XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Giovedì 24 settembre 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 24 settembre 2015.

      Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Benamati, Bernardo, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Cicchitto, Cimbro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Dieni, Epifani, Faraone, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Garavini, Garofani, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marotta, Martella, Mazziotti Di Celso, Merlo, Meta, Migliore, Morassut, Orlando, Piccoli Nardelli, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sereni, Sorial, Tabacci, Turco, Valeria Valente, Velo, Venittelli, Vignali, Vignaroli, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

      In data 23 settembre 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
          VEZZALI: «Istituzione della figura professionale di massofisioterapista e del relativo albo» (3319);
          BORGHESE e MERLO: «Norme per la tracciabilità dei prodotti italiani e per il contrasto della contraffazione» (3320);
          FREGOLENT: «Disposizioni per la diffusione di società che perseguono il duplice scopo di lucro e di beneficio comune» (3321).

      Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

      La proposta di legge OLIVERIO ed altri: «Norme per la promozione della coltivazione della cannabis sativa per la produzione di alimenti, cosmetici, semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori, opere di bioingegneria e di bonifica dei terreni, attività didattiche e di ricerca» (1859) è stata successivamente sottoscritta dalla deputata Narduolo.

Assegnazione di un progetto di legge a Commissioni in sede referente.

      A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, il seguente progetto di legge è assegnato, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
          Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e IV (Difesa):
      BOLOGNESI ed altri: «Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66, e altre disposizioni concernenti il controllo parlamentare sulle nomine agli incarichi di vertice delle Forze armate e di polizia e dei Servizi di informazione per la sicurezza» (3135) Parere delle Commissioni V, VI e X.

Trasmissione dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.

      Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 23 settembre 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n.  234, la relazione in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE per sostenere una riduzione delle emissioni più efficace sotto il profilo dei costi e promuovere investimenti a favore di basse emissioni di carbonio (COM(2015) 337 final).

      Questa relazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

      Il Consiglio dell'Unione europea, in data 22 e 23 settembre 2015, ha trasmesso, ai sensi del Trattato sull'Unione europea, la posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai pacchetti turistici e ai servizi turistici collegati, che modifica il regolamento (CE) n.  2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio (9173/3/15 REV 3), corredata dalla relativa motivazione (9173/3/15 REV 3 ADD 1), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni riunite II (Giustizia) e X (Attività produttive), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

      La Commissione europea, in data 23 settembre 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Tutela degli interessi finanziari dell'Unione europea – Lotta contro la frode – Relazione annuale 2014 (COM(2015) 386 final), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e VI (Finanze), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

      Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 22 settembre 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n.  234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
      Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
      Con la predetta comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sulla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Progetto di relazione congiunta del Consiglio e della Commissione sull'attuazione di un quadro rinnovato di cooperazione europea in materia di gioventù per il 2015 (2010-2018) (COM(2015) 429 final), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento.

Atti di controllo e di indirizzo.

      Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

      Sono pervenute alla Presidenza dai competenti Ministeri risposte scritte ad interrogazioni. Sono pubblicate nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 2008 – RENDICONTO GENERALE DELL'AMMINISTRAZIONE DELLO STATO PER L'ESERCIZIO FINANZIARIO 2014 (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 3304)

A.C. 3304 – Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

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A.C. 3304 – Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

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A.C. 3304 – Articolo 3

ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

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A.C. 3304 – Articolo 4

ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

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A.C. 3304 – Articolo 5

ARTICOLO 5 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

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A.C. 3304 – Articolo 6

ARTICOLO 6 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

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A.C. 3304 – Articolo 7

ARTICOLO 7 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

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A.C. 3304 – Articolo 8

ARTICOLO 8 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

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A.C. 3304 – Articolo 9

ARTICOLO 9 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

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A.C. 3304 – Articolo 10

ARTICOLO 10 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

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DISEGNO DI LEGGE: S.  2009 – DISPOSIZIONI PER L'ASSESTAMENTO DEL BILANCIO DELLO STATO E DEI BILANCI DELLE AMMINISTRAZIONI AUTONOME PER L'ANNO FINANZIARIO 2015 (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 3305)

A.C. 3305 – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n.  1.

A.C. 3305 – Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO E ANNESSE TABELLE

Art. 1.
(Disposizioni generali).

      1. Nello stato di previsione dell'entrata, negli stati di previsione dei Ministeri e nei bilanci delle Amministrazioni autonome, approvati con legge 23 dicembre 2014, n.  191, sono introdotte, per l'anno finanziario 2015, le variazioni di cui alle annesse tabelle.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 1.
(Disposizioni generali).

      Allo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, missione 4 – Difesa e sicurezza del territorio, programma 4.1 – Missioni militari di pace, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  -  285.000.000;
              CS:  -  285.000.000.

      Conseguentemente, al medesimo stato di previsione, missione 10 – Infrastrutture pubbliche e logistiche, programma 10.1 – Opere pubbliche e infrastrutture, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  +  285.000.000;
              CS:  +  285.000.000.
Tab. 2. 1. Sorial, Caso, Castelli, Cariello, Brugnerotto, D'Incà.

      Allo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, missione 4 –Difesa e sicurezza del territorio, programma 4.1 – Missioni militari di pace, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  -  658.005;
              CS:  -  658.005.

      Conseguentemente, al medesimo stato di previsione, missione 17 – Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, programma 17.7 – Terzo settore (associazionismo, volontariato, Onlus e formazioni sociali) e responsabilità sociale delle imprese e delle organizzazioni, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  +  658.005;
              CS:  +  658.005.
Tab. 2. 2. Sorial, Caso, Castelli, Cariello, Brugnerotto, D'Incà.

      Allo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, missione 25 – Fondi da ripartire, programma 25.1 – Fondi da assegnare, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  -  50.000.000;
              CS:  -  50.000.000.

      Conseguentemente, allo stato di previsione del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, missione 4 – Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, programma 4.5 – Trasferimenti assistenziali a enti previdenziali, finanziamento nazionale spesa sociale, programmazione, monitoraggio e valutazione politiche sociali e di inclusione attiva, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  +  50.000.000;
              CS:  +  50.000.000.
Tab. 2. 3. Di Vita, Lorefice, Mantero, Baroni, Grillo, Colonnese, Silvia Giordano, Castelli, Caso, Cariello, Brugnerotto, D'Incà, Sorial.

      Allo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, missione 25 – Fondi da ripartire, programma 25.1 – Fondi da assegnare, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  -  1.900.000;
              CS:  -  1.900.000.

      Conseguentemente, allo stato di previsione del Ministero della salute, missione 1 – Tutela della salute, programma 1.7 – Vigilanza sugli enti e sicurezza delle cure, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  +  1.900.000;
              CS:  +  1.900.000.
Tab. 2. 4. Lorefice, Colonnese, Grillo, Mantero, Di Vita, Silvia Giordano, Baroni, Caso, Castelli, Cariello, Brugnerotto, D'Incà, Sorial.

      Allo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, missione 25 – Fondi da ripartire, programma 25.1 – Fondi da assegnare, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  -  500.000;
              CS:  -  500.000.

      Conseguentemente, allo stato di previsione del Ministero della salute, missione 1 – Tutela della salute, programma 1.3 – Programmazione del Servizio Sanitario Nazionale per l'erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  +  500.000;
              CS:  +  500.000.
Tab. 2. 5. Baroni, Grillo, Mantero, Lorefice, Colonnese, Silvia Giordano, Di Vita, Caso, Castelli, Cariello, Brugnerotto, D'Incà, Sorial.

      Allo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, missione 25 – Fondi da ripartire, programma 25.1 – Fondi da assegnare, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  -  500.000;
              CS:  -  500.000.

      Conseguentemente, allo stato di previsione del Ministero della salute, missione 1 – Tutela della salute, programma 1.4 – Regolamentazione e vigilanza in materia di prodotti farmaceutici ed altri prodotti sanitari ad uso umano, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  +  500.000;
              CS:  +  500.000.
Tab. 2. 6. Silvia Giordano, Di Vita, Baroni, Lorefice, Grillo, Colonnese, Mantero, Caso, Castelli, Cariello, Brugnerotto, D'Incà, Sorial.

      Allo stato di previsione del Ministero della salute, missione 1 – Tutela della salute, programma 1.1 – Prevenzione e promozione della salute umana ed assistenza sanitaria al personale navigante e aeronavigante, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  +  1.000.000;
              CS:  +  1.000.000.

      Conseguentemente, al medesimo stato di previsione, medesima missione, programma 1.8 – Sicurezza degli alimenti e nutrizione, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  -  1.000.000;
              CS:  -  1.000.000.
Tab. 14. 1. Mantero, Silvia Giordano, Di Vita, Lorefice, Grillo, Colonnese, Baroni, Caso, Castelli, Cariello, Brugnerotto, D'Incà, Sorial.

      Allo stato di previsione del Ministero della salute, missione 1 – Tutela della salute, programma 1.1 – Prevenzione e promozione della salute umana ed assistenza sanitaria al personale navigante e aeronavigante, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  -  578.327;
              CS:  -  578.327.

      Conseguentemente, al medesimo stato di previsione, medesima missione, programma 1.3 – Programmazione del Servizio Sanitario Nazionale per l'erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  +  578.327;
              CS:  +  578.327.
Tab. 14. 2. Colonnese, Grillo, Baroni, Silvia Giordano, Mantero, Di Vita, Lorefice, Caso, Castelli, Cariello, Brugnerotto, D'Incà, Sorial.

      Allo stato di previsione del Ministero della salute, missione 1 – Tutela della salute, programma 1.3 – Programmazione del Servizio Sanitario Nazionale per l'erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  +  2.500.000;
              CS:  +  2.000.000.

      Conseguentemente, al medesimo stato di previsione, medesima missione, programma 1.7 – Vigilanza sugli enti e sicurezza delle cure, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  -  2.500.000;
              CS:  -  2.000.000.
Tab. 14. 3. Grillo, Mantero, Silvia Giordano, Lorefice, Baroni, Di Vita, Colonnese, Caso, Castelli, Cariello, Brugnerotto, D'Incà, Sorial.

      Allo stato di previsione del Ministero della salute, missione 1 – Tutela della salute, programma 1.7 – Vigilanza sugli enti e sicurezza delle cure, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  +  1.000.000;
              CS:  +  1.000.000.

      Conseguentemente, al medesimo stato di previsione, medesima missione, programma 1.8 – Sicurezza degli alimenti e nutrizione, apportare le seguenti variazioni:
          2015:
              CP:  -  1.000.000;
              CS:  -  1.000.000.
Tab. 14. 4. Lorefice, Silvia Giordano, Di Vita, Baroni, Colonnese, Mantero, Grillo, Caso, Castelli, Cariello, Brugnerotto, D'Incà, Sorial.

A.C. 3305 – Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 2.
(Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze e disposizioni relative).

      1. All'articolo 2, comma 7, della legge 23 dicembre 2014, n.  191, le parole: «1.200 milioni di euro» sono sostituite dalle seguenti: «1.500 milioni di euro».
      2. All'articolo 2 della legge 23 dicembre 2014, n.  191, dopo il comma 32 sono aggiunti i seguenti:
      «32-bis. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad effettuare, con propri decreti, variazioni compensative, in termini di competenza e di cassa, tra gli stanziamenti dei capitoli 2214 e 2223 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze iscritti nel programma “Oneri per il servizio del debito statale” e tra gli stanziamenti dei capitoli 9502 e 9503 del medesimo stato di previsione iscritti nel programma “Rimborsi del debito statale”, al fine di provvedere alla copertura del fabbisogno di tesoreria derivante dalla contrazione di mutui ovvero da analoghe operazioni finanziarie, qualora tale modalità di finanziamento risulti più conveniente per la finanza pubblica rispetto all'emissione di titoli del debito pubblico.
      32-ter. Per l'anno 2015, il Ministro dell'economia e delle finanze, nel rispetto dell'invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica, è autorizzato ad apportare, con propri decreti, variazioni compensative, in termini di competenza e cassa, nell'ambito della missione “Politiche economico-finanziarie e di bilancio” – programma “Prevenzione e repressione delle frodi e delle violazioni agli obblighi fiscali” dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, dai capitoli della categoria 2 – consumi intermedi ai capitoli della categoria 21 – investimenti fissi lordi, anche tra titoli diversi. La compensazione non può riguardare le spese predeterminate per legge».

