XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 30 marzo 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              l'ISEE, recante definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate è stato introdotto per la prima volta con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  109, ma essendosi rivelata una normativa incapace di garantire un sufficiente grado di equità nell'individuazione dei beneficiari, non avendo ben considerato tutte le diverse fonti di reddito disponibile e di ricchezza patrimoniale delle famiglie, è subentrata una nuova disciplina introdotta dall'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214;
              il citato articolo 5 ha stabilito che «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare (...) entro il 31 maggio 2012, sono rivisti le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico; migliorare la capacità selettiva dell'indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all'estero (...); permettere una differenziazione dell'indicatore per le diverse tipologie di prestazioni»;
              in particolare, in attuazione di tale disposizione, è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n.  159, con cui sono fissati i requisiti d'accesso alle prestazioni sociali e il livello di partecipazione al loro costo da parte degli utenti, sì da definire il livello essenziale delle prestazioni, includendo tra le prestazioni economiche agevolate, cui l'ISEE si riferisce, all'articolo 1, comma 1, lettera f), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, anche le «prestazioni agevolate di natura sociosanitaria rivolte a persone con disabilità e limitazioni dell'autonomia»;
              accogliendo parzialmente tre ricorsi presentati dai familiari di persone con disabilità e dalle associazioni di categoria dei portatori di handicap, la sezione prima del tribunale amministrativo regionale del Lazio, con le sentenze n.  2454/2015, n.  2458/2015 e n.  2459/2015 dell'11 febbraio 2015, è intervenuto dunque su alcuni punti di notevole importanza per le persone con disabilità stabilendo in sostanza: 1) che i trattamenti assistenziali (pensioni, assegni, contributi vari) di qualsiasi tipo non devono essere considerati nel calcolo della situazione reddituale; 2) che non possono essere previste franchigie maggiorate per i soli disabili minorenni;
              contro le sentenze del TAR, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell'economia e delle finanze avevano presentato ricorso al Consiglio di Stato il quale tuttavia in data 29 febbraio 2016 ha respinto il ricorso stesso;
              il Consiglio di Stato ha dato ragione alle famiglie che chiedevano una definizione più restrittiva della definizione di «reddito disponibile» che non includesse «la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale» dichiarando che l'indennità di accompagnamento non può essere considerata un «reddito» e, quindi, non pesa sul calcolo dell'ISEE;
              il Consiglio di Stato ha respinto l'appello confermando che le indennità previste per la disabilità non devono essere conteggiate come reddito prevedendo che: «L'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva ed ontologica situazione di inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale». Per tali motivi il Consiglio di Stato ha ritenuto che non ha senso prevedere che tali aiuti vengano inglobati nel reddito facendo così crescere il valore dell'ISEE della famiglia, che rischierebbe quindi di essere esclusa da altri benefìci riservati ai nuclei in difficoltà e ha riconosciuto che le indennità di accompagnamento «non determinano una migliore situazione economica del disabile rispetto al non disabile»;
              alla luce di tale sentenza appare totalmente condivisibile l'affermazione delle associazioni ricorrenti, le quali hanno affermato con forza che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito, come se fosse un lavoro o un patrimonio, ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni non un sostegno al disabile, ma una «remunerazione» del suo stato di invalidità: un dato oltremodo irragionevole oltre che in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione;
              per quanto riguarda gli studenti universitari l'ultimo decreto emanato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini ha lo scopo di arginare l'effetto del nuovo ISEE che in quest'anno accademico sta escludendo dalla borsa di studio fino a oltre il 20 per cento degli studenti dell'anno precedente di fatto alzando per l'anno accademico 2016/2017 le soglie massime ISEE e ISPE rispettivamente a 23 mila e a 50 mila euro (quest'anno sono a 21 mila e 35 mila);
              allo scopo di ridurre l'impatto negativo di quest'anno del nuovo ISEE sul diritto allo studio (se su media nazionale oltre il 20 per cento degli studenti ha perso la borsa di studio nell'ultimo anno accademico, in Sicilia si è raggiunta una punta del 40 per cento) alcune regioni nei mesi scorsi hanno messo in campo interventi compensativi;
              criticabile è la ferita inferta al diritto di cittadinanza: includere assegni, pensioni e indennità di accompagnamento nel computo generale dei redditi non prende in considerazione il fatto che applicare la disciplina ad oggi prevista per l'ISEE a quei trattamenti e prestazioni economiche che garantiscono livelli essenziali di vita a persone che hanno perso la capacità di produrre reddito o non sono autosufficienti, comporterebbe la perdita di garanzie sociali primarie e il pericolo che l'ISEE sia la bilancia per stabilire chi è dentro e chi è escluso perché benestante misurando, più che i finti poveri, i nuovi poveri;
              l'inclusione di prestazioni «monetarie» nel calcolo del reddito mette in allerta anche immuni, posti di fatto davanti a un bivio: penalizzare famiglie oggi incluse, paradossalmente le più bisognose, oppure alzare la soglia di accesso ai servizi ampliando la platea dei beneficiari e accollandosi, in definitiva, maggiori esborsi,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per realizzare una più equa riforma del sistema di calcolo dell'ISEE, in particolare predisponendo una tutela più efficace dei soggetti più deboli della società, come gli anziani malati e i disabili in condizione di gravità, conformemente alla citata sentenza del Consiglio di Stato, al fine di realizzare la totale esclusione di tutte le prestazioni legate alla disabilità, prevedendo l'esclusione ex lege dell'applicazione del modello ISEE con riferimento a tutte le forme di provvidenze di natura previdenziale e assistenziale;
          a procedere ad una quantificazione del valore delle prestazioni non erogate a causa delle disposizioni sul sistema di calcolo ISEE censurate dal Consiglio di Stato assumendo iniziative per predisporre un meccanismo di risarcimento immediato dei cittadini che, a causa di tali disposizioni, non hanno potuto usufruire di prestazioni che sarebbero loro spettate;
          ad assumere iniziative per predisporre in breve tempo delle linee guida atte a permettere agli organi preposti al recepimento del modello ISEE di calcolarne il valore nel periodo transitorio precedente ad una riforma della normativa vigente.
(1-01201) «Baldassarre, Artini, Bechis, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», il cosiddetto «Salva Italia», prevede, all'articolo 5, la delega al Governo per la nuova regolamentazione del calcolo dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE);
              dall'interpretazione letterale della disposizione risulta che, ai fini del computo reddituale, vengano inserite anche le provvidenze assistenziali erogate, che vengono quindi considerate alla stregua di un reddito da lavoro da pensione o da rendite finanziarie;
              sembra dunque essere irrazionale e illogico un intervento statale che, in luogo di compensare situazioni di indigenza e di inabilità, computa questi interventi all'interno dell'indicatore della situazione reddituale, base per il computo dell'ISEE;
              nonostante la stesura del regolamento, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n.  159, si sia protratta per più di due anni, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non è riuscito a trovare una soluzione adeguata che incontrasse il consenso delle varie associazioni rappresentanti delle persone con disabilità;
              la norma inserita nel decreto «Salva Italia», ed ora entrata definitivamente a regime con il regolamento, svantaggia dunque i nuclei familiari in cui è presente una persona con disabilità rispetto ad altri nuclei di pari reddito, che è sfociata naturalmente nel contenzioso giudiziale e fa ancora – giustamente – presagire la possibilità di sollevamento della questione di legittimità costituzionale;
              a tutela dei diritti di queste persone è quindi intervenuta la magistratura amministrativa che, attraverso tre sentenze del TAR Lazio (n.  2454/15, n.  2458/15 e n.  2459/15 dell'11 febbraio 2015), ha invalidato l'impianto di base sul quale viene calcolato l'ISEE dei disabili: le tre sentenze, infatti, hanno escluso dal reddito le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento, innalzando inoltre la soglia delle franchigie spettanti ai portatori di gravi handicap;
              in particolare, nella sentenza n.  2459, il TAR del Lazio ha accolto il secondo motivo dei ricorrenti, annullando «l'articolo 4, comma 2, lettera f) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  159 del 2013, nella parte in cui ha incluso, tra i dati da considerare ai fini ISEE per la situazione reddituale i trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari percepiti dai soggetti portatori di disabilità»;
              ugualmente, il TAR ha accolto poi il terzo motivo, annullando così anche l'articolo 4, comma 4, lettera d), dello stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nella parte in cui, nel fissare le franchigie da detrarre dai redditi, aveva introdotto «un'indistinta differenziazione tra disabili maggiorenni e minorenni, consentendo un incremento di franchigia solo per quest'ultimi, senza considerare l'effettiva situazione familiare del disabile maggiorenne»;
              successivamente, il Consiglio di Stato, il 17 settembre 2015, ha negato la sospensiva delle tre sentenze e si è pronunciato, il 29 febbraio 2016, contro il ricorso presentato dallo Stato, non accogliendo, tra gli altri, il motivo dell'appellante principale riguardante il temuto vuoto normativo che si sarebbe potuto creare conseguentemente all'annullamento in parte qua del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione;
              il Consiglio di Stato reputa, infatti, che «non occorre certo una novella all'articolo 5 del decreto-legge 201 del 2011 per tornare ad una definizione più realistica ed al contempo più precisa di “reddito disponibile”»; ed inoltre continua: «All'uopo basta correggere l'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e fare opera di coordinamento testuale, giacché non il predetto articolo 5, comma 1 del decreto-legge n.  201 del 2011 (dunque, sotto tal profilo immune da ogni dubbio di costituzionalità), ma solo quest'ultimo ha scelto di trattare le citate indennità come redditi»;
              il collegio ha quindi condiviso l'affermazione degli appellanti incidentali, secondo i quali la ricomprensione, nel computo dei redditi, dei trattamenti indennitari percepiti dai disabili equivale a «considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una “remunerazione” del suo stato di invalidità», pregiudicando in maniera oltremodo irragionevole ed illogica la tutela ad essi spettanti in base all'articolo 3 della Costituzione;
              la sentenza rimane però ad oggi ancora inattuata, perché i caf si trovano nell'incertezza più totale a causa della grave mancanza da parte dell'INPS che non ha ancora provveduto ad aggiornare gli indicatori nel rispetto delle sentenze del giudice amministrativo;
              le associazioni delle persone con disabilità hanno chiesto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali di convocare subito un tavolo di confronto per modificare la normativa, ma non hanno ancora ricevuto risposta e denunciano la possibilità che l'espunzione dall'ISEE delle provvidenze possa trasformarsi in una occasione «per peggiorare, anziché agevolare l'accesso alle prestazioni, scaricare ulteriormente il carico dell'assistenza sulle famiglie e innalzare ulteriormente la compartecipazione ai servizi»;
              inoltre, a ben vedere, dovrebbero essere regolate anche le posizioni degli ISEE rilasciati dopo le sentenze del TAR del Lazio risalenti allo scorso anno, perché, avendo la sentenza efficacia erga omnes, sono a questo punto da ritenersi illegittime, facendo sorgere il diritto di risarcimento per coloro che non hanno avuto accesso a determinate prestazioni o per coloro che hanno contribuito con una compartecipazione più alta;
              il nostro Paese è agli ultimi posti tra i Paesi dell'Unione europea per la spesa per la famiglia;
              l'introduzione del federalismo fiscale, che nella sua applicazione reale fa registrare ancora un ritardo ingiustificabile, segna una netta inversione di rotta in merito alle politiche a tutela della famiglia. Questa nuova autonomia regionale e locale dovrà, infatti, essere guidata in base ai principi di coordinamento che sono elencati nella legge delega. Tra questi principi di delega vi è, infatti, quello del favor familiae: «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti»;
              per l'ordinamento italiano si conferma quindi l'inopportunità di rivisitare, dentro un quadro complessivo, il favor familiae previsto dalla Costituzione;
              le formule da questo punto di vista possono essere diverse. L'imposizione a livello familiare può essere realizzata con diverse metodologie: lo splitting, il quoziente familiare o il più recente sistema denominato fattore famiglia. Il metodo che si deciderà di adottare poco conta, se la volontà sarà quella di sostenere economicamente la famiglia dando finalmente piena attuazione al disposto costituzionale,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per novellare, all'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  159 del 2013, il comma 2, lettera f), e il comma 4, lettera d), nel senso di escludere le provvidenze assistenziali di qualsiasi natura dal computo reddituale ai fini ISEE così come stabilito dalla sentenza n.  2459/15 del TAR del Lazio e così come confermato dalla successiva sentenza del 29 febbraio 2016 del Consiglio di Stato;
          ad emanare, al più presto, una circolare indirizzata a tutti gli uffici competenti in materia di previdenza sociale e sul piano finanziario al fine di chiarire che, alla luce delle recenti sentenze citate in premessa, è fatto obbligo di aggiornare i dati relativi alla compilazione della dichiarazione sostitutiva unica per la determinazione dell'indicatore della situazione economica equivalente, escludendovi, in maniera certa ed inequivocabile, i trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari percepiti dai soggetti portatori di disabilità;
          ad adottare iniziative per prevedere una misura risarcitoria o, alternativamente, compensativa, al fine di sanare gli irragionevoli pregiudizi che i disabili hanno subito in termini di sproporzionata corresponsione o impossibilità di accedere a determinate prestazioni, alla luce dell'insorta illegittimità delle dichiarazioni ISEE intervenute dopo l'emanazione delle sentenza dell'11 febbraio 2015;
          ad assumere iniziative per rivedere la disciplina dell'ISEE, nel quadro di un sistema che preveda, da un lato, il metodo del quoziente familiare, dello splitting o del fattore famiglia, come specificato in premessa, e, dall'altro, un criterio proporzionale di imposizione fiscale.
(1-01202) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


