XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 4 marzo 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              il 2 giugno 2016 ricorre il settantesimo anniversario dal referendum istituzionale indetto, per la prima volta a suffragio universale, il 2 e il 3 giugno 1946 con il quale gli italiani furono chiamati alle urne per esprimersi su quale forma di Governo, Monarchia o Repubblica, dare al Paese. Il 2 giugno si celebra la nascita della Repubblica italiana ed è anche la prima volta in cui tutte le donne italiane si recarono alle urne;
              il voto alle donne, o suffragio femminile, è una conquista piuttosto recente del XIX secolo ed è il risultato di un profondo movimento di riforma, politico, economico e sociale, che ha le sue radici nel XVIII secolo e nelle suffragette. In Inghilterra, le battaglie delle suffragette portarono ad un esito positivo con la legge del 2 luglio 1928, con cui fu esteso il suffragio a tutte le donne inglesi;
              per quanto riguarda l'Italia il percorso che portò all'estensione del diritto di voto anche alle donne cominciò all'indomani dell'unificazione, nel 1861. Furono molti i tentativi e i disegni di legge che dall'Unità d'Italia al secondo dopoguerra proposero il diritto di voto alle donne. Molti furono insabbiati finché nel 1919, dopo la prima guerra mondiale, una proposta di legge sull'estensione del voto amministrativo alle donne, il disegno di legge Martini-Gasparotto, fu approvata alla Camera, ma a causa della fine della legislatura il provvedimento rimase «bloccato» al Senato. Ma il voto alle donne fu raggiunto solo il 31 gennaio 1945 quando un decreto legislativo luogotenenziale, pubblicato il 1o febbraio, sancì il suffragio universale. Nel decreto non era però prevista l'eleggibilità delle donne, che venne introdotta solo dal decreto n.  74 del 10 marzo 1946, recante «Norme per l'elezione dei deputati all'Assemblea costituente», il cui articolo 7 recita: «Sono eleggibili all'Assemblea Costituente i cittadini e le cittadine italiane che, al giorno delle elezioni, abbiano compiuto il venticinquesimo anno di età». In Italia le donne votarono per la prima volta nel corso delle elezioni amministrative del marzo del 1946 (436 comuni) e, successivamente, a livello nazionale per il referendum del 2 giugno 1946;
              nel frattempo, le donne entrarono nei pubblici uffici, vi furono le prime nomine pubbliche nei comuni, a livello provinciale, nelle consulte nazionali e regie. Le donne esercitavano un potere pubblico e, dunque, non era più giustificabile l'esclusione dal voto. Già prima della guerra mondiale si chiese il voto per le donne in quanto lavoratrici, contribuenti e consumatrici (tasse dirette ed indirette). Durante la guerra le lavoratrici assunsero ruoli e lavori maschili. Tutto ciò portò nel secondo dopoguerra a concedere alle donne italiane il diritto di voto;
              le guerre hanno rappresentato nella storia un momento cruciale per il raggiungimento di diritti, compreso quello di piena cittadinanza per le donne. È infatti sulla base dell'apporto alla Patria che i gruppi sociali possono ridiscutere i loro diritti. In tutto il mondo, in epoca moderna, dopo la guerra si concedono Costituzioni, si allarga il diritto di voto, si fanno leggi per favorire quelli che si sono prodigati per la Patria. L'Italia non è stata da meno in questo cammino;
              nel 1923 Mussolini promise il diritto di voto e alla fine del 1925 fu approvata una legge in tal senso, pur molto ristretta: sarebbero potute divenire elettrici, facendone richiesta e limitatamente alle elezioni amministrative, le donne con più di 25 anni, provviste di licenza elementare, che esercitavano la patria potestà e pagavano tasse non inferiori alle cento lire annue, e ancora le decorate al valore militare o civile o madri e vedove di caduti. La legge, approvata nel 1925, però non venne applicata perché vennero annullate le elezioni amministrative, introducendo la figura del podestà;
              in attesa del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, nell'aprile 1945, si era costituita la Consulta, con il compito di elaborare una legge elettorale per l'Assemblea costituente. La Consulta fu il primo organismo politico nazionale in cui entrarono 13 donne, invitate direttamente dai partiti;
              il 2 giugno 1946 in concomitanza con il referendum istituzionale si svolsero in Italia le elezioni dell'Assemblea costituente. Furono eletti 556 costituenti, tra cui 21 donne, il 3,8 per cento. Il 2 giugno la partecipazione alle elezioni fu massiccia: l'89 per cento di donne e l'89,2 per cento uomini. Le prime donne elette all'Assemblea costituente, le cosiddette «Madri Costituenti» erano nove della DC, nove del PCI, due del PSIUP ed una del Partito dell'Uomo qualunque. Cinque di loro entreranno nella «commissione dei 75», incaricata di scrivere la Carta costituzionale: Maria Federici, Angela Gotelli, Lina Merlin, Teresa Noce e Nilde Jotti. Tra le Madri Costituenti, che è bene ricordare, nove democratiche cristiane (Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio), nove erano comuniste, tra cui cinque dell'UDI (Adele Bej, Nadia Gallico Spano, Nilde Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi), due socialiste (Angelina Merlin e Bianca Bianchi) e una della lista «Uomo Qualunque» (Ottavia Penna Buscemi); tutte le Madri, con il loro impegno e le loro capacità, segnarono l'ingresso delle donne nel più alto livello delle istituzioni rappresentative, quattordici di loro erano laureate e molte erano insegnanti, qualcuna giornalista-pubblicista, una sindacalista e una casalinga; quattordici sposate e con figli;
              la Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata nel 1948, stabilisce «The equal rights of men and women», principio, questo, che venne ampliato nel 1979 con la Convenzione Cedaw (Convention on the elimination of all forms of discrimination against women), adottata da 189 Stati membri dell'Onu. Tutte le Costituzioni o le Basic laws degli Stati Ocse garantiscono la piena cittadinanza ed uguaglianza per le donne, insieme ai pieni diritti elettorali. Va però sottolineato che molte delle riforme per la cosiddetta uguaglianza formale sono recenti: il diritto di voto per le donne in Svizzera è stato raggiunto solo nel 1971, nel 1976 in Portogallo e nel 1994 in Kazakhstan e in Repubblica Moldova;
              la Costituzione italiana sancisce in molti articoli l'uguaglianza tra donne e uomini. L'articolo 3 sancisce l'uguaglianza dei diritti tra i sessi: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». L'articolo 29 stabilisce l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi; l'articolo 37 decreta la parità e la tutela della donna lavoratrice. L'articolo 51 fissa la parità di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive; l'articolo 117, comma 7, stabilisce l'obbligo per le regioni di promuovere la parità di accesso alle cariche elettive;
              il 30 maggio 2003 la legge costituzionale n.  1 modificò l'articolo 51, primo comma, della Costituzione; è infatti aggiunto: «A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Si è trattato di un passo importante in quanto, come rilevato dal rapporto «Assessing the impact of measures to improve women's political rappresentation» approvato dalla Commissione equality and non discrimination del Consiglio d'Europa, «progressi nella partecipazione delle donne alla vita politica sono stati raggiunti quando i legislatori hanno introdotto misure che hanno aiutato ad affrontare il tema della bassa presenza delle donne nei corpi elettivi, in particolare attraverso riforme che hanno introdotto uguali diritti costituzionali come il diritto di voto e di essere elette, diritto di accesso ai pubblici uffici ed ulteriori fondamentali diritti e libertà, come il diritto di proprietà, di successione ed eredità, la libertà di matrimonio, la cittadinanza e altro. Tali diritti costituzionali sono finalizzati a rimuovere le discriminazioni basate sul sesso ed ogni altra discriminazione che di fatto limita l'uguale cittadinanza. La previsione nelle diverse Costituzioni di diritti politici e civili per le donne apre la strada all'eguaglianza di genere, ad una eguale cittadinanza ed è il fondamento per più specifiche azioni positive per la parità»;
              dopo l'approvazione della legge costituzionale n.  1 del 2003 e della legge costituzionale n.  2 del 2001, che portarono alla riforma dell'articolo 51 della Costituzione e all'introduzione dell'articolo 117, settimo comma 7 della Costituzione, fu la sentenza n.  4 del 2010 della Corte costituzionale, che, non riscontrando alcun profilo di illegittimità costituzionale nel meccanismo della doppia preferenza di genere, introdotta dalla legge elettorale regionale della Campania, sancì e a diede piena attuazione al quadro costituzionale disegnato nel 2001 e nel 2003. Tale meccanismo infatti è ispirato «al principio fondamentale dell'effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale, nello spirito dell'articolo 3, secondo comma, Costituzione, che impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto impediscono una piena partecipazione di tutti i cittadini all'organizzazione politica del Paese» (Corte costituzionale, sentenza n.  4 del 2010);
              nell'ambito sociale vanno inoltre sottolineati molti cambiamenti che hanno riguardato le donne e la loro partecipazione al mercato del lavoro, alla vita familiare, ai gradi di istruzione. È stata una sentenza della Corte costituzionale del 1960 a dichiarare illegittima la norma che escludeva le donne da una vasta categoria di uffici pubblici, tra cui l'ufficio di prefetto. Nel 1970 venne approvata la legge sul divorzio e nel 1975 venne riformato il diritto di famiglia, garantendo parità tra i coniugi e la comunione dei beni, nel 1977 viene approvata la legge di parità, integrata poi nel 1991 dalla legge n.  125 sulle pari opportunità e, nel frattempo, vennero abrogati il reato di adulterio (1968), il delitto d'onore ed il matrimonio riparatore (1981);
              negli anni ’90 furono approvati una serie di provvedimenti per incrementare la presenza delle donne nelle assemblee rappresentative. La legge n.  81 del 1993, che per le elezioni comunali prevedeva che «nelle liste nessuno dei due sessi può essere di norma rappresentato in misura superiore ai due terzi». La legge n.  43 del 1995 che stabilì che nelle elezioni regionali «nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati». La legge n.  277 del 1993 per le elezioni della Camera dei deputati che stabilì che «le liste recanti più di un nome sono formate da candidati e da candidate, in ordine alternato»;
              nel 2012 la legge n.  215 promosse il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali;
              la legge 12 luglio 2011, n.  120, ha introdotto misure per il riequilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società pubbliche e private e, da allora, il tema è recentemente diventato attuale anche all'interno delle istituzioni, in modo particolare nelle assemblee elettive. Per l'elezione dei consigli comunali, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, sono state previste una quota di lista (nessun sesso può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi) e la doppia preferenza di genere. Per gli esecutivi la legge prevede che il sindaco nomini la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi;
              nella riforma delle province e delle città metropolitane, legge n.  56 del 2014, è stato previsto che nelle liste per le elezioni nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura inferiore al 60 per cento;
              nel 2006, il codice delle pari opportunità ha disposto, come misura transitoria (2004 e 2009), disposizioni per favorire la rappresentanza di genere nelle elezioni del Parlamento europeo, prevedendo che, nell'insieme delle liste di candidati presentate da ciascun partito, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi. La legge n.  13 del 2014, sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, ha previsto una sanzione pecuniaria per i partiti nelle cui liste alle elezioni politiche ed europee uno dei due sessi sia rappresentato in misura inferiore al 40 per cento;
              la legge del 22 aprile 2014 ha modificato l'articolo 14, primo comma, della legge 24 gennaio 1979, n.  18, in relazione alla promozione dell'equilibrio di genere nella rappresentanza politica alle elezioni per il Parlamento europeo, introducendo la cosiddetta «tripla preferenza di genere»: nel caso in cui l'elettore decida di esprimere più di una preferenza, la scelta deve comprendere candidati di entrambi i generi, pena l'annullamento della seconda e terza preferenza;
              dopo la modifica degli articoli 122 e 123 della Costituzione che hanno dato avvio al processo di elaborazione di nuovi statuti regionali e di leggi per l'elezione dei consigli nelle regioni a statuto ordinario, tutte le regioni, che hanno adottato norme in materia elettorale, hanno introdotto disposizioni specifiche per favorire la parità di accesso alle cariche elettive, in attuazione dell'articolo 117, settimo comma, della Costituzione. Le misure adottare però sono diverse da regione a regione, variando dall'obbligo di inserire nelle liste una quota minima di candidati, all'alternanza nelle liste alla doppia preferenza di genere e i risultati raggiunti in termini di rappresentanza sono inadeguati;
              l'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige), agenzia autonoma dell'Unione europea, il 13 giugno 2013 ha pubblicato il primo indice Eige sull'uguaglianza di genere «rapporto sull'indice dell'uguaglianza di genere», frutto di tre anni di lavoro. Per la prima volta è stato elaborato un indicatore sintetico ma esaustivo delle disparità di genere nell'Unione europea e nei singoli Stati membri. L'indice, che prende in considerazione 6 diversi settori (lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute), ha un valore tra 1 e 100, dove 1 indica un'assoluta disparità di genere e 100 segna il raggiungimento della piena uguaglianza di genere;
              nonostante più di 50 anni di politiche per l'uguaglianza di genere a livello europeo, il rapporto ha mostrato come le disparità di genere risultino ancora prevalenti nell'Unione europea. Con un indice medio di 54,0, l'Unione europea è ancora a metà nel cammino per raggiungere l'uguaglianza;
              la posizione dell'Italia, con un indice di 40,9, è al di sotto della media europea e si attesta al 23o posto su 27 Stati membri, a parità con la Slovacchia e sopra solo alla Grecia, Bulgaria e Romania. In cima alla graduatoria spiccano i Paesi scandinavi, con valori superiori a 70, mentre il Regno Unito ha un indice di 60,4, la Francia di 57,1, la Spagna di 54,0 e la Germania di 51,6;
              a livello mondiale, secondo l'analisi annuale del World economic forum sul Global gender gap, nella graduatoria diffusa nel 2014, l'Italia si colloca al 69o posto su 142 Paesi (era al 71o nel 2013, all'80o nel 2012, al 74o nel 2011 e nel 2010, al 72o nel 2009, al 67o posto nel 2008, all'84o nel 2007 e al 77o nel 2006). L'aumento registrato dall'Italia nella graduatoria globale è determinato principalmente dal significativo aumento del numero delle donne in Parlamento (dal 22 per cento nel 2012 al 31 per cento nel 2013). Nella graduatoria generale svettano i Paesi del Nord Europa; per quanto attiene agli altri Paesi europei, il Belgio si colloca al 10o posto, la Germania al 12o, la Francia al 16o ed il Regno Unito al 26o posto. L'indice tiene conto delle disparità di genere esistenti nel campo della politica, dell'economia, dell'istruzione e della salute;
              per ciò che attiene in particolare al settore della politica, il nostro Paese si colloca al 37o posto della graduatoria, risalendo dopo il brusco calo degli anni precedenti, che poteva probabilmente essere ascritto alla sostanziale staticità dell'Italia in questo campo, a fronte dei progressi registrati in altri Paesi (l'Italia era al 44o posto, al 71o nel 2012, al 55o nel 2011, al 54o nel 2012 e al 45o nel 2009);
              il World economic forum redige periodicamente anche un rapporto sulla competitività dei Paesi a livello globale ed è interessante notare come emerga una correlazione tra il gender gap di un Paese e la sua competitività nazionale. Dal momento che le donne rappresentano la metà del talento potenziale di un Paese, la competitività nel lungo periodo dipende significativamente dalla maniera in cui ciascun Paese educa ed utilizza le sue donne;
              i dati relativi alla presenza femminile negli organi costituzionali italiani hanno sempre mostrato una presenza contenuta nei numeri e molto limitata quanto alle posizioni di vertice;
              nel rapporto della Commissione equality and non discrimination del Consiglio d'Europa, «Assessing the impact of measures to improve women's representation», in cui si analizza la presenza delle donne nelle Assemblee parlamentari nazionali tra il 2005 e il 2015 e le misure messe in atto dai 47 Paesi del Consiglio d'Europa per accrescere la presenza femminile nelle cariche elettive, si evidenzia che l'Italia si colloca al 15o posto essendo passata da una rappresentanza femminile alla Camera dei deputati dell'11,5 per cento nel 2005 al 31 per cento delle elezioni del 2013. I risultati delle elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013 presentano, infatti, un segnale di inversione di tendenza: infatti, la media complessiva della presenza femminile nel Parlamento italiano, storicamente molto al di sotto della soglia del 30 per cento, considerato valore minimo affinché la rappresentanza di genere sia efficace, è salita dal 19,5 della XVI legislatura al 30,1 per cento dei parlamentari eletti a Camera e Senato nella XVII legislatura (la media dell'Unione europea è il 27 per cento);
              nei consigli regionali i dati sono negativi e molto diversificati in quanto la rappresentanza delle donne è affidata all'applicazione da parte delle regioni. I dati rilevano, infatti, una presenza di donne nei consigli regionali che va dal 34,7 per cento dell'Emilia-Romagna e al 27,5 per cento della Toscana al 19 per cento della Lombardia, al 3,3 per cento di Calabria e all'assenza di donne elette nel consiglio regionale della Basilicata;
              nella risoluzione del Consiglio d'Europa «Accessing the impact of measures to improve women's political representation» si evidenzia che i dati mettono in luce che «la parità di genere e la partecipazione delle donne alla vita politica dipenda da vari fattori e dalla varietà dei contesti politici, economici, sociali e culturali di ogni paese». Tra i fattori politici vengono rilevati il sistema elettorale, la presenza di quote obbligatorie o volontarie, i partiti politici e il loro funzionamento. Tra i fattori economici viene rilevato in particolare «il gender pay gap e l'accesso alle carriere e alle professioni». Nella risoluzione si invitano gli Stati membri a considerare anche «i fattori culturali che determinano la possibilità per le donne di partecipare alla vita politica, economica e allo sviluppo economico del paese. L'educazione e la formazione sono cruciali, poiché sono una precondizione per acquisire le competenze necessarie e per eliminare gli stereotipi che impediscono ancora il raggiungimento della piena e reale parità. Per le donne che sono attive in politica, l'accesso ai media, la rappresentazione e lo spazio nei media durante le campagne politiche sono elementi cruciali, così come il finanziamento per la campagna stessa»;
              nella risoluzione del Consiglio d'Europa agli Stati membri viene suggerito inoltre che: «Per raggiungere la parità e l'equilibrio di genere nella vita politica, è necessario seguire un approccio olistico e una prospettiva di parità in tutte le aree della società. È inoltre necessario identificare l'ampia varietà di fattori socio-economico, culturale e politico che possono ostacolare o facilitare l'accesso delle donne alle cariche elettive a tutti i livelli»;
              nella pubblicazione «Women and men in Sweden facts and figures 2014» del Governo svedese si afferma che: «Gender equality significa semplicemente che le donne e gli uomini hanno la stessa possibilità di costruire e cambiare la società e le loro vite, il che implica le stesse opportunità, gli stessi doveri e gli stessi diritti in tutte le sfere della vita». La parità di genere è una delle pietre angolari dell'uguaglianza ed ha aspetti quantitativi e aspetti qualitativi. L'aspetto quantitativo implica una uguale presenza delle donne e degli uomini in tutti i campi e le aree della società, come l'istruzione, il lavoro, il tempo libero e le posizioni di potere. Se un gruppo comprende più del 60 per cento di donne, è dominato delle donne, come ad esempio avviene nell'istruzione primaria e secondaria. Se gli uomini sono rappresentati più del 60 per cento allora quel gruppo sarà dominato dagli uomini, come avviene per esempio tra i magistrati o i manager delle società pubbliche o private. L'aspetto qualitativo implica invece che alle conoscenze, alle esperienze e ai valori di donne e di uomini è dato lo stesso peso e lo stesso valore e che donne e uomini sono impiegati per arricchire e dirigere tutte le sfere e tutti i campi della società, e che dunque non sono utilizzati sono in alcuni ambiti piuttosto che in altri;
              sebbene in Europa metà della popolazione sia costituita da donne e nonostante le raccomandazioni del Consiglio d'Europa la presenza delle donne nelle istituzioni è ancora sottorappresentata. La Commissione di Venezia, Commissione sulla democrazia attraverso la legge, nelle linee guida sulle regolamentazione dei partiti politici afferma che «lo scarso numero di donne in politica rimane un aspetto critico che determina il non pieno funzionamento del processo democratico»;
              la ricorrenza del 2 giugno 2016 costituisce un importante anniversario per ricordare il diritto al voto acquisito dalle donne, ma costituisce anche l'occasione per monitorare ed implementare il raggiungimento della parità, sostanziale e non solo formale, tra donne e uomini, attraverso azioni che rispondano alla visione olistica indicata dal Consiglio d'Europa,

impegna il Governo:

          a prevedere iniziative di carattere nazionale e locale, nel corso del 2016, per ricordare il settantesimo anniversario del raggiungimento del diritto di voto alle donne ed il percorso, dall'Assemblea costituente ad oggi, che ha portato ad aumentare la partecipazione e la rappresentanza delle donne nella vita politica a tutti i livelli, sottolineando altresì il ruolo delle donne dell'Assemblea costituente e delle successive Assemblee parlamentari e prestando particolare attenzione alle istituzioni scolastiche;
          ad assumere iniziative per recepire le indicazioni dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e a mettere in atto un approccio globale e qualitativo che, interessando tutti i settori e valorizzando i talenti, favorisca l’empowerment delle donne e implementi la parità sostanziale, dando uguale possibilità di incidere nella società e le stesse opportunità, gli stessi doveri e gli stessi diritti in tutte i settori, politico, sociale, economico, finanziario, lavorativo, educativo e nei media alle donne.
(1-01184) «Centemero, Carfagna, Prestigiacomo, Bergamini, Calabria, Capozzolo, Castiello, Censore, Luigi Cesaro, Gelmini, Gullo, Milanato, Nizzi, Occhiuto, Palmizio, Polidori, Elvira Savino».

Risoluzioni in Commissione:


      La VI Commissione,
          premesso che:
              la crisi economica che attanaglia l'Italia, oramai ininterrottamente dal 2008, ha mietuto numerose vittime non solo tra le classi sociali più tradizionalmente esposte alle oscillazioni del ciclo economico – i ceti impiegatizi ed operai delle imprese manifatturiere e dei servizi a basso valore aggiunto – ma anche tra quelle che fino a un decennio fa si ritenevano immuni da simili rischi in quanto caratterizzate da elevati indici di professionalità e conoscenza, dal possesso di skill adeguati ad affrontare i cambiamenti in atto su scala globale;
              invero è ben noto che lo svolgimento di attività professionali – si tratti o meno di quelle liberali il cui esercizio è condizionato all'iscrizione in albi o elenchi o di quelle «nuove» espressione dei processi di digitalizzazione delle tecniche e dei saperi – non si accompagna, da tempo ormai, al conseguimento di guadagni elevati e a prospettive di crescita stabili;
              l'analisi della realtà, rimanda, al contrario, l'immagine di una progressiva desertificazione del lavoro autonomo professionale, sempre più relegato a involontario bacino di raccolta di risorse flessibili destinate a colmare i picchi di domanda della produzione industriale e il primo comparto a pagare il prezzo di chiusure e ristrutturazioni, scontando così la tradizionale e tuttora perdurante assenza di tutele ed ammortizzatori sociali;
              la situazione è ben descritta nel quinto rapporto sulla previdenza privata, presentato a Roma dall'Associazione degli enti di previdenza privati (Adepp) che attesta l'emersione della nuova questione sociale anche nel lavoro autonomo ordinistico quando parla di «professionisti sempre più poveri». Il loro reddito medio è «crollato», con una perdita in termini reali del 18,35 per cento tra 2007, prima del deflagrare della crisi, e il 2014, anno per cui è disponibile l'ultimo aggiornamento. Tra il 2005 e il 2014 il valore medio reale del reddito è passato da 34 mila e 551 euro l'anno a 28 mila 960 lordi l'anno;
              rapporti come quello dell'Adepp raccontano di una stridente disuguaglianza nella distribuzione dei redditi in rapporto all'età (chi ha tra i 25 e i 30 anni guadagna in media 12.469 euro lordi all'anno. Chi ne ha oltre 50 guadagna 47.524 lordi all'anno), al sesso (ampiamente penalizzate le donne rispetto agli uomini) e alla collocazione geografica (un professionista in Calabria guadagna fino al 65 per cento in meno rispetto a un collega che lavora in Lombardia);
              il progressivo impoverimento e degrado del lavoro professionale trova espressione speculare nell'acuirsi delle situazioni di crisi finanziaria sofferte dagli esercenti che riflettono, piuttosto simmetricamente, l'equivalente condizione di credit crunch in cui è avviluppata l'economia reale del nostro Paese;
              i dati che emergono dall'indagine «Vita da Professionisti» realizzata dall'associazione «Bruno Trentin» col supporto della Consulta delle professioni della Cgil evidenziano il grande disagio anche esistenziale determinato dal cronico ritardo con cui i committenti sono soliti adempiere agli obblighi di pagamento: nel Nord Italia solo un professionista su tre (il 29,5 per cento) è pagato puntualmente, il 19,5 per cento con un ritardo che va dai 3 ai 6 mesi e il 16,8 per cento è costretto ad aspettare più di sei mesi. In particolare, se il committente è pubblico, per il 20,7 per cento il ritardo è di oltre sei mesi, mentre il 6,8 per cento dichiara di non essere mai stato pagato. Il 60 per cento del campione sostiene di avere difficoltà ad arrivare a fine mese;
              le difficoltà a realizzare i crediti professionali aumentano esponenzialmente in caso di cessazione del rapporto ed in tutte le situazioni in cui il committente versa in stato di difficoltà finanziaria, in quanto è prassi erogare prima le retribuzioni ai lavori dipendenti e pagare i servizi suscettibili di distacco per morosità (acqua, energia, canone di locazione, e altro) e solo dopo provvedere alla liquidazione delle parcelle dei lavoratori autonomi;
              in un contesto come quello descritto dai rapporti di categoria sarebbe opportuno consentire anche ai professionisti l'accesso a strumenti di credito che permettano di velocizzare l'incasso delle spettanze quali la cessione dei crediti pro-soluto verso banche ed istituti di credito;
              la legge 21 febbraio 1991, n.  52, recante la disciplina della cessione dei crediti di impresa, stabilisce – tra le altre condizioni – che la cessione di crediti pecuniari verso corrispettivo è consentita esclusivamente quando il cedente è un imprenditore, con esclusione, pertanto, dei liberi professionisti e lavoratori autonomi in genere,

impegna il Governo

ad assumere iniziative a carattere normativo al fine di estendere a tutti gli esercenti le professioni, a prescindere dall'obbligo di iscrizione in albi, elenchi o registri, la possibilità di effettuare la cessione pro-soluto dei propri crediti pecuniari a banche ed istituti di credito.
(7-00941) «Alberti, Cancelleri, Rizzo, Silvia Giordano, Mantero, Pesco, Lorefice, Crippa, Ciprini, Caso».


      La X Commissione,
          premesso che:
              la legge 7 agosto 2015, n.  124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, all'articolo 10, prevede una delega legislativa per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la modifica e il riordino delle disposizioni legislative che attualmente regolano la materia;
              al riguardo, il comma 1 dell'articolo 10 individua i principi e i criteri direttivi per l'adozione, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, quindi entro il 28 agosto 2016, di un decreto legislativo da parte del Governo, tra cui la determinazione del diritto annuale a carico delle imprese, tenuto conto della sua riduzione disposta dall'articolo 28 del decreto-legge n.  90 del 2014;
              sarebbe previsto un taglio delle sedi delle camere di commercio e la riduzione a un massimo di 60 sedi delle citate camere; il taglio delle sedi potrebbe produrre una riduzione del personale del 15 per cento, che potrebbe salire al 25 per cento del personale una volta che saranno finiti gli accorpamenti;
              in sostanza, potrebbero subire la mobilità circa tremila dipendenti, che senza un percorso di ricollocamento rischiano di restare senza lavoro;
              una eventuale, ricollocazione dei lavoratori delle camere di commercio nell'ambito della pubblica amministrazione, potrebbe essere problematica, tenuto conto che aspettano una ricollocazione anche i dipendenti delle ex province, ma è un tema che va affrontato in una sede adeguata e con la partecipazione di tutti i soggetti interessati;
              il previsto ridimensionamento del sistema delle camere di commercio rischia di trasformarsi in un aggravio dei costi per lo Stato; infatti) a fronte di un budget annuo di circa un miliardo di euro, circa 800 milioni arrivano sotto forma di contributi delle imprese, italiane; la riforma prevede un taglio dei contributi del 40 per cento per quest'anno e del 50 per cento dal 2017. In questo modo rischia di crollare l'intero sistema, atteso che il 46 per cento dei ricavi serve a pagare stipendi e a gestire gli uffici;
              la riduzione delle Camere di commercio rischia di avere un impatto devastante sulle piccole e medie imprese che solo nel 2012 hanno ricevuto, in forma diretta o indiretta, 515 milioni di euro, risorse che sono servite a finanziare tra l'altro: l'internazionalizzazione; la presenza a fiere; l'accesso al credito attraverso il sistema dei Confidi, che garantiscono 80 milioni di euro l'anno;
              nei piani del Governo alle Camere di Commercio resterebbe la gestione del registro imprese e il controllo sulle offerte al pubblico e quello sulle misure, ma esse non potranno fissare le tariffe per i servizi che saranno decise dal Governo, riducendo così un'altra fonte di ricavi con l'abbandono del servizio brevetti, delle conciliazioni nonché di studi e corsi di formazione;
          le riduzioni di personale che deriverebbero dal taglio delle camere di commercio si sommerebbero alle riduzioni di personale già messe in atto negli ultimi anni che hanno visto una riduzione del personale del 12 per cento rispetto al 2003, mentre nello stesso periodo si è registrata una riduzione di personale nella pubblica amministrazione del 6 per cento;
              è del tutto evidente che diventa prioritario salvaguardare i posti di lavoro messi in pericolo dalla riduzione delle sedi delle camere di commercio e questo non può avvenire se non attraverso un tavolo di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico che veda la partecipazione di Unioncamere e sindacati dei lavoratori, finalizzato ad evitare che migliaia di lavoratori perdano il posto di lavoro e che, al contempo si disperda un patrimonio di professionalità ed efficienza necessario al contrasto della crisi,

impegna il Governo

ad avviare in tempi brevi un tavolo che veda la partecipazione di Unioncamere e dei sindacati dei lavoratori, finalizzato alla definizione di un percorso di ricollocazione dei lavoratori interessati dalla riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, e che eviti per tremila lavoratori, che rappresentano uno straordinario patrimonio di professionalità, il rischio della messa in mobilità e della perdita del posto di lavoro.
(7-00942) «Ricciatti, Ferrara, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti».


      La XI Commissione,
          premesso che:
              l'Hotel Intercontinental De La Ville di Roma, è una struttura importante del sistema ricettivo alberghiero di Roma. L'Hotel è un cinque stelle (lusso) e dispone di 192 camere;
              l'attività alberghiera è gestita dalla società Intercontinental Hotels Italia Srl per conto della società Delaville Srl che è titolare del contratto di affitto dell'immobile stipulato con la proprietà la società Reale Immobili Spa. L'IHG ha al suo interno 132 dipendenti di cui 114 con contratto a tempo indeterminato e 18 con contratto a termine;
              il contratto di affitto dell'hotel tra Reale Immobile Spa, e Delaville Srl, è scaduto il 31 dicembre 2013. Da allora, le due società, locataria e conduttrice, hanno svolto diversi incontri per rinnovare il contratto di affitto e per valutare l'entità dei lavori, improcrastinabili, di ristrutturazione da effettuare;
              constatata l'impossibilità di conciliare le rispettive posizioni, l'Intercontinental Hotels Italia Srl, con lettera dell'11 gennaio 2016, ha avviato la procedura di licenziamento collettivo per tutti i 132 lavoratori, poiché, a suo dire, deve adempiere all'obbligo contrattuale di riconsegnare l'immobile adibito a hotel, sgombro da cose e persone, alla proprietaria dell'immobile, ovvero la Reale Immobile spa, entro e non oltre il 27 marzo 2016;
              si è di fronte ad una situazione assurda; in un tempo contrassegnato dalla nota crisi economica, il sistema turistico può e deve svolgere un ruolo importante per sostenere la ripresa economica di Roma e dell'intero territorio regionale. La chiusura di un così importante albergo nel centro di Roma, determinerebbe un peggioramento qualitativo e quantitativo dell'offerta alberghiera romana e nazionale;
          le organizzazioni sindacali di categoria, unitamente alla Federalberghi, cui aderisce l'IHG Srl che gestisce l'attività alberghiera fin dal 1971, hanno richiesto un incontro alla proprietà dell'immobile, la Reale Immobile spa, per meglio comprendere la situazione ed agire per evitare la chiusura di un importante albergo ed il relativo licenziamento di 132 persone. Chiusura che creerebbe ulteriore disoccupazione per circa 50 persone, occupate nelle aziende fornitrici di servizi necessari all'attività alberghiera: manutenzione, ristorazione, lavanderia e altro. A tale richiesta, a quanto consta ai firmatari del presente atto, è pervenuta una risposta di diniego da parte della Rete Immobiliare spa,

impegna il Governo

ad adottare urgentemente ogni iniziativa di competenza volta a salvaguardare i livelli occupazionali di tutti i lavoratori coinvolti dalla vicenda descritta in premessa, in un settore già particolarmente colpito a livello nazionale dalla crisi economica come quello turistico-alberghiero.
(7-00943) «Placido, Baruffi, Ciprini, Polverini, Rizzetto, Airaudo, Martelli, Scotto, Fassina, Gregori».


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              come risulta da alcune indiscrezioni, recentemente rilasciate dallo stesso commissario Hogan, sembra confermata la revisione di medio termine della politica agricola comune prevista per 11 2017;
              si tratta di un passaggio molto importante in quanto occasione per superare alcune criticità, semplificare ulteriormente le procedure e calibrare ancora meglio le scelte politiche rispetto alle reali esigenze degli agricoltori europei;
              i regolamenti comunitari approvati nel dicembre 2013, nel definire gli elementi chiave della PAC 2014-2020, hanno demandato agli Stati membri una serie di scelte riguardanti l'applicazione nazionale della riforma;
              l'Italia ha optato per la «regione unica» e la «convergenza interna» basata sul modello irlandese con soglie 30/60; ha stabilito in 250 euro, 300 a partire dal 2017, l'importo minimo per beneficiare del pagamento diretto, ha destinato ai giovani agricoltori l'1 per cento del plafond ed attivato il regime dei piccoli agricoltori al quale hanno aderito circa 550 mila soggetti;
              con riferimento alla suddivisone delle risorse tra pagamento base e aiuto accoppiato, nell'ambito dei margini consentiti da Bruxelles, il nostro Paese ha scelto di destinare al primo il 58 per cento del plafond generale e al secondo l'11 per cento;
              gli aiuti accoppiati valgono in media, per il settennio, 418 milioni di euro l'anno e sono così suddivisi: 210 milioni per la zootecnia bovina, 15 milioni per la zootecnia ovicaprina e 4 milioni per il settore bufalino; per quanto riguarda i seminativi, la ripartizione è la seguente: 10 milioni alla soia (per le regioni del nord), 30 milioni alle proteaginose e al frumento duro (per le regioni del centro) e 55,4 milioni per colture proteiche e frumento duro (per le regioni del sud e isole). Al settore riso sono destinati 22,6 milioni, allo zucchero 17,1 milioni e al pomodoro da industria 11,2 milioni. All'olivicoltura vanno 70 milioni, divisi tra un premio base di 78 euro/ha per le regioni olivicole con almeno il 25 per cento della SAU (totale 43,8 n ioni) e un contributo di 70 euro/ha per terreni con pendenze superiori al 7,5 per cento (totale 13,2 milioni), mentre su tutto il territorio nazionale vengono distribuiti 130 euro/ha per un totale di 13 milioni di euro;
              sarebbe opportuno che un premio specifico fosse assegnato al capo caprino, attualmente previsto solo per agnelli e capretti Igp e al capo bovino e bufalino a condizione che siano alimentati senza Ogm, restrizione questa funzionale alla promozione di un piano proteico nazionale e quindi allo sviluppo di una filiera interna capace di soddisfare le esigenze del settore zootecnico italiano;
              in considerazione della crescente importanza che rivestono i programmi di benessere animale, per garantire il quale sempre più aziende adeguano i propri standard strutturali e gestionali, sarebbe opportuno attribuire un premio specifico al capo bovino di età inferiore a 12 mesi esclusivamente per gli allevamenti impegnati in progetti di miglioramento del benessere animale;
              particolare attenzione va riservata al comparto delle attività agro-silvo pastorali che mal si relazionano con logiche di mercato tendenti a rincorrere il prezzo più basso e, pertanto, sarebbe auspicabile un contributo specifico ad una attività economica che diversamente è destinata a scomparire, con gravi conseguenze anche dal punto di vista della tutela del paesaggio rurale;
              come noto, tra le altre misure, la Pac prevede strumenti di aggregazione quali le organizzazioni interprofessionali (OP) e le organizzazioni interprofessionali (OI) che risultano indispensabili, considerato il mercato globale, ad accrescere la competitività e la forza delle aziende e sarebbe pertanto opportuno che il pagamento base, oltre alle condizionalità ambientali, fosse in qualche modo assegnato in relazione alla capacità delle aziende di svolgere attività di produzione di beni e servizi agricoli in una logica integrata;
              l'agricoltura di montagna è un presidio fondamentale per la sopravvivenza di molti territori rurali ed è attività    strategica nella lotta al dissesto idrogeologico con un valore complessivo che si attesta intorno ai 30 miliardi di euro e che coinvolge più di 2,5 milioni di aziende agricole, di cui 280 mila italiane,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per aumentare fino a 400 euro l'importo minimo per beneficiare del pagamento diretto come previsto dall'articolo 10 del regolamento 1307/2010;
          ad assumere iniziative per aumentare di due punti percentuali il plafond per l'aiuto accoppiato, destinando le maggiori somme a disposizione: all'aumento del premio già previsto per il capo ovino, e all'assegnazione di un premio specifico al capo caprino e uno al capo bovino e/o bufalino, per i quali si dimostri la somministrazione di una alimentazione Ogm free nonché un premio specifico al vitello di età inferiore ai 12 mesi solo se allevato in aziende che risultino significativamente impegnate nel miglioramento delle condizioni di benessere animale, anche attraverso programmi di prevenzione delle malattie e limitato ricorso a trattamenti antibiotici;
          a promuovere, in accordo con le regioni, misure specifiche, all'interno dei programmi di sviluppo rurale volte al mantenimento delle culture arboree di pregio paesaggistico;
          a prevedere ogni utile iniziative a sostegno della costituzione di organizzazioni interprofessionali e organizzazioni professionali e ad intervenire presso le competenti sedi comunitarie affinché si valuti, per la programmazione della Pac oltre il 2020, sia l'opportunità di promuovere aiuti diretti incentivati l'aggregazione, che sostegni specifici per le aree agricole di montagna in virtù della loro importanza strategica a presidio del territorio.
(7-00944) «Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, D'Incà».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          la perdurante situazione di grave crisi economica e sociale del Mezzogiorno non può non suscitare profonda preoccupazione e sollecitare una significativa inversione di tendenza nell'azione dello Stato;
          in questo quadro si rileva che i tecnicismi connessi con i numerosi decreti ministeriali che determinano le regole per il finanziamento delle università (decreti ministeriali annuali per la determinazione del fondo di finanziamento ordinario, decreto interministeriale per la definizione dei costi standard di formazione degli studenti universitari, decreti ministeriali annuali per la riassegnazione delle risorse per il reclutamento da turnover, oltre ad altri meno significativi inclusi tra i circa 40 decreti attuativi previsti dalla cosiddetta legge Gelmini) stanno sottraendo al Mezzogiorno sempre più risorse;
          da più parti (come segnalato ad esempio dai professori Baccini, Giannola, Fiorentino, Viesti) si stanno delocalizzando ampie fette dei servizi universitari dal Sud verso il Nord e creando le condizioni per una conseguente dismissione di alcune istituzioni universitarie meridionali;
          in particolare, risulta inarrestabile il processo innescato dal meccanismo, interconnesso e consequenziale, che collega il turnover degli atenei alle loro disponibilità economiche, la possibilità di attivare corsi di studio alla disponibilità di docenti strutturati, la possibilità di avere più studenti a quella di avere più corsi di studio e, infine, il finanziamento degli atenei al numero degli studenti iscritti;
          la conseguenza di un siffatto modello non può che essere il collasso degli elementi più deboli del sistema, o meglio di quelli che appaiono più deboli sotto il profilo finanziario e del contesto socio economico di riferimento territoriale, al lordo degli errori e delle omissioni delle procedure di valutazione e di finanziamento (vedi autori citati) operate di recente;
          gli studi citati sembrano dimostrare che si tratta di un indebolimento indotto da scelte ministeriali che richiedono forse, per l'ampiezza del loro impatto sociale, un riesame parlamentare;
          infatti, i tagli economici alle università statali eseguiti tra il 2008 e il 2014 hanno gravato pesantemente sul Mezzogiorno (circa 250 milioni euro/anno tra il 2014 e il 2008) ed in misura irrisoria al Nord (poco più di 25 milioni euro/anno), mentre, già nella precedente fase di crescita dei finanziamenti, al Sud erano state elargite somme aggiuntive nettamente inferiori rispetto al Centro e al Nord (nel confronto tra il 2009 e il 2001, circa 250 milioni euro/anno in più ai primi contro i circa 500 milioni di euro per ciascuno dei secondi);
          il finanziamento delle università meridionali, quindi, è oggi pari a quello dell'anno 2001, mentre al Settentrione, pur nel bel mezzo della ben nota crisi economica nazionale, arrivano, rispetto allo stesso anno, quasi 500 milioni euro/anno in più;
          negli anni della civiltà della conoscenza una porzione molto grande del territorio italiano e delle popolazioni che vi risiedono non ha ricevuto finanziamenti aggiuntivi dedicati alla ricerca e alla formazione nelle università;
          i costi dei servizi offerti sono andati significativamente aumentando e, pertanto, è conseguentemente diminuito il livello di servizio offerto agli studenti delle università del Sud;
          il risultato è un flusso migratorio aggiuntivo, dal Sud verso il Nord, di circa 30.000 studenti universitari all'anno, a servizio dei quali, il meccanismo normativo ideato in sede ministeriale, ha già spostato circa 240 docenti dal Sud al Nord e si accinge a triplicare se non a quadruplicare detto numero nei prossimi anni;
          tra la tante criticità, la preoccupazione più grande è relativa al decreto interministeriale (Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Ministero dell'economia e delle finanze) 9 dicembre 2014, n.  893, dal quale dipenderà quasi il 70 per cento del finanziamento statale alle università, che prevede, in attuazione di quanto richiesto dalla legge n.  240 del 2010 (l'articolo 5, comma 4, lettera f), prevede «l'introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'Università»);
          il costo standard, così come definito per decreto, è prevalentemente controllato da fattori di attrattività (numerosità degli iscritti, capacità di saturare le classi di studio, e altro) fattori che, è dimostrato, dipendono significativamente dalla demografia e dal livello di infrastrutturazione dei territori;
          il decreto mette sullo stesso piano, ad esempio, università che operano in regioni a mobilità lenta e ridotta quali la Basilicata, la Calabria o la Sardegna con altre nelle quali l'alta velocità si è andata ad aggiungere ad una rete stradale e ferroviaria già ben più matura;
          lo stesso decreto non considera minimamente gli studenti fuori corso, penalizzando fortemente quei territori nei quali la formazione secondaria produce, in media, come dimostrato dai rapporti OCSE, studenti con competenze inferiori;
          si mortifica così quel ruolo di «ascensore» sociale che solo le università riescono a svolgere;
          per esso sono inoltre state sollevate questioni di illegittimità, ritenute non infondate dal Tar del Lazio in risposta ad un ricorso presentato dall'università di Macerata;
          la stessa università ha rilevato, nello specifico, la violazione dell'articolo 76 della Costituzione;
          elementi di ulteriore criticità sono trasversalmente denunciati con riferimento alla mancanza di un adeguato filtro tra l'azione dell'Anvur e le scelte politiche delegate al Ministero. Così che la valutazione operata dall'Agenzia diventa criterio di finanziamento tout court, con distorsioni varie, delle quali quelle territoriali già richiamate rappresentano il primo campanello d'allarme. Senza considerare che dette valutazioni sono operate tutte con criteri ex post che non garantiscono il ruolo di terzietà che la legge demanda all'Agenzia stessa;
          non risulta, inoltre, che siano in corso iniziative specifiche adeguate per operare un equo riequilibrio dell'utilizzo delle risorse;
          le università rappresentano elementi imprescindibili per il mantenimento e l'attrattività di capitale umano di qualità e quest'ultimo è motore irrinunciabile per la ripresa del Mezzogiorno e, con esso, dell'intero Paese  –:
          se non ritengano che l'azione del Governo vada urgentemente allineata ai principi e ai criteri direttivi definiti in ambito parlamentare volti a migliorare la qualità dell'intero sistema universitario e non solo di una parte di esso;
          se non ritengano che il non intervenire tempestivamente per riequilibrare il sistema di finanziamento ordinario delle università aggravi la situazione economica e sociale del Mezzogiorno, in contrasto con i principi che lo stesso Presidente del Consiglio ha più volte richiamato;
          se non ritengano che sia necessario assumere iniziative per sospendere l'attuazione del citato decreto ministeriale n.  893 del 2014 per poter meglio definire i principi direttivi e il periodo con riferimento ai quali il Governo è delegato ad operare;
          se non ritengano che sia necessaria una maggiore attenzione complessiva al ruolo che le università possono e devono svolgere per lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno come componente centrale e ineludibile della strategia per la ripresa complessiva del Paese e, a tal fine, quali iniziative intendano intraprendere in questa direzione.
(2-01301) «Speranza, Luciano Agostini, Roberta Agostini, Albanella, Amato, Bersani, Bossa, Bruno Bossio, Carloni, Capodicasa, Casellato, Cassano, Cuperlo, D'Incecco, Gianni Farina, Raciti, Ginefra, Giorgis, Lauricella, Gnecchi, Epifani, Iacono, Impegno, Incerti, La Marca, Lattuca, Leva, Patrizia Maestri, Malisani, Marzano, Marco Meloni, Mognato, Montroni, Murer, Pagani, Giorgio Piccolo, Ribaudo, Stumpo, Taranto, Valiante, Ventricelli, Vico, Zappulla, Zoggia».

