

      DAMBRUOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          diversi organi di stampa hanno riportato nei giorni scorsi la notizia di una riunione informale presso la questura di Roma per decidere la chiusura di almeno 6 commissariati della capitale, tra cui i commissariati di Porta Pia, Trastevere, Torpignattara, Appio Nuovo, Monte Mario e Villa Glori, e l'accorpamento in strutture più grandi di quelli di Monteverde, San Lorenzo, Porta Maggiore, San Giovanni, Prati e Vescovio;
          secondo quanto sostengono i sindacati della Polizia di Stato, la decisione di chiudere i posti di polizia serve a risparmiare sugli affitti degli immobili; tali misure, unite al blocco del turn over che ha fortemente penalizzato le forze di polizia e alla situazione ormai cronica di carenza di organico avvertita anche nella capitale, rende sempre più difficile la gestione della pubblica sicurezza da parte degli operatori delle forze dell'ordine che vi prestano servizio;
          sempre da fonti sindacali si apprende che molti investigatori dell'antiterrorismo, del servizio centrale operativo (sco), della scientifica e specialisti della lotta all'immigrazione clandestina sono stati trasferiti a Milano fino al mese di ottobre 2014 (per vigilare sull'Expo) e questo ha ulteriormente inciso sulle già ridotte dotazioni di organico della città di Roma  –:
          quali iniziative intenda adottare per evitare che questi importanti presidi sul territorio vengano chiusi con grave danno per la capitale e per gli operatori delle forze dell'ordine che vi prestano servizio. (3-01530)


Intendimenti del Governo in merito alla sospensione o alla revoca degli affidamenti di servizi relativi alla gestione dei migranti, con particolare riferimento al centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo – 3-01531

      FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN e MOLTENI. GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito più ampio dell'inchiesta nota come «mafia capitale», Giuseppe Castiglione, Sottosegretario alle politiche agricole, alimentari e forestali, iscritto al partito del Nuovo Centrodestra, risulta indagato per turbativa d'asta, con riguardo agli appalti per il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania);
          l'indagine a carico di Castiglione porta a cinque il numero di Sottosegretari del Governo raggiunti da avviso di garanzia;
          già nel 1999 Castiglione era stato arrestato nell'inchiesta sulle tangenti per la costruzione del nuovo Ospedale Garibaldi di Catania, con le accuse di turbativa d'asta e concorso esterno in associazione mafiosa. Condannato in primo grado a dieci mesi per tentata turbativa d'asta, è stato poi assolto;
          dal 2008 Castiglione, in quanto presidente della provincia di Catania, è «soggetto attuatore» del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo. Da quella posizione deriva l'iscrizione, in questi giorni, nel registro degli indagati;
          l'inchiesta su «mafia capitale» sta portando in evidenza un vasto, radicato e cinico intreccio di interessi sviluppatosi sulla gestione dei migranti, definito un business «più redditizio della droga», nel quale amministratori, politici locali, burocrati, cooperative e malavita hanno costruito un sodalizio che trae denaro e potere dall'arrivo di migliaia di disperati e che patirebbe un danno economico da una diversa gestione del fenomeno teso a ridurre gli arrivi o ad una diversa gestione degli sbarcati;
          nel frattempo, secondo il britannico Guardian, che cita fonti della Royal Navy, sulle coste meridionali del Mediterraneo stazionerebbero ormai tra i 450 mila ed i 500 mila migranti in attesa di imbarcarsi verso le sponde italiane, in un flusso in continua crescita, dall'evidente pesantissimo impatto sociale e economico sull'Italia e sull'Europa;
          è conseguentemente doveroso che la gestione delle operazioni relative agli sbarchi e alla presenza di migranti nel Paese avvenga nel segno dell'assoluta e rigorosa trasparenza, con correttezza ed assoluta integrità morale e politica;
          ad avviso degli interroganti, attesa la grande rilevanza assunta dal fenomeno migratorio verso le coste del nostro Paese, in grande aumento d'intensità dal 2014, sarebbe opportuno che il Sottosegretario Castiglione rassegnasse le proprie dimissioni dal Governo, anche allo scopo di dissipare la sussistenza di eventuali conflitti d'interesse ed illeciti nella gestione dell'afflusso dei migranti richiedenti asilo, ancor prima che le fattispecie contestate nei suoi confronti dall'inchiesta trovino definizione per via giudiziaria  –:
          se, stante la prefigurata diffusione di attività corruttiva e criminale nell'attuale sistema di assegnazioni di servizi – tramite o meno gara d'appalto – relativi alla gestione dei migranti, il Ministro interrogato non intenda sospendere e revocare tutti gli attuali affidamenti, a partire da quello per il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, per evitare il rischio di mantenere in atto fonti di finanziamento illecito per attività criminose. (3-01531)


Iniziative volte a garantire il rispetto da parte delle amministrazioni locali delle vigenti normative in materia di appalti relativi al sistema di gestione dell'accoglienza e dell'assistenza ai migranti – 3-01532

      RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi giorni sono stati effettuati ulteriori arresti nell'ambito dell'inchiesta balzata alle cronache come «mafia capitale» nel dicembre del 2014;
          dal prosieguo dell'inchiesta continuano ad emergere sia dettagli sul sistema di gestione clientelare dei servizi per l'accoglienza del comune di Roma, sia irregolarità nell'aggiudicazione di appalti di altra natura;
          già più di un anno fa la relazione redatta dagli ispettori della Ragioneria generale dello Stato, incaricati di capire le origini delle difficoltà finanziarie che stava attraversando il comune di Roma, aveva evidenziato come sia gli affidamenti alle cooperative ora incriminate, sia le proroghe degli stessi, fossero avvenuti in aperta violazione della legge sulle gare pubbliche;
          per quanto consta agli interroganti, nell'ambito della spesa sociale nei diciotto mesi compresi tra il 1o luglio 2013 e il 31 dicembre 2014, che ammonta a poco più di 221 milioni, 1489 procedure, 23,77 per cento affidamenti diretti, 7,25 per cento procedure negoziate, 67,9 per cento proroghe, 1,07 per cento avvisi pubblici, numero procedure sopra soglia 7,79 per cento;
          per quanto risulta agli interroganti, nel secondo semestre del 2013, dopo l'insediamento della giunta Marino, gli stanziamenti comunali in favore delle persone con disabilità si sono ridotte del 29,5 per cento, mentre quelle destinate ad interventi in favore degli immigrati sono aumentati quasi del 600 per cento  –:
          in che modo intenda intervenire, se del caso anche attraverso iniziative normative, al fine di garantire il rispetto da parte delle amministrazioni locali delle vigenti normative in materia di appalti relativi al sistema di gestione dell'accoglienza e dell'assistenza agli immigrati. (3-01532)


MOZIONI SCOTTO ED ALTRI N.  1-00719, BECHIS ED ALTRI N.  1-00885, LUPI ED ALTRI N.  1-00887, GIGLI ED ALTRI N.  1-00890, ROSATO ED ALTRI N. 1-00892, BRUNETTA N.  1-00893, FEDRIGA ED ALTRI N. 1-00894 E MAZZIOTTI DI CELSO ED ALTRI N. 1-00896 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI TRASCRIZIONE DEI MATRIMONI CONTRATTI ALL'ESTERO TRA PERSONE DELLO STESSO SESSO

Mozioni

      La Camera,
          premesso che:
              la stampa, in data 20 gennaio 2015, ha dato notizia che la procura della Repubblica di Milano ha aperto un fascicolo contro ignoti a seguito della presentazione di un esposto sulla vicenda delle trascrizioni nella città di Milano dei matrimoni contratti all'estero da persone dello stesso sesso;
              nel mese di ottobre 2014, il Ministro dell'interno adottava la circolare n.  40o/ba-030/011/DAIT con la quale chiedeva ai prefetti di invitare i sindaci a cancellare le trascrizioni effettuate e, in caso di non ottemperanza all'invito, di procedere essi stessi a cancellarle d'ufficio «ai sensi del combinato disposto dell'articolo 21-nonies della legge n.  241 del 1990 e dell'articolo 54, commi 3 e 11, del decreto legislativo n.  267 del 2001»;
              la vicenda dell'intervento del prefetto in via sostitutiva è stata esaminata dalla procura della Repubblica di Udine, a seguito di un esposto che chiedeva di valutare se la cancellazione della trascrizione da parte del prefetto della provincia integrasse ipotesi di reato;
              la procura della Repubblica di Udine, pur non rilevando ipotesi di reato, precisava che la cancellazione di un matrimonio trascritto non può essere disposta da un'autorità amministrativa – che sia il Ministro, il prefetto o lo stesso sindaco – ma solo dall'autorità giudiziaria, alla quale la legge affida la relativa competenza, in base all'articolo 95 del regolamento di stato civile (decreto del Presidente della Repubblica n.  396 del 2000);
              rispondendo all'interpellanza urgente n.  2-00794, il Governo ha affermato di non voler tenere in considerazione le motivazioni espresse dalla procura della Repubblica di Udine e ha ribadito che i prefetti avrebbero il potere di cancellare le trascrizioni, in virtù del fatto che le funzioni di stato civile sono attribuite dallo Stato e sono esercitate solo in via indiretta e subordinata dal sindaco nell'ambito del comune;
              il Governo ritiene, dunque, che il potere di annullamento da parte del prefetto sia una tipica manifestazione di una sovraordinazione gerarchica e concreta un rimedio di ordine amministrativo; a tal proposito, ha fatto riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato n.  3076 del 2008, relativa a provvedimenti sindacali in materia di sicurezza urbana, che il Governo definisce «analoghe fattispecie»;
              tuttavia, non può non esser rilevato che tale conclusione non appare ai firmatari del presente atto di indirizzo corretta, dal momento che non si tratta affatto di «analoghe fattispecie»: il caso citato dal Governo, infatti, riguarda ordinanze aventi natura provvedimentale, mentre le trascrizioni sono evidentemente atti dichiarativi per i quali la legge prevede esclusivamente il ricorso giurisdizionale di cui all'articolo 95 del regolamento di stato civile;
              a rafforzare tale certezza vi è l'articolo 12, comma 6, del regolamento di stato civile, il quale recita: «Gli atti dello stato civile sono chiusi con la firma dell'ufficiale dello stato civile competente. Successivamente alla chiusura gli atti non possono subire variazioni». Non avrebbe rilievo, quindi, il profilo della subordinazione o meno del sindaco quale ufficiale di stato civile, essendo chiaro il dettato legislativo;
              inoltre, l'articolo 100 del regolamento dispone: «I tribunali della Repubblica sono competenti a disporre le rettificazioni e le correzioni di cui ai precedenti articoli anche per gli atti dello stato civile ricevuti da autorità straniere, trascritti in Italia ed a provvedere per la cancellazione di quelli indebitamente trascritti (...)»;
              è paradossale, peraltro, che venga ignorato il corretto dato normativo, in quanto nel massimario per l'ufficiale di stato civile del Ministero dell'interno, adottato con decreto ministeriale nel 2012, compare al paragrafo 15.1.1 (pagina 166): «cancellazione di un atto. Quando si voglia procedere alla “cancellazione di un atto indebitamente registrato” negli archivi dello stato civile, considerato che non può esserne effettuata la materiale cancellazione, la legge prescrive che si faccia ricorso a iniziativa del pubblico ministero (eventualmente su segnalazione dello stesso ufficiale di stato civile) alla procedura di rettificazione di cui agli articoli 95 e 96 del decreto del Presidente della Repubblica n.  396 del 2000, rimettendo la competenza a decidere esclusivamente all'autorità giudiziaria. Il relativo decreto deve essere opportunamente annotato sui registri dello stato civile»;
              l'articolo 69, comma 1, lettere e) ed i), del regolamento, inoltre, indica tra gli atti di cui è possibile fare annotazione nel registro degli atti di matrimonio solo le «sentenze con le quali si pronuncia l'annullamento della trascrizione dell'atto di matrimonio» ed i «provvedimenti di rettificazione», ma non altri atti (come le circolari ministeriali o i decreti prefettizi) con il medesimo effetto;
              a fugare ulteriormente ogni dubbio soccorre il decreto ministeriale del 5 aprile 2002 (recante «Approvazione delle formule per la redazione degli atti dello stato civile»), il quale, nel prescrivere le formule tassative di annotazione (tali secondo gli articoli 11, comma 3, e 12, comma 1, del regolamento di stato civile), così recita all'allegato A con la formula n.  190, unica dedicata alla rettificazione: «Annotazione di provvedimento di rettificazione (articoli 49, 69 e 81 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n.  396). Con provvedimento del Tribunale di ... n.  ... in data ... l'atto di cui sopra è stato così rettificato: (inserire specificamente le rettificazioni così come sono state disposte)...». Non compare cioè in alcun modo un potere costituito in capo al Ministro, al prefetto o a qualsiasi altro ufficiale di stato civile di intervenire sopra i registri, manomettendone così l'autenticità;
              è evidente, dunque, che la circolare del Ministro dell'interno, prima, e l'intervento dei prefetti, poi, a Milano come in altri comuni, non appaiono corretti sotto il profilo giuridico, perché violano la legge e vanno a ledere prerogative e compiti propri della procura della Repubblica ex articolo 75 dell'ordinamento giudiziario;
              rispondendo all'interpellanza urgente sopra citata, il Governo ha anche concluso di non rinvenire i presupposti per il ritiro della circolare n.  40o/ba030/011/DAIT del 7 ottobre 2004. Tuttavia, alla luce degli inconfutabili elementi di diritto evidenziati, la circolare appare ai firmatari del presente atto di indirizzo del tutto illegittima e, dunque, lo è anche continuare a mantenerla in vigore;
              con tale circolare, infatti, viene integrata una grave violazione della Costituzione (competenze dell'ordinamento giudiziario), nonché della legge (ordinamento di stato civile) in sede di applicazione di norme con riferimento alle sole persone omosessuali;
              i sindaci hanno applicato in maniera corretta, dunque, il regolamento di stato civile, che prevede la trascrizione come atto di pubblicità e certificazione e non come atto costitutivo;
              appare, altresì, assolutamente lecita la condotta dei sindaci che, nel rispetto della legge, non si sono attenuti alla circolare ministeriale n.  40o/ba-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014, in quanto, come insegna la costante giurisprudenza, l'interpretazione delle disposizioni contenute nelle circolari non vincola né i sindaci né i giudici e, cosa più importante, non costituisce fonte del diritto (per tutte: Corte di Cassazione, sentenza n.  5137 del 2014; Consiglio di Stato, sentenza n.  5506 del 2000),

impegna il Governo

a ritirare con urgenza la circolare ministeriale n.  40o/ba-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014, emanata dal Ministro dell'interno.
(1-00719) «Scotto, Quaranta, Costantino, Fratoianni, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».


