XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Giovedì 9 luglio 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 9 luglio 2015.

      Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Businarolo, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, Covello, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Dieni, Epifani, Faraone, Fauttilli, Fava, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galati, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Guerra, La Russa, Lauricella, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Merlo, Meta, Migliore, Monaco, Orlando, Pes, Picchi, Piepoli, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scagliusi, Scalfarotto, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Tidei, Tofalo, Valeria Valente, Vargiu, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

      In data 8 luglio 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
          VARGIU: «Disposizioni per il riconoscimento e la valorizzazione dell'identità della nazione sarda e istituzione del brand “Sardegna NUR.AT”» (3222);
          PISICCHIO: «Nuove norme in materia di elezione della Camera dei deputati» (3223).

      Saranno stampate e distribuite.

Trasmissione dal Senato.

      In data 8 luglio 2015 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza la seguente proposta di legge:
          S. 1289. – PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA: «Modifiche allo Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.  1, in materia di enti locali, di elettorato passivo alle elezioni regionali e di iniziativa legislativa popolare» (approvata, in prima deliberazione, dal Senato) (3224).

      Sarà stampata e distribuita.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

      A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

          I Commissione (Affari costituzionali):
      PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE MUCCI ed altri: «Modifica all'articolo 68 della Costituzione, concernente le immunità dei membri del Parlamento» (2978) Parere della II Commissione.

          Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive):
      RUSSO ed altri: «Modifiche al codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n.  209, in materia di disciplina dell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile verso i terzi derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, e istituzione dell'Agenzia contro le frodi nel settore assicurativo» (3025) Parere delle Commissioni I, II, V, IX, XI, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei.

      Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei, con lettera in data 6 luglio 2015, ha trasmesso l'elenco delle direttive con termine di recepimento in scadenza entro il 31 dicembre 2015, con indicazioni in ordine al relativo stato di attuazione, predisposto ai sensi dell'articolo 39, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n.  234.
      Questo documento è trasmesso a tutte le Commissioni permanenti.

Trasmissione dal Ministro dell'interno.

      Il Ministro dell'interno, con lettera in data 3 luglio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19 della legge 30 giugno 2009, n.  85, la relazione sull'attività della banca dati nazionale del DNA, riferita agli anni 2012-2014 (Doc. CLXI-bis, n.  1).
      Questa relazione è stata trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla II Commissione (Giustizia).

Atti di controllo e di indirizzo.

      Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI BECHIS ED ALTRI N. 1-00937, RAMPELLI ED ALTRI N. 1-00938 E BERGAMINI, COZZOLINO, RONDINI, RAMPELLI ED ALTRI N. 1-00940 CONCERNENTI INIZIATIVE DI COMPETENZA IN RELAZIONE ALLA VICENDA DELLA COOPERATIVA «IL FORTETO»

