XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Risoluzione in Commissione:
La III Commissione,
premesso che:
il Sahara occidentale era in origine un territorio coloniale spagnolo. Negli anni ’70 la Corte internazionale di giustizia escluse che tale territorio potesse definirsi una terra nullius o che su di esso potessero vantare dei diritti altri Stati terzi e decretò la necessità di procedere alla sua definitiva decolonizzazione a favore di un processo di autodeterminazione del popolo saharawi;
incuranti del parere della Corte, il Marocco e la Mauritania si divisero de facto il suddetto territorio finché la seconda lasciò da solo il Marocco a contrastare il movimento di liberazione denominato Fronte Polisario;
nel 1991, l'Onu riuscì a ottenere il cessate il fuoco sul Sahara Occidentale, che da allora è diviso da un muro di oltre 2000 chilometri, in parte occupato dal Marocco e in parte liberato. Nello stesso anno, una risoluzione dell'Onu ha autorizzato la missione Minurso affinché si organizzasse un referendum, mai indetto;
oggi, la Repubblica Democratica Araba del Sahrawi, istituita dal Fronte Polisario, è riconosciuta da più di 80 Stati e le istanze di autodeterminazione del suo popolo sono supportate anche dall'Onu e dall'Unione europea;
con la sentenza del 10 dicembre 2015, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha riconosciuto la legittimazione ad agire del Fronte Polisario dopo l'accordo commerciale stipulato tra il Regno del Marocco e l'Unione europea nel 2012 concernente la «protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli, dei prodotti agricoli trasformati, del pesce e dei prodotti della pesca»;
con questo accordo venivano, di fatto, ridotti o eliminati i dazi su alcuni prodotti agricoli e della pesca tra Europa e Marocco;
la Corte ha ritenuto fondate le doglianze del Fronte, evidenziando la necessità di interpellare la popolazione saharawi, e non il Marocco, qualora si vogliano commerciare le sue merci;
nei 251 punti della sua decisione, la Corte ha analizzato le violazioni dei diritti di libertà, autodeterminazione, proprietà, spostamento, che sarebbero indirettamente legittimate dall'Unione europea, con la conclusione di un accordo che di fatto consente al Marocco di sfruttare economicamente quelle zone;
la Corte ha ritenuto, altresì, che il Consiglio dell'Unione europea non abbia preso in considerazione il fatto che l'accordo avrebbe trovato applicazione anche su di un territorio conteso. Sebbene non sussista alcun divieto di concludere patti che investano zone contese, i diritti fondamentali delle popolazioni non possono essere a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo immolati alle ragioni economiche dell'accordo. In questo caso, il rischio di sfruttamento è alto, tanto più che il Marocco non ha mai riconosciuto il primato degli interessi di un territorio che continua, a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo a considerare erroneamente di sua proprietà,
impegna il Governo
a adottare ogni iniziativa utile, per quanto di competenza, per identificare gli strumenti necessari per la puntuale verifica dell'effettiva provenienza dei prodotti agricoli e della pesca dal Marocco al fine di impedire, nel rispetto della citata sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, l'ingresso nel nostro Paese di prodotti provenienti dai territori occupati del Sahara.
(7-00922) «Manlio Di Stefano, L'Abbate, Spadoni, Gallinella, Sibilia, Gagnarli, Grande, Lupo, Di Battista, Massimiliano Bernini, Del Grosso, Parentela, Scagliusi».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
DI BATTISTA, SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, SIBILIA, DEL GROSSO e SPADONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
l'interrogante già con un atto di sindacato ispettivo – l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06279, rimasta priva di risposta – ha sottoposto all'attenzione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale la vicenda del minore A.L. che, a pochi mesi di vita, è stato condotto in Romania dalla madre signora G.L.L., senza fare più rientro in Italia e senza intrattenere alcun tipo di rapporto con il padre signor S.L.;
il signor S.L. ha adìto l'autorità giudiziaria italiana ottenendo, in primo grado, un provvedimento (sentenza del 28 giugno 2013), emesso dal tribunale di Teramo, con il quale è stato disposto l'affidamento del minore in via esclusiva al padre, con obbligo di immediato rientro in Italia del piccolo A.;
la corte d'appello di L'Aquila, a seguito del gravame proposto dalla signora G., ha però ribaltato completamente l'esito del giudizio di prime cure riconoscendo la sentenza n. 7660/2010 del tribunale di primo grado del settore 3 di Bucarest, nel frattempo emessa dalle autorità giudiziarie rumene e passata giudicato (provvedimento che in ogni caso garantisce al padre il diritto «di avere relazioni personali con il minorenne ossia potrà visitarlo all'alloggio dell'attrice due volte al mese, nel primo e nel terzo week-end, il sabato e la domenica, potrà trascorrere un mese, ossia il mese di agosto di ogni anno, al suo alloggio in Italia»);
come si evidenziava nel citato atto di sindacato ispettivo, a prescindere dagli aspetti giuridici relativi a questioni di litispendenza internazionale, è di fondamentale importanza assicurare il diritto del padre, S.L., di vedere suo figlio, di trascorrere del tempo con lui, di contribuire al suo mantenimento ed alla sua educazione, di sapere dove si trovi e di avere notizie sul suo stato di salute;
purtroppo ad oggi ancora nessun risultato è stato ottenuto (ed anzi si sono perse del tutto le tracce del piccolo A.) ed i diritti del signor S.L. vengono, giorno dopo giorno, sempre più calpestati e violati;
viceversa sono molteplici i trattati e gli accordi internazionali in materia, posti a tutela del fanciullo, con i quali si garantisce il diritto dei minori ad intrattenere rapporti personali con entrambi i genitori: Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (ratificata dall'Italia con legge n. 64 del 1994), Regolamento (CE) n. 2201 del Consiglio dell'Unione Europea del 27 novembre 2003 (cosiddetto regolamento di Bruxelles II-bis), della Convenzione ONU di New York del 20 novembre 1989 sui diritti dell'infanzia (ratificata dall'Italia con legge n. 176 del 1991);
il signor S.L. ha tentato tutte le vie istituzionali al fine di poter rivedere suo figlio ed al fine di capire dove si trovi;
si è rivolto all'ambasciata d'Italia a Bucarest, ma, nonostante i numerosi contatti e le attività poste in essere dall'ufficio diplomatico, alcun risultato concreto è stato ottenuto;
è stata inoltre attivata la procedura di cui all'autorità centrale presso il Ministero della giustizia, prevista dagli articoli 3 e seguenti della legge 15 gennaio 1994, n. 64, la quale ha però dato riscontro evidenziando che «non pare potersi utilizzare lo strumento convenzionale per ottenere il ritorno in Italia di A., non potendosi – o non potendosi più – ravvisare una sottrazione internazionale a distanza di tanti anni ed essendosi nel frattempo consolidata in Romania la residenza abituale del minore»;
risulterebbe, però, dalla documentazione che l'ambasciata d'Italia in Romania ha cortesemente fatto sapere al signor S.L., che il minore non si trovi più in Romania, poiché il Ministero dell'educazione e della ricerca scientifica della Romania riporta in una nota che «Nell'anno scolastico 2014-2015, il minore sopramenzionato è stato iscritto alla Scuola Ginnasio n. 86, Settore 3, Bucarest, nella classe II. Egli non ha frequentato i corsi, per cui l'unità d'insegnamento ha preso contatto con la madre e la nonna materna che hanno comunicato la loro intenzione di sollecitare un trasferimento del minore senza specificarne il motivo o l'unità in cui quest'ultimo avrebbe continuato i suoi studi. ... Dalle applicazione informatiche SIIR e BDNE risulta che il minore non è iscritto ad un'altra scuola del Paese»;
pertanto, ad oggi, il piccolo A.L. risulta a tutti gli effetti scomparso;
conseguentemente, in data 26 novembre 2015, il padre del piccolo A., ha presentato denuncia di scomparsa del minore alla procura della Repubblica presso il tribunale di Teramo senza ricevere, ad oggi, alcuna notizia;
infine si consideri che il signor L. ha anche preso contatti con il commissario straordinario per le persone scomparse in persona del prefetto Piscitelli il quale, a seguito di un incontro avuto il 30 dicembre 2015 con il padre del minore A., ha riferito di aver appreso dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale che «il bambino sta bene e vive con la madre» senza chiarire in quale Paese si trovi e come possa essere messo in contatto con il padre;
a ciò si aggiunga che il commissario straordinario, prefetto Piscitelli, durante il predetto incontro del 30 dicembre 2015, ha rassicurato S.L. sulla possibilità di inserire il nome di A. nella «Yellow Notice», ossia una lista di minori scomparsi che consentirebbe l'intervento dell'Interpol e che, evidentemente, avrebbe maggiori probabilità di rintracciare il minore in tutta Europa;
il medesimo prefetto Piscitelli, con una recente mail, ha inoltre avvisato il signor S.L. che, prima di inserire A. nella «Yellow Notice», avrebbe dovuto acquisire il parere del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Teramo sulla denuncia di scomparsa;
alla luce delle considerazioni appena effettuate risulta evidente come sia del tutto farraginosa e complicata la procedura volta a garantire i diritti di un genitore di avere notizie e di avere rapporti con i propri figli condotti all'estero;
nello specifico la pluralità di funzioni e competenze, in capo ai Ministeri competenti, non sembrano dare le adeguate garanzie, mancando un coordinamento efficace necessario per far fronte al difficile problema dei figli minori sottratti da uno dei due genitori;
a maggior ragione la situazione si complica laddove, come nel caso di specie, i figli minori vengono sottratti in Italia e poi portati all'estero con tutte le problematiche del caso in ordine alla difficile di collaborazione e cooperazione a livello extra statuale;
il drammatico fenomeno della sottrazione internazionale dei figli minori da parte di uno dei coniugi, si sta purtroppo diffondendo sempre di più negli ultimi anni e, per tale ragione, si ritiene necessario che il Governo dia delle risposte immediate alle istanze dei genitori che chiedono solo di tutelare i loro diritti e quello dei minori sanciti, come si è detto, dalle molteplici convenzioni internazionali e disposizioni nell'ambito dell'Unione europea citate –:
di quali informazioni disponga il Governo in ordine alle condizioni di salute del minore A.L. e quali iniziative il Governo intenda assumere affinché il medesimo possa, nel più breve tempo possibile, incontrare ed intrattenere normali e quotidiani rapporti con il padre S.L.;
se siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e della gravità del fenomeno della sottrazione internazionale dei minori;
quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di garantire una procedura rapida ed efficace che dia riscontro alle esigenze di tutela del diritto di un genitore di avere notizie e di vedere il proprio figlio condotto all'estero, nonché al diritto del minore di intrattenere rapporti personali con entrambi i genitori, come espressamente sancito e riconosciuto da più fonti di diritto internazionale;
se non ritengano necessario adottare iniziative normative volte all'introduzione di strumenti efficaci che consentano un coordinamento tra i Ministeri di competenza e, con specifico riferimento alla sottrazione e scomparsa di minori, quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di agevolare la cooperazione internazionale in materia giudiziaria e di polizia, e di garantire un efficace raccordo e coordinamento tra i Paesi interessati;
se possano fornire chiarimenti in ordine all'inserimento o meno del piccolo A.L. nella «Yellow Notice» dell'Interpol e se non ritengano in ogni caso necessario, alla luce della sua scomparsa, che il minore A.L. venga immediatamente inserito nella predetta International Yellow Notice, al fine di segnalare la scomparsa e la sottrazione del minore alle forze di polizie europee. (5-07804)
DELL'ORCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il Governo è delegato ad adottare, entro il 18 aprile 2016, un decreto legislativo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, rispettivamente sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché, entro il 31 luglio 2016, un decreto legislativo per il riordino complessivo della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture con la previsione, tra le altre, anche di misure volte a garantire il rispetto dei criteri di sostenibilità energetica e ambientale nell'affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, facendo ricorso anche al criterio di aggiudicazione basato sui costi del ciclo di vita e stabilendo un maggiore punteggio per i beni, i lavori e i servizi che presentano un minore impatto sulla salute e sull'ambiente;
il decreto di riordino conterrà anche criteri di armonizzazione delle norme in materia di trasparenza, pubblicità, durata e tracciabilità delle procedure di gara e delle fasi ad essa prodromiche e successive, anche al fine di concorrere alla lotta alla corruzione, di evitare i conflitti d'interesse e di favorire la trasparenza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, individuando espressamente i casi nei quali, in via eccezionale, è possibile ricorrere alla procedura negoziata senza precedente pubblicazione di un bando di gara. Si prevederà inoltre l'avvio delle procedure ad evidenza pubblica per l'affidamento delle nuove concessioni autostradali non meno di ventiquattro mesi prima della scadenza di quelle in essere, con revisione del sistema delle concessioni autostradali, con particolare riferimento all'introduzione di un divieto di clausole e disposizioni di proroga, in conformità alla nuova disciplina generale dei contratti di concessione. Il suddetto decreto prevederà inoltre una particolare disciplina transitoria anche per l'affidamento delle concessioni autostradali che, alla data di entrata in vigore del decreto di recepimento delle direttive, siano scadute o prossime alla scadenza, onde assicurare il massimo rispetto del principio dell'evidenza pubblica nonché per le concessioni in house, ai sensi dell'articolo 17 della direttiva 2014/23/UE;
nelle more di questi provvedimenti si sta però procedendo con decise azioni che riguardano alcuni concessionari e concessioni scadute e, in particolare, quella per la A22 di Autobrennero spa, scaduta il 30 aprile 2014. Quest'ultima concessione, sembrerebbe a sua volta legata anche alla possibilità di Autobrennero di investire in altre grandi opere come ad esempio nell'autostrada regionale Cispadana (di cui detiene il 51 per cento delle quote societarie), infrastruttura al momento di competenza della regione Emilia Romagna che, come previsto da un emendamento approvato nel corso dell'esame del decreto «sblocca Italia» (articolo 5-bis), potrebbe essere trasferita sotto la competenza statale;
il suddetto passaggio di competenza certificherà di fatto che l'autostrada Cispadana, infrastruttura nata per rispondere alla domanda di mobilità dell'area nord orientale della regione Emilia Romagna, diventerà invece sempre più un'autostrada di attraversamento della regione, destinata ancora una volta ad agevolare il passaggio di merci su gomma e non in linea con i dettami europei in termini di consumo di suolo, di inquinamento atmosferico ed in termini trasportistici, che prevedono un passaggio di una quota di trasporto merci dalla gomma al ferro;
il 10 febbraio 2016 il Consiglio dei ministri ha esaminato, a norma dell'articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge n. 400 del 1988, le cause di contrasto sorte fra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero dei beni e le attività culturali e del turismo, nell'ambito della pronuncia di compatibilità ambientale del progetto definitivo dell'autostrada regionale Cispadana. Il Consiglio dei ministri ha di fatto sbloccato la concessione della valutazione d'impatto ambientale condividendo la proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in merito al tracciato in prossimità del comune di S. Agostino e della frazione di San Carlo, prevedendo lo spostamento del medesimo tracciato a nord della frazione di San Carlo;
di fatto dunque il Governo sembrerebbe voler procedere all'avvio di quest'opera sebbene non solo il tracciato e la sua valutazione di impatto ambientale non sia pienamente condivisa ma soprattutto anche il suo quadro finanziario sia ancora poco chiaro. Lo stesso articolo 5-bis del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014, così come convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, prevederebbe che infatti che il Cipe garantisca, dopo una ricognizione dei rapporti attivi e passivi in essere, la sostenibilità finanziaria del progetto e del piano economico-finanziario, da cui non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato;
il progetto al momento sembrerebbe però tutt'altro che sostenibile: il quadro finanziario dell'opera nel 12o allegato infrastrutture prevedeva infatti un costo di 1 miliardo e 308 milioni di cui solo 179 milioni a carico pubblico delle regioni e i restanti da privati. Al momento però se la manovra societaria (prevista dall'accordo tra le parti firmato il 14 gennaio 2016 presso il Ministero dei trasporti) per rendere totalmente pubblica Autobrennero andrà in porto, ciò significherà che anche il 51 per cento delle quote societarie di Autobrennero in Autostrada regionale Cispadana saranno del tutto pubbliche;
a complicare il quadro finanziario dell'opera bisogna aggiungere il fatto che il 19,3 per cento delle azioni di Arc è nelle mani di Coopsette cooperativa di Castelnovo di Sotto che dopo alterne vicende è attualmente in fase di liquidazione coatta –:
se, alla luce della direttive europee richiamate in premessa e di prossima attuazione, nonché dell'articolo 5-bis «sblocca Italia» e stanti le difficoltà finanziarie per quest'opera, il Governo sia intenzionato comunque a portare avanti il progetto dell'autostrada Cispadana e a procedere con il passaggio di competenze allo Stato;
se il Governo ritenga il progetto della Cispadana in linea con i dettami europei in termini di consumo di suolo, di inquinamento atmosferico ed in termini trasportistici, che prevedono un passaggio di una quota di trasporto merci dalla gomma al ferro, nonché compatibile con la procedura di infrazione europea in corso per il superamento consistente delle soglie per la concentrazione di particolato Pm10 in tutta la Pianura Padana (Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia e Veneto), a Roma e a Napoli;
quanto costeranno le ultime modifiche del progetto dell'autostrada regionale Cispadana deliberate il 10 febbraio 2016 in Consiglio dei ministri;
quanto costerà alle casse statali l'acquisto di quote societarie private di Autobrennero spa e quali ricadute ciò avrà sull'assetto societario dell'Autostrada regionale Cispadana e se ciò potrà comportare la necessità di rendere disponibili ulteriori fondi statali anche per il finanziamento della Cispadana ed eventualmente a quanto potrebbero ammontare. (5-07808)
Interrogazioni a risposta scritta:
CIRIELLI e PETRENGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
è di poche settimane fa la notizia, a giudizio dell'interrogante assurda, che il Governo Renzi, all'insaputa di tutti, avrebbe regalato alla Francia decine di migliaia di acque territoriali al largo delle coste della Liguria e della Sardegna;
l'accordo internazionale, siglato a Caen il 21 marzo 2015 tra il Ministro degli esteri francese Fabius e quello italiano Gentiloni, prevede modifiche ai confini marittimi tra i due Paesi con la cessione, in particolare, di porzioni infinite di mare alla Francia, in particolare quelle aree notoriamente più pescose e battute dalle imbarcazioni;
tale incredibile operazione, compiuta in spregio non solo dei cittadini italiani ma anche delle istituzioni è, peraltro, balzata agli onori delle cronache solo dopo che alcuni pescherecci della regione Liguria, convinti di pescare in acque italiane, sono stati fermati dalle autorità transalpine;
notizie analoghe a quanto accaduto ai pescherecci liguri stanno arrivando anche dalla Sardegna: è successo, infatti, che alcune imbarcazioni provenienti da Alghero ed impegnate in una battuta nelle zone dove erano solite recarsi siano anch'esse state fermate dalla guardia costiera francese, con l'accusa di aver violato le loro acque territoriali;
l'accordo sarebbe stato fatto scattare nei giorni scorsi in modo unilaterale dalla Francia, considerato che lo ha già fatto ratificare al proprio parlamento, mentre non altrettanto ha fatto il Governo italiano che ha agito in modo silente e non lo ha mai sottoposto al Parlamento per la ratifica;
sono sconosciute le motivazioni che hanno portato alla definizione di un accordo così penalizzante e soprattutto senza alcun coinvolgimento delle autorità nazionali, locali e delle stesse categorie produttive interessate;
viste le modalità con le quali i cittadini italiani stanno prendendo coscienza del fatto, non è escluso che anche altre siano le aree passate, in perfetto silenzio, sotto la sovranità dei francesi –:
quali elementi intendano fornire in relazione ai fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative ritengano opportuno adottare per fare chiarezza su questa vicenda e per impedire immediatamente altre azioni di blocco delle imbarcazioni italiane prima che l'accordo internazionale venga ratificato anche dal Parlamento italiano, e se siano state cedute altre porzioni del territorio italiano a Stati esteri.