      La Camera,
          premesso che:
              a seguito della pronuncia del tribunale di Grosseto, che ha disposto la trascrizione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all'estero, alcuni sindaci, insieme ad alcuni funzionari comunali, si sono interrogati sui presupposti giuridici e sull'effettiva legittimità di effettuare quella trascrizione;
              ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo esistono ragioni in diritto che consentono di ritenere legittima e dovuta la trascrizione di tali matrimoni da parte del sindaco;
              a tal fine, è necessario inquadrare l'istituto della trascrizione del matrimonio nel nostro sistema e prendere in considerazione quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n.  4184 del 2012;
              appare necessario chiarire la reale portata del decreto del tribunale di Grosseto, che ha disposto la trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto nello Stato di New York. Fino alla sentenza della Cassazione n.  4184 del 2012, gli ostacoli alla trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso erano prevalentemente due:
          a) la sua inesistenza;
          b) la sua contrarietà all'ordine pubblico;
              quanto alla questione dell'inesistenza del matrimonio tra persone dello stesso sesso, la Corte di Cassazione ha chiarito che, in base al disposto dell'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta di Nizza) e dell'articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretato dalla Corte europea dei diritti umani, nella nozione di matrimonio rientra anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso;
              il «presupposto naturalistico della fattispecie», ossia la diversità di sesso dei nubendi, non è più necessario per configurare l'esistenza giuridica del matrimonio. Quanto alla contrarietà all'ordine pubblico del matrimonio tra persone dello stesso sesso – rilevante sia in base all'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica n.  396 del 2000, «Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile», sia in base all'articolo 65 della legge n.  218 del 1995, in materia di diritto internazionale privato – essa va esclusa. In base alla sentenza della Corte di Cassazione n.  4184 del 2012 «l'intrascrivibilità di tale atto [matrimonio tra persone dello stesso sesso] dipende non già dalla sua contrarietà all'ordine pubblico» (par. 2.2.3. motivazione in diritto), bensì dalla possibilità di riconoscere gli effetti di questo atto di matrimonio all'interno del nostro Paese;
              secondo la Corte di Cassazione – lo si ribadisce – è invece possibile riconoscere l'esistenza e la validità di tali matrimoni, in quanto la nozione di matrimonio alla luce di ben due Carte sovranazionali, quali sono la Carta di Nizza e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che fanno pienamente parte dell'ordinamento giuridico italiano, si è modificata fino a comprendere anche quello tra persone dello stesso sesso;
              la trascrivibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all'estero si deve valutare alla luce dell'ordine pubblico internazionale. Come posto in rilievo dalla Corte di Cassazione, nella sentenza 26 aprile 2013, n.  10070 (nel richiamare anche la Corte di Cassazione, nelle sentenze 6 dicembre 2002, 17349, e 23 febbraio 2006, n.  4040), il concetto di ordine pubblico a fini internazionalprivatistici si identifica con quello indicato con l'espressione «ordine pubblico internazionale», da intendersi «come complesso di principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico o fondati su esigenze di garanzia, comuni ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo» (Corte di Cassazione, sentenza n.  19405 del 2013). In base a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza, si può affermare che l'ordine pubblico internazionale non è la proiezione esterna dei principi generali dell'ordinamento italiano desumibili dalle norme vigenti nel nostro Paese e dalla Costituzione, bensì la sintesi dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento giuridico italiano, che è inserito in «un sistema plurale» di fonti rispetto al quale «non si può ignorare la sinergia che proviene dall'interazione delle fonti sovranazionali con quelle nazionali», segnatamente la Carta di Nizza e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, parti integranti dell'ordinamento ai sensi degli articolo 10, 11 e 117 della Costituzione (Corte di Cassazione, sentenza n.  19405 del 2013);
              la nozione di matrimonio che i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono conforme a diritto nell'ordinamento giuridico italiano – secondo quanto affermato in conclusione dalla Corte di Cassazione nella sentenza n.  4184 del 2012 – comprende anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso, in sintonia con quanto previsto dalla Carta di Nizza e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo; non è più possibile ritenere contrario all'ordine pubblico internazionale italiano il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all'estero di cui si chieda la trascrizione in Italia;
              l'unico ostacolo alla trascrizione è l'inidoneità del matrimonio tra persone dello stesso sesso a produrre effetti nell'ordinamento italiano. In altri termini, secondo la Corte di Cassazione, pur essendo esistente e valido, il matrimonio tra persone dello stesso sesso non produrrebbe effetti in Italia. Tale aspetto della sentenza della Corte di Cassazione è stato superato dal tribunale di Grosseto, facendo notare come il matrimonio tra persone dello stesso sesso non sia privo di efficacia, perché produce effetti nell'ordinamento in cui è stato celebrato. Aggiunge poi – il tribunale di Grosseto – che la diversità di sesso non è requisito espressamente previsto per contrarre matrimonio nel codice civile;
              non vi è coincidenza tra la pronuncia della Corte di Cassazione e quella del tribunale di Grosseto: in base alla prima decisione gli effetti del matrimonio si devono produrre nel nostro Paese, mentre per il tribunale sembrerebbe bastare la produzione di effetti nel Paese in cui il matrimonio è stato celebrato. Di seguito, si cercherà di dimostrare come il matrimonio tra persone dello stesso sesso sia produttivo di effetti anche nel nostro Paese e che la trascrizione del matrimonio – una volta chiarita la sua funzione certificativa – è strumento necessario ai coniugi per consentire loro di far valere lo status coniugale in tutti i Paesi in cui è previsto il matrimonio tra persone dello stesso sesso;
              secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di trascrivibilità in Italia di matrimonio celebrato all'estero, ciò che è preminente è la constatazione della validità del matrimonio da trascrivere in base al principio locus regit actum, dal momento che: le norme di diritto internazionale privato (...) attribuiscono ai matrimoni celebrati all'estero tra cittadini italiani ovvero tra italiani e stranieri immediata validità e rilevanza nel nostro ordinamento, sempre che essi risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera – e quindi spieghino effetti civili nell'ordinamento interno dello Stato straniero (Corte di Cassazione, sezione civile, sentenza n.  10351 del 1998);
              a questo primo requisito se ne aggiunge un secondo, ossia la sussistenza dei requisiti per contrarre matrimonio ai sensi dell'articolo 115 del codice civile. Secondo il tribunale di Grosseto, tra i requisiti previsti espressamente dal codice civile per celebrare matrimonio non vi è la differenza di sesso tra i nubendi. L'assenza di un tale riferimento nel passato veniva intesa come un vuoto normativo dovuto alla «tradizionale» necessità della differenza di sesso tra i nubendi. In tal senso, si è espressa la Corte costituzionale nella sentenza n.  138 del 2010, pur non escludendo la possibilità che legislativamente venga superato il tratto caratterizzante del matrimonio consistente nella differenza di sesso tra i nubendi, ricavabile da un'interpretazione sistematica del codice civile;
              secondo la Corte costituzionale, il requisito della differenza di sesso, a suo avviso necessario per la validità del matrimonio, si desumerebbe da un'interpretazione sistematica delle norme codicistiche in materia matrimoniale. Tale interpretazione della Corte costituzionale, peraltro espressa in una sentenza di rigetto e quindi vincolante soltanto nel giudizio a quo, va ora riconsiderata alla luce delle precisazioni contenute nella sentenza della Corte di Cassazione n.  4184 del 2012;
              la nozione di matrimonio va riconsiderata seguendo le indicazioni della Carta di Nizza e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretata dalla Corte di Strasburgo. Pertanto, mentre in passato la differenza di sesso era considerata condizione necessaria per il cittadino italiano al fine di contrarre validamente matrimonio, al contrario oggi – pur nel silenzio del codice civile – la differenza di sesso è irrilevante per l'enucleazione di una nozione di matrimonio nel nostro Paese;
              nel caso di matrimonio tra due persone dello stesso sesso celebrato all'estero nei Paesi in cui è possibile, l'atto matrimoniale è valido tanto all'estero tanto in Italia, poiché la differenza di sesso non va più considerata una condizione necessaria per contrarre matrimonio ai sensi dell'articolo 115 del codice civile. In definitiva, rispettate le forme del Paese di celebrazione e constatata la validità del matrimonio tra persone dello stesso sesso, occorre trascrivere tale matrimonio;
              più volte la Corte di Cassazione ha dichiarato trascrivibili i matrimoni tra persone di sesso diverso celebrati all'estero anche quando potevano essere considerati nulli o annullabili o semplicemente inefficaci, poiché la trascrizione – per giurisprudenza costante della Corte di Cassazione – «non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa e scopo di pubblicità di un atto già di per sé valido», dal momento che essa è «diretta unicamente a rendere pubblico che il cittadino ha contratto all'estero un matrimonio ritenuto valido dall'ordinamento locale»;
              in base alla sentenza n.  4184 del 2012, per il matrimonio tra persone dello stesso sesso sembra doversi operare un'eccezione all'interpretazione corrente delle norme in materia di trascrizione: un matrimonio siffatto non sarebbe trascrivibile in quanto inidoneo radicalmente a produrre effetti nel nostro Paese. Si vedrà come questa affermazione sia smentita dai fatti e dall'iscrizione dell'ordinamento italiano nel sistema del diritto europeo;
              con riferimento all'idoneità del matrimonio a produrre effetti in Italia, nell'Unione europea e in Paesi extra Unione europea, il matrimonio tra persone dello stesso sesso produce effetti nell'ordinamento italiano tutte le volte in cui occorra far applicazione di norme di fonte europea, nel rispetto di quanto stabilito dall'articolo 9 della Carta di Nizza. È quanto ha precisato il tribunale di Reggio Emilia, con decreto del 13 febbraio 2012, in un caso di ricongiungimento familiare tra un cittadino italiano e un cittadino non comunitario coniugati all'estero. A seguito di quella pronuncia il Ministero dell'interno ha emanato una circolare diretta a tutte le questure italiane in forza della quale ormai sono decine le coppie formate da persone dello stesso sesso, di cui una cittadina non comunitaria, che hanno ottenuto il ricongiungimento familiare. Dunque, non è vero che il matrimonio tra persone dello stesso sesso non produca effetti nell'ordinamento italiano. Produce effetti nell'ordinamento italiano tutte le volte in cui lo status coniugale sia il presupposto per l'applicazione in Italia di norme di fonte europea, per le quali la differenza di sesso tra i coniugi non è più un requisito per la validità e l'efficacia del matrimonio stesso ai sensi dell'articolo 9 della Carta di Nizza;
              dal punto di vista del diritto europeo e del diritto internazionale privato italiano, sono diverse le ragioni per la quali occorre disporre la trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso produce effetti quando uno dei due coniugi non è un cittadino comunitario, poiché consente l'ottenimento del ricongiungimento familiare, facendo applicazione in Italia di norme di origine europea. Seguendo la logica della Corte di Cassazione, un tale matrimonio è sicuramente trascrivibile. Ma se è così, non trascrivere il matrimonio quando i coniugi siano entrambi cittadini italiani, comporterebbe a loro carico una discriminazione fondata (non sull'orientamento sessuale, bensì) sulla cittadinanza: si riserverebbe ai cittadini italiani un trattamento peggiore rispetto a cittadini di Paesi non comunitari. Quindi, data la sicura trascrivibilità del matrimonio tra un cittadino italiano e un cittadino non comunitario, a mente della sentenza della Corte di Cassazione n.  4184 del 2012, occorre trascrivere anche un matrimonio tra due italiani o tra due cittadini europei o tra un italiano e un cittadino europeo, onde evitare una discriminazione fondata sulla cittadinanza;
              nel far applicazione del diritto europeo, quando il presupposto della norma è la sussistenza dello stato coniugale, non sarà rilevante la differenza di sesso dei nubendi, pena la violazione dell'articolo 9 della Carta di Nizza. Pertanto, quando si tratterà di dare effetti in Italia a norme di origine europea, il matrimonio tra persone dello stesso sesso avrà efficacia nel nostro Paese;
              poiché lo stato coniugale è possibile provarlo solo servendosi dell'atto di matrimonio iscritto (o trascritto come nel caso che si va analizzando) nel registro dei matrimoni dall'ufficiale dello stato civile, eccetto i casi di distruzione o smarrimento, trascrivere il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all'estero significa dare la possibilità di provare l'esistenza dello status coniugale e godere di tutti i benefici e le tutele derivanti dall'applicazione in Italia di norme europee;
              tenendo conto della funzione certificativa della trascrizione, occorre considerare che il diritto di libera circolazione delle persone nell'Unione europea comporta anche il diritto di circolare con il proprio status, nel nostro caso coniugale. Non si può trascurare di considerare, infatti, che cittadini italiani dello stesso sesso che hanno contratto matrimonio all'estero potrebbero circolare in quei Paesi europei in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è valido ed efficace. In tali casi, sarà necessario per loro dare la prova del loro status e la certificazione che la trascrizione garantisce sarà un presupposto necessario per poter godere pienamente del loro diritto di libera circolazione in quanto cittadini europei;
              non si può trascurare come in moltissime relazioni giuridiche lo status coniugale, acquisito da due cittadini italiani dello stesso sesso in un Paese dove ciò è possibile, può essere rilevante. Si pensi al caso di altro cittadino di uno Stato estero in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è possibile e che viva in Italia, il quale voglia accertarsi se può o meno contrarre matrimonio con uno dei due coniugi, qualora sia vietato nel suo Paese di origine (o, al pari dell'ordinamento italiano, addirittura sanzionato penalmente) il contrarre matrimonio con una persona già coniugata. Oppure, si pensi al caso di un creditore straniero che voglia accertare, procedendo a esecuzione in Italia, il regime patrimoniale dei due coniugi dello stesso sesso. In tutti questi casi le risultanze dello stato civile sono essenziali a garantire in un mondo globalizzato la certezza delle relazioni giuridiche;
              ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo la trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso che sono cittadini italiani appare possibile in quanto tale matrimonio non è da considerare in contrasto con l'ordine pubblico internazionale, alla luce del sistema plurale delle fonti che caratterizza l'ordinamento italiano. Inoltre, la stessa trascrizione appare necessaria al fine di:
          a) evitare una discriminazione fondata sulla cittadinanza ai danni dei coniugi dello stesso sesso, che siano cittadini italiani, in quanto il matrimonio tra persone dello stesso sesso di cui uno cittadino non comunitario è certamente trascrivibile in quanto esistente, valido, non contrario all'ordine pubblico e efficace nel nostro Paese, dal momento che il cittadino non comunitario in forza del suo status coniugale può ottenere il ricongiungimento familiare con il proprio coniuge;
          b) evitare una discriminazione fondata sull'orientamento sessuale tutte le volte in cui lo status coniugale sia presupposto necessario per l'applicazione in Italia di norme di fonte europea, dal momento che l'articolo 9 della Carta di Nizza non contempla la differenza di sesso come requisito necessario per esercitare il diritto a sposarsi;
          c) assicurare anche ai cittadini italiani la pienezza del diritto alla libertà di circolazione di cui sono titolari i cittadini europei, sancita dai trattati istitutivi dell'Unione europea, dal momento che sarà necessaria la prova del proprio status coniugale, attraverso la certificazione anagrafica dello stato civile, in tutti quei Paesi europei in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è permesso;
          d) garantire la certezza delle relazioni giuridiche – finalità tipica cui assolve la funzione certificativa della trascrizione in parola – in cui lo status coniugale sia rilevante o perché coinvolgente un cittadino di un Paese in cui anche due persone dello stesso sesso possono contrarre matrimonio o perché occorre applicare in Italia norme di Paesi in cui due persone dello stesso sesso possono sposarsi,

impegna il Governo

ad adottare atti normativi secondari in conformità alle disposizioni sovraordinate in base al principio di gerarchia delle fonti, in modo che il diritto soggettivo dei cittadini non sia conculcato da atti che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, violano norme e principi sovraordinati agli atti amministrativi dell'amministrazione statale.
(1-00885) «Bechis, Turco, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni».


      La Camera,
          premesso che:
              nel mese di ottobre 2014 il Ministro dell'interno ha emanato la circolare sul tema della trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni celebrati all'estero tra persone dello stesso sesso. La circolare rivolta ai prefetti della Repubblica ed ai commissari del Governo per la provincia di Trento e di Bolzano prevede, in particolare, che: ove risultino adottate direttive da parte dei sindaci in materia di trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero e nel caso in cui gli stessi sindaci abbiano dato esecuzione alle suddette trascrizioni, i prefetti devono rivolgere ai sindaci formale invito al ritiro di tali disposizioni ed alla loro cancellazione. In caso di inerzia da parte dei sindaci, si deve procedere al successivo annullamento d'ufficio degli atti suddetti illegittimamente adottati;
              la circolare è sostanzialmente corretta, in quanto, ai sensi dell'articolo 27, comma primo, della legge n.  218 del 1995, la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio. Si sottolinea, al proposito, che il codice civile italiano (articolo 107) prevede che: «la diversità di sesso dei nubendi rappresenti un requisito necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici nell'ordinamento interno»;
              tutto ciò è affermato anche dalla Corte di Cassazione e dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  138 del 2010;
              una soluzione diversa non è contemplata nemmeno dal diritto europeo (articolo 12 del Convenzione europea dei diritti dell'uomo e articolo 9 della Carta di Nizza) che rimette ai legislatori nazionali le scelte in ordine alla disciplina del matrimonio;
              è, inoltre, da sottolineare che il requisito della diversità di sesso, previsto dal citato articolo 107 del codice civile, nonché da altre disposizioni dello stesso codice, è tradizionalmente e costantemente annoverato dalla dottrina e dalla giurisprudenza tra i requisiti indispensabili per l'esistenza del matrimonio. Infatti, l'istituto del matrimonio nell'ordinamento italiano si configura come un istituto pubblicistico diretto a disciplinare determinati effetti che il legislatore tutela come diretta conseguenza di un rapporto di convivenza tra persone di sesso diverso (filiazione, diritti successori, legge in tema di adozioni);
              la Costituzione, all'articolo 29, primo comma, prevede che: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»; e nel secondo comma aggiunge che: «il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare». Si deve, pertanto, ribadire che la norma suddetta, anche durante il dibattito sviluppatosi nell'Assemblea costituente, non prese in considerazione le unioni omosessuali, ma al contrario intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto;
              i Costituenti, nell'elaborazione dell'articolo 29 della Costituzione, discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un'articolata disciplina nell'ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che stabiliva e tuttora stabilisce che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso, è orientato anche il secondo comma della disposizione citata, che, affermando il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale;
              occorre, inoltre, sottolineare come la Corte costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (articolo 30), assicurando parità di trattamento anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia legittima. La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla potenziale finalità procreativa che vale a differenziare il matrimonio dall'unione omosessuale;
              il Governo, tra l'altro, nel rispondere all'interpellanza urgente n.  2-00794, ha chiarito come la normativa vigente attribuisca inequivocabilmente la funzione di stato civile alla competenza dello Stato. La normativa attuale, infatti, prevede che le funzioni di stato civile vengano svolte dallo Stato che esercita la competenza in ambito territoriale attraverso il sindaco quale ufficiale di Governo. In tale veste il sindaco è tenuto, ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica n.  396 del 2000, ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell'interno nella sua qualità di organo avente la titolarità primaria in materia. Parimenti sintomatica è la disposizione che prevede che la vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta al prefetto;
              pertanto, in una relazione del tipo di quella appena evidenziata, risulta del tutto appropriato l'esercizio da parte del prefetto di annullamento, che è tipica manifestazione di una sovraordinazione gerarchica. Quindi, il prefetto esercita un suo potere proprio in virtù delle norme previste dall'ordinamento;
              il Ministro dell'interno, con la circolare del 7 ottobre 2014, ha sensibilizzato i prefetti a rivolgere un formale invito ai sindaci sia al ritiro di eventuali direttive emanate in materia di trascrizione dei matrimoni di persone dello stesso sesso celebrati all'estero, sia alla cancellazione delle conseguenti trascrizioni, qualora effettuate, proprio perché in contrasto con la normativa statale interna e, quindi, non solo con la norma primaria, ma anche con le circolari;
              nel nostro Paese, pertanto, anche sulla base delle considerazioni svolte, non è possibile che ci si sposi tra persone dello stesso sesso. Quindi, nel caso ciò avvenga in qualsiasi forma, i matrimoni contratti non possono essere trascritti nel registro dello stato civile italiano, perché non è consentito dalla legge,

impegna il Governo

ad intraprendere, nel solco della circolare del Ministro dell'interno del 7 ottobre 2014, ogni opportuna iniziativa volta a garantire la corretta tenuta dei registri dello stato civile, al fine di evitare che, in sede di trascrizione degli atti di matrimonio, siano poste in essere attività in contrasto con la disciplina normativa dell'istituto del matrimonio medesimo, fondata sulla diversità di sesso dei coniugi, secondo il dettato dell'articolo 29 della Costituzione e il consolidato orientamento dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione.
(1-00887) «Lupi, Binetti, Pagano».


      La Camera,
          premesso che:
              la normativa nazionale, che non consente la celebrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e la sua trascrizione nei registri dello stato civile, è stata ritenuta costituzionalmente legittima;
              ai sensi del codice civile, la diversità di sesso dei nubendi costituisce un requisito sostanziale necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici nell'ordinamento interno, posto che, allo stato, l'istituto del matrimonio si fonda sulla diversità di sesso dei coniugi, come si evince dall'articolo 107 del codice civile;
              con sentenza n.  138 del 2010 la Corte costituzionale ha affermato che l'articolo 29 della Costituzione si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di sesso diverso e questo significato del precetto costituzionale non può essere superato con interpretazioni creative, né, peraltro, con specifico riferimento all'articolo 3, comma 1, della Costituzione, le unioni omosessuali possono essere ritenute tout court omogenee al matrimonio;
              con sentenza n.  170 dell'11 giugno 2014, la Corte costituzionale è intervenuta sulla normativa che prevede l'automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio in caso di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei due coniugi, affermando che “la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente (cui conferisce tutela l'articolo 29 della Costituzione) è quella stessa definita dal codice civile del 1942 che stabiliva e tuttora stabilisce che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso, segnalando il requisito dell'eterosessualità del matrimonio;
              la Corte costituzionale ha stabilito che tra le formazioni sociali di cui all'articolo 2 della Costituzione, in grado di favorire il pieno sviluppo della persona umana nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico, rientra anche l'unione omosessuale, ma ha evidenziato che spetta al Parlamento, nell'esercizio della sua piena discrezionalità politica, individuare con atto di rango legislativo le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, scegliendo, in particolare, se equiparare tout court il matrimonio omosessuale a quello eterosessuale, ovvero introdurre forme diverse di riconoscimento giuridico della stabile convivenza della coppia omosessuale;
              allo stato dell'attuale normativa nazionale italiana, il matrimonio celebrato all'estero tra persone dello stesso sesso risulta privo dei requisiti sostanziali necessari per procedere alla sua trascrizione, ai sensi dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n.  396 del 2000, come confermato dalla giurisprudenza, la quale ha affermato che «l'intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende non più dalla loro inesistenza e neppure dalla invalidità, ma dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell'ordinamento italiano» (Corte di Cassazione, sentenza n.  4184 del 2012);
              la disciplina nazionale risulta perfettamente coerente con la normativa internazionale ed europea. L'articolo 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali individua il diritto di contrarre matrimonio tra i diritti umani fondamentali della persona, stabilendo inequivocabilmente che «l'uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l'esercizio di tale diritto», mentre l'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (cosiddetta Carta di Nizza) demanda alle legislazioni nazionali il compito di disciplinare l'esercizio di questo diritto;
              tutto ciò trova conferma anche nella giurisprudenza citata e in quella della Corte europea dei diritti dell'uomo, che, con pronuncia del 24 giugno 2010, ha affermato che il rifiuto dell'ufficiale di stato civile di adempiere le formalità richieste per la celebrazione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso non contrasta con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, osservando che il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali radicate che possono differire molto da una società all'altra, sicché va rimessa ai legislatori nazionali di ciascuno Stato aderente la decisione di permettere o meno il matrimonio omosessuale e la conseguente decisione in merito alla trascrivibilità o meno dello stesso;
              in questo quadro la circolare del 7 ottobre 2014 del Ministro dell'interno, per arginare iniziative dei sindaci che, in quanto ufficiali di Governo, sovrintendono alla tenuta dei registri di stato civile, ha fornito direttive relative all'intrascrivibilità dei matrimoni tra persone dello stesso sesso derivante «dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell'ordinamento italiano», in considerazione del difetto di un requisito sostanziale richiesto dalla normativa vigente in materia di stato e capacità delle persone (la diversità di sesso dei nubendi), che non può essere superato dalla mera circostanza dell'esistenza di una celebrazione valida secondo la lex loci ma priva dei requisiti sostanziali prescritti dalla legge italiana relativamente allo stato e alla capacità delle persone;
              con la stessa circolare il Ministro ha, altresì, disposto che i prefetti invitino i sindaci ad annullare tali trascrizioni;
              in data 18 ottobre 2014 il sindaco del comune di Roma ha provveduto alla trascrizione nel registro dei matrimoni presso l'ufficio di stato civile del comune di Roma di un matrimonio contratto a Barcellona (Spagna) il 18 settembre 2010;
              con decreto del 31 ottobre 2014, prot. n.  247747/2014, il prefetto della provincia di Roma ha disposto l'annullamento delle trascrizioni nel registro dello stato civile di Roma capitale dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero, ordinando all'ufficiale di stato civile di Roma capitale di provvedere a tutti i conseguenti adempimenti materiali nei registri dello stato civile;
              in data 9 marzo 2015 il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha accolto un ricorso presentato per l'annullamento del decreto prefettizio;
              su un caso identico e sostanzialmente contestuale si è pronunciato il 21 maggio 2015 anche il tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, annullando anche in questo caso il decreto prefettizio;
              la sentenza del tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia precisa in termini chiari che:
          a) “17.2. La trascrizione effettuata dal sindaco di Udine quale ufficiale di governo risulta, quindi, illegittima perché esulante dai suoi poteri e doveri, contraria alla legge e contrastante con le direttive del suo superiore gerarchico, il Ministro dell'interno, e in ultima analisi poco rispettosa – ancorché inconsapevolmente – del riparto tra i poteri dello Stato definito dalla Costituzione repubblicana;
          b) 17.3. La doverosa rimozione peraltro di tale illegittima trascrizione non può avvenire con l'intervento del prefetto, che non ha alcun potere a riguardo, ma solamente ad opera dell'autorità giudiziaria ordinaria ex articolo 95 del decreto del Presidente della Repubblica n.  396 del 2000, in sede di volontaria giurisdizione, con l'intervento del pubblico ministero, cui spetta la tutela dell'interesse pubblico al rispetto della legalità in materia di stato civile”;
              la giurisprudenza ha più volte affermato che nelle materie di competenza statale, nelle quali il sindaco agisce nella veste di ufficiale del Governo, spetta al prefetto promuovere ogni misura idonea a garantire l'unità di indirizzo e di coordinamento, promuovendo le misure occorrenti e svolgendo, così, una fondamentale funzione di garante dell'unità dell'ordinamento in materia, anche esercitando «il potere di annullamento d'ufficio degli atti adottati dal sindaco quale ufficiale di governo, che risultano essere illegittimi o che comunque minano la menzionata unità di indirizzo»;
              tuttavia, la disciplina dello stato civile prevede che «nessuna annotazione può essere fatta sopra un atto già iscritto nei registri se non è disposta per legge ovvero non è ordinata dall'autorità giudiziaria» (articolo 453 del codice civile);
              il sistema dello stato civile, pertanto, prevederebbe puntuali possibilità di intervento sui registri dello stato civile, tra cui non è compresa quella posta in essere dal prefetto, per cui, in sostanza, un intervento quale quello posto in essere nel caso di specie dall'amministrazione centrale competerebbe solo all'autorità giudiziaria;
              dal combinato disposto degli articoli 5, comma 1, lettera a), e 95, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n.  396 del 2000 non si prevedono, pertanto, competenze o poteri di annullamento o di autotutela aventi ad oggetto la trascrizione di matrimoni, ma solo la possibilità di disporre l'annotazione di rettificazioni operate dall'autorità giudiziaria;
              in definitiva, una trascrizione nel registro degli atti di matrimonio può essere espunta e/o rettificata solo in forza di un provvedimento dell'autorità giudiziaria e non anche adottando un provvedimento amministrativo da parte dell'amministrazione centrale, neanche esercitando il potere di sovraordinazione che, effettivamente, il Ministro dell'interno vanta sul sindaco in tema di stato civile; quindi, in base al principio della riserva di legge dettato in materia (si confronti l'articolo 97, terzo comma, della Costituzione), affinché un organo amministrativo possa annullare d'ufficio un provvedimento adottato da un altro organo, occorre un'espressa previsione di legge;
              in data 27 marzo 2015, rispondendo ad una interpellanza urgente sul medesimo caso, il Vice Ministro dell'interno sottolineava come l'amministrazione dell'interno, rispondendo a vari atti di sindacato ispettivo, avesse espresso l'avviso della sussistenza in capo al prefetto – fermo restando il potere dell'autorità giudiziaria – della titolarità del potere di annullamento d'ufficio delle trascrizioni illegittimamente eseguite; potere collegato direttamente alle funzioni di vigilanza del prefetto sull'ordinata tenuta dei registri dello stato civile e costituente la tipica manifestazione di una sovraordinazione gerarchica del prefetto medesimo al sindaco quale ufficiale di Governo;
              il membro del Governo confermava che l'orientamento del Ministero dell'interno sulle unioni omosessuali e sulla trascrizione di quelle celebrate all'estero era ispirato al presupposto che l'intera disciplina dell'istituto del matrimonio sia fondata sulla diversità di sesso dei coniugi e che le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio, né sono destinatarie della medesima disciplina dettata per quest'ultimo, ragion per cui, come precisato dalla Corte di Cassazione, il matrimonio omosessuale è inidoneo a produrre lo stesso effetto giuridico nell'ordinamento nazionale;
              il Vice Ministro affermava, inoltre, che le coppie omosessuali non possono, al momento, far valere né il diritto a contrarre matrimonio, né il diritto alla trascrizione delle unioni celebrate all'estero, sottolineando che anche il tribunale amministrativo regionale del Lazio, nella citata sentenza, si è conformato a questo consolidato orientamento;
              nelle conclusioni della risposta all'atto di sindacato ispettivo rilevava, altresì, che l'ordinamento già prevede la possibilità per l'interessato di ottenere la cancellazione di un atto indebitamente trascritto nei registri dello stato civile, proponendo ricorso al tribunale competente e che un analogo potere di iniziativa compete anche al procuratore della Repubblica;
              in conclusione, tenuto conto degli interventi richiamati e delle recenti pronunce giurisprudenziali, emerge l'esigenza in uno Stato diritto di rimuovere gli atti pubblici illegittimi con le procedure previste dall'ordinamento, evitando oneri che gravino sul contribuente per le attività che si devono porre in essere per ripristinare la legalità. A tal proposito è sintomatico sottolineare che il tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia ha già ritenuto di disporre la trasmissione degli atti di causa alla procura regionale della Corte dei conti per la somma stanziata dal comune di Udine per intervenire a supporto del ricorrente nella richiesta di annullamento del decreto del prefetto (punto 3.8 della sentenza),

impegna il Governo

ad adottare iniziative, anche di rango normativo, volte a prevedere la nullità delle trascrizioni sui registri dello stato civile dei matrimoni contratti all'estero da persone dello stesso sesso al fine di evitare il perpetuarsi di atti contrari alla legge.
(1-00890) «Gigli, Dellai, Sberna».