A.C. 3305 – Articolo 3

ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 3.
(Disposizioni diverse).

      1. Per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione, la dotazione del fondo di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n.190, e successive modificazioni, è incrementata di 254.295.088 euro per l'anno 2015.
      2. All'articolo 17 della legge 23 dicembre 2014, n.  191, il comma 24 è sostituito dal seguente:
      «24. Le risorse finanziarie iscritte nei fondi connessi alla sistemazione di partite contabilizzate in conto sospeso nonché da destinare alle regioni, alle province autonome e agli altri enti territoriali, istituiti negli stati di previsione dei Ministeri interessati, in relazione all'eliminazione dei residui passivi di bilancio e alla cancellazione dei residui passivi perenti, a seguito dell'attività di ricognizione svolta in attuazione dell'articolo 49, comma 2, lettere c) e d), del decreto-legge 24 aprile 2014, n.  66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n.  89, sono ripartite con decreti del Ministro competente».

LE TABELLE RECANTI LE VARIAZIONI ALLO STATO DI PREVISIONE DELL'ENTRATA E AGLI STATI DI PREVISIONE DELLA SPESA, CON GLI ELENCHI AD ESSE ALLEGATI, SONO STATE APPROVATE NEL TESTO PROPOSTO DAL GOVERNO, CON LE SEGUENTI MODIFICAZIONI(1)

(1)  Sono di seguito riportate esclusivamente le voci per le quali il Senato ha approvato modificazioni e integrazioni alle variazioni proposte dal Governo.
      Le parti modificate sono stampate in neretto.
      Per le restanti parti delle Tabelle, nel testo del Governo, si rinvia allo stampato A.C. 3305.    

TABELLA N. 2

STATO DI PREVISIONE DEL MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE

Unità di voto Variazioni
Codice Missione
    Programma
Alla previsione di competenza Alla autorizzazione di cassa
7.  Agricoltura, politiche agroalimentari e pesca (9)
7.1
Sostegno al settore agricolo (9.3) 14.922.142 14.922.142
21.  Organi costituzionali, a rilevanza costituzionale e Presidenza del Consiglio dei ministri (1)
21.3 Presidenza del Consiglio dei ministri (1.3) 23.524.455 23.524.455
25.  Fondi da ripartire (33)
25.1 Fondi da assegnare (33.1) – 176.466.505 – 176.466.505
25.2 Fondi di riserva e speciali (33.2) 212.756.190 212.756.190

TABELLA N. 10

STATO DI PREVISIONE DEL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Unità di voto Variazioni
Codice Missione
    Programma
Alla previsione di competenza Alla autorizzazione di cassa
1. Infrastrutture pubbliche e logistica (14)
1.2
    
Sistemi stradali, autostradali ed intermodali (14.11) – 6.318.515 55.186.463
2.  Diritto alla mobilità e sviluppo dei sistemi di trasporto (13)
2.7
    
Sviluppo e sicurezza della mobilità locale (13.6) – 305.119.649 – 305.087.455
6.  Servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche (32)
6.2
    
Servizi e affari generali per le amministrazioni di competenza (32.3) 16.022.493 19.900.240

TABELLA N. 13

STATO DI PREVISIONE DEL MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO

Unità di voto Variazioni
Codice Missione
    Programma
Alla previsione di competenza Alla autorizzazione di cassa
1.  Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici (21)
1.9
    
Tutela e valorizzazione dei beni archivistici (21.9) 4.688.487 6.928.021

TABELLA N. 14

STATO DI PREVISIONE DEL MINISTERO DELLA SALUTE

Unità di voto Variazioni
Codice Missione
    Programma
Alla previsione di competenza Alla autorizzazione di cassa
1. Tutela della salute (20)
1.1
    
Prevenzione e promozione della salute umana ed assistenza sanitaria al personale navigante e aeronavigante (20.1) 871.350 4.371.350
2.  Ricerca e innovazione (17)
2.1
    
Ricerca per il settore della sanità pubblica (17.20) 5.589.276 7.290.727
3.  Servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche (32)
3.2
    
Servizi e affari generali per le amministrazioni di competenza (32.3) 185.684 862.478
4.  Fondi da ripartire (33)
4.1 Fondi da assegnare (33.1) – 11.190.727 – 11.190.727

A.C. 3305 – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

      La Camera,
          premesso che:
              risulta sempre più urgente affiancare alle misure di contenimento della spesa pubblica anche un'attività permanente di analisi della spesa delle amministrazioni centrali dello Stato;
              il decreto-legge n.  138 del 2011 ha previsto che la Ragioneria generale dello Stato dia inizio a un ciclo di spending review mirata alla definizione dei «costi standard» dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali delle Stato;
              tale processo spending review, che negli altri Paesi si è rilevato uno strumento efficace per combattere gli sprechi, in Italia non ha ancora prodotto i risultati sperati, così che è risultato necessario intervenire sulla spesa pubblica con modalità diverse da quelle del passato, superando le logiche di riduzioni di tipo orizzontale e indiscriminata delle risorse a disposizione delle pubbliche amministrazioni;
              l'impegno del Governo Monti in materia di spending review e semplificazione dell'apparato amministrativo-burocratico dello Stato è stato molto chiaro e netto e la sua azione riformatrice non può essere ostacolata né rallentata con resistenze e ambigue vischiosità di stampo conservatore incomprensibili agli occhi dell'opinione pubblica;
              ciononostante, i dati relativi alle società partecipate da parte delle istituzioni regionali fotografati nella relazione del commissario per la spending review Cottarelli e nell'indagine della Corte dei conti del luglio 2014 hanno messo in evidenza l'inaccettabile spreco di risorse pubbliche per costo del personale, consulenze esterne, emolumenti di organi di amministrazione e così via che si pongono in stridente contrasto con gli obiettivi di qualificazione e contenimento della spesa pubblica;
              la situazione è particolarmente scandalosa nella Regione Sardegna dove a tutt'oggi esistono ben 28 società partecipate, 11 delle quali sono da tempo in liquidazione, con ben 5638 dipendenti (240 milioni di euro di costo del personale) e 124 nuove assunzioni nell'ultimo anno;
              tale sistema di partecipazioni, molte delle quali di dubbia utilità, costa alla regione Sardegna ben 366 milioni di euro l'anno, 3 milioni dei quali vanno a remunerare l'ulteriore scatola cinese delle consulenze esterne (evidentemente non sono sufficienti gli oltre 5000 dipendenti per avere in casa le necessarie professionalità), mentre ben 2 milioni e mezzo di euro vanno a pagare annualmente gli emolumenti dei 77 componenti di organi di amministrazione che, sopravvissuti ai referendum del 2012 (in precedenza erano più numerosi), percepiscono in media la considerevole somma di 31287 euro l'anno;
              altrettanto disastrosa appare la corrosiva ramificazione delle partecipazioni negli altri livelli dell'amministrazione sarda: le Province, pur in liquidazione per effetto dei referendum regionali abrogativi del maggio 2012 e delle norme abrogative statali, contano a loro volta ben 30 società completamente o parzialmente partecipate, mentre sono 135 le partecipate comunali, con una pletora di 4731 dipendenti, che conferiscono alla Sardegna il poco invidiabile primato del più alto numero percentuale di dipendenti nelle partecipate comunali (2,9 per mille abitanti) tra tutte le regioni del sud Italia;
              tale ragnatela di partecipazioni pubbliche alimenta un sottobosco politico clientelare e assistenziale in cui è assai difficile distinguere il confine della liceità, al punto che in queste ore la cronaca politica e giudiziaria sarda è squassata dalla drammatica vicenda dell'IGEA, una delle società partecipate in liquidazione della regione Sardegna, che oggi aggiunge all'incertezza lavorativa e alla disperazione del personale dipendente, la pesantissima inchiesta giudiziaria che vede gli arresti dei vecchi vertici aziendali e ben 62 persone indagate, scoperchiando il vaso di Pandora di un sistema che appare ormai distante anni luce dalle reali esigenze di sviluppo e di trasparenza dell'isola,

impegna il Governo

a rafforzare le iniziative governative in materia di spending review, di policy evaluation e di stringente attività di sorveglianza dei trasferimenti statali di risorse alle Regioni affinché questi ultimi siano effettivamente indirizzati al supporto di attività economiche e di coesione sociale e non al mantenimento di un inaccettabile e anacronistico sottobosco politico assistenziale, di cui l'attività delle società partecipate rappresenta un elemento sostanziale.
9/3305/1. Vargiu.


      La Camera,

impegna il Governo

a rafforzare le iniziative governative in materia di spending review, di policy evaluation e di stringente attività di sorveglianza dei trasferimenti statali di risorse alle Regioni affinché questi ultimi siano effettivamente indirizzati al supporto di attività economiche e di coesione sociale e non al mantenimento di un inaccettabile e anacronistico sottobosco politico assistenziale, di cui l'attività delle società partecipate rappresenta un elemento sostanziale.
9/3305/1.    (Testo modificato nel corso della seduta) Vargiu.


      La Camera,
          premesso che:
              le previsioni di assestamento presentano, in termini di competenza, un deterioramento dei conti pubblici, con una diminuzione del risparmio pubblico, un peggioramento importante dell'avanzo primario e quindi un aumento del deficit, un aumento del ricorso al mercato e quindi un maggiore indebitamento;
              il compatto sanitario, a causa di un taglio complessivo imposto dallo Stato alle regioni di 2,352 milioni di euro a decorrere dal 2015, sta proprio in questi giorni affrontando i decreti attuativi dell'ingente riduzione di risorse, fatto di tagli alle prestazioni erogate, ai posti letto ed alle strutture, effettuati però senza alcuna applicazione di criteri di virtuosità quali i costi standard;
              recentemente il Premier ha affermato che in sanità non ci saranno nuovi tagli, ma solo riduzione degli sprechi e che «male che vada, avremo le stesse cifre di quest'anno, cioè nel 2016 le stesse cifre del 2015», in altre parole 3,3 miliardi in meno rispetto a quanto stabilito dal Patto per la salute; per contro, Gutgeld – super commissario alla spending review – ad inizio agosto ha invece ventilato dieci miliardi di tagli alla sanità, senza più intervenire per smentire o confermare; in aggiunta, il Ministro Padoan ha dichiarato che sulla sanità «Si può spendere meno e meglio» e che nella prossima Legge di stabilità il Governo «guarderà a tutte le fonti possibili di risparmio»;
              è importante sottolineare che i tagli fin qui subita dalle Regioni non costituiscono spending review sanitaria o efficientamento, perché le risorse sono sottratte alla sanità per essere destinate ad altra spesa, contraddicendo il principio fondamentale del federalismo fiscale sanitario in base al quale l'applicazione di cosa standard avrebbe consentito di liberare maggiori risorse per migliorare il servizio sanitario pubblico,

impegna il Governo

in sede di predisposizione della Legge di stabilità per il 2016
          a non operare ulteriori tagli al fondo sanitario nazionale o, indirettamente alla sanità tagliando al comparto delle regioni;
          a rivedere i tagli definiti con l'ultima Legge di stabilità al fine di non penalizzare l'offerta sanitaria nelle regioni virtuose.

