XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 15 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              un efficiente trasporto pubblico locale, è un obiettivo fondamentale per garantire il diritto alla mobilità di tutti i cittadini che deve essere perseguito unitamente ad una politica per la mobilità sostenibile, che garantisca sicurezza e efficienza degli spostamenti – in termini di impiego di tempo e costi economici e sociali – e riduzione dell'impatto ambientale;
              l'incremento del numero di persone che ogni giorno si spostano nelle città e tra le città con i treni e il servizio di trasporto collettivo ha considerevoli vantaggi: di vivibilità e sicurezza nelle città, con la riqualificazione di tutta la mobilità, integrando il trasporto pubblico locale con percorsi ciclabili e pedonali; ambientali e per la salute dei cittadini, grazie alla drastica riduzione degli inquinanti; per le famiglie, con la creazione di alternative più economiche e sostenibili al trasporto su gomma, e una netta riduzione della spesa per i trasporti; occupazionali, grazie allo sviluppo della gestione, costruzione e manutenzione del parco rotabile; nel rapporto sulla mobilità urbana del 2013, la Cassa depositi e prestiti segnala che con la riorganizzazione del settore si potrebbe creare un valore aggiunto pari a 17,5 miliardi e 465mila nuovi posti di lavoro;
              lo sviluppo e il miglioramento della qualità del servizio di trasporto pubblico, rende meno conveniente l'utilizzo del mezzo privato, e contribuisce in misura rilevante a ridurre l'inquinamento e la congestione delle città, aumentando l'attrattività e la competitività dei territori, come dimostra l'esperienza delle grandi città in Europa: nell'area urbana di Parigi, quasi il 65 per cento della popolazione sceglie il trasporto pubblico locale, e di questi ben il 66 per cento utilizza mezzi che viaggiano su ferro; contestualmente, il tasso di motorizzazione è inferiore a quello di qualsiasi città italiana, con 455 auto ogni 1.000 abitanti; Berlino – con 322 auto ogni 1.000 abitanti – vanta il tasso di motorizzazione più basso d'Europa, con il 10 per cento circa degli spostamenti quotidiani in bicicletta;
              l'enorme crescita della mobilità urbana, l'incremento degli spostamenti per lavoro e per studio dalle «periferie» ai centri urbani, rendono indispensabile una riorganizzazione generale del trasporto e la trasformazione della mobilità, per renderla efficiente e sostenibile dal punto di vista ambientale;
              il nostro Paese registra un grave ritardo nelle infrastrutture suburbane, metropolitane e tram, sia in termini assoluti che nel confronto con le principali città europee; nonostante situazioni fortemente differenziate sul territorio nazionale, sia per tipologia di treni utilizzati, sia nella gestione delle linee, il servizio è inefficiente nelle città metropolitane e nei principali centri urbani, e del tutto inadeguato rispetto ai principali parametri qualitativi, quali, ad esempio, la puntualità, la frequenza, la comodità e la pulizia dei veicoli, l'organizzazione dell'intermodalità e l'accessibilità delle stazioni; nelle principali città – e, in particolare nella capitale – manca un sistema urbano capillare ed efficiente che integri metro, tram, treni ed autobus;
              nel rapporto Pendolaria della Legambiente, che ogni anno presenta la situazione e gli scenari del trasporto ferroviario pendolare in Italia, si evidenzia una netta divaricazione tra il Nord e il Sud del Paese: nelle regioni del sud, che hanno oltre il doppio degli abitanti, ogni giorno circolano meno treni regionali che nella sola Lombardia; all'eccellente crescita dell'offerta di collegamenti nelle tratte servite dalle «Frecce» e anche da altri treni ad alta velocità, fa da contraltare il forte calo dei servizi Intercity e in genere dei collegamenti «vitali» per i pendolari; dal bilancio consolidato di Trenitalia emerge che per i convogli a lunga percorrenza finanziati con contributo pubblico, essenzialmente Intercity, l'offerta in termini di treni/chilometri in cinque anni – dal 2010 al 2015 – si è ridotta del 19,7 per cento con un calo più che proporzionale dei passeggeri (- 40 per cento) mentre le «frecce» in soli tre anni registrano un ottimo +20,6 per cento;
              secondo le stime di Legambiente, sono circa 2milioni e 842mila i cittadini che usufruiscono del servizio ferroviario regionale; se si considerano i 2,6 milioni di passeggeri che utilizzano nelle grandi aree urbane le metropolitane, presenti in 7 città italiane (Milano, Roma, Napoli, Torino, Genova, Brescia e Catania) si arriva a un totale di oltre 5,4 milioni di viaggiatori al giorno sul sistema ferroviario regionale e metropolitano, con un incremento di 300.000 persone al giorno rispetto al 2014; a fronte di un sensibile incremento di utenti nelle città – in particolare in quelle che hanno attivato nuove linee metropolitane – si registra un grave calo di domanda di trasporto pubblico da parte degli «scoraggiati», molti dei quali si rassegnano al mezzo privato per i tagli al servizio e per il degrado dell'offerta;
              mentre crescono i pendolari in alcune regioni come Alto Adige (+7,9 per cento), Lombardia (+4,9 per cento) e Puglia (+2,8 per cento) in altre – come la Sardegna, con un calo del 9,4 per cento, in Umbria del 3,3 per cento, in Campania (-130mila al giorno rispetto al 2009) e Piemonte (35.000 al giorno in meno rispetto al 2011) – si registra un forte crollo della domanda, generato dal deterioramento dell'offerta in termini di frequenza delle corse e qualità del servizio;
              i concessionari hanno giustificato i tagli al servizio con la domanda debole e stagnante, soprattutto al Sud; il successo di collegamenti nuovi ed efficienti dimostra il contrario: ad esempio, nel collegamento diretto Palermo-Catania quando i treni sono passati da 2 a 14 al giorno e il tempo di percorrenza si è ridotto a 2 ore e 47 minuti per quelli più veloci (rispetto alle quasi 6 ore dei precedenti convogli) i passeggeri sono passati da meno di 2.000 a circa 4.200 al giorno;
              ai tagli al servizio ferroviario regionale e alla riduzione del numero di treni si accompagna – in quasi tutte le regioni italiane – un aumento delle tariffe; mentre i servizi ferroviari sono stati ridotti tra il 2010 e il 2015 del 18,9 per cento in Basilicata, del 26,4 per cento in Calabria, del 15,1 per cento in Campania, del 13,8 per cento in Liguria, il costo dei biglietti è aumentato in misura sensibile (+47 per cento in Piemonte, + 41 per cento in Liguria, + 25 per cento in Abruzzo e Umbria) senza apprezzabili miglioramenti del servizio (ad esempio, 14 le linee chiuse in tutto il Piemonte);
              nel giugno del 2013 è stata avviata dalla Commissione trasporti della Camera dei deputati un'indagine conoscitiva sul trasporto pubblico locale;
              dalla ricognizione delle diverse realtà regionali e locali, sono emerse molte inefficienze e gravi criticità da superare in tempi brevi, rimuovendo le relative cause;
              l'audizione dell'associazione dei rappresentanti dei pendolari, ha sottolineato l'assoluta inefficienza del servizio offerto agli utenti: in particolare in alcune regioni, come il Lazio, dove il pendolarismo è molto diffuso (48,2 per cento, rispetto a una media nazionale del 47 per cento, con 2,5 milioni di spostamenti giornalieri della popolazione residente e 160.000 persone che entrano ed escono quotidianamente dalla capitale in treno);
              il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha stimato in 11 miliardi di euro nel 2011 il costo associato alla congestione urbana; nel rapporto sulla mobilità urbana la Cassa depositi e prestiti segnala che il maggiore utilizzo dell'auto per gli spostamenti all'interno delle città italiane di medie grandi dimensioni (con più di 250.000 abitanti), connesso all'inadeguatezza della rete di trasporto pubblico locale e alla bassa qualità del servizio offerto, rappresenta per le famiglie italiane un extra-costo di circa 6 miliardi di euro all'anno; lo stesso studio rileva altresì alcune importanti dinamiche associate alla crisi economica in atto: a fronte di una generale contrazione della domanda di mobilità dovuta alla crisi, la quota relativa al trasporto pubblico locale risulta in crescita; la recessione ha dunque, da un lato ridotto l'esigenza di spostamenti, dall'altro ha portato a preferire all'auto il meno costoso mezzo pubblico;
              il settore del trasporto pubblico locale è di considerevoli dimensioni: con 116.500 addetti e oltre due miliardi di chilometri percorsi, trasporta oltre 5,4 miliardi di passeggeri all'anno (15 milioni di passeggeri al giorno) con un fatturato complessivo, in ragione d'anno, di 10 miliardi di euro; i mezzi di trasporto a disposizione delle aziende sono oltre 50.000 unità, di cui circa il 93 per cento autobus e il restante 8 per cento mezzi operanti su modalità ferroviaria, lacuale, lagunare e impianti a fune;
              una delle cause di inefficienza rilevate, è la vetustà del parco veicoli italiano, con un'età media di 18,6 anni con problemi non solo di degrado ma di affidabilità, e conseguenti ritardi ed elevati costi di manutenzione; grave ed urgente la questione del rinnovo del parco veicoli, anche in relazione all'esigenza pressante di garantire un trasporto pubblico sostenibile dal punto di vista ambientale: il 25,6 per cento dei veicoli circolanti è omologato come Euro 0; il 78,5 per cento è inferiore a Euro 4; altrettanto rilevante è il degrado delle linee; in Regioni come la Sicilia l'89 per cento dei 1.430 chilometri della rete ferroviaria è a binario unico e quasi la metà della stessa rete non è elettrificata;
              una delle cause principali del degrado del servizio per i pendolari – rileva Legambiente – è il drastico taglio dei trasferimenti alle regioni; in particolare con la manovra del 2010 del Governo Berlusconi – che è intervenuta con una riduzione, a regime, del 50,7 per cento delle risorse per il servizio – si è aperta una situazione di precarietà e incertezza nella gestione di contratti di servizio che ancora produce conseguenze rilevanti;
              l'indagine conoscitiva ha stimato che, per garantire un pieno ristoro dei tagli intervenuti negli ultimi anni, il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, previsto dall'articolo 16-bis del decreto-legge n.  95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  135 del 2012 e interamente ridisciplinato dalla legge di stabilità per il 2013 (articolo 1, comma 301, della legge n.  228 del 2012) dovrebbe essere incrementato dagli attuali 4.929 milioni di euro a 6.330 milioni di euro;
              gli interventi di carattere coercitivo adottati nelle principali città italiane per ridurre l'inquinamento – chiusura del centro storico, blocco del traffico, targhe alterne – sono insufficienti se non accompagnati da efficaci politiche per una mobilità sostenibile;
              tra i principali problemi che ostacolano l'avvio e lo sviluppo di adeguate politiche dei trasporti vi sono quelli relativi alla regolazione del trasporto pubblico locale, sia sotto il profilo organizzativo, sia dal punto di vista finanziario;
              nel corso dell'indagine conoscitiva è emerso che i frequenti interventi normativi – talvolta contraddittori – hanno inciso marginalmente sul sistema organizzativo e di fatto hanno prodotto una situazione di stallo operativo in attesa di regole successive di chiarimento sulle precedenti – alcuni soggetti auditi hanno sottolineato la necessità di una disciplina certa, organica e stabile per il trasporto pubblico locale, con regole standard per gli operatori del settore su tutto il territorio nazionale;
              l'Autorità di regolazione dei trasporti ha un ruolo fondamentale; spetta infatti all'Autorità, a norma dell'articolo 37 del decreto-legge n.  201 del 201, individuare i criteri per la fissazione delle tariffe, stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto locali con oneri di servizio pubblico, definire gli schemi dei bandi delle gare per l'assegnazione dei servizi di trasporto;
              nel libro bianco del 2011 della Commissione europea sullo spazio unico dei trasporti, a cui hanno fatto seguito i regolamenti (UE) n.  1315 e 1316 del 2013, in materia di rete transeuropea dei trasporti, acquistano rilievo le grandi aree urbane come «nodi» (punti di interconnessione) fondamentali della rete transeuropea dei trasporti;
              i servizi di trasporto pubblico locale sono servizi di interesse economico generale, che non possono essere gestiti secondo una logica meramente commerciale; fondamentali, nel nostro ordinamento, la distinzione tra funzioni di regolazione e funzioni di gestione operativa dei servizi e l'introduzione del contratto di servizio quale strumento di regolazione del rapporto tra Ente locale e gestori del servizio di trasporto locale; i contratti di servizio pubblico, pur riconoscendo diritti di esclusiva e compensazioni di servizio pubblico compatibili con la disciplina dell'Unione europea in materia di concorrenza e con il divieto di aiuti di Stato, devono prevedere obblighi specifici a carico del concessionario, che non possono essere violati o elusi, in particolare nelle periferie urbane e nei centri urbani con maggior disagio sociale e a più elevata perifericità;
              contestualmente – considerata la durata pluriennale dei contratti di servizio – è fondamentale assicurare risorse pubbliche certe e stabili nel tempo anche per consentire alle imprese operanti nel settore di programmare per il tempo necessario l'attività di gestione e gli investimenti;
              per contribuire, con risorse a carico del bilancio dello Stato, all'incremento del parco mezzi per il trasporto pubblico locale e regionale, e in particolare per garantire accessibilità delle persone a mobilità ridotta, la legge di stabilità 2016 ha disposto l'istituzione, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un fondo finalizzato all'acquisto diretto o attraverso società specializzate di mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale; le risorse del Fondo possono essere destinate anche alla riqualificazione elettrica o al noleggio di mezzi per il trasporto pubblico locale e per garantire l'accessibilità alle persone a mobilità ridotta;
              il fondo ha una dotazione di 125 milioni di euro per il 2016 e di 50 milioni di euro all'anno per ciascuno degli anni 2017 e 2018; ad esso sono assegnati 210 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, 130 milioni di euro per l'anno 2021 e 90 milioni di euro per l'anno 2022,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per garantire risorse adeguate certe e stabili nel tempo nel Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale;
          a definire e sottoscrivere un nuovo contratto per il servizio universale – in particolare per gli Intercity – ai fini della riqualificazione e del potenziamento del servizio regionale e migliorando l'offerta e l'integrazione con gli altri modi di trasporto;
          per garantire livelli adeguati e uniformi di servizio su tutto il territorio nazionale, a definire, con opportuna iniziativa, i requisiti essenziali – in termini di obblighi di servizio pubblico – dei contratti di servizio di trasporto pubblico locale tra l'amministrazione concedente e gli operatori del settore e funzioni specifiche di controllo e regolazione;
          ad assumere iniziative di competenza per migliorare il servizio nelle regioni meridionali, puntando a collegamenti integrati con porti e aeroporti e trasporto locale, con l'obiettivo minimo di garantire collegamenti frequenti tra centri abitati di importanza regionale;
          ad adottare tutte le iniziative di competenza necessarie a sviluppare nelle aree urbane e nelle regioni a maggior densità insediativa un servizio efficiente, una mobilità pubblica incentrata su ferrovie suburbane e metropolitane, integrata con il servizio di trasporto pubblico urbano e con una rete di percorsi ciclabili, sviluppando sistemi di trasporto pubblico multimodale, con progressivo riequilibrio modale dalla gomma al ferro e alla mobilità sostenibile;
          ad adottare tutte le iniziative di competenza per il potenziamento delle linee metropolitane e in generale dei mezzi pubblici;
          a garantire un rapido ed integrale utilizzo delle fonti di finanziamento europee (fondi strutturali e fondo di coesione) per lo sviluppo di un trasporto urbano integrato e sostenibile;
          ad incentivare i sistemi di trasporto intelligenti (ITS), così come definiti dalla direttiva 2010/40/UE, recepita in Italia dall'articolo 8 del decreto-legge n.  179 del 2012 e con il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 1o febbraio 2013, al fine di sviluppare e diffondere su tutto il territorio nazionale, nella circolazione, nel trasporto merci, nelle infrastrutture, nei veicoli, nella gestione del traffico e della mobilità e ad uso degli utenti, le più aggiornate tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in particolare a tutela della sicurezza delle persone e del trasporto delle merci;
          a incentivare e sostenere, in tutto il territorio nazionale: la costituzione di piattaforme telematiche integrate almeno su base regionale, in modo da fornire agli utenti dati relativi alla localizzazione dei veicoli, all'ora di arrivo, ai posti disponibili; l'introduzione di sistemi integrati di bigliettazione elettronica in modo da realizzare la massima integrazione dei servizi; l'introduzione della priorità semaforica per il trasporto pubblico, nonché di sistemi di videosorveglianza e di allarme a bordo dei mezzi, alle fermate e nelle stazioni, anche per garantire la massima informazione all'utenza a bordo dei mezzi, nelle fermate, nelle stazioni e sui dispositivi mobili; la realizzazione di sistemi di enforcement per scoraggiare l'utilizzo delle corsie riservate al trasporto pubblico locale da parte di veicoli non autorizzati;
          a valutare l'opportunità di iniziative normative nel settore, anche mediante un testo unico legislativo, per precisare e rendere più efficaci le disposizioni in materia di trasporto pubblico locale, favorendo l'attuazione delle iniziative e delle azioni in esse previsti;
          ad assumere iniziative per garantire un'adeguata dotazione del fondo istituito dalla legge di stabilità 2013, in misura sufficiente a coprire, oltre agli oneri derivanti dai contratti di servizio in essere, le spese per il rinnovo del materiale rotabile ferro/gomma, per la manutenzione straordinaria delle infrastrutture, per l'innovazione tecnologica e per il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro;
          a sostenere – con opportuni finanziamenti – la mobilità ecologica alternativa e un piano di investimenti che preveda la sostituzione di 34.000 autobus in dieci anni, in modo da favorire l'impiego di mezzi non inquinanti o con tecnologia dual fuel compatibili con gli obiettivi previsti dagli accordi internazionali sui cambiamenti climatici, e contenere i costi di manutenzione, facendo sì che i nuovi veicoli garantiscano effettiva accessibilità ai disabili e ai ciclisti con dispositivi a piano ribassato e con spazi appositi;
          a favorire – anche con il sistema del biglietto unico – l'integrazione tra il servizio di trasporto pubblico tramviario, la rete dei percorsi ciclabili e il servizio di bike-sharing allo scopo di rendere attrattiva la combinazione «tram+bici» per tutti gli utenti, in particolare pendolari;
          ad effettuare sistematici e regolari controlli sulla qualità del servizio nelle diverse aree del Paese, verificando, anche con il contributo dei comitati dei pendolari, il rispetto del contratto di servizio in termini di frequenza, di orari, di puntualità e di impegni, garantendo pieno riconoscimento del diritto di accesso al trasporto pubblico in tutta Italia; a verificare, costantemente, l'adeguato utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico, misurato come rapporto tra passeggeri e posti/chilometri («load factor»), per evitare mezzi sovraffollati o, al contrario, inutilizzati con un'offerta inadeguata rispetto alla domanda;
          a promuovere, in particolare sulle risorse pubbliche destinate ad investimenti a fondo perduto, verifiche ex ante ed ex post sull'impiego dei fondi e sull'efficacia della spesa, definendo in modo chiaro il rapporto tra l'ente pubblico titolare del servizio e la società che lo gestisce e rafforzando il ruolo di regolazione e controllo dell'ente pubblico;
          a promuovere specifiche azioni per favorire l'utilizzo combinato del mezzo privato e del mezzo pubblico sostenendo le iniziative che offrono servizi alternativi al mezzo individuale, quali il car sharing, il car pooling, il bike sharing, sia dal lato della domanda, attraverso azioni di stimolo nei confronti di potenziali utenti, sia dal lato dell'offerta, attraverso il miglioramento dell'organizzazione dei servizi e l'apertura alla concorrenza;
          a valutare l'opportunità di assumere iniziative per ripristinare la detrazione relativa alle spese per l'abbonamento del trasporto pubblico locale e ferroviario, incentivando l'utilizzo dei modi di trasporto a più elevata sostenibilità ambientale.
(1-01153) «Tullo, Gandolfi, Mognato, Anzaldi, Brandolin, Bruno Bossio, Cardinale, Carloni, Castricone, Coppola, Crivellari, Culotta, Manlio Di Stefano, Ferro, Pierdomenico Martino, Mauri, Meta, Minnucci, Mura, Pagani, Simoni».