      La Camera,
          premesso che:
              il Tar del Lazio, su istanza di varie associazioni di categoria e delle famiglie con persone con disabilità a carico è intervenuto con tre sentenze, stabilendo la necessità di rivedere la normativa in questione, per ridurre il valore finale dell'ISEE e rendere possibile la fruizione delle prestazioni socio-sanitarie per le quali molte persone, in base alle ultime norme, rimanevano escluse;
              il Governo ha presentato ricorso al Consiglio di Stato chiedendo di sospendere gli effetti della sentenza del TAR, in attesa della pronuncia definitiva;
              il Consiglio di Stato, con le sentenze 838, 841 e 842 del 29 febbraio 2016, si è pronunciato su più ricorsi, tra i quali quello del Governo, non concedendo la sospensiva delle sentenze del Tar, di cui veniva invece ribadita l'immediata esecutività e, più precisamente, il Consiglio di Stato, all'uopo, ha sentenziato che «l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie non servono a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva e ontologica situazione di inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale al rispetto per chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica della persona disabile rispetto alla persona non disabile, al più mirando a colmare tale situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale prima o anche in assenza di essa»;
              punto fondamentale delle sentenze del Consiglio di Stato è che la disabilità non può e non deve essere considerata come fonte di reddito, circostanza che si verificherebbe se si includessero tra i redditi della persona i trattamenti indennitari percepiti ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni perché trattasi di forme di sostegno al disabile e non di remunerazione al suo stato di invalidità; in altre parole, secondo il Consiglio di Stato le provvidenze economiche previste per la disabilità non devono essere conteggiate come reddito;
              secondo i dati forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze ammonterebbero ad oltre 1 milione e 200 mila le dichiarazioni ISEE delle famiglie con persone disabili che in virtù della errata inclusione dei sussidi ai fini del calcolo del reddito familiare, sono state vittime di ulteriori difficoltà e quasi in tutti i casi non hanno potuto usufruire di alcune agevolazioni e prestazioni perché il loro reddito è stato calcolato erroneamente risultando superiore rispetto alla soglia di accesso stabilita dalle normative vigenti in materia;
              alla luce di quanto esposto è necessario evitare la continuazione di inutili e dannosi contenziosi con le famiglie che hanno a carico soggetti disabili,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'emanazione di linee guida applicabili su tutto il territorio nazionale recependo quanto deciso con le succitate sentenze del Consiglio di Stato;
          a valutare l'opportunità, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e senza ulteriori oneri a carico della collettività rispetto ai saldi del bilancio dello Stato per l'esercizio finanziario 2016, di adottare iniziative compensative, onde risarcire i cittadini che, a causa delle disposizioni sul sistema di calcolo ISEE ritenute censurabili dal Consiglio di Stato, non hanno potuto usufruire di agevolazioni e prestazioni loro dovute o hanno dovuto pagare una compartecipazione più onerosa per poter usufruire delle stesse;
          a valutare l'opportunità, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e senza ulteriori oneri a carico del bilancio pubblico nel corso dell'esercizio finanziario 2016, di rivedere la disciplina dell'ISEE, prevedendo in tale ambito specifiche forme di detrazione fiscale per i soggetti portatori di gravi forme di disabilità permanente.
(1-01203) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


      La Camera,
          premesso che:
              nel nostro Paese l'erogazione di molti interventi e servizi sociali è connessa alla situazione economica del nucleo familiare del richiedente, ponderata attraverso l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) istituito dal decreto legislativo n.  109 del 1998 quale prova dei mezzi per l'accesso alle prestazioni agevolate;
              il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, ha previsto, all'articolo 5, la riforma dell'Isee con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio 2012;
              il decreto, secondo l'articolo 5 della legge n.  214 del 2011 avrebbe dovuto indicare le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) affinché si adottasse una definizione di reddito disponibile che includesse la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che nel contempo tenesse conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia, dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico. In definitiva i criteri di riforma che la legge 214/2011 aveva fissato erano: 1) l'inclusione dei redditi fiscalmente esenti nel calcolo dell'Isee; 2) il miglioramento della sua capacità selettiva tramite una maggiore valorizzazione del patrimonio; 3) la differenziazione dell'Isee a seconda del tipo di intervento per renderne più flessibile l'applicazione; 4) il potenziamento dei controlli;
              sulla base di queste indicazioni il Consiglio dei ministri il 3 dicembre 2013, ha approvato il decreto n.  159 recante il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)» che è entrato poi in vigore l'8 febbraio 2014;
              il successivo decreto del 7 novembre 2014 di approvazione del modello tipo della dichiarazione sostitutiva unica ai fini ISEE ha reso poi pienamente operativa la riforma a partire dal 1o gennaio 2015;
              l'ultimo report del Ministero del lavoro e delle politiche sociali «Il nuovo ISEE: Monitoraggio al terzo trimestre 2015», del gennaio 2016, evidenzia che dal punto di vista della popolazione coperta da dichiarazione ISEE nei primi nove mesi del 2015, si tratta su scala nazionale del 16,7 per cento della popolazione residente a fronte del 22,6 per cento nel 2014; che il 50 per cento delle DSU proviene da nuclei familiari con minorenni, mentre circa il 20 per cento da quelli con persone disabili; che con il Nuovo ISEE in alcune regioni del Mezzogiorno si sta riducendo l'anomalia di un elevatissimo numero di DSU presentate a fronte di una spesa sociale molto bassa (nello stesso periodo del 2014, il 34 per cento della popolazione residente aveva presentato una DSU, a fronte del 22 per cento del 2015); sembra che la DSU venga presentata solo in occasione della effettiva richiesta di prestazioni sociali agevolate; che il nuovo ISEE è più favorevole per quasi la metà dei nuclei familiari (47 per cento), mentre è meno favorevole nel 42 per cento dei casi; che vi è l'incremento del 50 per cento del peso effettivo del patrimonio nella costruzione dell'ISEE (si passa da un settimo del valore dell'indicatore pari a 13,5 per cento a un quinto pari a 19,5 per cento); che l'utilizzo dei dati comunicati dagli intermediari finanziari all'Agenzia delle entrate per i controlli ISEE ha dato risultati eclatanti in termini di emersione del patrimonio mobiliare (confrontando i primi nove mesi del 2014 con lo stesso periodo del 2015 si osserva un abbattimento di oltre tre quarti delle DSU con patrimonio nullo (dal 69,4 al 16 per cento)); che nel caso dei disabili, la distribuzione è visibilmente modificata per effetto dell'introduzione delle nuove regole, con l'azzeramento e la sostanziale riduzione dell'ISEE per una consistente quota della popolazione. Per i nuclei con disabili, gli ISEE nulli passano da meno dell'8 per cento a più del 17 per cento della popolazione. Le nuove regole sembrano favorire nettamente i nuclei familiari sotto i 3.000 euro. Viceversa per la parte più «ricca» della popolazione avviene il contrario: oltre i 30.000 euro (dove oggi si concentra il 6,3 per cento della popolazione) la quota di nuclei con persone con disabilità o non autosufficienti appare svantaggiata rispetto alle vecchie regole; ed infine la presenza o meno del patrimonio, insieme al trattamento di favore della disabilità, sembrano essere le ragioni principali degli spostamenti nell'ordinamento della popolazione in base all'ISEE;
              l'11 febbraio 2015, il TAR del Lazio ha accolto, seppur parzialmente, tre ricorsi molto articolati presentati da associazioni di tutela dei disabili per l'annullamento, previa sospensione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  159 del 2013. Le tre sentenze (TAR Lazio, sezione I, n.  2454/2015, 2458/2015 e 2459/2013) modificano parzialmente l'impianto di calcolo dell'Indicatore della situazione reddituale;
              la sentenza del Tar del Lazio n.  2458 ha annullato l'articolo 4, comma 2, lettera f) del regolamento, nella parte in cui è previsto che «Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti [...] f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a)», vale a dire nel reddito complessivo IRPEF;
              è stato anche accolto il ricorso che annulla il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nella parte in cui prevede l'incremento delle franchigie per disabilità per i soli minorenni (articolo 4, lettera d), n.  1, 2, 3);
              successivamente, la Presidenza del Consiglio ha deciso di ricorrere al Consiglio di Stato in qualità di giudice di appello, sostenendo che, considerato l'ISEE quale strumento a garanzia dell'equo diritto di accesso e dell'importo di misure per il contrasto alla povertà, l'assimilazione dell'indennità di accompagnamento dei disabili alla definizione di reddito – ancorché utilizzata in senso atecnico, vale a dire non corrispondente alle categorie di reddito elencate dal decreto del Presidente della Repubblica n.  917 del 1986 ai fini dell'imposizione fiscale a carico delle persone fisiche – è stata necessaria per esigenza e di equità perequativa e contributiva, in quanto tale indennità risulta già esente da IRPEF;
              il 29 febbraio 2016, sono state pubblicate le sentenze del Consiglio di Stato che hanno respinto i ricorsi confermando le tesi della I sezione del TAR del Lazio, e quindi hanno escluso l'indennità di accompagnamento dei disabili e le altre indennità per persone disabili dal calcolo del reddito ai fini ISEE (Sentenza n.  00842/2016);
              il Consiglio di Stato ha motivato sostenendo che «l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva ed ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa»;
              le sentenze, al momento, generano una situazione di ampia incertezza applicativa e operativa che di fatto lede i diritti dei cittadini a ricevere le prestazioni che spettano loro;
              in data 15 gennaio scadeva il termine per la presentazione della DSu dell'Isee per l'anno 2016 che i comuni al momento non hanno riferimenti su come procedere;
              la Commissione VII Cultura istruzione università della Camera dei deputati ha approvato la risoluzione n.  800175 a prima firma Ghizzoni in merito all'Isee per universitari, proponendo tra l'altro di non calcolare la borsa di studio tra i redditi familiari,

impegna il Governo:

          a dare organica attuazione alla sentenza del Consiglio di Stato del 29 febbraio 2016 modificando in tal senso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013, n.  159, con riferimento ai nuclei con persone con disabilità, ponendo così fine alla situazione di incertezza applicativa ed operativa che di fatto lede i diritti dei cittadini a ricevere le prestazioni di cui hanno diritto e, tenendo conto degli impegni assunti con la citata risoluzione approvata dalla VII Commissione della Camera dei deputati;
          a mantenere l'indicatore di situazione economica equivalente quale strumento utile a contribuire a determinare chi ha diritto di accedere a prestazioni di sostegno al reddito o a determinare l'eventuale compartecipazione alle rette per servizi pubblici ma predisponendone la revisione e la semplificazione, tenendo conto di quanto emerso dalle esperienze fatte e in collaborazione con i comuni e regioni;
          a valutare la necessità di intervenire con urgenza e con le opportune iniziative normative per evitare che, nelle more della revisione del citato regolamento in materia di ISEE, si generi una situazione di incertezza normativa con conseguenze potenzialmente dannose e per i nuclei più fragili, anche attraverso la transitoria applicabilità, per i soli nuclei familiari con persone con disabilità, delle modalità di calcolo dell'ISEE previgenti a quelle dichiarate illegittime dal giudice amministrativo.
(1-01204) «Di Salvo, Monchiero, Lenzi, Miotto, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Ghizzoni, Grassi, Malisani, Mariano, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini».