9/3305/2. Rondini, Guidesi, Saltamartini, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              la Corte dei conti nella Relazione sugli andamenti della finanza territoriale relativa all'anno 2014, ha evidenziato come tra il 2008 ed il 2015 i vincoli imposti dal Patto di stabilità abbiano determinato a carico del comparto degli enti territoriali complessivamente correzioni di poste per 40 miliardi (pari al 2,4 per cento del Pil), con riduzione dei trasferimenti dallo Stato per circa 22 miliardi (e dei finanziamenti nel comparto sanitario regionale per 17,5 miliardi). Ne sono derivati, forzatamente, per gli enti locali e le Regioni un inasprimento della pressione fiscale, una compressione delle funzioni extra-sanitarie, con tagli, soprattutto, delle spese di investimento;
              degli oltre 5.600 Comuni sottoposti al Patto, rileva ancora la Corte, 95 risultano inadempienti nel 2014, anche se le rilevazioni non sono tutt'ora definitive. Si tratta soprattutto di comuni con meno di 5.000 abitanti. Anche i Comuni che hanno rispettato il patto presentato, però, «ampi scostamenti rispetto agli obiettivi, per effetto, prevalentemente, di un anomalo prolungamento dell'esercizio provvisorio, che ha compromesso la capacità programmatoria dei Comuni medesimi»;
              sul versante delle entrate dei Comuni permangono difficoltà conseguenti ai ripetuti tagli ai trasferimenti statali disposti dalle manovre finanziarie che, verosimilmente, sono all'origine degli aumenti generalizzati dei tributi immobiliari (ICI-IMU-TASI) i cui incassi sono passati dai 9,6 miliardi di euro circa (corrispondenti all'ICI 2011) a circa 15,3 miliardi di euro del 2014. Il gettito della Tasi ha avuto, di fatto, un effetto redistributivo, gravando in consistente misura sulle «prime case», in quanto, con 3,2 miliardi circa, ha supplito in larga parte al minor gettito Imu conseguente all'esenzione dell'imposta per l'abitazione principale. Marginale ancora e stato il ruolo svolto dalle imposte che avrebbero dovuto stabilire una più stretta correlazione tra prelievo fiscale e beneficio reso (imposte di scopo, di soggiorno e da cooperazione all'accertamento dei tributi statali) e, più in generale, caratterizzare una politica del prelievo finalizzata allo sviluppo;
              per ammissione della Corte dei conti «non sembra che dai più recenti interventi normativi derivi significativo impulso al progetto di determinazione dei costi dei fabbisogni standard (..), dal cui concretizzarsi dipende buona parte del recupero di efficienza e dei risparmi di spesa attesi per gli enti locali.»;
              il combinato disposto dell'applicazione del Patto di stabilità interno che impedisce agli enti virtuosi di spendere i propri soldi per servizi ed investimenti e allo stesso tempo non ha saputo frenare la spesa degli enti non virtuosi, e dei tagli agli enti locali disposta da leggi dello Stato ha trasformato il fondo di solidarietà comunale da sistema di perequazione tra enti locali in cassaforte da cui lo Stato preleva fondi. Quest'anno saranno 625 i Comuni ed «incapienti» che invece di ricevere fondi dallo Stato si vedranno prelevare risorse verso io Stato,

impegna il Governo

in sede di predisposizione della Legge di stabilità per il 2016
          a prevedere l'applicazione dei principi del federalismo fiscale come sistema di rapporti finanziari tra Stato ed enti territoriali, al fine di garantire i principi di virtuosità, efficienza e responsabilità.

9/3305/3. Guidesi, Caparini.


      La Camera,

impegna il Governo

in sede di predisposizione della Legge di stabilità per il 2016
          a prevedere l'applicazione dei principi del federalismo fiscale come sistema di rapporti finanziari tra Stato ed enti territoriali, al fine di garantire i principi di virtuosità, efficienza e responsabilità.

9/3305/3.    (Testo modificato nel corso della seduta) Guidesi, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              la Corte dei conti nella Relazione sugli andamenti della finanza territoriale relativa all'anno 2014, ha evidenziato come tra il 2008 ed il 2015 i vincoli imposti dal Patto di stabilità abbiano determinato a carico del comparto degli enti territoriali complessivamente correzioni di poste per 40 miliardi (pari al 2,4 per cento del Pil), con riduzione dei trasferimenti dallo Stato per circa 22 miliardi (e dei finanziamenti nel comparto sanitario regionale per 17,5 miliardi);
              sul versante delle entrate dei Comuni permangono difficoltà conseguenti ai ripetuti tagli ai trasferimenti statali disposti dalle manovre finanziarie che, verosimilmente, sono all'origine degli aumenti generalizzati dei tributi immobiliari (ICI-IMU-TASI) i cui incassi sono passati dai 9,6 miliardi di euro circa (corrispondenti all'ICI 2011) a circa 15,3 miliardi di euro del 2014. Il gettito della Tasi ha avuto, di fatto, un effetto redistributivo, gravando in consistente misura sulle «prime case», in quanto, con 3,2 miliardi circa, ha supplito in larga parte al minor gettito Imu conseguente all'esenzione dell'imposta per l'abitazione principale. Marginale ancora è stato il ruolo svolto dalle imposte che avrebbero dovuto stabilire una più stretta correlazione tra prelievo fiscale e beneficio reso (imposte di scopo, di soggiorno e da cooperazione all'accertamento dei tributi statali) e, più in generale, caratterizzare una politica del prelievo finalizzata allo sviluppo;
              i Comuni si trovano in questo modo obbligati a riduzioni di spese, ad esempio per quel che riguarda i sistemi di vigilanza o gli interventi per la pubblica sicurezza, proprio nel momento in cui aumenta la richiesta di sicurezza da parte dei cittadini, a causa dell'aumento registrato dalle statistiche dei piccoli furti soprattutto nelle abitazioni,

impegna il Governo

in sede di predisposizione della Legge di stabilità per il 2016, a prevedere l'esclusione dal patto di stabilità interno degli enti locali delle spese legate alla tutela della sicurezza urbana e alla prevenzione della criminalità a livello locale.

9/3305/4. Molteni, Guidesi, Saltamartini, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              la tendenza del legislatore negli ultimi anni è stata sempre più sovente quella di assimilare tout court i piccoli Comuni, enti locali con meno di 5000 abitanti, alla disciplina di revisione della spesa e di organizzazione amministrativa prevista per gli altri enti, senza tenere conto delle peculiarità degli enti più piccoli, ma anche della generale e storica virtuosità proprio di questi comuni, in virtù del loro confronto costante con i propri cittadini;
              il Presidente del consiglio, in un tweet del 12 novembre 2013 ore 16:15 ha dichiarato che «questa storia che i piccoli comuni sono il problema dell'Italia non mi convince per niente. Non mi direte mica che lo spreco in Italia sono i piccola comuni ? Gli sprechi sono a Roma e nelle Regioni»;
              i tagli conseguenti le ultime manovre finanziarie hanno messo in seria difficoltà i Comuni; alcuni di questi tagli sono vissuti come «ingiusti» da parte degli amministratori locali perché calcolati senza tenere conto di alcune spese incomprimibili, quali quelle della gestione delle Residenze Sanitarie Assistenziali, che gravano sulle spese correnti dell'ente locale per oltre il 50 per cento e quelle relative allo sgombero neve, dato che i Comuni al di sotto dei 5000 abitanti in Italia sono il 72 per cento (5629) e dislocati su un territorio, per lo più collinare e montano, a forte rischio idrogeologico;
              diversamente dal comparto degli enti locali in generale, i piccoli comuni hanno, grazie alla loro virtuosità, disponibilità di risorse, rese inutilizzabili però dai vincoli del Patto di Stabilità, al quale il decreto in esame apporta alcune deroghe troppo limitate;
              i continui tagli lineari, iniziati nel 2012, imposti dallo Stato agli enti locali continuano ad essere applicati in modo indiscriminato ed in misura insostenibile come si è verificato anche per il fondo di solidarietà, mettendo in ginocchio in particolare i piccoli comuni;

impegna il Governo

in sede di predisposizione della Legge di stabilità per il 2016, ad eliminare il Patto di Stabilità interno a decorrere dall'anno 2016 per i comuni sotto i 5000 abitanti.

9/3305/5. Saltamartini, Guidesi, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              la Corte dei conti nella Relazione sugli andamenti della finanza territoriale relativa all'anno 2014, ha evidenziato come tra il 2008 ed il 2015 i vincoli imposti dal Patto di stabilità abbiano determinato a carico del comparto degli enti territoriali complessivamente correzioni di poste per 40 miliardi (pari al 2,4 per cento del Pil), con riduzione dei trasferimenti dallo Stato per circa 22 miliardi (e dei finanziamenti nel comparto salutano regionale per 17,5 miliardi);
              sul versante delle entrate dei Comuni permangono difficoltà conseguenti ai ripetuti tagli ai trasferimenti statali disposti dalle manovre finanziarie che, verosimilmente, sono all'origine degli aumenti generalizzati dei tributi immobiliari (ICI-IMU-TASI) i cui incassi sono passati dai 9,6 miliardi di euro circa (corrispondenti all'ICI 2011) a circa 15,3 miliardi di euro del 2014. Il gettito della Tasi ha avuto, di fatto, un effetto redistributivo, gravando in consistente misura sulle «prime case», in quanto, con 3,2 miliardi circa, ha supplito in larga parte al minor gettito Imu conseguente all'esenzione dell'imposta per l'abitazione principale. Marginale ancora è stato il ruolo svolto dalle imposte che avrebbero dovuto stabilire una più stretta correlazione tra prelievo fiscale e beneficio reso (imposte di scopo, di soggiorno e da cooperazione all'accertamento dei tributi statali) e, più in generale, caratterizzare una politica del prelievo finalizzata allo sviluppo;
              i comuni si trovano in questo modo obbligati a riduzioni di spese, ad esempio per quel che riguarda le attività di contrasto al dissesto idrogeologico e la manutenzione del territorio, nonostante, purtroppo, gli eventi meteorologici con effetti devastanti stiano diventando sempre più tristemente frequenti nel nostro Paese,

impegna il Governo

in sede di predisposizione della Legge di stabilità per il 2016, a prevedere l'esclusione dal patto di stabilità interno degli enti locali le spese degli enti locali destinate alla messa in sicurezza del territorio ed il contrasto al dissesto idrogeologico.
9/3305/6. Grimoldi, Guidesi, Saltamartini, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              la Corte dei conti nella Relazione sugli andamenti della finanza territoriale relativa all'anno 2014, ha evidenziato come tra il 2008 ed il 2015 i vincoli imposti dal Patto di stabilità abbiano determinato a carico del comparto degli enti territoriali complessivamente correzioni di poste per 40 miliardi (pari al 2,4 per cento del Pil), con riduzione dei trasferimenti dallo Stato per circa 22 miliardi (e dei finanziamenti nel comparto sanitario regionale per 17,5 miliardi). Ne sono derivati, forzatamente, per gli enti locali e le regioni un inasprimento della pressione fiscale, una compressione delle funzioni extra-sanitarie, con tagli, soprattutto, delle spese di investimento;
              degli oltre 5.600 comuni sottoposti al Patto, rileva ancora la Corte, 95 risultano inadempienti nel 2014, anche se le rilevazioni non sono tuttora definitive. Si tratta soprattutto di comuni con meno di 5.000 abitanti. Anche i comuni che hanno rispettato il Patto presentano, però, «ampi scostamenti rispetto agli obiettivi, per effetto, prevalentemente, di un anomalo prolungamento dell'esercizio provvisorio che ha compromesso la capacità programmatoria dei Comuni medesimi.»;
              sul versante delle entrate dei comuni permangono difficoltà conseguenti ai ripetuti tagli ai trasferimenti statali disposti dalle manovre finanziarie che, verosimilmente, sono all'origine degli aumenti generalizzati dei tributi immobiliari (ICI-IMU-TASI) i cui incassi sono passati dai 9,6 miliardi di euro circa (corrispondenti all'ICI 2011) a circa 15,3 miliardi di euro del 2014. Il gettito della Tasi ha avuto, di fatto, un effetto redistributivo, gravando in consistente misura sulle «prime case», in quanto, con 3,2 miliardi circa, ha supplito in larga parte al minor gettito Imu conseguente all'esenzione dell'imposta per l'abitazione principale. Marginale ancora è stato il ruolo svolto dalle imposte che avrebbero dovuto stabilire una più stretta correlazione tra prelievo fiscale e beneficio reso (imposte di scopo, di soggiorno e da cooperazione all'accertamento dei tributi statali) e, più in generale, caratterizzare una politica del prelievo finalizzata allo sviluppo;
              per ammissione della Corte dei conti «non sembra che dai più recenti interventi normativi derivi significativo impulso al progetto di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard (...), dal cui concretizzarsi dipende buona parte del recupero di efficienza e dei risparmi di spesa attesi per gli enti locali.»;
              il combinato disposto dell'applicazione del Patto di stabilità interno che impedisce agli enti virtuosi di spendere i propri soldi per servizi ed investimenti e allo stesso tempo non ha saputo frenare la spesa degli enti non virtuosi, e dei tagli agli enti locali disposti da leggi dello Stato ha trasformato il fondo di solidarietà comunale da sistema di perequazione tra enti locali in cassaforte da cui lo Stato preleva fondi. Quest'anno saranno 625 i Comuni ed «incapienti» che invece di ricevere fondi dallo Stato si vedranno prelevare risorse verso lo Stato,