      La Camera,
          premesso che:
              nel nostro Paese è necessaria l'approvazione di una disciplina legislativa organica delle unioni civili, che sia in grado di superare l'attuale fase di incertezza e di penalizzazione in cui versano – rispettivamente – le coppie omosessuali che chiedono la registrazione in Italia del matrimonio che hanno contratto all'estero e quelle che non hanno i mezzi per fruire di questa possibilità;
              con ordinanza del 9 aprile 2014 il Tribunale di Grosseto ha ritenuto che il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all'estero può essere trascritto nei registri dello stato civile;
              a partire da tale importante precedente, sono ad oggi numerose le città italiane che hanno provveduto alla trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso stipulati all'estero;
              tali atti hanno valore di pubblicità certificativa e, pertanto, non producono effetti nella sfera legale dei registranti né alterano lo stato civile degli stessi;
              la sentenza Schalk e Kopf c. Austria della Corte Europea dei Diritti Umani (ric. n.  30141/04) ha spazzato via qualsiasi dubbio di contrarietà all'ordine pubblico dei matrimoni egualitari per gli ordinamenti dei Paesi Membri, come chiariti anche dalla Corte di cassazione con sentenza 4184 del 2012;
          è caduta pertanto l'ipotesi di intrascrivibilità, sia pure i soli fini di evidenziazione pubblica, prevista dall'articolo del decreto del Presidente della Repubblica n.  396 del 2000 per gli atti firmati all'estero contrari all'ordine pubblico;
              il Ministro dell'interno, con circolare diramata il 7 ottobre 2014, ha invitato i prefetti a «rivolgere ai sindaci formale invito al ritiro di tali disposizioni ed alla cancellazione delle conseguenti trascrizioni» procedendo «all'annullamento d'ufficio degli atti illegittimamente adottati»;
              il TAR del Lazio, in seguito al ricorso nei confronti del decreto del prefetto di Roma del 31 ottobre 2014 che ha annullato le trascrizioni nei registri dello stato civile capitolini, ha ritenuto che le disposizioni stabilite per i suddetti annullamenti non sono valide, in quanto l'annullamento delle trascrizioni di matrimoni contratti all'estero da persone dello stesso sesso può essere disposto solo dall'autorità giudiziaria ordinaria e non da Ministro e Prefetto;
              la Procura della Repubblica di Udine successivamente ad un esposto contro i provvedimenti dei Prefetti che hanno annullato la trascrizione effettuata dal Comune del capoluogo friulano di un matrimonio tra due donne stipulato in Belgio – ha affermato che la legge conferisce al Prefetto precisi poteri sui registri dello Stato civile «ma non legittima né ammette un ruolo così autoritario e di simile ”prevaricazione” del Prefetto, quale quello nel caso di specie» e che «Il dominus dello stato civile è e resta il Sindaco [...] le cui prerogative possono essere corrette solo attraverso un procedimento giurisdizionale ad opera del giudice»;
              in seguito a tali vicende e ad un dibattito apertosi nel Paese alcuni sindaci hanno deciso di trascrivere in maniera del tutto simbolica, ma esprimendo un orientamento politico in contrasto alla circolare del Ministero dell'interno. Così il 25 marzo 2015 il comune di Reggio Emilia, nella persona del Sindaco Luca Vecchi, ha trascritto il matrimonio portoghese tra due donne ed il 29 aprile 2015 il Prefetto di Reggio Emilia, Raffaele Ruberto, ha annullato l'atto sopracitato così come dalle direttive della circolare del Ministero dell'Interno in materia,

impegna il Governo:

          alla luce dell'evoluzione del quadro giurisprudenziale e della disomogenea interpretazione della normativa vigente in materia di registro dello stato civile, ad adottare le misure necessarie per garantire un eguale trattamento delle medesime situazioni su tutto il territorio nazionale;
          ad intervenire, nell'ambito delle proprie prerogative, per favorire l'approvazione di una legge sulle unioni civili, con particolare riguardo alla condizione delle persone dello stesso sesso.
(1-00892) «Rosato, Campana, Cinzia Maria Fontana, Verini, Lenzi, Piazzoni, Amoddio, Berretta, Ermini, Giuliani, Greco, Giuseppe Guerini, Leva, Magorno, Mattiello, Morani, Giuditta Pini, Rossomando, Rostan, Tartaglione, Vazio, Beni, Mariano, Marzano, Cenni, Amato».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

      La Camera,
          premesso che:
              il dibattito in merito alla validità delle trascrizioni dei matrimoni contratti all'estero tra persone dello stesso sesso, operata da alcuni sindaci e poi oggetto della circolare del Ministro dell'interno n.  40o/ba-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014, non può in alcun modo sostituire né superare l'esigenza di garantire l'attuazione del diritto inviolabile delle persone di vivere liberamente una condizione di coppia nel rispetto del proprio orientamento sessuale (così come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n.  138 del 2010) e di fornire quindi, in piena sintonia con quanto disposto dall'articolo 2 della Costituzione, un riconoscimento e una regolamentazione dei diritti e dai doveri delle persone dello stesso sesso che intendono costruire un'unione affettiva stabile, duratura ed esclusiva;
              la discussione in merito all'efficacia giuridica delle suddette trascrizioni non può essere isolata, né tantomeno può garantire di per sé il riconoscimento di diritti, o la rimozione di discriminazioni che impediscono alle persone omosessuali di essere titolari di situazioni giuridiche soggettive nell'ambito della propria vita di coppia;
              il riconoscimento dei diritti delle persone dello stesso sesso che intendono liberamente regolare i rapporti personali e patrimoniali relativi alla loro vita in comune non passa certamente attraverso la validità «amministrativa» delle trascrizioni dei matrimoni contratti all'estero, né attraverso un conflitto di competenze tra prefetto e sindaco, o tra giudici;
              il riconoscimento dei richiamati diritti può trovare sostegno solo con uno sbocco legislativo, come confermano i ripetuti richiami della Corte costituzionale, troppo spesso coinvolta in decisioni su un tema su cui permane un pesante vuoto normativo;
              la sollecitazione a legiferare in merito non viene solo dalla giurisprudenza della Corte costituzionale: il Parlamento europeo, fin dalla risoluzione 16 marzo 2000 sul rispetto dei diritti umani, ha chiesto agli Stati di «garantire anche alle coppie dello stesso sesso, parità di diritti rispetto alle coppie ed alle famiglie tradizionali in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali»;
              nel nostro Paese le coppie omosessuali rappresentano una realtà ormai accettata, ed il vuoto legislativo in materia di unioni civili si sta traducendo in disparità di trattamento, disuguaglianze, discriminazioni e confusione;
              intervenire diventa quindi necessario, anche alla luce di quanto dibattuto dalla Consulta che, in particolare con la sentenza n.  138 dei 2010, ha infatti affermato che l'unione omosessuale è una formazione sociale meritevole di tutela ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione, rimettendo al Parlamento il compito di determinarne la disciplina mediante una legge ad hoc;
              la stessa Corte costituzionale esclude, tuttavia, che l'aspirazione a tale riconoscimento – che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia – possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. È sufficiente l'esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte operate. «Ne deriva, dunque, che, nell'ambito applicativo dell'articolo 2 della Costituzione, spetta al Parlamento, nell'esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette»;
              è necessario dunque legittimare tali diritti, conservando e garantendo quelli esistenti, attraverso la piena tutela dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il riconoscimento e la regolamentazione delle coppie omosessuali vanno dunque perseguiti senza promuovere un nuovo modello di società, né contrapposizioni con il matrimonio, ma attraverso l'elaborazione di atti culturalmente e giuridicamente distinti, che possono convivere all'interno di una cornice costituzionale che tuteli i diritti inviolabili della persona, in una società che ha ed avrà sempre il proprio nucleo centrale nella famiglia unita dal matrimonio;
              sarà poi lo stesso legislatore a definire correttamente l'applicazione della nuova disciplina alle coppie dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo, definendo le modalità di trascrizione e riconoscimento delle stesse,

impegna il Governo

a favorire un ampio dibattito, che, nel rispetto delle diverse sensibilità presenti all'interno del Parlamento, possa portare ad una organica regolamentazione delle unioni civili, nonché delle modalità di trascrizione di analoghe unioni contratte all'estero, affinché si colmi un vuoto legislativo foriero di ingiustizie, discriminazioni e confusione normativa.
(1-00893) «Brunetta».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

      La Camera,
          premesso che:
              il 7 ottobre 2014 il Ministero dell'interno con la circolare N. 40/BA-030/011/DAIT ha chiesto ai prefetti di invitare formalmente i sindaci a cancellare le trascrizioni delle nozze tra persone dello stesso sesso contratte all'estero, perché tali trascrizioni non sono conformi alle leggi italiane;
              prima di quella data era già emersa già la questione del riconoscimento legale dei registri delle unioni civili in diversi comuni italiani, e molti prefetti si erano rifiutati di avallare giuridicamente la scelta di alcune amministrazioni di permettere l'iscrizione nel registro alle coppie omosessuali che hanno contratto matrimonio all'estero, perché il registro delle unioni civili, senza una normativa nazionale che lo renda possibile, diverrebbe in questo modo un meccanismo che tende a creare vincoli familiari in contesti ignorati dalla legge;
              le numerose proposte di legge avanzate in materia, pendenti al momento in Parlamento provano il vuoto normativo rispetto al riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali;
              il registro delle unioni civili, invero, non ha alcuna efficacia giuridica, perché non rientra nell'autonomia regolamentare degli enti locali la potestà di disciplinare situazioni di diritto familiare. Tale registro, pertanto ha un'esclusiva natura ideologica e simbolica. I Comuni non hanno competenza per creare un nuovo «status» personale dei loro cittadini, perché l'articolo 117 comma 2 lettera i) della Costituzione riserva esclusivamente alla legge statale la materia «stato civile e anagrafi». In realtà un registro delle coppie di fatto intende fare proprio questo: riconoscendo all'unione civile una determinata soggettività, attribuisce ai soggetti che lo compongono un nuovo status;
              la mancata presa di posizione a sostegno dell'iniziativa del Ministro dell'Interno da parte del Governo, per voce del Presidente del Consiglio dei ministri, rischia di generare una delegittimazione di fatto delle competenze e funzioni attribuite al dicastero dell'interno;
              il rischio di una deriva conflittuale tra i diversi livelli di Governo si acuisce in relazione alle dichiarazioni di solidarietà verso i sindaci che si sono rifiutati di accogliere le disposizioni ministeriali, espresse da autorevoli membri parlamentari della maggioranza che sostiene l'attuale Esecutivo;
              il combinato disposto degli articoli della Costituzione 29 (...famiglia società naturale fondata sul matrimonio...), 30 (... è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli anche se nati fuori del matrimonio... la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale...), 31 (La Repubblica agevola con misure e altre provvidenze la formazione della famiglia... con particolare riguardo alle famiglie numerose), enuncia in modo inequivocabile il regime preferenziale della famiglia quale nucleo fondamentale della società;
              secondo i lavori preparatori dell'Assemblea Costituente l'aggettivo «naturale» ex articolo 29 della Costituzione sta ad indicare che la famiglia non è un'istituzione creata dalla legge, ma una struttura di diritto naturale, legata alla natura umana come tale e preesistente rispetto all'organizzazione statale;
              la Costituzione riconosce la famiglia come soggetto sociale, luogo di generazione dei figli (garanzia dell'esistenza stessa della società), pilastro su cui si fondano le comunità locali, il sistema educativo, le strutture di produzione del reddito, il contenimento delle forme di disagio sociale;
              il diritto privato già permette di regolamentare i rapporti tra persone adulte e consenzienti attraverso la stipula di contratti di convivenza (articolo 1322 Codice Civile), nell'ambito ovviamente della sfera privata e della tutela delle libertà personali senza alcuna relazione rispetto a quella che è la famiglia ex articolo 29 della Costituzione;
              creare diritti al fine di riconoscere i desideri del singolo è in contrasto con l'organizzazione della società basata sulla relazione con gli altri in un'ottica di vita in comune. Il riconoscimento dei diritti soggettivi esigibili non si può porre in contrapposizione all'interesse collettivo;
              è necessario ricordare che lo scioglimento del consiglio comunale può essere disposto, ai sensi dell'articolo 141 del decreto legislativo n.  267 del 2000: quando il sindaco abbia compiuto atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, (...);
              le delibere comunali adottate per l'istituzione dei registri delle unioni civili sono palesemente in contrasto con i princìpi sanciti ex articoli 2, 3, 29, 31 della Costituzione. Quindi, alla luce di quanto detto sarebbe doveroso avviare procedure immediate per lo scioglimento dei Consigli comunali che hanno adottato i registri delle unioni civili ai sensi del citato articolo 141 del decreto legislativo n.  267 del 2000;
              tale situazione di netta contrapposizione tra il Governo centrale e le amministrazioni locali fa emergere un conflitto che se non risolto potrebbe creare una preoccupante destabilizzazione tra i vari livelli di Governo;
              a maggior ragione vanno chiarite situazioni incoerenti che si sono create tra le prese di posizione di più organi costituzionali: basti pensare, a titolo esemplificativo alla sentenza del tribunale per i minorenni di Roma che ha riconosciuto l'adozione di una bimba che vive con una coppia omosessuale di Pordenone, figlia biologica di una sola delle due conviventi, avuta con la fecondazione eterologa. Si tratta del primo caso in Italia di «stepchild adoption»;
              la coppia si era rivolta al tribunale per il riconoscimento ed il ricorso è stato accolto sulla base dell'articolo 44 della legge relativa all'adozione, la n.  184 del 4 maggio 1983, modificata nel 2001 dalla legge n.  149 del 2001;
              la legge 4 maggio 1983, n.  184 e successive modificazioni prevede che la dichiarazione di disponibilità all'adozione debba essere effettuata da una coppia coniugata da almeno tre anni. Il periodo di convivenza more uxorio è considerato alla stessa stregua di quello del matrimonio, fermo restando il fatto che la coppia deve comunque essere coniugata al momento della presentazione della disponibilità;
              l'articolo 44 prevede, tuttavia, deroghe per alcuni casi specifici:
                  quando gli adottandi sono uniti al minore – orfano di padre e di madre – da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori;
                  quando un coniuge adotta il figlio, anche adottivo, dell'altro coniuge;
                  quando il minore è portatore di handicap e orfano di entrambi i genitori;
                  quando non sia possibile l'affidamento preadottivo;
              salvo i casi anzi detti, la normativa vigente non prevede la possibilità di adozione da parte di una coppia non sposata e, dal momento che non è consentito il matrimonio di persone dello stesso sesso, l'adozione da parte di coppie omosessuali non è giuridicamente possibile;
              in materia di adozioni, l'articolo 6 della legge n.  184 del 1983 e successive modificazioni, riconosce i tre anni della convivenza ma, per concedere l'idoneità all'adozione, non a caso richiede la celebrazione del matrimonio per offrire al minore il massimo sistema di garanzie che può scaturire soltanto da un sistema di diritti e di doveri che vincoli fra loro anche i genitori stessi;
              una «sentenza di tipo ideologico che crea un paradigma presente in altri Paesi, dove però c’è una legge che lo riconosce». Così il giurista Francesco D'Agostino, docente di Filosofia del diritto all'Università di Roma Tor Vergata, commenta la decisione del tribunale per i minorenni di Roma, che ha permesso l'adozione di una bambina di cinque anni da parte della compagna della madre biologica. Una palese violazione del diritto. «Questo meccanismo che tende a creare di fatto vincoli familiari in contesti ignorati dalla legge – spiega – è particolarmente grave poiché si scontra con la legge italiana sulla fecondazione artificiale, alla luce pure della sentenza della Corte costituzionale. È vero che quest'ultima ha aperto all'eterologa, ma non ha toccato il principio di fondo in base al quale alla fecondazione artificiale devono ricorrere coppie eterosessuali». «Il giudice, in sintesi, ha avallato una situazione che la legge italiana non riconosce» con una «fuga in avanti» inutile «tanto più che il minore non si trova in stato di abbandono». «Se il Parlamento approva una legge ingiusta, perlomeno – conclude il giurista – si può richiedere un referendum per abrogarla, mentre in questo caso il popolo non può fare nulla: siamo all'antitesi della democrazia»;
              è interesse del Parlamento ripristinare l'ordine costituzionale delle attribuzioni, considerato come tale sentenza realizzi ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo un radicale sovvertimento del principio della divisione dei poteri, in violazione degli articoli 70, 101, secondo comma e 102, primo comma, della Costituzione;
              in presenza di tali condizioni, per giustificare l'intervento del giudice non sarebbe conferente appellarsi alla impossibilità del «non liquet», considerato che la sua ratio non è certamente quella di consentire la trasformazione del giudice in legislatore, ma anzi è volta, come si sa, a rendere ancor più ineludibile il vincolo al rispetto del sistema legislativo vigente;
              l'Autorità giudiziaria, per conseguire il risultato cui è giunta, avrebbe potuto prospettare piuttosto una questione di legittimità costituzionale: omettendo tale condotta, essa ha invece proceduto alla disapplicazione delle norme di legge che avrebbero precluso la soluzione adottata», sostituendole con una disciplina elaborata ex novo,

impegna il Governo

          ad assumere una posizione unanime che affermi la inderogabilità dell'annullamento, in quanto illegittime perché in contrasto con la normativa vigente, delle direttive emanate dai sindaci che autorizzano la trascrizione nel registro di anagrafe dei matrimoni omosessuali contratti all'estero;
          a valutare l'opportunità e la sussistenza dei presupposti per avviare le procedure di controllo sugli organi, ai sensi degli articoli 141 e seguenti del decreto legislativo n.  267 del 2000, nei confronti dei comuni che hanno assunto decisioni, come quelle descritte in premessa, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo manifestamente in contrasto con i principi costituzionali.
(1-00894) «Fedriga, Rondini, Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

      La Camera,
          premesso che:
              il tema dell'introduzione di una nuova normativa sulle unioni civili e sulla trascrivibilità dei matrimoni stipulati all'estero tra coppie omosessuali è al centro del dibattito politico degli ultimi mesi;
              in particolare, numerosi sindaci italiani hanno disposto la trascrizione di tali matrimoni nei registri dello stato civile;
              il Ministro dell'interno, con circolare del 7 ottobre 2014 ha dato istruzioni ai prefetti di invitare i sindaci a ritirare le disposizioni sulla trascrizione e alla cancellazione delle trascrizioni effettuate e ad annullare d'ufficio gli atti illegittimamente adottati;
              il TAR del Lazio, a seguito di ricorso contro il decreto adottato dal prefetto di Roma che aveva annullato le trascrizioni nei registri dello stato civile effettuate a Roma, ha dichiarato invalide tali disposizioni stabilendo che la competenza ad annullare le trascrizioni spetta all'autorità giudiziaria ordinaria;
              recentemente, alcuni giudici ordinari (ad esempio il tribunale di Grosseto), hanno ritenuto trascrivibili i matrimoni tra persone dello stesso sesso stipulati all'estero, richiamando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza Schalk e Kopf c. Austria);
              tali pronunce, pur in linea con alcuni principi dettati a livello internazionale, non paiono conformi alla sentenza della Corte di Cassazione n.  4184/2012 che, pur riconoscendo che i matrimoni tra persone dello stesso sesso non sono contrari all'ordine pubblico, ha dato risposta negativa al quesito circa la trascrivibilità di tali matrimoni nei registri dello stato civile,

impegna il Governo

          a favorire, per quanto di competenza, l'approvazione di una legge sulle unioni civili, che superi l'incertezza normativa con riguardo alle persone dello stesso sesso;
          ad assumere tutte le opportune iniziative per sensibilizzare i comuni, nelle more dell'approvazione della legge sulle unioni civili, a conformarsi alla legge e alla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
(1-00896) «Mazziotti Di Celso, Antimo Cesaro, Rabino, Vecchio, Catania, Galgano, Cimmino».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