      La Camera,
          premesso che:
              il 22 novembre 2015, con la emanazione del decreto-legge n.  183 del 2015 (cosiddetto decreto «Salva banche»), quasi integralmente assorbito, successivamente, dai commi da 842 a 861 dell'articolo 1 della legge n.  208 del 2015 (legge di stabilità 2016), il Governo, prendendo atto che la Banca delle Marche, la Banca popolare dell'Etruria, la Cassa di risparmio di Ferrara e la Cassa di risparmio di Chieti non avrebbero potuto essere salvate dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, ha consentito, senza soluzione di continuità, l'operatività delle stesse anche grazie alla previsione di un Fondo di solidarietà a favore dei risparmiatori;
              a determinare l'iniziativa del Governo è stata la contrarietà della Commissaria Margrethe Vestager, a capo della sezione concorrenza della Commissione europea, secondo la quale, l'eventuale ricorso al suddetto Fondo interbancario di tutela dei depositi per risolvere l'insolvenza dei quattro istituti di credito, si sarebbe configurato come un aiuto di Stato, essendo lo stesso alimentato da versamenti obbligatori da parte del sistema bancario italiano. Ma alla stessa stregua e seguendo tale discutibile logica si dovrebbero considerare parimenti come appartenenti al settore pubblico anche le società di assicurazioni che ricevono premi obbligatori come polizze auto ed altro. D'altra parte tale interpretazione da parte degli organismi europei era nota da tempo, infatti con una comunicazione sugli aiuti di Stato al settore bancario dell'agosto del 2013 la Commissione europea individua fra le misure che possono costituire aiuti di Stato, anche quegli interventi diversi dal rimborso dei depositanti effettuati da un sistema di garanzia dei depositi per ristrutturare una banca «nella misura in cui sono soggetti al controllo dello Stato e la decisione relativa all'utilizzo dei fondi è imputabile allo Stato», a cui fa seguito, il 4 novembre 2014 il varo, sia pure incompleto, dell'Unione bancaria europea;
              sorge, pertanto, il fondato sospetto che l'argomentazione opposta al Governo italiano in questa occasione dalla Commissione europea celasse un'altra realtà, e cioè quella di voler stabilire immediatamente il principio del burden sharing, cioè quello della ripartizione del sacrificio tra gli azionisti e (almeno) tra alcuni obbligazionisti;
              il Governo Letta accetta, all'epoca della loro emanazione, le nuove regole sul bail-in ma senza ricorrere, in sede europea, al suo diritto di veto per impedire che la relativa normativa fosse retroattiva e che all'Italia fossero consentiti interventi di bail-out ex-post, meccanismi di cui avevano largamente usufruito in precedenza gli altri Paesi dell'Unione europea, come largamente dimostrato da alcuni dati di Eurostat che dimostrano che, alla fine del 2013, gli aiuti ai sistemi finanziari nazionali avevano accresciuto il debito pubblico di quasi 250 miliardi di euro in Germania (+ del 8 per cento del prodotto interno tedesco), di quasi 60 miliardi di euro in Spagna, di quasi 50 miliardi di euro in Irlanda e nei Paesi Bassi, di poco più di 40 miliardi di euro in Grecia, sui 19 miliardi di euro in Belgio e Austria e quasi 18 miliardi di euro in Portogallo. In Italia il sostegno pubblico è stato di circa 4 miliardi, tutti, peraltro, ormai restituiti. Vale in questa sede anche ricordare che Banca centrale europea e Commissione Europea permisero che le banche francesi e tedesche, detentrici di molti titoli greci, recuperassero i loro investimenti, per dichiarare solo successivamente un parziale default a carico dei creditori privati;
              la particolare situazione italiana è stata determinata anche dalla volontà dell'Associazione bancaria italiana (Abi) di impedire quegli interventi pubblici che in altri Paesi hanno consentito la ricapitalizzazione degli istituti di credito attraverso le nazionalizzazioni temporanee degli stessi. Diversamente, nel nostro Paese la ricapitalizzazione delle banche è sostanzialmente avvenuta a spese dei risparmiatori e dei piccoli azionisti;
              nel frattempo, secondo gli ultimi dati, la somma delle sofferenze bancarie ha raggiunto i 216 miliardi di euro, con un aumento rispetto al dicembre 2008 di oltre il 400 per cento: un arco temporale nel quale ha imperversato la più grave crisi economico-finanziaria della nostra storia moderna, peggiore persino di quella degli anni Trenta, gestita, sia a livello europeo che italiano, ricorrendo a politiche di austerità che ne hanno prolungato e moltiplicato gli effetti;
              i promotori del bail-in hanno sostenuto che esso avrebbe principalmente raggiunto due scopi:
                  a) se azionisti e obbligazionisti rispondono direttamente delle perdite della banca staranno più attenti a dove e come investono;
                  b) in questo modo le perdite dovute al fallimento di una banca non saranno più distribuite tra tutti i contribuenti con i salvataggi di Stato (bail-out);
              in realtà, le cose non sembrano procedere in questo modo, poiché buona parte dei creditori delle banche non hanno la capacità di distinguere il rischio dello strumento offerto loro; i detentori di depositi superiori a 100.000 euro possono essere anche piccole imprese ed inoltre gli azionisti più forti ed i clienti privilegiati hanno accesso ad informazioni che consentono loro di sottrarsi per tempo al bail-in. Inoltre, di fronte ad una massa ingente di risparmiatori che perde i propri risparmi il governo non può restare indifferente. In definitiva, si tratta di un modo per far pagare la ristrutturazione dei debiti ad azionisti e obbligazionisti, piuttosto che ai contribuenti degli altri paesi (in primis ai tedeschi);
              era previsto dall'Unione bancaria europea che insieme con il bail-in fosse predisposta anche un'assicurazione dei risparmi comune (cioè finanziata con risorse condivise) che garantisse, in caso di insolvenza di un istituto di credito, il rimborso dei depositi fino a 100.000 euro, una misura di condivisione dei rischi bancari che la Bundesbank ora chiede che venga rinviata di una decina di anni. Il problema infatti non è tanto quello dei prestiti «incagliati» delle banche (circa 200 miliardi in Italia), ma quello dei titoli pubblici del proprio paese in mano alle banche (in Italia 400 miliardi). Se la banca dovesse saltare, perché il debito pubblico di un Paese è diventato insostenibile, salvare la banca implicherebbe il sostegno al debito pubblico, e questo andrebbe contro i Trattati. Allora si dovrebbe agire tramite il MES (il Meccanismo europeo di stabilità – in pratica il commissariamento della politica fiscale di un paese), ed ecco allora la proposta di una ristrutturazione automatica del debito;
              per l'entrata in vigore della garanzia europea dei depositi, la Commissione prevede un lungo periodo di transizione che terminerà nel 2024 con la creazione di un fondo unico, fondo che sarà alimentato progressivamente appena diventerà operativo. Fino ad allora i sistemi nazionali continueranno a operare. Si prevedono tre fasi:
                  a) ri-assicurazione fino al 2020: i fondi nazionali di garanzia dei depositi potranno accedere al sistema di garanzia, ma solo una volta esaurite le proprie risorse, e soltanto se sono in regola con il livello di contribuzione stabilito;
                  b) co-assicurazione fino al 2024: il fondo comune interviene, con il 20 per cento, non appena è necessario rimborsare i correntisti;
                  c) piena operatività del fondo comune, dopo tre anni di «co-assicurazione» e quando saranno pienamente operativi il fondo comune salva-banche;
              ad osteggiare il varo dell'assicurazione europea sui depositi è la Germania, i governanti tedeschi temono infatti che essa comporterebbe una mutualizzazione dei rischi;
              ciò che sta accadendo in questi giorni a Deutsche Bank, quindi non solo alle banche italiane, è emblematico di quanto l'unione bancaria in Europa sia oggi monca e pericolosa. Infatti da inizio anno il titolo azionario del primo istituto tedesco ha perso più del 30 per cento , questo perché da allora è in vigore la norma europea che, in caso di aiuto di Stato, colpisce duramente chi possiede azioni ed obbligazioni bancarie. Pertanto, l'unione bancaria così com’è non può funzionare, ed i mercati lo stanno «spiegando» inequivocabilmente ai Governi. Anche le norme che obbligano a colpire gli investitori ed i risparmiatori si stanno rivelando tragici acceleratori di crisi nella realtà di oggi e la stessa assenza di una garanzia europea sui depositi non fa che rendere l'intero edificio ancora più fragile, anche perché colpire i correntisti di un solo istituto rischia di alimentare i timori e il contagio in tutte le altre banche dello stesso Paese;
              premesso tutto ciò, i decreti legislativi, che recepiscono per l'Italia il bail-in, ed attuativi della direttiva 2014/59/UE (decreto legislativo n.  180 e n.  181), sono stati emanati dopo il parere positivo dell'attuale maggioranza di governo, il 16 novembre 2015, ovverosia prima dell'entrata in vigore del cosiddetto decreto salva-banche n.  183 del 2015 quasi integralmente assorbito, come si è detto dalla legge di stabilità 2016. L'attuale Governo, dunque, sarebbe potuto intervenire con un mese e mezzo di anticipo, considerato che l'entrata in vigore del bail-in è prevista a decorrere dal 1o gennaio 2016;
              nella vicenda dei quattro istituti di credito il Governo si è ritrovato, pertanto, costretto ad imboccare un'altra strada da una parte chiedendo a tre grandi gruppi bancari come Banca Intesa, Unicredit ed Ubi, di mettere per prime sul tavolo le risorse per un pronto intervento (circa 3,6 miliardi di euro), anche per conto degli altri istituti, e dall'altra svuotando gli stessi quattro istituti oramai in default (che da soli valgono l'1 per cento del mercato nazionale in termini di depositi) di tutti i crediti problematici e conferendoli ad una cosiddetta bad bank che si occuperà di recuperare il recuperabile;
              il Fondo di risoluzione (finanziato dalle banche e senza risorse pubbliche) ha messo a disposizione:
                  a) 1,7 miliardi per la copertura delle perdite delle banche originarie (da 8,5 miliardi nominali);
                  b) 1,8 miliardi per la ricapitalizzazione delle nuove banche;
                  c) circa 140 miliardi per la costituzione ed il funzionamento della società che si occuperà della gestione e del recupero crediti;
              le parti sane finiscono in 4 nuove banche da subito operative per garantire la continuità aziendale e porle in vendita. Il costo dell'operazione è sostenuto, tra gli altri, dagli azionisti e dagli obbligazionisti subordinati;
              la Banca d'Italia ha avviato in data 21 novembre 2015 le procedure di risoluzione, ai sensi del decreto legislativo n.  180 del 2015 (di recepimento della direttiva BRRD 2014/59), nei confronti della quattro banche citate, tutte in amministrazione straordinaria;
              i detentori di obbligazioni subordinate delle quattro banche erano circa 10.500, per un valore totale di 789 milioni di euro; quasi la metà di questo valore era nei portafogli di investitori istituzionali o professionali. Pertanto le perdite dei risparmiatori (intesi come persone fisiche) si dovrebbe aggirare intorno a circa 390-400 milioni di euro;
              nell'anno 2011 la Consob ha eliminato l'obbligo, fino allora in capo agli istituti di credito, di inserire nei prospetti di vendita gli scenari probabilistici relativi alle singole emissioni di obbligazioni subordinate emesse degli stessi. Qualora tale obbligo fosse stato vigente, rispetto all'operazione di emissione di Banca Etruria relativa al periodo 2013-2023 sarebbe stato possibile per il risparmiatore conoscere che acquistando il titolo avrebbe avuto il 63 per cento di probabilità di perdere il 46 per cento del capitale investito;
              secondo i dati disponibili alla fine del mese di ottobre 2015, l'ammontare complessivo delle obbligazioni subordinate emesse dalle banche italiane era di 67 miliardi di euro (...). Negli ultimi quindici anni in Italia si sono registrate 100 crisi bancarie, tutte passate pressoché inosservate perché senza grosse ripercussioni sui risparmiatori;
              di fronte alle legittime proteste dei risparmiatori, il Governo è dovuto correre ai ripari istituendo il Fondo di solidarietà (non previsto nel decreto cosiddetto «Salva banche») per i possessori di obbligazioni subordinate delle quattro banche fallite, di cui all'articolo 1, commi 855-861 della legge n.  208 del 2015 (legge di stabilità 2016), Fondo alimentato, sulla base delle esigenze finanziarie connesse alla corresponsione delle prestazioni, sino ad un massimo di 100 milioni di euro, dal Fondo interbancario di tutela dei depositi;
              è previsto che l'accesso alle prestazioni è riservato agli investitori che siano persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti, con un tetto massimo di rimborso, per ogni singolo risparmiatore che non dovrebbe superare i 100.000 euro. Inoltre, per completare il quadro normativo al riguardo – secondo quanto previsto dalla legge di stabilità 2016 – il Governo dovrà emanare un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la costituzione della Camera arbitrale presso l'Anac e uno o più decreti ministeriali per definire i criteri di accesso ai rimborsi, in particolare, il decreto ministeriale, da emanare entro il 1o aprile 2016, dovrà definire:
                  a) le modalità di gestione del Fondo di solidarietà;
                  b) le modalità e le condizioni di accesso al Fondo di solidarietà, ivi inclusi le modalità e i termini per la presentazione delle istanze di erogazione delle prestazioni;
                  c) i criteri di quantificazione delle prestazioni, determinate in importi corrispondenti alla perdita subita, fino a un ammontare massimo;
                  d) le procedure da esperire, che possono essere in tutto o in parte anche di
natura arbitrale;
                  e) le ulteriori disposizioni di attuazione delle norme in esame;
              successivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentite le competenti Commissioni parlamentari, sono nominati gli arbitri, scelti tra persone di comprovata imparzialità, indipendenza, professionalità e onorabilità, ovvero possono essere disciplinati i criteri e le modalità di nomina dei medesimi e sono disciplinate le modalità di funzionamento del collegio arbitrale, nonché quelle per il supporto organizzativo alle procedure arbitrali, che può essere prestato anche avvalendosi di organismi o camere arbitrali già esistenti,

impegna il Governo:

          a sottoporre al parere delle Commissioni parlamentari competenti, prima della sua emanazione, il decreto ministeriale di cui all'articolo 1, comma 857, della legge n.  208 del 2015 (legge di stabilità 2016), analogamente a quanto previsto dal successivo comma 859 riguardo al sopracitato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
          ad assumere le opportune iniziative, anche normative, al fine di potere utilizzare le plusvalenze derivanti dalla cessione delle sofferenze delle banche fallite, per restituire ai sottoscrittori il risparmio investito in obbligazioni subordinate emesse dalle quattro banche oggetto di riduzione;
a richiedere in sede europea, stanti gli effetti di destabilizzazione che comporta, la revisione delle norme del cosiddetto bail-in;
          ad assumere iniziative per una moratoria dell'applicazione del bail-in finché non entrerà in vigore la garanzia europea sui depositi, e comunque fino al 2018, al fine di prevedere una fase di transizione nell'applicazione delle nuove regole;
          ad assumere iniziative per consentire comunque la sostituzione delle obbligazioni sottoscritte prima dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni di risoluzione delle crisi bancarie;
          a predisporre le opportune iniziative, anche normative, per consentire ai piccoli azionisti dei quattro istituti di credito di poter ottenere la sostituzione delle loro azioni con azioni delle nuove banche;
          ad assumere iniziative per ripristinare l'obbligo, soppresso dalla Consob nel 2011, di inserimento nei prospetti di vendita degli scenari probabilistici relativi alle singole emissioni di obbligazioni subordinate;
          ad assumere le opportune iniziative anche normative al fine di evitare la diffusa pratica commerciale scorretta di erogare mutui o finanziamenti solo a patto che il cliente acquisti azioni, obbligazioni o polizze dello stesso istituto di credito o di aziende da esso controllate, e per stabilire maggiori sanzioni e revocatorie in capo agli amministratori degli istituti di credito per gravi violazioni nelle pratiche commerciali;
          ad assumere le opportune iniziative normative, anche di concerto con le parti sociali, per garantire adeguata formazione agli operatori del credito ed eliminare la pratica delle pressioni commerciali;
          ad assumere opportune iniziative che impediscano la cessione delle quattro new bank di cui in premessa a favore di un unico soggetto, che vengano privilegiati partner bancari anziché fondi di investimento, e che prevedano una clausola sociale finalizzata alla piena tutela occupazionale;
          ad assumere le opportune iniziative, anche normative, al fine:
              a) vietare la vendita retail delle obbligazioni subordinate, prevedendo che esse vengano inserite in modo chiaro nella lista dei prodotti complessi;
              b) prevedere che le obbligazioni bancarie siano collocate esclusivamente presso gli investitori istituzionali, e che abbiano entrare nei portafogli degli investitori al dettaglio solo attraverso il mercato secondario o, indirettamente, tramite l'acquisto di quote di fondi;
          ad assumere le opportune iniziative anche normative al fine di consentire al risparmiatore di potersi rivolgere alla Consob per la verifica dell'aderenza del proprio profilo di rischio al prodotto acquistato;
          ad assumere iniziative per prevedere sanzioni penali e civili più stringenti in capo ai revisori dei conti dei singoli istituti qualora le indicazioni della Banca d'Italia venissero disattese;
           ad assumere le opportune iniziative anche normative affinché la Cassa depositi e prestiti acquisti parte delle sofferenze bancarie garantite da ipoteche immobiliari utilizzando gli stessi immobili per il varo di un piano casa a favore delle famiglie in difficoltà;
          ad adottare iniziative per prevedere la costituzione di un'autorità indipendente volta unicamente alla tutela del risparmio in applicazione dell'articolo 47 della nostra Costituzione;
          a predisporre le opportune iniziative, anche normative, finalizzate a facilitare le azioni di risarcimento del danno di cui i risparmiatori danneggiati dovessero, eventualmente, essere titolari a causa della violazione delle regole di comportamento a tutela dei risparmiatori e delle norme sulla valutazione del loro profilo di rischio.
(1-01154) «Paglia, Fassina, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini, Martelli».


      La Camera,
          premesso che:
              il principio dei salvataggi bancari esclusivamente mediante «bail-in» è stato introdotto a livello comunitario, a decorrere dal 1o agosto 2013, dalla direttiva 2014/59/UE e le relative norme nazionali di attuazione sono state dettate dal decreto legislativo 16 novembre 2015, n.  180, con decorrenza 1o gennaio 2016;
              la direttiva in questione prevede, nell'ambito della sezione 5, sottosezione 1, una serie di meccanismi attinenti al «Sistema europeo dei meccanismi di finanziamento», quali in particolare:
                  a) meccanismi di finanziamento nazionali istituiti a norma dell'articolo 100;
                  b) prestiti fra meccanismi nazionali di finanziamento, di cui all'articolo 106;
                  c) messa in comune dei meccanismi di finanziamento nazionali in caso di risoluzione di gruppo, di cui all'articolo 107;
              i predetti meccanismi risultano non ancora pienamente operativi;
              in linea generale si ritiene politicamente condivisibile e assolutamente opportuno il principio del bail-in, in base al quale le perdite delle banche non possano essere ripianate con interventi a carico della fiscalità generale, e quindi di tutti i contribuenti, ma soltanto con interventi a carico del sistema bancario, previa partecipazione alle perdite degli investitori che hanno consapevolmente sottoscritto titoli di capitale e di debito emessi dalle banche medesime;
              il recepimento del predetto principio, assunto in sede europea da parte di ciascun Stato sovrano, presuppone però una vera attuazione dell'unione bancaria e in particolare richiede che venga attuato il «Sistema europeo dei meccanismi di finanziamento» che, con ogni evidenza, costituisce, in un'ottica di stabilità del sistema bancario dei singoli Paesi europei, il necessario e imprescindibile complemento del principio del bail-in;
              tale stretto collegamento tra l'introduzione delle regole e l'introduzione degli strumenti di tutela del sistema previsti per attuare una vera integrazione bancaria è tanto più necessario in un momento di strutturale debolezza del sistema bancario internazionale, in cui i rischi di contagio sono particolarmente elevati;
              il recente accordo tra Italia e Unione europea per l'attuazione della garanzia statale sui crediti bancari in sofferenza, e il successivo decreto legge emanato dal Governo sullo stesso argomento, costituiscono un passo importante per il consolidamento del settore bancario in Italia, ma nell'attuale contesto internazionale e di mercato sono necessari ulteriori interventi per evitare il rischio di crisi bancarie;
              in conseguenza della mancata attuazione dell'unione bancaria, è opportuno promuovere, nell'interpretazione dell'ambito di applicazione delle norme sul bail-in, un adeguato tasso di flessibilità da parte delle istituzioni europee;
              così come si ritiene giusta ed opportuna la piena responsabilizzazione degli investitori, purché ovviamente consapevoli, si ritiene del pari opportuno mantenere distinta e pienamente tutelata la posizione dei puri risparmiatori, ossia dei correntisti;
              la stessa direttiva sul bail-in prevede l'introduzione di clausole contrattuali e informative nei contratti e prospetti relativi ai titoli più a rischio che non potevano naturalmente essere presenti al momento dell'emissione dei titoli azionari e subordinati oggi in circolazione sul mercato italiano;
              l'applicazione immediata a tutti i titoli emessi alla data di entrata in vigore del bail-in non sembra quindi essere del tutto in linea con lo spirito e i principi di tutela dettati dalla direttiva;
              si ritiene che, nel rispetto del segreto d'ufficio di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n.  180 del 2015, attinente alle «attività di risoluzione», ma nell'altrettanto legittima e dovuta informazione al «pubblico» circa eventuali anomalie riscontrate (oltre che, ovviamente, ai necessari interventi per risolverle), ai fini di una preventiva e costante informazione al «pubblico» sulla stato di salute delle banche, gli organi di controllo (Banca d'Italia e Consob), debbano informare, periodicamente, gli utenti bancari sulle risultanze dei controlli in modo semplice, trasparente e comprensibile;
              si ritiene utile inserire, nell'ambito dei sistemi di garanzia dei depositi la non applicazione del limite di 100.000 euro, nei nove mesi successivi all'accredito o al momento in cui divengono disponibili, i depositi di persone fisiche aventi ad oggetto importi derivanti, anche, dal cosiddetto conto titoli, di cui all'articolo 1838 del codice civile (deposito di titoli in amministrazione);
              il recente accordo tra Italia e Unione europea per l'attuazione della garanzia statale sui crediti bancari in sofferenza, e il successivo decreto-legge emanato dal Governo sullo stesso argomento, costituiscono un passo importante per il consolidamento del settore bancario in Italia, ma nell'attuale contesto internazionale e di mercato sono necessari ulteriori interventi per evitare il rischio di crisi bancarie e assicurare all'Italia un trattamento equo e non discriminatorio rispetto all'applicazione della normativa di settore e di quella sugli aiuti di Stato,

impegna il Governo:

          a confermare in sede europea l'orientamento favorevole dell'Italia in linea di principio al meccanismo del bail-in, rispetto alle opposte logiche di intervento nei salvataggi bancari mediante risorse pubbliche;
          a sottoporre alle istituzioni europee proposte volte ad introdurre tutte le possibili forme di flessibilità e di modulazione, circa l'applicazione del bail-in, tenuto anche conto dell'attuale tensione nel sistema bancario internazionale;
          a promuovere in sede europea ogni iniziativa volta ad assicurare che le disposizioni in materia di bail-in si applichino, esclusivamente, alle nuove passività ammissibili al bail-in che si realizzeranno dopo l'entrata in vigore del decreto di cui in premessa e non su quelle già in essere, per tutelare il principio di adeguata informazione dei sottoscrittori dei titoli oggetto di bail-in;
          a riprendere le trattative con la Commissione europea sui meccanismi di sostegno al sistema bancario, per l'autorizzazione di ulteriori misure di aiuto che consentano una dismissione ordinata e razionale dei crediti deteriorati da parte del sistema bancario;
          ad assumere iniziative normative affinché il limite di 100.000 euro non si applica in ogni caso, nei nove mesi successivi all'accredito o al momento in cui divengono disponibili, anche, ai depositi di persone fisiche aventi ad oggetto importi derivanti dal cosiddetto «conto titoli», di cui all'articolo 1838 del codice civile (deposito di titoli in amministrazione);
          ad attivarsi per ottenere il rapido perfezionamento del processo di integrazione bancaria europea, senza però accettare che il suo perfezionamento possa comportare modifiche nei criteri di valutazione dei rating bancari, in funzione dei titoli di debito sovrano detenuti in portafoglio dalle banche medesime, pregiudizievoli per le banche italiane e per la sostenibilità del debito pubblico;
          ad attivarsi perché, nelle more del perfezionamento dell'unione bancaria, il divieto di intervento mediante risorse pubbliche non si possa considerare esteso anche agli interventi posti in essere attraverso risorse disponibili nei fondi alimentati dal sistema bancario;
          ad assumere le iniziative di competenza affinché gli organi di controllo (Banca d'Italia e Consob) si adoperino per una periodica informativa ai «consumatori» circa la situazione degli istituti di credito operanti in Italia, istituendo, ad esempio, nel relativo sito internet un'apposita sezione dedicata ai «consumatori».
(1-01155) «Sottanelli, Monchiero».


      La Camera,
          premesso che:
              la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, denominata BRRD (bank recovery and resolution directive) ha introdotto regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche e delle imprese di investimento, regolamentando il bail-in (una modalità di salvataggio del sistema finanziario dall'interno, ovvero con risorse proprie), contrapposto al bail-out (ovvero il salvataggio dall'esterno tramite intervento pubblico); in tale ambito si procede alla svalutazione di azioni e crediti e alla loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà;
              la direttiva assegna alla Banca d'Italia, quale «autorità di risoluzione», gli strumenti per intervenire prima che la crisi si manifesti, mediante alternative di natura privata come la ricapitalizzazione; nel caso in cui tali misure non evitino il dissesto e quando la liquidazione non salvaguarderebbe la stabilità sistemica e l'interesse pubblico, alla Banca d'Italia è assegnato il potere di gestire la crisi e regolare la fase di «risoluzione»;
              sono soggette al bail-in tutte le passività ad eccezione dei depositi di importo fino a centomila euro (protetti dal sistema di garanzia dei depositi), le passività garantite come covered bonds le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela (cassette di sicurezza o i i titoli detenuti in un conto apposito), le passività interbancarie (tranne quelle derivanti da rapporti infragruppo) e i debiti privilegiati dalla normativa fallimentare (verso dipendenti, i debiti fiscali e quelli commerciali);
              il nuovo modello di intervento è stato introdotto con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n.  180; ai sensi dell'articolo 106, comma 2, del medesimo decreto legislativo la norma è entrata in vigore a decorrere dal 1o gennaio 2016;
              in relazione ad alcune perplessità applicative espresse in sede parlamentare, il Governo ha recentemente chiarito che godono di protezione nelle procedure concorsuali (costituendo un patrimonio distinto e separato da quello della banca in forza del principio di separazione patrimoniale ex articolo 22.1 del decreto legislativo 58 del 1998 (Tuf)), i titoli in custodia o in amministrazione (conto titoli) di cui all'articolo 1838 del codice civile avente ad oggetto la custodia e l'amministrazione, da parte della banca, degli strumenti finanziari e dei titoli (azioni, obbligazioni, titoli di stato, quote di fondi di investimento);
              ha altresì chiarito che gli interventi normativi in materia di bail-in devono essere coerenti con le prescrizioni della BRRD (bank recovery and resolution directive) che prevedono un elenco chiuso e non estensibile di esclusioni dal bail-in stesso; in tale quadro, oltre la soglia dei centomila euro il credito del depositante, che sia persona fisica, microimpresa, piccola o media impresa, beneficia comunque della tutela accordata dalla cosiddetta «depositor preference», essendo soddisfatto con preferenza rispetto agli altri creditori chirografari (nuovo articolo 91, comma 1-bis, Tub);
              è stata sollevata da più parti – Banca d'Italia, Abi, associazioni di consumatori – la necessità di rinviare l'applicazione del bail-in al fine di adeguare le obbligazioni bancarie in circolazione al nuovo scenario;
              in sede di audizione presso la Commissione finanze della Camera dei deputati del 9 dicembre 2015 il capo del dipartimento vigilanza della Banca d'Italia, dottor Carmelo Barbagallo, ha chiesto una proroga al 2018 al fine di: «(...) consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro di gestione delle crisi e, dunque, collocate e sottoscritte avendo presenti i nuovi scenari di rischio»;
              il 30 gennaio 2016 il Governatore della Banca d'Italia ha dichiarato la necessità di revisionare la disciplina sul bail-in evitandone un'applicazione retroattiva e soprattutto prorogandone al 2018 l'entrata in vigore;
              il Ministro dell'economia e delle finanze ha dichiarato che la disciplina sul bail-in ha generato più instabilità del previsto con gravi pregiudizi per il sistema bancario e finanziario italiano e per tal motivo «(...) occorre una fase transitoria che dovrebbe essere accompagnata da accorgimenti che mettano a disposizione strumenti per affrontare singoli problemi che possono colpire singoli istituti bancari (...)»;
              recentemente il presidente dell'Abi ha invitato Parlamento, Governo, Banca d'Italia e rappresentanti italiani presso le istituzioni comunitarie a «promuovere una iniziativa forte e coordinata (...) perché la normativa sul bail-in venga sospesa (...) in quanto incompleta e priva delle necessarie disposizioni transitorie (...)»; sotto il profilo della gestione delle obbligazioni preesistenti la nuova normativa presenterebbe profili di incostituzionalità, in quanto retroattiva: solo una volta che siano scadute le obbligazioni preesistenti, le nuove potranno prevedere la partecipazione a un eventuale salvataggio;
              nonostante il sistema bancario italiano sia stato da sempre più solido ed efficiente rispetto al contesto europeo e internazionale l'entrata in vigore del bail-in ha amplificato i pregiudizi per la sua stabilità; il fallimento degli istituti di credito italiani (posto a carico dei risparmiatori del medesimo istituto), rischia di determinare l'acquisizione degli stessi da parte delle banche degli Stati membri dell'Unione europea; tuttavia, diversi membri dell'Unione europea hanno derogato alla normativa in materia di aiuti di Stato per salvare il proprio sistema bancario (la sola Germania ha finanziato le proprie banche con 238 miliardi di euro); tale situazione rischia di generare un paradosso nel quale, in regime di bail-in, la correttezza dei comportamenti dello Stato italiano comporterebbe la perdita del requisito di italianità degli istituti oggetto di acquisizione e un ulteriore pregiudizio per l'indipendenza economica nazionale,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per rinviare l'applicazione del bail-in al fine di adeguare il modello obbligazionario degli istituti di credito al nuovo quadro di gestione delle crisi ed ai nuovi scenari economici comunitari, con lo scopo di evitare ogni possibile distorsione della stabilità economico-finanziaria del sistema bancario e finanziario italiano;
          ad assumere ogni iniziativa di competenza, in conformità alle disposizioni di cui all'articolo 47 della Costituzione (tutela del risparmio), volta a predisporre l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi con finanziamenti volontari delle banche, durante il periodo transitorio.
(1-01156) «Tancredi, Buttiglione, Bosco».