impegna il Governo

in sede di predisposizione della Legge di stabilità per il 2016, a prevedere la cancellazione del Patto di stabilità interno per gli enti locali a decorrere dall'anno 2016 adottando meccanismi di controllo della spesa più semplici e direttamente correlati in senso premiante al grado di virtuosità degli enti.
9/3305/7. Simonetti, Guidesi, Saltamartini, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              le previsioni di assestamento presentano, in termini di competenza, un deterioramento dei conti pubblici, con una diminuzione del risparmio pubblico, un peggioramento importante dell'avanzo primario e quindi un aumento del deficit, un aumento del ricorso al mercato e quindi un maggiore indebitamento;
              il premier, anche dopo la presentazione dei disegni di legge di rendiconto e assestamento che evidenziano le variazioni richiamate ha promesso di intervenire nella prossima Legge di stabilità con importanti misure di riduzione fiscale, sia sulla casa che sulle imprese;
              a partire dal primo gennaio 2016, la normativa vigente e in mancanza di ulteriori interventi, entreranno in vigore le clausole di salvaguardia previste dalle ultime due leggi di stabilità per un valore di circa 12 miliardi, destinate a crescere negli anni successivi;
              lo scenario presumibile quindi è quello di un quadro economico difficile per cittadini ed imprese, ancora lontano da una ripresa economica che possa riportare il Paese alle condizioni ante 2008;
              il decreto-legge 30 agosto 1993, n.  331, convertirò, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n.  427, ha introdotto nel nostro Paese la disciplina degli studi di settore quale strumento di lotta all'evasione fiscale: essi consistono in un metodo finalizzato a misurare e a valutare la capacità di guadagno dei singoli settori economici avvalendosi di una raccolta di dati afferenti al settore economico che si prende in esame. Lo studio stima, in via preventiva, le possibilità dei ricavi e compensi del contribuente al fine di poter avviare o meno la relativa procedura di accertamento da parte dell'amministrazione fiscale;
              lo scopo dell'introduzione degli studi di settore era facilitare il fisco nella procedura di accertamento di casi di evasione, fornire uno strumento all'imprenditore e al professionista al fine di valutare la propria efficienza economica, disporre di uno strumento per monitorare le attività presenti sul territorio da utilizzare nelle scelte di programmazione economica, ed evitare le situazioni di concorrenza sleale tra imprenditori onesti e coloro invece che potevano praticare prezzi più bassi grazie all'evasione;
              in realtà, questo meccanismo, collegando i redditi dei contribuenti a standard di riferimento ha prodotto fin da subito effetti esattamente contrari a quelli previsti sottoponendo il contribuente, in caso di dichiarazione di valori minori a quelli prefissati, a lunghe ed estenuanti indagini fiscali;
              lo studio di settore invece l'onere della prova a danno del contribuente, e ha quindi spinto una buona parte dei professionisti e degli imprenditori ad adeguarsi agli standard previsionali dell'amministrazione fiscale, con la grave conseguenza di dover assolvere ad obbligazioni tributarie maggiori,

impegna il Governo

in sede di predisposizione della Legge di stabilità per il 2016, a prevedere la sospensione dell'applicazione degli studi di settore per l'anno 2016, e ad avviare una completa revisione del sistema delle verifiche fiscali a fini anti evasivi.
9/3305/8. Busin, Guidesi, Caparini.


      La Camera,
          premesso che:
              la situazione degli ex percettori di indennità di mobilità in deroga è molto critica in molte regioni, in particolare nel Mezzogiorno;
              coloro che al 31 agosto 2014 in base al decreto ministeriale 83473 avevano percepito l'ammortizzatore in deroga per più di tre anni si trovano oggi fuori da ogni forma di tutela e attendono ancora il pagamento, di spettanze relative all'annualità 2014 e molte regioni non hanno provveduto ancora al riparto dell'accantonamento previsto del 5 per cento sui riparti proprio per estendere ulteriormente la garanzia dell'ammortizzatore sociale;
              la situazione è socialmente critica e anche le notizie su modifiche dei criteri di accesso alla pensione e/o di forme di tutela per ultracinquantacinquenni come annunciato dall'Inps creano attese e suscitano aspettative,

impegna il Governo

a sollecitare le regioni a pagare le spettanze dovute anche in riferimento all'accantonamento del 5 per cento nonché a valutare l'opportunità nella prossima Legge di stabilità di prevedere particolari forme di tutela per soggetti ultracinquantacinquenni ex percettori di mobilità in deroga e privi di qualsiasi forma di sostegno del reddito.
9/3305/9. Burtone.


      La Camera,
          premesso che:
              la situazione degli ex percettori di indennità di mobilità in deroga è molto critica in molte regioni, in particolare nel Mezzogiorno;
              coloro che al 31 agosto 2014 in base al decreto ministeriale 83473 avevano percepito l'ammortizzatore in deroga per più di tre anni si trovano oggi fuori da ogni forma di tutela e attendono ancora il pagamento, di spettanze relative all'annualità 2014 e molte regioni non hanno provveduto ancora al riparto dell'accantonamento previsto del 5% sui riparti proprio per estendere ulteriormente la garanzia dell'ammortizzatore sociale;
              la situazione è socialmente critica e anche le notizie su modifiche dei criteri di accesso alla pensione e/o di forme di tutela per ultracinquantacinquenni come annunciato dall'Inps creano attese e suscitano aspettative,

impegna il Governo

a sollecitare le regioni a pagare le spettanze dovute anche in riferimento all'accantonamento del 5 per cento.
9/3305/9.    (Testo modificato nel corso della seduta) Burtone.


MOZIONI CIPRINI ED ALTRI N. 1-00878, DI SALVO ED ALTRI N. 1-00988, POLVERINI ED ALTRI N. 1-00992, AIRAUDO ED ALTRI N. 1-00994, FEDRIGA ED ALTRI N.  1-00997 E PIZZOLANTE ED ALTRI N.  1-00998 CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A SOSPENDERE O REVOCARE IL BLOCCO DELLA CONTRATTAZIONE NEL PUBBLICO IMPIEGO

