XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 4 novembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              con delibera n.  14/2014/G la Corte dei Corti ha invitato l'Agenzia delle entrate a svolgere una attività di audit «sul comportamento degli intermediari in potenziale conflitto di interesse, al fine di tutelare la libera scelta dei contribuenti»;
              al riguardo, secondo quanto riportato dal Ministero dell'economia e delle finanze, l'Agenzia delle entrate riferisce che la funzione di audit nell'arco del 2014 ha posto in essere un'azione sull'intero territorio nazionale mirata, in particolare, alla verifica della corretta gestione delle scelte per la destinazione del 5 e dell'8 per mille dell'IRPEF e focalizzata nei confronti di alcuni CAF;
          i criteri sulla base dei quali l'Agenzia delle entrate ha svolto l'azione di controllo e verifica hanno riguardato, sulla scorta di dati e informazioni a disposizione, la presenza di oggettivi fattori di rischio quali la presenza sui siti web dei CAF di inviti diretti a destinare il 5 per mille a determinati beneficiari; l'esistenza di eventuali «collegamenti tra il CAF e i potenziali beneficiari delle scelte (quali, ad esempio, quelli derivanti dall'essere espressione della medesima realtà associativa o eventuali rapporti tra i componenti degli organi sociali del CAF e i soggetti beneficiari)» e, infine, «eventuali segnalazioni relative a irregolarità nella gestione delle scelte in argomento»;
              l'Agenzia delle entrate ha comunicato che sulla base dei criteri di cui sopra sono stati selezionati alcuni CAF collegati ad associazioni per i quali sono stati previsti «specifici controlli in merito alle modalità di gestione delle scelte della destinazione del 5 per mille dell'IRPEF»;
              i centri di assistenza fiscale selezionati risultano essere stati i seguenti: Caf MCL collegata all'associazione MOVIMENTO CRISTIANO LAVORATORI; Caf ACAI, collegata alla ONLUS Associazione cristiana artigiani italiani; CAF SERVizi di BASE collegata alla ONLUS RETE ISIDE; CAF ANMIL collegata alla Onlus Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro; CAF ACLI collegata a Associazioni cristiane dei lavoratori italiani;
              i controlli eseguiti su 7.940 dichiarazioni relative agli anni d'imposta 2012 e 2013 hanno evidenziato diverse criticità con particolare riguardo: a ingerenze nel processo decisionale dell'utente del CAF che ne hanno limitato l'autonomia nella effettuazione della scelta in argomento; a comportamenti fraudolenti, posti in essere nell'ambito dell'attività di assistenza fiscale, volti a procurare un indebito vantaggio economico a un determinato beneficiario; oltre che nello svolgimento delle attività correlate al processo in esame, ivi compresa l'archiviazione delle schede;
              con direttiva prot. n.  85842 del 26 giugno 2014 la direzione audit dell'Agenzia delle entrate ha fornito alle direzioni regionali un piano di interventi di vigilanza in merito alle modalità di gestione, da parte dei CAF, delle scelte della destinazione del 5 e dell'8 per mille dell'IRPEF. Nel piano si è previsto, in particolare, lo svolgimento di 78 interventi riguardanti società di servizi, sedi legali e strutture periferiche di cinque centri di assistenza fiscale tra quelli considerati a rischio. Dei settantotto interventi previsti ne risultano svolti e conclusi, al mese di ottobre 2015, ben settantatré;
              nel corso dei controlli svolti sono emerse rilevanti irregolarità, riguardanti complessivamente 735 dichiarazioni pari al 9,2 per cento del campione esaminato. Le irregolarità registrate sono state le seguenti: a) difformità delle scelte relative alla destinazione del 5 per mille rispetto alla volontà del contribuente. Nello specifico, per questa tipologia di irregolarità, l'Agenzia delle entrate ha avuto modo di registrare che si è trattato di scelte non espresse ma comunque trasmesse ovvero di scelte espresse ma non correttamente trasmesse. La difformità inoltre è consistita nel trasmettere le scelte a favore delle realtà associazionistiche collegate al CAF presso cui il contribuente si è rivolto per l'assistenza fiscale; b) influenza e ingerenza nel processo decisionale del contribuente. In particolare si è rilevato che sui siti internet di circa il 20 per cento dei CAF erano presenti inviti a destinare la scelta del 5 per mille oppure link di collegamento ai siti di determinati beneficiari; inoltre presso i locali nei quali si svolgeva l'assistenza si è rilevata una presenza pressoché costante, nel 26 per cento dei casi, di manifesti pubblicitari o di volantini volti ad orientare le scelte dei contribuenti a favore di determinati beneficiari. Altresì nell'8,2 per cento degli interventi di vigilanza si è rilevato un'attività di indirizzo della scelta del contribuente da parte degli stessi operatori del CAF. Comportamento che pare non sia stato adottato esclusivamente su indicazione del CAF ma che a volte è risultato essere di iniziativa personale, addirittura volto a favorire beneficiari collegati a vario titolo agli operatori stessi; in fine, c) manca conservazione delle schede relative alle scelte e quindi impossibilità di svolgere la funzione di audit ai fini di cui alle citate delibera della Corte dei Conti e della direzione audit dell'Agenzia delle entrate;
              secondo quanto rilevato dall'Agenzia delle entrate e acquisito dal Ministero dell'economia e delle finanze «il collegamento, a vario titolo, tra CAF e soggetti beneficiari delle scelte in argomento, non è fenomeno infrequente»; inoltre, dagli interventi di vigilanza nel 2014 sarebbe emerso che «spesso CAF e beneficiari delle scelte in argomento sono espressione della medesima realtà associativa» e che gli stessi centri di assistenza fiscale sottoposti a controlli «non risulterebbero aver posto in essere adeguate misure di controllo interno sul processo di gestione delle scelte in argomento»;
              inoltre, è emerso che «il contribuente non è in grado di esercitare un effettivo controllo sulla corrispondenza delle opzioni esercitate nel mod. 730-1 con quelle successivamente trasmesse all'Agenzia»;
              per l'anno 2015 l'Agenzia delle entrate avrebbe pianificato lo svolgimento di ulteriori 153 interventi di controllo presso altrettante sedi sul territorio nazionale dimostrando come il trend e quei soggettivi fattori di rischio di cui in premessa rappresentino un'evidente problematica di respiro ben    più ampio e ben più importante di quanto si potesse immaginare con riferimento a sparuti casi di opportunismo o debolezza morale di alcuni operatori o centri di assistenza fiscale,

impegna il Governo

a individuare e a definire strumenti e procedure di prevenzione, oltre che di controllo e vigilanza, dei comportamenti irregolari e dei conflitti di interesse tra strutture di intermediazione fiscale e beneficiari, nonché ad assumere iniziative per rivedere la normativa di riferimento al fine di tutelare i diritti dei contribuenti e garantire la regolare funzionalità del sistema di contribuzione fiscale e una redistribuzione dei finanziamenti – provenienti dal cinque e dall'otto per mille – strettamente conforme alle scelte operate dai contribuenti.
(1-01053) «Dadone, Villarosa, Pesco, Alberti, Cozzolino».

Risoluzione in Commissione:


      La VII Commissione,
          premesso che:
              l'ISEE è lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate;
              l'Indicatore della situazione economica equivalente, di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  109 è stato novellato dall'articolo 23, comma 12-bis, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, che dispone l'abrogazione a far data dai 30 giorni dall'entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la determinazione dell'ISEE;
              con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n.  159, sono state revisionate le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE); questo provvedimento stabilisce che l'ISEE è proporzionale all'indicatore della situazione reddituale e all'indicatore della situazione patrimoniale (ISPE);
              con decreto interministeriale 7 novembre 2014 è stato approvato il modello tipo della dichiarazione sostitutiva unica a fini dell'ISEE, dell'attestazione, nonché delle relative istruzioni per la compilazione ai sensi dell'articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n.  159;
              l'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo del 29 marzo 2012, n.  68, prescrive che le condizioni economiche dello studente iscritto, o intenzionato ad iscriversi a corsi di istruzione superiore su tutto il territorio nazionale, sono individuate sulla base dell'Indicatore della situazione economica equivalente, di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  109, e successive modificazioni, anche tenuto conto della situazione economica del territorio in cui ha sede l'università. Tali condizioni economiche determinano l'accesso alle prestazioni per il diritto allo studio universitario (borse di studio, mensa, servizi di alloggio e altre forme di welfare per lo studente), l'esonero e/o il rimborso delle tasse universitarie, un eventuale importo graduato della tassa di iscrizione all'università;
              l'utilizzo dello strumento dell'ISEE per determinare la situazione economica delle famiglie è stata spesso criticato in quanto ritenuto inadeguato a rappresentare puntualmente la reale situazione economica delle famiglie;
              l'articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001 «Uniformità di trattamento sul diritto agli studi universitari, ai sensi dell'articolo 4 della legge 2 dicembre 1991, n.  390 afferma che “Le condizioni economiche dello studente sono individuate sulla base dell'Indicatore della situazione economica equivalente, di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  109, e successive modificazioni ed integrazioni. Ai sensi dell'articolo 3, comma 1, dello stesso decreto, sono previste come modalità integrative di selezione l'Indicatore della situazione economica all'estero, di cui al successivo comma 7, e l'Indicatore della situazione patrimoniale equivalente, di cui al successivo comma 8.»;
              ai sensi dell'articolo 5, comma 11, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001 «A partire dall'anno accademico 2002/03, i limiti massimi dell'Indicatore della situazione economica equivalente e dell'Indicatore della situazione patrimoniale equivalente sono aggiornati annualmente con decreto del Ministro emanato entro il 28 febbraio»; tale disposizione ha trovato attuazione quest'anno nel decreto ministeriale 14 luglio 2015, n.  486, «Aggiornamento indicatori Isee ed Ispe e importo minimo per Borse di Studio per l'anno accademico 2015/16» che ha aggiornato i due parametri con riferimento unicamente alla variazione dell'Indice generale ISTAT senza tenere conto del nuovo modello di calcolo fissando le soglie massime a 20998,37 per l'Isee e a 35434,78 per l'Ispe;
              in questi giorni molti studenti universitari italiani si stanno immatricolando o iscrivendo all'università e quindi possono presentare il proprio ISEE sia per accedere alle prestazioni sul diritto allo studio sia per richiedere la graduazione dell'importo di iscrizione all'università;
              come già anticipato dalle associazioni studentesche universitarie qualche mese fa, il nuovo ISEE avrebbe comportato una contrazione del numero di studenti che possono accedere alle borse di studio. Di fatto, la situazione venutasi a creare è ben più grave in quanto molti studenti sono stati scoraggiati a presentare la domanda di prestazioni sul diritto allo studio;
              i dati di confronto tra il numero di richiedenti accesso ai benefici nell'anno 2014/2015 e quelli del presente anno accademico 2015/16 evidenziano un forte calo delle richieste spiegabile solo con una forte variazione del valore degli indicatori di Isee e Ispe che ha indotto gli studenti a non presentare la domanda di borsa;
              lo studio dell'Irpet – Istituto regionale programmazione economica della Toscana – prevede un aumento medio dell'Ispe per gli studenti esclusi da borsa di studio che porta quasi al raddoppio di tale indicatore (da 24300 a 41250) ed evidenzia inoltre come valore patrimoniale calcolato della prima casa sia determinante nel provocare questo aumento con un peso di circa il 36 per cento;
              il conteggio della borsa di studio eventualmente ricevuta nel 2013 nel calcolo dell'Isee è un atto che, a giudizio dei firmatari del presente atto, di per sé è lesivo del diritto allo studio, in quanto considera reddito una somma che è invece necessaria allo studente per completare i suoi studi; nonostante sia previsto lo scorporo dell'importo della borsa di studio eventualmente percepita nel 2014 dall'ISEE ai fini della richiesta della stessa prestazione, si verificano storture relative al fatto che vengono conteggiate e scorporate somme relative ad anni accademici diversi;
              il conteggio della borsa di studio nel calcolo dei redditi mette in difficoltà le famiglie con più figli beneficiari perché la borsa di studio di un fratello provoca un incremento dell'indicatore Isee dell'altro, causando in alcuni casi la perdita del beneficio per entrambe;
              a giudizio dei firmatari del presente atto, come era già stato dichiarato, il Governo sta mettendo in campo diversi escamotage tecnici per ridurre le cosiddette «spese sociali», invece di adottare una politica che tenda ad estendere la platea degli aventi diritto perché privi di mezzi o comunque con situazioni reddituali insufficienti;
              a giudizio dei firmatari del presente atto, l'accesso ai corsi di studio dovrebbe essere garantito e incoraggiato attraverso una riduzione della tassa di iscrizione, l'incremento delle prestazioni sul diritto allo studio rafforzando i servizi abitativi e la mobilità degli studenti e incrementando sia gli importi che il numero di borse di studio;
              se i dati denunciati sui media dalle associazioni studentesche universitarie dovessero essere confermati ci si troverebbe di fronte ad una situazione che impedirebbe, di fatto, sia l'accesso che la conclusione dei percorsi di studio universitari;
              come dichiarato da un autorevole Ministro in questa legislatura a giugno 2013, in Italia, ottiene una borsa di studio solo il 7 per cento degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6 per cento della Francia (1,6 miliardi), il 30 per cento della Germania (2 miliardi) e il 18 per cento della Spagna (943 milioni),

impegna il Governo:

          ad attuare in tempi brevi quanto previsto dall'articolo 20 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n.  68, attivando l'Osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario ed in particolare creando un sistema informativo, correlato a quelli delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, per l'attuazione del diritto allo studio anche attraverso una banca dati dei beneficiari delle borse di studio;
          a procedere immediatamente all'analisi degli effetti combinati dei nuovi criteri di calcolo dell'indicatore della situazione economica equivalente e i criteri adottati dagli enti erogatori del diritto allo studio nei territori, anche coinvolgendo le regioni, il consiglio nazionale degli studenti universitari e le associazioni studentesche, con il fine di elaborare proposte per mantenere quantomeno invariata, rispetto all'anno precedente, la percentuale tra studenti idonei e richiedenti;
          ad assumere iniziative per garantire le prestazioni e i servizi previsti per il diritto allo studio universitario a quegli studenti che, rispetto all'anno precedente, posseggono una situazione reddituale e patrimoniale sostanzialmente invariata, ma che sono stati esclusi a causa dei nuovi criteri di calcolo dell'ISEE;
          ad assumere iniziative definitive volte escludere l'importo della borsa di studio dal conteggio dei redditi necessari alla determinazione dell'indicatore della situazione economica equivalente del nucleo familiare;
          ad assumere iniziative per considerare il conteggio del reddito dei fratelli e delle sorelle dei richiedenti dei servizi previsti per il diritto allo studio al 50 per cento;
          ad assumere iniziative per stabilire un'area di reddito entro cui lo studente non inattivo nel percorso universitario, con un indicatore della situazione economica equivalente al di sotto dei 23.000,00 euro, sia esente dal pagamento della contribuzione e dalla tassa di iscrizione (fascia no tax area);
          ad assumere iniziative normative per un incremento delle risorse destinate al diritto allo studio universitario con l'obiettivo di erogare gli strumenti e i servizi per il conseguimento del pieno successo formativo nei corsi di istruzione superiore ad una platea di studenti che sia almeno corrispondente ad un quarto degli iscritti, in modo da allinearsi agli standard della Germania e la Francia.
(7-00836) «Vacca, D'Uva, Sibilia, Simone Valente, Luigi Gallo, Brescia, Marzana, Di Benedetto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      DE ROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 23 settembre 2015, è stato approvato, dal consiglio regionale della Lombardia, l'accordo italo-svizzero circa la gestione transfrontaliera dei materiali inerti;
          tale accordo, firmato nel marzo 2015, mirerebbe, secondo i sottoscrittori, «ad instaurare e a sviluppare la collaborazione transfrontaliera nell'ambito della gestione e destino dei materiali inerti per l'edilizia dalla Lombardia verso il Ticino e del materiale di scavo non inquinato e dei rifiuti edili di origine minerale dal Ticino verso la Lombardia»;
          l'esecuzione di tale accordo che ha, ad avviso delle parti contraenti, la finalità di instaurare e sviluppare la collaborazione transfrontaliera nell'ambito della gestione dei materiali inerti, produrrebbe effetti paradossali;
          infatti, grazie ad un allentamento dei controlli di frontiera, le imprese del ticinese potranno ricevere agevolmente sabbia e ghiaia per materiale di costruzione, mentre i costruttori edili del Cantone potranno smaltire senza difficoltà i rifiuti speciali indesiderati grazie all'allentamento dei controlli sugli inerti in uscita diretti in Italia. Tali rifiuti speciali inerti, o presunti tali, sarebbero infatti utilizzati — secondo l'accordo — per riempire le cave dismesse esistenti;
          la Valle della Bevera, situata in provincia di Varese ove è presente la più grande risorsa idrica in grado di fornire acqua alla città di Varese e provincia risulterebbe oggetto di grave danno ambientale qualora fosse resa oggetto di ulteriori attività estrattive di cava;
          la popolazione ticinese, vedrebbe dunque protetto il proprio ambiente, il paesaggio e le falde acquifere a scapito della popolazione del Varesotto;
          nelle modalità dell'accordo, si ravvisa una palese contraddizione con il decreto 10 agosto 2012, n.  161 che nel nostro ordinamento disciplina a quali condizioni le terre e rocce da scavo siano da considerarsi sottoprodotti e non rifiuti, ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera qq) del decreto legislativo n.  152 del 2006;
          dunque, nel caso de quo, il materiale proveniente da demolizioni che dalla Svizzera farebbe ingresso sul territorio italiano sarebbe contrassegnato dalla qualifica di rifiuto e dunque ad esso sarebbe attribuito conseguentemente un codice CER che imporrebbe il conferimento di tale tipologia di rifiuto esclusivamente ad un recuperatore o ad un impianto di smaltimento, e certamente non utilizzato per «ri-ambientalizzare» dei siti di cava, come previsto dall'accordo;
          l'accordo citato, inoltre, sembra non rispetti il principio di reciproca utilità, ma costituisca un danno univoco per la regione Lombardia e le province di Varese e Como;
          la legge regionale 5 ottobre 2015, n.  29, pubblicata sul BURL n.  41, suppl. del 9 ottobre 2015 ha ratificato l'intesa di coordinamento transfrontaliero per la gestione dei materiali inerti fra la regione Lombardia e il Cantone Ticino;
          l'articolo 6, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n.  131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.  3) stabilisce sì che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, possono concludere intese con enti territoriali interni ad altro Stato ma ancora tale facoltà al perseguimento dello sviluppo economico, sociale e culturale di tali enti contraenti;
          nel caso in questione, ad avviso dell'interrogante, non risultano ricorrere tali presupposti in quanto tale intesa sembra perseguire una politica di smaltimento «semplificato» di determinate categorie di rifiuti speciali anche potenzialmente pericolosi, se contaminati da amianto, in grave pregiudizio della tutela ambientale di esclusiva competenza statale  –:
          se il Governo sia al corrente dell'accordo citato in premessa e se intenda adottare iniziative di competenza per tutelare i cittadini del territorio, segnatamente evitando l'ingresso di materiale vietato quale il cemento amianto proveniente da altri Paesi;
          se il Governo, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, intenda sollevare la questione di legittimità costituzionale relativamente alla legge regionale n.  29 del 5 ottobre 2015 pubblicata sul Burl n.  41 del 9 ottobre 2015. (5-06866)


      MOGNATO, VENITTELLI, ZOGGIA, MARTELLA, MURER, MORETTO, CRIVELLARI, DE MENECH, CASELLATO, RUBINATO, NACCARATO, CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO, ROSTELLATO, ZAN, ZARDINI, D'ARIENZO, GINATO, ROTTA, DAL MORO, SBROLLINI e CRIMÌ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1979 e il decreto ministeriale 5 agosto 1994 avevano esteso — per gli anni dal 1995 ad 1997 — alle imprese artigiane e industriali manifatturiere e dei servizi, alberghiere, delle costruzioni e della pesca localizzate entro il perimetro lagunare (Venezia, isole della laguna e centro storico di Chioggia) il campo di applicazione del regime di sgravi contributivi di cui erano già beneficiarie quelle del Mezzogiorno (Sicilia, Calabria, Sardegna, Basilicata, Puglia, Molise e Abruzzi);
          la Commissione europea aveva successivamente aperto una procedura d'infrazione contro lo Stato italiano per non aver notificato la misura d'aiuto ed aveva condannato lo Stato Italiano (decisione n.  2000/394/CE del 25 novembre 1999) a procedere al recupero degli importi concessi alle imprese, in quanto quelle misure non erano state notificate ed erano state comunque giudicate incompatibili con il mercato comune avendo introdotto delle provvidenze assimilabili ad aiuti di Stato e, come tali, astrattamente idonee a falsare la libera concorrenza e ad incidere sugli scambi intracomunitari;
          ne era seguito un contenzioso a diversi livelli che ha visto il suo epilogo nel 2012 ad opera dello Stato italiano intervenuto con la legge di stabilità n.  228 del 2012 che aveva sancito l'inefficacia di tutte le sentenze nel frattempo pronunciate a favore delle imprese e disposto una nuova e specifica attività istruttoria mirata a verificare presso i soggetti beneficiari la concreta idoneità delle agevolazioni contributive a falsare la libera concorrenza e gli scambi comunitari;
          al termine dell'istruttoria ed a seguito di pronuncia del Consiglio di Stato che aveva avvalorato l'operato istruttorio ancorché non svolto «caso per caso», l'Inps aveva ingiunto alle imprese il pagamento della quota capitale riservandosi di richiedere gli interessi dopo una pronuncia della Corte di giustizia del Lussemburgo in un procedimento che risultava pregiudiziale all'applicazione del criterio di calcolo;
          nelle more, con sentenza del 17 settembre 2015 (Commissione c. Italia, C-367/14), la Corte di giustizia aveva condannato l'Italia al pagamento di penalità semestrale di 12 milioni di euro e ad una somma forfettaria di 30 milioni di euro quale sanzione per non aver adottato le misure necessarie a dare esecuzione della sentenza del 6 ottobre 2011 (Commissione c. Italia, C-302/09), concernente il mancato recupero degli aiuti concessi alle imprese nei territori di Venezia e Chioggia recanti sgravi dagli oneri sociali;
          le oltre 160 imprese ancora interessate avevano iniziato a restituire la quota capitale che ammontava complessivamente a circa 30 milioni di euro, ma — a seguito di ciò — alcune di esse avevano cessato l'attività o acceduto a procedure concorsuali;
          la prossima richiesta della quota interessi calcolata secondo il criterio dell'interesse composto (ancorché la procedura di recupero fosse iniziata nel 2002 quando vigeva il criterio di calcolo dell'interesse semplice a tassi che la Commissione aggiornava periodicamente anche tenendo conto dell'effettivo costo del denaro che di volta in volta mutava), genererebbe un ulteriore danno alle attività già provate dalla restituzione della quota capitale, al punto che molte sarebbero costrette alla chiusura;
          la stessa richiesta di un aggio per Equitalia dell'8 per cento quando all'atto della prima richiesta esso era del 4 per cento costituirebbe un ulteriore aggravio;
          le imprese risultano incolpevoli rispetto al danno subito in quanto sono state costrette a restituire in una sola volta quanto era stato ad esse corrisposto nell'arco di un triennio e per reali motivi in quanto il sostegno parziale e temporaneo andava a compensare i maggiori costi di lavorare in un ambiente disagiato rispetto a quelle di terraferma e quindi con l'intento politico di contrastare l'esodo e la monocultura turistica;
          la chiusura di molte imprese — oltre a rendere incerto l'esito del recupero — genererebbe un effetto domino lungo tutta la filiera della fornitura dei beni e servizi creando un danno anche occupazionale, di gran lunga maggiore di quello diretto, e procurando oneri aggiuntivi ai bilanci dell'Istituto di previdenza per i dovuti sostegni di mobilità o di integrazione salariale;
          consentire la restituzione della quota interessi calcolata secondo il criterio dell'interesse semplice al saggio di volta in volta fissato nel periodo interessato ed il pagamento di un aggio ridotto e con modalità compatibili con la sopravvivenza delle attività coglierebbe l'obiettivo di sanare le conseguenze della condanna dello Stato italiano evitando oneri aggiuntivi collegati al decadimento della situazione occupazionale di quel territorio e non incidendo negativamente su di un tessuto economico già fragile;
          per le cooperative della pesca operanti ai sensi della legge n.  250 del 1958 (i cui soci assumono la qualifica di imprenditore ittico), l'impresa cooperativa assolve, tramite versamento cumulativo, l'obbligo contributivo in nome e per conto dei propri associati che risultano solo assicurati ai fini previdenziali ai sensi della legge n.  250 del 1958. Conseguentemente, l'aiuto di Stato è in capo non alla cooperativa ma al singolo imprenditore-pescatore che, in diversi casi, ricadrebbe in regime di «de minimis»;
          rimuovere le condizioni ostative sulla base della giurisprudenza Deggendorf, permetterebbe allo Stato italiano di riconsiderare il sistema di sostegno all'economia lagunare nel rispetto delle normative comunitarie  –:
          se il Governo sia al corrente dei fatti sopra esposti e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per evitare le conseguenze paventate. (5-06874)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          si sono registrati in Calabria fino a seicento millimetri di pioggia in 48 ore e venti che hanno raggiunto gli 80 chilometri orari;
          si tratta di alcuni dei dati registrati, negli ultimi giorni, dal centro funzionale multirischi dell'Arpacal, l'agenzia regionale per l'ambiente della Calabria, relativamente agli eventi meteorologici che hanno messo in ginocchio, per l'ennesima volta, un territorio vulnerabile e ad altissimo rischio idrogeologico come quello calabrese. In pratica una quantità d'acqua che di solito precipita durante l'intero periodo autunnale;
          è ancora presto per poter quantificare i danni poiché diverse località non sono ancora raggiungibili, ma le immagini che arrivano in rete sono significative e rappresentano una situazione drammatica. Gran parte del territorio della provincia di Reggio Calabria e di Catanzaro e tutt'ora sott'acqua;
          un'economia già fragile e precaria, incentrata soprattutto sulla produzione agroalimentare (olive, arance, limoni, clementini, mandarini e bergamotto) è andata distrutta;
          le infrastrutture come acquedotti, strade, ponti e ferrovie hanno subito ingenti danni. Diversi sono i movimenti franosi, già ampiamente conosciuti e non ancora messi in sicurezza, che hanno ripreso forza mettendo in grave pericolo abitazioni e insediamenti produttivi;
          il torrente Ferruzzano, nella locride, ha esondato spazzando via la strada statale 106 Jonica e la linea ferroviaria che collega Catanzaro a Reggio Calabria, un tratto di ferrovia è rimasta sospesa nel vuoto, le foto del disastro sono impressionanti. I treni in viaggio sono stati fermati nelle stazioni di Locri, Brancaleone e Roccella Jonica;
          a Taurianova nei pressi del torrente San Nicola è stato ritrovato il cadavere di Salvatore Comandè, l'uomo è stato trascinato dalle acque ingrossate del torrente per circa 250 metri dal luogo in cui si era fermata l'auto sulla quale viaggiava insieme alla figlia 17enne che è stata salvata da alcuni passanti. L'acqua che ha causato il disastro sulle strade di Taurianova, comune a forte rischio di dissesto idrogeologico, si incanala in una vecchia strada dismessa da anni che scende dalla montagna del comune di Cittanova, situata ai piedi dell'Aspromonte. In tanti oggi si chiedono se quest'ennesimo lutto poteva essere evitato, poiché per la raccolta delle acque piovane e per la messa in sicurezza del torrente San Nicola, nell'anno 2007 furono stanziati 900.000 euro. Tale progetto, denominato Fida-Lanzari, dal nome delle contrade dove doveva essere eseguito l'intervento, non risulta essere stato portato a compimento;
          gravi sono i danni causati alla condotta idrica comunale di Reggio Calabria provocati dalla piena di un torrente in località Pettogallico;
          le violente mareggiate sulla costa Jonica del Catanzarese e del Reggino hanno provocato ingenti danni a Siderno e Caulonia;
          lo stato di emergenza, dei territori colpiti dall'alluvione e dalle mareggiate del 31 ottobre e 1o-2 novembre 2015, è un dato di fatto e i tecnici della regione Calabria e della Protezione civile, nei prossimi giorni stileranno una prima lista con la relativa quantificazione economica dei danni, per poi avviare la procedura per la dichiarazione, da parte del Consiglio dei ministri, dello stato di calamità naturale  –:
          quali iniziative urgenti il governo, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di mitigare i danni prodotti dalla recente alluvione;
          se non ritengano, anche in attesa, della dichiarazione formale dello stato di emergenza, adottare ogni necessaria iniziativa di carattere finanziario per ripristinare le infrastrutture danneggiate, procedendo di concerto con le istituzioni locali alla messa in sicurezza di un territorio molto fragile dal punto di vista idrogeologico;
          quali stanziamenti e programmi intendano adottare, nella prima iniziativa normativa utile, per dare sollievo ai comparti produttivi calabresi gravemente colpiti dagli ultimi eventi meteorologici.
(4-10963)


      SPESSOTTO e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la disciplina nazionale italiana in materia di tutela dell'ambiente dall'inquinamento acustico risale alla legge quadro 26 ottobre 1995, n.  447, che stabilisce i principi fondamentali in materia di tutela dell'ambiente esterno e dell'ambiente abitativo dall'inquinamento acustico, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 117 della Costituzione;
          la suddetta legge rende obbligatorio per i Comuni non solo il regolamento attuativo della tutela dall'inquinamento acustico, ma anche l'adozione di piani di risanamento, l'attività di controllo, la classificazione del territorio e l'individuazione di criteri per eventuali deroghe, attribuendo anche nelle aree di rilevante interesse paesaggistico, ambientale e turistico, ulteriori eventuali limiti;
          a norma dell'articolo 9, comma 1, della legge n.  447 del 1995, nel caso di servizi pubblici essenziali, la disciplina delle emissioni ed immissioni sonore prodotte nello svolgimento di tali servizi, inclusa l'inibitoria parziale o totale di determinate attività, è riservata non agli enti locali ma al Presidente del Consiglio dei ministri, allo scopo di uniformare l'azione amministrativa applicata alle enucleate peculiari fattispecie ove incidenti su servizi pubblici essenziali;
          tra i servizi pubblici essenziali riservati al richiamato potere di ordinanza dello Stato, rientra in particolare quello relativo alle attività delle infrastrutture e degli scali ferroviari e aeroportuali, considerati i «grandi protagonisti» del rumore in Europa;
          l'articolo 49 della legge 30 ottobre 2014, n.  161, recante disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – legge europea 2013-bis – ha delegato il Governo ad adottare, entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge europea – ovvero a partire dal 25 novembre 2014 – uno o più decreti legislativi per il riordino dei provvedimenti normativi vigenti in materia di tutela dell'ambiente esterno e dell'ambiente abitativo dall'inquinamento acustico prodotto dalle sorgenti sonore fisse e mobili, definite dall'articolo 2, comma 1, lettere c) e d), della legge 26 ottobre 1995, n.  447, al fine di semplificare e aggiornare al progresso tecnologico e alla normativa comunitaria la normativa nazionale vigente;
          è ormai scientificamente dimostrato come i danni alla salute umana provocati dalla esposizione al rumore oltre certi limiti risultino gravissimi e quanto meno equivalenti a quelli provocati dagli altri tipi di inquinamento;
          in particolare, secondo l'ultimo rapporto dell'Agenzia europea per l'ambiente, Noise in Europe 2014, quasi il 20 per cento della popolazione dell'Unione europea (oltre 125 milioni di persone) è sottoposto a livelli di inquinamento sonoro inaccettabili, e questa esposizione – calcola lo studio – contribuisce ogni anno nell'Unione europea alla morte di 10 mila persone, a oltre 900 mila casi di ipertensione e a 43 mila ricoveri ospedalieri per ictus e malattie coronariche, oltre al manifestarsi di disturbi del sonno in circa 8 milioni di persone;
          a questi rischi concreti per la salute umana ha cercato di far fronte la direttiva europea 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale che prevede la creazione di mappe acustiche delle città e piani di risanamento, direttiva per la quale, la Commissione europea ha di recente avviato una procedura di infrazione (la numero 2013/2022), ancora in corso, nei confronti dell'Italia per la non corretta attuazione della suddetta norma comunitaria;
          per quanto di conoscenza, tra i 147 comuni italiani che superano i 50 mila abitanti, solo 15 risultano aver rispettato la legge sulla gestione del rumore ambientale, mentre per gli altri comuni i dati sulla mappature del territorio sono stati considerati incompleti, così come i piani di azione sono stati ritenuti inadeguati e la comunicazione ai cittadini insufficiente;
          ad avviso degli interroganti, le attuali previsioni normative in materia, specie se riferite ad aeroporti o al traffico ferroviario, risultano prive di un efficace apparato sanzionatorio, e sono rese ancora più inefficaci a causa della previsione di una serie di deleghe di applicazione a organi che spesso non hanno neppure i mezzi tecnici per accertare la situazione di violazione del divieto;
          per quanto di conoscenza, a quasi 20 anni dalla sua approvazione, molti aeroporti italiani non hanno ancora completamente applicato le disposizioni per la riduzione dell'inquinamento acustico contenute nella legge 447 del 1995, come, solo per citare alcuni esempi, l'aeroporto di Ciampino di Roma o quello di Treviso  –:
          nelle more del riordino ed aggiornamento della normativa in materia di inquinamento acustico ai sensi dell'articolo 3, della legge 26 ottobre 1995, n.  447, quali iniziative il Governo intenda intraprendere per garantire un'effettiva applicazione delle previsioni normative, italiane ed europee, in materia di riduzione dell'inquinamento acustico, con particolare riferimento alle stazioni ferroviarie e aeroportuali dei principali comuni italiani e al rispetto degli obblighi derivanti dalle zonizzazione acustiche 40 territori circostanti agli scali;
          se il Governo possa riferire ulteriori ed aggiornate informazioni in merito alla attuazione della delega conferita il Governo in materia di inquinamento acustico con la richiamata legge europea 2013-bis, il cui termine giungerà a scadenza nel mese di maggio 2016. (4-10976)


      LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:    
          secondo quanto si apprende dal sito web del Ministero della salute, il piano di rientro dal disavanzo della regione Campania è stato siglato il 13 marzo 2007 e prevedeva una stima di interventi per il recupero del disavanzo sanitario;
          a seguito della riunione del 10 ottobre 2008, non essendo stati conseguiti gli obiettivi prefissati, il Presidente del Consiglio dei ministri, con propria nota dell'11 novembre 2008, ha diffidato la regione Campania, ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge n.  159 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n.  222 del 2007, ad adottare tutti gli atti normativi, amministrativi e gestionali che risultassero produttivi di effetti finanziari nel 2008 e idonei alla correzione strutturale della spesa per gli anni successivi;
          nel corso della riunione di verifica del 20 luglio 2009, nonostante gli sforzi compiuti dalla regione, Tavolo e Comitato hanno ritenuto di confermare i presupposti, già manifestati nella citata riunione di ottobre, per l'applicazione della procedura, nei termini prescritti dalla citata legge. Sulla base di tali evidenze la Presidenza del Consiglio dei ministri, con propria deliberazione del 28 luglio 2009, ha nominato il Presidente pro tempore della regione Campania Antonio Bassolino quale commissario ad acta per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione, ai sensi della normativa di cui sopra;
          con successiva delibera della Presidenza del Consiglio dei ministri del 15 ottobre 2009, è stato nominato quale sub commissario per l'attuazione del piano di rientro e affiancamento al commissario ad acta, il dottor Giuseppe Zuccatelli;
          a seguito delle elezioni regionali del marzo 2010, con delibera della Presidenza del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2010, è stato nominato commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, il neo Presidente pro-tempore della regione Campania Stefano Caldoro;
          in conformità con quanto disposto dal «Patto per la Salute» del 3 dicembre 2009, comma 14 dell'articolo 13 e il comma 88 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n.  191, la regione ha inviato, in data 7 maggio 2010, il Programma operativo 2010, con il quale si intende dare seguito al piano di rientro 2007-2009;
          con delibera del 3 marzo 2011, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha nominato quali sub commissari per l'attuazione del Piano e affiancamento al commissario ad acta, il dottor Mario Morlacco e il dottor Achille Coppola. Con la medesima nota si è preso atto delle dimissioni della precedente nomina a sub commissario del dottor Giuseppe Zuccatelli;
          con decreto del Commissario ad acta n.  45 del 20 giugno 2011 è stato approvato il Programma operativo 2011-2012;
          con delibera della Presidenza del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2012 è stato dato incarico al sub commissario Mario Morlacco di realizzare i punti assegnati al dimissionario sub commissario Achille Coppola;
          con decreto del Commissario n.  53 del 20 giugno 2012 è stato approvato l'adeguamento per l'anno 2012 del programma operativo 2011-2012;
          con il decreto del commissario n.  153 del 28 dicembre 2012 è stato approvato il Programma operativo 2013-2015, e successivamente adeguato/modificato con i decreti del Commissario ad acta n.  24 del 15 marzo 2013 e n.  82 del 5 luglio 2013;
          a seguito delle indicazioni dei Tavoli di monitoraggio, il 2 ottobre 2013 la regione ha presentato una nuova bozza di Programma operativo 2013-2015;
          il 29 ottobre 2013 il Presidente del Consiglio dei ministri ha nominato anche il professor Ettore Cinque sub commissario per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi e della riqualificazione del Servizio sanitario regionale, con rideterminazione dei compiti e degli obiettivi del sub commissario Mario Morlacco;
          nel corso della riunione di verifica del 27 novembre 2013 i tavoli hanno valutato positivamente con prescrizioni il Programma operativo 2013-2015. Con decreto del Commissario n.  18 del 21 marzo 2014 è stato approvato il programma operativo 2013-2015, in modificazione ed integrazione di quelli approvati precedentemente. Dopo la riunione di verifica del 10 aprile 2014, in occasione della quale tavolo e comitato hanno valutato positivamente la versione del programma operativo recante le prescrizioni indicate, è stato concesso alla struttura commissariale di procedere all'adozione del provvedimento di approvazione del Programma operativo 2013-2015 contenente la risoluzione delle criticità evidenziate. Al riguardo la struttura commissariale, in data 21 luglio 2014, ha anticipato la versione consolidata del Programma operativo 2013-2015, recante il recepimento delle ulteriori prescrizioni formulate da tavolo e comitato, nelle more dell'adozione del relativo provvedimento di approvazione da parte della medesima struttura commissariale;
          con decreto del Commissario n.  108 del 10 ottobre 2014, è stato definitivamente approvato il programma operativo 2013-2015 e l'ultima riunione di verifica si sarebbe tenuta in data 1o aprile 2015;
          a quanto risulta all'interrogante, ad oggi, dopo le elezioni regionali del 31 maggio 2015 non è stato nominato il nuovo commissario; infatti, con l'articolo 12 del patto della salute 2014-2016 – recepito con la legge n.  190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) – si è stabilito che la figura del commissario non potesse più coincidere con quella di presidente della Giunta regionale; peraltro, la maggior parte delle aziende ospedaliere e sanitarie della regione è attualmente retta da commissari anche perché, nella primavera 2015 la scadenza dei mandati in periodo elettorale aveva impedito di procedere alle nomine;
          secondo quanto risulta all'interrogante, la nomina di un nuovo commissario sarebbe stata sollecitata anche dal presidente dell'ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della Campania, con lettera inoltrata all'interrogante il 21 settembre 2015, nella quale si segnala anche una «preoccupazione via via crescente» per «l’empasse sulla nomina commissariale in questione, la cui perdurante assenza – peraltro potenzialmente concomitante con delicatissimi passaggi nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sulla legge di stabilità e sul conseguente riparto dei fondi sanitari – non è ulteriormente tollerabile». I medici campani, inoltre, parlano di «una situazione di oggettiva gravità, che mina indistintamente i principi fondanti del Servizio sanitario nazionale»;
          peraltro, occorre segnalare come la cronologia delle vicende degli ultimi anni sopra delineata rappresenti la cronaca di un fallimento politico: un commissariamento a tempo indeterminato che certifica l'incapacità di una classe dirigente di sinistra (giunta Bassolino) e di destra (giunta Caldoro), che ha saputo solo perdere tempo sulla pelle di una popolazione – come quella campana – già martoriata a causa delle conseguenze nefaste di un gravissimo inquinamento ambientale che tante mortifere conseguenze porta sugli abitanti delle province campane. Il ritardo della nomina di cui sopra, oggetto del presente atto di sindacato ispettivo, inizia a delineare nei fatti quello che appare all'interrogante un fallimento annunciato dell'esperienza di Vincenzo De Luca: un condannato in primo grado che sta portando la sua incapacità al governo di una regione che avrebbe bisogno di amministratori lungimiranti;
          a tutto questo, ovviamente, non giova l'eterna instabilità data dalle vicende giudiziarie del Presidente della giunta regionale campana, Vincenzo De Luca, la cui posizione è sempre in bilico a causa di quanto previsto    dalla cosiddetta legge Severino  –:
          se il Governo non ritenga opportuno procedere, con la massima urgenza, alla nomina di un commissario ad acta per il rientro del disavanzo sanitario campano;
          se, a tal fine, il Governo non ritenga di dover seguire una procedura di selezione trasparente e meritocratica che consenta di giungere, nei tempi più brevi possibili, alla nomina di una personalità in grado di rompere il circolo vizioso di una politica incapace di risolvere il problema del disavanzo sanitario campano.
(4-10984)


      PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la ferriera di Servola (Trieste) è uno stabilimento industriale dedito principalmente alla produzione di ghisa, destinata ai settori metalmeccanico e siderurgico, passato, nel 2014, dalla Lucchini in amministrazione straordinaria alla Siderurgica Triestina S.r.l., società del Gruppo Arvedi;
          le vicende relative alla ferriera sono state esaminate e sollevate dall'interrogante in diversi atti di sindacato ispettivo per le numerose criticità di natura industriale, ambientale e sanitaria legate all'impianto;
          con la legge 24 giugno 2013, n.  71, di conversione del decreto-legge 26 aprile 2013, n.  43, è stata riconosciuta l'area di Trieste quale «area di crisi industriale complessa» (articolo 1, 7-bis);
          il decreto-legge «Destinazione Italia» n.  145 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n.  9, all'articolo 4, prevede misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale e interventi particolari per l'area di crisi complessa di Trieste; il comma 11 dell'articolo 4 summenzionato, stabilisce la nomina, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, del Presidente della regione Friuli Venezia Giulia a commissario straordinario per l'attuazione dell'accordo quadro legato alla realizzazione degli interventi per l'area industriale di Trieste; tale nomina è avvenuta in data 7 agosto 2015;
          il 30 gennaio 2014, tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero del lavori e delle politiche sociali, il Ministero per la coesione territoriale, la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la provincia di Trieste, il comune di Trieste, l'Autorità portuale di Trieste ed INVITALIA (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa s.p.a.) è stato firmato l'Accordo di programma, contenente «la disciplina degli interventi relativi alla riqualificazione delle attività industriali e portuali e del recupero ambientale dell'area di crisi industriale complessa di Trieste» – Accordo di programma di Trieste;
          nel considerato dell'accordo, viene riportato «che, allo stato, non è possibile risalire all'imputazione soggettiva dei singoli atti e attività che nel tempo hanno concorso alla realizzazione dell'area demaniale in concessione alla società Servola spa con riporti e materiali inquinanti»;
          il 21 novembre 2014 è stato firmato il successivo Accordo di programma per l'attuazione del «Progetto integrato di messa in sicurezza, riconversione industriale e sviluppo economico produttivo nell'area della Ferriera di Servola», tra Siderurgica Triestina S.r.l. e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, d'intesa con la regione autonoma Friuli Venezia Giulia e l'Autorità portuale di Trieste;
          tale accordo, nelle premesse, riporta: «che ai sensi dell'articolo 7 dell'Accordo di programma di Trieste il soggetto selezionato deve attuare i seguenti interventi: (I) rimozione e smaltimento del cumulo di rifiuti presente nell'area demaniale e localizzato prevalentemente su p.c.n.  3003/3 del C.C. S.M. Inferiore, Sezione S., come deliberato dalla Conferenza decisoria del 6 agosto 2012; (II) rimozione di altri eventuali depositi incontrollati di rifiuti, rinvenuti nelle aree di proprietà di Servola o nell'area demaniale in concessione; (III) misure di messa in sicurezza operativa del suolo, quali rimozione di hot spot e coperture idonee a mitigare o interrompere i percorsi di esposizione, con relativa analisi di rischio; (IV) compartecipazione alla realizzazione del progetto pubblico di messa in sicurezza della falda, consistente nella realizzazione del marginamento fisico dell'area demaniale in concessione e dell'impianto di depurazione per il trattamento delle acque emunte, nonché agli oneri di gestione dell'impianto medesimo»;
          lo scorso 7 ottobre 2015 e stato firmato l'Accordo di programma quadro «Progetto integrato di messa in sicurezza, bonifica e di reindustrializzazione dello stabilimento della Ferriera di Servola (TS) di cui all'Accordo di programma ex articolo 252-bis del decreto legislativo n.  152 del 2006 e successive modificazioni e interrogazioni – Asse I, Azione II: Programma degli interventi di messa in sicurezza dell'area, a realizzare con finanziamento pubblico»;
          l'articolo 7 (obblighi delle parti), comma 3, lettera e) del suddetto decreto recita: «La Regione esclude che, nel caso di specie, gli interventi indicati agli articoli 3 e 4, configurino aiuti di Stato in quanto detti interventi sono finanziati e realizzati in danno del soggetto responsabile che, una volta individuato, sarà tenuto alla ripetizione di dette somme, nonché al risarcimento dell'ulteriore danno. La Regione si impegna, altresì, a monitorare per tutto il tempo di realizzazione delle opere che sussistano in capo a Siderurgica Triestina i requisiti di cui all'articolo 252-bis del decreto legislativo n.  152 del 2006»;
          nel testo vengono menzionate la comunicazione Prot. n.  10309 del 17 aprile 2015 con la quale la regione autonoma Friuli Venezia Giulia comunica di aver già avviato, attraverso la competente provincia di Trieste, le indagini per l'accertamento delle responsabilità dell'inquinamento prodotto sul territorio del sito di interesse nazionale di Trieste e la Nota Prot. n.  16407 del 30 aprile 2015 con la quale la provincia di Trieste ha richiesto all'Autorità portuale di Trieste la trasmissione di tutta la documentazione in suo possesso ai fini dello svolgimento del procedimento attivato per l'individuazione dei responsabili della contaminazione;
          nello studio di fattibilità dell'Accordo di programma quadro al punto 3.1 vengono descritte le aree inquinate oggetto di interventi. Le indagini effettuate e validate da ARPA Friuli Venezia Giulia – Dipartimento provinciale di Trieste hanno evidenziato:
              1. che il sottosuolo è costituito quasi esclusivamente da orizzonti riportati sulle argille di fondo marino, costituiti prevalentemente da residui della lavorazione siderurgica;
              2. che nelle aree di proprietà (indagini del 2005) si riscontra un importante livello di contaminazione dei suoli dovuta a IPA (che mostrano valori massimi di contrazione ben al di sopra di 10 volte la concentrazione limite accettabile di cui al decreto ministeriale 471/99), Metalli (Arsenico, Berillio, Cadmio, Cromo, Piombo, Antimonio, Selenio, Vanadio e Zinco), Idrocarburi Aromatici (Benzene) e Idrocarburi pesanti. Anche le acque sotterranee sono interessate da una significativa contaminazione di 10 volte oltre la concentrazione limite per Benzene, Tricoloro metano, 1,2-Dicloroetano e 2,4,6-Tricolorofenolo;
              3. che nelle aree demaniali in concessione (indagini del 2008) si evidenzia un importante livello di contaminazione dei suoli di 10 volte oltre la concentrazione limite per Benzo(a)antracene ed Indenopirene; sono stati rilevati superamenti anche per metalli (Piombo, Selenio, Berillio, Cadmio, Cromo totale, Rame, Antimonio, Vanadio), Idrocarburi pesanti e IPA (benzo(b)fluorantene, benzo(a)antracene, benzo(k)fluorantene, benzo(a)pirene, dibenzo(a,h)antracene, benzo(g,h,i)perilene, pirene, crisene);
          4. che i sedimenti marini antistanti lo stabilimento (indagine del 2005) presentano contaminazione da Piombo, Idrocarburi pesanti, IPA, Arsenico, Cadmio, Zinco, Stagno, Nichel, Esaclorobenzene e Pesticidi organici clorurati nonché la presenza di Diossine e Furani;
          con la conferenza dei servizi decisori, ex articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n.  241, avvenuta l'11 dicembre 2012 tra Ministero dello sviluppo economico, regione Friuli Venezia Giulia, provincia di Trieste, comune di Trieste, Autorità portuale di Trieste, Arpa Friuli Venezia Giulia,    Lucchini s.p.a., Servola s.p.a. e gli altri enti interessati, si è dato avvio ai procedimenti di bonifica secondo quanto previsto dall'articolo 242 del decreto legislativo 152 del 2006, stabilendo che la Lucchini dovesse entro 30 giorni attuare le misure di prevenzione e messa in sicurezza delle emergenze relative allo stabilimento di Servola e disporre un progetto di bonifica dei suoli e delle acque sotterranee dell'area in considerazione;
          a seguito della conferenza dei servizi summenzionata sono stati effettuati due sopralluoghi del sito da parte della provincia di Trieste, in data 14 gennaio 2013 e 4 febbraio 2013. Durante il successivo tavolo tecnico, riunitosi l'11 febbraio 2013, è stato elaborato un rapporto finale riguardante la verifica delle misure di prevenzione e messa in sicurezza del sito della Ferriera di Servola da parte della Lucchini spa. Sono state evidenziate le inottemperanze della Lucchini s.p.a. alle varie prescrizioni impartite nel tempo dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, allegando una check-list dei verbali delle conferenze dei servizi dal 2004 al 2010, che attestano l'inquinamento dei terreni, delle falde acquifere e del mare del Vallone Muggia prodotti dall'impianto;
          durante la successiva conferenza dei servizi del 16 aprile 2013, è stato rilevato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, a seguito di una    verifica da parte dell'ARPA, del comune di Trieste, della provincia di Trieste e della regione Friuli Venezia Giulia, Lucchini s.p.a. non abbia adottato misure idonee di prevenzione e messa in sicurezza dei suoli e delle acque e che il progetto di bonifica fosse stato giudicato dall'ISPRA insufficiente;
          si apprende che siano in corso due procedimenti giudiziari amministrativi, presso il TAR del Friuli Venezia Giulia, promossi dalla Servola spa e dalla Lucchini s.p.a.; il primo, RG 76/14, avverso l'ordine per la riduzione di emissioni in atmosfera, il secondo, RG 161/14, contro l'ordine per l'avvio delle procedure per il trattamento e lo spostamento dei materiali in cumulo;
          in merito al procedimento RG 76/14 a pagina n.  4 le Società ricorrenti, pur asserendo di essere gestori di un impianto siderurgico esteso anche ad aree demaniali marittime, sostengono di «non avere responsabilità in merito all'inquinamento presente sul sito sul quale insiste lo Stabilimento»;
          inoltre, in una nota inviata in data 5 marzo 2014 da Servola s.p.a. all'Autorità    portuale di Trieste, costituitasi in giudizio in un secondo momento nel ricorso RG 161/14, la società ha affermato: «di non ritenersi tenuta a rimuovere i materiali dei “cumuli storici” ai sensi dell'articolo 49 del codice della navigazione, in virtù dell'Accordo di programma del 30 gennaio 2014, ed in particolare dell'inciso contenuto nel Considerato dello stesso Accordo per cui “Non è possibile risalire all'imputazione soggettiva dei singoli atti e attività che nel tempo hanno concorso alla realizzazione dell'area demaniale in concessione con riporti e materiali inquinanti”»;
          la parte VI del codice dell'ambiente (decreto legislativo 152 del 2006) contiene le principali disposizioni per la tutela risarcitoria dei danni contro l'ambiente, a cui la legge 68 del 2015 ha aggiunto la parte VI-bis, che reca la disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale;
          in particolare l'articolo 311 del codice dell'ambiente stabilisce che, quando si verifichi un danno ambientale cagionato dagli operatori responsabili di imprese (organi apicali dell'azienda), che svolgono attività pericolose per l'ambiente (le cui attività sono elencate nell'allegato 5 della parte sesta), gli stessi sono obbligati al risarcimento in forma specifica, ovvero all'adozione delle misure di riparazione e ripristino dei luoghi danneggiati entro un determinato termine (responsabilità oggettiva). Ai medesimi obblighi è tenuto chiunque altro cagioni un danno ambientale con dolo o colpa (responsabilità soggettiva). Le misure di ripristino sono determinate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che provvede anche all'accertamento delle responsabilità risarcitorie; in caso di concorso all'evento dannoso, ognuno risponde nei limiti della propria personale responsabilità;
          il citato articolo 11 del codice dell'ambiente prevede che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare agisce, «anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale». In alternativa, è tuttavia prevista la possibilità di procedere in via amministrativa. Il procedimento e definito dai successivi articoli 312 e 313 del decreto legislativo 152 del 2006;
          da un articolo de Il Sole 24 Ore del 16 aprile 2015, si apprende che il Tribunale di Livorno, con ordinanza del 13 aprile 2015, abbia rigettato definitivamente la richiesta di 447,834 milioni di euro (cifra lievitata fino a 588 milioni) del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'Autorità portuale di Trieste, nei confronti della Lucchini, a titolo di anticipo per spese ambientali e bonifiche;
          i due enti, in sede di definizione dello stato passivo, durante l'udienza del 30 ottobre 2013 avrebbero presentato una insinuazione al passivo in prededuzione, ma il giudice delegato avrebbe deciso di non ammetterla, dando ragione al Commissario straordinario di Lucchini, Piero Nardi, per prescrizione dei termini quinquennali e per difetto di legittimazione passiva di Lucchini; ossia i danni ambientali sarebbero imputabili a soggetti diversi da Lucchini, non sussistendo i presupposti di legge per il riconoscimento della prededuzione dei privilegi richiesti;
          nel corso degli ultimi mesi, la situazione delle emissioni della ferriera è notevolmente peggiorata, sia per quanto concerne quelle in atmosfera, che per quelle acustiche. I dati consultabili sul sito web dell'ARPA Friuli Venezia Giulia appaiono molto preoccupanti: al 26 ottobre 2015 gli sforamenti delle PM10 registrati presso la stazione di rilevamento di Via San Lorenzo in Selva, proprio quella più vicina alla cokeria, ma posizionata ad una distanza maggiore di quella rilevabile tra le fonti inquinanti e diverse abitazioni civili, dall'inizio del 2015, risultano essere 116, superando di molto la soglia di tolleranza massima dei 35 sforamenti annui indicati nella tabella XI del decreto legislativo 155 del 2010 e successive modificazioni;
          anche le emissioni di benzo(a)pirene sono molto preoccupanti. I dati relativi al 2015 riportano, per gennaio 1.4 (ng/m.cubo), per febbraio 1.2 (ng/m.cubo), per marzo 1.3(ng/m.cubo), per aprile 1.5(ng/m.cubo), per maggio 2.0(ng/m.cubo), per giugno 1.5(ng/m.cubo), per luglio 1.7(ng/m.cubo), molto al di sopra del valore obiettivo di 1.0 (ng/m. cubo), consentito dalla normativa regionale e nazionale (legge regionale Friuli Venezia Giulia 13 febbraio 2012, n.1 – Norme urgenti per il contenimento delle emissioni inquinanti da benzo(a)pirene, arsenico, cadmio e nichel sul territorio regionale e decreto legislativo 155 del 2010);
          da un particolareggiato articolo del quotidiano il Piccolo, pubblicato il 3 dicembre 2013, si apprende che il Pubblico ministero Matteo Tripani abbia avviato un'inchiesta secondo la quale sarebbero 83 gli operai della ferriera morti a causa di tumori dal 2000 al 2013. Sarebbe stata minuziosamente ricostruita la carriera lavorativa di ognuna delle vittime, dalla data di assunzione, alle mansioni svolte, alle malattie segnalate ai medici. Inoltre, grazie ad un'indagine effettuata per conto del Pubblico ministero Tripani, sempre nel 2013, dal dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria, prendendo in considerazione i dati dell'Inps e dell'Inail ed incrociandoli con quelli dei dipendenti succedutisi nello stabilimento, verrebbe evidenziato come per i lavoratori della ferriera la probabilità di ammalarsi di tumore ai polmoni o ai bronchi sia stata il 50 per cento superiore rispetto al resto della popolazione;
          obbiettivo del fascicolo sarebbe stato di accertare sia il nesso di casualità tra l'esposizione all'inquinamento prodotto dagli impianti del sito industriale e l'insorgere delle neoplasie, sia di risalire alle responsabilità di chi, intenzionalmente, non abbia posto rimedio alla situazione, pur essendone a conoscenza;
          lo stesso articolo fa riferimento anche ad un'altra inchiesta, condotta dal procuratore Federico Frezza. Nel 2007, il documento sottoscritto dai dottori Pierluigi Barbieri e Ranieri Urbani dell'Università di Trieste, consulenti tecnici della Procura, riportava i seguenti dati tecnici: «Si rileva che dopo un'unica somministrazione del particolato si ha sia un'accelerazione della crescita tumorale, che perturbazioni del ciclo cellulare nelle cellule normali, con una tendenza a una crescita incontrollata. Sono in corso test di mutagenesi su linee batteriche selezionate e standardizzate che evidenziano sostanze capaci, sia come tali che come precursori di altre ancora più attive, di provocare danni di diversa natura al Dna»; nell'inchiesta del procuratore Frezza, parallela a quella del Pubblico ministero Tripani, sarebbe stato evidenziato il nesso causale tra l'esposizione al benzene e agli idrocarburi e l'insorgenza di neoplasie tra chi ha prestato servizio nello stabilimento di Servola  –:
          se sia stata esattamente fotografata dagli enti preposti la situazione ambientale dell'area descritta in premessa, prima della formalizzazione della cessione del ramo d'azienda da parte di Lucchini spa ad Arvedi, in modo da poter eventualmente distinguere le responsabilità in capo ai diversi soggetti;
          se alla luce delle caratterizzazioni dei suoli, effettuate nel corso degli anni e dei numerosi dati in possesso dei diversi enti competenti, non si ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, per procedere nei confronti dei soggetti proprietari dell'impianto per l'inquinamento imputabile alla loro responsabilità;
          accertate le singole responsabilità, quali iniziative di competenza intendano adottare nei confronti delle società responsabili, qualora gli stessi, anche alla luce della situazione di amministrazione straordinaria, non ottemperino agli obblighi di ripristino ambientale dell'area di Servola;
          se si intendano proporre delle forme di tutela per i lavoratori ed i residenti, qualora emergessero delle responsabilità sanitarie specifiche dei gestori storici e dei loro organi apicali, avvalendosi anche del diritto di rivalsa sui responsabili. (4-10985)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


      BALDASSARRE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          sulla Gazzetta Ufficiale è stato bandito il concorso, scaduto il 14 settembre 2015 per il Direttore dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo;
          il direttore prenderà le redini dell'Agenzia che dovrebbe entrare in piena funzione il prossimo 1o gennaio 2016;
          la lista dei 131 candidati è stata prontamente pubblicata il 16 settembre 2015;
          l'Italia è andata controcorrente rispetto ad altri Paesi come l'Australia e il Canada. Questi Paesi hanno smantellato le proprie agenzie bilaterali di cooperazione allo sviluppo e i loro Governi hanno attribuito nuovamente le funzioni al Ministero degli affari esteri. L'Italia ha creato un'agenzia per l'implementazione dei programmi di sviluppo, separata dalla Farnesina che, però, mantiene le direttive della politica di cooperazione;
          la nuova agenzia sarà un'istituzione con personale tecnico che si occuperà dei programmi di cooperazione bilaterale. Si tratta dell'innovazione più rilevante introdotta dalle nuova legge sulla cooperazione n.  125 approvata l'11 agosto 2014 e di un'opportunità per rilanciare la cooperazione italiana, fanalino di coda tra i Paesi del G7 per il contributo all'aiuto pubblico allo sviluppo (0,16 per cento del prodotto interno lordo nel 2014, il Regno Unito ha raggiunto lo 0,7 per cento);
          ci sono dunque grandi aspettative sull'operato del direttore della nuova Agenzia per la cooperazione internazionale;
          il bando di concorso delinea alcuni requisiti minimi che il direttore deve possedere, dall'esperienza nel settore (3 anni nella cooperazione allo sviluppo e 5 di incarichi manageriali) al possesso di titoli di laurea e conoscenza delle lingue straniere;
          dal sito euractive.it all'articolo «Cooperazione allo sviluppo – Una lista di desideri per il direttore della nuova agenzia italiana» si legge: «Ma se fossi un membro della commissione giudicatrice quali sarebbero i criteri che applicherei per scegliere il nuovo direttore ? Ne ho individuati almeno tre. Primo, essere quello che gli inglesi definiscono un “development practitioner”, ovvero qualcuno che ha speso anni nella cooperazione, nei paesi in via di sviluppo, nelle loro aree rurali e nei loro ministeri, nelle organizzazioni internazionali. Un leader che conosca e comprenda le difficoltà di gestire un progetto sul campo, di negoziarlo con i finanziatori e i governi dei paesi partner (e spesso con la loro instabilità) e di coordinare le proprie attività con altri donatori. Queste esperienze sono una condizione necessaria – ma non sufficiente – per una gestione efficiente ed efficace delle risorse. E spesso ciò richiede ben oltre i tre anni di esperienza nella cooperazione indicati tra i requisiti minimi nel bando; Secondo, essere riconosciuto come un esperto nella cooperazione a livello internazionale. Questo significa essere una voce autorevole non solo in Italia ma anche all'estero, aver contribuito al dibattito nazionale ed internazionale anche attraverso analisi e pubblicazioni sulla cooperazione allo sviluppo. Aiuterà l'Italia ad incrementare la propria voce, visibilità e credibilità nelle arene di discussione e di dialogo politico internazionali; Terzo, essere indipendente dai partiti politici e dalla politica. Significherà che la cooperazione deve essere super partes ed indipendente dalle ideologie politiche e dalle fluttuazioni delle vicende della politica»;
          alla luce delle suddette considerazioni, il ruolo di direttore delle nuova Agenzia non deve essere considerato, a giudizio dell'interrogante, una nuova «poltrona» che aspetta solo di essere occupata; inoltre, soprattutto, il direttore dovrà essere selezionato, prescindendo dalle consuete logiche di natura «politica» bensì privilegiando l'esperienza e la professionalità;
          scorrendo i nomi apparsi nella lista del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale colpisce, rispetto alle attese, l'esiguo numero di candidati provenienti dalla società civile nonché la presenza di varie candidature che, a dispetto dei requisiti del bando, appaiono tutt'altro che indipendenti dalla politica;
          stupisce, inoltre, il fatto che gli organi di stampa diano già il nome dei favoriti o del favorito proprio per il peso politico rappresentato, in quest'ultimo caso, dall'essere stato il braccio destro di figure politiche di rilievo del recente passato;
          il direttore della nuova Agenzia deve conoscere bene la cooperazione allo sviluppo e gli interventi umanitari, i relativi contesti, gli organismi e i meccanismi internazionali, avere forti capacità manageriali e di relazioni umane, capacità di attrarre nuove risorse, voglia di impegnarsi a fondo per una qualificata cooperazione italiana in una fase storica in cui essa è divenuta molto più importante che nel passato  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti su esposti e quali siano, nello specifico, i meccanismi attraverso i quali la Commissione selezionatrice, assicurerà che nella nuova nomina sia rispettato il requisito di indipendenza del candidato dalla politica, assicurando alla cooperazione la più assoluta indipendenza posto che, sin d'ora, gli organi di stampa, fanno trapelare l'indicazione di nominativi di candidati più forti di altri, soltanto ed esclusivamente per la loro affiliazione a personaggi del recente passato che hanno rivestito cariche di rilievo. (4-10972)


      SCOTTO e PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          l'Associazione nazionale combattenti in Spagna (Ancis) anche quest'anno farà il suo «pellegrinaggio» in Spagna in occasione della festa delle forze armate il 4 novembre;
          tutti gli anni ripetono questo vero e proprio rito per «rendere omaggio ai caduti del Ctv», il corpo truppe volontarie mandato da Mussolini nel 1935 a combattere a fianco del generale Franco contro il Governo della Seconda Repubblica spagnola;
          il pellegrinaggio prevede una tappa nei due memoriali franchisti: quello della Valle de los Caidos, e quello nella Cripta di Sant'Antonio, a Saragozza, proprietà dello Stato italiano. Secondo le due associazioni fasciste «Fondazione Francisco Franco» e «Falange» che annunciano la commemorazione, l'ambasciata italiana a Madrid «patrocina» l'atto di omaggio. E domani ospiterà l'Ancis che, con «atteggiamento marziale e disciplinato», vi celebrerà la festa delle forze armate. Fonti di stampa affermano che non sia stato possibile ottenere conferma dell'ambasciata. Ma gli «omaggi» si ripetono almeno dal 2008 e in almeno due occasioni hanno visto la presenza dell'ex ambasciatore e del vice-ambasciatore;
          a denunciare l'apologia del fascismo della rappresentanza italiana è l'associazione Altraitalia di Barcellona. La stessa che fece aprire nel 2012 per la prima volta un processo contro gli aviatori italiani che bombardarono Barcellona nel 1938, causando 5000 morti. Fu il primo caso di bombardamenti a tappeto su una grande città per terrorizzare i civili  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga di far sì che l'ambasciatore italiano Pietro Sebastiani si dissoci da ogni contiguità con le associazioni di nostalgici fascisti.
(4-10973)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


      TERZONI, MANNINO, DE ROSA, DAGA, ZOLEZZI, BUSTO e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          natura 2000 è il nome che il Consiglio dei ministri dell'Unione europea ha assegnato ad un sistema coordinato e coerente di aree destinate alla conservazione della biodiversità, presente nel territorio dell'Unione stessa ed in particolare alla tutela di una serie di habitat e di specie animali e vegetali indicati negli allegati I e II della cosiddetta «direttiva Habitat» (direttiva 92/43/Cee relativa alla «conservazione degli habitat naturali e seminaturali nonché della flora e della fauna selvatiche»);
          quest'ultima, insieme alla direttiva 73/409/Cee, concernente la «Conservazione degli uccelli selvatici», nota come «direttiva Uccelli», rappresenta dunque lo strumento normativo più importante per la conservazione della natura e la tutela della biodiversità nei paesi dell'Unione europea;
          obiettivo della direttiva «Habitat», è la creazione della Rete Natura 2000, costituita da Zone di protezione speciale (ZPS, previste dalla «direttiva Uccelli») e dai Siti di importanza comunitari (SIC, previsti dalla direttiva Habitat), entrambi proposti dagli Stati membri;
          mentre le ZPS fanno parte della Rete Natura 2000, dal momento della loro designazione, i Psic (proposti SIC), dopo essere stati individuati dagli Stati membri, devono essere approvati dalla Commissione europea. Per tutte queste aree, dunque, la direttiva «Habitat» ha previsto uno specifico sistema di tutela e conservazione, fissando i principi e gli obiettivi generali, e lasciando poi gran parte degli strumenti per realizzarli alla discrezionalità dello Stato membro, che dovrà dunque provvedere a darne attuazione nelle relative norme di recepimento;
          non esistono quindi, a priori, nel regolamento comunitario, obblighi o divieti specifici. Viene però sottolineata la natura anticipatoria di tali misure, vale a dire evitare preventivamente il degrado degli habitat e qualsiasi perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate (principio di prevenzione);
          la direttiva «Habitat» è stata recepita in Italia con il decreto del Presidente della Repubblica n.  357 del 1997 recante Regolamento di attuazione della direttiva 92/43 Cee relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche», testo aggiornato e modificato dal      decreto del Presidente della Repubblica 12 marzo 2003, n.  120; mentre la «direttiva Uccelli» con la legge 11 febbraio 1992, n.  157, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»;
          così come è stato previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n.  357 del 1997, in Italia, la lista dei SIC è stata redatta dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano, nell'ambito del progetto BioItaly, coordinato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
          tale lista è stata poi sottoposta, da parte dello stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, all'approvazione della Commissione europea. Attualmente, il processo di approvazione dei SIC proposti dall'Italia è concluso: i SIC della regione biogeografica continentale sono stati approvati con decisione della Commissione europea il 7 dicembre 2004, quelli dell'area alpina, con decisione della Commissione del 22 dicembre 2003 e, infine, quelli dell'area mediterranea, con decisione del 19 luglio 2006 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 21 settembre 2006);
          a questo punto i SIC avrebbero dovuto, entro un termine di sei anni dalla definizione della lista dei siti da parte della Commissione, essere designati dagli Stati membri quali Zone speciali di conservazione (ZSC articolo 3 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n.  357 del 1997);
          dovevano essere le regioni e le province autonome ad assicurare per i proposti SIC, le opportune misure per evitare il degrado degli habitat e ad adottare per le ZSC, entro sei mesi dalla loro designazione, le opportune misure di conservazione necessarie;
          tali misure implicano piani di gestione appropriati, piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative e contrattuali conformi ad esigenze ecologiche dei tipi di habitat previsti;
          in Italia esistono ben 2.299 siti riconosciuti, ai sensi della direttiva «Habitat», come siti d'interesse comunitario (SIC), di cui però solo 27 sono stati attualmente designati come zone speciali di conservazione (ZSC);
          il primo e unico decreto di designazione delle zone speciali di conservazione (ZSC) italiane, con il quale sono state istituite le prime 27 zone speciali di conservazione nella regione biogeografica alpina della regione Valle d'Aosta, è stato emanato il 7 febbraio 2013;
          attualmente, nonostante il limite temporale di sei anni normativamente prescritto dalla direttiva «Habitat», in nessuna regione italiana appartenente all'area biogeografia continentale sono state approvate e riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le ZSC;
          ciononostante, alla data odierna, risulta che l'Italia abbia provveduto alla designazione delle sole zone speciali di conservazione della regione biogeografica alpina e limitatamente alla sola regione Valle d'Aosta;
          come riportato dal sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la designazione delle zone speciali di conservazione rappresenta un passaggio fondamentale per la piena attuazione della Rete Natura 2000, poiché garantisce l'entrata a pieno regime di misure di conservazione del sito specifiche e offre una maggiore sicurezza per la gestione della rete e per il suo ruolo strategico finalizzato al raggiungimento dell'obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità in Europa entro il 2020;
          proprio per la mancata designazione delle «Zone Speciali di Conservazione (ZSC)» sulla base degli elenchi provvisori dei «Siti di Importanza Comunitaria SIC» della direttiva «Habitat», è stata avviata da parte dell'Unione europea la procedura di infrazione e di messa in mora nei confronti del Governo italiano  –:
          se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per giungere nel più breve tempo possibile alla designazione nel territorio italiano dei siti di importanza comunitaria (SIC) come zone speciali di conservazione (ZSC);
          se non ritenga di dover assumere iniziative volte a prevedere anche dei sistemi sanzionatori nei confronti di quelle regioni che non hanno ancora adempiuto a quanto previsto dalla direttiva 92/43/CEE e dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n.  357 del 1997, provocando in tal modo la messa in mora del Governo italiano da parte dell'Unione europea. (3-01819)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      VENTRICELLI. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:

      la «SO.G.I.N. S.P.A.» – società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi –, ha consegnato all'ISPRA – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) a ospitare quello che sarà il deposito nazionale delle scorie nucleari;

      dall'ISPRA la documentazione è passata al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che dopo aver deliberato, ha dato il via alla messa in atto per la costruzione del deposito che dovrebbe iniziare nel 2020, perché possa essere attivo a partire dal 2024, con una spesa stimata per un costo totale di 1,5 miliardi di euro;