Risoluzione

      La Camera,
          premesso che:
              i sindaci di alcuni comuni italiani, tra i quali Roma, Milano, Livorno, Bologna, Udine e Reggio Emilia, hanno disposto la trascrizione, nei registri dello stato civile, di atti di matrimonio, celebrati all'estero, fra persone dello stesso sesso;
              il Ministro dell'interno, con propria circolare n.  40o/ba/-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014, ha disposto che i prefetti invitino i sindaci che hanno proceduto a trascrivere matrimoni contratti all'estero fra persone dello stesso sesso a cancellarli e, in caso non vi procedano, ad attivarsi, anche in via sostitutiva, per la cancellazione, d'ufficio, delle trascrizioni «ai sensi del combinato disposto dell'articolo 21-nonies della legge 241 del 1990 e dell'articolo 54, commi 3 e 11, del decreto legislativo n.  267 del 2001»;
              i sindaci di alcuni comuni hanno continuato a trascrivere matrimoni contratti all'estero tra persone dello stesso sesso, anche successivamente all'adozione della circolare ministeriale;
              il prefetto di Udine, nominato un commissario ad acta, il giorno 29 aprile 2014, ha proceduto ad annotare nel registro dello stato civile di Udine, a margine della trascrizione di un matrimonio celebrato fra due donne in Sudafrica, la cancellazione da lui disposta d'ufficio;
              investita della questione sull'individuazione dell'eventuale sussistenza di profili di responsabilità penale, in capo ai soggetti attori dell'intervento di cancellazione della trascrizione, la procura di Udine, con provvedimento di richiesta di archiviazione del 25 novembre 2014, nell'escludere la violazione di norme penali per mancanza dell'elemento soggettivo, quindi, per mancanza del solo dolo, nel merito ha, invece, esplicitamente, riconosciuto che il prefetto non ha e non aveva compiti sostanzialmente abrogativi né poteri di cancellazione che spettano ex lege all'autorità giudiziaria;
              purtuttavia, nonostante anche la procura di Udine abbia riconosciuto che i prefetti, così come i sindaci stessi, non possono procedere alla cancellazione di atti trascritti, i prefetti di Udine, Bologna, Pordenone, Roma ed Empoli hanno proceduto ad annotare nei registri dello stato civile, a margine delle trascrizioni dei matrimoni omosessuali effettuate, l'annullamento d'ufficio;
              il 9 gennaio 2015 il sottosegretario Ferri sulla vicenda con l'atto di sindacato ispettivo n.  2-00794 ha innanzitutto precisato come: «... la normativa vigente attribuisca inequivocabilmente la funzione di stato civile alla competenza dello Stato. È questo il punto: la normativa attuale prevede che le funzioni di stato civile vengano svolte dallo Stato, che esercita questa competenza in ambito territoriale attraverso il sindaco quale ufficiale di Governo, e quindi come organo di amministrazione indiretta dello Stato medesimo. In tale veste, il sindaco è tenuto, ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica n.  396 del 2000, «(...) ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell'interno» nella sua qualità di organo avente la titolarità primaria della materia. Parimenti sintomatico dell'assenza di un'autonoma sfera di competenza del sindaco rispetto ai servizi di competenza statale è il comma successivo della medesima disposizione, a mente del quale «la vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta al prefetto»;
              con riferimento dunque al caso di specie il Governo ha ribadito che l'esercizio, da parte del prefetto del potere di annullamento sia una tipica manifestazione di una sovraordinazione gerarchica sostanziandosi in un rimedio di «ordine amministrativo». In tal senso, il Ministero fa riferimento all'autorevole giurisprudenza del Consiglio di Stato e precisamente alla sentenza n.  3076/2008 ove si afferma, per «analoghe fattispecie» il potere di annullamento disposto dai prefetti nei confronti di ordinanze sindacali di sicurezza urbana;
              è opportuno precisare, alla luce delle affermazioni fatte dal Governo nella risposta all'atto di sindacato ispettivo di cui sopra, che l'analogia nel caso di specie non risulta corretta dal momento che il riferimento dell'esecutivo è a ordinanze di natura provvedimentale, mentre le trascrizioni sono atti dichiarativi per cui ai sensi dell'articolo 95, comma 1, del Regolamento dello stato civile si afferma: «deve proporre ricorso al Tribunale nel cui circondario si trova l'Ufficio dello Stato civile presso il quale è registrato l'atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l'adempimento»;
              a ulteriore conferma della illegittimità dell'ordine del Ministro ai prefetti si è pronunciato il TAR del Lazio che, con sentenza 9 marzo 2015, n.  3907, ha accertato l'illegittimità del potere amministrativo di disporre la cancellazione delle trascrizioni dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero;
              ciò nonostante, a distanza di un mese dalla pronuncia che ha annullato sia il provvedimento di cancellazione del prefetto di Roma sia la circolare del Ministro Alfano nella parte in cui attribuiva ai prefetti un potere di intervento diretto sui registri dello stato civile, una nota ministeriale datata 2 aprile 2015 ha richiamato il prefetto di Reggio Emilia a «procedere senza indugio» a rivolgere al sindaco della città emiliana formale richiesta di cancellazione delle trascrizioni effettuate il 25 di marzo, di due matrimoni esteri, entrambi di due coppie di donne;
              in data 7 aprile il prefetto, con decreto n.  0003437/Area II affidava al dirigente dell'area II l'incarico di effettuare una verifica straordinaria ispettiva presso gli uffici dello stato civile del comune di Reggio Emilia finalizzata all'accertamento dell'avvenuta trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni celebrati all'estero da persone dello stesso sesso;
              in data 9 aprile, con prefettizia n.  3437/Area II, «il Sindaco di Reggio Emilia è stato diffidato a procedere senza indugio alla cancellazione delle suindicate trascrizioni illegittimamente effettuate entro il termine di giorni 5 (cinque) dalla notifica della predetta diffida, avvenuta il 10 aprile u.s.»;
              alla scadenza di detto termine senza che da parte del sindaco di Reggio Emilia fosse pervenuta comunicazione circa l'adempimento della diffida, il prefetto in data 21 aprile 2015 disponeva con proprio atto l'annullamento delle trascrizioni nei registri dello stato civile del comune di Reggio Emilia dei predetti matrimoni celebrati all'estero da persone dello stesso sesso, ordinando al sindaco di provvedere alle operazioni materiali conseguenti all'annullamento;
              alla luce delle considerazioni sopra esposte e sottolineata la gravità delle azioni illegittimamente messe in atto anche in contrasto con quanto pronunciato in materia dal TAR del Lazio, si ritiene che i prefetti, su ordine illegittimo del Ministro dell'interno, stiano esercitando una funzione che è riservata chiaramente ed esclusivamente alla magistratura,

impegna il Governo

ad assumere, con la massima sollecitudine, le opportune iniziative, anche di carattere normativo, volte a far cessare la situazione di sostanziale illegittimità – come confermata in premessa – che si è venuta a creare a seguito dell'adozione da parte del Ministro dell'interno della circolare n.  40o/ba-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014 e della nota ministeriale del 2 aprile 2015 e a disporre che i prefetti cessino immediatamente dal procedere alle cancellazioni d'ufficio delle trascrizioni dei matrimoni contratti all'estero tra persone dello stesso sesso, ristabilendo così il rispetto delle prerogative costituzionalmente riservate alla magistratura.
(6-00138) «Locatelli, Di Lello, Di Gioia, Fava, Pastorelli».


MOZIONI LUPI ED ALTRI N.  1-00869, ALFREIDER ED ALTRI N.  1-00877, BARBANTI ED ALTRI N.  1-00881, PAGLIA ED ALTRI N.  1-00882, BOCCADUTRI ED ALTRI N.  1-00883, ALBERTI ED ALTRI N.  1-00884, BRUNETTA ED ALTRI N.  1-00886, BUSIN ED ALTRI N.  1-00891 E MATARRESE ED ALTRI N. 1-00895 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI CIRCOLAZIONE DEL DENARO CONTANTE

Mozioni

      La Camera,
          premesso che:
              negli ultimi anni il legislatore è intervenuto di frequente con provvedimenti restrittivi sulla disciplina della circolazione del contante. Tali interventi sono stati introdotti con una doppia finalità: da un lato, l'esigenza di aumentare la tracciabilità dei movimenti finanziari per contrastare il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita; dall'altro, l'obiettivo dell'amministrazione finanziaria di contrastare l'evasione e l'elusione fiscale, attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti, che ovviamente ben si prestano a «coprire» operazioni effettuate «in nero»;
              in particolare, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, cosiddetto «decreto salva Italia» (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214), ha – da ultimo – ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da euro 2.500 ad euro 1.000 la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore. Il divieto di violare tale limite si applica a tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato, quale che sia la loro nazionalità. I soggetti sanzionabili sono sia colui che ha pagato sia colui che ha riscosso gli importi, ivi compreso il lavoratore dipendente che abbia accettato il pagamento dello stipendio superiore a 999 euro in contanti;
              pertanto, allo stato attuale, è possibile effettuare pagamenti in contanti sino alla soglia massima di euro 999,99 ed è vietato il trasferimento, tra soggetti diversi, di denaro contante (nonché di libretti di deposito bancari e postali al portatore o di titoli al portatore) per importi pari o superiori ai 1.000 euro: per l'effettuazione di tali operazioni di trasferimento da un soggetto ad un altro occorre rivolgersi a banche, istituti di moneta elettronica o a Poste italiane spa;
              successivamente al citato intervento restrittivo del 2011, il decreto-legge 2 marzo 2012, n.  16, cosiddetto «decreto semplificazioni», ha introdotto una deroga alle norme sulla limitazione di circolazione del contante per acquisti effettuati da cittadini extra-Unione europea presso commercianti al minuto, nonché le agenzie di viaggio e turismo;
              in tema di circolazione del denaro contante, sono, inoltre, state introdotte alcune recentissime novità: con riferimento alle corresponsioni di canoni d'affitto, con effetto dal 1o gennaio 2014, la legge di stabilità per l'anno 2014 (legge n.  147 del 2013), al comma 50 dell'articolo 1, ha previsto che i canoni di locazione delle abitazioni non possano più essere pagati in contanti. La norma prevede che, indipendentemente dall'ammontare mensile del canone di locazione, per il pagamento dell'affitto debbano essere utilizzati mezzi di pagamento in grado di assicurare la tracciabilità dei flussi di denaro;
              in termini di obbligo di adozione di strumenti pos per imprese e professionisti, il decreto ministeriale del 24 gennaio 2014, con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, ha dato attuazione al disposto dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, per cui dal 1o gennaio 2014 è stato introdotto l'obbligo di accettare i pagamenti effettuati attraverso carte di debito, in favore di imprese e professionisti, per l'acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi. Dal 28 marzo 2014 al 30 giugno 2014, sono obbligati ad accettare pagamenti di importi superiori a 30 euro, effettuati con carte di debito, solo le imprese e professionisti che nel 2013 hanno registrato un fatturato superiore a 200.000 euro; dal 1o luglio 2014, tutte le imprese ed i professionisti sono obbligati ad accettare i pagamenti di importo superiore ad euro 30 effettuati con carte di debito;
              secondo uno studio della Cgia di Mestre del febbraio 2015, cresce l'ammontare di banconote in circolazione nel nostro Paese. Nel 2014 la massa monetaria complessiva ha sfiorato i 164,5 miliardi di euro. Negli ultimi 7 anni di crisi l'incremento percentuale è stato del 30,4 per cento, a fronte di una variazione dell'incidenza delle banconote sul prodotto interno lordo del +2,4 per cento e di un aumento dell'inflazione che ha sfiorato il 10 per cento;
              l'enorme uso del contante deriva dal fatto che in Italia ci sono quasi 15 milioni di unbanked, ossia persone che non hanno un conto corrente presso una banca e che, di conseguenza, non utilizzano alcuna forma di pagamento tracciabile, come la carta di credito, il bancomat o il libretto degli assegni; l'Istat, nella pubblicazione «I consumi degli italiani», segnala che il mezzo di pagamento più diffuso tra le famiglie è il denaro contante, soprattutto nel caso degli anziani, single (95,9 per cento) o in coppia (92,8 per cento). Il 37,9 per cento delle famiglie usa il bancomat e il 10,9 per cento la carta di credito. Molti preferiscono ancora adesso tenere i propri risparmi in casa, anziché affidarli ad una banca, considerati, soprattutto, i costi per la tenuta di un conto corrente tra i più elevati d'Europa;
              sempre secondo i dati della Cgia di Mestre, nonostante l'Italia abbia il limite all'utilizzo del contante più basso d'Europa, l'evasione fiscale non sembra averne risentito. Anzi, dagli studi emerge un dato sorprendente: c’è pochissima correlazione tra la soglia limite all'uso di cartamoneta imposta per legge e il rapporto tra la base imponibile iva non dichiarata e il prodotto interno lordo, vale a dire l'evasione fiscale;
              tra il 2000 e il 2012 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili), a fronte di una soglia limite all'uso del denaro che è rimasta pressoché stabile fino al giugno 2008, l'evasione ha registrato un andamento altalenante fino al 2006, per poi scivolare progressivamente fino al 2010. Se tra il 2010 e l'anno successivo «l'asticella» del limite al contante si è ulteriormente abbassata (passando da 5.000 a 1.000 euro), l'evasione, invece, è salita fino a sfiorare il 16 per cento del prodotto interno lordo, per poi ridiscendere nel 2012 sotto quota 14 per cento;
              rispetto agli altri Paesi europei in Italia i costi per le transazioni tramite pos (point of sale) sono più elevati in media del 50 per cento; elevati anche i costi per l'installazione e la gestione dei pos che hanno una componente fissa e una variabile: i costi fissi comprendono un canone annuale per l'affitto dell'apparecchiatura pos e il mantenimento di una linea telefonica dedicata, più o meno costosa a seconda della velocità della transazione. Ne consegue che il migliore incentivo alla diffusione dei pos non è costituito dalla sua obbligatorietà, ma dalla riduzione dei costi di gestione. I pagamenti tramite pos in Francia sono più del doppio di quelli dell'Italia (398 miliardi di euro contro 160 miliardi), eppure i terminali installati Oltralpe non sono molti di più (1.834.000 contro 1.501.600). Il confronto con la Germania è ancora più indicativo, alla luce degli ultimi dati ufficiali (Banca dei regolamenti internazionali, dicembre 2012) in quel Paese ci sono infatti meno pos che in Italia (720 mila), ma vengono usati per più transazioni (174 miliardi di euro);
              in attuazione di quanto previsto da tali disposizioni si sono tenute riunioni tra l'Associazione bancaria italiana, le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, Poste italiane spa, il Consorzio bancomat, le imprese che gestiscono circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese maggiormente significative a livello nazionale, senza tuttavia giungere all'elaborazione di un testo condiviso secondo le modalità e nei termini previsti; si registrano, peraltro, positive esperienze tra alcuni istituti di credito ed associazioni imprenditoriali e di imprese, che hanno ridotto, fino ad azzerarli, i costi di transazione;
              tra i principali membri dell'Unione europea, ben 11 Paesi non prevedono alcun limite all'uso del contante. La Francia e il Belgio hanno una soglia di spesa con la cartamoneta di 3.000 euro, la Spagna di 2.500 euro e la Grecia di 1.500 euro. L'Italia e il Portogallo, invece, manifestano la situazione più restrittiva: la soglia massima, oltre il quale non si può più usare il contante, è pari a 1.000 euro;
              a febbraio 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri ha annunciato l'intenzione del Governo di elevare il limite all'utilizzo del contante dagli attuali 999,99 euro a 3 mila euro, condizionando il varo della misura all'adozione del decreto delegato sulla fattura elettronica. Infatti, con una transazione «tracciata» con una fattura elettronica o uno scontrino immediatamente visibile al fisco, l'eventuale incasso in contanti non dovrebbe creare problemi;
              il 21 aprile 2015, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, e del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha approvato, in via preliminare, il decreto legislativo sulla fatturazione elettronica, che introduce misure volte ad incentivare, mediante la riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili, a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia di imposta sul valore aggiunto (iva) e le transazioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti, nonché a prevedere specifici strumenti di controllo relativamente alle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici;
              il varo del decreto legislativo crea oggi le condizioni per la definitiva rimozione del limite all'uso del contante previsto dalla normativa vigente,

impegna il Governo:

          a valutare la possibilità di assumere ulteriori iniziative normative, rispetto alle norme contenute nella delega fiscale, in materia di tracciabilità dei pagamenti e di fatturazione elettronica e contestualmente a valutare l'opportunità di una revisione della disciplina vigente in tema di uso del contante, prevedendo un innalzamento della soglia limite dei 1.000 euro e ponendo l'Italia in linea con gli altri Stati europei;
          a dare rapida attuazione al regolamento (UE) n.  2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015 relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, nelle parti in cui si prevede una facoltà dello Stato membro di definire alcune misure, con la finalità di equiparare il costo dei mezzi di pagamento elettronici in Italia alla media dei costi in essere presso gli altri Stati europei.
(1-00869)
(Ulteriore nuova formulazione) «Lupi, Buttiglione, Dorina Bianchi, Pizzolante, Vignali, Tancredi, Bernardo, Pagano, Alfreider, De Girolamo».


      La Camera,
          premesso che:
              la normativa antiriciclaggio di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n.  231, recante «Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione», ha previsto specifiche limitazioni all'uso dei contanti, accompagnate da una serie di sanzioni destinate a colpire i soggetti che le avessero violate o tentato di aggirarle. Ciò allo scopo di contrastare il fenomeno del riciclaggio di denaro costituente il frutto o il provento di reati e il perpetrarsi dell'evasione fiscale;
              nello specifico, l'articolo 49 del sopra citato decreto legislativo, successivamente più volte modificato, da ultimo con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, vieta il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro, in luogo dei 2.500 euro previsti in precedenza;
              inoltre, dal 30 giugno 2014 vige l'obbligo per ogni artigiano e libero professionista di munirsi di pos (point of sale) e farsi carico di tutti i costi di mantenimento, visto che per prestazioni o prodotti del valore superiore a 30 euro al cliente dovrà essere consentito l'uso del pos per usare il bancomat o    la carta di credito e i costi aggiuntivi del servizio, in ogni transazione, sono a carico dell'esercente;
              la limitazione dell'uso del contante ha causato rilevanti conseguenze nella quotidianità delle operazioni fra privati e una forte penalizzazione della dinamica produttiva delle imprese, determinando effetti distorsivi del mercato e della concorrenza, soprattutto nel confronto con le legislazioni dei Paesi confinanti, se si pensa che a distanza di soli 10 chilometri dal confine italiano è possibile avere una libertà di spesa maggiore, anche solo per la spesa di carburante;
              le statistiche recenti riportano un bilancio negativo della spesa interna, il che significa che gli italiani spendono di più all'estero di quanto non facciano in Italia e la conferma arriva anche dai dati relativi alla presenza di turisti dall'altra parte del Brennero, in forte crescita (Tirolo +4 per cento), mentre si registra un forte calo in Alto Adige/Südtirol, in Trentino e in altre località o regioni di confine, con le dovute conseguenze anche sul commercio e sulla prestazione di servizi, settori strettamente collegati al turismo;
              in ambito europeo gli unici Paesi, oltre all'Italia, che prevedono un limite all'uso del contante sono la Spagna (2.500 euro), la Francia (3.000 euro), il Belgio (15.000 euro), la Danimarca (13.400 euro), Grecia (1.500 euro), la Slovenia (15.000 euro), quasi tutti però per soglie di molto superiori a quella italiana di soli 1.000 di euro, mentre Germania, Austria e Olanda non prevedono limiti più stringenti (valgono, quindi, i 15.000 euro previsti dalla normativa comunitaria);
              è allo studio dell'Unione europea una proposta di modifica della direttiva relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 2002/65/CE, 2013/36/UE e 2009/110/CE e che abroga la direttiva 2007/64/CE;
              il decreto-legge 24 giugno 2014, n.  91, cosiddetto competitività, conteneva disposizioni che ampliavano l'uso del denaro contante in Italia per i cittadini appartenenti all'Unione europea e allo spazio economico europeo, derogando alla disciplina del limite all'uso del contante per importi superiori a 1.000 euro, prevedendo la possibilità per i cittadini comunitari e per i residenti nello spazio economico europeo di utilizzare il limite per il trasferimento di denaro contante vigente nel Paese di residenza dell'acquirente, e andava a inserirsi in un quadro normativo che già prevede una deroga a 15.000 euro per i cittadini extracomunitari;
              la materia del limite all'uso del contante in Italia viene trattata sempre in abbinamento alla normativa antiriciclaggio, mentre nel settore turistico il limite all'uso del contante si sta rivelando fortemente pregiudizievole, soprattutto nelle regioni di confine, che non possono competere con una normativa più favorevole appena pochi chilometri oltre il confine,

impegna il Governo

a incentivare i pagamenti elettronici e, contestualmente, a valutare l'opportunità di adeguare la normativa italiana attraverso il ripristino di una soglia più elevata per l'acquisto di beni e di prestazioni, in linea con la media degli altri Stati europei, che si attesta intorno a minimo 3.000 euro, ponendo così fine al deflusso verso l'estero, con conseguente perdita di valore aggiunto in quelli che sono i principali settori dell'economia nazionale.
(1-00877)
(Ulteriore nuova formulazione) «Alfreider, Borghese, Matteo Bragantini, Caon, Gebhard, Marguerettaz, Merlo, Ottobre, Plangger, Prataviera, Schullian, Pastorelli, Dellai, Gigli, Di Lello».