Mozioni

      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  122 del 2010, è stato adottato, come recita il suo preambolo, in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica»;
              nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento ed alla riduzione della spesa pubblica si colloca l'articolo 9, relativo al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego che, al comma 21, testualmente recita: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n.  448, non si applicano per gli anni 2011, 2012, 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previste dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»;
              in applicazione del citato comma 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n.  78 del 2010, quindi, per l'intero triennio 2011-2013, le retribuzioni del personale interessato sono state pertanto escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'articolo 24 della legge n.  448 del 1998, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi («scatti» e «classi» di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, quanto, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero;
              l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011, ha poi previsto che con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.  400, su proposta dei Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze la possibilità di prorogare di un anno, ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive;
              ed infatti con decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n.  122, il Governo ha disposto la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle seguenti misure previste dall'articolo 9 del decreto-legge n.  78 del 2010: a) il blocco dei trattamenti economici individuali; b) la riduzione delle indennità corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e l'individuazione del limite massimo per i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari di incarichi dirigenziali; c) il limite massimo e la riduzione dell'ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale; d) i blocchi riguardanti i meccanismi di adeguamento retributivo, classi e scatti di stipendio, nonché le progressioni di carriera comunque denominate del personale contrattualizzato e in regime di diritto pubblico;
              infine, per effetto della legge di stabilità per il 2015 (legge n.  190 del 2014, commi 254-256) è stato prorogato ulteriormente per tutto il 2015 il blocco economico della contrattazione nazionale e del contratto collettivo nazionale nel pubblico impiego – ormai operante dal 2010 – con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018; è stata estesa fino al 2018 l'efficacia della norma in base alla quale l'indennità di vacanza contrattuale, da attribuirsi all'atto del rinnovo contrattuale, rimane quella in godimento al 31 dicembre 2013 e viene prorogato fino al 31 dicembre 2015 il blocco degli automatismi stipendiali ma relativo al solo personale non contrattualizzato (magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare e delle forze di polizia di Stato, personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, personale della carriera dirigenziale penitenziaria, professori e ricercatori universitari, nonché il personale della Banca d'Italia, della Consob e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato), ferma restando l'esclusione dal blocco dei magistrati;
              in proposito, occorre rammentare che la Corte costituzionale, in occasione di pregresse manovre economiche, recanti deroghe temporanee ai ricordati meccanismi rivalutativi di adeguamento, disposte, in particolare, in occasione dell'altrettanto grave congiuntura economica del 1992, aveva già indicato i limiti entro i quali un tale intervento potesse ritenersi rispettoso dei richiamati principi costituzionali, osservando che «norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all'articolo 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza), a condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso»;
              in quel caso il sacrificio era limitato ad un anno, mentre ora, in presenza di una reiterazione a percussione di misure patrimoniali afflittive, la natura eccezionale e transitoria di una disposizione non può più essere predicata, credibilmente e plausibilmente, anche per la prevedibilità della sua reiterazione nel tempo futuro;
              eppure per le misure adottate con il decreto-legge n.  78 del 2010 e successivi provvedimenti, si tratta invece di ben cinque anni di blocco contrattuale, anni che – in termini più generali – coincidono con la fase apicale della crisi economica e sociale più lunga ed intensa che la storia della Repubblica ricordi e che ha prodotto un impoverimento generalizzato del Paese, del ceto medio e della classe lavoratrice in particolare;
              secondo l'Istat la riduzione delle retribuzioni pro capite in termini reali è stimata nell'ordine di oltre il 10 per cento dal 2010 al 2014; i dati pubblicati dall'Istat circa l'andamento economico del settore statale evidenziano – secondo quanto emerge dalle tabelle 12 e 13 rispettivamente: Unità di lavoro delle amministrazioni pubbliche per sotto settore 1995/2014 e Analisi dei redditi da lavoro dipendente delle amministrazioni pubbliche per sotto settore 1995/2014 – la cristallizzazione delle retribuzioni lorde pro capite medie ammontanti, per il 2014, a 34.286 euro con un decremento di circa 10 euro rispetto al dato 2013 (da: «Il quotidiano della PA», articolo di Stefano Olivieri Pennesi del 20 maggio 2015);
              dall'altra parte, il rapporto annuale Istat del 2015, pur rilevando che nel 2013 e 2014 è rimasto invariato il carico fiscale corrente e in conto capitale delle famiglie (al 15,7 per cento del reddito lordo disponibile delle famiglie), evidenzia l'aumento di tre decimi di punto del carico fiscale complessivo (che include anche le imposte sull'abitazione), salendo al 16,3 per cento, a causa dell'introduzione del tributo per i servizi indivisibili (Tasi), compensando quasi interamente il calo di quattro decimi del 2013, determinato dall'abolizione dell'Imu sulla prima casa;
              è evidente che il combinato disposto tra il perdurante blocco economico della contrattazione da una parte (di dubbia legittimità costituzionale) e un livello pressoché stabile ovvero in aumento della pressione tributaria sulle famiglie dall'altra, hanno comportato l'attuale depressione economica e la caduta del potere di acquisto degli stessi stipendi;
              le misure adottate finora con il decreto-legge n.  78 del 2010 e le successive proroghe di fatto hanno paralizzato anche l'applicazione degli istituti contrattuali retributivi legati al merito previsti dal decreto legislativo n.  150 del 2009 (cosiddetta «riforma Brunetta») che prevede numerosi strumenti (anche economici) per premiare il merito e la professionalità del dipendente pubblico (articoli 20 e seguenti del decreto legislativo n.  150 del 2009);
              tali misure economiche di carattere restrittivo si ripercuotono non soltanto: a) sulle motivazioni dei dipendenti pubblici sempre più «stanchi», perché penalizzati da uno scarso turnover (ora indebolito ancor di più dall'arrivo dei dipendenti provenienti dalle Province) e da un progressivo allungamento dell'età per accedere alla pensione, ma altresì: b) sull'efficienza e funzionalità dei servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni;
              il tribunale di Roma con ordinanza del 27 novembre 2013 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9, commi 1 e 17, del decreto-legge n.  78 del 2010 nonché dell'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n.  98 del 2011 per contrasto con gli articoli 2, 3, 35, 36, 39 e 53 della Costituzione e ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale rilevando come «la sospensione della possibilità di negoziare anche solo in ordine ad incrementi retributivi, viene a determinare, indirettamente, un'anomala interruzione dell'efficacia delle disposizioni vigenti in materia (...) e, quindi, del valore dell'autonomia negoziale riservata alle parti nell'ambito della contrattazione collettiva, interruzione determinata a causa della esclusiva e affatto peculiare posizione dello Stato-datore di lavoro. (...); conseguentemente, l'inibizione prolungata della contrattazione in ordine all'adeguamento dei trattamenti retributivi può sollevare il legittimo dubbio di una conseguente violazione del principio di proporzionalità e sufficienza della retribuzione»;
              la questione verrà discussa dai giudici della Corte costituzionale il prossimo 23 giugno 2015 e, in caso di accoglimento, il recupero del pregresso blocco del rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici potrebbe «costare» dai 14 ai 16 miliardi di euro, pari quasi all'ammontare di una legge di stabilità aprendo una «voragine» nei conti dello Stato;
              sono tre milioni e mezzo i pubblici dipendenti che aspettano il rinnovo dei contratti dal 2010 e potenzialmente interessati dalla decisione della Consulta;
              gli interventi così operati ingiustificatamente aumentano gli squilibri, trascurano del tutto di colpire le ricchezze evase al fisco e persino gli introiti derivanti da rendite ben conosciute (quali le rendite catastali e finanziarie), per concentrarsi su una fascia specifica di cittadini (di solito i pensionati e i lavoratori dipendenti), colpevoli unicamente di appartenere ad una categoria e di avere redditi facilmente accertabili ed ancora più facilmente «attaccabili»;
              già in altre occasioni la Corte costituzionale è intervenuta affermando l'esistenza di diritti di rilevanza costituzionale non comprimibili dalle cosiddette «emergenze finanziarie», dal mercato e da pseudo riforme economiche dettate dalla mera esigenza di far quadrare i conti;
              è necessario prendere atto degli effetti negativi dispiegati dalle suddette misure di contenimento della spesa pubblica e di austerity e dalle conseguenti proroghe susseguitesi oltre ogni tempo ragionevole (di dubbia legittimità costituzionale per i motivi esposti) non solo sull'efficienza e l'efficacia della pubblica amministrazione e sul rendimento e le performance dei pubblici dipendenti, ma anche sul sistema economico del Paese,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per sospendere e/o revocare, a partire dal secondo semestre 2015, il blocco economico della contrattazione nazionale e delle tornate contrattuali del contratto collettivo nazionale dei pubblici dipendenti interessati dal decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  122 del 2010, e successive proroghe;
          ad assumere iniziative per assicurare, a far data dal 1o gennaio 2016, per tutti i dipendenti della pubblica amministrazione interessati dal decreto-legge n.  78 del 2010, procedure per il progressivo riallineamento e adeguamento degli stipendi agli standard costituzionali;
          ad assumere urgenti iniziative volte a permettere fin dal 2015 la ripresa della concertazione e della contrattazione del contratto del pubblico impiego interessato dal blocco della contrattazione per effetto del decreto-legge n.  78 del 2010 e successive proroghe al fine di predisporre – anche di concerto con le organizzazioni di rappresentanza del settore pubblico – idonee misure volte al recupero pieno della perdita del potere di acquisto degli stipendi dei pubblici dipendenti dovuto al blocco contrattuale, ovvero reperire idonee risorse volte all'effettivo recupero dei trattamenti economici e degli aumenti retributivi dovuti per le tornate contrattuali e non goduti per effetto del blocco.
(1-00878) «Ciprini, Chimienti, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi, Tripiedi, Gallinella, Dadone, Cozzolino, Cancelleri, Lorefice».


      La Camera,
          premesso che:
              il Governo in carica ha ereditato le precedenti e numerose misure di blocco o contenimento della contrattazione collettiva nel pubblico impiego:
                  l'emanazione del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» ha determinato, per quanto concerne il pubblico impiego, il congelamento dei trattamenti economici per tre anni, con la finalità del contenimento delle spese, mediante l'articolo 9, comma 21, in base al quale le retribuzioni del personale interessato sono state escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'articolo 24 della legge n.  448 del 1998, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi, i cosiddetti «scatti» e «classi di stipendio», collegati all'anzianità di ruolo, quanto, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero;
                  successivamente il decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011, ha previsto, all'articolo 16, comma 1, con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.  400, su proposta dei Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze, la possibilità di prorogare di un anno, ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive;
                  la formulazione dell'articolo 40 e dell'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n.  165 del 2001 modificano gli spazi delle relazioni sindacali come precedentemente configurati dalla legge e dalla contrattazione collettiva;
                  l'articolo 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, modificato dall'articolo 54 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.  150, testualmente recita «tramite appositi accordi tra l'Aran e le Confederazioni rappresentative, secondo le procedure di cui agli articoli 41, comma 5, e 47 (...]) sono definiti fino a un massimo di quattro comparti di contrattazione collettiva nazionale, cui corrispondono non più di quattro separate aree per la dirigenza (...)»;
                  occorre, pertanto, giungere preliminarmente ad un accordo attuativo delle citate disposizioni, al fine di ricondurre alle previsioni normative il numero dei comparti, quale premessa per la riapertura del tavolo contrattuale;
                  la legge 23 dicembre 2014, n.  190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2015) ha prorogato fino al 31 dicembre 2015 il blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto dalla normativa vigente fino al 31 dicembre 2014, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018;
                  pur con la conferma del blocco contrattuale, la stessa legge di stabilità 2015 ha comunque opportunamente sbloccato gli automatismi e le progressioni per determinate categorie di pubblici dipendenti (tra tutti, le forze di polizia) e, in particolare, ha ripristinato gli effetti economici legati alle progressioni di carriera e gli assegni connessi con il merito e con l'anzianità di servizio;
                  la Corte costituzionale il 23 luglio 2015, in relazione alle questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze r.o. n.  76/2014 e r.o. n.  125/2014, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, così come risulta dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato che rischiano di rendere strutturale tale blocco;
                  la Corte costituzionale ha ribadito la piena legittimità - già affermata in sentenze precedenti – dell'intervento del legislatore volto a far fronte a esigenze eccezionali di riequilibrio del bilancio pubblico, riaffermando alcune peculiarità del settore pubblico rispetto a quello privato, che permangono anche dopo la cosiddetta «contrattualizzazione» dell'impiego pubblico, negando altresì che il blocco temporaneo abbia determinato una situazione di insufficienza della retribuzione alla stregua dell'articolo 36 della Costituzione, osservando che prima del blocco i livelli salariali del settore pubblico si erano già attestati su livelli superiori, a parità di contenuto della prestazione lavorativa, rispetto al settore privato;
                  nell'affermare l'illegittimità costituzionale sopravvenuta del blocco della contrattazione collettiva nel settore pubblico, la Corte costituzionale ha precisato che la riattivazione della negoziazione collettiva costituisce un dato essenzialmente procedurale, «disgiunto da qualsiasi vincolo di risultato»;
                  già antecedentemente alla sentenza della Corte costituzionale, in data 17 giugno 2015, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, rispondendo ad un'interrogazione «in merito alla sospensione o alla revoca, a partire dal secondo semestre 2015, del blocco della contrattazione nazionale del pubblico impiego», in tale sede ha riferito – sostanzialmente d'intesa con la Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione – che il Governo nella sua collegialità ha ritenuto di confermare il blocco della contrattazione collettiva economica per il pubblico impiego prorogato al 2015 ma parzialmente compensato da un periodo di bassa inflazione. È evidente tuttavia che il blocco dei contratti non può essere la normalità e per questo l'auspicio è di riaprire il prima possibile una normale contrattazione;
                  successivamente, durante il passaggio al Senato della Repubblica del disegno di legge delega approvato ad agosto 2015, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, la stessa Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ha preannunciato la volontà del Governo di superare il blocco della contrattazione, dopo cinque anni di fermo della parte economica dei contratti collettivi di lavoro nel pubblico impiego;
                  il rinnovo del contratto collettivo per tre milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori del pubblico impiego è una scelta utile per l'economia e indispensabile per riconoscere il valore al lavoro pubblico;
                  la valorizzazione dei lavoratori del pubblico impiego è condizione necessaria per la piena realizzazione degli obiettivi positivi di semplificazione, qualità e maggiore efficacia della pubblica amministrazione perseguiti della legge 7 agosto 2015, n.  124;
                  il processo di semplificazione e di innovazione prefigurato dalla legge 7 agosto 2015, n.  124, individua all'articolo 17 i principi e criteri direttivi cui debbono uniformarsi i decreti attuativi sul riordino e la semplificazione della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e dei connessi profili di organizzazione amministrativa e, all'articolo 11, introduce un nuovo modello organizzativo della dirigenza pubblica,

impegna il Governo:

          a favorire la chiusura degli accordi di cui all'articolo 40 del decreto legislativo n.  165 del 2001, ai fini della conclusione rapida e comunque entro il 2015 del processo di ridefinizione dei comparti, così come previsto dal citato decreto legislativo n.  165 del 2001 e successive modificazioni, apportate dal decreto legislativo n.  150 del 2009, anche con soluzioni innovative, in coerenza con l'impianto della legge n.  124 del 2015;
          a prevedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e nel quadro delle compatibilità finanziarie individuate in quella sede, adeguate risorse da destinare al rinnovo dei contratti del pubblico impiego.
(1-00988) «Di Salvo, Miccoli, Gnecchi, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Damiano, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla».