      La Camera,
          premesso che:
              il recepimento della direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) nel nostro ordinamento è stata affidata al decreto legislativo n.  180 del 16 novembre 2015 e al decreto legislativo n.  181 del 16 novembre 2015;
              il primo introduce nel Testo unico bancario e nel Testo unico in materia di intermediazione finanziaria le disposizioni relative ai piani di risanamento, alle forme di sostegno all'interno dei gruppi bancari, alle misure di intervento precoce per gli istituti bancari e le Società di intermediazione mobiliare e modifica le norme sull'amministrazione straordinaria delle banche e la disciplina della liquidazione coatta amministrativa;
              il secondo reca invece la disciplina in materia di predisposizione di piani di risoluzione, avvio e chiusura delle procedure di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione; gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo di risoluzione nazionale;
              la delega legislativa per questi due decreti è stata approvata dalle Camere con la legge di delegazione europea 2014 (legge 9 luglio 2015, n.  114) in cui all'articolo 8, lettera b), tra i princìpi e i criteri direttivi si prevedeva che le norme sul bail-in si applicassero a partire dal 2016;
              in sede di esame degli schemi dei già citati decreti legislativi il parere della VI Commissione del Senato, pur se favorevole, poneva un'osservazione, poi accolta dal Governo, concernente il rinvio al 1o gennaio 2019 dell'applicazione della clausola che consente che le obbligazioni bancarie non garantite siano aggredite in via prioritaria rispetto ai depositi non garantiti diversi da quelli di persone fisiche e piccole e medie imprese;
              al contrario le disposizioni contenute nel Titolo IV, Capo IV, Sezione III, riguardanti cioè la disciplina del bail-in, sono entrate in vigore a partire dal 1o gennaio 2016;
              già il 9 dicembre 2015, Carmelo Barbagallo, capo della vigilanza della Banca d'Italia, in sede di audizione presso la VI Commissione della Camera dei deputati, ha affermato che il «bail-in» avrebbe potuto aumentare i rischi sistemici minando la fiducia alla base dell'attività bancaria, perché si tratta in realtà, come lo stesso ha definito in audizione, di «un mero trasferimento dei costi della crisi dalla più vasta platea dei contribuenti a una categoria di soggetti non meno meritevoli di tutela – piccoli risparmiatori, pensionati – che in via diretta o indiretta hanno investito in passività delle banche»;
              Barbagallo ha poi rivelato come anche la Banca d'Italia avesse chiesto, in sede di trattativa europea sulla direttiva BRRD, che fossero introdotte due condizioni, poi non accolte, riguardanti: «un approccio alternativo al «bail-in», in base al quale si sarebbero potute imporre perdite ai creditori solo in presenza di apposite clausole contrattuali di subordinazione» e il rinvio dell'applicazione del «bail-in» al 2018, «così da consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro»; quindi con maggiore consapevolezza dei nuovi rischi assunti;
              simili considerazioni erano quindi già in possesso del Governo che, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo in maniera frettolosa ed avventata, ha comunque deciso di procedere con l'emanazione del decreto-legge 22 novembre 2015, n.  183, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, poi confluito attraverso un emendamento governativo nella legge 28 dicembre 2015, n.  208 (legge di stabilità 2016, ai commi 842 e seguenti), con cui sono state applicate in Italia le nuove regole europee per il salvataggio bancario appena recepite con il suddetto decreto legislativo 16 novembre 2015, n.  180;
              Banca Etruria è stata divisa in due, separando, nel bilancio, la parte «buona», a cui sono state conferite le attività in bonis, da quella cattiva (compresi tutti gli asset cattivi), ossia le attività in sofferenza, che sono stati accumulati in un'unica bad bank;
              la costituzione delle nuove quattro banche, denominate rispettivamente Nuova Cariferrara, Nuova Banca Etruria, Nuova Banca Marche e Nuova Carichieti, è stata posta a carico del sistema bancario italiano grazie alla liquidità garantita al Fondo di risoluzione da Intesa-San Paolo, Unicredit e Ubi-Banca, a cui si aggiungono gli altri istituti italiani, chiamati a contribuire con una rata annua di 600 milioni di euro, ma l'onere ricade anche sugli azionisti e titolari delle obbligazioni subordinate delle quattro banche. Oltre 100 mila persone hanno perso i risparmi di una vita e a loro difesa si sono schierate le principali associazioni a tutela dei consumatori che accusano il Governo di aver messo in campo «un bail in anticipato per salvare i quattro istituti». Non solo non si è accettato di rinviare l'applicazione del «bail in» affinché i risparmiatori disponessero di un tempo utile ad essere raggiunti da un'informazione completa, ma è stato addirittura anticipato con quello che ai firmatari del presente atto appare un blitz notturno, derubando risparmiatori che, in tutta evidenza, non hanno ricevuto al tempo della sottoscrizione dei prodotti finanziari, né successivamente, adeguate informazioni;
              per ristorare i risparmiatori che hanno perso i propri capitali investiti nelle obbligazioni subordinate, il Governo ha previsto, nelle stesse disposizioni della legge di stabilità 2016, un fondo di solidarietà con una disponibilità di 100 milioni di euro, finanziati dal fondo interbancario di tutela dei depositi;
              le risorse stanziate, però, secondo le stime rappresentate in Parlamento, non sarebbero sufficienti a compensare tutte le perdite subite dai risparmiatori che, inoltre, potranno usufruire del ristoro da parte del Fondo soltanto dopo una procedura di arbitrato prevista dalla medesima legge di stabilità, il cui costo dovrà essere coperto dallo stesso Fondo;
              tale procedura, inoltre, non è ancora stata avviata, poiché è necessario attendere il decreto che il Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della giustizia, sta predisponendo al fine di individuare le modalità di accesso al Fondo e i criteri di quantificazione delle prestazioni, «determinate in importi corrispondenti alla perdita subita, fino ad un ammontare massimo»;
              il Capo del Governo, in sede di conferenza stampa per l'annuncio del decreto di riforma delle banche di credito cooperativo, ha affermato che «per i rimborsi alle persone che verranno riconosciute come truffate dall'arbitrato, non c’è bisogno di un decreto legge, si tratta di aspettare il dpcm e il decreto ministeriale che sono sostanzialmente pronti e saranno presentati nei prossimi giorni», ma il decreto rimborsi, che avrebbe dovuto essere pronto già alla fine di gennaio 2016, continua a tardare;
              in un simile contesto, il ristoro dei risparmiatori non soltanto potrebbe non essere completo, sia a causa della dotazione limitata (e attualmente non sufficiente) del Fondo che a causa della previsione ministeriale del suddetto «ammontare massimo», ma potrebbe anche non arrivare, in quanto subordinato, come previsto nel testo legislativo, «all'accertamento della responsabilità per violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza» previsti dai testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (decreto legislativo n.  58 del 1998), di non facile dimostrazione, poiché in molti casi l'investimento è stato accordato sulla base di un rapporto di fiducia personale che si svolgeva sostanzialmente in colloqui orali non documentabili;
              a ciò si aggiungono le non chiare previsioni in merito al diritto al risarcimento del danno che, seppur fatto salvo, è surrogato dal Fondo, ancora una volta, «nel limite dell'ammontare della prestazione corrisposta»;
              ci sono elementi più che sufficienti per ipotizzare la violazione dell'articolo 47 della Costituzione nella parte che prevede la tutela del risparmio in tutte le sue forme e la disciplina e il controllo dell'esercizio del credito;
              ancora, il 30 gennaio 2016, al congresso ASSIOM FOREX di Torino, il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha avanzato la proposta di una revisione della direttiva BRRD, in ragione di una clausola della direttiva stessa, che prevede questa possibilità entro giugno 2018, al fine di adeguare la normativa europea agli standard internazionali;
              le ragioni della richiesta di revisione sembrerebbero avere altre motivazioni. Lo stesso Governatore infatti sostiene che: «Nell'introdurre questo delicato cambiamento a livello europeo non si è prestata sufficiente attenzione alla fase di transizione», poiché, come è effettivamente accaduto, l'applicazione immediata del meccanismo di «bail-in» «avrebbe potuto comportare – oltre ad un aumento del costo e una rarefazione del credito all'economia – rischi per la stabilità finanziaria, connessi anche col trattamento dei creditori in possesso di passività bancarie sottoscritte anni addietro, in tempi in cui la possibilità di perdita del capitale investito erano molto remote»;
              al contrario, un periodo transitorio avrebbe consentito, sia per le banche sia per i risparmiatori, di prendere confidenza con questo strumento estraneo al nostro ordinamento e alla nostra cultura del risparmio, con la conseguente possibilità, per le prime, di emettere strumenti adatti ed «espressamente assoggettabili» alle nuove procedure di risoluzione delle crisi e, per i secondi, di valutare con gli adeguati strumenti cognitivi e informativi i propri investimenti;
              come ha ricordato Visco, nel nostro Paese la quota di risparmio delle famiglie investita in obbligazioni è notevolmente più elevata che negli altri Paesi della zona euro, grazie, soprattutto, al più vantaggioso trattamento fiscale che tra il 1996 e il 2001 è stato riservato agli interessi maturati sulle obbligazioni rispetto a quelli sui depositi a medio termine;
              da organi di stampa si apprende però che l'Unione europea avrebbe già risposto negativamente alla richiesta del Governatore Visco, affidando ad un rappresentante della Commissione l'onere di dichiarare che non ci sarebbe alcuna volontà di modificare la BRRD, poiché, come ha ricordato lo stesso funzionario, la direttiva è stata adottata nel 2014 «con il consenso di una stragrande maggioranza al Parlamento europeo e con l'accordo unanime degli stati membri»;
              se, da un lato, la fiducia dei risparmiatori nel sistema bancario è già crollata in séguito alle vicende che hanno interessato le quattro note banche poste in risoluzione, dall'altro, proprio la nuova normativa del «bail-in», valutata congiuntamente alle attuali sofferenze degli istituti bancari italiani, che ammonterebbero a circa 201 miliardi di euro potrebbe essere la causa della forte instabilità dei mercati finanziari di queste ultime settimane;
              la versione ufficiale ha rintracciato la causa di simili oscillazioni in una lettera inviata dalla Bce contenente la richiesta di un rafforzamento patrimoniale degli istituti di credito italiani per poi specificare che si trattava in realtà di una richiesta dei Ssm sulla gestione degli NPL inviata anche ad altri istituti dell'eurozona;
              sull'argomento, prima dell'inizio della riunione dell'Eurogruppo della scorsa settimana, il ministro Padoan ha commentato: «È chiaro che ci sono in questi giorni movimenti sistemici non solo in Europa ma anche in Asia e negli Stati Uniti che colpiscono in particolare il settore bancario a causa delle prospettive di crescita globale che cominciano a essere meno incoraggianti di qualche mese fa», assicurando che: «non c’è un fattore specifico italiano per le tensioni sui mercati», ma intanto lo spread è tornato a salire e si aggira tra i 140 e i 160 punti di differenziale Btp-Bund nella scorsa settimana;
              lo stesso Ministro dell'economia e delle finanze ha affermato che: «È chiaro che il «bail in» è un nuovo regime e bisognerà introdurlo con delicatezza e con necessaria gradualità» e che non c’è alcuna ragione di credere che la volatilità dei titoli bancari sia legato all'introduzione del «bail-in». È però evidente come siano soprattutto le banche italiane a registrare, nelle ultime settimane, le peggiori perfomance borsistiche,

impegna il Governo:

          ad assumere, in sede europea, tutte le iniziative necessarie al fine di addivenire ad una revisione della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dei 15 maggio 2014, in modo da escludere i depositi di qualsiasi entità e gli obbligazionisti: «junior» e «senior» da qualsiasi procedura di fallimento o risoluzione di istituti di credito o bancari;
          ad assumere iniziative per rivedere il recepimento della disciplina dello strumento del «bail-in» e a valutare validi strumenti alternativi in grado di garantire la stabilità patrimoniale delle banche senza causare effetti di destabilizzazione tali da contagiare l'intero sistema bancario italiano;
          ad assumere iniziative per rivedere, altresì, le disposizioni contenute nella legge n.  208 del 2015 relative alle dotazioni e al funzionamento del Fondo di solidarietà istituito per l'erogazione di prestazioni in favore degli investitori che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge n.  22 novembre 2015, n.  183, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalle quattro banche poste in risoluzione, come specificato in premessa, al fine di:
              a) garantire e provvedere, nel più breve tempo possibile, al completo ristoro di tutti gli investitori non istituzionali che hanno subito una riduzione o un azzeramento del valore delle obbligazioni subordinate delle quattro banche poste in risoluzione;
              b) aumentare le dotazioni finanziarie del Fondo di solidarietà in misura tale da garantire il completo ristoro di tutti gli obbligazionisti subordinati non istituzionali di cui alla precedente lettera;
              c) prevedere, in luogo dell'arbitrato, un diverso procedimento per l'erogazione delle prestazioni che sia finalizzato esclusivamente all'individuazione degli obbligazionisti subordinati non istituzionali di cui alla lettera a) e delle modalità e dei termini per la presentazione delle istanze di erogazione delle prestazioni.
(1-01157) «Busin, Fedriga, Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


      La Camera,
          premesso che:
              il tema della mobilità rappresenta un punto fondamentale per lo sviluppo economico e produttivo di un Paese, per l'organizzazione delle funzioni, l'attrattività e, non ultima, la qualità della vita dei cittadini. Le declinazioni della mobilità dal lato della domanda e dell'offerta sono complicate dall'eterogenea articolazione del territorio nazionale e dalla necessità di contemperare differenti aspettative e bisogni con aspetti legati ad esempio alla sostenibilità come il contenimento dell'inquinamento atmosferico e del congestionamento stradale e la riduzione dell'incidentalità;
              pochi mesi fa è stato presentato il 12o rapporto ISFORT sulla mobilità urbana che evidenzia come nel 2014 il volume degli spostamenti nei giorni feriali è salito del +11,5 per cento rispetto al 2013, e, contestualmente, anche il tasso di mobilità è in sensibile crescita, nonostante l'estenuante gradualità di miglioramento dell'indicatore-chiave di misura dell'efficienza e del mercato delle aziende del trasporto pubblico, ovvero il rapporto ricavi da traffico/costi operativi, indicatore che nonostante il miglior controllo dei costi esogeni, gli incrementi tariffari (in verità in tendenziale stabilizzazione) e la riorganizzazione dei servizi, nel 2014 è cresciuto appena dello 0,1 per cento (dal 30,7 per cento al 30,8 per cento), ampliando peraltro i già elevati differenziali tra i territori (il valore del Nord-est, pari al 37,8 per cento è quasi doppio rispetto al valore del Sud e Isole, pari al 19,2 per cento);
              ma il dato che resta più preoccupante è quello relativo all'anzianità del materiale rotabile: l'azzeramento dei finanziamenti pubblici che perdura ormai da diversi anni ha ridotto in modo drastico gli investimenti per il rinnovo di questo asset fondamentale delle aziende. La conseguenza è che l'età media del parco mezzi è salita nel 2014 a 12,2 anni, allargando il gap rispetto alla media europea (circa 7 anni). È un valore in costante crescita dal 2005 (9,1 anni l'età media di allora), con la sola eccezione del 2013. Le nuove immatricolazioni di autobus sono diminuite del 46 per cento tra il 2010 e il 2014 e il profilo ecologico delle flotte, benché in miglioramento, evidenzia un peso ancora troppo alto dei veicoli con emissioni fino ad Euro 2 (33 per cento) o pari ad Euro 3 (27 per cento);
              se è vero che la materia del trasporto pubblico locale dal 2001 è di competenza regionale, è anche vero che è uno dei principali servizi pubblici tutelato anche a livello costituzionale, e il legislatore nazionale non può esimersi dal considerare le diverse problematiche in un'ottica generale come merita la complessità del problema, anche per esempio, in merito a scelte societarie di rilevante importanza che interessano direttamente i cittadini, come la privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane;
              le privatizzazioni hanno sempre diviso l'opinione pubblica per le numerose incognite e gli interessi che ne possono scaturire, che non sempre rispondono a criteri di maggiore efficienza e competitività, e che rischiano di non apportare reali benefici per gli utenti mettendo a rischio l'universalità di un servizio che, seppur gestito da privati, svolge un ruolo di fondamentale importanza per il pubblico;
              il Gruppo ferrovie dello Stato italiane è una delle aziende italiane più appetibili dal punto di vista economico, con fatturato di 8,4 miliardi di euro, con circa 70.000 dipendenti e un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria, di cui circa 1.000 ad alta velocità. Eppure, a fronte di questi numeri, l'azienda risulta comunque al dodicesimo posto nella classifica delle ferrovie europee per percorrenza media chilometrica per abitante: i settori più problematici, anche perché meno redditizi, sono quelli relativi al trasporto su intercity e regionali, e quindi quelli a servizio dei cittadini e dei tanti pendolari che utilizzano il treno come mezzo di trasporto privilegiato per raggiungere le postazioni di lavoro e di studio;
              nonostante l'azienda abbia usufruito di cospicui contributi pubblici, la stessa non ha mai realmente investito nel migliorare la qualità dei servizi di trasporto ferroviario e le prestazioni gestionali, accumulando negli anni un gap rispetto alle concorrenti, il quale rappresenta oggi un ostacolo allo sviluppo competitivo del settore del trasporto, sia merci che passeggeri;
              se la linea ad alta velocità sul territorio italiano è paragonabile, per qualità a quella presente in altri Paesi europei, i servizi di trasporto merci e passeggeri sono drammaticamente sotto la media: eppure il servizio del trasporto pubblico locale rappresenta un servizio fondamentale sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo sociale perché attraverso di esso deve essere garantita la possibilità di effettuare gli spostamenti necessari per lo svolgimento delle attività principali della vita economica e sociale, assicurando comunque un livello adeguato di prestazioni su tutto il territorio;
              i pendolari che utilizzano quotidianamente il treno come mezzo di trasporto subiscono con troppa frequenza e da troppo tempo disagi a causa della soppressione dei treni, dei ritardi, delle pessime condizioni igieniche, del congelamento degli scambi nei mesi invernali e dei guasti agli impianti di riscaldamento delle carrozze vecchie e usurate;
              in alcune delle tratte più trafficate d'Italia è inaccettabile che i passeggeri debbano viaggiare regolarmente in vagoni sovraffollati e privi di servizi per i diversamente abili, ai quali, di fatto, non è garantito il diritto alla mobilità;
              alcuni vagoni si presentano in condizioni igieniche indecenti a causa dell'utilizzo, durante le soste notturne, come dormitorio da vagabondi e senzatetto;
              sono molti i problemi legati alla tratta Milano-Genova con centinaia di pendolari che fanno riferimento alle stazioni di Pavia, Voghera e Tortona che hanno visto la soppressione di molti treni intercity con il conseguente sovraffollamento del treni residui e, che assistono a troppi atti vandalici commessi nelle stazioni ferroviarie del territorio che ormai versano in condizioni di degrado e di abbandono (il bar interno alla stazione di Vigevano ha subito 16 rapine);
              i pendolari che utilizzano quotidianamente il treno come mezzo di trasporto sulla tratta Roma-Viterbo subiscono con troppa frequenza e da troppo tempo disagi e sono costretti a compiere un pericoloso attraversamento dei binari per uscire dalla stazione e ai disagi ferroviari si accompagnano inevitabili disagi stradali sulle vie consolari completamente bloccate, visto che molti lavoratori si vedono costretti a preferire la vettura privata ad un servizio pubblico assente o mal funzionante;
              gli utenti del trasporto ferroviario pendolare che si servono regolarmente della tratta Milano-Chiasso lamentano che, a fronte dei rincari dei titoli di viaggio, non c’è stato un incremento e un miglioramento del servizio e della qualità, anche sotto il profilo della manutenzione e della sicurezza delle stazioni ferroviarie. Alcune di esse versano in condizioni di degrado e abbandono, con misure di sicurezza insufficienti e inappropriate, che le rendono facili prede di delinquenti: i tabelloni informativi funzionano raramente, le obliteratrici sono spesso guaste, la manutenzione di scale e panche è nulla e le condizioni igieniche delle stazioni sono pessime, perché oramai utilizzate come rifugio notturno dei senzatetto;
              se non vengono messi in atto incentivi all'utilizzo del treno da parte dei pendolari, attraverso un miglioramento del servizio, un aumento delle corse, una manutenzione adeguata delle stazioni ferroviarie, una garanzia di adeguati livelli di sicurezza, un'area di parcheggio gratuito nei pressi delle stazioni, gli utenti saranno presumibilmente sempre più orientati ad utilizzare i mezzi privati per gli spostamenti, con gravi ripercussioni sul traffico e sull'inquinamento,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative, nell'ambito del processo di privatizzazione che interessa la rete ferroviaria italiana, affinché una quota parte dei ricavi dell'operazione possa essere destinata al miglioramento ed all'incentivazione del trasporto pubblico locale, garantendo che il servizio venga svolto su tutto il territorio nazionale nel rispetto di più alti criteri di qualità e a prezzi sostenibili per i cittadini;
          fatte salve le competenze delle regioni, nelle more dell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, a promuovere un'intesa, in sede di Conferenza unificata, avente ad oggetto il settore strategico del trasporto pubblico locale, al fine di garantirne lo sviluppo, individuando le modalità generali finalizzate:
              a) al contrasto dell'evasione tariffaria;
              b) al rinnovo o ammodernamento del parco veicoli e materiale rotabile;
              c) all'innalzamento dei livelli di sicurezza dei passeggeri e degli addetti ai lavori, intesi anche come efficienza e sicurezza di bordo e di terra;
              d) al miglioramento delle condizioni di viaggio degli utenti, attraverso l'incremento dei livelli minimi di comfort delle strutture a terra e a bordo;
              e) all'individuazione di piani di efficientamento e razionalizzazione delle reti in un'ottica di contenimento della spesa attraverso l'individuazione dei costi standard a livello nazionale;
              f) al miglioramento dei sistemi di informazione all'utenza;
              g) al potenziamento del servizio pubblico di trasporto finalizzato al decongestionamento del traffico anche in relazione alla riduzione dell'impatto ambientale;
              h) al potenziamento delle aree di scambio finalizzate all'intermodalità.
(1-01158) «Caparini, Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