      La Camera,
          premesso che:
              per contrastare non solo il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita, ma anche l'evasione e l'elusione fiscale si è cercato di intervenire sulla disciplina della circolazione del contante, con la dichiarata finalità di aumentare la tracciabilità delle movimentazioni finanziarie per contrastare il riciclaggio dei capitali di provenienza;
              in particolare con il cosiddetto decreto-legge «salva Italia» (decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214) ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da 2.500 euro a 1.000 euro la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore; con il cosiddetto decreto «semplificazioni» (decreto-legge 2 marzo 2012, n.  16, convertito, con modificazioni, dal decreto-legge n.  44 del 2012) si è introdotta una deroga alle norme sulla limitazione del contante in caso di acquisti effettuati da cittadini extra-Unione europea presso commercianti al minuto, nonché agenzie di viaggio e turismo e si sono disposte nuove sanzioni per i trasferimenti transfrontalieri di denaro contante. La materia è stata poi oggetto di numerosi interventi chiarificatori da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, dell'Agenzia delle entrate nonché, da ultimo, della Guardia di finanza con la circolare 19 marzo 2012, n.  83607;
              significativo è stato l'articolo 12 del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» che ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, a 1.000 euro il limite per l'utilizzo del denaro contante, degli assegni bancari e postali e dei vaglia postali o cambiari, nonché dei libretti di deposito bancari o postali al portatore;
              per effetto delle modifiche apportate dal citato articolo 12, l'articolo 49 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n.  231 (cosiddetto «decreto antiriciclaggio») sancisce ora che: è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi (anche se privati), quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro; il trasferimento è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati. Tuttavia, il trasferimento può essere eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane spa;
              la limitazione di 1.000 euro riguarda complessivamente il valore oggetto di trasferimento, indipendentemente dalla causale e si applica anche alle cosiddette operazioni frazionate, ossia a quei pagamenti che appaiono artificiosamente frazionati ovvero relativi a qualunque «operazione unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o superiore ai limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni ferma restando la sussistenza dell'operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale». In ogni caso, come chiarito dal Ministero dell'economia e delle finanze con la circolare 4 novembre 2011, le operazioni di prelievo e/o di versamento di denaro contante richieste da un cliente ad una banca non concretizzano automaticamente una violazione dell'articolo 49 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n.  231 e il nuovo limite si applica anche ad assegni, libretti al portatore e alle transazioni tramite money transfer;
              in base all'articolo 51 del decreto legislativo n.  231 del 2007, anch'esso modificato dal cosiddetto decreto-legge «salva Italia», i soggetti destinatari della normativa antiriciclaggio (ad esempio, intermediari finanziari e professionisti) che, nello svolgimento delle loro funzioni e nei limiti delle loro attribuzioni, hanno notizia di violazioni relative all'utilizzo di denaro contante, di assegni liberi e di libretti al portatore, entro 30 giorni, devono comunicare le infrazioni: al Ministero dell'economia e delle finanze, ovvero alle competenti ragionerie territoriali dello Stato, per la contestazione e gli adempimenti previsti dall'articolo 14 della legge n.  689 del 1981; alla Guardia di finanza la quale, ove ravvisi l'utilizzabilità di elementi ai fini dell'attività di accertamento, ne dà tempestiva comunicazione all'Agenzia delle entrate. La previsione della Guardia di finanza tra i destinatari delle comunicazioni delle violazioni, introdotta dall'articolo 8 del decreto-legge n.  16 del 2012 ha consentito una più incisiva azione di contrasto agli illeciti fiscali, grazie ad una sempre più accurata selezione dei soggetti a maggior rischio di evasione;
              al fine di far fronte all'evasione e di restringere le maglie larghe all'uso del contante, la soluzione ideale sarebbe la tracciabilità totale degli adempimenti fiscali. Tra le novità più importanti dal 2014 ad oggi si segnala:
          a) l'arrivo della e-fattura e dello «scontrino digitale», che limita l'utilizzo della carta moneta, almeno a partire dal 2017 (o dal 2018 se prevarrà la prudenza di coloro che gestiscono le strutture informatiche dello Stato). Nel frattempo un primo passo verso l'informatizzazione del fisco si avrà con l'operazione «730» precompilato che arriverà nelle cassette elettroniche di lavoratori dipendenti e pensionati. Andranno in soffitta nel giro di tre-quattro anni fatture, ricevute e scontrini fiscali cartacei ma anche i registri iva e quelli dei clienti-fornitori, finalizzati ad eventuali controlli del fisco, che oggi devono essere tenuti da chi esercita un'attività. Questi «vecchi» strumenti saranno sostituiti con supporti informatici, sul modello «cloud», che permetteranno a professionisti e commercianti di scambiarsi fatture in entrata e uscita tra di loro e all'Agenzia delle entrate di monitorare. Stesso sistema per gli «scontrini digitali»: sarà necessario un aggiornamento delle tecnologie e dei registratori di cassa che sarà favorito con un credito d'imposta di 100 euro;
          b) per quanto riguarda i canoni d'affitto, con effetto dal 1o gennaio 2014, la legge di stabilità 2014, (legge n.  147 del 2013) al comma 50 dell'articolo 1, ha previsto che i canoni di locazione delle abitazioni non possano più essere pagati in contanti disponendo che, indipendentemente dall'ammontare mensile del canone di locazione, per il pagamento dell'affitto debbano essere utilizzati mezzi di pagamento in grado di assicurare la tracciabilità dei flussi di denaro;
          c) è stato introdotto l'obbligo di adozione di strumenti pos per imprese e professionisti con il decreto ministeriale 24 gennaio 2014 che, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ha dato attuazione al disposto dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, per cui dal 1o gennaio 2014 è stato introdotto l'obbligo di accettare i pagamenti effettuati attraverso carte di debito, in favore di imprese e professionisti, per l'acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi. Dal 28 marzo 2014 al 30 giugno 2014, saranno obbligati ad accettare pagamenti di importi superiori a 30,00 euro, effettuati con carte di debito, solo le imprese e i professionisti che nel 2013 abbiano registrato un fatturato superiore a 200.000,00 euro; dal 1o luglio 2014, tutte le imprese ed i professionisti saranno obbligati ad accettare i pagamenti di importo superiore a 30 euro effettuati con carte di debito;
              l'informatizzazione del fisco e delle relative possibilità di controllo darà maggiori strumenti per la lotta all'evasione. Contestualmente, potrebbe essere meno necessario agire «a monte» in modo radicale andando verso una totale abolizione del contante: il reato di autoriciclaggio, i possibili rafforzamenti del falso in bilancio e la rinuncia a depenalizzare le fatture false, renderanno più difficile la circolazione di denaro «nero» e quindi accettabili normali transazioni in banconote e monete metalliche;
              alla normativa nazionale diretta a disciplinare l'uso del contante si è aggiunta poi quella, di derivazione comunitaria, relativa ai passaggi di capitale attraverso le frontiere, anch'essa oggetto di recenti interventi normativi per effetto del decreto-legge «semplificazioni» che ha armonizzato ed allineato la normativa interna con quella comunitaria (rappresentata dal regolamento (CE) 1889/2005), stabilendo che ogni persona fisica che entra nel territorio nazionale o ne esce e trasporta denaro contante d'importo pari o superiore a 10.000 euro deve farne dichiarazione all'Agenzia delle dogane; tale disciplina si applica sia ai passaggi intracomunitari (dall'Italia verso un altro Paese dell'Unione europea e viceversa), sia a quelli extracomunitari (dall'Italia da e verso un Paese non appartenente all'Unione europea), a prescindere dalle modalità di trasporto del denaro contante (ad esempio, a mano, in un bagaglio da stiva), per via aerea, stradale, ferroviaria o marittima;
              sempre a livello europeo, all'inizio del 2005, l'allora commissario per il mercato interno, Charlie McCreevy aveva lanciato un'iniziativa per rimuovere gli ostacoli nel mercato del pagamenti europeo;
              dopo mesi di acceso dibattito, la direttiva europea sui servizi di pagamento è stata adottata dal Consiglio dei ministri dell'Unione europea nel marzo 2007. L'accordo finale obbligò i fornitori non bancari a limitare a 12 mesi la durata del credito transfrontaliero concesso, ma non introdusse alcuna restrizione alle operazioni nazionali; l'Esecutivo europeo ha presentato il 24 luglio 2013 una proposta di revisione della direttiva in questione e, parallelamente, un regolamento sulle commissioni interbancarie, applicata prima nei pagamenti transfrontalieri tra Stati membri e solo in un momento successivo ai pagamenti in ambito nazionale;
              scopo della direttiva sui servizi di pagamento è stato quello di creare un vero mercato europeo dei pagamenti, con il fine di abbassare i costi sia per i consumatori, che per gli istituti di pagamento. La direttiva è fondamentale anche per la creazione della Sepa (Area unica dei pagamenti in euro), che mira a introdurre le stesse procedure e gli stessi obblighi in tutta Europa per i trasferimenti di credito, gli addebiti diretti e le carte di pagamento;
              l'obiettivo primario della direttiva è quello di abbattere le barriere tecniche e legali che finora hanno ostacolato la creazione di un mercato europeo per i servizi di pagamento. La Commissione europea prevede un risparmio di 122 miliardi annui: in particolare, il maggior beneficio deriverebbe dalla fatturazione elettronica (il cosiddetto e-invoicing), per circa 110 milioni di euro l'anno;
              un ulteriore significativo miglioramento che deriva dalla direttiva europea sui servizi di pagamento è la possibilità di usare tutte le carte di debito in Europa e la Commissione europea prevede che una più elevata concorrenza nei servizi di pagamento spingerà sempre di più i consumatori a scegliere gli strumenti elettronici per il loro acquisti (carte di plastica, smart card, pagamenti tramite telefono cellulare o smartphone), favorendo la progressiva diminuzione del contante;
              secondo la Commissione europea, i costi relativi ai pagamenti ammontano al 3 per cento del prodotto interno lordo e sono dovuti principalmente alle spese legate al contante. Sbarazzarsi delle monete e delle banconote, quindi, comporterebbe un enorme risparmio per l'economia europea. Il contante è costoso perché ha un elevato costo di produzione e non è sicuro. Rubare il denaro fisico sarebbe, inoltre, più facile che sottrarre il credito elettronico. La Commissione europea stima, ad esempio, che il costo di una transazione in contante si aggira tra i 30 e i 55 centesimi di euro, mentre nel caso di un pagamento elettronico ammonta a pochi centesimi;
              non è quindi auspicabile che si vada verso un eccessivo allargamento delle maglie per l'uso del contante: il tetto massimo che si prospetta è dagli attuali 1.000 a 3.000 euro, ma per combattere il denaro «nero» sarebbe necessario mantenere più bassa la soglia della possibilità dell'uso del contante anche per i pagamenti tra privati;
              il comma 9 dell'articolo 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, ha stabilito che le imprese che gestiscono i circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese definiscano, entro nove mesi, le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento,

impegna il Governo

ad adottare iniziative normative di revisione della disciplina vigente in tema di uso del contante, che siano finalizzate a ridurre o mantenere inalterata l'attuale soglia limite di 1.000 euro e ad azzerare o quantomeno ridurre le commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, con il fine di abbassare i costi per i consumatori.
(1-00881) «Barbanti, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».


      La Camera,
          premesso che:
              la tracciabilità è uno strumento necessario per combattere l'evasione fiscale. Il Governo Monti aveva varato un pacchetto di misure per il contrasto dell'evasione fiscale. Lo strumento principale consisteva nella tracciabilità, in base alla quale non potevano essere effettuati pagamenti per importi superiori ai mille euro in contanti; la precedente soglia, stabilita dal Governo Berlusconi era pari a 2.500 euro;
              diversi studi dimostrano come un ricorso più diffuso ai pagamenti elettronici permetterebbe, da un lato, attraverso la tracciabilità delle transazioni, di coadiuvare le azioni di contrasto all'evasione fiscale ed al riciclaggio di denaro, di compliance fiscale e, quindi, favorire l'emersione di ricchezza sommersa, e, dall'altro, di ridurre il costo di gestione del denaro contante a tutto vantaggio dell'economia italiana, aspetto, quest'ultimo, spesso sottovalutato dagli esercenti stessi, ma che secondo dati diffusi dalla Banca d'Italia corrisponde allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo, il 49 per cento del quale sarebbe sostenuto da banche ed infrastrutture per l'offerta dei servizi di pagamento, mentre il restante 51 per cento sarebbe a carico delle imprese;
              il costo dei contanti è elevato; un costo che deriva non solo dalla stampa delle banconote e dal conio delle monete, ma anche dalle spese di distribuzione e di controllo a cui si aggiungono gli oneri per la sicurezza per il trasporto e la conservazione dei valori;
              uno studio della Banca centrale europea ha evidenziato che l'Europa spende ogni anno lo 0,46 per cento del suo prodotto interno lordo (60 miliardi di euro) per il denaro. E in Italia, dove il denaro cartaceo è più diffuso che altrove, i costi ammontano a circa 10 miliardi di euro, pari allo 0,52 per cento del prodotto interno lordo (valore superiore allo 0,40 per cento, rilevato nella media degli altri Paesi europei). Questo significa che per pagare il personale, le perdite, i furti, le apparecchiature, il trasporto, la sicurezza, i magazzini, la vigilanza e le assicurazioni si spende circa 200 euro a testa l'anno;
              c’è anche il tema del costo industriale di fabbricazione delle micro monete, quelle da 1 e 2 centesimi di euro che spesso e volentieri si perdono. Coniare una monetina da 1 centesimo ne costa 4,5, mentre per fabbricarne una da 2 centesimi si spendono 5,2 centesimi. Lo scorso autunno il gruppo parlamentare Sinistra Ecologia e Libertà ha presentato una mozione alla Camera dei deputati sulla questione, calcolando che i costi di fabbricazione sono costati all'Italia 188 milioni di euro in dieci anni;
              la relazione esistente tra l'utilizzo del contante, strumento di pagamento di cui non è possibile seguire le tracce fiscali, e l'evasione è chiara ed è stata evidenziata da diversi studi. Si veda, ad esempio: Rogoff, Kenneth (1998), «Blessing or curse ? Foreign and Underground Demand for Euro Notes, Economic Policy-European Forum, 261-303», e Goodhart, C., e Krueger, M. (2001), «The Impact of Technology on Cash Usage, discussion paper 374, Financial Markets Group, London School of Economics and Political Science, London, UK»;
              esiste una precisa correlazione tra i prelievi in contante e l'incidenza dell'economia sommersa: la relazione tra l'importo medio unitario dei prelievi di contanti da sportelli automatici bancari, nei vari Paesi europei, e l'economia sommersa, espressa in percentuale di prodotto interno lordo, è chiaramente positiva. Dove si utilizza più contante, l'incidenza dell'economia sommersa è più elevata. In particolare, Grecia e Italia sono i Paesi europei che mostrano i prelievi di contanti di importo medio più elevato (rispettivamente 250 e 175 euro) e che contestualmente hanno la più alta incidenza sul prodotto interno lordo dell'economia sommersa;
              comunque, in Italia il ricorso alla moneta elettronica è sempre più diffuso, anche se il gap con il resto dell'Europa resta notevole e potrebbe essere colmato anche grazie agli elevati standard di sicurezza raggiunti. Infatti, l'ultimo Osservatorio Assofin-Crif Decision Solutions-GfK Eurisko, relativo al consuntivo del 2011, rileva la presenza nel nostro Paese di 71,2 milioni di carte per i pagamenti, una media di 1,2 per abitante, numero cresciuto sensibilmente negli ultimi vent'anni, ma che resta inferiore alla media dell'Unione europea (1,5), per non dire dei Paesi più virtuosi come il Regno Unito (2,4 per abitante) o la Svezia (2,2);
              e tuttavia, le operazioni fatte risultano ancora molto contenute nel confronto internazionale: ogni italiano ne fa annualmente solo 24,5 contro le 57 dell'area euro e le 191,1 degli Stati Uniti d'America;
              è, dunque, necessario un intervento organico che, da un lato, limiti fortemente l'utilizzo del denaro contante e, dall'altro, disponga una serie di incentivi per i consumatori e gli operatori del settore;
              alcune direttive europee e norme interne spingono in questa direzione, nella convinzione che tutto il sistema economico e finanziario tragga vantaggi da questa innovazione. Per dare un impulso importante alla maturazione del mercato italiano dei pagamenti elettronici ed avvicinarlo così agli standard europei, Governo e Parlamento hanno varato negli ultimi anni, accanto ad una serie di misure restrittive sull'uso del denaro contante e dei mezzi di pagamento al portatore e di definizione dell'ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito, anche una norma per la quale esiste l'obbligo di accettare da privati pagamenti per acquisti di prodotti e prestazioni di servizi di importo superiore a 30 euro a mezzo del cosiddetto pos (point of sale);
              in Italia, i costi complessivi legati al mantenimento ed all'uso del pos sono più alti del 50 per cento rispetto alla media europea. La interchange fee rappresenta circa il 70-90 per cento dell'importo della commissione che viene applicata nel rapporto fra banca dell'esercente e banca del consumatore nel momento della transazione con carte di pagamento. Nel luglio del 2013 la Commissione europea, nell'ambito della revisione della direttiva sui servizi di pagamento, ha presentato una proposta di limitazione dell’interchange fee che prevede un tetto dello 0,2 per cento della transazione per le carte di debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito, tetto che per i primi 22 mesi sarà in vigore solo per le transazioni internazionali e, successivamente, entrerà in vigore anche per quelle nazionali. La stessa Unione europea si aspetta che da questa riduzione derivi una parallela riduzione delle commissioni finali sugli acquisti;
              numerose indagini condotte anche da autorità antitrust hanno dimostrato che l'elevato livello delle commissioni interbancarie produce effetti anticoncorrenziali ed alti costi per gli esercenti commerciali (che poi li riversano sui prezzi finali), ostacolando in tal modo la diffusione dei sistemi di pagamento alternativi e meno costosi, in grado di rendere più semplice la vita dei consumatori e di generare più transazioni per i commercianti;
              il costo delle macchine di incasso contante, applicato non in tutti i Paesi ed in maniera difforme (in certi Paesi incidono solo sulle operazioni transfrontaliere, in altri su tutte le transazioni), viene imputato agli esercenti nell'ambito più generale delle spese a loro fatturate per l'utilizzo delle carte di credito, e spesso finisce per essere ricaricato dagli stessi sul prezzo finale del prodotto a tutto danno del consumatore finale, costituendo, per questo, una restrizione alla concorrenza sui prezzi;
              l'Abi (Associazione bancaria italiana) ha avuto modo di dichiarare a proposito dell'approccio contrario alle macchine di incasso contante da parte della Commissione europea che: «se per Bruxelles le commissioni sono negative per la concorrenza, il costo delle carte di pagamento rischia di aumentare a discapito dei possessori», lasciando in tal modo intendere che la disapplicazione delle macchine di incasso contante comporterà inevitabili ripercussioni sui consumatori, dato che le banche scaricheranno le minori entrate interamente sui correntisti;
              una maggiore quanto auspicata diffusione della moneta elettronica deve passare necessariamente attraverso l'abolizione delle commissioni interbancarie multilaterali, pertanto il Governo deve intervenire in materia, anche di concerto con l'Abi,

impegna il Governo:

          a ridurre il limite dei pagamenti in contanti, che oggi è fissato a 1.000 euro, a 499 euro contestualmente alla riduzione delle commissioni e dei costi di gestione della moneta elettronica per imprese e cittadini;
          a prendere le opportune iniziative, anche normative, per:
              a) stabilire e ridurre con progressione annuale anche l'importo massimo mensile per i prelievi delle persone fisiche e giuridiche;
              b) stabilire l'obbligo di utilizzare strumenti telematici per l'effettuazione delle operazioni di pagamento delle spese delle pubbliche amministrazioni centrali e locali e dei loro enti;
              c) riservare la possibilità di dedurre o detrarre nell'ambito fiscale, sia per le persone fisiche che giuridiche, solo le spese effettuate con strumenti di pagamento che ne consentano la tracciabilità;
          a prendere le opportune iniziative, anche normative, al fine di abolire le commissioni interbancarie multilaterali;
          a prevedere per i commercianti ed i professionisti forme di defiscalizzazione che contemplino il riconoscimento di un credito di imposta a coloro che si dotano del terminale pos;
          a valutare misure di sostegno all'utilizzo della moneta elettronica (eliminazione di commissioni interbancarie, credito d'imposta per l'acquisto di pos, corsi rivolti alle persone anziane, bancomat gratuito per le persone con redditi bassi ed altro), da finanziare anche con i risparmi che via via deriverebbero al Ministero dell'economia e delle finanze, alle banche ed alle infrastrutture per l'offerta dei servizi di pagamento, dal minor utilizzo del contante.
(1-00882)
(Nuova formulazione) «Paglia, Melilla, Marcon, Scotto».


