XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 491 di lunedì 28 settembre 2015

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

      La seduta comincia alle 14,30.

      PRESIDENTE. La seduta è aperta.
      Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

      ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 14 settembre 2015.

      PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
      (È approvato).

Missioni.

      PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Aiello, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alli, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Centemero, Chaouki, Cicchitto, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Di Gioia, Di Lello, Manlio Di Stefano, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galati, Garofani, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Nicoletti, Orlando, Pes, Pisicchio, Portas, Quartapelle Procopio, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scotto, Sorial, Valeria Valente, Velo, Vignali e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
      I deputati in missione sono complessivamente ottantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione della proposta di legge: Brescia ed altri: Abolizione del finanziamento pubblico all'editoria (A.C. 1990-A) (ore 14,32).

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge: Brescia ed altri n.  1990-A: Abolizione del finanziamento pubblico all'editoria.
      Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 25 settembre 2015.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1990-A)

      PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
      Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
      Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Rampi.

Pag. 2

      ROBERTO RAMPI, Relatore. Presidente, colleghi, credo che siamo arrivati ad un punto interessante, di svolta, rispetto a questo provvedimento, che ha avuto un percorso in Commissione piuttosto lungo e molto approfondito. Di fronte a una proposta dell'opposizione che prevedeva e che prevede una completa abrogazione dell'attuale situazione, dell'attuale normativa sul finanziamento all'editoria, l'atteggiamento della Commissione è stato quello, innanzitutto, di provare ad andare ad individuare nel dettaglio di quale argomento stavamo parlando. Infatti, credo sia giusto rendere noto, sia all'Aula sia all'opinione pubblica, che probabilmente la discussione su questo tema subisce un errore di fondo di percezione rispetto a quelle che erano le normative antecedenti al 2010. Credo che, sia in quest'Aula che fuori, quando si parla di finanziamento all'editoria, si abbiano in mente dei fatti assolutamente incresciosi che hanno riguardato il finanziamento, che è continuato per diversi anni senza alcuna verifica, ad esempio, del numero di copie effettivamente vendute e distribuite, quindi un sistema di sostegno a realtà che magari dichiaravano una distribuzione di copie oppure la realizzazione effettivamente in quanto a tiratura, ma che poi non avevano un reale impatto sul territorio.
      Questo sistema, che effettivamente ha funzionato a partire dagli anni Ottanta, con le prime normative degli anni Ottanta e fino a tutti gli anni Duemila, è stato sostanzialmente messo in discussione da un regolamento del 2010, che ha iniziato a correggere in maniera significativa nel merito questo tipo di erogazioni e poi anche a rivederne la quantità.
      Oggi quali e quante testate e che tipo di testate vengono finanziate è trasparentemente visibile per tutti sul sito del Dipartimento editoria del Governo. Ci sono i finanziamenti erogati dal 2003 al 2013. Chi avesse l'interesse di andare ad analizzarlo, scoprirebbe intanto un fondo che va a decrescere in maniera significativa e un numero di testate che viaggiano attorno alle 200-220, nessuna delle quali ho trovato oggi nelle due edicole che ho avuto modo di frequentare nel percorso dal mio territorio qui alla Camera, quella della stazione Centrale e della stazione Termini.
      Perché dico questo ? Perché nessuno dei grandi giornali, delle grandi testate che tutti noi conosciamo è sostenuto oggi sostanzialmente da un finanziamento pubblico; è, invece, sostenuto da un finanziamento pubblico quel gran numero di piccole testate locali che svolgono a nostro parere un lavoro prezioso.
      È come se oggi il mercato dell'editoria fosse, da un lato, tutto concentrato sulle grandi notizie, per cui quello che ha detto l'altro giorno il Papa al Congresso americano o all'Assemblea delle Nazioni Unite oppure quello che dice il Presidente del Consiglio o quello che succede magari di natura scandalistica o la grande questione della Volkswagen è accessibile a tutti in tempo reale, praticamente un secondo dopo l'altro, su tutti i siti, sui social network, sulle testate principali e poi approfondito sulle riviste.
      Quello che succede sotto casa nostra, invece, dipende esclusivamente da un lavoro quotidiano faticoso di tanti giornalisti, che impegnano il loro tempo e la loro attività con una quantità di passione significativa e importante dal punto di vista civico, e senza i quali noi non ne sapremmo assolutamente nulla. Noi rischiamo di essere comodamente seduti a casa nostra sul divano di casa, sapere tutto di ciò che accade nel mondo e non sapere mai nulla di ciò che accade nella via sotto casa nostra.
      È di questo che la Commissione ha provato a farsi carico, partendo da un percorso di audizioni. Abbiamo sentito oltre 40 voci in Commissione. Abbiamo sentito i rappresentanti di tutta la filiera del settore, quindi abbiamo sentito i rappresentanti dei giornalisti, degli editori, le società cooperative di giornali. Abbiamo sentito anche gli edicolanti, che rappresentano la fase terminale di questo processo ma rappresentano comunque un passaggio importante, perché oggi in questo Paese abbiamo oggettivamente un problema di riqualificazione dei punti vendita dei giornali e abbiamo il problema di Pag. 3garantire l'accesso ai giornali che sopravvivono in tante aree cosiddette marginali del Paese. Il problema non è l'edicola vicino al Parlamento, ma sono le tante edicole dei territori minori e delle piccole città, dove si rischia addirittura che un giornale pur edito, di quelli che riescono ancora a sopravvivere e ad essere stampati, non arrivi mai.
      Di fronte a questa situazione noi abbiamo voluto ascoltare e in qualche caso anche visitare, come ho fatto io, qualcuna di queste piccole realtà esistenti. Su richiesta di diversi gruppi della Commissione abbiamo anche sentito i grandi nomi del giornalismo. Abbiamo sentito figure che hanno opinioni chiaramente molto diverse, da Stefano Folli a Zaccaria, da Giuliano Ferrara a Marco Travaglio, abbiamo sentito figure che la pensano in maniera differente. Abbiamo voluto ascoltare anche degli studiosi universitari e confrontarci con quanto accade effettivamente nel mondo in questo campo, in particolare nella nostra Europa, di cui facciamo parte a pieno titolo.
      Siccome in alcuni casi, anche in questa proposta di legge, si fa riferimento alla normativa europea dobbiamo andare a vedere cosa succede negli altri Paesi europei. Vediamo che negli altri Paesi, tra finanziamento diretto e indiretto, esiste un fattivo sostegno all'editoria sostanzialmente superiore a quello italiano in quasi tutti i Paesi. Questo perché ? E qui credo sia il nodo di cui io sono tenuto a relazionare, perché ciò che è emerso da questo lavoro approfondito è che noi siamo di fronte ad una scelta di comprensione. Noi dobbiamo capire se quando parliamo di informazione noi stiamo parlando di un prodotto o stiamo parlando di qualcosa d'altro. Se noi stiamo parlando di un prodotto è chiaro che valgono le leggi del mercato, quindi se tu hai la capacità di vendere e di arrivare al tuo pubblico e di sostenerti con quella vendita e con il contributo della pubblicità, bene; altrimenti, morta lì, fine della questione.
      Tuttavia, la maggioranza della Commissione, che mi ha dato un mandato contrario a questa norma, ritiene che da questo dibattito sia emerso chiaramente come la nostra Costituzione, innanzitutto, interpreti l'informazione – in realtà lo fanno un po’ tutte le Costituzioni del mondo – come una forma fondamentale di quel diritto alla conoscenza che sta sempre più maturando come un tema da porre a livello nazionale e internazionale, di cui il nostro Paese purtroppo non gode di grande e buona salute.
      Quindi, forse, piuttosto che venir meno ai doveri costituzionali, il Parlamento dovrebbe capire in quali forme nuove garantire l'accesso alla conoscenza, il diritto alla conoscenza e il diritto all'informazione per deliberare.
      Da questo punto di vista, è importante capire quale dibattito avverrà in questa Aula, perché fino a qualche settimana fa il percorso della Commissione si era attestato, anche con un rinvio dall'estate all'inizio dell'autunno, condiviso con i proponenti della proposta, per provare ad addivenire ad un testo congiunto. Lo dico con chiarezza, un testo congiunto che tenesse ovviamente conto delle differenze di impostazione che esistono in Commissione, perché non la pensiamo tutti allo stesso modo e sarebbe grave se così fosse, in quanto sarebbe un deficit per la democrazia.
      Dal dibattito sembravano però emergere due punti. In primo luogo che, se togliamo il focus dagli scandali, dalle grandi testate e ad esempio dai giornali politici collegati ai gruppi parlamentari – di cui si parla ancora molto, ma che non hanno più quel sistema di finanziamento in realtà da un po’ di tempo – e andiamo a vedere che cosa oggi noi effettivamente sosteniamo, allora forse vi è la condivisione della necessità di un accompagnamento almeno per un periodo verso una riorganizzazione di questo settore, spingere di più verso l'innovazione, aiutare questi giornali ad affrontare l'era del digitale in maniera compiuta e completa; ciò, pur sapendo che non solo di digitale può vivere l'informazione, perché ad esempio grandi Paesi come gli Stati Uniti, che hanno avuto una trasmigrazione forte di tutte le testate sull’online, hanno poi Pag. 4visto il settore fare dei passi indietro e tornare in parte, magari con formule nuove di stampa, al cartaceo proprio per arrivare appunto vicino ai territori.
      Quindi, quello che posso dire, che posso relazionare, è che esiste una condivisione ampia di tutta la Commissione verso la necessità di una revisione radicale del sistema e, quindi, forse di far tesoro nella legge e, quindi, nella normativa primaria di quelle modifiche introdotte con il regolamento del 2010 che però non sono mai entrate nella normativa primaria.
      Ci fu un tentativo nella scorsa legislatura, quel tentativo non andò in porto e, quindi, oggi noi viviamo una situazione in cui c’è una normativa precedente con una filosofia diversa, corretta di fatto da un regolamento. Far tesoro di questa normativa e provare a renderla una normativa vigente: lo dico anche qui in maniera trasparente, con un rapporto dialettico e costruttivo con il Governo. Infatti, il Parlamento è legato al Governo da un rapporto di fiducia, con i gruppi che la esprimono e i gruppi che non la esprimono, che fa sì che nell'ordinamento italiano il Governo non è altro dal Parlamento, ma è strettamente legato al Parlamento. Quindi, la costruzione di un percorso condiviso, come è avvenuto. Perché questo dibattito in Commissione ha stimolato – per me è importante dirlo qui – un lavoro del Dipartimento editoria, del sottosegretario all'editoria, una fase di ascolto delle categorie da questo punto di vista anche da parte del Governo e una condivisione di alcuni obiettivi: obiettivi di riorganizzazione, obiettivi di ripensamento, obiettivi anche di individuazione di chi e come sostenere e di come dare però a questi soggetti delle garanzie di un sostegno pronto e con un tempo definito. Infatti, l'incertezza delle norme è stato uno dei fattori negativi in generale per il sistema Paese e, in particolare, anche per questo settore che ogni volta è in attesa di capire il mattino dopo che cosa succede.
      Quindi, provare a disegnare una norma, che noi abbiamo ipotizzato, come quella della fine del finanziamento dell'editoria e della nascita di un fondo per il pluralismo dell'informazione con criteri chiari e netti, che sostenga sostanzialmente, da un lato, l'innovazione del settore, che permetta a nuove voci di entrare (come oggi non è possibile in questo settore), a voci giovani o meno giovani, che permetta di sostenere l'innovazione, di accompagnare i processi di riorganizzazione e, quindi, che consenta una riduzione sostanziale delle spese a tutti quei soggetti che però dimostrino di avere effettivamente un pubblico che li legge, quindi un sostegno delle entrate che derivino anche dai loro lettori e anche una capacità di intercettare, magari favorendoli dal punto di vista fiscale, la pubblicità; e, quindi, il sostegno anche dell'impresa e del territorio a quel settore, pensando e avendo in mente appunto le tante voci del territorio, non solo quelle – che pur sono importanti – ad esempio delle minoranze linguistiche, ma quelle realtà che esistono in tutto il Paese.
      Capiamoci, noi pensiamo – mi sembra di interpretare in questo l'opinione maggioritaria della Commissione – che, se in un territorio del Paese esiste una sola voce editoriale, è bene che quella voce non si spenga e pensiamo che, se ne esistono due, è bene che non vengano ricondotte a una.
      Si è parlato in questi giorni, in queste ore, di bavaglio all'informazione: ecco, noi pensiamo che venir meno al sostegno all'informazione e soprattutto all'informazione locale, quello sia sì un vero bavaglio all'informazione, perché vuol dire farla chiudere.
      Non è secondario l'aspetto occupazionale. Io da relatore l'ho detto più volte in Commissione: io non sono per niente convinto che i provvedimenti sul pluralismo dell'informazione che abbiano questo come oggetto debbano avere come oggetto interventi occupazionali, ci sono altri settori e altri Ministeri che se ne devono occupare.
      Però, sicuramente, se parliamo ad esempio dell'impatto sulla spesa pubblica di un provvedimento, dobbiamo calcolare le risorse che noi togliamo, da una parte, ma anche le risorse che rischiamo di andare a stanziare, dall'altra parte, in Pag. 5forma di ammortizzatori sociali, che sono risorse molto meno produttive e che rischiano, invece di aiutare delle persone a fare il loro lavoro, di andare a sostenere delle persone che quel lavoro lo hanno appena perso.
      Allora, quando si chiede di garantire a tutti i cittadini italiani un reddito minimo, è chiaro che magari è bene continuare a sostenere quelle forme di finanziamento che permettono ai cittadini di avere un reddito, perché il loro lavoro effettivamente lo fanno, come sono i tanti che lavorano nell'informazione.
      Dico questo perché l'attuale normativa prevede un collegamento stretto tra la possibilità di accedere a un finanziamento, quella corretta, con il regolamento del 2010, e l'obbligo di mettere in regola i propri dipendenti e quindi di garantire l'occupazione.
      Ecco, questo a me sembra il quadro che noi oggi consegniamo al lavoro della Camera dei deputati, un quadro che è, per quanto mi riguarda, ancora aperto, perché l'ultimo episodio in Commissione della scorsa settimana vede due sostanziali novità, se non tre.
      La prima novità è che il Partito Democratico presenta un testo di legge, un testo di legge che era nell'aria dal punto di vista politico – lo dirà il PD – però io devo dire che ho apprezzato la scelta che sia un testo che sostanzialmente nasce con una natura parlamentare, pur in una relazione stretta con il Governo indubbiamente. Questo testo di legge è adesso un fatto concreto, è lì da vedere e da discutere. È possibile confrontarsi su quel testo e da quel testo far emergere delle cose. È un testo che contiene una revisione netta del sistema e porta nella norma primaria anche tutte quelle innovazioni fino ad ora introdotte e ne porta anche delle altre radicalmente nuove.
      Il testo oggi presentato, che contiene tra l'altro una serie di problematiche anche a livello di normativa che il presentatore conosce benissimo (e, infatti, il MoVimento 5 Stelle ha tentato di intervenire anche in correzione di questi interventi), è quindi sicuramente un testo che nella forma attuale – io sono tenuto a dirlo come relatore – creerebbe una serie di problematiche perché tocca settori che in realtà non c'entrano con l'oggetto della materia e perché lascia non chiarite alcune relazioni tra norme che vengono soppresse e norme che non vengono soppresse.
      Diciamo che sicuramente la maggioranza della Commissione – e quindi mi sento di dire del Parlamento che mi ha conferito per questo un mandato contrario in virtù di un emendamento soppressivo presentato, fra l'altro, da una forza di opposizione – vede una contrarietà all'idea di un'abolizione tout court e istantanea delle attuali norme, senza la costruzione di norme nuove, che di fatto toglierebbe quel tipo di intervento previsto, se non indicato dalla nostra Costituzione rispetto al pluralismo dell'informazione.
      Di fronte a questo, cosa vogliamo fare ? Io, come relatore, sono qui per ascoltare l'Assemblea e per capire, intanto dai proponenti, se c’è la volontà, di fronte al testo presentato e di fronte alle altre proposte che possono venire dalle altre forze, di provare a completare un percorso, che a questo punto avrebbe indubbiamente tempi molto brevi, perché i testi sono lì da vedere, le audizioni sono state fatte e tutto il lavoro di istruttoria è un lavoro compiuto, e permettere finalmente al Parlamento italiano di aggiornare la normativa ai tempi, di innovare la normativa e di chiarire, una volta per tutte, quali, come, con quali modalità e con quali tempi si vuole intervenire.
      È chiaro che se la volontà invece fosse solo quella di misurarci rispetto a una norma, di prendere o lasciare, credo che il mandato che ho ricevuto sia abbastanza netto rispetto alla scelta del lasciare e, quindi, questo sarà l'orientamento della mia relazione, ma sono qui anche per ascoltare oggi e nei giorni successivi.

      PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo della discussione.
      È iscritta a parlare l'onorevole Blazina. Ne ha facoltà.

Pag. 6

      TAMARA BLAZINA. Grazie, Presidente. Rappresentante del Governo, colleghi, la proposta di legge del MoVimento 5 Stelle, sul superamento del finanziamento pubblico all'editoria, è approdata in Aula, come è già stato riferito dal relatore, dopo un ampio dibattito nella Commissione competente e, in particolare, dopo una serie di interessanti testimonianze e proposte rese dai rappresentanti più significativi del settore in occasione delle audizioni.
      Fin da subito desidero sottolineare che quasi tutti i soggetti auditi si sono espressi a favore di interventi legislativi che vadano a razionalizzare, riformare e innovare l'intero settore, per superare anche la grave crisi in cui da anni versa l'editoria; ma, nello stesso tempo, si sono espressi anche contro la soppressione tout court del finanziamento pubblico.
      La discussione di oggi è, a mio modo di vedere, un'occasione persa. L'insistenza da parte del gruppo del MoVimento 5 Stelle per calendarizzare la loro proposta, sapendo, di fatto, che si arriverà o ad una bocciatura o a un rinvio in Commissione, era e rimane pretestuosa e denota la loro volontà di continuare a scagliarsi contro il settore della carta stampata con superficialità e pressappochismo. Non è stata, infatti, presa in considerazione la possibilità di un confronto serio di merito, che ci avrebbe permesso di arrivare ad un risultato consono alle esigenze di riformare il settore, garantendo, nello stesso tempo, il pluralismo dell'informazione.
      Non nascondo che da parte nostra c’è stato un ritardo nella predisposizione di una nostra proposta di legge in materia. Però, finalmente è stata depositata e poteva essere tranquillamente abbinata all'atto di cui stiamo discutendo oggi. Ma evidentemente, come è già successo in altre occasioni, ricercare un risultato condiviso non rientra nel loro modo di affrontare le questioni. Ai rappresentanti del gruppo del MoVimento 5 Stelle interessa, evidentemente, proseguire con la campagna contro il mondo dell'editoria indistintamente e, ovviamente, dalla giornata di oggi, in seguito alla bocciatura o al rinvio, scagliarsi anche contro i partiti e, in particolare, contro il PD, reo di non avere voluto condividere il suo progetto.
      Ma il Partito Democratico, come già è stato detto, non ha niente da nascondere, anzi; la sua volontà di intervenire seriamente in questo settore l'ha dimostrata in diverse occasioni, visto che in questi anni sono stati approvati molti provvedimenti, e lo stiamo dimostrando anche con la proposta di questi giorni. C’è, però, una differenza di fondo: voi volete cancellare un settore fondamentale per la nostra democrazia, uno strumento insostituibile per la crescita e lo sviluppo della società civile; noi vogliamo riformarlo ed innovarlo, adeguandolo alle nuove esigenze e aspettative, nella consapevolezza che va salvaguardato il pluralismo dell'informazione, tutelato dalla Costituzione. Il testo che abbiamo presentato affronta a 360 gradi questo argomento ed ha già avuto riscontri positivi.
      Voglio, inoltre, ricordare all'Aula che questo argomento è già da parecchio tempo nell'agenda del dibattito politico, e non solo, e non a caso è stato oggetto di numerose modifiche legislative. Ciò ha portato ad una sovrapposizione e frammentazione delle norme, determinando una situazione poco chiara, per non dire caotica e molto incerta. Non possiamo non rilevare, però, che alcuni interventi hanno prodotto anche maggiore trasparenza e pulizia nel campo dei finanziamenti diretti ed indiretti ai giornali, prevedendo requisiti rigidi ed una forte selezione nell'accesso ai contributi. Voglio citare, innanzitutto, il decreto del Presidente della Repubblica n.  223 del 2010, che ha, tra l'altro, inserito tra i requisiti per l'accesso una quota di stabilizzazione occupazionale, nonché il decreto-legge n.  63 del 2012, che ha messo a punto una disciplina transitoria in attesa di una più compiuta rivisitazione normativa.
      Per essere chiari di cosa stiamo parlando, citerò un po’ di dati: le testate che hanno un contributo diretto sono 215 su oltre 7 mila testate esistenti; di quelle certificate ADS, che si trovano, cioè, in vendita nelle edicole, ricevono il contributo Pag. 7diretto solo 10 su 63. Di fatto, l'editoria cosiddetta assistita riguarda solamente l'8 per cento dell'intero settore. Non vengono finanziati i grandi giornali nazionali, ma le piccole imprese, le cooperative dei giornalisti e alcune specifiche categorie di giornali, come, ad esempio, i giornali editi e diffusi all'estero oppure i giornali editi nelle lingue minoritarie. E poi dobbiamo sapere che il finanziamento pubblico si è fortemente contratto in questi anni: tra il 2009 ed il 2013 è diminuito del 54,7 per cento.
      Ma oggi qualsiasi intervento deve partire dalla consapevolezza della profonda crisi che ha investito il settore: i dati sulla diminuzione delle vendite, sulla diminuzione degli investimenti pubblicitari, anche in seguito alla crisi economica, e sullo stato di crisi delle imprese editrici sono preoccupanti e hanno già prodotto l'espulsione dal mondo del lavoro di migliaia di giornalisti. Molte aziende si stanno comunque ristrutturando e innovando, in particolare con una forte presenza online.
      Nonostante la crisi, è in atto anche un processo di evoluzione, che viene sostenuto dal Governo e dalla maggioranza; a tal fine, è stato istituito, con la legge di stabilità 2014, il Fondo per l'innovazione, di durata triennale, che finanzia le start up, l'innovazione tecnologica e digitale, l'ingresso dei giovani e le ristrutturazioni aziendali. La scelta drastica proposta dal MoVimento 5 Stelle porterebbe, di fatto, alla chiusura di molte testate, soprattutto locali, che non hanno la possibilità di sopravvivere senza l'aiuto dello Stato.
      Voglio anche io ricordare che in quasi tutti i Paesi europei esiste un meccanismo di sostegno diretto o indiretto all'editoria; le forme, ovviamente, possono essere diverse, ma certamente non si può pensare che possa essere del tutto soppresso. E ancora un breve cenno ad un tema specifico che mi sta particolarmente a cuore, e cioè il finanziamento dei quotidiani e dei periodici editi nelle lingue francese, tedesca, ladina e slovena relativi alle rispettive minoranze presenti nelle regioni a statuto speciale Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia.
      Si tratta, ovviamente, di un sostegno fondamentale, visto che questi giornali si rivolgono ad un limitato target di parlanti la lingua, e quindi non possono competere liberamente sul mercato; ne ha dato atto anche la Commissione europea, ufficialmente investita del problema due volte. Sappiamo che per le minoranze i media sono anche uno strumento per la diffusione e la tutela della loro lingua: il diritto all'informazione nella propria lingua materna è uno dei diritti riconosciuti e tutelati dalle nostre leggi nazionali, ma anche da diverse disposizioni europee e convenzioni internazionali.
      In Europa sono una quarantina i quotidiani in lingua minoritaria; essi sono sovvenzionati in base alla legislazione vigente dei singoli Paesi. Proprio una settimana fa, si è svolto a Trieste, in occasione del 70o anniversario del quotidiano in lingua slovena Primorski dnevnik, un interessante convegno, dove si è discusso di questo tema. Abbiamo avuto modo di ascoltare le testimonianze della minoranza catalana in Spagna, di quella danese in Germania, di quella italiana in Croazia e, naturalmente, di quella slovena in Italia.
      Dal convegno è emerso un forte richiamo ai Governi dei singoli Paesi affinché anche nel futuro garantiscano l'esistenza della stampa delle minoranze attraverso un forte finanziamento pubblico. Per tornare a noi, ricordo che la proposta a prima firma Brescia vuole salvare i giornali delle minoranze, ma, cancellando, nello stesso tempo, alcune norme vigenti che concernono le modalità per la presentazione delle domande e l'erogazione dei contributi, di fatto crea una situazione di totale ingovernabilità del sistema.
      In conclusione, ribadisco che come Partito Democratico auspichiamo che, dopo questo brutto pasticcio, si passi in tempi brevi ad una seria e responsabile disamina del progetto di legge da noi depositato, attraverso un confronto aperto con tutti i gruppi parlamentari, compreso il MoVimento 5 Stelle, che ha comunque iniziato questo percorso, con il Governo ed i principali attori del sistema.

Pag. 8

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lainati. Ne ha facoltà.