Mozioni

      La Camera,
          premesso che:
              ha suscitato scandalo e preoccupazione la tristemente famosa vicenda de «il Forteto», alla quale per trent'anni il tribunale dei minori di Firenze ha affidato i bambini in difficoltà;
              il processo si è concluso con le condanne alla reclusione di Rodolfo Fiesoli a 17 anni e mezzo, Luigi Goffredi a 8 anni, Daniela Tardani a 7 anni, Francesco Bacci a 3 anni e 6 mesi, Angela Maria Bocchino a 1 anno, Mariella Consorti a 3 anni e 6 mesi, Marida Giorgi a 1 anno, Silvano Montorsi a 3 anni e 6 mesi, Stefano Pezzati a 4 anni e 6 mesi, Gianni Romoli a 3 anni, Stefano Sarti a 3 anni, Elisabetta Sassi a 3 anni, Luigi Serpi a 4 anni e 6 mesi, Francesca Tardani a 3 anni e 6 mesi, Elena Maria Tempestini a 3 anni e 6 mesi, Mauro Vannucchi a 4 anni e 6 mesi;
              dal processo è emerso il fatto che erano usuali e reiterati gli atti di violenza e di maltrattamenti ai danni dei bambini, garantiti dall'omertà e dal silenzio di chi conosceva i fatti, tra cui si segnalano particolarmente gli psichiatri e gli assistenti sociali, i quali hanno commesso ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo numerosissime disattenzioni;
              appaiono particolarmente gravi, poi, l'appoggio entusiasta e i reiterati e generosi finanziamenti forniti dalle amministrazioni locali grazie ai quali la cooperativa agricola è divenuta una «potenza economica»;
              Rodolfo Fiesoli, detto «il profeta», «capo spirituale della comunità», è il principale responsabile degli abusi sessuali e maltrattamenti perpetrati nella struttura. Daniela Tardani si è invece distinta, oltre che per maltrattamenti e violenza sessuale, anche per aver assistito agli abusi compiuti dal «profeta» su un ragazzo che era stato affidato con il pretesto risultato consueto di liberarlo dalla «materialità»;
              per descrivere la gravità del fatto, si citano le parole del pubblico ministero secondo la quale: «Per alcuni decenni in Toscana si è verificato un fenomeno rispetto al quale le leggi dello Stato hanno subito una sospensione»;
              dispiace il fatto che la segnalazione fatta dalla prima firmataria del presente atto di indirizzo e da altri colleghi più volte al Governo in atti di sindacato ispettivo, con la proposta di commissariamento per la cooperativa agricola, sia rimasta lettera morta;
              il fenomeno disgustoso, ma «normale», verificatosi a «il Forteto», i cui contorni appaiono molto più gravi di quanto emerso dal processo grazie al quale si sono avute conferme dei dubbi e delle preoccupazioni, si inserisce nella più ampia e poco trasparente vicenda dei bambini in casa famiglia. Purtroppo, in moltissimi casi, gli affidamenti sono considerati un mero business perché hanno un giro di affari pari a un miliardo di euro all'anno: sono infatti ventimila i minori ospiti di queste strutture; occorre sperare che non vi siano troppe altre strutture ove si praticano i «trattamenti» che hanno caratterizzato il caso «il Forteto»;
              al di là dei gravissimi episodi di abusi sessuali, vi è una cinica consuetudine a trasformare il dolore dei bimbi in «affare economico»: essa è semplice e consiste nel prolungare i tempi di permanenza dei bimbi nelle strutture, facendo sì che solo un piccolo su cinque sia affidato a coppie in attesa;
              ciò spiega anche il perché migliaia di coppie restino in biblica attesa prima che le pratiche per l'adozione o l'affido si sblocchino. Naturalmente, ci sono anche altri fattori che incidono, la maggior parte dei quali legati alle lungaggini e alle complicazioni burocratico-giudiziarie;
              è illegale e immorale lucrare sulla pelle di migliaia di bambini e adolescenti che provengono da situazioni difficili, molto spesso drammatiche, tutte situazioni che vanno ben oltre la soglia della decenza e della dignità umana. Ci si riferisce, in particolare, ai casi più estremi che purtroppo sono diffusissimi, cioè ai ragazzi maggiorenni che usciti dagli istituti non sanno dove andare. Una cosa del genere non dovrebbe essere più tollerata perché rappresenta l'esatta negazione della funzione delle case famiglia, la rappresentazione spietata di come l'obiettivo di una struttura di accoglienza, la quale dovrebbe essere un luogo di transito, una specie di oasi di pace temporanea in attesa dell'affido, sia divenuta invece il suo contrario. Ci sono casi particolarmente esecrabili come «il Forteto», ma in generale lo scandalo è rappresentato dal modo con cui i minori vengono «assistiti» dalle strutture che dovrebbero garantire loro benessere. Si trovano invece prigionieri in luoghi insicuri e inefficienti. E ciò è frutto di una scelta che favorisce e consente abusi e illeciti arricchimenti da parte di chi invece dovrebbe seguire solo l'interesse dei bambini e quello generale e non il proprio;
              la carenza dei controlli sui luoghi dove i bambini vengono ospitati è poi imbarazzante oltre che in contrasto con le leggi. Eppure esistono centinaia di enti e associazioni no profit che avrebbero il compito di rilevare la statistica esatta del numero dei bambini in attesa e degli adottandi-affidandi e le condizioni nelle quali vivono; essi dovrebbero contribuire a prevenire casi quali quelli accaduti a «il Forteto». Al contrario di quanto dovrebbe essere normale, nessuno è in grado di fornire numeri esatti con il risultato che ancora oggi non esiste un monitoraggio attendibile;
              medesima carenza è rilevabile anche sul fronte delle verifiche perché lo Stato paga le comunità ma nessuno chiede alla comunità una giustifica delle spese. Sarebbe utile che per ogni casa-famiglia si rendessero pubbliche le modalità con cui vengono utilizzati i fondi: quanto per il cibo, quanto per il vestiario, quanto per gli psicologi o le varie attività. Il punto dolente consiste nel fatto che, in assenza di informazioni, i bambini vivono in questi posti senza che nessuno si occupi realmente della loro crescita morale e materiale, con grave danno per la loro istruzione e socializzazione. Non crescono, non vivono la vita, non incontrano amici, non fanno sport né gite;
              il numero di bambini senza famiglia è oscillato negli ultimi anni tra i 15 mila e i 20 mila. Oggi sembra essersi assestato intorno alla sua punta massima. Ma il controllo dei «flussi» è un problema legato anche alla sicurezza, come purtroppo emblematicamente dimostrato dal caso «il Forteto», «punta di diamante» per i fatti di adescamento e pedofilia che sono molto più diffusi di quanto non si immagini e non certo limitati a «il Forteto»;
              vi è poi un problema di competenze. Sull'infanzia ci sono troppe competenze divise tra vari Ministeri con il risultato che, non essendoci un unico soggetto che si occupi di infanzia abbandonata, si finisce per trovarsi di fronte una nebulosa in mezzo alla quale si capisce poco e niente;
              gli orfanotrofi non sono ancora scomparsi del tutto. Alcuni sono stati convertiti in case-famiglia: esistono anche due o tre comunità nello stesso edificio. Una per piano. Poi vi sono le altre storture. Nel libero mercato delle comunità per minori abbandonati c’è chi, per essere competitivo, abbatte la diaria giornaliera fino a ridurla a circa 30 euro. Teoricamente più sono bassi i costi, più bambini si riesce a far confluire nella struttura attraverso l’input dei servizi sociali che, a cascata, agiscono su indicazione del tribunale;
              altra nota dolente proviene dai tribunali, ove si accumulano migliaia di fascicoli relativi a famiglie disagiate con a carico almeno un minore. I magistrati non riescono a fare fronte alle pratiche perché i ragazzi raramente sono seguiti. La maggior parte, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono «parcheggiati» in un «posto» senza che nessuno segua davvero i loro bisogni, le loro esigenze e la loro educazione;
              le storie che vengono a galla, a cominciare da «il Forteto», compongono un campionario pauroso. Le case-famiglia dovrebbero essere una risorsa importante per il reinserimento del minore, ma la permanenza di un bambino dovrebbe essere caratterizzata dalla massima cura e dovrebbe rispondere a un unico criterio: trovargli il prima possibile una collocazione familiare;
              sarebbe pertanto opportuno predisporre un monitoraggio dell'intero sistema degli istituti denominati casa famiglia, al fine di prevenire abusi e reati che hanno connotato la vicenda in questione, a partire da quanto contenuto nella proposta di inchiesta parlamentare presentata il 23 gennaio del 2014 (Doc. XXII n.  20 del 23 gennaio 2014). Sarebbe inoltre opportuno predisporre le necessarie ed opportune modifiche legislative in materia al fine di razionalizzare e rendere efficaci, efficienti e maggiormente economici gli interventi a sostegno dell'infanzia, oltre che per prevenire i reati descritti in premessa, poiché le iniziative pubbliche che tali istituzioni devono perseguire devono ispirarsi al bene dei bambini, al contrario di quanto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, avviene nella situazione attuale nella quale potrebbero apparire come «esche» per realizzare illegali e socialmente pericolosissimi sfruttamenti,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa di competenza per il controllo della cooperativa «il Forteto» affinché possa essere restituita alla destinazione originaria, accertando le responsabilità politiche al riguardo.
(1-00937) «Bechis, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco, Marazziti».