      La Camera,
          premesso che:
              secondo la Banca d'Italia il costo del contante, ripartito tra istituti bancari e imprese, è di circa 8 miliardi di euro l'anno, pari allo 0,6 per cento del prodotto interno;
              tale costo può essere definito un «costo occulto» in quanto non è tenuto in considerazione, dati gli importi esigui, sia dai consumatori, sia dai piccoli commercianti che quotidianamente, nelle transazioni economiche, ne sono assoggettati; vanno poi considerati anche i rischi connessi direttamente alla gestione del contante, quali furti, rapine, perdita ed errori;
              dal momento dell'introduzione delle banconote e monete in euro, nel 2002, l'ammontare della moneta in circolazione in Italia può essere considerato solo a livello di area e non a livello Paese;
              la Banca d'Italia nella sua recente «Relazione sulla gestione e sulle attività della Banca d'Italia sul 2014» ha segnalato che «oltre che dalla domanda dell'economia, l'alimentazione della circolazione è stata determinata in modo ancora consistente dalla progressiva sostituzione dei tagli della prima serie con le nuove denominazioni della seconda»;
              secondo il rapporto presentato dal Ministro dell'economia e delle finanze sulla realizzazione delle strategie di contrasto all'evasione fiscale, pubblicato ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 24 aprile 2014 n.  66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n.  89, il fenomeno dell'evasione fiscale assume nel nostro paese dimensioni ancora molto ampie e complesse;
              dal rapporto si evince che il tax gap – la differenza tra l'ammontare delle imposte che l'amministrazione fiscale dovrebbe raccogliere e il gettito effettivo – stimato dall'Agenzia delle entrate con riferimento all'iva, all'Irap e alle imposte dirette sulle imprese e sul lavoro autonomo ammonterebbe su base annua a 91 miliardi euro, pari al 7 per cento del prodotto interno lordo;
              la Banca d'Italia ha quantificato l'economia «non osservata» in Italia per un valore corrispondente al 27,4 per cento del prodotto interno nazionale; in particolare, l'incidenza media dell'economia sommersa ammonterebbe al 16,5 per cento, mentre il restante 10,9 per cento rappresenterebbe quella illegale;
              la Corte dei conti il 2 dicembre 2014 ha diffuso l’«Indagine sugli effetti dell'azione di controllo fiscale in termini di stabilizzazione della maggiore tax compliance», rilevando, alla luce delle analisi più recenti, che l'ammontare complessivo dei tributi e contributi annualmente evasi supera in Italia i 120 miliardi di euro l'anno;
              l'articolo 9, comma 1, lettera d), della legge 11 marzo 2014, n.  23 – cosiddetta delega fiscale – prevede, al fine di un rafforzamento dell'attività conoscitiva e di controllo, di incentivare, mediante una riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché di adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia iva e le transazioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti;
              mediante i decreti legislativi attuativi della delega fiscale, il Governo sta introducendo nuove strategie di contrasto all'evasione fiscale e miglioramento della compliance, in particolare nel settore dell'iva, che prevedono la diffusione degli strumenti di pagamento tracciabili, la fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati relativi alle transazioni B2B soggette ad iva, nonché dei corrispettivi;
              l'adozione anche nella pubblica amministrazione di strumenti di pagamento digitali può avere effetti positivi in termini di riduzione dei costi connessi alla gestione del contante e rischi connessi, come di maggiore efficienza nella gestione dei servizi al cittadino;
              l'obbligo di pagamento con mezzi tracciabili risulta attualmente in vigore per le seguenti fattispecie: i pagamenti relativi alle prestazioni libero professionali rese dai medici; i pagamenti riguardanti canoni di locazione di unità abitative per l'ottenimento delle agevolazioni e detrazioni fiscali da parte del locatore e del conduttore; le operazioni relative all'acquisto di servizi di pubblicità on-line e di servizi ad essa ausiliari, nonché i pagamenti effettuati a favore di società, enti, associazioni sportive dilettantistiche, associazioni senza fini di lucro e pro-loco e i versamenti da questi operati; inoltre, dal 1o luglio 2014 le imprese ed i professionisti che effettuano vendita di prodotti e prestazione di servizi sono tenuti ad accettare pagamenti con carte di debito per acquisiti superiori a 30 euro;
              l'articolo 12, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, il cosiddetto decreto-legge «salva Italia», al fine di contrastare l'evasione fiscale ed il riciclaggio di denaro, ha ridotto da 2.500 euro a 1.000 euro la soglia per i pagamenti in contanti; per evitare ricadute negative sul settore del turismo tuttavia tale limite non si applica ai non residenti in Italia per i quali il limite per i pagamenti in contanti, nel commercio al dettaglio e per le agenzie di viaggi, è fissato a 15.000 euro;
              il regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, emanato in attuazione di quanto disposto dal comma 10 del citato articolo 12 dal Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto ministeriale 14 febbraio 2014, n.  51, fissa regole generali per assicurare la riduzione delle commissioni e le loro condizioni di trasparenza;
              le commissioni, oltre a remunerare i circuiti di pagamento e i servizi di issuing, coprono i costi finanziari relativi all'anticipazione delle somme transate all’acquirer e da questi al merchant, il rischio di mancata provvista futura (nelle carte di credito), la manutenzione e la sicurezza del sistema informatico;
              il regolamento (UE) n.  2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 19 maggio 2015, ha fissato tetti alle commissioni interbancarie, pari a 0,3 per cento per le carte di credito e a 0,2 per cento per le carte di debito, lasciando alcune decisioni sulle modalità di attuazione del regolamento agli Stati membri;
              il comunicato stampa del Ministero dello sviluppo economico del 28 luglio 2014, a seguito di un'analisi dei costi, ha evidenziato costi fissi in media intorno ai 2-5 euro mensili per terminali innovativi e intorno ai 10-15 euro per apparecchiature più tradizionali, che si traducono in un onere medio annuo tra 25-60 euro all'anno nel primo caso e 120-180 euro nel secondo;
              il ritardo dell'Italia nella diffusione dei pagamenti elettronici rispetto ad altri Paesi dell'eurozona va considerato anche alla luce dell'incessante innovazione tecnologica: nel 2014 è stato crescente l'impatto dei «new digital payment» – pagamenti a distanza (e-commerce), tramite smartphone (mpayment), in prossimità (contactless) – che in molti casi riducono ulteriormente la necessità di strumenti hardware. Secondo l'Osservatorio Mobile payment & commerce del Politecnico di Milano, i pagamenti digitali in Italia sono cresciuti del 3,6 per cento nel 2014 arrivando a quota 146 miliardi di euro, nonostante la riduzione dei consumi. Ma scorporando il dato è emerso che mentre i pagamenti di «vecchio tipo», con carta di credito o debito, sono avanzati dell'1,6 per cento (da 126 a 128 miliardi di euro), i cosiddetti «new digital payment» sono cresciuti del 20 per cento e valgono il 12 per cento del transato con carta, passando da 15 a 18 miliardi di euro, e che i primi dati del 2015 confermano il trend di avanzamento;
              secondo il rapporto statistico sulle frodi con le carte di pagamento del Ministero dell'economia e delle finanze, relativo all'anno 2013, il tasso di frode per il nostro Paese è pari allo 0,019 per cento; tale valore è inferiore tanto all'analogo valore di altri Paesi ad economia avanzata quali, ad esempio, Regno Unito, Francia ed Australia, quanto alla media dell'area Sepa (Area unica dei pagamenti in euro);
              l'attuazione delle disposizioni previste nella delega fiscale riguardanti in particolare l'implementazione della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, oltre che la nuova e rafforzata definizione delle frodi fiscali, l'introduzione del reato di autoriciclaggio, i rafforzamenti del falso in bilancio e l'adesione della maggior parte dei paesi, compresa la Svizzera, ai nuovi «Common reporting standard» per lo scambio di informazioni finanziarie, rendono più difficile la circolazione di denaro non tracciato creando le condizioni per una riduzione dei controlli massivi sul territorio da parte dell'amministrazione finanziaria e per rivedere la possibilità di alzare il limite di utilizzo di banconote e monete metalliche nelle transazioni,

impegna il Governo:

          a definire in tempi brevi l'attuazione del regolamento (UE) n.  2015/751 sui tetti alle commissioni interbancarie nelle parti in cui è lasciata la facoltà al Paese membro di adottare determinate misure, con la finalità di ridurre il costo dei mezzi di pagamento elettronici in Italia;
          ad assumere iniziative normative volte, da una parte, a incentivare gli strumenti di pagamento elettronici e a ridurne il costo e, dall'altra, contestualmente e condizionatamente, a valutare l'opportunità di rivedere la disciplina vigente in tema di uso del contante, ponendo l'Italia in linea con gli altri Stati europei che adottano restrizioni sulla circolazione della carta moneta e hanno raggiunto una significativa diffusione dei mezzi di pagamento diversi dal contante.
(1-00883) «Boccadutri, Causi, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Carella, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Sanga, Zoggia».


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto legge 6 dicembre 2001, n.  201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214 (cosiddetto «decreto salva Italia») ha ridotto da 2.500 a 1.000 euro la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo del denaro contante, degli assegni bancari e postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore;
              il combinato disposto dal decreto-legge «salva Italia» e la normativa antiriciclaggio di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n.  231, vieta il trasferimento del denaro contante anche nelle ipotesi di più pagamenti inferiori alla suddetta soglia ma strumentali alla medesima finalità ovvero la cui frazione sia oggetto di artifizio;
              l'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, ha stabilito che, a decorrere dal 1o gennaio 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 24 gennaio 2014, sono stati definiti gli ambiti di applicazione prevedendo l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito per tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro;
              l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito impone costi organizzativi ed economici connessi al doversi dotare di un pos (tecnologia di accettazione multipla di strumenti di pagamento). Tale imposizione risulta vessatoria per tutti i professionisti e le imprese italiane ai quali vengono imposte spese obbligatorie facilmente evitabili attraverso altri strumenti, quali, ad esempio, il bonifico elettronico e assegni bancari, strumenti che garantiscono gli stessi livelli di tracciabilità e di trasparenza per qualsiasi movimento di denaro;
              si introduce obbligatoriamente e ingiustamente un intermediario, la banca, alla quale viene garantito un introito aggiuntivo a discapito degli esercenti, pur non svolgendo alcun ruolo reale e concreto nel rapporto tra lo stesso e l'utente. Altresì, l'obbligo di dotazione di un pos genera un'ulteriore spesa fissa aggiuntiva anche per le nuove piccole e medie imprese (start-up);
              l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito non è legato al reddito dell'impresa o del professionista e, quindi, risulta maggiormente vessatorio per piccole e micro imprese;
              è considerata scorretta la pratica commerciale che richieda un sovrapprezzo dei costi per il completamento di una transazione elettronica con un fornitore di beni o servizi, ai sensi dell'articolo 21, comma 4-bis, del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n.  206, come modificato dall'articolo 15, comma 5-quater, del sopra citato decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221;
              in Italia si è registrato un elevato utilizzo di denaro contante, circostanza quest'ultima acuita a causa dei 15 milioni di cittadini privi di conto corrente o strumenti di pagamento o gestione del denaro. Gli elevati costi per la tenuta dei conti correnti – tra i più alti d'Europa – riducono la propensione all'utilizzo dei medesimi e dei connessi strumenti di pagamento elettronici. Inoltre, anche i costi per le transazioni tramite pos (point of sale) sono mediamente più elevati del 50 per cento rispetto ai principali Paesi europei;
              il comma 9 dell'articolo 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, ha stabilito che le imprese che gestiscono i circuiti di pagamento e le relative associazioni di categoria, entro nove mesi dall'approvazione del medesimo decreto, avrebbero dovuto indicare le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento. Nell'ipotesi di inottemperanza della medesima prescrizione si concede facoltà al Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico – sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato – di emanare un decreto con il quale disciplinare gli oneri a carico delle imprese ed il costo unitario del pagamento elettronico. Tuttavia, il decreto ministeriale 14 febbraio 2014, n.  51, non ha concretamente individuato le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in quanto privo di una definizione, anche quantitativa, dei limiti massimi delle commissioni;
              il 20 aprile 2015 il Consiglio europeo ha adottato un regolamento che fissa un massimale per le commissioni interbancarie sui pagamenti effettuati con carte di debito e di credito, prevedendo un tetto massimo pari allo 0,2 per cento per carte di debito e allo 0,3 per cento per le carte di credito;
              l'articolo 34, comma 7, della legge n.  183 del 2011 prevedeva la gratuità, sia per l'acquirente che per il venditore, delle transazioni regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti di importo inferiore ai 100 euro,

impegna il Governo:

          ad assumere ogni iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di:
              a) prevedere che l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applichi limitatamente ai pagamenti effettuati a favore dei soggetti esercenti e dei professionisti il cui fatturato sia superiore a duecentomila euro;
              b) escludere dall'obbligo tutte le nuove attività per i primi due anni di operatività;
              c) prevedere, per gli esercenti e i professionisti, la gratuità delle transazioni fino a 1.000 euro effettuate mediante carte di pagamento in modo simile a quanto precedentemente previsto per gli impianti di distribuzione di carburanti;
              d) a dare attuazione, in via generale ed al fuori dei suddetti casi, alle disposizioni di cui all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, definendo le regole generali per assicurare una concreta riduzione delle commissioni a carico degli esercenti e dei professionisti in relazione alle transazioni effettuate per il tramite di carte di pagamento e fissando, altresì, dei massimali da applicare alle medesime commissioni nei limiti individuati dal Consiglio europeo pari allo 0,2 per cento per le carte di debito e allo 0,3 per cento per le carte di credito.
(1-00884) «Alberti, Pesco, Ruocco, Cancelleri, Pisano, Crippa, Da Villa, Vallascas, Della Valle, Fantinati, Fico».


      La Camera,
          premesso che:
              negli ultimi anni si sta diffondendo sempre di più un mercato di pagamenti tramite moneta elettronica aperto all'interazione tra i diversi Paesi, conferendo dei sistemi comuni e in grado di offrire transazioni veloci attraverso qualsiasi strumento tecnologico;
              la diffusione della moneta elettronica sta crescendo esponenzialmente, tanto che secondo stime del centro di analisi e previsioni Berg Insight, se nel 2009 gli utenti che usufruivano di pagamenti elettronici erano circa 55 milioni, alla fine del 2015 saranno circa 894 milioni, registrando un aumento di circa il 60 per cento annuo;
              il legislatore è, dunque, intervenuto negli ultimi anni con provvedimenti volti ad introdurre una più stretta disciplina sulla circolazione del contante con la finalità di aumentare la tracciabilità dei movimenti finanziari, per contrastare sia il riciclaggio dei capitali sia l'evasione fiscale;
              il cosiddetto decreto-legge «salva Italia» (decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214) ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da euro 2.500 ad euro 1.000, la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore;
              a seguito di tali restrizioni, il decreto-legge 2 marzo 2012, n.  16 (cosiddetto decreto-legge «semplificazioni»), ha introdotto una deroga alle norme sulla limitazione del contante di acquisti effettuati da cittadini extra-Unione europea presso commercianti al minuto, nonché agenzie di viaggio e turismo ed ha disposto nuove sanzioni per i trasferimenti transfrontalieri di denaro contante. Il cosiddetto decreto-legge «semplificazioni» ha, dunque, previsto l'esonero dalla limitazione di euro 1.000 sull'utilizzo del contante per gli acquisti effettuati da turisti con cittadinanza extra-Unione europea, non residenti in Italia, presso specifici operatori;
              ulteriori restrizioni sono state inserite anche per le corresponsioni dei canoni di affitto: infatti, la legge di stabilità per il 2014 (legge n.  147 del 2013), al comma 50 dell'articolo 1, prevede che i canoni di locazione delle abitazioni non possono più essere pagati in contanti. Pertanto, indipendentemente dall'ammontare mensile del canone di locazione, per il pagamento dell'affitto devono essere utilizzati metodi di pagamenti che registrino la tracciabilità dei flussi di denaro;
              in merito alla disciplina sui pos (point of sale) il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 24 gennaio 2014 ha dato attuazione alla norma dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, che prevede l'obbligo, a decorrere dal 1o gennaio 2014, per i soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti e prestazione di servizi, anche professionali, di accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Il decreto del Ministero dello sviluppo economico, all'articolo 2, specifica che l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applica a tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti per l'acquisto di prodotti o la prestazione di servizi;
              è importante rilevare che all'interno dell'Unione europea ben 11 Paesi non hanno fissato alcun limite all'utilizzo del contante, mentre oltre all'Italia soltanto 5 Paesi hanno introdotto una soglia massima. Nello specifico, la Grecia di euro 1.500, la Spagna di euro 2.500, il Belgio e la Francia di euro 3.000, mentre solamente il Portogallo ha stabilito la soglia massima di utilizzo di contante a euro 1.000;
              a fronte di tali interventi normativi si è aperto un importante dibattito sul futuro della moneta fisica. Nello specifico, alcuni sostengono che lo sviluppo della moneta digitale soppianterà progressivamente l'uso del circolante, degli strumenti di pagamento tradizionali, nonché ad una progressiva riduzione dell'esigenza delle banche di detenere riserve in moneta della banca centrale. Ad avviso di altri, invece, è opportuno porre l'accento sulla semplicità dell'utilizzo del contante, sulla sua minore vulnerabilità, rispetto a strumenti di pagamento più sofisticati e, soprattutto, sull'anonimità ad essa associata;
              è importante rilevare che in un mondo digitale l'uso del contante rimane un'esigenza imprescindibile per il funzionamento dell'economia e, inoltre, le evidenze empiriche non sembrano indicare una riduzione del circolante nei Paesi più industrializzati: quelli cioè che avrebbero dovuto risentire, in via principale, delle conseguenze dell'uso della moneta digitale;
              da una statistica condotta dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca dei regolamenti internazionali e dalla Banca centrale europea emerge che tra il 1990 e il 2000 c’è stata una sostanziale invarianza del rapporto circolante/prodotto interno lordo nell'ambito dei G10 più l'Australia. Belgio, Francia e Svezia presentano una riduzione del rapporto circolante/prodotto interno lordo, mentre altri Paesi, quali l'Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, presentano un aumento dello stesso;
              un limite stringente alla circolazione del contante, così come previsto attualmente nell'ordinamento italiano, rappresenta l'ennesimo colpo a un'economia già in forte crisi, in cui la contrazione dei consumi ha penalizzato fortemente la ripresa. Senza dimenticare, infine, i costi che sostengono gli esercenti commerciali, i quali sono in tal modo costretti, loro malgrado, a cedere una fetta dei loro pagamenti agli istituti finanziari;
              se da una parte uno dei maggiori vantaggi del passaggio ad una moneta completamente elettronica porterebbe come beneficio una considerevole diminuzioni delle dimensioni dell'economia sommersa e illegale, dall'altra porterebbe ad una diminuzione nonché violazione della privacy del cittadino;
              ogni movimento sarebbe dunque tracciato, senza considerare il fatto che alle compagnie che offrono servizi di carte di credito e di debito verrebbe dato un potere più grande dovuto al possesso di informazioni molto più dettagliate sui singoli utenti;
              secondo uno studio Censis del 2014, soprattutto a fronte della crisi economica, gli italiani hanno preferito tenere i soldi liquidi, a disposizione per ogni evenienza. Infatti, il valore di contanti e depositi bancari è aumentato, secondo il Censis, di 234 miliardi di euro negli ultimi 7 anni: le consistenze sono passate dai 975 miliardi di euro del 2007 a 1.209 miliardi nel 2014, con un incremento del 9,2 per cento in termini reali. La liquidità costituisce, quindi, il 30 per cento del portafoglio delle attività finanziarie delle famiglie, mentre era solo il 25 per cento nell'anno prima della crisi;
              l'Istat, nell'indagine «I consumi degli italiani», segnala che il mezzo di pagamento più diffuso tra le famiglie è il denaro contante, soprattutto nel caso degli anziani, single (95,9 per cento) o in coppia (92,8 per cento). Il 37,9 per cento delle famiglie usa il bancomat e il 10,9 per cento la carta di credito;
              la Cgia di Mestre, attraverso uno studio, ha rilevato come nel nostro Paese l'utilizzo di banconote sia sempre più in crescita. Nel 2014 la massa monetaria complessiva ha raggiunto i 164,5 miliardi di euro e l'incremento percentuale è stato del 30,4 per cento, con una variazione dell'incidenza delle banconote sul prodotto interno lordo del + 2,4 per cento, con un aumento dell'inflazione del 10 per cento;
              è stato rilevato che circa 15 milioni di italiani non hanno un proprio conto corrente presso una banca e questo comporta inevitabilmente un diffuso utilizzo di contante. Ne deriva, quindi, che, non avendo alcun rapporto con gli istituti di credito, milioni di persone non utilizzano alcuna forma di pagamento tracciabile;
              un dato importante da rilevare è che non vi è una stretta correlazione tra l'utilizzo del contante e l'evasione fiscale. Infatti, seppur nel 2010 e 2011 l'utilizzo del contante sia diminuito, l'evasione, anziché conoscere una battuta d'arresto, è aumentata;
              a conferma di tale ipotesi, infatti, tra il 2000 e il 2012, l'utilizzo del denaro è rimasto stabile fino al giugno del 2008, mentre l'evasione fiscale ha registrato delle oscillazioni fino al 2006 per poi decrescere fino al 2010. Tra il 2010 e il 2011 l'utilizzo del contante si è ulteriormente abbassato e l'evasione, invece, è salita al 16 per cento del prodotto interno lordo, per poi regredire nel 2012 sotto al 14 per cento;
              in riferimento ai costi del pos (point of sale), relativi in particolar modo all'installazione e alla gestione, risultano abbastanza elevati considerato che hanno una componente fissa e una variabile. I costi fissi coprono la disponibilità dell'apparecchiatura pos e dipendono dalle diverse funzionalità che il terminale può offrire e dal tipo di tecnologia utilizzata per il collegamento, mentre i costi variabili sono legati al numero e all'ammontare delle transazioni effettuate dalla clientela e dipendono dal tipo di circuito utilizzato;
              dagli ultimi dati ufficiali (riferiti al dicembre 2012) della Banca dei regolamenti internazionali, peraltro ripresi anche nell'appendice della relazione annuale presentata da Banca d'Italia il 31 maggio 2015, emerge che in Italia sono installati nei punti di vendita 1.501.600 terminali pos, contro 1.834.000 della Francia e 720.000 della Germania;
              per quanto riguarda l'ammontare totale in euro delle transazioni, in Francia si attestano sui 398 miliardi, in Germania sui 174 miliardi e, infine, in Italia sui 160 miliardi. Inoltre, per l'utilizzo dei bonifici emergono differenze ancora più marcate tra i tre Paesi europei considerati, anche se in questo caso è la Germania (56.600 miliardi di euro) che supera di oltre il doppio la Francia (24.100 miliardi di euro) e di circa 7 volte l'Italia (7.800 miliardi di euro);
              all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» viene stabilito che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'Associazione bancaria italiana e le associazioni delle imprese rappresentative a livello nazionale avrebbero dovuto definire le regole generali per assicurare un'equilibrata riduzione delle commissioni a carico dei beneficiari delle transazioni effettuate mediante carte di pagamento;
              all'articolo 12, comma 10, del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» viene stabilito che, in caso di mancata definizione e applicazione delle misure definite ai sensi del comma 9, le stesse dovranno essere fissata con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
              alla luce di quanto previsto dalla normativa in vigore ed essendosi tenuti diversi incontri tra le associazioni di imprese, non è stato ancora raggiunto una sintesi su un testo che preveda una «equilibrata riduzione delle commissioni» nei tempi previsti;
              il Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto 14 febbraio 2014, n.  51, ha, invece, emanato un regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, ai sensi dell'articolo 12, commi 9 e 10, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214;
              tale regolamento non ha provveduto in alcun modo a dare attuazione a quanto stabilito dall'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, in merito alla definizione di «regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuale mediante carte di pagamento»;
              a febbraio 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha manifestato la volontà di alzare il limite di 1.000 euro a 3.000, al fine di «allentare la briglia» in favore di una maggiore flessibilità. L'innalzamento della soglia limite per l'utilizzo del contante, ha poi precisato Renzi, sarà varato solo dopo l'adozione del decreto legislativo sulla fattura elettronica;
              il 24 aprile 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, tre decreti attuativi della riforma fiscale (legge delega n.  23 del 2014), che ora passano alle Camere per il prescritto parere, tra i quali vi è anche quello relativo all'introduzione della «fatturazione elettronica». In particolare, quest'ultimo è volto ad introdurre misure volte ad incentivare, mediante la riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili, a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché di adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia di imposta sul valore aggiunto (iva) e le transazioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti, nonché a prevedere specifici strumenti di controllo relativamente alle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici;
              a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'approvazione di tale decreto sancisce, quindi, la possibilità da parte dell'attuale Governo di poter rispettare l'impegno di cui a febbraio 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi si era assunto la responsabilità in prima persona,