      GIORGIO LAINATI. Grazie, signor Presidente. Onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, la collega Blazina, terminando il suo intervento, ha ricordato la posizione assunta dal MoVimento 5 Stelle in questa vicenda. Io, come giornalista e come parlamentare, ho seguito con attenzione sin dall'aprile 2013 l'annuncio di questa iniziativa che il deputato Brescia sa benissimo che avverso totalmente. Ma l'avverso perché una persona normale e di buon senso la deve avversare questa proposta del MoVimento 5 Stelle, soprattutto per la genesi testimoniata dalle dichiarazioni immediatamente successive ad un episodio avvenuto nell'aprile del 2013, quando ci fu, nelle settimane di inizio legislatura, lei lo ricorderà, una «invasione» – lo dico tra virgolette – dei parlamentari del MoVimento 5 Stelle della Sala del mappamondo dov'era in atto una riunione della Commissione speciale per l'esame dei provvedimenti del Governo Monti. Siccome un'agenzia di stampa scrisse che vi era stata questa invasione allora, non so perché, o meglio lo sappiamo, il MoVimento 5 Stelle disse: «allora, ecco questi sono i soliti giornalisti, faremo la proposta di legge – è un virgolettato non smentito – per abolire il finanziamento pubblico ai quotidiani, alle agenzie e a quant'altro». Ecco, questa è la motivazione, la miccia che ha fatto esplodere la bomba. Tutti quelli che sono intervenuti nelle audizioni in Commissione hanno ricordato e sottolineato, Presidente, sottosegretario, colleghi, che questa proposta di legge è sbagliata sostanzialmente e nei contenuti. Vorrei citare semplicemente ciò che ha affermato la Federazione italiana editori giornali, che ha ricordato nell'audizione che in Italia vi sono ben 20 milioni di italiani che continuano a comprare un giornale e che i contributi alle imprese del settore riguardano un numero assolutamente ridotto di giornali: stiamo parlando di 215 testate, Presidente, sottosegretario, su 7 mila. Per cui cerchiamo di rimanere con i piedi per terra. Mi piacerebbe ricordare, perché va anche ricordato, che abbiamo udito la Federazione italiana settimanali cattolici, la quale anch'essa chiuderebbe «bottega». Che cosa è la Federazione italiana dei settimanali cattolici ? È una federazione che riunisce 190 periodici diocesani che sono presenti in 170 diocesi, coprendo gran parte del territorio nazionale. Io non credo che queste pubblicazioni possano essere ricondotte ad un'area politica piuttosto che ad un'altra; sono settimanali diocesani e, comunque, anche se avessero – e debbono avere perché tutti hanno diritto di voto e di opinione – un'opinione a favore o contro il MoVimento 5 Stelle non ci sarebbe nulla di strano; è del tutto normale, sarebbe una cosa assolutamente normale, a favore o contro.
      La diffusione delle copie dei settimanali diocesani è intorno al milione a settimana, con 3-4 milioni di lettori complessivi. Lavorano in queste realtà editoriali 500 persone, di cui 250 giornalisti. Ho citato queste due fonti, semplicemente perché dicono delle cose che sono assolutamente veritiere e assolutamente incontrovertibili, poi tutto può succedere.
      Signor Presidente, non si può dunque non riconoscere che il settore presenta alcune implicazioni che sono strettamente connesse con la natura democratica del Paese e con la necessità che non si pregiudichi il pluralismo dell'informazione e, dunque, il livello di democrazia.
      Questa è una tesi avvalorata dalla circostanza stessa che l'Unione europea non considera le provvidenze pubbliche all'editoria quali aiuti di Stato e che, in alcuni Paesi europei, in forma indiretta, sono previste forme di sostegno all'editoria, che nel complesso raggiungono livelli decisamente maggiori rispetto a quelli previsti in Italia. Il deputato Brescia potrebbe giustamente dire: ma se ne danno di più all'estero, non è detto che li debbano dare in Italia. Però non è una cosa così inverosimile.
      Noi riteniamo, come hanno detto anche la collega del Partito Democratico e il relatore stesso, che sia necessario un intervento di riordino e di revisione delle Pag. 9norme in materia, innanzitutto perché questa stessa materia è stata oggetto negli ultimi anni di numerose modifiche e le innovazioni intervenute sono andate proprio nella direzione di un contenimento delle risorse destinate a finanziare i contributi pubblici al settore, in linea con il contenimento complessivo della spesa pubblica. Questi interventi hanno limitato in misura assai consistente la platea dei soggetti beneficiari di provvidenze pubbliche. I grandi giornali di informazione non sono più destinatari di alcun contributo diretto e le testate che attualmente ricevono contributi rappresentano quantitativamente una realtà minoritaria – l'ho detto prima – rispetto al totale. È un mercato che presenta delle specificità, di cui non possiamo non tenere conto, quando ci accingiamo a normare questa materia.
      Esiste poi un aspetto più prettamente politico, che ha a che fare con la circolazione delle informazioni e con il diritto al pluralismo. Ma non possiamo certo prescindere dall'affrontare l'aspetto prettamente imprenditoriale del settore editoria che, in seguito alla difficile congiuntura economica e ai cambiamenti che le innovazioni tecnologiche portano con sé, sta attraversando un momento di forte crisi. Tutta la filiera legata all'editoria quotidiana appare, infatti, in gravi difficoltà. I dati esprimono chiaramente quanto il settore si stia contraendo, con ricadute importanti anche sui settori industriali, la cui attività è connessa con quella delle imprese editoriali, nonché a livello di occupazione. Abbiamo dovuto assistere alla chiusura di molte testate e non è mai un piacere quando una voce si spegne, da qualunque parte dello schieramento politico essa si ricollochi o sia collocata.
      I colleghi ricorderanno quando vi fu l'ennesima crisi del il manifesto. Questa testata, che per molti è, per così dire, all'opposto dei propri convincimenti, ebbe però un grandissimo attestato di solidarietà, perché una voce, anche se è la più lontana dalle proprie idee, non deve assolutamente essere cancellata, figurarsi con una legge dello Stato.
      Come rilevato nelle varie audizioni da esponenti del mondo accademico dal punto di vista economico, il settore dell'editoria, e in particolar modo quello dell'informazione, deve essere difeso dalla propensione a tendere verso situazioni di concentrazione. La specificità della strutturazione delle imprese di informazione è tale che spinge fuori dal mercato quell'impresa che si colloca al margine e rende assai più complesso l'avvio allo sviluppo di una nuova impresa, le cosiddette start-up, alle quali, come dice giustamente il deputato Brescia, va data la massima attenzione e considerazione, tenendo conto che stiamo parlando del mondo dei giovani che intendono affacciarsi alla professione giornalistica e al ruolo di divulgatore, si spera, libero, democratico e pluralista delle idee.
      Tutto questo appare come un vero e proprio limite all'accesso da parte degli imprenditori più giovani. Una dinamica simile non incentiva nuove proposte e l'inserimento di nuovi soggetti, condizione, deputato Brescia, necessaria perché un mercato si possa definire dinamico. Altra indubbia difficoltà è riscontrabile nella concentrazione del mercato pubblicitario, che rappresenta da sempre una fonte prioritaria di investimento del settore dell'editoria giornalistica.
      Tutto questo, applicato al nostro Paese, vuol dire incidere ancora di più e negativamente sull'occupazione giovanile, sull'espressione di nuove idee e sul dinamismo di un mercato in cui gli investimenti iniziali, i costi fissi di un'impresa editoriale comportano, come si è detto, la tendenza a espellere dal mercato le imprese più piccole e rappresentate dai giovani.
      Attenzione si dovrebbe pure porre all'universo di quelle micro realtà territoriali di cui non si può non riconoscere il ruolo culturale di rilievo nelle comunità di riferimento, che risultano essere ancora destinatarie dei contributi pubblici e che naturalmente subirebbero gli effetti negativi di un taglio netto e della cancellazione Pag. 10immediata di qualsiasi tipo di sostegno. L'esempio l'ho fatto prima con i settimanali diocesani.
      Quindi, ribadiamo la necessità di un intervento che riveda il sistema dei contributi, anche alla luce delle numerose e profonde trasformazioni che il settore sta affrontando. Il mondo dell'informazione e della comunicazione sta, dunque, affrontando grandi cambiamenti, determinati dalle innovazioni tecnologiche e dall'avvento del digitale. La diffusione dell'eccesso di reti ha completamente stravolto, ma anche innovato il metodo di diffusione e di trasmissione delle informazioni. Non stiamo più parlando solo di carta stampata e neanche possiamo più limitarci a pensare quasi a un tradizionale mondo delle radio e delle televisioni. L'avvento del digitale ci impone di affrontare il riordino, dunque la riorganizzazione, del sistema delle provvidenze pubbliche all'editoria.
      Crediamo che sia importante prevedere interventi volti ad incentivare l'occupazione di giovani professionisti. Ha notato che l'ho ripetuto più volte, collega Brescia ?

      PRESIDENTE. Onorevole Lainati, io non l'ho interrotta prima, però lei si rivolga alla Presidenza.

      GIORGIO LAINATI. Un intervento, dunque, come dicevo, per migliorare e incentivare l'occupazione dei giovani professionisti, le operazioni di ristrutturazione aziendale e degli ammortizzatori sociali: interventi sulle imprese editoriali che si muovano nella direzione dell'introduzione di innovazioni tecnologiche e digitali.
      Quando parlo della questione degli ammortizzatori sociali vorrei ricordare che questo riguarda direttamente la categoria dei giornalisti professionisti, che possono essere sostenuti per poter andare in prepensionamento e questo ovviamente aprirebbe delle strade ai giovani e alla loro assunzione.
      Dunque, noi auspichiamo un intervento che renda il mercato editoriale un mercato agile, pluralistico, vivace, pronto alle innovazioni, che sia capace di premiare lo spirito di iniziativa e che preveda uno spazio per il nuovo, senza negare e cancellare quanto di buono c’è rispetto al passato e affonda le proprie radici nel passato. Noi auspichiamo un intervento che preveda regole che, da una parte, siano in grado di coniugare la difesa dei principi del liberismo e la tutela del diritto al pluralismo e che, dall'altra, tengano presente le esigenze del contenimento della spesa pubblica.
      Onorevole Presidente, sottosegretario, colleghi, l'unica cosa che ci vede convergere con la proposta del MoVimento 5 Stelle – ma oggettivamente è quasi la cosa più tecnica – è la soppressione dell'obbligo di pubblicazione su almeno due quotidiani dei bandi di gara delle amministrazioni pubbliche.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Brescia. Ne ha facoltà.

      GIUSEPPE BRESCIA. Grazie, Presidente. Prima di cominciare il mio intervento, vorrei rispondere ad un paio di provocazioni che sono venute sia dal Partito Democratico che da Forza Italia, intanto respingendo al mittente le accuse che vengono dal Partito Democratico che la nostra sarebbe un'azione pretestuosa, cioè quella di vedere rispettato il nostro diritto di discutere una nostra proposta di legge in quota al MoVimento 5 Stelle, così come previsto dal Regolamento della Camera. Questo per il Partito Democratico sarebbe pretestuoso, quando invece è esclusivamente un diritto democratico che è garantito sia dai Regolamenti sia dalla Costituzione. E poi fa ridere il collega Lainati quando denuncia che, a suo dire, questa proposta di legge nasce da qualche episodio parlamentare: evidentemente il collega Lainati non conosce per nulla la storia di questo provvedimento che appartiene alla storia del MoVimento 5 Stelle da ben prima che il MoVimento 5 Stelle esistesse in quanto soggetto politico – poi ne parleremo più approfonditamente – ossia ben sette anni fa quando, con una manifestazione pubblica gigantesca, in un Pag. 11solo giorno, si raccolsero un milione e trecentomila firme per un referendum abrogativo della legge sul finanziamento ai giornali. Quindi, altro che episodio parlamentare ! In ultimo un riferimento a quanto diceva il deputato Rampi, relatore della proposta di legge. Questi parla di Europa: il nostro sistema di finanziamento ai giornali dovrebbe uniformarsi a quello europeo e ci diceva come in altri Paesi dell'Unione europea si finanzino i giornali anche in maniera più ingente di quanto si faccia in Italia, facendo finta di dimenticare o di evitare di conoscere quello che è il nostro Paese cioè che cos’è l'Italia, quali sono le forze che si muovono all'interno della nostra società, facendo finta di non sapere che l'Italia ha il triste primato di pagare con 60 miliardi di euro la corruzione, che in Italia esistono quattro mafie di cui l'ultima l'ha inventata proprio il PD sulla pelle dei migranti: insomma fa finta di dimenticare tutte queste realtà. Purtroppo fa finta di dimenticare anche come nasce il sistema del finanziamento pubblico all'editoria. I finanziamenti pubblici all'editoria nascono con il fascismo. Nel 1935, al fine di integrare le imprese editoriali nell'ideologia del regime, il fascismo istituzionalizzò l'Ente nazionale cellulosa e carta, la cui attività tendeva essenzialmente allo sviluppo autarchico del mercato interno delle materie prime mediante sovvenzioni volte ad integrare il prezzo della carta destinata alla produzione dei giornali quotidiani. L'Ente è stato poi soppresso nel 1994 ma i soldi ai giornali evidentemente sono continuati ad arrivare anche in maniera ingente. Soltanto tra il 2003 e il 2015 – pensate un po’ – sono arrivati circa 1,5 miliardi di euro agli editori. Ripeto: 1,5 miliardi di euro agli editori. Sottolineo la parola «editori» perché ho sentito parlare anche dei giovani giornalisti, del pluralismo dell'informazione, di tutti questi alti valori che lo Stato dovrebbe garantire. Assolutamente sì, siamo d'accordo ma questi soldi vanno agli editori che li usano a loro piacimento e che sfruttano quei giovani giornalisti pagando due euro al pezzo: altro che rispetto dei lavoratori ! Tant’è che, dopo tutta un'era di truffe che ci è stata con i soldi pubblici che servivano soltanto a garantire il silenzio da parte dei giornali rispetto all'operato del Governo, con il Governo Monti che era un Governo tecnico che interveniva in uno dei più profondi periodi di crisi economica del nostro Paese, si era deciso di stabilire un termine allo stanziamento di questi fondi nel 2014.
      I due governi politici, non eletti da nessuno, che si sono susseguiti dopo, del Partito Democratico – il Governo Letta e l'attuale Governo Renzi – non hanno, poi, posto mano alla materia, non hanno mai seguito ciò che era stato indicato nel decreto del Governo Monti, cioè di porre fine al finanziamento, e hanno, anzi, istituito un nuovo Fondo, per aggirare questa materia, questa legge dello Stato, che è il Fondo straordinario per il finanziamento all'editoria che riserva, tuttora, 120 milioni di euro, suddivisi in tre anni, a tutti i giornali, quindi, non soltanto ai piccoli giornali, ma anche ai grandi giornali, per i prepensionamenti e quant'altro.
      Quindi, così, il Governo continua a pagare i giornali per farsi fare propaganda. Ciò che io dico che non è soltanto la posizione politica del MoVimento 5 Stelle, è attestato dal fatto che noi siamo – anche questo dato è tristemente noto – settantatreesimi nella classifica di Reporter senza frontiere per quanto riguarda la libertà di informazione nel nostro Paese. Quali sono le forze che influiscono affinché noi siamo settantatreesimi e, quindi, dietro Paesi del Terzo mondo ? I dati ci dicono che sono la politica con i finanziamenti diretti e anche con pressioni esercitate sia dalla politica che dalla mafia, intimidazioni ai giornali affinché dicano le cose che questi soggetti politici vogliono fargli dire, oppure i grandi gruppi politici che attraverso le pubblicità, ovviamente, influenzano la libertà di stampa.
      Quello che noi vogliamo, vorremmo o, meglio ancora, avremmo voluto fare con questa proposta di legge che ci sarà bocciata con un emendamento soppressivo – e anche di questo parleremo dopo, giusto per dire quanto è alto il livello di democrazia presente nei partiti – era far recuperare Pag. 12al giornalismo quello che è il suo compito principale, a nostro modo di vedere, ossia rappresentare quel quarto potere che deve controllare l'operato del Governo. Questo è quello che dovrebbe fare il giornalismo. Ma come può fare una cosa del genere se viene finanziato direttamente da colui che dovrebbe controllare ? È un qualcosa che non sta in piedi, è chiaro che non può stare in piedi e, quindi, secondo noi si deve prendere una strada completamente diversa.
      Appunto, noi ci siamo presentati in Parlamento, nelle scorse elezioni politiche, con un programma ben preciso che comprendeva anche l'abolizione del finanziamento all'editoria. Come ho detto ciò deriva da un percorso che va ben più lontano della nostra presenza in Parlamento e noi, coerentemente, abbiamo presentato la nostra proposta di legge. Questa proposta di legge, poi, è stata anche protagonista di un percorso innovativo sul quale mi soffermerò molto di più tra un po’, perché lo voglio raccontare, perché voglio dare voce sia a quel milione e trecentomila firme sia alle persone che hanno partecipato a questo processo innovativo. Di che cosa sto parlando ? Sto parlando di come è stata costruita questa proposta di legge. Noi abbiamo come soggetto politico un sistema operativo che si chiama «Lex» e questa proposta di legge è stata la prima ad essere messa su Lex e a essere discussa e costruita insieme ai cittadini che hanno partecipato alla discussione. Sono arrivati quattromilacinquecento commenti che noi abbiamo esaminato, io personalmente in quanto relatore della proposta e proponente insieme ai miei colleghi di Commissione, li abbiamo selezionati, abbiamo visto quali erano gli interventi più frequenti e quindi, insieme ai cittadini, abbiamo costruito questa proposta di legge. Questo è il percorso altamente democratico che ha fatto questa proposta di legge che poi, ovviamente, è arrivata anche all'iter parlamentare.
      Come ha ricordato anche il relatore Rampi ci sono state tantissime audizioni, abbiamo sentito più di 40 soggetti, ci sono state 26 audizioni, si è impiegato circa un anno, forse più, di lavoro della Commissione per esaminare questa proposta di legge e, poi, quando si arriva al dunque che cosa succede ? Non si permette neanche al MoVimento 5 Stelle di arrivare alla votazione di questa proposta di legge, a una discussione aperta in Parlamento su questa proposta di legge, su questa proposta, lo ripeto, non sulla proposta del Partito Democratico di cui parlavano prima i colleghi. Lo si fa con uno stratagemma odioso, a nostro modo di vedere, ossia quello di far presentare a una finta opposizione un emendamento soppressivo che poi viene votato dalla maggioranza.
      E questo è quello che è già successo con la nostra proposta di legge sull'abolizione di Equitalia, è successo qualche giorno fa con una proposta della Lega, sulla quale non eravamo d'accordo, ma avevano tutto il diritto di presentarla e discuterla qui e, invece, il Partito Democratico cosa fa ? Sopprime, così come succede anche con questa proposta. Io penso che questa sia l'ennesima dimostrazione di quanto sia diventato antidemocratico questo partito e di quanto questa degli emendamenti soppressivi sia diventata una prassi consolidata così come lo è quella dell'apposizione delle questioni di fiducia. Quindi cosa succede in questo Parlamento ? Anzi, cosa fa il Governo che è uno dei poteri dello Stato ? Oltre ad assorbire il quarto potere, assorbe anche il primo potere, quello legislativo. Questo è il percorso che i partiti stanno cercando di portare avanti e che noi stiamo cercando di combattere. Mentre i partiti cercano di accentrare il potere nelle mani di poche persone, noi cerchiamo di discutere con tutti e di trovare delle soluzioni condivise con i cittadini, per l'interesse dei cittadini. Questa è la differenza sostanziale e profonda che c’è tra noi e i partiti e che noi difendiamo a spada tratta, ovviamente.
      Come dicevo, voglio soffermarmi su questo processo che c’è stato sul nostro sistema operativo per farvi capire come abbiamo dato voce ai cittadini. Come dicevo, sono arrivati circa 4500 commenti e molti di questi interventi esprimevano semplicemente parere favorevole alla nostra Pag. 13proposta, altri suggerivano proposte di modifiche come l'esigenza di una informazione più libera in Italia. Tra le proposte più ricorrenti vi era quella di abolire i fondi per l'editoria anche per le pubblicazioni all'estero, mentre altre chiedevano di evitare l'abolizione dei fondi che finanziano le minoranze linguistiche e infatti noi abbiamo accolto queste richieste. Molti ravvisavano il rischio che dal taglio di questi fondi sarebbe conseguito un taglio dei posti di lavoro, si preoccupavano di questa cosa e ci chiedevano di tenere in vita il Fondo per la mobilità e la riqualificazione professionale dei giornalisti che è un ammortizzatore sociale di quella categoria e infatti noi l'abbiamo tenuto in vita.
      In tanti hanno provato a suggerire possibili modalità di investimento dei fondi che si sarebbero risparmiati dalla nostra azione e infatti una di queste proposte noi l'abbiamo accolta perché era la proposta di cui parlava prima il collega Lainati, ossia quella di destinare un tempo ben preciso (non vita natural durante, perché altrimenti si sarebbe ricreata la condizione che noi vogliamo combattere) ai fondi per la creazione di start up di giovani giornalisti. In questo modo, avremmo combattuto ancora l'altro aspetto della casta che si è formata tra i giornalisti, perché in questo paese soltanto degli eletti possono parlare e fare i giornalisti, pagati profumatamente dai quegli editori che ricevono i fondi pubblici e poi c’è un'altra parte di schiavi moderni, come li chiamiamo noi, del settore dell'informazione che vengono bistrattati e pagati a due euro al pezzo.
      Una delle proposte più importanti, che ha formato l'articolo 2 della nostra proposta di legge, su cui abbiamo raccolto il parere favorevole sia del Governo che di tutti i gruppi (quindi speriamo proprio che questo percorso per questa parte della legge vada avanti e si concluda), è quella di abolire l'obbligo di pubblicazione dei bandi pubblici sui giornali, che comporterebbe un enorme risparmio per le casse di alcune imprese che oggi si vedono costrette a pagare questa tassa ulteriore che è di fatto un finanziamento indiretto all'editoria.
      In parecchi ci hanno chiesto di integrare la proposta di legge con l'abolizione dell'ordine dei giornalisti ed io annuncio a questa Camera che il discorso sull'editoria e sull'informazione in generale per quanto riguarda il MoVimento 5 Stelle non finirà qui perché proprio in questi giorni ...

      PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo, onorevole Brescia. Il gruppo a me ha dato una indicazione di 15 minuti e lei è arrivato a 14. Lei sa che però volendo può andare oltre i 15 minuti. Glielo dico solo perché lei si possa regolare.

      GIUSEPPE BRESCIA. Certo, signor Presidente; stavo comunque per terminare.
      Dicevo che annuncio già a questa Camera che per continuare il discorso che stiamo facendo sul sistema di informazione in Italia presenteremo in questi giorni una proposta di legge per abolire l'albo dei giornalisti.

      GIORGIO LAINATI. Pure ?

      GIUSEPPE BRESCIA. Pure, perché ? Perché riteniamo che la battaglia che non hanno saputo cogliere i partiti in questa nostra proposta è la battaglia, la sfida, a cui è chiamato il mondo dell'informazione.
      Con la nascita di Internet la rete ha reso più accessibile gratuitamente, a miliardi di persone, una massa di informazioni sempre più consistente. Oggi più di un terzo dell'umanità genera informazioni attraverso cellulari, computer, strumenti economici, e le mette in condivisione sotto forma di video, audio e testi. Ecco perché non ha più senso finanziare l'editoria.
      L'era dell'informazione detenuta da un'intellighenzia che tutto sa e concede in pillole questo sapere, sotto forma di articoli, è assolutamente finita. Di questo e di tante altre questioni molto importanti, sia per il sistema dell'informazione che per il sistema della democrazia nel nostro Paese, avremmo potuto parlare in quest'Aula, ma Pag. 14purtroppo non ci sarà concesso dal Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cristian Iannuzzi. Ne ha facoltà.

      CRISTIAN IANNUZZI. Grazie, Presidente. Colleghi, oggi in quest'Aula siamo chiamati ad esaminare un progetto di legge che chiede l'abolizione del finanziamento pubblico per l'editoria, riportando all'attenzione generale nazionale un tema molto delicato, che necessita di una soluzione chiara e definitiva, affinché la libertà di stampa e di informazione vengano tutelate.
      Questa proposta del MoVimento 5 Stelle nasce dalla convinzione che la stampa libera non esista, per via di un conflitto di interessi che lega editoria e finanziatori delle testate, e mostra la necessità di un cambiamento nel mondo dell'editoria italiana.
      Concretamente, di cosa stiamo parlando ? Anche quest'anno giornali no profit e per le minoranze linguistiche, cooperative editoriali e organi di partito hanno ricevuto 48 milioni di euro in soldi pubblici, riservati soprattutto a testate di partito e a quelle religiose; la stessa cifra fu versata a fine 2014 per il 2013. Il sottosegretario Luca Lotti, lo scorso maggio, ci aveva rassicurato, affermando che si trattava dell'ultima volta che venivano erogati contributi diretti ai piccoli editori, perché, nel frattempo, prima dell'estate, l'Esecutivo puntava ad emanare un disegno di legge di riforma che avrebbe messo in campo un nuovo Fondo unico per la libertà di stampa e il pluralismo nell'informazione.
      Stando alle anticipazioni, il disegno di legge avrebbe dovuto riformare l'intero settore, eliminando i fondi statali a pioggia e introducendo erogazioni progressive in base al venduto (non più al distribuito, dunque) e con un tetto, per evitare che vi fossero bilanci in cui il contributo statale è preponderante sulle altre entrate. I contributi, secondo questo disegno di legge, sembra saranno erogati non a fine anno, ma in due rate, a giugno e a luglio. Pare siano previsti anche incentivi per il passaggio al digitale e all'informatizzazione di tutta la rete di vendita, dagli editori agli edicolanti.
      In realtà, solo in questi giorni è stata presentata una proposta di legge della maggioranza (ancora in bozza, a quanto pare), che effettivamente istituisce un Fondo per il pluralismo nell'informazione. Peccato, però, che quest'ultimo progetto di legge, in realtà, ancora una volta delega al Governo l'emanazione di ulteriori decreti per la revisione del sistema del sostegno pubblico all'editoria, nonché la ridefinizione dell'accesso ai prepensionamenti per i giornalisti e alla razionalizzazione dell'ordine dei giornalisti.
      In pratica, la volontà dalla maggioranza è quella di cacciare il finanziamento pubblico dalla porta per farlo rientrare dalla finestra. Quel che è certo è che il mondo dell'editoria va riformato, ma la vostra proposta, non ancora depositata, non costituisce una soluzione, ma rimanda solo il problema. Siamo proprio sicuri che questo cospicuo ammontare di denaro abbia come finalità il rispetto della libertà di stampa, richiamato dall'articolo 21 della Costituzione, e non serva, invece, a gonfiare le casse degli editori, che saranno poi riconoscenti al Governo di turno ?

      PRESIDENTE. Deve proprio concludere, onorevole Iannuzzi.