      La Camera,
          premesso che:
              il trasporto pubblico locale costituisce per il Paese un servizio fondamentale sotto il profilo sociale ed economico. Attraverso esso viene assicurata ai cittadini la mobilità indispensabile per affrontare le attività che una società avanzata richiede e, sostituendo il ricorso al mezzo privato, può offrire un contributo essenziale al raggiungimento di finalità che attengono alla salute, alla qualità della vita, all'economia (in particolare, nell'ambito urbano);
              nel nostro Paese sono, ad esempio, 2 milioni e 903 mila le persone che ogni mattina utilizzano il treno per recarsi nei luoghi di lavoro o di studio;
              i dati e gli studi effettuati a livello internazionale hanno ormai ampiamente chiarito come un miglioramento ed una crescita del trasporto pubblico, parallelamente ad una diminuzione dell'uso del trasporto privato, costituiscano una delle soluzioni più rapide ed efficaci per fornire una risposta concreta ai problemi di inquinamento e di congestione delle città e per dare impulso alla competitività economica dei territori;
              soprattutto, la velocità, la sicurezza e il comfort del trasporto «da» e «per» l'interno delle aree urbane rappresentano uno dei fattori più forti di attrazione e quindi uno degli elementi-chiave della competitività di un Paese;
              in Italia il settore presenta – insieme a buone pratiche, fortunatamente sempre più diffuse – anche sacche di elevata criticità;
              il finanziamento statale del settore risulta, in effetti, particolarmente significativo quando assicura la continuità di un servizio essenziale e coopera con gli sforzi virtuosi degli amministratori locali in direzione della efficienza;
              del resto, è innegabile il carattere di servizio essenziale (che non sempre è possibile assicurare in termini di puro mercato), così come è innegabile che la durata pluriennale delle aggiudicazioni e dei contratti di servizio richiedano una certezza di risorse che consenta alle imprese operanti nel settore di programmare per un arco di tempo significativo la propria attività e i propri investimenti;
              quello del risanamento è quindi un percorso difficile, che richiede un apparato di dati, informazioni (anche di dettaglio) e di metriche sofisticate di cui il Governo e l'amministrazione non sempre dispongono;
              servono inoltre meccanismi di premialità e penalizzazione più efficaci degli attuali;
              senza queste premesse le stesse norme sull'apertura alla concorrenza — che pure sono condivisibili — rischiano di non incidere in profondità;
              infine, insieme al finanziamento ordinario andrebbe potenziato e modernizzato il finanziamento per la spesa in conto capitale del settore che dovrebbe essere indirizzato a due obiettivi prioritari: il primo è rappresentato dall'acquisto di mezzi, il secondo dovrebbe essere costituito da interventi mirati al potenziamento ed allo sviluppo delle infrastrutture, in particolare quelle su ferro;
              su queste basi potrà progressivamente realizzarsi e consolidarsi un processo virtuoso di industrializzazione del settore e di miglioramento del servizio;
              premessa di questo processo virtuoso è un'efficace lotta all'evasione tariffaria che — saldandosi alla demagogica rivendicazione della gratuità del servizio — rappresenta uno dei principali ostacoli culturali e «di costume» ad una modernizzazione del settore; al contrario, la prospettiva nella quale andare è quella dell'adeguamento tariffario per ridurre progressivamente la forbice fra costi e ricavi e per promuovere nei cittadini la consapevolezza del valore economico del servizio e dei beni necessari alla sua erogazione, dei costi che esso comporta per la collettività e della necessità di un diffuso controllo sociale sulla qualità della spesa;
              peraltro è necessario sottolineare che un Trasporto Pubblico Locale moderno e informato a logiche di mercato potrebbe rappresentare uno strumento per la crescita: infatti, l'industrializzazione del settore consentirebbe di attivare ogni anno risorse per circa 11 miliardi di euro con un impatto, diretto e indotto, di circa 17,5 miliardi di euro in termini di valore aggiunto, un incremento occupazionale complessivo di oltre 450 mila unità (pari a 1 punto percentuale in più del Prodotto Interno Lordo all'anno e di 2 punti percentuali di incremento occupazionale);
              per quanto riguarda la standardizzazione dei costi e l'ottimizzazione della pianificazione dei servizi, si ricorda che già sono intervenute alcune significative innovazioni normative, a partire dalla Legge di stabilità per il 2013, che ha individuato alcuni essenziali obiettivi: l'incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi; la migliore corrispondenza tra l'offerta e la domanda; la definizione di livelli occupazionali appropriati; la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica;
              l'impianto normativo però, è ancora incompiuto e necessiterebbe di due componenti essenziali: costi standard e riordino normativo;
              per quanto attiene ai costi standard, da anni si parla della necessità di superare il criterio della spesa storica per pervenire a quello dei fabbisogni e dei costi standard. Infatti, una ripartizione dei finanziamenti sulla base dei fabbisogni e dei costi standard permetterebbe di premiare gli enti che riescono ad erogare il servizio a costi minori;
              per quanto attiene al riordino: si è assistito negli anni ad un sovrapporsi fra norme di settore e norme trasversali sui servizi pubblici locali (da un lato) e sulle società a partecipazione pubblica (dall'altro). Questa oggettiva complessità è stata aggravata dagli effetti della sentenza n.  199 del 20 luglio 2012, con la quale la Corte costituzionale dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4 del decreto-legge n.  138 del 2011, che recava disposizioni per l'adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell'Unione europea (che, a sua volta, era stata introdotta al fine di colmare il vuoto normativo determinatosi a seguito del referendum popolare con il quale era stata sancita l'abrogazione dell'articolo 23-bis del decreto-legge n.  112 del 2008);
              un riordino di questa normativa (che andrebbe oggi armonizzato anche con i decreti attuativi della legge n.  124 del 2015 («riforma Madia») dovrebbe riunificare all'interno di un quadro unitario di finalità tutte le problematiche che affliggono il Trasporto Pubblico Locale: un sistema tariffario ancora troppo rigido, il processo di liberalizzazione ed apertura del mercato, gli investimenti infrastrutturali e il materiale rotabile, in quanto anche per quello che riguarda gli investimenti per il materiale rotabile (bus/treni) il sistema di finanziamento attualmente in essere non garantisce un adeguato e regolare rinnovo delle flotte (età media alta/materiale disomogeneo), la mobilità urbana, l'infomobilità e le nuove tecnologie, dal momento che le infrastrutture del Trasporto Pubblico Locale sono una dorsale naturale che potrebbe fungere (anche in Italia) da volano per lo sviluppo nel settore dei servizi di infomobilità, servizi al cittadino e al turista, in connessione con l’e-payment;
              al riordino normativo dovrebbe poi affiancarsi una strategia-Paese: il trasporto pubblico locale è, infatti, un elemento decisivo per la modernizzazione e la qualità della vita nelle aree urbane e quindi per la competitività del sistema-Paese; in questo senso costituisce un grave ritardo il fatto che il Paese non disponga ancora di una strategia e di alcune leve di governo efficaci su questa materia e che ad esse non siano vincolati anche i governi locali i quali invece operano (o non operano) in una pressoché totale autonomia, considerando il Governo quale mero erogatore di risorse finanziarie. Il riferimento è, in primo luogo, alle linee guida per la mobilità urbana e agli strumenti programmatici di valenza nazionale sulla mobilità;
              per quanto riguarda le risorse da far affluire sul settore occorrerebbe uscire al più presto dalla logica e dal metodo della frammentazione (sussidi diretti o indiretti al servizio, investimenti infrastrutturali, finanziamenti per l'acquisto del materiale rotabile) che produce anche difficoltà a ricostruire un'informazione chiara e pone il Parlamento di volta in volta dinanzi a provvedimenti sulla cui efficacia concreta bisognerebbe riflettere (da ultimo anche nella Legge di stabilità per il 2016 e nel «decreto milleproroghe»);
              sarebbe opportuno, in realtà, varare un progetto-Paese mirato al trasporto pubblico locale quale elemento strategico per la competitività delle aree urbane; in questo quadro occorre prevedere anche gli strumenti necessari ad utilizzare efficacemente i fondi strutturali dell'Unione europea. Com’è noto, il nuovo indirizzo comunitario sulle politiche di trasporto punta fortemente al rilancio delle città ed alla necessità di investire in modo prioritario sui contesti urbani,

impegna il Governo:

          a superare l'attuale frammentarietà e stratificazione normativa attraverso iniziative volte all'adozione di un Testo unico legislativo sul trasporto pubblico locale che riconosca l'importanza strategica del settore ai fini della crescita e della competitività del Paese e promuova — in questo contesto — la riunificazione e l'aggiornamento degli strumenti di programmazione e di indirizzo nazionali in materia di mobilità urbana e di infomobilità;
          a promuovere strumenti e modalità che facilitino lo sviluppo della competitività tra le imprese, e/o la loro integrazione, quali ad esempio il superamento del solo criterio dell’in house providing, e promuovano ed incentivino un contestuale maggior ricorso a procedure di gara ad evidenza pubblica;
          a favorire e incentivare gli enti competenti a dotarsi di strumenti e competenze di pianificazione che permettano di orientare l'offerta di trasporto verso la domanda ed i bisogni dei cittadini là dove questi si generano;
          a portare a compimento il processo di condizionamento dell'erogazione di contributi statali all'effettivo efficientamento delle gestioni misurato secondo parametri oggettivi;
          ad abbandonare — nelle scelte di finanziamento pubblico, compreso il rifinanziamento di fondi già esistenti — una logica assistenziale e interamente basata sulla enfatizzazione dei «diritti», prevedendo interventi e controlli che assicurino, specie nelle realtà più arretrate, il buon fine delle misure e delle risorse impegnate;
          ad assumere iniziative per definire misure più stringenti per la lotta all'evasione tariffaria, anche attraverso una maggiore efficacia dei controlli, e a promuovere l'adeguamento delle tariffe – accompagnato da politiche di sconti e di abbonamenti – al fine di immettere la parte più consistente del settore nelle dinamiche di mercato;
          a promuovere l'introduzione di nuove tecnologie, in particolare nei settori del pagamento e dei nuovi servizi, anche al fine di incrementare e proteggere l'area dei ricavi degli enti territoriali e delle imprese di trasporto;
          a definire, per quanto di competenza, un insieme prioritario di interventi infrastrutturali per potenziare e rendere più efficiente il servizio del trasporto pubblico locale nelle aree decisive per la competitività del «sistema Paese», prevedendo adeguate forme di finanziamento anche attraverso l'eventuale possibilità di impiego dei fondi dell'Unione europea;
          a definire e ad assicurare una pluriennale politica industriale e stanziamenti – non occasionali, ma secondo una prospettiva di medio termine – nonché nuove modalità più controllabili che realizzino economie di scala, per l'acquisto di nuovi veicoli e/o per la loro revisione generale, che possano modernizzare il parco con rilevanti effetti positivi in termini ambientali, mediante riduzione delle emissioni inquinanti, e in termini economici, tramite il forte contenimento dei costi di manutenzione, e che producano effetti positivi sulle filiere produttive nazionali;
          a promuovere ed incentivare l'utilizzo di metodologie, mezzi e tecnologie innovative, ecocompatibili e/o a minore impatto ambientale.
(1-01159) «Garofalo, Causin, Bosco».


      La Camera,
          premesso che:
              l'esplosione della crisi a partire dal 2007 ha evidenziato una condizione di precarietà del sistema finanziario europeo derivante dallo stretto intreccio tra gli effetti prodotti dalla crisi in termini di aumento delle sofferenze per la crescita delle insolvenze e le difficoltà emerse nella gestione del debito pubblico di alcuni Paesi membri i cui titoli erano detenuti, per importi assai consistenti, dalle banche europee;
              la vulnerabilità delle banche ha indotto l'Unione europea a porre in atto una serie di interventi volti anzitutto a definire una disciplina più rigorosa per quanto concerne i requisiti patrimoniali richiesti alle banche, in modo da garantire la solvibilità; in tale contesto, anche le banche italiane hanno aumentato significativamente le loro dotazioni di capitale, per altro senza avvalersi, a differenza di quanto è avvenuto altrove, di risorse provenienti dal bilancio pubblico (8,2 per cento del prodotto interno lordo in Germania, 5 per cento in Spagna, 22 per cento in Irlanda): è possibile calcolare che se in Italia fossero stati effettuati interventi in rapporto al prodotto interno lordo pari a quelli della Germania, l'onere a carico delle finanze pubbliche sarebbe ammontato a 130 miliardi di euro;
              l'Unione bancaria, finalizzata ad accompagnare all'Unione economica e monetaria una disciplina comune anche in materia creditizia, completa il quadro delle misure adottate a livello europeo ed è costituita da tre pilastri, di cui i primi due già realizzati: un sistema unico di vigilanza, un meccanismo unico di risoluzione delle crisi e, da ultimo, un sistema europeo di garanzia di depositi;
              la vigilanza unica, in capo alla BCE, ha consentito l'armonizzazione dei criteri precedentemente rimessi in capo alle singole autorità nazionali, mentre la necessità di evitare massicci salvataggi a carico dei bilanci pubblici ha trovato una risposta nel 2013 con la «Comunicazione» della Commissione europea che ha disposto l'applicazione immediata di un nuovo regime di burden sharing che imponeva, in caso di crisi di una banca, perdite su azioni e obbligazioni subordinate come precondizione per un intervento pubblico e, nel 2014, la Bank Recovery and Resolution Direttive (BRRD), che ha esteso quello stesso regime, dal 1o gennaio 2016, anche alle obbligazioni ordinarie e ai depositi superiori a 100.000 euro (cosiddetto bail in), meccanismo cui si accompagna la previsione dell'istituzione di un fondo unico finanziato con contributi a carico delle banche;
              nell'ambito del regime di burden sharing e secondo le procedure di risoluzione definite dalla BRRD, il Governo italiano e la Banca d'Italia hanno proceduto nel novembre 2015 ad attuare gli interventi di risoluzione delle crisi di Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti, così salvaguardando totalmente i depositi, l'occupazione delle banche e i crediti verso un numero molto elevato di imprese;
              se il bail in consente di evitare la creazione di un circolo vizioso tra banche e settore pubblico, garantire un corretto funzionamento dei meccanismi concorrenziali e non far ricadere i costi delle crisi sui cittadini, esso può tuttavia minare la fiducia degli investitori, che costituisce l'essenza dell'attività bancaria, così alimentando i rischi di instabilità sistematica provocati dalla crisi di singole banche;
              la revisione della direttiva 2014/59/UE, già contemplata dalla medesima direttiva, fornisce un'occasione utile per migliorare il sistema;
              la realizzazione del terzo pilastro, relativo al sistema unico di assicurazione dei depositi presso tutte le banche dei paesi coinvolti, sta scontando alcune difficoltà legate alla perplessità di fronte alla prospettiva di mutualizzazione del rischio da parte di alcuni Stati membri, i quali temono che i propri sistemi bancari siano chiamati a finanziare interventi a favore di depositanti di altri paesi per l'insolvenza di banche straniere;
              la volatilità che ha colpito i mercati globali nelle ultime settimane e, in particolare, il settore bancario europeo, è la dimostrazione della necessità di rafforzare il sistema a due livelli: un livello nazionale, come il Governo ha fatto e sta continuando a fare da ultimo con la recente approvazione del decreto-legge in materia bancaria, e uno europeo, attraverso il completamento dell'architettura dell'Unione bancaria,

impegna il Governo:

          a promuovere, nelle sedi europee, un approfondimento delle problematiche connesse all'attuazione della direttiva 2014/59/UE, al fine di proporre, entro il 1o giugno 2018, le modifiche che si rendano opportune, in base a quanto previsto dall'articolo 129 della direttiva medesima;
          a favorire la corretta applicazione delle regole finalizzate a impedire il collocamento degli strumenti più rischiosi presso clienti al dettaglio non in grado di comprenderne l'effettivo rischio, e al contempo di meccanismi finalizzati ad assicurare una piena e consapevole informazione dei risparmiatori;
          a sostenere nelle sedi negoziali europee la più rapida introduzione del terzo pilastro dell'Unione bancaria, relativo alla tutela dei depositi, nel rispetto di un principio di equilibrio tra la condivisione del rischio e la sua riduzione.
(1-01160) «Pelillo, Petrini, Currò, Bonifazi, Capozzolo, Carella, Causi, Colaninno, De Maria, Marco Di Maio, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Ragosta, Ribaudo, Sanga, Zoggia».


      La Camera,
          premesso che:
              il settore dei trasporti è centrale nella crescita economica e sociale di un Paese. La relazione tra trasporti e sviluppo è innegabilmente bidirezionale: da un lato, un'adeguata offerta di servizi di trasporto è di fondamentale rilevanza per lo sviluppo dei mercati e del tessuto produttivo ed industriale; dall'altro lato, la performance dell'economia influisce sulla domanda di trasporto e di mobilità di imprese e cittadini, sia in termini di quantità, sia per quanto riguarda le scelte modali;
              un sistema di trasporto efficiente consente di creare nuovi mercati e di potenziare quelli esistenti; costituisce, pertanto, una leva essenziale per favorire e sostenere una crescita economica forte, creatrice d'occupazione e di ricchezza, un sistema poco efficiente, o inefficiente, al contrario, riduce le possibilità di raggiungere nuovi mercati, allontana l'orizzonte degli scambi, comprime la capacità produttiva, limita le potenzialità di crescita economica e sociale;
              il «Secondo rapporto annuale al Parlamento dell'Autorità di regolazione dei trasporti (ART)», presentato nel luglio 2015, sottolinea come il sistema dei trasporti in Italia stenti ad uscire dal periodo di sofferenza indotto dalla crisi, riconducendo tale difficoltà ad alcune criticità di cui soffre il settore nazionale, tra le quali la limitata interconnessione tra le infrastrutture di trasporto, la loro scarsa capacità di fare rete in modo integrato e sistemico e la presenza di barriere all'entrata per l'offerta di servizi di trasporto;
              il settore dei trasporti italiano (aereo, marittimo, terrestre e tramite condotte e vie d'acqua) ha prodotto nel 2013 un valore aggiunto di 34.654 milioni di euro, in contrazione rispetto al 2012 dell'1,7 per cento, con un peso del 2 per cento del prodotto interno lordo. A determinare questa diminuzione è principalmente il settore delle merci, che mostra un peggioramento rispetto al 2012 e raggiunge nel 2013 minimi storici dal 2005. Segnali positivi si ricevono invece dal comparto passeggeri, che nel 2013 presenta, dopo la forte contrazione del 2012, una significativa ripresa in controtendenza rispetto all'andamento del prodotto interno lordo e dell'analogo indicatore relativo al trasporto merci;
              i dati italiani sono simili a quelli europei con l'eccezione che nel mercato italiano il trasporto passeggeri mostra un peso superiore rispetto a quello delle merci;
              a questo riguardo, nel citato rapporto dell'ART si evidenza che in relazione alle modalità di trasporto, in Italia ci si sposta prevalentemente con veicoli privati su strada (78,9 per cento del traffico rilevato), mentre le percentuali delle altre modalità di trasporto rimangono pressoché costanti, a parte l'incremento del 6,4 per cento dei trasporti collettivi urbani, riconducibile in larga parte alla situazione di crisi economica, anche se la domanda di tale modalità rimane sempre a livelli molto bassi (il 2,2 per cento dell'intero traffico interno di passeggeri in Italia);
              relativamente ai trasporti collettivi extraurbani, la strada (90,9 miliardi di passeggeri-chilometro per il 2013, pari al 10,8 per cento) prevale ancora sulle ferrovie (5,6 per cento), il cui ruolo assume comunque ancora oggi una notevole importanza nell'ambito di tale tipologia di trasporto;
              il rapporto della popolazione italiana con il trasporto ferroviario non può essere definito idilliaco. In relazione alla popolazione, infatti, l'Italia si colloca in ultima posizione su scala europea: mediamente un italiano percorre in treno in media in un anno il 20 per cento in meno di chilometri di un cittadino tedesco, poco più del 50 per cento di uno francese ed il 33 per cento dei chilometri percorsi da uno elvetico. Per quanto riguarda le merci, il sistema di trasporto nazionale è decisamente sbilanciato sul trasporto su gomma, mentre la quota di traffico effettuato tramite ferrovia si attesta intorno al 6 per cento;
              la rete ferroviaria italiana presenta un'estensione di 17.000 chilometri, di cui 67 chilometri di rete estera. Le linee fondamentali costituiscono il 38 per cento della rete (6449 chilometri), quelle complementari il 56 per cento (9331 chilometri) e quelle di nodo il 6 per cento. Inoltre le linee a doppio binario rappresentano il 45 per cento della rete totale, mentre il restante 55 per cento è costituito dalle linee a semplice binario. Il 71 per cento delle linee risulta essere elettrificato, di cui il 62 per cento è rappresentato da linee a doppio binario e il 38 per cento da linee a semplice binario. Pertanto, le linee a trazione diesel e, di conseguenza, non elettrificate coprono il restante 29 per cento della rete. Per quanto riguarda, invece, la lunghezza dei binari, pari a 24,299 chilometri, è costituita da 22,949 chilometri di linea convenzionale, mentre la restante parte, 1.350 chilometri dalla linea Alta Velocità (AV);
              le reti regionali non si distribuiscono uniformemente lungo il territorio nazionale, essendo particolarmente estese nell'Italia Meridionale, mentre è l'Italia Centrale a detenere la minor estensione regionali;
              rispetto al complesso della rete nazionale e locale, tuttavia, il Mezzogiorno risulta penalizzato da un'infrastruttura meno efficiente, dal momento che il 64 per cento della sua rete è a binario singolo e non elettrificata;
              l'Italia, insieme alla Francia, è stata un precursore del settore AV in Europa: nel 1977 fu il primo Paese europeo ad inaugurare una linea ad alta velocità (la Direttissima Roma-Firenze) e, di fatto, fino al 1990, i due Paesi sono rimasti gli unici ad essersi dotati di infrastrutture AV. Una spinta innovativa che, purtroppo, ha avuto una battuta d'arresto: con una rete di soli 923 chilometri il nostro Paese possiede la quarta infrastruttura alta velocità europea. Lo scarso livello di investimenti effettuato in Italia nel decennio tra il 1990 e il 2000 ha fatto perdere al nostro paese la posizione di testa che possedeva nel decennio precedente; di fatto in Italia si è ricominciato a sviluppare la rete alta velocità solo a partire dal 2005, con ritmi crescenti fino al 2009, senza però riuscire a colmare il ritardo infrastrutturale accumulato negli ultimi 20 anni;
              gli indicatori non restituiscono un quadro positivo neppure per quanto riguarda il trasporto di merci: il numero di tonnellate trasportate su rotaia per le relative percorrenze ha subito, infatti, dal 2007 al 2011 un crollo del 21,7 per cento, passando da 25,285 (dato record, nella storia delle ferrovie italiane) a 19,787 miliardi di tonnellate chilometro. Il comparto sconta sicuramente il difficile andamento dell'economia nazionale, dal momento che serve un bacino essenzialmente locale, ma le sue difficoltà sono legate anche al giudizio negativo degli operatori del settore logistico internazionale. Come evidenziato da un'indagine della Banca d'Italia del 2011, infatti, il sistema ferroviario italiano è considerato inadeguato sia per dotazione infrastrutturale, sia per offerta di servizi in termini di tempi e costi, rappresentando uno svantaggio competitivo fondamentale rispetto ad altre modalità o reti di trasporto;
              a partire dagli anni ’90, anche in adempimento alla normativa europea che richiedeva la separazione tra il gestore dell'infrastruttura e il principale operatore ferroviario, il settore in Italia è stato avviato verso una maggiore liberalizzazione al fine di favorire una crescente concorrenza e più alto grado di qualità dei servizi offerti all'utente, realizzata anche attraverso la trasformazione in società per azioni dell'azienda monopolistica;
              sotto la spinta delle indicazioni comunitarie, di vincoli di bilancio pubblico sempre più stringenti e delle innovazioni tecnologiche, anche in Italia, come nel resto d'Europa, sono state messe in discussione le tradizionali politiche di gestione dei cosiddetti servizi pubblici, incluso il settore del trasporto;
              nel settore del trasporto ferroviario, in particolare, al fine di disegnare nuovi mercati concorrenziali – dove, anche a vantaggio dell'utenza, una molteplicità di soggetti si confronta nell'offerta di quei servizi tradizionalmente gestiti da imprese pubbliche in regime di monopolio legale – si è venuto delineando uno scenario normativo nazionale in materia che, tuttavia, non sempre si è dimostrato efficace ed organico, poiché – in assenza di un quadro di riferimento programmatico e di lungo termine – è risultato caratterizzato principalmente da provvedimenti di recepimento di direttive europee e di interventi di natura urgente e straordinaria;
              un quadro regolamentare poco chiaro del quale fa le «spese» in maniera più pesante, il trasporto pubblico locale ferroviario, il quale in Italia è caratterizzato da situazioni evidenti di sottocompensazione e di incertezza delle risorse ad esso destinate;
              il trasporto pubblico locale ferroviario, proprio per la sua connotazione storica e per la sua capillare diffusione sul territorio è una delle componenti più importanti del sistema ferroviario nazionale e coinvolge ogni giorno circa 10 milioni di passeggeri;
              l'Italia è fra i Paesi europei in cui il trasporto pubblico locale ferroviario è meno remunerativo in quanto i ricavi da traffico e i corrispettivi per passeggero-chilometro sono particolarmente bassi. I ricavi da traffico sono infatti rispettivamente inferiori del 50 per cento rispetto alla Francia, e alla Germania, mentre i ricavi da contribuzione pubblica sono inferiori in un range tra il 20 per cento e il 30 per cento. Tale situazione, protratta nel tempo, ha influenzato la quantità e la qualità del servizio offerto e le performance economiche e reddituali delle imprese ferroviarie;
              dal 2000 le regioni hanno la piena responsabilità per quanto riguarda le politiche in materia di servizio ferroviario locale, subentrando allo Stato nel ruolo di interlocutore con i diversi concessionari che operano il servizio regionale, e dal 2001 hanno avuto trasferite le risorse, già destinate al finanziamento del servizio ferroviario locale;
              l'obiettivo di tale decisione era ovviamente quello di attribuire al soggetto istituzionale più vicino al cittadino il recepimento delle esigenze degli utenti e l'individuazione delle modalità più idonee per la loro soddisfazione, anche attraverso lo stimolo di una maggiore concorrenza fra i diversi operatori che – attraverso lo strumento del contratto di servizio – gestiscono il servizio ferroviario locale;
              il quadro normativo vigente non ha permesso che tale obiettivo fosse pienamente raggiunto, motivo per cui ad oggi nella disciplina per l'assegnamento del servizio ferroviario regionale, rimane sostanzialmente di fatto attenuato l'obbligo di affidamento con procedure concorsuali (con prevalenza di affidamenti in house piuttosto che di gare pubbliche, come segnalato da uno studio di Cassa depositi e prestiti);
              una vicenda normativa autonoma, anch'essa particolarmente complessa, è rappresentata dai profili concernenti il finanziamento del trasporto pubblico locale, dunque anche quello ferroviario, regolamentato attraverso gli anni con disposizioni non sempre chiare – se non addirittura contraddittorie – nei loro obiettivi;
              dalla definizione di un quadro stabile e certo delle risorse disponibili per un periodo adeguato alla programmazione dei servizi e degli investimenti, dipenderà il successo del processo di liberalizzazione del settore;
              al tema del finanziamento del settore del trasporto ferroviario locale sono strettamente connessi quello degli investimenti in infrastrutture, quello dei ricavi da traffico e, non ultimo, quello della sicurezza;
              è indubbio, infatti, che l'elevata anzianità media, che per le locomotive è pari a 26 anni, con punte massime di anzianità che superano i 60, e per gli elettrotreni è pari a 23 anni con punte sino a 39 anni, abbia una ripercussione sui costi di manutenzione del materiale e contribuisca a disincentivare l'utilizzo del treno da parte del viaggiatore anche rispetto ad offerte differenti che sono presenti sul mercato;
              il tema del rinnovo del parco veicoli si pone anche dal punto di vista della sua sostenibilità ecologica, ed in questo quadro sarebbe dunque auspicabile, l'introduzione di misure di medio-lungo termine finalizzate ad un ribaltamento della convenienza attuale dell'utilizzo del trasporto su gomma a favore di quello su ferro;
              alla riduzione dei trasferimenti statali al settore ha fatto seguito una generale tendenza sia delle regioni sia degli enti locali a rivedere al rialzo i titoli di viaggio, aumento in seguito al quale tuttavia non si è registrato un innalzamento della qualità del servizio di trasporto ferroviario urbano e regionale;
              i rapporti annuali delle associazioni dei pendolari rilevano un continuo declino della qualità percepita (comfort, pulizia dei veicoli e sicurezza delle stazioni) e di quella erogata (puntualità e frequenza del servizio);
              il rapporto Pendolaria, redatto annualmente da Legambiente, restituisce una fotografia impietosa quanto veritiera delle condizioni barbare e non dignitose in cui giornalmente sono costretti a viaggiare i 3 milioni di cittadini che per ragioni di studio o di lavoro devono spostarsi con il treno;
              nel rapporto citato, relativo all'anno 2015, viene stilata – altresì – una graduatoria delle linee ferroviarie peggiori o infernali: quest'anno l'ambito riconoscimento è stato assegnato alla linea Roma-Lido, mentre nel 2014 – e per il terzo anno consecutivo – il «premio Caronte» (drammatico e sarcastico richiamo al traghettatore di anime in pena) era stato vinto dalla linea Roma-Nettuno;
              non ci sono, tuttavia, pendolari più fortunati di altri, anzi è vero il contrario: ci sono pendolari più sfortunati di altri, in tutte le regioni, da nord a sud di un Paese che da questo punto di vista non sembra fare discriminazioni fra i suoi cittadini. Oltre a quelli che viaggiano sulla già citata linea Roma-Lido, ci sono i pendolari delle linee: l'Alifana e Circumvesuviana in Campania, la Chiasso-Rho, la Verona-Rovigo, la Reggio Calabria-Taranto, la Messina-Catania-Siracusa, Taranto-Potenza-Salerno, la Novara-Varallo, la Orte-Foligno-Fabriano e la Genova-Acqui Terme;
              il nuovo indirizzo comunitario sulle politiche di trasporto mette nuovamente in luce le opportunità legate al rilancio delle città e alla necessità di investire in modo prioritario sui contesti urbani piuttosto che sui corridoi;
              nella nuova visione europea dei trasporti, infatti, sarà centrale intercettare le priorità di azioni delle istituzioni dell'Unione europea, che, stando agli atti normativi e di programmazione da esse adottati, riguardano proprio le città, aree strategiche per il rilancio dell'economia europea, ma anche ambiti all'interno delle quali si manifestano i più rilevanti fenomeni di congestione, inquinamento ed incidentalità stradale;
              come è evidente, dunque, le azioni specificamente rivolte al rilancio del trasporto pubblico locale, quello ferroviario in particolare, sono strettamente connesse all'ambito più ampio di una politica per la mobilità sostenibile, finalizzata al perseguimento di tre obiettivi essenziali: la sicurezza, l'efficienza degli spostamenti (in termini non soltanto di costi monetari, ma anche di costi-opportunità, a partire dall'impiego di tempo) e la riduzione dell'impatto ambientale;
              una politica per la mobilità, con particolare riferimento alla mobilità urbana, può trarre consistenti benefici dalle innovazioni nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. La normativa dell'Unione europea ha già da qualche tempo rivolto una specifica attenzione ai sistemi di trasporto intelligenti, vale a dire alle modalità di applicazione delle innovazioni tecnologiche al piano della mobilità;
              una politica di rilancio del trasporto pubblico locale dovrebbe in primo luogo contenere al proprio interno azioni mirate al coordinamento tra le diverse modalità con cui il trasporto pubblico è effettuato; ciò vale, in particolare, per i servizi su ferro e su gomma, per i quali si rende spesso evidente l'esigenza di un'integrazione della programmazione dei servizi che coinvolga, oltre ai gestori, anche regioni ed enti locali, in ragione delle rispettive competenze sulle due modalità di trasporto. In secondo luogo, la politica per il trasporto locale dovrebbe associarsi a specifiche azioni per favorire l'utilizzo «misto» del mezzo privato e del mezzo pubblico;
              in quest'ottica dovrebbero essere considerate anche le iniziative per incentivare servizi alternativi al mezzo individuale, quali il car sharing, car pooling, bike sharing: lo sviluppo di tali servizi dovrebbe essere agevolato sia dal lato della domanda, attraverso azioni di stimolo nei confronti di potenziali utenti, sia dal lato dell'offerta, attraverso il miglioramento dell'organizzazione dei servizi e l'apertura alla concorrenza (in luogo dell'esclusiva a vantaggio dell'azienda titolare del servizio di trasporto pubblico);
              sull'assetto normativo del settore del trasporto pubblico locale, infine, si auspica un impatto positivo dell'avvio dell'attività dell'Autorità di regolazione dei trasporti. Tra i compiti dell'Autorità, come definiti dall'articolo 37 del decreto-legge n.  201 del 2011 (come modificato dal decreto-legge n.  1 del 2012, rientrano infatti quelli di: definire i criteri per la fissazione delle tariffe, stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto locali connotati da oneri di servizio pubblico, definire gli schemi dei bandi delle gare per l'assegnazione dei servizi di trasporto,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di predisporre, per quanto di competenza, tempestive iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate ad assicurare un finanziamento pubblico adeguato e stabile al settore, esplorando anche la possibilità di attingere ai fondi strutturali europei, al fine di realizzare una visione integrata tra trasporto pubblico e territorio urbano;
          a valutare l'opportunità di predisporre iniziative, anche di carattere normativo, relative alle modalità di affidamento del servizio, perseguendo l'obiettivo primario di determinare un aumento dell'efficienza gestionale delle aziende affidatarie e del livello di qualità dei servizi da esse resi, stimolando, altresì, processi di aggregazione tra tali aziende che ne facilitino la crescita dimensionale;
          a valutare l'opportunità di realizzare iniziative specifiche per favorire, anche con provvedimenti di carattere economico-finanziario, il trasporto pubblico locale ferroviario nell'ambito più ampio di una politica per la mobilità sostenibile finalizzata al perseguimento di tre obiettivi essenziali: la sicurezza, l'efficienza degli spostamenti (in termini non soltanto di costi monetari, ma anche di costi-opportunità, a partire dall'impiego di tempo) e la riduzione dell'impatto ambientale;
          a favorire, per quanto di sua competenza, il rilancio di una politica per il trasporto pubblico locale che preveda anche azioni mirate a promuovere: il coordinamento delle diverse modalità con cui il trasporto pubblico è effettuato, l'utilizzo «misto» del mezzo privato e del mezzo pubblico, incentivandone sia la domanda che l'offerta, e, con particolare riguardo alla sicurezza, infine, l'impiego di sistemi di trasporto intelligenti, vale a dire le modalità di applicazione delle innovazioni tecnologiche al piano della mobilità, svolgendo, per quanto di competenza, un'opportuna attività di coordinamento dei diversi piani regionali;
          a predisporre, nell'ambito delle proprie competenze, tempestive ed idonee iniziative per superare in maniera definitiva le criticità accennate in premessa con riferimento alla situazione del trasporto pubblico locale ferroviario delle dieci linee peggiori del Paese.
(1-01161) «Fauttilli, Baradello, Caruso, Fitzgerald Nissoli, Gigli, Sberna, Dellai».