      è notizia di questi ultimi giorni, riportata nei tagli bassi delle pagine economiche di diverse testate giornalistiche, che l'amministratore delegato della «SO.G.I.N. S.P.A.», Riccardo Casale, che si stava occupando di individuare il sito per la realizzazione del deposito nucleare nazionale, dopo due anni dal suo insediamento, ha rassegnato il proprio mandato nelle mani dell'azionista, il Ministero dell'economia e delle finanze. La società ha convocato un consiglio di amministrazione urgente per correre ai ripari;

      le vicende che riguardano la governance della Sogin non possono lasciare indifferenti, alla luce dei delicati compiti che attendono questa società; nel mese di luglio 2015 la sottoscritta ha presentato un'interrogazione alla Camera per avere rassicurazioni e, successivamente, con interventi pubblici ha richiesto che si passasse ad una fase di trasparenza sulla carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) per realizzare il deposito –:

      quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati in relazione alle dimissioni di Casale e come si intenda procedere per il riassetto della società;

      se tali dimissioni possano interferire con il processo che riguarda la formazione della carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, che tempi siano previsti per la sua pubblicazione e a cosa siano dovuti i ritardi;

      se non ritengano necessario intervenire affinché vengano messe al più presto in atto indagini specifiche per determinare se realmente i territori in questione siano adatti ad ospitare un simile deposito e, nel caso in cui la scelta di costruirlo sia imprescindibile, quali reali soluzioni si intendano porre in essere perché vi siano meno danni possibili per i cittadini e il Paese. (5-06862)


      DE ROSA, MANNINO, MICILLO, BUSTO, ZOLEZZI, TERZONI e DAGA. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:

      l'area agricola di Morimondo, poco distante dall'abbazia cistercense, una delle porzioni più pregiate della valle del Ticino, è interessata, da diversi giorni, dalla dispersione di idrocarburi;

      presumendo la motivazione del furto di carburante, sono state forate delle condutture di idrocarburi dell'ENI, lo sversamento di idrocarburi sta interessando anche la falda dell'acqua, preannunciando un disastro ambientale;

      l'area interessata è di oltre 100 metri quadrati di ruscelli e laghetti naturali, rovinati da nafta dispersa dalle tubazioni, estensione destinata a crescere;

      è interessata anche la riserva naturale, vicino alla famosa Abbazia di Morimondo a circa 2 chilometri, nel parco del Ticino, zona SIC (sito di interesse comunitario);

      Morimondo è all'interno di una periferia che sembra essere diventata terra di nessuno: nei mesi scorsi è scattata una simile emergenza nella periferia oltre Baggio e Muggiano per lo sversamento di gasolio nei fontanili irrigui, quando il marchingegno («realizzato da gente esperta», secondo gli inquirenti), costruito per estrarre gasolio dall'oleodotto, che dalla raffineria di San Nazaro dei Burgundi nel Pavese arriva a Rho, è saltato laddove il Mezzabarba entra nel cosiddetto «Testaquadra», attraversa i campi, fino al parco Centenario a Trezzano e giù fino a Lacchiarella;

      una zona grigia dove persino i tecnici dell'ENI, intervenuti per tamponare d'urgenza una falla nell'oleodotto, a causa della quale il gasolio, da giorni, sversava nel fontanile Mezzabarba, hanno potuto muoversi solo scortati dalle forze di polizia;

      le 180 pertiche di terra (120 mila metri quadrati) oltre la tangenziale ovest, tra la via Cusago, a nord, e Trezzano sul Naviglio, a sud, sono coltivate da secoli. Gran parte di questa terra è di proprietà del comune di Milano ed è confluita in un fondo affidato, ancora al tempo della giunta Moratti, a Bnl Paribas per la vendita. Il bando (800 mila euro, cioè 6 euro al metro quadrato) è andato deserto;

      ENI avrebbe intercettato «rubinetti» abusivi nei campi ai margini di Cisliano, Bareggio, Rho, Gambolò ed avrebbe già esposto ai sindaci il piano di intervento: carotaggio, bonifica con rimozione del terreno dalle rogge e forse dai campi fino a due metri di profondità. Lavori che, però, potrebbero risultare intempestivi –:

      se e come si sia intervenuto per verificare il danno ambientale, verificatosi nell'area di Morimondo, a causa dello sversamento di idrocarburi dall'oleodotto dell'ENI;

      quale sia la reale entità del danno e quali siano i rischi di contaminazione per falde e terreni;

      se l'ENI stessa provvederà ad indennizzare i cittadini e le aziende interessate;

      se l'ENI abbia degli impianti di controllo o misure di sicurezza sui propri oleodotti, utili a prevenire furti e sversamenti e, in caso positivo, a cosa sia dovuto il tardivo intervento per limitare lo sversamento, rivelatosi più grave di quanto annunciato. (5-06867)


      TERZONI, ZOLEZZI, VIGNAROLI, BUSTO, MANNINO, DAGA, DE ROSA e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il Ministro interrogato intervenendo il 15 ottobre 2015 al Question Time al Senato sul tema dei rifiuti e dei cambiamenti climatici, a proposito del Sistri ha affermato che entro il mese di ottobre la CONSIP Spa, alla quale è stata affidata la procedura di affidamento in concessione del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, procederà all'invio delle lettere di invito alle aziende qualificate che hanno risposto al bando di gara indetto a giugno 2015;
          nel suo intervento il Ministro ha anche ipotizzato l'estensione del sistema a tutte le tipologie di rifiuti «al fine di garantire la "tracciabilità" dell'intero ciclo di vita del rifiuto stesso»;
          le associazioni di categoria temono che la partenza del nuovo sistema possa subire dei ritardi a causa del ricorso al TAR presentato dal vecchio gestore il 4 agosto con il quale Selex spa contesta la legittimità di requisire il sistema che ha essa stessa realizzato senza il previo esborso del valore dell'investimento sostenuto in quasi sei anni di attività e non recuperato;
          secondo quanto si legge nel ricorso, infatti, «per la realizzazione e gestione del Sistri, il ministero, a fronte di un corrispettivo pari (secondo le assunzioni a base della concessione) a circa 336 milioni di euro, che avrebbe dovuto pagare in cinque anni a partire dalla sottoscrizione del contratto (2009-2014), ha finora corrisposto a Se.Ma in tutto 46,1 milioni di euro (dei quali 21,9 milioni solo a fine dicembre 2014) e ciò, pur avendo Se.Ma sempre dato piena e regolare esecuzione alle proprie obbligazioni contrattuali»  –:
          se il Ministro interrogato sia in grado di confermare o smentire in modo definitivo che il nuovo sistema comporterà l'allargamento del sistema a tutti i tipi di rifiuti;
          se sia in grado di rassicurare sul rispetto delle tempistiche indicate durante l'intervento al Senato del 15 ottobre 2015 che prevedono l'avvio del nuovo sistema il 1o gennaio 2016;
          se non ritenga che, nel caso in cui dovesse slittare l'inizio del nuovo sistema, debbano essere assunte iniziative per prevedere la sospensione del pagamento per il funzionamento del sistema da parte delle imprese chiamate ad aderire e sospesa l'applicazione delle sanzioni per tutto il 2016;
          come stia procedendo il Ministro in relazione all'esigenza di «adottare un piano di intervento che preveda che ogni onere versato a titolo di contributi di iscrizione al Sistri per le annualità 2010, 2011 e 2012 dai soggetti di cui all'articolo 3 del 17 dicembre 2009 sia restituito o compensato secondo le modalità previste ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.  241», come indicato nell'ordine del giorno presentato dal deputato Mirko Busto n.  9/01682-A/077 e accolto come raccomandazione dal Governo pro tempore nella seduta 24 ottobre 2013, n.  104;
          se non ritenga di dover evitare la formulazione di ulteriori ipotesi sul possibile funzionamento del futuro sistema per non aumentare lo stato di incertezza in cui stanno operando le imprese italiane in questo momento segnato dal delicato passaggio e con un bando ancora aperto.
(5-06872)


      GIOVANNA SANNA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il Consiglio di Stato con sentenza n.  1854 ha annullato la richiesta di prelazione dello Stato e pertanto l'isola di Budelli, perla dell'arcipelago della Maddalena è stata assegnata al neozelandese Harte. Nella sentenza la competente sezione sottolinea che l'isola di Budelli era proprietà privata ben prima dell'istituzione del parco nazionale della Maddalena. Sul piano giuridico il Consiglio di Stato ha evidenziato che la legge n.  394 del 1991, meglio nota come legge quadro sulle aree protette, prevede come condizione per la prelazione che sia adottato un piano di tutela del parco e che la prelazione possa riguardare solo le aree che in quel piano siano classificate nelle prime due zone di maggior tutela;
          ancora lo stesso Consiglio ha evidenziato che in questi anni il piano non è stato adottato dall'amministrazione e che la sua mancanza impedisce di fatto l'esercizio del diritto di prelazione;
          da giorni, a seguito dell'incontro avvenuto presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare tra la nuova proprietà dell'isola di Budelli e i dirigenti del parco nazionale, durante il quale i proprietari hanno presentato i loro progetti, seppur di massima, precorrendo i tempi della pianificazione, che non contempla e non potrà contemplare mai nessun intervento sull'isola, si è scatenata una pressante campagna di stampa locale e nazionale e sono stati risollevati dubbi e polemiche sul futuro di Budelli;
          al piano del parco è affidato il compito di graduare i livelli di tutela su tutto il territorio dell'arcipelago, ed è questo il documento che finalmente a 5 anni dal suo avvio, deve mettere a punto la massima tutela del territorio del parco e rendere comprensibili i suoi dispositivi, per evitare i continui allarmismi e le levate di scudi  –:
          se corrispondano al vero le notizie apparse sulla stampa sugli eventuali progetti presentati dalla proprietà riguardanti l'isola di Budelli;
          se il Ministro non consideri opportuno verificare e controllare, in stretta collaborazione con i competenti uffici della regione Sardegna, che il piano, finalmente approvato il 30 ottobre 2015, sia in linea con la totale e rigorosa tutela ambientale e paesaggistica dell'isola;
          se il Ministro reputi che dopo la sentenza del Consiglio di Stato sia stata definitivamente chiusa la questione della determinazione della proprietà dell'isola o se ritenga che possano essere esperite ulteriori iniziative sul piano giurisdizionale;
          se nel frattempo non si reputi opportuno dare attuazione alla risoluzione approvata presso la commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera con la quale si impegnava il Governo all'utilizzo dei tre milioni di euro stanziati per il diritto di prelazione sull'acquisto di Budelli per le bonifiche nella zona dell'ex arsenale della Maddalena.
(5-06873)

Interrogazioni a risposta scritta:


      FURNARI. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:

      alcune agenzie di stampa hanno riportato la notizia che, a seguito di alcune rilevazioni effettuale da Peacelink nella zone circostanti lo stabilimento dell'ILVA di Taranto, sembra si siano nuovamente superati i livelli degli ipa provenienti dalla predetta area industriale;

      dalle rilevazioni effettuate da Peacelink, sia in questi giorni che nel recente passato (gennaio ed agosto 2015), con la stessa attrezzatura dell'Arpa Puglia (Ecochem Pas 2000), gli ipa (idrocarburi policiclici aromatici) per via dei venti provenienti dall'area industriale (Nord-Nord ovest), hanno superano di tre volte la media 2009-2010;

      si ricorda che gli ipa (idrocarburi policiclici aromatici) sono una classe di composti generati dalla combustione incompleta di sostanze organiche durante processi industriali e civili, e sono tra i microinquinanti organici più diffusi nell'ambiente. Le principali sorgenti degli ipa sono i processi industriali (trasformazione di combustibili fossili, processi siderurgici, processi di incenerimento, produzione di energia termoelettrica, e altro), il traffico autoveicolare e navale, i sistemi di riscaldamento domestico. Il marker di questa classe di inquinanti è il benzo(a)pirene (BaP), classificato come cancerogeno per l'uomo (classe 1) dall'Agenzia per la ricerca sul cancro (IARC) e unico ipa normato dalla legislazione europea ed italiana;

      la normativa di riferimento è il decreto legislativo n.  155 del 2010 (recepimento della direttiva comunitaria 2008/50/CE) entrato in vigore il 13 agosto 2010 e modificato dal decreto legislativo n.  250 del 2012. Il decreto legislativo n.  155 del 2010 fissa valori obiettivo per la concentrazione di arsenico, cadmio, nichel e benzo(a)pirene nell'aria ambiente per evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi di tali inquinanti sulla salute umana e sull'ambiente nel suo complesso. Il valore obiettivo del benzo(a)pirene viene usato come marker per il rischio cancerogeno degli idrocarburi policiclici aromatici. Per il piombo il decreto legislativo n.  155 del 2010 fissa un valore limite annuale per la protezione della salute umana;

      sembra, dunque, anche attraverso le parole dei rappresentanti dell'associazione ambientalista di cui sopra, che lo stabilimento industriale di Taranto continui ad inquinare oltre misura e a compromettere la salute dei cittadini –:

      di quali informazioni i Ministri interrogati siano a conoscenza con riferimento i fatti esposti in premessa;

      quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, i Ministri interrogati abbiano intenzione di assumere al fine di contrastare l'inquinamento dell'aria causato dallo stabilimento industriale dell'ILVA che espone la popolazione residente a gravi rischi per la salute e se siano state osservate tutte le prescrizioni in merito previste dalla legislazione nazionale.
(4-10964)


      MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il tratto costiero della provincia di Chieti è sicuramente quello di maggior pregio dei circa 125 chilometri di fascia costiera abruzzese. La fascia costiera della provincia di Chieti presenta numerosi corsi d'acqua, da nord a sud, abbiamo fiumi come l'Alento, il Moro, il Sangro, l'Osento, il Sinello e il Trigno, che delimita il confine tra la regione Abruzzo e il Molise. Importante è anche il sistema dei torrenti tra i quali si ricordano il Foro, il Feltrino, il San Giovanni, il Lebba, e il Buonanotte. Tra Ortona e Vasto in poco più di 50 chilometri troviamo 7 riserve naturali regionali (Ripari di Giobbe; Acquabella, Grotta delle Farfalle, San Giovanni in Venere, Lecceta di Torino di Sangro, Punta Aderci, Marina di Vasto, 1 Sito di importanza regionale (il Corridoio Verde, ai sensi della L.R. n.  5/2007) e 6 siti di importanza comunitaria (IT7140106 Fosso delle Farfalle, IT7140107 Lecceta litoranea di Torino di Sangro e Foce Fiume Sangro, IT7140111 Boschi riparali sul Fiume Osento, IT7140108 Punta Aderci, IT7140109 Marina di Vasto, IT7140127 Fiume Trigno) oltre a numerose stazioni dove sono segnalate specie vegetali in via d'estinzione e in lista rossa IUCN (International Union for Conservation of Nature) come documentato dall'università dell'Aquila dal gruppo del prof. Pirone. Complessivamente risultano protetti 11,41 chilometri quadrati, pari al 3,7 per cento del territorio costiero, considerando solo le aree protette. Superficie che aumenta fino a 19,3 chilometri quadrati, pari al 6,3 per cento se si considera anche la parte ricadente nei siti d'importanza comunitaria della Rete Natura 2000;
          con la legge n.  344 del 1997, (articolo 4, comma 3) la «Costa Teatina» viene inserita (su proposta del sen.  Staniscia) tra le «prioritarie aree di reperimento» previste dalla legge n.  394 del 1991 (lettera 1-bis, comma 6, articolo 34) e sulle quali si dovevano realizzare parchi nazionali;
          successivamente la legge n.  93 del 2001, all'articolo 8, comma 3, avvia l'iter di istituzione, ricordando le procedure e le intese e richiamando la legge n.  394 del 1991 e fissa in lire 1.000 milioni dal 2001 i limiti massimi spesa per l'istituzione e il funzionamento. La giunta Pace allora al governo regionale ricorre alla Corte Costituzionale contro la legge n.  93 del 2001 per farne dichiarare la incostituzionalità e, comunque, per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato. La Corte Costituzionale con la sentenza n.  422 del 2002 depositata il 18 ottobre 2002 dichiara «non fondata» la richiesta della regione Abruzzo e ribadisce la legittimità dell'articolo 8, comma 3, della legge 23 marzo 2001, n.  93;
          nel 2005 cambia il governo regionale e con la dismissione della tratta Adriatica, tra Ortona e Vasto, di RFI si torna a parlare di Costa Teatina; viene fatta una prima proposta dall'assessore regionale Franco Caramanico, il 6 settembre 2006 una delegazione abruzzese guidata da Caramanico si incontra con il direttore del servizio di conservazione della natura del Ministero dell'ambiente e si riavvia l'iter di perimetrazione del parco nazionale della Costa Teatina dopo diversi mesi di confronto con i 720 comuni, deliberano solo in tre a favore del parco (Vasto, San Salvo e Francavilla); si approda quindi dopo un confronto di un anno e mezzo con associazioni ed università, al «sistema delle aree protette della Costa Teatina» con la legge regionale n.  05 del 2007 che viene costituito, nelle more della definizione del parco nazionale della Costa Teatina;
          l'iter del parco rallenta di nuovo e, vista la renitenza dei comuni la direzione regionale competente formula una proposta di perimetrazione e la invia ai comuni e al ministero (2008);
          a luglio 2008 viene arrestato l'allora presidente della regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, si va verso le elezioni a dicembre 2008 e l'iter si ferma di nuovo. A fine aprile 2010, nell'anno internazionale della biodiversità, con il Direttore Aldo Cosentino in procinto di andare in pensione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare riprende gli iter dei parchi sospesi (ne mancano ancora 5 da istituire: Costa Teatina, isola di Pantelleria, Egadi e litorale trapanese, Eolie, Iblei). Il 10 maggio 2010, regione Abruzzo, provincia di Chieti e comuni Costieri (Ortona, San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Fossacesia, Torino di Sangro, Casalbordino, Vasto e San Salvo) sono convocati a Roma presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e si riavvia l'iter di istituzione del parco nazionale della costa Teatina e alla regione Abruzzo viene affidato il compito di riconvocare i comuni e la provincia per definire una nuova perimetrazione condivisa entro la fine del 2010;
          il 9 luglio 2010 la regione Abruzzo convoca i comuni e la provincia di Chieti e preso atto della contrarietà alla proposta di perimetrazione elaborata dalla direzione regionale Aree Protette e Parchi del 2008, si concorda di lavorare su una ipotesi che preveda 4 zone, anticipando la donazione nel decreto istitutivo e graduando meglio i vincoli in considerazione      delle      valenze naturalistiche e dell'antropizzazione del territorio. Ogni comune si prende l'onere di deliberare in merito decidendo se essere favorevole o contrario, definendo anche una perimetrazione per il territorio di competenza da rimandare in regione Abruzzo per una successiva integrazione e raccordo complessivo delle proposte. Si ipotizza di terminare questa fase per settembre/ottobre. Dopo diversi incontri di coordinamento la questione resta sospesa, tra agosto e ottobre solo alcuni comuni si muovono e iniziano la discussione e avviano dei percorsi di confronto ed ascolto anche con i cittadini, tra questi Fossacesia, Torino di Sangro e Vasto. Nello specifico: Torino di Sangro delibera in consiglio sulla volontà di dare origine al parco e di definire una perimetrazione su 4 zone come concordato in regione, Fossacesia ne discute nel suo Forum ambiente e approva in commissione urbanistica la proposta di perimetrazione su 4 zone, Vasto approva un ordine del giorno e rimanda la discussione della perimetrazione;
          con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 4 agosto 2014 l'architetto Giuseppe De Dominicis presidente emerito della provincia di Pescara, è stato nominato quale «Commissario ad acta» per l'istituzione del parco nazionale della Costa Teatina;
          nell'ambito della procedura per l'istituzione del parco nazionale della Costa Teatina, disciplinato dalla legge n.  394 del 1991 e successive modificazioni e integrazioni, il menzionato «Commissario ad acta» dell'istituendo Parco, ne ha definito – nello scorso mese di maggio – la perimetrazione provvisoria, permettendo con tale fondamentale atto propedeutico una auspicabile e pronta emanazione da parte del Governo del relativo ed indispensabile decreto istitutivo dell'area protetta in argomento;
          nonostante i tempi e le procedure cui è vincolato il commissario per la perimetrazione provvisoria, numerosi sono stati gli incontri con associazioni e amministratori locali e diversi i suggerimenti e le proposte avanzati e accolti e riportati in cartografia o in normativa  –:
          essendo concluso l'iter istituzionale ed essendo stati rispettati tutti i passaggi necessari già da vari mesi, quali siano le ragioni per cui a tutt'oggi manca la firma per formalizzare l'istituzione del parco.
(4-10966)


      MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in Italia su 24 parchi nazionali, 3 sono commissariati, in 6 mancano i consigli direttivi, in 5 non c’è un direttore;
          per le principali Associazioni ambientaliste italiane (CAI, Italia Nostra, WWF, Legambiente, centro turistico studentesco, Federazione Nazionale Pro Natura, Lega Italiana Protezione Uccelli, Touring Club, Mountain Wilderness) la metà dei Parchi Nazionali è allo sbando e manifesta un grave deficit di governance  –:
          quali iniziative urgenti intenda assumere per mettere i parchi nazionali italiani nelle condizioni operare a pieno campo con i propri organi istituzionali regolarmente nominati, secondo criteri di competenza, al fine di poter governare i processi di tutela, conservazione e valorizzazione dei propri territori in un rapporto proficuo con gli enti e le comunità locali. (4-10979)


      VIGNAROLI, NUTI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 224 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, per il raggiungimento degli obiettivi globali di recupero e di riciclaggio e per garantire il necessario coordinamento dell'attività di raccolta differenziata, i produttori e gli utilizzatori partecipano in forma paritaria al Consorzio nazionale imballaggi – Conai, soggetto che ha personalità giuridica di diritto privato senza fine di lucro ed è retto da uno statuto approvato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico;
          sulla base del citato articolo 224 (comma 5), l'accordo di programma quadro tra l'Associazione nazionale comuni italiani (Anci) e il Conai è divenuto lo strumento attraverso il quale il sistema consortile garantisce ai comuni italiani la copertura dei maggiori oneri sostenuti per le raccolte differenziate dei rifiuti di imballaggi;
          l'attuale delegato dell'Anci per l'energia e i rifiuti, avv. Filippo Bernocchi, a quanto consta agli interroganti, si occupa, in virtù del menzionato incarico, anche delle relazioni istituzionali con il Conai, incluse le attività connesse alla predisposizione e all'attuazione dell'accordo sopra richiamato;
          nel 2008 l'avv. Filippo Bernocchi è diventato, altresì, presidente di Ancitel energia e ambiente. A tutt'oggi, quindi, l'avv. Bernocchi ricopre entrambe le cariche;
          tra le attività di Ancitel energia e ambiente vi è, in particolare, la gestione delle banche dati concernenti l'attuazione di tutti gli accordi sottoscritti dall'Anci sui temi dei rifiuti e dell'energia, primo fra tutti l'accordo di programma quadro Anci-Conai;
          l'accordo di programma quadro Anci-Conai 2014-2019 ha confermato l'opportunità di proseguire e ampliare il progetto di una banca dati sul funzionamento dell'accordo medesimo e sulle attività di raccolta dei materiali di imballaggio, già operativo in forza del precedente accordo di programma quadro, nonché di implementare un osservatorio degli enti locali sulla raccolta differenziata e sui relativi modelli organizzativi;
          in tale contesto, preme agli interroganti sottolineare che nel corso degli anni Ancitel energia e ambiente ha visto mutare il proprio assetto azionario passando di fatto da una configurazione interamente «pubblica» a una forte presenza del privato nella compagine societaria, pur continuando a svolgere attività già derivanti dall'accordo quadro 2009-2013; infatti, il 23 dicembre 2013, Ancitel spa, sino ad allora unica proprietaria di Ancitel energia e ambiente, ha ceduto alla società CHP Roma srl, l'80,4 per cento delle quote di quest'ultima. A seguito di una deliberazione di aumento di capitale, sono entrate nella compagine societaria di Ancitel energia e ambiente anche altri soci privati. Attualmente nella compagine societaria vi sono: CHP ROMA SRL, con 160.562 azioni, per un valore in euro di 160.562, pari al 65,51 per cento; ANCITEL energia e ambiente spa con 36.022 azioni, per un valore in euro di 36.022, pari al 14,70 per cento (tali quote precedentemente erano possedute dalla società Daneco Impianti spa); ANCITEL spa, con 24.500 azioni, per un valore in euro di 24.500, pari al 10 per cento; EPRCOMUNICAZIONE srl, con 12.247 azioni, per un valore in euro di 12.247, pari al 5 per cento; FENIT spa, con 11.767 azioni, per un valore in euro di 11.767, pari al 4,80 per cento;
          l'accordo di programma quadro Anci-Conai 2014-2019 prevede, al capitolo 4, che il predetto servizio di gestione della banca dati sia affidato mediante gara pubblica e, quindi, non più direttamente ad Ancitel energia e ambiente, confermandosi la necessità di una completa autonomia di soggetti che operano al servizio dell'accordo di programma quadro nazionale Anci-Conai  –:
          alla luce dei poteri di vigilanza attribuiti al Governo in relazione all'attività del Conai e dei profili critici evidenziati in premessa, di quali elementi dispongano i Ministri interrogati in ordine all'affidamento del servizio di gestione della banca dati in materia di riciclaggio e di recupero dei rifiuti di imballaggio di cui all'accordo di programma quadro Anci-Conai 2014-2019;
          più in generale, quali iniziative di competenza intendano assumere i Ministri interrogati per una compiuta verifica sulla destinazione e sulla complessiva gestione delle risorse che il Conai mette a disposizione nell'ambito dell'accordo di programma quadro con l'Anci. (4-10980)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GRIBAUDO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          la presenza degli archivi di Stato è disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 1963, n.  1409, e prevede una sede in ogni capoluogo di provincia con la precisa missione di conservare la documentazione statale, unitaria e preunitaria;
          attualmente a Cuneo la sede è nell'ex caserma «Cantore», in corso Soleri 6, ma, come è possibile evincere dal sito del Ministero, a causa del riordino, l'archivio rimarrà chiuso al pubblico, con la speranza di riattivare i servizi entro il mese di settembre;
          il trasferimento dell'archivio nella sede dell'ex caserma, dismessa dal demanio militare, poteva essere una soluzione da una parte utile a risparmiare i costi dell'affitto, e dall'altra funzionale per fornire una sede adeguata negli spazi, come posizione centrale e di facile accesso;
          i lavori di ristrutturazione avviati sembrarono delineare uno scenario del tutto nuovo e estremamente positivo;
          una volta avvenuto il trasferimento dell'archivio di Stato nella sede attuale, occupando gli spazi nel frattempo resi agibili, non si è provveduto a continuare i lavori che avrebbero consentito una fruibilità completa dell'edificio, relegando il tutto al solo pian terreno ed in parte al piano primo, nonostante la struttura disponga di 3 livelli;
          questa situazione di stallo ha determinato disservizi e chiusure fino all'interruzione, decisa dal direttore, almeno fino alla messa in sicurezza dei locali adibiti allo studio;
          il mese di settembre 2015 è ormai concluso e non è prevista nessuna riapertura come annunciato sul sito dell'archivio di Stato di Cuneo  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
          se non ritenga la situazione particolarmente critica, tenuto conto del fatto che gli spazi destinati alla consultazione risultano ad oggi privi di sicurezza e, nel perdurare dei lavori, si registra la mancata fruibilità da parte dei cittadini delle ricchezze documentali dell'archivio;
          quali siano la reale tempistica prevista per la riapertura del sito di Cuneo e il quadro economico delle risorse stanziate, e di quelle eventualmente da stanziare, per concludere i lavori con una soluzione progettuale utile per permettere al pubblico di accedere nuovamente all'archivio.
(5-06859)


      CAROCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il 30 ottobre 2015 sono scaduti i termini del bando per l'acquisizione della qualifica di restauratore di beni culturali per i quali sembrerebbero essere state presentate più di diciassettemila domande;
          come indicato dall'articolo 3 del bando, la procedura di selezione — effettuata da una apposita commissione nominata dall'amministrazione – consiste nella valutazione dei titoli e delle attività svolte dal candidato;
          come anticipato più volte dal Ministro, entro il mese di marzo 2016 verrà indetto un nuovo «maxi» concorso per l'assunzione di 500 figure dell'area tecnica;
          la qualifica di restauratore rappresenta per molti giovani anche la possibilità di accedere al concorso che verrà presto bandito;
          rispetto alla presunta data del concorso la commissione avrebbe poco più di quattro mesi per valutare i requisiti necessari alla qualifica di restauratore, considerati dal settore molto pochi anche in considerazione del fatto che – ad un anno di distanza – non risultano ancora espletate le domande del bando per collaboratori restauratori dello scorso novembre  –:
          se il Ministro interrogato non intenda monitorare i lavori della commissione giudicatrice, affinché l'espletamento della procedura di valutazione avvenga nei tempi necessari ad acquisire il titolo anche per all'accesso al prossimo concorso.
(5-06863)