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
          il decreto del 9 dicembre 2015, pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 20    gennaio 2016, reca norme in materia di «Condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale erogabili nell'ambito del SSN»;
          a norma di quanto stabilito dal citato decreto, determinati esami a carico del Servizio sanitario nazionale, ad esempio le analisi di laboratorio o gli accertamenti radiologici, non possono più essere ordinati dai medici se non in presenza di determinate precondizioni dell'assistito;
          l'aumento dei costi di gestione e la riduzione progressiva delle risorse disponibili, rendono necessaria una razionalizzazione delle spese e una corretta allocazione delle risorse;
          il decreto, inoltre, pone, a giudizio degli interpellanti, gravi ed oggettive difficoltà nella prescrizione di prestazioni erogabili nell'ambito del Ssn con un carico burocratico veramente insostenibile per i medici e confuso per i pazienti;
          la natura giuridica del provvedimento lo rende immediatamente operativo, ma si registra la completa assenza di circolari esplicative ed il mancato coinvolgimento degli operatori sanitari che dovranno applicare le norme;
          il testo del decreto «spiega» le definizioni dei termini, il contenuto delle tabelle e i dati che devono essere riportati nella ricetta;
          la tabella dell'allegato 1, elenca le prestazioni di specialistica ambulatoriale soggette a condizioni di erogabilità, secondo uno schema che dovrebbe facilitare la consultazione da parte del medico che, per non incorrere in errori di prescrizione, deve attenersi a quanto prescritto nello stesso;
          le tabelle dell'allegato 2, possono non essere consultate perché di competenza specialistica. Lo specialista non applicando la legge sulla prescrizione propria manu degli esami, grava ancora di più sui costi della medicina generale esonerandosi dai controlli della spesa sanitaria;
          alcune disposizioni contenute nel decreto sono addirittura oggettivamente non applicabili da un punto di vista tecnico;
          a titolo meramente esemplificativo, il disciplinare tecnico della ricetta del Ssn di cui all'articolo 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n.  296, convertito dalla legge n.  326 del 2003, è stato predisposto per l'applicazione delle note limitative dei farmaci, non per le note previste dal citato decreto ministeriale del 9 dicembre 2015;
          infatti, essendo prevista la prescrizione massima di due farmaci diversi, ovvero sei confezioni di uno stesso farmaco, sono stati predisposti due spazi di tre caselle, nei quali inserire le note Aifa relative ai farmaci prescritti. Facile osservare, che nella prescrizione di analisi, o e è possibile, prescrivere 8 prestazioni, non sono presenti nel modulo otto settori di ersi ove inserire le note previste nel decreto. Pertanto, i medici, pur volendo osservare le norme per come sono state redatte, non hanno oggettivamente spazi sufficienti per l'inserimento sul modulo Ssn;
          l'esame di ogni singola prestazione delle 192 poste sotto osservazione ed inserite nel decreto, sarebbe veramente troppo lunga;
          quello che appare agli interpellanti un «cervellotico» provvedimento comporta altresì che, qualora un medico lo volesse prescrivere una transaminasi (AST) in condizioni di erogabilità, lo stesso sarebbe costretto ad apporre una nota mentre gli altri esami devono essere prescritti su altre ricette;
          inoltre, per gli interpellanti, in tal modo, si obbliga il medico a supporre, imporre, ovvero inventare una diagnosi pur di poter prescrivere un esame: nell'atto prescrittivo, i medici devono indicare non solo la motivazione della richiesta, come ovvio, ma anche il codice di prestazione ed il numero di nota, per come previsto sempre dal decreto sopra indicato;
          a titolo esemplificativo, se il medico a conclusione della visita ritiene necessario far eseguire al paziente degli accertamenti e quindi degli esami, non solo motiva la sua richiesta, in calce alla ricetta, ma deve trovare nel nomenclatore o nello stesso decreto, il numero di codice e la nota corrispondente alla prestazione richiesta; l'operazione è resa ancora più contorta e complessa se, per caso, l'esame in questione prevede ulteriori codici (esame colesterolo che è identificato dalla nota 57 e poi 57a o 57b, a seconda delle condizioni cliniche del paziente);
          in particolare, nell'allegato 1 del citato decreto, alla nota    64, relativo alla «Fosfatasi alcalina» è stabilito nelle condizioni di erogabilità: indicata nei pazienti con patologie primitive e secondarie: a) ossee b) epatobiliari: la condizione di derogabilità, per come scritta, indica la diagnosi e non il sospetto diagnostico;
          pertanto come previsto nel decreto, l'erogazione a carico del servizio sanitario nazionale è possibile esclusivamente in pazienti con diagnosi già accertata e non come supporto al sospetto clinico di: mieloma, osteomielite, sarcoidosi, sarcoma osteogenico, insufficienza renale, metastasi epatiche e ossee, malattia di paget osseo, ed associata a transaminasi, bilirubina e gamma gt a patologie delle vie biliari; ergo, per come scritto nel decreto, sembrerebbe escludersi la possibilità di prescrizione nel sospetto di patologia gottosa, per familiarità, o sospetta sindrome metabolica, essendo prescrivibile solo in caso di accertata patologia;
          alcuni esami prescrivibili e gratuiti per ipertensione, diabete, asma, allergie, sembrerebbero non più prescrivibili, creando una generale confusione interpretativa per i medici;
          ancora a titolo meramente esemplificativo si rileva la motivazione richiesta per le condizioni di erogabilità delle prestazioni, con riguardo al colesterolo Colesterolo Hdl A (nota 55) se si tratta di screening in soggetti con più di 40 anni;
          con riguardo al colesterolo Hdl B (nota 55) e il soggetto è un malato cardiovascolare, se ha familiarità per malattie dismetaboliche, dislipidemia o eventi cardiovascolari precoci;
          questa specifica, a giudizio degli interpellanti, va contro la scienza medica e contro tutti gli studi di morbilità e mortalità nonché contro il buon senso in quanto è risaputo che bassi livelli di HDL espongono a un maggior rischio;
          il decreto «chiarisce» anche quando i medici sono autorizzati a formulare un «sospetto oncologico»:
              1) Anamnesi positiva per tumori;
              2) Perdita di peso (senza specificare quanto !);
              3) Assenza di miglioramento con la terapia dopo 4-6 settimane;
              4) Età sopra i 50 e sotto i 18;
              5) Dolore ingravescente continuo anche a riposo e con persistenza notturna;
          gli interpellanti rilevano che alcuni tumori si manifestano senza perdita di peso, dopo i 18 anni e prima dei 50 e alcune forme tumorali come quelle ematiche si manifestano senza alcun dolore;
          i vituperati markers neoplastici se è vero che servono per il follow-up della malattia neoplastica è anche vero, che in assenza di segni e sintomi    spesso sono l'unica «traccia» di un tumore che ancora non ha dato presenza di sé;
          tutto questo ricade sulla qualità dell'assistenza per i cittadini: aumento delle file dal proprio medico curante, aumento delle liste d'attesa per le attività specialistiche. Si profila per gli interpellanti un vero «incubo burocratico-amministrativo», che per gli interpellanti non appare conforme con le norme costituzionali che tutelano la salute dei cittadini;
          quasi tutte le organizzazioni sindacali, gli ordini professionali e le maggiori associazioni di categoria dei medici di famiglia dichiarano che si tratta di un atto normativo di difficile applicazione che contrasta con il giuramento dei medici di agire secondo scienza e coscienza e che lede il rapporto di fiducia tra pazienti e medici;
          l'applicazione letterale del decreto, ha per gli interpellanti ricadute economiche rilevanti sui cittadini, con un cospicuo aggravio dei ticket sanitari ed il pagamento di prestazioni sino a oggi rimborsabili che andranno così a incidere tanto sulla prevenzione quanto sull'accuratezza delle diagnosi  –:
          quali iniziative di competenza intenda il Governo portare avanti al fine di tutelare il diritto alla salute dei cittadini, che devono potersi rivolgere al    servizio sanitario nazionale sicuri che venga fatto tutto quanto necessario per garantire la loro salute, anche per l'aspetto preventivo e la diagnosi precoce, senza appesantimenti burocratici e senza che il contenimento della spesa sanitaria si trasformi anche in questo caso in un danno per il cittadino e per i medici;
          se non si ritenga opportuno assumere iniziative per una moratoria del decreto di cui in premessa (in vista di un successivo ritiro) o una sua riformulazione in modo da abrogare le disposizioni riguardanti le sanzioni a carico dei medici e soprattutto le inique limitazioni alla fruizione di prestazioni sanitarie, ritenute necessarie sia dai cittadini che dai medici di famiglia e dalle loro organizzazioni di categoria;
          se il Ministro della salute intenda chiarire ai medici di famiglia quali siano le indicazioni su come agire in mancanza di software gestionali aggiornati per effettuare le prescrizioni e nell'impossibilità di modificarle con note e sigle non previste nel disciplinare delle ricette dematerializzate.
(2-01302) «Chiarelli, Fucci».

Interrogazione a risposta orale:


      MICCOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la RAI opera nel settore dei servizi pubblici di telecomunicazioni radio e televisive in concessione, assoggettata ai poteri di vigilanza e di nomina da parte dello Stato e costituita per soddisfare finalità di interesse generale. Quale servizio pubblico essa trova fondamento nei principi posti dalla Costituzione italiana e dall'Unione europea; si segnalano in particolare: la direttiva TV senza frontiere del 1989, il IX Protocollo sulla televisione pubblica allegato al trattato di Amsterdam del 1993, la Comunicazione 2009/C 257/01 (Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 27 ottobre 2009);
          gli obblighi di servizio pubblico risultano definiti dall'insieme di fonti, dalla legge 31 luglio 1997, n.  249, dalla legge 3 maggio 2004, n.  112, dal Testo unico dei servizi dei media audiovisivi e radiofonici della radiotelevisione, approvato con decreto legislativo 31 luglio 2005, n.  177, e dal Contratto di servizio, sottoscritto dalla Rai e dal Ministero dello sviluppo economico, nonché quelli derivanti dal proprio codice etico, secondo il quale, in particolare, la RAI:
              a) evita di favorire alcun gruppo di interesse, singole persone fisiche o giuridiche;
              b) adotta processi di affidamento delle opere, forniture e servizi, sulla base e nel rispetto della vigente normativa comunitaria e nazionale in materia;
              c) s'impegna a riconoscere, ai fornitori in possesso dei requisiti necessari, pari opportunità di partecipazione alla selezione;
              d) chiede assicurazioni ai fornitori partecipanti alla selezione in ordine a mezzi, anche finanziari, strutture organizzative, capacità, know-how, sistemi di qualità e risorse, affidabilità adeguati al soddisfacimento delle esigenze proprie;
          con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea in data 27 dicembre 2013 è stata indetta dalla Rai la procedura aperta sopra soglia comunitaria per l'affidamento del «Servizio di manovalanza e trasporto per il Centro di Produzione TV di Roma della RAI», da aggiudicarsi secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa (20 punti all'offerta tecnica e 80 punti all'offerta economica);
          il 18 dicembre 2014 il responsabile del procedimento ha proceduto a stilare la graduatoria. In tale documento il consorzio Labor è risultato terzo, a differenza di circa 5 punti dell'aggiucatrice dell'appalto
          il 30 luglio 2015 il Consiglio di amministrazione della RAI ha deliberato l'aggiudicazione definitiva ai sensi dell'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo n.  163 del 2006: nei confronti di Miles relativamente ai lotti 1, 2, 3 e 5; nei confronti della Trades relativamente al lotto 4; nei confronti delle Lacchi S.p.A relativamente al lotto 6;
          il Governo, con legge n.  11 del 28 gennaio 2016 del 28 gennaio 2016, è stato delegato ad attuare le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;
          con la direttiva 2014/23/UE del 26 febbraio 2014 (punto 4):
              viene ribadita l'attuale vigenza della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio ovvero, in merito alle concessioni di lavori pubblici, all'osservanza dei principi in essa contenuti come la «parità di trattamento» la «proporzionalità e la trasparenza» (punto 2);
              viene riaffermato il diritto degli Stati membri di decidere le modalità di gestione ritenute più appropriate per l'esecuzione di lavori e la fornitura di servizi, ovvero è disposto che gli Stati membri «dovrebbero rimanere liberi di definire e specificare le caratteristiche dei servizi da fornire, comprese le condizioni relative alla qualità o al prezzo dei servizi, conformemente al diritto dell'Unione, al fine di perseguire i loro obiettivi di interesse pubblico»;
          prima del 18 dicembre 2014, data della stesura della graduatoria, e prima del 30 luglio 2015, data dell'aggiudicazione definitiva, le suddette disposizioni, poste da direttive europee sebbene in attesa di recepimento, erano già state pubblicate e, di conseguenza, ne erano noti i principi;
          la Rai, attraverso il proprio codice etico, in ogni caso promette il rispetto dei punti «a», «c» e «d», sopra richiamati indipendentemente dalla vigenza o meno di cui al punto «b» ovvero della norma di recepimento in itinere;
          agli interroganti risulta che:
              a) il Consorzio Miles e il Consorzio Overni&rco, assegnatario dei servizi in precedenza svolti da Labor e da altri consorzi e cooperative, quali Trades e Semeoni srl – abbia proposto per l'assunzione dei dipendenti un contratto stipulato da sigle sindacali minori (ad esempio Unicoop) e non da quelle maggiormente rappresentative (Cgil-Cisl-Uil-Confetra) il che, nel caso specifico, determina per i lavoratori un trattamento economico ben al sotto di quanto percepito in origine. Inoltre, un tale modus operandi, per l'interrogante, contravverrebbe alla sentenza della Corte Costituzionale n.  51 del 2015 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  13 del 1o aprile 2015) volta a garantire l'invarianza del trattamento economico complessivo minimo dei lavoratori ed ammette contratti collettivi «stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, pur in presenza di una pluralità di fonti»;
              b) per i pochi lavoratori assunti il contratto prevede, a quanto consta all'interrogante, una diminuzione di inquadramento nonché una decurtazione della retribuzione mensile. Per l'interrogante questo avviene in contrasto con quanto disposto dall'articolo 42-bis del Ccnl trasporto merci Cgil, Cisl e Uil;
              c) il Consorzio Labor – cooperativa Facchinaggio Roma Castro Pretorio in data 23 febbraio 2016 avrebbe richiesto la Cassa Integrazione in deroga per 110 lavoratori addetti la unità produttiva di Roma, adducendo come motivazione la diminuzione dei volumi di lavoro derivanti dalle mancate richieste di servizio da parte del Committente Rai. Considerato il possibile permanere della causa; appare plausibile per gli interroganti che tale procedura sfoci in licenziamento prossimo degli stessi lavoratori;
              d) per quanto riguarda il disciplinare di gara, esso preveda: «i Concorrenti si impegnano, in caso di aggiudicazione qualora necessitino di impiegare manodopera per l'esecuzione dell'appalto in oggetto, ad utilizzare in via prioritaria le risorse indicate nella tabella di cui al bando, nell'ottica del mantenimento dei livelli occupazionali e condizioni contrattuali per il periodo di durata dell'appalto, a condizione che il numero e la qualifica delle predette risorse siano compatibili con l'organizzazione d'impresa del Fornitore e del servizio da svolgere»;
              e) malgrado tale impegno, ai lavoratori non è stata presentata alcuna richiesta scritta in merito alla possibile assunzione presso l'aggiudicataria dell'appalto. Ad oggi, anzi, apprendiamo dai lavoratori e dalle organizzazioni sindacali, che, da molti, è stata avanzata formale richiesta di assunzione alla Miles srl. Inoltre, con lettera al direttore generale della Rai, da parte delle organizzazioni sindacali, del 10 febbraio 2016, si confermava lo «sciopero ad oltranza» dei lavoratori che svolgono le attività in appalto e si comunicava che si era venuti a conoscenza del fatto che i lavoratori in sciopero «potrebbero essere sostituiti da personale esterno ed estraneo alle attività sino ad oggi svolte da loro stessi»;
              f) il fatto che i punti assegnabili per la parte economica sono il quadruplo di quelli assegnabili alla parte tecnica e che la differenza tra la migliore offerta e quella di Labor è di circa 5 punti fa apparire la gara, il cui vincitore formalmente e legittimamente è colui che prevede l'offerta economicamente più vantaggiosa, una competizione orientata al massimo ribasso  –:
          se il Governo intenda adoperarsi per la salvaguardia occupazionale dei lavoratori del Consorzio Labor che si trovano in situazione di grave disagio che da una parte, risultano firmatari di contratti sotto inquadrati, dall'altra parte non assorbiti dall'azienda aggiudicatrice dell'appalto;
          se intenda assumere iniziative normative per introdurre iniziative normative per introdurre misure incentivanti e/o sanzionatorie per impedire o limitare:
              l'aggiramento o l'elusione delle norme che con particolare riferimento a gare ed appalti pubblici, di pubblica utilità ed assimilati, nei quali il costo della manodopera risulta preponderante e la facoltà degli aggiudicatari, al fine di minimizzarne i costi, possano ricorrere alla sottoqualificazione giuridica del personale, con pesanti ripercussioni economiche;
              l'indizione di gare per lavori e servizi pubblici, di pubblica utilità ed assimilati, che possano trasformarsi, attraverso meccanismi di calcolo o valutazione discutibilmente ponderati, in procedure al massimo ribasso;
          infine, se il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intenda assumere iniziative ispettive al fine di accertare il rispetto del Contratto collettivo nazionale di categoria nella vicenda di cui in premessa. (3-02082)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          in base ai dati desunti da un documento pubblicato a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in Italia risultano irreperibili, nel solo 2015, 6.135 minori stranieri;
          secondo quanto denunciato dalla Commissione europea il 9 dicembre 2015, sarebbero oltre 6 mila i minori mescolati tra i 63 mila migranti non identificati nel nostro Paese;
          la somma dei due dati porta alla incredibile e inaccettabile cifra di oltre 12 mila bambini e adolescenti svaniti nel nulla, i quali, per quanto se ne sa, potrebbero essere stati vittima del mercato pedopornografico, del traffico di organi (quindi usati come «pezzi di ricambio» per fornire un cuore ad un ignaro bambino ricco), o intrappolati nella rete d'odio appositamente tessuta dall'ISIS;
          nell'ultimo rapporto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali mancano le indicazioni delle regioni in cui sono svaniti i fanciulli, informazione che nei precedente rapporto del 2013 erano riportate;
          all'articolo 17, comma 1, della legge n.  269 del 1998, è previsto quanto segue «Il Presidente del Consiglio dei ministri presenta ogni anno al Parlamento una relazione sull'attività svolta ai sensi del comma 3»  –:
          se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero, se ne siano a conoscenza e quali iniziative urgenti intendano assumere per dare soluzione al fenomeno drammatico sopra narrato;
          quando i Ministri competenti intendano adottare tutte le iniziative, anche normative, utili al fine di dare soluzione alla problematica descritta;
          se intendano rendere noti i dati relativi alle regioni in cui sono svaniti i minori;
          se il Governo ritenga opportuno promuovere un piano nazionale antitratta;
          se il Governo intenda presentare alle Camere il disegno di legge per la ratifica della Convenzione europea contro il traffico d'organi e, nel caso positivo, in quali tempi;
          in quali tempi il Presidente del Consiglio dei ministri intenda ottemperare agli obblighi di legge e presentare la relazione annuale al Parlamento in applicazione della legge n.  269 del 1998. (5-08011)


      ZAPPULLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che;
          il piano d'azione per la coesione (PAC) è uno strumento di riprogrammazione e di innovazione di metodo a cui il Ministro per lo sviluppo e la coesione pro tempore ha fatto ricorso nel 2012 per dare risposte agli impegni assunti dal Governo italiano in sede di vertice europeo, al fine di recuperare i ritardi accumulati nell'uso dei fondi strutturali 2007-2013;
          di conseguenza, sono stati stanziati in favore della Puglia, Campania, Sicilia e Calabria in totale ulteriori 730 milioni di euro per il perseguimento di due obiettivi specifici: potenziare i servizi di cura per gli anziani e potenziare i servizi di cura e socio-educativi per l'infanzia, con specifico riferimento agli asili nido e ai suoi servizi innovativi e integrativi per la prima infanzia;
          successivamente, la Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base di un'intesa in Conferenza unificata con le regioni e le province, definì con specifica ordinanza le modalità, le condizioni e i criteri di ripartizione e, in particolare, indicò le finalità delle risorse aggiuntive in modo rigoroso e preciso; ovvero destinarle: a) in via prioritaria al proseguimento dello sviluppo ed al consolidamento del sistema integrato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia (potranno essere utilizzate per la gestione dei posti esistenti ma soprattutto per l'attivazione di nuovi posti e per il miglioramento qualitativo dell'offerta); b) alla realizzazione di altri interventi a favore delle famiglie, assicurando che ad essi accedano prioritariamente le famiglie numerose o in difficoltà, sulla base del numero e della composizione del nucleo familiare e dei livelli reddituali;
          il comune di Siracusa ha partecipato con esito positivo a tre diversi bandi con programmi e fondi Pac: uno riferito all'apertura di una nuova struttura, l'altro per incremento di posti e, infine, 54 vaucher per acquisto di posti in strutture private;
          i dati forniti dal «Dossier asili nido» del Ministero dell'interno da parte di Cittadinanza Attiva, pubblicato nel mese di settembre 2015, precisano che a Siracusa città nel 2013 erano attivi 9 nidi comunali con 408 posti e una lista di attesa pari al 35 per cento dei posti realmente disponibili;
          i dati forniti, per la città di Siracusa, dall'assessorato comunale alle politiche sociali e della famiglia consegnano una realtà con una offerta numerica e di qualità decrescente e, in particolare: negli anni 2011-2012 i posti disponibili negli asili nido erano 408, sono stati occupati tutti i 408 posti; nel 2012-2013 i posti disponibili erano 408, ne sono stati occupati 366 con un meno 42; nel 2013-2014 i posti disponibili erano 408 e ne sono stati occupati 360 con un meno 48; 2014-2015 i posti disponibili erano 408, ne sono stati realmente occupati 354 con un meno 54; nel 2015-2016 i posti disponibili erano 433, ne sono stati realmente occupati 276 con un meno 156;
          la gestione degli asili nido è stata esternalizzata e, allo stato, alle società che gestiscono i servizi viene corrisposto, nonostante i 156 posti vuoti, l'intero ammontare della convenzione come se fossero tutti utilizzati;
          gli asili nido comunali di Siracusa non prevedono allo stato il tempo pieno e, pur tuttavia, tali dati si accompagnano ad un aumento, a partire dal 2016, del 20 per cento circa delle tariffe per le famiglie con un costo quantificato per un reddito annuo isee di 20 mila euro di 234 euro al mese; queste tariffe rappresentano peraltro un palese disincentivo per molte famiglie a non avanzare richiesta di utilizzo degli asili nido;
          in presenza di 156 posti liberi su 432 disponibili, ovvero un meno 36 per cento (dati ufficiali forniti dall'assessorato alle politiche sociali) il comune ha autorizzato l'apertura di un nuovo asilo nido per 24 posti con un aggravio di costo previsto di circa 150 mila annuo, continuando pare a pagare sempre per 432 posti per un costo complessivo di circa 3 milioni di euro; mentre, come appare evidente alla luce dei 156 posti vuoti, misteriosi appaiono all'interrogante i 54 vaucher per acquisto di posti in strutture private;
          il nuovo asilo, aperto grazie ai 55 mila euro dei fondi Pac destinati all'acquisto di arredamento e mobili, in assenza di ogni attività, è stato vandalizzato con il furto di parte delle stesse attrezzature acquistate;
          il costo per la collettività rimane alto rispetto alla qualità dell'offerta per le famiglie; le famiglie siracusane pagano – considerando la mancanza del tempo pieno – la tariffa più alta in Sicilia e tra le più esose d'Italia, mentre vengono segnalati casi di lavoratori e lavoratrici impegnati nel servizio presso gli asili nido che non percepiscono da mesi il giusto diritto alla retribuzione;
          nell'ambito del regolamento comunale è stata avanzata la proposta (allo stato rimasta inevasa) da diversi consiglieri comunali di Siracusa di istituire una specifica commissione di inchiesta per valutare la regolarità del servizio e della sua gestione;
          la procura della Repubblica di Siracusa ha ritenuto sull'intera vicenda e, in particolare sulla gestione corretta dei fondi pubblici Pac, di aprire uno specifico fascicolo di indagine;
          è cresciuta in città una legittima preoccupazione per le famiglie e per gli operatori del settore, che possono contare sul supporto delle organizzazioni sindacali, e una inevitabile, seria e adeguata attenzione da parte degli stessi organi di informazione;
          gli asili nido comunali e, più in generale, le politiche a favore delle famiglie sono una necessità irrinunciabile per la città di Siracusa e per una comunità di più di 120 mila abitanti che va assolutamente consolidata e potenziata  –:
          se il Governo sia a conoscenza della situazione che si è venuta a creare nella città di Siracusa e se non ritenga necessario assumere iniziative, per quanto di competenza, per una urgente e rigorosa verifica in relazione alla regolarità, alla trasparenza e all'utilizzo coerente delle risorse pubbliche e dei fondi europei nell'interesse supremo della famiglie e della qualità del servizio a favore dei bambini. (5-08013)


      PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'imprenditore di Villacidro Sisinnio Machis, titolare di un'omonima ditta individuale di carpenteria metallica, mercoledì 2 marzo ha deciso di togliersi la vita; aveva 57 anni; lascia la moglie e un figlio di appena 18 anni;
          lo stesso giorno in cui si è tolto la vita Sisinnio Machis avrebbe dovuto ricevere la visita dell'ufficiale giudiziario, incaricato di notificargli il pignoramento dell'abitazione; debiti datati, neanche particolarmente elevati;
          la crisi economica, l'aggressione delle banche, hanno spinto l'uomo ad un gesto estremo;
          banche e Stato anche in questo caso hanno soltanto vessato un umile e modesto artigiano portandolo all'esasperazione;
          don Massimo Cabua, parroco della chiesa di Santa Chiara a San Gavino, denunciava su Facebook quanto accaduto: «E mentre voi cari governanti vi sollazzate ingordamente coi vostri lauti compensi statali per legiferare su quanto di più inutilmente dannoso si possa legiferare, lasciate i padri e le madri di famiglia, quelli veri, che combattono da una vita per tenere insieme una famiglia sotto assedio, che lottano per costruire, tenere e curare un posto di lavoro, in balia delle banche con voi conniventi. Lasciate che portino via loro la dignità, l'orgoglio, la speranza e infine la stessa vita, restituita perché non gli avete lasciato sbocco. Come fate a dormire tranquilli ? Non ce la faccio a sapere di un ennesimo fratello, amico, padre che si toglie la vita per causa vostra. Fermate questo meccanismo malato, il vostro egocentrismo, la vostra supponenza. Perdonami Nino. Perché ti sei sentito solo di fronte a tutto questo. Il Padre di ogni misericordia saprà darti quella pace che quaggiù ti è stata sottratta»;
          è fin troppo evidente che questo ennesimo suicidio vada tristemente annoverato tra quelli che lo Stato deve sentire sulla propria coscienza perché nulla fa per evitare che la crisi economica diventi un vortice di aggressioni che finiscono per attentare alla vita degli uomini;
          tutto questo non può lasciare insensibili e inermi;
          occorre adottare provvedimenti che possono dare alle famiglie, agli uomini e alle donne, un minimo di tutele anche nell'insorgere di fatti che, legati alla crisi economica od altro finiscano per mettere a repentaglio la loro vita  –:
          se il Governo non intenda valutare l'urgenza di assumere iniziative anche normative che mettano al riparo i beni primari di una famiglia a partire dalla casa;
          se il Governo non intenda verificare che    le competenti autorità statali, anche attraverso i soggetti delegati alla riscossione agiscano con la sensibilità che è dovuta, assumendo iniziative per attivare strumenti straordinari per evitare che situazioni simili abbiano a ripetersi;
          se il Governo non ritenga di promuovere, per quanto di competenza, accertamenti sulla vicenda richiamata, anche in relazione a eventuali responsabilità di autorità amministrative statali nella gestione del caso. (5-08014)


      MARANTELLI e PAOLO ROSSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          è notizia di questi giorni che l'aereo che ha riportato l'Italia vincitrice dei mondiali di calcio del 1982 rischia di essere demolito;
          il DC9 Alitalia è oggi, a distanza di 34 anni, parcheggiato nel piazzale antistante l’hangar Avio 4 dell'aeroporto di Fiumicino;
          il velivolo non è più in attività dal 2001 dopo essere stato utilizzato come mezzo di trasporto sanitario, di autorità e poi come aereo di addestramento;
          in verità, il velivolo risulta essere stato finora salvaguardato proprio per le sue ragioni storiche legate ai mondiale di calcio del 1982 e l'idea di volerlo trasformare in museo si è rivelato come ha sostenuto il presidente Montezemolo molto complicata per le spese di manutenzione;
          una delle proposte avanzate per tenere in vita l'aereo dei mondiali è quella proveniente da «Volandia», il parco e museo del volo nei pressi di Malpensa che ogni anno riceve 100 mila visitatori;
          l'obiettivo è quello di preservare un pezzo importante della memoria collettiva della storia recente del nostro Paese legata a quell'evento sportivo e ad alcune immagini, quale ad esempio quella della partita a scopone tra l'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, il commissario tecnico Enzo Bearzot e gli azzurri Dino Zoff e Franco Causio  –:
          se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere per scongiurare la demolizione del suddetto DC9 nonché per favorire la possibilità di preservare il velivolo, anche sulla base delle proposte fin qui avanzate in modo da custodire adeguatamente un importante simbolo di un evento collettivo che è patrimonio del nostro Paese.
(5-08018)


      VALLASCAS, DAGA, FRUSONE, D'AMBROSIO, COZZOLINO, CRIPPA, PAOLO NICOLÒ ROMANO e BATTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nelle ultime settimane, in più occasioni, sarebbe slittata la nomina dell'amministratore delegato del Gestore dei mercati energetici spa (GME) da parte del consiglio di amministrazione del Gestore dei servizi energetici spa (GSE), nomina ulteriormente aggiornata al 7 marzo 2016;
          da quanto riportato da organi di stampa, i continui rinvii sarebbero stati causati dall'apparente mancanza di un orientamento chiaro e univoco, da parte del Governo, sul profilo del futuro manager;
          in particolare, sarebbe emerso che i sottosegretari alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Claudio De Vincenti e Luca Lotti, sarebbero sostenitori di due percorsi diversi e incompatibili tra loro: il primo sarebbe favorevole alla designazione di una figura interna al GSE, il secondo, a una esterna;
          in questi giorni, sarebbero stati pubblicati anche i nominativi dei manager individuati che, per la «soluzione interna» sarebbero i dirigenti del GME, Alessandro Talarico e Stefano Alaimo, che avrebbero però rinunciato, e l'attuale amministratore delegato di RSE spa (Ricerca sul Sistema energetico) Stefano Bessegnini. Mentre per un'eventuale «soluzione esterna», sarebbe stato individuato Maurizio Di Marcotullio, commercialista esperto in fiscalità delle energie rinnovabili;
          è il caso di rilevare che, sempre secondo quanto riportato da organi di stampa, i due differenti percorsi avrebbe ulteriori sostenitori che accentuerebbero il divario di vedute all'interno del Governo: da una parte, per un manager del GSE spa, potrebbe essere favorevole l'attuale amministratore delegato del gruppo, Francesco Sperandini, viceversa, il nome di Maurizio Di Marcotullio sarebbe gradito al vice-ministro dell'economia e delle finanze, Enrico Zanetti, di Scelta Civica, che avrebbe il sostegno del partito di appartenenza;
          questo stato di cose farebbe emergere una profonda e pericolosa spaccatura nell'Esecutivo su un aspetto di primaria importanza, perché attinente alla preliminare definizione delle caratteristiche alla successiva nomina della figura apicale del GME spa;
          in particolare, emergerebbe con forza l'ipotesi che il Governo, a giudizio degli interroganti dimostrando di non avere le idee chiare sul profilo e le caratteristiche che dovrebbe avere l'amministratore delegato del GME spa, conseguentemente non avrebbe le idee chiare neanche per quanto attiene le strategie future di un'azienda che – è il caso di rilevarlo – opera in un settore strategico per il Paese  –:
          se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
          quali siano le strategie del Governo in merito allo sviluppo futuro del Gestore dei Mercati energetici spa (GME) e, nel complesso, del gruppo Gestore dei servizi energetici spa (GSE);
          quali siano le caratteristiche, il profilo e le competenze che, secondo il Governo, dovrebbero avere le figure apicali del Gestore dei mercati energetici spa (GME) e delle aziende del gruppo Gestore dei servizi energetici spa (GSE), coerentemente con le strategie di sviluppo delle stesse. (5-08022)


      FRUSONE, CORDA, RIZZO, BASILIO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il Fatto Quotidiano del 28 febbraio 2016 pubblica un'inchiesta nella quale si afferma che nel 2016 è prevista una spesa di 15 milioni di euro per l'acquisto di un velivolo Airbus 340-500 destinato ai voli di Stato;
          secondo il quotidiano la cifra risulta dalla nota aggiuntiva della Difesa 2016 dalla quale si può rilevare un aumento dello stanziamento 2016 per la «funzione esterna» trasporto aereo di Stato del 622 per cento rispetto all'analoga voce del 2015;
          sempre secondo il quotidiano l'informazione sarebbe stata confermata da fonti della Presidenza del Consiglio;
          la Presidenza del Consiglio, per lo svolgimento delle sue attività istituzionali, dispone degli aeromobili del 310 Stormo TS, basato sull'aeroporto di Ciampino, che comprendono sette velivoli Falcon, 3 velivoli Airbus 319CJ, 2 elicotteri VH-139, oltre ad altri due elicotteri dello stesso tipo già appartenenti alla Protezione civile;
          l'utilizzo degli aerei dello stormo è notevolmente diminuito in tempi recenti a seguito delle misure di risparmio e razionalizzazione, tanto che, secondo quanto risulta dal sito del servizio voli di Stato della Presidenza del Consiglio, nel mese di settembre 2014 sono stati effettuati solo 13 voli per esigenze governative e umanitarie, al punto che il precedente Governo Letta aveva annunciato la vendita di uno degli Airbus, cessione che tuttavia non risulta essere stata ancora effettuata  –:
          se corrisponda a verità quanto affermato nell'articolo, e in particolare se i 15 milioni di euro di aumento dello stanziamento per i voli di Stato siano destinati all'acquisizione di un velivolo Airbus 340-500 destinato al 31o stormo «Carmelo Raiti» dell'Aeronautica militare italiana;
          quanta parte di quella somma sia da considerarsi come pagamento delle rate di leasing per l'aeromobile e quanta per spese una tantum come rifacimento degli interni e dotazione di apparati per comunicazioni sicure;
          quale sia la durata e il costo del leasing dell'aeromobile stesso. (5-08023)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la legge regionale della Liguria 30 dicembre 2015, n.  29, recante «Prime disposizioni per la semplificazione e la crescita relative allo sviluppo economico, alla formazione e lavoro, al trasporto pubblico locale, alla materia ordinamentale, alla cultura, spettacolo, turismo, sanità, programmi regionali di intervento strategico (p.r.i.s.), edilizia, protezione della fauna omeoterma e prelievo venatorio (collegato alla legge di stabilità 2016)», approvata dal consiglio regionale il 23 dicembre 2015 e pubblicata sul Bollettino Ufficiale del 31 dicembre 2015, contiene negli articoli dall'88 al 93 alcune disposizioni modificative della legge regionale 1o luglio 1994, n.  29, in materia di esercizio venatorio;
          le nuove disposizioni ad avviso degli interroganti violano la normativa venatoria statale, come dimostrano numerose sentenze della Corte costituzionale (n.  20 del 2012, n.  105 del 2012, n.  116 del 2012, n.  278 del 2012, n.  2 del 2015, n.  395 del 2005 e n.  107 del 2014);
          le norme in questione, in particolare, risultano fissare con legge regionale elementi del calendario venatorio regionale che, ai sensi dell'articolo 18 della legge 11 febbraio 1992, n.  157, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio», devono essere approvati con provvedimento amministrativo. Ulteriori elementi di dubbia legittimità risultano: l'introduzione di opzioni multiple di forme di caccia da parte di un singolo cittadino nella stessa stagione venatoria, la previsione di modalità non conformi alle norme statali nei casi di approvazione di un calendario venatorio sospeso dalla magistratura amministrativa, l'ammissione di abbattimenti di ungulati feriti in giorni e orari di silenzio venatorio, nonché l'ampliamento delle categorie di soggetti abilitati al controllo della fauna selvatica fuori e dentro le zone ed i periodi di divieto;
          le norme, come indicano le sentenze della Corte costituzionale, sono in contrasto con quanto disposto dall'articolo 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, ove si assegna la materia della tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali alla legislazione esclusiva dello Stato  –:
          se il Governo non ritenga necessario, per quanto di    competenza, verificare gli effetti dell'attività venatoria, con le modalità stabilite dalla legge regionale della Liguria, sul delicato ecosistema dell'area con il rischio che si riduca la biodiversità ivi presente e si condizioni irreparabilmente l'ambito paesaggistico del territorio. (4-12363)


      CRISTIAN IANNUZZI, BUSTO e SEGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in provincia di Isernia, precisamente a Pozzilli, dal 1999, opera un inceneritore, gestito dalla società Hera Ambiente, nato come impianto a biomasse, autorizzato nel 2008 a bruciare da 20 mila a 100 mila tonnellate all'anno di CDR (combustibile derivato da rifiuto), senza AIA (autorizzazione integrata ambientale). Solo dopo una denuncia alla Comunità europea, l'impianto è stato obbligato ad effettuare l'AIA, autorizzazione che la società Hera Ambiente invece ottiene solo nel luglio 2015;
          in Italia, il 33 per cento della popolazione è esposta a valori eccessivi di particolato grossolano, fine e ultrafine, contro una media dei paesi dell'Unione europea dell'11 per cento. L'Unione europea ha aperto una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia per il superamento dei limiti in dieci regioni e il Molise è tra di esse, solo per il limite del Pm10, visto che solo dal 2014 le centraline gestite dall'Arpa Molise effettuano il monitoraggio del Pm2,5, il cui valore limite annuo fissato in 25μg/m3 è vincolante dal 1o gennaio 2015, nonostante sia stato dichiarato valore obiettivo dal 2010 dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n.  155;
          all'inceneritore ufficiale di Pozzilli si aggiunge, a pochi chilometri di distanza, il cementificio di Sesto Campano che emette dai suoi camini circa 400 tonnellate di polveri, rilevanti quantità di metalli pesanti in merito quali l'associazione «Mamme per la salute e l'ambiente onlus Venafro» e l'Isde Italia, durante un convegno in occasione delle «Giornate molisane ambiente e salute», tenutesi nell'aprile 2015, si esprimevano così: «Noi troviamo una matrice ambientale dove le emissioni di diossine ci sono e sono accertate perché abbiamo valori nell'ordine non lontano dal grammo, come emissione di Colacem, e di milligrammi, come emissioni annue di Hera. Tenendo presente che la diossina può durare nell'ambiente più di dieci anni, ogni anno si accumula l'anno precedente. Quindi abbiamo una situazione di vari grammi nell'ambiente e quando la pericolosità è a miliardesimi di milligrammo abbiamo miliardi di volte, sparsi nell'ambiente, quantità pericolose che possono accumularsi, attraverso la catena alimentare, nelle piante che diventano foraggio, negli animali e poi nell'uomo»;
          in Italia, e di conseguenza anche in Molise, la politica nazionale ha scelto l'incentivazione dell'incenerimento, contrariamente a quanto avviene in altri Stati europei e in contrasto con le direttive europee: infatti, tra l'altro, è stata ammessa la riclassificazione degli impianti di incenerimento per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani D10 a impianti per il recupero di energia R1;
          in particolare, l'articolo 35 del decreto-legge n.  133 del 12 settembre 2014, altrimenti detto «Sblocca Italia», prevede che tutti gli inceneritori vengano considerati «insediamenti strategici di preminente interesse nazionale»: di conseguenza, tali impianti possono incenerire i rifiuti urbani, i rifiuti speciali non pericolosi e i rifiuti speciali pericolosi a solo rischio sanitario, prodotti non soltanto localmente, ma nell'intero territorio nazionale fino a saturazione del carico termico, facendo così decadere i vincoli di bacino; il decreto stabilisce inoltre il dimezzamento dei tempi per le procedure di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale, nonché la costruzione di nuovi impianti;
          l'Italia, nel dicembre 2015, in occasione della XXI conferenza internazionale dell'Onu sui cambiamenti climatici, a Parigi, ha sottoscritto un protocollo d'intesa che impegna, in maniera vincolante, le nazioni partecipanti a riduzioni significative delle emissioni di anidride carbonica, il primo gas responsabile dell'innalzamento della temperatura terrestre;
          gli inceneritori o termovalorizzatori producono anche energia, ma le sue caratteristiche peculiari restano la combustione, con conseguente rilascio in atmosfera di inquinanti sottilissimi e dannosi alla salute, e la produzione di ceneri di scarto che, rappresentano, in peso il 30 per cento del rifiuto in ingresso bruciato. Ciò significa che, comunque, al termine del processo di incenerimento, i rifiuti in entrata vengono eliminati solo per il 70 per cento del loro volume, creando quindi un ulteriore problema, quello dello smaltimento delle ceneri stesse;
          si apprende dall'articolo «Pozzilli e Venafro nuova grande pattumiera dell'Abruzzo e dell'Italia», sul giornale Mediamolise del 6 febbraio 2016, che sia stata raggiunta una prima intesa per far incenerire i rifiuti abruzzesi nell'impianto Hera di Pozzilli, la cui capacità sarebbe interamente saturata solo con i rifiuti molisani e abruzzesi;
          secondo l'articolo «Accordo sull'inceneritore, a Pozzilli rifiuti tracciabili», pubblicato sul quotidiano primo piano Molise, il 10 febbraio 2016 la società Hera Ambiente è autorizzata a bruciare 93.800 tonnellate di Css (combustibile solido secondario), ma avrebbe chiesto di aumentare la capacità a circa 150 mila tonnellate e di poter trattare anche un tipo di Cdr di qualità inferiore, con una procedura che ha ottenuto un primo diniego dalla regione e verso la quale l'industria ha fatto ricorso al Tar Molise. Attualmente, meno del 10 per cento del prodotto termovalorizzato a Pozzilli è il residuo dei rifiuti del Molise, il restante 91 per cento proviene dall'Abruzzo (27,88 per cento equivalente a circa 27 mila tonnellate), dal Lazio (49,11 per cento), dalla Puglia (12,22 per cento), dalla Calabria (0,81 per cento) e dalla Campania (0,06);
          durante un convegno in occasione delle «Giornate molisane ambiente e salute», tenutesi nell'aprile 2015, il professor Tamino, citando dati dell'Arpa Molise, ha evidenziato come «incenerire 1 kg di rifiuti comporta l'uso di 7 kg di aria e 1 kg di suolo». Quindi, il biologo ha messo in guardia sull'ossido di azoto (soprattutto smog delle auto ma non solo), che «incide pesantemente sull'insorgere di malattie». «Il livello di diossina nel Venafrano non è elevatissimo ma segnala un pericolo» ... «il problema è che la diossina si accumula». Citando dati Arpa e Asrem, l'esperto ha scandito che «Hera Ambiente emette sostanze cancerogene nei limiti di legge ma è poi l'accumulo di queste sostanze (con emissioni provenienti anche da altri fattori ovviamente,) che fa male alla salute»;
          la piana di Venafro è una zona nota per le criticità ambientali sia riguardo i continui sforamenti dell'inquinante Pm 10, che sanitarie, per l'alto indice di malattie tumorali e l'accertata presenza nel circondario di diossina nel latte materno di caprini e ovini;
          già nel 2012, come riportano i giornali locali, l'ex consigliere regionale molisano, Massimo Romano, diffidò Michele Iorio e la regione Molise «ad adempiere al dettato legislativo del decreto-legge 155 del 2010». Decreto che doveva prevedere la bonifica dei territori inquinati e il rispetto delle direttive europee in materia di gestione dei rifiuti, oltre al rispetto della legge regionale n.  16 del 2011 per la tutela del territorio, che, in particolare, all'articolo 12, prevede la bonifica dell'area di Venafro, indicata dal collaboratore di giustizia Schiavone come cuore degli sversamenti illegali del basso Molise;
          ancora prima, tra il 2010 e il 2011, esplosero gli scandali Open Gates e Dark Report: la procura di Larino scoprì che, nei terreni agricoli del Cosib, venivano sversati illecitamente rifiuti tossici;
          da anni, alcune mamme del comune di Venafro, riunitesi in una onlus, si battono per difendere la salute della popolazione molisana interessata da un pericoloso aumento delle malattie tumorali e penalizzata anche da un progressivo indebolimento della sanità pubblica smantellata a favore di quella privata;
          dal giornale Primo piano Molise del 15 aprile 2015 si apprende che i dati forniti dalla stessa Hera Ambiente e raccolti nel piano di sorveglianza e monitoraggio esterno mostrano una significativa alterazione dell'ambiente per il constatato accumulo sul terreno di metalli particolarmente nocivi come cadmio, piombo, mercurio;
          oltre alla raccolta differenziata «spinta», pratica non ancora perseguita in Italia, esistono metodi alternativi quali il trattamento bio-meccanico dei rifiuti, attraverso cui il problema della parte bio-degradabile dei rifiuti viene risolta in modo naturale. I rifiuti vengono stoccati per una settimana in un grande container nel quale viene insufflata aria calda a 50-60o C. In questo modo vengono attivati i batteri aerobici che degradano la frazione biologica ancora presente nei materiali conferiti. Una volta risolto il problema della frazione bio-degradabile, la parte solida rimanente può essere agevolmente risposta in discarica o incenerita, minimizzando la produzione di liquami, odori e inquinanti. I costi del trattamento bio-meccanico sono pari ad un quinto del costo degli inceneritori e per la realizzazione di un impianto T.B.M si impiegano 2 anni rispetto ai 5 degli inceneritori;
          a Mestre è già in funzione un impianto di trattamento bio-meccanico. La parte biodegradata è utilizzata come fertilizzante e le balle di materiale secco vanno ad alimentare la centrale elettrica di Fusina;
          in Germania sono stati costruiti, negli ultimi 10 anni, parallelamente agli inceneritori esistenti, ben 64 impianti di trattamento bio-meccanico per circa 6.122.000 t/anno di MPC, contro i 17.500.000 di t/anno trattate dagli inceneritori;
          lo smaltimento dei rifiuti spesso è legato al traffico illecito: il maxi-processo Spartacus e le rivelazioni di Carmine Schiavone hanno dimostrato che le regioni industriali italiane quando hanno esaurito le proprie discariche, inviano i prodotti di scarto del Mezzogiorno;
          nel 2001, l'Ami (Azienda municipale imolese oggi ConAmi) acquistò per 9,3 milioni di euro dalla società Scr i terreni dell'area industriale ex Pozzi di Sparanise, in provincia di Caserta, zona che l'allora consigliere provinciale Nicola Cosentino definì «altamente inquinata». Poco dopo, l'Ami diventerà parte del Gruppo Hera. Nel giugno 2008, risulta che la Scr sia stata rappresentata nel consiglio di amministrazione di Hera Comm Med da Giovanni Cosentino, fratello del sottosegretario pro tempore Nicola Cosentino, allora indagato, nonché genero del boss Diana, oltre a Enrico Reccia, un allevatore di bufale, che fino al 2002 è stato presidente del collegio sindacale della Cooperativa Europa 2002, nella quale era sindaco anche l'imprenditore Salvatore Della Corte, arrestato nel 2006 dal Ros e condannato a due anni e 4 mesi perché accusato di aiutare il clan Zagaria nei suoi affari al Nord;
          attualmente, il presidente di ConAmi Stefano Manara è in totale conflitto di interesse, in quanto è, da una parte proprietario-controllore della discarica (come presidente di ConAmi) e, dall'altra, siede nel consiglio di amministrazione di Hera, società controllata che ricava profitti dalla discarica;
          il 27 febbraio 2016, l'assessore all'ambiente della regione Molise, Vittorino Facciolla, uno dei principali fautori dell'accordo per i rifiuti con l'Abruzzo, è stato nominato vicepresidente della giunta regionale: sembra che egli si trovi in conflitto di interessi per aver votato favorevolmente l'adozione del V.I.A. (delibera n.  62 del 21 febbraio 2014 della giunta regionale del Molise) riguardo ad un parco eolico nel comune di Montecilfone (Cb) ed aver in precedenza fornito una consulenza sullo stesso parco quale legale del comune di Montecilfone, incassando una fattura di oltre 4.000 euro dalla ditta interessata  –:
          quali iniziative il Governo, intenda adottare, urgentemente, contro l'inquinamento ambientale ed a protezione della salute, in particolare alla luce dei casi che riguardano i comuni di Pozzilli, Venafro, Roccaravindola già sottoposti a notevoli e molteplici criticità al fine di evitare il rischio di diffusione/contaminazione dovuto alla capacità dei venti di trasportare a grandi distanze le sostanze le polveri sottili emesse;
          se il Ministro della salute intenda promuovere nella piana di Venafro-Pozzilli una indagine epidemiologica anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, al fine di verificare, soprattutto nell'area circostante l'impianto di cui in premessa, gli accumuli di sostanze e metalli nocivi come diossina, cromo, cadmio piombo e altro;
          se il Governo, per quanto di propria competenza, intenda avviare azioni di monitoraggio in termini di quantità, qualità e tracciabilità dei rifiuti al fine di non disincentivare la raccolta differenziata, in modo tale che non siano vanificati i comportamenti virtuosi dei cittadini nella pratica di questa attività;
          se il Governo, alla luce dell'impegno vincolante preso con l'adesione del protocollo d'intesa in occasione della Conferenza di Parigi, non ritenga opportuno assumere iniziative normative, nell'ambito dell'attuazione della strategia nazionale ambientale ed energetica, per rivedere quanto disposto dall'articolo 35 del decreto-legge n.  133 del 12 settembre 2014 e per favorire una corretta gestione dei rifiuti che preveda la riduzione, il riuso, il riciclaggio e il recupero energetico dei rifiuti in altra forma che non sia la produzione di energia elettrica attraverso l'incenerimento, gestione che comporterebbe minori spese, vantaggi per l'ambiente e minori scarti da smaltire;
          se siano state avviate indagini a carico di amministratori e funzionari che, nel corso degli anni, avrebbero omesso di riscontrare la diffida del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi della legge 13 agosto 2010, n.  155 e successive modifiche, creando danni ingenti alla salute dei cittadini e all'ambiente;
          quali iniziative si intendano adottare per il contrasto ai conflitti di interesse ed alle ecomafie, con particolare riguardo al ciclo illegale dei rifiuti e alla consolidata presenza di infiltrazioni mafiose nelle imprese implicate nel traffico illegale dei rifiuti. (4-12369)


      FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1, comma 261, della legge n.  147 del 2013 ha istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il «Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all'editoria» – con una dotazione di 50 milioni di euro per il 2014, 40 milioni di euro per il 2015, 30 milioni di euro per il 2016 – destinato ad incentivare gli investimenti delle imprese editoriali, nonché a sostenere le ristrutturazioni aziendali e gli ammortizzatori sociali;
          l'articolo 1-bis del decreto-legge n.  90 del 2014 ha rifinanziato l'accesso alla pensione di vecchiaia anticipata per i giornalisti, ponendo i relativi oneri a carico della dotazione del Fondo straordinario. In particolare, la norma prevede che tali finanziamenti vengano erogati in favore di giornalisti dipendenti da aziende che hanno presentato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali piani di ristrutturazione o riorganizzazione;
          con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 settembre 2014 è stata data attuazione all'articolo 1, comma 261, della legge 27 dicembre 2013 n.  147, recante l'istituzione del predetto fondo straordinario, che è stato decurtato di una somma pari a 25 milioni di euro per l'anno 2014 a copertura degli oneri derivanti dall'accesso alla pensione anticipata per i giornalisti;
          il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri fa riferimento, nelle premesse, all'elevato numero delle richieste di accesso alle misure di sostegno ai programmi di ristrutturazione aziendale, che prevedono una revisione dell'organico mediante ricorso ai prepensionamenti di cui alla legge n.  416 del 1981, attualmente pendenti presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e allo stato inevase stante l'esaurimento delle risorse del fondo statale destinato a tale finalità;
          con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, del 10 novembre 2015, con il concerto dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze; sono state ripartite, per l'anno 2015, le risorse del fondo straordinario per gli interventi di sostegno all'editoria, istituito per il triennio 2014 – 2016 con l'articolo 1 comma 261, della legge 27 dicembre 2013, n.  147 (legge di stabilità 2014). A norma dell'articolo 1-bis comma 4, lettera b) della legge 11 agosto 2014, n.  114, a valere sulla dotazione del fondo per l'anno 2015, devono essere versati 11 milioni di euro su apposita contabilità speciale, per essere destinati al rifinanziamento dell'accesso alla pensione di vecchiaia anticipata per i giornalisti;
          sul sito internet del dipartimento per l'informazione e l'editoria presso la Presidenza del Consiglio dei ministri non sono contenuti né i dati relativi alle aziende che hanno formulato richiesta di accesso a tali misure di sostegno, né l'entità delle risorse effettivamente erogate rispetto a quelle stanziate, né i soggetti che ne hanno beneficiato;
          le richieste effettuate al competente ente di previdenza, l'INPGI, reiterate in più occasioni anche per le vie brevi e volte ad avere chiarimenti sul funzionamento di tale contributo e sui beneficiari sono rimaste prive di riscontro;
          l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n.  33 del 2013 pone, tra l'altro, come principio generale che deve connotare l'attività delle amministrazioni pubbliche, quello della trasparenza, che è «intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche»;
          il rispetto del principio di trasparenza si impone con maggior rigore, raggiungendo la sua massima vis espansiva, nei casi in cui venga in rilievo l'utilizzo di risorse pubbliche imponendo di rendere non solo pubbliche, ma anche facilmente accessibili e fruibili da tutti, tutte quelle informazioni che consentono al cittadino di valutare se tali risorse siano state utilizzate nel rispetto delle prescrizioni di legge e nel perseguimento dell'interesse pubblico  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere, anche fornendo la relativa documentazione, per rendere conoscibili i dati relativi all'accesso al contributo dello Stato per il prepensionamento dei giornalisti, con riferimento alle aziende che hanno formulato richiesta di accesso alle misure di sostegno previste dalla legge, all'entità delle risorse effettivamente erogate rispetto a quelle stanziate, nonché alle aziende e ai soggetti per azienda che ne hanno beneficiato, indicati nominativamente oppure in forma numerica.
(4-12371)


      SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          con una recentissima deliberazione il Consiglio dei ministri ha individuato il 17 aprile 2016 quale data di svolgimento del referendum cosiddetto «anti-trivelle» ed il 15 febbraio 2016 è stato adottato il relativo decreto del Presidente della Repubblica, nonostante fosse stata sollevata la questione da parte del Gruppo parlamentare SEL di indire un election day in cui tenere contemporaneamente consultazioni amministrative e referendum, in quanto ciò avrebbe comportato un risparmio di almeno 300 milioni di euro per le casse dello Stato ed avrebbe maggiormente favorito la partecipazione popolare al referendum;
          inoltre, sei consigli regionali italiani hanno sollevato dinanzi alla Corte costituzionale due conflitti di attribuzione su altrettanti quesiti referendari esclusi dalla Corte di cassazione e l'ammissibilità di questi due quesiti sarà decisa dalla Consulta il 9 marzo 2016;
          nell'ipotesi in cui la Consulta dovesse ritenere ammissibili i ricorsi presentati da 6 regioni, i cittadini italiani sarebbero chiamati ad esprimersi non solo sulla durata delle trivellazioni in mare, ma anche sul piano delle aree e sulla durata dei titoli per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma;
          si apre a questo punto un problema che sembrerebbe non preso in considerazione dal Governo; se la Consulta, infatti, dovesse accogliere il ricorso delle regioni e riammettere anche uno sono dei quesiti, il referendum non potrebbe tenersi il 17 aprile perché dalla decisione della Consulta alla data del 17 aprile, non vi sarebbero i 45 giorni di campagna referendaria previsti dalla legge;
          esistono, dunque, dei problemi oggettivi che, in questo momento, rischiano comunque, di far slittare il referendum oltre la data del 17 aprile;
          nella prossima primavera sono almeno 1.343 i comuni italiani che andranno al voto nelle elezioni amministrative e, tra questi, 13 città che vantano una popolazione superiore a 100.000 abitanti: Bologna, Bolzano, Cagliari, Latina, Milano, Napoli, Novara, Ravenna, Rimini, Roma, Salerno, Torino e Trieste;
          il «codice di buona condotta sui referendum», adottato dalla Commissione di Venezia (Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto) nel 2007 e fatto proprio dal Consiglio d'Europa, prevede che le autorità amministrative, ivi incluso il Governo, devono rispettare il proprio dovere di neutralità nell'organizzazione del voto referendario e fornire informazioni obiettive agli elettori, ai quali deve essere messo a disposizione con sufficiente anticipo il testo sottoposto a referendum nonché un rapporto esplicativo o del materiale imparziale da parte dei sostenitori e degli oppositori della proposta;
          fino ad oggi non sono mai state diffuse informazioni adeguate rispetto al tema oggetto del referendum «anti-trivelle», né al momento sembrerebbe muoversi in tal senso il servizio pubblico radiotelevisivo;
          si ricorda che in occasione dei referendum sul nucleare e sull'acqua pubblica svoltisi nel 2011, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni era arrivata addirittura a chiedere alla concessionaria pubblica di assicurare spazi adeguati ai temi dei referendum prima che scattassero le sanzioni. In particolare, fu adottato un «ordine conformativo» affinché la Rai provvedesse: alla diffusione giornaliera dei messaggi autogestiti su tutte e tre le reti generaliste assicurando, a rotazione per ciascuna giornata, la collocazione su una delle reti la collocazione su una delle reti nella fascia di maggior ascolto (dalle ore 18,30 alle ore 22,30); alla diffusione di tribune elettorali su tutte le tre reti, assicurando a rotazione, almeno su una rete al giorno, la trasmissione nella fascia di maggior ascolto; a garantire una rilevante presenza degli argomenti oggetto dei referendum nei telegiornali e nelle trasmissioni informative di maggior ascolto di tutte le tre reti generaliste. In caso di inottemperanza all'ordine impartito si sarebbero applicate le sanzioni previste dall'articolo 1, comma 31, della legge n.  249 del 1997. In tale occasione l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha anche «rivolto alle emittenti televisive nazionali private l'invito ad assicurare la più ampia informazione sui referendum». Infine, l'Autorità ha «sollecitato i Comitati regionali delle comunicazioni (Corecom) a completare tutti gli adempimenti necessari per la trasmissione dei messaggi autogestiti gratuiti sulle emittenti locali»  –:
          se il Governo alla luce di quanto descritto in premessa non intenda assumere le opportune iniziative normative volte a rivedere la recente decisione di non accorpare la data del referendum cosiddetto «anti-trivelle» con le consultazioni amministrative e quali iniziative di competenza intenda assumere per favorire la massima informazione dei cittadini sul referendum, anche tramite il mezzo radiotelevisivo. (4-12382)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 9 della legge 6 dicembre 1991, n.  394, l'Ente parco ha personalità di diritto pubblico, sede e    amministrativa nel territorio del parco ed è sottoposto alla vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Sono organi dell'Ente:
              a) il Presidente;
              b) il Consiglio direttivo;
              c) la giunta esecutiva;
              d) il collegio dei revisori dei conti;
              e) la comunità del Parco;
          il consiglio direttivo è formato dal presidente e da otto componenti nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare entro 30 giorni dalla comunicazione della rispettiva designazione;
          quattro componenti del consiglio direttivo sono designati dalle comunità del parco;
          la comunità del parco ai sensi dell'articolo 23 dello statuto dell'Ente parco nazionale della Majella è costituita dai sindaci dei comuni il cui territorio ricada in tutto o in parte in quello del Parco, dai presidenti delle comunità montane e dai presidenti delle regioni e delle province interessate;
          con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare registrato al numero 0000319 del 29 dicembre 2014 sono stati nominati i componenti del consiglio direttivo dell'Ente parco nazionale della Majella;
          tra i componenti designati dalla comunità del parco è presente il nominativo di Mario Mazzocca, ex sindaco di Cararnanico Terme che attualmente ricopre la carica di consigliere della regione Abruzzo;
          nel momento della nomina a membro del consiglio direttivo dell'ente parco nazionale della Majella, Mario Mazzocca non era più sindaco di Caramanico Terme in quanto era già stato eletto a maggio 2014 il nuovo sindaco Simone Angelucci;
          ai sensi dell'articolo 9, comma 5 della legge 6 dicembre 1991, n.  394, qualora siano designati membri della comunità del parco sindaci di un comune, la cessazione dalla predetta carica a qualsiasi titolo comporta la decadenza immediata dall'incarico di membro del consiglio direttivo e il conseguente rinnovo, entro quarantacinque giorni dalla cessazione, della designazione;
          ad avviso degli interroganti non solo Mario Mazzocca non avrebbe potuto essere componente del consiglio direttivo dell'ente, ma dovrebbe essere già decaduto e di conseguenza la comunità del parco avrebbe già dovuto provvedere alla designazione di un nuovo membro;
          a giudizio degli interroganti, sia la comunità del parco che l'ente parco avrebbero già dovuto procedere con tutte le azioni e gli atti di propria competenza per comunicare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la nuova designazione  –:
          quali siano le motivazioni della nomina dell'ex sindaco di Caramanico Terme Mario Mazzocca a membro del consiglio direttivo dell'ente parco nazionale della Majella;
          se il Ministro interrogato, considerata l'inerzia della comunità del parco e dell'ente parco stesso, nei limiti delle proprie competenze, intenda sanare la situazione descritta assumendo ogni iniziativa necessaria a garantire il rispetto di quanto stabilito dall'articolo 9, comma 5, della legge n.  394 del 1991, in base alla quale si è verificata una causa di decadenza del componente consiglio direttivo Mario Mazzocca. (5-08009)

Interrogazione a risposta scritta:


      VIGNAROLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo n.  163 del 2006, all'articolo 68-bis comma 1, prevede l'obbligo per le pubbliche amministrazioni, ivi incluse le centrali di committenza, di contribuire al conseguimento dei relativi obiettivi ambientali, nonché di inserire, nella documentazione di gara pertinente, le specifiche tecniche e le clausole contrattuali contenute in alcuni decreti ivi richiamati. Nello specifico, al comma 2 del suesposto articolo del codice dei contratti pubblici, viene altresì stabilito che tale obbligo deve applicarsi per almeno il 50 per cento del valore delle gare d'appalto sia sopra che sotto la soglia di rilievo comunitario previste per alcune categorie di forniture e affidamenti. Tra quest'ultimi, rientra ai sensi della lettera a, comma 2 dell'articolo 68-bis del Decreto legislativo n.  163 del 2006, anche quello relativo all'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti urbani di cui all'allegato 1 del decreto 13 febbraio 2014, del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
          il decreto ministeriale 13 febbraio 2014, all'allegato 1, punto 4.4.5, stabilisce che il sistema automatico di gestione dei dati richiesto alla società affidataria deve essere strutturato in modo da poter essere coordinato con la banca dati gestita da Ancitel energia e ambiente. Tale specificazione determina, a parere degli interroganti, per Ancitel energia e ambiente una situazione di privilegio dando la possibilità a quest'ultima di offrire servizi commerciali ai potenziali affidatari dei servizi di raccolta rifiuti, selezionati in applicazione dei criteri ambientali minimi di cui all'articolo 2 del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, 11 aprile 2008 in tal modo determinando una potenziale situazione di concorrenza sleale;
          come già evidenziato nell'interrogazione a risposta scritta 4-10980 del 4 novembre 2015, è da sottolineare che nel corso degli anni Ancitel energia e ambiente ha visto mutare il proprio assetto azionario passando di fatto da una configurazione interamente «pubblica» ad una forte presenza del privato nella propria compagine societaria. Difatti, il 23 dicembre 2013, Ancitel spa, sino ad allora unica proprietaria di Ancitel energia e ambiente, ha ceduto alla società CHP Roma srl, l'80,4 per cento delle quote di quest'ultima. A seguito di una deliberazione di aumento di capitale, sono entrate nella compagine societaria di Ancitel energia e ambiente anche altri soci privati quali CHP Roma srl, con 160.562 azioni, per un valore in euro di 160.562, pari al 65,51 per cento; ANCITEL energia e ambiente spa con 36.022 azioni, per un valore in euro di 36.022, pari al 14,70 per cento (quote precedentemente possedute dalla società Daneco Impianti spa); ANCITEL spa, con 24.500 azioni, per un valore in euro di 24.500, pari al 10 per cento; EPRCOMUNICAZIONE srl, con 12.247 azioni, per un valore in euro di 12.247, pari al 5 per cento; FENIT spa, con 11.767 azioni, per un valore in euro di 11.767, pari al 4,80 per cento  –:
          alla luce dei profili critici evidenziati in premessa, quali siano le ragioni per le quali nel Decreto ministeriale 13 febbraio 2014 si sia fatto specifico riferimento ad una società privata quale è ad oggi, Ancitel energia ed ambiente;
          se non si ritenga opportuno sostituire il riferimento attuale all'Ancitel energia e ambiente con il riferimento istituzionale di ISPRA che come noto è sottoposta alla vigilanza diretta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, riguardo ai rifiuti, gestisce una banca dati con copertura dell'intero territorio nazionale. (4-12381)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BURTONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          la giunta regionale della Basilicata ha deliberato in merito all'accordo operativo attuativo tra la regione e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per l'attuazione della strategia di valorizzazione delle aree di attrazione culturale nell'ambito del Pon «Cultura e sviluppo 2014-2020»;
          il citato programma operativo nazionale (Pon) «Cultura e Sviluppo» 2014-2020 ha una dotazione finanziaria di 490,9 milioni di euro (di cui 3.68,2 milioni di euro a valere sui fondi strutturali europei, Fesr e 122,7 milioni di euro di cofinanziamento nazionale) ed è destinato a Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia;
          il programma ha come obiettivo la valorizzazione del territorio attraverso interventi di conservazione del patrimonio culturale, di potenziamento del sistema dei servizi turistici e di sostegno alla filiera imprenditoriale collegata al settore;
          sono 11 su 60 attrattori culturali complessivi a livello nazionale, quelli concernenti la Basilicata;
          si tratta del museo nazionale Domenico Ridola e del museo nazionale d'arte medievale e moderna di Matera, del museo nazionale della Siritide e del parco archeologico di Herakleia di Policoro, del museo archeologico nazionale di Metaponto, del parco archeologico dell'area urbana, del tempio delle tavole palatine, del museo archeologico nazionale di Melfi, del museo archeologico nazionale della Val d'Agri di Grumento Nova, del museo archeologico nazionale e dell'area archeologica di Venosa e il castello di Lagopesole;
          l'accordo sottoscritto tra l'autorità di gestione del Pon Cultura (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) e l'autorità di gestione del Por Fesr Basilicata 2014-2020 stabilisce la modalità di attivazione delle risorse nazionali (Pon) e regionali (Por) in termini di coerenza e complementarietà tra le programmazioni e sarà istituito un tavolo tecnico regionale tra rappresentanti della regione e del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al fine di assicurare informazione, confronto e condivisione circa la definizione delle più opportune complementarietà tra le programmazioni di livello nazionale e regionale;
          l'accordo definisce, su proposta della regione e di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, i comuni che gravitano geograficamente attorno agli attrattori individuati nella prima fase: saranno rivolte principalmente alle imprese operanti nell'industria turistica-culturale ubicate in questi comuni le agevolazioni dei bandi del Ministero, che saranno emanati nel prossimo bimestre dopo la condivisione con le regioni;
          sorprende l'esclusione tra gli attrattori individuati in Basilicata dell'area archeologica di Rossano di Vaglio di Basilicata che si connota sin dal IV secolo a.C., come il principale santuario federale delle genti lucane insediate nelle aree interne della Basilicata presente sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
          suddetto sito si trova a pochi chilometri dal capoluogo lucano e dalle dolomiti lucane luogo di grande richiamo turistico;
          si apprende che nell'ambito del tavolo tecnico, di concerto tra Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e regione, saranno valutate ulteriori proposte progettuali, in aggiunta a quelle individuate nella prima fase, relative ad altri attrattori culturali di proprietà statale da selezionare in base criteri approvati dal comitato di sorveglianza  –:
          quali siano state le ragioni che hanno determinato l'esclusione iniziale dell'area di Rossano di Vaglio di Basilicata dall'elenco degli attrattori della Basilicata candidati al PON e quali iniziative di competenza intenda assumere considerata la rilevanza culturale del sito per recuperare l'area in questione tra quelle beneficiarie delle risorse del PON Cultura 2014-2020. (5-08020)

Interrogazione a risposta scritta:


      PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          un articolo pubblicato da TTG Italia l'8 luglio 2015, intitolato «Franceschini: vogliamo solo il turismo d’élite» riporta di un'intervista rilasciata a Repubblica dal titolare del Mibact. Secondo il Ministro, «la strategia vera è un'altra: puntare su un turismo d'eccellenza. In Italia devono tornare i viaggiatori colti e noi dobbiamo portarli oltre il triangolo Roma-Firenze-Venezia»;
          sempre secondo TTG, il pensiero del Ministro è noto da tempo, ma, nell'intervista, Franceschini chiarisce ulteriormente la questione. «Non mi interessa il cinese che scende dalla nave da crociera, si fa portare all’outlet, poi fa una foto al Colosseo e riparte. Chi arriva deve poter scoprire le nostre eccellenze». E sullo scivolamento dell'Italia nelle classifiche mondiali degli arrivi turistici, il Ministro aggiunge: «Siamo il quinto Paese al mondo come presenze turistiche, ma il primo come desiderio di viaggio. Però evidentemente non offriamo abbastanza garanzie». Franceschini non ha dubbi. Un, turismo sostenibile e colto è la sua scelta. «Pazienza per le comitive — dice — Salvare le nostre città d'arte è più importante»;
          TTG Italia, in un articolo di Cristina Peroglio del 24 febbraio 2016 analizza il fenomeno, sempre più diffuso, relativo al contingentamento degli ingressi per molti dei principali attrattori turistici del Paese. Secondo l'articolo, molte sarebbero le amministrazioni locali di alcune aree che starebbero pensando di limitare gli accessi, mentre altri si sarebbero già mossi in quella direzione: vengono citati gli esempi del Colosseo, che può accogliere tremila turisti alla volta, le limitazioni agli accessi proposte da comuni delle Cinque Terre per la prossima stagione (e che hanno scatenato uno scontro con la regione Liguria), lo studio di percorsi a quelli tradizionali nei siti di Pompei;
          a parere degli interroganti una strategia che punti ad una sorta di «selezione» della qualità dei turisti come indicato dal Ministro Franceschini, richiederebbe delle precise azioni che non si possono esaurire nella limitazione degli accessi dei visitatori a determinate aree, in particolare quelle che rappresentano una attrattiva maggiore. Se, da un lato, è assolutamente necessario tutelare il patrimonio culturale, storico e naturale da un turismo massificato, dall'altro risulta altrettanto necessario pianificare una serie di azioni strategiche tese ad elevare il livello dell'offerta del «prodotto Italia» e a proporre in maniera forte destinazioni alternative a quelle tradizionali;
          risulta evidente che sarebbero necessarie delle azioni chiare che, solo per portare alcuni esempi, elevino ulteriormente il livello di professionalità delle figure impiegate nella filiera e tutelino quelle esistenti (vedasi l'irrisolta questione delle guide turistiche), che uniformino la classificazione delle strutture ricettive sul territorio utilizzando sistemi innovativi (vedasi quanto previsto dall'articolo 10 del decreto-legge n.  83 del 2014), che propongano un miglioramento della qualità dei servizi erogati (vedasi l'accessibilità universale) e la lotta all'abusivismo nel ricettivo (a tutela della clientela e degli operatori regolari);
          le specifiche ed esemplificative azioni sopra elencate dovrebbero essere inserite in piani organici sia a livello promozionale, affidati ad Enit, sia a livello normativo, di interesse dei Ministeri e delle regioni. L'interrogante non individua una correlazione tra le esternazioni del Ministro Franceschini relative al desiderio di fare del Paese una destinazione di un turismo di livello elevato e le azioni promosse dagli organi preposti per raggiungere tale obiettivo  –:
          quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato circa le limitazioni agli accessi proposte dai comuni delle Cinque Terre;
          quali iniziative promozionali specifiche il Ministero ed Enit abbiano individuato e stiano proponendo con il fine specifico di elevare la qualità dei visitatori; quali siano i prodotti turistici individuati e promossi a tale scopo;
          quali iniziative siano state individuate e predisposte per migliorare qualità dell'offerta turistica italiana, in particolare in relazione alle professionalità impiegate, alla classificazione delle strutture ricettive e al contrasto all'abusivismo. (4-12373)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante già con l'interrogazione del 27 gennaio 2015 n.  4-07683 ha chiesto al Ministro dell'economia e delle finanze di «adottare immediati provvedimenti per escludere dal calcolo dell'Isee le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento, nonché innalzare le soglie di accesso alle prestazioni sociali agevolate, considerando che l'attuale sistema penalizza le persone disabili»;
          sono, inoltre, molteplici i provvedimenti rispetto ai quali l'interrogante ha presentato proposte emendative affinché le indennità di accompagnamento e le pensioni di invalidità siano escluse dal calcolo dell'Isee;
          la determinazione dell'Isee, comprendendo le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento, ha sfavorito soprattutto i disabili più gravi. È a dir poco assurdo, anche giuridicamente, che queste entrate siano state equiparate al reddito a lavoro: disabilità e lavoro non sono di certo equiparabili. A conferma di ciò, il 29 febbraio 2016 si è finalmente espresso il Consiglio di Stato depositando la sentenza n.  00842/2016, con la quale stabilisce che l'indennità di accompagnamento non può essere conteggiata come reddito;
          la formulazione del nuovo Isee ha, infatti, scatenato una battaglia giudiziaria per far dichiarare la sua illegittimità, da parte di alcune associazioni per la difesa dei diritti dei disabili che hanno presentato dei ricorsi al Tar. Al Consiglio di Stato si era appellato il Governo e il collegio con sentenza ha sancito che le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito. Si legge infatti nella sentenza: «... ricomprendere tra i redditi i trattamenti (...) indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una «remunerazione» del suo stato di invalidità ... (dato) ... oltremodo irragionevole ... (oltre che) ... in contrasto con l'articolo 3 Cost ...»;
          è assurdo che per stabilire un principio di semplice buon senso le associazioni dei disabili siano state costrette a rivolgersi al giudice amministrativo. È chiaro che il Governo deve adesso adottare i dovuti provvedimenti in conformità al principio per il quale, ai fini del calcolo del Isee, non possono essere inserite le provvidenze assistenziali  –:
          quali siano le iniziative adottate dal Ministro interrogato in conseguenza    della sentenza del consiglio di Stato menzionata in premessa, che ha respinto l'appello proposto dal Governo, stabilendo l'illegittimità dell'Isee così come riformato dall'Esecutivo, poiché non può ricomprendere le provvidenze assistenziali dei disabili. (5-08017)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


      PRODANI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          un articolo del 1o marzo 2016 de Il Piccolo riporta che il tribunale di Gorizia, già da tempo al centro di polemiche circa la dotazione dell'organico giudicante, si trova in una situazione molto critica che potrebbe portare alla paralisi delle attività: dopo la comunicazione resa il 29 febbraio durante l'assemblea dell'ordine degli avvocati della provincia di Gorizia dal presidente Gaggioli, secondo cui il giudice Ferretti avrebbe ottenuto il trasferimento ad altra sede, l'organico dei giudici, tra civile e penale si ridurrebbe a cinque unità, compreso il presidente Sansone;
          tra incompatibilità e questioni procedurali, secondo quanto riportato dal quotidiano, già oggi sarebbe molto complicato predisporre un collegio giudicante; la situazione potrebbe diventare ancora più complessa in primavera, quando dovrebbe assentarsi per maternità un'altra giudice. Nell'articolo vengono riportate le parole del presidente Gaggioli che, nel tentativo di individuare una soluzione pratica, avrebbe proposto una redistribuzione dei magistrati che coinvolgerebbe i tribunali di Udine e Trieste;
          il 28 febbraio 2016, in un'intervista pubblicata su Il Piccolo, il presidente Giovanni Sansone ha manifestato la preoccupazione per la sopravvivenza, in un'ottica di riorganizzazione del sistema giudiziario, del tribunale di Gorizia. Il foro isontino, che dovrebbe avere in organico 10 giudici, negli ultimi anni è stato interessato da un tasso altissimo di avvicendamenti, oltre che dalla riduzione preventivata. E, nonostante la situazione citata, nel 2015, grazie all'impegno dei giudici e del personale amministrativo ed a scelte organizzative appropriate, si sono ottenuti dei buoni risultati, quali una riduzione del 25 per cento dei pendenti nel penale, realizzate vendite giudiziarie e distribuiti ai creditori quasi 18 milioni di euro, celebrati processi complessi e rilevanti sotto il profilo economico e sociale;
          il 30 gennaio 2016, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario presso la corte d'appello di Trieste, il presidente vicario della corte Alberto Da Rin, nella sua relazione ha evidenziato la situazione del tribunale di Gorizia, sottolineando come la pianta organica del tribunale risulti sottodimensionata rispetto al carico di lavoro complessivo dell'ufficio. La situazione, come riportato, sarebbe ampiamente riconosciuta dal Consiglio superiore della magistratura. Già dal 2009, dall'esito di una cognizione complessiva degli uffici giudiziari di Gorizia nella quale è stato sottolineato «il permanere, nonostante l'elevata produttività dei Giudici, della situazione di sofferenza del tribunale, destinata ad aggravarsi con le nuove delicate sopravvenienze», il Consiglio superiore della magistratura ha ribadito il proprio giudizio sulla gravità del problema delle carenze organiche del tribunale di Gorizia ed ha disposto la trasmissione della deliberazione stessa al Ministro della giustizia, nuovamente «segnalando la necessità di una modifica delle piante organiche del Tribunale di Gorizia». Poi, nel 2010, «il CSM ha ancora una volta rappresentato la grave situazione del Tribunale di Gorizia e nuovamente disposto la trasmissione di copia della delibera al Ministro della Giustizia per quanto di competenza in tema di piante organiche. Le plurime, motivate e giustificate richieste di ampliamento di organico non hanno determinato alcuna utile modifica migliorativa;
          il presidente vicario Da Rin aggiunge che «all'insufficienza della pianta organica si aggiunge l'ulteriore elemento negativo rappresentato dall'ampio e continuo avvicendamento dei giudici: negli ultimi otto anni si è registrato un avvicendamento di 20 giudici su di un organico di 10. Attesi gli scostamenti temporali tra le date di scopertura dei posti e quelle in cui questi vengono effettivamente coperti (Gorizia risulta essere poco attrattiva, sicché i posti di giudice vengono coperti quasi esclusivamente dai MOT che, dovendo completare il periodo di tirocinio, si insediano dopo lungo tempo dall'assegnazione), avviene che annualmente l'Ufficio non può disporre di più giudici per lunghi periodi, il che rende difficile non solo la programmazione del lavoro, ma anche l'attuazione dell'attività programmata»;
          dopo una dettagliata panoramica dei periodi in cui diversi posti di giudici sono risultati scoperti, la relazione segnala che «ampie risultano anche le scoperture di organico del personale amministrativo: a fronte di 36 unità risultano, infatti, scoperti 5 posti di funzionario, 3 di cancelliere, 2 di assistente, 1 ausiliario  –:
          se il Ministro interrogato sia al corrente della situazione citata in premessa;
          se il Ministro interrogato sia intenzionato ad assumere iniziative, per quanto di competenza per integrare l'organico dei giudici e dei posti scoperti del personale amministrativo in modo da permettere lo svolgimento delle attività ed evitare il prospettato collasso del    tribunale goriziano;
          se il Ministro interrogato per quanto di competenza, intenda chiarire le intenzioni, nell'ottica di un efficientamento del sistema giudiziario, anche in ambito regionale, sul futuro ruolo del tribunale di Gorizia. (4-12375)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          con i suoi 157 chilometri di tracciato e un'utenza pari a circa 4.000 passeggeri giornalieri, la ex ferrovia centrale umbra (Fcu) è una linea a scartamento ordinario in concessione, il cui tracciato si snoda quasi totalmente nel territorio della regione Umbria, lungo la valle del Tevere;
          il 26 gennaio 2016 è stato sottoscritto a Perugia l'accordo quadro tra regione Umbria e Rete ferroviaria italiana per la gestione della ex Fcu da parte di Rfi al fine di incrementare la capacità di traffico sulle linee ferroviarie umbre, con una produzione che a regime, secondo le stime, dovrebbe salire dagli attuali 3,7 milioni di treni per chilometro/anno a circa 3,9 milioni;
          l'accordo di durata decennale, firmato dall'assessore regionale alle infrastrutture e ai trasporti della regione Umbria, Giuseppe Chianella, e dall'amministratore delegato di Rfi, Maurizio Gentile, prevede il potenziamento dei collegamenti con Roma e con le Marche, la connessione fra l'infrastruttura gestita da Rfi e il networks, dell'operatore ferroviario regionale, nonché l'integrazione delle diverse modalità di trasporto dell'Umbria con un sistema integrato di servizi (coincidenze e orario cadenzato);
          in particolare, l'accordo firmato prevede: incrementi della capacità di traffico della linea Terontola-Perugia-Terni, via Assisi-Foligno-Spoleto, con servizi dedicati per le stazioni maggiormente utilizzate da circa il 50 per cento dei residenti in Umbria; incremento e ottimizzazione del servizio biorario per la relazione Foligno-Firenze; potenziamento della linea Roma-Ancona (tratto Orte-Fossato di Vico), con aumento dei collegamenti dei treni per i pendolari con Roma. Nel documento si accenna anche ad una programmazione integrata con regione Marche di treni regionali veloci sull'asse ferroviario Ancona-Foligno-Roma;
          l'accordo quadro è lo strumento tecnico che consentirà alla regione Umbria di prenotare capacità di traffico per la rete ferroviaria regionale e di programmare nel medio/lungo periodo, l'uso dell'infrastruttura, ferroviaria in funzione del piano regionale dei trasporti. Per Rfi, l'accordo quadro relativo alla capacità ferroviaria è il principale strumento per determinare le reali esigenze di mobilità del territorio e per programmare, ove sia necessario, piani di upgrade infrastrutturale per ottimizzare al meglio lo sviluppo dei servizi regionali;
          per quanto riguarda gli sviluppi futuri, l'accordo non solo tiene conto della capacità di traffico basata sull'infrastruttura esistente, ma anche di possibili investimenti nazionali programmati di concerto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rfi o richiesti dalla regione stessa per il miglioramento della qualità dei servizi, quali ad esempio l'eliminazione delle barriere architettoniche o parcheggi vicino alle stazioni;
          per quanto concerne la fattibilità del trasferimento della rete ex Fcu a Rfi, l'amministratore delegato Maurizio Gentile ha spiegato che occorrerà un periodo transitorio di circa tre anni per adeguare la vecchia e malandata linea ferroviaria agli standard nazionali previsti dall'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, mentre è ancora prematura l'analisi dei costi necessari per questa operazione;
          il 9 febbraio 2016 la regione Umbria ha anche rinnovato con Busitalia (società del Gruppo FS Italiane) il contratto di servizio per il trasporto pubblico ferroviario di interesse regionale e locale lungo la rete ex Fcu fino al 2019, per circa 1,2 milioni di treni/chilometri e un valore economico di circa 7 milioni di euro all'anno;
          il nuovo accordo segue di poco tempo il rinnovo per i servizi regionali con Trenitalia e l'accordo quadro con Rfi per il potenziamento dell'infrastruttura e, come affermato dall'assessore regionale ai trasporti Giuseppe Chianella, «permette di chiudere il cerchio per la gestione del trasporto pubblico su ferro in Umbria, garantendo di migliorare la qualità del servizio ferroviario, con l'impegno a lavorare insieme per gli obiettivi del Piano regionale dei trasporti». «C’è un forte impegno della regione per la valorizzazione complessiva della Fcu – ha sottolineato l'assessore – con la positiva novità dell'apertura del rapporto con Rete Ferroviaria Italiana»;
          nel contratto si prevede che la regione Umbria affida a Busitalia l'organizzazione e la gestione dei servizi di trasporto ferroviario di persone di interesse regionale e locale per i collegamenti fra Perugia, Terni, Sansepolcro, Perugia Sant'Anna. Il contratto ha un valore economico annuo di 7.016.000 euro (con aggiornamento al tasso di inflazione programmata), corrisposti, a titolo di corrispettivo, dalla regione in base all'attuale organizzazione dei servizi per complessivi 1.191.288 treni/Km (di cui 106.258 con autobus) e 121.116.075 posti/Km offerti. Saranno concordate con la stessa regione modifiche del servizio in caso di lavori programmati di migliorie, rinnovo e potenziamento dell'infrastruttura ferroviaria disposti dal gestore dell'infrastruttura regionale e da Rete ferroviaria italiana. A questo proposito Busitalia, previo accordo con la regione, si impegna a rinnovare, potenziare e/o effettuare interventi di ristrutturazione con un investimento di 1.150.000 euro;
          il contratto di servizio prevede che, nel corso del 2016, vengano valutate ed intraprese idonee iniziative per verificare la possibilità di avviare, dal 1o gennaio 2017, la gestione unitaria dell'insieme dei servizi ferroviari di interesse regionale sulla rete nazionale e regionale al fine di agevolare l'integrazione tra tutte le modalità di trasporto pubblico sul territorio della regione Umbria;
          per facilitare la gestione del contratto, è costituito il Comitato tecnico di gestione del contratto, composto da due rappresentanti di Busitalia e due rappresentanti della regione Umbria. La regione si impegna ad attivare un gruppo di lavoro, al quale partecipa anche Busitalia, per definire un progetto preliminare di integrazione tariffaria, su base regionale, che coinvolga le aziende e le istituzioni individuate dalla regione stessa;
          sul tema del potenziamento della ex Fcu era intervenuto il 3 febbraio 2016 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, durante un incontro istituzionale a Terni con i vertici della regione, annunciando in quell'occasione che «il Governo ha messo a disposizione adeguate risorse per ciò che riguarda la rete ferroviaria e soprattutto per la valorizzazione delle reti secondarie perché vogliamo potenziare il trasporto pubblico ferroviario locale.» «In questa direzione è particolarmente importante l'accordo definito con Rfi per la concessione della rete infrastrutturale della Ferrovia centrale umbra. Questo servirà a mettere in sicurezza questa fondamentale ferrovia regionale, potenziarla e consentirle di svolgere una funzione centrale per il trasporto locale, nonché collegarsi con il sistema ferroviario nazionale. Si tratta di un accordo che apre una strada significativa che altri in Italia dovrebbero seguire»;
          il giorno prima della visita del Ministro, l'assessore regionale Chianella, rispondendo in Consiglio regionale ad un'interrogazione, aveva ammesso che «la regione ritiene strategica l'infrastruttura Fcu, che però necessita di una manutenzione importante», annunciando la cessione a Rfi per gli interventi di ripristino a cominciare dalla tratta Umbertide-Città di Castello e anticipando che,» in un secondo tempo, invece, stiamo studiando l'ipotesi di un trasferimento al patrimonio dello Stato della stessa infrastruttura per progetti di più ampio respiro»;
          ad esprimere forti preoccupazioni in merito alla gestione della linea regionale sono i sindaci dell'Alta Valle del Tevere. Il 19 febbraio 2016 si è svolto, infatti, ad Umbertide il consiglio comunale aperto sulle prospettive di sviluppo della ferrovia ex Fcu, al quale hanno partecipato i sindaci dei comuni alto tiberini, i quali hanno commentato: «Crediamo che la ex Fcu rappresenti, e possa continuare a rappresentare, un soggetto di importanza fondamentale del sistema della mobilità regionale sia per servizi tra le principali città dell'Umbria, sia nell'ambito del sistema complessivo dei servizi di tpl in una prospettiva di maggiore integrazione ed efficienza. Il tutto nell'ottica di migliorare l'offerta di servizi regionali a beneficio dei numerosi frequentatori, pendolari, turisti, che giornalmente utilizzano i servizi di trasporto pubblico. Riteniamo che anche per la nostra regione sia arrivato il momento di dotarsi di un moderno ed efficiente sistema di mobilità pubblica al fine di garantire un sempre più efficiente sistema di trasporto pubblico locale»;
          i primi cittadini di Umbertide, Marco Locchi, di Città di Castello, Luciano Bacchetta, di San Giustino, Paolo Fratini e di Sansepolcro, Daniela Frullani hanno sottolineato il ruolo fondamentale della ex Fcu come dorsale strategica della regione e ribadito la necessità di ripristinare quanto prima la circolazione sulla tratta Umbertide – Città di Castello, interrotta oramai da mesi per motivi di sicurezza;
          sullo stato della ex Fcu è intervenuto anche il comitato pendolari umbri evidenziando come «a settembre il neo assessore regionale ai trasporti Giuseppe Chianella ha annunciato la chiusura della tratta da Umbertide a Città di Castello per consentire lavori di manutenzione e di messa in sicurezza. I lavori (di cui ancora non si sa la data di inizio), avranno durata di circa un anno e un costo complessivo di 6 milioni di euro. Bus sostitutivi hanno preso il posto dei treni, provocando non pochi disagi alle utenze, visto il taglio drastico delle corse». «La notizia dal 6 settembre non è che l'ultimo atto riguardante un disservizio che negli ultimi dieci anni è costantemente in crescita – scrivono ancora i pendolari umbri – dovuto in gran parte a strategie fallimentari che hanno comportato sperpero di denaro pubblico.» Con la chiusura del tratto Umbertide-Città di Castello «agli utenti della ferrovia, che già hanno dovuto sopportare anni di disservizio (treni sporchi, scarsa sicurezza all'interno dei convogli, tariffe aumentate in maniera astronomica nel giro di pochissimo tempo) – ricorda il comitato pendolari – ora viene tolto un servizio essenziale che potrebbe definitivamente isolare l'intera Umbria del nord e che, attualmente, comporta un'odissea per coloro che si spostano da nord a sud, e viceversa, quotidianamente, con i bus: partenza da Sansepolcro in treno, capolinea a Città di Castello, in pullman fino a Umbertide, per poi risalire su un altro convoglio. Tutto questo pagando.» «Come comitato pendolari da moltissimo tempo chiediamo la messa in sicurezza della tratta, ma le nostre denunce sono sempre rimaste inascoltate. La ferrovia va potenziata e rimessa a posto. Per questo le istituzioni locali devono impegnarsi a rintracciare i fondi necessari per ciò. È vero, il governo centrale ha effettuato numerosi tagli, ma in passato potevano essere impiegate delle importanti risorse finanziarie che sono state buttate via, come ad esempio con l'acquisto dei quattro treni «Minuetto» (di cui ne viaggia solo uno e gli altri stanno a marcire alla stazione di Umbertide) o per il raddoppio da Perugia – Sant'Anna a Ponte San Giovanni, i lavori del quale sono iniziati dieci anni fa e non vedono una fine. Come affermato precedentemente, non viene garantito più un servizio adeguato. Gli orari non vengono stabiliti secondo esigenze del pendolare ma a piacimento dell'azienda. All'interno dei treni vi è una vera e propria anarchia; con viaggiatori che non pagano il biglietto e molta sporcizia»  –:
          quali siano i tempi previsti per l'apertura dei cantieri per la messa in sicurezza della tratta ferroviaria Città di Castello-Umbertide, chiusa da mesi con forti disagi per i pendolari umbri, e dunque per la conseguente riapertura de stessa;
          a quanto ammontino gli investimenti che Rete ferroviaria internazionale intende destinare nel prossimo triennio per la riqualificazione della ex Ferrovia centrale umbra adeguandola agli standard delle linee ferroviarie nazionali;
          quali siano nello specifico le iniziative, per quanto di competenza, che si intendono mettere in campo per potenziare e migliorare il trasporto locale su ferro in Umbria così come previsto dall'accordo quadro sottoscritto da Rfi con la regione. (5-08010)

Interrogazione a risposta scritta:


      MARCON. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il Forte San Felice di Chioggia (VE) è posto all'estremità nord del Lido di Sottomarina, sulla bocca di porto di Chioggia nel sito delicato d'incontro tra mare, laguna e litorale, in fronte al centro storico di Chioggia, dal quale dista poche centinaia di metri in linea d'acqua. Costituisce un'area (isola di 33.000 metri quadri) di inestimabile valore paesaggistico, ambientale, storico ed architettonico, rappresentando l'esito di un sistema di difesa della laguna e di Chioggia creato nel tempo dalla Repubblica di Venezia fin dal Medioevo. Il nucleo centrale è costituito dal Castello della Lupa (torre e mastio), costruito in pietra nel 1385, subito dopo la guerra di Chioggia (1378-1381) in sostituzione di precedente fortificazione lignea distrutta dai Genovesi. A metà del 1500 furono costruiti i bastioni dando alla fortezza la caratteristica forma a stella. La Repubblica di Venezia continuò a intervenire dentro la Fortezza (è del 1704 la costruzione del bellissimo portale monumentale che si affaccia sulla laguna in fronte alla città) e intorno ad essa per salvaguardarlo con dighe e pennelli in pietra dalle erosioni e smottamenti creati dalle correnti marine. Nel 1762 a partire dal Forte si iniziò la costruzione, del tratto più meridionale dello storico Murazzo, allora ciclopica opera a difesa della laguna dalla furia del mare. Dopo la caduta della Repubblica di Venezia, si susseguirono interventi di francesi, austriaci, Regno d'Italia per l'adeguamento alle nuove necessità militari e difensive (anche di controllo della città nei periodi di dominazione straniera), cosicché oggi il Forte San Felice rappresenta la testimonianza della storia secolare di Chioggia. Fino al 1979 è stato sede di numeroso distaccamento della Marina militare (circa 350 persone), ed è tuttora in uso alla Marina militare come sede della Reggenza Fari di Chioggia. Sulla storica torretta del Castello per più di 100 anni ha funzionato il faro del porto di Chioggia, spostato nel 1993 su un traliccio in vicinanza della spiaggia. Con l'abbandono del contingente militare le storiche strutture hanno subito un inevitabile progressivo degrado, cui non poteva certamente far fronte l'addetto ai Fari, se non per quanto riguarda la funzionalità del suo ufficio;
          nel 1999 si manifestò un forte interesse della comunità di Chioggia per il recupero e la valorizzazione del Forte San Felice, individuandolo come patrimonio da salvaguardare per la crescita culturale e la riqualificazione civile, oltre che come volano per lo sviluppo di un turismo legato all'ambiente e alla cultura. Si costituì un'associazione di cittadini (Comitato per il Forte San Felice) che in collaborazione col Comune di Chioggia ottenne l'autorizzazione dalla Marina a visite guidate periodiche al Forte: ben 1500 furono i visitatori nell'arco di due anni. Contemporaneamente il Comune di Chioggia chiese l'acquisizione del Forte, accantonando il relativo finanziamento nell'ambito dei fondi della legge speciale per Venezia. Mentre tale richiesta non procedeva, a causa soprattutto delle difficoltà dovute all'allora restrittiva legislazione in tema di dismissione di bei militari, il degrado degli edifici del Forte procedeva inesorabilmente, sicché la Marina per ragioni di sicurezza non autorizzò più visite. Negli anni seguenti il comune destinò ad altri interventi i fondi accantonati;
          nel 2007 la giunta regionale del Veneto approvò un progetto preliminare, curato da un qualificato gruppo di professionisti, per il recupero con finalità turistiche del sistema fortilizio della laguna veneziana riferito ai forti di Sant'Andrea a Venezia e di San Felice a Chioggia, trasmettendone la documentazione progettuale agli enti competenti e interessati (Agenzia del demanio comuni di Venezia e Chioggia) come spinta alla loro valorizzazione. Per il Forte San Felice la proposta non ebbe nessun seguito;
          nel 2013 il comune di Chioggia riprese una trattativa con la Marina per una permuta (acquisizione del Forte in cambio della sistemazione di un edificio esterno a sede della Reggenza Fari), arenatasi mora per le difficoltà finanziarie del comune e per la mancanza di prospettive di finanziamento necessario per l'ingente opera di recupero di un bene così imponente. Il grande valore storico e ambientale del Forte ha ottenuto un innegabile riconoscimento con l'inserimento, grazie all'azione del comune di Chioggia, ad inizio 2014 nella tentative list di proposta di istituzione di un sito seriale e multinazionale del patrimonio dell'Unesco sulle fortificazioni veneziane (che comprende Bergamo, Peschiera, Venezia, con l'Arsenale e il Forte S. Andrea, e Palmanova in Italia ed altri siti in Croazia e Montenegro). Ma successivamente alla fine del 2014 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, l'ha eliminato dalla lista per i problemi relativi alla proprietà (ancora militare, comportandone l'inaccessibilità) e allo stato di degrado senza certe prospettive di recupero;
          nel corso del 2014 i membri del Comitato per il Forte San Felice si sono impegnati a sostenere il Forte San Felice nel censimento che ogni due anni il FAI- Fondo ambiente italiano indice per la segnalazione dei luoghi del cuore. Pur senza appoggio di organizzazioni, in maniera spontanea sono stati raggiunti 17032 voti certificati (cui si aggiungono altre più di mille firme raccolte) raccogliendo un'unanime e pressante richiesta di intervento per la sua salvaguardia da parte dei cittadini e collocando il Forte al 15o posto a livello nazionale e al 1o posto nella regione Veneto nella classifica dei luoghi del cuore. Altre affollate manifestazioni organizzate dal Comitato nel corso del 2015 hanno confermato questa grande spinta dal basso e quanto il Forte sia caro alla comunità cittadina;
          il recupero del Forte San Felice è già compreso formalmente tra gli interventi previsti dal piano delle misure di compensazione, conservazione e riqualificazione ambientale che lo Stato italiano ha predisposto, ancora nel 2007, a seguito di procedura di infrazione comminata dalla Commissione europea per i danni in materia ambientale provocati dai lavori del. MOSE, e che si è impegnato a garantirne i finanziamenti. Nella relazione di sintesi sul piano delle misure compensative al MOSE resa pubblica nell'estate 2013 da magistrato alle acque e consorzio Venezia Nuova il recupero del Forte rientra negli interventi classificati come «categoria 2» che, pur non direttamente riconducibili alle finalità di compensazione, hanno una spiccata valenza positiva sul miglioramento del sistema lagunare di habitat e specie. Così si parla del Forte San Felice: «... costituisce un sito di inestimabile valore paesaggistico, storico, ambientale ed architettonico, nel quale sono andati stratificandosi nel tempo gli interventi difensivi e militari, e dove si conservano presenze di notevole pregio». Se la relazione si sofferma in particolare sulla vegetazione della vasta area verde (di notevole interesse naturalistico) che si è formata a ridosso del Murazzo nel corso del 1900, è innegabile che il riferimento è all'insieme del sito, nelle sue componenti ambientali e storiche. Il cronoprogramma allegato alla relazione rimanda però a tempi futuri (dopo il 2017) l'intervento previsto, con finanziamento e progettazione ancora da definire. Nella attuale difficile fase del Consorzio Venezia Nuova a seguito dello scandalo scoppiato nell'estate 2014 e al commissariamento dello stesso c’è il rischio che il recupero del Forte, insieme ad altri interventi previsti dal piano, venga escluso dai finanziamenti o fortemente ridimensionato, seppure sulla realizzazione dell'intero piano lo Stato italiano debba rendicontare all'Unione europea secondo un vero e proprio piano di monitoraggio;
          lo stato di degrado del Forte è però decisamente progressivo, a rischio di irrecuperabilità. Negli ultimi tempi si manifestano continui e sempre più frequenti danni alle strutture storiche, cui nessuno pone rimedio anche solo per garantire un minimo di sicurezza agli edifici. Nel 2013 a seguito del crollo del tetto dell'edificio del portale monumentale la Marina è dovuta intervenire, ma solo per l'asporto dei detriti e la posa di un telo impermeabilizzante per ridurre ulteriori danni immediati, che non evita però pericolose infiltrazioni alle strutture stesse del portale. Da più di un anno anche il tetto del vano scale del castello è crollato: i detriti sono ancora là e l'acqua piovana entra dappertutto. Strutture che hanno resistito per secoli rischiano il collasso improvviso;
          all'inizio del mese di novembre 2015 la Sovrintendente alle belle arti per Venezia e laguna ha effettuato su invito del sindaco di Chioggia un sopralluogo al Forte verificando di persona il grande valore storico e ambientale e la suggestione del sito, ma anche lo stato di gravissimo degrado in cui versano le strutture e l'estrema urgenza di intervenire per evitare danni irreparabili di questo patrimonio, anche con interventi parziali ma immediati. La necessità di intervento riguarda anche gli aspetti naturalistici: sui terrapieni dei bastioni est e sud-est è a rischio per l'avanzare dei rovi e di altra vegetazione infestante la preziosa presenza plurisecolare della liquirizia, forte elemento identitario dello stesso Forte;
          in tal senso vanno le richieste del sindaco di Chioggia all'ex magistrato alle acque al Consorzio Venezia Nuova per una riconferma tra le misure compensative del MOSE del recupero del Forte San Felice e dell'area verde contigua, come misura insieme ad altre tesa a limitare ed almeno attenuare i danni che l'opera del MOSE provoca all'ambiente visto come un tutto unitario: naturalistico, paesaggistico, storico, financo sociale per le attività svolte in tale ambiente, oltre che per una definizione più precisa della tempistica d'intervento  –:
          quali siano le intenzioni del Governo e riguardo alla conferma dell'inserimento del recupero del Forte San Felice tra le misure compensative del MOSE, sia nei suoi aspetti naturalistici che in quelli storici ed architettonici;
          quale procedura sia stata individuata per risolvere il problema della sede della Reggenza Fari di Chioggia e della susseguente acquisizione del Forte San Felice da parte del comune di Chioggia;
          se siano previsti interventi immediati, anche parziali, per salvaguardare da danni irreparabili un bene di inestimabile valore che è proprietà dello Stato. (4-12377)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PILI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nella relazione annuale della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, presentata il 2 marzo 2016, sulle attività svolte dal procuratore nazionale e dalla direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1o luglio 2614 – 30 giugno 2015 è stato ripreso quanto messo in luce nell'atto di sindacato ispettivo che l'interrogante aveva presentato nel mese di febbraio 2015 (interrogazione a risposta scritta, 4/08108);
          a quell'atto di sindacato ispettivo il Governo non ha fornito, alcuna risposta;
          appaiono eloquenti a dimostrazione della grave responsabilità del governo nell'omesso controllo e nella mancata risposta le affermazioni rese nella relazione annuale citata in relazione alla Sardegna: «Terzo indice: fenomeni d'infiltrazioni del crimine organizzato di tipo mafioso sono stati registrati nel settore degli appalti pubblici, soprattutto per quanto concerne l'illecito condizionamento nella fase di aggiudicazione delle gare di appalto, da parte d'imprese provenienti da altre regioni d'Italia a forte densità mafiosa. Ciò sta emergendo nelle indagini relative alla stipula di un “contratto” pluriennale per l'affidamento, mediante project financing, della concessione dei lavori relativi alla ristrutturazione e al completamento dei presidi ospedalieri San Francesco e C. Zonchello di Nuoro, San Camillo di Sorgono e dei presidi sanitari distrettuali di Macomer e Siniscola. Tale vicenda è stata anche oggetto di alcune interrogazioni parlamentari aventi l'obiettivo di sollecitare l'approfondimento della singolare iniziativa contrattuale della A.S.L. 3 di Nuoro, con particolare riferimento ai lavori di espansione e gestione di diversi presidi sanitari affidati, tra le altre, a una società multiservizi, la multinazionale “Derichebourg”, il cui ex amministratore delegato, odierno indagato, Lazzaro LUCE è stato, nel 2013, tratto in arresto poiché considerato referente del cosiddetto “clan dei Casalesi”;
          a questo passaggio se ne aggiunge un altro ugualmente affrontato nella richiamata interrogazione parlamentare relativamente ai «traffici illeciti in materia di rifiuti e altri reati spia del crimine organizzato»;
          su questo la relazione riporta: «Si conferma l'incremento del numero delle indagini relative al delitto di cui all'articolo 260 del decreto-legislativo 3.4.2006 n.  152, sia per quelle di rilievo squisitamente regionale che per quelle caratterizzate da forti legami con soggetti della penisola, in particolare della Campania, con possibili (seppure allo stato non ancora accertati), legami con la criminalità organizzata di stampo camorristico. Diversi filoni d'indagine stanno pervenendo poi a conclusione nel settore dell'investimento nelle energie rinnovabili, attività che richiedono un capitale talmente elevato da escludere, per un verso, l'imprenditoria locale e, per altro verso, da richiamare fonti finanziarie provenienti da circuiti illegali. L'impegno dell'Ufficio distrettuale per il contrasto a tale tipo di criminalità è confermato sia dalle indagini in corso, di cui per ragioni di riservatezza si omette ogni riferimento, sia dai processi incardinati, molte dei quali conclusi o in via di definizione. Sul punto, l'operazione “LIGIRONE” ha disarticolato un complesso meccanismo di frode ai danni del bilancio nazionale connesso alla realizzazione di un impianto industriale di serre fotovoltaiche dichiarato fraudolentemente “strumentale” ad un'attività agricola. L'impianto, realizzato e falsamente qualificato come serre fotovoltaiche al fine di beneficiare illecitamente delle agevolazioni nel settore agricolo, urbanistico e ambientale, è risultato non funzionale ad attività agricola, bensì utilizzato esclusivamente per la produzione industriale di energia elettrica, ottenendo, quindi, la registrazione presso il gestore servizi energetici (G.S.E.). L'attività ha permesso di risalire ai responsabili amministrativi di un'azienda con sede a Milano, ma con impianto realizzato nella provincia di Cagliari, indagati, tra l'altro, per il reato di cui all'articolo 640-bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) e per violazione al D. Lgs. n.  231 del 2001 (responsabilità amministrativa degli enti). Su richiesta dell'A.G. inquirente, il G.I.P. presso il Tribunale di Cagliari ha emesso, a carico degli indagati, un decreto di sequestro preventivo dell'intero complesso industriale e di sequestro preventivo per equivalente del profitto illecito, sino ad ora effettivamente percepito, pari ad euro 6.571.287,57. Inoltre in data 19.05.2015, a seguito di attività espletate dal G.I.C.O è stata data esecuzione al decreto di sequestro preventivo, emesso dal G.I.P. del Tribunale di Cagliari, di beni mobili, immobili, crediti e liquidità di una società avente sede legale a Londra, ma riconducibile a membri sodalizio per un valore pari euro 1.967.242,22, corrispondente al profitto del reato, per il periodo 2011- 2014, originato dal traffico illecito di rifiuti»;
          in Sardegna proliferano centinaia di ettari di serre fotovoltaiche prive di qualsiasi tipo di coltura agraria;
          sono immense le distese che occupano aree in tutta l'isola costituendo di fatto una grave servitù destituita di ogni valenza economica ed occupazionale;
          non esiste nessun effettivo controllo sulla reale consistenza dell'attività agricola fronte del percepimento degli incentivi;
          è indispensabile procedere con urgenza alla ricognizione di tutte queste pseudo attività agricolo-fotovoltaiche;
          occorre provvedere a valutare il percepimento di eventuali incentivi illegittimi e provvedere all'immediata revoca degli stessi, con restituzione di quelli percepiti in assenza di colture agricole documentate ed effettive;
          occorre valutare con urgenza, anche in considerazione delle dichiarazioni del procuratore antimafia, provvedimenti legislativi che possano inserire questo tipo di attività tra quelle da requisire e mettere a disposizione dei giovani, attraverso organizzazioni o singolarmente, per la gestione agricola  –:
          se il Governo non intenda assumere iniziative per bloccare qualsiasi nuovo impianto che non sia collegato ad azienda agricola e ne sia un integrazione al reddito e non la fonte principale;
          se non intendano assumere iniziative per    destinare gli incentivi fotovoltaici in agricoltura solo ad operatori coltivatori diretti e non a società di natura finanziaria;
          se il Governo non ritenga di dover mettere a punto, per quanto di competenza, un piano di sicurezza per la Sardegna al fine di bloccare qualsiasi nuovo e ulteriore fenomeno di infiltrazione mafiosa o camorristica;
          se il Governo non ritenga di dover isolare alla radice questi fenomeni con azioni decise e urgenti;
          se il Governo non ritenga di dover avviare, nell'ambito delle proprie competenze, verifiche ministeriali nelle realtà sanitarie segnalate nella richiamata interrogazione parlamentare e nella relazione del procuratore nazionale antimafia;
          se il Governo non ritenga di dover immediatamente attivare un piano per verificare gli impianti destinatari di incentivi per serre fotovoltaiche e se gli stessi siano oggetto effettivo di colture agricole;
          se il Governo non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza per il recupero di somme illegalmente percepite;
          se il Governo non ritenga di non dover assumere iniziative per sottoporre tali impianti a procedure di acquisizione da parte dello Stato come per i beni confiscati alle mafie per affidarli a giovani o a Onlus per renderli produttivi.
(5-08021)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERRETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'amministrazione del comune di Ragusa ha deciso di ricorrere ad una collaborazione esterna per l'incarico di responsabile del servizio di prevenzione e protezione di cui agli articoli 17, comma I, lettera b) e 31 del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni ed integrazioni e di consulente tecnico in materia di sicurezza del lavoro con particolare riferimento all'ambito applicativo del medesimo decreto;
          la determinazione dirigenziale del settore I n.  154 del 5 febbraio 2016 ha approvato un «avviso conoscitivo ad evidenza pubblica (articolo 6 del Regolamento di disciplina del conferimento di incarichi di collaborazione autonoma ad esperti esterni approvato con deliberazione di giunta municipale n.  490 del 26 novembre 2008, modificato con deliberazione di giunta municipale n.  22 del 13 gennaio 2016)», comprensivo di schema di domanda con scheda titoli e disciplinare d'incarico;
          si prevede che il dirigente del I settore proceda a conferire l'incarico di che trattasi a professionista esterno per il periodo di anni due;
          per detto incarico professionale viene fissato il compenso annuo di euro 36.000,00, comprensivo di contributi CNPAIA, IVA e spese di visto parcella se dovuti, comprensive delle spese per lo svolgimento dell'incarico, per un importo complessivo di euro 72.000,00;
          gli interessati hanno fatto pervenire apposita domanda di partecipazione entro e non oltre il 25 febbraio 2016;
          la valutazione dei titoli ed il punteggio massimo attribuibile, indicati nello schema di domanda del suddetto avviso, vengono suddivisi in titoli di studio, titoli professionali, titoli di formazione e titoli lavorativi;
          è riportato nell'avviso conoscitivo ad evidenza pubblica che «la Commissione provvederà a stilare una graduatoria di merito, secondo l'ordine decrescente, della valutazione complessiva ottenuta sommando il punteggio conseguito dalla valutazione dei titoli elencati nella scheda titoli allegata alla domanda, sulla base dei criteri descritti»;
          la formulazione del bando appare poco chiara, relativamente all'attribuzione del punteggio sulla base dei criteri descritti nell'avviso. In particolare, i criteri qualitativi e quantitativi risulterebbero poco comprensibili, non sufficientemente determinati, e di non stringere e precipua attinenza con l'incarico oggetto della selezione;
          in ragione di ciò ed in assenza degli auspicati chiarimenti da parte della stazione appaltante alcuni professionisti non hanno potuto concorrere per l'incarico di responsabile del servizio di prevenzione e protezione di cui articoli 17, comma 1, lettera b) e 31 del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni ed integrazioni e di consulenze tecnico in materia di sicurezza del lavoro  –:
          se intenda assumere iniziative normative per disciplinare in modo più stringente i requisiti per accedere agli incarichi di responsabile del servizio di prevenzione e protezione di cui agli articoli 17, comma 1, lettera b) e 31 del decreto legislativo n.  81 del 2008, e successive modifiche ed integrazioni, e di consulente tecnico in materia di sicurezza del lavoro, al fine di garantire i principi di trasparenza, efficacia ed economicità dell'operato della pubblica amministrazione ed escludere qualsivoglia arbitrarietà nel conferimento degli incarichi di che trattasi, valutando altresì se, nel caso in esame sussistono i presupposti per promuovere verifiche ai sensi dell'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n.  165 del 2001. (4-12367)


      NACCARATO, ZAN, CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO e ROSTELLATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 29 febbraio 2016 nove uomini della polizia locale di Padova si sono recati presso la sede delle Cucine popolari di via Tommaseo, durante l'ora di pranzo, con il compito di identificare gli utenti della struttura;
          il 1o marzo 2016, alla stessa ora, sono stati inviati nuovamente 11 uomini e un cane antidroga di fronte alle Cucine popolari di Padova, con il medesimo intento;
          gli agenti hanno identificato circa 50 ospiti della struttura senza trovare traccia di sostanze stupefacenti;
          di fronte a questa azione da parte della polizia locale alcuni ospiti hanno riferito che altri cittadini intimoriti dalla presenza avrebbero evitato di mangiare, come di consueto presso la struttura;
          alle 12,45 di martedì 2 marzo il vescovo don Claudio Cipolla, accompagnato da don Gabriele Pipinalo, vicario episcopale, si è presentato in via Tommaseo per portare la sua solidarietà ai gestori della struttura e agli avventori, vittime di questa iniziativa;
          l'azione dell'amministrazione comunale di Padova si è rivolta contro una struttura importante per la comunità cittadina, che accoglie persone bisognose e offre loro pasti caldi, un sostegno assistenziale e in qualche occasione svolge il ruolo di presidio socio sanitario;
          l'invio degli agenti della polizia locale per identificare gli ospiti delle Cucine popolari è un'azione inutile e sproporzionata perché rivolta nei confronti di persone bisognose di alimentazione e di assistenza;
          le zone limitrofe alle Cucine popolari attorno alla stazione ferroviaria di Padova sono soggette al presidio costante delle forze dell'ordine (polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza) e dell'Esercito italiano con l'operazione strade sicure;
          ciononostante in queste aree continua a verificarsi un notevole spaccio di sostanze stupefacenti senza che la polizia locale svolga un'efficace azione di prevenzione, attraverso analoghe azioni di identificazione;
          alla luce di ciò l'iniziativa della polizia locale appare ingiustificata proprio perché rivolta ad una struttura gestita dalla diocesi di Padova attraverso volontari che dedicano il loro tempo agli emarginati e ai bisognosi;
          infatti, il tentativo di identificare gli ospiti delle Cucine popolari, come se fossero malviventi, rischia di danneggiare la struttura di accoglienza che offre un aiuto concreto contro la povertà, perché allontana gli utenti e tenta di screditare agli occhi della cittadinanza un'opera meritoria come quella svolta dai volontari;
          gli interroganti esprimono particolare preoccupazione per quanto accaduto, poiché le Cucine popolari rappresentano uno tra i migliori esempi di solidarietà nella città di Padova, svolgono un'effettiva azione di assistenza verso le fasce più deboli della popolazione e meritano sostegno anziché essere oggetto di azioni ingiustificate e punitive  –:
          se i Ministri siano a conoscenza dei fatti descritti;
          in che modo, nell'ambito delle proprie competenze, il Governo intenda attivarsi per sostenere strutture e attività di presidio socio-sanitario e di carattere assistenziale come quelli delle Cucine popolari di Padova. (4-12368)


      RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, FAVA, COSTANTINO, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          dalla relazione annuale della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, presentata in data 2 marzo 2016 al Senato della Repubblica, è emerso in relazione al distretto di corte d'appello di Ancona come in materia di antiterrorismo vi siano state diverse richieste di intercettazioni telefoniche, da parte delle Digos di Ancona e Macerata, a seguito di accertamenti relativi a fatti occorsi a Civitanova Marche, che hanno visto il coinvolgimento di simpatizzanti di un gruppo Jihadista tunisino, denominato «Ansar Al Sharia»;
          la relazione riporta, inoltre, un'analoga richiesta di intercettazioni a carico di una persona residente nel comune di Porto Sant'Elpidio (Fermo), che avrebbe esternato ripetutamente simpatie per la corrente integraliste filo jihadista a seguito della propria conversione all'Islam (fonti: Ansa, 2 marzo 2016; Laprovinciadifermo.it, 2 marzo 2016);
          in data 15 gennaio 2016 il quotidiano La Stampa aveva rivelato l'esistenza di un dossier dei servizi di intelligence italiani e di una inchiesta della procura della Repubblica di Genova, della quale sarebbe stata interessata anche la procura della Repubblica di Ancona, sulla presenza nel territorio marchigiano di una cellula di fiancheggiatori del Isis, attiva nell'arruolamento di nuovi reclutatori in Italia  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno fornire elementi in merito alla presenza di organizzazioni terroristiche di matrice islamica presenti ed attive nel territorio marchigiano. (4-12372)


      RICCIATTI, FAVA, COSTANTINO, QUARANTA, PIRAS, MELILLA, SCOTTO, FRATOIANNI, DURANTI, NICCHI, SANNICANDRO, DANIELE FARINA, KRONBICHLER, ZARATTI e FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la relazione annuale 2015 della direzione nazionale antimafia ed antiterrorismo relativa al distretto di Ancona restituisce una fotografia delle attività criminali monitorate nell'area segnalata;
          dalla relazione emergono diverse criticità in ordine a due particolari fenomeni criminali, l'attività dei gruppi criminali «etnici» e le infiltrazioni di carattere mafioso, interessate prevalentemente ad attività economiche come realizzazione di grandi opere e reimpiego di capitali illeciti;
          quanto al primo elemento la relazione sottolinea come nelle Marche si siano inseriti «in maniera progressivamente più penetrante gruppi criminali di matrice etnica» tra i quali spiccano per attivismo quelli albanese, nigeriano, cinese, e magrebina, e, con progressiva espansione, quello rumeno;
       ()
la relazione segnala come si tratti di gruppi che, seppur non organizzati in modo strutturato, «stanno progressivamente conquistando considerazione sempre maggiore nella gerarchia criminale regionale» (Ansa, 2 marzo 2016);
          quanto alla presenza di gruppi criminali di stampo mafioso, la relazione evidenzia i rischi delle infiltrazioni, nelle Marche, della criminalità organizzata interessata alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali come quelle tra Marche ed Umbria (cosiddetto «Quadrilatero») o come la terza corsia del tratto autostradale della A 14;
          altra attività criminale ad alto rischio è il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite che verrebbe reimpiegato attraverso la gestione diretta o indiretta di attività economiche attive nella regione Marche, soprattutto a causa di un «quadro congiunturale sicuramente sfavorevole» che «comporta un potenziale rischio per l'infiltrazione della criminalità organizzata»;
          la direzione distrettuale antimafia mette in rilievo una sempre più incisiva presenza, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, della `ndrangheta nelle Marche. Secondo la direzione nazionale antimafia infatti, diverse inchieste, che hanno portato all'arresto di numerosi esponenti dell'organizzazione criminale calabrese, dimostrano la presenza di questa organizzazione nel tessuto economico regionale, con il reimpiego dei proventi di attività quali spaccio di droga ed estorsioni in imprese economiche attive prevalentemente nei settori dell'edilizia e dell'intrattenimento;
          la `ndrangheta, secondo quanto rilevato dai magistrati, sarebbe molto attiva in gran parte delle regioni del centro-nord Italia, con una forte operatività in ambiti diversi, dal «traffico internazionale di stupefacenti e delle armi all'attività estorsiva, praticata con modalità diverse e sempre più sofisticate», a quello degli «appalti pubblici, alle attività imprenditoriali nei settori del commercio, dei trasporti, dell'edilizia ed in quello di giochi e scommesse» (Ilrestodelcarlino.it, 3 marzo 2015)  –:
          quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di contrastare con maggiore efficacia l'espansione delle organizzazioni criminali, sia italiane che estere, operanti nel territorio delle Marche;
          quali strumenti intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di arginare le infiltrazioni criminali nei diversi settori economici del territorio regionale.
(4-12374)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
          l'articolo 1, comma 114, della legge n.  107 del 2015 ha previsto l'indizione, entro il 1o dicembre 2015, di un concorso per titoli ed esami per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche ed educative statali per la copertura, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, di tutti i posti vacanti e disponibili nell'organico dell'autonomia, nonché per i posti che si rendano tali nel triennio 2016/2018;
          in seguito alla necessità di rivedere il sistema delle classi di concorso da adeguare alla normativa introdotta con citata legge n.  107 del 2015, i concorsi per titoli ed esami finalizzati al reclutamento del personale docente nella scuola dell'infanzia, primaria e secondaria di primo e secondo grado, nonché del personale docente per il sostegno agli alunni con disabilità, di cui sopra, sono stati banditi a febbraio;
          il Ministero, con il decreto ministeriale n.  96 del 23 febbraio 2016, ha disciplinato i requisiti necessari dei componenti delle commissioni giudicatrici in merito alle quali ha ravvisato «l'opportunità di provvedere alla revisione dei requisiti dei componenti della commissioni giudicatrici, al fine di renderli coerenti con le innovazioni culturali, professionali e ordinamentali nel frattempo intercorse e di assicurare la partecipazione alle commissioni giudicatrici dei concorsi per l'accesso ai ruoli del personale docente di esperti di comprovata esperienza in materia di concorsi»;
          con    decreto ministeriale n.  97 del 23 febbraio 2016 sono state disciplinate le modalità per l'inoltro della domanda     per il ruolo di presidente e commissario del concorso a cattedra 2016 e le istruzioni per l'espletamento delle operazioni di costituzione delle commissioni in merito alle quali il Ministero ha ravvisato «la necessità di procedere alla revisione delle modalità di formazione per renderle più snelle, efficienti, efficaci, economiche e trasparenti»;
          il numero di commissari necessario all'espletamento delle procedure concorsuali è stato stimato nel numero di circa mille unità per i quali il Ministero ha ritenuto di non poter accogliere la proposta di esonero dal servizio;
          il compenso previsto per i componenti delle commissioni sono di euro 251,00 lordi per i presidenti e 209,24 lordi per i commissari; a questo compenso forfettario si aggiungono 0,50 euro per ogni elaborato corretto e per ogni candidato esaminato;
          il Consiglio superiore della pubblica istruzione, nel documento di parere sulle procedure concorsuali, non vincolante, ha ritenuto, in considerazione della necessità di garantire tempestività e qualità alla procedura concorsuale, che non appare coerente l'esiguità del compenso previsto per i commissari;
          in termini pratici, infatti, ad un componente della commissione d'esame, che non ricoprirà il ruolo di presidente, andranno come compenso base appena poco più di 100 euro nette alle quali si potrebbe aggiungere qualcosa derivante dalla correzione delle prove;
          i compensi dei commissari verrebbero erogati in un periodo di tempo dilatato, cioè al termine delle prove;
          l'indennità massima che i commissari per un concorso ordinario potranno ricevere ammonterà ad un massimo di 700 euro lordi e senza esonero dal servizio;
          il decreto ministeriale n.  95 del 2016 disciplina le modalità di svolgimento delle prove concorsuali prevedendo la durata complessiva di 45 minuti per lo svolgimento della prova orale, suddivisi in due intervalli reciprocamente di massimo 35 minuti per una lezione simulata e massimo 10 minuti da destinare alla interlocuzione del candidato con i componenti della commissione;
          sono stati espressi dubbi in merito al fatto che, per alcune classi di concorso, con pochi docenti di ruolo, potrebbero subentrare dei problemi per reperire candidature a ricoprire il ruolo di commissario;
          in un simile contesto la qualità del lavoro da svolgere, in un momento delicato e serio quale quello del reclutamento dei docenti, richiederebbe il riconoscimento di un'adeguata indennità ai commissari, in alternativa all'esonero dal servizio;
          si prevede la partecipazione al concorso di 200 mila candidati e ogni candidato al concorso dovrà pagare 10 euro per diritti di segreteria che deve essere effettuato distintamente per ciascuna classe di concorso per la quale si concorre;
          il Presidente del Consiglio dei ministri è più volte intervenuto sostenendo la necessità di riconoscere ai docenti autorevolezza e prestigio sociale, oggi venuti meno, ammettendo che gli insegnanti sono poco pagati  –:
          quali iniziative il Ministro interpellato intenda sumere per riconoscere il giusto valore alla funzione di commissario d'esame    di concorso e al lavoro che viene svolto in quella sede e soprattutto serietà e selettività al concorso che si sta per svolgere, considerando che si    tratta di valutare l'idoneità o meno dei candidati a svolgere questa importante professione e prevedendo, tra l'altro, adeguati compensi o, quanto meno, l'esonero dal servizio per tutto il tempo dello svolgimento delle prove d'esame.
(2-01303) «Centemero, Occhiuto».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CHIMIENTI, D'UVA, BRESCIA, LUIGI GALLO, MARZANA, VACCA, SIMONE VALENTE e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 3 febbraio 2016 il dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del Ministero del istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato la circolare    n.  674, diretta a tutti gli uffici scolastici regionali, ai dirigenti degli ambiti regionali e a ogni dirigente scolastico;
          la circolare, con in allegato il vademecum elaborato con la polizia stradale nell'ambito delle iniziative previste dal protocollo d'intesa siglato il 5 gennaio 2015 con il Ministero dell'interno, dispone che: «Nel corso del viaggio gli accompagnatori dovranno prestare attenzione al fatto che il conducente di un autobus non può assumere sostanze stupefacenti, psicotrope (psicofarmaci) né bevande alcoliche, neppure in modica quantità. Durante la guida egli non può far uso di apparecchi radiotelefonici o usare cuffie sonore, salvo apparecchi a viva voce o dotati di auricolare»;
          anche per quanto riguarda l'idoneità del veicolo la suddetta circolare statuisce che: «si dovrà prestare attenzione alle caratteristiche costruttive, funzionali e ad alcuni importanti dispositivi di equipaggiamento: l'usura dei pneumatici, l'efficienza dei dispositivi visivi, di illuminazione, dei retrovisori»;
          secondo quanto riportato sul fattoquotidiano.it in data 1o marzo 2016, il direttore generale dell'ufficio secondo del Ministero del istruzione, dell'università e della ricerca, Giovanni Boda, avrebbe scritto ai dirigenti scolastici le seguenti parole: «Si invita a porre particolare attenzione, da parte dei dirigenti scolastici e degli organizzatori, sia nella fase di organizzazione delle visite d'istruzione che durante il viaggio, su taluni aspetti relativi alle scelte delle aziende cui affidare il servizio di trasporto, verificando quindi l'idoneità e condotta del conducente, l'idoneità del veicolo e le altre misure di sicurezza»;
          richiedendo ai docenti che prima di partire per una visita guidata o un viaggio di istruzione essi controllino le condizioni personali dei conducenti dei pullman durante tutto il viaggio e l'idoneità dei veicoli prima della partenza, si attribuiscono loro delle responsabilità che vanno ben oltre la loro sfera di competenza, come sottolineato sul fattoquotidiano.it in data 1o marzo 2016 dal presidente dell'Associazione nazionale presidi Giorgio Rembado: «Non si può seguire una logica amministrativa in un'iniziativa come i viaggi d'istruzione. Si può chiedere alle scuole di organizzare al meglio le uscite ma una verifica così minuziosa dei doveri e degli obblighi delle agenzie o delle società che gestiscono i bus è inverosimile»;
          ogni docente, quotidianamente e nello svolgimento della sua professione, si basa sulla buona fede e sull'ordinaria diligenza del buon padre di famiglia, di cui all'articolo 1176 del codice civile, e in particolare l'incarico di docente accompagnatore comporta l'obbligo di un'attenta ed assidua vigilanza sugli alunni, con l'assunzione delle responsabilità di cui all'articolo 2047 del codice civile integrato dalla norma di cui all'articolo 61 della legge 11 luglio 1980, n.  312  –:
          se il Ministro interrogato non intenda chiarire il contenuto della circolare di cui in premessa e se non ritenga che essa attribuisca al singolo docente un carico eccessivo di responsabilità che non gli competono, dal momento che sullo stesso docente sorge già l'obbligo di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni. (5-08016)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il 3 febbraio 2016, il direttore generale dell'ufficio secondo del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Giovanni Boda, ha emanato la circolare n.  0000674, avente per oggetto «Viaggi d'istruzione e visite guidate», indirizzata agli uffici scolastici regionali, ai dirigenti degli ambiti territoriali e ai dirigenti scolastici;
          la circolare contiene l'invito ad accrescere i livelli di sicurezza stradale e a focalizzare l'attenzione dell'importanza del coinvolgimento del personale della polizia stradale nell'organizzazione delle visite d'istruzione, al fine di rendere più sicuro il trasporto scolastico in occasione della partecipazione degli studenti ai viaggi d'istruzione;
          nella circolare in questione si invitano i dirigenti scolastici e i docenti a porre – nell'ambito dell'organizzazione delle visite d'istruzione – particolare attenzione relativamente alla scelta delle aziende cui affidare il servizio di trasporto, alla verifica dell'idoneità e condotta del conducente, all'idoneità del veicolo e altre misure di sicurezza, che sono illustrate nell'apposito vademecum, previste dal protocollo d'intesa siglato il 5 gennaio 2015 con il Ministero dell'Interno e la polizia stradale, allegato alla circolare stessa;
          di conseguenza, si presume che i docenti delle scuole, oltre a controllare correttamente gli studenti, dovranno appurare l'idoneità degli autobus prima di partire per un viaggio d'istruzione, verificare l'idoneità alla guida dei conducenti degli autobus, che gli stessi non facciano uso di alcool, sostanze stupefacenti o psicotrope, che non facciano uso durante la guida di apparecchi telefonici senza l'uso di cuffie e che rispettino i tempi di riposo in base alle ore di viaggio da percorrere. Nella circolare è inoltre chiesto che i docenti controllino l'idoneità del veicolo valutandone vari aspetti tra cui le gomme, i fari, gli estintori e altro;
          tale responsabilità viene pertanto affidata a persone che a causa della professione che svolgono non sono in grado di assicurare quanto richiesto nella circolare e nel vademecum stradale della polizia stradale  –:
          se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero pur considerando la bontà dei fini contenuti nella circolare citata in premessa, se non ritenga inopportuno che i compiti e le responsabilità poste in campo ai dirigenti e ai docenti – nell'ambito delle visite d'istruzione per le quali si preveda un trasporto pubblico o privato – è opportuno rimangano di loro competenza;
          se considerato che i docenti non sono le persone più idonee a compiere i controlli richiesti, ma non sono previsti nell'ambito della professione che svolgono, non si ritenga di attribuire tali compiti attribuendo a soggetti in grado di svolgere al meglio i controlli stessi;
          se, nell'eventualità di sinistri occorsi durante un viaggio d'istruzione, per cause non imputabili alla condotta dei docenti, gli stessi possano essere considerati in qualche modo responsabili dell'accaduto. (4-12370)


      BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la riforma del sistema scolastico attuata con la legge n.  107 del 2015, detta «la buona scuola», prevede che il piano triennale dell'offerta formativa 2016-2019, assicuri l'attuazione dei princìpi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni;
          il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha già inviato diverse circolari alle scuole italiane per rispondere alle polemiche venutesi a creare sui programmi contenuti nella legge sulla riforma scolastica proprio in materia di educazione alle differenze di genere;
          tuttavia, da diverse fonti di stampa, emerge il fatto che a causa di azioni ad avviso degli interroganti pretestuose, di distorte informazioni fornite o, addirittura, di una scarsa conoscenza della legge, i genitori degli studenti di numerosissime scuole italiane hanno innalzato numerose proteste affinché i dirigenti scolastici non mettessero in atto quanto prevede la legge in materia d'insegnamento dell'educazione di genere con l'obiettivo di scongiurarne il programma nei piani di offerta formativa;
          ciò ovviamente rende il sistema educativo molto arretrato rispetto ai programmi svolti nelle scuole di altri Stati europei nonché connotato da una debole autorevolezza degli organi dirigenziali e del corpo docente rispetto agli studenti  –:
          se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, se ne sia conoscenza se il Ministro interrogato sia in possesso di dati ed elementi in ordine al numero di scuole che effettivamente abbiano attuato il piano di offerta formativa triennale previsto dalla legge n.  107 del 2015 in materia di educazione alla parità tra i sessi;
          se non ritenga necessario assumere iniziative, se del caso attraverso un'ulteriore circolare esplicativa e chiarificatrice ai dirigenti scolastici, al fine di rendere obbligatorio l'inserimento di progetti per il contrasto per l'educazione di genere nei programmi triennali di offerta formativa. (4-12376)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


      VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nel paese di Penne, in provincia di Pescara, dagli inizi degli anni ’60 è attivo lo stabilimento produttivo sartoriale del marchio Brioni che oggi conta oltre 1200 dipendenti. La produzione di abbigliamento di lusso per uomo e di capi su misura è conosciuta in tutto il mondo per la pregiatissima qualità che porta il marchio stesso ad essere leader mondiale;
          la lungimirante politica aziendale ha portato l'azienda nel 1985 ad inaugurare una scuola di sartoria a Penne con l'obiettivo di trasmettere il metodo sartoriale Brioni alle nuove generazioni di sarti;
          attualmente in Abruzzo sono presenti stabilimenti produttivi tutti concentrati nell'area vestina nei paesi di Penne, Montebello di Bertona e Civitella Casanova con circa 1200 lavoratori;
          tra il 2011 e il 2012 la Brioni viene acquisita dal gruppo francese Kering che ne modifica le caratteristiche produttive che portano scelte industriali diverse dalla sua tradizione artigianale;
          a causa di una crisi di commesse dovuta, probabilmente, anche ad un'errata politica industriale che ha cercato di mutare il caratteristico stile Brioni, l'11 novembre 2015 è stata firmata l'apertura della mobilità volontaria che resterà aperta fino al 31 dicembre 2015 per 50 lavoratori;
          la crisi di commesse ha portato l'azienda ad una sovrapproduzione di capi, tant’è che in questi giorni ha annunciato un probabile esubero di 400 posti di lavoro;
          la Brioni, oltre ad essere la più importante realtà produttiva industriale dell'area vestina della provincia di Pescara, detiene un patrimonio un patrimonio sartoriale unico e prezioso;
          la crisi aziendale, preannunciata e ipotizzabile con largo anticipo, porterebbe inevitabilmente ad una crisi economica e sociale grave nella provincia di Pescara;
          la crisi aziendale è talmente sentita a livello locale che l'assemblea pubblica scaturita dall'annuncio della riorganizzazione aziendale con esubero di 400 posti di lavoro ha riempito gli spalti dello stadio comunale di Penne  –:
          se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per affrontare la crisi industriale della Brioni, anche promuovendo tavoli di confronto con la proprietà dell'azienda, le parti sociali e le istituzioni regionali abruzzesi, con il fine di tutelare i livelli occupazionali e la tradizione artigianale sartoriale;
          in caso affermativo, quali siano le azioni che verranno messe in campo per tutelare i lavoratori e le maestranze che rappresentano l'emblema dell'artigianato. (3-02081)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CANCELLERI e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere, premesso che:
          l'articolo 1 del decreto legislativo n.  81 del 2015 stabilisce che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro;
          il successivo articolo 2 stabilisce, al primo comma, che a far data dal 1o gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro;
          il secondo comma dell'articolo 2 stabilisce i casi in cui la presunzione di cui al precedente comma 1 non trova applicazione:
              a) collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
              b) collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;
              c) attività prestate nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
              d) collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, come individuati e disciplinati dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n.  289;
          la disposizione di cui all'articolo 2, comma 1, del citato decreto legislativo n.  81 del 2015 ha introdotto nell'ordinamento il criterio dell’«etero-organizzazione» quale fondamentale spartiacque tra il lavoro dipendente, propriamente detto, e le diverse forme di para-subordinazione riconducendo quest'ultime allo schema unitario della collaborazione coordinata e continuativa ex articolo 409 del codice di procedura civile nel modello sostanzialmente previgente la riforma del decreto legislativo n.  273 del 2003 («legge Biagi»);
          la dottrina più recente ha ricondotto la nozione di etero-organizzazione al fondamentale diritto del collaboratore ad eseguire le prestazioni oggetto dell'incarico con ampia determinazione di tempi, modi e luoghi, nel quadro di un coordinamento da parte del committente che deve limitarsi esclusivamente alla valutazione dei risultati conseguiti, non potendo inerire in alcun modo sulle modalità di esecuzione dell'opera. Concezione che deriva, peraltro, dalla prassi consolidata nella giurisprudenza della Corte di Cassazione di considerare l'oggetto del contratto di collaborazione come la cessione di un risultato e non già di un'astratta energia lavorativa;
          la recente circolare n.  3 del 2016 del Ministero del lavoro e delle politiche sodalizi è limitata, in argomento, a ribadire pleonasticamente il precetto contenuto nel comma 2 dell'articolo 1 prevedendo che: «ogniqualvolta il collaboratore operi all'interno di una organizzazione datoriale rispetto alla quale sia tenuto ad osservare determinati orari di lavoro e sia tenuto a prestare la propria attività presso luoghi di lavoro individuati dallo stesso committente, si considerano avverate le condizioni di cui all'articolo 2, comma I, sempre che le prestazioni risultino continuative ed esclusivamente personali»;
          in un'ottica prudenziale e tenuto conto della mancanza di indicazioni sufficientemente esaustive, le associazioni di categoria e quelle dei professionisti abilitati all'assistenza in materia di lavoro, stanno suggerendo di strutturare i rapporti di natura parasubordinata in modo che ai collaboratori coordinati e continuativi vengano affidati incarichi che non comportano materialmente una rigida scansione temporale, consentendo loro l'esecuzione delle prestazioni in luoghi da essi prescelti e comunque al di fuori delle sedi operative dei committenti, attraverso strumenti e tecnologie anche informatiche di esclusiva proprietà dei collaboratori e senza attribuzione di dotazioni (a titolo esemplificativo: scrivania e telefono fisso, computer, auto e cellulare aziendali e altro) a corredo del rapporto;
          allo scopo di evitare la diffusione di fenomeni elusivi e nello spirito della certezza del diritto è necessario fornire indicazioni più dettagliate in ordine ai comportamenti e alle fattispecie che possono costituire indici di subordinazione alla luce delle innovazioni recate dal Jobs Act in una prospettiva che privilegi gli aspetti di prevenzione e l'adempimento volontario delle parti negoziali, limitando al massimo le interpretazioni arbitrarie in sede ispettiva e il ricorso alle sedi giurisdizionali per dirimere i conflitti;
          vi è incertezza, allo stato dell'arte, circa il perdurare degli obblighi di comunicazione al collocamento e di trascrizione nel libro unico del lavoro in caso di instaurazione di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa non avente ad oggetto prestazioni ricadenti nell'attività professionale abituale del collaboratore  –:
          se non ritenga essenziale assumere iniziative per fornire ulteriori chiarimenti in ordine alle fattispecie che potrebbero costituire, alla luce della recente riforma, espressione di etero-direzione del collaboratore quali l'obbligo di utilizzare mezzi tecnici anche informatici di proprietà del committente, la messa a disposizione di uffici, posti di lavoro, auto e telefoni cellulari di proprietà del committente stesso, il conferimento di incarichi che, per propria natura, richiedono un impegno massivo di tempo da parte del collaboratore, ancorché possano essere svolti in luoghi da questi prescelti, in un'ottica di certezza del diritto e di contrasto agli abusi in materia giuslavoristica. (5-08019)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CHAOUKI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          si apprende da un articolo uscito su Il Messaggero il 21 gennaio 2016 a firma di Lorenzo De Cicco e da missiva inviata dai rappresentanti FILCAMS CGIL, FISASCAT CISL e UILTUCS UIL, della chiusura dell'Hotel De La Ville di Roma, in via Sistina, e del conseguente licenziamento collettivo di 132 dipendenti ai quali non sarebbero riservati ammortizzatori sociali in quanto, come si legge nella comunicazione inviata ai lavoratori e riportata nell'articolo, «De La Ville non è in grado di garantire eventuali misure di ammortizzatore. Essendo una struttura alberghiera, non risulta essere oggetto della legislazione sull'integrazione salariale per il caso di chiusura dell'azienda»;
          l'hotel InterContinental De La Ville di Roma, sito in via Sistina 67/71, è una struttura importante del sistema ricettivo alberghiero di Roma;
          l'attività alberghiera sarebbe gestita dalla società InterContinental Hotels Italia S.r.l. (IHG) per conto della società Delaville SRL, titolare del contratto di affitto dell'Immobile stipulato con la Reale Immobili SpA. L'IHG ha al suo interno 132 dipendenti di cui 114 sarebbero, secondo quanto riportano i sindacati, con contratto a tempo indeterminato e 18 con contratto a termine;
          «Il contratto di affitto dell'hotel tra Reale Immobile SPA e Delaville SRL, è scaduto il 31 dicembre 2013. Da allora le due Società, locataria e conduttrice, hanno svolto diversi incontri per rinnovare il contratto di affitto e per valutare l'entità dei lavori di ristrutturazione da effettuare», così si legge nella missiva dei sindacati, che precisano: «constatata l'impossibilità di conciliare le rispettive posizioni, l'InterContinental Hotels Italia Srl, con lettera del 11 gennaio 2016, ha avviato la procedura di licenziamento collettivo per tutti i 132 lavoratori, poiché, a suo dire, deve adempiere all'obbligo contrattuale di riconsegnare l'immobile adibito a hotel, sgombro da cose e persone, alla proprietaria dell'immobile, ovvero la Reale Immobile SPA, entro e non oltre il 27 marzo 2016»  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di propria competenza, per la tutela occupazionale dei 132 lavoratori addetti al fine di evitarne il licenziamento;
          se i Ministri interrogati non ritengano di dover convocare un tavolo istituzionale al fine di comporre le rigidità tra le parti. (4-12379)


      FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'8 settembre 2015 con delibera del consiglio d'amministrazione n.  82 sono state indette le elezioni per l'assemblea dei delegati e del consiglio d'amministrazione di Enasarco, ente di previdenza privatizzato degli agenti di commercio e dei promotori finanziari;
          l'8 luglio 2015, con decreto interministeriale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  175 del 30 luglio 2015 è stato approvato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il nuovo statuto Enasarco precedentemente deliberato dal consiglio d'amministrazione dell'ente;
          il 5 giugno 2015 è stato approvato con nota del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  175 del 30 luglio 2015) il nuovo regolamento elettorale Enasarco precedentemente deliberato dal Consiglio d'amministrazione dell'ente;
          alle elezioni, che si terranno dal 1o al 14 aprile 2016 concorreranno 4 liste in rappresentanza degli agenti di commercio ed una in rappresentanza delle ditte mandanti;
          rappresentanti di due delle 4 liste che concorrono alle elezioni fanno parte del consiglio d'amministrazione uscente;
          il regolamento elettorale prevede che le operazioni di voto avvengano esclusivamente con modalità telematica, ovverosia tramite, PC, tablet, smartphone;
          con delibera del consiglio d'amministrazione Enasarco del 3 febbraio 2016 si è previsto che la Fondazione stessa provveda a: «trasmettere a ciascun elettore provvisto di un indirizzo di posta elettronica certificata apposita informativa contenente l'avvertenza che, salvo i casi di diniego espresso da manifestarsi nel termine di 14 giorni, potranno essere comunicati ai rappresentanti delle liste elettorali che ne facciano richiesta: nome e cognome o ragione sociale, codice fiscale, regione, e provincia di residenza/domicilio e indirizzo di posta elettronica certificata al fine esclusivo dell'inoltro di materiale di propaganda elettorale, da parte delle liste elettorali, per l'elezione dell'Assemblea dei delegati che si terrà nei giorni dal 1o al 14 aprile 2016; comunicare alle liste elettorali che ne facciano richiesta mediante trasmissione di apposita istanza a firma del rappresentante di lista gli elenchi degli iscritti che non abbiano manifestato espresso diniego in tal senso, contenenti per ciascuno di questi il nome e cognome o ragione sociale, codice fiscale, regione e provincia di residenza/domicilio e indirizzo di posta elettronica certificata, e con impegno da parte del rappresentante della lista ad utilizzare tali dati esclusivamente per le finalità e nei limiti sopra indicati e a non comunicarli a terzi»;
          nei giorni scorsi, la Fondazione Enasarco (a seguito della delibera appena sopra richiamata) ha inviato una email a tutti gli iscritti di cui si riporta il testo integrale: «Gentile Iscritto, La informiamo che, con riferimento allo svolgimento delle prossime elezioni dei componenti dell'Assemblea dei Delegati della Fondazione Enasarco (di seguito la "Fondazione") che avranno luogo dal 1o al 14 aprile 2016, alcune liste elettorali hanno chiesto alla Fondazione di poter comunicare agli elettori i loro messaggi elettorali, acquisendo a tale unico scopo i dati degli stessi elettori relativi a: nome e cognome o ragione sociale, codice fiscale, regione e provincia di residenza/domicilio e indirizzo di posta elettronica certificata. La trasmissione alle liste elettorali certificata dei dati sopra indicati permetterà agli elettori di avere informazioni complete in relazione ai programmi elettorali presentati dalle liste stesse e quindi di esercitare il proprio diritto di voto in piena consapevolezza. Ciò consentirà inoltre il corretto svolgimento della tornata elettorale in quanto tutte le liste elettorali si troveranno in condizione di raggiungere tutti gli elettori. Pertanto, salvo Suo diverso avviso, la Fondazione provvederà a trasmettere alle liste elettorali dati che la riguardano sopra indicati. Qualora non intendesse ricevere materiale elettorale da parte delle liste elettorali Lei è invitata a manifestare il proprio diniego entro il termine di 14 giorni dalla data, della presente PEC. A seguito dell'eventuale manifestazione di diniego sarà inviata una ricevuta di conferma della volontà espressa»;
          a parere dell'interrogante la delibera del consiglio d'amministrazione Enasarco del 3 febbraio 2016 è di dubbia legittimità e palesemente contraria alle disposizioni dettate dal Garante per la protezione dei dati personali (provvedimento n.  107/2014 del 6 marzo 2014) in materia di consultazioni politiche ed elettorali a rilevanza nazionale. Infatti, tale provvedimento evidenzia tra le altre diverse categorie di dati non utilizzabili, gli elenchi di iscritti agli albi ed agli ordini professionali e, infine, gli indirizzi PEC tratti dall'indice nazionale degli indirizzi Pec delle imprese e dei professionisti. Si desume quindi, in maniera palese, che il divieto di utilizzare gli indirizzi PEC per l'invio di comunicazioni non sollecitate, in assenza di consenso, sia assoluto e totale, visto che il registro per eccellenza di tali indirizzi (l'indice nazionale) è per sua natura dato non utilizzabile in assenza di consenso. Inoltre l'istituto del «silenzio-assenso» – che l'Enasarco vorrebbe applicare per sostituire al consenso espresso del titolare della PEC – ricorre nei casi in cui il legislatore attribuisce all'inerzia di una amministrazione il valore di provvedimento di accoglimento di una istanza presentata dal privato e non può giammai essere introdotto, «d'ufficio» dall'Enasarco per attribuire al silenzio di un suo iscritto valore sostitutivo di un «consenso espresso» richiesto dalla legge, anche perché soprattutto nel caso del diritto alla privacy, si deve essere certi che l'interessato abbia capito e liberamente espresso il proprio consenso a quanto prospettato;
          l'esecuzione della sopra citata delibera quindi può esporre la Fondazione Enasarco ad azioni da parte degli iscritti per una evidente violazione delle norme sulla privacy;
          l'ipotesi di una qualsiasi pubblicità elettorale a cura della Fondazione non è contemplata nel regolamento elettorale, per cui sorgono dubbi sull'opportunità che una decisione del genere venga assunta dal consiglio d'amministrazione dell'Enasarco (in cui siedono rappresentanti di 2 delle 4 liste partecipanti alle elezioni) e non, al limite, dalla commissione elettorale, organo terzo che dovrebbe garantire il corretto esercizio del diritto e delle operazioni di voto, anche in considerazione del fatto che la PEC dell'iscritto è parte fondamentale della procedura di voto telematico ideata dalla fondazione  –:
          se il Ministro interrogato, cui spetta la vigilanza sulla fondazione Enasarco, sia a conoscenza della delibera del consiglio d'amministrazione Enasarco del 3 febbraio 2016 e se ritenga tale operazione conforme alle attuali norme di legge, allo statuto dell'ente vigilato e al regolamento elettorale;
          se non intenda intervenire sollecitamente per evitare quella che pare all'interrogante una palese violazione alle norme di legge in tema di privacy;
          se non ritenga opportuno, in ogni caso, sottoporre sollecitamente la questione al Garante della privacy. (4-12380)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


      FAENZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il sequestro avvenuto il 3 marzo 2016 di circa 200 quintali di olio, risultato proveniente dalla Puglia e dalla Grecia, ma destinato alla commercializzazione con l'etichettatura di Igp toscano, da parte del comando provinciale del Corpo forestale dello Stato di Grosseto, nei confronti di circa cinquanta tra società e imprenditori individuali del settore olivicolo, nelle province di Grosseto, Firenze, Arezzo, Siena e Foggia, ripropone a giudizio dell'interrogante, il fenomeno della contraffazione e della falsificazione nel settore agroalimentare, che incide pesantemente sul settore economico-finanziario e su quello sociale;
          l'operazione di confisca, coadiuvata anche dal nucleo agroalimentare forestale (N.A.F.) di Roma e dall'aliquota della forestale della sezione di polizia giudiziaria della procura di Grosseto, insieme con l'ICQRF Toscana e Umbria (Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari), ha consentito il sequestro di una considerevole quantità di materiale informatico, oltre ad una importante quantità di documentazione contabile, relativa alla tracciabilità dell'olio, la cui attività investigativa (in corso da un anno), ha consentito di far emergere una consolidata attività illecita di commercializzazione, come olio extravergine di oliva Igp toscano, ma in realtà originario da altre realtà territoriali;
          gli indagati fra commercianti, imbottigliatori di olio nazionale e toscano e titolari di frantoi, attraverso l'attività illecita, sono riusciti a lucrare sul maggior prezzo, di cui gode in realtà l'olio toscano di pregio, rispetto all'olio italiano e comunitario, sia sul mercato nazionale che in quello internazionale, simulando false moliture e accettando, tra l'altro, pari quantitativi di olio in nero proveniente dalla regione Puglia, inquinando con queste false partite, il prodotto di estrema qualità dell'olio della Toscana;
          lo stratagemma, secondo quanto rilevato dalla procura di Grosseto, è stato scoperto anche grazie all'analisi del Dna, attraverso il confronto dei polimorfismi lungo il genoma, i cui livelli di vendita contraffatta si sono perpetuati in forme e quantità diverse, da parte di una estesa quantità di soggetti che acquistavano olio greco o pugliese per cederlo in seguito, come italiano o addirittura toscano IGP;
          la carenza di produzione di olio nazionale evidenziata dalla magistratura grossetana, circostanza verificatasi con particolare intensità nell'anno 2014, non può giustificare le azioni illegali con le quali si «fabbricano» tonnellate di olio nostrano con false certificazioni e transazioni; conseguentemente, lo sviluppo di un settore agricolo e agroalimentare così importante per la Toscana e per l'Italia non può prescindere da vigorose azioni di contrasto ai crimini agroalimentari che, realizzando a vantaggio di pochi soggetti business illegali, mettono fuori mercato coloro, agricoltori e imprenditori agricoli, che producono olio di qualità e di pregio, come l'autentico olio IGP toscano;
          la tutela dell'economia e del territorio nazionali e la rivalutazione dell'olio extravergine di oliva dipendono anche dalla lotta ai contraffattori agroalimentari; le attività di contrasto alla falsificazione, come evidenzia l'interrogante, anche per questa vicenda sono avvenute anche attraverso una dotazione di infrastrutture complesse, informatizzate, e l'utilizzo di archivi centralizzati di raccolta dei dati, che hanno consentito l'incrocio e l'analisi delle informazioni;
          a parere dell'interrogante, la vicenda in precedenza esposta, ribadisce nuovamente l'esigenza di aggiornare il quadro normativo dei reati agroalimentari valutato obsoleto e debole, principalmente per effetto della disordinata stratificazione di fonti diverse e della inadeguatezza dei rimedi tradizionali rispetto alla dimensione ormai transnazionale della criminalità di settore;
          l'intervento sul piano preventivo e repressivo, rivedendo e aggiornando il suesposto quadro, al fine di ristabilire nel mercato alimentare un sufficiente livello di ordine e garantire il libero e regolare svolgimento delle attività economiche, a giudizio dell'interrogante, risulta indifferibile, in particolare nei riguardi del mercato «regolare», che risente, in maniera estremamente negativa e con forti ripercussioni del fenomeno criminale e di risvolti economici estremamente rilevanti  –:
          quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere, nell'ambito delle proprie competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
          quali iniziative di competenza, intenda conseguentemente assumere, anche a livello comunitario, al fine di    conseguire un maggiore rigore nell'applicazione delle norme che tutelano i marchi ed i segni distintivi dei vari beni ed evitare che l'insistente attività fraudolenta delle organizzazioni criminali possa continuare a determinare ingannevoli imitazioni ed indicazioni suggestive in grado di confondere i prodotti fortemente caratterizzati, come l'IGP o in senso più ampio il made in Italy;
          se non convenga che occorrano rapide iniziative a livello globale, al fine di fronteggiare il fenomeno della contraffazione, che si scontra con la mancanza di una normativa, anche di contrasto, univoca per tutti i Paesi e con sistemi differenti per l'immissione dei prodotti sul mercato e per l'eventuale monitoraggio. (4-12378)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      LENZI, CAPONE, BURTONE, MURER, PATRIARCA, AMATO, PIAZZONI, PAOLA BOLDRINI, GRASSI, CASATI, D'INCECCO e CARNEVALI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'ultima relazione presentata il 5 maggio 2015 dal Ministro della salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n.  38 del 15 marzo 2010, «Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore» ha evidenziato lo stato di attuazione e realizzazione delle reti assistenziali di cure palliative e di terapia del dolore rivolte, sia al paziente adulto, sia al paziente pediatrico;
          tra i dati riportati vi è l'aumento dell'impiego di farmaci analgesici; in particolare, si evidenzia che la spesa regionale per i farmaci analgesici non oppioidi mostra un trend in crescita facendo registrare un aumento contenuto dal 2012 al 2014. Anche per il consumo di farmaci analgesici oppioidi permane un trend di, crescita positivo; in particolare, in alcune regioni quali la Valle d'Aosta, la Lombardia, la provincia autonoma di Trento, il Lazio, le Marche, il Molise, la Puglia e la Sardegna, la percentuale di crescita della spesa relativa al consumo di farmaci oppioidi nel triennio 2012 – 2014 supera il 30 per cento. A livello nazionale l'incremento della spesa farmaceutica di questa categoria di farmaci sempre nel triennio 2012 al 2014 si attesta intorno al 26 per cento ipotizzando, quindi, un utilizzo appropriato dei farmaci per la terapia del dolore;
          in relazione all'attuazione della rete di cure palliative, così come prevede l'articolo 9 della legge n.  38 del 2010, nella relazione è stato analizzato per ogni singola regione italiana lo stato di sviluppo delle reti sul territorio nazionale, evidenziando sia risultati ottenuti sia le criticità ancora irrisolte. Tra i risultati ottenuti è da annoverare il trend decrescente del numero di pazienti deceduti in un reparto ospedaliero per acuti con una diagnosi neoplastica. Il dato registrato nell'anno 2013 è pari a 44.725 pazienti deceduti con diagnosi primaria o secondaria di neoplasia nei reparti per acuti rispetto a 47.537 nell'anno 2012;
          sempre secondo la relazione, partendo nel 2013 dall'attività di monitoraggio dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, dell'istituzione delle reti assistenziali palliative e di terapia del dolore, della definizione del    corso assistenziale per il trattamento del dolore oncologico in fase non avanzata di malattia, dell'utilizzo di sistemi per la rilevazione della qualità percepita e dell'attivazione di specifiche linee progettuali in tema di terapia del dolore, dell'attenzione all'analisi degli indicatori quantitativi, correlati ai flussi informativi correnti, tra i quali il numero di hospice in possesso dei requisiti definiti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 gennaio 2000, fino ad arrivare alle relative dotazioni di posti letto, il numero di giornate di degenza erogate da strutture per cure palliative, ai tempi di attesa per la presa in carico domiciliare, si registrano persistenti e sensibili differenze tra le realtà regionali  –:
          quale sia ad oggi, nelle singole regioni la realizzazione operativa della rete delle cure palliative, se questa corrisponda ai fabbisogni odierni, se anche la rete delle cure palliative rientri nelle disposizioni sulla rete ospedaliera di recente emanazione e quali iniziative nell'ambito delle proprie competenze nel rispetto di quelle regionali in materia, intenda assumere affinché si possa realizzare una rete eccellente in tutte le regioni italiane, garantendo così a tutti i cittadini il diritto alla salute così come previsto nella nostra Costituzione. (5-08012)


      COLONNESE, GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 42-bis introdotto dal decreto-legge n.  69 del 2013 ha soppresso l'obbligo della certificazione medica per l'attività ludico-motoria/amatoriale (introdotto dal previgente articolo 7 del decreto-legge n.  158 del 2012 e dal correlato decreto attuativo del Ministero della salute del 24 aprile 2013);
          al riguardo, il Ministero della salute con circolare dell'11 settembre 2013 si è espresso affermando che la soppressione dell'obbligo di certificazione per l'attività ludico motoria, ha comportato la soppressione delle relative disposizioni recate dal citato decreto del Ministero della salute del 24 aprile 2013, previste nell'articolo 2 dello stesso;
          l'articolo 2 del decreto del Ministero della salute del 24 aprile 2013 definisce l'attività amatoriale come l'attività ludico-motoria praticata da soggetti non tesserati alle Federazioni sportive nazionali, alle discipline associate, agli enti di promozione sportiva (EPS) riconosciuti dal CONI, individuale o collettiva, non occasionale finalizzata al raggiungimento e mantenimento del benessere psico-fisico della persona, non regolamentata da organismi sportivi, ivi compresa l'attività che il soggetto svolge in proprio, al di fuori di rapporti con organizzazioni o terzi;
          il regolamento degli EPS approvato dal CONI, all'articolo 2, sancisce che essi promuovono – tra l'altro – attività ludico-motoria e amatoriale;
          la disposizione di cui al citato articolo 2 del decreto del Ministero della salute del 24 aprile 2013 fa conseguire l'obbligo di certificazione medica da un presupposto del tutto irrilevante ai fini della tutela del bene salute: il fatto in sé del tesseramento presso un EPS, a prescindere da ogni valutazione di merito sull'attività realmente svolta dai tesserati. Sul punto va rammentato che la procedura di tesseramento effettuata da tali enti assolve la funzione di tutelare i partecipanti sotto il profilo assicurativo (responsabilità civile e infortuni) e di garantirne i diritti di eleggibilità e rappresentanza all'interno dell'ordinamento sportivo e non è in alcun modo indice del carattere agonistico o meno delle attività sportive svolte;
          l'inesistenza di un nesso causale tra tesseramento sportivo e carattere agonistico delle attività svolte genera un incentivo distorto ad organizzare e svolgere le attività ludico-amatoriali al di fuori dell'ordinamento sportivo ufficiale, allo scopo di risparmiare non solo i costi del certificato medico ma anche quelli del tesseramento assicurativo. Ne consegue un «effetto paradosso» per cui una norma destinata a tutelare la salute delle persone favorisce, in realtà, l'organizzazione parallela, anche improvvisata, di attività insicure sprovviste di tutela contro i rischi;
          la disposizione menzionata ad avviso degli interroganti è in contrasto, inoltre, con l'articolo 3 della Costituzione in quanto la medesima situazione giuridica – ossia lo svolgimento di un'attività ludico-amatoriale – viene trattata diversamente in relazione al soggetto che la svolge e solo per questo motivo. Allo stato dell'arte, infatti, essa è soggetta a oneri e costi amministrativi se organizzata da un EPS che tessera i suoi partecipanti, mentre ne è esente se gestita da un qualsiasi altro soggetto economico, anche per fini di lucro  –:
          se non ritenga di porre in essere tutte le iniziative normative, anche a carattere interpretativo, affinché sia esentata dall'obbligo di certificazione medica anche l'attività ludica motoria ed amatoriale organizzata – a beneficio dei propri tesserati – dagli enti di promozione sportiva, al fine di far cessare il trattamento ingiustamente discriminatorio attualmente esistente a sfavore di tali enti e il conseguente aggravio di costi da essi sopportato rispetto ad altre tipologie di organizzazioni o imprese che svolgono le stesse attività senza soggiacere all'obbligo del tesseramento.
(5-08015)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


      GALGANO, D'ALIA, CAPARINI, SBERNA, PALLADINO, FITZGERALD NISSOLI, BARADELLO, OLIARO, VARGIU, MATARRESE, POLIDORI, GIGLI, ABRIGNANI, GALLINELLA, SOTTANELLI, ALLASIA, GIAMMANCO, VECCHIO, MUCCI e CAPUA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          «Hacking Team» è una società di information technology con sede a Milano che vende servizi di intrusione offensiva e sorveglianza a Governi, organi di polizia e servizi segreti di tutto il mondo: sono stati costruiti rapporti e relazioni anche a diretto riporto del Presidente degli Stati Uniti d'America, lavorando con Nsa, Cia ed Fbi;
          i suoi sistemi di controllo remoto (RCS Galileo) permettono di monitorare le comunicazioni degli utenti di internet, decifrare i loro file e le loro e-mail criptati, registrare le conversazioni telefoniche, Skype e altre comunicazioni voice over IP, attivare a distanza microfoni e videocamere sui computer presi di mira, tenere sotto controllo telefoni cellulari (telefonate, rubriche, sms, spostamenti, calendari eccetera), leggere e rilevare anomalie nel mondo dei social network;
          la società è stata criticata per aver fornito tali servizi a Governi scarsamente rispettosi dei diritti umani;
          sin dal 2012 gli strumenti di Hacking team sono stati associati a numerosi attacchi a dissidenti politici, giornalisti e difensori dei diritti umani, in almeno 21 Paesi;
          Hacking team dichiara di essere in grado di disabilitare i software distribuiti in caso di uso non etico, tuttavia la società, posta dinanzi a prove stringenti che dimostravano l'utilizzo dei suoi strumenti da parte di Governi accusati di sistematiche violazioni dei diritti umani, ha sostanzialmente deciso di non confermare o negare le accuse;
          secondo il report pubblicato da «Privacy international» del febbraio 2016, Hacking team avrebbe venduto sofisticati strumenti di controllo remoto alla Technical Research Department (TRD), un'unità segreta legata al servizio generale di intelligence egiziana;
          in tale report Hacking team sembra di sostenere di avere l'autorizzazione delle autorità italiane alle vendite in Egitto;
          per prodotti « dual use» si intendono quei beni, anche a carattere immateriale (quali il software e le tecnologie), suscettibili di essere utilizzati per fini sia civili che militari;
          l'esportazione dei beni e delle tecnologie duali è disciplinata da una varietà di norme, criteri e procedure applicative che rispondono alle esigenze di sicurezza nazionale ed internazionale;
          rileva in particolare il regolamento (CE) n.  428/2009, successivamente modificato dal regolamento (UE) n.  388/2012, il quale istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni di prodotti e tecnologie a duplice uso che figurano nell'allegato I;
          in Italia, le disposizioni del regolamento (CE) n.  428/2009 sono state recepite con il decreto legislativo 9 aprile 2003, n.  96, recante «Attuazione di talune disposizioni del regolamento n.  1334/2000/CE che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni di prodotti e tecnologie a duplice uso, nonché dell'assistenza tecnica destinata a fini militari, a norma dell'articolo 50 della legge 1o marzo 2002, n.  39»;
          essendo prodotti e tecnologie ad elevato valore strategico sono assoggettati ad alcuni accorgimenti relativi al loro trasferimento internazionale;
          tali accorgimenti, di fatto, si traducono nel rilascio di un'apposita autorizzazione preventiva (la quale può essere di diverso tipo, ad esempio specifica-individuale, globale-individuale o nazionale-generale) per la loro esportazione e nell'adozione di una serie di procedure particolarmente restrittive nella loro circolazione (ad esempio tenuta di dettagliati registri commerciali o di una documentazione dettagliata delle loro, esportazioni conformemente al diritto nazionale o secondo la prassi in vigore nel rispettivo Stato membro, come fatture, manifesti, documenti di trasporto o altri documenti di spedizione);
          nell'ordinamento italiano l'autorità competente per l'esportazione dei prodotti e delle tecnologie a duplice uso è il Ministero dello sviluppo economico, divisione IV della direzione generale per la politica commerciale;
          Giulio Regeni, giovane ricercatore italiano, è stato trovato morto mercoledì 3 febbraio 2016 ai margini dell'autostrada tra El Cairo e Alessandria, nella periferia della capitale egiziana, dopo che si erano perse le sue tracce dal 25 gennaio, giorno dell'anniversario della rivoluzione anti Mubarak;
          due autopsie hanno confermato che Regeni è stato brutalmente torturato;
          le circostanze della morte sono tuttora da chiarire e le versioni non coincidenti che provengono dalle autorità egiziane non fanno che indurre sospetti ed inquietudine nel nostro Paese. Si affaccia l'ipotesi dell'omicidio politico legato all'attività del giovane, che lo portava a contatto con i sindacati indipendenti egiziani ed a collaborare in Italia con il quotidiano Il Manifesto, testata giornalistica nella quale avrebbe, in periodi recenti, firmato articoli con pseudonimi, temendo per la propria incolumità;
          di particolare rilievo in merito è il lavoro che Giulio Regeni faceva da tempo come studente della Cambridge University a Oxford e, al Cairo, come dottorando dell'American University; difatti, uno degli ambiti di ricerca riguardava le «Indagini sull'uso delle piattaforme digitali e gli strumenti di mobilitazione in Rete nei movimenti per il cambiamento politico in Medio Oriente, al fine di creare “sfere di dissidenza” e “nuove culture di attivismo”»;
          secondo numerose fonti giornalistiche, a determinare il sequestro e l'uccisione dello studente sarebbero stati i contatti e i numeri di cellulare presenti sul cellulare di Regeni che, oltretutto, non è mai stato ritrovato  –:
          quali approfondimenti ed elementi di valutazione del rispetto dei diritti umani vengano considerati nell'autorizzazione all’export delle dual use technology da parte del Ministero dello sviluppo economico;
          se la vendita ai servizi egiziani del software sia stata autorizzata dal Ministero dello sviluppo economico;
          quali siano state le verifiche fatte e le motivazioni per tale autorizzazione;
          se il Ministero dello sviluppo economico abbia approfondito a quale organizzazione governativa egiziana fosse destinato;
          se esistano elementi per escludere che il software sia stato usato, in qualche modo, contro Regeni;
          nel caso in cui la vendita del software all'Egitto non fosse stata autorizzata dal Ministero, quali iniziative siano state intraprese per smentire la veridicità delle affermazioni di «Privacy international». (3-02080)

Interrogazioni a risposta scritta:


      SALTAMARTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          Buonitalia Spa è una società per azioni a capitale interamente pubblico nata il 4 luglio 2003 dalla preesistente società «Naturalmenteitaliano Unipersonale srl», costituita dall'istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) il 24 luglio 2002 (articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n.  99) e partecipata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali al 70 per cento; dall'Ice (allora Istituto per il commercio estero) al 10 per cento, dall'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) al 10 per cento e da Unioncamere – l'Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura – al 10 per cento;
          gli scopi di Buonitalia spa sono stati individuati dall'articolo 17, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n.  99, che le riconoscono le finalità: a) di promozione, valorizzazione e diffusione nel mondo della conoscenza del patrimonio agricolo ed agroalimentare italiano; b) di erogazione di servizi alle imprese del settore agroalimentare per favorire l'internazionalizzazione dei prodotti italiani; c) nonché di tutela delle produzioni italiane attraverso la registrazione e la difesa giuridica internazionale dei marchi associati alle produzioni nazionali di origine;
          nel periodo dal 2004 al 2012, Buonitalia spa ha realizzato, su incarico del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, 103 progetti di promozione, internazionalizzazione e tutela dei prodotti agroalimentari italiani sui più importanti mercati mondiali gestendo un budget di oltre 90 milioni di euro;
          l'assemblea straordinaria dei soci della società Buonitalia spa del 13 settembre 2011, preso atto della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, ha deliberato lo scioglimento e la messa in liquidazione ai sensi dell'articolo 2484, comma 1, numero 4, del codice civile e contestualmente, ha nominato il liquidatore della società;
          il 29 maggio 2012 in Commissione agricoltura al Senato è stata approvata una risoluzione che impegnava il Governo a trasferire presso la nuova Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane – già ICE in gestione transitoria – le risorse umane e strumentali attualmente collocate in Buonitalia spa, mantenendone immodificato il trattamento giuridico-economico, e ad impartire al liquidatore della società le opportune disposizioni al fine di sospendere immediatamente la procedura di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n.  223;
          nel corso dell’iter di conversione in legge dell'articolo 12, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, (convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.  135) è stato inserito il comma 18-bis, approvato all'unanimità dalla Commissione bilancio del Senato e con il parere favorevole del Governo che dispone la soppressione della società Buonitalia spa in liquidazione, con attribuzione delle funzioni all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, a cui vengono trasferite anche le risorse umane, strumentali e finanziarie residue della soppressa società; lo stesso articolo dispone, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il trasferimento immediato delle funzioni e delle risorse umane di Buonitalia spa all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane cui seguirà la procedura di verifica di idoneità per l'inquadramento nei ruoli dell'ente di destinazione; i dipendenti trasferiti mantengono il trattamento economico fondamentale, percepito al momento dell'inquadramento; nel caso in cui il trattamento economico predetto risulti più elevato rispetto a quello previsto per il personale dell'Agenzia, i dipendenti percepiscono per la differenza un assegno ad personam riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti;
          nelle more di emanazione del decreto interministeriale, per i 19 lavoratori dipendenti a tempo indeterminato della società è stata avviata, in data 23 maggio 2012, la procedura di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n.  223 (attivata dal liquidatore della predetta società, malgrado la risoluzione della Commissione agricoltura del Senato che ne chiedeva la sospensione);
          il 28 febbraio 2013 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha emanato il decreto per il trasferimento delle funzioni e delle risorse della società Buonitalia spa;
          in particolare, il decreto stabilisce, in pedissequa applicazione di quanto previsto dalla legge, che all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane vengono trasferite le risorse umane di Buonitalia spa in liquidazione riportate nel prospetto ivi allegato, mentre per quanto riguarda l'inquadramento del personale esso avverrà sulla base di un'apposita tabella di corrispondenza, che dovrà essere approvata con un successivo decreto, previo espletamento di apposita procedura selettiva di verifica dell'idoneità, da effettuare nei limiti e a valere sulle facoltà assunzionali della medesima Agenzia;
          ad oggi malgrado l'avvenuta interruzione del rapporto di lavoro, il 16 maggio 2013 non è stata attivata da parte dell'Agenzia alcuna procedura di assunzione dei dipendenti trasferiti, con grave pregiudizio degli stessi dipendenti dell'ente Buonitalia spa e l'apertura di numerosi contenziosi nei confronti della pubblica amministrazione, dovuti a ingiustificati ritardi nell'applicazione della legge in parola da parte delle amministrazioni coinvolte nel disposto normativo;
          in data 25 luglio 2013 il tribunale di Roma sezione IV lavoro, nel procedimento ex articolo 1 della legge n.  92 del 2012 R.G. n.  2145/2013 – a seguito dell'impugnazione del licenziamento da parte di un gruppo di dipendenti della Buonitalia spa in liquidazione – attraverso il giudice dottoressa Donatella Casari, si è pronunciato asserendo che:
              1) «il trasferimento ope legis... omissis... era certamente già avvenuto all'epoca degli intimati licenziamenti»;
              2) «... che la mancata presa in servizio presso l'Agenzia (e quindi l'interruzione in fatto della prestazione lavorativa) deve essere solo a questa imputata in termini di responsabilità per inadempimento agli obblighi di legge (ricevere le prestazioni e retribuirla) derivanti dal trasferimento ex lege del rapporto di lavoro e che i licenziamenti intimati da Buonitalia spa in liquidazione... sono del tutto inesistenti e come tali privi di efficacia non essendo più all'epoca la ricorrente (Buonitalia) titolare del rapporto di lavoro»;
              3) «né le giustificazioni rese informalmente dall'Agenzia agli istanti, ...omissis..., possono ritenersi fondate atteso che le problematiche di inquadramento e quindi la questione relativa all'espletamento della procedura selettiva prevista per legge a tal fine, per chiaro disposto normativo seguono e non precedono l'instaurazione del rapporto di lavoro, interpretazione del dato normativo di questo Giudice peraltro condivisa dal tenore di entrambe le difese»;
          l'Agenzia (ex Ice), alle numerose richieste formali ricevute da parte delle sigle sindacali (CGIL, CISL, Manageritalia) e degli avvocati che hanno seguito la vicenda in rappresentanza degli ex dipendenti di Buonitalia spa, non ha mai fornito motivazioni per giustificare quello che all'interrogante appare un comportamento omissivo;
          non avendo ricevuto da parte dell'Agenzia alcuna comunicazione formale in risposta alle proprie richieste gli ex dipendenti di Buonitalia spa in liquidazione hanno notificato all'Agenzia nella persona del suo presidente pro tempore dottor Riccardo Monti un atto di costituzione in mora e diffida ai sensi dell'articolo 328, secondo comma del codice penale;
          nel mentre il TAR del Lazio, sezione seconda ter, a seguito di un ricorso presentato dagli ex dipendenti di Buonitalia spa in liquidazione, in data 13 gennaio 2014 ha emesso la sentenza di condanna nei confronti dei Ministeri competenti fissando il termine di 60 giorni per la pubblicazione delle tabelle di corrispondenza e condannando i Ministeri al pagamento delle spese legali;
          ad oltre un anno dall'entrata in vigore della norma, non essendo ancora avvenuto il trasferimento del personale ex Buonitalia all'Agenzia, è intervenuto l'articolo 1, comma 478 della legge n.  147 del 27 dicembre 2013, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.  302 del 27 dicembre 2013 – suppl. ord. n.  87 ha disposto testualmente quanto segue: «... All'articolo 12, comma 18-bis, quinto periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, “dalla legge 7 agosto 2012 n.  135, le parole: da espletare nei limiti e a valere sulle facoltà assunzionali dell'ente, di verifica dell'idoneità, sono inquadrati” sono sostituite dalle seguenti: “di verifica dell'idoneità, “da espletare anche in deroga ai limiti alle facoltà assunzionali, sono inquadrati, anche in posizione di sovrannumero rispetto alla dotazione organica dell'ente, riassorbibile con le successive vacanze”»;
          il tribunale del lavoro di Roma, accogliendo il ricorso presentato da alcuni dipendenti ex Buonitalia, ha definito il comportamento dell'Agenzia illegittimo condannando quest'ultima all'immediata assunzione dei ricorrenti ed al pagamento delle mensilità da questi maturate a partire dal 28 febbraio 2013. Il tribunale ha inoltre condannato l'Agenzia al pagamento delle spese legali;
          a due mesi di distanza non avendo ricevuto alcuna comunicazione da parte dell'Agenzia i ricorrenti hanno depositato i decreti ingiuntivi che sono stati già notificati all'Agenzia;
          questa settimana è stata rigettata l'inibitoria presentata dall'Ice in cui si chiedeva la sospensione dell'esecutività della sentenza;
          il 7 luglio di fronte al giudice del lavoro di Roma è fissata una nuova udienza sempre contro l'Agenzia che vede coinvolti altri dipendenti di Buonitalia spa;
          nonostante siano scaduti i termini (60 giorni) fissati dal Tar per la pubblicazione delle tabelle di corrispondenza ad oggi i Ministeri competenti non hanno provveduto con il rischio che i ricorrenti chiedano la nomina di un commissario ad acta così come previsto nella sentenza di condanna del TAR;
          nel mentre l'ICE ha provveduto ad assumere oltre 12 persone a tempo determinato nonostante il trasferimento previsto per legge da parte dei dipendenti ex Buonitalia spa non sia ancora perfezionato ed il tribunale del lavoro di Roma abbia riconosciuto il diritto di questi a percepire lo stipendio a far data dal 28 febbraio 2013  –:
          quali iniziative il Governo intenda intraprendere nei confronti dell'Agenzia affinché venga dato immediato seguito al disposto normativo;
          per quale motivo, se il trasferimento è avvenuto per legge il 28 febbraio 2013, l'ICE insista nel voler procedere ad una prova selettiva, in evidente contrasto con il trasferimento previsto dalla norma e ribadito dal tribunale del lavoro di Roma;
          con quali risorse vengano pagati i 12 dipendenti recentemente assunti a tempo determinato da parte dell'Agenzia;
          se non si ritenga di dover verificare l'operato dei dirigenti, responsabili del procedimento, e, nel caso siano accertati eventuali colpevoli ritardi, se non si ritenga di dover adottare iniziative disciplinari verso i responsabili che rischiano di creare gravi danni all'Erario derivanti dalle cause verso l'amministrazione avviate dai 19 ex dipendenti di Buonitalia spa in liquidazione. (4-12364)


      REALACCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          come si evince dagli organi di informazione c’è un estremo ritardo nell'implementazione del fondo nazionale per l'efficienza energetica;
          secondo il CESEF – Centro Studi sull'economia e il management dell'efficienza energetica – i fondi pari a 70 milioni di euro all'anno del fondo nazionale per l'efficienza energetica (ex decreto legislativo n.  102 del 2014) a sostegno del settore non vengono erogati per la mancata identificazione del soggetto gestore. Oggi sono diventati 210 milioni di euro;
          un grande Paese manifatturiero come l'Italia, ma deficitario per la propria bilancia energetica, ha tutto l'interesse, non solo dal punto di vista della sostenibilità, a percorrere la strada dell'efficienza e della sostenibilità;
          riqualificare dal punto di vista energetico il Paese non solo contribuisce a minori costi, ma permette di ridurre notevolmente il livello di emissioni in atmosfera: tema che è stato al centro dei negoziati della COP 21 di Parigi a dicembre 2015;
          dal materiale di documentazione messo a disposizione dei parlamentari, si ricava che il credito di imposta e l'ecobonus del 65 per cento sugli interventi di efficientamento energetico hanno generato oltre 28 miliardi di euro di investimenti, tra diretto e indotto, e 420 mila posti di lavoro, dando, non solo una forte boccata di ossigeno ad uno dei settori più colpiti dalla crisi ovvero quello dell'edilizia, ma qualificando interventi e operatori, elevando la qualità costruttiva e combattendo l'elusione fiscale;
          il sostegno all'efficienza energetica è perciò una priorità per l'Europa e, come si è detto, anche per l'Italia  –:
          se i ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda e se essa corrisponda al vero; se non intendano assumere iniziative, ricorrendo agli strumenti normativi più utili per la nomina del gestore del Fondo nazionale per l'efficienza energetica al fine di erogare quanto prima dette somme accantonate a favore della sostenibilità della green-economy.
       (4-12365)


      PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          un articolo de Il Piccolo del 18 febbraio 2016 riferisce delle proteste, giunte allo stesso quotidiano ed al comune di Duino Aurisina (Trieste), da parte dei residenti delle località di Sistiana e di Aurisina in relazione alle difficoltà riscontrate per l'utilizzo della rete a banda larga Adsl; la rete di cavi, quella che permette di utilizzare il collegamento Adsl, di proprietà della Tim, avrebbe raggiunto il limite massimo di capienza e per i residenti e le aziende di Aurisina e Sistiana, navigare sarebbe impossibile o quasi. Sulla questione, l'interrogante ha depositato il 24 febbraio 2016 l'interrogazione a risposta scritta n.  4-12229;
          Il Piccolo del 26 febbraio 2016 riporta la notizia della raccolta firme dei residenti di Sistiana, Aurisina, Sgonico e Monrupino a sostegno di una petizione da inviare alla Tim, al comune e al Corecom con la quale chiedono chiarimenti in merito at disservizio con il quale si ritrovano a dover convivere. L'iniziativa è stata promossa da numerosi cittadini dell'Altopiano, esasperati dalla lentezza con la quale sono costretti a viaggiare su internet o addirittura, in molti casi, «obbligati» a rinunciare a ottenere un nuovo collegamento;
          sempre il 26 febbraio 2016 un articolo de Il Piccolo, annuncia che, «dopo una lunghissima attesa e un'altrettanto snervante polemica fra utenti e Tim, l'azienda di proprietà della Telecom Italia responsabile delle centrali telefoniche che garantiscono i collegamenti internet, ha dichiarato, con un testo inviato al sindaco Vladimir Kukanja, che Sistiana entro giugno e Aurisina entro settembre vedranno adeguatamente potenziate le reti che garantiscono certezza e velocità di navigazione. Nel dettaglio, la Tim scrive che «già nello scorso gennaio sono stati pianificati e inseriti a budget gli interventi per superare l'attuale stato di saturazione delle centrali telefoniche di Sistiana e Aurisina. L'operazione – si legge ancora nel documento – comporta altresì il potenziamento dei collegamenti Adsl dagli attuali 7Mbps a collegamenti a larga banda con velocità fino a 20Mbps»;
          in data 2 marzo 2016, un articolo de Il Piccolo riporta le parole di Monica Hrovatin, sindaco di Sgonico (Trieste), con le quali denuncia la situazione di disagio dovuto all'assenza di un adeguato collegamento internet che interessa il territorio amministrato. L'articolo riferisce di una fitta corrispondenza tra il Municipio e la compagnia Tim che, come sottolineato dalla sindaco, sarebbe a senso unico, «nel senso che noi chiediamo e dall'altra parte non arriva una risposta soddisfacente. Non posso accettare che Sgonico sia trattato come un centro di serie B, poco importante e che, nell'epoca della velocità su banda, i residenti di questa parte dell'altopiano debbano rinunciare a ciò che, oramai, per la maggior parte delle persone, è un normale strumento soprattutto di lavoro e anche di divertimento». Senza contare l'utilizzo della rete per la semplificazione dei rapporti burocratici tra amministrazione e cittadini;
          Hrovatin si auspica che, «come i residenti di Sistiana ed Aurisina hanno avuto assicurazioni sull'arrivo di internet veloce entro la fine dell'anno, dopo aver protestato a tutti i livelli, altrettanto si faccia per Sgonico, Comune distante poche centinaia di metri dai centri che a breve dovrebbero trovare una soluzione ai problemi della navigazione veloce»  –:
          se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, nei limiti delle proprie competenze, affinché si risolvano i problemi tecnici che sono alla base dei disservizi che coinvolgono il comune di Sgonico e le altre aree del Paese che si trovano in situazioni analoghe;
          se il Ministro interrogato ritenga di dovere intervenire, per quanto di competenza, assumendo iniziative per superare il « digital divide» nelle diverse frazioni del comune di Sgonico e garantire servizi efficienti alle amministrazioni, ai residenti, ai liberi professionisti ed alle piccole e medie imprese del territorio. (4-12366)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta orale Bianconi n.  3-01933, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palese.

      L'interrogazione a risposta scritta Nuti e altri n.  4-12360, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Colonnese.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Saltamartini n.  3-00895 del 23 giugno 2014 in interrogazione a risposta scritta n.  4-12364.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      BATTELLI, SIMONE VALENTE e MANTERO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2006, n.  3554, venivano emanate «Disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare la grave situazione di emergenza, determinatasi nello stabilimento Stoppani sito nel comune di Cogoleto», affidando la gestione della bonifica del sito ad un commissario straordinario nominato nella stessa ordinanza;
          l'articolo 18 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 27 dicembre 2006, n.  3559, inserisce l'articolo 1-bis all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri succitata, disponendo che il commissario nomina un soggetto attuatore per svolgere una serie di funzioni operative delegate dal commissario stesso;
          con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 18 novembre 2011, n.  3981, il prefetto di Genova ricopre le funzioni di commissario delegato e oggi tale ruolo è dunque ricoperto dal prefetto dottoressa Fiamma Spena;
          la nomina del soggetto attuatore, che ricopre anche il ruolo di vice-commissario, Cecilia Brescianini, viene effettuata dal commissario d'intesa con la regione Liguria e ciò avviene con decreto del commissario delegato, in esito alla nota del presidente della regione Liguria n.  7842/77 del 17 gennaio 2007, con provvedimento 08/2007;
          da notizie di stampa del 2014 figura che la procura abbia iscritto sul registro degli indagati il vice-commissario Brescianini per turbativa d'asta relativamente all'appalto per la bonifica del sito vinto dalla società Riccoboni di Parma;
          negli scorsi giorni un altro articolo apparso sui media porta alla luce gli elementi della maxi inchiesta: un totale di 17 indagati tra struttura commissariale (il vice-commissario Brescianini e il geologo Asplanato), vertici e consulenti dell'azienda, con sequestri di diverso materiale documentale presso la struttura stessa;
          secondo i pubblici ministeri la «concessione di lavori pubblici per progettazione esecutiva, adeguamento, conferimento rifiuti dalla ex Stoppani, decommissioning, gestione e chiusura della discarica di Molinetto, demolizioni presso ex stabilimento Stoppani» sarebbe stato redatto e costruito ad arte prima della pubblicazione del bando pubblico in modo da permettere alla sola Riccoboni di partecipare e vincere;
          l'amministrazione centrale, a giudizio degli interroganti, deve tutelare il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione e il reato per cui il vice-commissario risulta indagata è strettamente connesso alle funzioni da lei esercitate, facendo venire meno proprio i principi di imparzialità e buon andamento  –:
          se il Presidente del Consiglio intenda, per tramite del commissario delegato, assumere iniziative per sospendere in via cautelativa dalla carica di soggetto attuatore il vice-commissario dottoressa Cecilia Brescianini, indagata per reati connessi al suo ufficio e revocare l'incarico di geologo al dottor Vittorio Asplanato, anch'egli indagato, al fine di tutelare l'integrità della struttura commissariale e ripristinare il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione. (4-10456)

      Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare ispettivo indicato in oggetto, si rappresenta quanto segue.
      Lo scorso 9 settembre la dottoressa Cecilia Brescianini, responsabile del servizio energia, aria e rumore della città metropolitana di Genova, nominata soggetto attuatore con decreto del commissario delegato adottato, d'intesa con il Presidente della regione Liguria, in data 29 gennaio 2007, ha trasmesso alla prefettura di Genova il provvedimento con il quale la procura della Repubblica presso il tribunale di Genova ha disposto, in data 8 settembre 2015, una perquisizione presso l'abitazione e i locali ove il citato funzionario svolge l'attività professionale, nell'ambito di un'indagine relativa alla procedura di gara per la «Concessione di lavori pubblici per la progettazione esecutiva, adeguamento, conferimento rifiuti dal SIN ex Stoppani, decommissioning, gestione e chiusura della discarica di Molinetto, demolizioni dell'ex stabilimento Stoppani».
      A conclusione della menzionata perquisizione gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati hanno proceduto al sequestro di computer e supporti digitali.
      Successivamente, il 21 settembre la 2015, la procura della Repubblica ha presentato richiesta di incidente probatorio per l'acquisizione in contraddittorio con gli indagati di elementi obiettivi di prova rilevanti per il procedimento, atteso che l'avanzamento dei lavori potrebbe pregiudicare l'acquisizione genuina di elementi ritenuti di rilievo determinandone la dispersione.
      Dalla documentazione trasmessa emerge che la dottoressa Brescianini è indagata in concorso con altre 10 persone, di cui 5 appartenenti alla struttura commissariale.
      In particolare, l'ipotesi investigativa risultante dalla menzionata istanza di incidente probatorio attribuisce agli indagati comportamenti illeciti sostanziatisi in attività finalizzate alla realizzazione e all'esercizio di una nuova discarica nella medesima area già utilizzata in precedenza, in località Molinetto, in assenza di autorizzazione integrata ambientale e di valutazione di impatto ambientale, anche per rifiuti nuovi e diversi rispetto a quelli previsti originariamente, segnatamente di terre e rocce da scavo nonché di ballast ferroviario contenente amianto.
      La procura procedente contesta, inoltre, agli indagati di aver indotto in errore il commissario delegato pro tempore in ordine ai presupposti del provvedimento di approvazione del progetto definitivo di messa in sicurezza del sito in argomento, nonché di aver condizionato le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione mediante ripetuti incontri tenutisi prima della formazione del «progetto offerta», concordando condizioni di svolgimento delle attività oggetto della gara in modo da porre la società Riccoboni s.p.a., risultata aggiudicataria della procedura di selezione del contraente, in posizione privilegiata rispetto agli altri potenziali offerenti, al punto da renderla l'unica partecipante alla stessa.
      Alla luce di quanto sopra il prefetto di Genova, dottoressa Fiamma Spena, dopo i necessari approfondimenti con i competenti uffici giudiziari, avvalendosi del supporto dell'avvocato dello Stato Ernesto De Napoli e del consigliere di T.A.R. Davide Ponte, in qualità di esperti della struttura commissariale, ha adottato, lo scorso 28 ottobre, l'ordinanza n.  428 con cui ha revocato alla dottoressa Cecilia Brescianini l'incarico di direttore dei lavori e di responsabile della concessione in parola, contestualmente disponendo, su indicazione del magnifico rettore dell'università degli studi di Genova, l'avvicendamento nel predetto incarico del professor Roberto Passalacqua, docente associato dell'ateneo genovese.
      Ciò in un'ottica di necessario bilanciamento tra esigenze di natura garantista nei confronti dell'indagata, peraltro non destinataria di alcuna misura cautelare, e l'imprescindibile tutela dell'interesse pubblico di evitare qualsiasi pregiudizio per il regolare espletamento dell'azione amministrativa concernente il procedimento oggetto di indagini giudiziarie, e fermo restando la possibilità di eventuali successive determinazioni nei confronti degli altri soggetti indagati.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Claudio De Vincenti.