      La Camera,
          premesso che:
              ha suscitato scandalo e preoccupazione la tristemente famosa vicenda de «il Forteto», alla quale per trent'anni il tribunale dei minori di Firenze ha affidato i bambini in difficoltà;
              il processo si è concluso con le condanne alla reclusione di Rodolfo Fiesoli a 17 anni e mezzo, Luigi Goffredi a 8 anni, Daniela Tardani a 7 anni, Francesco Bacci a 3 anni e 6 mesi, Angela Maria Bocchino a 1 anno, Mariella Consorti a 3 anni e 6 mesi, Marida Giorgi a 1 anno, Silvano Montorsi a 3 anni e 6 mesi, Stefano Pezzati a 4 anni e 6 mesi, Gianni Romoli a 3 anni, Stefano Sarti a 3 anni, Elisabetta Sassi a 3 anni, Luigi Serpi a 4 anni e 6 mesi, Francesca Tardani a 3 anni e 6 mesi, Elena Maria Tempestini a 3 anni e 6 mesi, Mauro Vannucchi a 4 anni e 6 mesi;
              dal processo è emerso il fatto che erano usuali e reiterati gli atti di violenza e di maltrattamenti ai danni dei bambini, garantiti dall'omertà e dal silenzio di chi conosceva i fatti, tra cui si segnalano particolarmente gli psichiatri e gli assistenti sociali, i quali hanno commesso ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo numerosissime disattenzioni;
              Rodolfo Fiesoli, detto «il profeta», «capo spirituale della comunità», è il principale responsabile degli abusi sessuali e maltrattamenti perpetrati nella struttura. Daniela Tardani si è invece distinta, oltre che per maltrattamenti e violenza sessuale, anche per aver assistito agli abusi compiuti dal «profeta» su un ragazzo che era stato affidato con il pretesto risultato consueto di liberarlo dalla «materialità»;
              per descrivere la gravità del fatto, si citano le parole del pubblico ministero secondo la quale: «Per alcuni decenni in Toscana si è verificato un fenomeno rispetto al quale le leggi dello Stato hanno subito una sospensione»;
              dispiace il fatto che la segnalazione fatta dalla prima firmataria del presente atto di indirizzo e da altri colleghi più volte al Governo in atti di sindacato ispettivo, con la proposta di commissariamento per la cooperativa agricola, sia rimasta lettera morta;
              il fenomeno disgustoso, ma «normale», verificatosi a «il Forteto», i cui contorni appaiono molto più gravi di quanto emerso dal processo grazie al quale si sono avute conferme dei dubbi e delle preoccupazioni, si inserisce nella più ampia e poco trasparente vicenda dei bambini in casa famiglia. Purtroppo, in moltissimi casi, gli affidamenti sono considerati un mero business perché hanno un giro di affari pari a un miliardo di euro all'anno: sono infatti ventimila i minori ospiti di queste strutture; occorre sperare che non vi siano troppe altre strutture ove si praticano i «trattamenti» che hanno caratterizzato il caso «il Forteto»;
              al di là dei gravissimi episodi di abusi sessuali, vi è una cinica consuetudine a trasformare il dolore dei bimbi in «affare economico»: essa è semplice e consiste nel prolungare i tempi di permanenza dei bimbi nelle strutture, facendo sì che solo un piccolo su cinque sia affidato a coppie in attesa;
              ciò spiega anche il perché migliaia di coppie restino in biblica attesa prima che le pratiche per l'adozione o l'affido si sblocchino. Naturalmente, ci sono anche altri fattori che incidono, la maggior parte dei quali legati alle lungaggini e alle complicazioni burocratico-giudiziarie;
              è illegale e immorale lucrare sulla pelle di migliaia di bambini e adolescenti che provengono da situazioni difficili, molto spesso drammatiche, tutte situazioni che vanno ben oltre la soglia della decenza e della dignità umana. Ci si riferisce, in particolare, ai casi più estremi che purtroppo sono diffusissimi, cioè ai ragazzi maggiorenni che usciti dagli istituti non sanno dove andare. Una cosa del genere non dovrebbe essere più tollerata perché rappresenta l'esatta negazione della funzione delle case famiglia, la rappresentazione spietata di come l'obiettivo di una struttura di accoglienza, la quale dovrebbe essere un luogo di transito, una specie di oasi di pace temporanea in attesa dell'affido, sia divenuta invece il suo contrario. Ci sono casi particolarmente esecrabili come «il Forteto», ma in generale lo scandalo è rappresentato dal modo con cui i minori vengono «assistiti» dalle strutture che dovrebbero garantire loro benessere. Si trovano invece prigionieri in luoghi insicuri e inefficienti. E ciò è frutto di una scelta che favorisce e consente abusi e illeciti arricchimenti da parte di chi invece dovrebbe seguire solo l'interesse dei bambini e quello generale e non il proprio;
              la carenza dei controlli sui luoghi dove i bambini vengono ospitati è poi imbarazzante oltre che in contrasto con le leggi. Eppure esistono centinaia di enti e associazioni no profit che avrebbero il compito di rilevare la statistica esatta del numero dei bambini in attesa e degli adottandi-affidandi e le condizioni nelle quali vivono; essi dovrebbero contribuire a prevenire casi quali quelli accaduti a «il Forteto». Al contrario di quanto dovrebbe essere normale, nessuno è in grado di fornire numeri esatti con il risultato che ancora oggi non esiste un monitoraggio attendibile;
              medesima carenza è rilevabile anche sul fronte delle verifiche perché lo Stato paga le comunità ma nessuno chiede alla comunità una giustifica delle spese. Sarebbe utile che per ogni casa-famiglia si rendessero pubbliche le modalità con cui vengono utilizzati i fondi: quanto per il cibo, quanto per il vestiario, quanto per gli psicologi o le varie attività. Il punto dolente consiste nel fatto che, in assenza di informazioni, i bambini vivono in questi posti senza che nessuno si occupi realmente della loro crescita morale e materiale, con grave danno per la loro istruzione e socializzazione. Non crescono, non vivono la vita, non incontrano amici, non fanno sport né gite;
              il numero di bambini senza famiglia è oscillato negli ultimi anni tra i 15 mila e i 20 mila. Oggi sembra essersi assestato intorno alla sua punta massima. Ma il controllo dei «flussi» è un problema legato anche alla sicurezza, come purtroppo emblematicamente dimostrato dal caso «il Forteto», «punta di diamante» per i fatti di adescamento e pedofilia che sono molto più diffusi di quanto non si immagini e non certo limitati a «il Forteto»;
              vi è poi un problema di competenze. Sull'infanzia ci sono troppe competenze divise tra vari Ministeri con il risultato che, non essendoci un unico soggetto che si occupi di infanzia abbandonata, si finisce per trovarsi di fronte una nebulosa in mezzo alla quale si capisce poco e niente;
              gli orfanotrofi non sono ancora scomparsi del tutto. Alcuni sono stati convertiti in case-famiglia: esistono anche due o tre comunità nello stesso edificio. Una per piano. Poi vi sono le altre storture. Nel libero mercato delle comunità per minori abbandonati c’è chi, per essere competitivo, abbatte la diaria giornaliera fino a ridurla a circa 30 euro. Teoricamente più sono bassi i costi, più bambini si riesce a far confluire nella struttura attraverso l’input dei servizi sociali che, a cascata, agiscono su indicazione del tribunale;
              altra nota dolente proviene dai tribunali, ove si accumulano migliaia di fascicoli relativi a famiglie disagiate con a carico almeno un minore. I magistrati non riescono a fare fronte alle pratiche perché i ragazzi raramente sono seguiti. La maggior parte, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono «parcheggiati» in un «posto» senza che nessuno segua davvero i loro bisogni, le loro esigenze e la loro educazione;
              le storie che vengono a galla, a cominciare da «il Forteto», compongono un campionario pauroso. Le case-famiglia dovrebbero essere una risorsa importante per il reinserimento del minore, ma la permanenza di un bambino dovrebbe essere caratterizzata dalla massima cura e dovrebbe rispondere a un unico criterio: trovargli il prima possibile una collocazione familiare;
              sarebbe pertanto opportuno predisporre un monitoraggio dell'intero sistema degli istituti denominati casa famiglia, al fine di prevenire abusi e reati che hanno connotato la vicenda in questione, a partire da quanto contenuto nella proposta di inchiesta parlamentare presentata il 23 gennaio del 2014 (Doc. XXII n.  20 del 23 gennaio 2014). Sarebbe inoltre opportuno predisporre le necessarie ed opportune modifiche legislative in materia al fine di razionalizzare e rendere efficaci, efficienti e maggiormente economici gli interventi a sostegno dell'infanzia, oltre che per prevenire i reati descritti in premessa, poiché le iniziative pubbliche che tali istituzioni devono perseguire devono ispirarsi al bene dei bambini, al contrario di quanto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, avviene nella situazione attuale nella quale potrebbero apparire come «esche» per realizzare illegali e socialmente pericolosissimi sfruttamenti,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa di competenza per il controllo della cooperativa «il Forteto» affinché possa essere restituita alla destinazione originaria, accertando le responsabilità politiche al riguardo.
(1-00937)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Bechis, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco, Zampa, Cinzia Maria Fontana, Marazziti».