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n.  448 (legge finanziaria 1999), definisce i meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato, prevedendo «l'adeguamento di diritto, annualmente in ragione degli incrementi medi, calcolati dall'Istat, conseguiti nell'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive, ivi compresa l'indennità integrativa speciale, utilizzate dal medesimo istituto per l'elaborazione degli indici delle retribuzioni contrattuali»;
              il decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  122 del 2010, all'articolo 9, comma 21, stabilisce che: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n.  448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 e successive modificazioni, le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»;
              in sostanza, il dettato normativo ha avuto il duplice obiettivo di contenere e ridurre la spesa pubblica (cosiddetta spending review) e contestualmente concorrere a riequilibrare i diversi trattamenti contrattuali del pubblico impiego, più alti dei trattamenti corrispondenti nel settore privato. Il citato articolo 9, comma 21, del decreto-legge n.  78 del 2010 ha così previsto, per il triennio 2011-2013, l'esclusione, per le categorie di lavoratori interessati, dai meccanismi di adeguamento previsti dall'articolo 24 della legge finanziaria per l'anno 1999, bloccando tutti gli aumenti retributivi, i premi individuali, gli incentivi e gli scatti di anzianità;
              l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011, ha poi previsto che, con uno o più regolamenti, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.  400, su proposta dei Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze, la possibilità di prorogare di un anno ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive;
              a tal riguardo, il successivo decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n.  122, «Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti», ha disposto la proroga fino al 31 dicembre 2014 di una serie di misure previste dall'articolo 9, comma 21, del citato decreto-legge n.  78 del 2010;
              con la sentenza n.  178 del 24 giugno 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale sopravvenuta, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza e nei termini indicati in motivazione, del regime di sospensione della contrattazione collettiva, risultante dall'articolo 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98 («Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria»), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111, come specificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n.  122 («Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111); dall'articolo 1, comma 453, della legge 27 dicembre 2013, n.  147 («Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014») e articolo 1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n.  190 («Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015»);
              la Corte costituzionale ha riconosciuto in tali misure un carattere strutturale, con una conseguente violazione dell'autonomia negoziale. L'estensione fino al 2015 delle misure che inibiscono la contrattazione economica e che, già per il 2013-2014, erano state definite eccezionali, nasconde un assetto durevole di proroghe, in ragione di una vocazione che mira a rendere strutturale il regime del blocco. Le norme impugnate dai giudici rimettenti e le norme sopravvenute della legge di stabilità per il 2015 si susseguono senza soluzione di continuità, proprio perché accomunate da analoga direzione finalistica. Il blocco, così come emerge dalle disposizioni che, nel loro stesso concatenarsi, ne definiscono la durata complessiva, non può che essere colto in una prospettiva unitaria;
              la Corte costituzionale, nella sentenza citata, rivolge, infine, un appello al Governo a modificare al più presto la legislazione: «Rimossi, per il futuro, i limiti che si frappongono allo svolgimento delle procedure negoziali riguardanti la parte economica, sarà compito del legislatore dare nuovo impulso all'ordinaria dialettica contrattuale, scegliendo i modi e le forme che meglio ne rispecchino la natura, disgiunta da ogni vincolo di risultato»;
              dalla sentenza n.  178 del 2015, dunque, discende la necessità di riaprire la contrattazione nel pubblico impiego che, secondo le ultime stime, interesserebbe più di 3 milioni e 300 mila lavoratori. In tal senso, la Corte costituzionale conclude confermando che: «Il carattere essenzialmente dinamico e procedurale della contrattazione collettiva non può che essere ridefinito dal legislatore, nel rispetto dei vincoli di spesa, lasciando impregiudicati, per il periodo già trascorso, gli effetti economici derivanti dalla disciplina esaminata»;
              secondo uno studio de Il Sole 24 ore, il blocco dei contratti del pubblico impiego, sino a tutto il 2014, ha comportato per i dipendenti pubblici una riduzione pari al 10,5 per cento dell'attuale stipendio di riferimento, con un possibile aumento fino al 14,6 per cento, se il blocco della contrattazione rimanesse in vigore fino al 2017;
              la mancata indicizzazione dei contratti del pubblico impiego ha prodotto anche l'effetto di riequilibrare l'esistente discrepanza tra le retribuzioni pubbliche, tradizionalmente più elevate, e quelle private; secondo l'ultimo rapporto dell'Aran, l'Agenzia che si occupa della contrattazione nel pubblico impiego, nel 2010 la retribuzione contrattuale media pro capite per impiegati e quadri pubblici era pari a 27.472 euro lordi contro i 25.531 euro del settore privato. Nel 2013 lo scarto si era già ridotto a meno di 500 euro: 27.252 euro nel pubblico contro 27.004 euro nel privato; nel mese di giugno 2015, la Cgia di Mestre ha diffuso una ricerca che ha confrontato le retribuzioni medie lorde dei dipendenti pubblici con quelle dei privati. Sebbene abbiano gli stipendi bloccati dal 2011, i dipendenti pubblici guadagnano quasi 2.000 euro all'anno in più rispetto ai dipendenti privati. In particolare, per quanto riguarda l'anno 2014, secondo lo studio condotto dalla Cgia di Mestre i dipendenti pubblici hanno ricevuto una retribuzione annua in media di 34.286 euro, contro 32.315 euro dei dipendenti privati;
              da ultimo, si segnala la sentenza del 16 settembre 2014 del tribunale di Roma, che ha condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri e l'Aran a dare avvio «senza ritardo» al procedimento di contrattazione collettiva per i comparti della scuola, dell'università, della ricerca, dell'Afam e delle relative aeree dirigenziali;
              a seguito del ricorso presentato dalla Flc Cgil, con cui si rivendicava il diritto dei lavoratori dei comparti pubblici della conoscenza a vedersi rinnovato il contratto di lavoro dopo sei anni di blocco, il giudice del lavoro, riferendosi in particolar modo alla citata sentenza della Corte costituzionale n.  178 del 2015, ha evidenziato come la sospensione della contrattazione comporti un «sacrificio del diritto fondamentale tutelato dall'articolo 39 della Costituzione non più tollerabile». Lo stesso giudice del lavoro ha, altresì, evidenziato come, per effetto dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza citata, l'Amministrazione avrebbe dovuto rimuovere immediatamente gli ostacoli all'avvio della contrattazione, anche per i comparti della conoscenza, cosa che invece – a distanza già di diversi mesi dalla sentenza – non risulta sia stata ancora fatta. Proprio per quest'ultimo motivo, stante l'inerzia dell'Amministrazione nonostante la sentenza costituzionale, secondo il giudice è fondata la richiesta di tutela giurisdizionale avanzata dalla Flc Cgil a nome dei lavoratori che rappresenta,

impegna il Governo:

          a porre in essere opportune iniziative finalizzate alla sospensione del blocco economico della contrattazione nazionale per il pubblico impiego, per le categorie interessate dal decreto-legge 78 del 2010 e dalle successive proroghe;
          ad assumere le opportune iniziative volte ad assicurare che a partire dal 1o gennaio 2016, per i dipendenti pubblici coinvolti, si proceda ad un progressivo adeguamento delle retribuzioni secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  178 del 2015.
(1-00992) «Polverini, Palese, Occhiuto, Brunetta».


      La Camera,
          premesso che:
              con la sentenza n.  178 del 2015 la Corte costituzionale, chiamata ad esaminare la legittimità delle norme che hanno imposto dal 2010 al 2015 un prolungato regime di blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, ha imposto al Governo l'immediato avvio di una stagione di consultazione con il mondo sindacale i cui esiti interesseranno circa tre milioni e mezzo di pubblici dipendenti, che, per effetto del relativo congelamento della retribuzione, hanno subito una perdita economica individuale pari a 4.800 euro;
              il pronunciamento della Corte costituzionale, come quello sulle pensioni che lo ha preceduto di qualche mese e che ha bocciato il mancato adeguamento dei trattamenti previdenziali al costo della vita imposto dal Governo Monti, rappresentano un baluardo per tutti i futuri Governi che d'ora in poi non potranno più per mere esigenze di finanza pubblica imporre a lavoratori e pensionati sacrifici ad libitum;
              per il giudice costituzionale, infatti, il blocco reiterato e sistematico della contrattazione, deciso con vari provvedimenti unilateralmente dal datore di lavoro pubblico, ha violato la libertà costituzionale dell'azione sindacale di cui all'articolo 39, comma 1, della Costituzione, già sacrificata, peraltro da altre norme come gli articoli 47 e 48 del decreto legislativo n.  165 del 2001 (testo unico sul pubblico impiego), come modificati dalla cosiddetta legge Brunetta, che ha notevolmente ridotto l'operatività della contrattazione collettiva, e l'articolo 81 della Costituzione sul principio del pareggio del bilancio;
              non v’è chi non legge nel pronunciamento della Corte costituzionale, che di fatto ha inteso fermare quella distorcente tendenza politica a minimizzare e delegittimare il ruolo delle organizzazioni sindacali in materia di tutela dei diritti contrattuali, un chiaro monito all'attuale Governo che da oltre 18 mesi a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo ostacola, minimizza ed irride l'azione di tutte le confederazioni sindacali, evitando un confronto serio e costruttivo sui molteplici temi del lavoro, in primis quello della pubblica amministrazione. Infatti, è proprio la disciplina contenuta nella legge n.  190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) a rendere strutturali quei blocchi contrattuali e stipendiali introdotti con i precedenti provvedimenti legislativi ed a cristallizzare a tutto il 2018 l'ammontare dell'indennità di vacanza contrattuale ai valori del 31 dicembre 2013, oscurando e disattendendo il criterio di proporzionalità della retribuzione, riferito alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto dal pubblico dipendente;
              secondo la Corte costituzionale le misure di risanamento realizzate attraverso una prolungata sospensione a carico esclusivamente dei pubblici dipendenti delle procedure negoziali e dell'ordinaria dinamica retributiva, oltre, come si è visto, a compromettere irreparabilmente lo svolgersi della dialettica contrattuale ed il diritto degli stessi, sottoposti ad un carico di lavoro sempre più gravoso stante il permanente regime di turn over, a percepire una retribuzione proporzionata al lavoro svolto, violano il principio di eguaglianza tra i cittadini e di dovere di solidarietà politica, sociale ed economica di cui agli articoli 3, primo comma, e 2 della Costituzione. Inoltre quando gli interventi di contenimento della spesa trascendono i limiti della transitorietà e dell'eccezionalità già tracciati dalla precedente giurisprudenza costituzionale, introdurrebbero una forma di compartecipazione alle spese a carico dei pubblici dipendenti, in spregio anche al principio di gradualità dei sacrifici imposti di cui all'articolo 53 della Costituzione;
              a seguito del suddetto pronunciamento, avendo lo stesso rimosso, per il futuro, tutti quei limiti che si frapponevano allo svolgimento delle procedure negoziali riguardanti la parte economica, è compito del Governo dare nuovo impulso, disgiunto da ogni vincolo di risultato, all'ordinaria dialettica contrattuale garantendo quella piena proporzionalità tra il lavoro prestato e la retribuzione dovuta tutelata dall'articolo 36 della Costituzione;
              sul versante finanziario l'esecuzione della sentenza non comporterà per lo Stato un grosso impegno economico essendo stati cancellati nel frattempo dal decreto legislativo n.  150 del 2009 (cosiddetta legge Brunetta) tutti quegli aumenti «a pioggia» precedentemente corrisposti ai dipendenti pubblici in base all'anzianità di servizio maturata. La «riforma Brunetta» ha, infatti, sostituito, a partire dalla prima utile e successiva intesa confederale, il criterio del merito per anzianità con quello per prestazione individuale all'interno dell'unità aziendale di riferimento, lasciando peraltro alla discrezionalità del dirigente tutte le decisioni in materia di organizzazione del lavoro, inquadramenti, promozioni e premi incentivanti, a fronte di una riduzione del potere del lavoratore di partecipare e di controllare le scelte, inaugurando a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo nella pubblica amministrazione una stagione di clientele e di soprusi;
              inoltre, al fine di minimizzare l'impatto che la sentenza avrebbe esercitato sui saldi di finanza pubblica è stata stabilita l'efficacia ex nunc, cioè irretroattiva, della stessa con un effetto strutturale che, stando alla memoria presentata dall'Avvocatura dello Stato, dovrebbe comportare a partire dal 2016 un onere pari a circa 3,6 miliardi di euro all'anno. Il costo netto del rinnovo del contratto del pubblico impiego è, infatti, assai modesto. Secondo una stima, considerando che le retribuzioni lorde nel 2014, secondo i dati riportati nel documento di economia e finanza, ammontavano a 114,3 miliardi di euro, alle quali applicare un'aliquota marginale di tassazione mediamente del 30 per cento, e percentuali di adeguamento pari allo 0,6 per cento per il 2015, all'1,1 per cento per il 2016, all'1,3 per cento per il 2017 ed all'1,5 per cento per il 2018 come definite dalla variazione dell'indice dei prezzi al consumo armonizzati al netto dei prodotti energetici importati, il relativo onere per lo Stato varrà a regime, cioè dal 2018, poco più di 3,6 miliardi di euro, ai quali aggiungere i maggiori contributi sociali da versare all'Istituto nazionale di previdenza sociale;
              a seguito dello stesso pronunciamento si pone anche il problema dell'indennità di vacanza contrattuale, il cui mancato riconoscimento è stato addirittura procrastinato sino al 2018 e che invece per effetto della sentenza, quantomeno con riferimento all'anno 2015, dovrebbe essere corrisposto per il periodo compreso dalla pubblicazione della suddetta sentenza fino al 31 dicembre 2015;
              secondo le anticipazioni riportate nei giorni scorsi da alcuni organi di stampa, il Governo sarebbe intenzionato a fronteggiare la maggiore spesa derivante dall'esecuzione della sentenza ricorrendo ad un ulteriore e nuovo blocco del turn over, che sarebbe, tra l'altro, compatibile con l'attuanda «riforma Madia» che prevede un riordino delle amministrazioni centrali e periferiche realizzato con tagli di unità territoriali, mobilità del personale e passaggio alla definizione dei nuovi fabbisogni delle amministrazioni ed abbandono delle vecchie dotazioni organiche. Attualmente il turn over per le amministrazioni centrali, le agenzie e gli enti pubblici non economici autorizza una quota di assunzioni che non superi il 40 per cento dei contingenti cessati l'anno precedente. Pertanto, stando al ragionamento del Governo, da un nuovo congelamento del decalage, al netto della mobilità in corso del personale delle province, deriverebbe nel triennio una riduzione del personale capace di compensare l'onere dei rinnovi contrattuali, che potrebbero, tra l'altro, essere effettuati proponendo aumenti spalmati nel tempo;
              il reiterato blocco del turn over, diventato oramai uno strumento ordinario di manovra finanziaria, impedisce l'assunzione dei vincitori di concorso rinviandola negli anni, privando le pubbliche amministrazioni del naturale ricambio generazionale, con inevitabili effetti negativi anche sull'efficienza dell'azione amministrativa;
              nonostante la sentenza della Corte costituzionale sia in vigore dal 23 luglio 2015 e stante l'inerzia dell'Amministrazione a darle esecuzione (qualunque ritardo nella stipula dei nuovi contratti comporterà il pagamento di arretrati), il tribunale del lavoro di Roma, dando pienamente ragione ai rilievi avanzati in sede di richiesta di tutela giurisdizionale dalla Flc Cgil, con esemplare condanna ha ordinato il 16 settembre 2015 all'Aran di dare avvio «senza ritardo» al procedimento di rinnovo della contrattazione collettiva per i comparti della scuola, dell'università, della ricerca, dell'Afam;
              altro limite della normativa che si frappone all'immediata esecutività della sentenza è rappresentato dalla necessità di dare attuazione ad accordi tra le parti previsti dalla «legge Brunetta», primo fra tutti quello di ridurre da 11 a 4 i comparti, aspetto su cui, in questi anni, non si è trovata una mediazione;
              con la circolare n.  20 del 2015 della Ragioneria generale dello Stato, dettata con lo scopo di impartire istruzioni in materia di fondi destinati alla contrattazione integrativa, si è inteso attribuire strutturalità ai limiti fino ad oggi imposti ai fondi unici di amministrazione, stabilendo che le risorse destinate annualmente al trattamento economico accessorio vengano decurtate di un importo pari alle riduzioni operate per effetto del precedente periodo. La stessa precisa, inoltre, che l'ammontare della decurtazione permanente da operare a decorrere dall'anno 2015 dovrà essere determinata al lordo delle somme non inserite nel 2014 e previste dalla normativa di riferimento per ciascun comparto e che, corrispondentemente, le predette voci dovranno formare oggetto di alimentazione del fondo 2015, in modo tale da rendere le due grandezze di riferimento, fondo 2015 e decurtazione permanente, del tutto confrontabili ed a sostanziale invarianza di saldo;
              in base alla suddetta circolare, su disposizione del Ministro dell'economia e delle finanze, tutte le amministrazioni statali e la relativa contrattazione integrativa continueranno ad essere private di una parte di quelle risorse economiche che annualmente sono destinate ai fondi unici di amministrazione per il salario di produttività, risorse che si riferiscono alla gestione dell'anno precedente e che solo per ragioni tecniche di bilancio si determinano nel secondo semestre di ogni anno e che sono attribuite alle singole amministrazioni attraverso la legge di assestamento del bilancio. Gli effetti di tale operazione sono stati tangibili per i lavoratori pubblici che hanno pertanto subito, oltre gli effetti del blocco contrattuale, una perdita media annuale di salario accessorio prossima ai mille euro,