impegna il Governo:

          a porre in essere ogni iniziativa normativa al fine di procedere ad una revisione della disciplina attualmente in vigore in merito alla riduzione del limite per la tracciabilità e il contrasto all'uso del contante, innalzando la soglia limite dai 1000 euro ai 3000 euro, in armonia con quanto previsto negli altri principali Paesi europei;
          a dare piena attuazione alla disposizione di cui all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, al fine di stabilire regole generali per assicurare un'equilibrata riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, proseguendo celermente nella convocazione e nella tenuta dei tavoli tecnici presso il Ministero dello sviluppo economico, al fine di promuovere accordi fra sistema bancario e le associazioni imprenditoriali, volti all'abbattimento dei costi di gestione dei pos, assumendo iniziative per prevedere anche forme di defiscalizzazione degli oneri connessi all'installazione ed alla gestione dei dispositivi sotto forma di credito d'imposta;
          ad assumere iniziative per prevedere l'innalzamento dell'importo minimo oltre il quale si applica l'obbligo di accettare pagamenti elettronici o l'esclusione temporanea dal provvedimento dei settori di attività a basso margine di redditività, individuati attraverso apposito tavolo cui partecipino il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'economia e delle finanze e le parti sociali;
          ad assumere iniziative volte a incrementare la trasparenza delle diverse proposte commerciali delle banche, anche attraverso la pubblicizzazione dei valori della commissioni interbancarie delle diverse banche.
(1-00886) «Brunetta, Palese, Occhiuto».


      La Camera,
          premesso che:
              negli ultimi anni si sta diffondendo sempre di più un mercato di pagamenti tramite moneta elettronica aperto all'interazione tra i diversi Paesi, conferendo dei sistemi comuni e in grado di offrire transazioni veloci attraverso qualsiasi strumento tecnologico;
              la diffusione della moneta elettronica sta crescendo esponenzialmente, tanto che secondo stime del centro di analisi e previsioni Berg Insight, se nel 2009 gli utenti che usufruivano di pagamenti elettronici erano circa 55 milioni, alla fine del 2015 saranno circa 894 milioni, registrando un aumento di circa il 60 per cento annuo;
              il legislatore è, dunque, intervenuto negli ultimi anni con provvedimenti volti ad introdurre una più stretta disciplina sulla circolazione del contante con la finalità di aumentare la tracciabilità dei movimenti finanziari, per contrastare sia il riciclaggio dei capitali sia l'evasione fiscale;
              il cosiddetto decreto-legge «salva Italia» (decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214) ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da euro 2.500 ad euro 1.000, la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore;
              a seguito di tali restrizioni, il decreto-legge 2 marzo 2012, n.  16 (cosiddetto decreto-legge «semplificazioni»), ha introdotto una deroga alle norme sulla limitazione del contante di acquisti effettuati da cittadini extra-Unione europea presso commercianti al minuto, nonché agenzie di viaggio e turismo ed ha disposto nuove sanzioni per i trasferimenti transfrontalieri di denaro contante. Il cosiddetto decreto-legge «semplificazioni» ha, dunque, previsto l'esonero dalla limitazione di euro 1.000 sull'utilizzo del contante per gli acquisti effettuati da turisti con cittadinanza extra-Unione europea, non residenti in Italia, presso specifici operatori;
              ulteriori restrizioni sono state inserite anche per le corresponsioni dei canoni di affitto: infatti, la legge di stabilità per il 2014 (legge n.  147 del 2013), al comma 50 dell'articolo 1, prevede che i canoni di locazione delle abitazioni non possono più essere pagati in contanti. Pertanto, indipendentemente dall'ammontare mensile del canone di locazione, per il pagamento dell'affitto devono essere utilizzati metodi di pagamenti che registrino la tracciabilità dei flussi di denaro;
              in merito alla disciplina sui pos (point of sale) il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 24 gennaio 2014 ha dato attuazione alla norma dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, che prevede l'obbligo, a decorrere dal 1o gennaio 2014, per i soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti e prestazione di servizi, anche professionali, di accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Il decreto del Ministero dello sviluppo economico, all'articolo 2, specifica che l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applica a tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti per l'acquisto di prodotti o la prestazione di servizi;
              è importante rilevare che all'interno dell'Unione europea ben 11 Paesi non hanno fissato alcun limite all'utilizzo del contante, mentre oltre all'Italia soltanto 5 Paesi hanno introdotto una soglia massima. Nello specifico, la Grecia di euro 1.500, la Spagna di euro 2.500, il Belgio e la Francia di euro 3.000, mentre solamente il Portogallo ha stabilito la soglia massima di utilizzo di contante a euro 1.000;
              a fronte di tali interventi normativi si è aperto un importante dibattito sul futuro della moneta fisica. Nello specifico, alcuni sostengono che lo sviluppo della moneta digitale soppianterà progressivamente l'uso del circolante, degli strumenti di pagamento tradizionali, nonché ad una progressiva riduzione dell'esigenza delle banche di detenere riserve in moneta della banca centrale. Ad avviso di altri, invece, è opportuno porre l'accento sulla semplicità dell'utilizzo del contante, sulla sua minore vulnerabilità, rispetto a strumenti di pagamento più sofisticati e, soprattutto, sull'anonimità ad essa associata;
              è importante rilevare che in un mondo digitale l'uso del contante rimane un'esigenza imprescindibile per il funzionamento dell'economia e, inoltre, le evidenze empiriche non sembrano indicare una riduzione del circolante nei Paesi più industrializzati: quelli cioè che avrebbero dovuto risentire, in via principale, delle conseguenze dell'uso della moneta digitale;
              da una statistica condotta dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca dei regolamenti internazionali e dalla Banca centrale europea emerge che tra il 1990 e il 2000 c’è stata una sostanziale invarianza del rapporto circolante/prodotto interno lordo nell'ambito dei G10 più l'Australia. Belgio, Francia e Svezia presentano una riduzione del rapporto circolante/prodotto interno lordo, mentre altri Paesi, quali l'Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, presentano un aumento dello stesso;
              un limite stringente alla circolazione del contante, così come previsto attualmente nell'ordinamento italiano, rappresenta l'ennesimo colpo a un'economia già in forte crisi, in cui la contrazione dei consumi ha penalizzato fortemente la ripresa. Senza dimenticare, infine, i costi che sostengono gli esercenti commerciali, i quali sono in tal modo costretti, loro malgrado, a cedere una fetta dei loro pagamenti agli istituti finanziari;
              se da una parte uno dei maggiori vantaggi del passaggio ad una moneta completamente elettronica porterebbe come beneficio una considerevole diminuzioni delle dimensioni dell'economia sommersa e illegale, dall'altra porterebbe ad una diminuzione nonché violazione della privacy del cittadino;
              ogni movimento sarebbe dunque tracciato, senza considerare il fatto che alle compagnie che offrono servizi di carte di credito e di debito verrebbe dato un potere più grande dovuto al possesso di informazioni molto più dettagliate sui singoli utenti;
              secondo uno studio Censis del 2014, soprattutto a fronte della crisi economica, gli italiani hanno preferito tenere i soldi liquidi, a disposizione per ogni evenienza. Infatti, il valore di contanti e depositi bancari è aumentato, secondo il Censis, di 234 miliardi di euro negli ultimi 7 anni: le consistenze sono passate dai 975 miliardi di euro del 2007 a 1.209 miliardi nel 2014, con un incremento del 9,2 per cento in termini reali. La liquidità costituisce, quindi, il 30 per cento del portafoglio delle attività finanziarie delle famiglie, mentre era solo il 25 per cento nell'anno prima della crisi;
              l'Istat, nell'indagine «I consumi degli italiani», segnala che il mezzo di pagamento più diffuso tra le famiglie è il denaro contante, soprattutto nel caso degli anziani, single (95,9 per cento) o in coppia (92,8 per cento). Il 37,9 per cento delle famiglie usa il bancomat e il 10,9 per cento la carta di credito;
              la Cgia di Mestre, attraverso uno studio, ha rilevato come nel nostro Paese l'utilizzo di banconote sia sempre più in crescita. Nel 2014 la massa monetaria complessiva ha raggiunto i 164,5 miliardi di euro e l'incremento percentuale è stato del 30,4 per cento, con una variazione dell'incidenza delle banconote sul prodotto interno lordo del + 2,4 per cento, con un aumento dell'inflazione del 10 per cento;
              è stato rilevato che circa 15 milioni di italiani non hanno un proprio conto corrente presso una banca e questo comporta inevitabilmente un diffuso utilizzo di contante. Ne deriva, quindi, che, non avendo alcun rapporto con gli istituti di credito, milioni di persone non utilizzano alcuna forma di pagamento tracciabile;
              un dato importante da rilevare è che non vi è una stretta correlazione tra l'utilizzo del contante e l'evasione fiscale. Infatti, seppur nel 2010 e 2011 l'utilizzo del contante sia diminuito, l'evasione, anziché conoscere una battuta d'arresto, è aumentata;
              a conferma di tale ipotesi, infatti, tra il 2000 e il 2012, l'utilizzo del denaro è rimasto stabile fino al giugno del 2008, mentre l'evasione fiscale ha registrato delle oscillazioni fino al 2006 per poi decrescere fino al 2010. Tra il 2010 e il 2011 l'utilizzo del contante si è ulteriormente abbassato e l'evasione, invece, è salita al 16 per cento del prodotto interno lordo, per poi regredire nel 2012 sotto al 14 per cento;
              in riferimento ai costi del pos (point of sale), relativi in particolar modo all'installazione e alla gestione, risultano abbastanza elevati considerato che hanno una componente fissa e una variabile. I costi fissi coprono la disponibilità dell'apparecchiatura pos e dipendono dalle diverse funzionalità che il terminale può offrire e dal tipo di tecnologia utilizzata per il collegamento, mentre i costi variabili sono legati al numero e all'ammontare delle transazioni effettuate dalla clientela e dipendono dal tipo di circuito utilizzato;
              dagli ultimi dati ufficiali (riferiti al dicembre 2012) della Banca dei regolamenti internazionali, peraltro ripresi anche nell'appendice della relazione annuale presentata da Banca d'Italia il 31 maggio 2015, emerge che in Italia sono installati nei punti di vendita 1.501.600 terminali pos, contro 1.834.000 della Francia e 720.000 della Germania;
              per quanto riguarda l'ammontare totale in euro delle transazioni, in Francia si attestano sui 398 miliardi, in Germania sui 174 miliardi e, infine, in Italia sui 160 miliardi. Inoltre, per l'utilizzo dei bonifici emergono differenze ancora più marcate tra i tre Paesi europei considerati, anche se in questo caso è la Germania (56.600 miliardi di euro) che supera di oltre il doppio la Francia (24.100 miliardi di euro) e di circa 7 volte l'Italia (7.800 miliardi di euro);
              all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» viene stabilito che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'Associazione bancaria italiana e le associazioni delle imprese rappresentative a livello nazionale avrebbero dovuto definire le regole generali per assicurare un'equilibrata riduzione delle commissioni a carico dei beneficiari delle transazioni effettuate mediante carte di pagamento;
              all'articolo 12, comma 10, del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» viene stabilito che, in caso di mancata definizione e applicazione delle misure definite ai sensi del comma 9, le stesse dovranno essere fissata con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
              alla luce di quanto previsto dalla normativa in vigore ed essendosi tenuti diversi incontri tra le associazioni di imprese, non è stato ancora raggiunto una sintesi su un testo che preveda una «equilibrata riduzione delle commissioni» nei tempi previsti;
              il Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto 14 febbraio 2014, n.  51, ha, invece, emanato un regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, ai sensi dell'articolo 12, commi 9 e 10, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214;
              tale regolamento non ha provveduto in alcun modo a dare attuazione a quanto stabilito dall'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, in merito alla definizione di «regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuale mediante carte di pagamento»;
              a febbraio 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha manifestato la volontà di alzare il limite di 1.000 euro a 3.000, al fine di «allentare la briglia» in favore di una maggiore flessibilità. L'innalzamento della soglia limite per l'utilizzo del contante, ha poi precisato Renzi, sarà varato solo dopo l'adozione del decreto legislativo sulla fattura elettronica;
              il 24 aprile 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, tre decreti attuativi della riforma fiscale (legge delega n.  23 del 2014), che ora passano alle Camere per il prescritto parere, tra i quali vi è anche quello relativo all'introduzione della «fatturazione elettronica». In particolare, quest'ultimo è volto ad introdurre misure volte ad incentivare, mediante la riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili, a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché di adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia di imposta sul valore aggiunto (iva) e le transazioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti, nonché a prevedere specifici strumenti di controllo relativamente alle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici;
              a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'approvazione di tale decreto sancisce, quindi, la possibilità da parte dell'attuale Governo di poter rispettare l'impegno di cui a febbraio 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi si era assunto la responsabilità in prima persona,

impegna il Governo:

          a dare piena attuazione alla disposizione di cui all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, al fine di stabilire regole generali per assicurare un'equilibrata riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, proseguendo celermente nella convocazione e nella tenuta dei tavoli tecnici presso il Ministero dello sviluppo economico, al fine di promuovere accordi fra sistema bancario e le associazioni imprenditoriali, volti all'abbattimento dei costi di gestione dei pos, assumendo iniziative per prevedere anche forme di defiscalizzazione degli oneri connessi all'installazione ed alla gestione dei dispositivi sotto forma di credito d'imposta;
          a porre in essere, nel contesto creato dall'iniziativa di cui all'impegno precedente, ogni iniziativa normativa al fine di procedere ad una revisione della disciplina attualmente in vigore in merito alla riduzione del limite per la tracciabilità e il contrasto all'uso del contante, innalzando la soglia limite in armonia con quanto previsto negli altri principali Paesi europei;
          a valutare l'opportunità di assumere iniziative per prevedere l'innalzamento dell'importo minimo oltre il quale si applica l'obbligo di accettare pagamenti elettronici o l'esclusione temporanea dal provvedimento dei settori di attività a basso margine di redditività, individuati attraverso apposito tavolo cui partecipino il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'economia e delle finanze e le parti sociali;
          ad assumere iniziative volte a incrementare la trasparenza delle diverse proposte commerciali delle banche, anche attraverso la pubblicizzazione dei valori della commissioni interbancarie delle diverse banche.
(1-00886)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Brunetta, Palese, Occhiuto».