      La Camera,
          premesso che:
              il 17 giugno 2015 il tribunale di Firenze, al termine di un processo durato venti mesi, ha emesso una sentenza di primo grado a carico di sedici persone per abusi sessuali e maltrattamenti su bambini e su adulti con disagi psichici affidati alla comunità «il Forteto»;
              il fondatore della comunità, Rodolfo Fiesoli, è stato condannato a diciassette anni e mezzo di reclusione e il suo braccio destro e «ideologo» della comunità, Luigi Goffredi, a otto anni di carcere;
              la comunità «il Forteto», fondata a La Querce (Prato) nel 1977 con l'obiettivo di essere una comunità produttiva e alternativa alla famiglia tradizionale, attualmente è attiva nel comune di Vicchio, in provincia di Firenze;
              negli anni, secondo la stessa sentenza ma anche secondo quanto accertato con relazione unanime dalla commissione d'inchiesta regionale istituita sul caso, al Forteto sono avvenute atrocità di ogni genere;
              Fiesoli, oltre ad aver picchiato e costretto minori presi in affidamento a rapporti sessuali, induceva all'omosessualità, teorizzando la separazione fra uomini e donne, e, di fatto, stravolgeva i modelli familiari, allontanando i bimbi affidati in via temporanea dai genitori naturali attraverso un vero e proprio lavaggio del cervello;
              una «setta» in piena regola che negli anni ha continuato ad ottenere tribunale per i minorenni l'affidamento di minori con gravi problemi, nonostante Fiesoli e il suo «ideologo» Luigi Goffredi avessero già subito una sentenza definitiva per reati simili a quelli a cui sono stati condannati recentemente;
              già nel 1985, infatti, Fiesoli era stato condannato in via definitiva a due anni di carcere per atti di libidine violenta e corruzione di minorenne e maltrattamenti, ma ciononostante il tribunale per i minorenni ha proseguito con gli affidamenti di minori alla sua comunità;
              nel 1979, proprio al rientro di Fiesoli in comunità dopo aver trascorso cinque mesi in carcere nell'ambito della prima inchiesta condotta a suo carico per abusi e maltrattamenti, il giudice Gian Paolo Meucci ha disposto l'affidamento allo stesso Fiesoli di un bambino di tre anni affetto da sindrome di down;
              la teoria della «famiglia funzionale» prevedeva l'affidamento a genitori non sposati che non fossero neanche coppie di fatto: la famiglia si costituiva appositamente e artificiosamente per accogliere i minori;
              i controlli che i servizi sociali in tutti questi anni avrebbero dovuto, in base alle disposizioni vigenti, effettuare sulla e nella comunità non sono riusciti ad impedire il perpetrarsi degli abusi;
              già dalla fine degli anni ’70 alcuni genitori, i cui figli erano affidati al Forteto, avevano avuto dei sospetti sulla gestione della comunità e sui metodi adottati, ma tutte le segnalazioni sono passate senza essere verificate;
              nel frattempo Fiesoli e Goffredi partecipano a convegni, presentazioni di libri ed eventi, portati ad esempio nelle più importanti sedi istituzionali e il comune di Vicchio aveva anche nominato Fiesoli nel consiglio di amministrazione dell'istituzione culturale «Centro documentazione don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana», incarico ricoperto fino al suo arresto nel dicembre 2011;
              nel 2000 l'Italia è stata condannata al pagamento di duecento milioni di lire dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, in seguito all'accoglimento di un ricorso sull'affidamento di due fratelli al Forteto;
              nella sentenza si rilevavano proprio le gravi anomalie negli affidamenti e i mancati controlli dei servizi sociali ma anche dopo di essa gli affidamenti sono proseguiti;
              nei decenni della sua attività la regione Toscana, così come numerose altre istituzioni locali e nazionali, hanno continuato ad elargire fondi e riconoscimenti al Forteto, elogiandone i metodi educativi e frequentando e visitando spesso la comunità;
              Fiesoli era stato nuovamente arrestato nel 2011 dopo le accuse di alcune vittime, che questa volta comprendevano anche denunce per lo sfruttamento del lavoro minorile nella cooperativa agricola in cui erano impiegati;
              inoltre, nell'ambito del recente processo di primo grado innanzi al tribunale di Firenze, molti testimoni che erano o erano stati soci della cooperativa «il Forteto» hanno denunciato gravi anomalie nella gestione dei contributi sociali e previdenziali, nella gestione dei giorni di riposo e delle ferie e nella gestione dei casi di disoccupazione;
              invero, durante una prima verifica ministeriale svolta il 10 agosto 2013 gli ispettori Lorenzo Agostini e Fabio Fibbi avevano già sottoscritto un verbale nel quale denunciavano simili contraddizioni e irregolarità, chiedendo il commissariamento della cooperativa;
              l'attuale sindaco di Firenze e della città metropolitana Dario Nardella, in una recente intervista a Lady radio, si è espresso favorevolmente al commissariamento della comunità, dichiarando: «farò la mia parte affinché il Governo e il Ministro Poletti in particolare si possano attivare, prevedendo tutte le misure coercitive possibili, soprattutto quelle tese a non far ripetere quanto è successo. Non sono mai stato contrario ad attivare un canale con il Governo»;
              tutt'oggi al Forteto vivono molti dei condannati, il management non si è sufficientemente rinnovato e molti uomini vicini a Fiesoli hanno ancora incarichi di potere all'interno della cooperativa;
              lo stesso Fiesoli, non sussistendo più le misure cautelari, potrebbe tornare in qualsiasi momento al Forteto, continuando ad arrecare danno alla comunità e mettendo in pericolo tutti i ragazzi ad essa ancora affidati;
              gli intrecci tra la cooperativa, l'ambiente politico e i magistrati ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non sono ancora stati chiariti;
              in una puntata della trasmissione televisiva Porta a porta del 2002, allestita prendendo spunto dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, Bruno Vespa ebbe modo di affermare che non aveva «mai subito tante pressioni per non occuparci di questa vicenda del Forteto. Pressioni quotidiane, che sono avvenute con una sistematicità che francamente ci ha sconcertati»;
              in una recente intervista il magistrato Piero Tony, presidente del tribunale per i minorenni di Firenze dal 1999 al 2006, con riferimento al caso dell'affidamento a Fiesoli del bambino down nel 1979, quando era appena uscito dal carcere, disposto dall'allora presidente del tribunale per i minorenni Giampaolo Meucci, ha affermato che «probabilmente fu possibile per l'imperare di quella cultura cattolica di sinistra, allora molto forte proprio a Firenze. Ma è anche altrettanto vero che Meucci e con lui buona parte dell'opinione pubblica non credette mai che la verità processuale uscita da quella vicenda corrispondesse alla verità reale»;
              è evidente che con riferimento al caso del Forteto ha completamente fallito la filiera dei controlli, sia quelli sulla struttura, che avrebbero dovuto essere svolti dai servizi sociali, sia quelli sugli stessi affidamenti, dei quali erano incaricati i singoli giudici tutelari;
              durante la requisitoria finale del processo appena concluso il pubblico ministero ha affermato che «per un lungo periodo al Forteto le leggi dello Stato hanno subito una sospensione per colpa di un'azione criminale»,

impegna il Governo:

          ad assumere con urgenza ogni iniziativa di competenza finalizzata al commissariamento della cooperativa «il Forteto», all'interno della quale ancora risiedono molti dei soggetti condannati nel citato procedimento giudiziario;
          a promuovere un'ispezione presso la cooperativa «il Forteto» al fine di verificare eventuali irregolarità nei versamenti dei contributi sociali e previdenziali, nella gestione dei giorni di riposo e delle ferie, nella gestione dei casi di disoccupazione e quantificarne l'ammontare ed eventualmente ad assumere le conseguenti iniziative di competenza;
          ad assumere iniziative volte a salvaguardare i livelli occupazionali della cooperativa «il Forteto», realtà con quasi centocinquanta soci e un centinaio di dipendenti, che nel 2014 ha fatturato oltre diciotto milioni di euro.
(1-00938) «Rampelli, Giorgia Meloni, Totaro, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela».