      SIMONE VALENTE, BATTELLI e MANTERO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il Civico Museo Archeologico e della Città di Savona, inaugurato nel 1990 in occasione della riapertura di una parte della fortezza del Priamar, oggi ospita al suo interno reperti archeologici prevalentemente provenienti dalle campagne di scavo condotte dal 1956 ad oggi sull'intero Priamar e in altre aree della città da parte dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri dietro specifica concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
          nel corso degli anni il museo è stato ampliato grazie ad esposizioni che ripercorrono tutta la storia di Savona, raccogliendo testimonianze antiche dell'età del bronzo medio fino al collezionismo locale ottocentesco; si tratta di 1185 reperti: 1083 provenienti da scavi archeologici realizzati dall'Istituto internazionale di studi liguri, 50 di proprietà comunale, 21 di proprietà dell'Istituto di studi liguri, 31 di proprietà del Centro ligure per la storia della ceramica. L'intero apparato didattico nonché i contenuti scientifici sono stati elaborati dal personale del museo e dai ricercatori che hanno prestato gratuitamente il loro lavoro per realizzare una struttura di cui la città potesse fruire;
          in data 29 settembre 2015 veniva emesso dal comune di Savona un bando di gara per l'affidamento in concessione del servizio di gestione del Civico museo archeologico e della città di Savona della durata di due anni e rinnovabile per un ulteriore biennio; la scadenza di tale bando fissava al 30 ottobre la presentazione di domanda da parte dei soggetti interessati; il valore massimo stimato dell'appalto ammonta ad euro 206.506.00; sulla base dei dati storici il suddetto bando stima un incasso a favore del concessionario pari a euro 9.000, incasso derivante direttamente dalla bigliettazione e costituente integrazione del corrispettivo per il servizio di gestione del museo e delle attività connesse;
          in data 15 ottobre 2015 la presidente della commissione consiliare cultura del comune di Savona invitava in audizione i componenti della consulta comunale per il Priamar, organo tecnico del comune costituito da esperti designati dalle associazioni della consulta culturale savonese che da parecchi decenni conducono studi e ricerche, al fine di esaminare i contenuti di tale bando, ma la riunione si interrompeva con la motivazione che vi era il rischio di incorrere in turbativa d'asta;
          è bene precisare che in quella occasione d'incontro (e anche in altre sedi) la Consulta non ha fatto altro che ribadire quanto fosse opportuno sospendere e sostituire il bando in quanto considerato estremamente lacunoso e inadeguato;
          ed in effetti, anche l'organo che maggiormente a livello territoriale risulta deputato alla tutela e alla preservazione dei beni culturali non tarda a pronunziarsi: con lettera inviata in data 16 ottobre 2015 la Soprintendenza archeologica della Liguria avrebbe lamentato innanzitutto il mancato ricevimento del bando (in contrasto con quanto invece impone la normativa) e poi si sarebbe soffermata su tutta una serie di criticità insistenti sul bando; in primo luogo avrebbe chiarito la prerogativa (conferitale per legge) di verificare per i musei non statali la sussistenza, l'adeguatezza e la conformità delle garanzie necessarie riguardo alla sicurezza e alla conservazione nonché l'adeguamento alla normativa regionale per quanto riguarda la valorizzazione e la fruizione; in secondo luogo avrebbe manifestato dubbi sul rispetto delle normative che impongono obblighi di tutela e conservazione delle collezioni archeologiche statali che il nuovo gestore dovrebbe garantire su un patrimonio archeologico che rimane comunque di proprietà statale;
          infatti, ai sensi del decreto ministeriale 10 maggio 2001 (atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei), del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n.  42 (cosiddetto codice dei beni culturali) e delle relative circolari della direzione generale per l'antichità (n.  10 del 27 luglio 2011 e n.  576 del 28 gennaio 2014), il concessionario è tenuto a possedere i requisiti di qualificazione culturale e professionale necessari per custodire i reperti anche di proprietà statale e per poter richiedere concessione di ricerche o scavi archeologici  –:
          come mai la sovrintendenza archeologica della Liguria non sia stata chiamata preventivamente dal comune di Savona a esprimere una valutazione sul bando, pur essendone legittimata dalla normativa;
          se non ritenga opportuno far chiarezza sulla vicenda al fine di verificare e vigilare, per quanto di competenza, affinché siano rispettati tutti gli obblighi e i vincoli previsti dalle normative di settore nonché sia garantita la sussistenza dei requisiti di qualificazione culturale e professionale necessari per custodire i reperti di proprietà statale;
          in che modo intenda garantire, per quanto di competenza, la continuità di una esperienza e di una attività di ricerca rivelatasi vincente e che ha provveduto ad accrescere il valore del Museo. (5-06887)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BARONI, LUIGI GALLO, BRESCIA, SIMONE VALENTE, VACCA, MARZANA, D'UVA, BATTELLI, DAGA, VIGNAROLI, DI BATTISTA, LOMBARDI e RUOCCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto del Ministero per i beni culturali e ambientali del 21 ottobre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 febbraio 1996 n.  34, si è incluso il comprensorio «Ad duas lauros» fra le aree di interesse archeologico indicate all'articolo 1 lettera m), della legge 8 agosto 1985, n.  431;
          lo stesso decreto ministeriale indicava la perimetrazione e le vie interne sulle quali si sviluppava il suddetto comprensorio, ivi comprese le particelle catastali che ne erano parte integrante;
          la motivazione era chiaramente espressa a seguito del parere della Soprintendenza archeologica di Roma n.  4847 del 7 marzo 1994 che evidenziava come, fra le consolari Prenestina e Labicana, vi fosse un «comprensorio di particolare valore paesistico» che conservava «caratteristiche ambientali del paesaggio storico della campagna romana ad est di Roma» e che il «sopradescritto territorio contiene testimonianze innumerevoli di mausolei e sepolcri dell'età imperiale e repubblicana», oltre a tutta un'altra serie di «considerata» che rendono il luogo estremamente importante dal punto di vista archeologico;
          nelle more di approvazione del Piano territoriale paesistico regionale approvato nel 2008 (Bollettino ufficiale della regione Lazio n.  6 del 14 febbraio 2008) sono state prorogate, a più riprese, le norme di salvaguardia (l'ultima, del 14 febbraio 2015, fino al 14 febbraio 2016), che assumono efficacia cogente per i beni soggetti a vincoli di tutela paesistica: in essi ogni modifica dello stato dei luoghi è subordinata ad autorizzazione paesistica secondo l'articolo 11 delle norme sul Ptpr;
          con D.D.D. n.  986 del 20 aprile 2015 e stato autorizzato, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 160 del 2010, intervento di sostituzione edilizia in demolizione e ricostruzione con cambio di destinazione d'uso da non residenziale (industriale/artigianale) e non residenziale (commerciale), ai sensi dell'articolo 3-quater legge regionale 21 del 2009, con contestuale rilascio di autorizzazione amministrativa all'apertura di media struttura di vendita di complessivi metri quadrati 995,00 da realizzarsi in Roma, via di Acqua Bullicante n.  248 a favore della LIDL Italia S.r.l., con permesso a costruire a nome della Immobiliare Bullicante S.r.l.;
          la suddetta area ricade nelle zone riconosciute come «paesaggio naturale di continuità» e pertanto il taglio di tutte le alberature avvenuto in data 23 maggio 2015 ad apertura dei lavori, deve ritenersi palese alterazione dello stato dei luoghi per la perdita del patrimonio naturalistico caratterizzante il paesaggio soggetto a tutela, oltre che sprovvisto di tale autorizzazione paesistica;
          a seguito di una specifica richiesta, in data 17 giugno 2015 da parte della commissione urbanistica e ambiente del V Municipio, in data 3 luglio 2015, il presidente del V Municipio di Roma, Gianmarco Palmieri, sanciva l'immediata sospensione dei lavori, già iniziati, in via di autotutela, in quanto si era riscontrato che l'area in questione era ricompresa nel decreto ministeriale precedentemente citato, comprendendo aree vincolate più esterne al centro città, ma che la cartografia ad esso allegata escludeva «erroneamente», come recita l'ordinanza di sospensione, l'area su cui dovrebbe sorgere un supermercato LIDL con annesso parcheggio;
          con nota protocollo precedente del 23 giugno 2015, la n.  U 323, l'assessorato alle politiche del territorio, della mobilità e dei rifiuti della regione Lazio ha inoltrato una nota della direzione territorio, urbanistica, mobilità e rifiuti, area pianificazione paesistica e territoriale della regione Lazio, nella quale viene dichiarato che, a seguito di verifiche effettuate dalla competente area regionale, risulta «rilevata la difformità segnalata tra declaratoria del vincolo e graficizzazione» e «che si procederà alla rettifica della graficizzazione nelle procedure approvative del Ptpr, includendo l'area erroneamente rimasta esclusa»;
          in data 13 luglio 2015, in seguito a varie richieste e sollecitazioni, per quanto risulta agli interroganti la Soprintendenza archeologica di Roma, nella persona del responsabile del procedimento dottoressa Anna Buccellato, con nota protocollo n.  20128, avrebbe cercato di dirimere la questione dando la priorità alla planimetria piuttosto che alla perimetrazione attraverso toponomastica stradale, adducendo come motivazione il fatto che, quest'ultima, potrebbe sempre essere approssimativa e suscettibile di modifiche e che, nel caso specifico, «l'assenza di incrocio fra Via di S. Vito e Via di Villa S. Stefano non consente di chiudere la perimetrazione»;
          non risulta richiesta e, quindi non offerta, una risposta della Soprintendenza ai beni paesistici della regione Lazio quando risulta di tutta evidenza una discrepanza fra i confini del vincolo e le mappe del progetto LIDL;
          il parere della Soprintendenza archeologica di Roma comportava la nota protocollo 131302 della direzione territorio, urbanistica, mobilità e rifiuti, area pianificazione paesistica e territoriale della regione Lazio del 6 agosto 2015 che, prendendo atto della nota ministeriale, non avrebbe provveduto ad alcuna rettifica della tavola B del Ptpr;
          comportava, inoltre, che in data 11 agosto 2015 il Presidente del V Municipio, Gianmarco Palmieri revocasse la precedente ordinanza di sospensione dei lavori;
          nella nota protocollo suindicata, la n.  20128 della Soprintendenza, a quanto risulta agli interroganti non si fa, peraltro, alcun riferimento alla sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato 27 ottobre 2014 n.  5316 che ha affrontato un caso del tutto analogo. Nel dispositivo della sentenza in cui, come in questa fattispecie, si evidenziava «l'incongruenza tra i confini effettivi di un'area, come riportati in un decreto (parte normativa) e i confini riprodotti nella planimetria ufficiale (parte descrittiva): la quale svolge, del resto, una funzione meramente riproduttiva e figurativa della parte normativa dell'atto, che è quella che, innanzitutto, definisce l'ambito interessato dall'accertamento del pregio paesaggistico» si sottolineava, altresì come «prevalente la parte normativa su quella grafica», la quale, «di suo, deve rappresentare la fedele riproduzione dei dettati testuali provvedimentali, nel caso di specie quelli del più volte richiamato decreto»  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
          se il Ministro intenda assume iniziative per una revisione del parere in merito, tenendo conto della sentenza del Consiglio di Stato di cui manca traccia nella nota di protocollo espressa dalla Soprintendenza archeologica di Roma, e che apparirebbe all'interrogante come dirimente nella risoluzione di questa controversia in favore di una nuova e definitiva ordinanza di sospensione dei lavori. (4-10983)


      TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, MANNINO, DAGA, ZOLEZZI, DE ROSA, MICILLO, BUSTO e VIGNAROLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il 26 settembre 2015 il Corpo forestale dello Stato, su disposizione della procura di Macerata ha sottoposto a sequestro una superficie di 5 ettari gravata da tutela paesaggistica a Pievebovigliana, in provincia di Macerata, dove venivano accumulati senza autorizzazione materiali di scarto provenienti dalle gallerie della Quadrilatero;
          a maggio 2015 il Movimento 5 Stelle di Civitanova aveva già segnalato che, «proprio a ridosso del convento di San Francesco, su un tratto collinare, sono stati di recente rilevati dei lavori di sbancamento che, tra l'altro, hanno anche portato alla luce alcuni reperti archeologici di cui, però, ancora non si sa né l'origine né la provenienza. Insomma, nuovi movimenti e interventi di ruspe che prevedono lo stoccaggio di terre e rocce e, probabilmente, la realizzazione di una nuova collina composta da materiale di scarto, comunque in una zona naturalisticamente rilevante e ricca di elementi storici e archeologici da salvaguardare»;
          nel documento di certificazione di assetto territoriale inviato dal comune di Pievebovigliana, con protocollo n.  4055/2014, in risposta alla richiesta giunta da parte della regione Marche, protocollo n.  646511 del 12 settembre 2014, per una variante in corso d'opera per la sistemazione definitiva dei materiali di scavo in esubero e conseguente rimodellamento morfologico richiesto da Quadrilatero Umbria Marche SpA, si evince che l'area in oggetto possiede le seguenti caratteristiche, destinazioni e vincoli:
          in base alle prescrizioni del vigente piano regolatore generale (Prg) adeguato al piano paesistico ambientale regionale (Ppar) e al Piano territoriale di coordinamento (Ptc) è individuata come zona agricola di salvaguardia paesistico-ambientale «EA» – (l'articolo 32 delle note tecniche di attuazione): tali zone riguardano quelle parti del territorio agricolo nelle quali, per la presenza di elementi naturali da tutelare (corsi d'acqua, zone a rischio di esondazione per piene eccezionali, varchi fluviali, elementi naturali di particolare valore, emergenze geologiche), di elementi del patrimonio storico-culturale da salvaguardare (centri e nuclei storici, edifici e manufatti, aree archeologiche), di condizioni di instabilità in atto o potenziali (aree soggette a dissesti e versanti con pendenza superiore al 30 per cento), di particolari elementi del sottosistema botanico – vegetazionale (confluenze fluviali, boschi, boschetti e gruppi arborei, boschi riparali ed aree golenali, pascoli oltre i 700 metri, aree umide) il Piano pone particolari limitazioni agli interventi edificatori ed a quelli di sostanziale modificazione delle caratteristiche ambientali;
          i mappali interessati all'intervento ricadono, quasi interamente in un'area tutelata per legge ai sensi dell'articolo 142, comma 1, del decreto legislativo n.  42 del 2004 nella categoria c) «i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n.  1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna»;
          l'area ricade nell'ambito di tutela paesaggistica di cui alla deliberazione amministrativa del Consiglio regionale n.  8 del 23 dicembre 1985 (Galassino regionale);
          il Ppar individua la zona in oggetto come area «C» – relativa a unità di paesaggio che esprimono la qualità diffusa del paesaggio regionale nelle molteplici forme che lo caratterizzano: torri, case coloniche, ville, alberature pievi, archeologia produttiva, fornaci, borghi e nuclei, paesaggio agrario-storico emergenze naturalistiche (articolo 20 delle note tecniche di attuazione del Ppar), in cui gli strumenti di pianificazione territoriale seguono i seguenti indirizzi generali di tutela: «deve essere graduata la politica di tutela in rapporto ai valori e ai caratteri specifici delle singole categorie di beni, promuovendo la conferma dell'assetto attuale ove sufficientemente qualificato o ammettendo trasformazioni che siano compatibili con l'attuale configurazione paesistico-ambientale o determinino il ripristino e l'ulteriore qualificazione» (articolo 23 delle note tecniche di attuazione del Ppar);
          ricade in un'area classificata «V» di alta percettività visuale relativa alle vie di comunicazione ferroviarie, autostradali e stradali di maggiore intensità di traffico (articolo 20 delle note tecniche di attuazione del Ppar), dove deve essere attuata una politica di salvaguardia, qualificazione e valorizzazione delle visuali panoramiche percepite dai luoghi di osservazione puntuali o lineari (articolo 23 del P.P.A.R.);
          ricade quasi interamente all'interno di un ambito di tutela dei corsi d'acqua (articolo 29 del piano paesaggistico ambientale regionale – articolo 23 del Piano territoriale di coordinamento e articolo 37. 2 delle note tecniche di attuazione del Piano regolatore regionale);
          ricadono negli ambiti di tutela «Pianura alluvionale» e «Pianura alluvionale antica terrazzata» (articolo 27 del Piano territoriale di coordinamento e articolo 37.5.2 delle note tecniche di attuazione del Piano regolatore regionale);
          in base al Piano territoriale di coordinamento ricade all'interno dell'area individuata come «confluenza fluviale» (articolo 43.1 delle note tecniche di attuazione del Piano regolatore regionale), area sottoposta alle norme di tutela integrale di cui all'articolo 23.10-bis delle note tecniche di attuazione Piano territoriale di coordinamento);
          la regione Marche, nella delibera di giunta n.  1278 del 17 novembre 2014, approva il progetto di variante in corso d'opera, ponendo tra le condizioni necessarie l'acquisizione del parere della Soprintendenza per i beni archeologici delle Marche e l'autorizzazione paesaggistica di cui all'articolo 146 del decreto legislativo n.  42 del 2004;
          da fonti a stampa si apprende che l'autorizzazione paesaggistica non sia stata rilasciata;
          contestualmente, si dichiara che il progetto non contrasta con il Piano regolatore regionale del comune di Pievebovigliana in quanto l'area, una volta terminati i lavori di accumulo del materiale, tornerà ad avere destinazione agricola e ritenendo i materiali stoccati assimilabili a «materiali di base della pratica agricola» e quindi non in contrasto con quanto previsto dall'articolo 43.1 del Piano territoriale di coordinamento che in quelle particelle ricadenti nell'ambito definito «Confluenza fluviale» vieta la realizzazione di depositi e stoccaggi di materiali non agricoli;
          l'assimilabilità dei materiali da scavo, che sono stati abbancati, con materiali di base della pratica agricola non risulta essere supportata da alcuno studio e l'originale orografia dell'area non giustifica tale intervento di rimodellamento del piano di campagna;
          attualmente l'area sembrerebbe essere stata dissequestrata  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa;
          se il ministro interrogato sia in grado di confermare l'assenza dell'autorizzazione della sovrintendenza, come previsto e richiesto invece dalla delibera regionale sopracitata e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-10986)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


      SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'8 giugno 2015 è entrato in vigore il regolamento europeo sulle commissioni interbancarie (regolamento (UE) n.  2015/751), relative alle carte di credito e di debito, volto a garantire maggiore concorrenza nei pagamenti elettronici e quindi ridurre i costi per esercenti e consumatori;
          il regolamento prevede, tra le varie misure, un tetto sulle commissioni bancarie (interchange fee) dello 0,2 per cento della transazione per le carte di debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito;
          il calo dell’interchange fee dovrebbe ridurre i costi a carico dei commercianti di circa 6 miliardi di euro all'anno e rilanciare l'uso dei pagamenti elettronici, con potenziali benefici per i consumatori, derivanti dagli sconti che i commercianti sono incentivati a fare in ragione della riduzione dei costi a loro carico;
          ai sensi del regolamento, solo alcune tipologie di carte di pagamento (i «sistemi a quattro parti» come Visa e Mastercard) ricadrebbero nell'ambito di applicazione della proposta di regolamento, mentre altre ne resterebbero escluse (i «sistemi a tre parti» come American Express). Questa previsione potrebbe generare effetti distorsivi sulla concorrenza, rischiando di vanificare gli obiettivi di maggiore trasparenza e riduzione dei costi per i commercianti che l'Unione europea sta cercando di perseguire;
          il regolamento consente inoltre agli Stati membri di esentare dall'applicazione del tetto alle commissioni interbancarie i sistemi a 3 parti quando operano come sistemi a 4 parti (cioè con concessionario, agente o partner co-brand);
          tale scelta potrebbe portare i partner bancari ad emettere prevalentemente questo tipo di carte per i propri clienti, più remunerative perché non sottoposte al tetto sulle commissioni, e di conseguenza spingere i consumatori ad utilizzare maggiormente tali carte, aumentando i costi per i commercianti (ad oggi, i costi di accettazione per i commercianti relativi ai sistemi a 3 parti sono sensibilmente più alti rispetto ai costi di accettazione relativi ai sistemi a 4 parti), in contrasto con l'obiettivo principale del regolamento, cioè la riduzione dei costi di accettazione (le cosiddette MSC, merchant service charges) per la categoria;
          si apprende che nel prossimo disegno di legge di delegazione europea 2015 che, tra le altre misure normative, conterrebbe una delega ad adeguare la normativa nazionale in vista dell'entrata in vigore del regolamento sulle commissioni interbancarie, il Governo sarebbe intenzionato ad esentare gli schemi di pagamento a 3 parti, anche quando operano con concessionario, agente o partner co-brand, dall'applicazione del regolamento, seppur per un periodo limitato di tempo;
          tale decisione rischia di avere ricadute negative sulla sostenibilità dei pagamenti elettronici, azzerando i benefici per commercianti e consumatori finali  –:
          se sia a conoscenza di quanto esposto e se intenda promuovere l'applicazione di un uguale trattamento normativo tra i diversi sistemi di carte di pagamento, al fine di evitare che si verifichino gli effetti distorsivi sulla concorrenza citati in premessa, nonché quali iniziative intenda adottare al fine di assicurare che la proposta normativa non abbia conseguenze negative per i consumatori e i piccoli commercianti e non comporti ripercussioni negative nella lotta all'economia sommersa. (5-06876)


      PESCO, ALBERTI, PISANO, FICO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          nelle interrogazioni n.  5-06476 del 24 settembre 2015 e n.  5-06600 del 7 ottobre 2015 gli interroganti hanno evidenziato, facendo riferimento a fonti di stampa, possibili anomalie giuridico-regolamentari nel reclutamento di persone che rivestono cariche dirigenziali all'interno dell'Agenzia delle entrate;
          in pratica, attraverso un'arbitraria interpretazione del dettato normativo (di dubbia legittimità a detta degli interroganti), l'Agenzia ha sfruttato lo stato di aspettativa di propri funzionari al fine di considerarli apparentemente esterni all'ente per poi applicare l'articolo 19, comma 6, del decreto-legge n.  165 del 2001, che consente l'assunzione di dirigenti direttamente dall'esterno, in quota non superiore al 10 per cento dell'organico dirigenziale totale;
          all'interrogazione n.  5-06476 è seguita la risposta in Commissione da parte del sottosegretario De Micheli, con la quale, a giudizio degli interroganti, non è stata smentita la notizia riportata dalle fonti di stampa citate e dunque la pratica posta in essere dall'Agenzia;
          a parere degli interroganti, la procedura seguita per la nomina di dirigenti esterni da parte dell'Agenzia appare del tutto non conforme alla normativa vigente in quanto l'amministrazione finisce per sfruttare una legge finalizzata a dotare gli enti di professionalità esterne solo nel momento in cui le stesse non sono rilevabili all'interno dell'ente; tutto ciò di fatto porta a «promuovere» un funzionario effettivo dell'Agenzia delle entrate a dirigente senza passare attraverso la procedura concorsuale, eludendo peraltro i principi contenuti nella nota sentenza della Corte Costituzionale 37/2015, nonché integrando un danno alla collettività e, soprattutto, di potenziali aspiranti;
          in data 29 ottobre 2015, la rivista Panorama pubblicava, a pagina 60, un trafiletto dal titolo «Dopo le cartelle pazze, le nomine pazze – Il caso della dipendente che viene messa in aspettativa per poter essere riassunta come dirigente dell'Agenzia», a firma Stefano Caviglia, dove si legge: «Può un dipendente pubblico essere assunto come dirigente esterno a tempo determinato dalla stessa amministrazione presso cui è appena stato collocato in aspettativa, si perdoni il gioco di parole, come interno a tempo indeterminato? A occhio si direbbe di no, ma esattamente questo è successo, a quanto risulta a Panorama, al direttore aggiunto all'accertamento dell'Agenzia delle entrate Emiliana Bandettini, fedelissima del direttore Rossella Orlandi: il 3 novembre 2014 Bandettini è stata posta in aspettativa proprio “per consentirle di assumere l'incarico di vertice” che oggi occupa. Al momento di questo strano “switch” c'era grande attesa per la sentenza della Corte Costituzionale che, giunta a marzo 2015, ha imposto l'immediata retrocessione a funzionario degli oltre 800 dirigenti nominati negli anni senza concorso. Tutti tranne uno: Bandettini, appunto, che essendo stata assunta dall'esterno era già fuori dal raggio d'azione della sentenza. È un esempio delle prassi seguite per le promozioni che mandano su tutte le furie i critici della Orlandi. Ultimo caso, la nomina del direttore Calabrò, il 22 ottobre scorso, effettuando saltando la normale procedura, ancora una volta in modo discrezionale»;
          in sostanza, l'articolo di Panorama evidenzia la singolare condotta dell'Agenzie delle entrate nel nominare dirigenti, attraverso quello che gli interroganti ritengono un artificio come già denunciato, negli atti di sindacato ispettivo di cui sopra, ed indica come destinatario del trattamento la dottoressa Emiliana Bandettini;
          con il recente decreto legislativo 24 settembre 2015, n.  157 è stato autorizzato l’iter per la nomina di posizioni operative speciali (POS), per far fronte all'emergenza di mancanza di figure dirigenziali falcidiate dalla sentenza n.  37 del 2015 della Corte costituzionale; si rammenta che le POS sono in pratica equiparabili ad incarichi dirigenziali, sia per retribuzioni sia per funzioni svolte, e quindi la nomina delle stesse inficia a tutti gli effetti le conseguenze della sentenza della Corte costituzionale;
          dalla risposta ad una recente interrogazione si apprende poi che le procedure per l'assegnazione delle POS, sono giunte alla fase finale del colloquio orale (a detta degli interroganti, al quanto poco oggettivo), dopo l'espletamento delle soluzioni per quiz;
          visto il bando di selezione, si evidenzia che la scelta dei dipendenti idonei per diventare POS sarà oggetto di diverse commissioni valutatrici (con quiz e colloqui motivazionali), ma che in ultima istanza sarà cura del direttore della Agenzia delle entrate scegliere il candidato tra quelli proposti dalle commissioni valutatrici; difatti, al superamento dell'unica prova oggettiva, il quiz, ed il colloquio, le commissioni invieranno al direttore dell'agenzia 3 nomi tra i quali lo stesso direttore potrà scegliere, in totale autonomia e arbitrio, la persona più adatta a rivestire il ruolo di POS;
          oltre a questi aspetti, che già di per sé manifestano secondo gli interroganti, una totale arbitrarietà nella nomina delle POS, dal sito intranet dell'Agenzia delle entrate, dove è stato pubblicato l'elenco delle commissioni che valuteranno le prove dei dipendenti che si candideranno per ricoprire le posizioni organizzative speciali decise con il decreto, si apprende un fatto ancor più grave, ossia che la sopra indicata dottoressa Emiliana Bandettini risulterebbe presidente della commissione 10, la commissione incaricata di selezionare le POS per l'ufficio ruling, uno degli uffici più delicati; il ruling internazionale, infatti, è lo strumento con il quale le aziende estere e nazionali che hanno rapporti con l'estero, superiori ad una certa dimensione aziendale, possono concordare con l'amministrazione finanziaria un determinato trattamento fiscale, per di più agevolato grazie anche agli ultimi interventi normativi messi in atto dal Governo;
          nonostante le osservazioni sopra evidenziate, la suddetta funzionaria, a cui è stato assegnato un incarico dirigenziale esterno con modalità del tutto anomale, ad avviso degli interroganti non può essere considerata una dirigente dell'Agenzia delle entrate e dunque non potrebbe ricoprire il ruolo di presidente di una delle Commissioni deputate alla valutazione dei funzionari della medesima Agenzia  –:
          alla luce di quanto indicato in premessa, se, in linea di principio, un dipendente pubblico possa essere assunto come dirigente esterno a tempo determinato dalla stessa amministrazione, nel caso di specie l'Agenzia delle entrate, presso cui risulta funzionario di ruolo grazie alla sua collocazione in aspettativa e, visti gli specifici presupposti che richiede il citato articolo 19, comma 6, per assegnare un incarico dirigenziale, in quali dei casi indicati dalla norma rientrerebbe la dottoressa Bandettini, considerato che tali incarichi possono essere conferiti solo a «persone di particolare e comprovata qualificazione professionale non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione», dotate di «esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali» nonché di «particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche». (5-06877)


      PELILLO e BURTONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          nella seduta del 1o luglio 2015 il Governo ha accolto l'ordine del giorno a prima firma dell'interrogante n.  9/3134-A/8, come modificato, con il quale si impegnava l'Esecutivo a valutare l'opportunità di promuovere idonee iniziative volte a chiarire il regime di applicazione della tassazione separata nei casi di erogazione di ammortizzatori in deroga valutando la possibilità di applicare una modifica a tale regime;
          il 7 maggio 2015 è stato effettuato l'ultimo riparto da parte dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze concernente le risorse attribuite alle regioni per la chiusura delle spettanze relativamente all'anno 2014 per i percettori degli ammortizzatori in deroga;
          tali risorse sono andate a coprire i periodi spettanti ai lavoratori in cassa integrazione e mobilità in deroga suddivisi ai sensi del decreto ministeriale 83743 del 10 agosto 2014; poiché mediamente si è trattato di 4-5 mensilità arretrate e in alcune regioni anche di periodi più lunghi (7-8 mensilità), di fatto si tratta di risorse importanti per lavoratori e famiglie allo stremo delle loro forze;
          questo ritardo, ovviamente, non è certo imputabile ai lavoratori e già nel 2014 per spettanze del 2013 si era verificato un ritardo nei tempi di assegnazione e riparto delle risorse;
          le spettanze erogate dall'Inps sono di competenza dell'anno precedente e quindi l'istituto in qualità di sostituto d'imposta, nei confronti dei percettori di tali indennità di sostegno al reddito, applica il metodo della tassazione separata;
          è stata quindi applicata l'aliquota del 23 per cento come previsto dal Tuir, ma nel contempo, essendo somme riferite all'anno precedente, non sono state riconosciute le detrazioni d'imposta e ciò ha determinato una evidente iniquità, in quanto fa applicare una imposta alta su queste indennità ricevute in ritardo;
          nel caso riportato in premessa su quattro mensilità l'applicazione di questo regime ha ridotto di un quarto il sostegno al reddito effettivamente ricevuto, cioè una mensilità è tornata allo Stato sotto forma di tasse penalizzando ingiustamente i lavoratori;
          tale situazione rischia ora di ripetersi poiché in alcune regioni sono stati chiusi accordi per il pagamento di ulteriori mensilità del 2014;
          alcuni patronati ed organizzazioni sindacali, per questi lavoratori hanno chiesto di inoltrare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, del Tuir, la richiesta di rimborso, ma, ove fosse accettata, questa verrebbe comunque riconosciuta dopo anni e comunque non risolverebbe la questione di una evidente ingiustizia perpetrata ai danni di queste platee già fortemente penalizzate;
          il ritardo nella corresponsione dell'indennità di mobilità assume quel carattere fisiologico che, come espressamente riportato nella circolare del 5 febbraio 1997, n.  23, costituisce circostanza che esclude l'applicazione del regime della tassazione separata;
          si tratta di un caso che pone un evidente problema di equità anche in considerazione della platea disagiata su cui va ad incidere  –:
          se sia a conoscenza di tale situazione e quali iniziative intenda adottare per evitare che suddette platee di lavoratori vengano ulteriormente penalizzate dando seguito all'impegno assunto con l'ordine del giorno e convocando un tavolo tecnico, anche al fine di individuare eventuali soluzioni normative. (5-06878)


      PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il nostro è il Paese che gioca di più in Europa, terzo al mondo dopo Stati Uniti e Giappone, e pur rappresentando solo l'1 per cento della popolazione mondiale, vanta il triste primato di coprire il 23 per cento del mercato mondiale di gioco on line ed il 4,4 per cento di tutti i restanti giochi, con una spesa lorda pro capite in giochi passata dai 335 euro del 2001 agli oltre 1.400 euro nel 2012; riguardo al profilo personale dei giocatori, il 70,8 per cento di loro svolge un lavoro a tempo indeterminato, l'80,2 per cento svolge un lavoro saltuario o è precario, mentre l'86,7 per cento è sotto cassa integrazione;
          nella suddetta classifica il record più raccapricciante del nostro Paese è quello legato alle cosiddette vincite istantanee, i «Gratta e Vinci», che con una percentuale di biglietti venduti pari al 19 per cento, vanta il primato mondiale assoluto;
          il boom delle varie forme di gioco d'azzardo ha assunto negli ultimi anni una dimensione massiccia e, soprattutto, si sono sviluppate forme assai diffuse di vera e propria patologia sociale, che colpiscono fasce di popolazione particolarmente vulnerabili, come i pensionati a basso reddito, come si è visto, disoccupati e precari, con un crescente coinvolgimento di giovani: tutto ciò impone un'inversione di rotta sia politica sia culturale;
          il Governo, nonostante sia stato impegnato da alcune risoluzioni parlamentari ad incrementare gli sforzi per contrastare il gioco d'azzardo, ad introdurre il divieto della pubblicità del gioco d'azzardo e ad ampliare i poteri di sindaci e assessori nella lotta al fenomeno e destinare i proventi delle sanzioni e delle attuali concessioni alla lotta alle dipendenze, con la recente manovra finanziaria 2016, per fini di pura cassa, al contrario, dimostra un atteggiamento benevolo nei confronti di concessionari, gestori ed esercenti, al fine di far proliferare ulteriormente e capillarmente i punti di vendita ed i punti di gioco  –:
          quanti siano i biglietti del tipo «Gratta e Vinci» (vincite istantanee) venduti negli anni 2012, 2013 e 2014, quale gettito complessivo abbiano garantito alle casse erariali ed attraverso quali canali di distribuzione si sia perfezionata la loro vendita. (5-06879)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CARRESCIA, MANZI, MORANI, D'INCECCO, ROMANINI e BRATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il fondo interbancario di garanzia interviene per tutelare l'affidabilità del sistema bancario italiano, la cui storia è caratterizzata dall'assenza di fallimenti bancari;
          il fondo è attualmente impegnato in relazione all'amministrazione straordinaria della Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca Marche, Banca dell'Etruria e della Cassa di Risparmio di Chieti;
          la finalità dell'intervento del fondo è il rimborso dei depositanti e lo stesso può adottare misure alternative, anche relative alla ricapitalizzazione, a condizione che il costo complessivo delle operazioni alternative sia inferiore a quello del rimborso;
          permette interventi che risultano quanto mai urgenti e necessari; l'eventuale rimborso integrale dei depositanti delle quattro banche sopra citate comporterebbe un utilizzo di risorse di cui il fondo interbancario attualmente non dispone come ha dichiarato il Presidente, avvocato Salvatore Maccarone, nel corso di un'audizione in Senato il 27 ottobre 2015;
          la disciplina attuale prevede la restituzione alle banche degli apporti al fondo, mentre nel nuovo regime derivante dall'adozione degli schemi di decreto legislativo attuativi delle direttiva BRRD (Bank Ricovery and Resolution Directive) i conferimenti rappresentano un costo per gli istituti di credito;
          a legislazione vigente il fondo può disporre degli affidamenti delle prime sette banche italiane per intervenire a sostegno delle citate banche in difficoltà;
          sempre alla luce di quanto emerso nella citata audizione, per l'aumento di capitale, già deliberato dall'assemblea della Banca di Ferrara, il Fondo ha già predisposto le risorse per intervenire e individuato i componenti del consiglio di amministrazione, ma tale intervento non è effettuabile in quanto la Commissione europea – direzione generale concorrenza dell'Unione sugli aiuti di Stato – ritiene che l'intervento del Fondo interbancario debba limitarsi al rimborso dei depositanti considerando aiuto di Stato un sostegno alla banca in difficoltà;
          lo statuto del Fondo prevede che le partecipazioni acquisite vengano successivamente cedute nel medio periodo in quanto esso agisce in una logica di salvataggio della banca e non di investimento e non comportano l'utilizzo di risorse pubbliche;
          quella degli uffici della Commissione europea è un'interpretazione, a parere dello stesso avvocato Maccarone, molto discutibile, permanendo la quale, peraltro, in assenza di specifici interventi, risulta difficile assicurare la sopravvivenza delle banche citate fra le quali il più importante Istituto bancario marchigiano ed uno dei più importanti a livello nazionale quale la Banca delle Marche; il commissariamento terminerà il 31 dicembre;
          è anche da sottolineare, nei confronti della Commissione europea, che, da notizie di stampa, sembra che essa sia vicina a dare l’«ok» alla bad bank per il salvataggio della banca tedesca Hsh Nordbank, che è controllata all'85 per cento dai Lander di Amburgo e SchleswigHolstein; in sostanza, mentre si frappongono ostacoli all'azione del fondo interbancario, la Commissione, come da indiscrezioni riportate nei giorni scorsi da Bloomberg, dà un via libera di massima al piano di ristrutturazione che prevede il trasferimento di crediti deteriorati di Hsh Nordbank i cui asset finirebbero ad un soggetto giuridico di proprietà dei due Lander coinvolti. Nel 2009 i Lander di Amburgo e SchleswigHolstein (nel nord della Germania, al confine con la Danimarca) per salvare la banca hanno concesso 3 miliardi di euro di capitale e 10 miliardi di garanzie, a cui si sono giunti altri 17 miliardi di garanzie da parte del fondo di sostegno tedesco Soffin.  Gli aiuti sono stati approvati dalla Commissione europea nel 2011, prima della stretta sulla normativa dell'Unione europea in tema di aiuti di Stato, che dal 2013 ha imposto la partecipazione alle perdite di azionisti e creditori junior in caso di salvataggi pubblici. Queste regole (sostenute dalla Germania, ma solo dopo oltre 250 miliardi di aiuti versati da Berlino alle banche nazionali) se rigidamente intese renderebbero oggi difficile la nascita di un asset management company in Italia ed il salvataggio degli istituti in difficoltà;
          l'intervento immediato del fondo interbancario nella situazione dell'istituto di credito marchigiano darebbe anche la possibilità di mantenere importanti livelli di governance della banca ancorati al territorio in cui la stessa è nata e si è sviluppata e con il quale non possono essere recise quelle relazioni che sono fondamentali per un proficuo rapporto con un tessuto economico caratterizzato da tantissime micro, medie e piccole imprese (nella regione Marche sono iscritte ai registri delle camere di commercio oltre 160.000 imprese alle quali si aggiungono circa 20.000 iscritti agli ordini delle professioni direttamente connesse al mondo imprenditoriale quali commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, ingegneri, architetti, geometri, agronomi, periti e altro nonché alcune migliaia di dipendenti della Banca stessa)  –:
          se ritenga che la questione della valutazione dell'intervento del fondo interbancario quale aiuto di Stato da parte della Commissione europea meriti una particolare attenzione ed una decisa presa di posizione verso l'interpretazione data dalla direzione generale concorrenza dell'Unione sugli aiuti di Stato della Commissione europea e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere per consentire il superamento delle situazione di crisi e la definizione di nuovi assetti di Banca Marche e della Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca dell'Etruria e della Cassa di Risparmio di Chieti, istituti oggi commissariati. (5-06891)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MOSCATT. – Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. – Per sapere – premesso che:

      il fenomeno dei ritardi di pagamento della pubblica amministrazione assume dimensioni che non hanno pari rispetto agli altri Stati europei. Alcune ricerche confermano che per pagare i suoi fornitori lo Stato italiano impiega 41 giorni in più della Spagna, 50 giorni in più del Portogallo, 82 giorni in più della Francia, 115 giorni in più della Germania e 120 giorni in più del Regno Unito;

      i dati illustrati, qualche giorno fa, da Bankitalia confermano, che malgrado gli sforzi del Governo, non risulta essere risolto l'ingente stock di debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese fornitrici, che resta pari a ben 71,6 miliardi di euro;

      l'Unione europea considera prioritaria tale problematica, tant’è che con una direttiva, non ancora recepita dall'Italia, riconosce ai creditori gli interessi di mora sui ritardi nei pagamenti;

      i ritardi nei pagamenti generano enormi difficoltà nelle aziende, generano incertezze e scetticismo e quindi scoraggiano le assunzioni e gli investimenti ed in taluni casi diventano la principale causa di fallimento;

      per il rilancio dell'economia, il sostegno alle imprese e la crescita dell'occupazione è necessario che i creditori vengano pagati in tempi consoni –:

      quali iniziative il Governo intenda assumere per superare questo gravoso problema;

      se si ritenga opportuno assumere iniziative per velocizzare l’iter di recepimento della direttiva europea sopra citata.
(4-10965)


      PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la legge 15 dicembre 2014, n.  186 in materia di emersione e rientro dei capitali detenuti all'estero e auto-riciclaggio, ha introdotto la procedura di volontaria collaborazione, ovvero una procedura di collaborazione volontaria per la denuncia delle attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio nazionale e per altre violazioni in materia fiscale;
          la nuova procedura prevista attiene a violazioni commesse fino al 30 settembre 2014 e potrà essere utilizzata fino al 30 novembre 2015 (in origine 30 settembre), a seguito della proroga prevista dal recente decreto-legge 153 del 2015  –:
          quale risulti ad oggi l'andamento delle richieste di adesione alla procedura di cui in premessa, con particolare riferimento ai seguenti dati, raggruppati per competenza dei singoli Uffici territoriali:
              a) numero delle istanze pervenute al 31 ottobre 2015, per Stato estero di detenzione dei capitali dichiarati;
              b) ammontare dei capitali dichiarati di provenienza estera come da sezione II del modello di dichiarazione di accesso alla VD;
              c) ammontare dei capitali dichiarati di provenienza nella sezione IV della medesima dichiarazione;
              d) ammontare di imposte e sanzioni liquidate dall'Agenzia delle entrate sugli imponibili dichiarati;
              e) gettito riscosso. (4-10974)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


      TONINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          i disservizi lungo le linee ferroviarie del cremonese, e in particolare lungo la tratta Cremona-Treviglio-Milano, sono da tempo in una situazione di disagio che, andando progressivamente peggiorando, è degenerato nell'insostenibilità. Da tempo i cittadini denunciano uno stato di disservizi tale per cui non vi sarebbe una sola corsa puntuale, con ritardi che diventano sempre più insopportabili specialmente per i numerosi utenti che utilizzano la linea per ragioni di lavoro; situazione alla quale si aggiunge quella delle numerose corse che vengono sistematicamente soppresse. Il contratto con Trenord, scaduto il 31 dicembre 2014, è stato rinnovato fino al 2020, in assenza una compiuta valutazione dell'efficienza del servizio e in assenza di un bando di gara a livello europeo per migliorare complessivamente e strutturalmente il servizio. La scelta del rinnovo del contratto di servizio per tempi di 3 o 5 anni impedisce la programmazione degli investimenti necessari che siano ammortizzabili nel corso degli anni e del rinnovo del parco mezzi, ovvero degli obsoleti locomotori diesel che si trovano nel deposito di Cremona;
          nella giornata del 30 ottobre 2015 si è verificato infine l'ultimo intollerabile episodio: a causa di un guasto alla linea elettrica tra Crema e Casaletto Vaprio, molti convogli sono stati cancellati oppure dirottati lungo la linea Milano-Codogno-Cremona, e sul treno partito da Treviglio e poi rimasto fermo intorno alle ore 14,00 alle porte del comune, gli utenti, rimasti per lungo tempo in attesa e senza informazioni sui tempi per il ripristino della viabilità, hanno iniziato ad uscire dal treno attraverso i finestrini, fino a quando gli stessi utenti non hanno aperto le porte dei convogli del treno usando le maniglie antipanico. Gli utenti — bambini e anziani compresi — hanno quindi dovuto attraversare i campi costeggiando il canale Vacchelli per raggiungere la stazione. Di fronte a questo ennesimo episodio si rende quindi ancor più manifesta la necessità e l'urgenza di un intervento in quest'ambito  –:
          se il Ministro sia a conoscenza della situazione illustrata in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, sia di immediata urgenza, sia a livello di pianificazione e programmazione, intenda assumere in merito. (3-01817)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la strada statale 7 Ferrandina-Matera è una delle arterie più importanti del Mezzogiorno, in quanto collega dallo svincolo della strada statale 407 Basentana la città di Ferrandina a Matera;
          la strada in questione è ad unica carreggiata a doppio senso di marcia ed è la porta di accesso alla città di Matera ormai da un anno nominata capitale europea della cultura per il 2019;
          sempre più turisti percorrono questa arteria che ha fatto registrare un incremento notevole di traffico;
          nel mese di luglio con l'interrogazione n.  5-05928 l'interrogante aveva già posto la questione della sicurezza della strada statale 7 Matera-Ferrandina;
          da allora la situazione si è ulteriormente aggravata e l'approssimarsi della stagione invernale e delle precipitazioni atmosferiche non migliora le prospettive;
          a destare profonda preoccupazione è il fondo stradale sconnesso e ormai pericolosissimo con avvallamenti e con micidiali «gradini» soprattutto nel tratto compreso tra Pomarico e Miglionico;
          si tratta d'un tratto insicuro e a rischio incidenti che non sono purtroppo infrequenti;
          gli amministratori locali dei comuni interessati hanno sollevato da tempo la questione e chiedono anche la fattibilità di un raddoppio dell'arteria  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere affinché l'Anas metta in sicurezza in particolare il tratto tra Pomarico e Miglionico e garantisca una migliore segnaletica considerata l'enorme mole di traffico quotidiano. (5-06856)


      COLLETTI, DEL GROSSO e VACCA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          dal 1o luglio 2015 sul tabellone luminoso all'ingresso della galleria sulla tangenziale al confine tra Pescara e Montesilvano, direzione Montesilvano, è spesso presente il messaggio: «Alt fermarsi, elevato valore inquinanti in galleria», affiancato a un gigante segnale di divieto d'accesso;
          tale allarme si ripete all'uscita del tunnel, proseguendo verso est, indicando lo stesso divieto per la galleria I Pianacci che porta al bivio per Montesilvano Colle;
          nel secondo caso chi percorre la tangenziale può scegliere di evitare di infilarsi nel tunnel definito «inquinato» svoltando verso l'uscita di Pescara Nord/Montesilvano Sud, seppur con una manovra che potrebbe risultare troppo repentina e pericolosa. Nel primo caso citato è invece impossibile. Il tabellone, infatti, è posto a pochissimi metri dalla galleria mentre l'unica «via di fuga», l'uscita per Pescara Colli, si trova almeno un chilometro prima e lì l'Anas non ha posto nessuna indicazione;
          risulta agli interroganti, da diverse segnalazioni, che numerosi cittadini, davanti all'allerta hanno istintivamente «inchiodato», per poi dover forzatamente imboccare il tunnel «vietato» e tale pratica è ovviamente molto pericolosa per l'incolumità di tutti coloro che percorrono quella strada;
          inoltre, nonostante il cartello di divieto di accesso, non risulta che la galleria sia veramente chiusa al traffico  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti in premessa e, se la galleria è effettivamente aperta, quali siano le ragioni che hanno portato all'introduzione di una segnaletica così pericolosa per l'incolumità pubblica;
          se il Ministro intenda intraprendere iniziative al fine di chiarire se vi siano concreti pericoli per la salute pubblica in prossimità o all'interno della galleria e se intenda assumere iniziative e acquisire dati sull'inquinamento all'interno della galleria stessa. (5-06870)


      SPESSOTTO e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in riferimento all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n.  3-01764 a prima firma dell'interrogante, avente per oggetto la vicenda del pignoramento dei conti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, legata al lodo Longarini, il quesito posto in merito a quali fossero le missioni, i programmi e i capitoli di spesa di pertinenza del Ministero oggetto di pignoramento non ha ricevuto in quella sede adeguata risposta da parte del Ministro interrogato;
          in risposta al citato atto di sindacato ispettivo, il Ministro, pur ammettendo l'evidenza del danno da pignoramento, in attesa delle decisioni della magistratura sulla procedura di arbitrato attualmente in corso, ha di fatto omesso di specificare le eventuali riduzioni di autorizzazioni di spesa da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, conseguenti all'accantonamento delle somme ministeriali presso la Banca d'Italia, oggetto di pignoramento;
          nel ricorso in Cassazione contro l'esecuzione della sentenza della Corte d'appello di Roma e del lodo arbitrale a favore di Longarini, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, lamenta che dall'esecuzione del lodo e della menzionata sentenza deriverebbe un danno grave e irreparabile per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in quanto l'enorme importo della pronuncia di condanna rischierebbe di paralizzare l'esecuzione di opere pubbliche di rilevante interesse strategico nazionale, come rappresentato dal Ministero, determinando altresì la perdita di circa 40 mila posti di lavoro  –:
          se il Ministro interrogato possa indicare l'ammontare esatto delle somme esistenti sui conti riferiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti attualmente accantonate presso la Banca d'Italia, ed evidenziare altresì nel dettaglio, le eventuali riduzioni di autorizzazioni di spesa di pertinenza del Ministero, con indicazione delle missioni, dei programmi e dei capitoli oggetto delle suddette riduzioni.
(5-06875)


      GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di luglio 2014 è stato sottoscritto ad Arezzo, dagli assessori regionali alle infrastrutture e ai trasporti della regione Toscana Vincenzo Ceccarelli e della regione Umbria Silvano Rometti, l'accordo tra la Toscana e l'Umbria per la realizzazione di uno studio di fattibilità della stazione Medioetruria per l'alta velocità sul tracciato della direttissima Roma-Firenze;
          tale stazione, già prevista nei piani dei trasporti delle due regioni, dovrebbe servire un bacino di un milione di persone tra Umbria e bassa Toscana, riguardante le province di Arezzo, Siena e Perugia, e dovrebbe intercettare almeno il 10-12 per cento dei circa 180 treni transitanti ogni giorno su questa tratta;
          l'intesa sottoscritta, oltre a prevedere la realizzazione di uno studio di fattibilità della stazione sia dal punto di vista strutturale che economico, con il calcolo dei costi e benefici, nonché con l'indicazione con precisione del punto in cui sarà realizzata qualora il progetto venisse accettato, ha stabilito il varo di uno specifico tavolo tecnico composto da rappresentanti di entrambe le regioni per effettuare i primi approfondimenti sulla questione;
          sebbene l'accordo non faccia riferimento alla possibile ubicazione della stazione, questa dovrebbe comunque essere realizzata in Valdichiana, circoscritta nel territorio tra Chiusi e Arezzo. «La nuova stazione proposta — si legge nell'accordo — dovrà essere localizzata in un punto che presenti idonee caratteristiche di accessibilità possibilmente multimodali rispetto al bacino di traffico da servire». Dovrà, quindi, essere un punto strategico rispetto alla rete ferroviaria, ma anche in relazione a quella stradale, possibilmente correlato agli interventi di potenziamento in corso, tra cui quelli legati al completamento della «Due mari». «Quel che è certo — ha commentato l'assessore toscano Ceccarelli — è che di questa fermata potranno beneficiarne sia i cittadini umbri, che quelli di Arezzo e Siena, ma credo che potrà avere ripercussioni positive anche per i grossetani»;
          per l'assessore regionale ai trasporti della regione Umbria Silvano Rometti «il protocollo rappresenta un ulteriore passo avanti nell'attuazione delle scelte compiute con il piano dei trasporti e in questo quadro la nuova stazione sulla direttrice Roma-Firenze, a servizio dell'alto Lazio, dell'Umbria e della bassa Toscana, costituisce una scelta strategica per la nostra regione. L'Umbria non può e non deve rimanere isolata dai collegamenti ferroviari che sono il futuro della mobilità, come più volte ribadito dalla stessa Unione europea. Da tempo c’è stato un proficuo lavoro con il Governo, con le istituzioni interessate ed incontri pubblici per rendere concreta la realizzazione della nuova stazione Medioetruria, di cui ora andranno meglio definiti progettazione, modalità e costi perché possa diventare un efficace snodo strategico del sistema dei trasporti, collegato alle principali vie di comunicazione nazionali e capace di intercettare un numero congruo di treni ad alta velocità sulla direttrice Roma-Milano». «Al momento però — ha aggiunto l'assessore — resta tutto da definire: tempi, costi, localizzazione e progettazione verranno definiti solo nei prossimi mesi. Dobbiamo pensare ad una logica di insieme che vada fuori dai confini della nostra regione. Queste sono strutture di grande impatto non solo economico e infrastrutturale, ma anche turistico»;
          la realizzazione della nuova stazione ferroviaria Medioetruria sulla linea dell'alta velocità Firenze-Roma dovrebbe rappresentare uno snodo strategico per le regioni Umbria e Toscana per sostenere lo sviluppo dei rispettivi territori, delle imprese e del turismo, nonché per garantire servizi più efficienti per la mobilità dei cittadini;
          l'esempio di Medioetruria vanta un precedente significativo. Da circa un anno è infatti operativo a Reggio Emilia Mediopadana, l'unico scalo viaggiatori intermedio tra le stazioni di Bologna e Milano, costato circa 70 milioni di euro, mentre il costo ipotizzabile per la fermata toscana dovrebbe essere di poco più della metà. Attualmente sia Trenitalia sia Nuovo trasporto viaggiatori servono la stazione Mediopadana con diversi collegamenti al giorno attraverso treni ad alta velocità. La realizzazione di Medioetruria dovrebbe svolgere la stessa funzione, collocandosi come unico scalo di alta velocità intermedio tra Roma e Firenze e servendo un bacino potenziale di un milione di persone;
          secondo l'intesa raggiunta nel luglio 2014, è stato conferito a settembre 2014 l'incarico per studiare la fattibilità trasportistica e commerciale di questa opera infrastrutturale, i cui risultati avrebbero dovuto essere prodotti entro gennaio 2015, ed è stato richiesto al Governo di inserirla nel XII allegato alle infrastrutture, in cui si fissano le priorità concordate tra Governo e regioni;
          nel mese di dicembre 2014 si è insediato il tavolo tecnico composto da rappresentanti delle regioni Umbria e Toscana, delle università di Perugia, Siena e Firenze e di Rete ferroviaria italiana, che entro qualche mese, compiute le dovute valutazioni e approfondimenti, avrebbe dovuto indicare il luogo più idoneo in Valdichiana per la realizzazione della nuova stazione ferroviaria Medioetruria sulla linea dell'alta velocità Firenze-Roma;
          compito del tavolo incaricato della fattibilità del progetto per la realizzazione della nuova stazione ferroviaria sulla linea dell'alta velocità Firenze-Roma è valutare se Umbria e bassa Toscana possano legittimamente ambire ad uno scalo che potrebbe rivelarsi strategico per un territorio oggi tagliato fuori dai collegamenti veloci Nord-Sud e dall'evoluzione del trasporto ferroviario;
          durante la presentazione del tavolo tecnico, l'assessore alle infrastrutture e ai trasporti della regione Umbria Rometti ha spiegato che «la nuova stazione sulla direttrice Roma-Firenze presumibilmente sorgerà nel tratto tra Chiusi e Arezzo, sarà a servizio dell'alto Lazio, dell'Umbria e della bassa Toscana, in un'area importante per entrambi i territori». Le ipotesi sono essenzialmente due: la prima, preferita dalle istituzioni regionali, riguarda il tratto tra Rigutino e Arezzo, quindi molto vicino al capoluogo toscano; la seconda, invece, molto più vicino a Chiusi, come chiedono a gran voce molti sindaci delle province di Perugia e Siena;
          spetterà, quindi, al tavolo tecnico determinarne la collocazione ottimale sulla base di valutazioni di carattere trasportistico, di accessibilità generale ed in relazione all'attuale rete ferroviaria, stradale ed alle sue prospettive di potenziamento e sviluppo nell'ambito interessato, tra cui la E78;
          il 14 maggio 2015 a Firenze, alla presenza dei rappresentanti delle regioni Umbria e Toscana, si è riunito il tavolo tecnico e, per la prima volta, alla riunione hanno partecipato rappresentanti ai massimi livelli dei due gestori delle linee dell'alta velocità: Vincenzo Soprano, amministratore delegato di Trenitalia, ed Emanuele De Santis e Francesco Fiore, dirigenti di Ntv, Nuovo trasporto viaggiatori;
          da un'analisi delle potenzialità del nuovo scalo è emerso come il bacino di interesse della stazione, pari a circa due milioni e mezzo di potenziali utenti, avrebbe dimensioni analoghe a quello della stazione Mediopadana che è stata realizzata in Emilia-Romagna. Ed anche per questo il progetto per la realizzazione della stazione Medioetruria, il nuovo scalo intermedio tra Firenze e Roma, incontra il pieno interesse dei due operatori dell'alta velocità, Trenitalia e Ntv. I rappresentanti di Rete ferroviaria italiana hanno sottolineato «l'interesse a tutti i progetti di sviluppo finalizzati a migliorare la qualità dei servizi ferroviari e a promuovere il riequilibrio del rapporto modale fra gomma e ferro. Per questo mettiamo a disposizione le competenze tecniche utili a sostenere la realizzazione di questo progetto»;
          a questo primo riscontro seguiranno altri approfondimenti volti a comprendere meglio non solo le dimensioni del bacino per i residenti, ma anche la sua attrattività sotto il profilo turistico. In parallelo il tavolo tecnico continuerà a lavorare sulla possibile localizzazione della stazione: l'esito conclusivo dei lavori del tavolo, infatti, consisterà nell'individuazione di alcuni siti di cui si evidenzieranno potenzialità e criticità;
          secondo quanto affermato dalla presidente della regione umbra Catiuscia Marini nel mese di dicembre 2014, in occasione dell'insediamento del tavolo tecnico, «il collegamento all'alta velocità ha un interesse strategico per l'Umbria, è uno snodo fondamentale per il futuro della regione, per la mobilità dei cittadini, per le imprese e per il turismo. L'alta velocità rappresenta uno strumento indispensabile per rompere l'isolamento dell'Umbria verso l'esterno e, soprattutto, verso Milano ed il Nord del Paese. La realizzazione di Medioetruria consentirà di superare questo gap infrastrutturale, mettendo in condizione gli utenti di raggiungere agevolmente il capoluogo e di dirottare su questa tratta ferroviaria i turisti che, per 1'85 per cento, gravitano sull'asse Perugia, Assisi, Trasimeno. Sarà di fondamentale importanza anche per la scelta delle sedi universitarie, in parte dipendenti dai servizi ferroviari offerti e dai collegamenti con altre infrastrutture, tra cui quelle aeroportuali»;
          l'accordo sul progetto dello Medioetruria ha sollevato, tuttavia, alcune voci di dissenso da parte alcune istituzioni dell'Umbria e da parte del «Comitato ultimo treno» che, in alternativa, propone di valorizzare la linea trasversale Ancona-Perugia-Roma, con transito interno all'aeroporto di Perugia;
          le critiche riguarderebbero il fatto che la regione Toscana userebbe l'accordo con l'Umbria per rafforzare il proprio sistema ferroviario regionale a danno di quello umbro, che vedrebbe gran parte del territorio tagliato fuori dalle ricadute positive derivanti dal passaggio dei convogli dell'alta velocità;
          inoltre, la spesa dell'opera infrastrutturale pari a 30 milioni di euro è soltanto un'ipotesi e potrebbe addirittura crescere in fase di realizzazione: tutto ciò per avere una stazione dell'alta velocità a circa 50 chilometri da Perugia (che potrebbe rivelarsi un'ulteriore opera inutile ai fini dello sviluppo infrastrutturale dell'Umbria;
          il 3, novembre 2015 si è riunito il tavolo tecnico, cui partecipano gli assessori ai trasporti delle due regioni, Chianella per l'Umbria e Ceccarelli per la Toscana, esponenti dell'Università di Perugia e Siena e di Rete ferroviaria italiana, che ha presentato ai sindaci dei comuni interessati, ai rappresentanti delle camere di commercio ed a delegati di Trenitalia, Ntv e Rfi le risultanze dello studio effettuato con le valutazioni circa le potenzialità del bacino di utenza interessato e la possibile localizzazione della nuova stazione. Le ipotesi portate avanti si sono ridotte da cinque a due: la nuova stazione, costo stimato 40 milioni di euro, dovrebbe sorgere a Rigutino, nel comune di Arezzo, o a Creti, nel comune di Cortona. La proposta dovrà, ora, essere vagliata dal Ministero per la decisione definitiva  –:
          se non si ritenga opportuno avviare una riflessione, a fronte delle risultanze dello studio del tavolo tecnico sulla Medioetruria e dei dati relativi alla Mediopadana cui si fa continuo riferimento come termine di paragone per il progetto Medioetruria e che sono risultati di molto inferiori ai 2,5 milioni di passeggeri ipotizzati, per valutare ipotesi alternative rispetto al passaggio dell'alta velocità in Umbria considerando anche l'investimento di 40 milioni di euro necessario per realizzare una stazione che sposta traffico e ricadute economiche verso la Toscana.
(5-06886)


      SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          sul sito web del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti è stato pubblicato, in data 5 agosto 2015, il decreto ministeriale n.  203 del 19 giugno 2015, recante disposizioni in merito alla sottoposizione dei progetti alla valutazione tecnico-economica del Consiglio superiore dei lavori pubblici, registrato dalla Corte dei conti in data 21 luglio 2015;
          sebbene l'articolo 3 del suddetto decreto preveda espressamente la trasmissione del medesimo agli organi di controllo e la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, la pagina web del Ministero non riporta gli estremi di pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale che, per quanto di conoscenza, non risulterebbe essere stato pubblicato;
          come è noto, a norma degli articoli 7 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dei decreti ministeriali che siano strettamente necessari per l'applicazione di atti aventi forza di legge e che abbiano contenuto normativo è condizione necessaria per l'entrata in vigore degli stessi;
          d'altra parte, anche la sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, con propria deliberazione nr. n.  SCCLEG/9/2015/PREV del 24 marzo 2015, ha accertato l'illegittimità del citato decreto ministeriale n.  622 del 2009, sia in quanto manifestamente contrario alle previsioni di legge, sia in quanto mai sottoposto al controllo preventivo della medesima Corte dei conti, rimarcando l'obbligatorietà del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici (CSLP) sui progetti di opere pubbliche di importo superiore ai 25 milioni di euro;
          risulta di tutta evidenza per l'interrogante come la mancata pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale n.  203 del 2015 sul controllo della spesa sui progetti ANAS e delle concessionarie autostradali comporterebbe, come diretta conseguenza, che continuerebbero ad essere seguite le regole del citato decreto ministeriale n.  622 del 2009 che rendeva facoltativo il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, sottraendo al parere del Consiglio medesimo innumerevoli progetti per i quali la legge prevede invece come obbligatorio il suddetto parere;
          infine, la mancata pubblicazione del citato decreto ministeriale, emanato il 19 giugno, determina secondo l'interrogante una grave anomalia nel panorama regolamentare, che comporta gravi difficoltà sul controllo della spesa pubblica in un momento di grave crisi economica  –:
          se quanto esposto in premessa trovi conferma e se il Ministro interrogato possa illustrare i motivi che sarebbero sottesi alla mancata pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, a seguito della sua emanazione, del decreto ministeriale 19 giugno 2015, n.  203 e quali iniziative concrete, per quanto di competenza, intenda intraprendere affinché sia evitato il rischio di gravi conseguenze sui conti pubblici derivanti da un ulteriore ritardo nella pubblicazione del citato decreto ministeriale. (5-06888)


      SPESSOTTO e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'Ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC), secondo le previsioni interne al suo statuto, esamina e valuta i piani regolatori aeroportuali, i programmi di intervento e i piani di investimento, nonché eventuali partecipazioni all'attività di gestione degli aeroporti di preminente interesse turistico e sociale, ovvero strategico-economico;
          ENAC richiede inoltre la conformità urbanistica dei master plan, che rappresentano gli strumenti che individuano le principali caratteristiche degli interventi di adeguamento e potenziamento degli scali;
          ENAC partecipa inoltre alle conferenze di servizi approvative dei piani aeroportuali e ottiene altresì il parere di conformità urbanistica ai suddetti piani;
          tra le funzioni attribuite ad ENAC c’è anche quella di presentare, come proponente, le istanze di valutazione di impatto ambientale – V.I.A. in relazione agli aeroporti ottenendo pareri positivi o negativi alle suddette richieste e, nelle more delle procedure di VIA, di approvarne i progetti;
          inoltre, come è già accaduto nel caso dell'aeroporto di A. Canova di Treviso, ENAC ha altresì il potere di ritirare le richieste di istanza di VIA già presentate;
          ENAC ha clamorosamente ritirato il progetto sottoposto a procedimento di valutazione dell'impatto ambientale dell'aeroporto A. Canova di Treviso dopo tre anni di analisi e tre «bocciature» della commissione tecnica valutazione impatto ambientale CTVIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dando anticipatamente autorizzazione a cospicui ampliamenti fruitivi e delle strutture di volo;
          per quanto di conoscenza, benché a tutt'oggi le attività e le strutture aeroportuali abbiano complessivamente continuato a crescere in numero di passeggeri e di voli, diversi scali italiani risultano ancora sprovvisti di piano di sviluppo aeroportuale correlati da pareri VIA/VAS confermativi;
          appaiono agli interroganti sussistere gravi anomalie sul ruolo e sulle responsabilità di tale ente pubblico, già oggetto di una precedente interrogazione a prima firma della scrivente, n.  5-06719, relativamente alle gravi inadempienze registrate sul piano della sicurezza e della salvaguardia della salute dei cittadini e della preservazione dell'ambiente  –:
          se e attraverso quali atti formali il Ministro interrogato abbia effettivamente autorizzato le funzioni esposte in premessa attribuite ad Enac, in particolare per quanto riguarda il potere di presentare e ritirare le richieste di istanza di VIA gli aeroporti italiani;
          quali iniziative intenda assumere nei confronti di ENAC per l'eventuale mancata corretta applicazione della direttiva VIA per alcuni aeroporti italiani e con quali modalità intenda procedere al riguardo;
          se e quali iniziative il Ministro interrogato, tenuto conto delle inadempienze di Enac per l'aeroporto Antonio Canova di Treviso segnalate in premessa, intenda adottare per far sì che questo non abbia più ad accadere né per l'aeroporto in questione né per altri scali italiani.
(5-06889)

Interrogazione a risposta scritta:


      TONINELLI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:

      il progetto dell'autostrada Tirreno-Brennero, ovvero il raccordo autostradale che dovrebbe collegare l'A15 con l'A22 noto come «Ti-Bre», risale a oltre quarant'anni fa, nel 1974, ma dei 68 chilometri previsti solo 9 sono passati dalla fase preliminare alla definitiva, e sono quelli che interessano il tratto parmense che collega Pontetaro a Trecasali. Qui la ditta che ha vinto l'appalto per la mini bretella, ha avviato i lavori propedeutici, sebbene, a quanto risulti all'interrogante, non ci sia ancora il via libera esecutivo per il progetto, mentre il resto dell'opera è triplicato in termini di costi arrivando a superare i 3 miliardi di euro;

      ci si trova in questo caso di fronte a un'opera evidentemente diseconomica, che difficilmente potrà essere completata per assenza di coperture finanziarie. Uno studio commissionato dalla stessa Ti-Bre S.r.l., società che coordina i progetti sul collegamento in questione, alla società Eidos, ha dimostrato infatti che l'investimento sullo stesso tratto su rotaie consentirebbe un notevole risparmio di risorse. Questo nuovo percorso, già individuato, collegherebbe infatti Parma a Mantova e Verona per un costo di 80 milioni di euro contro i 700 del tratto previsto precedentemente, con un risparmio di 25 chilometri;

      accanto all'investimento sulla linea ferroviaria il progetto prevede un potenziamento del tratto stradale già esistente della Pontremolese, che fa parte del corridoio Ti-Bre, che, evitando la realizzazione di una galleria che comporterebbe una riduzione dei costi, creerebbe uno sbocco efficiente per trasportare merci e persone dalla pianura Padana al nord Europa;

      anche per la copertura finanziaria, se si investisse in un percorso su rotaie anziché sul tratto autostradale, basterebbe accantonare una quota dei pedaggi autostradali di Autocisa, società che ha in concessione il tratto autostradale fino al 2031. A questo proposito si segnala che nel 2010 questa società aveva ottenuto dal Comitato interministeriale per la programmazione economica una determinazione favorevole agli aumenti tariffari del 7,5 per cento per otto anni, proprio alla luce del fatto che il primo tratto dell'infrastruttura era a suo carico –:

      se il Ministro sia a conoscenza dello studio di cui in premessa e quali iniziative intenda assumere in relazione al progetto dell'autostrada Tirreno-Brennero e a quello alternativo illustrato nello studio medesimo. (4-10962)

INTERNO

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          il 3 novembre 2015 si è svolta in Sardegna una manifestazione di diverse centinaia di persone organizzata dalla rete «No basi» contro l'esercitazione Nato denominata Trident Juncture, che vede schierati 36 mila soldati, 140 cacciabombardieri, 60 fra navi e sommergibili militari;
          teatro dell'esercitazione è stato il poligono di Capo Teulada, uno dei più estesi d'Europa, con i suoi 7400 ettari di suolo adibito ad uso militare;
          come risulta agli atti, la questura di Cagliari era stata regolarmente preavvisata come prescrive la norma in materia di pubbliche riunioni, già dal 29 ottobre 2015;
          il questore di Cagliari Vito Danilo Gagliardi ha negato l'autorizzazione alla suddetta manifestazione per l'assenza di non meglio precisati «canoni di sicurezza»;
          la rete dei comitati antimilitaristi e pacifisti ha comunque confermato la propria volontà di manifestare;
          detta manifestazione si è svolta in un clima surreale, fatto di controlli ferrei all'arrivo dei manifestanti a Sant'Anna Arresi (comune limitrofo a Teulada), di blocchi stradali, di continui momenti di tensione e sporadici tafferugli con le forze dell'ordine, in un contesto nel quale la presenza delle forze di pubblica sicurezza è apparsa quanto mai spropositata, data la natura pacifica e politicamente pacifista della manifestazione stessa;
          ventotto persone sono state denunciate: 12 già destinatarie di «fogli di via» per la violazione della disposizione, altre 16 per «introduzione clandestina in luoghi militari»;
          appare del tutto evidente, a giudizio degli interpellanti, come l'atteggiamento della questura di Cagliari abbia ulteriormente alimentato un clima di tensione, accumulatosi da settimane e negli ultimi anni in Sardegna, intorno al conflitto fra Stato e una parte della cittadinanza sulla questione di quella che appare agli interpellanti una spropositata presenza militare nell'isola, caratterizzata da 24 mila ettari circa di poligoni, da 35 mila ettari di servitù, dalla sperimentazione di sistemi d'arma e di scenari di guerra;
          la questione della gestione dell'ordine pubblico era già parsa dubbia nelle settimane precedenti, con particolare riferimento ai fatti accaduti a Cagliari l'11 ottobre 2015, allorché un gruppo di poche decine di manifestanti pacifisti è stato progressivamente chiuso dalle forze dell'ordine nelle vie del centro cittadini, provocando la reazione delle persone presenti e una serie di scontri e svariate denunce;
          ammesso che, realmente, possa avere un fondamento la preoccupazione per le frange cosiddette più «estreme» del movimento antimilitarista sardo e che esse, realmente, costituiscano un problema in sé per l'ordine pubblico – fatto che è, secondo gli interpellanti, tutto da dimostrare – ciò che rileva, ai fini del presente atto di sindacato ispettivo, è la sensazione che si stia verificando una progressiva costrizione della libertà di espressione della cittadinanza e di compressione del diritto di questa a manifestare pubblicamente ed in forma associata le proprie idee;
          l'articolo 17 della Costituzione repubblicana recita esplicitamente «i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica»;
          ogni articolazione dello Stato deve attenersi al rigoroso rispetto della Carta costituzionale  –:
          se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
          quali fossero i comprovati motivi di sicurezza e incolumità pubblica ravvisati dal questore di Cagliari e addotti a ragione del diniego della manifestazione del 3 novembre 2015;
          se non ritenga di dover avviare una verifica volta ad accertare la corretta gestione dell'ordine pubblico in Sardegna ed a Cagliari in particolare.
(2-01152) «Piras, Quaranta, Ricciatti, Duranti».