      La Camera,
          premesso che:
              a partire dal 2008, il legislatore è intervenuto numerose volte per disciplinare l'uso del contante attraverso la fissazione di tetti massimi sempre più bassi e l'introduzione di regole sempre più stringenti sulla tracciabilità dei pagamenti, con il fine di contrastare non soltanto il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita, ma anche i fenomeni di elusione e di evasione fiscale;
              il primo intervento in questa materia risale all'inizio degli anni ’90, con il decreto-legge n.  143 del 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  197 del 1991, che ha introdotto un limite, relativo all'uso del contante, degli assegni liberi e dei libretti al portatore, pari a 12.500 euro. Nell'aprile 2008, però, con l'entrata in vigore del decreto legislativo «antiriciclaggio» 21 novembre 2007, n.  231 (emanato in attuazione della direttiva 2005/60/CE e della direttiva 2006/70/ CE), si è cercato di abbassare suddetto limite a euro 5.000. La nuova soglia è, però, rimasta in vigore per pochissimo tempo fino a quando, con il decreto-legge n.  112 del 2008, si è provveduto a ripristinarla al valore precedente di 12.500 euro. Successivamente, questa è stata nuovamente abbassata a euro 5.000, con l'entrata in vigore del decreto-legge n.  78 del 2010, per poi dimezzarsi a euro 2.500 ad opera decreto-legge n.  138 del 2011;
              gli ultimi interventi legislativi più importanti sono stati introdotti con il decreto-legge «salva Italia» (decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214), il decreto-legge «semplificazioni» (decreto-legge 2 marzo 2012, n.  16, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n.  35);
              l'articolo 12 del decreto-legge n.  201 del 2011 ha, infatti, modificato l'articolo 49, comma 1, del decreto legislativo n.  231 del 2007, riducendo la soglia dei pagamenti da euro 2.500 a 1.000 per i pagamenti in contanti e l'utilizzo di assegni bancari/postali trasferibili, dei vaglia bancari o postali al portatore, nonché dei libretti di deposito bancari o postali al portatore;
              con il decreto-legge «semplificazioni» si è, invece, introdotta una deroga alle norme sulla limitazione del contante in caso di acquisto di beni e servizi da parte dei cittadini extra-Unione europea presso i commercianti al minuto e le agenzie di viaggio e turismo e si sono introdotte, al contempo, nuove sanzioni per i trasferimenti transfrontalieri di denaro contante;
              per effetto dell'articolo 12 del decreto-legge «salva Italia», che ha a sua volta modificato il decreto legislativo «antiriciclaggio», è quindi vietato il trasferimento di denaro contante e di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, anche privati, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a euro 1.000. Ugualmente si è vietato il trasferimento con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati, ossia riferiti ad «un'operazione unitaria sotto il profilo economico di valore pari o superiore ai limiti stabiliti (...), posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni, ferma restando la sussistenza dell'operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale». Il frazionamento è, quindi, ammesso soltanto quando questo sia connaturato all'operazione commerciale (come per i contratti periodici) o conseguenza di un preventivo accordo tra le parti (pagamento rateale) e operazioni di prelievo e/o versamento di denaro contante richieste da un cliente ad una banca;
              tale norma trova applicazione anche per il money transfer, ossia nel caso di trasferimento fondi all'estero, per i quali soltanto sotto la soglia dei 1.000 euro è possibile il trasferimento di fondi senza obblighi di documentazione;
              unica deroga a questo regime è prevista dal successivo decreto-legge «semplificazioni» che ha previsto, per gli operatori del settore del commercio al minuto e le agenzie di viaggio e turismo la possibilità di vendere beni e servizi a cittadini stranieri non residenti in Italia, entro il limite di 15.000 euro, ma gli adempimenti a carico del cedente del bene o del prestatore del servizio restano comunque onerosi ed è possibile usufruire di tale deroga soltanto quando l'acquirente sia una persona fisica, che non abbia cittadinanza italiana né quella di uno dei Paesi dell'Unione europea e dello spazio economico europeo (Liechtenstein, Islanda e Norvegia) e risieda al di fuori del territorio dello Stato. Le obbligazioni da rispettate consistono, infatti: nell'acquisizione dal cliente della fotocopia del passaporto e dell'apposita autocertificazione ex decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.  445, attestante la residenza (non italiana); nel versare il denaro incassato sul proprio conto corrente entro il primo giorno feriale successivo all'operazione; nel consegnare alla banca o alla posta copia della ricevuta della comunicazione all'Agenzia delle entrate, da effettuare esclusivamente in via telematica;
              tali misure, oltre ad aver generato un aumento degli oneri finanziari e delle commissioni sulle singole transazioni a carico dei cittadini e a favore del sistema bancario, sta determinando da tempo gravi ripercussioni su più settori, come il turismo e il commercio, laddove sono sempre di più i turisti italiani che preferiscono trascorrere i viaggi o i periodi di vacanza in altri Paesi dove possono pagare comodamente con denaro contante, piuttosto che restare in Italia e pagare con carta di credito o assegno bancario, ma, soprattutto, ne stanno risentendo i flussi turistici provenienti dall'estero, in particolare da quelle aree o quei Paesi per cui non è possibile avere la deroga (Unione europea e spazio economico europeo), che, come denunciano gli operatori del settore, hanno subito un gravoso calo dovuto alle nuove imposizioni sulla normativa in materia di tracciabilità. Ugualmente, per i turisti provenienti da Paesi che rientrano nel regime derogatorio, gli eccessivi adempimenti a carico degli operatori, ricadenti inequivocabilmente anche sui cittadini extra Unione europea, frenano l'acquisto di beni e servizi nel nostro Paese da parte di questi turisti, dirottandoli verso mete estere. Questo accade specialmente nelle aree transfrontaliere, dove, per alloggiare e fare acquisti, i turisti esteri possono facilmente e velocemente raggiungersi località in cui non sono vigenti oneri né soglie, o in ogni caso, la circolazione di cartamoneta liquida non è soggetta ad un limite così basso;
              inoltre, nelle zone transfrontaliere gli operatori economici di ogni settore risultano oltremodo svantaggiati: il loro volume degli affari diminuisce anche a causa degli stessi cittadini italiani che, abitando nelle zone di confine, possono facilmente recarsi nel territorio dei Paesi confinanti non soltanto per acquistare beni o servizi, ma anche per svolgere qualsiasi tipo di attività economica, compresa l'apertura di esercizi commerciali o attività d'impresa;
              l'Italia, infatti, insieme al solo Portogallo, è il Paese europeo con il limite più basso: la Francia e il Belgio hanno stabilito a 3.000 euro il valore massimo di uso di contante, 2.500 euro la Spagna, 1.500 euro la Grecia, mentre ben 11 Paesi non prevedono alcun limite, tra cui l'Austria e la Slovenia. Questi ultimi due, in particolare, sono proprio i due Paesi confinanti con l'Italia che hanno maggiormente giovato dell'introduzione del limite all'uso della cartamoneta in Italia, vedendo riversarsi nei loro confini non soltanto i turisti che, senza una tale normativa, avrebbero scelto il nostro Paese, ma anche le stesse attività economiche e commerciali italiane di qualsiasi natura e comparto, con conseguente sottrazione di prodotto interno lordo italiano;
              da tempo gli operatori economici richiedono che sia rivista tale soglia. La giustificazione addotta all'introduzione di una simile normativa, ossia la lotta all'evasione e all'elusione fiscale sembra da tempo essersi rivelata infondata. Da ultimo, anche un recente studio della Cgia di Mestre ha confermato come, nonostante l'introduzione di tali misure, l'evasione fiscale non abbia registrato alcun trend in diminuzione;
              innanzitutto è necessario mettere in evidenza come, in Italia, la percentuale di unbanked, ossia persone che non hanno un conto corrente postale o bancario, raggiunga il 29 per cento della popolazione, pari a circa 15 milioni, rispetto alle percentuali molto più basse in Francia e Regno Unito (3 per cento) e Germania (2 per cento);
              le cause di questo fenomeno sono da ricercare in ragioni culturali e sociali di una parte del nostro Paese in cui molti cittadini, di età avanzata e con un basso livello di istruzione, preferiscono tenere il denaro liquido piuttosto che depositarlo in una banca o alla posta, anche in ragione degli elevati costi richiesti per l'apertura e la tenuta di un conto corrente;
              quindi, nonostante l'Italia abbia il limite più basso d'Europa, questo non sembra aver apportato effetti benefici alla lotta contro il fenomeno dell'evasione e dell'elusione fiscale, poiché non sembra esserci alcuna correlazione tra il limite all'uso di denaro contante e il rapporto tra la base imponibile iva non dichiarata e il prodotto interno lordo. Le ricerche della Cgia hanno, infatti, dimostrato come: «Tra il 2000 e il 2012 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili), a fronte di una soglia limite all'uso del denaro che è rimasta pressoché stabile fino al giugno 2008, l'evasione ha registrato un andamento altalenante fino al 2006 per poi scivolare progressivamente fino al 2010. Se tra il 2010 e l'anno successivo l’“asticella” del limite al contante si è ulteriormente abbassata (passando da 5.000 a 1.000 euro), l'evasione, invece, è salita fino a sfiorare il 16 per cento del prodotto interno lordo, per poi ridiscendere nel 2012 sotto quota 14 per cento»;
              dunque, l'unico effetto positivo della limitazione dell'uso del contante è ascrivibile alla lotta al riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite, il cui volume non è però rilevato nelle statistiche ufficiali;
              di converso, gli effetti depressivi sul prodotto interno lordo sono certi anche se difficilmente quantificabili;
              a ciò si aggiunge un'ulteriore difficoltà degli operatori economici, di non minore importanza: con l'articolo 15, commi 4 e 5, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese» (convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221), si è infatti introdotto l'obbligo del pagamento elettronico per le prestazioni professionali;
              la disciplina prevede che «a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito». Il decreto ministeriale, così come stabilito del decreto-legge, ha successivamente stabilito a 30 euro l'importo minimo oltre il quale si rende obbligatorio per gli esercenti accettare il pagamento elettronico da parte del cliente;
              una simile previsione è andata soltanto ad aggravare ulteriormente gli esercenti, senza alcun particolare vantaggio per i consumatori, la maggior parte dei quali, secondo ripetute stime, non sente la necessità di dover cambiare le proprie abitudini di pagamento;
              mentre, per i consumatori, normalmente, non sono previste commissioni, non è così per gli esercenti che sono costretti a versare alle banche delle esose commissioni, quasi fosse un'imposta aggiuntiva gravante su questa parte di contribuenti. La percentuale di commissioni da versare agli istituti di credito, calcolata sugli importi incassati mediante carta di credito o di debito, è pari a: in caso di bancomat, dallo 0,5 allo 0,7 per cento e, in caso di carte di credito o prepagate, dall'1 fino al 4 per cento. A questi costi si devono poi sommare la spesa per l'affitto del pos per un costo totale che raggiunge il 2-3 per cento del fatturato;
              per i consumatori esiste, altresì, il rischio che le società di emissione e di gestione delle carte di credito, o talvolta anche le società che governano i circuiti di pagamento, possano strumentalmente utilizzare i dati sugli acquisti effettuati dai clienti per fornire, ad uso commerciale, informazioni a terzi circa le preferenze di questi ultimi;
              nonostante le proteste degli esercenti e delle loro rappresentanze (Confesercenti ha subito stimato una spesa aggiuntiva per le piccole e medie imprese pari a 5 miliardi di euro ogni anno), i Governi che sia sono succeduti dal 2012 ad oggi sono sempre rimasti impassibili di fronte alle difficoltà che questi hanno sollevato nei confronti dei maggiori oneri a cui sono stati sottoposti, continuando a ritenere tali misure strumenti adeguati per la lotta all'evasione, mentre invece, come nel caso del limite all'uso del contante, questa sembra essere una normativa vantaggiosa esclusivamente per il settore bancario che in questo modo aumenta in modo certo i propri profitti;
              sembra doveroso ed opportuno, dopo aver assistito a quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare una perseverante opera di sostegno dei poteri economici forti del Paese, occuparsi ora in maniera concreta e tangibile delle problematiche ricadenti sulle piccole e medie imprese, sui commercianti e sui professionisti in generale, soprattutto per le gravi difficoltà economiche che questi sono ancora costretti a dover fronteggiare, perché la strada per uscire dalla crisi è ancora molto lunga e tortuosa,

impegna il Governo:

          ad assumere le opportune iniziative normative e, in particolare, regolamentari al fine di:
              a) anteporre necessariamente all'introduzione di soglie massime all'uso del contante, quale efficace misura di contrasto all'evasione fiscale, il preliminare accordo con gli altri Paesi dell'Unione europea e, in particolare, con quelli confinanti con l'Italia per la definizione di soglie uguali per tutti, al fine di evitare effetti distorsivi della concorrenza;
              b) in mancanza del suddetto accordo, eliminare qualsiasi limite all'uso e alla circolazione di denaro contante in Italia, valutate l'inefficacia di un simile strumento nella lotta all'evasione fiscale e la perdita di prodotto interno lordo conseguente ai danni che tale normativa sta arrecando a tutti i settori economici del Paese, soprattutto nelle zone transfrontaliere e, tra queste, in particolar modo in quelle confinanti con Austria e Slovenia, come specificato in premessa;
              c) a fare in modo che il sistema bancario adotti percentuali maggiormente favorevoli sulle commissioni dovute per il pagamento elettronico imposto ai soggetti dell'articolo 15, commi 4 e 5, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, assicurando, altresì, una maggior tutela della tracciabilità dei dati sugli acquisti effettuati affinché le società interessate al sistema di pagamento telematico non utilizzino in maniera impropria le propensioni all'acquisto e le preferenze commerciali dei clienti.
(1-00891) «Busin, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


      La Camera,
          premesso che:
              il tema della circolazione della moneta contante è stato oggetto non solo di frequenti dibattiti legati all'evasione e all'evasione fiscale, al riciclaggio e alla necessità della tracciabilità delle transazioni come uno dei relativi metodi di contrasto ma anche di una serie di provvedimenti restrittivi volti a limitarne l'utilizzo in favore di metodi alternativi di pagamento come quelli elettronici;
              secondo quanto si evince dai dati statistici resi noti in audizione alle Commissioni riunite VI e X dalla Camera dei deputati il 13 gennaio 2015, in Italia l'utilizzo del contante è ancora il metodo di pagamento preferito dagli italiani e questo comporta maggiori costi sociali per i pagamenti nonché minore rapidità e trasparenza negli scambi;
              nel 2009, in Italia, 90 transazioni su 100 avvenivano in contanti mentre la media europea era 70. Nel 2012 i pagamenti in contanti si sono ridotti a 87 su 100, ma la media UE è scesa a 60 su 100. Resta, dunque, elevato il ritardo nell'utilizzo di strumenti alternativi che nel nostro Paese si attesta a 75 operazioni annuali per abitante a fronte di circa 194 nell'area dell'euro;
              secondo i dati ISTAT il denaro contante è utilizzato dall'86,3 per cento delle famiglie italiane ed è diffuso in larga misura tra gli anziani single (95,9 per cento) o in coppia (92,8 per cento). Il 37,9 per cento delle famiglie usa il bancomat e il 10,9 per cento la carta di credito: a ricorrere ai sistemi di pagamento automatico sono soprattutto i giovani-adulti (single o in coppia senza figli) e le coppie con 1 o 2 figli. Lo strumento di pagamento meno utilizzato da tutte le famiglie è l'assegno (appena l'1,1 per cento). Nel nostro Paese solo il 13 per cento delle transazioni viene saldato con mezzi di pagamento elettronici, contro una media del 40 per cento dell'Unione europea. In termini di operazioni pro capite con strumenti elettronici di pagamento l'Italia i davanti solo alla Grecia;
              tra le cause che determinano l'enorme uso del contante vi è il numero elevato di italiani che non sono in possesso di un conto corrente bancario a che, pertanto, non utilizzano alcun metodo di pagamento tracciabile ovvero non usano carte di credito o assegni elettronici;
              in Italia i pagamenti elettronici sono in crescita ma a ritmi inferiori rispetto a quelli di altri Paesi; nel 2013 nel nostro Paese sono aumentate del 9 per cento le operazioni di pagamento elettroniche (bonifici automatizzati, carte POS, addebiti preautorizzati) e, tra queste, i pagamenti via internet sono cresciuti del 30 per cento;
              secondo una elaborazione dell'Ufficio studi della Cgia di Mestre, infatti, in Italia ci sono 15 milioni di unbanked. Lo studio, che verte su dati della Commissione Ue, considera i cittadini europei con più di 15 anni di età che non dispongono di un conto corrente bancario. In Italia, questi sono quasi 15 milioni (il 29 per cento degli italiani over 15). Seguono Paesi come la Romania con poco più di 9.860.000 persone (55 per cento del totale) e la Polonia con poco meno di 9.700.000 cittadini (30 per cento). In Francia e nel Regno Unito i cosiddetti «unbanked» sono in entrambi i Paesi poco più di un milione e mezzo (pari al 3 per cento della popolazione con più di 15 anni). In Germania, invece, la soglia di coloro che non detengono un conto corrente si abbassa a poco più di un milione e quattrocentomila persone (2 per cento);
              altra causa che determina in maniera rilevante il minore utilizzo di metodi di pagamento elettronici è sicuramente la mancanza di incentivi all'utilizzo del POS (Point of sale) per gli esercenti;
              le elevate commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, che in media sono più elevati del 50 per cento rispetto agli altri Paesi europei, nonché gli altri costi di installazione e di gestione annuale delle apparecchiature non incoraggiano i commercianti a rendere disponibile alla clientela il metodo di pagamento tramite carta di credito o bancomat;
              l'installazione e la gestione dei POS, infatti, comprendono un canone annuale per l'affitto dell'apparecchiatura a il mantenimento di una linea telefonica dedicata più o meno costosa a seconda della velocità della transazione. Ne consegue che il migliore incentivo alla diffusione dei POS non e costituito dalla sua obbligatorietà, ma dalla riduzione dei costi di gestione;
              il comunicato stampa del Ministero dello sviluppo economico del 28 luglio 2014, a seguito di un'analisi dei costi, ha evidenziato, infatti, costi fissi in media intorno ai 2-5 euro mensili per terminali innovativi e intorno ai 10-15 euro per apparecchiature più tradizionali, che si traducono in un onere medio annuo tra 25-60 euro all'anno nel primo caso e 120-180 euro nel secondo; ciò a fronte di un onere medio della gestione del contante stimato intorno all'1-1,5 per cento rispetto all'entità delle transazioni;
              a dimostrazione di quanto sia esoso per gli esercenti assicurare ai clienti questa forma di pagamento vi è il paragone con gli altri Paesi europei: i pagamenti tramite POS in Francia, ad esempio, sono più del doppio di quelli dell'Italia (398 miliardi di euro contro 160 miliardi) eppure i terminali installati Oltralpe non sono molti di più (1.834.000 contro 1.501.600). Il confronto con la Germania è ancora più indicativo, alla luce degli ultimi dati ufficiali (Banca dei regolamenti Internazionali, dicembre 2012); in quel Paese ci sono infatti meno POS che in Italia (720 mila), ma vengono usati per più transazioni (174 miliardi di euro);
              invero, la necessità di incentivare l'utilizzo di POS riducendo le commissioni a carico degli esercenti è stata già accolta dal legislatore; infatti il comma 9 dell'articolo 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, ha previsto che le imprese che gestiscono i circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese devono definire le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento; il comma 10 del medesimo articolo 12 ha stabilito che, in caso di mancata definizione e applicazione delle misure di cui al predetto comma 9, le stesse fossero fissate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Analogamente, il comma 5 dell'articolo 15 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221, ha previsto che il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, disciplinasse le modalità di attuazione della disposizione anche con riferimento agli oneri a carico delle imprese ed al costo unitario del pagamento elettronico;
              in attuazione di quanto disposto dal comma 10 del citato articolo 12, con decreto ministeriale 14 febbraio 2014, n.  51, è stato emanato il regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, che fissa regole generali per assicurare la riduzione delle commissioni e le loro condizioni di trasparenza. Ai sensi di tale decreto le commissioni, oltre a remunerare i circuiti di pagamento e i servizi di issuing, coprono i costi finanziari relativi all'anticipazione delle somme transate all’acquirer e da questi al merchant, il rischio di mancata provvista futura (nelle carte di credito), la manutenzione e la sicurezza del sistema informatico;
              il regolamento (UE) n.  2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 19 maggio 2015, ha fissato tetti alle commissioni interbancarie, pari a 0,3 per cento per le carte di credito e a 0,2 per cento per le carte di debito, lasciando alcune decisioni sulle modalità di attuazione del regolamento agli Stati membri;
              per quanto riguarda invece la disciplina della circolazione della moneta contante, il legislatore italiano è intervenuto più volte per limitarne l'utilizzo;
              l'ultimo provvedimento che ha ridotto la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore è il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, (cosiddetto decreto «Salva Italia»). A decorrere dal 6 dicembre 2011, infatti, la soglia si è abbassata da 2.500 a 1.000 euro; il divieto di violare tale limite si applica a tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato, qualunque sia la loro nazionalità. I soggetti sanzionabili sono sia colui che ha pagato sia colui che ha riscosso gli importi, ivi compreso il lavoratore dipendente che abbia accettato il pagamento dello stipendio superiore a 999 euro in contanti; per evitare ricadute negative sul settore del turismo tuttavia tale limite non si applica ai non residenti in Italia per i quali il limite per i pagamenti in contanti, nel commercio al dettaglio e per le agenzie di viaggi, è fissato a 15.000 euro;
              attualmente, dunque, sono consentita transazioni in contanti fino a 999,99 euro mentre per importi pari o superiori a 1000,00 euro occorre rivolgersi a banche, istituti di moneta elettronica od a Poste italiane spa;
              di contro, però, secondo quanto si evince dalle analisi della CGIA di Mestre del febbraio 2015, l'ammontare di banconote in circolazione nel nostro Paese nel 2014 è cresciuto e ha sfiorato i 164,5 miliardi di euro. Negli ultimi sette anni di crisi l'incremento percentuale è stato del 30,4 per cento a fronte di una variazione dell'incidenza delle banconote sul Pil del +2,4 per cento e di un aumento dell'inflazione che ha sfiorato il 10 per cento;
              la riduzione della soglia di pagamento in contanti sembra, quindi, non aver incentivato l'utilizzo di metodi di pagamento elettronici e appare altrettanto evidente che non esista una stretta e diretta correlazione tra l'utilizzo del denaro contante e l'evasione fiscale che, invero, sembrerebbe maggiormente causata dall'incisività della pressione fiscale;
              infatti, nonostante l'Italia abbia il limite all'utilizzo del contante più basso d'Europa, l'evasione fiscale non sembra averne risentito. Il dato rilevante è che c’è pochissima correlazione tra la soglia limite all'uso di cartamoneta imposta per legge e il rapporto tra la base imponibile Iva non dichiarata e il Pil, vale a dire, appunto, l'evasione fiscale;
              i dati statistici evidenziano che tra il 2000 e il 2012 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili), a fronte di una soglia limite all'uso del denaro che è rimasta pressoché stabile fino al giugno 2008, l'evasione ha registrato un andamento altalenante fino al 2006 per poi scivolare progressivamente fino al 2010. Se tra il 2010 e l'anno successivo la soglia del limite al contante si è ulteriormente abbassata (passando da 5,000 a 1.000 euro), l'evasione, invece, è salita fino a sfiorare il 16 per cento del Pil, per poi ridiscendere nel 2012 sotto quota 14 per cento;
              tra i principali membri dell'Unione europea, ben 12 Paesi; tra i quali Germania, Austria, Finlandia, Svezia e Danimarca, non prevedono alcun limite all'uso del contante. La Francia e il Belgio hanno una soglia di spesa con la cartamoneta di 3.000 euro, la Spagna di 2.500 euro e la Grecia di 1.500 euro. L'Italia e il Portogallo, invece, manifestano la situazione più restrittiva con il limite a 1.000 euro;
              il 21 aprile 2015, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, e del Ministro dall'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha approvato, in via preliminare, il decreto legislativo sulla fatturazione elettronica, che introduce misure volte a incentivare, mediante la riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili, a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia di imposta sul valore aggiunto e le transazioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti, nonché a prevedere specifici strumenti di controllo relativamente alla cessioni di beni effettuata attraverso distributori automatici;
              il varo del decreto legislativo ed il relativo potenziamento dei sistemi di tracciabilità delle transazioni così come prevista, potrebbe favorire le condizioni per un riequilibrio del limite all'uso del contante previsto dalla normativa vigente in linea con la media europea;
              appare evidente, dunque, che, nell'ambito dell'esame dei prossimi provvedimenti sulla tematica, la linea politica dal Governo dovrebbe essere volta alla verifica di due condizioni complementari tra di loro: evitare provvedimenti eccessivamente restrittivi dell'uso della moneta contante come metodo di pagamento, riequilibrando la soglia alla media europea, e promuovere ed incentivare l'uso di metodi di pagamento elettronici che consentono di favorire il contrasto all'evasione e all'elusione fiscale e al riciclaggio,

impegna il Governo

          a valutare l'opportunità di:
              a) a dare rapida attuazione al regolamento (UE) n.  2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015 relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basato su carta, nelle parti in cui viene data facoltà allo Stato membro di definire alcune misure, al fine di riequilibrare il costo dai mezzi di pagamento elettronici in Italia, ponendoli in linea con la media dei costi in essere presso gli altri Stati europei;
              b) assumere iniziative normative, nell'ambito di quanto previsto alla lettera a), per una revisione della disciplina vigente in materia di utilizzo del denaro contante, prevedendo un innalzamento della soglia limite affinché risulti equilibrata ed in linea con quella dei principali Stati europei che adottano restrizioni sulla circolazione della moneta contante;
              c) ad assumere iniziative normative volte alla integrale detraibilità fiscale dalle imposte sul    reddito di tutti gli oneri legati all'installazione e alla gestione dei dispositivi POS, in luogo della loro altrimenti ordinaria deducibilità dal reddito di impresa o di lavoro autonomo;
              d) assumere iniziative volte alla promozione culturale a formativa dei metodi di pagamento elettronici facendo leva sulla trasparenza delle transazioni e sulla velocità e semplicità di utilizzo.
(1-00895) «Matarrese, Mazziotti Di Celso, Librandi, Sottanelli, Vargiu, Galgano».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)