      La Camera,
          premesso che:
              il 19 giugno 2015 il tribunale di Firenze ha inflitto pesanti pene a carico dei vertici, ispiratori e fondatori de «il Forteto», cooperativa agricola all'interno della quale – e alla quale – sono stati affidati, nel corso degli ultimi trenta anni, numerosi minorenni in difficoltà;
              sito in località Mugello, «il Forteto» è sempre stato considerato da Legacoop, dalle istituzioni e dalla sinistra toscana una best practice dal punto di vista non solo produttivo ma anche educativo, al punto da essere associato alla scuola di Don Milani. Si è invece scoperto essere un luogo non di accoglienza ma di sevizie e violenze, fisiche e psicologiche. Una vera e propria setta, articolata formalmente in un'associazione, una fondazione e, appunto, una cooperativa agricola;
              in particolare, il tribunale ha comminato al fondatore della comunità, Rodolfo Fiesoli, che si faceva chiamare «il profeta», una pena di 17 anni e mezzo per violenza sessuale e maltrattamenti ai danni di numerosi ragazzi affidati alla comunità, molti dei quali hanno rivissuto i drammi subiti testimoniando davanti alla corte le sevizie. Il suo braccio destro, l’«ideologo» del gruppo, Luigi Goffredi, dovrà scontare 8 anni. Con loro sono state condannate altre 14 persone, con pene che variano da 1 a 8 anni, sulle 23 che erano state mandate a processo. Appare dunque chiaro come sia l'intero «sistema Forteto» ad essere stato sanzionato dai giudici;
              Rodolfo Fiesoli, per il quale il pubblico ministero Ornella Galeotti aveva chiesto una condanna a 21 anni, rimane a piede libero. Il tribunale ha inoltre stabilito provvisionali per 1.260.000 euro immediatamente esecutive a favore delle vittime. In alcuni risarcimenti è obbligata in solido anche la cooperativa agricola;
              la comunità de «il Forteto» si costituisce negli anni Settanta e quasi subito decide di «ritornare alla terra», costituendo una cooperativa agricola all'interno della quale vivere e lavorare. All'interno della comunità la vita è organizzata secondo alcune teorie «parapsicologiche», tra cui quella della «famiglia funzionale» che doveva sostituire la famiglia naturale. Inoltre, uomini e donne – anche se ufficialmente sposati – dovevano vivere separatamente, vi erano momenti serali di «confronto» in cui spesso le persone venivano spinte a «confessare» in pubblico i propri eventuali desideri sessuali e le «provocazioni» messe in atto di conseguenza. Testimoni hanno raccontato di come bambini che sono andati in braccio ad adulti siano stati accusati di essere provocatori. «In quella comunità – ha detto il pubblico ministero Galeotti nella requisitoria – si verificò per anni una sospensione delle leggi dello Stato, attraverso un programma criminale in cui il Fiesoli “rapinava il sesso” ai ragazzini, con la complicità degli altri imputati»;
              Rodolfo Fiesoli detto il «profeta», insieme al cofondatore Luigi Goffredi, si avvalevano di falsi titoli di studio come quello in psicologia, nel 1985 furono processati e condannati ad una pena di reclusione per maltrattamenti aggravati ed atti di libidine nei confronti degli ospiti della comunità;
              nonostante questi gravissimi capi di imputazione nel 1997 Fiesoli risultava ancora a capo della comunità e, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo fatto ancora più grave, il tribunale avrebbe continuato ad affidare minori alla struttura, di cui se ne contano almeno 60 fino al 2009;
              nel 1975 inizia l'esperienza della «Comune del Forteto», progetto basato su una proposta di comunità agricola produttiva caratterizzata da una totale promiscuità sessuale fra i suoi partecipanti. A rivestire il ruolo di leader è Rodolfo Fiesoli, coadiuvato da Luigi Goffredi, entrambi coinvolti, sin dalla fine degli anni Settanta, in un'inchiesta penale per supposti atti di zoofilia e pedofilia commessi all'interno della cooperativa;
              il 30 novembre 1978 Rodolfo Fiesoli viene arrestato su richiesta del giudice Carlo Casini che aveva aperto un procedimento per abusi sessuali ne «il Forteto»;
              il 1o giugno 1979 Fiesoli lascia il carcere per tornare alla comune «il Forteto» dove, lo stesso giorno, affidato dal tribunale dei minori, giunge il primo bambino down e il presidente del tribunale, Giampaolo Meucci, grande amico di don Milani, afferma di non credere nell'indagine del giudice Casini e di ritenere «il Forteto» una comunità accogliente e idonea;
              nel 1982 la cooperativa acquista una proprietà di circa cinquecento ettari nel comune di Dicomano (Firenze) e vi si trasferisce. L'azienda continuerà a prosperare per diventare oggi un'azienda con un fatturato da 18-20 milioni di euro all'anno, con circa 130 occupati;
              nel 1985 viene emessa la sentenza di condanna per Luigi Goffredi e Rodolfo Fiesoli. Fiesoli viene condannato a due anni di reclusione per maltrattamenti nei confronti di una ragazza a lui affidata, atti di libidine violenta e corruzione di minorenne;
              dalla sentenza emerge «istigazione da parte dei responsabili del Forteto alla rottura dei rapporti tra i bambini che erano loro affidati e i genitori biologici»;
              nel 1998 la Corte europea dei diritti dell'uomo riceve la richiesta di ricorso contro l'Italia e, in particolare, contro l'operato del tribunale dei minori di Firenze, da parte di due madri con doppia cittadinanza, italiana e belga, cui il tribunale per i minorenni di Firenze aveva imposto di interrompere ogni relazione con i rispettivi figli, collocati presso la comunità «il Forteto». Le donne, inoltre, denunciarono trattamenti violenti e inumani nei confronti dei minori, con una scolarizzazione pressoché inesistente;
              il 13 luglio 2000 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia, per l'affidamento alla comunità dei due bambini, a pagare una multa di 200 milioni di lire come risarcimento dei danni morali;
              nonostante i precedenti giudiziari e la condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo, la regione Toscana, così come numerose altre istituzioni locali e nazionali, hanno continuato ad elargire fondi e riconoscimenti a «il Forteto», elogiandone, tra l'altro, i metodi educativi e frequentando e visitando spesso la comunità;
              nel mese di aprile 2013, su richiesta del consiglio regionale toscano, il Ministero dello sviluppo economico ha inviato suoi ispettori a «il Forteto». Nella loro relazione, in cui si chiedeva il commissariamento della cooperativa, si rilevava la «tendenza a confondere le regole ed i principi della “comunità” con il rapporto lavorativo e societario», il che pare avere «condotto gli stessi soci a ritenere “normali” atteggiamenti particolarmente “interferenti” dell'organo amministrativo», tra questi il fatto che molti dei soci avessero inconsapevolmente sottoscritto strumenti finanziari;
              nel mese di dicembre 2013 il Ministero dello sviluppo economico sospendeva la procedura di commissariamento chiedendo un supplemento di indagini che, comunque, portava gli ispettori a concludere che «la situazione non appare al momento sostanzialmente mutata». Ciononostante, a luglio 2014, il Governo decideva di non procedere con il commissariamento. Oggi, all'indomani della sentenza di condanna di Fiesoli ed altri, non solo il centrodestra toscano continua a invocare il commissariamento ma anche il sindaco di Firenze, Dario Nardella, si è espresso nello stesso senso, innovando la posizione del Partito Democratico toscano sulla vicenda;
              se la vicenda de «il Forteto» ha trovato una sua definizione nelle aule di tribunale, deve ancora scrivere la sua pagina nera circa le responsabilità politiche e istituzionali di enti locali, giudici, servizi sociali, mondo cooperativo, certi intellettuali e ovviamente di tutti quei politici che nel corso degli anni hanno ignorato o sottovalutato le denunce. Il processo stesso, secondo quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, ha rischiato più volte di arenarsi, tra fascicoli spariti e poi miracolosamente rinvenuti e testimonianze prima rese e poi inspiegabilmente ritrattate;
              alla luce delle vicende sopra riportate, appare quanto mai necessario l'istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulle attività di affidamento di minori a comunità e istituti, su cui si auspica la più ampia convergenza delle forze politiche, che si faccia carico di raccogliere e tesorizzare le vicende accadute presso la struttura di accoglienza «il Forteto» di Firenze, affinché, anche alla luce di quanto riportato dalla commissione regionale d'inchiesta istituita sui medesimi fatti, si possano colmare le lacune e le smagliature legislative a livello nazionale e si possa avviare un'indagine su tutto il territorio nazionale circa la bontà delle attività delle altre strutture, comunità e istituti d'accoglienza dei minori,