Interrogazione a risposta orale:


      GALGANO e MONCHIERO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          un provvedimento interdittivo (sulla base della normativa antimafia), firmato dal prefetto di Perugia Antonella Miro, è stato notificato il 26 ottobre 2015 alla Gesenu, società di raccolta rifiuti costituita nel 1980, per metà del comune umbro (il socio pubblico rappresenta infatti il 45 per cento), specializzata nella gestione dei servizi per la nettezza urbana e già nell'occhio del ciclone per una inchiesta della magistratura che riguarda 16 indagati;
          l'atto fa riferimento ad un presunto pericolo di infiltrazioni nella gestione dell'attività di impresa, riguardante sia soci privati sia le partecipazioni societarie che Gesenu ha in altre società di gestione ambientale in Sicilia, a Catania, e a Messina;
          nello specifico, tutto ha origine nel mese di maggio 2015, allorché la prefettura di Catania emette un provvedimento antimafia interdittivo a carico del consorzio Simco (con sede a Motta S. Anastasia), costituito da 4 società, fra cui Gesenu spa; all'interno di Simco si evidenziava la presenza della società Oikos spa, già qualche mese prima raggiunta da un medesimo provvedimento emesso dalla stessa prefettura di Catania per rapporti con società ritenute vicine ad ambienti criminali mafiosi;
          come già accennato, altra vicenda inquietante sarebbe quella che vede Gesenu coinvolta in una società con sede a Messina (Tirrenoambiente), protagonista quest'ultima di delitti maturati in contesti di criminalità: episodi sicuramente allarmanti che probabilmente saranno oggetto anche di attività investigativa da parte dei magistrati penali;
          il fatto più grave è che Gesenu avrebbe assunto numerosi lavoratori a Catania (esattamente il 5,27 per cento della sua forza lavoro, appartenente all'area criminale Santapaola), pregiudicati per gravissimi reati, quali associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, rapina, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti;
          oltre ai 29 dipendenti suddetti, spuntano accuse mirate sui vertici aziendali: nelle carte utilizzate per emettere il provvedimento ostativo preventivo la prefettura cita l'inchiesta in corso da parte della procura di Catania sulla gestione dell'isola ecologica di Mascalucia-Messanunziata (zona ad alta densità mafiosa, così come rilevato nelle relazioni al Parlamento) con tanto di richiesta di rinvio a giudizio avanzata nei confronti di dirigenti Gesenu per vari reati, tra cui l'associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti; seconda la ricostruzione accusatoria, avrebbero gestito ingenti quantità di rifiuti, trasportandoli con mezzi non autorizzati, falsificando i documenti e smaltendoli in siti non idonei;
          tra le motivazioni che hanno concorso all'emissione della misura interdittiva c’è anche la presenza di Manlio Cerroni (che possiede il 45 per cento di Gesenu), nominato perfino dal pentito dei casalesi Carmine Schiavone e finito ai domiciliari lo scorso anno per Malagrotta, nonché quella di Carlo Noto la Diega (che possiede il 10 per cento di Gesenu), anche lui indagato per fatti riconducibili allo smaltimento illecito di rifiuti, nell'ambito di Viterbo Ambiente;
          è noto, come è stato giustamente rilevato dal presidente Catiuscia Marini, quale sia il ruolo di Gesenu nella titolarità di molti contratti di servizio in essere nella regione, non solo per ciò che riguarda tutto il sistema di raccolta dei rifiuti e di pulizia delle città, ma anche per l'attività di gestione in capo a questa società degli impianti di trattamento dei rifiuti;
          per queste ragioni, non può che destare viva preoccupazione la notizia di una interdittiva prefettizia antimafia all'azienda che metterebbe a serio rischio la continuità e la praticabilità di un servizio fondamentale per la comunità  –:
          se intendano avviare un'attenta riflessione in merito al provvedimento adottato dal prefetto di Perugia, che ha confermato l'acquisizione di «molteplici congruenti elementi per ritenere sussistente il pericolo di infiltrazione mafiosa in Gesenu spa», in modo da contribuire a fare chiarezza, in tempi rapidi, su eventuali responsabilità e garantire dunque, ad ogni livello, trasparenza e legalità;
          se intendano, per quanto di competenza, individuare e, di conseguenza, adottare tutte le iniziative possibili per tutelare la centralità e la funzionalità del servizio di raccolta dei rifiuti, di pulizia delle città e di gestione dello smaltimento dei rifiuti stessi, nonché difendere la storia industriale ed i livelli occupazionali dell'azienda (riducendo al minimo le difficoltà legate agli effetti dell'interdittiva prefettizia). (3-01818)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nella giornata di domenica 25 ottobre 2015 si è verificato un nuovo episodio di violenza ai danni di un operatore di Trenitalia a bordo di un convoglio ferroviario;
          l'episodio è accaduto a bordo del Frecciargento n.  9429 in direzione Firenze;
          un ragazzo 24enne cittadino austriaco originario della Sierra Leone si è rifiutato di esibire il biglietto al controllore e poco prima di entrare presso la stazione di Santa Maria Novella di Firenze ha colpito il capotreno con tre pugni al volto provocandogli la frattura del setto nasale;
          aperte le porte l'aggressore ha cercato di dileguarsi tra la folla ma è stato tempestivamente fermato dagli agenti della Polfer;
          continuano purtroppo a verificarsi episodi simili lungo le tratte che interessano in particolar modo la Toscana;
          in merito sono stati presentati altri atti di sindacato ispettivo ponendo una questione di sicurezza alle istituzioni competenti sia per il personale di Trenitalia sia per i viaggiatori  –:
          anche alla luce di questo nuovo episodio di violenza, quali iniziative il Governo intenda porre in essere per rafforzare la presenza di forze dell'ordine a bordo dei convogli ferroviari lungo le tratte della Toscana al fine di prevenire simili atti di violenza e di consentire al personale di Trenitalia e ai viaggiatori di lavorare e viaggiare in piena sicurezza.
(5-06868)


      TINO IANNUZZI, PARIS, TARTAGLIONE e VALIANTE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il comune di Scafati, in provincia di Salerno, è la seconda città per popolazione dell'Agro Sarnese-Nocerino, con più di 50.000 abitanti;
          dal 2008 è guidato dal sindaco Angelo Pasqualino Aliberti (Forza Italia), riconfermato nel giugno 2013; quindi, è, tutt'ora, in corso il suo secondo mandato;
          le vicende amministrative del comune di Scafati sono oggetto da anni di indagini per presunte infiltrazioni camorristiche negli appalti pubblici;
          nell'ottobre 2014, il sindaco è stato rinviato a giudizio, in uno alla segretaria comunale, per deliberazioni, in relazione alle quali sono state contestate ipotesi di falso dalla procura della Repubblica di Nocera Inferiore;
          da ultimo, in data 18 settembre 2015, la direzione distrettuale antimafia di Salerno ha eseguito perquisizioni ed ha acquisito documenti presso gli uffici comunali e le abitazioni del sindaco, del fratello, di un componente del suo staff e della segretaria comunale, con contestuale notifica di avviso di garanzia per ipotesi di reati di associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, concussione, corruzione e abuso d'ufficio;
          nel corso di tali perquisizioni, come si evince dal comunicato stampa diramato dalla procura della Repubblica di Salerno, si è proceduto al «sequestro della documentazione relativa all'aggiudicazione di appalti pubblici tra cui quello relativo alla realizzazione del polo scolastico comunale (dell'importo di circa 6 milioni di euro), al conferimento di incarichi a tempo determinato a dirigenti dell'Ente e alle determine inerenti i lavori di riqualificazione urbanistica e stradale presso il medesimo consesso amministrativo»;
          anche la consorte del sindaco Aliberti, la consigliera regionale della Campania Monica Paolino, risulta indagata per ipotesi di scambio elettorale politico-mafioso e si è dimessa da presidente della commissione anticamorra e beni confiscati del consiglio regionale della Campania;
          inoltre, da diversi mesi il sindaco Aliberti sta diffondendo in città la notizia di voler perseguire la via delle urne e del rinnovo degli organi elettivi comunali, prima che venga a scadenza la metà del suo secondo mandato, in maniera tale da poter riproporre la propria candidatura a sindaco per il terzo mandato, nel maggio-giugno 2016;
          al riguardo occorre precisare che mai nessuna deliberazione proposta dalla giunta municipale è stata rigettata in consiglio comunale né, tantomeno, risultano voti contrari da parte di esponenti della maggioranza;
          il sindaco ha proposto e fatto notificare, in data 23 ottobre 2015, un ricorso al T.A.R. Campania – sezione staccata di Salerno contro il comune di Scafati, per impugnare il provvedimento emesso dall'ufficio urbanistica comunale in data 15 settembre 2015 ed avente ad oggetto il diniego della segnalazione di inizio attività (SCIA). Tale SCIA era stata richiesta dal sindaco per la realizzazione di una tettoia nella propria abitazione, in data 10 settembre 2015, e cioè appena cinque giorni prima dell'atto di diniego. Così di fatto ha posto le premesse per l'attivazione della procedura finalizzata alla decadenza dalla carica di sindaco per lite pendente, da deliberare prima del 16 dicembre 2015; ed infatti dopo la tale data non potrebbe più ex lege ripresentare la propria candidatura come «primo cittadino»;
          il comune di Scafati ha immediatamente deciso, con deliberazione di giunta comunale n.    281 del 26 ottobre 2015, di costituirsi in detto giudizio pendente innanzi al T.A.R. Campania – sezione di Salerno;
          questo comportamento messo in campo da un sindaco, già rinviato a giudizio per fatti attinenti alle attività amministrative ed indagato, sempre insieme alla segretaria comunale, per ipotesi di reato molto gravi, appare agli interroganti un mezzo per superare la normativa legislativa vigente sul divieto di più di due mandati consecutivi alla carica di sindaco, sancito dal testo unico dell'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000 n.  266;
          va tenuto presente che l'articolo 51 del testo unico, al comma 2, stabilisce che «Chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alle medesime cariche». Inoltre, alla stregua del comma 3 del medesimo articolo 51 del testo unico, è consentito un terzo mandato unicamente nella ipotesi in cui «uno dei due precedenti mandati abbia avuto una durata inferiore a due anni, sei mesi ed un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie»;
          il consiglio comunale è già stato convocato per il 17 novembre 2015, con all'ordine del giorno il punto n.  5, riguardante l'avvio della procedura di decadenza del sindaco per il contenzioso menzionato innanzi al T.A.R. e per la conseguente contestazione della lite pendente con il comune, alla stregua dell'articolo 63 del testo unico enti locali;
          significativi sono in tal senso i numerosi articoli sulla stampa salernitana in questi giorni;
          alla luce di tali sopradescritte vicende, è urgente ad avviso degli interroganti assumere ogni utile e tempestiva iniziativa istituzionale per verificare la correttezza delle procedure amministrative per la declaratoria di decadenza da parte del consiglio comunale, già in itinere e messe in campo con la convocazione del consiglio medesimo per il 17 novembre 2015  –:
          se non ritenga sussistere le condizioni e i presupposti, alla luce della vigente normativa, per promuovere adeguate ispezioni e verifiche – ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali – al fine di accertare se, nell'apparato politico-amministrativo del comune di Scafati, emergano e si riscontrino infiltrazioni della criminalità organizzata, ovvero forme di condizionamento amministrativo, tali da compromettere e insidiare il libero e sereno svolgimento dell'attività amministrativa e dell'azione di governo della città, e il regolare e corretto funzionamento degli uffici e dei servizi comunali, nonché per accertare l'applicazione della disciplina legislativa vigente in tema di decadenza e rieleggibilità dei sindaci. (5-06890)

Interrogazioni a risposta scritta:


      RICCIATTI, DANIELE FARINA, COSTANTINO, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, PIRAS, SANNICANDRO, NICCHI, KRONBICHLER, PLACIDO e AIRAUDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 11 ottobre del 2015 si è svolta la partita di calcio tra la società calcistica Alma Juventus di Fano (Pu) e Sambenedettese Calcio, squadre che militano in serie D girone F;
          al termine della partita si sono registrati scontri tra le opposte tifoserie, nel quale è rimasto ferito un dirigente di pubblica sicurezza in forza al commissariato di Fano, mentre cercava di allontanare alcuni facinorosi. Tra i feriti anche alcuni poliziotti e tifosi di entrambe le tifoserie (Il Resto del Carlino, edizione Pesaro, 12 ottobre 2015);
          in data 16 ottobre 2015 si è svolta una riunione del comitato provinciale di Pesaro e Urbino per l'ordine e la sicurezza pubblica, alla quale hanno preso parte il prefetto, il questore e il vice questore vicario di Pesaro, il dirigente del commissariato di P.S. di Fano, il comandante provinciale dei carabinieri, il vice comandante provinciale della guardia di finanza, il sindaco di Fano, il vice comandante della polizia municipale di Fano, ed alcuni rappresentanti dell'amministrazione del comune di Pesaro e della provincia, dove è stata esaminata la problematica relativa alla sicurezza nelle manifestazioni sportive, in particolare nelle partite di calcio;
          a seguito del vertice è stato diramato un comunicato stampa dove veniva chiarito che, in relazione agli scontri successivi alla partita di calcio citata, «la gestione dell'ordine pubblico è stata accurata, essendo state predisposte tutte le misure atte ad evitare il verificarsi di qualsiasi evento che potesse creare turbative all'Ordine Pubblico o pericoli per la pubblica incolumità, ivi compreso l'incanalamento, sin dal casello autostradale, delle autovetture con a bordo i tifosi della squadra ospite in un'apposita area a ciò destinata e soltanto un ridottissimo numero di veicoli, provenienti da San Benedetto del Tronto e giunti nel primo mattino, hanno parcheggiato nell'area del Foro Boario di Fano»;
          il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica ha stabilito, inoltre, che al fine di migliorare ulteriormente l'efficacia delle misure di prevenzione in occasione dei prossimi incontri di calcio che saranno disputati nello stadio di Fano, l'amministrazione comunale provvederà a predisporre, in tempi rapidi, un'apposita segnaletica per indicare in modo inequivocabile il corretto tragitto da percorrere per raggiungere l'impianto sportivo dal casello autostradale, per evitare il parcheggio di autoveicoli in aree diverse da quella destinata alla tifoseria ospite, procedendo, altresì, ad un'ulteriore revisione degli aspetti strutturali dell'impianto nonché ad una migliore individuazione delle aree di prefiltraggio;
          tuttavia, a seguito degli incidenti riportati, l'Osservatorio delle manifestazioni sportive, riunitosi a Roma in data 15 ottobre, ha stabilito il divieto per tifosi del Fano Alma Juventus di seguire la squadra nella trasferta prevista per la domenica successiva a Jesi, in quanto per la partita sarebbe stato valutato un «indice di altro rischio»;
          il provvedimento è apparso a molti inatteso ed ingiustificato, considerati i pregressi rapporti tra le squadre di calcio di Fano e Jesi, caratterizzati da un risalente rapporto di gemellaggio e amicizia tra le tifoserie;
          sempre in merito alla partita prevista per il 18 ottobre a Jesi, la prefettura di Ancona ha vietato la vendita dei biglietti della gara in tutto il territorio della provincia di Pesaro e Urbino;
          analogo divieto di trasferta per la tifoseria del Fano Alma Juventus è stato disposto in occasione della giornata di campionato disputata il 1o novembre allo stadio «Gaetano Bonolis» di Piano D'Accio in provincia di Teramo, per l'incontro San Nicolò — Alma Juventus Fano, dal prefetto di Teramo, sulla base delle indicazioni giunte dall'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive con determina 40 del 2015;
          il prefetto di Teramo, analogamente a quanto disposto dal suo omologo di Ancona, ha vietato la vendita dei biglietti ai residenti nella regione Marche;
          le partite per le quali sono state vietate le trasferte per la tifoseria del Fano Alma Juventus non presentavano, a quanto risulta agli interroganti, particolari criticità sotto il profilo dell'ordine pubblico;
          più che arginare e o controllare eventuali situazioni di scontri tra le tifoserie, tali provvedimenti hanno, di fatto, inibito alla parte sana e maggioritaria della tifoseria, costituita anche da famiglie con bambini al seguito, di partecipare all'evento sportivo;
          ad avviso degli interroganti decidere di vietare tout court la presenza della tifoseria ad un evento sportivo dovrebbe essere una decisione di extrema ratio, da applicare solo in situazioni che presentano particolari criticità. Diversamente si rischia di lanciare il segnale che la partecipazione a manifestazioni sportive sia una pratica sempre rischiosa, avallando indirettamente una percezione di incapacità delle forze dell'ordine di gestire ordinarie situazioni di ordine pubblico, il ché sarebbe ingiustificato ed offensivo nei confronti della loro professionalità  –:
          se il Ministro sia in grado di chiarire le ragioni di ordine pubblico per le quali è stato deciso il divieto di trasferta per i tifosi della squadra Alma Fano Juventus, negli episodi illustrati in premessa;
          se non ritenga opportuno adottare iniziative che consentano di ricorrere al provvedimento del divieto di seguire le squadre di calcio in trasferta solo quale misura di extrema ratio, ed in presenza di situazioni di criticità elevata e motivata dai responsabili dell'ordine pubblico.
(4-10969)


      LIUZZI. – Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. – Per sapere – premesso che:

      i consiglieri comunali del gruppo del MoVimento 5 Stelle del comune di Venosa (Potenza) Covella Arturo Raffaele, Iovanni Marianna, Leggieri Vito, Papa Fabiana e Zifarone Nicola, con lettera inoltrata a mezzo pec in data 5 agosto 2015, all'attenzione del prefetto di Potenza, del sindaco del comune di Venosa, del presidente del consiglio comunale, segnalavano l'incompletezza della documentazione allegata all'approvando bilancio di previsione 2015. In particolare, con la suddetta missiva si evidenziava che la documentazione in questione era stata inoltrata in data 30 luglio 2015 (termine ultimo per l'approvazione del bilancio di previsione) e non risultava contenere tutta la documentazione prevista dagli articoli 174, comma 1, del decreto legislativo n.  267 del 18 agosto 2000 (TUEL) e 26 del vigente Regolamento di contabilità del comune di Venosa approvato con delibera del commissario prefettizio n.  7 del 2013;

      il decreto ministeriale del 16 marzo 2015 indica tassativamente il termine del 31 maggio 2015 per l'approvazione del bilancio consuntivo;

      l'articolo 227 del decreto legislativo n.  267 del 2000 prevede che la documentazione deve essere depositata almeno 20 giorni prima della sessione di discussione del bilancio e messa a disposizione presso la segreteria comunale, nei tempi e nei modi previsti così da consentire ai consiglieri un'approfondita disamina del conto e di apportare osservazioni di merito anche con emendamenti da presentare, in forza del regolamento comunale, almeno 10 giorni prima della seduta consiliare;

      nella missiva ufficiale del 5 agosto 2015, inviata a mezzo pec al presidente del consiglio comunale di Venosa, al sindaco e per conoscenza al prefetto, i consiglieri scriventi chiedevano di differire il consiglio comunale fissato per il 10 agosto 2015 al fine di consentire agli stessi una disamina della documentazione, compresa la relazione dei revisori dei conti, e la presentazione di emendamenti;

      il presidente del consiglio comunale, in risposta alla missiva inviata, negava il differimento e confermava il consiglio comunale che si svolgeva in data 10 agosto 2015. Nel corso della seduta, i consiglieri di opposizioni effettuavano la propria dichiarazione di dissenso rispetto alle procedure seguite e abbandonavano l'aula in segno di protesta;

      nessuna risposta invece perveniva dal prefetto di Potenza, per il vero sollecitato su diverse irregolarità che sarebbero state compiute dalla giunta comunale di Venosa e dagli uffici comunali con riferimento alle richieste di accesso agli atti e ad interrogazioni –:

      se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra citati e, a fronte delle numerose irregolarità e dei mancati riscontri da parti dei funzionari interessati, se e quali iniziative di competenza abbia posto in essere il prefetto di Potenza;

      di quali elementi disponga il Governo in relazione allo slittamento dell'approvazione del bilancio di previsione 2015 da parte del comune di Venosa oltre il termine del 30 luglio 2015 e in base a quali presupposti di fatto e di diritto ciò sia avvenuto;

      se, alla luce di quanto esposto, i Ministri interrogati non ritengano opportuno promuovere una verifica mirata da parte degli organi preposti. (4-10971)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CHIMIENTI, BRESCIA, D'UVA, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, MARZANA, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          per diventare docente di sostegno è necessario acquisire la specializzazione per le attività didattiche di sostegno mediante l'abilitazione disciplinare, per la quale vengono indetti appositi corsi universitari a cui si accede previa selezione;
          i percorsi formativi per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità sono istituiti dall'articolo 13 del decreto ministeriale n.  249 del 2010;
          al comma 1 del suddetto articolo 13 viene sancito che: «la specializzazione per l'attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità si consegue esclusivamente presso le università. Le caratteristiche dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità, che devono prevedere l'acquisizione di un minimo di 60 crediti formativi, comprendere almeno 300 ore di tirocinio pari a 12 crediti formativi universitari [...] sono definite nel regolamento di ateneo in conformità ai criteri stabiliti dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca [...]. Ai corsi, autorizzati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, possono accedere gli insegnanti abilitati»;
          al comma 3 del succitato articolo 13 viene specificato che: «I corsi sono a numero programmato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tenendo conto delle esigenze del sistema nazionale di istruzione e presuppongono il superamento di una prova di accesso predisposta dalle università»;
          il numero dei posti disponibili su sostegno è stato rettificato mediante la Tabella B allegata al decreto ministeriale del 5 giugno 2014 n.  612 con nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca protocollata con il n.  0001890, che determina per ciascuna regione i posti da destinare al corso di specializzazione per il sostegno;
          in Italia il percorso formativo per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno è strutturato avvalendosi, oltre agli importanti contenuti relativi alla pedagogia, alla didattica e alla psicologia, anche da ore di laboratorio in cui si pone particolare attenzione ai diversi linguaggi, ai codici di comunicazione in generale e alla didattica speciale;
          un'altra fondamentale caratteristica dei corsi autorizzati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è il tirocinio, che si suddivide in tirocinio diretto, cioè presso le istituzioni scolastiche con possibilità di programmare interventi correlati a progettualità di ricerca, e in tirocinio indiretto, per accompagnare lo studente nel suo iter formativo;
          il percorso si conclude con una prova finale, ben strutturata, superata la quale il docente già abilitato consegue il titolo di specializzazione per le attività di sostegno e può iscriversi al relativo elenco;
          molti recenti articoli, pubblicati su diverse testate giornalistiche, denunciano l'esistenza di una scorciatoia per procurarsi l'abilitazione fuori dall'Italia in modo rapido e decisamente meno impegnativo rispetto a quello previsto dalla legge e offerto dalle università italiane;
          in un'inchiesta pubblicata il 9 ottobre 2015 dal quotidiano «L'Attacco» viene evidenziato come la Romania sia la fabbrica di insegnanti specializzati su sostegno: come denunciato nell'articolo dal dirigente nazionale dell'Unicobas, il    professor Paolo Latella, «i docenti abilitati che vogliono ottenere la specializzazione per il sostegno seguono un brevissimo corso in Romania e ricevono il certificato di specializzazione per il sostegno, pagando un conto salatissimo»;
          in applicazione della direttiva 2005/36/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo n.  206 del 6 novembre 2007, è possibile presentare richiesta di riconoscimento del titolo di studio conseguito in un Paese membro dell'Unione europea, e richiederne il riconoscimento del titolo presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca direzione generale per gli ordinamenti scolastici e l'autonomia scolastica;
          conseguentemente, molti aspiranti docenti italiani optano per una permanenza a Bucarest di soli 15 giorni durante i quali vengono ammessi, senza dover superare alcuna selezione in ingresso, a corsi di lingua rumena e di materie caratterizzanti la specializzazione sul sostegno;
          durante questo breve corso di studi non è prevista alcuna attività di tirocinio;
          una volta conseguita in Romania la specializzazione sul sostegno in aggiunta a quella relativa alla propria classe di concorso, per essere inseriti in graduatoria è sufficiente tornare in Italia e chiedere il riconoscimento del titolo conseguito all'estero che avviene mediante verifica di omologabilità da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
          solo in rarissimi casi viene negata tale verifica, come specificato nell'articolo di cui sopra  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza del gravissimo fenomeno delle facili specializzazioni su sostegno di cui in premessa e quali iniziative intenda mettere in campo per arginarlo, in modo da garantire ai ragazzi diversamente abili una didattica di qualità. (5-06858)


      PICCIONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          dai recenti numeri forniti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, elaborati e pubblicati da TuttoScuola, emerge che in soli due anni hanno chiuso 349 scuole paritarie e che le iscrizioni nello stesso periodo hanno fatto registrare 75.146 alunni in meno; dal 2012-2013 al 2014-2015 la flessione risulta essere pari al 7,3 per cento;
          tali dati portano alla previsione che il prossimo anno scolastico si registrerà la chiusura di molte altre scuole paritarie, soprattutto nel settore della scuola dell'infanzia;
          la chiusura di tante scuole materne paritarie determina anche un impoverimento complessivo dell'intero sistema nazionale d'istruzione;
          a livello nazionale le scuole paritarie rappresentano il 24 per cento delle scuole italiane ed accolgono il 10 per cento della popolazione scolastica; in particolare le scuole dell'infanzia — che accolgono bambini per i quali non c’è posto nelle strutture statali — ospitano circa il 40 per cento dei bambini (642.040 nell'anno scolastico 2012/2013);
          in alcune regioni, quali la Sicilia, il servizio da esse offerto è determinante per garantire la funzione sociale ed educativa – fondamentale per le famiglie – coprendo parte dell'offerta del servizio;
          i dati riportati da recenti organi di stampa della realtà siciliana sono allarmanti: nell'esercizio finanziario 2015 della regione le scuole paritaria dell'infanzia hanno subito una decurtazione del 90 per cento passando da una dotazione di tre milioni a trecentomila euro;
          il disagio in cui versano le scuole paritarie, dell'infanzia e primarie, in Sicilia è dovuto a diversi fattori, principalmente sono da ricercarsi nella contrazione continua nel tempo dei capitoli di spesa;
          tenuto conto dell'abolizione del beneficio del «buono scuola» alle famiglie siciliane e dei ritardi dell'erogazione dei contributi regionali a causa di eccessiva lunghezza delle procedure burocratiche, le scuole paritarie della regione Sicilia, rispetto alle scuole paritarie del resto d'Italia, sono particolarmente penalizzate con conseguenti ricadute negative sulla erogazione dei servizi. Queste ultime infatti godono di convenzioni con i comuni, vantaggiose sia per le famiglie, che pagano rette bassissime, sia per le amministrazioni comunali che risparmiano nella gestione amministrativa;
          l'istruzione inerisce ai diritti fondamentali ed è compito dello Stato garantirli  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati esposti in premessa e – in tal caso — come intenda intervenire al fine di tutelare e garantire un servizio sociale ed educativo, fondamentale per le famiglie, soprattutto in regioni come la Sicilia dove le scuole paritarie dell'infanzia rappresentano una parte significativa dell'offerta formativa pubblica. (5-06860)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ROMANINI e PATRIZIA MAESTRI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:

      attualmente per i docenti precari, così come per i docenti assunti a tempo indeterminato, il pagamento dei salari è a carico del Ministero dell'economia e delle finanze sulla base dei dati ricevuti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

      molti docenti precari delle scuole primarie e secondarie, ma anche i nuovi assunti a tempo indeterminato, attendono inutilmente da settimane i pagamenti dei salari relativi alle giornate di lavoro svolte fino ad ora;

      ai singoli istituti scolastici compete attualmente il compito di trasmettere correttamente al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca i dati relativi ai docenti impiegati in modo da permettere allo stesso Ministero di inoltrarli al Ministero dell'economia e delle finanze tenuto ad erogare i pagamenti dovuti. In alcuni isolati casi ci sarebbero stati ritardi da parte delle scuole, ma nella maggioranza dei casi l'invio sarebbe avvenuto nel pieno rispetto delle tempistiche previste. In altri casi l'inoltro non è stato possibile a causa di un cattivo funzionamento del portale Sidi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Il malfunzionamento sarebbe nello specifico legato all'inserimento dei dati di quei supplenti per i quali non vi era una data certa di fine supplenza. In questo modo è stata impedita la comunicazione dei dati;

      il problema del mancato pagamento degli stipendi è stato ripetutamente sollevato dalle organizzazioni sindacali, che più volte hanno chiesto un incontro presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca allo scopo di chiarire e comprendere le ragioni dei ritardi. Nella richiesta di incontro è stata sollecitata la liquidazione delle somme dovute;

      la mancata corresponsione degli stipendi sta creando notevoli difficoltà a numerosi docenti precari e neoassunti a tempo indeterminato. Molti lavoratori si trovano infatti a non ricevere il pagamento di uno stipendio atteso e dovuto per il lavoro svolto, con conseguenze che si ripercuotono sulla loro vita e quella delle loro famiglie;

      anche in passato si erano verificati ritardi nel pagamento dei salari –:

      quali iniziative urgenti si intendano adottare al fine di garantire nel più breve tempo il pagamento delle somme dovute;

      quali iniziative si intendano adottare al fine di garantire la rapida risoluzione dei gravi problemi fatti registrare dal portale Sidi, allo scopo di garantire il corretto inserimento dei dati per tutti i docenti;

      quali misure si intendano adottare al fine di evitare in futuro il ripetersi di simili accadimenti. (4-10968)


      BRUGNEROTTO e D'INCÀ. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. – Per sapere – premesso che:

      l'articolo 485 del decreto legislativo n.  297 del 1994, recante: «Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione», prevede che all'atto della ricostruzione di carriera di cui usufruiscono i docenti immessi in ruolo che hanno superato l'anno di prova, il periodo di precariato è «riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero, per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo»;

      tali determinazioni parrebbero contrastare, però, con la direttiva comunitaria 1999/70/CE che prescrive il principio di non discriminazione del lavoro precario rispetto a quello a tempo indeterminato se non per ragioni oggettive. Recentemente, infatti, sono sempre più numerose le sentenze di vari tribunali del lavoro, tra cui si citano a titolo di esempio la sentenza n.  362/15 del tribunale di Livorno e la n.  1319/15 del tribunale del lavoro di Torino, oltre ad altre dei tribunali di Genova e Cremona, nelle quali, in tutti questi casi, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è visto condannato al pagamento delle spese processuali, a riconoscere gli aumenti retributivi collegati all'anzianità di servizio, a pagare le differenze retributive maturate e maturande e ad effettuare una nuova ricostruzione di carriera dei ricorrenti. Avvalorando, quindi, il principio di non discriminazione che impone la valutazione immediata per intero del servizio pre-ruolo nella ricostruzione di carriera del personale della scuola, sia del personale docente che del personale Ata;

      la ratio di fondo delle sentenze suindicate mira ad evidenziare come «le modalità di svolgimento della attività lavorativa, per i tempi e il contenuto delle prestazioni svolte nel contesto di servizi pre-ruolo, in nulla si differenziano con quelli svolti una volta avuto ingresso nel ruolo» e, quindi, non esistono ragioni oggettive per discriminare e valutare solo parzialmente il lavoro a tempo determinato prestato prima dell'immissione in ruolo ai fini del corretto inquadramento professionale del docente appena confermato in ruolo;

      gli effetti delle sentenze suindicate non valgono «erga omnes» ma soltanto per chi ricorre, pertanto coloro che vorranno vedersi riconosciuto per intero il periodo pre-ruolo dovranno necessariamente rivolgersi ad un legale;

      anche eventuali arretrati, maturati durante il precariato, occorrerebbe chiederli con un eventuale ricorso giudiziario che sarebbe vincente qualora si dimostrassero i presupposti di questi arretrati e cioè l'illegittimità della reiterazione dei contratti a termine e il diritto di vedersi riconosciuti gli scatti di anzianità anche da precari;

      la giurisprudenza nazionale e quella sovranazionale hanno ormai chiarito che, in ossequio al principio comunitario di «non discriminazione», i lavoratori a termine della scuola non possono ricevere un trattamento sfavorevole rispetto ai colleghi di ruolo; da ciò deriva che il diritto a ottenere gli arretrati relativi al pre-ruolo potrebbe essere riconosciuto in tribunale con un sufficiente grado di probabilità –:

      se e quali iniziative normative il Governo intenda adottare al fine di riconoscere per intero il periodo pre-ruolo per il personale della scuola neo-immesso in ruolo, ai fini della ricostruzione della carriera e della relativa progressione, così come previsto dalla normativa comunitaria, rivedendo conseguentemente gli effetti, anche ai fini contributivi, su pensioni e trattamento di fine rapporto. (4-10970)


      GREGORI e FASSINA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          con decreto del direttore generale n.  58 del 25 luglio 2013, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha istituito i percorsi abilitanti speciali (Pas) che hanno rappresentato un'opportunità per gli insegnanti precari che per anni hanno lavorato con contratti a tempo determinato nelle scuole ma, che per vari motivi, non erano riusciti ad ottenere l'abilitazione all'insegnamento;
          requisito fondamentale per l'accesso al Pas era unicamente quello di aver prestato servizio in qualità di docente supplente con contratto a tempo determinato per almeno tre anni nelle istituzioni scolastiche statali o paritarie;
          dunque, non occorreva superare un test d'ingresso, come previsto per il tirocinio formativo attivo (Tfa), ma era necessario semplicemente fare domanda e attendere che l'ateneo di riferimento organizzasse il corso. Il Pas aveva durata annuale, la frequenza era obbligatoria e si concludeva con un esame finale, con valore abilitante;
          la richiesta di un nuovo percorso abilitante, per i docenti di terza fascia con servizio, a giudizio degli interroganti, non è da considerare come una sanatoria, bensì come un atto dovuto rispetto a quel riconoscimento professionale stabilito dalla direttiva europea n.  36/2005 che ha portato all'attivazione dei Pas precedenti;
          sembra necessario definire una fase transitoria che sani l'attuale situazione che vede migliaia di docenti con anni di servizio ma senza abilitazione, evitando ulteriori disparità rispetto ai colleghi che hanno visto riconosciuta la possibilità di seguire un percorso abilitante speciale;
          i docenti di terza fascia svolgono ruoli cruciali all'interno del sistema scolastico, e sono in possesso di titoli validi allo svolgimento della professione docente;
          infine, va ricordato che la legge n.  107 del 2015 non consente la partecipazione al concorso pubblico per i docenti ai non abilitati. Quindi chi ha garantito con il proprio lavoro il corretto funzionamento di una istituzione indispensabile per uno Stato civile, ora vede negato il diritto al lavoro, al concorso e al proprio futuro  –:
          se il Ministro interrogato non intenda valutare la convocazione di un tavolo urgente presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al fine di poter esaminare le posizioni dei docenti coinvolti, con particolare riguardo al riconoscimento dell'abilitazione all'insegnamento per i docenti con tre anni di insegnamento, in accordo con la direttiva 2005/36/CE;
          quali siano le ragioni che ostano alla predisposizione di un percorso abilitante con cadenza annuale – per un periodo transitorio di 5 anni – che possa consentire l'abilitazione di tutti i docenti attualmente inseriti nella terza fascia che conseguiranno con punteggio di servizio pari a 360 giorni, così come affermato dalla sentenza n.  2750/15 del Consiglio di Stato, e favorire lo scioglimento della riserva per docenti abilitati e abilitanti, tramite la Pas, sempre come disposto dal Consiglio di Stato. (4-10978)