      CRISTIAN IANNUZZI. Sì, scusi, Presidente. Concludo. Uno dei punti cardine del programma politico che ci ha portato in Parlamento è appunto l'abolizione del finanziamento pubblico, un aiuto di Stato a giornali che altrimenti non sopravvivrebbero. Riteniamo che sia utile cancellare il finanziamento pubblico all'editoria, affiancando a questo un intervento di politica generale, che riveda il conflitto di interesse che tanta stampa ha penalizzato.
      A vostro giudizio, colleghi, è morale, in un periodo di difficoltà economica come questo, in cui si chiedono sempre maggiori sacrifici, caricare sui cittadini anche Pag. 15l'onere di sostenere la crisi del mondo editoriale ?

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Luigi Gallo. Ne ha facoltà.

      LUIGI GALLO. Grazie, Presidente. Siamo dentro una nuova evoluzione umana e sociale, ma, come in ogni trasformazione rivoluzionaria, c’è una resistenza estrema al cambiamento da parte di chi detiene fette di potere e privilegio, fette di dominio.
      Le forme di comunicazione verticale, legate al modello della TV, del mero giornale cartaceo, queste forme che implicano la passività del destinatario della comunicazione, confinato nella dimensione di spettatore, contenitore da riempire, forma da modellare, sono superate dalla storia; ma i partiti e quasi tutti i giornali e i principali media continuano a voler cristallizzare la distinzione tra produttori e consumatori dell'informazione, rendendo necessaria la categoria dei mediatori, del mondo di mezzo, dei coyote, quelli che in America latina taglieggiano i contadini e guadagnano dalle multinazionali.
      Tutto questo, però, è destinato ad essere catalogato nei libri di storia. È solo questione di tempo, perché già siamo immersi nel mondo della comunicazione orizzontale. Lì non esistono posizioni di supremazia prestabilite, il dominio della propaganda e della manipolazione viene scardinato: tutti i cittadini si trovano in condizioni paritarie, possono diventare protagonisti attivi della comunicazione. Si chiamano prosumer, sono intorno a noi e sono la maggioranza, non più solo consumatori delle informazioni, ma anche produttori e stanno rompendo quel potere di selezionare le notizie, finora assunto dai media. Sempre di più sono i prosumer a creare le notizie, è il prosumer che viene amplificato dai media, perché si impone sui media e sulla rete, e i media tradizionali sono costretti a rincorrere i prosumer per non perdere gli ultimi bricioli di credibilità rimasta, perché la notizia dei prosumer ha già viaggiato con la velocità della rete verso milioni di cittadini, in modo orizzontale.
      I regimi totalitari conoscono bene la penetrazione di Internet, per questo censurano la rete. I Paesi semi-liberi, come il nostro, agiscono, invece, su un altro piano. Bloccano lo sviluppo della rete per non scardinare il potere della TV, di Mediaset, di Berlusconi. Bloccano la banda larga per non scardinare il potere delle testate giornalistiche. Avete mai pensato che dal fascismo ad oggi il quadro delle testate giornalistiche esistenti è rimasto quasi lo stesso ? È cristallizzato. Questa non è libera informazione. Questa è una gabbia.
      Negli Stati semi-liberi, come il nostro, esiste il reato di diffamazione, la prigione fino a 4 anni per chi pubblica video e notizie contro i politici e i personaggi pubblici; in Paesi semi-liberi, come il nostro, esiste il conflitto di interessi, per cui la creazione di un giornale, in realtà, è una seconda attività. La prima è promuovere un partito, promuovere un'azienda, promuovere una banca o un intreccio di questi interessi.
      Ma il Movimento 5 Stelle ha scritto una proposta di legge sul conflitto di interessi, l'ha portata in quest'Aula e tutti i partiti hanno deciso di insabbiarla e rimandarla indietro. Avete avuto paura anche solo del dibattito pubblico su questo tema. Così come ora avete paura di un dibattito pubblico sulla proposta del PD relativa al finanziamento pubblico all'editoria. In uno Stato semi-libero, come il nostro, il Governo mette il bavaglio all'informazione bloccando la pubblicazione delle intercettazioni dei politici.
      Sappiamo benissimo che l'abolizione del finanziamento pubblico diretto e indiretto non risolve tutti i problemi, ma si fa un primo passo verso un modello che non può più prevedere degli spacciatori di informazione privilegiati rispetto ad altri, gli spacciatori governativi. Con il Governo Renzi siamo tornati ad un modello scandaloso, che era stato abbandonato con l'epoca Monti: gli editori fanno la corte a Lotti, l'uomo di fiducia di Renzi, che tratta con l'editoria, si presentano con il cappello in mano per avere i soldi. Una volta sono Pag. 16i prepensionamenti, un'altra l'ammodernamento e la digitalizzazione, un'altra sono i finanziamenti indiretti che paga la giustizia, le nostre amministrazioni pubbliche e le imprese, che partecipano agli appalti costrette a pubblicizzare i bandi sui giornali, quando ormai tutte le imprese ricevono queste informazioni via e-mail. Altro che bandi pubblici sui giornali !
      Il Movimento 5 Stelle vuole far vincere la comunicazione orizzontale, con il cittadino che diventa prosumer, produttore oltre che consumatore di informazioni.
      Sarebbe tutto perfetto ? No, ci sono problemi creati dall'accesso alla rete, ci sono ancora troppi cittadini italiani esclusi, ma è sempre una volontà politica che ferma questo sviluppo, come ho già raccontato prima.
      Ci sono problemi per l'iperinformazione. Può essere, ma è sempre meglio un'iperinformazione piuttosto che una disinformazione o una censura.
      La comunicazione orizzontale ha un pregio indiscutibile ed è un valore che fa molta paura a questa classe politica: la comunicazione orizzontale è libera, non risponde al direttore e agli editori del giornale. Gli scagnozzi del Presidente del Consiglio non possono chiamare il direttore del giornale per fare pressione o mettere i propri uomini nel consiglio della RAI per censurare le trasmissioni televisive, come Ballarò, perché ci sono miliardi di utenti della rete che non hanno padroni.

      PRESIDENTE. Onorevole Luigi Gallo, siamo sempre in un'Aula parlamentare, quindi cerchiamo di moderare i termini. «Scagnozzi» non è esattamente un'affermazione riferibile a terze persone.

      LUIGI GALLO. Uomini che fanno pressione, è la stessa cosa.

      PRESIDENTE. No.

      LUIGI GALLO. La critica dei partiti e di qualche giornalista a questo modello è che, senza i finanziamenti pubblici, l'informazione diventa appetito delle grosse aziende e dei grandi player che restano i soli a dominare. Devo svelarvi un segreto, cari onorevoli. L'informazione è già in mano ai grandi gruppi industriali, perché i partiti sono in mano ai gruppi industriali grazie al finanziamento lecito e illecito che ricevono, perché i politici sono in mano ai Buzzi e ai Carminati, perché, se voi, partiti, ricevete un grosso finanziamento da una lobby, non lo rifiutate come fa il MoVimento 5 Stelle, ma incassate quello e anche il finanziamento pubblico a cui il MoVimento 5 Stelle ha rinunciato. Non vi fate mancare niente. Così l'Ilva, le compagnie del gioco d'azzardo, le banche finanziano la destra e la sinistra.
      L'informazione è già in mano ai grossi squali dell'informazione. Do you know Mediaset ? Do you know Berlusconi ? Sono i mostri che la politica ha creato, di cui i partiti che hanno governato l'Italia sono responsabili. Volete trasformare il finanziamento pubblico ai giornali nella vostra foglia di fico, volete raddoppiare i fondi e chiamarlo «fondo del pluralismo», invece sono soldi dei cittadini che spartite con i vostri amici.
      Il Paese ha bisogno di investimenti in cultura, il Paese ha bisogno di investimenti in sapere e, invece, siamo ultimi in classifica per spese in cultura in Europa e tra gli ultimi posti per spese in istruzione nei Paesi OCSE. La vostra priorità è finanziare i giornali.
      Continuate a resistere contro l'invasione dei cittadini, della democrazia nella sfera pubblica, anche quella dell'informazione. La vostra resistenza sarà inutile, saranno gli ultimi sprechi, gli ultimi colpi che assestate, gli ultimi bottini che trafugate dalle tasche dei cittadini.
      Ma oggi abbiamo già vinto, perché nell'aula parlamentare portiamo la proposta di legge che il 25 aprile del 2008, giorno della liberazione, durante il «V Day 2», raccolse 1 milione e 300 mila firme di cittadini italiani. Oggi abbiamo già vinto, perché nell'Aula parlamentare stiamo lasciando una traccia storica, che racconta il prossimo futuro con la fine del dominio dell'informazione verticale e l'affermarsi della comunicazione orizzontale: la libertà Pag. 17d'informazione del cittadino libero, produttore e consumatore dell'informazione, che vincerà (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

      PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 1990-A)

      PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Rampi, che ha due minuti e venti secondi.

      ROBERTO RAMPI, Relatore. Signor Presidente, esercito volentieri la facoltà, perché credo di avere il dovere e – devo dire – il piacere di provare a ricondurre questa discussione a degli elementi di realtà e di concretezza, farla ritornare un pochino nelle questioni di cui stiamo discutendo e farla scendere dalle montagne del Sinai, da dove qualcuno, scendendo con le tavole della legge e portatore della verità, fa un po’ fatica poi a discutere con gli altri che hanno delle opinioni diverse. Sarà l'Aula parlamentare esattamente il luogo dove si esercitano le opinioni differenti.
      Qui la questione in campo è molto semplice. Intanto riconduciamo un paio di dati: ho sentito parlare di 1 miliardo e mezzo di contributi, stiamo parlando di circa trenta volte il miliardo e mezzo, quello di cui invece in realtà stiamo discutendo noi oggi. Quindi, a volte il delirio narcisistico ci permette di raccontarci quello che vorremmo vedere e combattere contro dei grandi cavalieri, che poi in realtà si rivelano essere dei mulini a vento. Ecco, se il MoVimento 5 Stelle vuole combattere contro i mulini a vento, io credo che quest'Aula parlamentare non lo seguirà in questo delirio.
      Sta a loro la scelta, sta al proponente, sta al collega Brescia decidere se vuole chiudere qui la discussione o continuare a fare questa discussione in Aula, perché nessuno ha proposto di chiudere qui la discussione. Io lo dico e rimarrà agli atti parlamentari: la mia proposta come relatore è di prendere in esame anche le proposte che vengono dagli altri gruppi; è la democrazia, è una fatica, ma funziona così, si fa bene ad ascoltare la rete, si fa bene ad ascoltare i tanti commenti, bisogna ascoltare anche chi la pensa diversamente da noi e non solo i propri iscritti e i propri militanti, che tutti i gruppi hanno e che tutti ascoltano. Bisogna però ascoltare anche gli altri, perché le leggi passano quando si ha la maggioranza.
      La scelta a cui siamo davanti è se si vuole piantare una bandiera e dire che si combattono cose che non hanno niente a che vedere con quello di cui è oggetto la proposta di legge, o se si vuole uscire da quest'Aula con una riforma radicale e significativa del sistema dell'informazione in questo Paese. La possibilità di uscire con questa riforma è davanti a noi, è una possibilità che il MoVimento 5 Stelle può conseguire: deve scegliere se farlo o se, come altre volte ha fatto, ribadire con forza, con urla e con clamore la propria posizione, che ormai abbiamo tutti conosciuto.

      PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo, la sottosegretaria Amici.

      SESA AMICI, Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, prenderò solo due minuti per dare conto dell'evoluzione alla quale ho assistito in questo dibattito, compreso l'ultimo intervento del relatore, che ha raccontato come per questa proposta di legge ci fosse un invito dentro la Commissione a un lavoro molto avanzato che potesse giungere all'Aula con un parere diverso dall'espressione della contrarietà, data dal voto della Commissione.
      Per quanto attiene al Governo, ovviamente, la questione, proprio per l'evoluzione che si è determinata, si rimetterà alla decisione dell'Aula, proprio per gli elementi contraddittori che sono emersi anche nella stessa discussione della Commissione; ma intendo ribadire che la complessità Pag. 18dell'argomento e la necessità di una riforma, che era già presente nelle parole del sottosegretario Lotti, sono la testimonianza, invece, di una decisione di merito, dentro la complessità, per trovare una soluzione che passi attraverso la costituzione di un fondo che rimetta un po’ ordine in una materia che ha visto tanta frammentarietà.
      Proprio per questo, all'interno di questo auspicio, che dipenderà dalle scelte che l'Aula determinerà, il Governo sta dentro questa ipotesi di ragionamento per giungere ad una soluzione intorno ad un argomento che, certo, presenta elementi contraddittori, alcuni di analisi, con un'evoluzione sul tema della comunicazione e del rapporto tra produttore e consumatore, come nell'ultimo intervento, nell'ambito del quale io credo che mai occorra smarrire l'idea che ci ispira, che è quella della garanzia del pluralismo dell'informazione, che credo debba essere la stella che ci guida nell'ambito della discussione di un tema così complesso.

      PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: S. 1209 – d'iniziativa dei senatori Puglisi ed altri: Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n.  184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare (Approvata dal Senato) (A.C. 2957); e delle abbinate proposte di legge: Pes ed altri; Elvira Savino; Santerini ed altri; Marzano e Martelli (A.C. 350-910-2040-3019) (ore 15,50).

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n.  2957, d'iniziativa dei senatori Puglisi ed altri: Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n.  184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare; e delle abbinate proposte di legge Pes ed altri; Elvira Savino; Santerini ed altri; Marzano e Martelli nn.  350, 910, 2040 e 3019.
      Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 25 settembre 2015.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2957)

      PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
      Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
      Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
      Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Verini.

      WALTER VERINI, Relatore. Grazie, Presidente. Questa proposta di legge viene dal Senato, che l'ha approvata mesi fa, e interviene sulla legge n.  184 del 1983 per ridefinire il rapporto tra procedimento di adozione e istituto dell'affidamento familiare, allo scopo di garantire il diritto alla continuità affettiva dei minori.
      Il Senato l'ha approvato con un largo consenso, dopo un dibattito serio e, del resto, la materia è importante e delicata e dico subito che, a mio giudizio, la sintesi che il Senato ha trovato è soddisfacente.
      Questo progetto di legge riguarda il diritto dei bambini e delle bambine in affido familiare alla continuità degli affetti.
      Non è un provvedimento per trasformare l'affido in adozione, come qualcuno ha detto, ma un punto di civiltà per tutelare le relazioni significative maturate da un minore in un prolungato periodo di affidamento con la famiglia affidataria.
      Qualche dato. Secondo quanto emerge dal rapporto «Affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31 dicembre 2012», redatto nel dicembre 2014 dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, i bambini e i ragazzi di 0-17 anni Pag. 19fuori dalla famiglia di origine sono stimabili in circa 28.500. Tra questi, i minori accolti in famiglie affidatarie sono leggermente diminuiti e arrivano a 14.200 circa, mentre quelli accolti nelle comunità residenziali sono calati in misura maggiore e si calcolano, a fine 2012, in 14.255. Di questi, 6.750 sono affidati a parenti e 7.444 a terzi, persone singole o famiglie, appunto, che hanno dato la loro disponibilità con grande generosità.
      Un altro dato molto significativo è rappresentato dalla durata degli affidi: il 31,7 per cento dura più di quattro anni e il 25 per cento di questi da due a quattro anni. Quindi, si può affermare che proprio per questa ragione una legge che riconosca il diritto alla continuità degli affetti è di enorme importanza, soprattutto nell'interesse dei minori, che sono sempre il soggetto che va più tutelato. È un interesse che sa riconoscere e coniugare non solo e non tanto un assunto giuridico, ma soprattutto le implicazioni psicologiche e sociologiche legate a una crescita quanto più possibile armonica e integrata per questi bambini o minori che, per motivi diversi, non hanno purtroppo conosciuto o hanno perso la possibilità di vivere nelle famiglie di origine.
      Va comunque ricordato – e lo dico a scanso di equivoci – che i due istituti, affido e adozione, restano distinti per requisiti e motivazioni. I requisiti per l'affido e l'adozione sono infatti diversi. In pratica, però, più della metà degli affidi sono altra cosa rispetto a ciò che la teoria vorrebbe. A volte i problemi delle famiglie di origine dei bambini non si risolvono. Troppo spesso, purtroppo, non si risolvono; a volte si aggravano, si complicano, e un bambino dopo molto tempo che è stato in affido diventa adottabile.
      Anche la motivazione che spinge a richiedere l'affido o l'adozione è spesso molto diversa. Quando si chiede l'accesso all'istituto dell'adozione la motivazione è molto semplice: il desiderio di un figlio o di aggiungere alla propria famiglia un altro figlio rispetto a quelli che già vivono lì, che sono figli di quella famiglia. La motivazione dell'affidamento parte, invece, dalla capacità e volontà generosa di aiutare un bambino in un momento di grande difficoltà. È un atto di grande generosità e responsabilità.
      Anche su questo dico una cosa. Chi dovesse pensare di aggirare le norme sull'adozione utilizzando la via dell'affido compirebbe, con altissima probabilità, un atto volto ad arrecare del male innanzitutto a se stesso e anche al minore e, soprattutto, avrebbe una scarsa – pressoché nulla, direi – probabilità di aggirare il lavoro e la responsabilità dei servizi sociali e dei tribunali. Quindi, se si può comprendere il timore, che da qualche parte è stato manifestato, di un utilizzo dell'affido in modo strumentale da parte di singoli per poi accedere all'adozione, credo si possa dire che si tratti di un timore legittimo ma non motivato.
      Molti minori stanno aspettando questa legge per vedere rispettata l'integrità dei propri affetti e della propria storia. È propria a loro che abbiamo guardato nell'affrontare il provvedimento al Senato, prima, e in Commissione, qui alla Camera, poi. Abbiamo guardato ai tanti altri minori che sono stati allontanati dalle persone che li avevano cresciuti, amati e accompagnati per mancanza di una legge.
      Anche il dibattito in Commissione è stato serio. Tra l'altro, la Camera vanta, come dire, dei precedenti di attenzione al tema, con la presentazione, anche in questo ramo del Parlamento, di provvedimenti di legge. Vedo qui in Aula l'onorevole Elvira Savino che già nel 2010 presentò una proposta di legge in questo senso.
      Questo provvedimento tenta, allora, di sanare alcuni meccanismi che non sono stati in grado fino ad oggi di tutelare pienamente, quale soggetto primario, i minori coinvolti in una situazione di abbandono o di difficoltà. Lo sappiamo bene: ci sono situazioni dolorose che nella vita non si possono evitare, come il dolore di un distacco o di un abbandono.
      Poi, però, ci sono distacchi, altrettanto dolorosi, che possono essere causati da una cattiva legge o da una legge ambigua; una legge che ora stiamo correggendo con le norme che sono in esame. È questo che Pag. 20ci accingiamo a fare, per garantire a tutti i minori in affido familiare il diritto alla continuità dei propri affetti.
      Come accennato, nel caso dell'affido la famiglia o la persona che si rendano disponibili ad accogliere il minore sono ben consapevoli di offrirgli una casa e un ambiente affettivo temporanei, in quanto la responsabilità genitoriale permane in capo alla famiglia di origine o all'autorità che ha provveduto al suo provvisorio allontanamento, e l'obiettivo cui punta l'istituto dell'affido è quello di verificare fino in fondo la possibilità di reintegrare il minore nella sua famiglia di origine.
      Nel caso dell'adozione, invece, la famiglia che accoglie il minore è consapevole di assumere in tutto e per tutto, al termine del periodo di affidamento preadottivo, la responsabilità genitoriale in maniera definitiva e non reversibile.
      Ciononostante, la prassi ha dimostrato che l'affidamento talvolta perde, nel corso del suo svolgimento, il carattere di soluzione provvisoria e temporanea che la legge, invece, gli attribuisce. Come noto, il periodo massimo della legge è pari a due anni, prorogabile da parte del tribunale dei minorenni, laddove se ne riscontri l'esigenza. Questo termine è quindi la soglia di riferimento circa la durata che dovrebbe avere la permanenza in accoglienza del minore.
      Accade che in un numero elevato di casi la situazione critica che aveva giustificato l'allontanamento dalla famiglia originaria si risolva negativamente e che il minore sia quindi dichiarato adottabile. A questo punto è possibile e capita non di rado che bambini o minori comunque già provati da una prima separazione, quella dalla famiglia di origine, e quindi da un distacco, da un dolore, siano sottoposti a una seconda dolorosa separazione e trasferiti a una terza famiglia, perché la famiglia affidataria, che se ne è presa cura, spesso, come abbiamo visto, per diversi anni, consolidando affetti e relazioni, magari non ha la possibilità di procedere all'adozione.
      Durante l'esame in Commissione, e mi avvio a concludere, Presidente, con l'ultima parte di questo intervento, sono stati respinti tutti gli emendamenti presentati o abbiamo invitato al ritiro, perché abbiamo ritenuto che il testo, così come approvato dal Senato, fosse già frutto di un lavoro complesso, completo e organico, già svolto anche con il contributo di tante associazioni e di tante voci competenti sulla materia.
      Per quanto riguarda due emendamenti, uno dell'onorevole Iori e un altro dell'onorevole Marzano sulla cosiddetta «adozione mite», vi è stato un invito, ma con una disponibilità a trasformare e a votare un ordine del giorno.
      Voglio ripeterlo anche qui in Aula: tutti gli emendamenti – tutti, a mio giudizio, di tutti i parlamentari di ogni gruppo – nascevano, secondo me, da un sincero proposito di migliorare il testo, ciascuno secondo le proprie opinioni ed i propri convincimenti; non ho dubbi su questo. E, tuttavia, per le motivazioni già dette, per l'equilibrio e il valore dei contenuti, per il parere positivo dei tecnici e degli esperti dello stesso Ministero della giustizia, voglio ripetere, anche in sede di relazione, un auspicio: che l'Aula valuti positivamente l'idea di approvare il testo senza modifiche, per evitare un ritorno al Senato, ulteriori letture, allungamento inesorabile dei tempi, forse sine die.
      Sarà possibile, naturalmente, deve essere possibile e giusto prevedere fin d'ora monitoraggi, controlli sull'applicazione e le ricadute delle nuove norme, eventuali, come si dice, «tagliandi», ma questo è l'auspicio che mi sento di ribadire: che il provvedimento non venga, nella sua formulazione attuale, cambiato, per averlo in Gazzetta Ufficiale il più presto possibile, quando l'Aula vorrà, nella sua autonomia, approvarlo e nelle modalità in cui vorrà approvarlo.
      Le ultime cose più di dettaglio: il provvedimento si compone di quattro articoli e intende, in particolare, introdurre un favor, cosiddetto, per la considerazione positiva dei legami costruiti in ragione dell'affidamento, avendo cura di specificare che questi hanno rilievo solo ove il rapporto instauratosi abbia di fatto davvero Pag. 21determinato una relazione profonda, proprio sul piano affettivo, tra minore e famiglia affidataria.
      L'articolo 1, introducendo nuovi commi nell'articolo 4 della legge n.  184 del 1983, richiamata all'inizio, prevede quindi una «corsia preferenziale» per l'adozione a favore della famiglia affidataria, laddove, dichiarato lo stato di abbandono del minore, risulti impossibile ricostituire il rapporto del minore stesso con la famiglia d'origine.
      L'articolo 2 interviene su un comma dell'articolo 5 di quella legge che riguarda i diritti e i doveri dell'affidatario e garantisce alla famiglia o alla persona cui sia stato affidato il minore la legittimazione ad intervenire nei procedimenti che lo riguardano.
      L'articolo 3 introduce un'ulteriore modifica all'articolo 25 di quella legge originaria. Il nuovo comma 1-bis prevede che le disposizioni di cui all'altro trovino applicazione anche nell'ipotesi di prolungato periodo di affidamento.
      L'articolo 4, infine, riguarda una delle ipotesi di adozione in casi particolari, che prescinde dallo stato di abbandono, ovvero quella riferita all'articolo 44, comma 1, lettera a), della legge n.  184. Si tratta del caso dell'orfano di padre e di madre che può essere adottato da persone legate da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori. In tal caso, l'adozione è consentita anche alle coppie di fatto e alla persona singola; se però l'adottante è coniugato e non separato, l'adozione deve essere richiesta da entrambi i coniugi. L'articolo 4, nel confermare la linea interpretativa favorevole a considerare positivamente i legami costruiti in ragione dell'affidamento, specifica alla citata lettera a) che il rapporto «stabile e duraturo» è considerato ai fini dell'adozione dell'orfano di entrambi i genitori anche ove maturato nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento.
      Presidente, erano queste le mie considerazioni e questi i contenuti, sia pure esposti in sintesi, di norme che, diventate efficaci, potranno – crediamo davvero si possa dire – contribuire a risolvere situazioni nell'interesse di quei soggetti che meritano più attenzione e tutela: i minori.

      PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

      COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Grazie, Presidente. Il Governo concorda, anzi ringrazia il relatore, per la relazione e per gli spunti che ha voluto fornire e pensa che sia opportuno mantenere il testo così come è stato licenziato dalla Commissione, in quanto è stato trovato davvero un punto di equilibrio. Con questo provvedimento si vuole, infatti, valorizzare il ruolo degli affidatari e non disperdere il legame affettivo che si era instaurato tra gli affidatari e il minore affidato, purché, però, il mantenimento di tale legame corrisponda all'interesse del minore la cui tutela è lo scopo primario della proposta di legge in esame.
      Quindi, la stella polare è la tutela del minore e il Governo è d'accordo con il lavoro svolto in Commissione, dove si è trovato questo equilibrio per mettere al centro il minore, rafforzare l'interesse del minore e nello stesso tempo trovare un equilibrio tra i soggetti, sia i genitori naturali, che gli affidatari, per quanto riguarda la continuità affettiva.
      Nell'ottica di salvaguardare la cosiddetta continuità affettiva, e non disperdere il bagaglio di relazioni e i legami interpersonali creatisi nel periodo dell'affidamento, il testo prevede il coinvolgimento degli affidatari nei procedimenti che riguardano il minore. Anche questo è importante perché viene espressamente tutelata anche la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l'affidamento, anche nel caso in cui il minore faccia rientro nella sua famiglia di origine o sia adottato da altra famiglia.
      Questo è un punto importante a cui mi riferivo proprio quando parlavo di equilibrio tra i diversi protagonisti nella vita e nella crescita del minore: si vuole salvaguardare ogni tipo di posizione, laddove ci sia però l'interesse del minore e laddove sia importante per la crescita del minore.Pag. 22
      Quindi ringrazio per l'attenzione e penso che davvero questo testo possa diventare presto legge.