impegna il Governo:

          a porre in essere ogni opportuna iniziativa di propria competenza volta ad accertare e definire le responsabilità e le manchevolezze politiche ed istituzionali che negli anni hanno portato alla prosecuzione degli affidi di minori, nonostante gli arresti e le condanne inflitte ai due fondatori negli anni Ottanta per reati analoghi (maltrattamenti e atti di libidine con i minori ospiti) e nonostante la sanzione inflitta all'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo per quanto avveniva nella comunità, anche in raccordo con tutte le iniziative intraprese in tal senso e richiamate in premessa;
          a verificare con urgenza la sussistenza dei presupposti per la nomina di un commissario che gestisca la cooperativa agricola in modo tale da dissociarla completamente dalla precedente gestione e dall'associazione e dalla fondazione «il Forteto», di cui sono tuttora parte tutti i condannati e in generale il gruppo dei fondatori, al fine anche di pervenire al più presto al pagamento delle provvisionali a favore delle vittime.
(1-00940) «Bergamini, Cozzolino, Rondini, Rampelli, Brunetta, Carfagna, Brambilla, Prestigiacomo, Picchi, Palese, Bonafede, Gagnarli, Nuti, Toninelli, Cecconi, Dadone, Dieni, D'Ambrosio, Ferraresi, Businarolo, Agostinelli, Colletti, Sarti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti, Giorgia Meloni, Ciprini».


DISEGNO DI LEGGE: S. 1577 – DELEGHE AL GOVERNO IN MATERIA DI RIORGANIZZAZIONE DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 3098)