(4-12125)
RICCIATTI, MARCHETTI, LODOLINI, LUCIANO AGOSTINI, COSTANTINO, PANNARALE, NICCHI, DURANTI, PELLEGRINO, GREGORI, SCOTTO, FRATOIANNI e FAVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
la violenza contro le donne ha assunto ormai da tempo i connotati di una vera e propria emergenza nazionale costituendo la prima causa di morte per le donne. Questa problematica, come è noto, attraversa in maniera trasversale ogni strato della nostra società senza distinzione di certo, etnia, età;
i centri antiviolenza, attraverso la propria attività di accoglienza e assistenza alle vittime di violenza, le azioni, culturali nelle scuole, le campagne di sensibilizzazione nei territori, il lavoro di raccordo tra gli enti istituzionali che contrastano la violenza svolgono un ruolo prioritario e determinante;
tra gli scopi fondamentali che i centri antiviolenza perseguono, vi è la possibilità concreta di aiutare le donne ad uscire da una condizione di violenza, sofferenza e pericolo nella la quale si trovano, mettendo a disposizione spazi e figure specializzate in grado di sostenerle;
più nel dettaglio, nei centri antiviolenza del nostro territorio si svolgono colloqui telefonici e preliminari per individuare i bisogni e fornire le prime informazioni utili, accoglienza delle vittime di violenza per definire il percorso di presa in carico e di uscita dalle dinamiche di violenza subita, assistenza psicologica, consulenza di carattere legale, sostegno nel cercare soluzioni per ospitalità temporanea alle vittime e ai loro figli minori;
si realizza l'attivazione della rete di protezione antiviolenza (che nella provincia di Pesaro si è costituita con l'apertura del centro, nel 2009) e che oggi copre l'intero territorio e consente ai soggetti che ne fanno parte di confrontarsi e di condividere la cultura del lavoro e allo stesso tempo sostenere il processo di accoglienza, presa in carico e accompagnamento delle vittime;
sono parte della rete tutti i comuni attraverso gli ambiti territoriali sociali, le forze dell'ordine (la questura, la prefettura, il comando provinciale dei carabinieri) servizi socio/sanitari (l'azienda ospedaliera, ospedali riuniti Marche Nord, l'Asur – Area Vasta), alcuni ordini professionali (l'ordine dei medici e degli psicologi delle Marche);
numerosi sono gli interventi e le strategie concertate nei tavoli operativi e istituzionali che si tengono periodicamente che la rete e il centro antiviolenza organizzano: campagne di sensibilizzazione sul territorio, interventi a carattere educativo alla non violenza e al rispetto dei generi nelle scuole e altro;
inoltre il centro è collegato con la casa di emergenza, a valenza regionale, la cui finalità principale è quella di mettere in sicurezza la donna vittima di violenza, insieme ai propri figli minorenni, quando si ritiene che la stessa sia esposta ad una situazione di pericolo rispetto alla propria incolumità. Il periodo di permanenza, 4 giorni completamente gratuiti (allungabile fino ad un massimo di 15 giorni dietro impegno di pagamento di una retta), servirà ai servizi sociali di riferimento, insieme ai servizi consultori, laddove vi siano figli minorenni, per elaborare un progetto di uscita dalla situazione di violenza che sia a lungo termine e che prevede una maggiore complessità rispetto ad una soluzione di emergenza;
i dati sopra riportati vanno ad evidenziare la necessità di un tempo ulteriore a quello di quattro giorni previsti dal progetto iniziale e non sufficienti ai servizi per stendere un progetto efficace e realizzabile;
nel corso del primo anno di apertura, da dicembre 2013 a dicembre 2014, sono state accolte 27 donne di età compresa tra i 19 e i 48 anni (due delle quali in attesa di un figlio) e 33 bambini di età compresa tra 7 mesi e 16 anni;
i numeri elevati di accessi vanno a confermare quanto sia il forte il bisogno al quale siamo andati a rispondere e di quanto fosse necessario ampliare l'offerta dei servizi per le donne vittime di violenza presenti nelle Marche;
il centro antiviolenza provinciale «Parla con Noi» di Pesaro è diventata negli anni, una realtà consolidata del territorio e ha visto aumentare nel corso del tempo le vittime che hanno trovato in questo servizio una speranza di vita migliore per loro e per i propri figli, inoltre il centro, affiancato dalla casa di emergenza (quest'ultima aperta nel comune di Pesaro nel 2014 – grazie ad un progetto al quale ha partecipato la regione Marche e le province marchigiane), ha offerto un valido sostegno ai servizi erogati solitamente dai comuni;
nonostante questo si è assistito al progressivo ridursi dei fondi destinati a questa tematica con il rischio concreto di non riuscire a mantenere aperto il servizio;
a ciò si aggiunge una richiesta sempre più qualificata di persone e di attività: l'articolo 3, comma 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 luglio 2014 per centri antiviolenza recepiti dalla regione Marche con DGR n. 451 del 28 maggio 2015, prevede – oltre l'ascolto, l'accoglienza, l'assistenza psicologica e legare – anche l'orientamento al lavoro, il supporto ai minori vittime di violenza assistita, percorsi di inclusione lavorativa, orientamento all'autonomia abitativa, l'apertura di almeno cinque giorni alla settimana – ivi compresi i giorni festivi – per la formazione iniziale e continua per il personale;
a Pesaro, così come in altri centri antiviolenza della regione, ci si avvale soprattutto di personale volontario (avvocati e psicologhe) e, nel nostro specifico caso, facenti parte di una associazione di promozione sociale «Percorso Donna» (da sempre partner della provincia) e da operatrici addette all'accoglienza e all'accompagnamento delle vittime appartenenti ad una Cooperativa che gestisce il servizio;
la riduzione di fondi rappresenta quindi un ostacolo enorme che interessa tutti i centri antiviolenza della regione Marche e che non permette di programmare e di dare risposte adeguate alle vittime di violenza;
i centri antiviolenza, per garantire la loro attività, hanno beneficiato fin dalla loro istituzione del finanziamento regionale previsto dalla legge n. 32 del 2008, recante interventi contro la violenza alle donne, che ha istituito i centri antiviolenza nelle Marche, che usufruiscono dei fondi di bilancio provinciale;
a seguito della legge n. 56 del 2014, sono intervenute significative modifiche che hanno ridotto le competenze in capo alle province, non prevedendo espressamente le province più competenti in materia di violenza di genere e, di seguito, la legge regionale n. 13 del 2015 non ha previsto, tra le funzioni trasferite alle regioni, quelle specifiche di cui alla legge regionale n. 32 del 2008;
a ciò vanno aggiunte le modifiche apportate dalla legge regionale n. 32 del 2014, la quale è dato disposto che le risorse per la violenza vanno reperite dal fondo delle politiche sociali (che ha subito tagli considerevoli) connessi al piano triennale sociale (in fase di completamento) e quindi connesse ai piani gestiti dagli ambiti;
conseguentemente, le modifiche alla normativa regionale hanno inserito il contrasto alla violenza nella programmazione degli ambiti, i quali hanno sempre meno risorse per far fronte a tutti i servizi che devono gestire;
anche il piano straordinario contro la violenza ha a previsto un modello di governance centrato sugli ambiti territoriali sociali, ma di fatto il piano risulta bloccato soprattutto per la parte finanziaria di sostegno ai centri antiviolenza e alle iniziative di contrasto;
nel 2015 è stato presentato alla regione marche il progetto di gestione del centro antiviolenza, in partenariato con i 6 ambiti territoriali sociali del territorio e il progetto è stato accolto e, finanziato dalla regione con fondi propri e con fondi statali;
per il 2016, in ossequio alle normative suindicate, è stato richiesto che l'ambito di Pesaro si facesse carico della progettazione e gestione del centro «Parla con Noi» per tutta l'area vasta da sottoporre a finanziamento alla regione Marche. La provincia, in partenariato con tutti gli altri ambiti, fornisce il supporto necessario per l'avvio di questo nuovo percorso e mantiene il coordinamento;
l'ambito di Pesaro, con delibera di giunta comunale n. 108 del 9 giugno 2015 si è reso disponibile a farsi carico del servizio, subordinando però il suo impegno alla reale disponibilità di fondi da parte della regione Marche e degli ATS del territorio che andranno a garantire la necessaria copertura finanziaria;
nel 2015 il servizio del centro antiviolenza «Parla con Noi» è costato euro 64.019,16;
l'importo e stato coperto in parte da contributi pubblici (Stato, regione ambiti territoriali sociali) e in parte da privati (attraverso raccolte di fondi), nei primi 4 mesi dell'anno (gennaio/aprile), il centro ha lavorato a regime ridotto senza la presenza di psicologhe, di supervisore e di un'operatrice di rete;
per il 2016, si prevede un costo del servizio pari a euro 78.000, finalizzati a garantire i servizi minimi richiesti dall'intesa Stato/regioni sopra citata (orari, giornate di apertura, servizi, personale);
attualmente – tuttavia – il centro sta procedendo con proroghe del servizio mensili (grazie a piccole donazioni e qualche importo versato dagli ambiti), il costo del servizio per il mese di gennaio è stato di euro 6.500, il costo del servizio per i mesi di febbraio/marzo è di appena di euro 7.800 complessivi;
il servizio è quindi attualmente ridotto di personale e di orari e al momento, stando così le cose, non sono presenti i fondi minimi per garantire i costi dei prossimi mesi;
attualmente, non risultano ancora pervenuti i fondi dalla regione previsti, per l'annualità 2015, dall'articolo 5-bis della legge n. 119 del 2013, per la gestione 2016 del contrasto alla violenza;
dal riparto effettuato dalla regione Marche, secondo criteri prestabiliti, l'importo complessivo da destinare ai 5 centri della regione ammonta ad euro 98.000 e, a Pesaro, spetterebbero solo euro 23.000, sufficienti solo per alcune mensilità;
lavorare in emergenza senza la possibilità di una programmazione determina problematiche a cascata, legate ai fondi che arrivando in ritardo (se arrivano) e vanno a creare disservizi per il funzionamento dei centri i quali devono preventivare gestione annuale, appalti, progettazione –:
quando saranno disponibili i fondi già previsti dal piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere;
a che punto siano le procedure per l'accesso ai fondi PON 2014/2020, previsti nel medesimo piano straordinario contro la violenza;
come saranno ripartiti tali fondi negli anni tra gli enti territoriale e in quale modo;
se questo tema di forte e tragica attualità non debba diventare una priorità strategica e un impegno costante e del Governo e se questo non implichi, in prima istanza, la necessità di assumere iniziative per un aumento delle risorse che garantiscano il mantenimento dei centri antiviolenza del territorio per la valorizzazione delle azioni a supporto delle vittime e che permettano la prevenzione del fenomeno a tutto campo;
se non ritenga di assumere iniziative per quanto di competenza, nell'ottica di un sostegno ai centri antiviolenza da parte del Governo – oltre che dalla regione e dagli ambiti territoriali – per garantire una previsione triennale di erogazione dei fondi statali per il sostegno di centri antiviolenza, affinché gli appalti di gara per la gestione dei servizi diventino anch'essi triennali così da garantire stabilità e certezze;
se il Governo non ritenga che la certezza di fondi statali determinerebbe a sua volta una ottimizzazione delle risorse grazie a una programmazione triennale. (4-12126)
SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
come rilevato dalla stampa nazionale, Guido Piacentini, vicepresidente di Amazon, è stato nominato consulente del Governo per il digitale, a titolo rigorosamente gratuito, per la durata di due anni a partire dal mese di agosto 2016. Per quanto risulta, in particolare, Guido Piacentini, dovrebbe prendere due anni di aspettativa da Amazon: il che significa, in buona sostanza che, dopo due anni al servizio del Governo italiano, potrà tornare in azienda e per due anni non riceverà alcuno stipendio né dall'azienda, né dal Governo italiano;
tale notizia è stata accolta con particolare entusiasmo da Jeff Bezos, amministratore delegato di Amazon, nonostante sia costretto a perdere per un lungo periodo di tempo uno dei suoi migliori top manager;
Guido Piacentini dovrebbe esercitare un ruolo di coordinamento affiancando l'Agid (l'Agenzia per l'Italia Digitale), il consigliere per il digitale e il digital champion;
Amazon nel corso del 2015 ha portato in Italia 600 nuovi posti di lavoro;
il nome di Amazon, come si apprende dalla stampa nazionale, è anche circolato insieme a quello di Apple e Google in relazione a un'inchiesta della procura di Milano per elusione fiscale. Apple ha dovuto pagare 318 milioni di euro, Google 320 milioni di euro. E su Amazon era stato aperto un fascicolo a carico di ignoti, senza ipotesi di reato. Vi sarebbero poi talune questioni legate ai mercati in cui Amazon è un player fondamentale. Dalle spedizioni (Bezos intende creare un servizio di corrieri interni all'azienda), ai servizi di sviluppo del cloud (in parole semplici, una nuvola virtuale in cui conservare i dati): proprio quelli che farebbero tanto comodo alla digitalizzazione della pubblica amministrazione italiana;
si rileva infine che il quadro strategico nazionale per la sicurezza dello spazio cibernetico, elaborato da tavolo Tecnico Cyber (TTC) – che opera presso il Dis (Il dipartimento per le informazioni per la sicurezza) e al quale partecipano i rappresentanti cyber del Cisr (affari esteri, interno, difesa, giustizia, economia e finanze, sviluppo economico), ma anche dell'Agenzia per l'Italia Digitale e del Nucleo per la sicurezza cibernetica – delinea le linee strategiche nazionali nel medio-lungo periodo deputate a fornire una panoramica delle principali minacce – dalla criminalità informatica allo sfruttamento delle tecnologie Ict per fini terroristici, dall’«hacktivismo» allo spionaggio cibernetico, dal sabotaggio per via informatica ai conflitti nella 5a dimensione – e delle vulnerabilità sfruttate per la conduzione di attacchi nello spazio cibernetico. Il documento oltre a definire i ruoli e i compiti dei soggetti pubblici individua inoltre: 1) strumenti e procedure per potenziare le capacità cibernetiche del Paese; 2) gli indirizzi strategici che includono il miglioramento, secondo un approccio integrato, delle capacità tecnologiche, operative e di analisi degli attori istituzionali; 3) il potenziamento delle capacità di difesa delle infrastrutture critiche nazionali e degli attori di rilevanza strategica per il sistema-Paese; 4) l'incentivazione della cooperazione tra istituzioni e imprese nazionali; 5) la promozione e la diffusione della cultura della sicurezza cibernetica; 6) il rafforzamento delle capacità di contrasto alla diffusione di attività e contenuti illegali on-line; 7) il rafforzamento della cooperazione nazionale in materia di sicurezza cibernetica –:
se il Governo non abbia considerato la circostanza di un potenziale conflitto di interesse in capo a Guido Piacentini che, nei due anni a servizio del Governo italiano a titolo gratuito, potrebbe trovarsi a parere dell'interrogante nelle condizioni di favorire gli interessi dell'aziende dove dovrebbe rientrare dopo il termine del periodo di aspettativa, ovvero Amazon;
se il Governo sia in grado di chiarire se Guido Piacentini, vicepresidente di Amazon, avrà o meno un ruolo di rilievo con riferimento alla cybersecurity italiana. (4-12136)
CAPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 settembre 2007 recante la «dichiarazione di ”Grande Evento” relativa alla Presidenza italiana del G8 nell'anno 2009» venne stabilito di svolgere il Vertice G8 nell'isola di La Maddalena, con il dichiarato intento di rilanciare in chiave turistica l'economia del nord Sardegna e, in particolare, dell'arcipelago de La Maddalena, all'indomani dello smantellamento della base navale americana;
per la realizzazione dei ventisettemila metri quadri di edifici previsti dal progetto sono stati stanziati circa 327 milioni di euro di denaro pubblico dei quali almeno cento milioni ottenuti utilizzando le risorse finanziarie del fondo aree Sottoutilizzate e assegnati agli appaltatori mediante le procedure semplificate previste dalla protezione civile per il G8;
dopo un anno dall'inizio dei lavori, incurante delle importanti ricadute economiche e strutturali che questa decisione avrebbe comportato sull'economia del territorio maddalenino, il Governo, con l'articolo 17 del decreto-legge n. 39 del 28 aprile 2009, ha disposto di spostare il Vertice G8 a L'Aquila, senza peraltro individuare un percorso progettuale alternativo ma egualmente efficace rispetto agli obiettivi originariamente perseguiti;
nonostante, infatti, le ampie rassicurazioni offerte dal Governo dell'epoca circa il completamento e la riqualificazione delle opere in corso di realizzazione e programmate nell'isola di La Maddalena, ad oggi, tutte le strutture edificate, prime fra tutte quelle che sorgono in luogo dell'ex Arsenale e dell'ex ospedale militare versano in uno stato di totale abbandono e subiscono progressivamente lesioni delle parti edilizie di rilevante gravità tali da porre a rischio la stabilità di intere costruzioni;
la mancata bonifica delle aree a mare prospicienti l'area dell'ex arsenale ha reso inutilizzabile, tra l'altro, quello che nel progetto iniziale avrebbe dovuto essere un hotel extra lusso 5 stelle con tanto di porto turistico annesso. Per esso sono stati spesi, secondo i dati della protezione civile ben 118.946.000,00 euro (48.400.000,00 euro per la ristrutturazione dell'arsenale in albergo + 23.436.000,00 euro per la realizzazione di servizi connessi + 41.610.000,00 euro per l'adeguamento del bacino dell'arsenale in porto turistico + 5.500.000,00 euro per il piano di caratterizzazione e la prima bonifica ambientale);
nel maggio 2011, il comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente di Sassari, su disposizione della procura della Repubblica presso il tribunale di Tempio Pausania, hanno posto sotto sequestro preventivo i 60 mila metri quadri di specchi acquei e fondali prospicienti l'ex arsenale per verificarne lo stato di inquinamento successivo ad una prima bonifica. La perizia commissionata dalla procura di Tempio Pausania ha accertato che, dei sei ettari contaminati individuati inizialmente ed oggetto di una prima bonifica, si è passati a ben 12 ettari contaminati, proprio a causa della grave imperizia che a caratterizzato le operazioni di bonifica;
questi 12 ettari andranno adeguatamente bonificati prima di poter rendere utilizzabile l'area, con costi stimati intorno ai 10 milioni di euro, che si vanno ad aggiungere ai costi della prima bonifica, per un totale stimato di circa 15,5 milioni di euro;
la base di gara per l'assegnazione della gestione dell'ex arsenale prevedeva una quota minima una tantum di 40 milioni di euro e la proposta di un canone annuale di concessione destinato alla regione Sardegna, Unica partecipante e aggiudicataria della gara è stata la Mita Resort S.r.l. del gruppo Marcegaglia, verso il pagamento una tantum di 41 milioni di euro e un canone annuale di circa 60 mila euro. Questo a fronte dei quasi 500 mila euro annui di Imu pagati dalla regione autonoma della Sardegna quale proprietario dell'area;
stante l'inerzia di Stato e regione Sardegna nell'adoperarsi celermente per bonificare lo specchio d'acqua antistante l'ex arsenale e consentire l'utilizzo della struttura, la Mita Resort S.r.l. del gruppo Marcegaglia ha chiesto ed ottenuto la risoluzione della convenzione di gestione della struttura suddetta per inadempienza dello Stato. Inoltre, il tribunale civile di Cagliari ha stabilito che lo Stato paghi alla società suddetta un risarcimento pari a 39 milioni e 438 mila euro per i mancati guadagni;
appare evidente come lo stato di abbandono in cui versa tutta l'area assoggettata al progetto edificatorio per il Vertice G8 mai realizzato a La Maddalena, abbia generato e continui a generare un ingente danno alla finanza pubblica, tale da compromettere irreversibilmente l'utilizzo e la valorizzazione economica del compendio dell'ex arsenale militare, realizzato con ingentissime risorse pubbliche, e di conseguenza ad affossare lo sviluppo economico di un territorio e una comunità fortemente danneggiata nelle sue possibilità di sviluppo, a suo tempo già frenato dalla presenza di servitù militari;
la persistenza delle condizioni del sito, attestata delle analisi effettuate dall'Arpas di Sassari, su mandato della procura di Tempio Pausania, comunicate il 12 novembre 2012, circa la presenza di agenti inquinanti, costituisce un pericolo per la salute pubblica, oltre che un'emergenza ambientale, anche in considerazione del fatto che tutto l'Arcipelago di La Maddalena rientra nel parco nazionale omonimo ed è sito di importanza comunitaria (direttiva n. 92/43/CEE) –:
quali siano nel dettaglio i costi che lo Stato ha affrontato complessivamente per la realizzazione e la messa in funzione delle strutture previste nel progetto ideato per il Vertice G8 del 2009 e se, su tale spesa pubblica, poi di fatto risultata ad oggi priva di ogni utile ricaduta, siano in corso verifiche e valutazioni da parte dei competenti organi di controllo;
che stima sia stata fatta dei danni subiti ad oggi alla finanza pubblica e delle negative ricadute economico-sociali subite dalla comunità maddalenina e, più in generale dai territori galluresi;
quali rischi ambientali permangano, per il territorio e per la salute della popolazione di La Maddalena, a causa della mancata operazione di bonifica, chiarendo quali siano le ragioni che hanno impedito e impediscono gli interventi di bonifica, e di chi siano le responsabilità;
che cosa intenda fare il Governo, per quanto di competenza, per porre fine alla situazione attuale e per riconsegnare alle amministrazioni locali e regionale sarde il patrimonio risanato di strutture ricettive e civili dell'area dell'ex arsenale e di quelle ad esse connesse, tramite le forme consentite dalla legge e in particolare con quelle individuate dall'articolo 14 dello Statuto speciale, ai fini del necessario rilancio della attività economica e produttiva dell'arcipelago ai fini della costruzione di un nuovo progetto di sviluppo fondato sulla tutela e la valorizzazione del paesaggio e dell'ambiente. (4-12140)
PALESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
si è appreso che il Consiglio dei ministri ha fissato per il 17 aprile 2016 la data in cui dovrebbe tenersi il referendum cosiddetto «anti-trivelle»;
il 15 febbraio 2016 è stato emanato il relativo decreto del Presidente della Repubblica;
precedentemente da notizie di stampa sembrava essere stata individuata nel 12 giugno la data di svolgimento delle elezioni amministrative;
sin da subito, da più parti, era stato chiesto al Governo di indire a giugno un election day in cui tenere contemporaneamente amministrative e referendum. Ciò avrebbe comportato un risparmio di almeno 300 milioni di euro per le casse dello Stato ed avrebbe maggiormente favorito la partecipazione popolare al referendum;
a questi motivi di buon senso in favore dell’election day, se ne sono recentemente aggiunti altri di carattere amministrativo/giuridico che, ora, rischiano di far comunque slittare il referendum oltre la data del 17 aprile;
si apprende, infatti, dalla stampa che sei consigli regionali italiani hanno sollevato dinanzi alla Corte costituzionale due conflitti di attribuzione su altrettanti quesiti referendari esclusi dalla Corte di cassazione e che l'ammissibilità di questi due quesiti sarà decisa dalla Corte il 9 marzo 2016 mentre il 9 aprile è prevista la decisione di merito;
se la Consulta dovesse accogliere il ricorso delle regioni e riammettere anche uno solo dei quesiti, il referendum non potrebbe tenersi il 17 aprile perché dalla decisione della Consulta alla data del 17 aprile, non vi sarebbero i 45 giorni di campagna referendaria previsti dalla legge;
ragioni di buon senso (risparmio di 300 milioni di euro per le casse dello Stato e massima partecipazione popolare al voto referendario) e ulteriori ragioni legate alle date di udienza della Corte costituzionale avrebbero dovuto condurre il Governo a individuare con attenzione la data del referendum facendola coincidere con la data delle elezioni amministrative anche per evitare ulteriore confusione nella popolazione –:
se il Governo abbia attentamente valutato, in occasione della decisione assunta in merito all'individuazione della data di svolgimento della consultazione referendaria, l'esigenza di garantire la massima informazione (45 giorni di campagna referendaria), la massima partecipazione e il risparmio di fondi pubblici da parte dello Stato e, comunque, i possibili effetti derivanti dal procedimento avviato dinanzi alla Corte costituzionale, come evidenziato in premessa. (4-12142)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta orale:
SANTELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
in Calabria il Governo regionale ha riproposto il bando da 90 milioni di euro per l'esportazione dei rifiuti all'estero via mare, verso nuove destinazioni e l'utilizzo del porto di Corigliano Calabro come centro di smistamento;
la già martoriata piana di Sibari sarà al centro del bando, tramite l'impianto di stoccaggio di Bucita e il porto di Corigliano;
dalla discarica di Bucita, che, di certo, non è in grado di ospitare una tale quantità di rifiuti e dove una delle due discariche è stata precedentemente chiusa per disastro ambientale, i rifiuti dovrebbero confluire al porto di Corigliano, per essere spediti all'estero;
l'unica arteria che permette di raggiungere le destinazioni di stoccaggio ed esportazione è la strada statale 106 ionica, statale nota per le forti criticità, che attraversa territori ad elevata propensione agricola e turistica;
il porto di Corigliano oggi ha una destinazione sia turistica, infatti alcune navi da crociera lo hanno scelto come meta, sia commerciale;
l'esportazione di rifiuti all'estero di certo non risolverebbe in maniera definitiva il problema, anzi rappresenterebbe un ulteriore aggravio di spesa per i contribuenti calabresi –:
quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendono adottare per garantire la salvaguardia ambientale del territorio e l'attrazione turistica dalla Calabria, regione, a giudizio dell'interrogante, già fortemente penalizzata dal Governo. (3-02022)
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:
TERZONI, MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
nel testo della legge 28 dicembre 2015, n. 208, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 30 dicembre 2015 – Supplemento Ordinario n. 70) approvata dal Parlamento italiano ed entrata in vigore il 1o gennaio 2016, è stato inserito il comma 363 su iniziativa del Governo in base alla quale si rende possibile aumentare le volumetrie edificate del 20 per cento in aree protette con la semplice approvazione del comune;
il testo recita «Comma 363. Al fine di rilanciare le spese per gli investimenti degli enti locali, i comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, nel cui territorio ricadono interamente i siti di importanza comunitaria, [...] effettuano le valutazioni di incidenza dei seguenti interventi minori: manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, anche con incrementi volumetrici o di superfici coperte inferiori al 20 per cento delle volumetrie o delle superfici coperte esistenti, [...]»;
su questo passaggio il parlamentare europeo del MoVimento 5 Stelle Marco Affronte ha presentato una interrogazione con procedura d'urgenza alla Commissione europea (014940/2015) per chiedere se tale norma non sia in contrasto con la definizione di SIC e se non si presentino elementi che potrebbero comportare una procedura di infrazione a danno dell'Italia;
nella sua risposta (P-01490/2015) Karmenu Vella a nome della Commissione ha evidenziato come «conformemente all'articolo 6, paragrafo 3, della direttiva Habitat qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative su un sito Natura 2000 può essere autorizzato soltanto se forma oggetto di un'opportuna valutazione e non pregiudica l'integrità del sito in questione, salvo nelle circostanze descritte nell'articolo 6, paragrafo 4, della direttiva»;
inoltre, ha annunciato che la Commissione ha avviato una indagine sull'attuazione delle disposizioni contenute nel testo di legge per verificare l'osservanza delle disposizioni della «direttiva Habitat»;
i paragrafi dell'articolo 6 della direttiva europea citati nella risposta della Commissione recitano rispettivamente: «3. Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell'incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica.
4. Qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell'incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate» –:
se il Ministro interrogato intenda valutare l'opportunità di assumere iniziative normative al fine di evitare una probabile procedura di infrazione del nostro Paese, anche attraverso l'abrogazione del comma 363 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016). (5-07820)
MATARRESE, D'AGOSTINO, PIEPOLI, VARGIU e DAMBRUOSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
i centri comunali di raccolta (CCR) differenziata di Binetto, Modugno e Bitetto, in provincia di Bari, secondo quanto si evince da fonti di stampa e dagli atti degli enti locali interessati alla loro realizzazione, sembrerebbero aver subito rilevanti ritardi nel corso dei lavori e attualmente pare non siano ancora in funzione nonostante siano stati regolarmente finanziati;
la costruzione dei tre Ccr rientrerebbe in un progetto complessivo disciplinato dalla convenzione tra i comuni di Binetto, Bitetto e Modugno e finanziato con fondi del P.O. FESR 2007 2013 e cofinanziamenti comunali. Il comune di Binetto fu individuato quale ente capofila cui demandare le funzioni tecniche ed amministrative dell'intero procedimento;
l'importo complessivo per la realizzazione dei Ccr è pari euro 369.790,47 di cui 258.853,33 euro a carico del programma operativo 2007/2013 Asse II — Linea di Intervento 2.5" e 110.938,14 euro a carico dei cofinanziamenti dei comuni di Binetto, Bitetto e Modugno;
pare che i lavori abbiano avuto inizio il 6 dicembre 2013 e sembra che l'ultimazione dei tre Ccr sarebbe dovuta avvenire entro il 5 luglio 2014;
i tre CCR sono disciplinati dalle disposizioni di cui al decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'8 aprile 2008 che prevede «...aree presidiate ed allestite ove si svolga attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati...»;
il perdurare della mancanza di funzionalità dei tre centri condiziona fortemente la raccolta differenziata dei rifiuti, è causa di disagi evidenti per la popolazione e contribuisce alla formazione di diverse discariche abusive che sono anche, e in parte, visibili attraverso il sistema di geolocalizzazione di discariche abusive denominato « Trashout» nonché tramite le mappe di Google –:
se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, di quali notizie disponga in merito allo stato attuale delle strutture e del loro eventuale adeguamento alle prescrizioni di legge e messa in esercizio e se quindi intenda porre in essere iniziative di propria competenza, anche promuovendo una verifica da parte del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di far luce sul problema insorto che impedisce il corretto smaltimento dei rifiuti sui territori causando evidenti disagi ai cittadini residenti nonché la formazione di discariche abusive. (5-07821)
ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
come riportato dal sito di « Repubblica.it», il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in un documento preparato con l'Unione zoologica italiana, prevede di concedere «deroghe al divieto di rimozione del lupo dall'ambiente» e si mette anche un limite a questi «prelievi»: il 5 per cento. I piano di deroga, prima di diventare esecutivo: prevede un passaggio in sede di Conferenza delle regioni;
nel documento ministeriale si legge che l'Italia chiede la deroga per limitare la «forte tensione sociale», soprattutto nelle zone dove la specie «ha fatto ritorno dopo decenni di assenza e dove si sono sviluppati metodi di allevamento che, per essere compatibili con la presenza del lupo, richiedono onerose misure di prevenzione». Per cui il «prelievo di alcuni esemplari» può «coadiuvare le altre azioni di prevenzione e mitigazione del danno»;
si ricorda che il Canis lupus era quasi estinto nel 1971, quando iniziò la sua protezione. Negli anni le cose sono andate migliorando e ora si stima che possano essere fra 1.070 e i 2.452 sull'Appennino, fra i 100 e i 150 sulle Alpi;
va sottolineato che la direttiva habitat 92/43 cce, definisce il lupo «specie prioritaria» e ne proibisce «cattura, uccisione, disturbo, detenzione, trasporto, scambio e commercializzazione»;
la Lega antivivisezione (LAV) ha ricordato come dopo 45 anni il piano ministeriale consentirà gli abbattimenti di lupi e ibridi e renderà addirittura possibile dare la caccia ai cani vaganti. «Il piano parla di “conservazione e gestione del lupo”, ma in realtà è un salto indietro di quasi mezzo secolo. È inaccettabile, sotto il profilo scientifico e ancor più sotto quello morale. Gli abbattimenti – ci sono studi in tutta Europa – non fanno diminuire le predazioni. E l'apertura della caccia non arresta il bracconaggio, anzi. Se il sistema avalla l'uccisione del lupo, il bracconiere si sentirà un benefattore»;
sempre la LAV evidenzia come abbia inviato i pareri al Ministero, senza però aver avuto risposta. «L'ultima bozza è peggio della prima. Prevede l'abbattimento di cani-lupo e cani vaganti non solo nelle aree protette, ma anche in quelle rurali. Oltre ai randagi, verranno ammazzati anche i cani di proprietà che si sono smarriti ?» –:
se non intenda sospendere l’iter del piano ministeriale di deroga alla direttiva « habitat» esposto in premessa, ed avviare un confronto con le associazioni di tutela degli animali e i soggetti interessati, al fine di individuare modalità diverse da quelle dell'abbattimento dei lupi e di impedire azioni di bracconaggio ai loro danni e comunque, se non ritenga di escludere categoricamente la possibilità che possano essere soppressi gli ibridi cani-lupo e i cani vaganti. (5-07822)
SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, TURCO e PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
da fonti stampa si apprende che un terzo dell'Italia vive con un sistema idrico fuorilegge: depuratori inesistenti, inadeguati, insufficienti, liquami in mare, nelle falde acquifere. In media il 40 per cento degli italiani scarica nei fiumi o a mare senza prima ricorrere al depuratore (in Sicilia la percentuale sale al 60 per cento della popolazione);
in molti acquedotti si hanno perdite superiori al 30 per cento; per le regioni meridionali la percentuale arriva addirittura al 50 per cento. In Europa per il sistema idrico si investono in media 50 euro ad abitante ogni anno, in Italia 34 euro (in molti comuni meno della metà);
da fonti stampa si apprende che da anni sono disponibili oltre 1,1 miliardo di euro per i depuratori, ma su 94 cantieri previsti ne sono stati aperti solo tre. In Italia sono stati stanziati 3,5 miliardi di euro negli ultimi quindici anni e mai spesi e a breve dovrebbero partire le sanzioni europee, per importi fino a 500 milioni l'anno, condannando ben 14 su 20 regioni: Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Valle d'Aosta e Veneto;
in moltissime altre realtà italiane, addirittura alcuni centri balneari (un esempio tra tutti quello di Catania e delle città limitrofe), non sono allacciati al depuratore, quindi le fogne scaricano in mare;
d'estate, per evitare bagni nei liquami, i collettori vengono tappati con sacchi di sabbia e disperdono nel sottosuolo e d'inverno, quando ci sono nubifragi, l'acqua si convoglia direttamente lungo le vie della città, creando seri danni economici e nei casi peggiori vittime umane;
il rischio idrogeologico è strettamente connesso con lo sviluppo delle infrastrutture idriche e l'adeguamento del sistema della depurazione delle acque e della bonifica delle discariche. Come riportato dai dati della «Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e lo sviluppo delle infrastrutture idriche» (istituita da Governo con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 maggio 2014), il nostro è uno dei Paesi più franosi del mondo: «486.000 delle 700.000 frane in tutta l'Ue sono in 5.708 Comuni italiani, 2.940 a livello di attenzione molto elevato». Esiste un equilibrio sempre più precario tra sicurezza ambientale-dissesto idrogeologico e infrastrutture idriche;
in Puglia come in moltissime altre regioni risulta essere particolarmente tragica la situazione dei depuratori, nello specifico si segnala lo stato di criticità nelle acque reflue dei depuratori di Foggia. Per ben tre volte nel periodo compreso tra il 1o aprile 2015 e l'8 luglio 2015 le acque reflue del depuratore di Foggia sono risultate «non conformi rispetto ai valori di accettabilità dei parametri previsti dalla tab. 1 allegato 5, del decreto legislativo 152 del 2006. Anche le acque del depuratore che serve la «zona industriale di Foggia» presentano criticità tant’è che i campioni prelevati il 4 settembre 2015 anche per questo depuratore sono risultati non conformi rispetto ai valori di accettabilità dei parametri previsti dalla tab. 1 e 3 allegato 5 del decreto legislativo 152 del 2006;
in base al rapporto del 21 maggio 2013, redatto dalla Asl della provincia di Foggia, risulta che per il depuratore di Foggia non vi è stato il rinnovo dell'autorizzazione allo scarico, circostanza confermata da un processo verbale di accertamento e contestazione di illecito amministrativo redatto da capitaneria di porto di Manfredonia in seguito all'accertamento effettuato il 12 marzo 2014 trasmesso al sindaco di Foggia il 30 aprile 2014;
nel rapporto del 21 maggio 2013 redatto dalla Asl della provincia di Foggia si legge che «, come riferisce il capo impianto, vi è una produzione di circa 20 mc di fanghi in quanto l'impianto non ha una continuità di lavoro; al momento l'impianto è in esercizio di controllo in modo continuato dalle ore 07,00 alle ore 19,00, se fosse continuato si avrebbe più produzione di fanghi; il capo impianto rappresenta uno dei punti critici, in quanto, specialmente quando vi sono piogge copiose, l'acqua in aumento in entrata non riesce a completare tutto il percorso depurativo creando, come segnalato nell'esposto, la presenza di patacche di fanghi galleggianti»;
a conferma del perdurare delle criticità viene evidenziato, in un altro verbale dell'Asl provincia di Foggia, il risultato dell'ispezione effettuata in seguito alle segnalazioni del Movimento Consumatori (lettera spedita il 27 giugno 2014) dove si riconfermano tutte le situazioni anomale rilevate nel precedente rapporto, le mancate autorizzazioni, la produzione e lo smaltimento di fanghi e la presenza di patacche di fanghi galleggianti;
ad oggi, la situazione descritta dall'ASL provincia di Foggia risulta peggiorata, in quanto è segnalata la presenza di stazioni di pompaggio dell'acqua per usi irrigui dei campi di coltivazione attigui al canale «Faraniello» nel tratto a valle del depuratore della città di Foggia, stazioni di pompaggio che addirittura non risultano autorizzate dall'autorità provinciale;
considerata l'importanza strategica che ha la risorsa acqua e il valore biologico degli stessi torrenti, tale situazione appare come una delle criticità ambientali (anche in riferimento al mantenimento di adeguati livelli di biodiversità dell'area in questione), tra le più gravi e preoccupanti sia per la salvaguardia ambientale che per l'incolumità sanitaria –:
se il Ministro interrogato sia in grado di garantire una programmazione strategica che riesca a fare fronte ad una criticità ambientale di tale portata, fornendo un quadro complessivo della situazione delle infrastrutture di depurazione e fognarie specificando gli importi economici necessari a fare fronte sia alla messa in norma delle opere che alle sanzioni europee. (5-07823)
CARRESCIA e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
ai sensi dell'allegato I del regolamento (CE) n. 166/2006, molte imprese devono dichiarare annualmente l'emissione nell'aria, nell'acqua e nel suolo, il trasferimento fuori sito di inquinanti nelle acque reflue e il trasferimento fuori sito di rifiuti per quantitativi superiori al valore di soglia di cui all'allegato II del medesimo regolamento (CE) n. 166/2006;
la dichiarazione PRTR (Pollutant Release and Transfer Register) va a costituire nel complesso un registro integrato di emissioni e trasferimenti di inquinanti per informare il pubblico sulle emissioni più significative di inquinanti e sul trasferimento di rifiuti;
per lo svolgimento della dichiarazione E-PRTR il principale riferimento normativo è il decreto del Presidente della Repubblica n. 157 dell'11 luglio 2011 che regola l'esecuzione del regolamento (CE) n. 166/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'istituzione di un registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di inquinanti e che modifica le direttive 91/689/CEE e 96/61/CE del Consiglio. I soggetti obbligati sono quelli richiamati nella Tabella A1, Appendici, che superano le soglie previste nell'elenco degli inquinanti di cui alla Tabella A2, Appendici;
tra gli obbligati alla dichiarazione PRTR ci sono anche i gestori degli impianti di smaltimento e recupero di cui all'allegato I del regolamento 166/2006/Ce, qualora abbiano emissioni in aria, acqua e suolo con sostanze inquinanti che superano i valori soglia stabiliti nelle tabelle 1.6.2 e 1.6.3 riportate nell'Allegato 1 del decreto ministeriale 23 novembre 2001; vi rientrano, a titolo esemplificativo, i gestori di attività di recupero di rifiuti pericolosi al di sopra della 10 t/die o di smaltimento dei rifiuti non pericolosi al di sopra delle 50 t/die;
il decreto del Presidente della Repubblica n. 157 del 2011 identifica le autorità competenti per la valutazione delle dichiarazioni PRTR, fissa al 30 aprile di ogni anno il termine per la presentazione della dichiarazione e fornisce le «linee guida» per la dichiarazione;
nel 2014, solo negli ultimissimi giorni del mese di aprile, a ridosso delle festività pasquali e del «ponte» del 25 aprile, è stato avviato il portale ISPRA per effettuare la dichiarazione E-PRTR per l'anno 2013 con le modalità previste dall'articolo 5 del regolamento (CE) n. 166/2006;
le principali associazioni del settore (Fise e Confindustria) sono intervenute nei confronti dell'ISPRA e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per segnalare il problema del mancato funzionamento del portale e le difficoltà di molte imprese di poter rispettare il termine di legge; diverse imprese che non erano riuscite ad ottenere nei termini l'accesso al sito hanno comunque poi provveduto;
anche nel 2015 il portale è stato più volte riaperto dall'ISPRA per consentire di effettuare le dichiarazioni e non solo per sanare eventuali errori formali di quelle già presentate; tali continue riaperture nel corso degli anni e dopo il termine del 30 aprile sono un comportamento sintomatico del ritenere, da parte dell'ISPRA, il termine ordinatorio;
le ditte che, perciò, per problemi tecnici del sistema o in buona fede – ritenendo il termine ordinatorio – hanno provveduto all'adempimento dopo il 30 aprile rischiano ora pesanti sanzioni amministrative da parte degli organi di vigilanza per l'omessa dichiarazione entro il suddetto termine;
il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46, ha infatti introdotto una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 52.000 euro per il gestore che omette di effettuare nei termini previsti la comunicazione in questione –:
se il Governo non ritenga opportuno, viste le criticità che hanno riscontrato le imprese obbligate ad effettuare entro il 30 aprile 2014 e 2015 la dichiarazione annuale E-PRTR e alla luce della prassi dell'ISPRA, adottare iniziative per rendere non sanzionabile la ritardata presentazione della dichiarazione E-PRTR negli anni 2014 e 2015. (5-07824)
Interrogazione a risposta in Commissione:
SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dei beni e delle attività culturali e del turismo, hanno recentemente decretato, con 21 prescrizioni, la compatibilità ambientale relativa al masterplan 2021 per l'aeroporto internazionale di Venezia-Tessera, presentata da parte del soggetto proponente ENAC;
l'intervento di ampliamento, per cui è stata fatta richiesta di valutazione di impatto ambientale ai Ministeri suddetti, rientra tra i progetti di competenza di valutazione di impatto ambientale statale ai sensi dell'Allegato II al decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni e prevede l'ampliamento dell'aerostazione passeggeri, del piazzale aeromobili e interventi edilizi, sui parcheggi e sugli impianti tecnologici;
tra le infrastrutture cosiddette landside, oggetto di valutazione di impatto ambientale, il masterplan o piano di sviluppo aeroportuale per l'aeroporto di Venezia con orizzonte 2021 prevede la realizzazione di una serie di parcheggi a raso, identificati con i codici 3.41-3.42-3.43, per la realizzazione dei quali è prevista la rimozione preventiva dello strato superficiale, lo scavo e lo sbancamento del terreno interessato dalle opere di costruzione;
in particolare, nel suddetto masterplan 2021 è prevista la realizzazione di un nuovo grande parcheggio, denominato «P6», per una capacità totale di 1119 posti auto, che si svilupperà su un'area di sedime di circa 4000 metri quadrati occupati fino ad alcuni giorni fa da un folto bosco di piante varie (conifere, latifoglie, sempreverdi e decidue), residuo di un più ampio vivaio degli anni ’60;
tale vasta area boscosa, rappresenta ad avviso degli interroganti una valida barriera sia al rumore aeroportuale sia agli inquinanti e ai contaminanti emessi dall'aeroporto di Tessera – considerato anche il traffico veicolare sulla adiacente SS.Triestina – e la sua conservazione è fortemente collegata alla difesa del territorio per la capacità di abbattimento ed assorbimento delle polveri ultra sottili;
l'area è altresì interessata anche da un altro intervento, sempre previsto nel MP2021, denominato «deviazione della Canaletta di scolo Paliaghetta», che servirà a convogliare le acque meteoriche e di prima pioggia in eccesso nel futuro bacino di laminazione (anche esso previsto nel masterplan), da realizzarsi su di un'area agricola di proprietà SAVE esterna al sedime, ma destinata a diventarlo successivamente all'approvazione della valutazione di impatto ambientale per l'opera in questione;
risulta agli interroganti che, nonostante la procedura di valutazione di impatto ambientale si sia conclusa solo il 19 gennaio 2016 con l'emanazione del citato decreto interministeriale, siano stati svolti lavori propedeutici alla realizzazione del suddetto parcheggio e per l'escavazione del canale, ancora prima della conclusione della procedura di valutazione di impatto ambientale, e che si sarebbe altresì proceduto, nelle more del decreto di autorizzazione, con il disboscamento di gran parte dell'area e con l'abbattimento di una decina di maestosi pini marittimi, resto dell'antica pineta di Tessera, in assenza di cartelli sull'area di lavoro che descrivessero i lavori in atto;
come noto, la valutazione di impatto ambientale di competenza statale costituisce lo strumento per individuare, descrivere e valutare preventivamente gli effetti diretti ed indiretti di un progetto sulla salute umana e su alcune componenti ambientali quali la fauna, la flora, il suolo, le acque, l'aria, il clima, il paesaggio e il patrimonio culturale e sull'interazione fra questi fattori e componenti, e comporta una valutazione anticipata finalizzata, nel quadro del principio comunitario di precauzione, alla tutela preventiva dell'interesse pubblico ambientale –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti illustrati in premessa in relazione all'avvio delle opere di disboscamento ed escavazione funzionali alla realizzazione del parcheggio P6 nelle more della conclusione della procedura di valutazione di impatto ambientale presso i Ministeri competenti e in assenza dei cartelli segnalativi nell'area dei lavori, e se non ritengano altresì opportuno, valutare se sussistono i presupposti per assumere iniziative, per quanto di competenza con finalità cautelari e risarcitorie e, comunque, attivare tutti gli strumenti a disposizione, affinché non si proceda con la cantierizzazione di interventi che ancora non hanno concluso tutte le procedure autorizzative necessarie. (5-07813)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazioni a risposta scritta:
SPADONI, MASSIMILIANO BERNINI, DALL'OSSO, SARTI, DELL'ORCO e FERRARESI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
l'attività di promozione, valorizzazione, gestione e salvaguardia dell'immenso patrimonio artistico italiano è purtroppo nuovamente protagonista nella cronaca della pagine culturali delle varie testate giornalistiche, con il segno rovesciato in negativo;
dalla «Gazzetta di Reggio» del 18 gennaio 2016 si apprende che: «Fino al 31 dicembre 2015 luogo dove — come ama affermare lo storico tedesco Stefan Weinfurter – “è nato Io Stato laico”, il Castello di Canossa, era gestito dalla Provincia di Reggio Emilia. Con la riforma – targata Delrio, l'ente ha perso la competenza turistica sul sito e, dal 1o gennaio, il castello sarebbe dovuto passare interamente nelle mani del custode. Non solo l'ingresso sarebbe diventato gratuito – proseguendo la cattiva abitudine degli italiani di non dare un valore, anche economico, alla bellezza culturale del loro Paese – ma sarebbe dipeso dai turni lavorativi di un unico uomo»;
dal quotidiano si apprende dunque che il Castello di Canossa, come detto luogo storico e culturale di elevato pregio, rischia la chiusura a seguito dei pesanti tagli alla cultura ed oggi anche gravato dal rischio erosione; spiega infatti il sindaco di Canossa, Luca Bolondi che dal primo gennaio 2016, con la chiusura delle province, è cessata anche la collaborazione con la cooperativa «Archeosistemi», che da circa 6 anni ha in gestione la struttura e l'organizzazione del sito;
pertanto l'antico maniero di Canossa, sull'Appennino reggiano, divenuto celebre in tutta Europa per l'umiliazione che subì l'imperatore Enrico IV, costretto a scendere a patti con Papa Gregorio VII grazie all'intermediazione della contessa Matilde di Canossa, dopo essere stato scomunicato dal pontefice, sembrerebbe a rischio di chiusura;
a quanto consta agli interroganti, una «spada di Damocle» ancora più pesante pende però sul capo dell'antica fortezza; infatti, con la continua erosione che insiste sull'argilloso terreno appenninico, tra frane e smottamenti, calanchi stanno avanzando e si avvicinano inesorabilmente al castello;
negli ultimi anni, spiega il Sindaco: «[...] la situazione è peggiorata molto, l'erosione è arrivata fino al parcheggio. È necessario e urgente un intervento, perché la struttura intera potrebbe essere in pericolo o rimanere isolata. [...] Il paradosso», commenta amaramente il primo cittadino «è che ora stiamo combattendo per mantenere un servizio di gestione del polo, ma tutto questo sarà vano, se non ci sarà un'opera di messa in sicurezza dell'area» (Il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2016);
il sito culturale del quale si discute è un'area che attrae ogni anno circa 20 mila turisti da tutta Europa, un piccolo ma importante contributo per una realtà locale che conta 3.800 abitanti, che però da sola non può farsi carico di un investimento così importante;
d'altro canto perdere il sito culturale sarebbe un danno enorme, non solo per il piccolo comune reggiano ma anche per l'intero Paese; così l'anno dopo le celebrazioni per il nono centenario della morte della contessa Matilde di Canossa, il suo celebre maniero, più che un tesoro, rischia di diventare un pesante macigno e, in ginocchio, come Enrico IV, presto potrebbe finire l'intero comune di Canossa, con conseguente danno d'immagine per il nostro Paese –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda intervenire, per quanto di competenza e con tutti gli strumenti che ritenga utili, al fine di evitare la perdita definitiva di un sito storico-culturale di tale pregio, scongiurando la chiusura al pubblico dalla quale potrebbe derivare un danno di immagine per il nostro Paese ed un nocumento in termini economici (4-12118)
FASSINA e GREGORI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
nel 2010, sulla base di quanto disposto dall'articolo 141, comma 2, del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 codice dei beni culturali e del paesaggio, l'ambito meridionale dell'agro romano, compreso tra le vie Laurentina e Ardeatina, è inquadrato tra i siti di notevole interesse pubblico;
le norme del vincolo dettano la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e dai caratteri peculiari del territorio in questione;
si prevede un vasto progetto di costruzione di un impianto alimentato con compost e biometano articolato in 2 lotti gemelli, ognuno della potenzialità di 120.000 tonnellate all'anno di rifiuti;
tale situazione ha messo in forte allarme la popolazione interessata che comprende non solo gli abitanti del quadrante sud est di Roma ma anche degli abitanti dei comuni di Albano e Pomezia –:
se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a verificare se il progetto di cui in premessa sia incompatibile con la disciplina vincolistica nazionale che tutela l'agro romano. (4-12124)
DIFESA
Interrogazione a risposta in Commissione:
RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
l'operazione dell'Esercito Italiano denominata «Strade Sicure» è orientata a condurre attività di vigilanza esterna a Centri di Accoglienza e a obiettivi sensibili e di pattugliamento e perlustrazione, in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia;
tra gli obiettivi sensibili controllati dal personale militare dell'Esercito italiano, vi è l'ambasciata francese di Roma che, secondo quanto riportato dal sito d'informazione ilgiornale.it, il 17 gennaio 2016 è stato oggetto di un atto vandalico da parte di un balordo e che ha visto il pronto intervento del personale militare assegnato nell'area;
nell'articolo si riferisce che «I due soldati erano di guardia, il 17 gennaio scorso, di fronte all'ambasciata di Francia nella Capitale. Intorno alla mezzanotte, un uomo lancia un oggetto contro il palazzo. Dopo alcuni istanti si aggrappa alla grata della finestra adiacente all'ingresso. I militari, dopo aver valutato che l'uomo non era pericoloso per l'incolumità dei diplomatici e del personale, decidono di chiamare i carabinieri, aspettano che scendesse volontariamente dalle inferriate»;
l'articolo citato riporta la notizia secondo la quale il procuratore militare di Roma abbia deciso di portare a processo i soldati per non aver difeso in maniera corretta l'ambasciata con l'accusa «violata consegna aggravata»;
i militari in servizio nell'operazione «Strade Sicure» non sono dotati di manette per fermare i soggetti sospetti o minacciosi; pertanto, non avrebbero potuto far altro che rimediare chiedendo al balordo di desistere, obiettivo perfettamente raggiunto, o intimare con le armi;
qualora i due militari avessero utilizzato le armi in dotazioni (nel pieno rispetto delle regole d'ingaggio) probabilmente si sarebbe aperto un dibattito sull'uso inopportuno della forza nei confronti di un soggetto relativamente pericoloso e magari l'esito finale sarebbe stato fatale –:
se il ministro sia a conoscenza della vicenda citata in premessa;
quali iniziative intenda avviare per rivedere le regole d'ingaggio assegnate al personale impegnato in «Strade Sicure» onde evitare il ripetersi di fatti come quello sopra esposto. (5-07806)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:
CAPEZZONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
non esistono criteri univoci e chiari per definire le modalità di pagamento della tassa sui rifiuti (TARI);
nell'ambito della legge 28 dicembre 2015, n. 221, recante disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali, si prevede l'aumento indiscriminato della TARI a carico dei contribuenti;
in particolare, l'articolo 32 della citata legge n. 221, rubricato «Misure per incrementare la raccolta differenziata e il riciclaggio», interviene sull'articolo 205 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice dell'ambiente) che disciplina il conseguimento degli obiettivi di raccolta differenziata dei rifiuti urbani in ogni ambito territoriale ottimale (Ato);
in particolare, la richiamata norma prevede un'addizionale del 20 per cento al tributo di conferimento dei rifiuti in discarica (ecotassa) a carico dei comuni che non abbiano raggiunto le percentuali previste dal detto articolo 205;
«Tale norma – recita la relazione tecnica allegata al provvedimento – non comporta nuovi oneri a carico della finanza pubblica in quanto gli eventuali, maggiori costi a carico dei Comuni dovranno essere recuperati a carico dell'utenza per mezzo dei corrispondenti aumenti della TARI»;
ciò comporterà una ulteriore distorsione nella determinazione dei coefficienti utilizzati per far pagare la tassa sui rifiuti –:
se non ritenga opportuno monitorare l'applicazione della normativa citata in premessa al fine di scongiurare l'innalzamento incontrollato della tassa in questione, anche in considerazione del fatto che già la situazione attuale presenta elementi di criticità e differenziazione del costo della stessa tra comune e comune e se, pertanto, non ritenga necessario attivare in merito un tavolo di confronto fra le diverse componenti interessate al controllo della spesa e alla gestione dei rifiuti. (5-07816)
RUOCCO, PESCO, VILLAROSA, ALBERTI e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, le cui disposizioni sono state successivamente inserite nella legge di stabilità 2016, ha disposto la risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., di Banca delle Marche S.p.A., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti S.p.A., già oggetto di commissariamento da parte della Banca d'Italia; la procedura di risoluzione non solo ha causato la perdita del risparmio investito da diverse migliaia di famiglie italiane, ma ha anche fatto emergere una problematica più importante, ovverosia la scarsa consapevolezza, o spesso la totale inconsapevolezza, dei rischi a cui sono esposti i risparmiatori che hanno investito ed investono in strumenti finanziari di varia natura, la cui collocazione avviene, di solito, per il tramite dei dipendenti delle stesse banche interessate al collocamento;
la normativa attualmente in vigore non soddisfa crescenti esigenze di trasparenza dei rischi connessi alla sottoscrizione di strumenti finanziari e si mostra pertanto inadeguata a tutelare i risparmiatori, lasciandoli privi delle informazioni utili ad effettuare una corretta valutazione del grado di rischio degli stessi strumenti finanziari; spesso la collocazione dei medesimi strumenti finanziari da parte delle banche avviene in dubbie circostanze di conflitto di interessi; nonostante le problematiche esposte, il Governo, piuttosto che porre rimedio alle cause che generano effetti pregiudizievoli per la sicurezza dei risparmiatori – tutelati dall'articolo 47 della Costituzione – e per la stabilità del sistema economico e produttivo, è intervenuto con l'istituzione di un Fondo di solidarietà preposto a risarcire – o meglio restituire – solo 100 milioni di euro rispetto agli oltre 1 miliardo e 200 milioni di valore nominale (in euro) di azioni ed obbligazioni oggetto di riduzione;
la problematica esposta non riguarda solo Cassa di risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e Cassa di risparmio di Chieti, ma il sistema bancario nel suo complesso: infatti dai dati statistici di Banca d'Italia, così come riportati da La Repubblica il 10 febbraio 2016, si evince che il 50 per cento delle obbligazioni subordinate delle banche italiane siano detenute dalle famiglie italiane; le preposte Autorità di vigilanza – Consob e Banca d'Italia – avrebbero dovuto evitare il collocamento di strumenti finanziari eccessivamente rischiosi e non perfettamente adeguati al profilo di rischio personale di famiglie e pensionati; di contro, piuttosto che porre rimedio alla problematica esposta la Consob – il cui presidente è Giuseppe Vegas – ha disposto la rimozione dai prospetti informativi degli strumenti finanziari dei cosiddetti «scenari probabilistici» i quali consentono ai risparmiatori una maggiore e più esaustiva comprensione del grado di rischio degli strumenti finanziari che si accingono a sottoscrivere;
visto il grave pregiudizio arrecato alle ignari vittime della crisi di Cassa di risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e Cassa di risparmio di Chieti, visto il potenziale rischio a cui sarebbero esposti i detentori del 50 per cento del volume complessivo di obbligazioni emesse, visti i gravi pregiudizi per la stabilità del sistema economico-produttivo, e sarebbe consono aggiungere anche «sociale», si palesa la necessità di modificare la normativa vigente in materia, cercando di risolvere ogni indubbia circostanza di conflitto di interesse in fase di collocamento degli strumenti finanziari, di introdurre una maggiore trasparenza in materia di valutazione dei rischi degli strumenti finanziari e soprattutto di evitare ogni genere di collocamento di strumenti finanziari eccessivamente rischiosi a famiglie ed imprese prive di adeguati elementi di valutazione del grado di rischio degli strumenti finanziari oggetto di collocamento circostanza quest'ultima adeguatamente soddisfatta – così come sostengono gli esperti del settore – dalla reintroduzione dei suddetti scenari probabilistici. A questa valutazione si contrappongono soluzioni prospettate da Consob ed Abi che oltre ad essere poco chiare non sembrano agli interroganti mirate a modificare realmente lo status quo e tantomeno sembrano adeguate a risolvere a pieno la problematica della corretta valutazione del grado di rischio degli strumenti finanziari in fase di collocamento –:
in che modo il Ministro interrogato di concerto con la Consob e la Banca d'Italia, intenda risolvere la problematica della necessità di maggiore chiarezza e trasparenza del grado di rischio degli strumenti finanziari in fase di collocamento e se intenda assumere iniziative, anche normative, volte a reintrodurre gli scenari probabilistici nei prospetti informativi degli strumenti finanziari che – così come sostengono gli esperti del settore – consentono un'adeguata ed oggettiva valutazione del grado di rischio ed hanno contribuito con successo a tutelare gli interessi dei risparmiatori fino alla data in cui la Consob ne ha disposto la soppressione. (5-07817)
PAGLIA e FASSINA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il 21 maggio 2012 è stato sottoscritto un protocollo d'intesa tra la Banca d'Italia e la Consob in materia di scambio di informazioni sulle banche che effettuano offerte al pubblico aventi ad oggetto titoli di debito;
il suddetto protocollo stabilisce che, a seguito della richiesta avanzata da parte di una banca che intenda emettere titoli di debito, dell'approvazione del prospetto contenente informazioni rilevanti ai fini della valutazione della sola abilità e della situazione finanziaria o delle prospettive dell'emittente, la Consob fornisce alla Banca d'Italia, a mezzo di messaggio di posta elettronica certificata; la denominazione del soggetto emittente, indicando altresì se rientra o meno nell'elenco degli enti che hanno effettuato operazioni analoghe nel corso dell'anno precedente; il tipo di operazione da porre in essere, se già definita; il tipo di documento sottoposto ad approvazione; eventuali fatti recenti di particolare rilievo segnalati dall'emittente relativi a cambiamenti negativi sostanziali nella situazione finanziaria o nelle prospettive dell'emittente emersi successivamente alla data di riferimento degli ultimi dati contabili pubblicati o trasmessi con le segnalazioni di vigilanza;
agli stessi fini la Banca d'Italia fornisce alla Consob dati ed indicatori riferiti all'ultima segnalazione di vigilanza disponibile: tier one capital ratio, total capital ratio, core tier one ratio, sofferenze lorde/impieghi, sofferenze nette/impieghi, partite anomale lorde/impieghi, patrimonio di vigilanza, margine di interesse e margine di intermediazione; la stessa trasmette alla Consob informazioni, alcune delle quali sottoposte a segreto d'ufficio: a) riguardanti il mancato rispetto dei coefficienti minimi di patrimonializzazione, all'esito delle procedure di accertamento; b) sui provvedimenti specifici in materia di adeguatezza patrimoniale e di raccolta obbligazionaria – ai sensi dell'articolo 53, comma 3, lettera d), del TUB – ivi inclusi eventuali divieti a distribuire utili o altri elementi del patrimonio; c) sui provvedimenti straordinari, di gestione provvisoria, di amministrazione straordinaria o di liquidazione coatta amministrativa di cui alle sezioni I, II e III, capo I, titolo IV del TUB, ivi incluse le relative proposte al Ministro dell'economia e delle finanze, ove già formalizzate; d) concernenti altri interventi formalizzati di vigilanza che abbiano incidenza sui livelli di patrimonializzazione dell'emittente; e) trasmesse formalmente dall'emittente in ordine: a modifiche significative intervenute nell'assetto proprietario o sulla solvibilità, ad operazioni societarie di natura straordinaria nonché ad avvicendamenti o dimissioni riguardanti le cariche di vertice dell'emittente;
per l'attuazione del protocollo Banca d'Italia e Consob concordano incontri periodici con frequenza annuale ed ogni qual volta sia ritenuto opportuno; in tutti i casi particolari e/o urgenti, e in relazione ad eventuali cambiamenti negativi sostanziali nella situazione finanziaria o nelle prospettive dell'emittente, le relative informazioni sono reciprocamente comunicate con le modalità ritenute più idonee –:
se risulti con riferimento all'emissione delle obbligazioni da parte della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio istituto sottoposto a procedura di risoluzione approvata dal Ministero dell'economia e delle finanze, se le suddette procedure siano state correttamente seguite, con quale tempistica e con quali risultati.