Risoluzioni in Commissione:


      La XI Commissione,
          premesso che:
              la stagionalità è elemento strutturale nel settore del turismo. In particolare, nelle località turistiche, analoga stagionalità coinvolge molte migliaia di lavoratori di aziende di settori non direttamente riconducibili al medesimo settore turistico, ma ad esso strettamente connessi sotto il profilo produttivo;
              come noto, il lavoro stagionale si caratterizza per la mancanza di continuità dell'attività esercitata, ossia per l'alternarsi — nel corso dell'anno — di periodi di attività lavorativa a periodi di non lavoro in presenza di concentrazione di flussi turistici in alcuni mesi dell'anno;
              il decreto legislativo 4 marzo 2015 n.  22, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, emanato in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n.  183, il cosiddetto «Jobs act», prevede l'erogazione della nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego (NASpI) relativa agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1o maggio 2015 che interessano i lavoratori dipendenti, con esclusione dei dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni, nonché degli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato;
              con la NASpI è stata riconosciuta una indennità proporzionale alla retribuzione mensile ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentano almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione e 30 giorni di lavoro effettivo o equivalenti nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione;
              ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n.  22 si stabilisce che la NASpI è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni e che ai fini del calcolo della durata, non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione;
              tale circostanza ha portato, rispetto al passato, ad una penalizzazione per i lavoratori stagionali i quali si troveranno senza alcuna forma di reddito per alcuni mesi dell'anno;
              l'impatto della nuova legge sulla durata delle prestazioni, in fase di prima applicazione delle disposizioni normative, è stato tuttavia reso graduale per effetto di una lettura interpretativa contenuta nelle circolari Inps nn.  94, 142 e 194 del 2015 e, successivamente, per effetto del decreto legislativo n.  148 del 2015;
              l'articolo 43, comma 4, del decreto legislativo n.  148 del 14 settembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  221 del 23 settembre 2015, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, dispone che, «con esclusivo riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi tra il 1o maggio 2015 e il 31 dicembre 2015 e limitatamente ai lavoratori con qualifica di stagionali dei settori produttivi del turismo e degli stabilimenti termali (...), la durata della NASpI corrisposta in conseguenza dell'applicazione del primo periodo non può superare il limite massimo di 6 mesi», salvaguardando in questo modo il trattamento di integrazione salariale per l'anno 2015;
              dal 2016, per effetto della normativa, i lavoratori stagionali del turismo che godevano dell'ASpI o della precedente indennità di disoccupazione non avranno più una completa copertura economica dei periodi non lavorati nell'anno: dal 1o gennaio 2016, cessando l'effetto del decreto legislativo n.  148 del 14 settembre 2015, anche per la categoria dei lavoratori stagionali, la durata della prestazione Naspi sarà calcolata secondo il regime ordinario, di cui alle disposizioni del decreto legislativo n.  22 del 2015, con la conseguenza che, a fronte di un rapporto di lavoro della durata di sei mesi nell'anno, la durata della prestazione sarà di tre mesi;
              tale nuova previsione normativa, se non verranno apportati opportuni correttivi, causerà un danno economico, soprattutto per le famiglie che vivono e lavorano in luoghi dove il lavoro stagionale è l'unica o la principale forma di impiego;
              al riguardo, giova ricordare che, sono stati accolti due ordini del giorno 9/3513-A/112 e 9/3444-A/256 che impegnano il Governo a introdurre disposizioni atte a facilitare la transizione verso la nuova disciplina prevedendo in via straordinaria misure integrative della durata della prestazione di disoccupazione per i lavoratori stagionali,

impegna il Governo:

          a porre in essere, alla luce delle difficoltà legate alla contrazione del periodo di lavoro e alla conseguente riduzione del reddito, iniziative normative atte ad estendere il periodo di transitorietà della nuova disciplina dalla «Naspi» per i lavoratori stagionali, eventualmente condizionandone l'erogazione alla partecipazione a specifici corsi di aggiornamento e perfezionamento professionale, appositamente predisposti d'intesa con le regioni e con il coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro dei settori interessati;
          ad adottare opportune iniziative finalizzate a disporre, sulla falsa riga di quanto previsto dall'articolo 26 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n.  150, misure volte ad impiegare tali lavoratori, nei periodi di inattività, d'intesa con le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n.  165 del 2001 e le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, in attività rivolte a fini di pubblica utilità a beneficio delle comunità locali.
(7-00952) «Arlotti, Patrizia Maestri, Gribaudo, Gnecchi, Di Salvo, Damiano, Baruffi, Casellato».


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              come è noto, i prodotti del bosco, siano esso arborei, del sottobosco o del sottosuolo, oltre a rappresentare elementi biologici imprescindibili al mantenimento della biodiversità e della stabilità delle cenosi forestali italiane (in virtù anche del rapporto simbiontico, come ad esempio avviene con i tuberi, che si instaura con numerose specie arboree e arbustive), è sicuramente ascrivibile tra le numerose peculiarità agroalimentari che caratterizzano i territori nazionali, costituendo uno degli elementi nodali della tradizione italiana e una delle più apprezzate eccellenze del made in Italy;
              l'incremento delle superfici boschive in Italia, anche a causa del progressivo abbandono di aree montane e collinari a favore delle aree urbane, ha reso ancora più importante lo sfruttamento della risorsa boschiva, per il quale si ritiene decisiva una razionalizzazione;
              la situazione dello sfruttamento delle risorse boschive in aumento, ad esempio con riferimento ai prodotti del sottosuolo, registra però una paradossale contrazione, che interessa in particolare i tuberi, secondo quanto riportato dal «Borsino del Tartufo» (2015-2016) che esprime l'andamento di due delle piazze più rinomate a livello internazionale, cioè Asti e Alba, per cui si stima che nel 2015 circa 5 mila tartufai abbiano estratto circa 70 quintali di Tuber magnatum Picco registrando una flessione di circa il 25 per cento rispetto al quantitativo di 100-110 quintali registrato nel 2014 (carenti le estrazioni nella fascia 30-60 grammi, mentre sono risultate discrete quelle da questi tagli in su ed abbondantissime le estrazioni nelle grammature minime);
              le quotazioni di alcuni prodotti del sottosuolo boschivo hanno registrato un forte aumento (del 100 per cento al mercato e dell'81 per cento al consumo finale);
              con difficoltà i commercianti riescono a rifornire la grande clientela e numerosi consumatori sono costretti a rimandare gli acquisti a tempi migliori, al punto che gli esperti del settore «salutano» il 2015 come la «peggiore annata di sempre», mentre si segnalano importazioni fraudolente dalla Cina di Tuber indicum Cooke & Massee o Tuber Himalayensis;
              andrebbe, tra l'altro, operata una revisione della disciplina in materia, soprattutto per quanto riguarda il regime IVA, da applicare agli acquisti di prodotti del sottosuolo boschivo;
              si ricorda, in proposito, che nel dicembre 2015 la Commissione europea ha aperto il caso EU-PILOT 8123/15, relativo alla richiesta di adeguamento delle aliquote IVA in materia al fine di renderle coerenti con quelle più basse applicate negli altri Paesi dell'Unione europea, dove il genere Tuber correttamente è considerato un prodotto agricolo;
              la revisione dell'IVA, unitamente ad un efficace sistema di tracciabilità, porterebbe al settore rilevanti benefici economici dedicati all'agricoltura, tra cui i finanziamenti comunitari, fondamentali per sviluppare la filiera,

impegna il Governo:

          a rivedere la complessiva politica forestale in tema di produzioni arboree, del sottobosco e del sottosuolo boschivo, inclusi i tartufi;
          d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le istituzioni universitarie specializzate in micologia, i centri sperimentali di tartuficoltura e tenendo conto del progetto speciale funghi dell'ISPRA, ad incentivare le attività delle aziende agricole forestali volte al miglioramento ambientale, assumendo iniziative per la revisione dell'elenco dei generi e delle specie di cui alla legge 16 dicembre 1985, n.  752;
          in accordo con le regioni, ad assumere iniziative per disciplinare la ricerca e la raccolta dei prodotti nei boschi e nei terreni non coltivati, e per istituire un registro anche informatico, in cui annotare annualmente la quantità di prodotto commercializzato nell'anno e raccolto nella regione stessa, al fine di consentire l'attività dei raccoglitori autorizzati in un ambito normativo chiaramente definito;
          ad assumere iniziative per rivedere le disposizioni in materia di etichettatura delle produzioni che esaltino il prodotto stesso per la presenza di prodotti del bosco in percentuale minima del 3 per cento del peso totale, affinché siano chiaramente specificati, con lo stesso carattere e con la medesima dimensione tipografica, la specie del prodotto del bosco, il relativo nome latino e la provenienza geografica, con facoltà di indicare, oltre al Paese, anche la regione e la località di origine e la percentuale di prodotto del bosco presente;
          ad assumere iniziative per vietare che i prodotti contenenti aromi di sintesi dei prodotti del sottobosco e del sottosuolo boschivo possano evocare in etichetta (fatti salvi negli ingredienti), il termine fungo, tartufo o altro prodotto del bosco, attraverso diciture e immagini, riportando in modo chiaramente visibile la dicitura «prodotto contenente aromi di sintesi»;
          ad assumere iniziative per prevedere l'obbligo per i contribuenti che applicano il regime speciale, di annotare in apposito registro gli acquisti, con indicazione della data e del luogo o dell'area di raccolta, e le cessioni dei prodotti del sottosuolo boschivo, riportando per ciascuna operazione la natura, la qualità, la quantità, il prezzo d'acquisto e il corrispettivo, comprensivo dell'imposta, relativo alla cessione, nonché la differenza tra questi ultimi due importi nonché a promuovere una revisione del quadro normativo concernente l'istituzione e la disciplina dell'imposta sul valore aggiunto di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  633, e successive modificazioni, annoverando tutti i prodotti del bosco tra i prodotti agricoli e prevedendo l'applicazione di un'aliquota ridotta rispetto alla vigente come richiesto dalla Commissione europea;
          ad assumere iniziative per inasprire il quadro sanzionatorio per chi importa specie alloctone di prodotti del bosco ed effonde colpevolmente, o dolosamente, nell'ambiente, materiale vegetativo o vivaistico o sporigeno, ad esse riconducibili.
(7-00951) «Massimiliano Bernini, Benedetti, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


      SCOTTO, FERRARA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto emerge dalla stampa nazionale il Presidente del Consiglio dei ministri, l'onorevole Matteo Renzi, salirà al Quirinale per confrontarsi con il Presidente della Repubblica sulle nomine dei vertici militari e in particolare per sbloccare la casella quella relativa all’intelligence informatica (la cyber security) che sembrerebbe destinata a Marco Carrai;
          su tale questione il Ministro per le riforme costituzionali e rapporti con il Parlamento era già intervenuto in sede parlamentare a seguito della presentazione di una interrogazione a risposta immediata da parte del Gruppo Sinistra Italiana ove si metteva in evidenza come la posizione dello stesso Marco Carrai fosse viziata da evidenti profili di conflitto di interessi e come tutte le attività connesse ai sistemi di informazione per la sicurezza siano sottoposte, da sempre, a una serie di verifiche da parte di organismi di controllo di natura pubblica per garantire che tutto avvenga nel rispetto della Costituzione e delle leggi e nell'esclusivo interesse e per la difesa della Repubblica e delle sue istituzioni;
          per quanto risulta agli interroganti, inoltre, Marco Carrai, l'uomo che il Presidente del Consiglio dei ministri, vorrebbe al suo fianco per sovraintendere ai 150 milioni di euro da investire nella cyber security, avrebbe stranamente iniziato ad occuparsi di questo tema solo dopo che il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi è salito a Palazzo Chigi e segnatamente dal dicembre 2014, quando a distanza di pochi giorni ha creato due società nate proprio per occuparsi di sicurezza informatica: la Csy4 spa e la Cgnal spa, entrambe di Firenze. La prima è quella che davvero si occupa di argomenti affini alla cyber sicurezza, ma non per questo può dirsi che Marco Carrai abbia maturato nel campo della cyber sicurezza grande esperienza: la denuncia di inizio attività è stata fatta meno di un anno fa, il 18 marzo 2015, quando ha iniziato a fare consulenza e «vendita di prodotti inerenti gli ambiti della sicurezza fisica e della sicurezza logica». La seconda dovrebbe invece occuparsi di «sviluppo e vendita di software, oltre a servizi di consulenza attivi ai settori dell'informatica e quello dell'analisi dei dati», di formazione del personale, di sfruttamento di brevetti, licenze e marchi e di noleggio di attrezzature tecniche audiovisive;
          nell'unica risposta ufficiale resa dal Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento sulla vicenda Carrai si legge che «il Governo, così come le altre istituzioni, ha facoltà di avvalersi di consulenze di carattere tecnico, scegliendo tra vari profili». Letto così, sembrerebbe dunque che Marco Carrai possa diventare in qualche modo un consulente «tecnico» del Governo;
          purtuttavia, anche in questa ipotesi più blanda, è però il decreto legislativo n.  165 del 2001 a stabilire i requisiti necessari per ottenere una consulenza o una collaborazione all'interno della pubblica amministrazione e il requisito essenziale è quello della «comprovata esperienza universitaria», formula che poi è stata tradotta nella necessaria produzione di un titolo di laurea magistrale. Ma Marco Carrai non è laureato, e la mancanza della laurea, per quanto risulta, gli avrebbe causato parecchi anni di procedimenti davanti alla Corte dei conti che aveva impugnato per quel motivo la lontana nomina di Marco Carrai nella segreteria particolare di Renzi alla provincia di Firenze;
          esistono alcune eccezioni per soggetti che «operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o della attività informatica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore». Ma anche in questo caso appena un anno di attività appare agli interroganti realisticamente una carenza insormontabile, tra le altre fortissime criticità, per rendere Marco Carrai responsabile del cyber security;
          appare infine incompatibile con il profilo di Marco Carrai qualsiasi requisito richiesto a normativa vigente dalla legge 3 agosto 2007, n.  124, recante disposizioni in materia di «Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto» e ancora più eclatante potrebbe essere attribuire a Marco Carrai una funzione nell'ambito di una delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei ministri, anche attraverso l'eventuale modifica di norme di natura secondaria o decreti del presidente del Consiglio che non verrebbero pubblicati in Gazzetta Ufficiale, posto che l'ufficio del consigliere militare assiste il Presidente nella sua attività per il coordinamento interministeriale e per le relazioni con gli organismi che trattano materie di politica spaziale, infrastrutture critiche, difesa e sicurezza nazionale; inoltre, cura gli affari di interesse della Presidenza relativi agli aspetti militari, compresi quelli industriali, connessi all'appartenenza dell'Italia alle organizzazioni internazionali ed effettua il coordinamento nazionale della produzione di materiali di armamento di cui alla legge 9 luglio 1990, n.  185  –:
          quali elementi il Governo sia in grado di fornire alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione, se sia in grado di smentire le notizie trapelate sulla nomina di Marco Carrai come super consulente per la sicurezza informatica e, in particolare, se siano in atto proposte di modifica della normativa vigente sia di natura primaria che secondaria tese a legittimare in qualsiasi modo l'attività di Marco Carrai presso una delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei ministri come quella dell'ufficio del consigliere militare. (4-12671)


      SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          secondo la legge n.  20 del 14 gennaio 1994, Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, la pubblica amministrazione ha sei mesi per adempiere ai rilievi della Corte dei conti, rispondendo a osservazioni, rilievi e richieste di correzione, ma, nonostante i solleciti ai Ministeri, spesso non viene fornita nessuna risposta col risultato di vanificare qualunque forma di controllo;
          il comma 6, dell'articolo 3 della Legge n.  20 di cui sopra (comma così modificato dall'articolo 1, comma 172, legge n.  266 del 2005), detta: «La Corte dei conti riferisce, almeno annualmente, al Parlamento ed ai consigli regionali sull'esito del controllo eseguito. Le relazioni della Corte sono altresì inviate alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro momento, le proprie osservazioni. Le amministrazioni comunicano alla Corte ed agli organi elettivi, entro sei mesi dalla data di ricevimento della relazione, le misure conseguenzialmente adottate»; questo comporta che tutti gli organi sottoposti al monitoraggio della Corte dei conti, come le amministrazioni pubbliche    enti partecipati o vigilati, debbano comunicare ai magistrati contabili e al Parlamento come intendono risolvere le criticità riscontrate, ma molte amministrazioni risulterebbero impermeabili a qualunque supervisione esterna;
          secondo un recente articolo de L'Espresso, esisterebbero diversi casi di silenzio assoluto sulle questioni più disparate, «dalla ricerca sanitaria alle barriere architettoniche fino agli ammortizzatori sociali»;
          ad esempio, per quanto riguarda il Ministero della salute, nel 2014 la Corte dei conti criticò il modo in cui negli anni precedenti erano state gestite le risorse destinate alla ricerca sanitaria: «troppi progetti slegati fra loro, dispersione dei soldi in mille rivoli, tempi burocratici eccessivamente lunghi fra pubblicazione dei bandi e finanziamento dei programmi, valutazione scientifica dei risultati da migliorare e via dicendo, ma il dicastero guidato da Beatrice Lorenzin ha invece preferito restare in silenzio, malgrado i numerosi solleciti»;
          dopo una lunga serie di richieste di spiegazioni, attraverso una sua nota l'Oiv, Organismo indipendente di valutazione del Ministero che monitora il funzionamento della macchina amministrativa, avrebbe così risposto: «Tenendo nella massima considerazione le raccomandazioni fornite, l'Oiv svolgerà il previsto ruolo di avvalimento nei confronti della competente direzione generale», dopodiché non si sarebbe più saputo nulla della questione;
          per quanto riguarda il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, durante l'istruttoria dei magistrati contabili sull'uso dei finanziamenti pubblici per eliminare le barriere architettoniche, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha fornito informazioni carenti e incomplete, con un comportamento definito addirittura «omissivo» e «non improntato alla dovuta collaborazione», dando la colpa ai provveditorati per le opere pubbliche, che gestiscono la materia in autonomia; la Corte dei conti avrebbe allora chiesto chi a Roma controllasse la spesa, che tipo di opere vengono eseguite, da quali ditte e se sono efficaci e convenienti, ma sembra che non abbia ricevuto risposte in merito;
          stessa cosa sarebbe successo anche rispetto alla questione dei fondi destinati alla sicurezza stradale: una lista di criticità infinite come tempi troppo lunghi, meccanismi di erogazione dei fondi troppo farraginosi, decine di milioni rimasti inutilizzati, e ancora nessuna risposta;
          anche per quanto riguarda i suggerimenti organizzativi forniti dalla Corte dei conti al mondo della burocrazia affinché potesse rivedere i propri meccanismi e attuare una gestione delle risorse più funzionale, sembra che la risposta sia stata sempre di immobilismo assoluto: nel caso delle centinaia di milioni stanziati per il fondo sociale per l'occupazione e la formazione, gestito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il consiglio della Corte dei conti era stato di accorpare tutte le troppe voci, che avevano un effetto di dispersione, ma la risposta del Ministero sarebbe giunta dopo quasi due anni, e senza nessuna possibilità di modificare la ripartizione del fondo;
          il Ministero della difesa, dal canto suo, sarebbe impegnato nel tentativo di razionalizzare il suo sistema di comunicazione attraverso la « Defense information infrastructure» (Dii), che dovrebbe permettere una gestione condivisa delle informazioni tra le varie Forze armate, sia a livello nazionale che in ambito Nato e fra carenze progettuali, una organizzazione frammentata e procedure contabili non sempre univoche, la conseguenza sarebbe stata uno sviluppo a due velocità: buona per l'operatività militare ma assai discutibile per la parte gestionale;
          per evitare che diventasse un mero contenitore di tanti programmi slegati fra loro, peraltro costosissimo, la Dii è stata dunque monitorata attentamente, e il magistrato che si è occupato del caso, ha incalzato il Ministero per mesi alla ricerca di una risposta che denotasse una correzione di rotta, ma senza alcun risultato;
          il problema di comunicazione non sarebbe rivolto solo verso il controllo esterno: nel 2010 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'Inps, l'Inail e l'Agenzia delle entrate siglarono un protocollo per rendere più efficaci le ispezioni attraverso lo scambio di informazioni. L'ambizione era di realizzare una grande banca dati, in modo da intervenire su evasione fiscale e sommerso, ma quando è stato chiesto al Ministero che avesse fatto in questi anni, la risposta è stata che erano state intraprese tante iniziative per condividere informazioni utili alla vigilanza ma non ci sarebbero mai stati riscontri positivi dall'Agenzia delle entrate  –:
          se i Ministri interrogati siano al corrente di quanto esposto in premessa, se trovi conferma quanto riportato dalla fonte di stampa citata e quale sia l'orientamento del Governo in merito;
          in che modo il Governo intenda porre rimedio ad una situazione che, se i casi riportati venissero confermati, vede lo Stato stesso inadempiente nei confronti della legge, tanto da vanificare la prestigiosa e preziosa attività ispettiva di una istituzione come la Corte dei conti, con ulteriore dispendio di risorse e perdita di fiducia da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni;
          in che modo si intenda promuovere una più efficace comunicazione all'interno della pubblica amministrazione, in modo da evitare situazioni come quella citata in premessa relativa al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. (4-12683)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta immediata:


      SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
          il 3 aprile 2016 ricorreranno due mesi dalla morte di Giulio Regeni, ricercatore italiano barbaramente torturato e poi ucciso mentre si trovava al Cairo per ragioni di studio;
          nella notte tra il 24 e il 25 marzo 2016, una nota ufficiale del Ministero dell'interno egiziano affermava l'uccisione dei cinque assassini di Giulio Regeni, identificati come una «banda specializzata in sequestri e stranieri» che agiva «utilizzando divise della polizia»;
          contemporaneamente venivano mostrati sulla pagina Facebook del Ministero degli interni il portafoglio di Giulio e i documenti – il passaporto, la tessera dell'Università di Cambridge, quella dell'American University al Cairo e le carte di credito – ritrovati, a loro dire, all'interno del covo dei criminali;
          nell'immediato dell'ennesima ricostruzione dell'omicidio di Giulio Regeni fornita dalle autorità egiziane, questa veniva smentita dapprima dalla moglie e sorella di Tarek Abdel Fatah, arrestate per favoreggiamento e poi nuovamente messa in discussione dal Ministro dell'interno stesso, Magdi Abdel-Ghaffar, il quale dichiarava in data 28 marzo che «le indagini sono ancora in corso, cerchiamo ancora gli assassini di Giulio Regeni»;
          questa ultima versione offerta dalle autorità egiziane sul sequestro e l'uccisione di Giulio Regeni è, ad avviso degli interroganti, non solo grottesca ed oltraggiosa della memoria di Giulio, ma è una offesa alla famiglia e all'intelligenza di tutti coloro che attendono la verità;
          secondo quanto dichiarato dal legale della famiglia Regeni, avv. Alessandra Ballerini, nel corso di una conferenza stampa il 29 marzo: «a parte i documenti di identità, nessuno degli oggetti che appaiono nella foto diffusa dalle autorità egiziane appartenevano a Giulio. Abbiamo fatto il disconoscimento ufficiale»;
          quanto accaduto a Giulio non è un fatto isolato. Negli stessi giorni della sparizione di Giulio Regeni, altri due attivisti sparivano al Cairo ed entrambi venivano ritrovati morti con segni di tortura, mentre la versione ufficiale del governo egiziano parla tuttora di uno scontro a fuoco tra bande criminali;
          sono numerosi i report e i dossier prodotti dalle organizzazioni umanitarie che evidenziano continue, numerose e gravi violazioni dei diritti umani in Egitto, tra cui arresti illegali, uso della tortura, violenze di vario tipo;
          nei primi due mesi del 2016 sono stati accertati in Egitto 88 casi di tortura, di cui 8 conclusi con la morte della persona sottoposta a sevizie;
          tutti questi casi avvengono in conseguenza dell'applicazione della «legge anti proteste» entrata in vigore nel 2013 e che concede, di fatto, poteri illimitati alle forze di polizia e di sicurezza;
          nel 2015 sono stati 464 i casi di sparizione e 1676 quelli di tortura accertati in Egitto e il caso Regeni è soltanto la punta dell’escalation della repressione in Egitto;
          le detenzioni arbitrarie, l'uso della tortura e la pratica degli omicidi di Stato sono stati anche denunciati in una lettera inviata da alti esperti americani sul Medio oriente al presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama, i quali chiedono di rivedere i rapporti con l'Egitto –:
          se il Governo non intenda richiamare l'ambasciatore italiano in Egitto per consultazioni e, in particolare, se non intenda dichiarare l'Egitto Paese non sicuro, adoperandosi affinché il Governo egiziano ponga fine alla costante violazione di diritti umani e civili nei confronti della popolazione. (3-02141)

Interrogazioni a risposta scritta:


      SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          sulla morte di Marcello Cucciniello, il ventitreenne di Atripalda (Avellino) travolto e ucciso il 9 settembre 2015 da un pick-up in Thailandia, il 21 settembre 2015 l'interrogante ha presentato un'interrogazione a risposta scritta (4-10418) chiedendo al Ministro interrogato di chiarire la posizione dell'ambasciata italiana rispetto all'arrivo e alla permanenza in loco dei parenti del giovane alla luce delle dichiarazioni del signor Urciuoli, zio della vittima;
          in data 19 gennaio 2016 il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Mario Giro, ha risposto all'interrogazione ricostruendo la vicenda in maniera diversa da quella raccontata dal signor Urciuoli tant’è che, il 24 marzo 2016, il sito di informazione ilciriaco.it ha pubblicato un articolo dal titolo «Morte di Marcello, il Governo risponde ma non convince la famiglia del giovane morto in Thailandia»;
          in particolare, nel suddetto articolo si evidenzia che «Urciuoli fin dal suo rientro in Italia ha puntato il dito contro i funzionari del presidio italiano a Bangkok colpevoli di “non aver dato alcun supporto logistico e morale in una circostanza così tragica vissuta per di più in terra straniera. Si limitarono a darmi dei nomi e dei numeri di telefono che a loro volta mi fornivano altri numeri, tra cui quello del Console onorario di Phuket, mai incontrato. Non furono nemmeno in grado di dirmi in quale ospedale si trovasse il corpo di mio nipote”»;
          Urciuoli, nello stesso articolo, dichiara inoltre: «Mi sarei aspettato quanto meno delle scuse dal Ministero degli Esteri e un impegno affinché tutto ciò non si ripetesse più, ma dopo i fatti dell'Egitto e della Libia, capisco che questo è proprio il modus operandi delle nostre ambasciate mentre lo Stato italiano non interviene» e che «solo la Polizia locale e l'agenzia privata che contattai mi aiutarono per le pratiche burocratiche del rientro, dai diplomatici nessun sostegno fattivo, eppure aprivano gli uffici a mezzogiorno quindi di tempo ne avevano»;
          in un altro articolo, pubblicato in data 11 marzo 2016 sul sito di informazione irpinianews.it con il titolo «Tragedia in Thailandia, il pick-up che uccise Marcello Cucciniello non era assicurato» si sottolinea che anche per lo Studio 3A, la società specializzata nella valutazione delle responsabilità civili e penali a cui la famiglia Cucciniello si è rivolta per ottenere giustizia, «non è accettabile che la famiglia di Marcello sia da ormai sei mesi in attesa del processo, che non è stato ancora nemmeno istruito. E qui un intervento della nostra diplomazia in Thailandia non guasterebbe»  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno approfondire la vicenda per chiarire quale sia stato il comportamento tenuto dall'ambasciata italiana in Thailandia nei confronti della famiglia di Marcello Cucciniello e in che modo il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale stia continuando a seguire il caso al fine di far luce sulle responsabilità della morte del giovane e contribuire, per quanto di competenza, ad assicurare il colpevole alla giustizia.
(4-12684)


      CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          è del 21 marzo 2016 la notizia che una ragazza italiana di 24 anni, Giovanna Lanzavecchia, è stata fermata dalla polizia turca a Istanbul con l'accusa di aver fatto propaganda a favore del Pkk curdo;
          in particolare, come si apprende dalle testate giornalistiche, e confermato da fonti consolari, la ragazza, che è stata trattenuta fino al 23 marzo 2016 in un centro di detenzione per stranieri in attesa di espulsione, avrebbe pubblicato sui social network materiale di propaganda a favore dei separatisti curdi, considerati dal Governo Erdogan un'organizzazione terroristica;
          secondo media turchi vicini ad ambienti governativi, è accusata altresì di aver pubblicato foto di combattenti armati del Pkk;
          il padre, Marco Lanzavecchia, ha dichiarato che la ragazza è «appassionata della causa del popolo curdo, la vede come una questione umanitaria» e sarebbero, pertanto, pure invenzioni le notizie circolate su alcuni media turchi che definiscono l'italiana «una spia» che si sarebbe addestrata nei campi del Pkk;
          a parere dell'interrogante, appare necessario convocare l'ambasciatore turco per chiedere delucidazioni in merito alla vicenda e ricordargli il sostegno indispensabile dell'Italia nell'accordo con l'Unione europea sui fondi per la gestione della crisi dei migranti e, se necessario, informare i comuni alleati della Nato di questa grave violazione dei diritti della connazionale  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga necessario, per quanto di competenza, intervenire con la dovuta fermezza in questo vergognoso episodio che offende la comunità nazionale. (4-12687)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          nel rapporto mensile sul sistema elettrico di Terna, relativo al mese di dicembre, che traccia un bilancio della produzione elettrica italiana nel 2015 e registra le variazioni tendenziali rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, emerge che nel 2015 la produzione di elettricità da fonti rinnovabili è diminuita del 9,6 per cento rispetto al 2014; le energie rinnovabili hanno fornito nel 2015 109,1 TWh a fronte dei 120,8 TWh del 2014;
          il calo di 11,6 TWh sul 2014 è imputabile alla netta riduzione della produzione idroelettrica che chiude il 2015 a –25 per cento rispetto al 2014; il fotovoltaico registra un incremento della produzione del 13 per cento rispetto al 2014; in crescita anche la produzione geotermica (+4,5 per cento) in calo la produzione eolica a confronto con il 2014 (-3,3 per cento), mentre le bioenergie registrano un incremento di produzione, passando da 18,7 TWh a 19,3 TWh;
          da notare che le fonti di produzione idrica (-24,9 per cento, dopo il record storico del 2014) ed eolica (-3,3 per cento), hanno dato un minor apporto alla produzione nazionale di energia prevalentemente a causa delle condizioni atmosferiche registrate nel 2015;
          nonostante il calo registrato nel 2015 il contributo delle fonti rinnovabili alla produzione elettrica italiana si conferma determinante: nel 2015 il 40,5 per cento della produzione elettrica nazionale è stata fornita da energia verde – nel 2014 era il 44,9 per cento;
          per quanto riguarda la domanda nazionale di energia elettrica, il 2015 fa registrare una crescita dell'1,5 per cento (per un totale di 315,2 TWh); la maggiore richiesta di energia elettrica è delle regioni del Nord (il 45,9 per cento dell'intera domanda nazionale); per la prima volta dal 2011 i consumi risultano in crescita (+1,5 per cento rispetto al 2014); traina l'incremento, in particolare, la macro-area Sud (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata) che ha fatto registrare la crescita più consistente con un +4,4 per cento, segue l'area formata da Toscana ed Emilia Romagna, con un +4,3 per cento e quella centrale (che comprende Lazio, Abruzzo, Marche, Molise, Umbria), con una variazione del +2,3 per cento rispetto al 2014; contenuto l'aumento di domanda elettrica in Sardegna (+0,8 per cento) e Lombardia (+0,4 per cento); stazionario nella macro-area Nordest (Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto);
          l'articolo 23 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n.  28, di attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, prevede che i regimi di sostegno sono volti a delineare un quadro generale per la promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica in misura adeguata al conseguimento degli obiettivi nazionali delineati dall'articolo 3 del medesimo decreto, attraverso la predisposizione di criteri e strumenti che promuovano l'efficacia, l'efficienza, la semplificazione e la stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione, perseguendo nel contempo l'armonizzazione con altri strumenti di analoga finalità e la riduzione degli oneri di sostegno specifici in capo ai consumatori;
          l'articolo 24 del suddetto decreto prevede che, con decreti del Ministro dello sviluppo economico, emandi di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, per i profili di competenza, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, sentite l'Autorità per l'energia elettrica e il gas e la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281, sono definite le modalità per l'attuazione dei sistemi di incentivazione alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, nel rispetto dei criteri che sono definiti nei commi 2, 3 e 4 del medesimo articolo 24;
          in attuazione dell'articolo 24 del decreto legislativo 28 del 2011, è stato emanato il decreto ministeriale 6 luglio 2012 del Ministero dello sviluppo economico, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici;
          nel settembre 2015, un nuovo decreto in materia, trasmesso all'Autorità per l'energia elettrica e il gas e alla Conferenza unificata per l'espressione del parere, ha apportato alcune modifiche migliorative alla disciplina vigente; il decreto è ora al vaglio della Commissione europea per la verifica di compatibilità degli incentivi ivi previsti con la normativa in materia di aiuti di Stato;
          le agevolazioni disposte dal decreto in via di definizione prevedono un nuovo metodo di calcolo degli incentivi più corretto e rigoroso, che supera alcuni problemi relativi al tetto di spesa determinati dal vecchio metodo di calcolo;
          da notizie di stampa sembra che la Commissione europea sia orientata a chiedere modifiche al suddetto decreto, eventualità che rallenterebbe ulteriormente l’iter di emanazione del decreto che dispone incentivi per la produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici relativi agli anni 2015 e 2016; il provvedimento, dopo la notifica della Commissione, si applicherebbe pertanto solo per pochi mesi, fino alla fine dell'anno 2016  –:
          quali urgenti iniziative si intendano assumere per garantire l'adozione e l'entrata in vigore del nuovo decreto entro breve tempo, valutando l'opportunità di estendere la portata delle nuove disposizioni di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici anche agli anni successivi al 2016. (5-08258)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'impianto di coincenerimento Herambiente (ex Energonut spa) si trova all'interno del nucleo industriale Isernia-Venafro nel comune di Pozzilli, in provincia di Isernia, località «Cerqueto», ad ovest della strada statale n.  85 Venafrana;
          l'impianto entra in funzione il 16 marzo 1999, classificato come destinato al recupero energetico di combustibile da rifiuti e iscritto nel registro provinciale, con semplice comunicazione di inizio attività e senza valutazione di impatto ambientale ai sensi dall'articolo 33 del decreto legislativo n.  22 del 1997 (cosiddette procedure semplificate in materia di recupero energetico dei rifiuti – decreto ministeriale 5 febbraio 1998) Successivamente, interviene l'approvazione del decreto legislativo 11 maggio 2005, n.  133, con cui l'Italia ha recepito la direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 dicembre 2000 sull'incenerimento dei rifiuti;
          a seguito dell'approvazione del decreto legislativo n.  387 del 2003 e n.  133 del 2005, la Energonut si barcamena tra le due normative di fatto massimizzando la possibilità di ricevere gli incentivi statali per la produzione di energia da fonti rinnovabili subendo pochi controlli ambientali. In sostanza, con decreto legislativo n.  387 del 2003, l'impianto Energonut, che nel 1997 entra in funzione attraverso procedura semplificata e comunicazione di inizio attività producendo energia da «residui derivanti dalla frutta secca e fresca» e usufruendo della legislazione di favore prevista dal decreto legislativo n.  22 del 1997, si trova nella possibilità di ricevere incentivi statali per la produzione di energia non solo dalla biomassa inizialmente utilizzata ma anche da CDR, adesso equiparato alle fonti rinnovabili. Nasce qui l'interesse ad aumentare la quantità di rifiuti utilizzati e ad ampliarne le categorie. Entrambe le cose, sempre ai sensi del decreto approvato nel 2003, sarebbero state possibili con la semplice autorizzazione unica della regione;
          nel 2013, l'impianto viene acquisito dalla Herambiente spa 23, società leader nel settore della gestione dei rifiuti che nel 2014 l'intero impianto è sottoposto a monitoraggio ambientale, con la determinazione dirigenziale n.  287 del 1o luglio 2009;
          si rileva che le principali fonti di inquinamento dell'area in questione sono costituite, oltre che dallo stesso impianto, anche dalle industrie, tra le quali la Colacem, presenti all'interno dell'area industriale stessa. Con riferimento alle conclusioni e alle analisi dei risultati relativi all'anno 2012, per i monitoraggi previsti, si evince che vi è un livello di contaminazione per la presenza del mercurio che rende necessario mantenere alto il livello di attenzione per l'intera area;
          è per questo che il comitato delle «Mamme per la salute e l'ambiente» nato spontaneamente, aveva presentato, nel 2009, un esposto alla procura della Repubblica di Isernia riguardo i rischi per la salute legati all'impianto della Colacem e per quello dell'inceneritore, mentre, precedentemente, nel giugno del 2005, si chiedeva all'Arpa Molise, che aveva attivato le centraline per il controllo dell'aria, e ad altri organi, di conoscere, ai sensi della legge n.  241 del 1990 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) i dati raccolti dalle centraline di Venafro;
          lo stesso Comitato ha inoltre chiesto all'assessore alle sanità della regione Molise informazioni in merito agli accorgimenti adottati dalle autorità pubbliche per la tutela e salvaguardia della salute pubblica dei cittadini di Venafro, Sesto Campano e Pozzilli;
          a tutt'oggi però, il Comitato «Mamme per la salute e l'ambiente» non ha avuto alcuna risposta esaustiva sia dagli enti preposti sia dalle industrie in questione;
          a ciò si deve aggiungere che il registro dei tumori è rimasto inattivo, non esiste, dunque, a giudizio dell'interrogante, un monitoraggio serio delle immissioni di inquinanti nell'aria;
          le centraline dell'Arpa, presenti nel territorio, a cui i dati fanno riferimento, nulla dicono della presenza di diossina o del quantitativo numerico delle nanopolveri più piccole, quindi più pericolose. Non esistono, inoltre, come per altri siti a rischio, studi epidemiologici per cui la gente si trova a combattere ogni giorno con un aumento preoccupante di patologie allergiche e respiratorie (i bambini della zona ne sono quasi tutti affetti, e le madri lo sanno bene al di là dell'esistenza o meno di dati ufficiali), oncologiche e cardiache (negli ultimi 2 anni troppe giovani donne ne sono morte), strettamente legate alla presenza di impianti che immettono nel territorio diossina, metalli pesanti, nanoparticelle tossiche;
          è, dunque, di fondamentale importanza capire quali sono le numerose sostanze cancerogene, mutagene e tossiche, riversate nell'ambiente, con un riflesso inevitabile sulla salute  –:
          quali iniziative urgenti il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda adottare, anche promuovendo una verifica da parte del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, per accertare lo stato dei luoghi e il livello di inquinamento ambientale cui sono sottoposte le zone citate in premessa;
          se il Ministro della salute intenda promuovere nella piana di Venafro-Pozzilli una indagine epidemiologica, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, al fine di verificare, soprattutto nell'area circostante all'impianto di cui in premessa, gli effetti prodotti dall'accumulo di sostanze e metalli nocivi come diossina, cromo, cadmio piombo e altro. (4-12672)