A.C. 3098 – Questioni pregiudiziali

QUESTIONI PREGIUDIZIALI DI COSTITUZIONALITÀ

      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 76 della Costituzione prevede che il Parlamento possa delegare il Governo ad emanare atti aventi forza di legge ordinaria, i decreti legislativi, ma sulla base, e con l'osservanza, di «principi e criteri direttivi» fissati nella stessa legge-delega;
              la delega deve contenere criteri molto stringenti e dettagliati, definiti dal Parlamento, cui il Governo deve attenersi rigorosamente;
              in una legge-delega, la mancanza o l'indeterminatezza di principi e criteri direttivi comporta che «l'unico criterio direttivo per la normazione dell'oggetto della delega sarebbe il libero apprezzamento del Governo». Un simile assetto è stato dichiarato incostituzionale dalla sentenza della Corte costituzionale n.  340 dell'8 ottobre 2007, ai sensi della quale «il libero apprezzamento del legislatore delegato non può mai assurgere a principio o criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su delega»;
              il disegno di legge delega in esame appare caratterizzato da incongruenze e profili di illegittimità costituzionale. In diversi punti la delega appare generica e indeterminata, non soddisfacendo, in tal modo, i criteri stabiliti dall'articolo 76 della Costituzione: mancano infatti – in molteplici oggetti – indicazioni di contenuto sufficienti a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato;
              si configurerebbero, in base al testo in esame «deleghe in bianco» e con numerose contraddizioni interne, e ciò è particolarmente grave considerata la particolarità della materia e le conseguenze che alcune scelte rispetto alle quali non si è espresso alcun indirizzo del legislatore delegante avrebbero influenza decisiva, talvolta ostativa, su altri oggetti del disegno di legge;
              il disegno di legge in esame si pone in aperto contrasto con i principi sanciti dall'articolo 76 della Costituzione, in particolare:
          il principio afferente al «tempo limitato» non è rispettato in quanto in pressoché tutti gli articoli si prevede, oltre ai tempi necessari alla presentazione dei decreti delegati, anche la possibilità per il Governo di emettere ulteriori decreti legislativi «correttivi e integrativi», in tempi peraltro non indicati. Inoltre, ogni decreto delegato, in base al testo, necessita di tre successivi passaggi: la Conferenza unificata; il Consiglio di Stato; le Commissioni parlamentari. Con particolare riferimento all'articolo 9, è difficile ipotizzare il numero dei decreti legislativi necessari per i ruoli unici, con annesse tre procedure e quattro mesi di tempo. Trattasi, dunque, di una delega che prevede tempi molto lunghi e di incerta determinazione;
          per quanto concerne il principio relativo alla «determinazione di principi e criteri direttivi relativi ad oggetti definiti» gli articoli 2, 4 e 7 riportano disposizioni contenenti principi e criteri generici, che appaiono del tutto vaghi, lasciando un'eccessiva discrezionalità di scelte al Governo, con il conseguente pericolo di incorrere in un eccesso di delega. In particolare, si rileva, rispetto a tali articoli, la presenza di una determinazione di principi e criteri direttivi per relationem e mediante il rinvio ad altri atti normativi primari che vengono ad essere modificati nella stessa legge contenente la delega come nel caso del «silenzio assenso», oggetto di delega all'articolo 4, e la cui disciplina viene, nello stesso disegno di legge, modificata dall'articolo 3 («Silenzio assenso tra amministrazioni»). Parimenti, criteri e principi direttivi previsti negli articoli 13 e 14 – da integrarsi con i più circoscritti principi previsti dall'articolo 12 – appaiono molto ampi e non facilmente delimitabili, in tal modo configurando la possibilità, quanto ai decreti delegati, di censura per eccesso di delega. Da ciò emerge un pericoloso esempio di marginalizzazione del legislatore parlamentare. A tal proposito, la sentenza della Corte costituzionale n.  98 del 2008 – che costituisce un'efficace sintesi dei più significativi orientamenti giurisprudenziali – indica esplicitamente che il corretto esercizio del potere delegato «richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l'uno, relativo alla norma che determina l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega; l'altro, relativo alla norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi»;
              il progetto governativo è caratterizzato, in molte sue parti, da una forte tendenza iper-accentratrice nelle mani del solo Presidente del Consiglio, in contrasto con quanto previsto dall'articolo 5 della Costituzione, che definisce il nostro modello organizzativo fondandolo sul più ampio decentramento amministrativo nell'attuazione dei servizi, basato su un forte carattere di autonomia: «La Repubblica (...) attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento». Tale tendenza è riscontrabile, più in generale, nell'azione complessiva dell'attuale Governo che, nella modifica proposta di riforma del Titolo V della Costituzione, recentemente approvata dal Senato, annulla e contraddice il rafforzamento del principio dell'autonomia e del decentramento previsto nella riforma attuata nel 2001;
              il comma 3 dell'articolo 3 estende in modo generalizzato il meccanismo del silenzio/assenso anche nei procedimenti in cui «è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini». Sinora il comma 4 dell'articolo 20 della legge n.  241 del 1990 (previsione anche delle successive leggi n.  537 del 1993 e n.  80 del 2005) esclude il silenzio/assenso per i procedimenti aventi ad oggetto interessi sensibili, nel presupposto – costituzionalmente ineccepibile, come più volte evidenziato dalla Corte costituzionale – di una prevalenza del pubblico interesse su quello dei privati cittadini in casi nei quali siano coinvolti interessi di rango costituzionale, come in relazione ai temi del patrimonio culturale e dell'ambiente, ai sensi dell'articolo 9 della Costituzione: «Nella materia ambientale vige un principio fondamentale, ricavabile da una serie di disposizioni, da interpretarsi unitariamente nel sistema, secondo cui il silenzio dell'amministrazione preposta al vincolo ambientale non può avere valore di assenso» (sentenza n.  26 del 1996 e n.  440 del 1997);
              la previsione, contenuta nell'articolo 7, comma 1, lettera a), dell'assorbimento di uomini, mezzi, esperienze e capacità affermate in anni di impegno nella difesa dell'ambiente, del territorio e della sicurezza agroalimentare del Corpo forestale dello Stato, pur temperata dal termine «eventuale», configura la volontà esplicita del Governo di pervenire comunque ad uno smembramento del Corpo, e di conseguenza alla dispersione di energie, nonché di esperienze preziose e indispensabili senza le quali verrebbero meno quelle funzioni fondamentali e necessarie per il rispetto dei principi sanciti dall'articolo 9 nell'eccezione più ampia della tutela dell'ambiente e del territorio;
              la lettera b) del comma 1, dell'articolo 7, ridefinendo le attribuzioni di funzioni tra Presidente del Consiglio, Ministri e il Consiglio dei ministri, forzando un loro accentramento in capo al Presidente del Consiglio, di fatto forzano lo spirito e la lettera della Carta costituzionale che, all'articolo 92, indica il Consiglio dei ministri quale massimo organo di Governo del Paese, indicando espressamente al primo comma che «Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri». Inoltre, le norme delegate prevedono la modifica della legge n.  400 del 1988, che disciplina l'attività di governo e l'ordinamento della Presidenza del Consiglio. Si osserva che il Presidente del Consiglio è in una posizione di supremazia rispetto ai Ministri, ma non di vera e propria superiorità gerarchica. In base all'articolo 95, il Presidente del Consiglio «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei Ministri»;
              all'articolo 9, comma 1, lettera b), numeri 2 e 3, si estende il ruolo unico anche ai dirigenti delle Regioni e degli enti locali, incidendo sulla materia riguardante l'organizzazione degli uffici che l'attuale articolo 117 della Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva delle singole Regioni. La normativa in esame non esclude nemmeno il personale delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano che hanno ordinamenti particolari, costituzionalmente garantiti, e comparti autonomi di contrattazione nell'ambito di riserve statutarie di intervenire sul trattamento economico e giuridico dei propri dipendenti. Anche con riferimento agli enti locali, si ravvisa l'incompatibilità del nuovo sistema delineato con l'articolo 117 della Costituzione, in quanto il ruolo della dirigenza degli enti locali viene disciplinato con legge regionale;
              la previsione contenuta al comma 1, lettera h), dell'articolo 9, secondo la quale il dirigente pubblico privo di incarico, dopo un determinato periodo di collocamento in disponibilità, decadrebbe dal ruolo unico configura un vero e proprio licenziamento. L'assenza di incarico non può essere attribuita solamente alla responsabilità del singolo dirigente, ma più spesso è dovuta alla prevalente volontà dell'autorità politica da cui dipende. Il testo in esame consente, ex lege, quindi, una troppo marcata ingerenza della politica nei confronti della pubblica amministrazione, con ciò ponendosi in contrasto con il principio sancito dal comma secondo dell'articolo 97 che garantisce un'organizzazione dei pubblici uffici tale da assicurare «il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione»;
              i dati e gli elementi riportati nella relazione tecnica non danno la necessaria garanzia circa l'assenza di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica anche in presenza della clausola di invarianza, prevista dell'articolo 18, e della norma di salvaguardia prevista dall'articolo 17, con ciò configurando una violazione dell'articolo 81 della Costituzione;
              appaiono evidenti i riflessi sulla finanza pubblica derivanti da più deleghe, in particolare quelle previste: all'articolo 1 relativamente agli adempimenti e alle prescrizioni che si prevedono per la sua attuazione a carico delle amministrazioni; all'articolo 8 in relazione alla necessità della presa «in carico» da parte dell'amministrazione del personale che sarà posto «in esubero» dal sistema camerale nonché all'abrogazione del contributo unico a carico degli associati in particolare l'eventualità che, nel periodo transitorio previsto dalla lettera g) del comma 1 del medesimo articolo, altre amministrazioni pubbliche possano essere chiamate a far fronte ai fabbisogni organizzativi e finanziari degli enti camerali di riferimento per i loro territori; all'articolo 9, relativamente all'istituzione di una banca dati (comma 1, lettera a)), al nuovo regime retributivo previsto per i dirigenti che siano privi di incarico (comma 1, lettera h)) con la previsione che al loro collocamento in «disponibilità» corrisponda il riconoscimento del trattamento «economico fondamentale, all'omogeneizzazione del trattamento economico fondamentale e accessorio nell'ambito di ciascun ruolo unico (comma 1, lettera m)), nei limiti delle risorse già assegnate considerato anche il contenzioso che si verrebbe a creare in caso di peggioramento del trattamento già riconosciuto; all'articolo 15 con riferimento alle risorse con cui si dovrà procedere all'attuazione dei nuovi meccanismi di premialità in favore degli enti locali; infine, all'articolo 7 sulla riorganizzazione statale e all'articolo 12 sul pubblico impiego relativamente alla dinamica della spesa per il personale del pubblico impiego rispetto a quella oggi sostenuta dalle pubbliche amministrazioni, ai sensi della legislazione e contrattazione vigente,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n.  3098.
N. 1. Scotto, Quaranta, Costantino, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti.