      La Camera,
          premesso che:
              i decreti legislativi n.  180 e n.  181 del 2015 hanno recepito la direttiva 2014/59/UE (del 15 maggio 2014) che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Detta direttiva (direttiva BRRD – Bank Recovery and Resolution Directive) affronta il tema delle crisi delle banche approntando strumenti nuovi che le autorità possono impiegare per gestire in maniera ordinata eventuali situazioni di dissesto non solo a seguito del loro manifestarsi, ma anche in via preventiva o ai primi segnali di difficoltà. Essa introduce una molteplicità di strumenti, aventi carattere preventivo, carattere di intervento immediato, così come strumenti di «risoluzione» della crisi;
              già nel 2013 la «comunicazione» della Commissione europea aveva disposto l'applicazione immediata di un nuovo regime di burden sharing che imponeva, in caso di crisi di una banca, perdite su azioni e obbligazioni subordinate come precondizione per un intervento pubblico;
              nel 2014 la BRRD, approvata dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ha esteso quello stesso regime, già a partire dal 2016, anche alle obbligazioni ordinarie e ai depositi superiori a 100.000 euro (il bail-in);
              in particolare, il decreto legislativo n.  180 del 2015, ha recepito la direttiva BRRD nelle parti relative alla predisposizione di piani di risoluzione, avvio e chiusura delle procedure di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione, gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo di risoluzione nazionale. Le Autorità preposte all'adozione delle misure di risoluzione delle banche potranno attivare una serie di misure, tra cui il temporaneo trasferimento delle attività e delle passività a un'entità (bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato, il trasferimento delle attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli ed il cosiddetto bail-in, ossia la procedura che consente di svalutare azioni e crediti e convertirli in azioni, per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali;
              il termine per l'applicazione delle disposizioni relative alle nuove procedure sul bail-in previste dalla direttiva, era fissato al 1o gennaio 2016; la medesima direttiva contiene, all'articolo 129, una clausola di revisione da attivare entro giugno 2018 (non è escluso attivarla prima);
              il 21 novembre 2015, la Banca d'Italia ha avviato quattro procedure di risoluzione – ai sensi del decreto legislativo n.  180 del 2015 – nei confronti della Banca delle Marche, della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, della Cassa di Risparmio di Ferrara e della Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti, tutte in amministrazione straordinaria. Con le norme del cosiddetto «decreto Salva-banche» (ovvero il decreto-legge 22 novembre 2015, n.  183), poi confluite all'interno della legge di stabilità 2016 (legge n.  208 del 2015), sono stati costituiti ex lege gli enti-ponte previsti dai provvedimenti di avvio della risoluzione dei suddetti istituti bancari, con l'obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali precedentemente svolte dalle medesime banche e, quando le condizioni di mercato saranno adeguate, di cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate, in conformità con le disposizioni del citato decreto legislativo n.  180 del 2015. Il provvedimento ha previsto, inoltre, che il finanziamento delle procedure di risoluzione fosse assicurato dal Fondo di risoluzione nazionale, istituito ai sensi dell'articolo 70 del decreto legislativo n.  180 del 2015 dalla Banca d'Italia, alimentato dallo stesso sistema bancario mediante contribuzioni ordinarie e straordinarie;
              le operazioni disposte dal decreto-legge n.  183 del 2015 hanno generato perdite per azionisti e obbligazionisti subordinati, prefigurando secondo i firmatari del presente atto di indirizzo una chiara violazione del disposto di cui all'articolo 47 della Costituzione, che tutela il risparmio in tutte le sue forme; le nuove procedure non hanno infatti previsto adeguate tutele del capitale investito in obbligazioni subordinate;
              in altre parole, il quadro normativo nazionale, nel dare applicazione alle disposizioni europee in materia di «salvataggi bancari», anche anticipandone di fatto l'entrata in vigore, si è rivelato confuso e particolarmente oneroso per i risparmiatori;
              è poi fondamentale evidenziare come, nell'introdurre i delicati cambiamenti a livello europeo sopra ricordati, non si è prestata sufficiente attenzione alla fase di transizione;
              come affermato in più occasioni anche dal Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, è evidente come si sarebbe dovuto sostenere con forza che un'applicazione immediata e, soprattutto, retroattiva dei meccanismi di burden sharing fino al 2015 e, successivamente, del bail-in, avrebbe potuto comportare – oltre che un aumento del costo e una rarefazione del credito all'economia – rischi per la stabilità finanziaria, connessi anche col trattamento dei creditori in possesso di passività bancarie sottoscritte anni addietro, in tempi in cui le possibilità di perdita del capitale investito erano molto remote;
              sarebbe stato quindi preferibile un passaggio graduale e meno traumatico, tale da permettere ai risparmiatori di acquisire piena consapevolezza del nuovo regime e di orientare le loro scelte di investimento in base al mutato scenario;
              un approccio mirato, con l'applicazione del bail-in solo a strumenti provvisti di un'espressa clausola contrattuale, e un adeguato periodo transitorio avrebbero consentito alle banche di emettere nuove passività espressamente assoggettabili a tali condizioni;
              la BRRD contiene una clausola che ne prevede la revisione, da avviare entro giugno 2018. Come sostenuto anche dal Governatore Visco, è auspicabile che questa occasione sia ora sfruttata, facendo tesoro dell'esperienza, per meglio allineare la disciplina europea con gli standard internazionali;
              i dati del nostro Paese sono evidenti: in Italia la quota del risparmio delle famiglie investita in obbligazioni emesse dalle banche è notevolmente più elevata che nella media dall'area dell'euro;
              da quando le borse hanno riaperto nel 2016, si è assistito ad un crollo continuo: piazza Affari ha perso circa il 25 per cento della sua capitalizzazione e il collasso ha riguardato in particolare i titoli del settore bancario. I filoni da seguire per dare una spiegazione al fenomeno sono due, intrecciati tra loro: il tema dei crediti deteriorati («Non Performing Loans» – NPL) nei bilanci delle banche e il dibattito sulla «Bad bank»: la proposta franco-tedesca di porre, per le banche dei Paesi dell'eurozona, un tetto all'ammontare di titoli del proprio debito sovrano che possono avere in portafoglio («proposta Schäuble»);
              il tema dei Non Performing Loans è esploso a seguito dell'improvviso decreto del Governo del 22 novembre 2015 con cui sono state «salvate» le quattro banche già menzionate, quando i valori di riferimento utilizzati per la svalutazione dei crediti deteriorati di queste ultime sono stati inopportunamente estesi a tutto il resto del sistema bancario, ed è scoppiata la psicosi per cui bisogna liberarsene subito e a qualsiasi prezzo. Mentre, come sanno bene gli addetti ai lavori, la buona gestione dei Non Performing Loans spesso aiuta i bilanci delle banche;
              ma il decreto «Salva banche» ha prodotto anche un altro effetto nefasto, che ha influito sul crollo delle borse: il «panico finanziario», noto pure come «corsa agli sportelli». I risparmiatori non si fidano più delle banche italiane, finite nell'occhio del ciclone e in alcuni casi anche al centro di indagini della magistratura, per cui ritirano i loro depositi;
              una soluzione di livello europeo a questo problema è tra i pilastri dell'unione bancaria che si vorrebbe introdurre: è la garanzia comune sui depositi, una sorta di «prestatore di ultima istanza» per cui i depositi bancari sono garantiti dalla piena fede e dal credito dell'Unione europea, prendendo a prestito la definizione utilizzata per definire tale strumento negli Stati Uniti;
              ma sulla garanzia europea comune sui depositi pesa il veto del Governo tedesco, che per sbloccarli chiede che le banche dei Paesi del sud Europa, Italia in primis, si liberino dei troppi titoli del proprio debito sovrano in portafoglio. Solo quando le banche italiane e greche diventeranno, così, meno rischiose, il Governo tedesco è disposto a partecipare a un fondo comune che garantisca il debito di tutti i Paesi dell'area dell'euro (Germania inclusa). «Liberarsi dei troppi titoli del proprio debito sovrano in portafoglio» significa vendita in blocco di buoni del tesoro, quindi aumento dell'offerta degli stessi, con conseguente riduzione del prezzo, aumento dei rendimenti, quindi necessità di ricapitalizzazione per le banche, crollo in borsa e per il Paese aumento dello spread: esattamente la stessa sequenza che nell'estate-autunno del 2011 portò alla crisi che tutti conoscono durante la quale tante imprese italiane sono state acquistate a «prezzi di saldo» dai «predatori» dalla tripla A, e alla caduta dell'ultimo Governo democraticamente eletto;
              sulle modalità di creazione e funzionamento della bad bank italiana si è aperto un confronto con la Commissione europea, molto serio, sul quale però il Governo ha già ceduto senza se e senza ma, evidentemente troppo timoroso di un'eventuale «bocciatura» della legge di stabilità tutta in deficit;
              ne deriva che per finanziare provvedimenti finalizzati ad acquisire consenso, l'Esecutivo ha distrutto e svenduto il sistema bancario italiano, di cui l'andamento in borsa dal 1o gennaio 2016 è la dimostrazione, indebolendo l'intera economia italiana;
              sarebbe invece necessario superare qualsiasi atteggiamento di debolezza, e cercare alleanze tra i partner europei per far cadere il veto tedesco sulla garanzia europea comune sui depositi bancari. In un colpo solo si risolverebbe il problema delle banche e si riuscirebbe a evitare la vendita in blocco di titoli di Stato italiani, con le conseguenze drammatiche che abbiamo già avuto modo di conoscere sull'economia e la democrazia italiana;
              il Governo deve mettere in atto una importante riflessione in merito alla frettolosa applicazione in Italia del bail-in, alla necessaria non retroattività delle norme derivanti dalla direttiva dell'Unione europea, e, in particolare, valutare con attenzione anche i profili di incostituzionalità di queste ultime rispetto all'articolo 47 della nostra Carta, che tutela il risparmio in tutte le sue forme,

impegna il Governo

          ad assumere in sede europea ogni iniziativa volta a:
              a) modificare la direttiva sul bail-in, e identificare con precisione le passività bancarie chiamate a sopportare le perdite, escludendo quelle emerse prima dell'entrata in vigore delle nuove norme, per evitare la retroattività di queste ultime, e a predisporre strumenti eccezionali di intervento nel caso in cui si ha percezione che il sacrificio di azionisti e creditori derivante dall'applicazione del bail-in metta a repentaglio la stabilità dell'intero sistema;
              b) rivedere la disciplina europea sugli aiuti di Stato, superando l'attuale restrittiva interpretazione della Commissione europea del concetto di «aiuti», in particolare distinguendo tra interventi pubblici a favore di banche non in crisi, per le quali l'intervento dello Stato sarebbe ingiustificato e distorsivo del principio di libera concorrenza, e interventi pubblici conseguenti a «fallimenti del mercato» per cui lo Stato interviene solo in casi di reale emergenza, quando la stabilità del sistema viene seriamente minata;
              c) disporre una garanzia europea comune sui depositi bancari, in quanto è necessaria, in una unione monetaria, quale è l'Eurozona, la condivisione dei rischi, e tutto quanto ne consegue, termini di sacrifici richiesti ai governi e ai cittadini, non può che procedere di pari passo con la condivisione delle garanzie che quei rischi stessi servono a coprire, anche per far fronte a episodi di «panico finanziario»;
              d) sollecitare l'avvio di specifiche attività, come ad esempio campagne di informazione, volte a spiegare ai consumatori i contenuti e gli effetti della nuova normativa sul bail-in;
              e) richiedere un intervento della Commissione europea per vigilare sulla corretta e uniforme applicazione della direttiva sul bail-in nei vari Stati membri, e garantire certezza giuridica e condizioni di parità tra banche, che spesso operano in diversi Paesi dell'Unione europea;
          ad adottare le opportune iniziative che assicurino la tutela dei risparmiatori, prevedendo innanzitutto misure volte al pieno ristoro degli obbligazionisti subordinati che hanno perso i propri risparmi a seguito dell'applicazione delle nuove norme sul bail-in, nonché la possibilità di ricorso allo strumento della class action collettiva, la cui previsione è funzionale al completamento degli strumenti utilizzabili dai risparmiatori e, in particolare, dalle associazioni di tutela del consumatori, così da consentire un'azione giudiziale di controllo anche della funzione di vigilanza svolta dalla Banca d'Italia;
          a prevedere opportune iniziative volte a garantire un'informazione piena e consapevole dei consumatori in merito agli investimenti effettuati in prodotti finanziari, prevedendo in particolare «prospetti informativi» chiari, leggibili e scritti in maniera semplice e comprensibile, anche utilizzando colori differenti per rendere più efficace ed immediata la comprensione del livello di rischio dei prodotti in vendita;
          a valutare la possibilità di introdurre nuovi strumenti, quali i warrant, fondati sulla ricostituzione dei diritti derivanti dall'esercizio della proprietà azionaria piuttosto che su quelli concentrati sulla tutela del diritto di proprietà collegato ai risparmi investiti, da concedere agli ex obbligazionisti, per renderli soci delle banche risanate, e compartecipi delle loro eventuali fusioni e aggregazioni, considerato che scommettere sulla ripresa potrebbe essere una soluzione più efficace, in particolare rispetto al modestissimo recupero affidato a contese regolatorie, adatta a voltare pagina in direzione della fiducia, senza il ricorso ad altri fondi né pubblici, né privati, e, in più, per far restare solidamente agganciati gli investitori al rilancio delle banche in cui avevano creduto;
          a promuovere l'introduzione di misure volte al pieno riconoscimento della responsabilità degli amministratori delle banche in risoluzione, con le disposizioni di natura cautelare e conservativa che questo comporta, contribuendo altresì al risarcimento del danno subito dai portatori degli strumenti finanziari subordinati emessi dalle banche in risoluzione, valutando altresì la possibilità di contemplare la definitiva preclusione dell'accesso da parte dei medesimi amministratori ad incarichi di natura apicale presso banche ed intermediari finanziari.
(1-01162) «Brunetta, Gelmini, Occhiuto, Giacomoni, Sandra Savino, Laffranco, Angelucci, Crimi».


      La Camera,
          premesso che:
              l'Unione europea per far fronte alla crisi ha intrapreso un'ambiziosa riforma del sistema di regolamentazione finanziaria;
              nel giugno del 2012 i Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea hanno deciso di creare un'unione bancaria completando l'unione economica e monetaria e centralizzando l'applicazione di norme europee per l'area euro;
              l'Unione bancaria, che si poggia su tre pilastri: la vigilanza centralizzata, il meccanismo di risoluzione delle crisi creditizie (bail-in) e la tutela centralizzata dei depositi, è a tutt'oggi incompleta;
              nel 2013 sono entrate in vigore le nuove regole sugli aiuti di Stato alle banche;
              il Governo, con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n.  180, in base alla delega conferita con legge 9 luglio 2015, n.  114, ha recepito la direttiva 2014/59/UE, che istituisce il quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento con il meccanismo del bail-in che consente di risolvere le crisi delle banche con il contributo dei soci, degli azionisti e, infine, dei risparmiatori correntisti con conti superiori ai 100 mila euro;
              il decreto legislativo n.  180 ha stabilito, in coerenza con la normativa europea, che l'entrata in vigore del bail-in dovesse essere sin dal 1o gennaio 2016;
              il Governo nel mese di novembre 2015 ha gestito con strumenti urgenti la crisi della Cassa di risparmio di Ferrara s.p.a., di Banca delle Marche s.p.a., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio — Società Cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti s.p.a. (decreto-legge 22 novembre 2015, n.  183, le cui disposizioni sono state successivamente inserite nella Legge di stabilità 2016) facendo ricorso alla procedura di risoluzione prevista dal decreto legislativo n.  180 del 2015 anticipando quindi l'applicazione del bail-in;
              tale scelta, intervenuta in un contesto normativo incompleto rispetto all'obiettivo dell'Unione bancaria e con una disomogenea applicazione della normativa sul bail-in da parte degli Stati membri, ha modificato i rischi conosciuti da risparmiatori e investitori;
              le nuove linee guida del 2013 sugli aiuti di Stato e la direttiva europea sulla risoluzione delle banche hanno infatti cambiato le caratteristiche del rischio dei titoli bancari rispetto a quelle conosciute al momento dell'investimento da risparmiatori e investitori;
              il Governo inoltre ha dovuto in ogni caso fare ricorso all'utilizzo di danaro pubblico. Conseguentemente non solo la mala gestione di alcuni amministratori e le carenze sui controlli sono inevitabilmente ricadute sui cittadini contribuenti, ma l'applicazione delle nuove regole ha duramente colpito risparmiatori e investitori provocando una forte sfiducia nel sistema bancario;
              l'inadeguata gestione della fase transitoria e la mancanza, a livello europeo, di un sistema di garanzie del credito in grado di ridare fiducia ai mercati rischiano di creare danni irreversibili al sistema;
              la situazione a parere dei firmatari del presente atto ha provocato una lesione di diritti dei risparmiatori a livello costituzionale con la violazione degli articoli 3 e 47 della Costituzione,

impegna il Governo:

          ad adoperarsi nelle sedi istituzionali dell'Unione europea per il rafforzamento dell'Unione stessa attraverso l'introduzione di una garanzia europea sui crediti delle banche;
          a promuovere in sede europea iniziative per un impegno che consenta di mettere al sicuro le banche, permettendo alle banche centrali dei singoli Paesi di intervenire con fondi di solidarietà messi a disposizione dal sistema bancario;
          conseguentemente, ad assumere, nel rispetto della normativa europea, iniziative per rinviare l'applicazione del bail-in, in attesa dell'introduzione di una garanzia europea sui crediti delle banche;
          ad assumere ogni iniziativa consequenziale a tutela dei risparmiatori nel caso in cui fosse riscontrata la carenza di presupposti informativi o disparità di trattamento tra risparmiatori.
(1-01163) «Tabacci, Fauttilli, Capelli, Caruso, Fitzgerald Nissoli, Gigli, Piepoli, Santerini, Sberna, Dellai».