      ZOLEZZI, VIGNAROLI, TERZONI, DAGA, BUSTO, MICILLO, DE ROSA e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 4 della direttiva 2008/98/CE stabilisce la priorità della prevenzione dei rifiuti rispetto a qualsivoglia operazione di trattamento dei medesimi, da ciò ne consegue per gli Stati membri dell'Unione europea la redazione dei piani nazionali di prevenzione nei quali essi debbono, fra l'altro, stabilire degli obiettivi di riduzione;
          l'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2003/35/CE sulla partecipazione del pubblico alle decisioni in materia, ambientale stabilisce che il pubblico debba poter esprimere osservazioni quando tutte le opzioni sono aperte;
          la risoluzione doc. XVIII n.  80 approvata al Senato, a prima, firma della senatrice Laura Puppato, afferma fra l'altro la necessità di dirottare gli incentivi economici dalla produzione di energia a quella di materiali;
          la risoluzione n.  9 della regione Lombardia approvata nella seduta del 28 novembre 2013, afferma testualmente che «La stima di sovracapacità impiantistica al 2020 risulta pari a ben 1298003 tonnellate»;
          la risoluzione n.  4886 del 17 dicembre 2013 proposta in regione Emilia Romagna dalla consigliera Barbati e altri afferma testualmente che «dal Documento Preliminare del PRGR risulta che, con riferimento al 2011, il quantitativo complessivo di rifiuti inviato all'incenerimento negli impianti presenti in Emilia-Romagna è pari a 1.104.500 tonnellate annue e constatato che in base agli scenari di piano tracciati nel Documento Preliminare del PRGR tale quantitativo si ridurrà del 43 per cento al 2020, per un ammontare complessivo stimato in 626.930 tonnellate di rifiuti indifferenziati» da ciò si evince un surplus di circa 500000 tonnellate/anno anche per Emilia Romagna;
          nell'interrogazione presentata dal primo firmatario del presente atto n.  5-06513 si rileva come un inceneritore ha una resa energetica reale dell'1,5 per cento (dati ARPAV su inceneritore di Padova) analizzando anche l'energia spesa per la filiera di preparazione all'incenerimento. È inaccettabile che il 46 per cento dell'energia lorda, prodotta da quell'inceneritore sia incentivata contro l'1,5 per cento messo nettamente in rete. Il denaro speso per incentivare l'incenerimento (585 milioni di euro nel 2014, dati GSE) e il percolato da discarica (165 milioni) potrebbe contribuire a gestire meglio la filiera dei rifiuti solidi urbani in un'ottica di recupero di materia. Nella medesima interrogazione si era già rilevato come l'Unione europea, in primis tende a marginalizzare il ruolo degli inceneritori nel processo di gestione dei rifiuti; in tal senso la normativa italiana riconosce anche a questi impianti gli incentivi (CIP6 e certificati verdi), riferiti alla, produzione di energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili; la perseveranza nelle scelte a favore dell'incenerimento dei rifiuti è data, in primo luogo, proprio dall'incentivazione tariffaria dell'energia prodotta da tale tipo di impianti, che include i termovalorizzatori tra beneficiari di incentivi, senza alcuna distinzione tra fonti organiche e fonti non biodegradabili; l'incenerimento dei rifiuti è la pratica con minima sostenibilità nell'ambito della gerarchia europea dei rifiuti, che privilegia invece il recupero di materia;
          l'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.  133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n.  164 dispone che «entro novanta, giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico, fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziati e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica»;
          il decreto-legge n.  133 in merito all'articolo 35 sta subendo un iter attuativo difficoltoso anche per la opinabilità tecnica dei contenuti. Fra l'altro, si segnala che nella mappatura della capacità di incenerimento non è stata valutata la presenza di inceneritori dedicati ai soli rifiuti speciali (RS), né è stata eseguita alcuna mappatura delle discariche esistenti che sono ovviamente parte della attuale filiera di settore;
          il 16 marzo 2016 è stata avviata la procedura di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi ai sensi dell'articolo 35, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, inerente al «Programma recante l'individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento rifiuti urbani e assimilati in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché l'individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilati»;
          al momento, con il documento prot. 0004267/RIN del 21 marzo 2016 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta trasmettendo la comunicazione per l'avvio della consultazione ai sensi dell'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo n.  152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni concernente la procedura di verifica di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica relativa al programma recante «individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché l'individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilabili» di cui allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi ai sensi dell'articolo 35 comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014: in pratica la Conferenza Stato-regioni avrebbe «imposto» al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del mare Galletti la procedura di VAS, che il Ministro ha dovuto accettare per incassare il «sì» a maggioranza allo schema di decreto. Una VAS veramente pubblica e genuinamente strutturata, dovrà includere anche una analisi delle alternative, e questo metterebbe in crisi l'assunto principale ed irricevibile dell'articolo 35, ovvero che il pretrattamento è uguale a incenerimento, mentre il razionale obiettivo dell'articolo 35 era superare le procedure d'infrazione per mancanza di sistemi di pretrattamento nonostante l'obbligo della direttiva 99/31 sulle discariche;
          il Ministro Galletti, nell'articolo su Repubblica.it riferisce: «sono stato assessore al comune di Bologna e mi vanto di aver contribuito a una grande operazione ambientale: la creazione della multiutility Hera e la sua quotazione in borsa. È la seconda azienda ambientale del Nord». Il bacino di utenza Hera è di circa 3,3 milioni di persone, il record per quanto concerne la gestione dei rifiuti solidi urbani;
          l'Emilia Romagna, secondo i dati dell'Ispra, è la regione con il più elevato costo per la gestione dei rifiuti (227 euro procapite) nonché la regione con la più elevati produzione procapite di rifiuti (oltre 600 chilogrammi a persona), ha la più elevata concentrazione regionale di inceneritori (1 ogni 555.822 abitanti);
          il combinato disposto di questi dati da solo costituisce un giudizio impietoso in merito alla politica governativa in tema di RSU ed economia circolare, oltretutto sanzionata dall'Unione europea nell'ambito delle 18 procedure d'infrazione pendenti in materia ambientale fra cui si segnalano 5 procedure d'infrazione per le quali la Corte di giustizia dell'Unione europea ha emesso una sentenza di condanna nei confronti dell'Italia. La sentenza del 2 dicembre 2014 ha condannato l'Italia a pagare 40 milioni di euro come misura forfettaria in riferimento alla violazione della direttiva rifiuti 75/442/CE (modificata dalla direttiva 91/156/CEE), della direttiva 91/689 CEE e della direttiva 1999/13/CE che riguardano fra l'altro 200 discariche abusive presenti nel territorio italiano, e di una penalità semestrale di 42,8 milioni di euro per la mancata messa a norma delle medesime discariche; altre procedure d'infrazione (procedura n.  2011/4021) riguardano proprio il mancato pretrattamento dei rifiuti;
          lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non considera la possibilità che non esista alcun fabbisogno residuo di incenerimento a livello nazionale, venendo meno agli obblighi di considerare e mettere a disposizione del pubblico tutte le opzioni possibili di cui alla citata direttiva 2003/35/CE. Parimenti lo stesso schema di decreto pianifica gli impianti partendo dal presupposto, a giudizio degli interroganti illegittimo in base alla citata direttiva 2008/98/CE, che la produzione di rifiuti rimanga costante nel tempo anziché considerare che la quantità di rifiuti prodotti attesa nel 2020 dovrà essere necessariamente inferiore  –:
          se il Governo non ritenga di assumere iniziative per inserire nella mappatura impiantistica per la gestione dei rifiuti un'analisi di tutti gli impianti di pretrattamento, degli impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti solidi urbani e rifiuti speciali, nonché di tutte le discariche;
          di quali dati oggettivi e verificabili disponga il Governo per escludere a priori la possibilità che a livello nazionale non esista alcun fabbisogno residuo di incenerimento dei rifiuti;
          se, nell'ambito della procedura di verifica di assoggettabilità a VAS relativa al programma recante «individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilabili» di cui allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi ai sensi dell'articolo 35, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n.  164, non si intendano prendere in considerazione prioritariamente alternative allo stesso programma relative all'implementazione del pretrattamento dei rifiuti;
          se nello stesso ambito si intendano prendere in considerazione modalità gestionali dei rifiuti solidi urbani e rifiuti speciali orientati all'economia e in particolare all'economia circolare. (4-12675)


      PELLEGRINO, ZARATTI, RICCIATTI, FERRARA e PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 22 e 23 marzo 2016, alcune agenzie e siti web hanno riportato la notizia di un incidente, con conseguente fuoriuscita di petrolio, vicino alle coste dell'isola di Kerkennah in Tunisia;
          la perdita sembrerebbe avere origine dalle condotte sottomarine appartenenti alle Thyna Petroleum Services (TPS), una società comune della tunisina National Oil Company, e della ETAP-Entreprise Tunisienne d'activités Pétrolières. Ma sotto accusa è soprattutto la Petrofac, una compagnia britannica specializzata nella fornitura di servizi all'industria petrolifera;
          la società ha rilevato, domenica 13 marzo 2016, una perdita alla testa del pozzo «Cercina 7». Il pozzo di estrazione si trova a soli 7 chilometri dalla costa dell'isola;
          secondo le autorità tunisine, la situazione sarebbe sotto controllo e il danno contenuto, ma per la società civile che risiede sull'isola, di cui sono stati ricoperti di greggio tre chilometri di spiaggia, è invece una vera e propria catastrofe ecologica e sociale. Le conseguenze dell'incidente sono, infatti, pesantissime per la popolazione delle isole;
          come riportato dal sito Greenreport del 22 marzo 2016, la pesca è l'attività principale dell'arcipelago, e da quando hanno iniziato a trivellare nel Golfo di Gabes sono iniziati i problemi perché l'inquinamento collegato alle attività estrattive ha fatto diminuire drasticamente il numero delle spugne e anche il pescato ha subito un calo;
          l'incidente in Tunisia dimostra come anche a fronte di un incidente seppur contenuto legato ad attività di estrazione di idrocarburi in mare, le conseguenze negative sull'ecosistema e sulle popolazioni rivierasche possono essere estremamente pesanti;
          come sottolineato dalla presidente di Legambiente Rossella Muroni, episodi drammatici come quello suesposto, fanno purtroppo da ulteriore monito sulle possibili conseguenze delle attività delle piattaforme. Anche le attività di routine possono, peraltro, rilasciare sostanze chimiche inquinanti e pericolose nell'ambiente marino, come olii, greggio, metalli pesanti o altre sostanze contaminanti, con gravi conseguenze sull'ambiente circostante;
          questi rischi sono maggiormente acuiti dal fatto che il Mediterraneo, e ancora di più il mare Adriatico, dove purtroppo si concentrano la gran parte delle attività di ricerca ed estrazione offshore, sono mari «chiusi», con un bassissimo o praticamente nullo — per quanto riguarda in particolare l'Adriatico — ricambio delle acque  –:
          quali iniziative siano state avviate al fine di verificare e monitorare l'impatto sull'ambiente marino e la reale portata dell'incidente petrolifero nel mare tunisino, e se quanto accaduto non confermi che un eventuale incidente nelle piattaforme offshore operanti in un mare chiuso quale il Mediterraneo e, ancor di più l'Adriatico, sarebbe fonte di danni incalcolabili e duraturi sull'ecosistema e sull'economia locale. (4-12680)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