      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame presentato dal Governo e recante: «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» rappresenta, per come è strutturato, una violazione evidente e molto grave dell'articolo 76 della Costituzione che, è bene ricordarlo, recita testualmente: «l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con la determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti»;
              il provvedimento reca infatti numerose deleghe non corredate da sufficienti principi e criteri direttivi, caratterizzate da assoluta vaghezza ed indeterminatezza tali da configurare una vera e propria delega in bianco al Governo, su un tema assai sensibile come quello della riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche e del loro rapporto con i cittadini;
              altra violazione evidente dell'articolo 76 della Costituzione è chiaramente costituita dall'eccessiva ampiezza delle deleghe, che riguardano la riforma complessiva di tutte le pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali, nonché le aziende pubbliche di tutti i livelli, superando il disposto costituzionale che parla chiaramente di «oggetti definiti»: operando in tal modo il Governo espropria di fatto il Parlamento della funzione legislativa;
              il tempo attribuito al Governo per procedere alla stesura dei decreti delegati risulta poi essere eccessivo: le deleghe hanno sì una durata iniziale di dodici mesi, ma sono passibili di correzioni, senza limiti di ampiezza e profondità, nel termine di ulteriori dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo delegato. Altra considerazione va fatta in ordine alla valenza che il Governo ha attribuito alla riforma delle pubbliche amministrazioni, come uno strumento chiave per modernizzare e rendere più efficiente il sistema Paese, per dare un impulso agli investimenti ed alla ripresa economica e per contribuire sostanzialmente alla spending review: questi effetti, che dovrebbero essere di carattere congiunturale, difficilmente potranno avere questa caratteristica in quanto i potenziali risultati saranno troppo diluiti nel tempo;
              altra violazione riguarda l'articolo 81 della Costituzione in quanto l'eccessiva genericità delle deleghe e la loro struttura non comporterà, come sostiene il Governo, una riduzione dei costi della pubblica amministrazione, ma con ogni probabilità un aumento degli stessi e a questo riguardo non appaiono affatto sufficienti le disposizioni finanziarie previste dall'articolo 18 del disegno di legge;
              il disegno di legge poi rafforza in maniera sproporzionata il ruolo di indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio dei ministri e le funzioni della Presidenza del Consiglio dei ministri. Tra i principi si prevede anche l'esame da parte del Consiglio dei ministri delle designazioni e nomine di competenza ministeriale – prefigurando una violazione del disposto di cui all'articolo 95 della Costituzione –, nonché una nuova disciplina degli uffici di diretta collaborazione e il rafforzamento delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio nella vigilanza sulle agenzie governative nazionali;
              un ulteriore vulnus al dettato costituzionale è poi costituito dall'articolo 9 del provvedimento, che riguarda la dirigenza pubblica, laddove si prevede la costituzione presso il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri di una «commissione per la dirigenza statale» di cui non sono precisati né il numero dei componenti, né i requisiti per farvi parte, né tanto meno le funzioni. Così come disciplinata all'interno della delega, la Commissione per la dirigenza statale non offre alcuna garanzia di indipendenza (con il rischio di un pieno assoggettamento della dirigenza al controllo politico), mina l'efficienza della PA, ed è sostanzialmente inattuabile. La costituzione di tale commissione, ad avviso dei firmatari del presente atto, prefigura evidentemente la volontà del Governo di condizionare la dirigenza statale, in palese violazione degli articoli 97 e 98 della Costituzione, che prescrivono l'imparzialità della pubblica amministrazione e che i pubblici impiegati siano al servizio esclusivo della Nazione;
              il disegno di legge, infine, attraverso l'istituzione del ruolo unico per i dirigenti regionali (articolo 9) configura un potenziale conflitto di attribuzione di competenze tra Stato e Regioni,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n.  3098.
N.  2. Brunetta, Palese.

      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame delega il Governo ad operare un'amplissima e articolata riforma della pubblica amministrazione, sia con riferimento ad aspetti procedurali, sia con riferimento ad aspetti strutturali e organizzativi dell'attività della stessa, e a tal fine contiene deleghe legislative in materia di riforma della dirigenza pubblica, in materia di riorganizzazione dell'amministrazione centrale e periferica dello Stato, e per la realizzazione di un programma di semplificazioni amministrative e normative;
              ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione i pubblici uffici devono essere organizzati «in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione»;
              la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche che si tenta di operare con il presente disegno di legge non corrisponde né alla citata prescrizione di buon andamento, né a criteri di efficienza ma, anzi, rispetto a molteplici figure e corpi dell'amministrazione interviene a dispetto dei ruoli e delle specifiche professionalità acquisite;
              in questo senso desta particolare preoccupazione la previsione di cui all'articolo 7 del disegno di legge, relativa al riordino delle funzioni di polizia di tutela dell'ambiente e della sicurezza e dei controlli nel settore agroalimentare «conseguente alla riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato ed eventuale assorbimento del medesimo in altra Forza di polizia», mantenendo gli attuali livelli di presidio e la salvaguardia delle professionalità e specialità esistenti;
              il Corpo forestale dello Stato opera con una competenza ed una capacità tecnica che rappresentano una specificità professionale che dovrebbe essere preservati e potenziati piuttosto che dispersi attraverso la fusione del Corpo in altre forze di polizia, mantenendone inalterato il potenziale di contrasto ai crimini in materia ambientale;
              inoltre, l'articolo 9 del disegno di legge in esame reca i principi e criteri direttivi per la riforma della dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici uffici, tra i quali figura anche l'abolizione della figura dei segretari comunali;
              la figura del segretario comunale, selezionato a livello nazionale e dipendente dello Stato, costituisce l'organo di raccordo tra il complesso sistema delle autonomie locali e lo Stato, in perfetta armonia con le previsioni costituzionali di cui all'articolo 117;
              in base al disegno di legge in esame l'abolizione dei segretari comunali fa nascere in capo agli enti locali l'obbligo di «nominare comunque un dirigente apicale con compiti di attuazione dell'indirizzo politico, coordinamento dell'attività amministrativa e controllo della legalità dell'azione amministrativa» senza che sia specificato a quale dei tre ruoli della dirigenza esso debba appartenere;
              l'importanza, la delicatezza e la peculiarità delle funzioni del dirigente apicale richiedono delle garanzie meritocratiche che non sarebbero salvaguardate attingendo genericamente dai ruoli della dirigenza e, inoltre, per garantire il rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 97 della Costituzione, è necessario che siano fornite adeguate garanzie di imparzialità del funzionario chiamato a garantire la legalità dell'azione amministrativa;
              l'articolo 15 del disegno di legge in esame contiene una delega al Governo per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale i cui criteri e principi direttivi prevedono una facoltà di intervento di merito in capo al Governo di tale ampiezza da configurare non solo un eccesso di delega, ma anche una potenziale violazione del rispetto del sistema degli enti locali e dell'autonomia e dei poteri che la Costituzione gli riconosce,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n.  3098.
N.  3. Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Taglialatela, Totaro.