impegna il Governo:

          ad ottemperare al pronunciamento della Corte costituzionale n.  178 del 2015 provvedendo, immediatamente e senza ulteriore ritardo, alla riapertura di una fase negoziale con le organizzazioni sindacali per il rinnovo della contrattazione per tutti i comparti della pubblica amministrazione;
          ad individuare le risorse finanziarie da destinare alla liquidazione dell'indennità di vacanza contrattuale relativa al secondo semestre 2015;
          ad individuare, nell'ambito del disegno di legge di stabilità per il 2016, le risorse necessarie all'apertura di una nuova stagione negoziale per il settore del pubblico impiego che risarcisca i pubblici dipendenti della perdita di potere di acquisto delle loro retribuzione a seguito del reiterato regime di blocco contrattuale;
          ad abbandonare qualsiasi logica che, al fine di compensare la maggiore spesa destinata al rinnovo della contrattazione, possa comportare il ricorso ad un nuovo blocco del turn over del personale della pubblica amministrazione;
          ad assumere iniziative, anche amministrative, per superare tutte quelle previsioni che impongono limiti e tagli strutturali alle risorse destinate ai fondi unici di amministrazione ed alla contrattazione integrativa.
(1-00994) «Airaudo, Placido, Quaranta, Costantino, Scotto, Duranti».


      La Camera

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per assicurare la riapertura di una fase negoziale con le organizzazioni sindacali per il rinnovo della contrattazione per tutti i comparti della pubblica amministrazione dando seguito al pronunciamento della Corte costituzionale n. 178 del 2015;
          ad individuare, nell'ambito del disegno di legge di stabilità per il 2016, le risorse necessarie all'apertura di una nuova stagione negoziale per il settore del pubblico impiego che contribuisca a superare il reiterato regime di blocco contrattuale;
(1-00994)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Airaudo, Placido, Quaranta, Costantino, Scotto, Duranti».


      La Camera,
          premesso che:
              con la sentenza n.  178 del 24 giugno 2015 la Corte costituzionale ha giudicato illegittimo il blocco dei contratti dei dipendenti pubblici, con efficacia ex nunc – e, dunque, non per gli anni passati 2010-2015 – chiedendo, di fatto, di rivedere gli stipendi della pubblica amministrazione a decorrere dal 2016;
              il decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  122 del 2010, cosiddetto «decreto anti-crisi» aveva difatti bloccato, per i dipendenti pubblici, e per il triennio 2010-2013, tutti gli aumenti retributivi, gli incentivi e gli scatti di anzianità, disponendo che le progressioni di carriera comunque denominate avessero effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici;
              successivamente, l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n.  98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011, ha disposto che «al fine di assicurare il consolidamento delle misure di razionalizzazione e contenimento della spesa in materia di pubblico impiego (...) con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.  400, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e dell'economia e delle finanze, può essere disposta (...) la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni previste dalle disposizioni medesime (...)»;
              a tal fine, con decreto del Presidente della Repubblica n.  122 del 2013, recante «Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti» è stata prevista la proroga al 31 dicembre 2014 delle misure di cui al citato decreto-legge n.  78 del 2010;
              le finalità delle disposizioni contenute nel predetto decreto-legge n.  78 del 2010 – si ricorda – erano quella del contenimento della spesa pubblica, in linea con l'adozione di una politica di spending review, e, al contempo, quella di allineare i diversi trattamenti contrattuali del pubblico impiego, più alti a parità di ore lavorate dei corrispondenti trattamenti erogati nel settore privato;
              secondo un recente studio della Cgia di Mestre, pubblicato nel mese di giugno 2015, sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici e di quelli privati, nonostante il blocco dal 2011 degli stipendi del settore pubblico, i dipendenti pubblici guadagnano circa 2 mila euro annui in più rispetto ai lavoratori del settore privato; per l'anno 2014 la Cgia di Mestre ha rilevato che la retribuzione annua media dei dipendenti pubblici è stata pari a 34.286 euro, a fronte dei 32.315 euro percepiti dai dipendenti privati;
              si evidenzia, altresì, una diversa scelta operata nel dicembre 2011 sempre nell'ottica di contenere la spesa pubblica – vale a dire intervenire sulle pensioni invece che sul pubblico impiego – ha creato la piaga sociale dei cosiddetti esodati, lasciando ancora oggi, a distanza di cinque anni, circa 50.000 lavoratori senza alcuna copertura reddituale, né da lavoro, né da pensione, né da ammortizzatore,

impegna il Governo:

          ad assumere opportune iniziative affinché il progressivo adeguamento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici interessati dal decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  122 del 2010, e dalle successive proroghe, in attuazione della sentenza della Corte costituzionale n.  178 del 2015, sia affiancato ad un altrettanto progressivo aumento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti del settore privato, a parità di ore lavorate, mediante misure di defiscalizzazione e detassazione del costo del lavoro;
          a garantire che all'onere derivante dall'attuazione della predetta sentenza della Corte costituzionale n.  178 del 2015 non si provveda con le risorse del fondo previsto dall'articolo 1, comma 235, della legge 24 dicembre 2012, n.  228.
(1-00997) «Fedriga, Simonetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».