      COLONNESE, FICO, SIBILIA, SILVIA GIORDANO, TOFALO, MICILLO e LUIGI GALLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il parco di Capodimonte, già Real parco di Capodimonte, è un parco cittadino di Napoli, ubicato nella zona di Capodimonte, antistante l'omonima reggia. Il parco di Capodimonte ha un'estensione di 134 ettari protetto in parte da una cinta muraria realizzata negli anni ’20 del XIX secolo, con circa 400 entità vegetali classificabili in 108 famiglie e 274 generi ed è senz'altro lo spazio verde più grande dell'intera città di Napoli, unico polmone verde. All'interno del suo perimetro si contano sedici architetture tra residenze, casini, fabbriche artigiane, depositi e chiese, oltre a fontane e statue, dispositivi per la caccia, orti e frutteti ed un cimitero, quello dei Cappuccini dell'Eremo. La storia del Parco con la Reggia inizia con l'ascesa al trono di Carlo di Borbone, il 10 maggio 1734 e con il suo ambizioso programma di un sistema di possedimenti direttamente amministrati dalla Corona denominati «siti reali». Capodimonte, alto e ventilato, dominante l'intero golfo e visibile da gran parte della città fu ritenuto luogo idoneo ad accogliere la residenza reale. I lavori di perimetrazione della tenuta di caccia risultarono già ultimati nel 1736. L'accesso avveniva dalla Porta di Mezzo che conduceva al grande emiciclo dal quale prendeva avvio il ventaglio dei viali. La tradizione storiografica ha sempre assegnato a Ferdinando San Felice e Domenico Antonio Vaccaro il disegno di questo scenografico impianto, ma ipotesi più recenti lo attribuiscono al romano Antonio Canevari. Scenografie naturalistiche, statue, fontane insieme a giardini murati non potevano mancare in un bosco reale dove però la zonizzazione vegetale era funzionale alle tipologie di caccia praticate dal re, per cui a zone densamente arboree con lecci, castagni, carpini ed olmi seguivano zone arbustate con il mirto, l'olivella ed il lauro regio, oltre a radure e ragnaie. Tra il 1836 ed il 1837 vengono eseguiti dei lavori di riqualificazioni sotto la guida del botanico Friedrich Dehnhardt: questi introduce il classico giardino all'inglese, in particolare nelle aiuole che circondano la reggia, e pone a dimora essenze arboree, alcune delle quali rare ed esotiche, come la Thuja e l'eucalipto;
          nel parco si contano oltre quattrocento varietà di alberi secolari come querce, lecci, olmi, tigli e castagni: accanto a queste, in passato, erano presenti coltivazioni di alberi da frutta, in particolar modo agrumi; inoltre, quando la zona era adibita a riserva di caccia reale, si incontravano tortore, beccafichi, tordi, fagiani di importazione boema, lepri, conigli e cervi;
          il parco di Capodimonte nel 2014 è risultato vincitore della XII edizione del concorso che premia «il Parco più bello d'Italia». In seguito alla procedura di selezione internazionale per i direttori dei 20 principali musei italiani prevista dalla «riforma Franceschini», allo storico dell'arte francese Sylvain Bellenger è stata affidata la direzione del museo con annesso parco e del Bosco di Capodimonte;
          in seguito a segnalazione degli abitanti della zona, gli interroganti sono venuti a conoscenza che nel sito di Capodimonte era in atto il taglio di molti alberi. La prima firmataria del presente atto si è subito attivata chiedendo informazioni alla segreteria del direttore: ha risposto il direttore amministrativo del museo di Capodimonte, che alla precisa e puntuale richiesta di informazioni riguardo a tagli, comunicava che gli interventi in essere si erano resi opportuni in seguito ad una tempesta che si era abbattuta sulla città nella notte tra il 28 e 29 febbraio. L'intervento, secondo quanto riferito, sarebbe stato «diffuso» e avrebbe interessato solo le piante malate e/o danneggiate dal maltempo garantendo la messa in sicurezza e permettendo la riapertura del sito che per l'occasione era stato chiuso dal 29 febbraio al 7 marzo 2016. All'uopo e dietro richiesta di documentazione, il direttore trasmetteva copia della nota trasmessa alla prefettura dove il museo comunicava la riapertura del sito in seguito all'avvenuta messa in sicurezza degli alberi ed eliminazione del pericolo, con l'elencazione degli interventi eseguiti:
              rimozione di alberi divelti o parti di essi (rami e ramuli) che ostruivano il passaggio;
              rimozione di rami pericolanti rimasti in quota;
              abbattimento di alberi in prossimità dei viali che presentavano fonti di rischio per i fruitori del parco (sollevamento della zolla radicale);
              potatura e alleggerimento della chioma e rimonda del secco;
          da fonti di stampa gli interroganti venivano invece a conoscenza che gli interventi effettuati sono stati ben diversi: si sarebbe effettuata una «capitozzatura» degli alberi lungo i crinali della zona retrostante il corpo di fabbrica del Museo che affaccia direttamente su Via Ponti Rossi;
          la «capitozzatura» è una tecnica di potatura che consiste nel taglio dei rami sopra il punto di intersezione con il tronco o altro ramo principale, in modo che rimanga solo quest'ultimo o una parte della chioma, dopo una rimozione molto drastica, dal 50 al 100 per cento. È pratica arboricola molto criticata e deprecata perché dannosa agli alberi, anche quando praticata su piante ornamentali. Con l'eliminazione della chioma, l'albero attiva le gemme latenti sottostanti, che determinano la crescita di nuovi germogli attorno al taglio. Soprattutto nelle piante ad alto fusto, questo richiede un enorme sforzo produttivo, oltre ad alterare la forma naturale dell'albero e la sua estetica, può creare futuri problemi alla stabilità della pianta con eventuali rischi di rotture, e indurre un probabile aumento dei costi a medio e lungo termine delle opere di arboricoltura;
          lo scenario che si è presentato ai fruitori del sito in questi giorni è stato davvero impressionante: una distesa di alberi falcidiati e monchi, una potatura così invasiva effettuata a quanto pare, solo per aprire uno spiraglio di panorama sulla città. Alle proteste dei cittadini e delle associazioni, tra cui Legambiente, il direttore Bellenger ha risposto in un'intervista che sono stati tagliati 100 alberi e che non ci sarebbe assolutamente l'intenzione di ripiantare gli alberi tagliati: «il parco è di nuovo bello»;
          naturalmente il concetto del «bello» è quanto mai opinabile: oltre la bruttezza della distesa di tronchi disadorni, c’è anche da mettere in conto la riduzione di uno dei polmoni di verde della città. Intervenire in tal modo significa amputare una riserva d'ossigeno immersa in una metropoli ad alto tasso di inquinamento. Al di là dell'impatto visivo, la scelta non è comunque piaciuta a molti napoletani;
          la legge 11 giugno 1922, n.  778 (legge Croce), introdusse il concetto che sarà caposaldo della successiva evoluzione della tutela: l'equiparazione tra bene artistico (divenuto poi bene culturale) e le bellezze naturali (oggi beni ambientali). Il 29 giugno 1939 con la legge n.  1497 fu promulgata la prima fondamentale norma «paesistica», di «protezione delle bellezze naturali», con la quale si sancì definitivamente l'equiparazione tra le bellezze naturali ed il patrimonio storico-artistico;
          la legge 8 agosto 1985, n.  431, che istituì il vincolo di tutela su tutto il territorio nazionale avente particolari caratteristiche naturali e dispose inoltre «la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriale» per la gestione e valorizzazione degli ambiti tutelati ai sensi della legge n.  1497 del 1939;
          le categorie di beni che la legge n.  431 del 1985 (articolo 1) sottoponeva a tutela (oggi tutelati dall'articolo 142 del decreto legislativo n.  42 del 2004) sono tra gli altri i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi e i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2 commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n.  122;
          il codice dei beni culturali, nella parte terza, definisce il paesaggio come «parte omogenea del territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana e dalle reciproche interrelazioni» (articolo 131) e sottolinea il ruolo imprescindibile della cooperazione tra le amministrazioni pubbliche al fine di pervenire ad «una definizione congiunta degli indirizzi e criteri riguardanti le attività di tutela, pianificazione; recupero, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio e di gestione dei relativi interventi» (articolo 132)  –:
          se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
          quale sia il motivo oggettivo per cui si sia effettuato l'intervento sul crinale del terrazzamento della cosiddetta «Spianata» descritto in premessa e quali specie arboree abbia interessato, a quale ditta sia stato commissionato e secondo quale criterio;
          se non ritengano che l'intervento effettuato contrasti con quanto riferito dalla segreteria del museo e con quanto comunicato alla prefettura, essendo stato secondo gli interroganti un intervento massivo e non diffuso come dichiarato nella nota di comunicazione alla prefettura e secondo quale studio agronomico si sia optato per tale intervento;
          se non ritengano di intervenire, per quanto di competenza, anche con iniziative normative, al fine di evitare che un unico soggetto, sia esso anche competente in virtù di un incarico istituzionale, possa decidere di intervenire in maniera tanto incisiva sul patrimonio naturalistico equiparato dalla legge n.  1497 del 1939 a patrimonio storico artistico;
          se non ritengano che intervenire in tal modo abbia significato amputare una riserva d'ossigeno di una metropoli ad alto tasso di inquinamento. (4-12685)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      FRUSONE, BASILIO, CORDA, TOFALO, RIZZO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          varie fonti di stampa, tra le quali l'agenzia Ansa delle ore 18.57 del 23 marzo 2016, riportano che il Governo italiano e quello saudita hanno firmato un accordo tecnico per la partecipazione dei piloti dell'Aeronautica saudita ai corsi di pilotaggio per elicotteri dell'Aeronautica militare italiana;
          l'Arabia saudita è da tempo impegnata su vari fronti di guerra, in particolare nello Yemen, dove sia organizzazioni umanitarie internazionali che le Nazioni Unite hanno denunciato come contrarie al diritto internazionali le azioni di bombardamento indiscriminate compiute in quel Paese dalla coalizione militare a guida saudita, compreso l'uso di bombe a grappolo anche in zone densamente popolate come nel caso della capitale Sanaa il 6 gennaio 2016;
          la legge n.  185 del 1990 vieta la fornitura di servizi di addestramento se non specificamente autorizzati ai sensi della medesima legge, il che non risulta essere avvenuto nel caso specifico; tale divieto è assoluto nel caso di Paesi in guerra o che violino i diritti umani;
          l'accordo di cooperazione militare tra Italia e Arabia Saudita, di cui alla legge n.  48 del 1998, non può essere sicuramente invocato a giudizio degli interroganti per superare le limitazioni discendenti dalla citata legge n.  185 del 1990;
          tale accordo inoltre interverrebbe in un drammatico momento storico in cui l'Arabia Saudita è da più parti sospettata di sostenere, direttamente e indirettamente, molte attività del cosiddetto Stato islamico (Daesh) nonché di essere uno dei suoi più attivi finanziatori  –:
          se trovi conferma l'avvenuta firma dell'accordo citato in premessa;
          se e quali siano le attività addestrative ivi previste e quale sia l'impegno italiano in materia;
          se non ritenga di dover immediatamente assumere iniziative affinché a tale accordo, qualora sia stato già firmato, non sia dato corso sino a quando l'Arabia Saudita non cesserà tutte le attività belliche in violazione del diritto umanitario internazionale. (5-08257)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


      SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          perdere i risparmi guadagnati dopo anni di duro lavoro e di sacrifici sono oltre 1.500 obbligazionisti e azionisti aquilani e più di 5.000 abruzzesi clienti delle quattro « bad bank» Carichieti, Cariferrara, Banca Marche e Banca Etruria;
          si è costituito un «Comitato Difesa Risparmiatori Banca Etruria» che rappresenta oltre mille azionisti e obbligazionisti delle due sedi di Banca Etruria di Pizzoli e dell'Aquila;
          nei giorni scorsi, il Comitato difesa risparmiatori di Pizzoli ha inviato una lettera all'amministratore delegato della nuova Banca Etruria Roberto Bertola per denunciare «i lunghi tempi di consegna della documentazioni», richieste dai clienti della banca che vogliono avere chiarimenti sulle circostanze che hanno portato alla perdita dei propri risparmi;
          nella lettera il presidente del Comitato Domenico Ioannucci chiede anche spiegazioni «in merito all'assurda pretesa da parte della Nuova Banca che la clientela firmi, al momento della consegna della documentazione, non certo una semplice ricevuta con l'elenco dei documenti consegnati o ricevuti, bensì una certa lettera di “discolpa” da parte della Nuova Banca rispetto a fatti e circostanze ancora poco chiare»;
          sono molti, infatti, i risparmiatori che hanno sottolineato l'eccessivo ritardo nel rilascio della documentazione, tanto che nelle scorse settimane è stato richiesto anche l'intervento dei carabinieri nella filiale di Pizzoli per cercare di ottenere i documenti richiesti allo sportello;
          come rilevato dall'avvocato del comitato difesa dei risparmiatori Vanna Pizzi, alcuni clienti della sede di Pizzoli «al momento in cui si sono recati in filiale, per la consegna dei documenti contrattuali richiesti, si sono visti presentare un'informativa predisposta della nuova banca, con contestuale richiesta di sottoscrizione della stessa, in cui l'istituto attesta di non essere responsabile per le eventuali azioni relative ai titoli azzerati»; i risparmiatori si sono tuttavia rifiutati di firmare la lettera anche grazie all'intervento telefonico tempestivo dell'avvocato Pizzi;
          per l'avvocato «è dubbia la posizione della “good bank” rispetto alla non responsabilità nella negoziazione dei titoli; infatti sollevarsi dalla responsabilità così come pretende nella lettera la nuova banca, non rispetterebbe la continuità nell'attività di impresa tra la vecchia e la nuova banca per quanto anche per quanto riguarda la negoziazione dei titoli»;
          secondo il racconto di un risparmiatore aquilano che ha perso una ingente somma tra azioni e obbligazioni: «Avevo richiesto tutta la documentazione. Quando sono arrivato allo sportello per ritirarla, mi hanno sottoposto come condizione un foglio da firmare nel quale c'era scritto in sostanza che per la nuova banca, non avrei potuto rivalermi sulla stessa. Non ho firmato nulla, ma a quel punto non mi hanno voluto rilasciare i documenti, dicendomi che mi avrebbero inviati tutto per posta». E aggiunge: «Siamo vittime di un'ingiustizia e chiediamo solo di poter riavere indietro il frutto dei sudori di una vita. Non abbiamo mai voluto speculare, abbiamo solo comprato obbligazioni che ci sono state vendute come sicure»;
          nella lettera inviata all'amministratore delegato della nuova Banca Etruria Roberto Bertola, il Presidente del Comitato difesa dei risparmiatori di Pizzoli scrive: «A nome e per conto del Comitato che rappresento vengo a chiederle spiegazioni sui tempi di consegna della documentazione che, per legge, la Banca da Lei amministrata è tenuta a rispettare. Le chiedo infatti quale assurda giustificazione abbia la Banca per ignorare la sentenza della Corte di Cassazione (I Sezione Civile) n. 18555/2013 che fissa in 15 giorni il termine previsto per gli istituti bancari per la consegna dei documenti richiesti dalla propria clientela. Che interesse ha la Banca ad operare contro la legge ? Le chiedo inoltre spiegazione in merito all'assurda pretesa (da parte della Nuova Banca) che la clientela firmi, al momento della consegna della documentazione, non certo una semplice ricevuta con l'elenco dei documenti consegnati/ricevuti, bensì una certa lettera di “discolpa” da parte della Nuova Banca rispetto a fatti e circostanze ancora poco chiare a tutti: di cosa ha timore la Nuova Banca Etruria ? Anzi, perché non viene consegnato tutto quanto richiesto, incluso il documento relativo allo scenario probabilistico dei titoli subordinati oggetto dell'azzeramento ? Tutto questo ci sembra una chiara mancanza di rispetto della Nuova Banca verso la storica clientela, a cui la stessa Nuova Banca non si fa però certo scrupolo di chiedere il mantenimento dei propri risparmi ancora presso l'Istituto. Le chiedo, insomma, quali altri strumenti la Banca voglia ancora attuare nell'intento di esasperare ulteriormente chi ha perso i propri risparmi, considerato che la nostra unica colpa è stata appunto quella di esserci sempre “ingenuamente” fidati delle rassicurazioni pervenute dalla Banca e dagli organismi di controllo, il cui personale ancora opera nella dirigenza della Nuova Banca Etruria. Ed allora, dottor Bertola, perché nulla è stato ancora fatto per sanare questa situazione divenuta ormai insostenibile ed evitare ulteriori spiacevoli comportamenti ? In ultimo se è vero che la Nuova Banca ha a cuore le sorti di noi clienti, perché nel bando di vendita dell'istituto non viene semmai inserita una clausola che preveda l'obbligo, per chi acquisterà la Banca, di rimborsare ai possessori retail le obbligazioni subordinate (azzerate) almeno alla loro naturale scadenza ? Non ritiene anche Lei che, per l'acquirente della Nuova Banca, la soluzione di un esborso non immediato possa comunque valere la rifidelizzazione di tante famiglie ?»;
          quello del comune di Pizzoli, cittadina in provincia dell'Aquila, con quattromila abitanti, rappresenta un caso unico in Italia per l'incidenza economica e sociale, nel tessuto del piccolo centro, dei casi di risparmiatori coinvolti nella vicenda delle azioni e delle obbligazioni subordinate di Banca Etruria;
          tuttavia, risulta all'interrogante che casi simili siano stati denunciati anche da clienti di altre filiali delle quattro « bad bank» Carichieti, Cariferrara, Banca Marche e Banca Etruria  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative, per quanto di competenza, anche di carattere normativo, intenda adottare per far sì che gli istituti di credito rispettino i previsti, tempi di consegna della documentazione contrattuale richiesta dalla propria clientela e non sottopongano il rilascio della medesima ad alcuna condizione o obbligo. (5-08268)