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Giuliani. Ne ha facoltà.

      FABRIZIA GIULIANI. Presidente, la ringrazio e ringrazio i signori del Governo presenti. Non ripeto quanto ha appena ricordato il relatore Verini a proposito dei punti che sostengono questa normativa e, anzi, lo ringrazio per la chiarezza con la quale l'ha fatto.
      Ho chiesto di potere intervenire perché credo sia opportuno sottolineare alcuni elementi particolarmente innovativi, che rendono la norma in discussione un passo avanti importante, sicuramente in materia di riconoscimento dei minori e di riconoscimento dei loro bisogni, che sono bisogni peculiari, e soprattutto del rispetto necessario. Questo è l'aspetto che più di tutti vorrei sottolineare: il rispetto necessario che tutti i sistemi normativi dei Paesi più avanzati debbono riuscire ad esprimere.
      Dunque, non parliamo soltanto di affido e di adozione. Parliamo della qualità di un sistema democratico e della capacità che ha di riconoscere e di rispettare i bisogni dei ragazzi. Del resto la centralità della tutela del minore non è stata una conquista banale, una conquista scontata. È una questione che ha alle spalle un cammino giuridico internazionale importante. Voglio ricordare la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, che è stata approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1989, e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che in seguito all'entrata in vigore del trattato di Lisbona ha acquisito, per l'appunto, il rango di vero e proprio trattato e riconosce ai bambini il diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, nonché sancisce il principio secondo cui tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o istituzioni private, debbano ritenere l'interesse superiore del bambino e debbano considerarlo come preminente.
      Ora, se questi sono aspetti sui quali può capitare che ci si pronunci tutti a favore e che vengano sostenuti unanimemente, sappiamo quanto in realtà, quando poi vadano a innervare il diritto dei singoli Paesi, non sia così facile farlo. Questo ci dice il rapporto dell'Istituto degli Innocenti elaborato per conto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 2012 – citato nella relazione al provvedimento presentato al Senato – e precisa che i bambini e gli adolescenti in affido familiare da oltre due anni e che, dunque, sono andati oltre il termine ordinario previsto dalle legge, costituiscano ad oggi la maggioranza degli accolti, ossia rappresentino il 60 per cento del totale. Erano il 62 per cento nel 1999, il 58 per cento nel 2007, il 56 per cento nel 2008.
      Dunque, in un numero elevato di casi, la situazione critica che aveva giustificato l'allontanamento dalla famiglia originaria si risolve negativamente e il minore è dichiarato adottabile. A questo punto è possibile – e capita non di rado – che bambini già provati e che già hanno sperimentato una prima dolorosa separazione, quella dalla famiglia di origine, debbano affrontare una seconda dolorosa separazione, che rappresenta una prova importante, e vengano trasferiti ad una terza famiglia. Infatti, la famiglia affidataria che se ne è presa cura, spesso per diversi anni, consolidando affetti e relazioni, non può, in base alla normativa che abbiamo, chiedere la sua adozione.
      Questa stortura è una stortura per la quale ci ha condannato anche la Corte europea dei diritti dell'uomo con la sentenza del 2010, dando ragione ad una coppia di coniugi che, dopo essersi presi cura per venti mesi di un minore attraverso l'istituto dell'affidamento, si erano visti scavalcati da un'altra famiglia in sede di adozione.
      Abbiamo svolto un lavoro lungo, come ha ricordato prima il relatore. In Commissione giustizia ci siamo avvalsi di molte audizioni di molte persone che hanno esperienza e competenza anche tecnica, necessaria per potere trovare la soluzione più idonea. Abbiamo avuto, tra le altre, la possibilità di ascoltare le parole di un'avvocata, l'avvocata Mollica, che ha seguito Pag. 23quella sentenza, che ho appena citata, e l'ha vinta. Credo che davvero non si possa non essere d'accordo con lei quando, sulla scia di quest'esperienza professionale, afferma che con la normativa attuale da un giorno all'altro per moltissimi bambini si distrugge il passato, si distruggono abitudini, affetti, suoni, colori ed esperienze con le quali sono cresciuti.
      Con questo atto si distrugge ciò che costituisce la sicurezza personale di questi bambini. Ora, se riusciremo ad approvare in tempi ragionevoli la norma di cui stiamo discutendo, tutto questo non sarà più ripetibile.
      Non mi ripeto sui dati perché sono stati già ricordati. Voglio, invece, sostenere un altro aspetto che mi pare davvero importante e che dobbiamo tenere in considerazione. La continuità affettiva non è soltanto un valore morale ed etico, è sostenuta ed avvalorata da tutte le convenzioni e disposizioni e sentenze europee e internazionali, perché è sempre più diffusa la consapevolezza di come questo elemento sia essenziale per la crescita e per la maturità degli individui. Le scienze che si occupano dello sviluppo complessivo dei bambini sottolineano da molto tempo l'importanza dell'elemento della stabilità delle relazioni.
      Del resto, questo non lo confermano solo la scienza, la tecnica ed altro. Ci viene confermato anche dalla nostra esperienza privata, dalla nostra esperienza familiare e dalla nostra esperienza pubblica, per quelli di noi che si spendono nelle scuole e nei servizi sociali. Sappiamo quanto la qualità delle relazioni nell'infanzia e nello sviluppo sia un aspetto centrale per la crescita di ciascun individuo.
      Il secondo punto che vorrei focalizzare – mi avvio a concludere – è che questa non è una norma a favore di queste o di quelle famiglie, ma è una norma che punta a tutelare un valore, che è quello della continuità e della stabilità. Non vorrei davvero che questo valore fosse soggetto alla contesa politica. Noi non intendiamo introdurre scorciatoie all'adozione attraverso l'affido, così come non si intende riformare l'istituto stesso dell'adozione. Qualora si riterrà di farlo, ben altro sarà il lavoro istruttorio che ci accingeremo a fare.
      La norma in discussione vuole favorire, come appunto si può evincere, come la continuità affettiva del minore, anche in seguito all'affido, sia centrale. Per questo elemento, spero davvero che, anche nel protrarsi della discussione, questa questione venga sottratta alla contesa politica e alle polemiche. Non è una legge di destra o di sinistra, così come non è una legge a favore degli affidatari o delle famiglie adottive. È una norma pensata esclusivamente per tutelare i minori che si trovano a vivere situazioni difficili e complesse. Se vogliamo, è una norma di buon senso, che credo davvero sia capace di trovare il consenso più largo possibile in quest'Aula.
      Io credo davvero che le misure che oggi discutiamo vadano in questa direzione e auspico davvero che l'iter e l'approvazione di questa norma vedano un percorso rapido, perché troppe famiglie e troppi minori attendono il varo di questa norma e dobbiamo ad essi una risposta concreta.

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Elvira Savino. Ne ha facoltà.

      ELVIRA SAVINO. Signor Presidente, siamo oggi qui, iniziando l'esame della proposta di legge n.  2957, approvata in prima lettura al Senato, che reca alcune modifiche alla legge 4 maggio 1983, n.  184, quella sulle adozioni, introducendo il concetto, la norma relativa al diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine dati in affidamento familiare.
      È un provvedimento che accolgo con grandissima gioia e con l'emozione di un risultato finalmente raggiunto, anche se, a mio avviso, con parecchio ritardo. Da lungo tempo, infatti, le associazioni delle famiglie affidatarie, ma anche tutte le associazioni che si occupano di tutela dei minori chiedono, in un certo senso, il superamento del confine tra l'istituto dell'affido e quello dell'adozione. Ma quando ? Quando avvenga, per ipotesi, che il bambino dato in affidamento familiare venga dichiarato adottabile.Pag. 24
      Questo viene proposto – ed è il principio introdotto da questa legge – al fine di garantire la continuità e la tutela degli importantissimi legami che si sono stabiliti proprio durante il periodo di affidamento.
      Il senso di questo progetto di legge quindi è quello di dare alle famiglie che hanno accolto minori in affidamento, qualora siano dichiarati adottabili, la possibilità di fare domanda di adozione ovviamente qualora ricorrano i requisiti previsti dalla legge per adottare. Ma il principio ulteriore che introduce questa proposta di legge, che, a mio avviso, è l'aspetto più innovativo – un principio che troppe volte, probabilmente, in nome della legge o di una sua non corretta interpretazione o di un'interpretazione distorta o un po’ arbitraria è stato disatteso –, è quello di garantire la continuità dei legami affettivi positivi che si sono instaurati durante il periodo di affidamento. Forse, Presidente, non tutti sanno – è stato ricordato poco fa – che, in Italia, i bambini dati in affidamento e che vivono fuori dalle famiglie di origine sono circa 32 mila. Spesso cambiano famiglia affidataria oppure vengono riportati in comunità per una ragione folle che è quella di non farli affezionare o legare troppo ad una sola famiglia. Sappiamo tutti che la legge prescrive che ogni bambino ha diritto ad una famiglia e ovviamente la ratio è abbastanza intuitiva ed è quella che, senza affetti, non si cresce. Ma pensare poi che sia possibile cancellare magari anni di convivenza e quindi questi legami forti che si instaurano tra i bambini e coloro che li avevano presi in affidamento, come se nulla fosse, è una contraddizione assurda. Ad esempio, rimuovere quattro anni di affido (perché accade che alcuni affidi durino anche quattro anni) di un bambino di undici anni o due anni di affidamento di un bambino che ha tre anni (per cui probabilmente ha ricordo soltanto di quella famiglia affidataria), interromperli così dalla sera alla mattina, è qualcosa che, oltre a rappresentare un danno enorme nella formazione di quel soggetto, a mio avviso è anche estremamente crudele. Quindi, con questa proposta di legge, tanti bambini innocenti e probabilmente già fortemente feriti da distacchi dolorosi dalle loro famiglie di origine non saranno più separati per legge, a volte quasi con violenza come se dovessero essere candeggiati dalla loro vita passata, dai sostituti genitoriali nei quali hanno riposto profonda fiducia e nei quali probabilmente hanno riscoperto il calore di una famiglia e la possibilità di crescere in modo armonico. Desidero precisare, come i colleghi hanno già fatto in precedenza, che questa proposta di legge non intende superare la distinzione tra l'istituto dell'affidamento e quello dell'adozione che, ripeto, rimangono distinti: lo dico soprattutto per tacitare i timori, ai quali ho assistito nel corso di un lungo periodo in cui ho seguito questa proposta di legge, di confondere i piani e soprattutto di legalizzare dei furbi aggiramenti dell'iter adottivo passando magari attraverso l'affidamento. Invece, questa proposta di legge mira semplicemente a prendere atto, con pragmatismo e senso della realtà, di situazioni che si sono determinate negli anni in maniera oggettiva per le ragioni che possono essere le più disparate, creando affetti e legami che non possono essere interrotti per legge come se fosse scontato e naturale, senza considerare, invece, che è profondamente arbitrario e anche profondamente ingiusto. Fino a questo momento, fino ad oggi, fino a quando questa proposta non è stata finalmente approvata in prima lettura al Senato, la politica su questo tema è stata sorda: non ha ascoltato e non ha dato voce alle migliaia di famiglie, soprattutto di minori, che chiedevano la possibilità di proseguire nei loro affetti profondi e radicati. Vorrei far presente che già nel 2010 avevo presentato un progetto di legge analogo, anzi direi più o meno identico, e nonostante i ripetuti appelli miei e di altri colleghi affinché si desse forma a questo provvedimento, era stato calendarizzato solo nel 2011. Questo provvedimento è nato dalla stretta collaborazione – voglio dirlo – con l'associazione che, da sempre, si occupa di questo tema, La Gabbianella, che aveva promosso nel 2010 una importante petizione che aveva aperto il dibattito Pag. 25su questo tema e poi, dopo il caso del bambino di Cittadella, il bambino strappato al genitore affidatario, che tutti ricordiamo, il tema era riemerso e aveva interessato intellettuali; se ne era dibattuto, Gian Antonio Stella ne aveva riparlato e l'aveva già fatto precedentemente, sostenendo la petizione de La Gabbianella e scrivendo un articolo che aveva un titolo molto significativo, Genitori usa e getta, che lasciava plasticamente intendere che cosa accadesse a queste famiglie.
      Il provvedimento, quindi, era stato calendarizzato durante il Governo Monti, c'erano state le audizioni, insomma, si era andati parecchio avanti, ma poi venne meno il sostegno al Governo Monti e si dovette interrompere l'iter. Invece, poi, è accaduto che questo provvedimento sia riemerso al Senato – io sono felicissima di questa cosa – ed è stato approvato in prima lettura. Come è stato ricordato poco fa, questo provvedimento è estremamente importante, perché è un passo avanti importantissimo per quanto riguarda i diritti dei minori e soprattutto lo fa in ottemperanza alla Convenzione ONU del 1989 sui diritti del fanciullo e dà seguito alle sentenze della CEDU rispetto alle quali eravamo stati condannati.
      Credo che il testo uscito dal Senato sia un ottimo compromesso e che il dibattito in Aula, anche grazie ad alcuni emendamenti proposti dal mio gruppo, lo abbia ulteriormente migliorato. Anche il titolo della proposta di legge è stato modificato e ha posto l'accento sulla continuità affettiva dei minori in affido. Inizialmente, invece, il testo recava il titolo: modifiche alla legge n.  184 sulla possibilità di adottare da parte degli affidatari, ed era probabilmente il motivo per il quale erano stati avanzati timori da parte di coloro che paventavano aggiramenti dell'iter adottivo attraverso l'affidamento. Invece, il titolo attuale è più opportuno, a mio avviso, perché pone l'accento sull'aspetto fondamentale di questa proposta di legge che è proprio quello di dare primaria importanza alla continuità degli affetti e alla persona del minore, visto come soggetto di diritto.
      Certo, non c’è dubbio che tutto è perfettibile; credo – come anche, tra l'altro, è stato detto – che tutta la disciplina sulle adozioni necessiti di un tagliando e, probabilmente, se ci fosse stato più coraggio e anche, magari, più compattezza da parte della maggioranza qualcosa in più si sarebbe potuto fare. Però, sono contenta che sia rimasto saldo il principio ispiratore di questa proposta di legge che non voleva stravolgere nulla; quando è stata pensata, questa piccola modifica, mirava soltanto a tutelare le situazioni di fatto, quelle in essere, quelle che si determinano in maniera anche del tutto casuale, non prevista da coloro che poi si trovano nella situazione di dover vivere questi drammi.
      Quindi, l'articolo 1 della proposta di legge introduce, come si diceva, tre nuovi commi: il 5-bis, il 5-ter e il 5-quater all'articolo 4 della legge 4 maggio 1983, n.  184, e prevede una corsia preferenziale per l'adozione a favore della famiglia affidataria, qualora, ovviamente, risulti impossibile ricostruire il rapporto tra il minore e la sua famiglia d'origine. Il nuovo comma 5-bis stabilisce che – laddove questa possibilità di recuperare il rapporto con la famiglia di origine sia accertata e sia dunque dichiarata l'adottabilità e questo avvenga durante un prolungato periodo di affido, cioè il bambino è stato affidato per lungo tempo e in quel periodo si prende coscienza dell'impossibilità di recuperare il rapporto con la famiglia di origine e il bambino viene dichiarato adottabile – il tribunale dei minorenni, nel decidere sulla domanda di adozione nei confronti di quel bambino, valuta, come mi sembra naturale e anche di buonsenso, in via preferenziale, quella effettuata dai genitori affidatari, in ragione del fatto che, tra i genitori affidatari e il bambino, si è stabilito un rapporto stabile e duraturo e, ovviamente, anche molto significativo.
      Questa corsia preferenziale – lo voglio sottolineare, per tornare, appunto, al tema del dubbio circa la commistione tra i due istituti, quello dell'adozione e quello dell'affido – opera soltanto nei casi in cui la famiglia affidataria disponga dei requisiti previsti dalla legge, ossia dall'articolo 6 Pag. 26della legge n.  184, per adottare e quindi che vi sia uno stabile rapporto di coppia, l'idoneità all'adozione e una prestabilita differenza di età con l'adottato. A questo proposito, però, voglio sottolineare un tema che è stato già evidenziato al Senato durante il dibattito e poi è stato qui riproposto dalla collega Prestigiacomo in Commissione giustizia con un emendamento, l'1.17, che era finalizzato a eliminare, per l'adozione da parte dei genitori affidatari, cioè quando gli affidatari fanno richiesta di adozione, il riferimento al comma 3 dell'articolo 6 della legge n.  184, ossia quello relativo al requisito dell'età.
      La legge prescrive che ci vuole una differenza minima non inferiore a 18 anni e non superiore a 45 anni di età tra l'adottante e l'adottato. Io condivido lo spirito di questo emendamento e in questo senso ribadisco che, probabilmente, se si fosse voluto, si sarebbe potuto avere maggior coraggio e fare qualcosa in più all'interno di questa legge. Perché questo emendamento e questa osservazione vanno nella direzione di ampliare la possibilità di adozione da parte degli affidatari, che, come ho detto, in buona fede hanno instaurato, magari, relazioni profonde con questi bambini e verso i quali – lo voglio chiarire – hanno compiuto un atto di pura generosità, perché l'affidatario è un soggetto che sa perfettamente che l'atto che sta compiendo è temporaneo; non sa quale bambino gli sarà affidato ed è un atto di pura generosità nei confronti di questi bambini che hanno bisogno. Se la ratio di questa nuova norma che si va a introdurre è quella di tutelare i legami di affetto, se questo è il principio ispiratore della legge, qualora accada che il bambino venga dichiarato adottabile, questo legame non può essere negato tout court solo se magari tra la famiglia affidataria, che fa richiesta di adozione, e l'adottando non è rispettato il requisito dell'età per uno scarto di pochi mesi, magari di sei mesi. Allora, in quel caso, siccome non si rispettano i requisiti previsti dalla legge, si nega il rapporto di affetto e il legame, magari durato per anni, e si consente che il bambino sia strappato a quella famiglia.
      Mi rendo conto che si sarebbe potuto approfondire questo aspetto; tuttavia credo, sempre qualora la giurisprudenza si orienti verso la necessità o l'opportunità di dare rilievo prioritario alla tutela degli affetti e dei legami affettivi tra bambino e genitore, che, a tale riguardo, ci si potrebbe appigliare o comunque fare riferimento all'articolo 44 della legge n.  184, in altre parole al concetto di adozione in casi speciali. In questo senso, si potrebbe ulteriormente ampliare la possibilità di adozione, magari anche nei casi in cui ricorrano le difficoltà relative all'età tra affidatario e bambino affidato, magari una differenza minima di pochi mesi. Per esempio, ho presentato un emendamento, che ritirerò e trasformerò in un ordine del giorno, per rendere l'accesso all'articolo 44 meno restrittivo e ampliarne il campo d'azione, facendo sì che, qualora non ricorrano tutti i requisiti previsti per l'adozione legittimante, come quello dell'età, sia data comunque in qualche modo la possibilità alle famiglie affidatarie di completare il loro atto di amore e di generosità. Devo dire che comunque il Senato ha già compiuto un passo avanti, come è stato detto, apportando una modifica alla disciplina dell'adozione speciale ex articolo 44, in particolare la lettera a) di questo articolo contempla il caso dell'orfano di padre e di madre, che può essere adottato anche da persone legate da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori. In questo caso, l'adozione è consentita anche alle coppie di fatto, quindi a quelle che non rispettano i requisiti previsti dall'articolo 6, e anche alla persona singola; se però l'adottante è coniugato e non separato l'adozione deve essere richiesta da entrambi i coniugi.
      L'articolo 4 del nostro testo di legge, nel confermare questa linea interpretativa favorevole a considerare positivamente i legami preesistenti, aggiunge alla lettera a) della legge n.  184 il principio per cui un rapporto, considerato stabile e duraturo, è anche quello che può essere maturato durante un prolungato periodo di affidamento. Quindi, inserisce all'interno dei Pag. 27casi, per i quali si può far ricorso all'articolo 44 per l'adozione speciale, anche quello in cui il bambino sia legato alla famiglia da un lungo periodo di affidamento. In questo modo, a mio avviso, maggiormente la legislazione vigente si adegua alla nuova realtà delle famiglie aperte e allargate, di cui tutti siamo a conoscenza, dove ci sono mamme single, mamme separate e papà separati, coppie conviventi e dove è evidente che ciò che conta di più per un bambino non è la forma o il canone o l'estetica della famiglia ma essere evidentemente amato. Oggi i bambini vengono dati in affidamento, come noi sappiamo, non soltanto a coppie sposate ma anche a coppie conviventi o a singoli.
      Ovviamente, anche in questo caso, sarà doveroso considerare e rispettare il vincolo della continuità affettiva e il diritto a che il bambino abbia una famiglia sempre nel suo supremo interesse. Non vi è alcun dubbio che l'interesse di un minore, soprattutto se è stato già abbandonato, se ha vissuto esperienze dolorose, se ha cambiato diverse famiglie, è quello che sia circondato d'affetti e di cure e che riscopra la fiducia negli adulti e non subisca altri abbandoni. Quindi, al di là di queste osservazioni, credo che con questo provvedimento un passo in avanti importantissimo sia stato compiuto. In ogni caso, questo provvedimento deve essere accolto come una grandissima conquista. Infatti, la relazione affettiva è sicuramente per i bambini un bisogno primario insieme al bisogno educativo e al mantenimento. C’è da dire, tra l'altro, che l'allontanamento dalla famiglia di origine – che è sempre un’extrema ratio (quando un bambino viene allontanato dalla sua famiglia di origine vuol dire che c’è un serio problema) – inaugura spesso nei confronti di questi bambini un cammino senza ritorno, per la semplice ragione che a volte è difficile recuperare quel rapporto, perché da parte dei genitori naturali c’è disinvestimento affettivo e perché la separazione stessa può indurre nei genitori l'idea di un destino disgiunto da questi bambini. Ovviamente l'assenza di questi affetti rappresenta per i minori che la subiscono una causa di profonda destrutturazione, di formazione di disagi, che potrebbero diventare nel tempo vere e proprie patologie.
      Diciamo spesso che i minori sono il nostro futuro, invece credo che dobbiamo smettere di guardare ai minori come futuri uomini ed iniziare a guardarli come il nostro presente, a occuparci della loro attuale situazione di bambini in età evolutiva, preadolescenti, adolescenti, in modo che creiamo in qualche modo le condizioni affinché crescano e diventino adulti, uomini e donne equilibrati e strutturati. Sappiamo tutti che l'influenza positiva esercitata da un'affettività autentica, vera, incide sullo sviluppo della personalità di ogni individuo, quindi la presenza in famiglia di una sicura base affettiva è il presupposto per la strutturazione, per la formulazione di un'identità autonoma, responsabile verso se stessi e verso gli altri. Le esperienze affettive non vengono mai cancellate; sappiamo che nella persona opera sempre una memoria del sentire per cui ansie e paure, che hanno le loro radici nell'infanzia e nella preadolescenza, permangono nella persona per la sua intera esistenza e riemergono ogni qual volta la stessa si trovi in situazioni analoghe a quelle del passato. Quindi, prolungate e ripetute rotture di un legame con i genitori entro i primi cinque anni di vita si scontrano con frequenza in pazienti che, per esempio, in seguito sono stati diagnosticati come psicopatici o sociopatici. Va aggiunto anche che le perdite che si verificano nei primi cinque anni di vita sono particolarmente dannose per il futuro sviluppo della personalità del bambino; ma anche le perdite che si verificano in seguito, in età superiore, nell'adolescenza, possono portare a situazioni patologiche. Per cui, per tutta questa serie di ragioni credo che questa proposta di legge, qualora possa essere utile anche a un solo bambino, è sicuramente una grande conquista.
      Volendo tornare ad un'analisi un pochino più dettagliata del testo, abbiamo detto che la proposta reca modifiche alle disposizioni in materia di adozione di minori da parte delle famiglie affidatarie e Pag. 28interviene, come è stato precisato, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine dati in affidamento. Voglio precisare che l'istituto dell'affidamento nasce con la finalità di tutelare e proteggere ed accogliere il minore temporaneamente, quindi per un periodo determinato, presso un'altra famiglia, per poi reinserirlo (se possibile) in quella di origine, quando questa superi le proprie difficoltà, quelle appunto che hanno determinato l'allontanamento temporaneo. Questo avviene ovviamente – ed è preferibile che il bambino sia in una famiglia anziché in un istituto – perché al bambino siano fornite in maniera appunto naturale l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno. Sulla base di questa temporaneità dell'affidamento, i requisiti per essere genitori affidatari sono ovviamente diversi da quelli previsti per l'adozione, che ha in sé il requisito della definitività. Il genitore affidatario, come si è detto, è ben consapevole di occuparsi di un minore con una famiglia che è temporaneamente in difficoltà, sapendo sin da subito – per questo è un atto di generosità – che arriverà il momento in cui si dovrà distaccare da questo minore. Tuttavia, sebbene gli affidatari sappiano perfettamente tutto questo, avviene purtroppo troppo spesso che la prassi alla quale assistiamo è che l'affidamento perde il suo carattere di temporaneità e di provvisorietà e si prolunga.
      Infatti, circa il 60 per cento degli affidi supera i due anni, tempo massimo previsto dalla legge, mentre il 31,7 per cento supera i quattro anni. Quella che era una eccezione, il tempo prolungato, è diventata la regola e la temporaneità si è trasformata sostanzialmente in un sine die. Quindi, da strumento di aiuto temporaneo, massimo appunto due anni, è diventato un limbo, una condizione in cui i minori si trovano sostanzialmente tra la serenità di una nuova famiglia e il dramma di poter essere improvvisamente strappati da questo legame, un legame che probabilmente nasce casualmente, in quanto non si può prevedere prima quanto durerà questo affidamento, ma che non per questa ragione può essere negato.
      Come è stato detto, ho collaborato con La Gabbianella e con l'avvocato Mollica, che è stata audita in Commissione durante il dibattito su questo provvedimento. Sono stati raccontati e descritti tantissimi casi di bambini affidati ad una famiglia con altri bambini, magari per due anni, oggetto di cure affettuose, e quando poi improvvisamente il bambino viene dichiarato adottabile il tribunale dei minori stabilisce che deve lasciare quella che considera la sua famiglia per un'altra famiglia nuova, come se potesse cancellare dei suoi tre anni due anni di vita ! Ma per quale motivo non farlo rimanere nella famiglia in cui già si trova ? Ecco il punto è questo ! Si commette un danno enorme nei confronti di bambini proprio negli anni in cui sono più fragili, in cui gli affetti, i legami e le relazioni familiari sono fondamentali, invece per un fatto puramente burocratico questi bambini devono essere strappati da questi legami. È evidente che i bambini vivono le separazioni come degli abbandoni, si colpevolizzano pensando che questo distacco sia dovuto a qualcosa di sbagliato che loro hanno compiuto. In questo sta l'importanza della proposta di legge che interviene sulla disciplina attuale e corregge la prassi costante di spostare il bambino dalla famiglia affidataria verso la famiglia in attesa di adozione. Noi vogliamo invece porre in primo piano il minore e i suoi legami affettivi, permettendo alla famiglia affidataria, come si è detto, qualora disponga dei requisiti previsti dalla legge, di adottare, con quella che io considero una priorità sacrosanta, il bambino che ha in affidamento una volta che venga dichiarato adottabile.
      Un altro aspetto importante di questa proposta di legge, che ho già sottolineato prima, è quello che stabilisce che, qualora il bambino venga dichiarato adottabile e la famiglia affidataria non possa o, magari, non voglia, ipotesi anche possibile, adottarlo, questa possa mantenere con lui dei rapporti e delle relazioni affettive sulla base di quelle che si sono formate e Pag. 29consolidate nel periodo di affido. Infatti, il comma 5-ter dell'articolo 1, tutela comunque il diritto del minore alla continuità affettiva, anche qualora il minore faccia ritorno alla sua famiglia di origine o sia adottato da un'altra famiglia diversa da quella affidataria o sia dato in affidamento ad un'altra famiglia. In questa ipotesi, infatti, il nostro testo prescrive che se rispondente all'interesse del minore deve essere comunque tutelata la continuità delle positive relazioni socio-affettive che si sono consolidate con la famiglia affidataria. Si garantisce cioè l'esigenza di mantenere, ovviamente qualora questa cosa sia fatta nell'interesse del minore, in quanto si percepisce la necessità per il minore di tenere saldo questo legame, un legame con il bambino in modo da poterlo vedere concordandolo con la nuova famiglia. In questo modo si attua concretamente la tutela del minore al suo diritto a vedere consolidati i suoi affetti. Una tutela che non nasce da un capriccio degli affidatari ma rappresenta un bisogno prioritario del minore.
      Quindi, il grande tratto innovativo che connota questa proposta è il concetto di mantenere saldi i legami che il bambino ha vissuto durante il periodo di affidamento. Un criterio che diventa fondamentale nella valutazione da parte del tribunale dei minori e dei giudici nell'assumere scelte nell'interesse del minore. Come hanno opportunamente sottolineato alcuni colleghi del Senato: il legame affettivo diventa categoria giuridica, fonte di diritto, fonte del rapporto genitoriale. Quindi, questo progetto di legge risponde sicuramente alla nuova cultura dell'infanzia e dell'adolescenza.
      Si è capito finalmente che il minore è una persona, si sta sviluppando un diritto minorile che non è più un diritto dei minori ma per i minori, un diritto che non si ferma soltanto a individuare i doveri degli adulti nei confronti dei bambini ma che si spinge oltre, individuando diritti propri dei minori che devono essere tutelati e garantiti. Un diritto dunque finalmente ispirato alle esigenze di personalità in evoluzione, in formazione; un diritto che risponde alle reali esigenze dei minori, considerati come persone meritevoli di tutele e diritti.