      La Camera,
          premesso che:
              nell'ambito del complessivo sforzo per la riduzione della spesa pubblica, l'articolo 9, commi 17-21, del decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  122 del 2010, ha disposto il blocco della contrattazione nel pubblico impiego per il triennio 2010-2012. Il blocco opera nei seguenti termini: a) sospensione (senza possibilità di recupero) delle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012, fatta salva la sola erogazione di vacanza contrattuale; b) rideterminazione delle risorse previste per i rinnovi contrattuali per il personale statale, le quali comprendono anche gli oneri riflessi a carico delle amministrazioni; c) rideterminazione delle risorse anche da parte delle amministrazioni non statali per rinnovo contrattuale per l'anno 2011 e a partire dal successivo 2012;
              inoltre, il comma 21 ha stabilito la non applicazione, per gli anni 2011, 2012 e 2013, al personale in regime di diritto pubblico dei meccanismi di adeguamento retributivo previsti dall'articolo 24 della legge n.  448 del 1998 ( adeguamento annuale di diritto, dal 1o gennaio 1998, delle voci retributive del personale richiamato in ragione degli incrementi medi, calcolati dall'Istat, conseguenti all'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive) ancorché a titolo di acconto ed escludendo successivi recuperi;
              da ultimo, l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n.  98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011, ha previsto la possibilità di prorogare al 31 dicembre 2014, con apposito regolamento, le vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici, anche accessori delle pubbliche amministrazioni, del personale delle pubbliche amministrazioni, prevedendo comunque la possibilità che, all'esito di apposite consultazioni con le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative del pubblico impiego, l'ambito applicativo delle disposizioni in materia sia differenziato, in ragione dell'esigenza di valorizzare ed incentivare l'efficienza di determinati settori;
              in attuazione della disposizione citata è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica n.  122 del 2013, con il quale sono state prorogate a tutto il 2014 varie misure di contenimento delle spese di personale previste dall'articolo 9 del decreto-legge n.  78 del 2010. In particolare, sono state prorogate le disposizioni concernenti: a) il blocco dei trattamenti economici individuali; b) la riduzione delle indennità corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e l'individuazione del limite massimo per i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari di incarichi dirigenziali; c) il limite massimo e la riduzione dell'ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale; d) il blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo, classi e scatti di stipendio, nonché le progressioni di carriera, comunque denominate, del personale contrattualizzato ed in regime di diritto pubblico (ad esclusione dei magistrati); e) la sterilizzazione degli effetti economici della contrattazione collettiva per il biennio 2013-2014 (potendo incidere solamente sulla parte normativa) per il medesimo personale. Inoltre, non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento degli incrementi contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall'anno 2011; f) la proroga al 31 dicembre 2013, (quindi con effetto sul 2014) dei blocchi degli incrementi economici (introdotti dall'articolo 9, comma 23, del decreto-legge n.  78 del 2010) riguardanti il personale della scuola (docente, educativo ed amministrativo, tecnico e ausiliario); g) il blocco, facendo salva l'erogazione dell'indennità di vacanza contrattuale negli importi in atto (corrisposti ai sensi dell'articolo 9, comma 17, del decreto-legge n.  78 del 2010), per il biennio 2013-2014, degli incrementi di tale indennità, prevedendo, altresì, che essa, con riferimento al nuovo triennio contrattuale 2015-2017, venga calcolata, senza riassorbimento dei predetti importi, secondo le modalità ed i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti;
              anche la legge di stabilità 2014 (n.  147 del 2013) ha introdotto delle disposizioni volte al contenimento della spesa del pubblico impiego, in particolare intervenendo in materia di trattamento accessorio del personale pubblico e fissando il limite massimo retributivo annuo del personale della pubblica amministrazione;
              da ultimo, la legge di stabilità 2015 (n.  190 del 2014) è intervenuta in materia, stabilendo: a) la proroga fino al 31 dicembre 2015 del blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto fino al 31 dicembre 2014 dall'articolo 9, comma 17, secondo periodo, del decreto-legge n.  78 del 2010, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018; b) l'estensione fino al 2018 dell'efficacia della norma che prevede come l'indennità di vacanza contrattuale, da computare quale anticipazione dei benefici complessiva che saranno attribuiti all'atto del rinnovo contrattuale, debba essere quella in godimento al 31 dicembre 2013; c) la proroga fino al 31 dicembre 2015 della non applicazione, per il personale non contrattualizzato in regime di diritto pubblico dei meccanismi di adeguamento retributivo così come previsti dall'articolo 24 della legge n.  448 del 1998. Lo stesso anno non è utile ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio, correlati all'anzianità di servizio, che caratterizzano il trattamento economico del personale;
              la Corte costituzionale, intervenuta a seguito di un'istanza sollevata dal tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con la sentenza n.  178 del 2015 ha stabilito l'illegittimità costituzionale sopravvenuta, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del regime di sospensione della contrattazione collettiva. In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto fondate le censure sul congelamento della parte economica delle procedure contrattuali e negoziali dei contratti pubblici in relazione all'articolo 39 della Costituzione. Si tratta, infatti, per il giudice delle leggi di un blocco negoziale protratto nel tempo, con un susseguirsi « senza soluzione di continuità» di norme, tale da rendere evidente la violazione della libertà sindacale. Tuttavia il giudice delle leggi ha osservato che è necessario mantenere l'equilibrio di bilancio dello Stato contemperandolo con il diritto alla libertà sindacale;
              è necessario promuovere l'istituzione di un tavolo tecnico al fine di rivedere il contratto dei pubblici dipendenti, remunerando la produttività degli stessi e collegandola al miglioramento dell'efficienza dei servizi,

impegna il Governo:

          a prevedere dall'esito della prossima legge di stabilità e, nel quadro della compatibilità di finanza pubblica, l'utilizzo di risorse da destinare al rinnovo del contratto del pubblico impiego;
          ad attivare un tavolo tecnico al fine di avviare una riforma della contrattazione nel pubblico impiego che remuneri la produttività dei dipendenti pubblici collegandola al miglioramento dei servizi.
(1-00998) «Pizzolante, Dorina Bianchi, Bosco».


      La Camera,
          premesso che:
              nell'ambito del complessivo sforzo per la riduzione della spesa pubblica, l'articolo 9, commi 17-21, del decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  122 del 2010, ha disposto il blocco della contrattazione nel pubblico impiego per il triennio 2010-2012. Il blocco opera nei seguenti termini: a) sospensione (senza possibilità di recupero) delle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012, fatta salva la sola erogazione di vacanza contrattuale; b) rideterminazione delle risorse previste per i rinnovi contrattuali per il personale statale, le quali comprendono anche gli oneri riflessi a carico delle amministrazioni; c) rideterminazione delle risorse anche da parte delle amministrazioni non statali per rinnovo contrattuale per l'anno 2011 e a partire dal successivo 2012;
              inoltre, il comma 21 ha stabilito la non applicazione, per gli anni 2011, 2012 e 2013, al personale in regime di diritto pubblico dei meccanismi di adeguamento retributivo previsti dall'articolo 24 della legge n.  448 del 1998 (adeguamento annuale di diritto, dal 1o gennaio 1998, delle voci retributive del personale richiamato in ragione degli incrementi medi, calcolati dall'Istat, conseguenti all'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive) ancorché a titolo di acconto ed escludendo successivi recuperi;
              da ultimo, l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n.  98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011, ha previsto la possibilità di prorogare al 31 dicembre 2014, con apposito regolamento, le vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici, anche accessori delle pubbliche amministrazioni, del personale delle pubbliche amministrazioni, prevedendo comunque la possibilità che, all'esito di apposite consultazioni con le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative del pubblico impiego, l'ambito applicativo delle disposizioni in materia sia differenziato, in ragione dell'esigenza di valorizzare ed incentivare l'efficienza di determinati settori;
              in attuazione della disposizione citata è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica n.  122 del 2013, con il quale sono state prorogate a tutto il 2014 varie misure di contenimento delle spese di personale previste dall'articolo 9 del decreto-legge n.  78 del 2010. In particolare, sono state prorogate le disposizioni concernenti: a) il blocco dei trattamenti economici individuali; b) la riduzione delle indennità corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e l'individuazione del limite massimo per i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari di incarichi dirigenziali; c) il limite massimo e la riduzione dell'ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale; d) il blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo, classi e scatti di stipendio, nonché le progressioni di carriera, comunque denominate, del personale contrattualizzato ed in regime di diritto pubblico (ad esclusione dei magistrati); e) la sterilizzazione degli effetti economici della contrattazione collettiva per il biennio 2013-2014 (potendo incidere solamente sulla parte normativa) per il medesimo personale. Inoltre, non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento degli incrementi contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall'anno 2011; f) la proroga al 31 dicembre 2013, (quindi con effetto sul 2014) dei blocchi degli incrementi economici (introdotti dall'articolo 9, comma 23, del decreto-legge n.  78 del 2010) riguardanti il personale della scuola (docente, educativo ed amministrativo, tecnico e ausiliario); g) il blocco, facendo salva l'erogazione dell'indennità di vacanza contrattuale negli importi in atto (corrisposti ai sensi dell'articolo 9, comma 17, del decreto-legge n.  78 del 2010), per il biennio 2013-2014, degli incrementi di tale indennità, prevedendo, altresì, che essa, con riferimento al nuovo triennio contrattuale 2015-2017, venga calcolata, senza riassorbimento dei predetti importi, secondo le modalità ed i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti;
              anche la legge di stabilità 2014 (n.  147 del 2013) ha introdotto delle disposizioni volte al contenimento della spesa del pubblico impiego, in particolare intervenendo in materia di trattamento accessorio del personale pubblico e fissando il limite massimo retributivo annuo del personale della pubblica amministrazione;
              da ultimo, la legge di stabilità 2015 (n.  190 del 2014) è intervenuta in materia, stabilendo: a) la proroga fino al 31 dicembre 2015 del blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto fino al 31 dicembre 2014 dall'articolo 9, comma 17, secondo periodo, del decreto-legge n.  78 del 2010, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018; b) l'estensione fino al 2018 dell'efficacia della norma che prevede come l'indennità di vacanza contrattuale, da computare quale anticipazione dei benefici complessiva che saranno attribuiti all'atto del rinnovo contrattuale, debba essere quella in godimento al 31 dicembre 2013; c) la proroga fino al 31 dicembre 2015 della non applicazione, per il personale non contrattualizzato in regime di diritto pubblico dei meccanismi di adeguamento retributivo così come previsti dall'articolo 24 della legge n.  448 del 1998. Lo stesso anno non è utile ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio, correlati all'anzianità di servizio, che caratterizzano il trattamento economico del personale;
              la Corte costituzionale, intervenuta a seguito di un'istanza sollevata dal tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con la sentenza n.  178 del 2015 ha stabilito l'illegittimità costituzionale sopravvenuta, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del regime di sospensione della contrattazione collettiva. In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto fondate le censure sul congelamento della parte economica delle procedure contrattuali e negoziali dei contratti pubblici in relazione all'articolo 39 della Costituzione. Si tratta, infatti, per il giudice delle leggi di un blocco negoziale protratto nel tempo, con un susseguirsi « senza soluzione di continuità» di norme, tale da rendere evidente la violazione della libertà sindacale. Tuttavia il giudice delle leggi ha osservato che è necessario mantenere l'equilibrio di bilancio dello Stato contemperandolo con il diritto alla libertà sindacale;
              è necessario promuovere l'istituzione di un tavolo tecnico al fine di rivedere il contratto dei pubblici dipendenti, remunerando la produttività degli stessi e collegandola al miglioramento dell'efficienza dei servizi,

impegna il Governo:

          a prevedere dall'esito della prossima legge di stabilità e, nel quadro della compatibilità di finanza pubblica, l'utilizzo di risorse da destinare al rinnovo del contratto del pubblico impiego;
          a valutare l'opportunità di attivare un tavolo tecnico al fine di avviare una riforma della contrattazione nel pubblico impiego che remuneri la produttività dei dipendenti pubblici collegandola al miglioramento dei servizi.
(1-00998)
(Testo modificato nel corso della seduta)  «Pizzolante, Dorina Bianchi, Bosco».


PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE: FEDRIGA ED ALTRI: ISTITUZIONE DI UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLA GESTIONE DEL SISTEMA DI ACCOGLIENZA E DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE NONCHÉ SUI COSTI DEL FENOMENO IMMIGRATORIO (DOC. XXII, N. 38-A)

Doc. XXII, n. 38-A – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL DOCUMENTO E SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

Sul testo del documento in oggetto:

PARERE FAVOREVOLE

Con la seguente osservazione: valuti la Commissione di merito l'opportunità di modificare la ripartizione della spesa tra gli esercizi 2015 e 2016, tenendo conto dei tempi necessari all'approvazione del provvedimento.

Sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:

NULLA OSTA

Doc. XXII, n. 38-A – Articolo 1

ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE

Art. 1.
(Istituzione della Commissione).

      1. Ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, è istituita una Commissione parlamentare di inchiesta, di seguito denominata «Commissione», con il compito di indagare sulla gestione dei fondi destinati ai centri di accoglienza (CDA), ai centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) e ai centri di identificazione ed espulsione (CIE), nonché sull'amministrazione dei fondi dell'Unione europea e nazionali impiegati a qualunque titolo in materia di immigrazione.

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE

ART. 1.
(Istituzione della Commissione).

      Sopprimerlo.
1. 1. Costantino, Quaranta, Palazzotto.
(L'Assemblea ha deliberato la soppressione dell'articolo 1)