(5-07818)
PELILLO, RUBINATO e FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
ai sensi dell'articolo 21, comma 14, del decreto legislativo n. 504 del 1995, le accise sui carburanti vengono versate allo Stato sui volumi alla temperatura di 15 gradi Celsius ed alla «pressione normale» (101.325 Pa);
il ricorso all'impiego del volume misurato a 15 gradi C per la tassazione dei prodotti energetici, già contemplato dall'ordinamento nazionale (decreto ministeriale 9 ottobre 1979), risponde al dettato della specifica disposizione dell'Unione europea;
in particolare, la misurazione dei volumi di prodotto da accertare ai fini della determinazione del relativo carico fiscale va effettuata alla predetta temperatura a norma dell'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 96/2003/CE del Consiglio del 27 ottobre 2003 (prima ancora ex articolo 3 della direttiva 92/81/CEE del 19 ottobre 1992);
tale indicazione è stata recepita con l'articolo 17, comma 4, del decreto-legge n. 331 del 1993, convertito dalla legge n. 427 del 1993, poi confluito nell'articolo 21, comma 14, del sopra richiamato decreto legislativo n. 504 del 1995;
ai fini della corretta individuazione dei volumi soggetti alle accise, nei documenti di accompagnamento dei carburanti (documenti di accompagnamento semplificato, denominati in seguito DAS), è previsto l'obbligo di indicare la densità specifica a 15 gradi Celsius e alla pressione normale e il peso del prodotto, con ciò individuando l'esatta quantità soggetta a tassazione;
sempre nei DAS è indicato (casella 13) il volume a temperatura ambiente dei carburanti che normalmente è diverso da quello a 15 gradi Celsius;
inoltre nei DAS è presente lo spazio (casella 10) per indicare il volume a 15 gradi Celsius, tale indicazione è facoltativa, non obbligatoria;
i carburanti sono soggetti alla variazione di volume dell'uno per mille per ogni grado di temperatura, variazione apparentemente insignificante ma di notevole importanza visti i quantitativi di carburanti commercializzati in Italia;
i fornitori, compagnie petrolifere o grossisti, consegnano e fanno pagare ai gestori di pompe di carburante, non i volumi a 15 gradi Celsius, ma i volumi a temperatura ambiente ovvero alla temperatura di caricamento in deposito che, nell'arco dell'anno, sono generalmente superiori a quelli per i quali gli stessi pagano le accise allo Stato;
questa pratica è frutto di una lacuna dell'attuale normativa del settore e ha conseguenze negative per gestori e consumatori;
inoltre, tale pratica genera una zona grigia di elusione fiscale;
rispetto ai gestori la detta pratica crea problemi di carattere economico e di regolare tenuta delle scritture contabili obbligatorie;
infatti, le cisterne interrate dei distributori di carburanti hanno una temperatura inferiore a quella del prodotto alla consegna, con una conseguente perdita di volumi (litri), dovuta al raffreddamento del carburante una volta immesso in cisterna;
da ciò il gestore subisce un danno economico dovuto alla perdita di litri, ma quel che è più grave è che queste perdite comportano dei gravi problemi con l'amministrazione fiscale in quanto in sede di verifica della guardia di finanza in molti casi le perdite vengono considerate delle vendite in evasione di imposta con la conseguente stesura di verbali e relative sanzioni da parte dell'Agenzia delle entrate;
tali verbali comportano notevoli costi, in caso di impugnazione, e, purtroppo, in molti casi, il costo del contenzioso è maggiore della sanzione per cui il gestore si trova a pagare non avendo evaso le tasse in alcun modo;
anche i consumatori sono penalizzati dall'attuale sistema, visto che nella media dei rifornimenti annuali pagano più prodotto di quanto ne abbiano realmente acquistato;
ciò si comprende se si pensa che il prodotto «caldo» viene erogato al cliente appena travasato dall'autobotte alla cisterna e servono giorni perché il carburante raggiunga la stessa temperatura del sottosuolo, che comunque non sempre è pari o inferiore ai 15 gradi Celsius;
in generale, circa i due terzi del prodotto caldo vengono venduti ai consumatori;
i consumatori quindi pagano per un prodotto che non hanno acquistato determinando, su base nazionale, un valore piuttosto considerevole visto che soltanto 1 grado superiore ai 15 gradi Celsius vale ben 57 milioni di euro, tenuto conto dell'attuale prezzo di vendita al pubblico dei carburanti;
le compagnie petrolifere rimborsano i cali di carburanti ai gestori solamente a fronte di un notevole impegno burocratico e sono previste percentuali di penalizzazioni nel caso le procedure non siano totalmente rispettate;
inoltre, al massimo, viene rimborsata la differenza tra i volumi fatturati e quelli effettivamente venduti ovvero al massimo un terzo della differenza tra i volumi a 15 gradi Celsius e quelli fatturati a temperatura ambiente –:
quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda assumere per rendere più trasparente il rapporto tra compagnie petrolifere, gestori, fornitori e consumatori e per far cessare le procedure denunciate in premessa. (5-07819)
Interrogazione a risposta scritta:
DAGA, TERZONI, MANNINO, DE ROSA, BUSTO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
la società TerniENA (100 per cento ACEA) che controllava l'impianto di incenerimento di Maratta, è diventata ARIA spa nel novembre 2011 e comprende anche alcuni impianti nel sud del Lazio, tra cui un altro inceneritore a San Vittore;
secondo quanto si apprende dalla stampa, l'inceneritore ARIA srl, il biodigestore GREENASM e l'altro di SAO Acea di biogas da discarica, tutti nella zona di Terni e Orvieto, non hanno mai fatto richiesta del procedimento di autorizzazione unica prevista dal decreto n. 387 del 2003. Ovvero i tre impianti Sono considerati «alimentati a fonti rinnovabili», e quindi godono di incentivi pubblici per l'energia prodotta, ma senza alcun titolo autorizzativo;
sulla base di una richiesta di accesso agli atti presentati dalla prima firmataria del presente atto il 28 ottobre 2015 presso il GSE, si apprende con nota dello stesso del 24 dicembre 2015, che l'impianto di incenerimento di proprietà della società ARIA srl (100 per cento proprietà di ACEA spa) sito in Terni, non stia ricevendo gli incentivi corrisposti per la produzione di energia da fonte rinnovabile, nello specifico i così detti certificati verdi, per effetto di una temporanea verifica di compatibilità documentale alla luce dello scambio di pareri intercorso tra il GSE e la provincia di Terni;
secondo la provincia di Terni, essendo l'impianto privo di autorizzazione unica ai sensi del decreto legislativo 387 del 2003 non sarebbe autorizzata ad esercire come impianto alimentato a fonti rinnovabili;
la provincia inoltre afferma nella sua nota del 17 aprile 2015 che «non si ritiene possibile stabilire una equipollenza tra titoli autorizzativi che fanno riferimento ad assetti produttivi ben distinti, che la normativa ambientale contempla nelle varie casistiche». Ovvero secondo la provincia non vi è equipollenza tra l'autorizzazione unica, specifica per impianti alimentati a fonti rinnovabili, e il procedimento combinato autorizzazione integrata ambientale e valutazione impatto ambientale, (AIA+VIA), effettuato dall'impresa. Tale procedura è invece riconosciuta dal GSE comunque valida ai fini della qualificazione IAFR e al successivo riconoscimento dell'incentivazione. Ma alla luce delle dichiarazione della provincia di Terni lo stesso GSE afferma che «relativamente all'impianto Aria S.p.A. i certificati verdi spettanti non sono ancora stati emessi nelle more dei necessari chiarimenti sull'efficacia dei titoli autorizzativi». A questo si aggiunga la precedente nota del GSE, già oggetto di interrogazione parlamentare in cui era possibile riscontrare che alla data del 23 dicembre 2014 non risultavano emessi né tantomeno richiesti gli incentivi certificati verdi, per gli anni 2013-2014 che pure venivano contabilizzati;
così come vengono contabilizzati quest'anno quando al 30 settembre 2015 risultano nel bilancio previsionale, tra i ricavi da vendita di certificati e diritti, 2 milioni di euro per l'impianto di Terni della società Aria s.p.a.;
l'impresa ARIA srl è una controllata di una municipalizzata, ACEA spa, partecipata dal comune di Roma al 51 per cento, quindi di interesse pubblico;
la difficoltà di assumere una determinazione è sintomatica della poca chiarezza nella definizione delle fattispecie soggette alla disciplina dell'autorizzazione unica ambientale definita dal decreto legislativo 387 del 2003;
tale situazione si ritiene inammissibile considerato che gli impianti sono destinati a ricevere incentivi statali che devono trovare legittimazione in una fonte giuridica certa, al fine di evitare indebiti esborsi di denaro, nonché avuto riguardo alle gravi implicazioni sotto il profilo ambientale connesse all'esercizio di impianti carenti delle prescritte autorizzazioni;
sarebbe opportuno, ad avviso degli interroganti, effettuare verifiche sulla contabilizzazione degli incentivi, nel biennio 2013-2014 e 2015-2016, nonostante questi non siano stati corrisposti da parte del GSE –:
se i Ministri interrogati siano al corrente delle criticità riportate in premessa in merito all'interpretazione e all'applicazione concreta delle norme citate;
quali iniziative, anche di natura normativa, intendano porre in essere al fine di sanare i dubbi interpretativi e le criticità riportate in premessa riferimento ai titoli autorizzativi necessari per legittimare l'accesso agli incentivi. (4-12134)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
CRIVELLARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la strada statale 434 «Transpolesana» è un'importante strada statale italiana che collega Verona a Rovigo;
il percorso, che inizia a Verona allacciandosi alla tangenziale Sud tra le uscite dell'autostrada A4 di Verona Sud e Verona Est, attraversa i comuni della bassa veronese, entra in provincia di Rovigo nel comune di Giacciano con Baruchella, attraversa Badia Polesine, Lendinara, Villamarzana (dove è stato costruito uno svincolo dell'autostrada A13 noto come Rovigo Sud, attivo dal 2008) per terminare in una rotatoria in località Borsea del Comune di Rovigo;
l'importante arteria viaria è usata dal traffico leggero, vista la densità dei centri urbani che vi si affacciano e dal traffico pesante per i diversi snodi autostradali presenti;
la strada statale n. 434 è stata spesso teatro di incidenti a volte dall'esito mortale;
anche in questa ultima fase, si è segnalato da più parti il cattivo stato del manto stradale: una condizione di rischio tale da far intervenire le forze dell'ordine, come nel caso della vera e propria «voragine» che si è aperta nei giorni scorsi, nel tratto compreso in provincia di Rovigo, costringendo la polizia stradale ad intervenire con urgenza per chiudere parte della carreggiata al traffico –:
se il Ministro non ritenga necessario assumere iniziative con assoluta urgenza per l'esecuzione degli interventi per la messa in sicurezza della strada statale 434 «Transpolesana», al fine di ridurre i fattori di rischio ed il numero di incidenti, che ancor oggi si verificano. (5-07802)
MOLTENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
in questi giorni si apprende la notizia della decisione della compagnia aerea Ryanair di ridurre progressivamente i voli in partenza da Alghero, fino addirittura ad annullarli;
le motivazioni alla base di questa scelta sembrano essere riconducibili all'importo delle tasse imposte da questo Governo, in particolar modo un aumento esagerato delle addizionali comunali, ovvero della tassa di imbarco;
la scelta di Ryanair di lasciare l'aeroporto di Alghero, in termini pratici comporterebbe il taglio di decine di posti di lavoro tra piloti e assistenti di volo che saranno costretti a migrare verso altri scali;
la cancellazione delle rotte nazionali e internazionali da parte della compagnia irlandese rappresenterebbe un grave colpo per l'economia di Alghero e della Sardegna in termini economici, turistici e d'immagine, che già vive uno svantaggio per la sua caratteristica insulare;
a parere dell'interrogante, il Governo ha il dovere di mettere in atto azioni volte a garantire ed agevolare la continuità territoriale con la Sardegna, ma in questa circostanza ha invece ostacolato la trattativa in corso per stabilizzare o addirittura rafforzare la presenza della Ryanair ad Alghero;
infatti, nonostante il decreto del Presidente della Repubblica recentemente esaminato dalle Commissioni parlamentari – inserisca Alghero fra gli aeroporti di interesse nazionale, le iniziative governative si presume abbiano lavorato nel senso contrario, confermando l'assenza di un piano programmatico di intervento nel settore aeroportuale;
esclusivamente con riguardo al caso in questione, consideriamo errato ed inopportuno il processo di privatizzazione della società di gestione aeroportuale, stante l'assenza di un piano regionale di trasporto;
il sistema della mobilità fondato sulle compagnie aeree Low Cost e, in particolare, il cosiddetto «modello Alghero» ha costituito un chiaro esempio di sviluppo sociale, economico e culturale per l'intera Sardegna;
ciò, in termini di bene immateriale, rappresenta patrimonio imprescindibile per la programmazione strategica del futuro della Sardegna;
a seguito di tale intuizione, il traffico aereo nello scalo di Alghero è passato da 500 mila passeggeri agli oltre 1.500.000 attuali, con un costante trend positivo che ha determinato un aumento dei livelli occupazionali sempre in crescita negli anni, sino ad arrivare agli oltre 600 dipendenti odierni (tra fissi e stagionali) di cui circa la metà riferibili a Sogeaal, a cui si aggiungono quelli dell'indotto, nonché l'enorme ricchezza prodotta sul territorio da un così elevato aumento del flusso turistico; solo in termini di gettito fiscale, si stima una ricaduta annuale in favore per la Sardegna superiore ai 50 milioni di euro, a cui deve aggiungersi quella derivante dalle attività legate al turismo, a fronte di un investimento di meno di 10 milioni;
purtroppo, questo modello si è da sempre dovuto scontrare con la farraginosità del funzionamento delle procedura di erogazione dei contributi co-marketing vitali per il sostentamento di tale sistema ma che incontra il generale sfavore dell'unione europea, condizionata, probabilmente, a giudizio dell'interrogante da lobby di potere legate ad una vecchia concezione del trasporto aereo;
a cascata, ciò ha condizionato l'azione della RAS sempre mai chiaramente risoluta ad affrontare con piglio deciso tale situazione e, di fatto, assumendo, nel tempo, posizioni e atti normativi che hanno reso sempre precario il rapporto con le compagnie low cost;
la Società di gestione dell'aeroporto, Sogeaal spa (società interamente di proprietà della regione Sardegna) ha sempre garantito la permanenza e lo sviluppo delle rotte operate dalle compagnie aeree low cost, sostenendo in proprio costi che hanno causato fortissime crisi finanziarie;
ancora una volta da parte della regione Sardegna, si assiste all'ennesimo atteggiamento schizofrenico nei confronti delle low cost, e le ultime azioni della giunta regionale e dell'assessore ai trasporti, prof. Deiana, di fatto evidenziano un disimpegno della RAS nei confronti del sistema low-cost, giustificato da una asserita imposizione dell'Unione europea ad (avviso dell'interrogante inesistente);
una simile posizione, qualora confermata, comporterebbe il più grande disastro economico della Sardegna e non solo di Alghero, con effetti ancora più gravi di quelli provocati dalla crisi del comparto industriale regionale;
per contro, si ritiene che massima debba essere l'attenzione e la volontà della regione e del Governo, tesa a potenziare l'intero sistema del trasporto aereo regionale nel quale le low cost rappresentano un valore imprescindibile ed irrinunciabile;
tuttavia, gli atti e le posizioni di tale giunta regionale porterebbero ad intravedere un preciso disegno di smantellamento del sistema trasporto aereo del nord Sardegna, anche con l'annunciata volontà di istituzione del cosiddetto Main Bridge da Cagliari;
invece, è indispensabile che la Regione e il Governo approntino gli opportuni strumenti giuridici che consentano di mettere a disposizione le necessarie risorse economiche per garantire il potenziamento del trasporto aereo in termini sia di miglioramento della continuità territoriale, sia di permanenza ed incremento delle compagnie low cost anche e soprattutto nello scalo di Alghero;
in quest'ottica risulta sbagliato ed inopportuno, quantomeno in assenza di un piano regionale del trasporto, procedere alla avviata privatizzazione della Società di gestione dell'Aeroporto di Alghero (Sogeaal spa), che avrebbe come unici effetti quelli di provocare una falcidia dei livelli occupazionali in una terra già flagellata dalla disoccupazione, bloccare un modello di sviluppo sano e produttivo che si autofinanzia e produce ricchezza nel territorio, oltre quello di svendere, se non «regalare», a qualche privato ben informato una società che gestisce un asset strategico dello sviluppo regionale;
pertanto è opportuno che il Governo intervenga immediatamente, per quanto di competenza, nei confronti della regione affinché annulli e/o sospenda l'avviata procedura di privatizzazione di Sogeaal spa –:
se non intenda convocare urgentemente un tavolo istituzionale presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con la regione, le amministrazioni locali, la società di gestione dell'aeroporto e la compagnia irlandese, nonché le rappresentanze dei lavoratori, che chiarisca e definisca il futuro dell'aeroporto di Alghero e di tutte le parti interessate;
quale sia il piano programmatico di intervento nel settore aeroportuale teso a valorizzare gli aeroporti di interesse nazionale inseriti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 201 del 2015, fra cui appunto l'aeroporto di Alghero;
quali iniziative di competenza intenda mettere in atto al fine di limitare i danni dell'impatto economico e occupazionale che il cattivo esito della trattativa con Ryanair e della inopportuna privatizzazione della società di gestione aeroportuale potrebbe comportare per l'area territoriale di interesse. (5-07805)
DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la rete ferroviaria di Ferrovie Sud-Est (FSE) con i suoi 474 chilometri, di linea, costituisce, dopo le Ferrovie dello Stato – cui è interconnessa – la più estesa rete omogenea italiana, attraversa le quattro province meridionali della Puglia, collegando fra loro i capoluoghi di Bari, Taranto e Lecce, nonché 85 comuni del loro circondario. Nel comprensorio a sud di Lecce è l'unico vettore su rotaia. Tuttavia, una parte rilevante della linea ferroviaria non è ancora a trazione elettrica, circostanza che comporta da una parte inefficienze sul trasporto ferroviario e, dall'altra, un inquinamento maggiore;
da fonti stampa del Fatto Quotidiano del 7 gennaio 2015 dal titolo «Ferrovie Sud-Est compra 15 elettrotreni per 60 milioni (nonostante i 311 di debiti)», si apprende che l'azienda pugliese di proprietà del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, commissariata dallo stesso in seguito allo sperpero di denaro della precedente gestione – di cui risulta indagato l'ex amministratore unico Luigi Fiorillo – ha firmato un accordo con la società polacca Newag;
dalla fonte di stampa citata si apprende che la società polacca Newag fornirà alla Ferrovie Sud-Est gli elettrotreni modello «Impuls» a tre casse, destinati alla rete a trazione elettrica per un importo di 60,6 milioni di euro, con un ordine iniziale di 5 treni, per una spesa di 20,2 milioni di euro. Queste vetture potranno circolare solamente sulla rete a trazione elettrica; infatti, i primi 5 convogli dovrebbero essere consegnati entro dicembre 2016, ma i lavori di elettrificazione sulla rete sono in corso e per gli impianti ci vorrà ancora molto tempo;
la società polacca Newag in data 22 novembre 2014 è stata esclusa dalla gara d'appalto per l'acquisto dei 5 treni, con un'opzione per altri dieci, per «riscontrate carenze documentali», in particolare per l'assenza delle «dichiarazioni di conformità» e in seguito a ricorso contro le due società che hanno indetto la gara e contro il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in data 13 maggio 2015 è stata riammessa dal TAR di Bari in quanto nessuna delle parti in causa si è presentata;
Ferrovie Sud-Est ha già accumulato un imponente debito di oltre 311 milioni di euro, ed inoltre dalle dichiarazioni del neo Commissario Viero viene confermato che in questo momento l'attenzione dello stesso insieme ai due sub-commissari, l'avvocato barese Domenico Mariani e il dirigente ministeriale Angelo Mautone – fino a pochi giorni fa insieme a Vieri anche nel consiglio di amministrazione dell'azienda – è incentrata sui debiti sui fornitori e sulla situazione che coinvolge i lavoratori, confermando che sono 1300 i dipendenti a rischio licenziamento e 1400 le cause di lavoro aperte, ma sia il commissario che il sub-commissario non stanno affrontando, a quanto risulta all'interrogante, questa delicata vicenda che riguarderebbe la spesa di 60 milioni di euro di fondi pubblici;
da fonti stampa si apprende che il neo commissario Andrea Viero è stato condannato, in un primo momento, dalla Corte dei Conti a versare 420 mila euro per i fatti riguardanti le «liquidazioni d'oro» concesse nel 2003 a cinquanta dirigenti della regione Friuli Venezia Giulia di cui all'epoca Vieri era direttore generale. Successivamente, la sezione giurisdizionale centrale d'appello della Corte dei Conti si è espressa sulla richiesta di condono con l'estinzione del procedimento a fronte del pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno arrecato all'amministrazione pubblica di 84.000 euro. Viero è stato condannato una seconda volta dalla Corte dei conti per «spese conviviali» in ristoranti e locali alla moda spacciate per «spese di rappresentanza» e ha quindi dovuto risarcire il comune di Trieste di una cifra pari a 3.388,42 euro;
in merito alla trasparenza, gli ultimi bandi in evidenza pubblicati sul sito web delle Ferrovie Sud-Est sono fermi al 27 ottobre 2015;
occorre ricordare che la società Ferrovie Sud-Est soffocata dai debiti, ancora una volta, si stava fornendo da costruttori polacchi, anche se diversi rispetto a questo ultimo caso, la circostanza già verificata di un'inchiesta della procura di Bari sulle presunte truffe per l'acquisto di 52 vagoni – nell'ambito della quale è indagato anche l'ex amministratore unico delle Sud-Est Luigi Fiorillo – avvenute tra gli anni 2006 e 2012. Ferrovie Sud-Est ha prima acquistato 27 vagoni nuovi dalla società polacca Pesa, pagandoli 93 milioni di euro con un finanziamento della regione Puglia. Secondo la procura inclusi nel costo rimborsato c'erano 12 milioni di euro di provvigioni sulle vendite, pagati da Pesa alla società Varsa. Nel 2006, l'azienda ha comprato in Germania 25 carrozze usate a 37.500 euro l'una per poi rivenderle a 280 mila euro ciascuna alla polacca Varsa. La società le ha ristrutturate e la Sud-Est le ha successivamente ricomprate ad un costo di 900 mila euro l'una, il doppio rispetto al valore di mercato. Anche in quel caso le caratteristiche tecniche di molte carrozze non erano adeguate alle linee delle Ferrovie Sud-Est, così alcune vetture sono rimaste inutilizzate –:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto espresso in premessa e quali iniziative intenda adottare al fine di chiarire:
a) tutte le circostanze che hanno portato al bando di gara in questione per quale motivo la società polacca Newag sia stata riammessa nonostante siano state riscontrate carenze documentali e in particolare, per l'assenza delle dichiarazioni di conformità;
b) per quale motivo il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ferrovie Sud-Est non si siano presentati durante il ricorso al TAR della società polacca Newag;
c) visto l'imponente debito di Ferrovie Sud-Est, con quali fondi si intenda sostenere la spesa dei 60 milioni di euro;
se il Ministro condivida la proposta di far seguire al commissario o ad un sub-commissario tutte le vicende legate agli appalti, in particolare dei treni, che al momento non sono seguite dagli stessi;
ai fini della trasparenza, se siano stati realizzati bandi di gara che attualmente non sono riportati sul sito web delle Ferrovie Sud-Est;
in quali tempi si preveda la completa elettrificazione delle linee ferroviarie gestite da Ferrovie Sud-Est;
se il Ministro, alla luce delle condanne e risarcimenti inflitti al commissario Viero, dovuti alle sentenze della Corte dei Conti e di quella che appare all'interrogante la disattenzione dei commissari sull'acquisto delle vetture in questione, ritenga opportuno assumere iniziative per sostituire l'attuale struttura commissariale attraverso procedure che garantiscano una maggiore trasparenza nel metodo di selezione e dell'operato del vertice della società. (5-07809)
VICO, GINEFRA, MONGIELLO, PELILLO, GRASSI, VENTRICELLI, MASSA, CAPONE, MARIANO, LOSACCO, MICHELE BORDO e CASSANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
con deliberazione n. 135 del 7 luglio 2003, l'amministratore unico di AQP s.p.a. ha approvato gli atti per l'espletamento di un appalto concorso in cui era prevista la redazione dei progetti esecutivi e la realizzazione dei lavori per l'adeguamento degli impianti dell'ambito territoriale n. 7, a quanto disposto dal decreto legislativo n. 152 del 1999;
a seguito di gara, i lavori venivano appaltati e aggiudicati in data 19 novembre 2004 all'Ati «Giovanni Putignano & Figli», ma l'esecuzione del progetto di adeguamento del depuratore di Martina Franca, al contrario degli altri della provincia di Taranto, non sono stati completati per la mancata accettazione di adeguamento scarico prevedente trincee disperdenti sul suolo e nei primi strati del sottosuolo, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modifiche e interrogazioni del piano di tutela delle acque regionali;
nel dicembre 2013, nei pressi del recapito finale o inghiottitoio, situato nei pressi di una privata abitazione di proprietà della signora Minardi Angela, spuntavano liquami e acque reflue di provenienza dal recapito finale e nello stesso periodo si verificava un dissesto idrogeologico dell'area di recapito dei reflui depurati nei pressi della strada statale 172 Martina – Locorotondo, in relazione alla quale Aqp spa, in qualità di gestore del servizio conduceva opportune indagini geologiche e geognostiche; a seguito di tali risultanze, immediatamente, il Comune di Martina Franca interveniva in data 28 gennaio 2014, per picchettare le aree interessate, individuate dalle indagini geologiche e geognostiche e, con ordinanza sindacale n. 4 del 2014, veniva inibito l'accesso all'area picchettata sino alla messa in sicurezza da parte dell'Aqp;
nel tavolo tecnico convocato dalla regione Puglia il 10 aprile 2014 si stabiliva che l'Aqp spa, su mandato dell'autorità idrica pugliese e con il supporto del comune di Martina Franca, previe intese con il proprietario del fondo, dovesse procedere ad eseguire i lavori di messa in sicurezza dell'area di attuale recapito dello scarico dell'impianto di depurazione di Martina Franca;
in data 10 settembre 2014, considerato il perdurare della problematica riguardante la tracimazione dei liquidi che raggiungeva anche i fondi ubicati al di là della strada statale n. 172, il comune di Martina Franca diffidava, ulteriormente, l'A.q.p., ad intervenire, rappresentando la sussistenza del rischio di intasamento del corpo disperdente che comprometteva le capacità disperdenti dell'inghiottitoio, anche in assenza di avvenimenti meteorici;