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

      PAOLA BINETTI. Signor Presidente, anch'io, come i colleghi che sono intervenuti, auspico davvero che questo disegno di legge possa avere un iter rapido, veloce e che ne salvi lo spirito con cui sono state fatte le proposte di legge, con cui sono state discusse e con cui in un certo senso le attendono. Le attendono più o meno consapevolmente i minori a cui si riferiscono e certamente con maggiore consapevolezza le famiglie che sono in questo momento le famiglie affidatarie. In molti degli interventi che mi hanno preceduta il cuore del dibattito è stato proprio sul salvaguardare la differenza sostanziale che c’è tra adozione e affido ma anche sulla necessità di cercare un nuovo punto di equilibrio di cui la chiave di volta è rappresentata proprio dal supremo interesse del minore e da quella che possiamo considerare la continuità affettiva che è condicio sine qua non per uno sviluppo personale equilibrato e sereno e quindi anche un prerequisito poi per vivere i propri impegni sociali nel modo più costruttivo e anche più aperto alla collaborazione e all'integrazione.
      L'adozione e l'affidamento sono due provvedimenti giuridici che hanno lo scopo di assistere i minori, soprattutto in stato di abbandono nel primo caso oppure con difficoltà familiari nel secondo, nella crescita fisica, sociale e psichica. L'adozione consiste nel cambiamento dello stato giuridico del minore, il quale diventa a tutti gli effetti un figlio legittimo della coppia adottante. Invece l'affidamento ha carattere di temporaneità e non prevede un cambiamento nello stato giuridico del minore e dei suoi genitori naturali. Questa prima differenza ha nella dimensione del tempo uno dei suoi indicatori più significativi, effettivamente se nel caso dell'adozione si potesse avere un tempo oggettivamente breve, allora potrebbe essere facile Pag. 30mantenere distinte le due realtà, ma noi in questo caso abbiamo preso in considerazione tutti quei casi in cui lo stato di affidamento diventa uno stato che si protrae nel tempo e che il bambino non vive più nemmeno come una situazione in qualche modo di provvisorietà, ormai la vive come un nuovo radicamento. Quali possano essere le cause per cui l'affidamento passa dal margine previsto dei 24 mesi a una situazione più lunga come quella che denuncia di fatto nel 60 per cento dei caso l'Istituto degli innocenti di Firenze è difficile dirlo a priori, ci possono essere difficoltà che sono legate soprattutto alla famiglia naturale del bambino: difficoltà a venire fuori da situazioni che possono essere situazioni che hanno a che vedere anche con la condizione di interfaccia importante con il sistema penale; oppure possono avere un'interfaccia importante con il sistema sanitario, genitori che non stanno bene, che non sono nelle condizioni di prendersi cura dei propri figli; oppure possono avere un'interfaccia altrettanto importante con quello che è in senso lato il sistema sociale, pensando anche alle condizioni di grave povertà e di grave disagio che non permettono al bambino di poter vivere la sua vita con naturalezza e normalità. Quali che siano queste cause, sorprende molto il fatto che oltre il 60 per cento vada al di là dei vincoli previsti, dico sorprende perché evidentemente vi è nella previsione, nella progettazione e programmazione che si fa dell'affido, qualche elemento e qualche dato di cui non si tiene sufficientemente conto, perché che ci possa essere un margine fisiologico di errore nella previsione, che oscilli appunto verso un 30 per cento dei casi è abbastanza plausibile, che questo raddoppi e diventi del 60 per cento vuol dire che di qualche cosa o non ci siamo resi conto o non ci siamo voluti rendere conto o l'abbiamo sottovalutata oppure non siamo intervenuti in modo adeguato a sostegno delle famiglie naturali di questi bambini.
      Come tutti sappiamo, l'adozione ha lo scopo di dare una famiglia ai minori che ne sono privi, ma in un certo senso, in questa visione dell'affidamento, anche la prospettiva che si pongono i genitori affidatari è quella non solo di accogliere nella loro famiglia, ma anche quella di dare una famiglia. Quindi, non si tratta soltanto di una dimensione per la quale tu passi del tempo, ma di passare da una logica in qualche modo dell'avere, a quella che invece è una logica più profonda dell'essere: tu ti senti membro a tutti gli effetti di questa famiglia. Non a caso, gli affidamenti che riescono meglio sono quelli in cui la simbiosi quasi potremmo dire che si stabilisce non solo tra i genitori e il bambino, ma anche tra i fratelli oppure, in un senso più allargato, la dinamica delle relazioni che coinvolgono anche i nonni; queste diventano relazioni familiari forti. Si va oltre la percezione di questi «legami liquidi» che sono molte volte momento di grande fragilità anche delle cosiddette famiglie naturali o famiglie normali e invece ci troviamo davanti ad una volontà di costruire legami che va oltre le difficoltà e che quindi diventa anche, in un certo senso, esemplare, esemplare anche per tante altre famiglie che riconoscono nella famiglia affidataria una capacità di amore, di inclusione e di donazione che a volte manca anche in altri contesti.
      Altra differenza interessante, su cui mi voglio fermare un momento è la differenza che c’è in qualche modo tra gli aspiranti genitori adottivi e i cosiddetti genitori affidatari. I genitori adottivi sappiamo che devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni, non separati neppure di fatto, con o senza figli biologici o adottivi. Possono presentare domanda anche coloro che hanno convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per almeno tre anni e con lo stesso atto possono essere adottati uno o più minori. L'età degli adottanti oltretutto deve superare di almeno 18 e di non più di 45 anni l'età dell'adottato.
      Nel caso, chiamiamoli così, dei genitori affidatari, intanto è evidente che il desiderio maggiore è che si tratti anche in questo caso di coniugi, preferibilmente con figli minori per offrire una famiglia il più possibile simile a quella dei suoi coetanei, Pag. 31oppure di coniugi senza figli, ma potrebbero anche essere delle persone single. L'affidamento è disposto dal servizio sociale locale, quindi diciamo è in qualche modo qualcuno che ti affida un bambino a livello istituzionale e chiaramente richiede il consenso dei genitori naturali del bambino o del tutore perché si possa parlare davvero di un affido consensuale. Non c’è un affido che avviene contra voluntatem di qualcuna delle parti contraenti; in un certo senso, ci vuole un convergere delle volontà della famiglia naturale, della famiglia accogliente e, laddove è possibile e la legge peraltro riprende questo passaggio, del bambino stesso, la legge dice: «ove consenziente» e si riferisce al «bambino dodicenne» ma «anche più piccolo, ove capace di discernimento» e possiamo dire che la capacità di discernimento di un bambino nel riconoscimento della famiglia e della propria possibilità di sentirsi a suo agio in quella famiglia è una cosa che ci sorprende molto, ma che molte volte siamo in grado di riconoscere. Chiaramente è necessario poi un provvedimento del tribunale che affidi questo bambino.
      Quello che, ancora una volta, ci sembra importante sottolineare è il diverso ruolo che svolgono i servizi socio-assistenziali nel caso del bambino adottato e nel caso del bambino cosiddetto affidato. Nel caso del bambino adottato c’è tutta una ricognizione previa che si fa e che a un certo punto però smette, in qualche modo i servizi restano fuori dalla porta di casa perché quei genitori sono stati riconosciuti come «capaci» e, da quel momento in poi, prevale la dinamica interna, la dinamica degli affetti, la dinamica dell'organizzazione, la dinamica anche della capacità di progettualità nei confronti del bambino. Nel caso invece del bambino affidatario i servizi sociali continuano a esercitare una funzione – chiamiamola così – di vigilanza, continuano ad essere, come dire, gli osservatori, il terzo che in qualche modo si inserisce e si innesta nella vita.
      Ora, noi sappiamo quanto è importante per le famiglie affidatarie la collaborazione stretta con i servizi sociali perché, se non si desse questa collaborazione, potrebbero facilmente correre il rischio che il bambino venisse tolto.
      Se ci fossero anche delle situazioni – chiamiamole così – di incomprensione, come comunque in alcuni casi si creano, i servizi sociali possono svolgere una funzione, nella loro criticità, che favorisca la rottura di questi legami. Invece di favorire una ricucitura e, quindi, un inserimento positivo, possono favorire, in qualche modo, un allontanamento del bambino.
      Sappiamo poi che la famiglia adottante non riceve alcun tipo di aiuto economico e, anzi, è lei stessa che, in qualche modo, deve sostenere dei costi tutt'altro che irrilevanti per potere adottare un bambino. Nel caso, invece, della famiglia affidataria, c’è una sorta di rimborso spese che viene fornito a questa famiglia per farsi carico del bambino.
      Potremmo dire senz'altro che è una cosa giusta, necessaria e doverosa. Molte volte la generosità con cui certe famiglie adottanti si fanno carico di questi bambini prescinde totalmente dalla loro condizione economica. Ci sono famiglie molto semplici che veramente sono in grado di aprire il cuore all'accoglienza. Però, non possiamo nemmeno dimenticare che ci sono stati, da questo punto di vista, anche dei casi, in un certo senso, di abuso, in cui l'interesse a ciò che il bambino porta con sé può diventare una motivazione prioritaria rispetto a quello che, invece, è l'interesse per il bambino e a tutto ciò che il bambino è.
      In sintesi, quindi, ci sono differenze tra affidamento familiare e adozione e queste differenze dovranno restare, perlomeno nella percezione della diversità delle situazioni.
      Ma non ci si può fermare alle differenze e occorre trovare il punto di mediazione, che è, peraltro, assolutamente lo spirito di questo provvedimento. E qual è il punto della mediazione di questo provvedimento ? C’è un articolo, nel provvedimento, molto interessante ed è il punto in cui si dice che, nel caso in cui il bambino venga sottoposto a un affido prolungato nel tempo, viene considerato adottabile; Pag. 32invece, nel caso in cui non fosse vincente la soluzione che lo vede adottato dalla famiglia affidataria, il bambino deve essere aiutato a mantenere continuità di rapporti affettivi con la famiglia naturale, perché a questo punto, per molti anni – per tutto il tempo in cui è stato affidato a una famiglia affidataria –, c’è stato il tentativo di mantenere viva, forte e significativa questa relazione con la sua famiglia, ma anche con la famiglia affidataria. Quindi, ci troviamo davanti a una situazione complessa che il provvedimento contempla, che è quella di avere un bambino che si interfaccia con tre nuclei familiari: il nucleo naturale, il nucleo affidatario, il nucleo adottante, che a questo punto non coincide con il nucleo naturale.
      Certo, avere cercato questo punto di equilibrio, avere messo nella norma questo punto di equilibrio, è un grande atto di fiducia nei confronti degli adulti, della loro maturità e della loro capacità di muoversi sempre non in una logica di contrapposizioni ma, piuttosto, in una logica veramente volta alla soddisfazione dei bisogni affettivi di questo ragazzo. È una situazione comunque complessa, per cui è evidente che la soluzione in un certo senso migliore resta sempre quella che, dopo i due anni e più di affido, il bambino possa davvero essere inserito stabilmente in quella famiglia.
      Questo aspetto, che riguarda, però, a monte la diversità della tipologia tra la famiglia affidataria e la famiglia adottiva, ci porta a parlare proprio dell'evoluzione a cui può andare incontro una famiglia affidataria, che può trasformarsi in una famiglia adottiva, tenendo conto che a monte nell'ambito della famiglia affidataria vi era anche la possibilità che si trattasse di una persona single e altro ancora e tenendo conto che noi consideriamo che il supremo interesse del bambino sia quello di avere una madre e un padre. Quindi, è necessario che, nel momento in cui il magistrato predispone questo affido del bambino, tenga presente che l'evoluzione potrebbe non essere soltanto quella dell'affido temporaneo, ma potrebbe diventare l'affido stabile, l'affido, potremmo dire, per sempre e, in questo caso, la scelta della famiglia, la scelta del luogo di accoglienza di questo bambino, deve avere questo sguardo più lungo. Non può essere più soltanto orientato – potremmo dire – a una sorta di miopia affettiva, per cui mi fa contemplare l’hic et nunc che giova al bambino, ma deve potere guardare anche oltre.
      È questo uno dei punti in cui, per esempio, un'associazione che è altamente benemerita e che tutti conosciamo, la «Papa Giovanni XXIII», che, devo dire, si spende in mille modi diversi a favore dell'infanzia violata, a favore dell'infanzia abbandonata, a favore di tante situazioni problematiche della nostra società, ha sollevato delle obiezioni molto marcate, molto puntute, al punto di considerare questo provvedimento come il rischio di una sorta di cavallo di Troia.
      Ora, non credo che questo accadrà, non credo che sarà assolutamente la prassi ordinaria. Credo che, nella maggioranza dei casi, i bambini saranno ben felici di restare nei loro nuclei iniziali affidatari, però è fondamentale che questa nuova situazione che si presenta venga tenuta bene in conto da parte del magistrato e, in qualche modo, venga anche attentamente vagliata e valutata proprio dai servizi sociali.
      Personalmente, presenterò un ordine del giorno su questo punto, proprio per garantire a priori, nel momento dell'affido, quelle che poi saranno le condizioni di stabilità del bambino e mi auguro davvero che la legge venga approvata nel più breve tempo possibile e venga conservato questo assetto, che mi sembra piuttosto equilibrato, fonte di tante mediazioni possibili, proprio per dare risposta a tanti bambini e non esporli a una seconda frattura, a un secondo abbandono, con conseguenze che sono poi difficilmente recuperabili negli anni successivi.

      PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Pag. 33

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 2957)

      PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Verini, per pochi minuti.

      WALTER VERINI, Relatore. Ho apprezzato molto taglio, contenuti e stile degli interventi che si sono succeduti, che mi sembra convergano – almeno quelli che si sono espressi – sulla direzione di apprezzare i contenuti di un provvedimento migliorabile, certamente, ma con la consapevolezza che, forse, un'ulteriore lettura al Senato potrebbe significare un rinvio sine die. Quindi, nel ringraziare gli intervenuti, nel ringraziare anche l'intervento e l'apprezzamento del rappresentante del Governo, sottosegretario Ferri, credo che si possa concludere qui.

      PRESIDENTE. Non prima di avere chiesto al sottosegretario Ferri se intenda replicare. Prendo atto che rinunzia alla replica.
      Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: D'iniziativa popolare; Di Lello ed altri; Vendola ed altri; Bressa; Bressa; Pes ed altri; Zampa; Caparini ed altri; Bersani ed altri; Vaccaro; Marazziti ed altri; Fedi ed altri; La Marca ed altri; Caruso ed altri; Gozi; Bueno ed altri; Caruso ed altri; Porta ed altri; Polverini; Sorial ed altri; Merlo e Borghese; Centemero; Bianconi; Dorina Bianchi; Fitzgerald Nissoli ed altri: Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n.  91, in materia di cittadinanza (A.C. 9-200-250-273-274-349-369-404-463-494-525-604-606-647-707-794-836-886-945-1204-1269-1443-2376-2495-2794-A) (ore 17).

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn.  9-200-250-273-274-349-369-404-463-494-525-604-606-647-707-794-836-886-945-1204-1269-1443-2376-2495-2794-A: D'iniziativa popolare; Di Lello ed altri; Vendola ed altri; Bressa; Bressa; Pes ed altri; Zampa; Caparini ed altri; Bersani ed altri; Vaccaro; Marazziti ed altri; Fedi ed altri; La Marca ed altri; Caruso ed altri; Gozi; Bueno ed altri; Caruso ed altri; Porta ed altri; Polverini; Sorial ed altri; Merlo e Borghese; Centemero; Bianconi; Dorina Bianchi; Fitzgerald Nissoli ed altri: Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n.  91, in materia di cittadinanza.
      Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 25 settembre 2015.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 9-A ed abbinate)

      PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
      Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Area Popolare e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
      Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
      Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza, onorevole Marilena Fabbri.