      DI LELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'attuazione della legge 13 luglio 2015, n.  107, recante «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti», ha evidenziato, in alcuni sue parti, evidenti criticità e, in altre, ha introdotto disparità che occorrerà sanare in questa sede, ci si limita a segnalarne due;
          prima questione: con il decreto ministeriale prot. n.  499 del 20 luglio 2015, recante «Modalità di svolgimento di un corso intensivo di formazione e della relativa prova scritta finale, ai sensi dell'articolo 1, comma 87, della legge 13 luglio 2015, n.  107, ovvero della sessione speciale di esame di cui all'articolo 1, comma 90, della legge 13 luglio 2015, n.  107, si dava attuazione alle disposizioni legislative riguardanti i dirigenti scolastici che, avendo un ricorso pendente a seguito della partecipazione ai corsi – concorsi banditi nel 2004 e nel 2006 – potevano partecipare alla nuova tornata concorsuale;
          a tal fine, il direttore generale per l'ufficio scolastico regionale per l'Abruzzo, con nota n.  AOODRAB 6274, decreta la pubblicazione degli elenchi degli ammessi, individuati con nota prot. n.  8742 del 24 agosto 2015 dell'Ufficio scolastico regionale Campania per l'accesso ai ruoli di dirigente scolastico, rispettivamente, per la regione Abruzzo e per la regione Campania, sul sito web dell'ufficio scolastico specificando che i docenti di cui ai suddetti elenchi sosterranno la prova sotto stretta riserva di accertamento dei requisiti previsti dall'articolo 1, comma 88, della legge n.  107 del 2015;
          sembra però che l'accertamento di cui sopra, in tal caso, non sia stato effettuato a differenza di altre regioni dove si è proceduto all'esclusione dei candidati in quanto il ricorso non era più pendente. È il caso della regione Sicilia dove si è proceduto ad escludere i candidati che non avevano un ricorso pendente;
          così, scorrendo l'elenco dei candidati pubblicato sul sito web dell'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo e confrontandolo con i nominativi che compaiono in alcune sentenze definitive della giustizia amministrativa, la coincidenza è alquanto strana;
          in particolare, se si prende in considerazione le sentenze del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, sui ricorsi – numero di registro generale 5458 del 2012 (con sentenza depositata il 3 febbraio 2015); numero di registro generale 439 del 2012 (con sentenza depositata il 23 maggio 2012); numero di registro generale 430 del 2009 (con sentenza depositata il 23 maggio 2012); numero di registro generale 630 del 2009 (con sentenza depositata il 23 maggio 2012); numero di registro generale 1518 del 2009 (con sentenza depositata il 23 maggio 2012); numero di registro generale 627 del 2009 (con sentenza depositata il 23 maggio 2012) – i nomi e i dati anagrafici dei ricorrenti coincidono con quelli dei candidati ammessi al corso di cui sopra. Come anticipato, il Consiglio di Stato si pronuncia in via definitiva sull'appello, respingendo e confermando per l'effetto la sentenza impugnata. Inoltre ordina che le sentenze siano eseguite dall'autorità amministrativa. Le sentenze portano tutte date antecedenti l'entrata in vigore della legge 13 luglio 2015, n.  107, e sono motivo di preclusione alla partecipazione al corso in quanto il ricorso non era più pendente ma definitivo;
          sta di fatto che i candidati, partecipano al corso, superano la prova scritta, vengono inseriti, con tutti gli altri partecipanti perché tutti superano il corso, alla graduatoria generale di merito con nota del direttore generale dell'ufficio scolastico regionale per l'Abruzzo del 22 settembre 2015 prot. n.  AOODRAB 6523;
          la vicenda si conclude con il decreto del direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 2 ottobre 2015, prot. n.  0001002, con il quale vengono assegnate, ai soggetti inclusi negli elenchi allegati rispettivamente al decreto del direttore generale prot. n.  AOODRCA 10379 del 22 settembre 2015 della regione Campania e decreto del direttore generale prot. n.  AOODRAB 6523 del 22 settembre 2015 della regione Abruzzo, le sedi regionali di destinazione;
          seconda questione: l'attuazione della precitata legge n.  107 del 2015, non solo, non ha risolto la questione dei dirigenti scolastici, ma, al contrario, ha introdotto gravi e ingiustificate disparità di trattamento, con il limitare la partecipazione alla nuova tornata concorsuale a quelli con un ricorso pendente a seguito della partecipazione ai corsi – concorsi banditi nel 2004 e nel 2006, e l'esclusione di quelli del 2011;
          con l'occasione, si è anche ritenuto di recuperare le posizioni di soggetti non risultati vincitori in precedenti procedure di reclutamento di dirigenti scolastici svoltesi nel 2004 e nel 2006. Appare quindi conforme a giustizia e ragionevolezza prendere in considerazione pure le posizioni di coloro che hanno partecipato, superandolo, al concorso indetto nel 2011, al quale però erano stati ammessi sulla base di provvedimenti giurisdizionali cautelari, non avendo raggiunto il punteggio minimo richiesto per la prova preselettiva, ma in ogni caso, si ribadisce, superando tutte le prove d'esame;
          le prove concorsuali, valutabili nella loro interezza, sono state agevolmente concluse dagli stessi e avrebbe dovuto essere quindi conseguente, secondo l'interrogante, l'inserimento nella graduatoria di merito, in considerazione del tacito accoglimento della conclusione dell’iter concorsuale da parte dell'amministrazione, in virtù del principio dell'assorbenza, invocato dall'articolo 4, comma 2-bis, decreto-legge n.  115 del 2005, che così stabilisce: «Conseguono ad ogni effetto l'abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d'esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l'ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela»;
          la misura di sanatoria, in questo caso appare ancor più conforme secondo l'interrogante, alle necessità di razionale considerazione delle posizioni soggettive, se si considera che la prova preselettiva non aveva lo scopo di scrutinare la preparazione e l'idoneità del candidato a ricoprire la funzione – compito questo delle successive prove concorsuali –, bensì quello più limitato di ridurre il numero dei partecipanti alle prove, al fine di renderne più sollecita la definizione; ed, infatti, il risultato della prova preselettiva non concorre alla formazione del voto finale di merito. Peraltro, una volta che l'ammissione si sia comunque avuta e che le prove siano state successivamente superate, non risponde ad alcun interesse pubblico, secondo l'interrogante, continuare ad escludere i concorrenti risultati idonei, quando anzi è nell'interesse dell'Amministrazione inserirli nella graduatoria che costituisce una risorsa di personale e dunque una risorsa per il funzionamento dei pubblici uffici, anche tenendo conto che la graduatoria medesima è stata successivamente trasformata in graduatoria ad esaurimento, con validità per l'assunzione di tutti gli idonei in essa inseriti  –:
          quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di verificare i fatti esposti in premessa in ordine al possesso dei requisiti previsti dall'articolo 1, comma 88, della legge n.  107 del 2015;
          quali iniziative urgenti abbia intenzione di assumere, qualora riscontrasse una errata interpretazione delle disposizioni previste per l'espletamento della procedura concorsuale, per verificarne la correttezza in tutte le sedi di concorso;
          quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda assumere al fine superare la situazione di disparità di trattamento tra i partecipanti ai vari corsi-concorsi per dirigenti scolastici banditi negli anni. (4-10987)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          in base all'articolo 4 del decreto n.  83473 del 1o agosto 2014 i trattamenti di cassa integrazione guadagni e di mobilità in deroga non possono essere concessi in favore dei lavoratori per i quali ricorrono le condizioni di accesso alle analoghe prestazioni previste dalla normativa vigente;
          in base a questa disposizione viene ad essere esclusa la possibilità di concedere trattamenti di mobilità in deroga in favore di lavoratori che al momento della entrata in vigore del suddetto decreto ministeriale fossero in possesso dei requisiti o sotto trattamento di mobilita ordinaria ai sensi della 223 del 1991, «Aspi», «Mini Aspi», indennità di disoccupazione agricola con requisiti ordinari o ridotti;
          non sarebbe possibili concedere il trattamento di mobilità in deroga a seguito della conclusione della fruizione della mobilità ordinaria, dell’«aspi» o «mini aspi»;
          in queste settimane molti lavoratori stanno ricevendo da parte dell'Inps comunicazione di rigetto della domanda di mobilità in deroga prima concessione 2015 con la motivazione che sarebbero già stati percettori della mobilità ordinaria;
          è il caso in Valbasento (provincia Matera) dei lavoratori Pcma, Soften e Panasonic;
          per questi lavoratori, quasi 200, il rischio è di essere esclusi da ogni forma di tutela alla scadenza del beneficio degli strumenti ordinari, nonostante lo strumento della mobilità in deroga venga ad essere definitivamente superato a partire dal 1o gennaio 2016;
          in contesti territoriali e sociali già profondamente segnati dalla crisi il venire meno di questa forma di protezione sociale introduce nuovi e pesanti elementi di tensione  –:
          se il Governo intenda superare l'interpretazione restrittiva di cui al decreto ministeriale 83743 assicurando anche per i lavoratori i cui strumenti di tutela ordinari sono in scadenza entro l'anno 2015 di poter usufruire dello strumento di mobilità in deroga fino al 31 dicembre 2016 con le modalità previste dalla legge, considerato che si tratterebbe di prima concessione. (5-06855)


      CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, CIPRINI, TRIPIEDI e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'approvazione, nel dicembre 2014, della legge delega sul lavoro è stato previsto che da gennaio 2015 fossero diffusi i dati sulle nuove assunzioni, in modo da dimostrare il funzionamento del meccanismo degli incentivi alle assunzioni stabili e delle novità introdotte dal Jobs Act, come sollecitato dal Ministro interrogato;
          i numeri resi pubblici in questi ultimi mesi dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sono stati più volte smentiti da più parti;
          in agosto 2015, ad esempio, sono stati diffusi dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali dati errati relativi ai contratti stipulati nei primi sette mesi dell'anno;
          il numero dei contratti a tempo indeterminato, cioè il saldo tra attivazioni e cessazioni, è risultato dimezzato nell'ultimo aggiornamento rispetto alla prima versione fornita: sono stati, infatti, dimenticati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali 1.392.196 di contratti cessati;
          ad agosto 2015 il Ministro Poletti ha fornito, come numero di rapporti di lavoro stabili creati a tempo indeterminato, la cifra di 630.585 che è risultata più che raddoppiata rispetto a quella effettivamente registrata nei primi 7 mesi dell'anno di 327.758;
          escludendo le trasformazioni di contratti a termine in indeterminati, la succitata cifra di 327.758 si ferma a sole 117.498 unità;
          sui dati falsati, relativi ai nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato si è espressa anche l'organizzazione sindacale CGIL che, come si legge in un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore del 27 agosto 2015, tramite il suo segretario Susanna Camusso, ha dichiarato: «Sono mesi che si sta facendo propaganda sui numeri. (...) Non ci sono particolari sorprese, tranne quella che non ci si aspetterebbe mai che un organo ufficiale imbrogli sui dati»;
          anche l'Istat ha accusato il Governo di «sbandierare» risultati sul lavoro inesistenti e, in un'intervista rilasciata al Fatto Quotidiano a fine luglio 2015, Giorgio Alleva, presidente dell'Istituto, ha dichiarato che: «valutare il saldo tra attivazioni e cessazioni dei contratti come se fosse un aumento di teste, cioè di occupati, è una approssimazione non accettabile»;
          ad agosto 2015 il tasso generale di disoccupazione si è attestato al 12,7 per cento; quello della disoccupazione giovanile ben oltre il 44 per cento e in meno di un anno si è assistito a 40 mila nuovi disoccupati;
          allo stato attuale, l'occupazione in Italia cala ancora, i dati diffusi dall'Istat dicono che a giugno 2015 ci sono stati 22 mila occupati in meno rispetto a maggio;
          il suddetto calo ha riguardato soprattutto i più giovani: gli occupati nella fascia d'età tra 15 e 24 anni sono diminuiti del 2,5 per cento, e il tasso di occupazione giovanile è pari al 14,5 per cento;
          ancora secondo i dati forniti dall'Istat, nel giugno 2015 si sono registrati ben 85 mila disoccupati in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente: si tratta di dati allarmanti che dimostrano come il Jobs Act non stia dando i risultati sperati e, soprattutto, come i dati reali non coincidano con quelli forniti dal Governo;
          recentemente i dati infondati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sono stati confutati anche da una ricercatrice, Marta Fana, dottoranda in economia a SciencesPo Paris e collaboratrice del quotidiano Il Manifesto, la quale in un'intervista rilasciata al Fatto Quotidiano il 13 ottobre 2015 dichiara che: «Il Governo farebbe bene a studiare e fare molta meno propaganda ingannevole. La ripresa non è strutturale: nessuno sforzo in investimenti, in avanzamento tecnologico all'orizzonte. È tutta una questione di ciclo economico e il mercato del lavoro al netto del ciclo è dopato dagli sgravi»  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga doveroso far definitivamente chiarezza sui numeri effettivi delle nuove assunzioni a tempo indeterminato, onde evitare il ripetersi di episodi quali quelli in premessa inerenti alla pubblicazione di dati errati relativi ai nuovi contratti stipulati;
          quali iniziative concrete il Ministro intenda intraprendere per arginare la piaga dilagante della disoccupazione, soprattutto quella giovanile, alla luce di quello che gli interroganti giudicano il fallimento delle politiche adottate tramite la legge delega sul lavoro;
          se il Ministro    non intenda assumere iniziative per rendere strutturali gli incentivi per le nuove assunzioni. (5-06865)

Interrogazione a risposta scritta:


      MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la Maccaferri Corporate è un colosso che conta 57 stabilimenti in 50 Paesi per circa 5 mila dipendenti in tutto il mondo. Il fatturato consolidato di gruppo, nel 2014, è stato di un miliardo 102 milioni di euro. La storia del gruppo è legata alla famiglia Maccaferri che nel 1879 fonda la ditta Maccaferri Raffaele Officina da fabbro, a Zola Predosa in provincia di Bologna;
          la direzione dello stabilimento di Castilenti che conta 42 lavoratori ha comunicato nei giorni scorsi ai sindacati che l'azienda chiuderà entro la fine dell'anno;
          i sindacati, poco meno di due anni fa avevano concertato con la stessa azienda un piano di rilancio e riconversione che da un lato prevedeva 10 licenziamenti, ma dall'altro contemplava un investimento di un paio di milioni per diversificare la produzione e associare alle reti per gabbionature un nuovo prodotto in materiale geosintetico da impiegare nel settore degli asfalti drenanti. La direzione aveva dato mandato anche di fare il budget 2016 e stava chiedendo le autorizzazioni per potenziare alcuni impianti;
          i vertici aziendali giustificano la scelta sottolineando come ci sia mercato nel solo Nord Europa e come lo stabilimento di Castilenti comporti delle perdite, in quanto il costo del trasferimento del prodotto è molto elevato;
          i sindacati in una nota sottolineano come la notizia sia giunta in modo inaspettato e senza nessun segnale di un rischio del genere e hanno immediatamente richiesto un tavolo istituzionale con l'azienda e le istituzioni locali per discutere un piano alternativo alla chiusura;
          la zona industriale di Castilenti ha vantato aziende importanti come l'industria tessile Valfino, che ha contato circa 700 dipendenti e che oggi è un ammasso di cemento ed eternit e la chiusura della Maccaferri potrebbe essere il colpo finale per un'area già segnata da enormi perdite in termini industriali  –:
          se non ritengano di convocare le parti sociali, gli enti locali e la regione Abruzzo per cercare positive soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare un ennesimo dramma sociale. (4-10981)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


      MELILLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          in questi giorni gli armatori di Pescara, Giulianova (Teramo), Ortona (Chieti) e San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno) hanno lanciato un appello pubblico sulle difficoltà che incontrano a lavorare a causa dei disagi legati all'eccessiva restrizione dell'area di pesca;
          in un comunicato annunciano numerose mobilitazioni, anche clamorose, e sottolineano come siano costretti a muoversi in uno spazio di circa 510 miglia quadrate di mare, con una limitazione di circa il 70 – 80 per cento rispetto a quella che sarebbe l'area potenzialmente accessibile. Soprattutto sembra esserci poca chiarezza sulla zona interdetta, quanto meno da parte dei croati, e comunque la pesca con i palangari avviene lo stesso, nonostante le limitazioni;
          le restrizioni sono legate a due ordini di fattori. Da una parte bisogna stare lontani (a partire dal 26 luglio 2015, per un anno) dalle aree interdette alla pesca ai fini della tutela delle specie ittiche, così come disposto dall'Unione europea. Dall'altra parte, poi, si deve tenere conto della rete di ricerca per le trivellazioni, come stabilito nell'ambito di un accordo tra il governo italiano e quello croato. Per quanto riguarda le trivellazioni per la ricerca di idrocarburi, si ricorre a delle bombe d'aria in acqua e in questo modo si allontana il pesce;
          dovendo concentrare la pesca in un'area limitata, il problema si aggrava maggiormente per i pescatori;
          abbondano i merluzzi di piccola taglia, con la caduta del loro prezzo di mercato mentre per altre specie vi sono carenze come per gli scampi, le pescatrici, i polpi, i totani;
          anche i commercianti e i ristoratori sono penalizzati dalla scarsità dell'assortimento del pescato;
          gli armatori si dicono disponibili ad andare in mare tre giorni a settimana anziché quattro, ma vanno ridotte le aree interdette alla pesca e si devono ridefinire le aree per le trivellazioni; nel contempo chiedono però di potersi confrontare con le istituzioni locali e nazionali per trovare una soluzione  –:
          se non intenda convocare un tavolo nazionale con istituzioni e parti sociali per trovare una soluzione condivisa che non penalizzi armatori, pescatori commercianti e ristoratori dell'Abruzzo. (4-10967)


      D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il Greco di Tufo, il Fiano e il Taurasi sono vini a denominazione di origine controllata e garantita diffusamente riconosciuti come prodotti di grande pregio; una caratteristica che scaturisce in ragione delle somme investite in qualità dalle cantine irpine, non solo per la produzione ma anche per la fase di imbottigliamento;
          la categoria dei vini docg comprende quelli prodotti in ben individuate zone geografiche;
          la individuazione dei vini docg è effettuata nel rispetto di una procedura indicata in un disciplinare di produzione;
          tale procedura è radicalmente cambiata sin dal 2010 in seguito all'attuazione della nuova normativa europea contenuta nel regolamento Ce, n.  479 del 2008, «Nuova OCM Vino»;
          detto regolamento è stato recepito in Italia con il decreto legislativo n.  61 dell'8 aprile 2010, ed è in vigore dall'11 maggio 2010;
          la qualità di vino docg è riservata a quei vini che hanno già ottenuto il riconoscimento di prodotto a denominazione di origine controllata (Doc) da almeno dieci anni e che siano considerati di particolare pregio, in ragione di ben specifiche caratteristiche qualitative;
          si tratta di vini che, rispetto alla media di quelli simili classificati DOC, hanno acquisito nel tempo una particolare rinomanza a livello nazionale ed internazionale;
          da quanto dichiarato da numerosi produttori residenti nelle aree docg irpine, c’è chi imbottiglia in località lontane immettendo sul mercato Fiano, Greco di Tufo e Taurasi a prezzi irrisori; una pratica, questa, che non solo non garantisce sempre la qualità imposta dal disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata e garantita, ma che crea anche difficoltà a quelle cantine che imbottigliano in loco assicurando, anche in questa fase della produzione, altissimi standard di qualità;
          non sempre questa qualità è garantita da chi, invece, imbottiglia altrove e vende il vino a prezzi di gran lunga inferiori a quelli fissati dalle cantine che hanno sede nel territorio Docg;
          il disciplinare di produzione dei prodotti a denominazione di origine controllata e garantita prevede che i vini siano sottoposti ad una iniziale analisi chimico-fisica e ad un esame organolettico non solo in fase di produzione, ma anche in quella di imbottigliamento durante la quale gli esami devono essere ripetuti partita per partita;
          a giudizio dell'interrogante, un Taurasi rispondente alle prescrizioni del disciplinare docg non può essere venduto a pochi euro;
          a giudizio dell'interrogante, il Governo dovrebbe valutare l'adozione di regole più stringenti che non solo assicurino la qualità dei vini docg, ma soprattutto non espongano le cantine irpine a gravi pregiudizi economici derivanti da una concorrenza non sempre leale  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per tutelare i produttori irpini di vini docg da chi, aggirando le attuali disposizioni contenute nel relativo disciplinare, immette sul mercato significativi quantitativi di bottiglie di vino Fiano, Greco di Tufo e Taurasi a prezzi ingiustificabilmente bassi, arrecando danni ingenti a chi, invece, punta tutto sulla qualità nel pieno rispetto delle norme in vigore. (4-10975)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


      FUCCI e RUSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il decreto del Ministero della salute del 30 maggio 2014 prevede l'applicazione di un bollino farmaceutico su ogni scatola di farmaco, al fine di rafforzare il contrasto alle possibili frodi ai danni della salute pubblica. Il bollino prevede una stampa ed una numerazione progressiva indelebile poiché si tratta di carte valori;
          i numeri progressivi dei contrassegni farmaceutici devono essere inseriti all'interno della banca dati, istituita dal Ministero della salute (come previsto dal decreto ministeriale del 15 luglio 2004) al fine di garantire la tracciabilità dei medicinali, scongiurando, in tal modo, il pericolo di contraffazione o duplicazione fraudolenta di farmaci e quindi dei conseguenti rimborsi, a carico del servizio sanitario nazionale;
          attualmente, sul mercato, la quasi totalità delle confezioni di farmaci, è etichettata con un bollino farmaceutico, il cui numero progressivo OCRB stampato sul supporto siliconato non risulta indelebile, come invece stabilito dal citato decreto ministeriale; l'eventuale assenza, intenzionale o meno del contrassegno compromette la tracciabilità della confezione, dal momento che, dopo la vendita, il bollino è l'unico elemento che consente di individuare, in maniera univoca, la confezione;
          l'Istituto poligrafico e zecca dello Stato ha assegnato recentemente, attraverso gara pubblica, l'appalto per undici impianti di stampa di bollini farmaceutici, che però sembra che non garantiscano l'indelebilità del numero targa; nonostante questo grave deficit, alcuni di tali impianti sarebbero stati collaudati con esito positivo;
          l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato starebbe elaborando soluzioni tecniche che non sarebbero di rapida applicazione per porre rimedio al grave problema, con la necessità di investimenti aggiuntivi  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per impedire, fin da ora, che i nuovi macchinari installati nelle sedi dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato di Roma e Foggia, producano contrassegni con il numero di targa non indelebile e che, conseguentemente, vengano immesse sul mercato confezioni di medicinali non idonee a garantire la tracciabilità completa, con possibili danni alla salute pubblica.
(5-06880)


      BORGHESE, BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
          è fatto notorio che il settore sanitario della regione Calabria è commissariato dal 2010 e tra gli obiettivi che il Governo ha assegnato al commissario Massimo Scura e al sub-commissario Andrea Urbani c’è la «Definizione dei contratti con gli erogatori privati accreditati e dei tetti di spesa delle relative prestazioni»;
          il 6 luglio 2015, è stato emanato il decreto commissariale n.  80 del 2015 con il quale, pur mantenendo invariato il saldo del capitolo di bilancio pari a 189 milioni di euro, si riassegna la parte del fondo precedentemente erogato alla Fondazione Campanella;
          l'importo in questione è pari a circa 10 milioni di euro, fondi che dovrebbero essere utilizzati, come disposto dal decreto, per garantire il miglior funzionamento di tutti gli enti che erogano prestazioni per il Servizio sanitario nazionale e che la struttura commissariale dovrebbe utilizzare dando priorità dell'utilizzo che garantisca la possibilità di fornire maggiori e migliori prestazioni ai drg (raggruppamenti omogenei di diagnosi) caratterizzati da forte mobilità passiva dei pazienti, con i conseguenti disagi e aumento dei costi di cura per gli stessi;
          dalla comparazione del budget assegnato alle singole strutture accreditate con il decreto n.  80 del 2015 rispetto al budget 2014 e con le prestazioni e attività effettivamente fornite nel 2014, emerge che il criterio adottato è diametralmente opposto a quello stabilito nel decreto citato: infatti sono state premiate con finanziamenti alcune strutture che non erogano prestazioni a forte impatto sulla mobilità passiva;
          nel decreto sopra citato la struttura commissariale non ha reso noti i criteri utilizzati per l'erogazione dei fondi dando adito al fondato sospetto che i criteri utilizzati non siano coincidenti con i criteri di trasparenza ma, soprattutto, siano stati improntati a quello della discrezionalità;
          si segnala altresì che il budget per le strutture dell'asp di Cosenza è stato incrementato di 6 milioni di euro, e fonti di stampa hanno reso noto che il 3 luglio 2015 sono state convocate tutte le strutture sanitarie della provincia di Cosenza per un incontro tenutosi il 6 luglio presso la sede dell'asp stessa al fine di stabilire l'ottimale allocazione delle risorse rispetto alle finalità previste nel decreto. Durante l'incontro non sono stati in alcun modo illustrati i criteri che sarebbero stati adottati per l'utilizzo dei fondi pubblici. Nonostante ciò, il giorno stesso la struttura commissariale ha proceduto a firmare il decreto nel quale sono indicate le strutture sanitarie beneficiarie di fondi pubblici e a pubblicarlo, circostanza che fa supporre che i budget erano stati già definiti ben prima dell'incontro con le strutture sanitarie competenti. Ad avviso degli interroganti risulta evidente che la riunione sia stata meramente formale poiché erano state già decise modalità e beneficiari dei fondi del budget 2015 da assegnare;
          appare poi anomalo il fatto che il 33 per cento della quota già assegnata alla Fondazione Campanella oggi in liquidazione, pari a un valore di 10 milioni di euro, sia stata distolta dalla disponibilità della stessa Fondazione per essere assegnata, senza alcun confronto preventivo con gli organi politici della regione e senza dare alcuna motivazione a sostegno della decisione presa unilateralmente dal commissario ad acta, a tre strutture sanitarie private di Cosenza in evidenti e note difficoltà economiche, le case di cura «La Madonnina srl», «Sacro Cuore» e «Madonna della Catena» che fanno tutte capo al gruppo «iGreco» di Cariati;
          in seguito ai fatti descritti, il presidente della regione Mario Oliverio ha chiesto al commissario per il piano di rientro di sospendere gli effetti scaturenti dal decreto e di dare avvio ad una nuova istruttoria per l'emanazione di un decreto sostitutivo. Il commissario ha ritenuto inopportuno quanto richiesto da Oliverio dichiarando di voler proseguire nella sua azione;
          si segnala che, in un caso analogo, il Consiglio di Stato con sentenza n.  870 del 2014 ha censurato l'azienda sanitaria di Bari la quale, assegnando il budget sulla base di un criterio meramente storico ha attribuito un'ulteriore quota ad una sola struttura accreditata. I giudici hanno chiarito che è necessario, nel caso di assegnazione di fondi pubblici, seguire il principio di trasparenza rendendo noti i criteri adottati per l'assegnazione delle risorse, in modo che venga evitata l'alterazione del principio di concorrenza tra imprese e venga reso possibile il fatto che le prestazioni in precedenza erogate dall'azienda avvantaggiata possano essere fornite da altre strutture del territorio, siano esse pubbliche o private convenzionate col Servizio sanitario nazionale –:
          se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali siano stati i criteri di assegnazione del budget sanitario calabrese, vista quella che appare agli interroganti una mancanza di trasparenza nella gestione da parte del commissario di Governo.
(5-06881)


      FRATOIANNI e NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          a partire dal 25 novembre, il sistema sanitario nazionale dovrà adeguarsi alla direttiva 93/104/CE del 23 novembre 1993, modificata il 22 giugno 2000, «concernente alcuni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro» del personale medico;
          la direttiva, recepita dall'Italia solo nel 2003 e mai attuata sino ad ora a causa di continue deroghe, prevede che il personale medico che lavora negli ospedali non potrà lavorare più di 48 ore in una settimana; i turni dovranno durare al massimo 13 ore e tra un turno e l'altro sarà obbligatorio un riposo di almeno 11 ore. Si tratta di disposizioni pensate per garantire che il personale sanitario, impegnato come è ovvio in compiti di alta responsabilità, sia il più possibile lucido e riposato;
          il sistema sanitario nazionale italiano vive uno stato di profonda difficoltà, a causa dei continui definanziamenti del sistema e a causa del quasi totale blocco del turn over che impedisce nuove assunzioni;
          di fatto, con le nuove direttive, potrebbero configurarsi rischi importanti per la salute dei cittadini, dal momento che già oggi, spesso si assiste alla scarsa presenza di personale medico nelle corsie di ospedale e sempre più medici sono quasi obbligati a turni straordinari pur di coprire le esigenze degli ospedali. Accade spesso, infatti, soprattutto, nei turni notturni che ci sia un numero davvero insufficienti di medici a dover ottemperare alle esigenze di diversi reparti. E questo è certamente dovuto alla carenza di personale medico;
          la Commissione europea si è espressa al riguardo attraverso la Commission Staff Working che ha pubblicato il «Document on an action Plan for the EU Health Workforce», evidenziando le difficoltà cui i sistemi sanitari nazionali europei, e in particolare quello italiano, andranno in- contro se non prevedono un aumento importante dei lavoratori nel campo della salute e dell'assistenza;
          proprio in questi giorni, a commento dell'entrata: in vigore della nuova direttiva europea, il segretario nazionale della Funzione Pubblica CGIL Medici, Francesco Cozza, ha stimato la necessità di assumere altri 5.000 medici, oltre alla necessità di stabilizzare il personale precario negli ospedali;
          Giuseppe Remuzzi, coordinatore delle ricerche dell'Istituto Mario Negri, dalle colonne del Corriere della Sera, ha persino espresso la necessità di circa 20.000 nuovi medici per fare fronte alle nuove regole sui turni di lavoro, evitando che impattino negativamente sulla qualità del servizio offerto dal sistema sanitario nazionale;
          per altro, la direttiva su citata prevede che possano essere concordate delle deroghe in alcuni casi specifici, ma solo attraverso il ricorso ai contratti collettivi nazionali, e quindi attraverso il confronto con le parti sociali interessanti. Al momento, agli interroganti non risulta nessuna convocazione delle parti sociali per discutere del merito della questione  –:
          quali soluzioni urgenti intenda adottare il Ministro per evitare che la nuova direttiva impatti negativamente sulla qualità del servizio sanitario e se non ritenga urgente e doveroso assumere iniziative, per quanto di competenza, per procedere all'assunzione di un maggior numero di medici. (5-06882)


      LENZI, CAPONE, PIAZZONI, ARGENTIN, MURER e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          come si evince dal sito web del Ministero della salute, l'articolo 27-bis del decreto-legge n.  90 del 2014 convertito dalla legge 114 dell'11 agosto 2014, prevede un'equa riparazione per i soggetti danneggiati da trasfusione con sangue infetto o emoderivati infetti o vaccinazioni obbligatorie (o ai loro eredi, in caso decesso) che abbiano presentato domanda di adesione alla procedura transattiva (Speciale Transazioni) entro il 19 gennaio 2010;
          il riconoscimento dell'equa riparazione è condizionato ai soli requisiti individuati dall'articolo 2, comma 1, lettera a) e b), del regolamento n.  132 del 28 aprile 2009 (l'esistenza di un danno ascrivibile alle categorie di cui alla tabella A annessa al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981 n.  834 ed esistenza del nesso causale tra il danno e la trasfusione con sangue infetto o la somministrazione di emoderivati infetti o la vaccinazione obbligatoria), indipendentemente dalla eventuale prescrizione del diritto al risarcimento del danno e dalla data dell'evento trasfusionale;
          la corresponsione della somma a titolo di equa riparazione «in un'unica soluzione» è subordinata alla formale accettazione della medesima e alla contestuale formale rinuncia all'azione risarcitoria intrapresa, ivi compresa la procedura transattiva, e a ogni ulteriore pretesa di carattere risarcitorio nei confronti dello Stato, anche in sede sovranazionale;
          la liquidazione degli importi sarà effettuata, in base ai dati già acquisiti per la procedura transattiva, entro il 31 dicembre 2017 secondo i criteri fissati dalla normativa che tengono conto della gravità dell'infermità e, in caso di parità, della situazione economica;
          le somme previste dal legislatore ammontano complessivamente a:
              euro 100 mila per i danneggiati da trasfusione con sangue infetto e da somministrazione di emoderivati infetti (in caso di eredi da ripartire secondo le quote successorie);
              euro 20mila per i danneggiati da vaccinazione obbligatoria (in caso di eredi da ripartire secondo le quote successorie);
          per coloro che non intendono avvalersi della somma di denaro a titolo di equa riparazione, prosegue la procedura transattiva di cui all'articolo 2, comma 361, della legge 24 dicembre 2007;
          risulta nella realtà che il Ministero, con interpretazione restrittiva della norma stia pagando solo coloro che erano in causa per il diritto al risarcimento «ereditato dal congiunto morto», mentre non paghi i 100 mila euro ai familiari dei deceduti che erano in causa per il danno «iure proprio» cioè per il danno da loro stessi subito, come il caso del signore G., ragazzo emofiliaco contagiato di aids da emoderivati che morì giovanissimo i cui genitori dopo aver fatto causa al Ministero per i danni da loro subiti per la morte del figlio, a quanto consta agli interroganti si sono visti rifiutare l'equa riparazione sull'assunto che non sarebbero loro «i danneggiati» ma solo il figlio; oppure il caso del signore L., talassemico, sposato e padre di 3 figli, che morì di epatite da plasmaderivati infetti: la moglie e i tre figli hanno richiesto l'equa riparazione ancora una volta negata dal Ministero per lo stesso motivo  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di questi fatti, quante siano fino ad oggi le domande di equa riparazione rifiutate sulla base del principio del non riconoscimento del danno «iure proprio» e quali iniziative urgenti ritenga opportuno adottare per far sì che anche questi familiari possano vedersi riconosciuta l'equa riparazione sulla base di tale principio. (5-06883)