in data 14 ottobre 2014 il commissario delegato per l'emergenza ambientale in Puglia, dottor Luca Limongelli, informava che non sussistevano più le condizioni per la proroga allo scarico nel sottosuolo, ma successivamente, veniva emesso il decreto n. 34/CD/A del 26 novembre 2014, di «proroga dello scarico sul suolo dei reflui provenienti dall'impianto di depurazione a servizio del Comune di Martina Franca in deroga ai termini di cui all'articolo 103 del decreto legislativo n. 152 del 2006, fino al completamento degli interventi in atto in narrativa, citati finalizzati a conseguire il definitivo ritorno nell'ordinario e comunque non oltre il 31 dicembre 2014;
in data 11 novembre 2014 nel comunicare gli esiti di un sopralluogo effettuato il 15 luglio 2014 nel relativo recapito finale del depuratore si affermava l'esistenza di un probabile rischio idrogeologico dell'area interessata allo scarico e di un potenziale rischio di contaminazione ambientale della falda superficiale e/o profonda;
in data 28 novembre 2014 si effettuava un'altra conferenza di servizi per la procedura di verifica di assoggettabilità a valutazione d'impatto ambientale dei lavori di adeguamento del depuratore e del relativo recapito finale;
in data 20 gennaio 2015, il comune di Martina Franca segnalava all'Anas spa lesioni sul manto stradale della strada statale 172 nei pressi del recapito e richiedeva, ancora una volta, di effettuare gli interventi occorrenti e, inoltre, in data 27 gennaio 2016 diffidava nuovamente l'Aqp (che gestisce l'impianto) ad intervenire urgentemente sollecitando anche una bonifica della zona interessata;
in data 10 luglio 2015 si svolgeva conferenza di servizi, così come proposto dal tavolo tecnico, in cui si esprimeva parere favorevole alla richiesta dell'intervento ed all'esclusione della procedura Via in quanto l'assoggettamento alla Via determinerebbe un aggravio dei tempi di realizzazione, in considerazione dell'urgenza di messa in sicurezza del contesto territoriale;
invece, l'Arpa Puglia, con nota protocollo 39315 del 10 luglio 2015, richiedeva che l'intervento in questione venisse sottoposto a procedura di Via, nonostante la stessa Arpa, come riferito sopra l'11 febbraio 2014 informasse dei rischi idrogeologici per l'area interessata allo scarico e di un potenziale rischio di contaminazione ambientale;
in data 31 luglio 2015 la regione Puglia con atto dirigenziale n. 292 determinava di assoggettare alla procedura di valutazione di impatto ambientale, dichiarando l'immediata esecutività del provvedimento, nonostante il parere contrario del comune di Martina Franca che aveva proposto l'esclusione dell'intervento dalla procedura di Via, in aderenza al parere del comitato Via e del servizio risorse idriche, sottolineando l'estrema urgenza ed indifferibilità degli interventi proposti di mitigazione, anche nella considerazione della non definitività della soluzione di scarico;
in data 13 ottobre 2015 la regione Puglia dichiarava irricevibile la richiesta di Aqp di autorizzazione allo scarico, perché non precisava i tempi di cantierizzazione dei lavori per l'adeguamento del depuratore né le modalità di finanziamento degli stessi;
le tracimazioni di liquami continuavano fino allo stato attuale;
in data 5 febbraio 2016 veniva ordinato il sequestro preventivo, da parte della procura di Taranto (pubblico ministero, dottor Lanfranco Marazia), con provvisoria facoltà d'uso, dell'impianto di depurazione delle acque reflue, nonché dello scarico asservito al predetto impianto, situato in località «Pastore» nel fondo di proprietà privata;
in data 12 febbraio 2016 veniva, altresì, ordinato il sequestro, senza facoltà d'uso un tratto della strada statale n. 172 situato nei pressi del predetto impianto sequestrato; si è venuta a creare, quindi, una pericolosa frattura nei collegamenti viari in un agglomerato urbano che coinvolge oltre 100.000 mila abitanti, al confine di tre province (Bari, Taranto e Brindisi), causando disagi e disservizi non solo nel settore del trasporto ma anche nell'economia della popolazione locale, non sapendo al momento, quando la strada potrà tornare alla disponibilità pubblica –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e in particolare dei disagi rivenienti dalla interruzione del tratto della strada statale n. 172 e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere al fine di favorire l'urgente disponibilità pubblica della strada dal momento che è bloccato il trasporto civile e commerciale nella Valle d'Itria ed i collegamenti tra Costa jonica e adriatica. (5-07811)
DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 13, commi 14 e 15, del decreto-legge n. 145 del 2013 e successive modificazioni e integrazioni stabiliscono che: «14. I gestori di aeroporti che erogano contributi, sussidi o ogni altra forma di emolumento ai vettori aerei in funzione dell'avviamento e sviluppo di rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nei rispettivi bacini di utenza, devono esperire procedure di scelta del beneficiario, trasparenti e tali da garantire la più ampia partecipazione dei vettori potenzialmente interessati, secondo modalità da definirsi con apposite Linee guida adottate dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti l'Autorità di regolazione dei trasporti e l'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 15. I gestori aeroportuali comunicano all'Autorità di Regolazione dei Trasporti e all'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile l'esito delle procedure previste dal comma 14, ai fini della verifica del rispetto delle condizioni di trasparenza e competitività»;
le linee guida inerenti le incentivazioni per l'avviamento e lo sviluppo di rotte aeree da parte dei vettori ai sensi dell'articolo 13, commi 14 e 15 del decreto-legge, n. 145 del 2013 e successive modificazioni ed integrazioni (Prot: 0000397-02 ottobre 2014) ribadiscono che, fermo restando la libera iniziativa imprenditoriale di scelta dei partner ritenuti più idonei a soddisfare le proprie esigenze, le finalità delle disposizioni sono atte a garantire la più ampia accessibilità da parte dei vettori potenzialmente interessati alle iniziative assunte, sotto qualsiasi forma, dai gestori aeroportuali per l'avviamento e lo sviluppo di rotte aeree destinate a promuovere la domanda nei rispettivi bacini di utenza, in osservanza ai principi di trasparenza e competitività, che richiedono, rispettivamente, di mettere i possibili beneficiari in condizione di essere informati circa le predette iniziative di incentivazioni e di poter partecipare alle stesse senza discriminazione. L'ulteriore finalità delle disposizioni è di favorire uno sviluppo equilibrato del mercato del trasporto aereo assicurando pari opportunità ai vettori interessati. Viene inoltre specificato che il perimetro degli incentivi per i quali deve essere garantita la trasparenza e la più ampia accessibilità nel rispetto dei principi sopra enunciati si applicano, tra l'altro, sulla tipologia di traffico point to point, per la crescita del volume del traffico complessivo presso l'aeroporto, per la crescita di volume di traffico e del network e per i pagamenti promozionali;
inoltre, al fine di garantire la trasparenza e la più ampia accessibilità delle incentivazioni il gestore aeroportuale deve provvedere alla pubblicazione semestrale sul proprio sito web delle incentivazioni che si intendono attivare per l'anno o gli anni successivi. Le linee guida elencano una serie di specificazioni delle modalità di pubblicazione;
infine, tali azioni di incentivazioni, una volta assunte, devono essere comunicate all'ENAC e dall'Autorità di regolamentazione dei trasporti sia entro i 15 giorni dalla conclusione degli accordi commerciali, al fine di verifica del rispetto delle condizioni di trasparenza e competitività – fermo restando i poteri di intervento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato nel rispettivo ambito di competenza – sia entro il 31 gennaio dell'anno successivo comunicando l'ammontare complessivo a consuntivo delle incentivazioni concesse. L'Enac curerà a consuntivo la raccolta e la pubblicazione degli esiti delle procedure;
sul finire dello scorso decennio, la Società Aeroporti di Puglia (AdP) ha predisposto una proposta progettuale «Campagna di comunicazione per lo sviluppo del turismo incoming» per il periodo novembre 2009 – giugno 2010, al fine di incrementare i flussi turistici sul territorio regionale e migliorare i livelli di connettività territoriale e di mobilità aerea, proponendolo alla regione Puglia con nota n. 17120 del 4 novembre 2009. La giunta regionale con deliberazione n. 2298 del 24 novembre 2009 ha approvato la proposta progettuale «Campagna di comunicazione per lo sviluppo – del turismo incoming» presentata per il periodo novembre 2009 – giugno 2010, contestualmente al relativo schema di convenzione con Aeroporti di Puglia spa;
con deliberazione n. 2978 del 28 dicembre 2010 la regione Puglia ha finanziato il progetto sopra menzionato anche per il periodo luglio – dicembre 2010 e si è preso atto del piano preliminare di comunicazione e promozione 2011 presentato da Aeroporti di Puglia allo scopo di favorire l'incremento del flusso passeggeri sul territorio regionale, mediante una efficace azione di marketing e di promozione dei collegamenti aerei diretti allo scopo di favorire l'incremento del flusso passeggeri sul territorio regionale, mediante una efficace azione di marketing e di promozione dei collegamenti aerei diretti;
con la deliberazione n. 539 del 24 marzo 2011 la regione Puglia ha approvato lo schema di convenzione fra la regione Puglia – assessorato alle infrastrutture strategiche e mobilità e la Aeroporti di Puglia spa per il successivo periodo dal 1o gennaio 2011 al 30 giugno 2011. Con deliberazione n. 2804 del 12 dicembre 2011 la regione Puglia ha approvato il progetto esecutivo presentato da Aeroporti di Puglia spa per l'anno 2011, che tratteggia le caratteristiche delle campagne fino al 2014, ed è stata prorogata la durata della convenzione sottoscritta tra la regione Puglia – assessorato alle infrastrutture strategiche e mobilità e la Aeroporti di Puglia spa relativamente al periodo 1o luglio 2011 – 31 dicembre 2011;
dal 2011 al 2014 le convenzioni sono state sottoscritte annualmente dall'assessorato alle infrastrutture strategiche e mobilità, con risorse del bilancio autonomo della regione Puglia capitolo 562015 «Aeroporti di Puglia – Spese per la promozione e comunicazione del territorio della Regione Puglia»;
con deliberazione n. 1939 del 6 ottobre 2014, la regione Puglia si è impegnata a dare continuità alle attività di promozione del territorio pugliese con il supporto della società Aeroporti di Puglia, attraverso una nuova Campagna di comunicazione per lo sviluppo del turismo incoming per il quinquennio 1o novembre 2014 – 31 ottobre 2019 e con legge regionale n. 53 del 23 dicembre 2014 di approvazione del «Bilancio di Previsione per l'esercizio finanziario 2015 e bilancio pluriennale 2015-2017 della Regione Puglia» è stata prevista una spesa di euro 13.000.000,00 annui per il triennio 2015-2017 sul capitolo di spesa 562015 per la promozione e comunicazione del territorio della regione Puglia;
da fonti stampa si apprende che i fondi impiegati, dall'inizio della campagna avvenuta alla fine dello scorso decennio fino alla più recenti disposizioni regionali, siano stati affidati, senza alcuna evidenza pubblica a società riconducibili al gruppo Ryanair al fine di incentivare le rotte aeree del vettore verso i soli scali di Bari e di Brindisi;
ad avviso degli interroganti le procedure adottate dal gestore AdP e dalla regione Puglia non sembrano rispettare quanto stabilito dall'articolo 13, commi 14 e 15 del decreto-legge n. 145 del 2013 e successive modificazioni e integrazioni e dalle linee guida inerenti incentivazioni per l'avviamento e lo sviluppo di rotte aeree da parte dei vettori ai sensi dell'articolo 13, commi 14 e 15 del decreto-legge n. 145 del 2013 e successive modificazioni ed integrazioni (Prot: 0000397-02 ottobre 2014) ed inoltre si manifesta una continua proroga del rinnovo degli accordi con le società riconducibili al gruppo Ryanair, escludendo qualsiasi altro vettore in danno della concorrenza, oltre a non riscontrare alcuna trasparenza in quanto sul sito web di AdP non risulta all'interrogante alcun documento che tratti gli incentivi sopraelencati nelle modalità e nelle forme stabilite dalla normativa di settore –:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di verificare il rispetto della legge e delle linee guida del Ministero;
se risulti al Ministro che la società Aeroporti di Puglia abbia comunicato gli esiti delle procedure ad Enac e all'Autorità di regolamentazione dei trasporti entro i 15 giorni dalla conclusione degli accordi commerciali in oggetto ed entro il 31 gennaio dell'anno successivo l'ammontare complessivo a consuntivo delle incentivazioni concesse e se Enac e l'Autorità di regolamentazione dei trasporti abbiano valutato tali incentivi;
se Enac stia curando sul proprio sito web a consuntivo la raccolta e la pubblicazione degli esiti delle procedure espresse in premessa. (5-07812)
DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la società Ferrovie Sud Est (FSE), ai fini del decreto legislativo n. 33 del 14 Marzo 2013, dovrebbe garantire la trasparenza dell'attività amministrativa che costituisce il livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto all'articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150 e successive modificazioni, assicurando mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, le informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d'ufficio e di protezione dei dati personali;
ad avviso dell'interrogante sarebbe auspicabile che vengano pubblicate le informazioni in merito all'intero organigramma dei dirigenti, al numero degli amministrativi il numero del personale tecnico, operativo e viaggiante, le liquidazioni dei dirigenti degli ultimi 10 anni, i premi produzione dirigenziali degli ultimi 10 anni, i bilanci degli ultimi 10 anni, la relazione del nuovo consiglio di amministrazione;
tuttavia, il sito web delle FSE non risulta all'interrogante in alcun modo rispettare una ben che minima trasparenza, non vi sono pubblicati i bilanci e i conti consuntivi, nonché i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini;
la trasparenza non è un fine oggettivo, ma uno strumento per contrastare i fenomeni di corruzione. Così come descritto dal comma 1 dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 33 del 2013 e nel caso di una società indebitata e con diverse indagini da parte delle procure come FSE, la trasparenza dovrebbe essere il primo passo da attuare ai fini di una erogazione ottimale dei servizi –:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di garantire sul sito web delle FSE la trasparenza stabilita dalla normativa nazionale. (5-07814)
DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
si è appreso dagli organi di stampa locale della città di Ancona delle trattative tra alcune imprese per eventuali proposte di acquisto della società Isa Group, specializzata in costruzioni navali, manutenzione e riparazione di navi da diporto del settore grandi navi di lusso. È noto che detta società è in situazione di crisi e sottoposta alle procedure fallimentari, con grave preoccupazione dei lavoratori, attualmente in cassa integrazione, delle organizzazioni sindacali e dei creditori della stessa;
è altresì emerso che alcune società hanno avanzato proposte di acquisizione della Isa Group: la società Frittelli Maritime di Ancona che, in data 23 dicembre 2015, ha stipulato un accordo con la Isa Group nell'ottica dell'acquisizione della società, la costituenda società oggetto di conferimento del ramo di azienda della Isa Group srl che ha presentato offerta irrevocabile di concordato preventivo in continuità aziendale della Isa Group in data 2 novembre 2015 da parte del signor Alessio Caprari, anch'esso di Ancona e la società Wider di Ancona, anch'essa specializzata nel settore delle costruzioni delle navi da diporto del settore grandi navi lusso, che recentemente ha avanzato analoga proposta di acquisizione della Isa Group. In particolare, la Frittelli Maritime e la Wider condizionano la proposta all'ottenimento delle concessioni demaniali delle aree e banchine pubbliche per un periodo di 50 anni, mentre la proposta del signor Caprari chiede l'ottenimento della concessione in essere alla Isa, che è in scadenza per il 31 dicembre 2017;
attualmente, la concessione in essere alla Isa Group è stata approvata nel 2008, con durata quadriennale, successivamente prorogata per un anno e rinnovata per ulteriori quattro anni fino alla scadenza del 31 dicembre 2017;
dalla deliberazione del 25 gennaio 2016 si è appreso che il comitato portuale ha esaminato la richiesta di concessione demaniale cinquantennale avanzata dalla Frittelli Maritime Group spa per l'area attualmente in concessione all'Isa Group srl, limitandosi alla sola valutazione di detta offerta senza dar luogo all'esame delle altre due pervenute sulla base della assunta necessità di garantire il mantenimento del collegamento funzionale tra la disponibilità delle strutture produttive private e la titolarità della concessione afferente le antistanti aree demaniali. Dalle notizie di stampa risulta in particolare che il comitato portuale ha ritenuto di poter esaminare soltanto la domanda dell'impresa Frittelli in quanto Frittelli e Isa hanno comunicato che l'offerta di acquisto di Frittelli è stata accettata dall'Isa, impedendo – nella tesi del comitato portuale – la valutazione di istanze di terzi, in carenza di accordi vincolanti con l'Isa;
all'esito di tale valutazione, il comitato portuale ha adottato le seguenti determinazioni previste, a pena di decadenza automatica e immediata della concessione medesima:
1. autorizzazione alla stipula di un atto formale di concessione demaniale trentennale a favore della Frittelli Maritime Group;
2. rilascio della predetta concessione demaniale, a condizione che si proceda all'acquisto da parte della Frittelli Maritime Group dell'azienda di proprietà della Isa Group, previa omologazione o autorizzazione del giudice delegato dal tribunale della domanda di concordato preventivo;
3. necessità di un esito favorevole della procedura denominata «informazioni Antimafia» nei confronti del futuro concessionario;
tali determinazioni, a giudizio dell'interrogante, rischiano di porsi in contrasto sia con la normativa nazionale, di cui al codice della navigazione e al decreto-legge n. 400 del 1993, sia con gli orientamenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato: dal combinato disposto dei riferimenti emerge, invero, che, seppur legittimo il cosiddetto diritto di insistenza in favore del precedente concessionario, detto criterio deve rivestire carattere residuale e sussidiario in una situazione di completa equivalenza tra diverse offerte che pertanto abbisognano di essere tutte valutate e non semplicemente pretermesse. Inoltre, sulla preferenza in favore del concessionario già in essere, nell'ambito della procedura di attribuzione delle concessioni, ha espresso contrarietà anche la Commissione europea che, in circostanze similari, ha sottoposto l'Italia a procedura di infrazione per lesione della concorrenza e della libertà di stabilimento;
allo stesso modo, ad avviso dell'interrogante, emergono dubbi in ordine alla legittimità di una concessione demaniale marittima tanto prolungata anche rispetto a ragioni di concorrenza. Al riguardo, la Corte costituzionale (con sentenza n. 180 del 2010 e successive conformi, sentenza n. 340 del 2010 e sentenza n. 180 del 2011) che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di talune normative regionali in materia atte a prevedere la possibilità di proroga della concessione, fino ad un massimo di 20 anni dalla data del rilascio, subordinatamente alla presentazione di un programma di investimenti per la valorizzazione del bene. La Corte ha ritenuto esserci un'ingiustificata compressione dell'assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio marittimo;
dal sistema delineato nei termini riferiti, risulta, ad avviso dell'interrogante, che neanche il rinvio ad un programma di investimenti e ad un piano economico finanziario, in questo caso non documentati in fase istruttoria, sembrerebbero legittimare un prolungamento temporale così esteso della concessione. Del resto, non si ha, allo stato, alcuna forma di trasparenza su detti investimenti dato che, in sede di deliberazione del comitato portuale, né il presidente, né il segretario generale hanno illustrato il programma di investimenti che, a quanto consta all'interrogante, in base alle dichiarazioni rese in sede di commissione consiliare del Consiglio comunale di Ancona da parte del segretario generale dell'autorità portuale sarebbero state quantificate in circa 15 milioni di euro, quando, per l'intero investimento per la realizzazione delle banchine e dei moli, sono stati sostenuti costi, da parte della pubblica amministrazione, per circa 7 milioni di euro;
si apprende altresì da fonti di stampa l'intenzione di consentire un ampliamento dell'oggetto della concessione non già più limitata alla produzione di yacht, ma concernente in termini più generali l'attività di produzione nautica –:
se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se sia conforme alla normativa vigente la deliberazione del comitato portuale di non procedere alla valutazione di ogni domanda pervenuta anche a fronte della disciplina richiamata e delle determinazioni in materia dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e della Commissione europea e se non ritenga che possa profilarsi il rischio di una procedura di infrazione per lesione della concorrenza e della libertà di stabilimento;
se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti intenda chiarire sulla base di quali presupposti possa essere adottato un provvedimento di concessione demaniale marittima della durata trentennale a fronte della giurisprudenza costituzionale citata, specificando se abbia già espresso parere al riguardo, verificando, nel caso specifico menzionato in premessa, la sussistenza di un programma di investimenti e un piano economico finanziario a fondamento che consenta una durata tanto prolungata del provvedimento concessorio;
se risulti che l'autorità portuale di Ancona abbia rivolto un quesito al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in ordine alla durata della concessione, in un primo momento richiesta per 50 anni e poi accordata per un periodo di 30 anni, che è a giudizio dell'interrogante senza precedenti nella storia del porto di Ancona per analoghe concessioni;
se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ritenga che nell'ambito della vicenda di cui in premessa, siano state assunte idonee iniziative per la tutela dei lavoratori della Isa Group. (5-07815)
Interrogazione a risposta scritta:
CAPARINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
su il « Giornale di Brescia» del 16 febbraio 2016 (pagina 22) un articolo dal titolo «Superstrada, salti e scossoni per un'odissea lunga 27 chilometri Da Pisogne all'uscita di Ceto e Cimbergo sono molti i tratti di asfalto dissestato» mette in luce l'attuale situazione disastrosa del manto stradale della variante a scorrimento veloce della strada statale 42 nella Valle Camonica;
come riporta il giornale, dal chilometro 67 al chilometro 94 della superstrada della Val Camonica, il manto stradale è talmente invecchiato, indebolito e spezzato che causa estenuanti problemi agli automobilisti, con ripetuti rimbalzi delle ruote dei veicoli in affossamenti, avvallamenti e spaccature;
dal bivio della strada provinciale 510 di Pisogne fino all'uscita di Ceto e Cimbergo, ripetuti cartelli – il giornale ne conta 14 – mettono in guardia gli automobilisti sulla «strada dissestata e/o deformata»;
in particolare, a Pian Camuno, nei pressi della doppia area di sosta Total-Tamoil, un cartello posizionato dall'ANAS annuncia 3 chilometri di strada dissestata, dove gli automobili viaggiano su un fastidioso solco inclinato e rattoppato e dove ondeggiano i rimorchi e rischiano di perdere l'equilibrio i mezzi a due ruote;
al chilometro 70, sul rettilineo che divide e unisce Pian Camuno, Artogne, Gianico e Rogno altri due cartelli in entrambi i sensi di marcia segnalano il fondo pericoloso e impongono il limite dei 50 chilometri orari;
al chilometro 72, allo svincolo che porta al centro commerciale Adamello, la situazione è peggiore: un ulteriore cartello prolunga l'agonia degli automobilisti segnalando un dissesto per ulteriori tre chilometri che bypassano l'abitato di Darfo fino a Boario Terme;
la stessa situazione si riscontra dal chilometro 76 fino alla «Sosta-Toroselle» di Esine, al chilometro 78-79, nei pressi dello svincolo incompiuto, dell'ospedale, al chilometro 85, sul cavalcavia fino allo svincolo di Breno e, con problematiche minori, al chilometro 91 e 92 –:
se il Ministro, nell'ambito dei programmi di manutenzione della rete stradale gestita dall'ANAS spa, intenda adoperarsi, per quanto di competenza, per assicurare le occorrenti risorse finanziarie dirette alla realizzazione di tutti i lavori di manutenzione della variante a scorrimento veloce della strada statale 42, cosiddetta superstrada della Val Camonica dal chilometro 67 al chilometro 94, e al ripristino delle condizioni di sicurezza sulla strada statale. (4-12117)
INTERNO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
come si temeva, il Governo austriaco, attraverso le dichiarazioni del Ministro degli interni Johanna Mikl Leitner ed il Ministro della difesa Hans Peter Doskozil, ha definitivamente confermato che attuerà rigidi controlli per limitare il flusso dei migranti sui valichi con l'Italia di Tarvisio, Resia e Brennero; sono 12 i valichi sul confine meridionale che saranno presidiati per controllare il traffico dei veicoli, dei treni e delle persone;
le misure che saranno disposte dall'Austria sono in fase di pianificazione: potrebbero essere impiegati degli appositi nuclei di intervento per impedire l'intrusione di gruppi di persone che dovessero fare uso della forza; saranno svolti controlli anche nelle zone a ridosso della frontiera; interventi particolarmente rigidi verranno attuati per quanto concerne i controlli al valico del Brennero, dove non è escluso l'utilizzo di recinzioni;
è evidente che le iniziative adottate dall'Austria hanno serie conseguenze per l'Italia, innanzitutto, da un punto di vista politico a livello europeo, poiché non è ammissibile che in Europa ci siano Paesi che gestiscano il fenomeno dell'immigrazione arbitrariamente, facendo ricadere su altri, in particolare l'Italia, gli oneri derivanti; in secondo luogo, ciò significa, a giudizio dell'interrogante, che il numero di immigrati nel nostro Paese è destinato drasticamente ad aumentare, anche considerando che i ricollocamenti all'estero dei richiedenti asilo sono di fatto fermi;
già con atto di sindacato ispettivo 5-07410 del 19 gennaio 2016, l'interrogante ha richiesto urgenti provvedimenti a fronte delle dichiarazioni dell'Austria di non voler più applicare, seppure temporaneamente, le regole di Schengen;
è necessario un intervento del Governo, sia da un punto di vista politico, poiché a livello europeo il carico del fenomeno in questione va gestito con le medesime regole da parte di tutti i Paesi dell'Unione europea, escludendo iniziative arbitrarie, sia per quanto concerne la gestione di quello che potrebbe essere un gravoso aumento dei flussi migratori sulle coste italiane, nonché sui territori di confine come il Friuli-Venezia Giulia –:
quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati, per quanto di competenza, sui fatti esposti in premessa;
se e quali iniziative di competenza intendano adottare in conseguenza dei provvedimenti che attuerà l'Austria rispetto alla gestione dell'immigrazione.