      MARILENA FABBRI, Relatrice per la maggioranza. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, inizia oggi in Aula la discussione della riforma della legge 5 febbraio 1992, n.  91, recante nuove norme sulla cittadinanza.
      La Commissione affari costituzionali ha concluso il 24 settembre scorso l'esame in sede referente di un testo unificato di 25 proposte di legge provenienti dai deputati di quasi tutti i gruppi parlamentari, fra cui una di iniziativa popolare, l'atto Camera n.  9, depositata proprio a inizio di questa legislatura, promossa dal coordinamento nazionale «L'Italia sono anch'io», che Pag. 34vede al suo interno 19 organizzazioni della società civile di rilievo nazionale, appoggiate, altresì, dai comuni d'Italia.
      Il testo oggi all'esame dell'Assemblea esce arricchito dall'esame svolto in Commissione, dove sono stati approvati 25 emendamenti – 15 effettivi, se li consideriamo al netto di quelli considerati identici – provenienti da diverse parti politiche, e io stessa, in qualità di relatrice, ho preferito lavorare sulle proposte di modifica presentate dai colleghi piuttosto che presentare emendamenti del relatore, come è consuetudine.
      Ritengo che questo sia un momento storico per la nostra vita parlamentare, perché della modifica delle norme sulla cittadinanza si discute ormai da più di 15 anni, da quando l'Italia è divenuta a tutti gli effetti una meta dei flussi migratori e il numero degli stranieri residenti e lungo residenti regolari nel nostro Paese ha iniziato a crescere.
      Il dibattito si aprì in questa direzione in un convegno della Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, istituita dalla «legge Turco-Napolitano», n.  40 del 1998, presso il Dipartimento per gli affari sociali, organizzato a Roma, nel febbraio del 1999.
      Da allora molte proposte di legge sono state presentate in Parlamento, ma nessuna è mai riuscita a superare la fase della conclusione dell'esame referente in Commissione, alla quale, ad esempio, si era arrivati nella XV legislatura con un testo unificato, relatore Bressa. Quindi, ritengo particolarmente importante il fatto che oggi, invece, si sia qui ad aprire la discussione in Aula su un testo così importante.
      Il fenomeno migratorio ha imposto da tempo una riflessione sull'impianto della legge in materia di cittadinanza, oggi prevalentemente fondata su una concezione etnica della stessa, che trova espressione nel principio dello ius sanguinis, il quale favorisce la trasmissione dello status di cittadino ai discendenti dei cittadini, anche in assenza di un legame effettivo con il nostro Paese, in quanto è sufficiente avere un avo tra i propri ascendenti, a prescindere dalla conoscenza della lingua, dal mantenimento di un rapporto culturale, economico o dalla effettiva presenza.
      Questa impostazione, coerente con la condizione di un Paese di emigrazione quale era l'Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale, necessita oggi di essere aggiornata alle condizioni di un Paese in cui, secondo i dati ISTAT, al 1o gennaio 2015 risiedevano 5.014.437 cittadini di origine straniera, di cui va detto che oltre 2 milioni e 600 mila provengono da Paesi europei e, tra questi, 1,5 milioni provenienti da Paesi membri dell'Unione europea. È, quindi, un fenomeno che vede una presenza extra Unione europea consistente in poco meno della metà degli stranieri residenti.
      Nell'affrontare questo tema, che non sfugge a nessuno essere al centro di una forte contrapposizione politica, la I Commissione ha scelto di concentrarsi sulla fondamentale questione dell'acquisto della cittadinanza da parte dei minori, in particolare dei minori che nascono in Italia da genitori stranieri che abbiano consolidato il loro progetto di vita nel nostro Paese, il cosiddetto ius soli temperato, e di quelli che, arrivati in Italia in tenera età, abbiano frequentato regolarmente nel nostro Paese un percorso scolastico, il cosiddetto ius culturae.
      Questa scelta è mirata a rispondere ad una pluralità di esigenze e di obiettivi: essere strumento di integrazione, di uguaglianza, di crescita demografica e di crescita economica.
      Strumento di integrazione, perché favorisce la coesione sociale, la lotta al razzismo, a fenomeni di discriminazione e di marginalizzazione a danno di un'importante parte della popolazione, quella dei minori stranieri, che oggi raggiunge l'8,2 per cento della popolazione complessiva presente nel nostro Paese, e risponde ad un principio di equità, se pensiamo alla condizione in cui versano i bambini che nascono, crescono e sono educati nel nostro Paese, accanto o insieme ai nostri figli, ma che sono trattati da stranieri e che non sempre al raggiungimento della maggiore età riescono a dimostrare la Pag. 35presenza continuativa per 18 anni consecutivi nel nostro Paese, requisito oggi richiesto per poter rivendicare lo ius soli.
      Strumento di crescita demografica, perché noi tutti conosciamo i dati drammatici della crescita demografica zero. Crescita zero è tale grazie alla presenza degli stranieri e dal contributo positivo che le donne straniere danno alla natalità, anche se questo dato è in calo e dimostra un'inversione di tendenza, tant’è che le famiglie straniere residenti risultano composte da 3,5 componenti. Quindi, anche il contributo positivo che derivava dalle donne straniere sta calando. Si ha, come dicevo, una crescita demografica zero nel nostro Paese, che sarebbe invece molto negativa, qualora tenessimo conto dei non nati italiani, dei morti, degli emigrati italiani verso altri Paesi. Inoltre, il saldo nati vivi che oggi in Italia si registra è a un livello negativo mai raggiunto dopo il biennio 1917-1918, gli ultimi due anni del primo conflitto mondiale.
      Si tratta anche di strumento di crescita economica, perché è una scelta che favorisce la permanenza sul nostro territorio di un'importante parte della popolazione attiva, quella più vitale, intraprendente e istruita, se pensiamo che, sempre sulla base dei dati ISTAT, oltre il 50 per cento degli stranieri residenti, nati o arrivati in Italia da minorenni, risulta oggi in possesso di un titolo di studio pari almeno alla scuola secondaria superiore o alla laurea. Quindi, il tema della qualità degli stranieri presenti sul nostro territorio è fortemente legato a pregiudizi e non ai dati reali, che invece, anche solamente leggendo i dati demografici nazionali, si potrebbero evidenziare.
      Entriamo ora nel merito della proposta. Secondo il testo unificato che abbiamo presentato per la Camera, acquista la cittadinanza per nascita chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia in possesso del permesso di soggiorno dell'Unione europea per soggiornanti di lungo periodo, il cosiddetto ius soli temperato.
      Si tratta della carta di soggiorno di lungo periodo che acquistano solamente i cittadini che abbiano alle spalle almeno cinque anni di permesso di soggiorno, oltre alla conoscenza della lingua al livello A2, un alloggio adeguato, un reddito sufficiente previsto per legge e che non abbiano carichi pendenti o clausole ostative.
      La cittadinanza, quindi, si acquista mediante dichiarazione di volontà, espressa da un genitore o da chi esercita responsabilità genitoriale all'ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età dell'interessato. L'interessato può comunque rinunciare alla cittadinanza così acquisita, entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, purché in possesso di altra cittadinanza, in quanto l'acquisto della cittadinanza rimane comunque una dichiarazione di volontà, esercitata dai genitori o dagli esercenti la responsabilità in minore età o dall'interessato al raggiungimento della stessa.
      Ove il genitore non abbia reso la dichiarazione, appunto, l'interessato può fare richiesta di acquisto della cittadinanza all'ufficiale di stato civile entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. Queste sono le previsioni di cui all'articolo 1, comma 1, della proposta di legge.
      Inoltre, con riferimento alla fattispecie di acquisto della cittadinanza per ius soli, già prevista dalla normativa vigente (articolo 4, comma 2), relativa allo straniero nato in Italia che vi abbia risieduto legalmente, senza interruzioni, fino alla maggiore età, il termine per la dichiarazione di acquisto della cittadinanza viene aumentato da uno a due anni dal raggiungimento della stessa, per equipararla ai nuovi termini previsti da questa proposta di legge di modifica.
      La seconda fattispecie che andiamo ad introdurre con questo testo unificato fa riferimento all'acquisto della cittadinanza per il minore straniero che sia nato in Italia e che non possa rivendicare i requisiti di cui allo ius soli temperato descritto in precedenza, o che vi abbia fatto ingresso prima del compimento del dodicesimo anno di età, che abbia frequentato regolarmente, ai sensi della normativa scolastica Pag. 36vigente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale d'istruzione o percorsi d'istruzione e formazione professionale, di natura triennale o quadriennale, idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi il corso d'istruzione primaria, è altresì richiesta la conclusione positiva di tale corso. Questi i contenuti del cosiddetto ius culturae.
      Anche in questo caso, la cittadinanza si acquista mediante dichiarazione di volontà di un genitore o di un esercente la responsabilità genitoriale, fatta davanti all'ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, dichiarazione che può essere sempre fatta dalla maturazione del requisito fino al compimento della maggiore età dell'interessato.
      Inoltre, ai fini della presentazione della dichiarazione da parte del genitore, è comunque richiesta la residenza legale del genitore stesso, che presuppone la regolarità del relativo soggiorno. Anche per tale fattispecie l'interessato può rinunciare alla cittadinanza, qualora il genitore o l'esercente la responsabilità l'abbia richiesto a suo tempo, ovvero richiederla lui stesso, qualora al raggiungimento della maggiore età il genitore non abbia reso tale dichiarazione.
      Oltre a queste ipotesi, che configurano un vero e proprio diritto all'acquisto della cittadinanza, la proposta introduce un ulteriore caso di concessione della cittadinanza, la cosiddetta naturalizzazione – infatti, va a modificare l'articolo 9 della legge n.  91 del 1992 –, che ha carattere discrezionale per lo straniero che abbia fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento della maggiore età, quindi vi risulti legalmente residente da almeno sei anni, che abbia frequentato regolarmente, ai sensi della normativa vigente in materia scolastica, nel medesimo territorio, un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo, presso gli istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale d'istruzione ovvero un percorso d'istruzione e formazione professionale con il conseguimento di una qualifica professionale.
      Tale fattispecie dovrebbe riguardare soprattutto il minore straniero che ha fatto ingresso nel territorio italiano tra il dodicesimo e il diciottesimo anno di età.
      Viene, inoltre, modificata la disciplina dell'acquisto della cittadinanza da parte dei figli minori di chi acquista o riacquista la cittadinanza italiana, che attualmente subordina l'acquisto da parte dei minori al requisito della convivenza con il genitore. Il requisito della convivenza viene eliminato ed è richiesta unicamente la non decadenza dalla responsabilità genitoriale, quindi tenendo conto anche delle fattispecie in cui il minore può convivere con un genitore non esercente la responsabilità genitoriale.
      Il testo unificato prevede l'esonero dal contributo dei 200 euro, previsto dalla normativa vigente, per le istanze e le dichiarazioni riguardanti la cittadinanza relative ai minori o conseguenti a dichiarazioni di acquisto della cittadinanza dell'interessato da rendere entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.
      Sono poi dettate una serie di disposizioni di carattere interpretativo, in particolare. Le vado ad elencare. Il requisito della minore età deve essere riferito al momento della presentazione dell'istanza da parte del genitore e non al momento della conclusione della procedura. Si considera legalmente residente chi risieda nel territorio dello Stato avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalla normativa dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri e quello sull'iscrizione anagrafica. Come termine iniziale del periodo di residenza legale si considera la data di rilascio del primo permesso di soggiorno, se ad essa ha fatto seguito l'iscrizione anagrafica. Inoltre, eventuali periodi di cancellazione anagrafica non pregiudicano la residenza legale se ad essi ha fatto seguito la reiscrizione nei registri anagrafici e se l'interessato dimostra di aver continuato a risiedere sul territorio nazionale. Si considera che abbia soggiornato e risieduto in Italia senza interruzioni chi Pag. 37abbia trascorso all'estero un tempo mediamente non superiore a novanta giorni per anno, calcolato sul totale degli anni considerati.
      Inoltre, ai fini dell'acquisto della cittadinanza per nascita da uno straniero in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo UE, si considera in possesso del predetto permesso anche lo straniero che, avendo maturato i relativi requisiti, abbia presentato l'istanza prima della nascita del figlio e ottenga il rilascio del permesso successivamente alla nascita.
      È previsto l'obbligo per gli ufficiali di anagrafe di comunicare, nei sei mesi precedenti il compimento della maggiore età, ai residenti di cittadinanza straniera la facoltà di acquisto del diritto di cittadinanza per ius soli temperato o ius culturae, con indicazione dei relativi presupposti e delle modalità di acquisto. In caso di inadempimento di tale obbligo, è sospeso il termine di decadenza per la dichiarazione di elezione della cittadinanza. La disposizione riprende quanto già previsto per l'acquisto della cittadinanza per ius soli, in base alla normativa vigente, dall'articolo 33, comma 2, del decreto-legge n.  69 del 2013, che viene conseguentemente abrogato. Si è voluta inserire la norma all'interno della legge n.  91 del 1992, in modo da tenere la materia accorpata in modo omogeneo all'interno di un unico testo.
      È, inoltre, attribuita ai comuni, in collaborazione con gli istituti scolastici, la promozione, in favore di tutti i minori, di iniziative di educazione alla conoscenza e alla consapevolezza dei diritti e dei doveri legati alla cittadinanza e di una giornata o di un evento dedicati all'ufficializzazione dei nuovi cittadini, senza oneri aggiuntivi per lo Stato.
      A livello procedimentale viene, inoltre, previsto che le istanze per la concessione della cittadinanza – la cosiddetta naturalizzazione – siano presentate al prefetto o all'autorità consolare (articolo 2, comma 1), legificando quanto già previsto da fonte regolamentare all'articolo 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n.  362 del 1994.
      Inoltre, i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile sono esclusi da quelli per il cui rilascio è necessaria l'esibizione, da parte dello straniero, del permesso di soggiorno.
      L'esecuzione delle disposizioni della legge è demandata ad un regolamento governativo, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa.
      Con un ulteriore regolamento governativo, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento di esecuzione, si provvede al riordino e all'accorpamento delle disposizioni regolamentari vigenti in materia di cittadinanza.
      Infine, è stata oggetto di discussione, nel corso dell'esame in sede referente, l'introduzione di una norma transitoria che disciplini la situazione di chi, pur essendo in possesso dei nuovi requisiti per l'acquisto della cittadinanza, abbia già compiuto vent'anni al momento dell'entrata in vigore della legge e si trovi pertanto impossibilitato ad esercitare il diritto di acquisto per la decorrenza dei termini di presentazione della relativa dichiarazione. Questo tema è stato oggetto di discussione ed era stato oggetto di presentazione di emendamenti e poi discussioni in fase finale del testo unificato; non è stato un tema risolto tant’è che il testo presentato per l'Aula non prevede una norma che espliciti la sua applicazione anche a favore degli ultraventenni che siano ancora residenti in Italia e che abbiano già maturato i requisiti che questo nuovo testo va a introdurre e, pertanto, rimane un tema aperto di discussione per l'Aula, così come altre questioni che erano state presentate e che sicuramente saranno oggetto di emendamenti in Aula e, quindi, potranno vedere, oltre che un'ulteriore discussione, anche una fase di ulteriore miglioramento del testo che è stato qui presentato.

      PRESIDENTE. Non vedo i relatori di minoranza, l'onorevole Invernizzi e l'onorevole La Russa. Quindi presumo che non intendano intervenire.Pag. 38
      Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

      DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Grazie, Presidente. Intervengo molto rapidamente solo per ringraziare la relatrice dell'esauriente illustrazione del testo unificato delle proposte di legge nonché per tutto il lavoro svolto in sede di Commissione per cercare di dare al testo in questione quell'equilibrio che consentisse poi di affrontare il dibattito in Aula nella maniera più serena possibile.
      A questo lavorio il Governo ha partecipato in minima parte, per carità, ma per una ragione fondamentale: è convinto che la legge del 1992 sia una legge ormai datata. Ci separano da essa moltissimi lustri, sono cambiate moltissime cose, anni luce ci separano dal momento di approvazione di quella disposizione.
      Il Governo è, altresì, convinto che l'introduzione dello ius soli nelle forme temperate già illustrato dalla relatrice così come l'introduzione dello ius culturae nel nostro ordinamento sia in realtà un passo in avanti che tiene conto di una mutata realtà demografica, sociale, culturale e attinente ai profili migratori che oggi sono sul tappeto. Rimangono alcune aporie: in particolare, quella più significativa l'ha già segnalata la stessa relatrice, vale a dire l'assenza di una disposizione transitoria, forse meglio sarebbe dire di una disposizione che stabilisca quanto può essere applicato il nuovo testo alle stesse situazioni che oggi disciplinano la legge e che si sono verificate prima della sua entrata in vigore. Sono convinto che i lavori d'Aula, così come hanno consentito di trovare il giusto equilibrio sui primi due fondamentali argomenti del testo, consentiranno altresì di trovare una soluzione equilibrata anche con riferimento alla disposizione cosiddetta transitoria.

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Beni. Ne ha facoltà.

      PAOLO BENI. Grazie, Presidente. Oggi discutiamo un provvedimento importante, destinato a lasciare un segno oltre che nell'ordinamento giuridico anche nella cultura e nel senso comune del Paese: prova ne sono le venticinque proposte di legge abbinate da cui è scaturito il testo oggi all'esame dell'Aula e prova ne è anche il fatto che una di esse sia, come veniva ricordato, la proposta di iniziativa popolare avanzata da decine di associazioni, enti locali e da 200 mila cittadini con la campagna L'Italia sono anch'io, a conferma del fatto – lo voglio dire subito – che nella società italiana è cresciuta la sensibilità su questo tema e che il Paese è pronto ai cambiamenti che ci accingiamo a introdurre.
      Tutti abbiamo chiaro che l'immigrazione è un fenomeno ormai strutturale, destinato a cambiare la società italiana. Sono circa 5 milioni gli stranieri residenti regolarmente e stabilmente in Italia, ormai una componente essenziale della nostra società. Sono l'8 per cento circa della popolazione italiana.
      È una presenza che negli ultimi anni si è consolidata con una forte tendenza ai ricongiungimenti familiari e alla stabilizzazione e che, in parte, compensa, in parte, lo ripeto, il nostro calo demografico. In Italia, oggi, almeno uno straniero è presente nel 7,4 per cento delle famiglie e nel 13 per cento dei matrimoni, per esempio. Nel 2014, 130 mila stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana, il 30 per cento in più rispetto al 2013; i nuovi nati da genitori stranieri sono stati 75 mila, circa il 15 per cento del totale; gli alunni stranieri nelle scuole dell'obbligo sono ottocentomila, il 9 per cento della popolazione scolastica, con punte anche del 40 per cento in alcune scuole, in alcuni quartieri particolari, e la metà di questi sono nati in Italia.
      Gli immigrati sono ormai, anche, una componente importante della nostra economia; due milioni e quattro di occupati che producono 123 miliardi di euro, l'8,8 per cento del PIL, oltre trecentomila sono titolari di impresa, 45 miliardi di euro di reddito dichiarato, 6,8 miliardi di euro di gettito Irpef, 10 miliardi di euro di INPS. C’è uno studio della Fondazione Moressa Pag. 39che ha stimato il rapporto fra gli introiti fiscali e previdenziali e i costi per lo Stato prodotti dagli stranieri e questo rapporto genera un saldo attivo di 3,9 miliardi di euro. Dati, questi, che fotografano una nuova realtà del Paese. Le nostre città stanno cambiando, vi convivono lingue, culture e religioni diverse; abbiamo bisogno di elaborare questi mutamenti, superare i pregiudizi, imparare a conoscerci e a riconoscerci come parte della stessa comunità sociale, trovare il senso di un nuovo patto di convivenza.
      Ora, il mondo della cultura, dei media, le formazioni sociali possono favorire questo processo, la politica e le istituzioni devono sostenerlo con adeguati strumenti legislativi. Cambiare le norme per l'accesso alla cittadinanza è un passaggio decisivo sul piano culturale, su quello degli effetti concreti che può produrre. Oggi, quella di tanti migranti è una appartenenza monca alla comunità sociale, relegati in una condizione di minorità, di esclusione; spesso non ce ne accorgiamo neppure, viviamo e lavoriamo ogni giorno accanto a persone che consideriamo a tutti gli effetti nostri concittadini, ma che, in realtà, non hanno gli stessi nostri diritti.
      La nozione di cittadinanza come pura iscrizione anagrafica, vincolata a un potere concessorio che enfatizza il valore simbolico dell'esclusione di chi ne è privo, stride con l'idea sempre più diffusa nel senso comune di cittadinanza come appartenenza a una collettività di persone. Sei cittadino non in base a dove e a da chi sei nato, ma perché in questo territorio vivi, lavori, costruisci affetti e relazioni, condividi diritti e doveri, ti fai parte attiva e consapevole di una comunità.
      E, allora, la legge è bene che si adegui a questa evoluzione del concetto di cittadinanza e il testo che oggi discutiamo è un passo avanti decisivo in tal senso; riguarda, come è stato detto, le nuove generazioni, quelle da cui dipenderà il futuro della nostra società. Ogni anno, l'ho già detto, decine di migliaia di bambini nascono da genitori immigrati, altri arrivano qui piccolissimi, frequentano le nostre scuole, imparano la nostra lingua, giocano con i nostri figli, fanno il tifo per le stesse squadre, crescono fra noi, ma restano stranieri. Come non capire che questa è una bomba a orologeria per la coesione sociale, per il futuro della coesione sociale nel nostro Paese ? Allora è bene che i bambini e le bambine che nascono da immigrati stabilmente residenti in Italia siano italiani; non solo, è bene che lo siano anche quelli che in Italia non sono nati, ma ci arrivano da piccoli, da piccolissimi e qui compiono il loro percorso di crescita e il loro percorso scolastico.
      Conciliare ius soli temperato, come veniva spiegato dalla relatrice, e ius culturae è la soluzione a cui è giunta la Commissione, dopo un lungo confronto. Io credo che questa sia una buona mediazione fra le diverse ipotesi previste dalle diverse proposte di legge sui requisiti necessari per accedere alla cittadinanza.
      Personalmente, lo voglio dire, ritengo che, laddove ci sia un reale percorso di integrazione della famiglia, si debba facilitare il più possibile l'accesso allargando la platea degli aventi diritto. Da questo punto di vista, valutiamo se il requisito del possesso della carta di soggiorno UE previsto dal testo non sia troppo penalizzante e se non sia forse preferibile sostituirlo con il principio della residenza legale protratta per cinque anni continuativi e consecutivi.
      È bene che il testo che stiamo esaminando lasci ai giovani la possibilità di avanzare direttamente la richiesta qualora non l'avessero fatto i genitori dopo il compimento dei 18 anni, così come è bene l'intento di agevolare il percorso di quelli che non rientrano nel requisiti dello ius culturae ma sono comunque arrivati in Italia da minorenni prevedendo che possano chiedere la concessione della cittadinanza con sei anni di residenza regolare e un titolo di studio.
      Penso anche che per favorire l'ampliamento della platea dei giovani coinvolti sia opportuna una norma transitoria, e in qualche modo veniva accennato dalla relatrice, che consenta l'accesso ai benefici della legge per un limitato lasso di tempo Pag. 40a chi, pur avendone maturato i requisiti prima della sua entrata in vigore, ne resterebbe oggi escluso perché non rientra più nei limiti di età previsti. Miglioramenti ancora possibili, in sostanza, a un testo già molto buono che rappresenta un grande passo avanti per il nostro ordinamento, che è frutto della mediazione tra punti di vista diversi, accomunati però – e questo è l'importante – dalla convinzione che il tema dell'immigrazione vada affrontato fuori da ogni approccio ideologico, con realismo, con responsabilità, guardando al futuro del Paese nell'ottica della coesione sociale, dei diritti e della dignità di tutte le sue componenti.
      Il Paese è pronto a questo cambiamento, ce lo dicono molti segnali, ce lo dice il segnale delle 200 mila firme a sostengo di questa legge, come prima dicevo. Questa non era una cosa da dare per scontata perché per tante persone colpite dalla crisi, preoccupate per il proprio futuro, poteva non essere facile impegnarsi anche solo con una firma per i diritti degli altri. Invece, lo hanno fatto, a riprova dell'orientamento favorevole della società italiana su questo tema, confermato del resto da tutti i sondaggi e le ricerche in materia.
      Penso che siamo già una società nuova in cui nativi e migranti hanno la medesima necessità di lavoro, di sicurezza, di vita sociale, di identità culturale e religiosa e penso che è ora che abbiano anche uguali diritti. È ora di capire che più diritti e sicurezza per alcuni significa anche più diritti e sicurezza per tutti, ed è ora di capire che non è in gioco la tutela di una minoranza, ma la tenuta e la qualità della nostra società e della nostra democrazia.

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Calabria. Ne ha facoltà.

      ANNAGRAZIA CALABRIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole relatrice, intervengo in Aula oggi in discussione generale su un provvedimento e su un tema, quello della cittadinanza, che avrebbe potuto e dovuto avere una storia diversa: una storia di condivisione e di lavoro comune tra le diverse forze politiche su una materia decisiva per gli equilibri sociali del nostro Paese; una storia sicuramente costruttiva, e propositiva, che però non ha trovato la volontà del partito di maggioranza, che ha preferito ancora una volta trincerarsi dietro la forza dei numeri e dell'ideologia, e percorrere da solo la strada delle riforme.
      Dobbiamo considerare che riforme così importanti, come quella sulla cittadinanza, riguardano le regole di convivenza civile della società presente e futura, e sarebbe stato quindi auspicabile ricercare la massima convergenza possibile sui punti chiave del testo: ma, come dicevo, e come spiegherò meglio nel corso del mio intervento, è stata scritta una storia diversa.
      Parlo di riforme «importanti», signor Presidente, a maggior ragione oggi, perché il tema dell'acquisizione della cittadinanza è strettamente legato al fenomeno migratorio, che rappresenta il tratto distintivo della nostra epoca. Un'epoca con nuove sfide, questo è bene sottolinearlo. In primo luogo, perché il mondo nuovo che stiamo vivendo necessita di strumenti di governo profondamente differenti rispetto al più recente passato, per molti aspetti del tutto innovativi. In secondo luogo, perché la consapevolezza di vivere in un'epoca molto diversa dal mondo in cui siamo nati, deve convincerci ad assumere responsabilmente strumenti e modelli interpretativi adeguati alla nuova realtà che abbiamo di fronte.
      In questo senso, lo Stato e la politica necessitano quindi di un approccio adeguato alle nuove sfide. Negli ultimi dieci anni il dato delle richieste di naturalizzazione ha subito una costante crescita, e dalle 30 mila richieste del 2006 siamo passati alle 101 mila del 2014. Nel primo semestre del 2015 sono arrivate 67 mila richieste e, come hanno rilevato i funzionari del Ministero dell'interno in audizione in Commissione, se questo è il trend, il totale per il 2015 sarà di 120 mila richieste di cittadinanza. L'incremento delle domande è riconducibile proprio alla trasformazione del fenomeno migratorio, dovuto alla sempre più marcata ricerca di stabilità nei Paesi di accoglienza da parte Pag. 41dei cittadini stranieri. Per far fronte alle richieste sono state adottate, nel recente passato, alcune misure amministrative dirette a razionalizzare e semplificare le procedure di acquisto e concessione della cittadinanza, grazie alle quali è stato possibile incrementare la produzione di provvedimenti che concedono o attribuiscono la cittadinanza. Ma il legislatore ha comunque avvertito la necessità e l'esigenza, in particolare negli ultimi anni, di rivedere, a prescindere dallo snellimento delle procedure amministrative, l'impianto stesso della legge n.  91 del 1992, che attualmente regola l'acquisizione della cittadinanza.
      La Camera dei deputati, oramai da diverse legislature, affronta il tema della riforma della legge sulla cittadinanza. Il provvedimento giunto oggi all'esame dell'Aula, però, è un testo molto diverso rispetto a quello esaminato nella scorsa legislatura, e ha un raggio d'azione del tutto differente, concentrandosi sull'estensione dei casi di acquisizione della cittadinanza per nascita e sull'agevolazione dell'accesso alla cittadinanza ai minori che hanno compiuto gli studi in Italia. Le novità principali del testo – come già sono state tra l'altro esemplificate –, come emendato nel corso dell'esame in Commissione, consistono quindi nella previsione di una nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza italiana per nascita (cosiddetto ius soli) e nell'introduzione di una nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza in seguito ad un percorso scolastico (cosiddetto ius culturae). Riguardo alla fattispecie dello ius soli, il gruppo di Forza Italia ha espresso in Commissione, in coerenza con l'atteggiamento assunto anche in passato sullo stesso tema, una posizione contraria. Questo perché, alla base delle nostre riflessioni, c’è un principio fondamentale da cui non possiamo prescindere: la cittadinanza non rappresenta, a nostro parere, un mezzo per una migliore integrazione; non è e non può essere uno strumento di integrazione, ma rappresenta la conclusione di un percorso di integrazione già avvenuta. Altri sono, invece, i percorsi da effettuare per facilitare l'integrazione degli stranieri nel nostro tessuto sociale, percorsi che dobbiamo facilitare, attivare, modificare e certamente migliorare, ma non con riforme di questo tipo. Il nostro approccio iniziale al tema e alle proposte di legge presentate è stato del tutto costruttivo, onorevole Fabbri, desideroso di sostenere con pari dignità e responsabilità la riforma di una legge considerata non più al passo con i tempi. Ho assunto quindi con grande consapevolezza l'incarico di correlatore del testo, ma purtroppo, nonostante l'impegno e lo spirito costruttivo con cui, a nome del mio movimento politico e nell'interesse degli italiani, ho lavorato al provvedimento, ho ritenuto impossibile condividere il testo base elaborato. Le mie perplessità rimangono tuttora solide e fortemente motivate. Per noi esistono valori non negoziabili, che sono il rispetto, la difesa e l'orgoglio dell'identità italiana, di quel retroterra sociale, storico e culturale comune che ci qualifica e distingue in quanto italiani. Esiste soprattutto la convinzione che la cittadinanza non è uno status che si ha il diritto di acquisire, ma il riconoscimento di un percorso, il punto di arrivo, una conquista rispetto ad una scelta voluta e non qualcosa di automaticamente conferito e, in ogni caso, l'attribuzione di uno status che non tutti gli stranieri vogliono ottenere. L'acquisizione della cittadinanza, quindi, come meta finale di un cammino da compiere, un cammino fatto di apprendimento, condivisione e reale integrazione, perché essere cittadini italiani significa anche interiorizzare una cultura, un universo valoriale e una storia di cui andare fieri. È questo che Forza Italia ha cercato di trasmettere, anche in vista della situazione drammatica che il nostro Paese sta vivendo sul fronte immigrazione e delle conseguenze che una cittadinanza «facile» può avere in termini di aumento della pressione migratoria. Il testo proposto, specialmente laddove introduce il cosiddetto ius soli, non rispetta alcuno di questi principi, e rivela l'esistenza di un solco profondo tra la sinistra e il centrodestra moderato, che mi onoro di rappresentare. Sin dall'adozione del testo base, questo Pag. 42non è stato un testo condiviso, come si era ipotizzato all'inizio, frutto del confronto tra le diverse sensibilità delle due relatrici, ma una forzatura ideologica che il centrodestra non ha potuto e non ha voluto accettare.
      Per tutti questi motivi, ho deciso di rimettere il mio ruolo di correlatore del provvedimento e di proseguire, dall'opposizione, il mio impegno sul testo, prima in Commissione ed ora in Aula.
      I nostri emendamenti in Commissione, oltre a rappresentare la totale contrarietà allo ius soli, che nella formulazione all'esame dell'Aula arriva con l'illusione di una forma temperata – l'illusione, onorevole Beni – dall'obbligo del possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo da parte del genitore richiedente, hanno provato a riscrivere lo ius culturae, nel modo, a nostro avviso, più corretto, stabilendo un principio che la relatrice e il Governo hanno accolto solo in piccola parte. Mi riferisco all'esigenza di legare lo ius culturae al completamento dei cicli scolastici. È infatti fondamentale, ai fini di un'integrazione culturale del minore straniero, portare a termine i cicli scolastici che si frequentano, con l'acquisizione non solo della conoscenza della lingua, ma anche di elementi storici e culturali in generale.
      La Commissione ha però recepito il solo obbligo di concludere positivamente il ciclo scolastico solo nel caso in cui la frequenza riguardi il corso di istruzione primaria: escludere la conclusione positiva del corso nel caso il ciclo scolastico interessato alla frequenza sia diverso da quello dell'istruzione primaria significa snaturare il significato proprio dello ius culturae e introdurre un ulteriore elemento a conferma della visione diversa delle forze di maggioranza, assolutamente lontane dal voler costruire un percorso di vera integrazione sociale, culturale e civile dello straniero.
      Ho già detto che quella della cittadinanza è una questione decisiva per gli equilibri sociali del nostro Paese. E, se è vero che non va trascurata la necessità di tutelare i diritti degli stessi migranti nelle società di approdo, senza limitarli alla sola sicurezza, ma estendendoli alla identità e alla integrità nazionale, attraverso politiche di accoglienza e integrazione, è altrettanto vero che il fenomeno migratorio ha implicazioni significative sul piano demografico, economico, politico, culturale e antropologico e richiede, quindi, interventi strutturali e mirati a garantirne anche la coesione e la coesistenza con i valori fondamentali del nostro Paese.
      L'Italia è una nazione che, rispetto ad altri partner europei, Francia e Regno Unito in testa, affronta la questione immigrazione da un tempo relativamente recente. Per questo, dopo aver superato una serie di emergenze (da ultima, quella degli sbarchi), deve porsi nelle condizioni di giocare la partita dell'integrazione puntando alla elaborazione di un proprio «modello», che faccia tesoro delle esperienze degli altri Paesi, ma che tenga conto della propria identità.
      E bisogna elaborare questo modello partendo dalla eliminazione di una serie di luoghi comuni e di ideologie che, al di là delle intenzioni, rischiano di pregiudicare un percorso serio.
      In questa ottica, non dobbiamo temere di riaffermare la nostra identità culturale. Il dovere dell'identità infatti è strettamente connesso a una politica seria dell'immigrazione e impone una effettiva unità attorno ai principi che connotano l'identità italiana, una solidarietà di testa e di cuore fra coloro che la perseguono, un metodo caratterizzato da senso di realtà.
      Gli approcci buonisti che la sinistra ha portato avanti finora, la politica dell'accoglienza ad oltranza, delle porte aperte sempre e comunque, dell'integrazione a buon mercato hanno fallito, perché non hanno retto alla prova della realtà. Perciò Forza Italia, movimento riformatore di centrodestra, non ha accettato e non accetterà alcuna forzatura ideologica. Abbiamo la storica responsabilità di non scaricare la questione sulle future generazioni e quindi di non favorire la formazione di un consistente numero di uomini e di donne culturalmente avulsi dal tessuto nazionale.Pag. 43
      Rimane l'auspicio di poter giungere a un testo che rechi quanto più possibile termini e percorsi certi, nel rispetto dei diritti e delle prerogative di ognuno, intervenendo con serietà e responsabilità su un tema che assume sempre maggiore rilievo nelle società integrate e globalizzate dei nostri giorni. Ecco perché, a mio parere, vi è la necessità – e lo chiedo a nome del mio gruppo alla relatrice, alla Commissione e all'intera Assemblea – di un'ulteriore riflessione su questa difficile materia.