      La Camera,
          premesso che:
              il Governo si è impegnato, in varie, sedi, a presentare al Parlamento una relazione sull'impatto economico, industriale, occupazionale e sociale, prima di procedere alla privatizzazione delle ferrovie dello Stato italiane;
              «occorrono con urgenza risorse per investimenti da utilizzare nel trasporto pubblico locale», come affermato dal Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padovan, in Commissione Trasporti il 12 gennaio 2016;
              «ci sono molti settori che hanno problemi di performance, come trasporto pubblico regionale e merci»; proprio per il trasporto regionale che, coinvolge ogni giorno milioni di pendolari si chiede «un forte investimento sul parco rotabile», come sostenuto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio, nell'audizione alla Commissione lavori pubblici del Senato il 13 gennaio 2016;
              la situazione in cui vivono i pendolari nel nostro Paese è drammatica: i treni sono vetusti, insufficienti e le tratte ferroviarie sono sguarnite da continui tagli sui servizi;
              i mezzi adibiti al trasporto pubblico sono inadeguati e spesso non conformi neppure alle norme di inquinamento ambientale: il quadro è ulteriormente appesantito dal continuo aumento delle tariffe che gli ergi locali applicano per far fronte alla cronica mancanza di risorse e tentare di arginare una dissestata finanza locale;
              i vantaggi ambientali, climatici e di vivibilità delle città dovrebbero spingere il Governo a investire sul trasporto su rotaia, anche per andare incontro alle esigenze del cittadini e, in particolar modo, del pendolari;
              il 28 novembre 2015 si è concluso l'accordo per il rinnovo del contratto nazionale del trasporto pubblico locale, scaduto da 7 anni. Tale accordo, che arriva al termine della più lunga e complessa vertenza del settore e che interessa oltre 116 mila autoferrotranvieri, prevede, nella sua parte retributiva, une «una tantum» di 600 euro per il periodo gennaio 2012-ottobre 2015, pagabile in due tranche (a gennaio ad aprile 2016);
              la legge di stabilità 2016 ha previsto, all'articolo 1, comma 866, che per il concorso dello Stato al raggiungimento degli standard europei del parco mezzi destinato al trasporto pubblico locale e regionale, e in particolare per accessibilità per persone a mobilità ridotta, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito un Fondo finalizzato all'acquisto diretto, ovvero per il tramite di società specializzate, nonché alla riqualificazione elettrica o al noleggio 491 mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale, e a tale Fondo confluiscono, previa intesa con le regioni, le risorse disponibili di cui all'articolo 1, comma 83, della legge 27 dicembre 203, n.  147, e successivi rifinanziamenti nonché 210 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, 130 milioni di euro 2021 e 90 milioni di euro per l'anno 2022;
              il Governo si è espresso a favore di rinvio dell'entrata in vigore di tale norma al 1o gennaio 2017, sprecando in tal modo un anno prezioso al fine del raggiungimento degli obiettivi sulla modernizzazione, e sul potenziamento del trasporto pubblico locale;
              l'articolo 1, comma 90, della legge n.  56 del 2014, (cosiddetta legge Delrio), ha stabilito che Stato o regioni, in funzione della materia, devono sopprimere agenzie o enti (consorzi, società In house) alle quali siano state attribuite funzioni di organizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica in ambito provinciale o sub-provinciale, riattribuendo, contestualmente, tali funzioni alle province, così come si attribuisce alle province la funzione fondamentale di pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale;
              per quanto concerne la disciplina settoriale in materia di Tpl, il decreto legislativo n.  422 del 1997, (cosiddetto «decreto Burlando») ripartisce le competenze in materia di Tpl tra i diversi livelli istituzionali; alle regioni trasporto su ferro, servizi aerei, marittimi, fluviali e lacuali regionali; alle province il trasporto su gomma a guida veicolata ed in sede propria (esclusi ferroviari e navigazione interna); ai comuni qualsiasi servizio svolto interamente all'interno di un solo comune;
              è evidente come questa frammentarietà di funzioni e la cronica carenza di risorse mal si conciliano con la necessità di procedere ad una modernizzazione e pianificazione del settore;
              l'efficienza e la migliore corrispondenza tra domanda e offerta saranno possibili dopo un attento monitoraggio e il ricorso a gare pubbliche in un contrasto normativo certo,

impegna il Governo:

          ad adottare ogni iniziativa volta alla tempestiva attuazione della norma che prevede l'istituzione del Fondo finalizzato all'acquisto diretto, ovvero per il tramite di società specializzate, nonché alla riqualificazione elettrica o al noleggio dei mezzi adibiti al trasporto pubblico locale e regionale, previsto dalla legge di stabilità 2016;
          a porre al centro della sua agenda l'incentivazione dei trasporto pubblico locale tramite i necessari e adeguati finanziamenti, assumendo iniziative per prevedere anche un adeguato incremento del trasferimenti della Stato agli enti locali, al fine di assicurare la copertura finanziaria per il rinnovo del contratto nazionale del trasporto pubblico locale di cui in premessa;
          ad assumere iniziative per fornire quanto prima una cornice normativa certa e unitaria, all'interno della quale gli enti locali possano promuovere la mobilità urbana ed extraurbana, ricorrendo a procedure di gara pubbliche e trasparenti;
          a presentare, in tempi brevi, al Parlamento la relazione sull'impatto economico, industriale, occupazionale e sociale, di cui in premessa, prima di procedere alla privatizzazione delle Ferrovie dello Stato italiane.
(1-01164) «Biasotti, Polverini, Occhiuto».

Risoluzione in Commissione:


      La VII Commissione,
          premesso che:
              il movimento è importante per lo sviluppo motorio dei bambini e delle bambine e il gioco è la modalità con cui essi si esprimono al meglio. Il movimento permette anche di acquisire abitudini di vita sane. Praticare una piacevole e stimolante attività motoria è condizione necessaria affinché il bambino si diverta e desideri ripetere l'esperienza;
              l'attività motoria rappresenta una delle leve più forti nella lotta alla sedentarietà al fine di prevenire l'obesità infantile e i rischi connessi di gravi malattie come diabete, ipertensione, infarto, ictus;
              uno studio del Ministero della salute nelle scuole italiane ha concluso che quasi un bambino su 4 è sovrappeso e uno su 10 è obeso e la tendenza è in aumento;
              fra i fattori che influenzano la crescita ci sono: un ormone (detto anche GH) prodotto dall'ipofisi, una ghiandola endocrina che regola l'attività di quasi tutte le altre ghiandole endocrine presenti nel corpo, l'insulina e gli ormoni tiroidei;
              per rispondere efficacemente alla tendenza al sovrappeso e all'obesità si deve educare i piccoli ad una corretta e adeguata alimentazione e all'esercizio fisico che sviluppi il tessuto muscolare grazie ad una costante attività motoria;
              alcune fra le più recenti ricerche dimostrano che il muscolo possa essere «programmato» non solo per i suoi aspetti metabolici, ma anche per quelli motori veri e propri;
              la pratica dell'attività fisica favorisce nei bambini un corretto sviluppo fisico ma anche lo sviluppo di competenze sociali;
              il gioco è la principale attività dei bambini 0-6 anni. Attraverso il gioco essi esprimono un bisogno naturale di operare, di cimentarsi, di affrontare difficoltà, di riuscire a compiere determinate imprese;
              è importante che il bambino possa conoscere l'ambiente naturale che lo circonda. Ad esempio il camminare su terreni di diversa consistenza, come pavimento di legno, di marmo, piastrelle, erba, terra, sabbia, foglie secche, sassolini, sassi serve a sviluppare il senso dell'equilibrio e della sicurezza; affinché si possa muovere in libertà nei diversi ambienti è giusto che possa sporcarsi;
              il gioco, inteso anche come prima forma di attività motoria, aiuta nello sviluppo della socialità, della manualità, della fantasia, della mobilità e dell'equilibrio; attraverso il gioco i piccoli maturano le, loro prime esperienze di apprendimento e di relazione;
              la legge 107 del 2015 (comma 181 in cui detta principi e criteri per l'emanazione dei decreti, alla lettera e)) prevede l'istituzione di un sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a 6 anni al fine di garantire ai bambini e alle bambine pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali, nonché ai fini della conciliazione tra tempi di vita, di cura e di lavoro dei genitori, della promozione della qualità dell'offerta educativa e della continuità tra i vari servizi educativi e scolastici e la partecipazione delle famiglie;
              uno dei mezzi per realizzare questo sistema integrato di educazione che la legge 107 del 2015 ha individuato è la promozione della costituzione di poli per l'infanzia per bambini di età fino a 6 anni, anche aggregati a scuole primarie e istituti comprensivi;
              la legge 107 del 2015 prevede, inoltre, senza oneri aggiuntivi per lo Stato, l'istituzione di una apposita commissione con compiti consultivi e propositivi, composta da esperti nominati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dalle regioni e dagli enti locali;
              la scuola dell'infanzia nel nostro Paese ha raggiunto livelli di specificità pedagogica e didattica e livelli di qualità ed eccellenza che le sono internazionalmente riconosciuti;
              l'articolo 9 del decreto ministeriale n.  435 del 2015 a proposito del potenziamento dell'educazione motoria e sportiva, al punto 8, lettera b) prevede il coinvolgimento delle Federazioni sportive associazioni ed enti di promozione sportiva, università e organizzazioni del terzo settore e, alla lettera c) fa riferimento a qualità, innovatività e fruibilità del progetto, delle attività e delle metodologie proposte, che le istituzioni o le reti si impegnano a realizzare nell'ambito del progetto, nonché dei materiali eventualmente prodotti, che rimangono di proprietà dell'amministrazione;
              sono ambiziosi gli obiettivi che il Governo ha sintetizzato nel progetto «la buona scuola» per un completo e corretto percorso formativo da intraprendere fin dalla giovanissima età e con il coinvolgimento fondamentale dei genitori per garantire dei risultati apprezzabili,

impegna il Governo:

          a valutare un investimento, sul piano educativo, (anche combinato pubblico/privato) nel percorso di accresciuta autonomia da 0 a 6 anni che consenta ai bambini di sviluppare maggiore consapevolezza nelle loro possibilità e divenire adulti potenzialmente più sani;
          relativamente a quanto previsto dalla legge n.  107 del 2015, a dare corso alle disposizioni che prevedono il riordino del segmento di istruzione/educazione 0-6 anni, concepito come servizio integrato;
          in coerenza con quanto previsto all'articolo 9 del decreto ministeriale 435 del 2015, punto 8, lettere b) e c) a valutare il coinvolgimento di laboratorio 0246 e dei suoi partner, (fra gli altri università di Verona e CONI) per la loro competenza e la loro esperienza, nel creare il modulo «parco gioco primo sport» come spazio ideale di incontro per i piccoli e i loro accompagnatori, da esportare in ogni comune italiano che disponga di un'area consona alla realizzazione del progetto, un progetto che risponde ai criteri di qualità, e di innovatività e che consente alle amministrazioni di rimanere proprietarie degli spazi attrezzati secondo le norme di sicurezza vigenti, spazi nei quali è possibile, per i più piccoli e i loro genitori, seguire 4 percorsi motori (manualità, mobilità, equilibrio, gioco simbolico).
(7-00921) «Vezzali».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      AGOSTINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella primavera del 1997, con una serie di scosse registrate nel comune di Massa Martana (Pg) ebbe inizio una crisi tellurica che ha riguardato l'Appennino umbro-marchigiano per molti mesi a venire;
          il rilevante evento sismico si è originato in una complessa zona sismogenetica, lungo la catena appenninica centrale esattamente al confine tra le Marche e l'Umbria;
          la notte del 26 settembre, alle 2:33, ci fu una scossa di terremoto dell'ottavo/nono grado della scala Mercalli, di magnitudo 5,8, avente epicentro a Cesi. Quella delle 2:33 fu in un primo momento considerata la scossa di maggiore intensità di tutto lo sciame, e per l'immediato futuro furono previste semplici scosse di «assestamento» e di intensità minore;
          nello stesso giorno, alle 11:42, una scossa di magnitudo 6,1 e nono grado della scala Mercalli, con una profondità di circa 10 chilometri ed epicentro ad Annifo sconvolse ancora moltissimi paesi tra l'Umbria e le Marche. Fu questo il maggiore evento registrato. Dopo le due vittime del mattino, si aggiunsero altre otto vittime. Molte ancora furono le scosse di assestamento. L'Umbria e le Marche furono interessate per diversi mesi da un'incessante sequenza sismica che si manifestò con migliaia di scosse localizzate in una ampia fascia che si estende per 50 chilometri. Le scosse ripetute e frequenti danneggiarono per settimane queste regioni. Secondo i dati raccolti dalla protezione civile, i comuni colpiti dal sisma furono quarantotto;
          il bilancio successivo ha visto, oltre agli 11 morti, 100 feriti e più di 80.000 abitazioni ed edifici danneggiati, tra cui anche la basilica di San Francesco d'Assisi. I danni principali furono arrecati proprio al patrimonio storico-artistico di cui queste regioni sono ricchissime: la cima del campanile della cattedrale di Foligno, la storica torre di Nocera Umbra, i numerosi musei e teatri storici, il complesso francescano di Assisi, appunto, dove i danni più gravi si ebbero nella Basilica superiore: andò persa buona parte del suo soffitto affrescato;
          in seguito a detti eventi sismici la legge 30 marzo 1998, n.  61, «conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 gennaio 1998, n.  6, recante ulteriori interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria e di altre zone colpite da eventi calamitosi», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  75 del 31 marzo 1998, ha disciplinato gli interventi di ricostruzione o di recupero anche degli immobili privati distrutti o danneggiati dalla crisi sismica dietro richiesta di un contributo statale;
          i cittadini danneggiati dal sisma del 1997, interessati a ricevere il contributo per la ricostruzione, hanno provveduto a presentare domanda ai sensi della suddetta legge 61 del 1998;
          in tale vicenda generale si inserisce quella di persone e famiglie la cui vita, come di facile intuizione, è stata completamente cambiata dall'evento sismico. Fra tutte è venuta alla attenzione della interrogante quella, certamente particolare e degna di nota, di una cittadina di Fiordimonte (Mc), che, si spera, forse troppo ottimisticamente, essere un caso isolato;
          la signora, dopo aver presentato opportunamente domanda per la concessione del contributo e aver ottenuto la relativa autorizzazione ai sensi dell'articolo 4 della legge n.  61 del 1998 ha dato mandato ad un tecnico per la redazione di progetti per la ricostruzione dei suoi immobili, questi primi progetti vengono poi depositati presso la regione Marche – centro operativo di Muccia;
          risulterebbe all'interrogante che dei suddetti progetti la signora non abbia mai avuto la possibilità di prendere visione e che, pertanto, non li abbia approvati;
          la committente ha provveduto a conferire, quindi, mandato ad altro studio tecnico affinché, effettuata una verifica tecnico-amministrativa dei primi progetti, provvedesse a presentare altro progetto in «variante», o progetto integrale qualora si fossero riscontrate difformità o insuperabili negligenze professionali che avessero ostacolato la messa in sicurezza e la statica degli edifici. Viene depositato un progetto ex novo al quale non è mai stato concesso l'equo contributo ma che successivamente è stato accettato, comunque, come «variante» dal comune di Fiordimonte (Mc) (prot. n.  1825 del 23 luglio 2002);
          le inesattezze dei primi progetti erano state più volte segnalate dalla proprietaria e, in seguito a ciò, il dirigente del centro operativo di Muccia e Fabriano, effettuati dei sopralluoghi dal personale tecnico ebbe modo di costatare, che «i lavori erano stati realizzati in parziale difformità rispetto agli elaborati depositati, in violazione degli articoli 17 e 18 della legge n.  64 del 1974 e dell'ultimo comma dell'articolo 2 della legge regionale n.  118/1987». Nel decreto del 9 settembre 2005 (atto n.  52/CMF). Lo stesso dirigente ribadisce che «l'inosservanza di tale normativa pone in essere un pericolo per la pubblica incolumità»; quindi ne sospende l'esecuzione, notificando mediante messo comunale il relativo provvedimento alla committente (atto n.  1838 del 16 settembre 2005). Il dirigente sporge, poi per i fatti sopraesposti, denuncia alla competente procura della Repubblica;
          nell'indagine della procura, pur essendo stata solerte nel segnalare i suoi sospetti sulle inesattezze degli originari progetti, per ironia della sorte, la stessa signora è stata chiamata a difendersi in qualità di committente, e in concorso col direttore dei lavori. La stessa viene altresì convenuta in giudizio dal primo progettista per il pagamento dell'onorario per la prestazione svolta;
          la signora esce vittoriosa in entrambe le controversie, anche quella in sede penale (sentenza n.  283 del 2006 con la quale si assolve la committente per non aver commesso il fatto, proprio perché, opportunamente, lei stessa aveva segnalato le anomalie delle opere eseguite in difformità del progetto in variante (cfr. sentenza 283 del 2006 laddove così dispone: «è risultato ... che l'imputata sollecitò essa stessa controlli sui lavori, e sul fatto che fossero eseguiti o meno a regola d'arte. Addirittura dai controlli dei quali è scaturita poi imputazione vennero sollecitati dalla stessa»). Da ultimo, la sentenza recente della corte di appello di Ancona n.  1123 del 20 ottobre 2015 ha dichiarato inammissibile l'appello principale proposto, e ha confermato la sentenza di primo grado del tribunale di Camerino (Mc). Tale giudizio ha visto il primo progettista soccombente. Quanto detto lascia l'interrogante a dir poco perplessa circa la supervisione da parte degli enti che hanno accettato e concesso le relative autorizzazioni edilizie;
          subito dopo la sospensione dei lavori e la denuncia di cui sopra alla procura della Repubblica, nella carica di dirigente della posizione di funzione (Mc) subentra altro dirigente, poi nominato con delibera di giunta n.  1242 anche commissario ad acta per il completamento delle opere;
          su sollecito della regione Marche, con ordinanza n.  10 del 13 giugno 2005, prot. n.  1243, del comune di Fiordimonte (Mc), a firma del responsabile dell'area tecnica, viene dichiarata la formale decadenza dal contributo concesso ai sensi della legge 61 del 1998 e si concede agli interessati venti giorni per presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale;
          in data 4 giugno 2007 la regione Marche ha chiesto la revoca del contributo (prot. n.  50865/06/03/06 T.Marche/ al comune di Fiordimonte (Mc). Il Tar (pur non avendo competenza giurisdizionale) emana la sentenza n.  661 del 2012;
          la vicenda della signora merita un cenno nella interrogazione sia perché a parere della interrogante vi è l'inopportunità di nominare, quale commissario ad acta, proprio la stessa persona responsabile della ristrutturazione post sismica sia perché la nomina di un commissario ad acta dovrebbe avere come presupposto una inerzia della committente alla quale tuttavia era stata notificata con atto n.  1838 del 16 settembre 2005 la sospensione dei lavori. Da tale notifica deriva l'inerzia (imposta) nella esecuzione dei lavori. L'interesse della signora a seguire i lavori sarebbe invece stato continuamente e costantemente mostrato ed è palese da tutta la documentazione che si è premurata di fornire alla interrogante e che lo stesso tribunale di Camerino ha attentamente vagliato e analizzato per la risoluzione della controversia di cui sopra;
          la vicenda giudiziaria di cui sopra è rilevante ai fini della interrogazione in oggetto per i quesiti che si intendono porre al Governo;
          nell'atto di nomina del commissario ad acta, si fa rinvio alla sentenza del Tar 661 del 2012 che, disponendo l'annullamento della ordinanza del comune di Fiordimonte del 30 ottobre 2007 n.  5, con cui è stata dichiarata la decadenza dal contributo di cui all'articolo 4 della legge 61 del 1998 e l'annullamento del provvedimento n.  123 del 19 gennaio 2006 con cui il comune di Fiordimonte ha stabilito di non procedere all'esercizio dei poteri sostitutivi, altro non dice se non che i lavori vanno continuati. Tale sentenza non fa minimamente riferimento a quale debba essere il progetto da eseguire. Nella nomina, invece, viene espressamente precisato che il progetto cui dare esecuzione è quel primo progetto sostituito da altro in variante e che non dovrebbe più essere neppure menzionato;
          la fallacità del progetto è stata anche riconosciuta dalla sentenza della corte di appello di cui sopra;
          risulterebbe che i fondi stanziati solo dalla legge n.  61 del 1998 per la ricostruzione degli immobili danneggiati dal sisma delle Marche fossero all'incirca di euro 2.422,89;
          risulterebbe che, ad oggi, la ricostruzione sia comunque ancora incompleta;
          risulterebbe che vi siano dei cittadini che ancora non sono rientrati nelle proprie abitazioni;
          risulta alla interrogante che l'allora Ministro dell'interno On.  Claudio Scajola nel febbraio del 2002, ai sensi e per gli effetti del decreto del Presidente della Repubblica 30 gennaio 1993, n.  51, abbia dato incarico ad un funzionario di effettuare una verifica ispettiva presso il comune di Fiordimonte (MC) ed eventuali altri enti attuatori della ricostruzione e ristrutturazione degli edifici danneggiati dal sisma del 1997 nella regione Marche, in merito al disposto della normativa vigente (prot. ISP/4595/1013 oggetto: Sisma 1997 nella regione Marche post sisma dei fabbricati);
          l'ispezione di cui sopra, della durata di quindici giorni, doveva vertere oltre che sulla legittimità e sulla efficienza dell'azione amministrativa posta in essere dal comune di Fiordimonte (Mc) o altro ente interessato, anche sulla regolarità delle perizie per la concessione di contributi ai proprietari degli edifici danneggiati, sulla rispondenza dei lavori eseguiti e su quanto'altro si fosse reso necessario accertare nel corso della ispezione;
          risulta, altresì, che lo stesso Ministro On.  Claudio Scajola nel marzo del 2002, ai sensi e per gli effetti del decreto del Presidente della Repubblica 30 gennaio 1993, n.  51, ha dato incarico ad altro funzionario del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di effettuare una verifica ispettiva presso il comune di Fiordimonte (Mc) ed eventuali altri enti interessati per la ricostruzione e ristrutturazione degli edifici danneggiati dal sisma del 1997 nella regione Marche, in merito al disposto della normativa vigente (prot. ISP/8274/1013, oggetto sisma 1997 nella regione Marche post sisma dei fabbricati);
          l'ispezione di cui sopra, doveva vertere sulla regolarità delle perizie effettuate dai tecnici della regione Marche per la concessione dei buoni contributo ai proprietari degli edifici danneggiati, sulla rispondenza dei lavori eseguiti e su quant'altro si rendesse necessario ed indispensabile verificare nel corso della ispezione. Il Ministro aveva altresì reso edotto l'ispettore incaricato del fatto che fosse in corso la verifica amministrativo-contabile da parte del Ministro dell'economia e delle finanze e aveva contestualmente invitato alla reciproca collaborazione  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
          se siano state disposte, per quanto di competenza, altre ispezioni in territorio marchigiano oltre a quella dei due ispettori citati ed, eventualmente quante siano e in quanti e quali dei comuni coinvolti dal sisma e, in caso contrario, quali siano le ragioni per cui tali ispezioni non siano state disposte;
          quale sia l'esito delle ispezioni fino ad ora effettuate e se dalle stesse siano emerse negligenze o anomalie;
          se sia risultato che i fondi della ricostruzione siano stati effettivamente e solo destinati alle finalità stabilite dalla legge per gli edifici danneggiati dal sisma;
          se il Governo ritenga che la normativa in materia di ispezioni di cui sopra sia adeguata ed idonea a far emergere eventuali incongruenze, illegittimità, negligenze nella gestione dei fondi e nella esecuzione dei lavori di ristrutturazione al fine di garantire la pubblica incolumità e quali eventuali iniziative intendano assumere al riguardo. (5-07781)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ATTAGUILE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 30 e 31 ottobre e il 1o e 2 novembre la provincia di Reggio Calabria ha subito una violentissima alluvione che ha provocato smottamenti e ingenti danni alle vie di comunicazione stradali e ferroviarie, ad abitazioni, persone ed imprese;
          nei giorni successivi all'alluvione le amministrazioni comunali e l'amministrazione provinciale di Reggio Calabria hanno impegnato risorse per oltre 30 milioni di euro per togliere dall'isolamento i centri abitati, mettere in sicurezza tratti viari e arginare torrenti;
          la Giunta provinciale di Reggio Calabria ha chiesto alla regione e al Governo lo stato di calamità naturale per gli ingenti danni che il maltempo ha provocato in tutto il territorio della provincia reggina;
          a distanza di mesi per la provincia di Reggio Calabria il Consiglio dei ministri non ha ancora dichiarato lo stato di emergenza  –:
          se il Governo non intenda con urgenza dichiarare lo stato di emergenza per gli eventi ricordati in premessa che hanno messo in ginocchio l'intera provincia reggina poiché il mancato riconoscimento di esso metterebbe a rischio gli equilibri finanziari degli enti e pregiudicherebbe lo svolgimento dei compiti istituzionali ad essi affidati. (4-12093)


      FAVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 5 maggio 1972 si verificava, in contrada Montagnalonga, in territorio di Carini (in provincia di Palermo), un disastro aereo che cagionava il decesso di 115 persone;
          in esito al disastro, la procura di Catania, competente territorialmente in quanto a bordo dell'aereo si trovava anche un magistrato in servizio presso gli uffici giudiziari di Palermo, ha, a suo tempo, avviato un procedimento penale per disastro e omicidio colposo, conclusosi con l'assoluzione di tutti gli imputati;
          le conclusioni dell'inchiesta hanno stabilito che la strage di MontagnaLonga dovesse essere archiviata come una tragica sciagura attribuibile a cause naturali o a errori umani dei piloti;
          nel 1976 un rapporto giudiziario a firma del vice questore di Trapani Giuseppe Peri indicava taluni elementi che consentirebbero di ipotizzare che la causa del disastro possa essere attribuita a un attentato;
          nel rapporto si faceva «espresso riferimento alla caduta dell'aereo come episodio inquadrabile nella c.d. strategia della tensione ed espressione di un vero e proprio attentato finalizzato ad indebolire la credibilità dello Stato»;
          altre circostanze, certamente degne di approfondimento, sono state offerte nel corso di spontanee dichiarazioni alla procura della Repubblica di Palermo dai familiari di alcune delle vittime;
          in particolare:
              il nastro della scatola nera dell'aereo era stato sostituito il 30 aprile 1972 e contestualmente strappato in modo da non potere più ricostruire le fasi antecedenti all'incidente, come risulta dalla sentenza della corte di appello di Catania, sez.l, del 13 giugno 1983 in cui, in relazione alla scatola nera, si afferma che «risulta che il nastro è stato trovato strappato in corrispondenza di un tempo di volo di circa sette ore dalla installazione»;
              non era stata svolta una perizia balistica sui corpi delle vittime;
              alcuni passeggeri erano stati ritrovati disintegrati, mentre altri, che sedevano nella parte della coda dell'aereo, erano integri;
              i piloti dell'ANPAC non avevano potuto visionare gli altimetri di bordo ed altri pezzi del relitto dell'aereo, perché il direttore dell'aeroporto di Boccadifalco non li aveva posti a loro disposizione;
              le perizie svolte ed acquisite nell'ambito del processo erano tra loro contraddittorie su vari punti, ed in particolare sulla ricostruzione dei percorsi e del piano di volo, come risulta dalle sentenze del tribunale penale di Catania, sez.I del 27 aprile 1982 e della corte di appello di Catania, sez.1, del 13 giugno 1983;
              l'inchiesta ministeriale fu svolta in appena nove giorni ed apparve fortemente sommaria nelle conclusioni a cui giunse;
              vi era stata anche la cancellazione e la manomissione dei nastri registrati dalla torre di controllo con cui il velivolo era in contatto;
              numerose testimonianze raccolte subito dopo i fatti convenivano sul fatto che si sarebbe verificato un incendio a bordo dell'aeromobile, evento perfettamente compatibile con l'esplosione a bordo di un ordigno, o con l'abbattimento dell'aeromobile da parte di ignoti;
          le numerose istanze per una riapertura dell'indagine, presentate nel corso degli anni dai familiari di alcune delle vittime, sono fondate su una serie, a giudizio dell'interrogante, assolutamente convergente, di prove dichiarative e di elementi fattuali;
          nessun seguito è stato offerto a queste istanze, nonostante l'imprescrittibilità dell'eventuale reato ipotizzato di strage;
          sarebbe opportuno effettuare, al fine di accertare l'eventuale matrice dolosa del disastro, ulteriori accertamenti e approfondimenti tecnici, chiesti dai familiari, e in particolare:
              1) esame dei rilievi di sopralluogo: i monconi, qualora l'aereo fosse giunto integro all'impatto con la montagna, si sarebbero dispersi su un'area relativamente ristretta, in caso di esplosione su un'area più ampia; in quest'ultimo caso, peraltro, anche i corpi dei passeggeri sarebbero stati oggetto di una «dispersione» di tipo casuale che potrebbe non seguire necessariamente la disposizione dei passeggeri secondo i posti assegnati all'imbarco;
              2) esame dei rilievi cadaverici e degli esami autoptici dei piloti all'epoca espletati, per verificare la lesività riscontrata e la natura delle lesioni, nonché di apprezzare eventuali segni indicativi di caduta dall'alto, proiezione o propulsione fuori dal mezzo;
              3) esame dei resti dell'aeromobile e del terreno, onde verificare lo stato dei resti (ad es., dei sedili, per accertare l'eventuale presenza di frammenti metallici di natura ultronea) ed effettuare indagini strumentali per la determinazione di eventuali residui di esplosivi;
              4) esame dei bagagli ed effetti personali delle vittime, per valutare lo stato al momento dell'impatto, nonché condurre esami tesi a verificare la presenza di eventuali residui di esplosivi;
              5) esame dei cadaveri, applicando tecniche medico-legali di indagine radiologica (Rx, TC spirale, RMN), ai tempi del disastro non in uso, onde accertare se nei corpi siano reperibili eventuali frammenti metallici o materiali ultronei ritenuti nelle varie sedi corporee;
              6) ricostruzione del volo sulla base di tutti i dati disponibili e su tecniche moderne di simulazione e algoritmi di calcolo aereomeccanico al fine di verificare tempi e rotta dell'aeromobile e modalità spazio temporali del disastro  –:
          se risulti al Governo se su uno o più atti relativi al disastro di Montagnalonga sia stato posto il vincolo del segreto di Stato;
          se siano state disposte indagini amministrative ulteriori in ordine alle cause del disastro aereo, e quali ne siano eventualmente gli esiti;
          se il Governo non intenda fornire alla magistratura ogni elemento utile in suo possesso, al fine di ogni iniziativa di competenza volta a chiarire la tragica vicenda.
(4-12096)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


      MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          con le interrogazioni numeri 5-00811 e 5-00812, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato chiesto, tra le altre cose, se – in che modo e con quali tempi – ritenesse possibile pervenire al riconoscimento dei siti di importanza comunitaria «Cala Rossa e Capo Rama» e «Isola Correnti, pantani di Pineta Pilieri, chiusa dell'Alga e Parrino» quali Zone Speciali di Conservazione, in considerazione dell'obbligo stabilito dall'articolo 4 della direttiva 92/43/CEE, e disciplinato con l'articolo 3 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n.  357;
          nella risposta alle interrogazioni citate nel punto precedente, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore ha affermato che la mancata designazione delle Zone speciali di conservazione era motivata dal fatto che la trasmissione, da parte della Commissione, di successivi aggiornamenti dei formulari relativi ai siti di importanza comunitaria, ha reso «necessario, per ogni singolo invio, attendere l'approvazione della Commissione, che solitamente emana la relativa Decisione ad un anno di distanza dal ricevimento delle proposte di modifica degli Stati membri», aggiungendo che «in tali condizioni, non essendo ancora consolidate le informazioni relative ai singoli siti (per quanto attiene ad habitat, specie ed eventuale ampliamento dei confini), risultava non opportuno procedere alla designazione delle ZSC»;
          nella stessa risposta, il Ministro ha, dunque, escluso che l'Italia potesse essere considerata inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti dall'articolo 4 nella Direttiva 92/43/CEE, scrivendo che «Solo recentemente la Commissione Europea ha manifestato la sua intenzione di non prevedere più aggiornamenti annuali, rendendo quindi effettiva la cadenza stabilita dalla Direttiva Habitat (6 anni) per la trasmissione delle informazioni sui siti e, in generale, sull'attuazione della Direttiva stessa. Il Ministero dell'ambiente ha provveduto, conseguentemente, ad avviare il processo di designazione partendo dalle situazioni regionali maggiormente consolidate»;
          rispondendo alle stesse interrogazioni, il Ministero interpellato ha scritto altresì che: «(...) alla luce di quanto sopra, si può prevedere di predisporre a breve un primo decreto di designazione delle ZSC della Regione Sicilia con riferimento ai siti per i quali è intervenuta l'approvazione definitiva dei Piani di gestione, sempre che gli stessi contengano i requisiti minimi richiesti dalla Commissione Europea»;
          con riferimento alla mancata designazione come Zone speciali di conservazione dei Siti di importanza comunitaria ubicati nel territorio siciliano – posta con le interrogazioni citate sopra, nonché con quella a risposta scritta n.  4-01855 depositata il 18 settembre 2013, e con quella n.  5-01783 ancora priva di risposta – i deputati interroganti, unitamente ai deputati dell'Assemblea regionale siciliana iscritti al Gruppo Movimento Cinque Stelle e a ben 307 cittadini siciliani hanno presentato una denuncia alla Commissione europea riguardante l'inadempimento, da parte delle autorità nazionali italiane, dell'articolo 4 comma 4 della Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992;
          nella denuncia presentata alla Commissione europea il 26 marzo 2014, tra le altre cose, è stato evidenziato che la locuzione «il più rapidamente possibile e entro un termine massimo di sei anni», di cui all'articolo 4, comma 4 della Direttiva, riferita all'obbligo, per lo Stato membro, di designare i siti di importanza comunitaria come Zone speciali di conservazione, non è conciliabile con l'impostazione scelta dalle autorità italiane che – stando al tenore logico e letterale della risposta del Ministro alle interrogazioni numeri 5-00811 e 5-00812 richiamata in precedenza – hanno ritenuto di poter attendere i successivi aggiornamenti dell'elenco dei Siti di importanza comunitaria, adottato nel luglio 2006, per stabilire il termine entro il quale procedere alla designazione delle Zone speciali di conservazione;
          la direzione generale ambiente della Commissione europea, in data 16 aprile 2014, ha risposto alla denuncia, di cui ai punti precedenti, informando i denuncianti del fatto che la stessa Commissione ha già avviato d'ufficio (EU Pilot 4999/13/ENVI) un'indagine volta a verificare il rispetto da parte di tutti gli stati membri dell'articolo 4 paragrafo 4 della Direttiva Habitat, e in merito alla decorrenza del termine stabilito dalla Direttiva, ha aggiunto quanto segue: «contrariamente a quanto sostenuto dal Governo italiano nella risposta alle Sue interrogazioni parlamentari 5-00811 e 5-00812, eventuali aggiornamenti dei formulari relativi ai siti non determinano uno slittamento del termine di sei anni: per i siti che, come quelli siciliani, sono stati inseriti nella rete Natura 2000 con decisione della Commissione adottata nel 2006, il termine entro cui designarli come ZSC è scaduto nel 2012»;
          nella risposta alle interrogazioni numeri 5-00811 e 5-00812, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha omesso di riferire ai deputati interroganti che rispetto alla mancata designazione delle Zone speciali di conservazione – oggetto di uno dei quesiti posti in entrambe le interrogazioni – la Commissione europea aveva avviato un'attività di indagine (EU Pilot 4999/13/ENVI), che, in relazione alla predetta indagine, la stessa Commissione aveva chiesto informazioni alle autorità nazionali, e infine che il Ministero, al fine di fornire gli elementi di risposta richiesti, aveva avviato una interlocuzione con le regioni;
          la mancata designazione delle Zone speciali di conservazione, oggetto dell'attività d'indagine della Commissione europea, richiamata sopra può portare all'apertura di una procedura di infrazione comunitaria nei confronti del nostro Paese  –:
          quali informazioni sono state acquisite, ad oggi, dalla regione siciliana al fine di poter corrispondere alle richieste formulate dalla Commissione europea in seno alla citata attività d'indagine (EU Pilot 4999/13/ENVI);
          se i riscontri forniti alla Commissione europea nell'ambito della citata attività d'indagine (EU Pilot 4999/13/ENVI) contengano una descrizione della situazione concernente la designazione delle Zone speciali di conservazione, relativa a ciascuna regione italiana, ovvero se alcune regioni non abbiano, ancora, fornito tutte le informazioni richieste;
          quali azioni intenda intraprendere perché vengano tempestivamente adottate tutte le misure necessarie a scongiurare il fatto che i siti di importanza comunitaria inseriti nella Rete Natura 2000, da più di sei anni – come quelli siciliani – continuino ad essere in una condizione, giuridica e/o di fatto, che ne impedisce la designazione come Zone speciali di conservazione, in palese violazione delle disposizioni contenute nell'articolo 4 della Direttiva 92/43/CEE e con il rischio concreto che venga aperta un'ulteriore procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia;
          se l'attività di verifica rispetto ai Piani di gestione dei Siti di importanza comunitaria siciliani, per i quali è intervenuta l'approvazione definitiva – alla quale si faceva riferimento nella risposta scritta alle interrogazioni numeri 5-00811 e 5-00812 – sia stata ultimata, ed entro quale termine si procederà alla predisposizione di un primo decreto di designazione delle ZSC ubicate nel territorio della regione siciliana. (3-02007)

Interrogazione a risposta scritta:


      GULLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la conferenza Stato-regioni ha deciso la realizzazione di almeno due termovalorizzatori in Sicilia;
          da notizie di stampa l'interrogante apprende che si tratterà di ben 6 termovalorizzatori in tutta l'Isola, con il mantenimento delle discariche esistenti;
          in particolare, 3 più grandi per le aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina e 3 a cavallo tra le province di Agrigento e Trapani, Caltanissetta ed Enna, Ragusa e Siracusa;
          la soluzione proposta di smaltimento tramite termovalorizzatori si presenta frutto di una vecchia logica che non è in grado di risolvere il problema dei rifiuti;
          regioni come la Lombardia e la Campania, che si sono opposte alla decisione, hanno puntato sulla raccolta differenziata;
          non vi è stata un'adeguata azione del Governo diretta a favorire la raccolta differenziata;
          ad oggi non esiste alcuna conferma scientifica che consenta di affermare che gli inceneritori di rifiuti siano in grado di eliminare efficacemente anche le emissioni delle nano particelle che risultano terribilmente dannose per la salute umana, anzi pare che quelle prodotte dagli inceneritori di rifiuti siano le più nocive;
          inoltre, la normativa parla chiaramente di «riconversione, ove possibile, di impiantistica esistente di diversa originaria natura produttiva»;
          vi è, quindi, non solo il pericolo di aumentare i rischi per la salute in generale, ma, persino, di infierire su aree già martoriate dalla presenza di altri impianti, storicamente dannosi per l'ambiente, come ad esempio le aree della Valle del Mela, di Termini Imerese e di Augusta  –:
          quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, per verificare la pericolosità o meno della combustione dei termovalorizzatori, favorire la raccolta differenziata ed eliminare, comunque, i rischi per la salute di cittadini. (4-12094)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


      VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          nel corso della seduta della Commissione difesa di giovedì 11 febbraio 2016, il rappresentante del Governo, Sottosegretario di Stato on.  Domenico Rossi, rispondendo alla interrogazione n.  5-07577 dell'on.  Basilio su un procedimento disciplinare attivato nei confronti di un delegato COCER (vicenda per la quale anche il sottoscritto ha presentato l'interrogazione n.  5-07495 alla quale il Governo ha risposto nel corso della seduta del 3 febbraio) ha dichiarato che «l'ufficiale incaricato, analizzando la pagina Facebook pubblica di una giornalista – autrice dell'articolo oggetto degli accertamenti, pubblicato sul quotidiano Libero – è risalito ai profili Facebook, anch'essi pubblici, dei militari interessati, rilevando in tal modo condotte passibili di vaglio disciplinare;
          l'affermazione del rappresentante del Governo appare di enorme gravità, per l'aspetto del controllo dei profili Facebook di giornalisti e militari  –:
          quali orientamenti intenda esprimere in merito all'accaduto e quali iniziative intenda assumere per evitare che, nella ricerca di condotte passibili di vaglio disciplinare dei militari e dei delegati Cocer, si possano ledere elementari principi e diritti costituzionali di libertà di stampa, di comunicazione e di espressione del pensiero. (4-12098)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


      GULLO. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la tutela del risparmio è garantita dalla Costituzione;
          i risparmi delle famiglie italiane hanno sempre più spesso la funzione di supplire a quelle esigenze che il welfare state non riesce più ad offrire;
          i recenti fallimenti bancari, i dubbi espressi in sede europea circa la solidità di alcuni istituti, l'altalenante situazione in borsa dei titoli delle banche e le notizie di stampa stanno determinando una situazione di gravissima incertezza tra i risparmiatori;
          i recenti avvenimenti hanno determinato la perdita dei risparmi accumulati durante la vita da parte di molte famiglie;
          dalle dichiarazioni dei risparmiatori emerge chiaramente come spesso non vi sia chiarezza negli investimenti proposti;
          non può bastare una semplice firma, su un foglio per assumersi il rischio di perdere i risparmi di una vita senza un'effettiva consapevolezza del rischio;
          le formule e i livelli di rischio così come sono previsti non rispondono in modo chiaro alla domanda del risparmiatore che vuole semplicemente conoscere se il capitale è a rischio o meno;
          per evitare che tali avvenimenti mettano in ginocchio interi nuclei familiari basterebbe prevedere meccanismi che vietino di investire più di una certa percentuale del proprio patrimonio depositato presso un singolo istituto;
          la situazione attuale di incertezza ha sicuramente un impatto negativo per il futuro dell'economia italiana  –:
          quali iniziative urgenti si intendano assumere, per quanto di competenza, per tutelare adeguatamente i risparmiatori, prevedere maggiori controlli sul sistema bancario italiano e prevedere meccanismi che evitino l'investimento tutto il risparmio depositato presso una banca, in modo che in caso di fallimento il risparmiatore non resti privo di risorse economiche. (4-12095)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      FANUCCI e BINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il rapporto «Muoversi in Toscana», relativo al mese di gennaio 2016, stilato sulla base delle comunicazioni sull'andamento del servizio ferroviario regionale fornite da Trenitalia e rete ferroviaria italiana, colloca la linea ferroviaria Firenze-Pistoia-Lucca-Viareggio al primo posto per ritardi e disservizi;
          i contratti di servizio per il trasporto pubblico ferroviario di interesse regionale e locale stipulati nel corso degli anni hanno costantemente previsto standard minimi e valori obiettivo di qualità, relativi a puntualità, affidabilità, pulizia e quant'altro vada ad incidere sulla qualità del servizio, spesso disattesi con conseguenze negative per l'utenza;
          regione Toscana e Rete ferroviaria italiana s.p.a., in data 10 aprile 2015, hanno sottoscritto un protocollo d'intesa per lo sviluppo delle infrastrutture e della capacità ferroviaria, finalizzato al miglioramento qualitativo e preliminare alla stipula dell'accordo quadro ai sensi del decreto legislativo 188 del 2003;
          il protocollo d'intesa stabilisce che: «la riprogrammazione ed il potenziamento del complesso dei servizi afferente la rete ferroviaria in Toscana hanno determinato una flessione nella regolarità del servizio, evidenziando alcune condizioni della rete, sulle quali occorre concentrare l'attenzione»: fra queste sono contemplate «le tratte a semplice binario su linee ad alta frequentazione (Empoli-Siena e in particolare Granaiolo-Empoli, Pistoia-Lucca-Viareggio ed in particolare Pistoia-Lucca)»;
          il protocollo prevede fra gli obiettivi di performance che le parti, ciascuna nei propri ambiti di competenza, si impegnino a perseguire un costante e significativo miglioramento della puntualità e delle condizioni infrastrutturali, interessanti ogni linea della Regione Toscana;
          il potenziamento della linea Pistoia-Lucca risulta previsto dagli atti di programmazione settoriale, nazionale e regionale, come stabilito dal protocollo d'intesa, dalla deliberazione della regione Toscana del 7 aprile 2015, n.  462 «Approvazione schema di convenzione per la realizzazione del potenziamento delle linea ferroviaria Pistoia-Lucca» e dall'allegato g del DPEF 2008-2012 per quanto concerne la programmazione nazionale nell'ambito delle infrastrutture prioritarie;
          nell'ambito del rapporto sull'andamento del servizio ferroviario regionale fornito da Trenitalia e Rete ferroviaria italiana, nel corso dell'anno 2015, risultata che la tratta Firenze-Pistoia-Lucca-Viareggio è stata per ben 6 mesi la più colpita da disservizi, per due mesi la seconda e per quattro mesi la terza;
          il contratto di servizio ponte 2015-2019 tra regione Toscana e Trenitalia va a prevedere che l'obiettivo minimo di puntualità di ciascuna linea non dovrà essere inferiore al 91,5 per cento nel 2019, dunque a partire dai dati attuali la puntualità per linea dovrà crescere di 2/3 per cento, fino ad arrivare, nel 2019, per alcune linee a valori di 94 per cento ed oltre;
          detto «contratto ponte», nello specifico assegna alla linea Firenze-Pistoia-Lucca-Viareggio i seguenti indici obiettivo di puntualità mensile: 2016 (90 per cento); 2017 (90,50 per cento); 2018 (90,50 per cento); 2019 (93,50 per cento);
          il Governo e l'amministrazione regionale della Toscana hanno stanziato rispettivamente 220 e 200 milioni di euro per il raddoppio della linea ferroviaria Lucca-Pistoia, dunque per il potenziamento e l'ammodernamento della tratta  –:
          quali interventi intenda sollecitare al gestore della rete, RFI, e quali iniziative urgenti di competenza preveda di attuare per garantire un servizio ferroviario rapido, puntuale ed efficiente sulla tratta ferroviaria Viareggio-Firenze. (5-07779)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      D'UVA, VACCA e SIBILIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto ministeriale 3 luglio 2015, n.  463, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca disciplinava le modalità di svolgimento dei test per i corsi di laurea a ciclo unico ad accesso programmato per l'anno accademico 2015/2016;
          la legge 2 agosto 1999, n.  264, recante «Norme in materia di accessi ai corsi universitari», con particolare riferimento agli articoli 1, comma 1, lettera a), e 4, commi 1 e 1-bis, prevede, infatti, l'annuale programmazione del numero di studenti da immatricolare;
          attraverso tale disposizione il legislatore ha inteso, di fatto, limitare il libero accesso ai gradi più alti degli studi, consentendo l'immatricolazione ai corsi a numero programmato esclusivamente previo superamento dei relativi test di ammissione;
          l'articolo 10 del decreto ministeriale 3 luglio 2015, n.  463, dispone che nell'ambito dei posti disponibili per le immatricolazioni, vengano ammessi ai corsi di laurea e di laurea magistrale di cui agli articoli 2, 4, 5 e 6 i candidati comunitari e non comunitari di cui all'articolo 26 della legge n.189 del 2002 nonché, nell'ambito della relativa riserva di posti, i candidati non comunitari residenti all'estero, secondo l'ordine decrescente del punteggio conseguito, i quali abbiano ottenuto nel test un punteggio minimo pari a venti punti;
          il comma 4 dello stesso articolo stabilisce che per i corsi di cui agli articoli 2, 4, 5 e 6 del decreto ministeriale, il CINECA, sulla base del punteggio, calcolato ai sensi del comma 3, venga redatta una graduatoria unica nazionale per i candidati comunitari e stranieri residenti in Italia, di cui all'articolo 26 della legge n.  189 del 2002, secondo le procedure di cui all'allegato 2 dello stesso decreto;
          il comma 8, infine, prevede che la chiusura della stessa graduatoria, utile all'accesso ai corsi di cui agli articoli 2, 4, 5 e 6, con apposito provvedimento ministeriale;
          il decreto, tuttavia, non cita alcuna possibilità di riduzione dei posti disponibili così come determinati dall'allegato 4 dello stesso provvedimento, prevedendo la non assegnazione dei posti altrimenti resi disponibili dalle mancate immatricolazioni esclusivamente in merito ai posti eventualmente non utilizzati «nella graduatoria dei cittadini extracomunitari residenti all'estero, i quali non potranno essere utilizzati a beneficio dei cittadini comunitari e non comunitari di cui all'articolo 26 della legge n.  189/2002»;
          secondo quanto stabilito dall'articolo 14 del decreto ministeriale 3 luglio 2015, n.  463, la programmazione in via definitiva dovrà essere determinata successivamente con apposito decreto, «fatto salvo quanto previsto in premessa e fermo restando il contingente minimo dei posti disponibili cui al comma 1»;
          così come disposto dalla normativa, con il decreto ministeriale 8 febbraio 2016 n.  50 il Ministero comunicava la chiusura della graduatoria dei corsi di laurea e di laurea magistrale ad accesso programmato nazionale di cui ai decreti ministeriali nn.  463/2015 e 464/2015;
          tale decisione veniva assunta, tuttavia, nonostante alla data della chiusura lo scorrimento della graduatoria non fosse, ad avviso degli interroganti, del tutto idoneo a garantire l'adeguata possibilità di immatricolazione degli studenti aventi diritto;
          non soltanto, infatti, la determinazione ministeriale prevedeva «la chiusura della graduatoria dei corsi di laurea di cui ai decreti citati in epigrafe alla data del 10 febbraio 2016», ma disponeva, altresì la perdita di tutti i posti eventualmente non coperti;
          l'articolo 1, comma 1, prevedeva come «i candidati in posizione utile che alla data del 10 febbraio 2016 hanno confermato l'interesse all'immatricolazione nei termini di cui al punto 10 lettera d) dell'Allegato 2 del decreto ministeriale n.  463/2015 e al punto 7 lettera d) dell'Allegato 2 del decreto ministeriale n.  464/2015 diventano assegnati e sono tenuti a immatricolarsi entro il termine perentorio del 15 febbraio 2016 nella sede di assegnazione»;
          tuttavia, il successivo articolo 2 stabiliva, in maniera inequivocabile, che «i candidati che alla data del 15 febbraio 2016 non risultano immatricolati ad alcuno dei corsi di laurea cui si riferiscono le graduatorie nazionali decadono e non conservano alcun diritto negli anni successivi, mentre per gli eventuali posti che alla data del 15 febbraio 2016 dovessero risultare non coperti anche a seguito di rinunce successive all'immatricolazione non verranno riassegnati»;
          con l'assunzione di tale provvedimento il Ministero intende, di fatto, ridurre ulteriormente la possibilità di immatricolazione per gli studenti italiani all'interno dei corsi di laurea a numero programmato, allontanandosi ulteriormente, ad avviso degli interroganti, dal precetto costituzionale che indurrebbe, piuttosto, all'assunzione di strumenti idonei a garantire ai cittadini capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, la possibilità di raggiungere i gradi più alti degli studi;
          gli studenti inseriti nella graduatoria, secondo le modalità previste dai citati decreti, risultano senza alcun dubbio essere idonei all'immatricolazione, avendo superato la soglia minima necessaria ad ottenere, almeno potenzialmente, la possibilità di iscrizione ai corsi;
          la decisione del Ministero di interrompere lo scorrimento della graduatoria relativa alle immatricolazioni ai corsi di medicina e chirurgia, arriva, inoltre, a pochi giorni dalle fondamentali sentenze con le quali il tribunale amministrativo regionale ha disposto la riammissione di quasi 9.000 studenti che negli anni precedenti avevano partecipato al medesimo test;
          ad avviso degli interroganti, l'improvvisa chiusura della graduatoria, e la contestuale decisione di non rassegnazione dei posti eventualmente non coperti, rischiano di apparire agli studenti italiani come una prima forma di contenimento delle iscrizioni utile a garantire l'ammissione degli studenti vincitori dei ricorsi amministrativi;
          qualora tali considerazioni dovessero trovare conferma, gli interroganti ritengono utile riflettere sulla possibilità di una rimodulazione dell'attuale sistema normativo in materia di accesso ai corsi a numero programmato piuttosto che sottrarre ad altri studenti il diritto di raggiungere i propri obiettivi umani e professionali se intenda assumere urgenti iniziative che impediscano, almeno per il successivo bimestre, la chiusura della graduatoria di cui ai decreti ministeriali nn.  463 del 2015 e 464 del 2015, consentendo, inoltre, il naturale scorrimento della stessa;
          se non ritenga di assumere iniziative per provvedere, altresì, alla chiusura della citata graduatoria, l'assegnazione dei posti che dovessero risultare non coperti, anche a seguito di rinunce successive all'immatricolazione. (5-07780)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


      BINETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in questi giorni si assiste ad una preoccupante recrudescenza di gravi episodi di mal trattamento nei confronti dei disabili che vivono in istituti di accoglienza, sia anziani che minori, e questo fatto pone una serie di interrogativi sulla capacità del sistema sanitario di prevenire comportamenti che ledono profondamente la dignità delle persone accolte in questo tipo di strutture perché incidono pesantemente anche sulla loro qualità di vita;
          appaiono del tutto insufficienti le misure di controllo sulle strutture, sia sotto il profilo logistico che sotto quello igienico, ma soprattutto appare gravemente insufficiente la verifica della qualità della rete dei servizi socio-sanitari posti a tutela degli ospiti di queste strutture;
          la violenza nella terza età, ad esempio, non è solo una tematica complessa che riguarda il settore sociosanitario, ma rappresenta spesso un vero e proprio tabù sociale. Nel contesto assistenziale, gli anziani possono essere vittime di mal-trattamenti sul piano relazionale, che assumono la valenza di una vera e propria violenza psicologica con pesanti ricadute anche sul piano del loro benessere fisico;
          il rapporto pubblicato dall'Organizzazione mondiale della sanità nel 2011 sui maltrattamenti alle persone anziane conferma come ogni anno in Europa ci siano non solo delle vere e proprie vittime di omicidio, non sempre riconosciute come tali nel momento cui si verifica il decesso, ma identificate successivamente, quando certi episodi si ripetono in determinate strutture e appare necessario un intervento della magistratura;
          l'Organizzazione mondiale della sanità ha calcolato che sono circa 10.000 gli anziani oggetto di abusi quotidiani da parte di operatori sociosanitari, familiari o altre persone. Le violenze si consumano nelle case di riposo, negli ospedali, fra le mura domestiche. Spesso chi è costretto da una malattia o da altre, circostanze legate all'avanzare dell'età ad affidarsi all'assistenza altrui perde la propria indipendenza e la propria capacità di autodeterminazione e non è più in grado di esternare i propri desideri e le proprie necessità, per cui aumentano i livelli di dipendenza dagli altri, fino ad approdare a vere e proprie forme di non autosufficienza;
          il personale che lavora in queste strutture è spesso numericamente inadeguato e sprovvisto di preparazione specifica per rispondere ai bisogni degli ospiti delle strutture, ma soprattutto manca di quella supervisione del lavoro ordinario che consente di verificare tempestivamente i rischi di burn, a cui potrebbero seguire episodi di insofferenza e di maltrattamenti fino alla violenza  –:
          in che modo il Governo per quanto di competenza, intenda intervenire per porre fine a questi fatti di drammatica frequenza con iniziative volte sia a introdurre misure di controllo e di vigilanza sul piano socio assistenziale, sia a rivedere i profili di carattere penale, quando si ravvisano fatti che lo richiedano. (3-02008)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


      BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          a direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio detta le norme che disciplinano tra l'altro la fabbricazione, l'importazione, l'immissione in commercio e la distribuzione all'ingrosso dei medicinali nell'Unione e le norme riguardanti le sostanze attive;
          nell'Unione europea aumentano in misura allarmante i ritrovamenti di medicinali falsificati sotto i profili dell'identità, della storia o dell'origine. Questi prodotti generalmente contengono componenti di qualità inferiore alla norma o falsificati, oppure non contengono taluni componenti o contengono componenti, comprese le sostanze attive, in un dosaggio sbagliato, il che rappresenta una grave minaccia per la salute pubblica;
          l'esperienza acquisita dimostra che tali medicinali falsificati arrivano ai pazienti non solo attraverso canali illegali, ma anche attraverso la catena di fornitura legale, soprattutto attraverso l'acquisto on line. Ciò rappresenta una particolare minaccia per la salute umana e può determinare una mancanza di fiducia del paziente anche nella catena di fornitura legale;
          la minaccia per la salute pubblica è riconosciuta anche dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che ha istituito la task-force internazionale contro la contraffazione dei prodotti sanitari Impact (International Medical Products Anti-Counterfeiting Taskforce). Impact ha elaborato il documento. Principi ed elementi di legislazione nazionale contro i prodotti sanitari contraffatti, approvato nel corso dell'assemblea generale di Impact tenutasi a Lisbona il 12 dicembre 2007;
          le sostanze attive falsificate e le sostanze attive non conformi ai requisiti applicabili della direttiva 2001/83/CE rappresentano gravi rischi per la salute pubblica. Tali rischi dovrebbero essere affrontati rafforzando gli obblighi di verifica a carico del fabbricante del medicinale, senza dimenticare i grandi acquirenti che si occupano della rete distributiva sul territorio;
          l'attuale rete distributiva dei medicinali è sempre più complessa e coinvolge molti operatori che non sono necessariamente distributori all'ingrosso secondo la definizione di tale direttiva. Per assicurare l'affidabilità della catena di fornitura, occorre che la legislazione relativa ai medicinali tenga conto di tutti i soggetti di tale catena. Quest'ultima comprende non solo i distributori all'ingrosso, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno la gestione materiale dei medicinali, ma anche i broker che partecipano alla vendita o all'acquisto dei medicinali senza vendere o comprare direttamente e senza detenere e gestire materialmente i medicinali;
          per agevolare l'applicazione delle norme dell'Unione relative alle sostanze attive e il controllo sul rispetto delle stesse, i fabbricanti, gli importatori o i distributori di tali sostanze dovrebbero notificare le proprie attività alle autorità competenti interessate;
          è diventato necessario modificare la direttiva 2001/83/CE per far fronte a questa crescente minaccia. È stato recentemente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale europea il nuovo regolamento che potenzia il sistema di sicurezza contro il mercato dei falsi, introducendo l'identificatore unico e il sistema di prevenzione delle manomissioni posti direttamente sull'imballaggio di determinati farmaci  –:
          come intenda procedere il Ministero della salute per collaborare in modo efficace alla introduzione del nuovo sistema di sicurezza che rafforza le misure di controllo in tutta Europa attraverso l'applicazione di nuove misure di sicurezza, dal momento che il piano predisposto dall'Agenzia europea per i medicinali (EMA) e dalla Commissione europea (CE) chiede agli Stati membri di attuare questi impegni nell'arco di tre anni. (3-02009)

Interrogazione a risposta scritta:


      SCOTTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il pronto soccorso del San Giovanni di Dio di Frattamaggiore è chiuso dal mese di ottobre 2015 in seguito a un violento acquazzone che ne allagò il piano terra. Per circa venti giorni successivi nessuno si preoccupò di dare comunicazione della chiusura, nemmeno un manifesto o un avviso e i pazienti sono costretti a fare marcia indietro e allungare la corsa verso gli ospedali più vicini a circa dieci chilometri;
          il reparto non ha subito ingenti danni, i macchinari sono quasi tutti funzionanti. Il personale dell'ospedale    evidenzia che i vari box di medicina e chirurgia, sono tutti pronti all'uso. Dalle barelle alle scorte di medicinali al materiale infermieristico è tutto al proprio posto. Ma tutto è abbandonato. Il problema riguarda soprattutto l'impianto elettrico che dopo l'inondazione non è più a norma. E qui inizia il girone dantesco della burocrazia. Il comune interroga l'asl, l'asl si rivolge all'Enel, l'Enel manda i tecnici, ma la relazione per conoscere la profondità delle tubazioni e permettere gli scavi dopo un mese non è pronta. L'altro aspetto critico riguarda la rete fognaria: inadeguata, piccola, sottodimensionata, che già non riesce a drenare le normali piogge, figurarsi un evento meteorologico straordinario;
          una situazione nota da anni, ma di cui sembra che ci si sia accorti solo il 28 ottobre 2015 quando l'acqua invade il piano terra e il seminterrato raggiungendo i sessanta centimetri di altezza. A inizio gennaio 2016 si sarebbero dovuti concludere i lavori di ammodernamento delle fogne che ad oggi sono appena iniziati. Per non lasciare tutto all'incuria l'asl aveva ipotizzato un'assistenza alternativa che consentisse almeno di utilizzare le attrezzature per i codici bianchi, cioè le emergenze meno gravi. I medici di medicina generale si sono opposti, così come pure all'ipotesi di spostare altrove il pronto soccorso, poiché, a detta loro, non c'erano le condizioni per operare in sicurezza, e così è restato tutto chiuso per diversi mesi;
          oggi c’è solo un servizio di primo soccorso che riesce ad accogliere massimo trenta pazienti al giorno. Un niente rispetto ai 180 pazienti prima dell'alluvione. In radiologia, il reparto più colpito, ci sono le macchine per la tac e radiografie. Da organi di stampa si apprende che da settimane ormai non viene più nessuno a fare manutenzione. Le pareti e le controsoffittature sono gonfie di acqua. Nelle stanze è stato lasciato un deumidificatore acceso nella speranza che assorba l'umidità e non danneggi i macchinari;
          l'ospedale San Giovanni di Dio di Frattamaggiore, infatti, per anni è stato al centro di un'accesa contesa tra i due comuni per aggiudicarsene la proprietà. Anni di lotte intestine passate attraverso decreti regionali, ricorsi in Cassazione e al Tar. «Non si riesce a organizzare nemmeno un sistema di pulizia dei tombini davanti all'ospedale» commenta Pasquale Costanzo, rappresentante sindacale. In effetti quelli che si trovano sono tutti ostruiti; dicono che l'ultima pulizia sia stata fatta quattro mesi fa. «Siamo fortunati, il meteo ci sta dando una mano ma se venisse a piovere qui si allagherebbe tutto di nuovo, esattamente come due mesi fa»;
          da organi di stampa si apprende che l'11 gennaio 2016 sono partiti i lavori all'impianto fognario e alla rete idrica del pronto soccorso dell'ospedale «San Giovanni di Dio» di Frattamaggiore. Dalla Direzione Sanitaria fanno sapere inoltre che si lavorerà 7 giorni su 7, su tre turni specificando che, se sarà necessario, si lavorerà anche di notte. L'obiettivo è riaprire il pronto soccorso di Frattamaggiore entro la fine di marzo, al massimo ad aprile. Dunque, ci saranno ancora disagi per gli utenti del nosocomio napoletano ribadendo che per aggiudicare i lavori con una procedura d'urgenza non dovrebbero occorrere più di quindici o venti giorni. Ed a Frattamaggiore è attualmente attiva una postazione di 118, priva di ambulanza di soccorso avanzato;
          quanto esposto non rende chiaro l'allarme sanitario se non valutando la gravissima condizione della rete dell'emergenza nell'azienda sanitaria di riferimento, paradossalmente, dopo anni di commissariamento che avrebbero dovuto garantire il risanamento proprio ai fini del mantenimento dei LEA. Basta rilevare ai fini della comprensione della drammaticità del problema che in un'area di 411,43 chilometri quadri con 32 comuni ed un numero di abitanti pari a circa 1.045.790 unità si anno attivi solo 4 sedi di pronto soccorso con un rapporto di 1 a circa 300.000 e più abitanti quando il regolamento sugli standard minimi ne prevede 1 su massimo 150.000 abitanti;
          inoltre, come segnalato da Federconsumatori Campania che si è interessata della questione, l'ASL Napoli 2 Nord, nonostante giudicato amministrativo contrario, non ottemperato, ha da tempo ostinatamente delocalizzato presso gli ospedali sede di pronto soccorso, e quindi eliminato, le postazioni di primo soccorso. Vale a dire che a compensare la mancanza del personale in ospedale a causa del persistente blocco del turn-over, sono state eliminate dal territorio tutte le postazioni di primo soccorso di cui la popolazione aveva diritto; ad aggravare la situazione l'associazione ha anche segnalato alle istituzioni sanitarie regionali ed al Ministero, senza ricevere risposte, che l'azienda ha un numero di ambulanze di soccorso avanzato corrispondente addirittura alla metà di quella prevista dal regolamento sugli standard minimi ospedalieri ed utilizza stabilmente ambulanze di tipo B con infermiere anche nei codici gialli e rossi; inoltre, in Campania con delibera n.  5922 del 2002 vengono utilizzate per il soccorso avanzato ambulanze di tipo B con medico a bordo e non quelle di tipo A, singolarmente in coincidenza col fatto che i privati possono partecipare al STI solo con ambulanze di trasporto (B), e non di soccorso, come previsto dalla legge istitutiva del sistema dell'emergenza sanitaria (legge regionale n.  2 del 1994), ed a fini meramente integrativi, e non sostitutivi del servizio pubblico di 118. E si segnala che la ONLUS PAF, la cooperativa che ha operato in tutti questi anni, vincendo puntualmente tutte le gare d'appalto espletate, è risultata destinataria di interdittiva antimafia nel 2015, proseguendo però nella sua attività sino a qualche giorno fa, probabilmente visto il corposo numero di ambulanze dalla stessa gestito nel servizio d'emergenza. Eppure vi era delibera commissariale regionale, la n.  49 del 2010, che aveva chiaramente previsto l'utilizzo di risorse interne e l'acquisto di nuovi mezzi. Se si considera che presso l'azienda manca pure la chiamata diretta da cellulare per il 118, che a Pozzuoli l'emodinamica è ferma per mancanza di medici, che mancano totalmente stroke unit e trauma center, che addirittura presso l'ospedale di Giugliano e Pozzuoli sono ancora in rifacimento i triage d'ingesso, mancando sostanzialmente qualsiasi filtro degno di questo nome all'accesso al pronto soccorso, risulta evidente che la protratta chiusura del pronto soccorso di Frattamaggiore sia emblematica di una totale negazione dei LEA e della dignità umana, proprio nell'area di Napoli Nord, quella già interessata dal dramma della Terra dei Fuochi. Al riguardo, è di poco tempo fa l'intervento degli ispettori ministeriali in occasione del decesso del giovane Signor Forestiere che si vide soccorso da un infermiere e che trasportato al pronto soccorso di Pozzuoli con un addome acuto non poté neppure effettuare la TAC per il mancato funzionamento, da oltre un mese dell'apparecchio; saranno a questo punto certamente stati già acquisiti significativi riscontri di quanto sin qui esposto  –:
          se, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, non si intenda monitorare il progresso dei lavori di ripristino delle funzionalità del pronto soccorso al fine di evitare qualunque slittamento della prevista fine dei lavori per il mese di marzo o al massimo aprile 2016 come annunciato;
          se sia già stato verificato o se non si intenda verificare, per quanto di competenza, il descritto quadro d'allarme sanitario e di negazione dei LEA presso l'ASL Napoli 2 nord che richiederebbe interventi immediati e drastici, oltre che la verifica delle modalità di conferimento degli appalti alla ONLUS PAF, chiarendo se la stessa fosse o meno dotata di certificazione antimafia. (4-12100)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


      RABINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'Associazione nazionale dei patti territoriali e contratti d'area (ANPACA), che raggruppa circa 200 patti dislocati in tutta Italia, ha come obiettivo la promozione e il rilancio dello sviluppo locale attraverso l'esperienza della programmazione negoziata, lavorando a stretto contatto con gli enti locali e sostenendo i soggetti ad attuare programmi di investimento;
          i patti territoriali, creati ad inizio degli anni Novanta come strumento della programmazione negoziata, consistono in accordi tra istituzioni, imprese, parti sociali e altri soggetti pubblici e privati appartenenti ad una determinata area geografica, aventi come scopo quello di sostenere ed incentivare lo sviluppo locale attraverso la realizzazione di opere infrastrutturali;
          Anpaca, ai fini di un'ipotesi di revisione e rilancio dello strumento dei, patti territoriali, ha sviluppato una ricognizione per individuare alcune esperienze che nella fase della programmazione negoziata hanno conseguito risultati significativi sotto il profilo sia della qualità che della quantità dei progetti realizzati. Tale ricognizione è stata rivolta anche alla selezione    territoriali dove, in relazione a potenzialità economiche, nonché a strutture organizzative e competenze consolidate sul territorio, risulta necessario perfezionare il funzionamento dello strumento negoziale al fine di attivare una concertazione pubblico/privata strategica per elaborare progetti di sistema necessari allo sviluppo competitivo del territorio;
          sulla base di tale ricognizione Anpaca ha predisposto la proposta di attivazione di cinque progetti pilota che risponde da un lato alla necessità di non disperdere gli aspetti positivi dell'esperienza della programmazione negoziata, dall'altro di sviluppare su altrettante aree una sorta di «laboratorio sperimentale» per promuovere l'aggiornamento del quadro normativo, adottando tutte le possibili iniziative volte a definire un nuovo efficace strumento operativo a disposizione del Paese e in linea con le direttive della programmazione comunitaria;
          le cinque aree sono state individuate tenendo conto della significatività delle esperienze maturate, dell'equilibrio geografico ed economico tra le diverse aree del Paese, delle condizioni organizzative adeguate sotto il profilo politico-istituzionale per il coinvolgimento degli attori pubblici e privati nel lavoro di concertazione, delle potenzialità di sviluppo infrastrutturale e imprenditoriale che necessitano di essere accompagnate nel loro percorso di crescita, della propensione territoriale a ricercare forme di sviluppo integrato, dell'orientamento a sviluppare l'operatività del soggetto responsabile attraverso l'ampliamento del perimetro delle attività di competenza;
          la proposta per l'attivazione di cinque «Progetti Pilota» è stata redatta da Anpaca secondo le intese scaturite nella riunione del 15 dicembre 2014 con il gabinetto e la direzione generale del Ministero dello sviluppo economico;
          in attuazione delle direttive concordate, alla base di tale proposta è la concertazione pubblico-privata derivante dalle competenze professionali e dalle esperienze maturate sui territori dalle strutture organizzative dei patti territoriali. In questo progetto sono rappresentate le realtà territoriali più significative che hanno già conseguito risultati positivi per bacino di utenza ed impatto economico;
          la medesima proposta è stata oggetto di esame anche nelle successive riunioni svoltesi presso il Ministero dello sviluppo economico nelle date del 29 dicembre 2014 e del 13 aprile 2015;
          in quelle riunioni Anpaca ha altresì proposto l'attivazione, fin dalla fase di avvio dei progetti pilota, di una cabina di regia presso il Ministero dello sviluppo economico, assegnando all'Associazione, in stretto raccordo con la direzione del Ministero dello sviluppo economico, il coordinamento dei progetti al fine semplificare le procedure e accelerare gli interventi per la ripresa dello sviluppo, nonché la gestione di un'attività di verifica sul funzionamento e sull'operatività della rete nazionale dei patti al fine di rilanciarla o ristrutturarla ove necessario;
          risulta all'interrogante che sarebbe stata segnalata da parte di numerosi soggetti responsabili di patti territoriali (Lucca, Modena, Polis-Bari, Val D'Ofanto, Patto della Baronia e altro) la sostanziale inesistenza di interlocutori centrali e periferici del Ministero dello sviluppo economico, nonché le mancate risposte a richieste di chiarimenti agli uffici che avrebbero dovuto accompagnare e completare il lavoro dei soggetti responsabili;
          tale inadempienza e mancanza di disponibilità a collaborare da parte dei massimi organi istituzionali preposti allo sviluppo economico desta ancora più sconcerto per il fatto che ci si trova in presenza di accordi assunti con il Ministro dello sviluppo economico fin dal dicembre 2014, con risorse disponibili per interventi in grado di assicurare rapidamente l'operatività immediata dei suddetti progetti, anche mediante la sperimentazione di un nuovo modello operativo in base alle migliori esperienze in territori strategici  –:
          quali urgenti iniziative intenda adottare per porre fine alla segnalata e, secondo l'interrogante, ingiustificata inerzia degli uffici competenti del Ministero dello sviluppo economico, che si protrarrebbe da più di un anno, al fine di assicurare nel più breve tempo possibile l'operatività dei progetti citati in premessa, che produrrebbero effetti positivi e concreti in termini di aumento della produttività nazionale e di incremento occupazionale, effetti molto importanti nell'attuale contesto di profonda crisi economica e di competitività del sistema nazionale. (4-12097)


      SANDRA SAVINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante ha depositato, in data 30 giugno 2015, l'interrogazione a risposta scritta n.  4-09613, nella quale si chiedevano chiarimenti circa gli orientamenti del Governo rispetto al procedimento autorizzativo dell'impianto di rigassificazione del metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste; nonostante i ripetuti solleciti formali, ad oggi non è ancora pervenuta alcuna risposta;
          l'11 giugno 2015 era stata programmata una conferenza di servizi, in merito all'autorizzazione dell'impianto, successivamente rinviata di novanta giorni e ad oggi non ancora riconvocata;
          il comune di Trieste, con nota inviata al Ministero dello sviluppo economico, ha espresso parere contrario rispetto al compimento dell'opera, rappresentando il potenziale rischio sismico dell'area del golfo di Trieste;
          la provincia di Trieste ha richiesto al Ministero dello sviluppo economico la sospensione del procedimento autorizzativo alla costruzione del rigassificatore, per la mancata acquisizione da parte della società proponente della compatibilità ambientale sul progetto sulle opere di allaccio alla rete nazionale di metanodotti;
          il comune e la provincia di Trieste hanno presentato, negli scorsi mesi, ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio – sede di Roma – avverso l'atto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – direzione generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali del 25 febbraio 2015 e avverso il parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS del predetto Ministero n.  1706 del 6 febbraio 2015 ed atti connessi;
          la regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha dichiarato la propria contrarietà all'insediamento industriale, ritenendolo un ostacolo allo sviluppo dei traffici marittimi, rispetto al modello di sviluppo elaborato dall'autorità portuale di Trieste ed ha sottolineato la priorità dei traffici marittimi, rispetto alle infrastrutture energetiche  –:
          quale sia l'intenzione del Governo rispetto alla realizzazione dell'opera in questione, dal momento che non è più accettabile la manifesta indecisione, considerando anche che, in via ufficiale, il comune, la provincia e anche la regione Friuli Venezia Giulia hanno espresso piena contrarietà al progetto. (4-12099)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

      L'interpellanza Ricciatti n.  2-00569, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Piras.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Fregolent n.  5-07702, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zan, Sbrollini, Narduolo.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Mannino ed altri n.  5-02758 dell'8 maggio 2014 in interrogazione a risposta orale n.  3-02007.

ERRATA CORRIGE

      L'interrogazione a risposta in Commissione Fregolent n.  5-07702 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  565 del 9 febbraio 2016. Alla pagina 33859, seconda colonna, della riga nona alla riga undicesima, deve leggersi: «artistico di Murano» nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell'umanità dell'Unesco, al fine di» e non come stampato.