(5-07807)
MARZANA, DI BENEDETTO, BRESCIA, VACCA, D'UVA, LUIGI GALLO, LOREFICE, LUPO, DI VITA, RIZZO, SIBILIA, SIMONE VALENTE e VILLAROSA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
il capolavoro di Gian Lorenzo Bernini, il Salvator Mundi, è in queste ore al centro di polemiche: si tratta di un busto marmoreo eseguito nel 1679, quando l'artista aveva ottant'anni e attualmente conservato nella basilica di San Sebastiano fuori le Mura a Roma, sulla via Appia, che fra pochi giorni compirà un lungo viaggio fino alla chiesa di Santo Spirito ad Agrigento per essere esposto in occasione della Sagra del mandorlo in fiore;
questa splendida opera monumentale è gestita dal fondo edifici di culto (Fec), gestito dal Ministero dell'interno e amministrato a livello provinciale dai prefetti (istituito dalla legge 20 maggio 1985, n. 222);
le proprietà del Fec derivano dalla nazionalizzazione del patrimonio ecclesiastico, avvenuta all'indomani dell'Unità d'Italia ed è composto da oltre settecento chiese di grande interesse storico-artistico distribuite su tutto il territorio nazionale; ma anche dalle opere d'arte e dagli arredi in esse custodite da immobili produttivi di rendite, da aree boschive e da un fondolibrario antico;
come riporta «la Repubblica», durante una visita del giugno 2015 ad Agrigento, sua città natale, il Ministro Alfano annunciò: «Come responsabile del Fondo Edifici di Culto, ho lavorato nei giorni scorsi, insieme al prefetto, per realizzare un'importante esposizione di una o più opere provenienti dalle chiese che sono sotto la governance del Ministero dell'interno. Probabilmente si realizzerà a luglio, dovrebbe arrivare qui un Bernini»;
tale dichiarazione conferma che la decisione di spostare il Salvator Mundi, opera di grande rilievo, non è stata oggetto di un'attenta valutazione da parte di organi competenti preposti alla conservazione e alla tutela di beni culturali, ma risponde solo a logiche di opportunismo politico;
in tal modo, abbiamo un'anticipazione di cosa succederà al nostro patrimonio culturale dopo che sarà attuata la cosiddetta «legge Madia» e i soprintendenti obbediranno ai prefetti: tutti i nostri capolavori potranno esser messi al servizio del politico di turno;
infatti, dal quadro sino ad ora delineato emerge piuttosto chiaramente come si sia trattato di una decisione che assume contorni preoccupanti anche alla luce delle notizie diffuse sulla stampa negli ultimi giorni da parte di autorevoli esperti d'arte e che si andranno di seguito ad illustrare;
difatti, a sollevare il caso, nella pagine del quotidiano «La Repubblica», è lo storico dell'arte Tomaso Montanari secondo cui: «una scultura di questo rilievo e di questa straordinaria fragilità (è un marmo, alto 103 centimetri, pieno di delicatissime creste e di sottili corpi aggettanti, come le dita) dovrebbe muoversi il meno possibile, e in soli casi di eccezionale spessore culturale: per esempio una mostra che riunisca gran parte dei marmi del Bernini tardo [...] Insomma, qualcosa di un po’ diverso dalla – mirabile, per carità – Sagra del Mandorlo in Fiore di Agrigento»;
ancora, in netto disaccordo con la scelta del Ministro, si è espresso anche Vittorio Sgarbi che, in un'intervista pubblicata dal Fatto Quotidiano, parla addirittura di «abuso d'ufficio», spiegando che il «Salvator mundi» sarebbe dovuto andare a Monza, ma poi «il contratto è stato rescisso», perché «la mostra di Agrigento è stata anticipata e siccome lì ci sono gli interessi del ministro, tutto pro domo sua, la statua viene portata ad Agrigento e non a Monza»;
secondo il codice dei beni culturali e dell'ambiente, decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42, all'articolo 48 (Autorizzazione per mostre ed esposizioni), il comma 2 dispone: «Qualora l'autorizzazione abbia ad oggetto beni appartenenti allo Stato o sottoposti a tutela statale, la richiesta è presentata al Ministero almeno quattro mesi prima dell'inizio della manifestazione ed indica il responsabile della custodia delle opere in prestito» –:
se i Ministri interrogati non ritengano, per quanto di competenza, che non si debbano mettere a rischio opere fragili e difficilissime da spostare, straordinarie nel loro contesto e da non collocare secondo gli interroganti in mezzo alla distratta frequentazione dei turisti della Sagra del mandorlo in fiore di Agrigento;
se non ritengano che al timore diffuso, non solo riguardo alla movimentazione delle opere, ma anche alla loro sicurezza, debba corrispondere la prevenzione e la tutela del patrimonio espresso da tali opere, non consentendone, lo spostamento;
quali siano le tempistiche delle autorizzazioni richieste agli uffici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nonché i criteri di conservazione e fruizione pubblica adottati per lo spostamento dell'opera Salvator Mundi.
(5-07828)
Interrogazioni a risposta scritta:
ROMANINI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
con l'inizio del 2016, sorgono oggettive preoccupazioni circa il proseguimento dei richiami di personale volontario ex discontinuo dei vigili del fuoco anche per il corrente anno, in special modo per ciò che riguarda l'integrazione dell'organico del distaccamento di Langhirano, recentemente decretato permanente attraverso il riordino delle piante organiche previsto dal decreto ministeriale n. 2384 del 31 luglio 2015;
ad oggi, non risulterebbero infatti notizie certe nel merito della questione. Preoccupazioni più che legittime in quanto ad oggi, il personale volontario che viene richiamato con continuità per periodi di 14 giorni (n. 1 unità a turno per un totale di 4) integra di fatto l'organico provvisorio della predetta sede anche per il fatto che nel complesso il comando non ha ancora un organico a regime secondo quanto prevede il succitato decreto;
in sostanza, sembrano mancare complessivamente n. 28 unità, in maggioranza personale qualificato che comunque partecipa alla conformazione del dispositivo di soccorso provinciale ( –14 capi reparto, –20 capi squadra, +6 vigili);
a fronte delle suindicate carenze di personale qualificato, le stesse vengono periodicamente affrontate anche con prestazioni retribuite in orario straordinario, secondo i budget attribuiti dalla direzione regionale, già assegnati anche per il 1o trimestre 2016, nelle more dei concorsi già banditi. Inoltre, la presenza di personale parzialmente idoneo ai sensi dell'articolo 134 dell'ordinamento decreto legge n. 217 del 2005 (personale non impiegabile sugli scenari di soccorso) e del verificarsi di diversi trasferimenti temporanei ai sensi dell'articolo 12 del CCNL e della legge n. 267 del 2000 (circa una decina), diminuisce sensibilmente la quantità di personale operativo in servizio impiegabile;
da ciò ne deriva l'importanza che un numero di vigili del fuoco volontari (VFV), pur esiguo in quanto si tratterebbe di n. 4 unità, possa incidere positivamente sulla gestione del servizio, anche in considerazione del mantenimento degli istituti contrattuali spettanti nei confronti del personale operativo (ferie, permessi e altro);
inoltre, notizia di questi ultimi giorni è che alcuni provvedimenti straordinari che vedono trasferire dal comando ulteriore personale operativo ai sensi dell'articolo 42-bis del decreto legislativo n. 151 del 2001, in deroga alle mobilità ordinarie;
se così fosse e se quindi l'amministrazione dovesse dare corso alle restanti istanze giacenti presso i loro uffici riguardanti il personale in servizio a Parma e avente parimenti diritto in virtù dello stesso istituto (circa 7 istanze), il comando si ritroverebbe con una carenza di circa 44 unità. Le suindicate unità mancanti, derivano da carenze di organico rispetto alla dotazione prevista (n. 28 unità tutte qualificate capi reparto e capi squadra) e da trasferimenti speciali in deroga ai criteri ordinari ammesso vengano soddisfatte tutte (n. 16 unità tutti VF eccetto un capo squadra);
inoltre, in assenza dei richiami del personale VFV (mediamente n. 4 unità a richiamo), si accentuerebbe ancor di più la difficoltà per sostenere il dispositivo provinciale di soccorso nella provincia più estesa della regione dopo infatti quella di Bologna, impiegati nella fattispecie presso il distaccamento di Langhirano (ex misto e decretato SD2 dal riordino) –:
se il Ministro interrogato condivida le preoccupazioni inerenti alle possibili ricadute sul servizio di soccorso date dal ritardo dei richiami 2016 VFV (ex discontinui);
se intenda compensare le carenze segnalate con la conferma del richiamo di personale volontario anche per il 2016, nelle more del raggiungimento degli organici a regime previsti e soprattutto della conclusione dei concorsi già banditi per la copertura dei posti da capo reparto e capo squadra. (4-12127)
CATALANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
con l'interrogazione n. 4-01963 del 25 settembre 2013 si è posta all'attenzione del Governo la vicenda dell'ispettore di Poste Italiane Alessandro Carollo estromesso dalle funzioni dopo la collaborazione resa agli Inquirenti nell'ambito della nota operazione «Lost pay»;
la situazione del citato Carollo, anche in relazione al suo frettoloso allontanamento dall'ufficio in data 8 aprile del 2013, in occasione del quale gli furono tolte le chiavi dell'ufficio e dell'armadio blindato, prima che egli potesse ritirare i propri effetti personali e fare inventario della documentazione presente, venne denunciata al vertice aziendale, che con nota a firma del responsabile affari legali rassicurava sull'effettuazione di accertamenti da compiersi a cura della funzione fraud management di tutela aziendale;
in data 11 giugno 2013 personale in servizio presso l'ATTA Sud 1 ha avuto accesso ai locali dell'ufficio del dottor Carollo in sua assenza, provvedendo a compiere «accertamenti» nella stanza e sul contenuto dell'armadio blindato, con l'assistenza di appartenenti alla polizia di Stato; non è chiaro in base a quali presupposti ciò sia avvenuto –:
a che titolo, su quale base legale, e chi abbia disposto l'intervento della polizia di Stato nel tempo e luogo di cui in premessa;
se risulti quali operazioni siano state compiute in presenza delle forze dell'ordine, e quali siano i loro esiti. (4-12129)
SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il questore di Biella, Salvatore Perrone, nel corso di un'audizione svoltasi nel consiglio comunale della città di Biella in data 16 febbraio 2016 , ha affermato di aver notizia del fatto che in alcuni centri di accoglienza aperti nel biellese per i richiedenti asilo «si fa largo uso di sostanze stupefacenti»;
alcuni immigrati, ha aggiunto il questore Perrone, integrerebbero il loro « pocket money spacciando droga, che in parte consumerebbero anche;
il questore Perrone ha altresì reso nota la propria intenzione di effettuare controlli mirati nelle strutture utilizzando unità cinofile;
il fatto che i migranti richiedenti asilo si dedichino ad attività illegali, mentre percepiscono una diaria da parte dello Stato dovrebbe comportare conseguenze non solo penali ma anche amministrative –:
se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative affinché, in presenza di migranti richiedenti asilo che integrano la diaria loro corrisposta delinquendo, si proceda alla sospensione della corresponsione del pocket money in loro favore nonché al rigetto immediato della domanda di tutela internazionale ed alla conseguente espulsione immediata dal territorio nazionale;
se il Governo non ritenga necessario verificare l'idoneità, la preparazione e la professionalità dei gestori dei centri medesimi. (4-12133)
CIRIELLI e LA RUSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
è di pochi giorni fa la notizia, che porta la firma della giornalista Angela Cappetta, delle intercettazioni tra l'ex prefetto di Salerno, Gerarda Maria Pantalone, e l'attuale governatore della Campania, Vincenzo De Luca, sulle sorti del consiglio provinciale di Salerno, all'indomani della riconferma dell'interrogante a deputato alle ultime elezioni politiche;
in particolare, il 26 marzo 2013 l'allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, firmava il decreto di scioglimento della provincia di Napoli, dopo le dimissioni di Luigi Cesaro eletto alla Camera dei deputati e stessa sorte rischiava anche la provincia di Salerno;
come si legge nelle intercettazioni riportate, la prefetta, rispondendo alla richiesta di chiarimenti di De Luca, spiega che, mentre per il caso di Napoli il Ministero avrebbe provveduto allo scioglimento del consiglio provinciale e alla nomina di un commissario che, molto probabilmente sarebbe stato il presidente stesso (quindi Pentangelo), relativamente alla provincia di Salerno, «La particolarità della nostra è che non lo potevano dare ovviamente al Presidente e l'avrebbero data al vice (Iannone). Però, per quanto concerneva Salerno, hanno deciso di non farlo ancora perché attendono gli esiti del contenzioso»;
il contenzioso cui si fa riferimento è quello innescato dal ricorso dei consiglieri provinciali del Pd contro la delibera dei consiglio provinciale di Salerno che dichiarò decaduto l'interrogante;
con riferimento, poi, alla qualifica di commissario che avrebbe assunto il vice a Salerno, Pantalone aggiunge «Io mi ero incazzata perché avevo detto che, se la fattispecie era la stessa, dovevamo trattarle tutte e due allo stesso modo», definendo quella di Salerno una cosa assurda per l'idea di assegnare l'incarico a Iannone;
come se ciò non bastasse, la Pantalone proseguendo nella disamina dei fatti, rivela di essere stata già contattata da Fulvio Bonavitacola «dopo la notizia», di non condividere l'interpretazione del Ministero e di ritenere invece più opportuna la nomina di un prefetto («ce ne sono molti a spasso»), confessando di aver ricontattato il Ministero «Ho detto: scusate, io avrò quelli del Partito Democratico che mi diranno perché Napoli e non Salerno ? Dice: perché Napoli non ha nessun contenzioso in atto. Ma dico: ma che (...) significa, allora se un provvedimento è impugnato noi aspettiamo fra tre anni che decide il giudice ordinario ?»;
gravi appaiono le parole pronunciate dal prefetto, Gerarda Pantalone, in una vicenda su cui avrebbe dovuto mantenere una posizione di assoluta imparzialità, soprattutto se l'interlocutore è un esponente politico, allora sindaco di Salerno;
senso dello Stato, affidabilità e terzietà nell'interesse generale sono, infatti, o, forse, sarebbe meglio dire, dovrebbero essere le principali qualità che i prefetti devono rappresentare e dimostrare sul campo –:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative ritenga opportuno adottare per fare chiarezza sulla vicenda e accertare se nelle parole proferite dal prefetto Pantalone, che agli interroganti non appaiono in linea con la deontologia professionale di un alto dirigente dello Stato, si possano ravvisare eventuali violazioni disciplinari. (4-12143)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazioni a risposta scritta:
PARENTELA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
M.C. è affetta da distrofia muscolare congenita di tipo Ullrich ed è stata riconosciuta persona handicappata in situazione di gravità, con una capacità complessiva residua minima anche perché ha notevoli difficoltà a mantenere la posizione eretta;
M.C. frequenta il primo anno del liceo scientifico «Luigi Siciliani» a Catanzaro e nei primi giorni di scuola ha presentato la necessità di essere assistita oltre che dal docente di sostegno, già in servizio, anche da un operatore sanitario in grado di intervenire prontamente in caso di difficoltà respiratorie per la gestione della valvola tracheostomica e la conseguente aspirazione delle secrezioni. Tale necessità è dettata, altresì, dal fatto che la presenza a scuola varia da un minimo di 4 ore ad un massimo di 5 ore giornaliere e si è constatato che il problema si presenta più volte nel corso della stessa mattinata scolastica;
nella scuola sopra indicata non esiste una figura professionale in grado di adempiere a tale compito. Il centro clinico dell'ospedale Gemelli, che ha in cura M. per miopatia di Ullrich, ha certificato che la gestione quotidiana della valvola tracheostomica richiede la presenza di operatore sanitario fornito di aspiratore portatile a batterie e sondini per aspirazione;
data la gravità della situazione, da circa 10 giorni, l'ASP territoriale ha messo a disposizione di M. un'infermiera, evidenziando e specificando però la temporaneità dell'ausilio offerto;
il dirigente scolastico dell'Istituto frequentato da M. ha, in concomitanza con l'inizio dell'anno scolastico, inoltrato alla regione – settore pubblica istruzione, richiesta di assistente specialistico per l'autonomia e la comunicazione (Prot. n. 3812), nonché all'amministrazione provinciale di Catanzaro – settore pubblica istruzione, richiesta ad oggi rimasta totalmente inevasa;
l'articolo 1 della legge n. 104 del 1992 prevede:
a) La Repubblica garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società;
b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali;
come ribadito recentemente nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1930/2013 la previsione di personale qualificato in favore di uno studente disabile frequentante un istituto di istruzione secondaria superiore, costituendo una misura idonea ed adeguata per dare effettività e concretezza al suo diritto all'istruzione ed all'integrazione scolastica, integra ragionevolmente la fattispecie del servizio «di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio», di cui al 1 comma, lettera c) dell'articolo 139 del decreto legislativo n. 112 del 1998;
in aggiunta a quanto sopra rappresentato, si consideri che le condizioni familiari della ragazza sono, peraltro, assai difficili dal punto di vista economico in quanto il nucleo familiare relativo è composto dalla signora M.F. madre di M., la stessa e una sorellina di 16 anni. La madre di M., non può garantire la sua presenza accanto alla figlia nelle ore scolastiche dovendo inevitabilmente lavorare, quantunque si tratti di lavori occasionali e saltuari –:
quale sia l'orientamento del Governo con particolare riguardo agli aspetti di competenza e se non ritenga necessario e fondamentale per la salute in primis, nonché per le condizioni generali di serenità della studentessa del liceo scientifico «Luigi Siciliani» di Catanzaro assumere iniziative affinché, in questo come in casi analoghi, sia individuata una figura sanitaria qualificata, in via definitiva, e non sporadica e discontinua, in modo da assicurare la stabilità e la continuità del rapporto con la stessa e favorire l'instaurarsi di una fiducia personale e relazionale, atta a consentirle di vivere la scuola in completa serenità, scongiurando pertanto l'ulteriore dannoso disagio e stress psicologico-emotivo che deriverebbe ineluttabilmente da un'eventuale deleteria turnazione del personale sanitario preposto alla sua assistenza. (4-12128)
ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il 13 febbraio 2016 in tutta Italia si sono svolte manifestazioni di protesta che ha visto coinvolti alunni e docenti degli istituti musicali e dei conservatori non statali, nelle modalità più consone per i musicisti, cioè suonando. Il motivo delle manifestazioni è stato il seguente: la statizzazione non ancora avvenuta per gli istituti, per la mancata attuazione di alcuni fondamentali decreti attuativi della legge n. 508 del 1999;
l'articolo 2, comma 8, lettera e), della legge n. 508 del 1999, infatti, disponeva una statizzazione graduale degli istituti, previa istanza dei soggetti interessati e comunque senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. Per effetto della mancata attuazione della citata previsione normativa, tali istituti si trovano oggi a sopravvivere solo grazie ai finanziamenti degli enti pubblici;
anche a Ravenna docenti e studenti dell'Istituto Giuseppe Verdi si sono ritrovati davanti alla prefettura per un happening musicale di disapprovazione per questa situazione. Nel Caso dell'istituto Giuseppe Verdi, finora il comune si è fatto carico ogni anno di circa 1,4 milioni di euro, ma non è in grado di dare certezze per il futuro;
sono ormai diversi anni che a causa della crisi economica ancora in atto, il taglio dei finanziamenti agli enti locali e i vincoli imposti ai bilanci delle amministrazioni stanno compromettendo il contributo agli istituti musicali da parte delle amministrazioni comunali e, la sopravvivenza dell'Istituto Giuseppe Verdi, come degli altri istituti musicali è messo a repentaglio;
il 25 febbraio 2015 la Ministra Giannini, in VII Commissione istruzione al Senato, nel corso di un'audizione sulle prospettive di riordino della normativa riguardante il settore dell'alta formazione artistica, ha ricordato la parzialità dell'attuazione della legge n. 508 e, tra i vari punti affrontati, ha riconosciuto che, per effetto della mancata attuazione della statizzazione, gli istituti musicali si trovano oggi in una sorta di limbo giuridico, in quanto risultano parificati ai conservatori e quindi rientranti nello spazio comune europeo delle arti musicali ma nello stesso tempo, però, i finanziamenti a loro favore derivano solo dagli enti locali, anziché dallo Stato –:
se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, se ne sia a conoscenza e se non ritenga opportuno rispondere alle richieste e alle proteste di studenti e docenti degli istituti musicali e dei conservatori non statali con un'iniziativa normativa urgente attuativa della legge citata in premessa, che contenga i criteri e le modalità per realizzare effettivamente, superando così l’empasse attuale in cui si trovano docenti e discenti, il processo di statizzazione dei suddetti istituti. (4-12132)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:
LENZI, CASATI, AMATO, MURER, PIAZZONI, PATRIARCA, ARGENTIN, PAOLA BOLDRINI, CAPONE, MIOTTO, BENI, FOSSATI, CARNEVALI, D'INCECCO e MARIANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
nell'ambito degli interventi normativi volti a sostenere i redditi delle famiglie, l'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015, legge 23 dicembre 2014, n. 190, ai commi dal 125 al 129, ha previsto, per ogni figlio nato o adottato tra il 1o gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2017, un assegno annuo di importo pari a 960 euro, da corrispondere in rate mensili da 80 euro fino al terzo anno di vita del bambino, oppure fino al terzo anno dall'ingresso in famiglia del figlio adottato;
l'assegno è previsto per i figli di cittadini italiani o comunitari oppure per i figli di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (di cui al riformato articolo 9 del testo unico sull'immigrazione, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 e successive modificazioni), residenti in Italia, a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente sia in una situazione economica corrispondente ad un valore dell'ISEE non superiore ai 25.000 euro annui. Per i nuclei familiari in possesso di un ISEE non superiore a 7.000 euro annui, l'importo annuale dell'assegno è raddoppiato;
il comma 126 demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la definizione delle disposizioni attuative dell'assegno in questione. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 febbraio 2015 (di seguito DPCM,) pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 83 del 10 aprile 2015 sono state emanate le necessarie disposizioni per l'attuazione del beneficio;
l'articolo 6, comma 1 del DPCM attuativo stabilisce che l'INPS provvede al monitoraggio dell'onere inviando, entro il 10 di ciascun mese, la rendicontazione con riferimento alla mensilità precedente delle domande accolte e dei relativi oneri al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze, secondo le indicazioni fornite dai medesimi Ministeri;
sempre secondo il DPCM attuativo, qualora l'onere sostenuto dall'INPS per tre mensilità consecutive sia superiore alle previsioni di spesa annuali, l'INPS sospende l'acquisizione di nuove domande nelle more dell'adozione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della salute, di cui all'articolo 1, comma 127, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, con cui si provvede a rideterminare l'importo annuo dell'assegno e i valori dell'ISEE –:
quanti siano ad oggi i beneficiari di tale misura ed in particolare, quante siano state le domande presentate e accolte relativamente ai limiti Isee di 25.000 e di 7.000 euro nonché quale sia la loro suddivisione regionale. (5-07825)
DI VITA, GRILLO, SILVIA GIORDANO, MANTERO, LOREFICE, BARONI, COLONNESE e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
in Italia esistono ancora molte strutture che accolgono le persone con disabilità, attraverso le quali, almeno sulla carta, dovrebbero essere erogate prestazioni socio-sanitarie, riabilitative ed educative; invero la realtà dei fatti è spesso ben altra, come è emerso da alcuni recenti avvenimenti di cronaca, succedutisi peraltro nell'arco di pochissimi giorni;
da ultimo il 15 febbraio 2016 è assurto agli onori della cronaca il caso dei 14 operatori impiegati presso l'Aias di Decimomannu (Cagliari), che sono stati sospesi per sei mesi dal pubblico servizio dopo che la registrazione delle telecamere di immagini inequivocabili di violenze perpetrate a danno di alcune persone con disabilità. Secondo quanto emerso dalle indagini dei militari, iniziate nel 2014, i 14 operatori avrebbero maltrattato alcuni ospiti, tutti adulti, della struttura sanitaria dove si trovano a causa delle loro gravi condizioni di disabilità psicofisiche. Tra le accuse, oltre ai maltrattamenti, percosse, lesioni personali e omissione di referto;
quello descritto purtroppo non costituisce un singolo caso isolato, ma si inserisce a pieno titolo nel quadro di un fenomeno invero più diffuso di quanto si riesca a immaginare, dovuto in particolare alla pressoché generalizzata assenza di controlli in tale settore. Realtà tristemente simili emergono infatti sempre più di frequente dalle cronache giornalistiche, basti pensare ai casi recenti di Licata in provincia di Agrigento del 18 gennaio e di Grottaferrata in provincia di Roma dell'8 febbraio 2016;
con la legge 3 marzo 2009, n. 18, il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e del relativo protocollo opzionale, sottoscritta dall'Italia il 30 marzo 2007. Scopo della Convenzione, è quello di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti e di tutte le libertà da parte delle persone con disabilità, e in particolare gli articoli 12, 14, 15, 16 e 33 garantiscono loro la capacità giuridica e la piena tutela dell'integrità psicofisica;
inoltre, l'articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328 «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali», stabilisce che i comuni devono predispone su richiesta dell'interessato un progetto individuale per realizzare la piena integrazione delle persone disabili nell'ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell'istruzione scolastica o professionale e del lavoro, che punta ad una visione in chiave unitaria dei bisogni della persona con disabilità, riconducibile al concetto di adattamento ragionevole, espresso dagli articoli 19 e 25 della citata Convenzione per i diritti umani per la persona disabile nonché al modello bio-psico-sociale dell'ICF (« International Classification of Functioning»), pubblicato dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nel marzo 2002;
questo è quanto dovrebbe fare il progetto di vita individuale, realizzato secondo l'articolo 14 della legge 328 del 2000, ma ancor oggi pressoché disatteso in sede di attuazione a livello locale;
in tale ottica il Parlamento ha il compito e il dovere di promuovere ed elaborare proposte di modifica della normativa esistente, volte a rimuovere ogni situazione segregante e di istituzionalizzazione delle persone con disabilità a favore di soluzione abitative che realizzino il diritto alla vita indipendente e alla permanenza e inclusione della persona con disabilità nella propria comunità di origine e, dove possibile, nella propria abitazione, come peraltro indicato nell'articolo 19 della convezione ONU;
in tal senso stupisce dover segnalare, non senza preoccupazione, come il Governo non abbia preso in considerazione la possibilità di assumere iniziative normative atte a fronteggiare l'aspetto specifico sin qui descritto e denunciato, relativo alla carenza di controlli mirati nei confronti di soggetti giuridici, quali ad esempio le società e le cooperative sociali, che svolgono servizi di interesse pubblico per conto dell'ente locale di riferimento, nonché a prevedere l'istituzione di un’authority indipendente che possa determinare un controllo più efficace nei confronti delle numerose cooperative che si occupano di settori tanto delicati –:
quali iniziative di competenza il Ministro interrogato abbia posto in essere per dare concreta attuazione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, in particolare agli articoli 12, 14, 15, 16 e 33 e al modello di servizi incentrato sul progetto individuale della persona con disabilità di cui all'articolo 14 della legge 328 del 2000 collegato agli articoli 19 e 25 della stessa Convenzione, in particolare al fine di limitare sin dalla radice il rischio di istituzionalizzazione e che situazioni gravissime e drammatiche analoghe a quelle in premessa citate si verifichino nuovamente (5-07826)
NIZZI, POLIDORI, OCCHIUTO e GIAMMANCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
l'accertamento dello stato di invalidità civile e/o di handicap dà diritto a prestazioni socio-economiche, che dipendono dal grado di invalidità riconosciuto, dall'età e dal reddito;