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

      PAOLA BINETTI. Questo è uno straordinario pomeriggio per i minori. Stiamo cercando, anche con questa nuova proposta di legge, di schierarci dalla loro parte. Stiamo cercando di farci carico dei loro diritti, dei loro problemi, delle loro esigenze e cercando di capire in che modo possiamo venire loro incontro.
      Questa proposta di legge sulla cittadinanza ha scelto intenzionalmente di concentrarsi sui minori.
      Ha scelto di non guardare a tutto campo l'intera gamma dei problemi che riguardano appunto la cittadinanza degli immigrati ma di concentrarsi sulle nuove generazioni per cercare di costruire nel nostro Paese, potremmo dire, un futuro più sereno, secondo un principio anche di gradualità. Cominciamo dai più giovani e vediamo se, attraverso questo rapporto di inclusione costante, stabile e continuato con gli stessi, riusciamo davvero ad ottenere quell'integrazione che dovrebbe portarci a fare un salto di qualità dal punto di vista non solo della globalizzazione, come termine generico, o dell'internazionalizzazione formale dell'accoglienza dei profughi ma proprio dal punto di vista di uno scambio che generi energie nuove per affrontare questo nostro terzo millennio con una nuova visione del mondo e una nuova visione dei rapporti umani. Questo è un progetto di legge molto particolare perché nasce non solo da 24 diverse proposte di legge che sono state formulate da parti diverse del Parlamento, ma, come dire, il suo punto di riferimento, il suo schema strutturale è proprio una legge popolare, segno evidente e tangibile che qualcosa è cambiato in quella che potremmo chiamare la mentalità italiana. È cambiata una volta tanto in senso estremamente positivo e mi riferisco a quella cultura dell'accoglienza di cui sono molti gli echi che avvertiamo intorno a noi; di fatto, in questo momento, vediamo scorrere, di serata in serata, immagini sui nostri schermi televisivi, leggiamo sui giornali o ascoltiamo, dalle parole che ci vengono raccontate, tante storie e tante situazioni che hanno fatto dei flussi migratori in questo momento la più grossa battaglia di cultura e civiltà che il mondo occidentale si trova ad affrontare. Questa legge conferma, quindi, che il cambiamento del popolo italiano va verso la dimensione dell'accoglienza; l'abbiamo vissuto in situazioni drammatiche come può essere stata Lampedusa, l'abbiamo vissuto in altre condizioni come al confine con il nord-Italia; dovunque i confini dell'Italia possano essere stati confini permeabili, lì gli italiani si sono fatti riconoscere per un atteggiamento positivo. Non abbiamo teso nessun filo spinato, non abbiamo alzato nessun muro, abbiamo mandato le nostre barche fino lì, sulle rive dove loro potevano partire per poterli accogliere, perché la difesa della vita è un valore non soltanto teorico, è un valore molto concreto, molto preciso che noi abbiamo voluto assumere fin dal primo momento. La cultura del nostro tempo è molto sensibile a tutte le tematiche che risultano dalle immagini che abbiamo sotto gli occhi, le immagini pregnanti di questi ultimi giorni: da quella del piccolo Aylan, che ci ha toccato l'anima proprio perché è piccolo (ci sembra incredibile morire così, a questa età, avendo ancora tutta una vita davanti) a quella di un'altra bambina che gironzolava ai piedi dei soldati in gesto di sommossa, coraggiosa, gattonando con sicurezza, senza paura, come se nulla potesse accadere; un'immagine di speranza, un'immagine di paura ma sono immagini che ci vengono lasciate proprio da queste Pag. 44nuove generazioni che si aspettano da noi proposte e risposte positive. Veniamo quindi adesso a queste risposte positive che questa legge nel suo concreto cerca di dare. Io ho voluto sintetizzarle, perché a tutti noi è capitato in questi giorni di essere interpellati molte volte. Ho la fortuna di fare il parlamentare e si è interpellati da chi vuole provocare, da chi vuole semplicemente capire e da chi, nel più assoluto cinismo e indifferenza, non si rende nemmeno conto di quello che sta accadendo. La domanda era questa: ma che cosa state facendo voi in questo momento per questi minori ? Allora, è stato facile esemplificare le tre situazioni tipo. Il bambino che nasce in Italia da genitori che si trovano in tale contesto da tempo, un tempo considerevole, un tempo prolungato, cinque anni, un tempo continuato, un tempo che, in qualche modo, li ha fatti inserire nel contesto italiano. Qualcuno ha voluto obiettare che, avendo chiesto a questi genitori, fra i requisiti di inserimento in Italia, non solo la certificazione ma anche un lavoro stabile, quindi anche un reddito minimo, noi stessimo facendo una selezione per censo. Ebbene «no», non è nessuna selezione per censo, è semplicemente un'accoglienza equilibrata e razionale.
      Una selezione che, in qualche modo, dice ai genitori, una volta arrivati in Italia, quanto sia importante offrire garanzie durevoli ai propri figli; non quella precarietà assoluta che non può che esporre questo bambino a ben altri problemi, ma la garanzia di chi dice: «ho un lavoro». Sarà un lavoro da badante, un lavoro di collaborazione, magari portando dei pacchi in un grande magazzino, saranno lavori anche semplici, ma lavori che garantiscono un minimo di benessere. Questo – insisto – non è fare discriminazioni, ma è creare un piano inclinato e per dire che questa integrazione comincia con la casa, con il lavoro e con quelli che potremmo considerare i livelli essenziali di assistenza applicati al quotidiano, alla quotidianità.
      Questo è il primo diritto, una sorta di ius soli temperato, ma io direi soprattutto una sorta di ius soli mediato dal ruolo delle famiglie, dalla capacità da parte delle famiglie di garantire benessere ai propri figli, incominciando forse dai primi gradini, da quegli stessi che probabilmente abbiamo percorso noi italiani, mandando migranti negli Stati Uniti e facendo qualunque tipo di lavoro si presentasse, ma lavorando per questo, per assicurare sicurezza e serenità ai figli.
      Quindi è qualcosa di più. A me dispiace molto quando lo sento considerare un atteggiamento discriminante, ma non è vero, perché, come ha detto anche adesso recentemente il Papa all'ONU, quello che dobbiamo riconoscere è il diritto alla casa, il diritto al territorio, il diritto al lavoro. Queste tre piccole cose, che sono veramente i beni fondamentali, sono implicitamente contenuti in questa prima parte della legge che si rivolge ai bambini nati in Italia.
      C’è poi un secondo passaggio, che attiene a quei bambini che non sono nati in Italia, ma che sono arrivati in Italia piccoli; sono questi bambini che abbiamo visto correre a piedi, con queste immagini straordinarie, che devo dire la cultura delle immagini ci regala, questi bambini che si trascinavano valigie, questi bambini che addirittura spingevano carrozzelle, questi bambini qualche volta in braccio ai loro stessi genitori. A questi bambini noi cosa chiediamo ? Chiediamo di imparare l'italiano, di compiere un percorso di studi, perlomeno quello dell'obbligo, o comunque i cinque anni di formazione che può essere la scuola dell'obbligo o, se sono arrivati un po’ più grandi, i cinque anni di una scuola professionalizzante.
      Ma questo perché glielo chiediamo ? Perché riteniamo che, senza lavoro, non c’è integrazione, senza lavoro non c’è autonomia, senza lavoro non si può ottenere rispetto per ciò che si è e non ci si può nemmeno muover nella linea di un progetto. Questo è quello che noi chiamiamo lo «ius culturae», ius culturae che è fatto proprio dei fondamentali, scuola dell'obbligo, certificazione di un minimo di competenza professionale per poter affrontare il contesto in cui ci si muove, cose semplici. Io avevo presentato degli emendamenti Pag. 45che non so perché mi hanno bocciato, in cui chiedevo invece che venisse verificato, a proposito dello ius culturae, anche una conoscenza più solida della cultura e di tutto quello che attiene alla Costituzione italiana. Nella Costituzione italiana siamo abituati a far passare le cosiddette virtù repubblicane, che sono quelle virtù trasversali, che non hanno nulla di confessionale, anche se molto hanno a che vedere anche con la tradizione cristiana e cattolica del nostro Paese.
      Volevo che questi ragazzi conoscessero la Costituzione, volevo che in qualche modo qualcuno certificasse e ci garantisse che l'insieme delle norme e delle leggi che hanno fatto grande il Paese del diritto fossero anche a loro conoscenza.
      Di fatto, questo si è trasferito e si è trasformato in uno degli ultimi passaggi della legge, che non è in capo alle persone; non si chiede alle persone di conoscere le leggi, ma si chiede ai comuni di predisporre dei corsi che loro possano frequentare. Un po’ diversa la cosa, perché, mentre questa diventa una responsabilità istituzionale, io facevo appello a una responsabilità personale, la responsabilità di chi nei fatti dice: io voglio stare qui, voglio conoscere i criteri di questo Paese e voglio vivere questo insieme di cose. Perché questo è importante ? Questo è importante perché, accanto a questa dimensione dell'accoglienza e dell'inclusione, la paura che sempre serpeggia è quella della perdita della nostra identità.
      È la paura di essere in qualche modo invasi da questi Paesi, invasi da queste culture e spesso non solo da una lingua ma anche da una religione diversa dalla nostra e anche da quella che è una storia, anche da abitudini alimentari e stili di mangiare diversi.
      Non ci spaventa affatto che a scuola così come c’è la dieta mediterranea, che è dieta universale di conclamato benessere, riconosciuta da tutte le società scientifiche, come è stato ripetutamente messo in evidenza anche recentemente ad Expo, ci possano anche essere diete diverse: ci può essere la dieta che va più incontro a una cultura di tipo musulmano, incontro a una cultura di tipo ebraico, incontro a una cultura diversa. Non è questo, però, quello che ci interessa, ma è che anche attraverso queste culture vi sia davvero il rispetto per quelle che sono le sane abitudini italiane.
      Ça va sans dire che tra le abitudini che io credo che vadano difese maggiormente e che non possono mai essere assunte come abitudini di contraddizione e di provocazione ci sono quelle che considero, anche in questo campo, i fondamentali, ossia il crocifisso nelle aule, il presepio a Natale e le vacanze di Pasqua. Non sono mica solo le vacanze di Pasqua: sono un senso, un contenuto, una cultura, una tradizione che io credo che vada conservata e i popoli che arriveranno coglieranno le nostre radici, dovranno apprezzarle, le dovranno stimare.
      È in questo mixage importante che noi ci giochiamo veramente quello che è stato chiamato una volta «il meticciato culturale del nostro tempo» come sfida vera, non diretto a diluire le identità, non diretto ad appiattirle in un anonimato generico, in cui i valori sono semplicemente dati dal fatto che io, come dire, mi faccio gli affari miei e sono in qualche modo estraneo al tuo mondo, alle tue esigenze, ai tuoi problemi. Non è questo ! È nel dialogo costruttivo, è nell'incontro, è nel confronto, ed ecco perché secondo me lo ius culturae rappresenta una determinante fondamentale di questo provvedimento.
      Ma intendiamoci: lo ius culturae non è solo il diploma di V elementare o il diploma di III media o il diploma per potere fare l'orologiaio, l'intagliatore, il tecnico radiologo (per cui già ci vuole un corso di laurea) o comunque – non so – un altro livello tecnico. No ! Quando parliamo di ius culturae parliamo delle radici di un Paese. Mi piace ricordare, da romana, che tanti anni fa – e tanti anni fa vuol dire veramente tanti anni fa – fu proprio Cicerone, nella famosa invettiva contro Verre, a difendere la possibilità per chiunque – e in quel caso si era in Sicilia, quasi ai limiti dell'Impero – di dire «civis romanus sum». E noi vogliamo che questi ragazzi possano dire: «Civis italianus Pag. 46sum». L'Italicum non è solo una legge elettorale: è, piuttosto, una cultura, una tradizione, un'esperienza, un vissuto.
      Ma voglio ricordare anche che nel 212 dopo Cristo – e, quindi, stiamo parlando di tanti anni fa e stiamo parlando di un imperatore che a Roma è conosciuto soprattutto per le famose Terme di Caracalla, sebbene Caracalla non fece solo le terme – Caracalla istituì proprio il diritto del cittadino romano in tutto l'impero romano. Chiedeva una cosa: chiedeva che imparassero, in quel caso, la lingua, il latino, per potere dialogare e che conoscessero il diritto romano.
      In un certo senso lo ius culturae è questa conoscenza di una lingua vera che veicola cultura ed è la conoscenza di valori che hanno fatto grande questo Paese. Se Renzi adesso può andare in Europa e a voce alta rivendicare che all'Europa la linea sull'immigrazione l'ha dettata il nostro Paese e l'ha dettata proprio attraverso i suoi gesti concreti d'inclusione – e non erano di buonismo, perché accogliere la vita che è in mare non è buonismo, è bontà allo stato puro, è umanità, cultura e tradizione – lo può fare in virtù delle nostre radici.
      Quindi, io spero e mi auguro che da questa sintesi, tra lo ius soli e lo ius culturae maturi davvero nel nostro Paese una nuova fase di inclusione, di dialogo, ma anche di orgoglioso riconoscimento delle nostre radici.

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Costantino. Ne ha facoltà.

      CELESTE COSTANTINO. Grazie. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, l'Italia purtroppo è un Paese che in tema di diritti paga dei ritardi enormi, inaccettabili. Le classi dirigenti, che si sono succedute in questi anni, hanno preferito non affrontare alcune questioni, spesso perché controproducenti a fini elettorali, altre volte perché considerate non prioritarie.
      Infatti, sta andando così per le unioni civili e abbiamo rischiato che andasse così per la legge sulla cittadinanza. La parte più arretrata e strumentale della politica istituzionale sbraita, come purtroppo si è avuto modo di ascoltare in Commissione, dicendo che il Parlamento si dovrebbe occupare di ben altro, come, per esempio, del lavoro. Come se le due questioni fossero in contrapposizione, come se la vita contasse meno, come se esistesse solo il diritto a lavorare e non quello a vivere un'esistenza riconosciuta !
      La parte che, invece, oggi ha dato il via a questo provvedimento è quella classe dirigente che, evidentemente, ne sente il bisogno, che ne fa una questione di cultura politica, che pensa che non se ne possa più fare a meno e che non sia più il caso di rinviare un provvedimento necessario. Quindi, eccoci qua, a ragionare su un testo per noi necessario – lo voglio dire in maniera chiara, visto che abbiamo votato a favore, in Commissione, sul mandato al relatore – che sancisce un diritto fondamentale per tante ragazze e tanti ragazzi che italiani lo sono e che solo la burocrazia non ha definito tali.
      Guardando a loro, soggetti direttamente coinvolti, e ascoltando le associazioni e i movimenti che in questi anni li hanno accompagnati, primi tra tutti i promotori della campagna «L'Italia sono anch'io», abbiamo prodotto una proposta di legge che ricalcava le esigenze, le esperienze e le storie che abbiamo imparato a conoscere. Purtroppo, di quel testo pochi elementi sono stati accolti; alcuni non li abbiamo addirittura neanche potuti discutere, perché sono stati completamente espulsi dal testo base.
      La parte relativa, per esempio, alla riduzione dei tempi per l'ottenimento della cittadinanza da parte degli adulti che regolarmente risiedono qui in Italia e che, allo stato attuale, impiegano dieci anni per diventare italiani non è stata minimamente presa in considerazione. I motivi si intuiscono facilmente: in questo provvedimento, come in altri, la presenza del Nuovo Centrodestra riprende fiato. Poche cose le sono rimaste per differenziarsi dal Partito Democratico e non scomparire in maniera definitiva. L'arretratezza che si Pag. 47può mettere in campo in tema di diritti è occasione troppo ghiotta per farsela scappare.
      Il Partito Democratico, che con il Nuovo Centrodestra ci governa, ha cercato di mantenere la pace all'interno della propria maggioranza, provando a salvare capra e cavoli, ma, ahinoi, arretrando su molti punti. Il primo cedimento culturale è stato quello di decidere di occuparsi solo di minori, il secondo è stato lo ius soli temperato, il terzo uno ius soli culturae, che pone differenze fra minori; il quarto cedimento speriamo di non doverlo scoprire qui, in Aula, quando ci ritroveremo ad affrontare le norme transitorie, e quindi la retroattività di questo provvedimento.
      Qual è stato, in assoluto, l'errore più grave ? Avere acconsentito che un bambino nato in Italia possa ottenere la cittadinanza solo se almeno uno dei genitori possiede la carta di soggiorno UE di lungo periodo. Lo ricordava anche l'onorevole Beni, prima: il testo base, su cui noi, nonostante le perplessità già enunciate, ci siamo espressi con un voto favorevole, richiedeva solo che uno dei genitori avesse vissuto legalmente in Italia per cinque anni consecutivi, perché non dobbiamo mai dimenticare chi è il soggetto di questa legge, cioè i bambini, non i loro genitori.
      Lo ius soli, che sia puro o temperato, parla della semplificazione per i minori nati in Italia. Legare la loro condizione a quella dei loro genitori in maniera così restrittiva significa svuotare in parte il segno e il senso di questo provvedimento. La richiesta di standard reddituali e abitativi taglia di netto una fetta di queste generazioni. Noi, Parlamento, politica, abbiamo perso ancora una volta l'occasione di sancire un principio in maniera piena, completa. Sinistra Ecologia Libertà aspetta da troppo tempo di dare risposta a quelle ragazze e a quei ragazzi che, a volte, parlano un dialetto migliore del nostro e conoscono la nostra cultura meglio di noi, perché a loro, che hanno la pelle scura o gli occhi a mandorla, è stato detto che dovevano fare di più affinché si determinasse un'integrazione formale più che sostanziale.
      Spendo veramente pochi minuti su questo provvedimento, perché era giusto concentrarsi più sugli aspetti negativi che a noi non stanno bene di questo provvedimento piuttosto che ritornare su quella che, invece, è stata la relazione che ci ha fornito l'onorevole Fabbri in maniera puntuale.
      Però, concludo, dicendo che aspettiamo fiduciosi l'Aula, per capire se ci saranno i margini per riprendere parte del testo, proprio per questi aspetti che ho citato. Sicuramente speriamo che non venga addirittura peggiorato, visto che abbiamo lasciato e messo da parte un punto importante di questo provvedimento che non era presente nel testo base, ma che, evidentemente, eravamo chiamati a dover affrontare, a dover discutere, a dover decidere. Va bene fare, lo voglio ricordare, però ogni tanto proviamo a fare bene. Non viviamo l'assillo di dire che bisogna fare le riforme, che è necessario mandare avanti questo Paese, che basta poter enunciare un passo in avanti e non tentare, invece, di fare in modo che quel passo in avanti si possa compiere in maniera piena, consapevole, tenendo conto dei percorsi che sono stati fatti in questi anni. Perché se è vero che l'Italia su questo terreno ha tanti anni da dover recuperare, facciamo in modo che questi anni vengano recuperati in maniera giusta e non mettendo una stelletta in più a quello che il Governo ci ha messo di fronte in questi due anni e mezzo di legislatura (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Fitzgerald Nissoli. Ne ha facoltà.