      BORGHESI e INVERNIZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella giornata del 19 luglio 2015 si è tenuta a Pontida, in Provincia di Bergamo, l'annuale Sagra degli uccelli da canto;
          durante la manifestazione, legittimamente autorizzata, un gruppo di animalisti denominato «Fronte animalista» ha fatto irruzione con insulti, minacce, provocazioni e atti di violenza con il solo ed evidente intento di provocare una reazione dei cacciatori presenti;
          i video, le immagini e gli articoli apparsi sulla stampa testimoniano come si sia trattato di un vero e proprio assalto. Risultano palesi le violazioni che vanno dalla semplice ingiuria sino alla violazione della proprietà privata e al danneggiamento, e all'organizzazione di una contromanifestazione senza previa autorizzazione prefettizia;
          i cacciatori sono stati insultati ed aggrediti verbalmente, sono stati tacciati di essere degli assassini e dei violenti, sono stati provocati per di più in proprietà privata con la chiara volontà di, indurli a reagire;
          purtroppo, non è il primo caso di aggressioni violente ai danni dei cacciatori da parte di gruppi di animalisti durante lecite ed autorizzate manifestazioni venatorie  –:
          come il Ministro ritenga di garantire la sicurezza dei cacciatori durante lo svolgimento di manifestazioni venatorie da sempre considerate legali ed autorizzate;
          quali iniziative il Governo intenda assumere affinché episodi come quello generalizzato in premessa non si ripetano in futuro. (4-10000)

      Risposta. — Come riferito dall'interrogante, lo scorso 19 luglio si è svolta a Pontida l'annuale «Sagra degli uccelli da canto» organizzata dalla locale sezione Federcaccia e dall'Associazione manifestazioni ornitologiche venatorie (A.M.O.V.) di Gussago, in provincia di Brescia.
      Nel corso della manifestazione, un gruppo di persone – senza bandiere o vessilli identificativi, ma verosimilmente appartenenti al movimento «Fronte Animalista» – ha contestato l'evento con l'impiego di fischietti e urlando frasi polemiche contro gli organizzatori e ai partecipanti. Ha fatto seguito un'accesa polemica, nel corso della quale è stato danneggiato lo stendardo della citata Federcaccia.
      Sul posto erano presenti i militari dell'Arma dei carabinieri, inviati dalla questura per il servizio di ordine pubblico, che sono immediatamente intervenuti riuscendo in brevissimo tempo a stemperare le tensioni. I contestatori hanno proseguito le loro rimostranze all'esterno della zona della manifestazione, mentre per alcuni di loro si è proceduto all'identificazione. La sagra è quindi proseguita senza ulteriori turbative.
      Sebbene i referenti delle associazioni organizzatrici si siano riservati di intraprendere le iniziative ritenute più idonee, allo stato non risulta a questa Amministrazione che siano state certificate lesioni, né che siano state presentate denunce tra le parti coinvolte. La vicenda è comunque al vaglio dell'autorità giudiziaria.
      Si garantisce comunque la consueta, massima attenzione ai profili di sicurezza da parte delle forze di polizia locali, assicurando un impegno adeguato anche in occasione delle numerose manifestazioni venatorie organizzate nella provincia di Bergamo, dove la caccia è molto diffusa e la presenza delle associazioni di cacciatori è significativa.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      CARRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n.  114, impone il divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n.  165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di Governo ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n.  101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n.  125; la norma inizialmente richiamata necessita di una chiara interpretazione applicativa che puntualizzi come essa riguardi sostanzialmente il divieto di incarichi dirigenziali e direttivi dei pensionati ai fini del «ringiovanimento» dei quadri burocratici, concetto che è binario conduttore della circolare del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione n.  6 del 2014 del 4 dicembre 2014;
          tale atto: a) afferma che il divieto si applica «a qualsiasi lavoratore dipendente collocato in quiescenza», mentre la legge parla solo di pensionati «pubblici e privati», non di pensionati tout court, con automatica esclusione, quindi, dei pensionati degli organi costituzionali parlamentari e di quelli della Presidenza della Repubblica o della Corte costituzionale, titolari di uno status particolare che non è disciplinato dalla legge ordinaria; b) afferma che, ricomprendendo nel divieto anche tale personale, non sono lese le prerogative degli organi costituzionali ma è noto che i dipendenti delle istituzioni richiamate hanno un proprio specifico status; c) conferma il divieto di incarichi di studio e consulenza per i pensionati, ma «ritiene conferibili ai soggetti in quiescenza incarichi di ricerca e incarichi professionali inerenti ad attività legale o sanitaria»; d) ritenuti esclusi dal divieto i pensionati commissari straordinari di enti pubblici seppure un commissario assommi su di sé i poteri del Presidente e del Consiglio di amministrazione. Alla luce di ciò sarebbe incompatibile l'incarico di presidente di conservatorio che non è però neppure «organo di governo» ma semmai di indirizzo poiché il «governo» della istituzione artistica (insegnamento, programmi, docenti, allievi) compete al direttore ed al consiglio accademico;
          sussiste quindi la necessità di chiarire meglio la materia al fine di evitare sia inutili e costosi contenziosi per la pubblica amministrazione sia perché un'interpretazione ed applicazione restrittiva rischiano, di non cogliere la ratio legis;
          con due diversi atti di sindacato ispettivo (interrogazione n.  4-05962 indirizzata al Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca e n.  4-06141 al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione) sono state chieste notizie sull'area della effettiva portata applicativa dell'articolo 6 del decreto-legge n.  90 del 2014, la cosiddetta circolare Madia ha dato indirettamente solo una parziale risposta;
          con circolare 22 dicembre 2014, n.  3627, e dunque successiva alla circolare del Ministro Madia, il Capo gabinetto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca «ha aperto» alla possibilità di nomine di pensionati disponendo: «Persone in quiescenza: per costoro la nomina può ancora avvenire ma soltanto a titolo gratuito e per un solo anno»;
          lo stesso Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca con decreto 6 ottobre 2014, n.  778, per le nomine di sua competenza di consiglieri di amministrazione dei conservatori ed accademie ha disposto: «Soggetti in quiescenza inseriti nella rosa di esperti per il conferimento di incarichi (durata triennale) di membro di Consiglio di amministrazione: al suddetto personale può essere conferito l'incarico solo per un anno ed a titolo gratuito»;
          recentemente il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha proceduto alle nomine a presidente del conservatorio statale di musica di Campobasso di un docente universitario in pensione, per un anno (decreto ministeriale 26 gennaio 2015, n.  0000013) e del presidente dell'istituto musicale pareggiato «Gaetano Donizetti» di Bergamo di un dirigente scolastico in pensione, per un anno (decreto ministeriale 22 dicembre 2014, n.  000435);
          rispetto a quanto sopra evidenziato appare all'interrogante perciò assolutamente incoerente ed in contrasto quanto invece comunicato al conservatorio statale di musica di Pesaro da parte del dipartimento università del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca che, con nota n.  R.U. 0005496 del 1° settembre 2014, ha rappresentato che: «...si ritiene che le modifiche introdotte in sede di conversione in legge (del decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90) non consentano, in ogni caso, il conferimento dell'incarico di presidente di una istituzione del comparto AFAM ad un dipendente pubblico in quiescenza in quanto la durata triennale del mandato non sarebbe conciliabile con i limiti di cui sopra» e che quindi è «necessario che il Consiglio Accademico proponga nel più breve tempo possibile una nuova terna di nominativi»;
          il 30 ottobre 2014, su reiterate insistenze del dipartimento suddetto (che non risulta abbia dato risposta alle osservazioni sollevate al riguardo l'8 settembre 2014 dal direttore dell'istituto), il consiglio accademico del conservatorio di Pesaro, facendo di tutto ciò espressa menzione nella premessa dell'apposita deliberazione, ha adottato una nuova terna dalla quale il Ministro ha poi tratto, nel novembre successivo, il nome del presidente del conservatorio di Musica di Pesaro;
          sulla base dei richiamati atti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la prima terna adottata dal consiglio accademico appare all'interrogante essere invece perfettamente conforme alla legge e da quella doveva perciò essere tratto il nominativo del nuovo presidente;
          appaiono all'interrogante dunque vulnerate le prerogative del consiglio accademico che, da un lato, aveva legittimamente operato e, dall'altro, aveva diritto di attendersi che comunque fossero sottoposti al Ministro, oltre ad un soggetto in pensione e quindi con il limite di cui sopra, anche gli altri due nominativi fra i quali andare ad individuare il presidente, atteso che la «designazione» del medesimo spetta al consiglio accademico (articolo 5, secondo comma, decreto del Presidente della Repubblica n.  132 del 2003), mentre al Ministro residua, come «potere vincolato», la nomina nell'ambito della terna. Tale aspetto riveste particolare rilievo poiché le prerogative spettanti agli organi dei conservatori in tema di autonomia, sono state profondamente trasformate ed uniformate a quelle delle università dalla legge n.  508 del 1999. L'articolo 2 di tale legge ricorda che è l'articolo 33 della Costituzione a riconoscere a tali istituzioni il diritto di darsi ordinamenti autonomi, e precisa, al quarto comma, che esse «sono dotate di personalità giuridica e godono di autonomia statutaria, didattica, scientifica, amministrativa, finanziaria e contabile, anche in deroga alle norme dell'ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici. Al Ministero residuano (articolo 2, terzo comma) poteri di programmazione, indirizzo e coordinamento»... «nel rispetto – peraltro – dei principi di autonomia sanciti dalla presente legge»;
          alla luce di quanto sopra appaiono contraddittori ed incoerenti gli atti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e lesivi delle specifiche attribuzioni del consiglio accademico del conservatorio di Pesaro secondo quanto la legge n.  508 del 1999 ha inequivocabilmente disposto  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra descritti e se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della      ricerca ritenga o meno, in sede di autotutela, di revocare gli atti lesivi delle prerogative del consiglio accademico del conservatorio di Pesaro e di ripristinare anche per tale ente una situazione giuridica coerente con l'effettivo spirito del decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n.  114, con il decreto 6 ottobre 2014, n.  778, con la Circolare 22 dicembre 2014, n.  36257 e uniforme con i richiamati decreti ministeriali con cui pensionati sono stati nominati a presidenti di conservatorio. (4-08027)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame si ricorda preliminarmente che, ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n.  132 del 28 febbraio 2003, il Ministro nomina i presidenti delle istituzioni Afam «entro una terna di soggetti, designata dal Consiglio accademico, in possesso di alta qualificazione professionale e manageriale, nonché di comprovata esperienza maturata nell'ambito di organi di gestione di istituzioni culturali ovvero avente riconosciuta competenza nell'ambito artistico e culturale» e pertanto, laddove dovesse ritenere che la terna proposta non soddisfi sufficientemente tali requisiti ovvero che tali requisiti siano presenti solo in capo ad alcuni dei soggetti indicati, magari proprio quelli in quiescenza, il Ministro potrebbe anche valutare di formulare all'Istituzione la richiesta di indicare una nuova terna di nominativi.
      Ciò posto, si chiarisce innanzitutto che, in merito alle nomine a presidente del conservatorio di Campobasso e dell'I.S.S.M. di Bergamo, la scelta operata dal Ministro è avvenuta nel rispetto della legge vigente e nell'ambito delle terne inviate dalle istituzioni. Va, tuttavia, tenuto in considerazione che le predette nomine sono state effettuate successivamente all'emanazione della circolare del Ministro della semplificazione e della pubblica amministrazione n.  6 del 4 dicembre 2014 che, come si espliciterà meglio più sotto, ha fornito chiarimenti interpretativi e applicativi della normativa in merito al conferimento degli incarichi in discorso.
      Venendo alla questione del conservatorio di Pesaro e, in particolare, all'ipotesi sostenuta dall'interrogante che il Ministro debba agire in autotutela, si evidenzia che il TAR Marche, con l'ordinanza del 3 aprile 2015, n.  104, ha accolto la richiesta di misure cautelari avanzata in via incidentale dal professor Giorgio Girelli in occasione della presentazione del ricorso avverso il provvedimento, datato 1o settembre 2014, con il quale l'Amministrazione aveva invitato il consiglio accademico del conservatorio di Pesaro a formulare una nuova terna di nominativi ai fini della scelta del presidente dell'istituzione in sostituzione di quella comprendente il ricorrente.
      L'atto impugnato si era reso necessario alla luce delle disposizioni contenute nell'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90, convertito con modificazioni dalla legge n.  114 del 2014, che impedisce di conferire «incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo» delle pubbliche amministrazioni a personale pubblico o privato in quiescenza se non gratuitamente e per una durata limitata ad un anno, senza possibilità di proroga o di rinnovo.
      Il testo della norma, nella formulazione definitiva della legge di conversione, aveva indotto l'amministrazione ad escludere in ogni caso la possibilità di conferire l'incarico di presidente di un'istituzione del comparto Afam ad un dipendente pubblico in quiescenza, tenuto conto della durata triennale del mandato e della sua prorogabilità per un ulteriore triennio, circostanze inconciliabili con i limiti fissati dal legislatore.
      La stessa interpretazione, peraltro, era stata successivamente fornita dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione con la sopra citata circolare n.  6 del 4 dicembre 2014 che, nell'esaminare approfonditamente gli aspetti applicativi della disciplina in questione, invitava le amministrazioni a valutare la compatibilità dell'incarico o carica con la gratuità e la durata limitata. Per alcuni tipi di incarico, infatti, queste ultime caratteristiche impediscono il ricorso alla disposizione in esame, per esempio perché disposizioni vigenti prevedono una durata minima superiore all'anno.
      Il contenuto della suddetta circolare, tuttavia, ha anche fornito lo spunto, con riferimento a questo tipo di nomina, per conferire l'incarico di presidente solo per un periodo limitato ad un anno anche a soggetti in quiescenza, con espresse motivazioni riferite all'esperienza maturata in seno al consiglio di amministrazione o alla necessità di garantire continuità all'azione di governo dell'istituzione.
      Il consiglio accademico del conservatorio, in seguito alla richiesta contenuta nell'atto impugnato, aveva quindi proposto una nuova terna di nominativi nell'ambito della quale era stato individuato il presidente, nominato con decreto del 27 novembre 2014. La sopravvenuta ordinanza del TAR Marche sopra citata ha, successivamente, obbligato l'amministrazione ad espletare una ulteriore fase procedimentale di riesame della prima terna che era stata proposta dal conservatorio.
      Va aggiunto che la materia è stata innovata dalla recente legge 7 agosto 2015, n.  124, il cui articolo 17, comma 3, ha disposto che: «all'articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, e successive modificazioni, il terzo periodo è sostituito dai seguenti: “Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione”».
      La procedura di cui sopra si è conclusa con decreto ministeriale del 10 novembre 2015, con il quale il dottor Giorgio Girelli è stato nominato presidente del conservatorio di Pesaro.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      CATALANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in risposta all'interrogazione a risposta scritta n.  4-07062, il Governo, dopo aver confermato che il signor Alessandro Carollo «è stato vittima di due episodi di natura intimidatoria, verosimilmente uniti dal vincolo della continuazione» ha affermato che «gli episodi sembrano potersi ricondurre alla collaborazione con gli organi inquirenti che il predetto ha prestato in ordine ad alcune attività d'indagine»;
          nella medesima risposta, il Governo ha comunicato di avere attivato, fin dall'8 febbraio 2015, un «dispositivo di vigilanza generica radiocollegata», poi prorogato fino al 31 dicembre 2015 e che «nell'imminenza della scadenza, si procederà, come prescritto dalla normativa vigente, al riesame dell'esposizione a rischio del signor Carollo»;
          risulta all'interrogante che, negli scorsi mesi, si siano verificati altri eventi intimidatori, anche oggetto di denuncia da parte del predetto Carollo  –:
          quale sia l'orientamento del Governo circa l'esposizione a rischio del signor Carollo e circa la rispondenza della vigilanza fin qui attivata alle sue finalità;
          se, in ogni caso, sia stata disposta la proroga o la rinnovazione del dispositivo di vigilanza a garanzia dello stesso.
(4-11630)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede se sia stata disposta la proroga o sia stato rinnovato il dispositivo di vigilanza a garanzia del signor Alessandro Carollo, già dipendente della sede palermitana di «Poste Italiane spa».
      A tale proposito, nel confermare il contenuto della risposta alla precedente interrogazione n.  4-07062, si assicura che i dispositivi di vigilanza per la persona sopra citata sono stati mantenuti a seguito del riesame dell'esposizione a rischio del medesimo.
      La situazione del signor Carollo è costantemente seguita e monitorata.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      CIRIELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          è di questi giorni la notizia, riportata dalla stampa locale con grande dovizia di particolari, che l'ex sindaco del comune di Eboli, avvocato Martino Melchionda, a compimento di quelli che all'interrogante appaiono discutibili accordi politici trasversali, sarebbe stato nominato presidente del Consorzio farmaceutico intercomunale;
          il Consorzio farmaceutico intercomunale (CFI), nato nel 1996, è una realtà organizzativa e associativa nata dalla volontà di singoli comuni, tra cui anche il Comune di Eboli, uniti nell'obiettivo di investire sul territorio per la salute pubblica dei cittadini;
          tale Consorzio, però, secondo quanto si apprende dalla stampa locale, sarebbe diventato negli anni un «carrozzone» politico capace soltanto di accumulare situazioni deficitarie e la nomina del nuovo presidente a giudizio dell'interrogante è l'ennesimo segnale di una classe politica pronta a mettere a rischio la credibilità stessa delle istituzioni locali;
          sempre secondo le fonti di stampa, uno dei mentori di questa operazione sarebbe il sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti;
          al di là delle polemiche di carattere meramente politico, però, ciò che rileva è che il nuovo incarico dell'avvocato Melchionda è stato assegnato in aperta violazione del decreto legislativo dell'8 aprile 2013, n.  39, recante «disposizioni in materia di inconferibilità ed incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni...»;
          in particolare, l'articolo 7, comma 2 del citato decreto recita in modo chiaro: «A coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l'incarico, ovvero a coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico, nonché a coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti: [..] c) gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale [...]»;
          il presidente del Consorzio farmaceutico intercomunale sia un amministratore dello stesso lo confermano lo statuto e l'atto costitutivo del Consorzio stesso che precisano che il presidente fa parte ed, anzi, presiede il consiglio di amministrazione;
          in definitiva l'incarico conferito all'ex sindaco di Eboli, quale presidente del Consorzio farmaceutico intercomunale, di cui fa parte anche il comune di Eboli con una quota societaria e con ben tre farmacie comunali, ad avviso dell'interrogante non è «incompatibile», ma «inconferibile», ossia non poteva essere dato e, quindi, ai sensi dello stesso decreto legislativo n.  39 del 2013, articolo 17, esso è nullo;
          nella vita politica ed amministrativa nazionale e, in particolare, provinciale, sempre di più, c’è bisogno di «trasparenza» negli atti: operazioni come questa della nomina di Melchionda alla presidenza di un Consorzio del quale lo stesso comune di cui è stato sindaco, fa parte, vanno secondo l'interrogante nel senso opposto;
          la questione morale, la trasparenza, la legalità, la credibilità delle istituzioni sono valori che non possono essere ulteriormente calpestati, con il rischio sempre più concreto di minacciare la stessa tenuta democratica del Paese  –:
          se si intenda inoltrare una segnalazione ai sensi dell'articolo 16, comma 2, del decreto legislativo n.  39 del 2013, all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), in relazione al conferimento dell'incarico di presidente del Consorzio farmaceutico intercomunale. (4-08424)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi informativi.
      Il consorzio farmaceutico intercomunale nasce nel 1996 come associazione di comuni – ai sensi dell'articolo 25 della legge n.  142 del 1990 sostituito dall'articolo 31 del decreto legislativo n.  267 del 2000 – con l'obiettivo di istituire sul territorio presidi a tutela della salute pubblica dei cittadini.
      L'ente, che ha sede legale a Salerno, è iscritto nell'indice delle pubbliche amministrazioni (IPA) e ha per oggetto prevalente la gestione delle farmacie di cui sono titolari i comuni soci, nonché delle farmacie di altri comuni convenzionati con il consorzio stesso.
      Ai sensi dell'articolo 7 dello statuto sono organi sociali l'assemblea dei sindaci, il consiglio di amministrazione, il presidente del consiglio di amministrazione, il direttore generale e, infine, il collegio dei revisori.
      Attualmente fanno parte del consorzio i comuni di Salerno, Cava de’ Tirreni, Eboli e Capaccio.
      Nella seduta dello scorso 2 gennaio, l'assemblea dei sindaci ha proceduto all'elezione del nuovo consiglio di amministrazione costituito come da statuto, da cinque componenti.
      All'interno di tale organismo, i neo consiglieri hanno poi provveduto alla nomina del presidente del consorzio, affidando l'incarico all'avvocato Martino Melchionda, ex sindaco del comune di Eboli, decaduto dall'incarico nell'ottobre del 2014 a seguito delle dimissioni rassegnate dalla maggioranza dei consiglieri comunali.
      La nomina dell'avvocato ha suscitato una serie di reazioni negative da parte di tutti gli ambienti politici locali e provinciali, che hanno posto l'accento sulla nullità della nomina in quanto avvenuta in aperta violazione decreto legislativo n.  39 del 2013 – avente per oggetto «disposizioni in materia di inconferibilità ed incompatibilità di cariche presso pubbliche amministrazioni» – laddove all'articolo 7 è testualmente indicato: «a coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta comunale di un comune con popolazione superiore ai 15 mila abitanti, nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico, non possono essere conferiti incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale».
      Pertanto, l'incarico di presidente del consorzio farmaceutico intercomunale, di cui fa parte anche il comune di Eboli (con una quota societaria e due farmacie comunali) non sarebbe potuto essere attribuito all'ex sindaco di Eboli. Della questione è stata investita anche l'autorità nazionale anticorruzione.
      Si informa, infine, che lo scorso 10 giugno l'avvocato Martino Melchionda ha rassegnato le proprie dimissioni dalla carica di presidente del consorzio in questione.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Claudio De Vincenti.


      COSTANTINO, NICCHI, DURANTI, RICCIATTI, MELILLA e SANNICANDRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il 1° dicembre 2015 si apprende della bocciatura, presso il consiglio regionale della Calabria, in seconda commissione, dell'emendamento presentato alla manovra di assestamento di bilancio che avrebbe consentito il finanziamento dei progetti di cui alla legge regionale n.  20 del 2007 per la promozione ed il sostegno dei centri antiviolenza e delle case di accoglienza per le donne in difficoltà;
          la legge regionale n.  20 del 2007 prevede l'emanazione di un bando di gara alla quale possono accedere enti locali ed associazioni, anche associati con un progetto di accoglienza telefonica e rifugio alle donne che subiscono violenza;
          pochissimi centri antiviolenza della regione Calabria hanno potuto usufruire dei benefici di cui alla legge regionale n.  20 del 2007, nonostante in alcuni casi la metà degli importi non siano mai stati erogati e sono stati perciò persi;
          senza risorse e strumenti adeguati, i centri antiviolenza non possono svolgere la loro preziosa funzione di contrasto alla violenza contro le donne e, oltre ai capitoli già esigui di spesa stanziati dal Governo, i suddetti centri non possono essere privati di altri mezzi stabiliti a livello regionale (come quello stabiliti dalla legge n.  20 del 2007 in Calabria), che sono uno strumento legislativo che consenta un finanziamento vero e proprio di tali centri;
          l'Italia ha sottoscritto la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul, ed è, pertanto, tenuta a rispettare i principi in essa contenuti  –:
          se il Governo sia al corrente dei fatti esportati in premessa e se non intenda aggiornare la mappatura dei centri antiviolenza in Italia, per evitare che i finanziamenti statali vengano distribuiti solo su criteri territoriali senza tenere in adeguato conto la qualità dei servizi offerti;
          se e come il Governo intenda inoltre verificare altri aspetti circa l'utilizzo delle risorse finanziarie del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità da parte delle regioni. (4-11454)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con il quale è stata richiamata l'attenzione in merito ad una serie di questioni concernenti la funzionalità dei centri antiviolenza, nonché l'utilizzo delle risorse finanziarie del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità da parte delle regioni, si forniscono i seguenti elementi informativi.
      In relazione alla richiesta di procedere all'aggiornamento della mappatura dei centri antiviolenza in Italia, al fine di evitare che i finanziamenti statali vengano distribuiti solo in base a criteri territoriali senza tenere in adeguata considerazione la qualità dei servizi offerti, nonché l'utilizzo delle risorse finanziarie del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità da parte delle regioni, si segnala che i finanziamenti statali tengono conto della qualità dei servizi offerti e dell'utilizzo delle risorse da parte delle regioni, come più avanti specificato.
      Il decreto-legge 14 agosto 2013, n.  93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n.  119, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere», nel rispetto di quanto stabilito dalla convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cosiddetta «Convenzione di Istanbul», entrata in vigore il 1o agosto del 2014), ha inteso riconoscere l'importanza del ruolo svolto dai centri antiviolenza e dai servizi di assistenza alle donne vittime di violenza.
      Infatti, tra le specifiche finalità del «Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere», da adottare ai sensi dell'articolo 5 del citato decreto-legge, è stato previsto (confrontare comma 2, lettera d), del medesimo articolo 5), il potenziamento delle forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli «attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza». Al predetto potenziamento, ai sensi di quanto stabilito dall'articolo 5-bis, del citato decreto-legge n.  93 del 2013, nonché dal piano di azione adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 (registrato dalla Corte dei conti il 25 agosto 2015), è destinato uno specifico finanziamento di carattere permanente pari a euro 10 milioni per il 2013, 7 milioni per il 2014 e 10 milioni annui a decorrere dal 2015.
      Le predette risorse vengono ripartite annualmente, d'intesa con la conferenza Stato-regioni, sulla base dei seguenti specifici criteri:
          programmazione regionale e interventi già operativi per contrastare la violenza nei confronti delle donne;
          numero dei centri antiviolenza pubblici e privati già esistenti in ogni regione;
          numero delle case-rifugio pubbliche e private già esistenti in ogni regione;
          necessità di riequilibrare la presenza dei centri antiviolenza e delle case rifugio in ogni regione, riservando un terzo dei fondi disponibili all'istituzione di nuovi centri e di nuove case-rifugio al fine di raggiungere l'obiettivo previsto dalla raccomandazione Expert Meeting sulla violenza contro le donne (Finlandia 8/10 novembre 1999).

      Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 luglio 2014 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 1o settembre 2014), sono state ripartite, in unica soluzione, tra le regioni e le province autonome le risorse stanziate per il biennio 2013/2014, per un importo totale pari a euro 16.449.385. La ripartizione di tale somma è avvenuta sulla base dei seguenti criteri:
          il 33 per cento dell'importo complessivo di euro 16.449.385, pari ad euro 5.428.297, è stato destinato all'istituzione di nuovi centri antiviolenza e nuove case-rifugio;
          le risorse residuali, pari ad euro 11.021.088, sono state così suddivise:
          l'80 per cento pari ad euro 8.816.870, è stato destinato al finanziamento aggiuntivo degli interventi regionali già operativi volti ad attuare interventi di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli, sulla base della programmazione regionale;
          il 10 per cento, pari ad euro 1.102.109, è stato destinato al finanziamento di centri antiviolenza già presenti in ogni regione;
          il 10 per cento, pari ad euro 1.102.109, è stato destinato al finanziamento di case rifugio pubbliche e private già esistenti in ogni regione.

      Da quanto sopra riportato risulta pertanto che, tra i criteri di riparto individuati dal citato decreto-legge n.  93 del 2013, è stato riconosciuto rilievo preminente a quello relativo alla programmazione regionale, mentre il riparto delle risorse finanziarie finalizzate all'istituzione di nuovi centri antiviolenza e di nuove case-rifugio si è basato sulla popolazione di ciascuna regione e provincia autonoma, sul numero dei centri antiviolenza e delle case-rifugio già esistenti per ciascuna regione e provincia autonoma.
      Sulla base del predetto decreto del Presidente della Repubblica, sono stati adottati i relativi ordini di pagamento alle regioni e le relative risorse sono state accreditate nel mese di settembre 2014.
      Si tiene altresì a precisare che, in base a quanto previsto dall'articolo 3, comma 4, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 luglio 2014, in sede di conferenza unificata in data 27 novembre 2014 è stata sancita l'Intesa tra il Governo, le regioni, le province Autonome di Trento e Bolzano e le autonomie locali, volta a definire i requisiti strutturali e organizzativi, nonché i servizi minimi che i centri antiviolenza e le case-rifugio devono rispettare per poter accedere alla ripartizione delle risorse finanziarie assegnate al fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità (confrontare articoli 2 e 4 dell'intesa).
      Tale intesa, peraltro, impone alle regioni e alle province autonome di fornire a questo dipartimento – entro il 1o febbraio di ogni anno – i dati aggiornati sul numero dei centri antiviolenza e delle case-rifugio operanti sui territorio, che devono necessariamente rispettare i predetti requisiti minimi necessari (confrontare articolo 14 della medesima intesa).
      In attuazione degli obblighi previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 luglio 2014 e dalla predetta intesa, tutte le regioni hanno provveduto a trasmettere i dati richiesti al dipartimento per le pari opportunità, che sta effettuando il necessario monitoraggio delle informazioni pervenute, al fine di procedere alla ripartizione delle risorse finanziarie di cui all'articolo 5-bis del decreto-legge n.  93 del 2013.
      I risultati di tale attività di monitoraggio sono consultabili on line nell'apposita sezione dedicata al numero verde antiviolenza e stalking «1522» sul sito web del dipartimento (www.pariopportunita.gov.it).
      Infine, con riferimento al quesito riguardante l'utilizzo delle risorse finanziarie statali da parte della regione Calabria, si fa presente che la stessa regione ha comunicato in data 15 ottobre 2015 che le risorse erogate, pari a 435.294,43 euro, sono state ripartite con decreti del direttore generale n.  7175 del 9 luglio 2015 tra i centri antiviolenza e le case rifugio presenti sul territorio.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Claudio De Vincenti.


      D'INCÀ, BUSINAROLO e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          Poste italiane spa, società interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, che sembra attraversare una fase di privatizzazione, ha recentemente approvato il piano industriale e strategico per il quinquennio 2015-2020;
          tale piano, presentato al Governo ed alle organizzazioni sindacali, prevede la chiusura di 455 uffici postali nell'intero territorio nazionale e la riduzione dell'orario di apertura per altri 608;
          il processo di riorganizzazione in atto sta causando notevoli difficoltà nella gestione operativa degli uffici e generando una diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela;
          ad avviso dell'interrogante appare molto discutibile il piano di riorganizzazione nazionale che prevederebbe per il Veneto la chiusura di quasi 50 uffici postali e tra questi 4 solo nella provincia di Belluno;
          da indiscrezioni di stampa si paventa la chiusura degli uffici nelle frazioni di Bolzano Bellunese e Sois nel comune capoluogo, quello della frazione di Meano nel comune di Santa Giustina e quello di Candide nel comune di Comelico Superiore; mentre almeno altri quattro uffici nei comuni di Gosaldo, Zoldo Alto, Lorenzago e Colle Santa Lucia dovranno osservare orari ridotti;
          tali sedi sarebbero descritte da Poste italiane come sedi «inefficienti, antieconomiche e che non svolgono un numero sufficiente di operazioni da giustificarne costi di personale e di sede»;
          con la soppressione di alcuni uffici e il ridimensionamento di altri, i primi a pagarne le conseguenze saranno dunque gli utenti, soprattutto le categorie più deboli, talora già disagiate per le criticità che presentano i territori montani nei quali vivono;
          nelle aree scarsamente abitate come quelle di montagna, e per i cittadini dei piccoli comuni, gli uffici postali rappresentano un servizio fondamentale, nonché un importante punto di riferimento, vista la gamma di servizi offerti;
          la delibera n.  342/14/CONS dell'AgCom presta attenzione all'esigenza di garantire l'effettività dei servizi essenziali anche per le aree in relazione alle quali il servizio presenti alti costi, come denota il divieto di chiusura di uffici postali situati in comuni rurali che rientrano nella categoria dei comuni montani nonché di uffici che costituiscono presidio unico nelle isole minori;
          la medesima delibera prevede altresì che gli interventi di chiusura e di rimodulazione oraria degli uffici postali devono essere comunicati da Poste italiane ai sindaci dei comuni interessati, ovvero alla competente    articolazione decentrata dell'Amministrazione comunale, con congruo anticipo, almeno 60 giorni prima della data prevista di attuazione dell'intervento  –:
          quali azioni il Ministro intenda intraprendere per garantire il rispetto di quanto stabilito dall'Autorità per il garante delle comunicazioni in ordine al divieto di chiusura degli uffici postali nelle aree svantaggiate;
          quali azioni il Ministro intenda intraprendere per favorire una concertazione tra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, al fine di scongiurare la possibile chiusura degli uffici postali e il loro ridimensionamento;
          quali iniziative intenda intraprendere il Ministro, per quanto di competenza, al fine di evitare la possibile chiusura di uffici postali e il loro ridimensionamento con particolare riferimento ai comuni riportati in premessa. (4-08278)

      Risposta. — In via preliminare, occorre premettere che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per effetto del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n.  214.
      Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
      In tale ambito la fornitura del servizio universale presenta problematiche relative a particolari condizioni demografiche e territoriali, caratterizzate da vaste zone di difficile accessibilità ed a scarsa densità abitativa.
      Il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
      L'autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
      Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
      Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
      Il Ministero è in più occasioni intervenuto, pur avendo perso, come detto in premessa, le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, affinché ogni intervento di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi.
      Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare ove possibile l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli, ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale». La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del Contratto di programma Poste italiane – anche tenuto conto del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche attraverso accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui che l'ipotesi di intervento in riduzione debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative. Poste italiane, nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. La società Poste italiane dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale termine è posticipato al 31 marzo 2016. La società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'autorità entro il 1o luglio 2016.
      Parallelamente all'azione del Ministero, persiste l'attività di vigilanza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ha assicurato che provvederà a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane s.p.a., compresi gli eventuali interventi sulle sedi a cui si riferisce la presente interrogazione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Antonello Giacomelli.


      DAGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          si apprende dalla stampa che l'11 aprile 2015, sulla base di una richiesta del legale di Casapound, nel contesto della causa civile tra la figlia di Ezra Pound e lo stesso movimento di estrema destra CasaPound, che chiedeva al giudice di acquisire informazioni sulla natura del gruppo politico è stata depositata una nota della direzione centrale della polizia di prevenzione che porta con sigla in calce del direttore centrale, il prefetto Mario Papa;
          nella relazione si legge: «lo stile di militanza fattivo e dinamico ma rigoroso nelle rispetto delle gerarchie interne» e che ha l'obiettivo «di sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del ventennio» e ancora «la tutela delle fasce deboli attraverso la richiesta alle amministrazioni locali di assegnazione di immobili alle famiglie indigenti, l'occupazione di immobili in disuso, la segnalazione dello stato di degrado di strutture pubbliche per sollecitare la riqualificazione e la promozione del progetto “Mutuo Sociale”»;
          e ancora si legge: «Il sodalizio organizza con regolarità, sull'intero territorio nazionale, iniziative propagandistiche e manifestazioni nel rispetto della normativa vigente e senza dar luogo ad illegalità e turbative dell'ordine pubblico». E se in effetti ci sono «all'interno del movimento militano elementi inclini all'uso della violenza, intesa come strumento ordinario di confronto e di affermazione politica oltre che quale metodo per risolvere controversie di qualsiasi natura», la colpa è anche della sinistra radicale che «sotto la spinta del cosiddetto “antifascismo militante” non riconosce il diritto alla agibilità politica alle formazioni di estrema destra»;
          sono molti gli episodi che hanno visto coinvolto il movimento Casapound in diverse città  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale relazione, se non ravvisi profili di inopportunità e quali iniziative intenda avviare per procedere alle opportune verifiche. (4-11966)

      Risposta. — Il movimento CasaPound, sorto nel dicembre 2003 ma ufficializzato formalmente nel 2007, si è affermato progressivamente nel panorama nazionale dell'estremismo di destra.
      L'incremento delle attività di propaganda e l'interesse del sodalizio per temi a forte rilevanza sociale hanno accentuato la concorrenzialità con i gruppi di opposto orientamento, sfociata nell'ultimo anno in ben 106 episodi di contrapposizione, con il ferimento, in alcuni casi anche grave, di 24 attivisti di destra e di sinistra.
      Il Ministero dell'interno segue l'evoluzione di questa situazione di conflittualità, dedicando particolare attenzione all'attività dei gruppi politici estremisti e alle frange più radicali in tutte le zone d'Italia.
      In tale contesto, vengono costantemente controllati anche i luoghi di aggregazione dei simpatizzanti di CasaPound e le iniziative assunte dai medesimi.
      Eventuali comportamenti illeciti posti in essere da singoli esponenti del movimento vengono perseguiti con fermezza e sistematicità dalle Forze dell'ordine e dalla magistratura.
      Al riguardo, si informa che nel quinquennio 2011-2015 sono stati tratti in arresto 19 militanti o simpatizzanti di CasaPound, mentre 336 sono stati deferiti a vario titolo all'autorità giudiziaria. Si aggiunge che dall'inizio del corrente anno sono già stati effettuati 1 arresto e 23 denunce.
      Con riferimento specifico al documento della direzione centrale della polizia di prevenzione, su cui è incentrata l'interrogazione, si rappresenta che esso non costituisce un documento di analisi o di valutazione sul movimento, ma una risposta a precisi quesiti posti dal tribunale civile di Roma, concernenti: i dati conoscitivi sull'associazione; l'articolazione della struttura organizzativa anche a livello periferico; l'eventuale diretto coinvolgimento del sodalizio in procedimenti penali o attività d'indagine, sfociate in denunce o rapporti informativi all'autorità giudiziaria per fatti di violenza o per manifestazioni politiche non autorizzate, segnatamente di carattere antisemita e/o neonazista.
      Per quanto attiene a quest'ultimo aspetto, sono state sottoposte all'attenzione del magistrato talune situazioni di criticità riguardanti in particolare:
          l'infiltrazione nelle tifoserie ultras sportive, divenuta spesso il presupposto per il compimento di azioni violente nei confronti di esponenti di opposta ideologia anche fuori dagli stadi;
          più in generale, la presenza, all'interno del sodalizio o in ambienti vicini ad esso, di elementi inclini all'uso della violenza intesa come strumento ordinario di confronto e di affermazione politica.

      È stato quindi precisato che tali soggetti si trovano sovente coinvolti in episodi di illegalità contro elementi di opposto orientamento, ponendo in essere risse, aggressioni e scontri, talvolta preordinati.
      Nel documento viene anche chiarito che tali comportamenti sono puntualmente e sistematicamente perseguiti sotto il profilo penale ogni qualvolta si riesca a giungere all'individuazione delle responsabilità, come si è avuto già modo di evidenziare nella prima parte della presente risposta.
      In conclusione, si rappresenta che la direzione centrale della polizia di prevenzione e le autorità provinciali di pubblica sicurezza svolgono una costante attività di prevenzione attraverso un attento monitoraggio ed un'accurata raccolta informativa nei confronti dei movimenti estremisti – tra i quali CasaPound –, finalizzata a cogliere il minimo segnale di turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica e ogni ipotesi di deviazione dalle regole del diritto e della pacifica convivenza.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      DI LELLO e MANFREDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Consiglio dei ministri, il 27 marzo 2013, scioglieva, su richiesta del Ministro dell'interno, il consiglio comunale di Quarto, in provincia di Napoli, in base alla normativa antimafia. Infatti, l'amministrazione era stata al centro di un'inchiesta riguardante pressioni del clan dei Polverino sulle scelte urbanistiche. Per questo, già nel luglio del 2012, i carabinieri avevano eseguito una serie di perquisizioni negli uffici privati del sindaco, che comunque non era indagato, e in quelli di alcuni consiglieri comunali e imprenditori;
          le risultanze della commissione d'accesso – che a Quarto ha operato per circa sei mesi subito dopo lo scioglimento del consiglio comunale – sono risultate determinanti nello stabilire l'esistenza di presunte collusioni tra il clan camorristico e la politica locale;
          non è la prima volta comunque che il comune di Quarto viene sciolto per associazione mafiosa: negli ultimi venti anni il comune è stato commissariato già tre volte ed in due occasioni per infiltrazioni camorristiche;
          con decreto del Presidente della Repubblica, in data 9 aprile 2013, la gestione del comune di Quarto viene affidata, per la durata di mesi diciotto, ad una commissione straordinaria composta da un prefetto, da un viceprefetto e da un funzionario economico finanziario;
          nell'allegato al suddetto decreto di nomina, adottato a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri, del 27 marzo 2013, si legge testualmente: «sono state riscontrate forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che hanno compromesso la libera determinazione e l'imparzialità degli organi eletti nelle consultazioni amministrative del 15 e 16 maggio 2011 nonché il buon andamento dell'amministrazione ed il funzionamento dei servizi. ..........     I lavori svolti dalla commissione d'indagine hanno preso in esame, oltre all'intero andamento gestionale dell'amministrazione comunale, la cornice criminale ed il contesto ambientale ove si colloca l'ente locale, con particolare riguardo ai rapporti tra gli amministratori e le locali cosche ed hanno evidenziato come l'uso distorto della cosa pubblica si sia concretizzato, nel tempo, nel favorire soggetti o imprese collegati direttamente od indirettamente ad ambienti malavitosi, per l'esistenza di una fitta ed intricata rete di amicizie e frequentazioni, che lega alcuni amministratori ad esponenti delle locali consorterie criminali od a soggetti ad esse contigui. (......) tenuto conto anche dell'assenza, in quel periodo, di un Piano regolatore, ha comportato una contestuale disordinata espansione dell'edilizia locale, nonché problematiche connesse ad un crescente abusivismo edilizio. (......) Proprio i consistenti aspetti economici legati al settore immobiliare hanno suscitato l'interesse e le ingerenze dell'organizzazione criminale che opera in quel territorio sull'attività dell'amministrazione locale, circostanza che, già nel 1992, aveva portato allo scioglimento del consiglio comunale per condizionamenti da parte della criminalità organizzata.»;
          dal momento che non risultava esaurita l'azione di recupero e risanamento complessivo dell'istituzione locale e della realtà sociale, ancora segnate dalla malavita organizzata e, ritenuto che le esigenze della collettività locale e la tutela degli interessi primari richiedessero un ulteriore intervento dello Stato, al fine di assicurare il ripristino dei principi democratici e di legalità e per restituire efficienza e trasparenza all'azione amministrativa dell'ente, il commissariamento viene prorogato per altri sei mesi con decreto datato 11 agosto 2014;
          il 15 giugno 2015 è stato eletto il nuovo sindaco (Rosa Capuozzo, M5S);
          il 15 ottobre 2015, sul quotidiano on line «l'Unità.Tv» viene pubblicata la notizia che il nuovo sindaco «pentastellato» si è fatto stampare i manifesti istituzionali dalla Tipografia Baiano, di proprietà del marito. Una decisione che, a giudizio degli interroganti senza ombra di dubbio, va contro le normali regole di deontologia e trasparenza amministrativa che prevedono di non attribuire ai propri familiari i lavori del comune. Ciò ha determinato una dura presa di posizione delle opposizioni hanno annunciato un esposto alla procura chiedendo l'immediata convocazione di un consiglio comunale per affrontare la problematica in questione;
          si legge ancora nell'articolo che, già nella composizione della giunta, il sindaco, appena insediato, aveva scelto, suscitando una serie di polemiche, di affidare l'incarico di vicesindaco ad Andrea Perotti, fratello di Anna Perotti, consigliera comunale neo-eletta;
          infine, è emerso qualche dubbio sulla recente revoca, datata 25 settembre, della delibera sul piano urbanistico comunale, una scelta singolare e preoccupante, visto che la commissione prefettizia straordinaria che ha guidato l'ente comunale durante il lungo commissariamento aveva appena approvato la delibera;
          il 5 novembre 2015, i quotidiani on line riportano la notizia di un nuovo scandalo al centro del qual sarebbe ancora il sindaco pentastellato: la signora Capuozzo, infatti, vivrebbe, con la sua famiglia, in un attico nel centro flegreo, abusivo. Il caso è esploso dopo l'invio ai carabinieri, da parte di un cittadino, di un dossier che contiene una aerofotogrammetria risalente al 12 maggio del 2003, l'anno in cui secondo il marito del sindaco, Ignazio Baiano, sarebbe stato realizzato l'abuso da sanare: un sottotetto trasformato in un attico. Ebbene, la richiesta di sanatoria risale al mese di aprile del 2003 ma dalla foto scattata a maggio dello stesso anno quell'abuso ancora non appare. E non solo. Lo stesso dossier contiene anche un certificato di idoneità statica redatto dall'ingegnere Rosario Altamonte, indagato in un'ordinanza del gip di Napoli Alberto Capuano eseguita nel giugno dello scorso anno nell'ambito di un sequestro di immobili. Un'inchiesta che riguarda le infiltrazioni del clan Polverino nelle attività edilizie a Marano e Quarto  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti abbia intenzione di intraprendere, anche ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, sopratutto con riferimento agli abusi edilizi, che sembra continuino a manifestarsi.
(4-11071)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, nel richiamare alcune vicende che denoterebbero anomalie nella gestione del comune di Quarto e situazioni di conflitto di interessi del sindaco Rosa Capuozzo, chiede di conoscere quali iniziative il Ministro dell'interno intenda assumere ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sulle autonomie locali.
      Si premette che Rosa Capuozzo si è insediata a capo del comune di Quarto in virtù delle consultazioni elettorali tenutesi nei mesi di maggio/giugno dello scorso anno, a conclusione del periodo, durato oltre due anni, di commissariamento straordinario susseguente allo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa.
      Negli ultimi mesi, all'interno dell'amministrazione comunale si è registrata una forte contrapposizione tra maggioranza ed opposizione nonché all'interno della stessa maggioranza, che ha visto coinvolti il sindaco, membri della giunta e del consiglio.

I contrasti sono culminati con le dimissioni di alcuni assessori e consiglieri di maggioranza e di opposizione. Tra l'altro nella giornata del 21 gennaio scorso, anche il sindaco ha rassegnato le dimissioni, determinando l'avvio, decorsi i tempi tecnici, della procedura per lo scioglimento del Consiglio comunale e la nomina del commissario straordinario.
      Venendo alle questioni sollevate con l'atto di sindacato ispettivo, si rassicura innanzitutto che, come avviene per tutte le amministrazioni locali rinnovate a seguito di uno scioglimento per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, la prefettura di Napoli ha attivato anche nei confronti del comune di Quarto, subito dopo l'insediamento dei nuovi organi elettivi, un'attività di monitoraggio.
      Quest'ultima, tuttora in corso, è finalizzata proprio a valutare l'azione amministrativa dell'ente locale, con specifico riferimento alla continuità dell'opera di risanamento specialmente nei settori di maggiore sensibilità e vulnerabilità oggetto di potenziale interesse dei clan camorristici.
      In tale contesto sono stati assegnati a supporto dell'amministrazione comunale, che ne aveva fatto specifica richiesta, tre professionalità in posizione di sovraordinazione, già precedentemente utilizzate dalla commissione straordinaria, per le esigenze degli uffici preposti all'assetto territoriale e agli affari economico-finanziari. Ed è in corso l'ulteriore assegnazione di un funzionario sovraordinato a supporto dell'ufficio legale.
      In ordine all'affidamento di commesse alla Tipografia «Baiano», di cui è titolare il marito del sindaco dimissionario, si rappresenta che negli ultimi anni, più volte, le varie amministrazioni comunali hanno affidato a detta impresa la fornitura di manifesti, bandi e avvisi comunali.
      Anche l'ultima amministrazione ha commissionato alla citata tipografia tale forniture per un importo complessivo di 400 euro (l'attuale regolamento comunale consente al dirigente di settore di procedere all'affidamento di incarichi per forniture tipografiche, senza bando, per spese inferiori a 500 euro).
      Per quanto riguarda il provvedimento del 25 settembre 2015, con cui la giunta comunale ha revocato la deliberazione adottata dalla commissione straordinaria relativa all'approvazione del preliminare del piano urbanistico comunale, si comunica quanto segue.
      Nello scorso mese di gennaio, il sindaco, in data antecedente alle sue dimissioni, ha rappresentato al prefetto che la revoca della delibera commissariale era stata adottata al solo scopo di riportare alla valutazione dei consiglieri comunali e dei cittadini i criteri posti alla base del piano in questione, aggiungendo che la questione, per la sua rilevanza, era stata dibattuta in numerose riunioni presso la sede comunale. L'intendimento della giunta era quello di arrivare in tempi brevi a una nuova delibera di approvazione del preliminare dello strumento urbanistico, che non si sarebbe discostata sostanzialmente dagli indirizzi e dall'impostazione della commissione straordinaria.
      Quanto al presunto abuso edilizio riguardante l'abitazione del sindaco, si informa che, a seguito dell'esposto presentato alla tenenza dei carabinieri di Quarto, la procura della Repubblica ha avviato un procedimento penale, disponendo gli accertamenti tecnici tuttora in corso, per la verifica di quanto denunciato.
      Si aggiunge, infine, che la situazione dell'amministrazione di Quarto è stata più volte esaminata dalla prefettura unitamente ai responsabili delle Forze di polizia, anche alla luce delle vicende sopra esposte. In tale sede, non sono emersi elementi tali da supportare l'assunzione di iniziative ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sulle autonomie locali. Si è comunque convenuto di continuare un costante e attento monitoraggio dell'ente locale in attesa di conoscere eventuali ulteriori elementi e sviluppi investigativi.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto si apprende da fonti di stampa e da segnalazioni pervenute all'interrogante, gli agenti del commissariato di pubblica sicurezza di Sessa Aurunca il 24 aprile 2014 hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo dell'intero impianto del campo sportivo ubicato nella frazione San Castrese di Sessa Aurunca;
          secondo quanto riportato dalla stampa locale, la ragione di tale sequestro sarebbe legata alla necessità di salvaguardare la pubblica incolumità impedendo l'accesso alla struttura sportiva essendone stata accertata la non agibilità;
          tale sequestro ha inferto un danno molto pesante alla comunità sportiva della zona, che si è trovata priva di un punto di aggregazione sportiva di grande importanza;
          il caso potrebbe non essere isolato e riguardare anche altre realtà territoriali  –:
          di quali elementi disponga il Governo in relazione a possibili rischi per la pubblica incolumità connessi alla fruizione degli impianti sportivi sul territorio nazionale e se non intenda assumere iniziative volte a promuovere, in collaborazione con gli enti locali, un programma straordinario di interventi per riqualificare le strutture sportive pubbliche. (4-05740)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
      In ordine all'impianto sportivo ubicato nella frazione San Castrese di Sessa Aurunca, il comitato regionale Coni Campania ha comunicato che negli ultimi anni non ha ricevuto alcuna richiesta di parere sui progetti né è stato coinvolto in alcuna maniera dalla commissione provinciale di vigilanza. In ordine alle problematiche strutturali concernenti l'impianto sportivo è venuto a conoscenza per notizie pubblicate dalla stampa; per l'esigenza della sicurezza condivide l'impegno sul monitoraggio e la riqualificazione delle strutture sportive, poiché risulta che sono molti gli impianti pubblici e privati realizzati e gestiti senza osservare i regolamenti del CONI.
      In termini più generali, si osserva quanto segue.
      La legge n.  147 del 2013 (legge di stabilità 2014), all'articolo 1, commi 303-305, si era già posto l'obiettivo di favorire ed incentivare la realizzazione di nuovi impianti e complessi sportivi ovvero la ristrutturazione di quelli già esistenti, secondo criteri di sicurezza, fruibilità e redditività dell'intervento e della gestione economico-finanziaria, attraverso la semplificazione e l'accelerazione delle procedure amministrative, in modo che sia garantita, nell'interesse della collettività, la loro fruibilità e sicurezza.
      A tale fine è stato previsto l'incremento, per il triennio 2014-2016, del «Fondo di Garanzia, istituito presso l'Istituto per il Credito Sportivo, per i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrezzatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi» di cui all'articolo 90, comma 12 della legge 27 dicembre 2002 n.  289, così come modificato dall'articolo 64, comma 3-ter, del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.  134, Si tratta di un affidamento in gestione diretta senza gara in quanto l'istituto per il credito sportivo (I.C.S.) è una banca pubblica. Il regolamento sulle modalità operative del fondo è stato successivamente deliberato dal commissario straordinario dell'istituto, nella qualità di comitato di gestione dei fondi speciali, organo statutariamente competente in materia di fondi pubblici gestiti dall'I.C.S. In data 29 maggio 2015 è stata deliberata la prima ammissione di un finanziamento alla garanzia parziale del fondo. La legge n.  146 del 17 ottobre 2014, di conversione del decreto-legge 22 agosto 2014, n.  119, ha semplificato il quadro normativo in materia di impiantistica sportiva e, in particolare, ha soppresso il secondo periodo del comma 303, dell'articolo 1 della citata legge n.  147 del 2014.
      Il piano nazionale per la promozione della pratica sportiva 2014-2015 è stato approvato in data 24 dicembre 2014 con provvedimento a firma del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri pro tempore con delega allo sport, registrato dalla Corte dei conti in data 21 gennaio 2015. In particolare, nel quadro delle misure legislative emanate e di uno specifico accordo tra la Presidenza del Consiglio dei ministri, l'istituto per il credito sportivo, l'UPI e l'ANCI, il piano individua iniziative volte a promuovere 1.000 finanziamenti «a tasso zero» per realizzare/ristrutturare, a livello nazionale, altrettanti impianti sportivi. L'obiettivo è quello di incentivare interventi di manutenzione, ristrutturazione o costruzione ex-novo di impianti sportivi di base mediante l'erogazione di mutui a tasso zero destinati alla realizzazione di 500 spazi sportivi scolastici e di 500 infrastrutture sportive.
      Il decreto-legge 25 novembre 2015, n.  185, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  275 del 25 novembre 2015, recante «misure urgenti per interventi nel territorio», all'articolo 5 prevede una serie di interventi per favorire la realizzazione di impianti sportivi nelle periferie urbane. Il legislatore, ai fini del potenziamento dell'attività sportiva agonistica nazionale e dello sviluppo della relativa cultura in aree svantaggiate e zone periferiche con lo scopo di rimuovere gli squilibri economico sociali e incrementare la sicurezza urbana, ha istituito sullo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze il fondo «Sport e Periferie» che la Presidenza del Consiglio dei ministri provvederà a trasferire al Comitato olimpico nazionale italiano (CONI). Per tale fondo è autorizzata la spesa complessiva di 100 milioni di euro nel triennio 2015-2017, di cui 20 milioni nel 2015, 50 milioni nel 2016 e 30 milioni nel 2017. Il fondo anzidetto è indirizzato alla ricognizione degli impianti sportivi esistenti sul territorio nazionale, alla realizzazione e rigenerazione di impianti sportivi con destinazione all'attività agonistica nazionale localizzati nelle aree svantaggiate del Paese, al completamento e adeguamento di impianti sportivi esistenti con destinazione all'attività agonistica nazionale e internazionale nonché all'attività e interventi posti in essere per la presentazione e la promozione di Roma 2024.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Claudio De Vincenti.


      LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo gli ultimi dati dell'ISTAT, il problema della sicurezza nella città di Palermo è diventato molto serio;
          al contempo, l'ufficio volanti della questura di Palermo soffre i tagli continui e indiscriminati che hanno colpito uno degli uffici più importanti della polizia, il pronto intervento cosiddetto «113», quello che più di tutti i palermitani onesti amano, o di cui hanno avuto bisogno almeno una volta nella vita; la media delle auto dell'ufficio volanti che vanno quotidianamente in pattuglia a Palermo è mediamente di circa 12-13, alle quali si aggiungono 8-9 volanti in forza ai Commissariati (che però la notte non escono);
          secondo quanto dichiarato dalla segreteria regionale siciliana del Consap e ripreso dalla stampa, i problemi delle volanti sono però numerosi, a tal punto che mancano le autovetture da mandare per strada. Il parco auto, infatti, sarebbe costituito da vecchie Alfa Romeo 159, ottime da un punto di vista operativo, ma molto usurate, e dalle Fiat Bravo. Inoltre, pochi sono i veicoli funzionanti e così accade che, se una volante che ha finito il turno ritarda il suo rientro per una qualsiasi ragione (arresti, processi per direttissima, identificazione cittadini stranieri, guasti meccanici), nella maggior parte dei casi la volante che dovrebbe iniziare il servizio non può uscire perché deve aspettare l'equipaggio che rientra, non essendoci altre auto a disposizione; si tratta, peraltro, di un disguido che si verifica con una certa frequenza, con ritardi che possono arrivare alle due ore;
          tale situazione può essere efficacemente descritta da un dato: se ufficialmente le auto in dotazione all'ufficio volanti sono circa 55, la media di quelle realmente operative quotidianamente si aggira tra le 15 e le 17: circa il 75 per cento delle auto sono, a turno, fuori uso;
          il sindacato CONSAP denunzia anche problemi sulle comunicazioni-radio: la parziale inadeguatezza dei ponti radio causa molte zone d'ombra in città, certamente a discapito della sicurezza dei poliziotti;
          la segreteria CONSAP Sicilia denuncia al deputato interrogante anche altri problemi logistici: dalla vetustà delle attrezzature informatiche, alla carenza di armadietti per riporre le divise (la cui sostituzione in caso di danneggiamento è praticamente impossibile) fino ad arrivare alla carenza addirittura di scarpe di servizio per le taglie più diffuse;
          il risultato di una simile situazione è l'insoddisfazione professionale, tant’è che un numero sempre maggiore di poliziotti addetti alle volanti ha inviato richiesta di trasferimento ad altro incarico  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se non ritenga doveroso attivare tutti i canali necessari affinché il parco veicolare delle volanti a Palermo sia adeguato e siano altresì superati i problemi logistici. (4-06816)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede l'adozione di una serie di interventi volti a potenziare il parco veicolare delle volanti della questura di Palermo e a superare alcune criticità degli uffici, con particolare riferimento alle attrezzature informatiche e alla dotazione di vestiario degli operatori.
      Premetto che le autovetture a disposizione della citata questura sono 84, rispetto alle 85 previste.
      Il numero delle autovetture concretamente impiegabili per l'espletamento dei servizi di prevenzione e controllo del territorio può variare quotidianamente per il fatto che alcuni dei mezzi possono necessitare di interventi di manutenzione ordinaria oppure essere soggetti alle periodiche revisioni stabilite dal codice della strada.
      In alcuni casi, come nella circostanza di autovetture coinvolte in incidenti stradali e bisognose delle indispensabili perizie, i tempi di fermo dei veicoli risultano più lunghi.
      Eventuali ulteriori potenziamenti del parco veicolare saranno disposti compatibilmente con le risorse disponibili e con le esigenze segnalate dagli altri uffici e reparti a livello nazionale.
      Per quanto riguarda le attrezzature informatiche, si segnala che nel 2010 alla questura di Palermo e ai commissariati distaccati sono stati assegnati 45 personal computer, 1 notebook nonché 7 stampanti di rete.
      Inoltre, ultimamente, all'ufficio denunce sono stati destinati 3 personal computer desktop, mentre all'ufficio immigrazione sono stati assegnati 20 personal computer e 4 stampanti.
      Attraverso i fondi del PON sicurezza, sono stati assegnati all'ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico 60 armadietti allocati presso due stanze adibite a spogliatoi del personale della sala operativa.
      Peraltro, per le esigenze del personale in servizio, nel corso del 2014 sono stati assegnati 427 stivaletti estivi, altrettanti invernali e nel mese di giugno del corrente anno, sono stati assegnati ulteriori 393 paia estivi e 222 invernali.
      Più in generale, sul piano nazionale, sono in corso di acquisizione 3.350 paia di scarpe maschili estive, 2.618 paia di scarpe maschili invernali, 1.700 paia di scarpe decolleté estive e 1.500 paia di scarpe femminili invernali.
      Per quanto riguarda, invece, le comunicazioni radio, si rappresenta che la zona telecomunicazioni Sicilia occidentale ha già avviato una serie di interventi atti a risolvere le numerose problematiche, effettuando sopralluoghi e mirati interventi di riparazione degli apparati.
      In proposito, il Ministero dell'interno ha già elaborato un progetto che, attraverso lo stanziamento di 200 mila euro, consentirà il potenziamento delle comunicazioni radio, mediante l'utilizzo di tre canali radio a copertura dell'intera città di Palermo.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          già nel 2009, in un articolo apparso su L'Espresso a firma di Tommaso Cerno We speak furlan veniva denunciato il discutibile uso di denaro pubblico operato della giunta regionale del Friuli Venezia Giulia presieduta all'epoca da Riccardo Illy, relativamente alla tutela e promozione della lingua friulana. In particolare l'articolo citava il dizionario bilingue costato un milione e trecentomila euro. Appaiono eclatanti le dichiarazioni di un precedente presidente della giunta Regionale espresse in quell'articolo sempre in merito alla vicenda della gestione dei fondi sul friulano «Tutto era partito come tutela di un patrimonio pubblico, la lingua. Poi si è trasformato in un contributificio», denunciava Sergio Cecotti, il leader autonomista che, da governatore, firmò la prima legge del 1996, con un rischio persino più drammatico degli sprechi, secondo lui, «e cioè il ridicolo»;
          sull'argomento pare che la governatrice del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani (vice segretario nazionale del PD) persegua la stessa linea del suo predecessore, visto che la gestione dell'A.R.Le.F. (Agenzia regionale per la lingua friulana) struttura deputata a gestire buona parte dei fondi assegnati per la tutela della lingua friulana, appare oggi decisamente discutibile;
          il presidente dell'ente in menzione, Lorenzo Fabbro, nominato dalla giunta Serracchiani, è stato a lungo vicepresidente della Cooperativa informazione friulana, editrice di un'emittente radiofonica locale. Dal momento dell'insediamento del nuovo consiglio di amministrazione ad oggi, l'A.R.Le.F ha quadruplicato le sovvenzioni alla cooperativa di cui il Presidente e stato amministratore fino a poco prima, peraltro nel comitato tecnico scientifico dell'ente (organo tecnico deputato a valutazioni sulle sovvenzioni da erogare) siedono pure due soci della cooperativa in menzione;
          risulta inoltre all'interrogante che il, consiglio di amministrazione dell'A.R.Le.F. presieduto dallo stesso Fabbro, con propria deliberazione n.  24 del 4 giugno 2015 ha concesso un contributo alla Cooperativa informazione friulana, nonostante il formale parere contrario del direttore dell'ente (sebbene l'articolo 4 dello statuto dell'ente preveda compiti di indirizzo per il consiglio di amministrazione in coerenza con la normativa vigente in materia di separazione di poteri tra indirizzo e gestione);
          si evidenzia infine che in tale gestione rientrano anche le sovvenzioni statali concesse ai sensi della legge n.  482 del 1999 «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche»  –:
          se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per un'immediata verifica della gestione delle sovvenzioni statali concesse alla regione Friuli Venezia Giulia ai sensi della legge sopracitata;
          quali controlli e verifiche siano stati fatti finora sulla gestione dei fondi della legge n.  482 del 1999. (4-10953)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
      La legge 15 dicembre 1999 n.  482, in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione, è finalizzata alla tutela delle dodici minoranze linguistiche storiche riconosciute sul territorio italiano (ladina, greca, germanica, croata, sarda, franco-provenzale, francese, albanese, slovena, friulana, catalana, occitana).
      A tale proposito è istituito il fondo per le minoranze linguistiche storiche presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport, che ne cura la gestione per il finanziamento annuale dei progetti presentati dalle amministrazioni statali e dagli enti locali ai sensi degli articoli 9 e 15 della medesima legge.
      L'attività istruttoria è svolta dal dipartimento sulla base dei criteri dettati dal decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001, n.  345, dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri emanato ogni tre anni (da ultimo decreto ministeriale 25 ottobre 2013) e dalle circolari applicative. In tali documenti sono indicati parametri, tetti di spesa, tipologia delle spese non ammissibili, eccetera, nonché l'importo da assegnare alla regione Friuli-Venezia Giulia che, come stabilito dal decreto legislativo n.  223 del 2002, provvede autonomamente all'attuazione sul territorio regionale delle disposizioni della legge n.  482 del 1999 per la tutela delle tre minoranze linguistiche friulana, germanica e slovena presenti nella regione. Non appena concluso l’iter di ripartizione e di liquidazione del fondo statale, gli enti e le amministrazioni beneficiarie dei finanziamenti iniziano le attività progettuali e contemporaneamente, con il concorso delle regioni, viene avviata l'attività di monitoraggio e di rendicontazione.
      La regione Friuli-Venezia Giulia, come disposto dal precitato decreto legislativo n.  223 del 2002, concernente «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di funzioni in materia di tutela della lingua e della cultura delle minoranze linguistiche storiche nella regione», provvede, in osservanza del comma 3, articolo 1, all'esercizio «di tutte le funzioni amministrative connesse all'attuazione delle disposizioni previste dagli articoli 9 e 15 della legge (482/99) e di ogni altra disposizione concernente la disciplina dello svolgimento di compiti delle amministrazioni pubbliche locali». Va pertanto esclusa qualsiasi competenza del dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport in merito ad attività di monitoraggio e di verifica di gestione delle anzidette attività progettuali.
      La quota annuale del fondo statale assegnata alla regione Friuli-Venezia Giulia è quantificata in proporzione alla presenza territoriale delle tre minoranze linguistiche nella regione: 177 comuni in cui si trova la minoranza linguistica friulana, su un totale complessivo nazionale di 184; 5 comuni in cui si parla la lingua germanica, su un totale complessivo nazionale di 53 e la totalità della minoranza linguistica slovena.
      In merito all'entità del fondo statale per le minoranze linguistiche storiche, relativamente al quale si è osservata, nelle scorse annualità, una progressiva riduzione in ragione della forte congiuntura economica che ha attraversato il paese, si rappresenta che esso, per l'annualità 2014, ammonta ad euro 1.995.068, di cui euro 395.864 assegnati alla regione Friuli-Venezia Giulia, compresi euro 281.605 per la lingua friulana. Per l'annualità 2015 il fondo ammonta ad euro 1.741.891, di cui euro 345.632 assegnati alla regione Friuli-Venezia Giulia, compresi euro 245.876 per la lingua friulana.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Gianclaudio Bressa.


      GADDA, FIANO, BRAGA, ROSSI, SENALDI, GALPERTI, CARNEVALI, FERRARI, CINZIA MARIA FONTANA, GASPARINI, MARTELLI, GIUSEPPE GUERINI, FRAGOMELI, RAMPI, PRINA, CARRA, CIMBRO, FREGOLENT, VAZIO, MARCO DI MAIO, MORANI, MORETTO, CAPOZZOLO, DALLAI, MIGLIORE, PATRIARCA, BENI, ROMANINI, ZAMPA, COPPOLA, NARDI, FIORIO, MURA, PORTA, TENTORI, PIAZZONI, GIULIANI e VALERIA VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il consiglio regionale della Lombardia, nell'ambito della discussione della proposta di legge regionale n.  0236, recante «Politiche regionali in materia di turismo e attrattività del territorio lombardo», ha approvato nel corso della seduta del 16 settembre un sub emendamento all'emendamento    n.  97, che impedisce alle strutture ricettive alberghiere e non alberghiere di accedere ai bandi di finanziamento regionali qualora il fatturato dell'ultimo triennio non sia derivante esclusivamente da attività turistica;
          l'intento dei proponenti, come precisato nella illustrazione che aveva accompagnato l'originario emendamento 97, rimane quello di evitare che dette strutture siano utilizzate come alloggi o rifugi temporanei per migrati «siano essi profughi o migranti “economici”»,
          a parere degli interroganti, questa norma appare anacronistica alla luce dei recenti indirizzi dell'Unione europea e del tutto estranea al modello di sistema che da sempre rende l'Italia in prima linea nell'affrontare questo tema;
          l'Europa, infatti, è interessata in questo momento da una vera emergenza umanitaria: l'arrivo di migliaia di profughi di guerra che richiedono rifugio e diritto d'asilo nelle nostre in terra italiana;
          il sistema di accoglienza italiano si basa anche sulla disponibilità di strutture ricettive a mettere a disposizione i loro spazi – spesso in periodi che altrimenti rimarrebbero inutilizzati – per fornire una sistemazione ai migranti in attesa di identificazione e nelle more della concessione dell'asilo: un iter che avviene in collaborazione con le prefetture dello Stato preposte allo smistamento dei richiedenti asilo su tutto il territorio nazionale, secondo protocolli consolidati;
          la norma approvata dal consiglio regionale lombardo penalizza attività private e mira palesemente ad ostacolare un'attività prerogativa dello Stato; peraltro, la sua formulazione rischia di minare anche altre attività non strettamente turistiche, come ad esempio, l'offrire alloggio alle forze dell'ordine  –:
          se il Governo intenda, nell'ambito dell'ordinario esame delle leggi regionali, deliberare l'impugnativa, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, per la legge regionale di cui trattasi, nella parte che scoraggia strutture private ad accogliere i migranti. (4-10606)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
      La legge regionale della Lombardia 1o ottobre 2015, n.  27, recante «Politiche regionali in materia di turismo e attrattività del territorio lombardo», pubblicata sul supplemento ordinario al Bollettino ufficiale della regione n.  40 del 2 ottobre 2015, è stata esaminata dall'ufficio per l'esame di legittimità della legislazione regionale e delle province autonome ed il contenzioso costituzionale del dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport.
      L'ufficio ha effettuato l'istruttoria della suddetta normativa regionale sentendo le amministrazioni competenti per materia.
      In tale ambito istruttorio, sono stati ravvisati alcuni profili di dubbia costituzionalità, tra i quali la previsione di cui all'articolo 72, comma 1, lettere a) e b) della suddetta legge regionale, che demanda alla giunta regionale la disciplina della concessione di contributi all'attività delle «imprese turistiche e dell'attrattività» per iniziative quali acquisto, costruzione, riqualificazione, ristrutturazione, completamento e ammodernamento di immobili da destinarsi all'attività di impresa turistica o di strutture e infrastrutture complementari o sussidiarie all'attività turistica e ricettiva.
      In ossequio al principio di leale collaborazione cui sono ispirati i rapporti tra lo Stato e le autonomie, al fine di esaminare e cercare soluzioni condivise in ordine alle criticità riscontrate, il giorno 24 novembre 2015 si è tenuta presso il sopracitato dipartimento, alla mia presenza, una riunione con l'assessore allo Sviluppo economico della regione Lombardia, ingegner Mauro Parolini, e i rappresentanti di alcune amministrazioni, all'esito della quale la regione si è impegnata ad apportare modifiche legislative ad alcune norme.
      In data 30 novembre 2015, con delibera n.  4382, la giunta regionale della Lombardia ha approvato il provvedimento proposto dal presidente Maroni recante: «Proposta di Progetto di Legge» «Disposizioni in materia di Turismo. Modifiche alla legge regionale 1o ottobre 2015, n.  27» disposizioni regionali in materia di turismo e attrattività del territorio lombardo ed in particolare si evidenzia l'impegno di modifica dell'articolo 72 che prevede al comma 4, secondo periodo, dopo la parola «rilevanza», che siano aggiunte le seguenti parole: «nonché per motivi riconducibili ad esigenze di ordine e di sicurezza pubblici».
      Il Pdl, avente il numero 277, è stato assegnato alla IV Commissione del Consiglio regionale e sta iniziando il suo iter legislativo.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Gianclaudio Bressa.


      LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la polizia postale e delle comunicazioni assolve alla funzione di vigilare sull'osservanza delle leggi e dei regolamenti in materia di telecomunicazioni e sull'uso distorto delle tecnologie, nonché di impedire che esse divengano veicolo di illegalità; essa contrasta infatti tutti i reati che avvengono per mezzo della rete informatica e telefonica (ad esempio stalking, molestie, cyber bullismo, clonazioni);
           la polizia postale e delle comunicazioni, attraverso il servizio centrale, una sezione distaccata a Napoli presso l'Autorità per le garanzie delle comunicazioni, 20 compartimenti regionali e 76 sezioni provinciali, assicura una presenza articolata e diffusa in tutto il territorio; fenomeni come la pedofilia on-line, gli attacchi a sistemi informatici, le truffe perpetrate grazie all'utilizzo fraudolento di codici di carte di credito o di debito, sono alcuni esempi delle attività delittuose che vengono contrastate dal personale della specialità;
          inoltre, la polizia postale adempie al dovere di formazione dei bambini con riferimento all'utilizzo consapevole di internet, allo scopo di difenderli dal rischio di imbattersi in soggetti psicologicamente deviati;
          i compartimenti e le Sezioni sono ospitati da Poste Italiane, che finanziano anche apparecchiature e software, pertanto non gravano sul bilancio dello Stato, ma costituiscono un servizio a costo zero;
          stando alle fonti di stampa, appare imminente la proposta di questo Governo di chiudere tutte le sezioni provinciali della Polizia delle comunicazioni, ad eccezione di quelle presenti nelle sedi di Corte di appello, al fine di una asserita razionalizzazione delle risorse umane e logistiche; sembrerebbe anche che l'obiettivo ultimo sia quello di arrivare progressivamente ad istituire solo tre maxi compartimenti: uno per il Nord, uno per il Centro e uno per il Sud; oppure, in alternativa, al Nord e al Centro, oltre gli uffici Compartimentali previsti presso i capoluoghi di regione, rimarrebbero solamente Brescia e L'Aquila, mentre al sud Salerno, Lecce, Messina, Caltanissetta; si tratta di un taglio del tutto scriteriato, dato che non si considerano i diversi fattori di criminalità presenti sul territorio, né la situazione economica né la posizione geografica;
          tuttavia simili progetti non possono essere condivisibili, come dimostrano le osservazioni seguenti;
          non ne deriverebbe un effettivo risparmio economico, dato che ad oggi le spese sono a carico di Poste italiane, ma — al contrario — si disperderebbero competenze e specializzazioni;
          negli ultimi anni, oltre a tutti i corsi di specializzazione e di aggiornamento specifici per ciascun settore, sono stati effettuati ben 21 cicli di specializzazione e addestramento al Centro addestramento della polizia di Stato di Cesena, ove il personale delle specialità della Polizia di Stato, proveniente da tutto il territorio nazionale, è stato inviato con notevoli sacrifici personali e costi in termini economici per la collettività, per frequentare il corso di interspecialità, ove operatori della polizia stradale, ferroviaria, postale e delle comunicazioni e di frontiera, studiando fianco a fianco hanno conseguito l'interspecialità; ed ora con un colpo di spugna si vorrebbero azzerare le specificità;
          abolire i compartimenti regionali ed istituire in tutte le province – compresi i capoluoghi di regione – l'interspecialità stradale, ferroviaria, postale e delle comunicazioni e di frontiera, dirette da un solo dirigente, quattro funzionari (uno per ogni specialità), con in condivisione un unico centralino, archivio, segreteria, auto di servizio e locali genererebbe un notevole risparmio sugli affitti, recuperando uomini e incrementando l'efficienza dei servizi resi al Paese;
          i cittadini italiani hanno diritto ad usufruire di un livello di sicurezza uniforme, senza discriminazioni di territorio, che svantaggerebbero quelle province che non siano anche sede di corte di appello; è infatti facile immaginare che tutte le province colpite dalla scure governativa, saranno più appetibili e vulnerabili agli attacchi criminali;
          i pochi uffici rimanenti, che già oggi hanno difficoltà a fronteggiare il crescente numero di reati informatici commessi, collasseranno operativamente, vedendosi affluire tutto il carico di lavoro delle sezioni soppresse, a discapito della sicurezza dei cittadini;
          l'attività di prevenzione e repressione dei reati deve avvenire direttamente sul territorio presidiato per essere davvero tempestiva ed efficace;
          il rischio che si corre è quello di estromettere dalla specialità della Polizia delle comunicazioni centinaia di operatori preparati e professionalizzati per indirizzarli in altri uffici per i quali non hanno la stessa competenza ed efficacia operativa;
          non solo, il pericolo è che i costi aumentino anziché diminuire, poiché oggi le spese per la strumentazione e per gli immobili sono tutte sostenute da Poste italiane;
          dunque, il tentativo di far passare la manovra per un progetto di rimodulazione finalizzato al miglioramento dei servizi non trova, ad avviso dell'interrogante, alcun riscontro oggettivo, se non quello di segno opposto che palesa una chiara, evidente e netta sforbiciata nello sterile spirito della spending review;
          la questione che si vuole porre riguarda il prezzo che la sicurezza degli italiani deve pagare per quelli che all'interrogante appaiono i millantati risparmi del Governo;
          nel nostro Paese i reati aumentano e la tensione sociale sale alle stelle; i recenti tragici avvenimenti di Parigi dimostrano che è necessario investire sulla prevenzione e sulla repressione dei reati, specie di quelli telematici  –:
          se trovi conferma il progetto di smantellamento della polizia postale riportato dagli organi di stampa;
          se non reputino assolutamente controproducente, sia a livello finanziario che per quanto riguarda la sicurezza dei cittadini, ridurre senza criteri i servizi di polizia postale. (4-11361)

      Risposta. — La questione posta dall'interrogante, concernente l'asserito smantellamento delle strutture della Polizia postale e delle comunicazioni operanti nel territorio nazionale, è legata ad un piano di razionalizzazione che, nei primi mesi del 2014, è stato sottoposto al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza e ad oggi non è stato ancora definito.
      Ciò in quanto, nel frattempo, è sopravvenuta la legge n.  124 del 7 agosto 2015 che, nel delegare al Governo l'emanazione di una serie di decreti legislativi in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, individua alcuni importanti criteri direttivi proprio in tema di riordino del sistema della sicurezza.
      La legge, come è noto, tratteggia un primo indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive nell'esercizio delle funzioni di polizia, nonché di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
      Un ulteriore criterio direttivo individuato dal provvedimento, più settoriale, è legato, invece, al riordino delle funzioni di polizia nei campi della sicurezza agroalimentare e della tutela dell'ambiente e del territorio, riordino per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
      Alla luce del nuovo quadro normativo, solo quando verranno emanati i decreti legislativi attuativi che puntualizzeranno i contenuti della riorganizzazione del sistema della sicurezza, si potrà procedere con il piano di razionalizzazione dei presidi di polizia su tutto il territorio nazionale – compresi quelli della Polizia postale e delle comunicazioni – i cui contenuti saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento e di adeguamento organizzativo alla trasformazione tecnologica e infrastrutturale del Paese, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      MARGUERETTAZ. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1, comma 6, della legge 10 agosto 2000, n.  246, così come sostituito dall'articolo 5-quater del decreto-legge 7 settembre 2001, n.  343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n.  401, prevede che «alla copertura delle vacanze di organico nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco si può provvedere, in caso di specifica richiesta da parte degli interessati, anche mediante mobilità degli appartenenti ai corpi permanenti dei vigili del fuoco di Trento, di Bolzano e della regione Valle d'Aosta, previo assenso dell'amministrazione autonoma di provenienza»;
          analoga previsione di mobilità verso la Valle d'Aosta è contenuta all'articolo 32 della legge regionale Valle d'Aosta 10 novembre 2009, n.  37, così come modificato dall'articolo 6 della legge regionale n.  3 del 13 febbraio 2012, laddove recita «il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco o dei corrispondenti Corpi o servizi delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome, può essere trasferito, a domanda o su richiesta dell'Amministrazione regionale, nell'organico del personale professionista del Corpo valdostano dei vigili del fuoco. L'inquadramento è subordinato all'assenso dell'Amministrazione di provenienza, alla disponibilità di posti in organico e al superamento della prova di accertamento linguistico con le modalità di cui all'articolo 7 del r.r. 6/1996. In caso di più richieste, costituisce titolo di preferenza la residenza nella Regione»;
          il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile non consente più la mobilità in ingresso dagli altri Corpi dei vigili del fuoco, interpretando l'articolo 1, comma 6 della legge 10 agosto 2000, n.  246, come implicitamente abrogato dall'articolo 132, comma 1 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n.  217, che disciplina «l'accesso al Corpo nazionale dei vigili del fuoco esclusivamente con le seguenti modalità: a) pubblico concorso ovvero, limitatamente all'accesso nel ruolo degli operatori, avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento; b) assunzione obbligatoria, per chiamata diretta nominativa, del coniuge, dei figli e dei fratelli degli appartenenti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco deceduti o divenuti permanentemente inabili al servizio per causa di servizio, nei limiti previsti dagli articoli 5, 21, 88, 97 e 108». Il comma 2 del medesimo articolo prevede infine che «è escluso l'accesso al Corpo nazionale dei vigili del fuoco in casi e con modalità diversi da quelli indicati nel comma 1» elencando poi una serie di articoli di legge abrogati e terminando con una frase, a giudizio dell'interrogante, suscettibile di controversie interpretative «... e ogni alta disposizione che prevede il passaggio tra amministrazioni di personale non idoneo, sotto il profilo psico-fisico, al servizio o all'impiego incondizionati»;
          a parere dell'interrogante, visto che il regolamento (UE) n.  492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, datato 5 aprile 2011, dispone la libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione europea, appare del tutto anacronistico che, a fronte di norme europee che consentono la libera circolazione dei lavoratori all'interno dei Paesi dell'Unione europea, ovvero pongono il divieto di limitazioni tra Stati nelle assunzioni, in Italia un vigile del fuoco non possa trasferirsi da una regione all'altra del medesimo Stato;
          nella fattispecie si riporta il caso dei vigili del fuoco professionisti del Corpo valdostano dei vigili del fuoco della regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste ai quali è oggi, di fatto, negata qualsiasi possibilità di trasferirsi presso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco  –:
          se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative interpretative della norma, o in alternativa, porre in essere un'iniziativa normativa per la modifica della stessa, per sanare tale situazione che impedisce ai vigili del fuoco professionisti dipendenti dal Corpo valdostano (come invece è consentito ai vigili del fuoco del Corpo nazionale) di essere trasferiti, su loro richiesta, presso altra sede territoriale. (4-10690)

      Risposta. — In merito alla richiesta di consentire ai vigili del fuoco permanenti del Corpo valdostano dei vigili del fuoco il trasferimento presso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, si fa presente quanto segue.
      In effetti, l'articolo 1, comma 6, della legge del 10 agosto 2000, n.  246, richiamato nell'interrogazione, consentiva di ripianare le vacanze di organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco anche attraverso la mobilità dei vigili del fuoco del Corpo valdostano. Era previsto che il passaggio avvenisse su richiesta degli interessati e previo assenso dell'amministrazione autonoma di appartenenza.
      Successivamente, l'articolo 132 del decreto legislativo del 13 ottobre 2005, n.  217 ha previsto, quali uniche modalità di accesso ai ruoli del personale del Corpo nazionale, il concorso pubblico e l'assunzione obbligatoria per chiamata diretta nominativa dei congiunti degli appartenenti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco deceduti o divenuti permanentemente inabili al servizio per causa di servizio.
      Tale disposizione va letta unitamente all'articolo 70, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, secondo il quale le disposizioni in materia di mobilità di cui all'articolo 30 e seguenti del medesimo testo normativo non si applicano al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
      A parere di questa Amministrazione, tali disposizioni hanno determinato l'abrogazione di quella della legge n.  246 del 2000 sopra citata, essendo escluso – allo stato – che l'accesso al Corpo nazionale possa avvenire con modalità diverse rispetto a quelle ivi tipizzate.
      Tuttavia, sulla problematica rappresentata questa Amministrazione manifesta la propria disponibilità al confronto, anche in sede di tavolo tecnico istituito allo scopo.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il presidio di polizia ferroviaria di Sulmona, rappresenta, dopo Pescara, il secondo snodo ferroviario più importante d'Abruzzo – da cui si diramano le linee ferroviarie per Roma, Pescara, L'Aquila, Terni e Isernia-Napoli — e costituisce l'unico polo manutentivo presente nella regione;
          inoltre, estende la sua competenza alle stazioni di Pettorano sul Gizio, Giove, Palena, Rivisondoli-Pescocostanzo, Roccaraso, Castel di Sangro, Sessano al Molise, giungendo fino a Carpinone; con la linea Pescara-Roma, è competente per le stazioni di Bugnara, Anversa degli Abruzzi, Prezza, Goriano Sicoli, Cocullo, Pescina, Collarmele e Carrito-Ortona;
          la stazione ferroviaria di Sulmona, oltre a costituire un presidio fondamentale nell'ambito della rete dei trasporti su rotaia nella regione, rappresenta lo scalo di accesso al carcere di massima sicurezza di Sulmona che ospita attualmente 500 detenuti e, nell'immediato futuro, vedrà un ulteriore ampliamento della popolazione carceraria;
          l'annunciata cancellazione di detto presidio, a parere dell'interrogante, appare del tutto incomprensibile, infatti, la riorganizzazione posta in essere dal Ministero, dal punto di vista del risparmio economico, ha scarsissima rilevanza in quanto tutte le spese di gestione del presidio — riscaldamento, energia elettrica, servizio di pulizia, manutenzione ordinaria e straordinaria — sono a carico di Ferrovie dello Stato italiane  –:
          se non ritenga di dover intervenire per evitare la cancellazione del presidio di polizia ferroviaria di Sulmona che costituirebbe per Sulmona e per l'intero Centro Abruzzo l'ennesima spoliazione, con ricadute negative sui cittadini in termini di erogazione dei servizi e di sicurezza pubblica. (4-11485)

      Risposta. — La questione sollevata dall'interrogante concernente l'eventuale chiusura del presidio di polizia ferroviaria di Sulmona, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle Forze dell'ordine sul territorio nazionale che, nei primi mesi del 2014, è stato sottoposto al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza e ad oggi non è stato ancora definito.
      Ciò in quanto, nel frattempo, è sopravvenuta la legge n.  124 del 7 agosto 2015 che, nel delegare al Governo l'emanazione di una serie di decreti legislativi in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, individua alcuni importanti criteri direttivi proprio in tema di riordino del sistema della sicurezza.
      La legge, come è noto, tratteggia un primo indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive nell'esercizio delle funzioni di polizia, nonché di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
      Un ulteriore criterio direttivo individuato dal provvedimento, più settoriale, è legato, invece, al riordino delle funzioni di polizia nei campi della sicurezza agroalimentare e della tutela dell'ambiente e del territorio, riordino per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
      Alla luce del nuovo quadro normativo, solo quando verranno emanati i decreti legislativi attuativi che puntualizzeranno i contenuti della riorganizzazione del sistema della sicurezza, si potrà procedere con il piano di razionalizzazione dei presidi di polizia su tutto il territorio nazionale, i cui contenuti saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento e di adeguamento organizzativo alla trasformazione tecnologica e infrastrutturale del Paese, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      OCCHIUTO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
          la strada statale 107 «Silana-Crotonese», strada europea E846 di competenza di A.n.a.s. s.p.a., è una delle arterie viarie «trasversali» più importanti, in termini logistici e di volumi di traffico della Calabria poiché collega il versante tirrenico tramite l'innesto con la strada statale 18 presso Paola (CS) con il versante ionico tramite l'innesto con la strada statale 106 presso Crotone; nell'aprile del 2006 il viadotto «Cannavino», sito al chilometro 42,700 della strada statale 107 (Comune di Celico – CS), ha mostrato evidenti segni di cedimento strutturale con l'abbassamento del livello stradale della campata centrale, comportando la chiusura al traffico per alcune settimane;
          già durante i lavori di costruzione del viadotto su citato vennero alla luce le prime problematiche inerenti all'opera infrastrutturale, allorquando nell'agosto del 1972 lo spostamento di un pilone, probabilmente determinato dall'instabilità del terreno, provocò un crollo parziale causando la morte di quattro operai;
          lo stato di allerta per le condizioni del viadotto non sembra essere cessato poiché ciclicamente sottoposto a frequenti chiusure del traffico per permettere il monitoraggio dei sempre più palesi segni di collasso della struttura;
          la trafficata strada statale 107 è quotidianamente percorsa da un numero elevatissimo di mezzi, soprattutto pesanti, con conseguenti sollecitazioni in termini di carico statico sulla struttura del viadotto «Cannavino»;
          i segni di cedimento, visibilmente estesi in un altro punto della struttura, appaiono non arrestarsi, ma proseguono pericolosamente;
          la strada statale 107 rappresenta la più importante via di comunicazione trasversale della Calabria, servendo territori costieri e montani e rilevatasi sin da subito volano di sviluppo per l'economia dei luoghi attraversati;
          ancora ad oggi non si ha notizia sulle probabilità che si verifichi un serio cedimento strutturale e non è noto se le autorità preposte abbiano predisposto il ripristino dell'attuale viadotto o la costruzione di un nuovo tracciato parallelo a quello esistente –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine: a) di rendere note le reali condizioni del viadotto «Cannavino» e le previsioni tecniche sullo stato futuro dell'opera; b) di avviare, attraverso lo stanziamento dei fondi necessari, i lavori di ristrutturazione per la messa in sicurezza o di costruzione di un nuovo viadotto; c) di adottare, di concerto con tutti gli attori istituzionali territoriali, un piano strategico diretto ad evitare che la chiusura definitiva del viadotto «Cannavino» possa sortire conseguenze dannose per l'economia della regione Calabria, già minata dall'interruzione dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria a causa del crollo del viadotto «Italia». (4-09739)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame sono state chieste dettagliate informazioni alla società ANAS, la quale ha fornito i seguenti elementi di risposta.
      Il viadotto Cannavino è ubicato tra il chilometro 42+703 e il chilometro 43+085 della strada statale 107 «Silana Crotonese»; a causa di una anomalia nella parte centrale delle campate maggiori l'ANAS ha affidato un incarico professionale specialistico all'ingegner Pietro Monaco, professore ordinario presso il politecnico di Bari, per la direzione di una apposita campagna di indagini e prove di laboratorio.
      Sono state eseguite ispezioni visive e rilievi topografici, nonché prove di carico statiche e dinamiche volte a valutare le condizioni di sicurezza del viadotto.
      Sulla base delle risultanze l'ANAS ha previsto la realizzazione di un intervento di manutenzione straordinaria che è stato inserito nella programmazione quinquennale 2015-2019 con priorità massima e sarà realizzato non appena le risorse finanziarie saranno rese disponibili.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Graziano Delrio.


      PAGLIA, MARCON e ZAMPA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella mattinata del 20 marzo 2014 a Parma, presso la sede dell'EFSA, veniva promossa una manifestazione contro la legalizzazione dell'utilizzo di sementi OGM da parte dell'Unione europea;
          tale manifestazione consisteva nell'attraversamento della sede dell'EFSA da parte degli attivisti, con spargimento di sementi e vegetali, senza che venisse in alcun modo compromessa la sicurezza di cose e persone;
          l'iniziativa era volta ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica su un tema di grande interesse collettivo, tanto da concludersi con una conferenza stampa nello spazio esterno della stessa EFSA;
          al momento di concludere l'iniziativa e abbandonare il luogo, i manifestanti trovavano improvvisamente chiusa la via di uscita da uno schieramento di forze dell'ordine;
          tale situazione precipitava rapidamente in cariche da parte della polizia, con ferimento di alcuni manifestanti;
          i manifestanti nonostante avessero dichiarato che la manifestazione fosse finita e stessero ritornando ai propri mezzi, sono stati scortati dalle forze dell'ordine per le vie della città;
          in quell'inseguimento i manifestanti sono stati nuovamente caricati con ferimento di alcuni di loro;
          i manifestanti sono stati bloccati sul ponte tra piazza Corridoni e viale Amerigo Vespucci;
          la tale situazione si è comunque conclusa con la semplice identificazione di uno dei manifestanti, mentre agli altri è stato garantito il diritto di movimento –:
          quale sia stato il livello di mobilitazione delle forze dell'ordine, davanti ad un fatto evidentemente dimostrativo e già conclusosi senza problemi di sorta;
          in base a quale principio si sia stabilito di procedere alla richiesta di identificazione dei manifestanti;
          se si ritenga la gestione della situazione giustificata da reali ragioni di ordine pubblico, e non piuttosto lesiva del diritto di manifestazione;
          se non si creda opportuno consigliare una diversa gestione dell'ordine pubblico, in una città, Parma, che ha già vissuto negli ultimi mesi episodi discutibili in merito. (4-04169)

      Risposta. — Come è noto, l'articolo 17 della Costituzione stabilisce che i promotori di riunioni in luogo pubblico debbano darne preavviso alle autorità di pubblica sicurezza, le quali possono vietarle soltanto per comprovati motivi «di sicurezza o di incolumità pubblica».
      Tale disposizione e i successivi interventi normativi in materia offrono la cornice entro cui applicare l'articolo 18 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in virtù del quale spetta alle autorità di pubblica sicurezza valutare le circostanze e le condizioni che, di volta in volta, si rendono necessarie per consentire o meno riunioni o manifestazioni ovvero farle svolgere secondo modalità differenti rispetto a quelle previste dagli organizzatori.
      Ciò premesso, le autorità di pubblica sicurezza garantiscono il concreto esercizio del diritto di riunione a ogni gruppo che voglia organizzare iniziative volte a sostenere le proprie idee nel pieno rispetto della legalità.
      A tal fine, esse definiscono adeguati servizi di ordine pubblico, la cui gestione è costantemente ispirata a criteri di equilibrio e prudenza, in modo da contemperare i diritti costituzionalmente garantiti di riunione e di libera espressione del pensiero con le esigenze di tutela della sicurezza e della pubblica e privata incolumità.
      In considerazione della necessità di bilanciare con un atteggiamento di fermezza ogni eventuale manifestazione di violenza e forma di illegalità, l'uso della forza in queste circostanze è limitato ai soli casi di effettivo bisogno, anche per evitare di innescare più gravi tensioni.
      Si soggiunge, infine, che gli eventuali fatti illeciti posti in essere durante le manifestazioni vengono attentamente monitorati da personale di polizia specializzato e le persone individuate come responsabili vengono tempestivamente deferite all'autorità giudiziaria per le valutazioni di competenza.
      In merito al fatto specifico segnalato dall'interrogante si rappresenta che, nella mattina del 20 marzo 2014 a Parma, circa 80 ambientalisti, senza preavviso o autorizzazione, dunque in violazione della normativa prevista dagli articoli 18 e seguenti del TULPS, hanno fatto irruzione nella sede dell'EFSA – European Food Safety Authority – danneggiandone le pertinenze ed interrompendone l'attività in modo arbitrario ed intimidatorio.
      Alcuni degli attivisti, in maniera organizzata e coordinata, dopo aver distratto il personale del front office con uno stratagemma, hanno consentito l'accesso all'edificio dell'agenzia all'intero gruppo di manifestanti che si sono fatti strada con la violenza, eludendo la resistenza delle guardie giurate e manomettendo i sistemi elettronici e manuali di apertura e chiusura degli ingressi.
      Oltrepassati i tornelli posti nella hall, i medesimi, travisati hanno indossato tute di colore bianco ed effettuato azioni di protesta eclatanti, versando sul pavimento frumento, mais, kiwi, arance, piante in vaso e proferendo, tramite un megafono, proclami contro l'utilizzo degli OGM nel campo alimentare.
      Successivamente gli stessi, dopo aver danneggiato le telecamere di sorveglianza poste ai pianerottoli con il chiaro intento di sottrarsi a riprese video, hanno fatto irruzione ai piani superiori dove hanno rivolto insulti ad alcuni funzionari dell'EFSA generando panico tra i presenti.
      Subito dopo i manifestanti si sono posizionati nel piazzale antistante l'immobile tappezzando le vetrate esterne con volantini recanti la scritta «NO OGM» e con foto raffiguranti campi coltivati con prodotti modificati, vergando altresì scritte sui muri e accendendo, inoltre, numerosi fumogeni.
      L'intervento delle pattuglie in servizio di controllo del territorio ha generato reazioni scomposte ed intemperanze da parte dei dimostranti che, per guadagnarsi la fuga, hanno iniziato un lancio di corpi contundenti e fumogeni accesi nei confronti degli operatori di polizia causando il ferimento di alcuni di essi. Poco dopo, l'intero gruppo di attivisti ha occupato la carreggiata del prospiciente viale Piacenza, bloccando la circolazione stradale.
      L'evoluzione dei fatti e lo spostamento della protesta in area urbana, unitamente alla circostanza che gli attivisti intendevano indirizzare la protesta verso le autorità comunali raggiungendo in corteo il municipio, hanno reso necessario approntare nell'immediatezza un servizio di ordine pubblico finalizzato a controllare i manifestanti nel percorso lungo le strade cittadine fino alla sede del comune.
      Durante tali fasi i partecipanti al corteo si sono scontrati ancora una volta con il personale delle forze di polizia che, una volta bloccato il corteo all'altezza del Ponte di Mezzo ed interdetto il raggiungimento del palazzo comunale, hanno proceduto al loro allontanamento, dopo una paziente opera di mediazione con l'organizzatore dell'iniziativa e l'identificazione – ai sensi dell'articolo 349 del codice di procedura penale – di tutti i manifestanti già sottoposti precedentemente a videoriprese.
      In merito agli episodi descritti, il direttore esecutivo dell'agenzia europea ha presentato formale denuncia alla locale procura della Repubblica che ha disposto l'apertura di procedimento penale contro ignoti. Si informa, infine che il 28 gennaio 2015 il predetto procedimento è stato archiviato.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      PASTORINO, CIVATI, BRIGNONE e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la stampa ha divulgato i contenuti di una nota informativa della direzione centrale della polizia di prevenzione prodotta l'11 aprile 2015 nell'ambito di una causa civile presso il tribunale di Roma e firmata dal direttore centrale Mario Papa, che reca diversi giudizi positivi nei riguardi dell'organizzazione neofascista Casa Pound;
          la nota non risparmia elogi verso l'organizzazione neofascista, che si caratterizzerebbe per «lo stile di militanza fattivo e dinamico ma rigoroso nel rispetto delle gerarchie interne». Addirittura, nel contesto del documento sembra quasi assurgere a merito il tentativo «di sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi di promozione sociale del ventennio»;
          Casa Pound è dipinta come un'associazione di brava gente impegnata nella «tutela delle fasce deboli», nella «lotta al precariato» e nella «difesa dell'occupazione attraverso l'appoggio ai lavoratori impegnati in vertenze occupazionali e le proteste contro le privatizzazioni delle aziende pubbliche»;
          il massimo, per così dire, la nota lo raggiunge in merito al tema dell'uso della violenza da parte di Casa Pound. Si legge che «il sodalizio Organizza con regolarità, sull'intero territorio nazionale, iniziative propagandistiche e manifestazioni nel rispetto della normativa vigente e senza dar luogo ad illegalità e turbative dell'ordine pubblico» e se in effetti «all'interno del movimento militano elementi inclini all'uso della violenza, intesa come strumento ordinario di confronto e di affermazione politica oltre che quale metodo per risolvere controversie di qualsiasi natura» la colpa è anche della sinistra radicale che «sotto la spinta del cosiddetto “antifascismo militante” non riconosce il diritto alla agibilità politica» alle formazioni di estrema destra»  –:
          se intenda assumere immediatamente le distanze dalla citata nota informativa e avviare un'indagine interna per verificare con rapidità se ricorrano presupposti per la rimozione del direttore centrale della polizia di prevenzione;
          se possa esporre la strategia del Ministro per l'effettiva e rigorosa applicazione, per quanto di competenza, della legge 20 giugno 1952, n.  645, norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione, cosiddetta legge Scelba, a fronte di quello che pare un sempre maggiore e preoccupante attivismo delle varie, organizzazioni neofasciste sul territorio.
(4-11972)

      Risposta. — Il movimento CasaPound, sorto nel dicembre 2003 ma ufficializzato formalmente nel 2007, si è affermato progressivamente nel panorama nazionale dell'estremismo di destra.
      L'incremento delle attività di propaganda e l'interesse del sodalizio per temi a forte rilevanza sociale hanno accentuato la concorrenzialità con i gruppi di opposto orientamento, sfociata nell'ultimo anno in ben 106 episodi di contrapposizione, con il ferimento, in alcuni casi anche grave, di 24 attivisti di destra e di sinistra.
      Il Ministero dell'interno segue l'evoluzione di questa situazione di conflittualità, dedicando particolare attenzione all'attività dei gruppi politici estremisti e alle frange più radicali in tutte le zone d'Italia.
      In tale contesto, vengono costantemente controllati anche i luoghi di aggregazione dei simpatizzanti di CasaPound e le iniziative assunte dai medesimi.
      Eventuali comportamenti illeciti posti in essere da singoli esponenti del movimento vengono perseguiti con fermezza e sistematicità dalle Forze dell'ordine e dalla magistratura.
      Al riguardo, si informa che nel quinquennio 2011-2015 sono stati tratti in arresto 19 militanti o simpatizzanti di CasaPound, mentre 336 sono stati deferiti a vario titolo all'autorità giudiziaria. Si aggiunge che dall'inizio del corrente anno sono già stati effettuati 1 arresto e 23 denunce.
      Quanto all'ispirazione neofascista del movimento evocata nell'interrogazione, si rileva che, allo stato attuale, non risultano pronunce giurisdizionali che abbiano accertato, nei riguardi di Casapound, il concretizzarsi della fattispecie della riorganizzazione del disciolto partito fascista e che legittimino, quindi, l'adozione di provvedimenti di scioglimento ai sensi della legge n.  645 del 1952.
      Con riferimento specifico al documento della direzione centrale della polizia di prevenzione, su cui è incentrata l'interrogazione, si rappresenta che esso non costituisce un documento di analisi o di valutazione sul movimento, ma una risposta a precisi quesiti posti dal tribunale civile di Roma, concernenti: i dati conoscitivi sull'associazione; l'articolazione della struttura organizzativa anche a livello periferico; l'eventuale diretto coinvolgimento del sodalizio in procedimenti penali o attività d'indagine, sfociate in denunce o rapporti informativi all'autorità giudiziaria per fatti di violenza o per manifestazioni politiche non autorizzate, segnatamente di carattere antisemita e/o neonazista.
      Per quanto attiene a quest'ultimo aspetto, sono state sottoposte all'attenzione del magistrato talune situazioni di criticità riguardanti in particolare:
          l'infiltrazione nelle tifoserie ultras sportive, divenuta spesso il presupposto per il compimento di azioni violente nei confronti di esponenti di opposta ideologia anche fuori dagli stadi;
          più in generale, la presenza, all'interno del sodalizio o in ambienti vicini ad esso, di elementi inclini all'uso della violenza intesa come strumento ordinario di confronto e di affermazione politica.