al riconoscimento dell'invalidità civile totale e permanente del 100 per cento può far seguito il diritto all'indennità di accompagnamento. Questa forma di sostegno è stata concessa «nell'esigenza di incentivare l'assistenza domiciliare dell'invalido, evitandone il ricovero in ospedale e, nel contempo, sollevando lo Stato da un onere ben più gravoso di quello derivante dalla corresponsione dell'indennità», ma al contempo anche per «sostenere il nucleo familiare onde incoraggiarlo a farsi carico [della persona malata], evitando così il ricovero in istituti di cura e assistenza con conseguente diminuzione della relativa spesa sociale»;
il diritto a percepire detta indennità può essere collegato alla patologia oncologica, ma non ne è conseguenza necessaria. Infatti, il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento deriva dalla sussistenza di problemi di deambulazione o di autonomia nello svolgimento delle normali attività della vita quotidiana (alimentazione, igiene personale, vestizione) che possono affliggere anche un malato di cancro. Pertanto, solo nel caso in cui la persona malata si venisse a trovare in condizioni di grave difficoltà di deambulazione o di autonomia, anche se solo per un periodo di tempo limitato, avrebbe diritto di vedersi riconosciuta l'indennità di accompagnamento;
l'importo dell'assegno di indennità di accompagnamento è pari a 508,55 (anno 2015) per 12 mensilità; è cumulabile con la pensione di inabilità, non è vincolato da limiti di reddito e di età e non è reversibile agli eredi;
per l'indennità di accompagnamento l'effettiva erogazione dell'assegno, che è di competenza dell'INPS, spesso avviene diversi mesi dopo la presentazione della domanda, anche se il diritto alla prestazione economica matura dal mese successivo alla presentazione di detta domanda;
i ritardi dell'erogazione dell'indennità di accompagnamento sono, oltre che inspiegabili, umilianti per gli aventi diritto e spesso inutili per i malati oncologici, a maggior ragione se in fase terminale. In merito alla procedura per ottenere il riconoscimento dell'invalidità, si ricorda peraltro che la legge n. 80 del 2006 prevede che sia applicata una procedura accelerata in caso di patologia oncologica. E questo perché, tristemente, il malato oncologico spesso non può attendere le lentezze burocratiche di erogazione;
ciò è quanto ad esempio avviene presso la sede territoriale dell'INPS di Perugia, presso la quale i malati – oncologici – aspettano oltre sei mesi per iniziare a percepire l'indennità di accompagnamento. Poiché per legge il tempo non dovrebbe superare i 120 giorni, l'INPS, per i suoi ritardi, costringe a sborsare gli interessi legali sulle provvidenze erogate in ritardo;
tuttavia, la Corte di cassazione sezione civile, con la sentenza del 1o marzo 1999, n. 1705, ha riconosciuto che, trattandosi di indennità e non di pensione, possa essere concesso tale trattamento anche per periodi circoscritti nel tempo, durante i quali il soggetto si trovi nelle condizioni sanitarie richieste dalle legge;
più recentemente, la Corte, con la sentenza del 27 maggio 2004, n. 10212, è tornata sull'argomento confermando che al malato che si deve sottoporre a chemioterapia e in condizioni di difficoltà spetta l'indennità di accompagnamento per il periodo delle cure «poiché nessuna norma vieta il riconoscimento del diritto ad indennità di accompagnamento anche per periodi molto brevi, addirittura inferiori al mese»;
quindi, per la gravità della patologia da cui è affetto, il ricorrente ha diritto al riconoscimento della invalidità nella misura del 100 per cento con indennità di accompagnamento, quanto meno per i detti periodi di trattamento oncologico, con la conseguente erogazione delle provvidenze economiche correlate allo status invalidante;
grazie alla legge n. 102 del 2009 si è prevista l'informatizzazione della procedura di richiesta, con il sostanziale obiettivo di concludere l'iter entro 120 giorni;
un quinto delle cause civili dibattute in Italia vede l'INPS come controparte. Nel 2011 sono stati definiti 349.595 giudizi: INPS ha avuto sentenza favorevole in 144.402 casi. E le cause, naturalmente, costano: basti calcolare un costo prudenziale di 10.000 euro a causa (che qualcuno paga) e sia ha la dimensione del giro di affari;
se ciascun malato oncologico al quale spetta l'erogazione dell'indennità di accompagnamento decidesse poi di fare ricorso nei confronti dell'INPS, e in subordine nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze, per la tardiva erogazione, potrebbe veder riconosciuto, oltre al proprio diritto, anche il pagamento degli interessi maturati dal l21o giorno successivo a quello della presentazione dell'istanza amministrativa fino al giorno dell'effettivo soddisfo, oltre al risarcimento del danno per la svalutazione monetaria da calcolarsi in base agli indici ISTAT, in conformità all'orientamento della Corte costituzionale (cfr. n. 156/91 e 196/93) con conseguente aggravio delle casse dell'erario –:
quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere, per quanto di competenza, per fare in modo che siano erogate secondo i termini di legge le indennità di accompagnamento, al fine di alleviare almeno in parte il disagio delle persone interessate che nella maggior parte dei casi non possono permettersi un'adeguata e dignitosa assistenza nelle more dell'indennità, e al fine di evitare un serio danno alle casse dello Stato dettato dalla tardiva risposta dell'INPS e dai conseguenti possibili ricorsi degli interessati. (5-07827)
Interrogazione a risposta in Commissione:
TENTORI, CATALANO, MATTIELLO, MALPEZZI, QUARTAPELLE PROCOPIO, TERROSI, SENALDI, PELUFFO, BRAGA, RAMPI, LAFORGIA, PRINA, GASPARINI, GIAMPAOLO GALLI, CASATI, POLLASTRINI, ASCANI, GADDA, LAVAGNO, COVA, ARLOTTI, MISIANI, GALPERTI, FRAGOMELI e COMINELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la regione Lombardia con il provvedimento n. X/4152 dell'8 ottobre 2015 ha avviato la sperimentazione «Reddito di autonomia» approvando un pacchetto di misure fra cui il «bonus bebé»;
si tratta di un contributo economico una tantum di 800 euro per i secondi nati e di 1000 euro dal terzo figlio in poi, quale sostegno socio-economico al percorso di crescita del bambino. Il «bonus bebé» non è previsto nel caso di figlio unico;
i criteri di accesso indicati sono i seguenti: esercitare la responsabilità genitoriale sul bambino; avere la residenza continuativa di entrambi i genitori in regione Lombardia da almeno 5 anni e nel caso di famiglia mono genitoriale il requisito della residenza deve essere soddisfatto dal genitore richiedente il bonus; si deve trattare di bambini nati nel periodo compreso tra l'8 ottobre 2015 e il 31 dicembre 2015; occorre un ISEE rilasciato ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 non superiore a euro 30.000;
si apprende che dalla platea dei beneficiari sono esclusi i genitori adottivi, quindi alle famiglie adottive con questo provvedimento non sono riconosciuti i diritti riconosciuti alle famiglie biologiche;
dagli organi di stampa si apprende che quanto sopra è emerso in seguito alla denuncia di una coppia adottiva che ha tentato di accedere al contributo. Tale contributo tuttavia è stato loro negato;
il provvedimento citato appare fortemente discriminatorio nei confronti delle famiglie adottive e dei bambini adottati –:
di quali elementi disponga il Ministro interrogato, in relazione a quanto esposto in premessa e se, al di là del caso descritto, intenda assumere iniziative, anche normative, volte a supportare la famiglia e la genitorialità nel rispetto del principio di uguaglianza e senza determinare ingiustizie e discriminazioni. (5-07810)
Interrogazioni a risposta scritta:
SPADONI, MASSIMILIANO BERNINI, DALL'OSSO, SARTI, DELL'ORCO e FERRARESI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
servono provvedimenti urgenti da parte del Governo per far fronte al drammatico caso di delocalizzazione e dei continui licenziamenti che si ripetono con indici sempre più preoccupanti su tutto il territorio nazionale da parte delle aziende italiane: sono troppe le imprese che, per essere concorrenziali, seguono strategie di trasferimento all'estero delle fasi del processo produttivo;
l'azienda Corghi di Correggio (RE) a novembre 2015 ha dichiarato di avere un calo di ordinativi per il 2016 annunciando la delocalizzazione di alcuni reparti in Croazia; non potendo utilizzare alcun ammortizzatore sociale ha aperto di conseguenza una procedura di mobilità per 54 licenziamenti;
suddetta azienda ha indetto un tavolo di trattativa con le organizzazioni sindacali, tra cui Fim Federazione italiana metalmeccanici, che in comunicato stampa dichiara: «Corghi è un'azienda che chiuderà quest'anno con un fatturato record e che quindi deve sentire ancor più sua l'esigenza di agire fino in fondo la propria responsabilità sociale d'impresa nei confronti di tutti i lavoratori ed in particolare di quelli con ridotta capacità lavorativa»;
a parere degli interroganti è inammissibile che si debbano licenziare dei lavoratori solamente in base ad un'ipotesi di un calo di produzione per l'anno 2016: questa scelta non essendo dettata da comprovate difficoltà produttive, di mercato e di bilancio sembra dunque agli interroganti rispondere a logiche di profitto;
la Corghi inoltre ha dichiarato, durante il tavolo di trattativa, che se nell'anno di vigenza del contratto di solidarietà non giungerà a quota 54 esuberi, adotterà un'altra procedura di licenziamento collettivo. A tal proposito risultano preoccupanti le dichiarazioni della Fim: «Per i numeri dichiarati dall'azienda in sede di trattativa tecnica crediamo che non ci siano i 54 esuberi dichiarati»;
tale scelta metterebbe a repentaglio il destino di tante famiglie e vanificherebbe anni di impegno lavorativo sul territorio; è fondamentale secondo gli interroganti è puntare sul rafforzamento delle imprese italiane e al contempo lavorare su un piano che rappresenti una crescita dell'industria garantendo diritti di tutti i lavoratori –:
quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per la salvaguardia dei numerosissimi lavoratori a rischio sul territorio nazionale e quali siano le soluzioni possibili per le sopracitate persone coinvolte affinché nessun lavoratore possa perdere il proprio posto di lavoro;
quali strategie intendano adottare a tutela delle imprese italiane che, per essere concorrenziali e alla continua ricerca del minor costo, seguono strategie di delocalizzazione delle fasi del processo produttivo comportando significative trasformazioni nel tessuto economico e sociale delle zone interessate. (4-12131)
BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
l'interrogante aveva già segnalato in una interrogazione a risposta in commissione del 22 gennaio 2016, n. 5-7489, le criticità emerse in merito al possibile conflitto di interessi del direttore generale INPS, Massimo Cioffi, con particolare attenzione alla questione del «buco Enel» provocato dallo stesso quando era capo del personale Enel;
come si evince da un articolo pubblicato su « il Giornale.it» del 15 febbraio 2016 – titolo: «Buco da 40 milioni per l'Inps – la procura di Nocera indaga sull'attuale direttore generale dell'Inps, Massimo Cioffi, per un'evasione fiscale da 40 milioni creata tra il 2006 e il 2014 quando era a capo delle Risorse Umane Enel», lo stesso sarebbe indagato dalla procura di Nocera in merito ai fatti già esposti nell'interrogazione suddetta;
dall'articolo suddetto risulterebbe inoltre che «(...) accusato anche dal capo della vigilanza di voler insabbiare gli accertamenti su un presunto buco da 40 milioni di euro per le casse dell'Inps»;
inoltre, la procura starebbe indagando per verificare se a livello penale esiste o meno un conflitto di interessi configurabile come abuso d'ufficio;
a parere dell'interrogante risulta essenziale far luce sulla vicenda su esposta al fine di garantire una piena trasparenza nelle operazioni di verifica e, qualora risultassero confermate le criticità suddette, risulterebbe improcrastinabile una presa di posizione del presidente Inps e dei Ministeri vigilanti;
in data 20 marzo 2014 è stata presentata una proposta di legge – presentata dall'interrogante e da altri deputati «Modifica dell'articolo 3 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479, concernente l'ordinamento e la struttura organizzativa dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, nonché delega al Governo per il riordino degli organi collegiali territoriali dell'Istituto nazionale della previdenza sociale» (A.C. 2210), che cercava di mettere in luce – e di trovare le relative soluzioni – alle possibili e rilevanti criticità esistenti all'interno dell'Inps –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti e se non ritenga opportuno approfondire le criticità esposte in premessa;
quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di far fronte alle criticità suddette, con specifica attenzione al possibile conflitto di interessi su cui sta indagando la procura di Nocera;
se il Ministro interrogato non ritenga necessario un'iniziativa anche di natura normativa, al fine di tutelare la trasparenza sulle verifiche delle entrate contributive, scongiurando qualsiasi possibile interferenza o conflitto di interessi da parte dell'attuale dirigente generale dell'Inps, Massimo Cioffi;
se il Ministro interrogato non ritenga necessario e improrogabile, anche alla luce delle su esposte criticità, assumere iniziative per un riordino della normativa in merito all'ordinamento e la struttura organizzativa dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, rilevato altresì che le possibili soluzioni sono state presentate da vari soggetti politici come indicato in premessa. (4-12137)
MARCO DI STEFANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il diritto alle cure sanitarie trova il suo fondamento nell'articolo 32 della Costituzione che recita «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività»;
il servizio sanitario nazionale garantisce quindi il diritto alle cure, attraverso le regioni; si tratta di un diritto, stabilito fin dagli anni ’50, dalla normativa italiana;
la legge 4 agosto 1955, n. 692 recita che «l'assistenza sanitaria deve essere fornita, indipendentemente dalla sua durata, alle persone colpite da malattie specifiche della vecchiaia» principio ribadito nel decreto del Ministro del lavoro del 21 febbraio 1956, nella legge 12 febbraio 1968 n. 132, articolo 29 e nella legge 13 maggio 1978, n. 180;
negli anni Novanta sono state costituite le residenze sanitarie assistenziali, strutture finalizzate a fornire ospitalità, prestazioni sanitarie e assistenziali di recupero a persone anziane non autosufficienti, persone colpite da malattie inguaribili o invalidanti, malattie psichiatriche, morbo di Alzheimer e altro; cioè tutte quelle patologie non assistibili a domicilio e non che necessitano di ricovero in strutture di tipo ospedaliero o nei centri di riabilitazione;
in base alla normativa regionale vigente (deliberazione della giunta regionale n. 98/2007, deliberazione della giunta regionale n. 173/2008, deliberazione della giunta regionale n. 933/2014), la diaria giornaliera per l'ospitalità in residenza sanitaria assistenziale (RSA) è ripartita nel modo seguente: 50 per cento è a carico del Fondo sanitario nazionale, il 50 per cento a carico dell'assistito, con la eventuale compartecipazione del comune di residenza, per chi ne ha diritto; è previsto l'accesso al contributo di integrazione della retta per l'utente;
hanno diritto al contributo comunale gli utenti Rsa che hanno un reddito annuale I.S.E.E. (indicatore della situazione economica equivalente) pari a un importo non superiore a euro 13.000,00, calcolato secondo quanto stabilito dall'articolo 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, sul prestazioni socio-sanitarie;
le regioni rimborsano ai comuni una quota parte della somma effettivamente spesa per l'integrazione delle quote degli utenti aventi diritto. Tali stanziamenti regionali destinati ai rimborsi sono definiti annualmente con legge di bilancio;
si apprende dai media che la regione Lazio ha effettuato un sostanziale taglio al fondo che serviva a rimborsare i comuni laziali per le spese sostenute per l'ospitalità dei degenti nelle Rsa;
tale decurtazione provocherà seri problemi ai bilanci dei comuni del Lazio perché la dotazione finanziaria, che fino a 2014 era di 60 milioni di euro, nel 2015 si è ridotto a soli 15 milioni di euro, fondi che i comuni del Lazio avevano già anticipato e che quindi non si vedranno restituire;
di conseguenza, i comuni, non potendo più pagare, metteranno in crisi le famiglie delle persone ospitate che si vedranno costretti a riportarle a casa pur essendo persone malate;
di conseguenza, la notevole diminuzione di pazienti ricoverati costringerà le Rsa a collocare in cassa integrazione il personale sanitario e ausiliario in esubero;
dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali dipende il Fondo nazionale per le politiche sociali (Fnps), fonte nazionale di finanziamento specifico degli interventi di assistenza alle persone e alle famiglie, così come previsto dalla legge quadro di riforma del settore, la legge n. 328 del 2000;
il fondo, in particolare, va a finanziare un sistema articolato di piani sociali regionali e piani sociali di zona che descrivono, per ciascun territorio, una rete integrata di servizi alla persona, rivolti all'inclusione dei soggetti in difficoltà o, comunque, all'innalzamento del livello di qualità della vita;
le risorse contenute nel Fnps finanziano due aree d'intervento: da una parte, riguardo trasferimenti economici alle persone e famiglie che vengono gestiti attraverso dall'altra, contribuiscono a finanziare la rete integrata di servizi sociali territoriali; questa parte viene ripartita tra le regioni che, a loro volta, ed in base alle proprie normative e programmazioni sociali, attribuiscono le risorse ai comuni. Sono questi ultimi gli enti responsabili dell'erogazione dei servizi ai cittadini organizzati e programmati all'interno dei piani sociali di zona, dentro i quali, più comuni possono associarsi per una gestione integrata dei propri servizi;
a fronte del proprio ruolo di capofila della filiera di finanziamento, il Ministero si occupa di monitorare sia l'andamento della spesa per trasferimenti monetari, sia della spesa territoriale per servizi;
il decreto ministeriale del 7 maggio 2014 recante la ripartizione delle risorse finanziarie afferenti al Fondo per le non autosufficienze per l'anno 2014, destina alla regione Lazio 30.022.000 euro;
il decreto ministeriale del 14 maggio 2015, recante la ripartizione delle risorse finanziarie afferenti al Fondo per le non autosufficienze per l'anno 2015, destina alla regione Lazio 35.217.000 euro;
pertanto, rispetto l'anno precedente, si è verificato un aumento di 5.249.000 euro, che non giustifica la riduzione dei fondi che la regione Lazio destina ai comuni per le Rsa;
stante la figura di capofila della filiera di finanziamento dei progetti di cui in premessa, attraverso la gestione del Fondo nazionale per le politiche sociali che riveste il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Governo di quali elementi disponga circa l'andamento della spesa relativa alla rete integrata dei servizi sociali e socio-sanitari in particolare nella regione Lazio, e se questo sia conforme ai criteri dettati dalle aree d'intervento del Fnps, nonché ai decreti ministeriali di riparto del fondo. (4-12138)
GALATI, PARISI e ABRIGNANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
è del dicembre 2015, la tragica notizia del decesso, all'età di 43 anni ed a seguito di grave patologia tumorale, del primo maresciallo incursore dell'Aeronautica militare, Gianluca Danise, veterano di numerose missioni all'estero, tra le quali Kosovo, Albania, Eritrea, Afghanistan, Iraq e Gibuti. Secondo quanto riportato dalla stampa, a seguito dell'attentato di Nassiriya del 12 novembre 2003 e con l'intento di restituire i resti alle famiglie, il giovane militare Gianluca Danise, si impegnò direttamente e senza indugio, nel tragico compito della ricomposizione dei resti dei corpi dilaniati dei colleghi, che perirono in quel tragico attacco;
secondo l'osservatorio permanente e centro studi per il personale delle forze armate, forze di polizia e società civile (denominato brevemente «Osservatorio Militare»), Gianluca Danise sarebbe la 321a vittima dell'esposizione ad uranio impoverito. Il 4 gennaio 2016, si registra un nuovo decesso per cause analoghe. La 322a vittima, tra militari, per malattie da uranio impoverito, è un quarantunenne di Salerno, rientrato 4 anni fa da una missione militare all'estero;
nel maggio del 2015, la corte d'appello di Roma ha decretato la «inequivocabile certezza» del nesso causale tra esposizione ad uranio impoverito e insorgenza di malattie tumorali, riconoscendo il diritto al risarcimento del danno in favore dei familiari di un militare deceduto per cancro, in seguito al servizio ricoperto nella missione internazionale in Kosovo tra il 2002 ed il 2003;
ad oggi, secondo quanto riportato dalla stampa, sarebbero 30 le sentenze a carico del Ministero della difesa, di cui la maggior parte definitive, che danno ragione ai militari ammalatisi o a familiari di militari deceduti;
i profili di responsabilità accertati sarebbero connessi, secondo quanto emerge dalle indagini e dalle inchieste giudiziarie, oltre che dalla documentazione raccolta anche nell'ambito delle inchieste parlamentari, alla mancata adozione, da parte degli organi dell'amministrazione militare e della difesa, delle necessarie misure precauzionali che avrebbero dovuto far seguito alla emanazione di una informativa, divulgata nel 1999 dall'US Army, rivolta ai vertici militari di tutti i Paesi presenti in missioni nella ex Jugoslavia, recante informazioni chiare e dettagliate sulla pericolosità delle cosiddetto «neoparticelle» di uranio impoverito, con illustrazione delle modalità di prevenzione dei rischi per i militari coinvolti in operazioni su territori soggetti a bombardamento da armi di uranio impoverito;
provvedimenti mai adottati dall'amministrazione militare italiana; una circostanza che determinò l'esposizione dei connazionali militari impegnati all'estero agli effetti deleterei derivanti dalla contaminazione da questo pericoloso materiale, altamente dannoso per la salute in specie se inalato, ingerito o posto a contatto di ferite;
nel caso specifico di Gianluca Danise, secondo quanto riportato dai giornali, la situazione della famiglia risulta ancora più aggravata per la sopravvenienza di una serie di ritardi ed imprecisioni nel calcolo nell'assegno pensionistico da parte dell'Inps. Una situazione ingiusta e assolutamente non conforme a quello spirito democratico della Repubblica, al quale dovrebbe informarsi l'ordinamento delle Forze armate, secondo l'articolo 52 della Costituzione e che, al contempo, impone l'assunzione di specifiche responsabilità in capo alla pubblica amministrazione e delle istituzioni dello Stato per la tutela dei diritti primari dei cittadini ed in particolar modo, per quei cittadini che hanno concorso e contribuito personalmente all'espletamento delle missioni militari italiane all'estero, pagandone il prezzo con la loro vita;
l'interrogante evidenza la necessità di avviare una riflessione effettiva, concreta e coerente, sull'opportunità, al fine di favorire la ricomposizione di una frattura tra cittadini e istituzioni statali che rischia di divenire insanabile, di istituzionalizzare i procedimenti risarcitori in favore dei militari italiani (e delle loro famiglie), vittime di malattie connesse all'esposizione ad uranio impoverito durante le missioni militari all'estero, di introdurre forme e procedimenti legali per il risarcimento in sede amministrativa degli stessi attraverso adeguate forme di indennizzo, spostando dunque il momento del risarcimento, dalla sede giudiziaria (spesso tortuosa e non sempre praticabile dai familiari delle vittime) a quelle extragiudiziaria e a quelle amministrativa;
un provvedimento di questo tipo, anche attraverso l'istituzione di una apposita commissione ministeriale per la valutazione dei singoli casi e per l'accertamento dei presupposti che darebbero diritto all'indennizzo, a parere dell'interrogante, consentirebbe, in primo luogo, di impedire un ulteriore deterioramento delle condizioni personali e materiali delle persone e delle famiglie coinvolte in queste tragiche e drammatiche vicende, e in secondo luogo, di eliminare una contrapposizione drastica ed insensata, nelle sedi giudiziali, tra cittadini ed istituzioni democratiche dello Stato –:
se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ritenga, conformemente ai propri poteri di verifica e controllo, di poter assumere iniziative volte a promuovere la giusta determinazione della misura della prestazione previdenziale di reversibilità dovuta alla famiglia del primo maresciallo incursore dell'Aeronautica militare, Gianluca Danise, da poco deceduto per effetto di patologia legata all'esposizione ad uranio impoverito;
se ed in quali termini, il Ministro della difesa ritenga di poter adottare iniziative idonee ad assicurare il riconoscimento di indennizzi in favore dei militari italiani, vittime di patologie connesse all'esposizione ad uranio impoverito in zone di guerra. (4-12139)
FASSINA e GREGORI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
l'Hotel InterContinental De La Ville di Roma, è una struttura importante del sistema ricettivo alberghiero di Roma. L'Hotel è un cinque stelle (lusso) e dispone di 192 camere;
l'attività alberghiera è gestita dalla società InterContinental Hotels Italia Srl per conto della società Delaville SRL che è titolare del contratto di affitto dell'Immobile stipulato con la proprietà la società Reale Immobili Spa. L'IHG ha al suo interno 132 dipendenti di cui 114 con contratto a tempo indeterminato e 18 con contratto a termine;
il contratto di affitto dell'hotel tra Reale Immobile Spa, e Delaville Srl, è scaduto il 31 dicembre 2013. Da allora, le due società, locataria e conduttrice, hanno svolto diversi incontri per rinnovare il contratto di affitto e per valutare l'entità dei lavori, improcrastinabili, di ristrutturazione da effettuare;
constatata l'impossibilità di conciliare le rispettive posizioni, l'Intercontinental Hotels Italia Srl, con lettera dell'11 gennaio 2016, ha avviato la procedura di licenziamento collettivo per tutti i 132 lavoratori, poiché, a suo dire, deve adempiere all'obbligo contrattuale di riconsegnare l'immobile adibito a hotel, sgombro da, cose e persone, alla proprietaria dell'immobile, ovvero la Reale Immobile Spa, entro e non oltre il 27 marzo 2016;
si è di fronte ad una situazione assurda; in un tempo contrassegnato dalla nota crisi economica, il sistema turistico può e deve svolgere un ruolo importante per sostenere la ripresa economica di Roma e dell'intero territorio regionale. La chiusura di un così importante albergo nel centro di Roma, determinerebbe un peggioramento qualitativo e quantitativo dell'offerta alberghiera romana e nazionale;
le organizzazioni sindacali di categoria, unitamente alla Federalberghi, cui aderisce l'IHG Srl che gestisce l'attività alberghiera fin dal 1971, hanno richiesto un incontro alla proprietà dell'immobile, la Reale Immobile Spa, per meglio comprendere la situazione ed agire per evitare la chiusura di un importante albergo ed il relativo licenziamento di 132 persone. Chiusura che creerebbe ulteriore disoccupazione per circa 50 persone, occupate nelle aziende fornitrici di servizi necessari all'attività alberghiera: manutenzione, ristorazione, lavanderia e altro. A tale richiesta, a quanto consta agli interroganti, è pervenuta una risposta di diniego da parte della Rete Immobiliare Spa –:
quali iniziative, anche urgenti, il Governo intenda adottare per salvaguardare i livelli occupazionali dei lavoratori di cui in premessa, in un settore così particolarmente colpito a livello nazionale come quello turistico-alberghiero. (4-12141)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta orale:
BURTONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
nel corso degli ultimi anni si è realizzato un processo di continua liberalizzazione degli scambi commerciali con una progressiva riduzione delle protezioni di molti Paesi che interessa anche i prodotti agricoli ed agroalimentari italiani;
detto processo consente ai prodotti italiani di poter accedere ai mercati internazionali, ma determina impatti negativi importanti quando si producono condizioni di distorsione della concorrenza, anche per mancanza di piena reciprocità;
il recente caso dell'accordo Unione europea – Marocco ha comportato, come ha sottolineato Confagricoltura, conseguenze negative per gli operatori italiani del comparto agrumicolo, mentre la discussione del possibile aumento del contingente di olio di oliva importato dalla Tunisia, senza applicazione di tariffa doganale, dimostra come non siano stati valutati appieno i possibili effetti sul mercato comunitario e nazionale dell'olio di oliva;
sotto l'aspetto fitosanitario, l'apertura del mercato europeo a patogeni non presenti nel territorio mina la tenuta di interi comparti, come nel caso della malattia degli agrumi greening, settore che sta attraversando, oltretutto, una crisi di mercato e che vede, a quanto risulta all'interrogante, la sospensione, in Sicilia, di tutte le attività di ritiro di arance da parte dell'industria di trasformazione;
risulta necessario evitare che alcuni comparti produttivi soffrano a causa degli accordi internazionali anziché trarne beneficio, come sarebbe auspicabile in una logica di mutuo vantaggio –:
se sia stato valutato il reale impatto della liberalizzazione degli scambi sul sistema agricolo italiano e sulle produzioni dell'olio di oliva e degli agrumi;