      FUCSIA FITZGERALD NISSOLI. Grazie, Presidente. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, oggi è un bel giorno, perché finalmente parliamo di cittadinanza in quest'Aula, un argomento spinoso, ma la cui riforma non può attendere. La cittadinanza è il simbolo Pag. 48dell'aspirazione all'uguaglianza tra le persone, è un tema che tocca profondamente l'animo umano, il sentirsi parte di una comunità. Quella che stiamo esaminando, quindi, è una riforma doverosa per quei minori stranieri che hanno provato il senso di appartenenza a questa comunità, ma allo stesso tempo è una sconfitta per altri che non sono stati presi in considerazione, cioè quegli italiani che recatisi all'estero hanno perso la cittadinanza, ma che conservano nel cuore, e nel modo di essere, l'italianità. La loro è un'identità italiana piena, viva, che chiede di essere riconosciuta anche sul piano giuridico. L'Italia è un Paese che ha vissuto, nella sua storia, forti fenomeni emigratori, fino agli anni Novanta. Quindi, abbiamo tutti registrato il fatto che il nostro Paese, da Paese di emigrazione, è diventato un Paese di immigrazione, tanto che oggi possiamo contare un pari numero di cittadini italiani emigrati ed immigrati. Si tratta, quindi, di due facce della stessa medaglia nel contesto globale dei movimenti umani, al cui centro vi è la dimensione della cittadinanza come appartenenza; una cittadinanza che può essere plurale.
      Oggi abbiamo fatto un primo passo nell'affrontare le novità demografiche presenti nel nostro Paese, ma non possiamo parlare di una riforma completa. Questa riforma dovrà essere completata, inserendo anche gli italiani che hanno perduto la cittadinanza andando all'estero. In questo modo avremo la possibilità di legare insieme due realtà che possono fare grande l'Italia, quella dei nuovi italiani e quella degli italiani all'estero. Oggi mantenendo lo ius sanguinis, apriamo le porte ad uno ius soli temperato, prevedendo di concedere la cittadinanza a chi nasce in Italia da genitori legalmente soggiornanti da almeno cinque anni. Inoltre si introduce uno ius culturae, prevedendo la concessione della cittadinanza ai figli di genitori stranieri che sono entrati in Italia entro il compimento del dodicesima anno di età ed abbiano frequentato almeno cinque anni di scuola in Italia. È un provvedimento rivolto ai minori con il carattere dell'urgenza, perché i minori sono una priorità, ma questo non ci deve far dimenticare di lavorare alla definizione di un nuovo orizzonte di diritti per ridare a ciascuna persona l'orgoglio di sentirsi pienamente italiana. Si tratta di un percorso che non può prescindere da una consapevolezza civica di cui si deve far carico in primis la scuola, sin dai primi anni. Solo così riusciremo a dare corpo ad un nuovo ethos civile di cui l'Italia ha bisogno per le future generazioni.
      Quindi, colleghi, sottosegretario, lavoriamo con uno spirito lungimirante e non dimentichiamo quei tanti italiani all'estero che l'Italia l'hanno sempre amata davvero. Vi chiedo di tener conto di un'altra Italia, delle attese di chi ha perduto la cittadinanza e che guarda con speranza a questo Governo e a questo Paese, che vuol essere innovativo e aperto al contributo degli italiani all'estero, come risorsa preziosa per il nostro sistema Paese. Non si tratta di uno sguardo al passato, ma di una proiezione verso il futuro.
      Infatti nella società contemporanea, caratterizzata da un aumento dei movimenti umani, spesso non si vive più nel Paese in cui si è nati, anche se si sente profondamente il legame con esso. La globalizzazione come processo è una realtà e contribuirà ad aumentare le richieste di cittadinanza plurime. È il caso degli di italiani che oggi si recano all'estero e di quelli che erano partiti dai luoghi natii anni or sono e che hanno perso la cittadinanza italiana, senza comunque affievolire l'amore per la madrepatria.
      La mia proposta di legge intendeva dare una risposta a queste persone. Non è stato possibile inserirlo in questo testo coordinato, ma chiedo che si debba prendere in questa sede un impegno serio, teso a permettere il riacquisto della cittadinanza a chi l'avesse perduta recandosi all'estero. Voglio ringraziare tutti i 317 colleghi che avevano sottoscritto quella proposta e che così hanno mostrato un'enorme sensibilità e chiedo ora di essere conseguenti, come ci chiedono le tante voci di italiani cui la legge non riconosce cittadinanza.Pag. 49
      Voglio essere la voce di quelle testimonianze e, pertanto, vi leggerò alcune di esse.
      Dal Canada: «Quando ho saputo di aver perso la mia cittadinanza italiana, è stato per me uno schiaffo in faccia, avendo lavorato ed avendo fatto il servizio militare. Non mi sarei mai aspettato che un italiano potesse perdere la sua cittadinanza e senza nessuna avvertenza».
      Un'altra testimonianza da New York, Brooklyn: «Noi italiani all'estero nati in Italia siamo italiani e non ci dovrebbe essere nessuna discussione sulla nostra cittadinanza. Noi siamo diventati cittadini del Paese ospitante per inserimento e per i diritti. Uno nato in Italia è cittadino per sempre, deve solo manifestare la sua cittadinanza presentandosi ai consolati all'estero e, riempiendo il modulo, avere nuovo il nuovo passaporto italiano».
      Da Westport, America: «Io sono nata a Roma il 26 giugno 1948. Ho sposato un americano e sono venuta in America nel 1969. Nel 1974 mia madre si è trovata sola e per poterla portare in America sono dovuta diventare cittadina americana e rinunciare alla cittadinanza italiana. Mio padre, Liomi, ha lavorato una vita per il Governo italiano. Io vorrei tanto poter ristabilire la mia cittadinanza italiana, visto che sono nata e cresciuta lì e tutta la mia famiglia è ancora lì. Grazie».
      Da Washington, DC: «Ho tre figli, due di loro ed io abbiamo riacquistato la cittadinanza, ma uno dei miei figli, nato mentre avevo perso la cittadinanza e non ancora l'avevo riacquistata, vorrebbe anche lui unirsi a noi tutti italiani. Si potrebbe riacquistarla trasferendosi in Italia, ma non si può lasciare famiglia e lavoro. Chiederemmo un metodo più semplice e giusto per riunire tutta la famiglia».
      Dal Messico: «Conosco italiani in Messico che, per esigenze lavorative, hanno dovuto rinunciare alla cittadinanza italiana in passato. Credo che italiani si è sempre e dovrebbe essere un diritto conservare il proprio passaporto».
      Dal Maryland: «C’è un'ingiustizia di fondo: perché hanno perso la cittadinanza quelli prima del 1992 ? È discriminante si sia fatta una legge del genere. Il professor Dulbecco, per questo motivo, non ha potuto prendere il Premio Nobel per la ricerca come italiano, ma come americano, perché lo Stato italiano non ha fatto niente per abolire la suddetta improponibile legge, verso coloro che pur essendo emigrati, sono un valore inestimabile per l'italianità nel mondo».
      Dalla California: «Conosco americani i cui nonni erano italiani e loro, per quello, hanno potuto prendersi la cittadinanza italiana. Non solo loro, ma anche i rispettivi sposi ed eventuali figli. Lo trovo assurdo. Mentre italiani, che hanno perduto la cittadinanza negli anni Novanta, non possono praticamente più riprendersela, a meno che non tornino a vivere in Italia per un anno».
      Dal Venezuela: «Sono figlia di italiani, nata a Salerno, e ci ho vissuto fino a dieci anni. Ho perso la cittadinanza italiana perché la ditta dove ero impiegata mi chiedeva la nazionalità venezuelana per continuare a lavorare. Vorrei riacquistare la mia cittadinanza perché io e tutta la mia famiglia siamo italiani di nascita e di cuore.
      Dall'Ohio: «Questo mi pare giusto e può anche aiutare l'economia, visto che tanti dei nostri prodotti made in Italy sono amati in tutto il mondo grazie a molti emigranti, che hanno portato e portano ancora con loro la nostra cultura nel mondo, creando in altri un desiderio per conoscere meglio l'Italia che trovano in loro».
      Da New York: «Per non dimenticare chi è stato costretto ad andar via dall'Italia per conquistare un futuro migliore».
      Dal Michigan: «Sono nato in Italia e venuto in USA quando avevo cinque anni. Ho perduto la cittadinanza italiana da bambino, quando i miei genitori hanno preso la cittadinanza USA. Adesso mi piace tornare in Italia spesso. Sono proprietario in Italia e voglio potere dire che sono anche cittadino. Non sono solo nato in Italia. Per piacere, fate tutto possibile perché questo diventi realtà.Pag. 50
      «Le leggi giuste non hanno colore politico. Io sono nata, cresciuta, andata a scuola in Italia e la mia patria è italiana».
      California: «Sono nata in Italia da genitori italiani. Parlo italiano. Ho studiato in Italia fino alla laurea. Tutta la mia famiglia è italiana e vive in Italia. Ho perso la mia cittadinanza italiana dopo che mi sono trasferita in USA e vorrei riacquistarla». «Non dovrebbe essere altrimenti una volta nato in Italia, fatto il militare in Italia si è sempre italiano».
      Brooklyn: «Sono nato, vissuto, educato, ho servito alla leva ed espatriato perché senza lavoro. Perché non posso più chiamare l'Italia la mia patria ?». «La cittadinanza italiana non può essere cancellata dalle vicende della vita che hanno condotto tanti italiani ad emigrare. Per i connazionali all'estero il riacquisto della cittadinanza italiana significa ratificare qualcosa che è già nel nostro DNA. Oggi, una volta ratificata la proposta di legge, il Parlamento e il popolo italiano restituiscono loro il dovuto onore».
      Messico: «Mi sono sposata con un messicano per poter lavorare. Ho chiesto la cittadinanza del Paese ospitante e quando ho riacquistato la cittadinanza ho potuto trasmetterla solo alla figlia minorenne. La figlia maggiorenne, secondo la legge del 1992, non ha diritto ed è la cosa più assurda. Entrambe sono figlie mie. Io sono nata in Italia, ho studiato in Italia. I miei genitori, i nonni, i bisnonni, i trisavoli e tutti gli avi italiani... Nonni e papà hanno combattuto nella prima e nella seconda guerra mondiale. Sono stati feriti e hanno lottato per una patria che ora viene negata e non mi spiego perché agli oriundi italiani giunti in Messico nel lontano 1880 sia concessa e a mia figlia nata nel 1973 no».
      Trumbull, Connecticut: «Nel 1976 io e la mia famiglia siamo emigrati negli Stati Uniti d'America. Nel 1986 circa presi la cittadinanza americana. Non avevo nessuna intenzione di perdere la cittadinanza del mio Paese di nascita. È un vero peccato aver perso la cittadinanza italiana. Vorrei riacquistarla». «Siete assurdi, date la cittadinanza a chiunque che ha un lontano nonno italiano e la togliete a chi è nato e vissuto in Italia e parla italiano». «Ho quattro figli: tre sono cittadini italiani e uno no». «Sono nato e laureato in Italia. Perché tante storie per riprendere una nazionalità perduta in un mondo globalizzato ?». «Sono nato in Italia e ho vissuto in Italia fino a vent'anni. Ho fatto tutte le scuole. Poi sono venuto in Venezuela per lavoro, mi hanno fatto soffrire e spendere tanto denaro perché sono dovuto rimanere quasi due anni in Italia per riacquistare la cittadinanza». «Ritengo che la cittadinanza sia un diritto che non si deve prendere per cavilli burocratici, spesso dovuti all'arretratezza e inadeguatezza delle leggi».
      «I miei genitori vorrebbero ripristinare la loro cittadinanza italiana e dare i loro diritti storici a due bambini che sono nati dopo essere diventati cittadini canadesi. Dei loro tre figli, solo uno era in grado di ottenere la cittadinanza italiana, siccome la madre era ancora italiana al momento della sua nascita. Non è giusto ed equo: agli altri due figli nati da lei è stato negato lo stesso diritto».
      Io, invece, quando mi sono sposata non ho rinunciato alla cittadinanza italiana per prendere quella americana. Però avrei potuto essere una di queste testimonianze che vi ho appena letto. Quindi, ritengo che non possiamo non dare risposte. È un debito di riconoscenza nei confronti di chi, italiano, nato in Italia, ha perduto la cittadinanza, continuando a conservare nel cuore l'amore per l'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi Per l'Italia - Centro Democratico e Partito Democratico).

      PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rondini. Ne ha facoltà.

      MARCO RONDINI. Grazie, Presidente. Noi riteniamo che il provvedimento che oggi arriva in Aula sia un'ennesima manifestazione della volontà con la quale perseguite un preciso obiettivo ideologico: l'annientamento della nostra identità.
      In combinato disposto con la politica dell'accoglienza indiscriminata, cercate di dare un nuovo colpo, un colpo forse Pag. 51mortale, a quell'omogeneità culturale ed anche etnica...

      PRESIDENTE. Scusi, onorevole Rondini. Collega, liberi i banchi del Governo.

      MARCO RONDINI. ...che noi riconosciamo come un valore, su cui si basa la pace sociale delle nostre comunità.
      La futura e allucinante società che voi immaginate prevede l'annientamento di ciò che siamo stati fino ad ora e l'agevolazione per legge della società multiculturale. Utilizzate ad arte le immagini dei bambini per assicurarvi un'altra vittoria contro chi si ostina a credere, come noi, che la nostra identità non può essere sacrificata sull'altare di un'utopica società multiculturale. Cercate di addormentare e di disarmare l'opinione pubblica con l'immagine del bambino al quale oggi sarebbero, secondo voi, negati dei diritti, in quanto non cittadino italiano.
      Andate sostenendo – lo sostiene questo Governo e chi promuove questa iniziativa – che i bambini cresciuti in Italia, che frequentano la scuola, si sentono diversi perché non hanno la cittadinanza italiana. Che vi sia dietro questa immagine e alle stesse che utilizzate per fare accettare come qualcosa di ineluttabile l'invasione e il popolamento che agevolate con le vostre politiche sull'immigrazione, ebbene che dietro questa maschera si nasconda un obiettivo ideologico ce lo ha detto in Commissione anche chi ha contribuito al parto del testo che oggi arriva in Aula. Questo provvedimento mira a fare accettare l'idea che l'uomo sia un nulla, una tabula rasa, sulla quale è il suolo sul quale si trova casualmente a nascere ad assegnare nome ed identità.
      Per questo Governo e per chi si è fatto e si fa promotore di questo assurdo provvedimento la storia e la cultura sono qualcosa di ingombrante che deve essere cancellato e superato.
      Volete poi farci credere che la cittadinanza ai minori sarà garanzia di integrazione. Lo fate negando la realtà che ci circonda in Italia e in tutto l'Occidente. Basti pensare ai figli di chi è musulmano o alla comunità cinese: presso quelle comunità chiuse vivono leggi e norme che poco o nulla hanno a che fare con le regole che appartengono alla nostra società. Ora i figli di una coppia di fede islamica a cui è regalata la cittadinanza, frequentando la propria comunità e i propri centri culturali e religiosi, impareranno che vi sono principi ai quali far riferimento totalmente antitetici rispetto a quelli su cui si basano le società democratiche occidentali. Ora come si possa pensare che la cittadinanza sia sufficiente a garantire al figlio di quelle comunità l'integrazione non ce lo dite.
      All'ombra del relativismo imperante e di un malinteso senso della tolleranza verso le culture altre, sono cresciuti centri culturali e religiosi islamici che dettano i tempi di chi appartiene a quella comunità, ma per voi, a dispetto della realtà, esiste un obiettivo ideologico al quale sacrificate la pace sociale, che – torno a dire – ha nell'omogeneità culturale un fattore che la determina.
      A nulla serve ricordarvi che gli esperimenti altrove adottati di multiculturalismo hanno solo creato tensioni e instabilità: così in Inghilterra, in Francia, in Olanda, negli Stati Uniti. Il tentativo di ridurre differenze irriducibili ad un denominatore comune, una tavola dei valori condivisa, è fallito. Differenze incolmabili emergono, con buona pace dei frequentatori dei salotti dai quali si dispensano magari lezioni di politicamente corretto, differenze incolmabili che producono disordini a sfondo etnico e religioso, che arrivano ad armare la mano anche ai terroristi.
      Ecco, allora, che noi crediamo che, invece di allargare le maglie della legislazione in materia di cittadinanza, questa andrebbe garantita solo a coloro i quali abbiano compiuto un percorso, ma questo presuppone che vengano bonificate quelle situazioni di extraterritorialità cresciute all'ombra di una tolleranza miope.
      La cittadinanza – torno a dire – non rappresenta un mezzo migliore per garantire l'integrazione, ma deve essere la conclusione di un percorso: un diritto che Pag. 52viene garantito dopo la maturazione della consapevolezza e della condivisione dei valori fondanti della comunità della quale l'immigrato chiede di poter far parte.
      Sul tema della cittadinanza sarebbe opportuno, secondo noi, magari introdurre, mediante modifiche alla legislazione vigente, un percorso virtuoso per l'integrazione degli stranieri presenti regolarmente nel nostro Paese, introducendo anche l'obbligatorietà di un test di naturalizzazione propedeutico all'acquisto della cittadinanza; in più riteniamo che sarebbe opportuno introdurre una disciplina per la revoca della cittadinanza, quando ricorrano determinate condizioni, ad esempio, per gli stranieri che si sono macchiati di gravi crimini.
      Nella liberale Svizzera, l'articolo 48 della legge sulla cittadinanza prevede che l'ufficio federale possa revocare la cittadinanza, se la condotta del neocittadino è di grave pregiudizio agli interessi e alla buona reputazione dello Stato elvetico. Questo naturalmente accade in Svizzera, non nel Belpaese, non nel Paese dove i più strani personaggi possono parlare e prefigurare un futuro mirabile e incredibile, come quello di una società multiculturale che, in realtà, sarà un incubo per le future generazioni.
      Riteniamo che, avendo a cuore il destino della nostra Repubblica e la sicurezza dei suoi cittadini, dobbiamo mettere al centro del patto di cittadinanza i doveri e, in primo luogo, il dovere di lealtà verso chi ha accolto generosamente i nuovi venuti, come anche il dovere di rispetto nei confronti dei più importanti beni tutelati dal diritto penale.
      Questi sono alcuni dei suggerimenti che avremmo potuto dare per riscrivere la legislazione in materia di cittadinanza e non, sicuramente, quel brutto provvedimento che voi avete portato in Aula; brutto provvedimento con il quale – torno a dire –, di fatto, disarticolerete i nessi che oggi tengono unita la nostra comunità e che si basano, fondamentalmente, su una comune cultura e una comune religione, spesso, troppo spesso, sacrificata in nome di un multiculturalismo che è miope e che, invece, cerca di negare ciò che siamo stati fino ad ora.
      Mi chiedo come si faccia – come ho sentito dire da parte di alcuni colleghi – a credere che si possano conservare la nostra identità, i nostri valori, il crocifisso nelle aule scolastiche piuttosto che la celebrazione del Natale e la preparazione del presepe nelle scuole, confrontandoci con culture che sono, invece, portatrici di valori completamenti antitetici ai nostri e che non riconoscono assolutamente una parità nei confronti della nostra cultura; non riconoscono la nostra cultura e il diritto della stessa a poter proseguire ad esistere, perché – torno a dire – voi oggi regalate la cittadinanza a minorenni che, però, si trovano in contesti dove viene loro insegnato che i valori sui quali si fondano le nostre società sono valori da superare, valori nei quali, sicuramente, non riconoscersi.
      Voi vi apprestate a regalare la cittadinanza, voi volete far credere all'opinione pubblica che la cittadinanza sia una mera formalità, voi ipotecate la pace sociale delle nostra comunità sull'altare di un'utopia, voi negate il diritto delle future generazioni a vivere in un contesto come quello che abbiamo ereditato dalle generazioni che ci hanno preceduto. Chi governa ha il dovere di tutelare la comunità che amministra e non minarne la coesione sociale e, invece, anche con questo provvedimento, con questo brutto provvedimento, voi imponete per legge un futuro allucinante alle prossime generazioni.

      PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Dorina Bianchi. Ne ha facoltà.

      DORINA BIANCHI. Grazie, Presidente. La proposta di legge relativa alla materia della cittadinanza che giunge oggi al nostro esame assume un significato importante alla luce di quella che è la realtà del nostro Paese per quanto concerne l'ingresso di stranieri nel nostro territorio e, soprattutto, la possibilità di concedere loro la cittadinanza della Repubblica.
      È indubbio che, dal 1991 ad oggi, l'Italia sia divenuta sempre più meta di Pag. 53stranieri che arrivano nel nostro Paese con la speranza di trovare un lavoro e con la prospettiva di risiedervi in maniera stabile, con tutto ciò che questo implica in termini di conferimento di permessi di soggiorno e di cittadinanza per loro e per i loro figli. Un grande Paese deve essere in grado di accogliere questi stranieri che intendono lavorare seriamente e vivere in pace e in armonia con il resto della popolazione.
      L'Italia, anche in questi anni di grave crisi economica, ha costantemente dato prova di accoglienza e di ospitalità nei confronti di quanti, costretti a lasciare i propri Paesi per carenza di lavoro o per la costante minaccia di guerre e rivoluzioni, sono entrati nel Paese chiedendo di poter condurre una vita migliore per sé e per i propri cari.
      La grandezza di un Paese, però, non si valuta soltanto a fronte di una politica di accoglienza, ospitalità e rifugio, ma anche dalla sua capacità di perseguire e realizzare l'integrazione di queste persone, chiedendo loro non solo il rispetto delle leggi, ma anche una profonda conoscenza di quella che è la cultura, la lingua, le tradizioni, i valori e la storia. Soltanto operando in questo modo uno Stato può avere la consapevolezza di aver accolto soggetti che possano ambire a diventare cittadini alla pari di altri.
      Non parliamo più, quindi, di manodopera da importare al fine di sfruttarne solo le capacità lavorative, non ci riferiamo più a soggetti da inquadrare esclusivamente in un discorso di produttività o incremento del nostro prodotto interno lordo, parliamo, invece, della ben più difficile missione di integrare pienamente quanti hanno lasciato i loro Paesi di origine, dando loro e naturalmente ai loro figli la possibilità di divenire cittadini italiani.
      Il testo unificato oggi al nostro esame – lo dico con grande soddisfazione – rappresenta il frutto di un lavoro serio, che è stato svolto nella prima Commissione affari costituzionali, di confronto e di coesione delle numerose proposte di legge che inizialmente erano state presentate in materia di modifica alla legge sulla cittadinanza. Esso costituisce indubbiamente un passo avanti, soprattutto per quanto concerne la questione dei minori che abbiano svolto un regolare percorso di studio. In questo senso, vorrei ringraziare anche la relatrice, che ha avuto il compito non semplice, comunque, di ascoltare e poi di proporre a tutti noi un testo unificato sulla cittadinanza.
      Il passaggio dal principio dell'acquisizione della cittadinanza attraverso lo ius soli allo stato puro al principio dell'acquisizione dello status di cittadino per quello che potremmo definire lo ius culturae rappresenta indubbiamente una svolta nel rafforzamento delle politiche di piena integrazione che deve essere alla base del conferimento della cittadinanza. Infatti, quelli che tra i minori stranieri nati in Italia o che siano entrati nel nostro Paese entro il compimento del dodicesimo anno di età abbiano frequentato regolarmente nel territorio nazionale per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennali diventeranno cittadini italiani.
      È quanto mai evidente, quindi, come il conferimento della cittadinanza sia vincolato alla formazione teorica e pratica che il minore riceve attraverso la regolare frequentazione di uno o più cicli scolastici del nostro sistema nazionale di istruzione. È ovvio, dunque, come il conferimento della cittadinanza debba necessariamente passare attraverso una integrazione, prima di tutto culturale, del minore che lo porti a conoscere la lingua, la regole del nostro Paese e la cultura.
      Tuttavia, se vogliamo che il processo di integrazione sia davvero completo, esso deve riguardare anche i genitori dei minori stranieri nati in Italia. L'emendamento che noi abbiamo presentato al testo unificato, proprio allo scopo di garantire ai genitori stranieri del minore nato in Italia un maggior radicamento, identificabile in un buon livello di conoscenza della lingua italiana e nel requisito del reddito minimo, ha introdotto nel testo il permesso di soggiorno europeo di lungo periodo Pag. 54al posto della residenza di almeno cinque anni, come invece era stato inizialmente previsto.
      Vorrei dire a questo proposito che il permesso di soggiorno di lungo periodo rappresenta sicuramente una tutela maggiore anche per i soggetti più deboli. Non è vero che è un compromesso al ribasso, ma sicuramente è la tranquillità che noi tutti abbiamo che tutti i soggetti, soprattutto le donne, in questo caso, siano realmente libere di vivere nel nostro Paese e con le regole che ci sono nel nostro Paese. È importante, infatti, ai fini del conferimento della cittadinanza al minore straniero nato in Italia, che il genitore possa dimostrare di aver deciso di vivere stabilmente in Italia e di voler crescere i propri figli nel nostro Paese secondo le regole che ci sono nel nostro Paese e la conformità ai nostri principi e valori.
      Così come è stato importante e significativo portare a due anni il tempo di presentazione della domanda di cittadinanza per chi ha compiuto la maggiore età. Ci permette così di estendere questo diritto ai ventenni, costituendo un elemento di riflessione, anche in considerazione della questione della norma transitoria.
      Il concetto di cittadinanza riconosce la pienezza dei diritti civili e politici ai soggetti che ne beneficiano. Parliamo di un rapporto giuridico nonché fiduciario e di appartenenza, che viene a instaurarsi tra lo Stato e il cittadino. Tali requisiti, quindi, non possono prescindere né da un adeguato livello di conoscenza della lingua nel nostro Paese, né tantomeno dalla certezza che i soggetti che fanno istanza possano essere considerati come persone ormai ben radicate nel nostro territorio da ogni punto di vista.
      Per queste considerazioni, il testo che oggi abbiamo qui in quest'Aula e che approda al nostro esame risulta in grado di soddisfare questo tipo di esigenze, quelle di uno Stato capace di conciliare la politica dell'accoglienza e dell'ospitalità con il dovere di pretendere, da chi ne entra a far parte, il rispetto delle proprie leggi, dei propri valori e principi e la conoscenza della storia e della lingua. Un rapporto giuridico tra Stato e cittadino si costruisce soltanto in questa maniera.

      PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 9-A ed abbinate)

      PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice per la maggioranza ed il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.

(Annunzio di una questione pregiudiziale – A.C. 9-A ed abbinate).

      PRESIDENTE. Avverto che, a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento, è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Fedriga ed altri n.  1, che sarà esaminata e posta in votazione prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento.
      Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.

      PRESIDENTE. Comunico che la Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, la deputata Celeste Costantino.

Ordine del giorno della seduta di domani.

      PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

      Martedì 29 settembre 2015, alle 9,30:

      1. – Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni.Pag. 55
      (ore 11)

      2. – Seguito della discussione delle mozioni Occhiuto ed altri n. 1-00923, Franco Bordo ed altri n. 1-00987, Parentela ed altri n. 1-00990, Barbanti ed altri n. 1-00991, Dorina Bianchi ed altri n. 1-00993, Bruno Bossio ed altri n. 1-00999, Matarrese ed altri n. 1-01001 e Rampelli ed altri n. 1-01004 concernenti iniziative per la conclusione dei lavori dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria e il potenziamento del sistema dei trasporti della regione Calabria.

      3. – Esame e votazione della questione pregiudiziale riferita al disegno di legge:
          Conversione in legge del decreto-legge 20 settembre 2015, n.  146, recante misure urgenti per la fruizione del patrimonio storico e artistico della Nazione (C. 3315).

      4. – Seguito della discussione del disegno di legge:
          Legge annuale per il mercato e la concorrenza (C. 3012-A).
          e delle abbinate proposte di legge: CAUSI e BENAMATI; MARCO DI STEFANO ed altri; MORETTO ed altri; COLLETTI ed altri; VIGNALI; RUSSO ed altri; SIMONETTI ed altri (C. 2437-2469-2684-2708-2733-3025-3060).
      — Relatori: Fregolent (per la VI Commissione) e Martella (per la X Commissione), per la maggioranza; Allasia, di minoranza.

      5. – Seguito della discussione della proposta di legge:
          BRESCIA ed altri: Abolizione del finanziamento pubblico all'editoria (C. 1990-A).
      — Relatore: Rampi.

      6. – Seguito della discussione della proposta di legge:
          S. 1209 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: PUGLISI ed altri: Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n.  184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare (Approvata dal Senato) (C. 2957).
          e delle abbinate proposte di legge: PES ed altri; ELVIRA SAVINO; SANTERINI ed altri; MARZANO e MARTELLI (C. 350-910-2040-3019).
      — Relatore: Verini.

      7. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità presentata):
          D'INIZIATIVA POPOLARE; DI LELLO ed altri; VENDOLA ed altri; BRESSA; BRESSA; PES ed altri; ZAMPA; CAPARINI ed altri; BERSANI ed altri; VACCARO; MARAZZITI ed altri; FEDI ed altri; LA MARCA ed altri; CARUSO ed altri; GOZI; BUENO ed altri; CARUSO ed altri; PORTA ed altri; POLVERINI; SORIAL ed altri; MERLO e BORGHESE; CENTEMERO; BIANCONI; DORINA BIANCHI; FITZGERALD NISSOLI ed altri: Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n.  91, in materia di cittadinanza (C. 9-200-250-273-274-349-369-404-463-494-525-604-606-647-707-794-836-886-945-1204-1269-1443-2376-2495-2794-A).
      — Relatori: Fabbri, per la maggioranza; Invernizzi e La Russa, di minoranza.

      La seduta termina alle 18,35.