      È stato quindi precisato che tali soggetti si trovano sovente coinvolti in episodi di illegalità contro elementi di opposto orientamento, ponendo in essere risse, aggressioni e scontri, talvolta preordinati.
      Nel documento viene anche chiarito che tali comportamenti sono puntualmente e sistematicamente perseguiti sotto il profilo penale ogni qualvolta si riesca a giungere all'individuazione delle responsabilità, come si è avuto già modo di evidenziare nella prima parte della presente risposta.
      In conclusione, si rassicura l'interrogante che la direzione centrale della polizia di prevenzione e le autorità provinciali di pubblica sicurezza svolgono una costante attività di prevenzione attraverso un attento monitoraggio ed un'accurata raccolta informativa nei confronti dei movimenti estremisti – tra i quali CasaPound –, finalizzata a cogliere il minimo segnale di turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica e ogni ipotesi di deviazione dalle regole del diritto e della pacifica convivenza.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      PREZIOSI, BERLINGHIERI, ZAMPA, PATRIARCA, NICOLETTI, PRINA, CARRESCIA, TARICCO, COVA, BURTONE, GAROFANI, RICHETTI, MONACO, BASSO, OLIVERIO, RUBINATO e GINATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          si apprende che a fine anno termineranno le pubblicazioni, due riviste «Il Regno» e «Settimana»;
          ne hanno dato notizia il centro editoriale dehoniano (che edita le due testate) e la provincia italiana settentrionale dehoniani;
          si tratta di riviste storiche di grande tradizione, punto di riferimento culturale nel mondo cattolico e non solo;
          le ragioni che hanno indotto gli editori a fare questo annuncio risiedono in tanti fattori ed, in particolare, nel peso della crisi degli ultimi anni e nell'aumento dei costi legati tra l'altro alla distribuzione postale, elemento rilevante per questo tipo di pubblicazioni;
          ove fosse confermata la loro chiusura si tratterebbe di una perdita molto grave a discapito del pluralismo dell'informazione e di rappresentanza di idee e sensibilità per tutto il Paese;
          si tratta di una questione che riguarda anche altre pubblicazioni afferenti ad una editoria minore di qualità sulla quale è necessaria una riflessione da parte delle istituzioni competenti  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di convocare un tavolo di confronto con gli editori con l'obiettivo di scongiurare la chiusura dei due organi di informazione citati in premessa e consentire il prosieguo della loro attività a vantaggio del pluralismo e della valorizzazione di tutte le sensibilità culturali presenti in questo Paese. (4-09894)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
      Il settore dell'editoria sta attraversando, da diversi anni, una crisi profonda; ne sono ben consapevoli anche gli interroganti che hanno promosso l'interrogazione in esame.
      Si tratta di una crisi non momentanea, che trae origine da diversi fattori: il calo progressivo delle vendite dei giornali, il forte taglio degli investimenti pubblicitari delle imprese e la loro concentrazione sul mezzo televisivo, la scarsa redditività delle pubblicazioni on-line, l'aumento dei principali costi di produzione.
      A fronte di tali criticità, sembrano reggere meglio, in termini di livelli di vendita, i giornali locali, più radicati nelle comunità e più vicini alle realtà territoriali, così come i periodici – quali quelli citati nell'interrogazione – che hanno una più spiccata caratterizzazione culturale.
      Tuttavia, per queste testate, che arricchiscono il panorama di una editoria di minori dimensioni, e che vendono soprattutto per abbonamento, possono risultare ormai troppo onerosi, o non più sopportabili, i costi della distribuzione postale.
      Al riguardo, va ricordato che da diversi anni (dal 31 marzo del 2010) non è più vigente il sistema delle tariffe postali «agevolate» per le spedizioni editoriali, che prevedeva il pagamento, a carico degli editori, di tariffe molto ridotte, ed il rimborso a Poste italiane, a carico dello Stato, dell'intera differenza con un onere ingente che, negli ultimi anni, si era assestato intorno ai 250 milioni di euro per anno.
      Dal 2010, eliminato il finanziamento dello Stato, il livello delle tariffe per le spedizioni dei prodotti editoriali si è gradatamente avvicinato a quello delle spedizioni ordinarie, sulla base di disciplinari approvati con decreti del Ministro per lo sviluppo economico.
      Ciò detto, preme sottolineare che è in corso di esame in Parlamento un progetto di legge che ha la finalità di rivedere complessivamente ed approfonditamente l'attuale sistema del sostegno pubblico all'editoria, per renderlo non soltanto più selettivo rispetto al valore informativo delle pubblicazioni, ma anche più articolato in una serie di misure complementari e più efficace per le imprese.
      Nell'ambito delle linee di riforma dell'attuale sistema si colloca anche un possibile allargamento del contributo pubblico in favore di quelle riviste – come «Il Regno» e «Settimana» – che hanno una tradizione ed un valore culturale, ma che sino a questo momento non hanno potuto, per ragioni formali, usufruire del contributo pubblico diretto.
      Anche per quanto riguarda le problematiche della distribuzione postale, il Governo sta seguendo con attenzione il piano industriale di Poste, anche al fine di valutarne alcuni specifici aspetti di compatibilità con le esigenze del settore editoriale.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Luca Lotti.


      RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nello corso mese di febbraio la dirigenza di Poste italiane, in sede di Conferenza con le      regioni, ha reso note le linee guida del nuovo piano industriale della società, che prevede la razionalizzazione degli uffici postali sul territorio nazionale;
          il piano fa riferimento alla delibera dell'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni del 29 giugno 2014, che interviene sui punti di accesso alla rete postale, modificando i criteri di distribuzione degli uffici di Poste italiane, secondo le previsioni del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008;
          in base al piano coordinato da Agcom,      Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane, nel 2015 dovrebbero chiudere circa 400 uffici postali sul territorio nazionale, ed è anche prevista la riduzione degli orari di molti uffici;
          i tagli proposti stanno suscitando la preoccupazione e il disappunto di molte regioni ed enti locali, che stanno rivendicando un ruolo attivo nel processo di razionalizzazione, e oltre cento sindaci hanno già dichiarato che si mobiliteranno per impedire che si abbatta sugli uffici la scure del nuovo piano;
          in Toscana, in particolare, sarebbe stata decisa la chiusura dell'ufficio postale di Buriano, dove vive una comunità composta prevalentemente da anziani che non hanno la patente e che hanno difficoltà a recarsi presso altri comuni per usufruire dei servizi postali, e la riduzione degli orari dell'ufficio postale di Castiglione della Pescaia  –:
          quali provvedimenti intenda assumere affinché il piano di razionalizzazione non comporti eccessivi disagi agli utenti dei comuni interessati dalla chiusura o riduzione dell'apertura al pubblico degli uffici, garantendo il pieno diritto della cittadinanza all'accessibilità del servizio.
(4-08320)

      Risposta. — In via preliminare, occorre premettere che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per effetto del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n.  214.
      Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
      In tale ambito la fornitura del servizio universale presenta problematiche relative a particolari condizioni demografiche e territoriali, caratterizzate da vaste zone di difficile accessibilità ed a scarsa densità abitativa.
      Il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
      L'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
      Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
      Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
      Il Ministero è in più occasioni intervenuto, pur avendo perso, come detto in premessa, le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, affinché ogni intervento di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi.
      Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare ove possibile l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli, ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale». La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del contratto di programma, Poste italiane – anche tenuto conto del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche attraverso accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui che l'ipotesi di intervento in riduzione debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative. Poste italiane, nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. La società Poste italiane dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale termine è posticipato al 31 marzo 2016. La società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'Autorità entro il 1o luglio 2016.
      Parallelamente all'azione del Ministero, persiste l'attività di vigilanza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ha assicurato che provvederà a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane s.p.a., compresi gli eventuali interventi sulle sedi a cui si riferisce la presente interrogazione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Antonello Giacomelli.


      RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il piano di razionalizzazione degli uffici postali sul territorio nazionale, presentato dalla dirigenza di Poste italiane nel mese di febbraio 2015, sta suscitando la preoccupazione e il disappunto di molte regioni ed enti locali, che stanno rivendicando un ruolo attivo nel processo di razionalizzazione, e oltre cento sindaci hanno già dichiarato che si mobiliteranno per impedire che si abbatta sugli uffici la scure del nuovo piano;
          il piano di razionalizzazione, che è parte delle linee guida del nuovo piano industriale della società, fa riferimento alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del 29 giugno 2014, che interviene sui punti di accesso alla rete postale, modificando i criteri di distribuzione degli uffici di Poste italiane, secondo le previsioni del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008;
          in base allo stesso piano nel 2015 dovrebbero chiudere circa 400 uffici postali sul territorio nazionale, ed è anche prevista la riduzione degli orari di molti uffici;
          a seguito delle critiche al piano esposte dalle suddette categorie Poste italiane lo ha sospeso, ma nella nota che la società ha diffuso si parla espressamente solo di rinvio per il tempo necessario a un confronto con regioni e comuni interessati per «conciliare le esigenze aziendali con le istanze e le possibili eccezioni rappresentate dai territori», senza intaccarne, sembrerebbe, la sostanza;
          nella sola regione Veneto è prevista la chiusura di settantatré uffici postali, con gli ovvi disagi che ne conseguono per i cittadini;
          tra gli uffici che dovrebbero chiudere vi è anche quello di Pozzi di San Giorgio al Tagliamento, nel comune di San Michele al Tagliamento in provincia di Venezia, che serve un'utenza di oltre duemilacinquecento persone, molte delle quali sono anziane, elemento che dovrebbe rappresentare uno dei criteri per scongiurare le chiusure;
          proprio le persone anziane, infatti, sono quelle maggiormente colpite dalla chiusura, posto che doversi recare a chilometri di distanza per raggiungere gli altri uffici creerà loro notevoli disagi;
          gli uffici postali rappresentano un presidio dello Stato sul territorio oltre che un servizio a imprese e cittadini  –:
          quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere affinché il piano di razionalizzazione non comporti eccessivi disagi agli utenti dei comuni interessati dalla chiusura o riduzione dell'apertura al pubblico degli uffici e si garantisca il pieno diritto della cittadinanza all'accessibilità del servizio.
(4-08563)

      Risposta. — In via preliminare, occorre premettere che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per effetto del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n.  214.
      Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
      In tale ambito la fornitura del servizio universale presenta problematiche relative a particolari condizioni demografiche e territoriali, caratterizzate da vaste zone di difficile accessibilità ed a scarsa densità abitativa.
      Il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
      L'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
      Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
      Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
      Il Ministero è in più occasioni intervenuto, pur avendo perso, come detto in premessa, le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, affinché ogni intervento di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi.
      Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare ove possibile l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli, ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale». La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del contratto di programma, Poste italiane – anche tenuto conto del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche attraverso accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui che l'ipotesi di intervento in riduzione debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative. Poste italiane, nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. La società Poste italiane dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale termine è posticipato al 31 marzo 2016. La società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'Autorità entro il 1o luglio 2016.
      Parallelamente all'azione del Ministero, persiste l'attività di vigilanza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ha assicurato che provvedere a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane s.p.a., compresi gli eventuali interventi sulle sedi a cui si riferisce la presente interrogazione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Antonello Giacomelli.


      RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          nel 2007 è stato bandito il concorso pubblico per 404 posti per l'area C, posizione economica C1, profilo delle attività amministrative, da assumere presso l'Inail con contratto a tempo indeterminato. La procedura selettiva si è conclusa nel 2010, con la pubblicazione della graduatoria in Gazzetta Ufficiale (4° serie speciale — n.  11 del 9 febbraio 2010);
          dalla suddetta graduatoria, comprendente 566 persone, di cui 404 vincitori e 162 idonei, sono state autorizzate, fino al marzo 2012, assunzioni di 99 vincitori di concorso che, in seguito a 51 rinunce, hanno consentito lo scorrimento della graduatoria fino al posto n.  150;
          da quasi tre anni le assunzioni sono bloccate, pertanto, ad oggi, attendono ancora l'assunzione ben 254 vincitori e 162 idonei. Deve, tuttavia, evidenziarsi che la percentuale di rinunciatari è molto alta, superando il 50 per cento, dunque, occorrerebbero circa 200 autorizzazioni per far scorrere l'intera graduatoria fino all'assunzione di tutti i vincitori e gli idonei;
          oltre allo stato di incertezza in cui vivono i vincitori e idonei del concorso in questione, dovuto dall'attesa per lo scorrimento della graduatoria, la posizione degli stessi è aggravata dalla condotta di scarsa trasparenza e pubblicità dell'Inail, relativamente allo scorrimento della graduatoria;
          dopo ripetuti solleciti, nel tempo, le uniche informazioni fornite dall'ufficio del personale denunciano un persistente esubero nell'area interessata, che osta alla ripresa delle assunzioni;
          orbene, sembra che tale esubero, ad oggi, sia stato assorbito, le suddette assunzioni potrebbero riprendere nella seconda metà del 2015, ma non è dato sapere né quando e né quanti ne sarebbero coinvolti;
          anche in conformità ai principi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa, si ritiene necessario adottare in tempi brevi l'attuazione delle opportune misure per lo scorrimento della graduatoria dei 404 amministrativi C1 Inail anche attraverso la condivisione della stessa con le pubbliche amministrazioni che hanno carenze di personale, come già avvenuto per altre graduatorie (ad esempio la graduatoria dei 293 ispettori Inps, dalla quale hanno attinto personale l'Agenzia del territorio ed in questi ultimi giorni anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali);
          sul punto, si ricorda altresì che il Ministero della giustizia ha manifestato l'urgenza di far fronte alle consistenti carenze in organico e sta pertanto assumendo personale attingendo da graduatorie vigenti. Lo stesso dicasi per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
          a quanto è dato sapere, sembra sia intenzione del Governo ricollocare una parte del personale delle province, trasformate dalla recente riforma legislativa, nelle diverse pubbliche amministrazioni «con precedenza rispetto alle loro graduatorie». Se ciò fosse concretamente disposto, verrebbero ancora una volta postergati — e visto il trascorrere degli anni, di fatto cancellati — i diritti dei vincitori dei concorsi pubblici che da anni attendono la meritata assunzione, a causa della stringente limitazione del turn over e delle quattro riduzioni delle dotazioni organiche che sono state disposte nella precedente legislatura;
          si ritiene dunque necessario tutelare il diritto costituzionale dei vincitori dei concorsi pubblici all'assunzione nelle pubbliche amministrazioni, al fine di ottenere quanto prima una giusta conclusione della vicenda con l'esaurimento dell'intera graduatoria  –:
          quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati sui fatti esposti in premessa;
          se e quali provvedimenti intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, per lo scorrimento della graduatoria del concorso in questione anche attraverso la condivisione della stessa con le pubbliche amministrazioni che hanno carenze di personale, come già avvenuto per altre graduatorie.
(4-07339)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale si richiama l'attenzione del Governo sul concorso pubblico a 404 posti per l'area C – posizione C1 – bandito dall'Inail, sulla base delle informazioni fornite dall'istituto, si rappresenta quanto segue.
      L'Inail, sulla base dei decreti autorizzatori del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 marzo 2010, del 10 marzo 2011 e del 7 luglio 2011 ha, sino ad oggi, assunto 99 persone inserite nella graduatoria definitiva del predetto concorso. Si precisa, che l'ultima assunzione è avvenuta nel mese di marzo del 2012 ed ha riguardato il soggetto collocato alla 150esima posizione della graduatoria.
      L'Inail ha rappresentato che l'attuale dotazione organica dell'istituto, stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 gennaio 2013, è il risultato dei processi di rideterminazione imposti dapprima dal decreto-legge n.  138 del 2011 e successivamente dal decreto-legge n.  95 del 2012. L'Istituto ha, inoltre, evidenziato che il comma 11 dell'articolo 2 del citato decreto-legge n.  95 del 2012, vieta alle pubbliche amministrazioni di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo fino al completo riassorbimento degli esuberi.
      L'Inail ha, inoltre, reso noto che le assunzioni effettuabili in base a quanto stabilito dal comma 1 dell'articolo 3 del decreto-legge n.  90 del 2014 – e cioè in misura percentuale rispetto al personale cessato nell'anno precedente – sono utilizzate per l'acquisizione di professionalità sanitarie – fisioterapisti, assistenti sociali, medici di I e II livello – tenuto conto che, proprio per tali categorie, l'articolo 1, comma 111 della legge di stabilità per il 2013 ha previsto un'esplicita deroga all'obbligo di riduzione della dotazione organica.
      Per quanto concerne l'opportunità – segnalata nel presente atto parlamentare – di condividere la graduatoria in parola con le pubbliche amministrazioni che presentano carenze di personale, l'Inail ha reso noto che secondo il comma 61 dell'articolo 3 della legge n.  350 del 2003, l'Istituto non può assumere alcun ruolo attivo nel procedimento di cessione della graduatoria ma solo consentire alle amministrazioni che ne facciano richiesta di attingere dalla propria graduatoria.
      Da ultimo, l'Inail nel rappresentare che le eccedenze di personale nel profilo professionale in parola sono ormai in via di definitivo riassorbimento – anche alla luce dei futuri pensionamenti – ha manifestato il determinato intendimento a riprendere a breve le assunzioni dei vincitori del concorso in parola.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Massimo Cassano.


      SALTAMARTINI e MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          un dirigente del sindacato di polizia è stato sospeso dal servizio con l'accusa infamante di aver deliberatamente prelevato materiale di vecchio tipo non più in uso al personale della Polizia di Stato per poi esibirlo al giornalista durante l'intervista televisiva realizzata da Ballarò l'inadeguatezza dei mezzi attualmente a disposizione delle Forze dell'ordine;
          il segretario generale del Sap, Gianni Tonelli, ha preannunciato l'intenzione di sporgere denuncia nei confronti del capo della polizia, prefetto Alessandro Pansa, asserendo che la sospensione del dirigente del sindacato è stata disposta sulla base di presupposti falsi;
          dirigente sospeso dalla polizia aveva tra l'altro rivelato come non solo le dotazioni, ma anche le procedure addestrative in uso presso il personale fossero assolutamente inadeguate, essendo deficitaria o assente la preparazione al tiro dinamico contro bersagli in movimento e mancando le nozioni basilari per operare in ambienti colpiti da attacchi Nbc;
          sarebbero state quindi soltanto segnalate delle criticità, peraltro oggetto di numerose inchieste giornalistiche più o meno recenti, e allo scopo di ovviarvi, non certo di distruggere le capacità operative della polizia o lucrare improbabili vantaggi politici futuri  –:
          cosa sia effettivamente successo in relazione alla vicenda generalizzata in premessa e, in particolare, se il Governo non ritenga di assumere iniziative per rivedere il provvedimento disciplinare che agli interroganti appare eccessivo e infondato rispetto ad una indagine ancora in itinere e con parecchi aspetti ancora da chiarire. (4-11446)

      Risposta. — La vicenda su cui verte l'interrogazione ha origine lo scorso mese di dicembre, allorquando il capo della polizia, su motivata proposta del questore di Roma, ha sospeso cautelarmente dal servizio un dipendente avente la qualifica di assistente capo, ai sensi dell'articolo 92 del decreto del Presidente della Repubblica.
      Il provvedimento è stato motivato da gravi motivi disciplinari anche alla luce del grave pregiudizio arrecato dal predetto all'immagine e al prestigio dell'Amministrazione in ragione dell'ampia risonanza mediatica che si riassume brevemente di seguito.
      L'assistente capo, in divisa, con voce camuffata e il volto oscurato, ha reso un'intervista mandata in onda durante la trasmissione televisiva di RAI 3 «Ballarò», nel corso della quale ha rilasciato dichiarazioni non autorizzate su argomenti riservati, mostrando ai giornalisti materiale obsoleto e deteriorato in dotazione alla polizia di Stato.
      Dalla ricostruzione dei fatti è stato possibile appurare che il dipendente aveva prelevato materiale di vecchio tipo per poi esibirlo durante l'intervista.
      Per quanto sopra, si ritiene che il provvedimento in questione sia stato adottato in corretta applicazione della normativa vigente.
      Si soggiunge che, in considerazione della grave condotta posta in essere, l'assistente capo è stato altresì denunciato alla procura della Repubblica per i reati di peculato, abuso d'ufficio e diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico nonché per abbandono del posto di servizio.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      SANGA e CARNEVALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          le notizie di stampa riportano il piano di riorganizzazione nazionale 2013/2014 di Poste Italiane spa che prevede la chiusura di 65 uffici postali in Lombardia e la limitazione dei giorni di apertura di altri 120 uffici;
          la possibilità concreta che il piano d'impresa 2015/2019 possa prevedere ulteriori tagli e limitazioni al servizio;
          sono pervenute numerose segnalazioni di disservizio dell'attività di Poste italiane spa nel territorio della provincia di Bergamo;
          il territorio bergamasco subirà gravi penalizzazioni e ricadute negative anche dal punto di vista occupazionale  –:
          quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda attivare per garantire la qualità ed efficienza del servizio sull'intero territorio bergamasco e lombardo, con particolare attenzione alle aree montane. (4-09599)

      Risposta. — In via preliminare, occorre premettere che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per effetto del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n.  214.
      Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
      In tale ambito la fornitura del servizio universale presenta problematiche relative a particolari condizioni demografiche e territoriali, caratterizzate da vaste zone di difficile accessibilità ed a scarsa densità abitativa.
      Il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
      L'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
      Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
      Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
      Il Ministero è in più occasioni intervenuto, pur avendo perso, come detto in premessa, le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, affinché ogni intervento di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi.
      Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare ove possibile l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli, ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste Italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale». La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del contratto di programma, Poste italiane – anche tenuto conto del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche attraverso accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui che l'ipotesi di intervento in riduzione debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative. Poste italiane, nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale. La società poste italiane dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. Per l'anno 2015, tale termine è posticipato al 31 marzo 2016. La società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'Autorità entro il 1o luglio 2016.
      Parallelamente all'azione del Ministero, persiste l'attività di vigilanza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ha assicurato che provvederà a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane s.p.a., compresi gli eventuali interventi sulle sedi a cui si riferisce la presente interrogazione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Antonello Giacomelli.


      SQUERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la distribuzione dei prodotti carbolubrificanti presso le aree di servizio autostradali è classificata come servizio pubblico il cui esercizio è fatto ricomprendere negli atti di concessione con i quali vengono affidate le differenti tratte autostradali italiane;
          la distribuzione dei prodotti carbolubrificanti presso le aree di servizio autostradali è soggetta ad una specifica concessione petrolifera rilasciata dalla regione competente per territorio, ai sensi e per gli effetti della legge 1034/1070 e del decreto legislativo 112 del 1998, nonché all'affidamento del servizio presso la singola area conseguente ad apposita procedura di gara ad evidenza pubblica organizzata dalla società concessionaria;
          più recentemente l'articolo 28, comma 10, del    decreto-legge n.  98 del 2011, così come modificato dall'articolo 17, comma 4 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, convertito con legge n.  27 del 2012, ha attribuito compiti specifici ed inequivocabili in materia prevedendo che le «procedure competitive in aree autostradali in concessione [siano] espletate secondo gli schemi stabiliti dall'Autorità di regolazione dei trasporti»; tale autorità, istituita dall'articolo 37 del decreto-legge n.  201 del 2011 ha, tra le altre competenze, quelle di «garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali»;
          gli affidatari del servizio di distribuzione dei prodotti carbolubrificanti corrispondono attualmente, nella generalità dei casi, alle compagnie petrolifere normalmente attive nel nostro mercato, le quali di norma si servono di un Gestore per l'espletamento di tale servizio;
          a tutela dell'interesse collettivo prevalente, della continuità e della qualità dei servizi resi, della tutela dell'autonomia della impresa di gestione nel rapporto trilatero con il concessionario e la compagnia petrolifera e della salvaguardia dei livelli di occupazione nel settore, i Ministeri delle attività produttive e delle infrastrutture e dei trasporti si fanno promotori e firmatari di due appositi Accordi collettivi interprofessionali, sottoscritti in sede istituzionale l'8 luglio 2002 ed il 4 dicembre 2002, a livello interassociativo ai sensi del decreto legislativo n.  32 del 1998 e delle leggi n.  496 del 1999 e n.  57 del 2001. Accordi con i quali i concessionari, le compagnie petrolifere ed i rappresentanti dei Gestori assumono formali impegni, tra l'altro, in relazione al fatto che i bandi di gara ed i relativi contratti di convenzione che legano i concessionari agli affidatari prevedano:
              a) la cosiddetta «continuità gestionale», come previsto dalla legge n.  1034 del 1970, vale a dire la prosecuzione del contratto che lega l'affidatario al Gestore fino alla sua naturale scadenza temporale anche nel caso che la gara sia vinta da un altro concorrente;
              b) il rispetto della normativa speciale di settore per la distribuzione carburanti e dei relativi Accordi collettivi che regolano i rapporti tra affidatari e Gestori;
              c) che gli affidatari possano trasferire sui Gestori gli obblighi assunti nei confronti dei concessionari solo se compatibili con la suddetta normativa di settore;
              d) che ai Gestori sia sempre consentito di esercitare le attività collaterali cosiddette «non oil», ivi compresa l'attività di somministrazione di alimenti e bevande, così come previsto dalle norme volte a liberalizzare le attività commerciali ed in particolare la già citata legge n.  496 del 1999, legge n.  57 del 2001 e, da ultimo la legge n.  27 del 2012;
          a questo specifico proposito l'Autorità di garanzia per la concorrenza ed il mercato si è ripetutamente pronunciata nel tempo a favore della eliminazione della cosiddetta «esclusiva d'area», che di fatto affida, in regime di monopolio, la vendita e la somministrazione di alimenti e bevande ai marchi della ristorazione, e dell'introduzione e dell'affidamento al Gestore dei servizi carbolubrificanti di attività cosiddette «sottopensilina» e di «sosta veloce»;
          i meccanismi di gara ed i criteri dell'aggiudicazione dei servizi carbolubrificanti e di ristorazione, definiti dalle società concessionarie autostradali, sono stati sostanzialmente improntati, a partire dal 2002 in avanti, a premiare il massimo rilancio dei concorrenti in ordine alle royalty percepite dai medesimi concessionari, determinandone uno straordinario innalzamento che, secondo la stima resa pubblica da alcuni operatori del settore, è quantificabile in un più 1400 per cento, all'esito della crescita delle royalty dalle 25 lire per litro medie del 2002, ai 18 eurocent per litro, medi del 2009;
          tutto ciò ha evidentemente finito per determinare un livello medio di prezzi al pubblico dei carburanti distribuiti presso le aree di servizio autostradali particolarmente superiore a quello praticato sulla viabilità ordinaria della rete distributiva italiana (mediamente più 15 cent per litro secondo i dati resi pubblici dal sito del Ministero dello sviluppo economico, oltreché presso le reti autostradali degli altri Paesi europei;
          l'alto livelli di prezzi al pubblico ha sviato progressivamente sia il singolo utente, sia quello professionale – autotrasportatori, pendolari, e altro – producendo una drastica contrazione dei volumi di vendita mediamente superiore al 50 per cento negli ultimi cinque anni, con punte oltre il 70 per cento;
          il settore specifico della distribuzione dei carburanti in autostrada – che, come detto, è chiamato ad assolvere un servizio pubblico essenziale per assicurare il diritto alla mobilità dei cittadini, oltre a vedere il coinvolgimento di centinaia di aziende grandi e piccole e ad impiegare circa 8.000 lavoratori – si trova perciò da anni in uno stato di crisi eccezionale, caratterizzato dalla contrazione dei volumi di vendita, dall'alto livello dei prezzi al pubblico, dallo scarso livello di servizi sia in termini di diversificazione, sia in termini di standard qualitativi, dall'inadeguato livello di investimenti e manutenzione delle stesse aree di servizio;
          nonostante il legislatore avesse, come detto, opportunamente previsto che le procedure competitive in aree autostradali in concessione fossero espletate secondo gli schemi stabiliti dall'Autorità di regolazione dei trasporti, il 29 marzo 2013 il Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti del Governo allora dimissionario e quindi in carica per i soli atti di ordinaria amministrazione emanò un atto di indirizzo avente ad oggetto l'individuazione dei criteri per l'affidamento dei servizi di distribuzione carbolubrificanti e delle attività commerciali e ristorative nelle aree di servizio delle reti autostradali, nei fatti esercitando una funzione di surroga, non prevista però dalla norma, «nelle more dell'entrata in operatività dell'Autorità della regolazione dei trasporti»;
          pur mostrando implicitamente di aver compreso quale parte rilevante abbiano avuti i meccanismi di gara ed i criteri di affidamento adottati dai concessionari autostradali nello stato di crisi del settore relativo, le indicazioni, che il Ministero offre con l'atto di indirizzo del 2013 verso la formulazione di bandi di gara che privilegino, «offerte» dei concorrenti più riequilibrate verso il livello di «servizio» piuttosto che quello delle «royalty», appaiono, a giudizio dell'interrogante, generiche e di massima, e non sembrano essere in grado di raggiungere l'obiettivo indicato, non essendo accompagnate né dalla necessaria cogenza, né da parametri certi e misurabili, né dalla necessaria previsione di penalità in caso di inadempienza;
          inoltre, il medesimo atto appare in evidente contraddizione con la natura stessa del concetto di pubblico servizio nel lasciare ai concessionari l'ampia possibilità di adottare sistemi di distribuzione dei carburanti interamente automatizzati che, naturalmente, prevedono il venir meno anche della mera assistenza all'automobilista e, infine, persino del presidio dell'area. La qual cosa, oltre al resto, è in aperto contrasto con la normativa speciale che regola la distribuzione dei carburanti e con gli accordi collettivi di livello interprofessionale e di livello aziendale, sottoscritti in forza di tale normativa, ivi compresi quelli già citati e condivisi in sede ministeriale nel 2002;
          non appare fuori luogo, in un tale contesto così degradato e confuso, evidenziare come proprio i suddetti accordi collettivi, che la legge impone – nel rispetto dell'interesse generale prevalente sia in ordine ai principi di tutela e di equità, che in ordine alla necessità di garantire condizioni di concorrenza in un mercato naturalmente oligopolistico – regolino le condizioni economico-normative alla base del rapporto tra compagnie petrolifere e gestori, siano scaduti e non adeguati mediamente da 6 anni con tutte le aziende. Accordi collettivi che, quindi, riguardano direttamente i soggetti – vale a dire i gestori – sui quali ricade in definitiva il compito di assicurare il pubblico servizio al livello migliore possibile per il consumatore. Tutto questo risulta peraltro agli atti dello stesso Ministero dello sviluppo economico, al quale la legge affida sia il compito di assicurare la pubblicità di tali accordi collettivi, sia quello di avviare procedure per la mediazione delle vertenze collettive, ed agli atti della Commissione di garanzia per lo sciopero nei pubblici servizi essenziali che, più di una volta, dal 2012 in avanti, si è fatta promotrice di procedure di raffreddamento delle vertenze in atto;
          valutando il contenuto dell'atto di indirizzo del 2013 non pienamente corrisponde, ad offrire le necessarie risposte allo stato di crisi del settore, a marzo del 2014 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha avanzato una formale richiesta di parere all'Autorità garante della concorrenza e del mercato in ordine all'eventuale adozione di un nuovo atto di indirizzo teso all’«elaborazione di un Piano di ristrutturazione delle aree di servizio autostradali che razionalizzi le infrastrutture e rivisiti le modalità di resa dei servizi»;
          con tale richiesta di parere il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti contempla la necessità di un nuovo atto di indirizzo che preveda anche la chiusura di una serie di aree di servizio ritenute inefficienti e, a questo scopo, la proroga fino al 31 dicembre 2015 della scadenza degli attuali affidamenti dei servizi, sospendendo le procedure di gara per il loro rinnovo per un periodo di uguale durata;
          con comunicazione del 16 aprile 2014, l'Antitrust esprime il proprio parere favorevole, rilevando da una parte «il valore estremamente elevato delle royalties pagate dalle società sub-concessionarie alle concessionarie autostradali a seguito dell'ultima tornata di gare (svoltasi tra il 2007 ed il 2008)», nonché valutando che «il ritardo nell'effettuazione delle gare per gli affidamenti delle sub-concessioni oil sul sedime autostradale possa essere accettabile esclusivamente nella prospettiva che ad esso si affianchi un processo di ristrutturazione», vale a dire piani per la chiusura di un congruo numero di aree di servizio, a cui dovrebbero attivamente essere chiamate «tutte le amministrazioni coinvolte nell'attuale processo di rilascio della concessione petrolifera sul sedime autostradale ai sensi dell'articolo 105, comma 2, lettera f), del decreto legislativo n.  112/98, e dunque in primo luogo le Regioni competenti»;
          in conseguenza, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha invitato, con apposita comunicazione del 5 maggio 2014, tutte le società concessionarie a sospendere le procedure di gara, ivi comprese quelle già avviate, per il rinnovo degli affidamenti dei servizi carbolubrificanti;
          seppure in regime di prorogatio, in non pochi casi alcuni concessionari hanno comunque proceduto ad effettuare nuovi affidamenti dei servizi carbolubrificanti e/o ad autorizzare, anche attraverso specifiche intese con le compagnie petrolifere/affidatarie del servizio, l'adozione di sistemi interamente automatizzati (privi di servizio ed assistenza all'automobilista) di distribuzione dei carburanti presso alcune aree di servizio;
          in data 29 gennaio 2015, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con quello dello sviluppo economico, hanno emanato un secondo atto di indirizzo avente ad oggetto l'individuazione dei criteri per l'elaborazione di un piano di ristrutturazione della rete delle aree di servizio presenti sui sedimi autostradali;
          anche tale secondo atto non appare rispondere positivamente né alle necessità, né agli obiettivi che dichiara di voler perseguire. In primo luogo, perché non aggiunge alcun elemento utile a quanto già contenuto nel primo atto del 2013 in relazione ai meccanismi di gara ed ai criteri di aggiudicazione dei nuovi affidamenti, soprattutto in ordine al contenimento del livello di royalty pretese dai concessionari e, di conseguenza, a beneficio degli standard di servizio offerto e dei prezzi al pubblico praticati sui carburanti. In secondo luogo, perché, sotto il profilo della razionalizzazione della rete distributiva autostradale e quindi della riduzione dei punti vendita, l'atto prevede soglie – sotto i due milioni di litri di carburanti e sotto i 750 mila euro di fatturato sulla ristorazione ed altro – per individuare aree di servizio da portare eventualmente in chiusura del tutto inadeguate, nell'ottica di immaginare chiusure in numero congruo per realizzare un concreto contenimento dei costi ed una reale efficienza complessiva che avvicini la rete italiana a quella europea. In terzo luogo, perché non mette riparo, in alcun modo, alle mancate omissioni relative alla legislazione speciale sulla distribuzione carburanti, alla tutela degli operatori attualmente presenti e alla salvaguardia dei livelli occupazionali;
          in questo contesto, e facendo ulteriormente seguito ai suddetti atti di indirizzo, in data 7 agosto 2015 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministro dello sviluppo economico hanno emanato un decreto interministeriale con il quale viene definito il programma per la ristrutturazione della rete delle aree di servizio autostradali e sono fissati ulteriori criteri per lo svolgimento delle gare;
          tuttavia avverso a tale decreto interministeriale risultano essere già stati depositati presso il TAR del Lazio numerosi ricorsi tesi ad annullarne l'efficacia, previa l'immediata sospensione, in ragione di plurime contestazioni che vanno dall'incompetenza per il mancato coinvolgimento dell'Autorità dei trasporti e delle regioni, all'eccesso di potere per carenza dell'istruttoria e contraddittorietà rispetto agli atti di indirizzo; dalla illegittimità per violazione e falsa applicazione della legislazione sopra richiamata, alla mancata adesione ai principi comunitari di tutela della concorrenza;
          più nel dettaglio il suddetto decreto viene contestato per non aver previsto un adeguato numero di chiusure (solo 25 a fronte di 15 nuove aperture); per non aver convenientemente salvaguardato la natura specifica del pubblico servizio, minata da un livello di royalty pretese del tutto irragionevoli, da un conseguente livello di prezzi fuori mercato e penalizzante per gli utenti, da standard di servizio inefficienti e non opportunamente incentivati e da un progressivo indirizzo verso forme interamente automatizzate di vendita; per aver sostanzialmente svuotato il principio di continuità gestionale teso a salvaguardare gli investimenti, la continuità del servizio e la tutela occupazionale; per aver surrettiziamente reintrodotto garanzie a protezione dell'esclusiva d'area a favore dei marchi della ristorazione, attraverso un'attività regolatoria asimmetrica, capace di alterare la struttura del mercato e della concorrenza;
          in ogni caso, contrariamente a quanto prescritto, l'Autorità della regolazione dei trasporti, a quanto risulta all'interrogante non si è ancora mai espressa in materia nonostante i suoi commissari siano stati da tempo regolarmente nominati e svolgano pienamente le funzioni loro assegnate  –:
          quali iniziative di competenza intendano intraprendere affinché l'Autorità di regolazione dei trasporti, di cui all'articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, sia messa nelle condizioni di stabilire gli schemi secondo i quali espletare le procedure competitive in aree autostradali in concessione, così come tassativamente previsto dall'articolo 17 della legge n.  27 del 2012;
          quali iniziative intendano assumere affinché sia evitato il contenzioso appena avviato presso i competenti tribunali amministrativi regionali che rischia di ingenerare gravissime conseguenze sia sotto il profilo della tutela del servizio pubblico, della regolarità e della continuità del medesimo servizio e della mobilità dei cittadini, sia sotto il profilo del danno economico e della tutela degli investimenti effettuati dagli operatori coinvolti nel settore e dei livelli occupazionali esistenti;
          in particolare, se i Ministri interrogati non stiano opportunamente valutando l'ipotesi di ritirare il decreto interministeriale del 7 agosto 2015 e di avviare una fase consultiva delle istituzioni variamente competenti e degli operatori interessati per procedere ad una sua revisione meglio adeguata agli scopi ed alle finalità perseguite;
          più nel dettaglio, quali iniziative intendano assumere affinché, nell'interesse generale prevalente, il servizio di distribuzione dei prodotti carbolubrificanti presso le aree autostradali torni ad essere esercitato secondo le caratteristiche proprie del pubblico servizio essenziale in concessione, vale a dire all'interno di strutture idonee ed adeguatamente ricettive, assicurando standard di servizio minimi (con ciò escludendo la completa automazione del servizio) e diversificazione dell'offerta, adottando meccanismi di assegnazione delle aree tali da garantire prezzi al pubblico in linea con il resto del mercato, prevedendo parametri certi e procedure di verifica e controllo, oltreché penalità per il concessionario nel caso di inadempienza;
          in tale ambito, quali iniziative intendano assumere affinché sia davvero raggiunto l'obiettivo essenziale di razionalizzare la rete delle aree autostradali attraverso la chiusura di punti vendita tra i meno efficienti e comunque in numero tale da assicurare che la distanza tra essi sia ricompresa tra i 50 ed i 70 chilometri, così come già avviene in altri Paesi europei;
          nel medesimo ambito, quali    iniziative    intendano assumere per garantire che già nei meccanismi di gara, nei criteri di aggiudicazione dei nuovi affidamenti e, di conseguenza, nei contratti di affidamento dei servizi sia tassativamente previsto l'obbligo al rispetto anche del quadro normativo vigente relativo alla distribuzione dei carburanti (– legge n.  1034 del 1970, decreto legislativo n.  32 del 1998, legge n.  496 del 1999, legge n.  57 del 2001, legge n.  27 del 2012 –) in particolare avuto riguardo alla «continuità gestionale» e all'esercizio delle attività collaterali cosiddette «sottopensilina» e di «sosta veloce». (4-10809)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      Il decreto interministeriale 7 agosto 2015, di approvazione del piano di ristrutturazione della rete delle aree di servizio presenti sui sedimi autostradali, è l'esito di un lungo processo di razionalizzazione a fronte della crisi del settore e delle richieste degli operatori. Con il perdurare della crisi economica che ha prodotto un calo dei volumi di traffico e dei consumi sulla rete autostradale, le principali associazioni di categoria dei gestori di stazioni di servizio avevano segnalato le gravi difficoltà in cui si trovano gli operatori economici del settore.
      Il citato decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dello sviluppo economico è stato sottoposto alla Conferenza delle regioni e delle province autonome che lo ha condiviso.
      Il piano, che riguarda l'intera rete autostradale, compresa la rete ANAS, oltre ai raccordi e tangenziali, per un totale di n.  463 aree, è finalizzato a riportare condizioni di economicità ed efficienza nei servizi autostradali per l'esercizio sia delle attività commerciali e ristorative, sia delle attività di distribuzione di carbolubrificanti. Sono previste misure di razionalizzazione della rete delle aree e misure di rivisitazione delle modalità dei servizi all'utenza finalizzate: alla chiusura di aree di servizio, alla gestione in modalità stagionale di alcune aree, all'esercizio di gestioni unitarie delle attività oil e non oil, all'accorpamento di aree di servizio, all'ampliamento dei servizi di rifornimento self-service, in particolare nell'orario notturno. Inoltre, è stata posta l'attenzione sulla necessità della salvaguardia dei livelli occupazionali, riducendo al minimo la perdita dei posti di lavoro.
      Le aree chiuse saranno 25 e tali chiusure sono limitate alle previsioni delle società concessionarie relativamente alle aree con erogati inferiori a 2 milioni di litri annui e fatturati relativi ai prodotti principali inferiori a 750.000 euro annui, rispettando l'interdistanza minima tra impianti non superiore a 50 chilometri, al fine di garantire un adeguato servizio all'utenza.
      Non è prevista la concessione di deroghe al rispetto dei predetti requisiti e i casi di dismissione sono comunque accompagnati da piani di riconversione/utilizzo dell'area o dalla previsione di riapertura per lo svolgimento di servizi stagionali.
      Sarà inoltre assicurata una implementazione della segnaletica per i rifornimenti oil e per i servizi non oil, per segnalare all'utenza le disponibilità lungo i tratti autostradali.
      Al fine di ridurre i casi di chiusure sono previste misure di:
          sensibilizzazione dei concessionari autostradali per la riduzione dei canoni di subconcessione al fine di mitigare l'onerosità complessiva dei contratti, così da ottenere una diminuzione delle royalties permettendo un adeguamento dei prezzi praticati nelle aree a quelli della viabilità ordinaria, o comunque del mercato;
          accorpamenti di più aree non adiacenti, con un'interdistanza non inferiore a 100 chilometri per l’oil e 150 per la ristorazione, in un'unica gara al fine di rendere economicamente sostenibile la gestione del servizio anche in casi di aree economicamente non remunerative;
          gestioni unitarie delle attività oil e non oil, al fine di assicurare la sostenibilità dei servizi;
          particolari condizioni per la continuità gestionale in base agli Accordi del 2002 che fanno salvi, anche in presenza di cambi di affidatari, le imprese di gestione delle aree, a garanzia degli investimenti effettuati, della continuità del servizio e dell'occupazione.

      Tra le misure di ristrutturazione della rete attraverso l'implementazione della modalità dei servizi all'utenza è prevista:
          l'implementazione dei servizi self-service di distribuzione dei carbolubrificanti e del servizio ristoro, in particolare durante l'orario notturno, ma sempre con la presenza di personale nell'area;
          l'implementazione dell'utilizzo dei carburanti alternativi, ampliando l'offerta della ricarica elettrica e della distribuzione del carburante metano per autotrazione, nei casi di vicinanza alla rete distributiva e di disponibilità di superfici adeguate dell'area per il rispetto delle norme di sicurezza;
          l'implementazione di misure di sicurezza dell'area attraverso un presidio continuativo della stessa, eventualmente anche attraverso un servizio di security.

      In merito al mancato coinvolgimento dell'Autorità di regolazione dei trasporti cui fa riferimento l'interrogante, si precisa che la normativa vigente prevede autonome competenze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sia quale regolatore del settore autostradale (decreto-legge n.  262 del 2006) che nella veste di concedente e controparte convenzionale delle concessionarie autostradali (decreto-legge n.  201 del 2011).
      Per quanto detto, il piano è stato predisposto al fine di assicurare sia la tutela del servizio pubblico, la regolarità e continuità dello stesso e la tutela dell'utenza, sia la tutela degli investimenti effettuati dagli operatori del settore nonché la tutela dei livelli occupazionali, prevedendo anche l'impegno per l'affidatario a mantenere per almeno 18 mesi le risorse occupate.
      Si garantisce, inoltre, la vigilanza del rispetto nei contratti di affidamento dei servizi di tutto il quadro normativo vigente in materia, in particolare per quanto attiene alla continuità gestionale, come previsto dagli atti di indirizzo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dello sviluppo economico del 29 marzo 2013 e del 29 gennaio 2015 e dal decreto interministeriale.
      Le società dei gestori dei servizi di distribuzione di carbolubrificanti nelle aree di servizio oggetto del «Piano in questione hanno instaurato giudizi contro il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dello sviluppo economico avanzando in alcuni casi istanze di sospensiva cautelare del decreto, istanze rigettate dal TAR Lazio, vista anche la delicatezza della problematica connessa, fissando le relative udienze ai mesi di aprile e maggio 2016.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Graziano Delrio.