se siano comparabili le regole di produzione e gli standard dei prodotti importati rispetto ai requisiti dei prodotti europei;
se non si ritenga che alcune modalità applicative degli accordi sugli scambi commerciali rischino di alterare gli effetti delle concessioni di libero scambio;
se si ritenga di sostenere, nelle sedi comunitarie, la necessità di valutare l'impatto degli accordi bilaterali delle concessioni in corso di definizione, anche in vista di una loro rimodulazione;
se non si ritenga di assumere iniziative per rafforzare il sistema dei controlli alle frontiere;
se si stiano predisponendo iniziative di intervento per la crisi di mercato degli agrumi in Italia e se si intendano prevedere misure di compensazione. (3-02023)
SALUTE
Interrogazione a risposta in Commissione:
DE LORENZIS. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
l'Agenzia europea dell'ambiente (AEA) è un'agenzia dell'Unione europea e ha il compito di fornire informazioni valide e indipendenti sull'ambiente. Fonte di informazione di primaria importanza per coloro che si occupano dello sviluppo, dell'adozione, dell'implementazione e della valutazione delle politiche ambientali, ed anche per il pubblico in generale. Attualmente l'AEA ha 33 Paesi membri. Il mandato dell'AEA è finalizzato ad aiutare l'Unione ed i Paesi membri a prendere delle decisioni fondate in merito al miglioramento dell'ambiente, integrando considerazioni di carattere ambientale nelle politiche economiche e progredendo verso la sostenibilità ed inoltre ha il compito di coordinare la rete europea di informazione ed osservazione ambientale;
la relazione dell'AEA «Qualità dell'aria in Europa – relazione 2015» studia l'esposizione della popolazione europea agli inquinanti atmosferici e fornisce un'istantanea sulla qualità dell'aria basata su dati provenienti da stazioni di monitoraggio ufficiali di tutta Europa. Secondo lo studio, la maggior parte degli abitanti delle città continua ad essere esposta a livelli di inquinanti atmosferici che l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) non ritiene sicuri. La relazione stima le morti premature attribuibili all'esposizione a particolato sottile (PM2,5), ozono (O3) e biossido di azoto (NO2) nel 2012 in 40 Paesi europei e nell'Unione europea a 28;
la relazione fornisce stime relative alle morti premature anche a livello nazionale e desta forte allarme i dati riguardanti l'Italia in cui risultano 84.400 decessi, ripartiti, sotto il profilo della derivazione causale, tra micro polveri sottili (pm2.5) a cui vengono attribuiti in Italia 59.500 decessi – primo stato europeo per numero di decessi insieme alla Germania – biossido di azoto (NO2) a cui vengono attribuiti in Italia 21.600 decessi – primo Stato europeo per numero di decessi in assoluto – e ozono (O3) a cui vengono attribuiti in Italia 3.300 decessi – primo Stato europeo per numero di decessi in assoluto;
da fonti stampa del Fatto Quotidiano del 1o dicembre 2015 dal titolo «Inquinamento, 84 mila decessi non punibili» a cura dell'avvocato Stefano Palmisano – avvocato penalista, esperto di rapporti tra salute e ambiente – viene ribadito che l'Italia si è finalmente dotata di un serio apparato normativo di tutela penale dell'ambiente, la legge del 22 maggio 2015, n. 68 «Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente» – pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 122 del 28 maggio 2015. Il provvedimento inserisce nel codice penale il nuovo Titolo VI-bis (dei delitti contro l'ambiente), che comprende i nuovi reati tra i quali il delitto di inquinamento ambientale (articolo 452-bis), il delitto di disastro ambientale (articolo 452-quater), il delitto di traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività (articolo 452-sexies), il delitto di impedimento del controllo (articolo 452-septies), il delitto di omessa bonifica (articolo 452-terdecies). È prevista inoltre un'aggravante ambientale applicabile a tutti i fatti già previsti come reato;
il reato di inquinamento ambientale consiste anche in una «compromissione o un deterioramento significativi e misurabili [...] dell'aria» (punito nell'ipotesi base con la pena da due a sei anni di reclusione); quello di «morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale» è punito con una pena che può arrivare a vent'anni di reclusione;
tuttavia, l'avvocato Palmisano specifica che con l'approvazione del decreto legislativo del 16 marzo 2015, n. 28, «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67» – pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 64 del 18 marzo 2015 – si istituisce la cosiddetta «particolare tenuità del reato» come causa di non punibilità dello stesso. Il legislatore ha esteso l'applicabilità di quella sorta di potenziale «indulgenza plenaria» penale anche ai reati ambientali previsti dal cosiddetto «testo unico ambiente»;
lo stesso aggiunge che: «per stare al tema dell'inquinamento dell'aria, un esempio è dato dal reato commesso da “chi inizia a installare o esercisce uno stabilimento in assenza della prescritta autorizzazione (alle emissioni in atmosfera, ndr) ovvero continua l'esercizio con l'autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa o revocata”: costui “è punito con la pena dell'arresto da due mesi a due anni o dell'ammenda da 258 euro a 1.032 euro”. Inoltre, “chi, nell'esercizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall'autorizzazione” rischia la sanzione, ancor più drastica, dell'arresto fino ad un anno o dell'ammenda fino a 1.032 euro»;
infine l'avvocato Palmisano conclude «com’è evidente, questo tipo di condotte di reato ha parecchio a che fare con l'eccellente performance di questo Paese di 84.400 morti da emissioni in atmosfera, in un anno, su citata. Ciononostante, viene punito con quel tipo di pene “draconiane”. Anzi, da aprile scorso, rischia di esser dichiarato, non occasionalmente, non punibile in quanto “particolarmente tenue”»;
a giudizio dell'interrogante, a fronte dei dati drammatici diffusi dall'AEA, la non punibilità di tali condotte rappresenta una vera e propria ingiustizia da rimuovere al più presto –:
se i Ministri siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e se trovi conferma l'eventualità di non punibilità del reato di inquinamento dell'area se considerato «particolarmente tenue» e, in tal caso, quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di evitare una lieve pena e soprattutto la non punibilità del reato;
quali iniziative urgenti, per quanto di propria competenza, intendano adottare i Ministri interrogati al fine di prevenire e quindi evitare i decessi dovuti all'inquinamento dell'aria che in Italia sono stimati in numero maggiore rispetto i singoli 40 Paesi presi in esame dall'indagine dell'AEA. (5-07803)
Interrogazione a risposta scritta:
MURA. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
si apprende di maltrattamenti continuati e sistematici nei confronti di pazienti con disabilità psico-fisiche, ricoverati stabilmente presso la struttura AIAS di Decimomannu in Sardegna, convenzionata con il servizio sanitario nazionale;
secondo quanto riporta l'Unione sarda «le accuse vanno a vario titolo dall'omissione di atti d'ufficio, ai maltrattamenti, alle percosse, alle lesioni personali e all'omissione di referto –:
se siano a conoscenza dei fatti;
se e come intendano intervenire, per quanto di competenza;
se non ritengano, visto il caso specifico, e il ripetersi di casi analoghi, in altre parti d'Italia, che debbano essere assunte iniziative, in collaborazione con le regioni, per intensificare i controlli e le verifiche al fine di accertare la qualità dei servizi e il rispetto dei diritti dei pazienti. (4-12135)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazioni a risposta scritta:
ROMANINI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
secondo notizie riportate da stampa e agenzie la società Pengas Italiana Srl, attiva nella ricerca di idrocarburi, ha presentato al Ministero dello sviluppo economico un'istanza di «permesso di ricerca in terraferma» su un'area nella provincia di Parma, che comprende complessivamente 16 comuni e precisamente: Polesine Parmense, Zibello, Busseto, Soragna, San Secondo Parmense, Tre Casali, Torrile, Parma, Fontevivo, Fontanellato, Fidenza, Salsomaggiore Terme, Noceto, Medesano, Collecchio;
sempre secondo tali notizie, il 19 dicembre 2015 è stata depositata e pubblicata sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse del 31 gennaio una istanza, denominata «Fontevivo», ora in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. La richiesta sarebbe in fase di istruttoria preliminare e sarà oggetto di un parere della Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie del Ministero;
tali permessi sono mirati a «scandagliare» il sottosuolo, alla ricerca di giacimenti di idrocarburi liquidi o gassosi;
Pengas nel mese di dicembre 2015 ha presentato anche un'altra istanza denominata «Gussola» per la ricerca di idrocarburi tra il cremonese e il mantovano, compresi i territori di Bozzolo, Sabbioneta e Rivarolo Mantovano. I sindaci della zona hanno già espresso pareri contrari, considerato che si tratta di una zona sismica, e hanno chiesto al Governo di intervenire per bloccare l'eventuale perforazione;
i sindaci di Fidenza e Medesano per primi hanno scritto ai rappresentanti istituzionali, fra cui gli interroganti, evidenziando una forte criticità dell'eventuale processo autorizzativo dovuto al mancato coinvolgimento dei sindaci e dunque delle comunità locali, in un procedimento che li toccherebbe da vicino –:
se vi sia già un orientamento rispetto alla richiesta di permesso di ricerca;
in che tempi si preveda, in forza di quanto previsto dal comma 34 dell'articolo 27 della legge n. 99 del 2009, di coinvolgere i comuni interessati. (4-12119)
LIUZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il pagamento del canone Rai in bolletta elettrica è stato introdotto con la legge di Stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, commi da 152 a 160) e l'attuazione fattiva del provvedimento è prevista a partire dal mese di luglio 2016 (legge n.208 del 2015, articolo 1, comma 159, lettera a)). La manovra prevede l'emanazione di due atti: uno da parte dal Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e l'altro dall'Agenzia delle entrate. Il primo riguarda il decreto attuativo volto a definire i dettagli della misura da emanare entro 45 giorni dall'entrata in vigore della legge di bilancio (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 154). Il secondo atto deve definire le modalità per la presentazione dell'autocertificazione di coloro che non possiedono un televisore e quindi sono esentati dal pagamento del canone (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 159, lettera b)). Ad oggi nessuno dei due atti risulta essere adottato;
il 16 febbraio 2016 Assoelettrica — associazione che raccoglie le imprese fornitrici di energia — in un documento presentato al Ministero dello sviluppo economico, ha espresso numerosi dubbi sia sulle modalità di applicazione del pagamento del canone in bolletta, sia sulla stringente tempistica che le aziende hanno a disposizione per predisporre i necessari sistemi informatici per emettere le nuove fatture modificate;
il Presidente di Assoelettrica ha infatti dichiarato a mezzo stampa che «A tutt'oggi le nostre aziende non sanno ancora come dovranno esigere il canone Rai che il Governo ha voluto inserire nella bolletta elettrica». Inoltre, ha specificato che esistono «una lunga serie di problemi che ancora non sono stati risolti: dalla questione dei ritardi pagamenti alla morosità, dall'eventualità di un cambio di fornitore ai pagamenti parziali, dai reclami ai contratti non residenti»;
sulla questione succitata anche il Codacons si è espresso definendo la questione succitata «l'ennesimo pasticcio all'italiana». Carlo Rienzi (presidente Codacons) ha dichiarato «Come avevamo previsto, la misura che introduce il canone Rai in bolletta sta creando difficoltà alle aziende del settore. Siamo convinti che a lungo si scatenerà un vero e proprio caos, con gli utenti e le aziende elettriche impreparate ad affrontare la novità»;
il decreto attuativo non è stato ad oggi emanato nonostante l'ultimo giorno utile fosse il 15 febbraio 2015. Lo stesso decreto è propedeutico alla definizione delle modalità di autocertificazione che l'Agenzia dell'entrata non può definire senza di esso;
l'interrogante precisa che il MoVimento 5 Stelle, oltre ad aver sollevato dubbi sui profili di costituzionalità della manovra, ha più volte espresso le stesse criticità degli operatori elettronici e degli utenti contenuti in premessa –:
se i Ministri interrogati intendano considerare le criticità degli operatori elettrici citate in premessa e quali siano le tempistiche, considerato il decorso dei termini di legge, previste per l'emanazione del decreto attuativo volto a definire i dettagli della misura. (4-12120)
FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il 5 febbraio 2016 sul bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (BUIG) sono stati pubblicati gli avvisi per due istanze di permesso per ricerca di idrocarburi della società Pengas Italiana. Le istanze sono state presentate al Ministero dello sviluppo economico per ricercare idrocarburi nel sottosuolo nelle province di Cremona, Mantova e Parma, in un territorio di decine di migliaia di ettari;
la prima istanza di permesso, denominata Fontevivo, comprende 41.140 ettari della provincia di Parma e interessai 6 comuni: Polesine Parmense, Zibello, Busseto, Soragna, San Secondo Parmense, Tre Casali, Torrile, Parma, Fontevivo, Fontanellato, Fidenza, Salsomaggiore Terme, Noceto, Medesano, Collecchio;
la seconda istanza, denominata Gussola, comprende 36.380 ettari delle province di Mantova e Cremona e interessa 31 comuni: Cicognolo, Pessina Cremonese, Isola Dovarese, Cappella de’ Picenardi, Pieve San Giacomo, Torre de’ Picenardi, Drizzona, Piadena, Sospiro, Derovere, Ca’ d'Andrea, Voltido, Tornata, Calvatone, Casteldidone, Solarolo Rainerio, San Martino del Lago, Cingia de’ Botti, Cella Dati, Pieve d'Olmi, San Daniele Po, Motta Baluffi, Scandolara Ravara, Gussola, Martignana di Po, Casalmaggiore, Rivarolo del Re e Uniti, Bozzolo, Rivarolo Mantovano, Sabbioneta;
il territorio è già pesantemente pregiudicato. La pianura padana è infatti una delle aree più inquinate del mondo;
l'Italia deve necessariamente ed urgentemente adeguarsi ad un progressivo abbandono dei combustibili fossili in favore di energie rinnovabili, come richiesto dalle direttive europee e come previsto dalla «Strategia 20-20-20»;
i sindaci della zona hanno espresso parere contrario con varie prese di posizione e con documenti in cui chiedono che venga bloccata l'eventuale perforazione. I sindaci ricordano al Governo e regione Lombardia che il territorio della zona è stato definito a rischio sismico e che nella zona è stato installato, su richiesta dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, un sismografo;
il Consiglio dei ministri, respingendo la richiesta di un election day che avrebbe permesso maggior partecipazione il risparmio allo Stato di circa 300 milioni di euro, ha fissato per il 17 aprile 2016 la data in cui il popolo italiano sarà chiamato alle urne per esprimersi in merito al referendum ammesso dalla Corte Costituzionale in materia di trivellazioni;
il referendum ha chiaro valore di indirizzo politico: non si potrà non tener conto del suo risultato –:
se, per le suddette istanze, il Ministro intenda agire con dovuta prudenza, sospendendo qualsiasi atto finalizzato all'autorizzazione richiesta, attendendo l'esito del referendum, e approfondendo i risultati dei rilievi sismici;
quali iniziative, di competenza, il Ministro abbia attivato o intenda attivare per rispettare quanto previsto nel documento «Strategia energetica nazionale» dove si sostiene, in materia di produzione nazionale di idrocarburi, che il Governo italiano «non intende perseguire lo sviluppo di progetti in aree sensibili». (4-12121)
CATANIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 1, commi 74, lettera a) e 87 della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 ha prorogato fino al 31 dicembre 2016 la detrazione fiscale del 65 per cento per gli interventi di efficientamento energetico e di adeguamento antisismico degli edifici. In particolare, la detrazione è anche ammessa per le spese sostenute per il miglioramento termico degli edifici;
tali detrazioni si sono dimostrate un importante strumento per la riqualificazione del patrimonio immobiliare e hanno determinato vantaggi in termini di riduzione energetica e di risparmio economico per i consumatori, oltre a costituire una leva di rilancio delle imprese di settore;
l'Agenzia nazionale per l'efficienza energetica (ENEA) gestisce le detrazioni fiscali per il risparmio energetico del patrimonio edilizio fin dalla loro istituzione, avvenuta con la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) e ha l'incarico di effettuare le verifiche ed i controlli dei requisiti richiesti dalle norme agevolative nell'ordine del conseguimento del risparmio energetico;
nel segmento dei serramenti e degli infissi, le associazioni di categoria lamentano l'assenza di controlli tecnici effettivi sui manufatti oggetto di detrazione e ciò avrebbe determinato la possibilità di ottenere la detrazione fiscale anche nel caso di acquisto di serramenti « low cost» prodotti senza rispettare gli standard necessari per la realizzazione di un ottimale efficientamento energetico;
con decreto del 16 luglio 2014 il Governo francese ha stabilito un modello detto di "ecocondizionalità", mediante il quale le detrazioni fiscali per i lavori di risparmio energetico vengono accordate solo se si ricorre ad imprese certificate RGE (Reconnu Garant de l'Environnement). Tale certificazione è rilasciata alle imprese che si sottopongono ad un esame dei criteri di qualificazione, a periodici corsi di formazione e ad un controllo in cantiere. Inoltre, per poter ottenere la qualifica in questione devono essere rispettati specifici criteri finanziari, di regolarità amministrativa, di competenza e di mezzi tecnici impiegati;
sulla scia del modello sopramenzionato, l'Associazione nazionale per la tutela della finestra made in Italy (ANFIT) ha intrapreso a tutela del consumatore finale un percorso di qualità per poter garantire le prestazioni dichiarate dei serramenti grazie ad una procedura di controllo da parte di Adiconsum in qualità di ente paritetico di vigilanza del mercato ed ha sottoscritto una garanzia assicurativa con Reale Mutua Assicurazioni relativamente alle prestazioni degli infissi posti in opera –:
quali opportune iniziative il Governo intenda attuare per contrastare il fenomeno di immissione nel nostro Paese di prodotti realizzati in difetto degli standard qualitativi minimi necessari per l'efficientamento energetico e se non ritenga utile a questo proposito promuovere un percorso di certificazione obbligatorio, sulla falsa riga del modello francese, per poter usufruire delle detrazioni fiscali, che coinvolga i Ministeri competenti, l'ENEA come organismo tecnico, gli enti terzi tramite l'Ente italiano per l'accreditamento e le associazioni di categoria interessate.
(4-12122)
OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
a decorrere da fine 2014 per la difesa commerciale sono in vigore nell'Unione europea 81 misure anti-dumping, di cui 52 riguardano le importazioni dalla Cina;
se dovesse essere riconosciuto alla Cina lo status di economia di mercato, che porterebbe all'abbattimento delle barriere commerciali all'import cinese, sono parecchie decine di migliaia gli artigiani che in Italia in pochi anni perderebbero il posto di lavoro;
secondo l'analisi dell'ufficio studi Confartigianato sui dati 2015 dell’Economic Policy Institute, nel nostro Paese il rischio riguarda 69.780 occupati nell'artigianato, ben il 2,5 per cento dell'intero settore;
in base a tali dati, i numeri più alti si riscontrano in Lombardia, con 13.220 addetti a rischio, il 2,5 per cento del totale del settore artigianato. Seguono il Veneto (10.770 occupati, pari al 3,1 per cento del totale) e la Toscana (9.320, pari al 4 per cento). In Liguria potrebbero perdere il lavoro circa 1.200 addetti nell'artigianato, che rappresentano l'1,5 per cento del totale degli occupati nel settore in Regione;
le percentuali salgono se si tiene conto del solo settore manifatturiero, quello decisamente più esposto alle conseguenze della concessione dello status alla Cina: in Italia si parla del 5,5 per cento di occupati a rischio licenziamento, cioè di ben 54.000 addetti;
con riferimento ai dati del settore manifatturiero ligure, sarebbero coinvolti 730 occupati, il 3,6 per cento del manifatturiero artigianato regionale. Nel dettaglio, si parla di 150 addetti liguri nella produzione di mobili e altre manifatture simili, 120 nella produzione legata alla lavorazione dei metalli e di altri 120 nel tessile, pelle e abbigliamento. I rimanenti 340 sono occupati in altri settori manifatturieri. Le costruzioni e i servizi hanno invece ben 470 occupati a rischio in Liguria –:
alla luce dei dati sopra esposti, quali iniziative intenda adottare per fronteggiare una situazione che si prospetterebbe estremamente difficile per le micro e piccole imprese italiane che, nel caso di riconoscimento dello status economico alla Cina, sarebbero soggette ad una concorrenza di beni e servizi di qualità decisamente inferiore a quella italiana, messi sul mercato a prezzi ancora più bassi di quelli odierni, diventando così insostenibili, con la conseguenza e il rischio di portare al collasso il settore dell'artigianato, che già versa in condizioni di forte difficoltà. (4-12123)
FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
con precedenti atti di sindacato ispettivo (n. 5-02431, n. 5-03197, n. 5-04718, n. 5-05441), l'interrogante richiamava l'attenzione del Governo sulla vertenza Fincantieri e sul suo operato non proprio trasparente nel processo di riorganizzazione;
in particolare, con gli atti n. 5-04718 e n. 5-05441, si rilevava la politica – perseguita da Fincantieri – di abbattimento del costo del lavoro con il trasferimento di attività all'estero e con piani di riorganizzazione «lacrime e sangue» per i lavoratori, in particolare per il cantiere di Riva Trigoso, nonché una politica a giudizio dell'interrogante intimidatoria nei riguardi dei lavoratori che si espongono nelle assemblee di protesta contro le riduzioni di stipendio;
il 4 febbraio 2016, la Fincantieri, in maniera unilaterale e prima dell'inizio dell'assemblea sindacale, provvedeva a consegnare alle segreterie delle organizzazioni sindacali la lettera ufficiale di apertura delle procedure di cassa integrazione guadagni ordinaria, dal 7 marzo al 5 giugno, per un numero massimo di 35 dipendenti;
i lavoratori ritengono assolutamente inaccettabile, oltre che incomprensibile, che la direzione aziendale richieda l'avvio delle procedure di cassa integrazioni guadagni ordinaria, nonostante il recente stanziamento del Governo di oltre 6 miliardi di euro per il rinnovo della flotta e con i relativi carichi di lavoro costanti per i prossimi anni;
l'accavallarsi di notizie buone – come le commesse acquisite – e di notizie cattive – come l'elargizione ai dirigenti di buonuscite milionarie o il crescente ricorso all'affidamento del lavoro a ditte esterne o ancora le proposte di spostamento di interi reparti e di trasferimenti di dipendenti senza oggettive esigenze aziendale – allarma sia le maestranze che le istituzioni locali;
la vicenda della buonuscita milionaria ha poi dell'incredibile: secondo quanto riportato dalla stampa ammonta a 3 milioni di euro l'importo dell'assegno che il 10 gennaio 2016, è stato corrisposto da Fincantieri all'ex direttore generale Andrea Mangoni, dimessosi dall'incarico il 9 novembre 2015, dopo appena nove mesi dalla nomina –:
se e quali iniziative di competenza, il Governo intenda urgentemente adottare per far luce sulle intenzioni della Fincantieri nei confronti dei propri lavoratori, con particolare riguardo ai dipendenti dei cantieri liguri, e chiarire l'atteggiamento aziendale che appare più favorevole all'impiego di manodopera esterna che all'utilizzo dei propri dipendenti;
se trovi conferma la notizia che la Fincantieri abbia pagato lo scorso 10 gennaio 2016, all'ex direttore generale Mangoni, dirigente dimissionario, 3 milioni di buonuscita e, in particolare, che il direttore generale abbia ottenuto di andarsene non dimettendosi unilateralmente, ma contrattando con l'azionista di maggioranza, la Cassa depositi e prestiti, il sontuoso trattamento di fine rapporto, secondo quanto pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 12 novembre 2015. (4-12130)
Apposizione di firme ad interrogazioni.
L'interrogazione a risposta scritta Gallinella e altri n. 4-12044, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta dell'11 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lorefice.
L'interrogazione a risposta scritta Lupo e altri n. 4-12080, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 12 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lorefice.
L'interrogazione a risposta scritta Lupo e altri n. 4-12089, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 12 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lorefice.
L'interrogazione a risposta in Commissione Agostinelli n. 5-07781, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 15 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Cecconi, Ciprini, Gallinella, Terzoni.
L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Fauttilli n. 3-02013, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 16 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gigli.
Pubblicazione di un testo riformulato.
Si pubblica il testo riformulato della interpellanza Baldelli n. 2-01264, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 565 del 9 febbraio 2016.
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
il 6 ottobre 2015 la Camera ha approvato all'unanimità la mozione, a prima firma del proponente del presente atto di sindacato ispettivo, recante iniziative per la tutela dei diritti dei consumatori nei confronti degli operatori del mercato dell'energia elettrica e del gas, protagonisti di comportamenti presumibilmente scorretti e attualmente oggetto di indagini, come l'emissione di maxibollette frutto di conguagli pluriennali, fatturazioni incongrue, basate su conteggi di consumi stimati, ma non effettivi, errori di valutazione, e mancate considerazioni delle autoletture;
il testo del dispositivo approvato con un voto unanime dell'Assemblea e con il parere favorevole del Governo, impegnava il Governo stesso ad «intervenire nell'ambito delle proprie competenze, affinché fosse assicurata dagli operatori del settore una moratoria sulle recenti maxibollette derivanti da conguagli superiori a due anni, finché le autorità non abbiano completato gli accertamenti circa eventuali violazioni del codice del consumo»;
per analoghe irregolarità, in data 25 gennaio 2016, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha condannato diverse società del settore idrico al pagamento di oltre due milioni di euro;
nel frattempo, gli utenti interessati da tali «maxibollette e mega-conguagli» continuano a pagare, i più fortunati a rate, questi importi che pesano spesso come macigni sulle economie domestiche dei soggetti interessati;
successivamente all'approvazione della mozione di cui sopra, la mancata applicazione della moratoria è stata fatta oggetto sia di un'interrogazione a risposta immediata presso la X Commissione, nel novembre 2015, e il Governo, in quella circostanza, rassicurò gli interroganti circa la volontà di mantenere l'impegno in tempi relativamente brevi, sia di un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea, il 17 febbraio 2016, in risposta al quale il Ministro ha dato delucidazioni sullo stato dell'arte dei tavoli di consultazione di operatori e consumatori presso il Mise, sull'evoluzione delle normative di settore e sulle misure volte a prevenire il verificarsi in futuro di circostanze analoghe, ma non ha fornito alcun chiarimento in ordine ai tempi della moratoria in questione;
la senatrice Simona Vicari, Sottosegretario per lo sviluppo economico a cui era stata assegnata la delega sulle materie di competenza della «Direzione generale per mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica», che aveva seguito questo dossier e che il 7 gennaio scorso aveva auspicato entro gennaio obblighi stringenti a favore dei consumatori vittime dei maxiconguagli, è passata ad un altro dicastero nell'ambito del recente mini-rimpasto e, attualmente, la delega, come emerge anche dall'intervento sopra ricordato del Ministro interrogato, risulta essere stata affidata al sottosegretario senatore Gentile –:
quanto tempo ancora gli utenti destinatari di «maxibollette e mega-conguagli» dovranno aspettare, pagando nel frattempo gli importi richiesti, prima che il Governo intervenga in modo finalmente risolutivo per mantenere l'impegno e far sì che gli operatori stessi «assicurino» al più presto la suddetta moratoria.
(2-01264) «Baldelli, Polverini».
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta scritta Polidori n. 4-08362 dell'11 marzo 2015;
interrogazione a risposta in Commissione Caparini n. 5-07572 del 28 gennaio 2016;
ERRATA CORRIGE
Interrogazione a risposta in Commissione Rizzetto n. 5-07771 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 568 del 12 febbraio 2016. Alla pagina n. 34065, prima colonna, dalla riga trentaquattresima alla riga trentacinquesima, deve leggersi: «stato recepito in passato nel Testo unificato n. 136 del maggio 1995 recante», e non come stampato.