      BARONI, MANTERO, COLONNESE, DI VITA, GRILLO, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          studi attendibili quali quelli dell'Eurispes del 2011 e del Centro nazionale delle ricerche attraverso i dati Ipsad 2010-2011, danno un numero di giocatori patologici tra i 700.000 e il milione di persone, inoltre dal dossier Azzardopoli 2.0 risulta che gli italiani che giocano almeno una volta all'anno siano 17 milioni a fronte di 48 milioni di maggiorenni, quindi un terzo degli italiani gioca almeno una volta all'anno;
          il dato dell'aumento di gioco è confermato anche dal Censis, mentre in particolare l'Eurispes afferma che sono le fasce economicamente fragili a giocare in proporzione maggiore;
          un dato recente fornito dal Ministero della salute riporta che i pazienti affetti da disturbo da gioco da azzardo in trattamento, aggiornato al giugno 2014, sono 12.376;
          solo il 5/6 per cento di tutti coloro che giocano almeno una volta l'anno sono realisticamente malati da gioco d'azzardo patologico e di questi malati solo    una percentuale tra 1 e 1,5 per cento è effettivamente in trattamento presso il Servizio sanitario nazionale;
          la cura della patologia da gioco d'azzardo patologico è stata inserita nei Lea fin dal 2012, a cui non sono seguiti i necessari decreti attuativi della legge;
          tenuto conto che le ASL e in particolare i Sert hanno potuto operare in autonomia e ad iso risorse rispetto al fondo sanitario nazionale, grazie solo alle iniziative dei distretti e delle aziende sanitarie gestite in maniera virtuosa e al sacrificio di operatori socio sanitari, la presa in carico dei malati e la cura è stata quindi offerta dal SSN in maniera impropria e a macchia di leopardo sul territorio nazionale purtroppo a seguito di gravi omissioni e di disattenzione nelle politiche di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, da parte del Governo, che necessariamente richiedono studi epidemiologici su cui occorre investire  –:
          quali iniziative abbia intrapreso ad oggi, per monitorare la presenza e il numero di centri di presa in carico del Servizio sanitario nazionale, che forniscano cure ambulatoriali, cure semi residenziali e cure residenziali e, in tale contesto, quali siano i dati relativi alla somministrazione di farmacoterapia rispetto alla necessaria presa in carico dal punto di vista umano, relazionale e terapeutico, garantita da operatori socio-sanitari non medicalizzati. (5-06884)


      MONCHIERO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
          l'Italia ha assunto impegni internazionali nell'ambito dell'implementazione delle politiche vaccinali e del raggiungimento di coperture vaccinali sufficienti per debellare malattie infettive pericolose;
          attualmente è in discussione presso il gruppo interregionale sanità pubblica e screening della Conferenza Stato-regioni la bozza del nuovo piano di prevenzione vaccinale 2016-2018 per il quale lo stesso organo ha espresso, in data 14 ottobre 2015, un parere favorevole subordinato ad alcune specificazioni e alla copertura economica;
          in data 27 ottobre 2015 è stato pubblicato su Il Sole 24 ore Sanità, un articolo che, ad avviso dell'interrogante, contiene affermazioni che non sembrano adeguatamente supportate da dati scientifici e che potrebbero screditare l'azione intrapresa dal Governo nel campo delle vaccinazioni;
          sopraddette affermazioni, di fatto pregiudicano la credibilità professionale, scientifica e istituzionale di coloro che hanno partecipato alla stesura della bozza di piano nazionale della prevenzione vaccinale 2016-2018, i cui contenuti sono stati approvati all'unanimità dalla Conferenza Stato-regioni il 22 ottobre 2015, salvo rinviare al 5 novembre la discussione finale, per verifiche di carattere tecnico sulla copertura finanziaria dello stesso;
          la bozza è stata, infatti, elaborata dal gruppo di lavoro per le strategie vaccinali costituito dal Ministro interrogato presso il Consiglio superiore di sanità. Per la stesura della bozza hanno fornito il loro contributo la Società italiana di pediatria, la Società italiana di medicina preventiva e sanità pubblica, la Federazione italiana dei medici pediatri e la Federazione italiana dei medici di medicina generale. Il lavoro intenso del gruppo ha portato ad un piano inviato dal Ministro alle regioni ai primi di luglio 2015;
          in data 30 ottobre 2015 è stata pubblicata, sempre su Il Sole 24 ore Sanità, una risposta sottoscritta dai più alti vertici istituzionali e scientifici nazionali e regionali, nella quale si evidenzia il pericolo che la diffusione di affermazioni analoghe comporta per la sanità pubblica e quindi per la salute dei cittadini –:
          se non ritenga necessario intraprendere iniziative a tutela della credibilità delle istituzioni sanitarie coinvolte e se, parallelamente, non ritenga opportuno avviare ulteriori campagne di comunicazione che informino correttamente la popolazione sull'opportunità di ricorrere allo strumento della vaccinazione a tutela della salute personale e del benessere collettività. (5-06885)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BURTONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l’ictus è la più frequente malattia neurologica, per la quale il cervello non riceve più sangue (ischemia) o viene inondato da sangue da un'arteria rotta (emorragia);
          è una malattia di enorme impatto sulla sanità pubblica, essendo la prima causa di invalidità, la seconda di demenza e la terza di morte;
          ogni anno in Italia vengono dimessi circa 100.000 pazienti di cui circa l'80 per cento colpiti da ictus ischemico ed il 20 per cento da ictus emorragico;
          circa il 20 per cento degli ictus ischemici è attribuito alla fibrillazione atriale, ma è verosimile che la reale proporzione sia maggiore;
          purtroppo, la fibrillazione atriale è ampiamente sotto-trattata perché dei pazienti con indicazione a terapia anticoagulante solo la metà sono realmente trattati e solo la metà di questo 50 per cento lo è in maniera adeguata;
          sulla base del «decreto Lorenzin» del mese di giugno 2015 in Italia ci dovrebbe essere un centro ictus di primo livello, dove poter fare la trombolisi intravenosa, ogni 200.000 abitanti e un centro di secondo livello, dove poter fare oltre alla trombolisi intravenosa anche la trombectomia meccanica, ogni milione di abitanti;
          vi dovrebbero essere circa 300 centri, di cui circa 240 di primo livello e circa 60 di secondo livello;
          attualmente vi sono in tutto 175 centri, di cui 53 hanno strutture per poter effettuare i trattamenti endovascolari;
          purtroppo, la distribuzione sul territorio nazionale è diseguale, con una copertura da ottima a buona nel Centro-nord ed altamente insufficiente al Sud, così come sarebbe assolutamente necessaria una maggiore interazione tra centri di primo e secondo livello per poter assicurare cure adeguate;
          altro limite che penalizza il sud è l'assenza di centri adeguati di riabilitazione post ictus che costringe famiglie ad enormi sacrifici fuori dai propri contesti anche regionali  –:
           sulla base delle linee adottate con il citato decreto quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere per rafforzare la rete dei centri stroke unit al Sud e dei centri di riabilitazione su tutto il territorio nazionale per poter consentire un adeguato trattamento di tale patologia.
(5-06857)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 17, comma 1, lettera c) della legge 7 agosto 2015, n.  124, ha previsto che «per le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, e aventi graduatorie in vigore alla data di approvazione dello schema di decreto legislativo di cui al presente comma, in attuazione dell'articolo 1, commi 424 e 425, della legge 23 dicembre 2014, n.  190, nel rispetto dei limiti di finanza pubblica, l'introduzione di norme transitorie finalizzate esclusivamente all'assunzione dei vincitori di concorsi pubblici, le cui graduatorie siano state approvate e pubblicate entro la data di entrata in vigore della presente legge»;
          a tutt'oggi tarda l'emanazione del decreto legislativo attuativa della suddetta disposizione;
          l'articolo 3, comma 5, del decreto-legge n.  90 del 2014 ha stabilito che gli enti locali possono assumere nel 2015 nel limite del 60 per cento della spesa relativa alle cessazioni dell'anno precedente, nel 2016 e nel 2017 l'aliquota è fissata all'80 per cento per salire al 100 per cento dal 2018;
          il «Rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pubblica» della Corte dei conti (paragrafo «La faticosa e lenta elaborazione di politiche di personale post crisi») afferma: «Esaurita la fase più severa della crisi economica – al cui superamento hanno in parte contribuito anche le misure di contenimento della spesa per il personale pubblico – occorre, ad avviso della Corte, riprendere il percorso di definizione di una ordinaria politica di personale in grado di intervenire sulla debolezze e sulle criticità di sistema, in parte acuite da un approccio fortemente condizionato dalle esigenze di rispettare i vincoli di bilancio»;
          la Corte spiega che: «Il dimensionamento del personale va affrontato, a regime, superando l'approccio in termini di tagli lineari, attraverso una attenta valutazione dell'effettivo fabbisogno di attività amministrativa al centro e soprattutto sul territorio e la conseguente necessità di disporre di professionalità specifiche anche in relazione alla auspicata ripresa di investimenti in nuove tecnologie»;
          la magistratura contabile specifica infine che: «Si tratta di considerazioni condivise dal Rapporto finale dell'allora Commissario per la revisione della spesa che, in un apposito paragrafo, sottolinea come le misure di contenimento della spesa (reso noto nel marzo 2014) di personale sinora adottate – riduzione del numero degli addetti e congelamento dei trattamenti economici – benché indubbiamente efficaci, non possono essere reiterate in condizioni normali e, conseguentemente, segnala l'urgenza di definire una strategia post crisi»;
          inoltre nel citato rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica la Corte evidenziava, in relazione ai vincoli assunzionali ed al prolungamento dell'età lavorativa, il progressivo invecchiamento dei dipendenti pubblici, che registrano – come sottolineato dalla RGS-IGOP nella nota introduttiva al Conto annuale 2013 – un'età media ormai prossima a 50 anni;
          è necessario, ad avviso degli interroganti, che si dia luogo ad un ricambio generazionale vero ed effettivo all'interno delle pubbliche amministrazioni tale da «immettere» nelle amministrazioni nuovo personale professionalmente preparato, selezionato e motivato;
          l'assunzione dei «vincitori di concorso» come prevista nella suddetta legge delega produrrebbe, in conformità del principio di economicità ed efficienza della pubblica amministrazione, un autentico risparmio, derivante da un lato dalla possibilità di assumere immediatamente personale qualificato, preparato e già selezionato, dall'altro lato, dalla possibilità di evitare nuove e onerose procedure concorsuali  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato ritenga opportuno assumere per favorire e rafforzare il ricambio generazionale nella pubblica amministrazione e attuare il principio contenuto nella legge delega n.  124 del 2015 finalizzato all'assunzione dei vincitori dei concorsi pubblici.
(5-06869)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CERA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il gruppo Sangalli opera nel settore del vetro attraverso quattro stabilimenti produttivi: Sangalli Vetro Manfredonia, Sangalli Vetro Porto Nogaro, Sangalli Vetro Satinato, Sangalli Vetro Magnetronico;
          tale importante impresa è insediata da più di dieci anni nel territorio pugliese grazie allo strumento del contratto d'area dando lavoro mediamente a 200 lavoratori, oltre all'indotto (circa 200 operai). La Sangalli è arrivata a produrre in Puglia circa 600 tonnellate al giorno di vetro, fino alla conquista del 35 per cento del mercato italiano del settore;
          le società del gruppo, in particolare la Sangalli Vetro Manfredonia – già Manfredonia Vetro, hanno ricevuto contributi pubblici sulla base di tre protocolli al contratto d'area di Manfredonia. Ulteriori risorse economiche sono state stanziate dalla regione Puglia;
          la Sangalli Vetro Manfredonia s.p.a. ha annunciato la progressiva fermata degli impianti di produzione di vetro float dello stabilimento di Macchia-Monte – Sant'Angelo nel novembre 2014. In quell'occasione l'azienda ha diffuso un comunicato che recitava: «Viste le difficili condizioni in cui versa il mercato del vetro piano in Italia, il gruppo Sangalli si sta adoperando per ridurre la propria capacità produttiva mantenendo un livello di produzione in linea con le esigenze dei nostri clienti»;
          numerosi sono stati gli incontri presso il Ministero dello sviluppo economico circa la situazione di crisi aziendale del gruppo. Da sottolineare come in data 7 gennaio 2015 si è tenuto, presso il Ministero, un incontro tecnico nazionale riguardante le problematiche di tutti gli stabilimenti in Italia del gruppo Sangalli. In tale riunione l'azienda ha illustrato un piano concordatario (che risultava non ancora presentato all'autorità giudiziaria) che disponeva la liquidazione della Sangalli Vetro Manfredonia, mantenendo in vita la Sangalli Vetro Magnetronico, la Sangalli Vetro Satinato a Monte Sant'Angelo e la Sangalli Vetro Porto Nogaro a San Giorgio di Nogaro;
          in data 1o aprile 2015 si è svolto a Roma, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un incontro per l'esame della richiesta di cassa integrazione per i lavoratori della Sangalli Vetro Manfredonia. In quella sede veniva dichiarata l'impossibilità di concedere il sussidio economico ai lavoratori a causa della mancata presentazione di ammissione al concordato preventivo da parte della società. I responsabili dell'azienda venivano, pertanto, invitati a procedere alla presentazione di tale atto al tribunale di Treviso insieme alla documentazione necessaria per un piano di ripresa delle attività produttive;
          secondo notizie di stampa il 24 luglio 2015 il tribunale di Treviso avrebbe ammesso la Sangalli Vetro Manfredonia s.p.a. alla procedura di concordato preventivo liquidatorio. Il piano concordatario prevederebbe di coprire gli oltre 90 milioni di euro di debito attraverso la cessione di beni mobili e immobili della società. L'adunanza dei creditori è stata fissata per il 4 novembre 2015 presso la sezione fallimentare del tribunale di Treviso. Con la presentazione definitiva del piano concordatario i possibili investitori potranno conoscere i dati ufficiali del passivo delle società (che per Manfredonia ammonterebbe, sempre secondo notizie riportate dalla stampa, a circa 50 milioni di euro);
          in un tavolo tecnico al Ministero dello sviluppo economico, il commissario giudiziario avrebbe riferito che non era stato possibile trovare soluzioni che contemplassero la cessione aggregata dei beni societari nella loro interezza e senza parcellizzazioni, come invece auspicato, al fine di mantenere la continuità delle attività e dell'occupazione degli impianti della Vetro Sangalli Manfredonia s.p.a., della Sangalli Vetro Magnetronico s.r.l. e della Sangalli Vetro Satinato s.r.l. Le uniche richieste presentate all'ufficio commissariale riguarderebbero l'interesse verso l'acquisizione disgiunta dei beni Sangalli;
          l'avvocato che rappresentava la proprietà Sangalli avrebbe confermato che la proprietà aveva ricevuto dagli imprenditori unicamente offerte che riguardavano la cessione atomistica dei beni. In sede del citato tavolo tecnico il rappresentante del Ministero dello sviluppo economico avrebbe ricordato che lo stesso Ministero aveva avviato da mesi, attraverso alcuni advisor, un lavoro di ricerca di soluzioni imprenditoriali per la cessione degli stabilimenti di Manfredonia nella loro interezza, al fine di rilanciare la produttività garantendo la tutela dell'occupazione. Il rappresentante del Ministero avrebbe, inoltre, ribadito che il Governo chiederà ai due advisor incaricati della ricerca di soluzioni imprenditoriali di proseguire la propria attività fino alla fine del 2015 per la ricerca di soluzioni imprenditoriali per il recupero dell'azienda di Manfredonia;
          il 4 agosto 2015 è stato firmato l'accordo per la concessione della cassa integrazione guadagni ai dipendenti della Manfredonia vetro Sangalli;
          appare necessario pertanto un intervento a tutti i livelli istituzionali per consentire, in considerazione anche dei contributi ottenuti in passato dalla Sangalli vetro, di rilanciare i comparti produttivi della stessa azienda che costituisce un elemento di sviluppo fondamentale per zona di Manfredonia già colpita da un grave crisi economica. Infatti, a situazione socioeconomica del territorio pugliese desta profonda preoccupazione a causa della crisi produttiva che provoca continue drammatiche chiusure di aziende. Il conseguente perdurante aumento della disoccupazione, soprattutto quella giovanile, costringe, infatti, una parte della popolazione di questo territorio a vivere in condizioni di disagio e di sofferenza, ogni giorno sempre più insostenibili;
          è necessario, pertanto, offrire delle alternative concrete per dare un futuro alle famiglie di circa 400 operai dello stabilimento di Manfredonia e dell'indotto, che subiscono la crisi di un'azienda che ha già goduto di contributi da parte dello Stato e che risulta strategica per l'intero territorio della Capitanata e del centrosud del nostro Paese  –:
          quali informazioni i Ministri interrogati siano in condizione di fornire circa la situazione attuale della Sangalli Vetro di Manfredonia e le possibili prospettive che la riguardano;
          quali iniziative urgenti intendano adottare per garantire la ripresa dell'attività della Sangalli Vetro Manfredonia al fine di salvaguardare i livelli occupazionali. (5-06861)


      LACQUANITI, BERLINGHIERI, COMINELLI e SBERNA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          IKEA è un'azienda multinazionale fondata in Svezia da Ingvar Kamprad, con sede legale principale a Leida, nei Paesi Bassi, specializzata nella vendita di mobili, complementi d'arredo e altra oggettistica per la casa;
          Ikea dal 1989 è presente in Italia dove ora ha 21 punti vendita, con un fatturato di 1,64 miliardi di euro e 6.587 dipendenti (al 31 agosto 2011);
          il punto vendita di Brescia, ubicato nel comune di Roncadelle, occupa circa 30.000 mq, è uno dei più importanti per giro d'affari del nostro Paese ed è in via di ampliamento; al termine dei lavori, il nuovo punto di vendita occuperà più di 90.000 mq;
          IKEA ha aderito a Federdistribuzione, che non ha adottato il nuovo contratto nazionale del commercio rinnovato nel marzo 2015;
          IKEA ha unilateralmente disdetto tutti i contratti integrativi territoriali e nazionali, dopo il fallimento delle trattative tra sindacati e azienda avvenuto il 3 luglio, Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno indetto per l'11 luglio il primo sciopero nazionale a cui hanno aderito quasi tutti i lavoratori interessati, l'80 per cento secondo stime sindacali;
          il 2 agosto 2015 anche i lavoratori del punto di vendita bresciano hanno aderito alle agitazioni proclamate a livello nazionale;
          i contratti integrativi disdetti prevedevano un premio fisso aziendale oltre alle maggiorazioni per le giornate festive e domenicali;
          il premio fisso incideva del 20 per cento sulla retribuzione dei dipendenti part-time, circa l'80 per cento del totale, costituendone una componente necessaria per il raggiungimento di un salario minimamente adeguato;
          le maggiorazioni festive e domenicali davano un apporto importante ai salari, diversamente piuttosto bassi, oltre a riconoscere il disagio per i dipendenti impegnati in queste giornate normalmente deputate al riposo e alla vita personale e familiare   –:
          se siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative di competenza intendano intraprendere al fine di agevolare una soluzione della vertenza, per salvaguardare i già non elevati livelli salariali per i dipendenti di IKEA Italia ricostruendo in tal modo un sano rapporto tra lavoratori, sindacati e dirigenza aziendale. (5-06864)


      AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il management della «Michelin» s.p.a., nota multinazionale francese delle gomme, ne ambito del piano strategico 2016-2020, che prevede un processo di ristrutturazione e riorganizzazione industriale a livello europeo, ha deciso di chiudere entro il 2018 tre siti produttivi tra i quali quello italiano di Fossano (CN), il maggior sito produttivo in Europa e che da solo occupa più di 400 dipendenti dei 578 coinvolti in Italia;
          quelli di Fossano, il cui impianto chiuderà i battenti entro la fine del 2016, non sono i soli lavoratori piemontesi travolti dal suddetto processo di ristrutturazione industriale: altri esuberi si registreranno ad Alessandria (30) e Torino (120);
          nonostante la Michelin spieghi comunque di voler continuare ad essere un'importante e solida realtà industriale, commerciale e logistica in Italia, grazie anche ad un piano strategico quinquennale supportato da un investimento di 180 milioni di euro finalizzato ad un significativo incremento della produzione italiana di pneumatici per auto, furgoni e camion, con riferimento al sito di Fossano, impegnato in gran parte nella produzione di gomme per mezzi pesanti, parla di una flessione dei volumi a partire dal 2009 del 45 per cento, che si traduce in una situazione di cronica non saturazione degli impianti, aggravata dalla crisi economica che ha colpito in misura pesante il mercato europeo degli pneumatici caratterizzato, peraltro, da un contesto altamente competitivo. Inoltre, sempre secondo l'azienda, il calo dei volumi dell'impianto di Fossano, deriverebbe dal fatto che i 2/3 dell'attuale produzione di cavi metallici standard è oggi acquistabile sul mercato a costi decisamente inferiori e che, pertanto, la fornitura di questi semilavorati, in una logica di ottimizzazione dei costi di tutta la filiera di produzione degli pneumatici, richiederebbe soluzioni economicamente sostenibili. In tal senso, l'azienda avrebbe precisato che tutta la produzione dello stabilimento di Fossano sarà acquistata da fornitori esterni o rilevata da altri stabilimenti del gruppo presenti in Europa, e dichiarato la propria volontà di avviare un trasparente confronto con i sindacati e di accompagnare nella ricerca di una soluzione ogni dipendente interessato nella ricerca di un impiego alternativo;
          sul versante occupazionale, la notizia dell'annunciata chiusura dello stabilimento di Fossano ha immediatamente destato viva preoccupazione per le sorti delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti, che nel frattempo hanno preannunciato una stagione di scioperi e di mobilitazione. Accanto ad essi per esprimere la loro solidarietà si sono schierati: le organizzazioni sindacali, che non ritengono che la strategia dell'azienda sia supportata da una motivazione industriale fondata, il presidente della regione Sergio Chiamparino, che ha chiesto all'azienda un incontro con l'obiettivo di valutare e mettere in cantiere tutte le possibili iniziative tese a dare prospettive e certezze ai lavoratori coinvolti, ed il sindaco Davide Sordella, che ha promesso di impegnarsi a tempo pieno per trovare una soluzione ed ha invitato la popolazione a rimanere unita e solidale  –:
          quali iniziative di competenza intendano urgentemente intraprendere al fine di evitare che il gruppo Michelin interrompa nei prossimi anni la sua produzione nel comparto italiano e se non ritengano di dover intervenire anche al fine di farsi garanti degli impegni assunti dall'azienda con lavoratori e sindacati e di salvaguardare i livelli occupazionali del sito produttivo di Fossano. (5-06871)


      PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          risulterebbe all'interrogante che Terna abbia mandato la richiesta all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico di revocare «l'essenzialità» alla centrale Sulcis e a Ottana, mantenendola sul Turbogas Enel di Assemini in dismissione;
          tale provvedimento, ove confermato, comporterebbe la morte delle termocentrali sarde;
          la Sardegna sarebbe quindi in balia del cavo e dell'improvvisazione di Terna;
          tutto questo metterebbe a repentaglio il livello di sicurezza elettrica della Sardegna, che in quanto regione insulare deve avere una soglia di maggiore autonomia  –:
          se non ritenga di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire il mantenimento del livello di essenzialità per le suddette centrali;
          se non ritenga di dover assumere iniziative per garantire un livello di efficienza autonomo della Sardegna in quanto regione insulare. (5-06892)

Interrogazioni a risposta scritta:


      TERZONI, BUSTO, ZOLEZZI, DAGA, DE ROSA, MICILLO, MANNINO, VIGNAROLI, LIUZZI, SPESSOTTO, VACCA e DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il decreto ministeriale 25 marzo 2015 recante «Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione dell'articolo 38 del decreto legge 12 settembre 2014, n.  133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n.  164» prevede che gli operatori coinvolti nelle attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi dimostrino adeguate capacità tecnico-finanziarie e presentino, ai fini del rilascio ed esercizio dei titoli, garanzie finanziarie proporzionali all'entità degli eventuali danni derivanti da incidenti;
          il successivo decreto direttoriale 15 luglio 2015 recante «Procedure operative di attuazione del Decreto Ministeriale 25 marzo 2015 e modalità di svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi e dei relativi controlli» ha individuato i criteri e i requisiti per stabilire l'entità delle garanzie economico-finanziarie dovute per l'esercizio dei titoli;
          in particolare, l'allegato 1 prevede, al comma 2, che sia lo stesso operatore petrolifero a produrre lo studio contenente l'analisi dei rischi derivanti dalle operazioni da porre in atto nel titolo, comprensivo degli interventi previsti per la mitigazione degli stessi;
          il successivo comma 3 dell'allegato demanda allo stesso operatore petrolifero la quantificazione degli eventuali costi necessari per far fronte al caso più grave tra gli scenari incidentali previsti, sulla base dello studio di cui al comma precedente condotto, come detto, dall'operatore stesso;
          al comma 5 si introduce una tabella contenente gli importi minimi delle garanzie per tipologia di pozzo;
          al comma 9 si prevede che se l'operatore in questione gestisce molteplici titoli, tali garanzie devono essere prestate una sola volta, cioè per un solo caso di incidente; pertanto, a parità di tipologia di pozzo e condizione, un operatore che ne gestisce cento dovrà presentare garanzie pari a quelle dell'operatore che ne gestisce solo uno;
          i cittadini e le imprese hanno il diritto di conoscere la capacità tecnico-finanziaria degli operatori che lavorano sui territori in cui vivono e lavorano, in considerazione del fatto che i titolari dei permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione devono far fronte a tutti i costi, compresi quelli dei danni a cose, persone ed attività economiche, di eventuali incidenti;
          i titoli minerari spesso coprono aree di decine di migliaia di ettari con villaggi e città, attività economiche, aree protette e sono migliaia i cittadini che possono essere coinvolti a vario titolo in incidenti connessi alla ricerca e alla coltivazione di idrocarburi;
          la direttiva 30 del 2013 sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi prevede un regime rigoroso per la prevenzione dei rischi per le attività in mare, nonché norme precise finalizzate a garantire l'efficacia delle operazioni di disinquinamento in caso di incidente  –:
          a quali procedure valutative quali-quantitative siano sottoposti da parte dei competenti uffici del Ministero dello sviluppo economico gli studi di cui al richiamato comma 2 dell'Allegato 1 del decreto, visto che sono presentati dagli stessi operatori che ad avviso degli interroganti hanno tutto l'interesse di sottostimare l'entità dei rischi;
          a quali procedure valutative quali-quantitative siano sottoposti da parte dei competenti uffici del Ministero dello sviluppo economico le stime economiche proposte dagli operatori di cui al richiamato comma 3 dell'Allegato 1 del decreto visto che sono presentati dagli stessi operatori che ad avviso degli interroganti hanno tutto l'interesse di sottostimare l'entità dei costi connessi ad eventuali incidenti;
          perché non siano state previste soglie minime per impianti che comprendono navi quali FPSO e FPO nonché per oleodotti e gasdotti connessi agli impianti di estrazione visto che possono essere fonte di incidenti assai rilevanti;
          quale sia, per le tipologie di pozzo e di impianto indicati nella tabella di cui al comma 5 del decreto direttoriale, l'entità delle garanzie finora depositate presso il Ministero dello sviluppo economico sia in termini complessivi sia in termini di media per tipologia di pozzo ed impianto;
          quale sia la logica sottesa alla previsione di cui al comma 9, visto che i rischi sono associati ai singoli titoli e che, ovviamente, il livello complessivo di rischio e le probabilità di incidenti multipli sono strettamente connessi al numero di titoli e di impianti esercitato dall'operatore petrolifero;
          come si concili il comma 9 con il diritto comunitario e, in particolare, con le norme sulla concorrenza, visto che agli interroganti appare avvantaggiare chiaramente gli operatori aventi più titoli che sono chiamati a depositare garanzie in proporzione molto più limitate rispetto ai piccoli operatori, nonostante il livello di rischio da affrontare sia molto diverso;
          se non ritenga di rendere pubblici e facilmente accessibili sul web i piani di cui all'allegato 1, comma 2, e le valutazioni degli operatori di cui al comma 3 prima delle autorizzazioni all'esercizio;
          se non ritenga di dover assumere immediatamente iniziative affinché il decreto direttoriale sia modificato per renderlo più aderente alle finalità di prevenzione e gestione dei rischi inserendo una specifica pressione per la trasparenza verso il pubblico e i cittadini coinvolti.
(4-10977)


      FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il gruppo industriale Tosoni spa è composto da quattro realtà produttive allocate in provincia di Verona e due in provincia di Trento:
              Cordioli spa, con 145 addetti, specializzata in attività di carpenteria pesante nell'ambito del settore costruzioni;
              Officine Tosoni Lino spa, con 103 addetti, specializzata in costruzioni di facciate continue in alluminio, settore costruzioni;
              Saira Component srl, con 115 addetti, specializzata in allestimento di interni ferroviari, settore transport. L'azienda fino al 31 dicembre del 2014 era denominata Saira Europe, dal 1o gennaio 2015 diventa Newco Saira Component con trasferimento dei lavoratori, questo per consentire l'ingresso di potenziali investitori;
              Saira Elettronica, 100 lavoratori, specializzata in costruzioni di chiusure di carrozze ferroviarie e parti elettriche per carrozze ferroviarie, settore transport; il 1o gennaio 2013 l'azienda vede l'ingresso di un socio con ricapitalizzazione di 2,5 milioni di euro;
              R&D, azienda trentina con 10 dipendenti, operante nell'area ricerca e sviluppo del gruppo;
              Far System, 20 dipendenti, specializzata in vendita e installazione impianti fotovoltaici con sede a Trento;
          vi sono poi decine di filiali sparse per il mondo, compresa un'azienda in India che produce lo stessa tipologia di Saira Component ma con più basso valore aggiunto (circa 150 lavoratori);
          a partire dal 2013, si avvisavano i primi segnali di difficoltà finanziaria indotti da continui problemi organizzativi, che hanno provocato costanti ritardi nelle consegne, con conseguenti contestazioni e penali da pagare;
          già in quell'anno, anche a fronte dell'importante ricorso a società di somministrazione di manodopera, mediamente nel gruppo vi era la presenza di circa 150 somministrati, la GIT (Gruppo Industriale Tosoni) evidenziava difficoltà a pagare l'agenzia, la quale, essendo mono committente con la GIT, ritardava i pagamenti delle retribuzioni;
          nel frattempo, le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie avanzavano proposte organizzative e contrattuali al fine di mitigare i problemi; sempre nel 2013 si era addivenuto ad un accordo con Officine Tosoni sull'organizzazione del lavoro introducendo il 6 per 6 con 4 squadre, la cui finalità era di consentire un'efficienza più marcata;
          già in quel periodo le retribuzioni venivano riconosciute mediamente al 25 del mese successivo, anziché il 15. Nel mese di giugno 2014, per fronteggiare le difficoltà finanziarie, la proprietà ha ritenuto di spostare il pagamento delle stipendi alla fine del mese successivo; impegno disatteso, dato che a partire da agosto 2014 iniziava il calvario dei lavoratori, portando la tempistica di pagamento a ritardi che hanno sfiorato i 4 mesi;
          in questo periodo, i lavoratori, per denunciare la grave situazione, hanno intrapreso azioni di sciopero e di presidio; si sono susseguiti incontri a livello istituzionale nelle quali la proprietà ha sempre cercato di raccomandare serenità;
          nel corso dell'ultimo anno, sono usciti circa 100 lavoratori con dimissioni per giusta causa a fronte dei mancati pagamenti, impoverendo il tessuto professionale delle aziende;
          nel frattempo tutti i contratti con le agenzie sono andate ad esaurimento, lasciando però un debito con le stesse agenzie;
          la situazione diventa giorno per giorno più drammatica: ad oggi le retribuzioni sono ferme a fine giugno 2015, quindi con un arretrato di 3 mesi, il che ha portato al fallimento di interi nuclei familiari, con sfratti esecutivi e pignoramenti dei beni nei confronti dei lavoratori che non riescono a fare fronte alle spese;
          nel gennaio 2015, la direzione aveva informato le organizzazioni sindacali di operazioni societarie tali da portare a soluzione i problemi, tra queste l'intervento di Simest come finanziatore alla Saira Component, di fatto fallito dato che lo strumento comportava l'impegno di Tosoni a finanziare con pari quota;
          in primavera è stato dato incaricato lo studio Pirola di Milano di procedere all'analisi del gruppo per una riorganizzazione complessiva del medesimo;
          successivamente è stato dato alla milanese KPMG il compito di procedere allo studio di una ristrutturazione del gruppo. Nello stesso periodo il consiglio d'amministrazione ha dato delega al presidente (Tosoni) di procedere all'apertura del concordato fallimentare per la Cordioli e le Officine Tosoni, aziende con più sofferenza finanziaria e di ordinativi, oppresse dal debito accumulato;
          nei primi giorni di agosto 2015, si è proceduto alla sottoscrizione di accordi di cassa integrazione guadagni straordinaria per Cordioli e Officine Tosoni, questo in previsione di potenziali e ipotetici acquirenti;
          da quanto sopra esposto appare chiara la drammaticità della situazione: si corre il rischio che il gruppo vada verso il fallimento mettendo fine alla vita lavorativa di quasi 600 famiglie, quadro confermato dal fatto che, a quanto consta all'interrogante, sarebbero depositate in tribunale di richieste di ingiunzione di pagamento e le istanze di fallimento sono ormai alle porte  –:
          se Ministro dello sviluppo economico conosca le reali condizioni finanziarie del gruppo e nel dettaglio di ogni unità produttiva, lo stato debitorio e le istanze di pagamento ricevute;
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza del piano che l'azienda intende mettere in campo al fine di recuperare i ritardi delle retribuzioni;
          se il Governo abbia contezza del piano industriale che la KPMG ha prodotto al fine di salvaguardare la mission aziendale, e con quali prospettive.
(4-10982)

Apposizione di firme ad una mozione.

      La mozione Kronbichler e Scotto n.  1-01029, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Duranti, Pannarale, Costantino, Zaccagnini, Palazzotto, Giancarlo Giordano, Piras.

Apposizione di firme ad interpellanze.

      L'interpellanza urgente Bratti e altri n.  2-01141, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Piccione, Capone.

      L'interpellanza urgente Dorina Bianchi n.  2-01144, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scopelliti.

      L'interpellanza Costantino e altri n.  2-01145, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Ricciatti, Duranti.

      L'interpellanza urgente Brunetta e altri n.  2-01147, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Centemero, Garnero Santanchè, Palmieri, Romele.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in commissione De Lorenzis e Petraroli n.  5-06477, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Uva.

      L'interrogazione a risposta orale D'Incecco e altri n.  3-01772, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Amoddio, Antezza.

      L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Dorina Bianchi e Bosco n.  3-01816, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Garofalo.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Sberna n.  4-08785 del 15 aprile 2015;
          interpellanza urgente Galgano n.  2-01149 del 3 novembre 2015;

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Lacquaniti e altri n.  4-10411 del 18 settembre 2015 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-06864.