      CAUSI e PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1, commi da 918 a 946 e 948 della legge di stabilità 2016 di cui alla legge 28 dicembre 2015, n.  208, reca alcune disposizioni in materia di giochi volte in particolare ad incrementare il prelievo erariale unico (PREU) relativo a newslot (dal 13 al 17,5 per cento); a ridurre la dipendenza patologica da gioco; a prevedere norme volte all'emersione dei centri di raccolta on line di scommesse non autorizzati, anche attraverso una procedura per accertare la stabile organizzazione in caso di raccolta delle scommesse per mezzo dei centri di trasmissione dati (cosiddetti CTD); ad effettuare i bandi di gara per nuove concessioni riguardanti le scommesse sportive e non sportive, il Bingo ed i giochi a distanza; a sanzionare il divieto di installazione negli esercizi pubblici dei cosiddetti «totem»; a definire, nell'ambito della Conferenza unificata Stato-regioni ed enti locali, le caratteristiche dei punti vendita di gioco, nonché i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell'ordine pubblico, della pubblica fede dei giocatori e prevenire il rischio di accesso dei minori; a prevedere determinati vincoli alla pubblicità del gioco, anche in linea a quanto previsto dalla raccomandazione 2014/478 della Commissione europea e a prevedere campagne di informazione e sensibilizzazione nelle scuole sui fattori di rischio connessi al gioco d'azzardo;
          il comma 922 dell'articolo 1 della citata legge prevede che, a decorrere dal 2016 il rilascio del nulla osta per le newslot sia consentito solo in sostituzione di quelli già esistenti: si preclude pertanto l'ammissione di apparecchi aggiuntivi;
          il comma 943 demanda ad un decreto ministeriale la definizione del processo di evoluzione degli apparecchi newslot per il passaggio ad apparecchi con sistemi di gioco con controllo remoto (analogamente alle VLT);
          ai sensi del medesimo comma i vecchi apparecchi dovranno essere dismessi entro il 2019 e, a partire dal 2017, si prevede una riduzione del 30 per cento delle newslot rispetto agli apparecchi attivi al 31 luglio 2015;
          le modalità di tale riduzione, anche tenuto conto della diffusione territoriale degli apparecchi, il costo dei nuovi nulla osta e le modalità, anche rateali, del relativo pagamento saranno definiti con il citato decreto ministeriale;
          secondo i dati ufficiali forniti dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, aggiornati a novembre 2015, il numero di apparecchi AWP in esercizio risulta essere pari a 340.785, quelli in magazzino 34.077, per un totale complessivo di 374.862;
          da fonti di stampa sembrerebbe che la direzione dei giochi dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli abbia inviato una circolare agli uffici regionali con l'obiettivo di pervenire a una base di riferimento certa del numero degli apparecchi, ai fini dell'applicazione della citata riduzione prevista degli stessi entro il 2017;
          la norma prevista dalla legge di stabilità 2016, che prevede la riduzione degli apparecchi attivi, ai fini del contrasto della ludopatia e della tutela della salute pubblica, sembra con tutta evidenza, nelle intenzioni del legislatore, riferita alle newslot effettivamente presenti sulla rete distributiva disponibile per i consumatori, e risulterebbe disattesa a giudizio degli interroganti se invece venissero presi in considerazione anche gli apparecchi depositati in magazzino  –:
          nelle more dell'emanazione del decreto di cui in premessa, quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per evitare anomali fenomeni di commercializzazione dei nullaosta non improntati a criteri di trasparenza, nonché per monitorare la correttezza della procedura di censimento delle apparecchiature attive alla data del 31 luglio 2015 al fine di dare corretta attuazione alla norma prevista nella legge di stabilità 2016 volta a ridurre del 30 per cento, dal 2017, il numero delle apparecchiature cosiddette newslot effettivamente presenti sulla rete distributiva. (5-08269)


      PISANO, PESCO, RUOCCO, VILLAROSA, ALBERTI e FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          con la recente sentenza 5069 del 12 maggio 2015, pubblicata il 15 marzo 2016, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno enunciato il principio secondo il quale i termini di decadenza stabiliti per procedere all'accertamento non si applicano alle richieste di rimborso di un credito d'imposta esposto in dichiarazione dei redditi;
          in particolare, le sezioni unite hanno ritenuto di non poter condividere l'interpretazione recepita da altro orientamento giurisprudenziale (si veda Cassazione sentenza 9339/2012) secondo cui, qualora il contribuente abbia presentato la dichiarazione annuale, ai fini di una imposta, esponendo un credito di rimborso, l'amministrazione finanziaria è tenuta a provvedere sulla richiesta di rimborso nei medesimi termini di decadenza stabiliti per procedere all'accertamento in rettifica; diversamente, decorso il termine predetto, senza che sia stato adottato alcun provvedimento da parte della pubblica amministrazione, il diritto al rimborso esposto nella dichiarazione si cristallizza nell’an e nel quantum, rimanendo preclusa all'Amministrazione finanziaria ogni contestazione dei fatti che hanno originato la pretesa di rimborso;
          secondo le sezioni unite, invece, i termini decadenziali in questione sarebbero apposti solo alle attività di accertamento di un credito della Amministrazione e non a quelle con cui la Amministrazione contesti la sussistenza di un suo debito, in applicazione del principio secondo cui « quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum» (articolo 1442 del codice civile);
          in pratica, mentre per l'accertamento dei crediti tributari dell'Amministrazione finanziaria la potestà di verifica e accertamento è sottoposta a precisi termini decadenziali (da tre a cinque anni), la valutazione della sussistenza di un debito (quale il credito d'imposta chiesto a rimborso nella dichiarazione dei redditi) non sarebbe sottoposto ad alcun termine, sicché l'Amministrazione sarebbe legittimata a negare il rimborso del credito esposto in dichiarazione anche a seguito del decorso dei termini per la sua rettifica e quindi in presenza di una dichiarazione non più modificabile;
          l'interpretazione delle sezioni e unite pone in rilievo, sul piano logico giuridico, evidenti criticità in materia di rimborsi fiscali; a legge, infatti, concede ampi termini all'amministrazione finanziaria per il controllo formale alle dichiarazione dei redditi e per l'eventuale rettifica; non può negarsi che la stessa limitazione temporale trovi applicazione anche alle istanze di rimborso formulate nella dichiarazione annuale, garantendo in tal modo la certezza dei rapporti giuridici tra amministrazione e contribuente nonché la concreta attuazione dei principi di buona fede e correttezza della pubblica amministrazione;
          diversamente, in assenza di specifiche disposizioni normative, significherebbe tollerare senza limiti l'inerzia degli uffici dell'Agenzia delle entrate sulle istanze di rimborso tasti pensare che nel caso esaminato dalla richiamata sentenza 9339 del 2012 (che ha poi dato ragione al contribuente enunciando il principio di diritto ora superato dalle sezioni unite), il diniego è stato opposto dall'amministrazione finanziaria ben 13 anni dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi;
          del resto, sono le stesse sezioni unite ad evidenziare nella motivazione della sentenza che la soluzione prospettata «suscita una certa disarmonia nel) sistema in quanto, decorso il termine per l'accertamento, all'Amministrazione viene consentito di contestare il contenuto di un atto del contribuente solo nella misura in cui tale contestazione consente alla Amministrazione di evitare un esborso e non invece sotto il profilo in cui la medesima contestazione comporterebbe la affermazione di un credito della Amministrazione»;
          si evidenza inoltre che l'interpretazione resa dalle sezioni unite sembra, a giudizio degli interroganti, non tener conto di vigenti disposizioni in materia di rimborsi, previste per determinate imposte (in particolare per l'Iva), generando pertanto elementi di contrasto normativi e dubbi applicativi tra le varie tipologie di imposte; l'articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica n.  633 del 1972 – da ultimo sostituito dall'articolo 1, comma 130, della legge 28 dicembre 2015, n.  208 – al primo comma dispone che «gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti ... devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione» il terzo comma stabilisce poi che «nel caso di richiesta di rimborso dell'eccedenza d'imposta detraibile risultante dalla dichiarazione annuale, se tra la data di notifica della richiesta da parte dell'ufficio e la data della loro consegna intercorre un periodo superiore a quindici giorni, il termine di decadenza, relativo agli anni in cui si è formata l'eccedenza detraibile chiesta a rimborso, è differito di un periodo di tempo pari a quello compreso tra il sedicesimo giorno e la data di consegna»: ebbene, interpretando tali disposizioni (nell'analoga formulazione normativa applicabile ratione temporis), la stessa Corte di cassazione (sentenza 4616/2014) ha precisato che non «... può dubitarsi del fatto che il termine decadenziale previsto dall'articolo 57, co. 1, del d.p.r. n.  633/72 si riferisca anche al controllo, da parte dell'Ufficio, dei presupposti su cui si fonda la richiesta di rimborso dell'eccedenza di imposta detraibile risultante dalla dichiarazione», in quanto detta interpretazione risulta confermata dal contenuto del citato secondo periodo del primo comma dello stesso articolo 57 (ora terzo comma), «... che – nel prevedere il differimento, a determinate condizioni, del suddetto termine di decadenza nel caso di richiesta di rimborso dell'eccedenza d'imposta detraibile risultante dalla dichiarazione annuale – implicitamente conferma, in via generale, che il termine decadenziale in questione riguarda anche gli accertamenti aventi ad oggetto le anzidette richieste di rimborso»;
          né, infine, può giustificarsi per gli interroganti l'interpretazione delle norme effettuata dalle sezioni unite che mal si concilia con la possibilità per il contribuente di impugnare il silenzio della Amministrazione che non dia seguito alla istanza di rimborso, ottenendo sul punto una pronuncia giudiziale; infatti, malgrado non sia precluso il diritto di difesa, la necessità di ricorrere all'autorità giudiziaria, che andrebbe in ogni caso disincentivata (soprattutto nei casi di definitività del credito), comporterebbe comunque un'ulteriore e ingiustificata dilatazione dei tempi di erogazione del credito spettante in dichiarazione dei redditi, scoraggiando il contribuente dall'intraprendere tale strada e, dunque, a far valere il proprio diritto (con indebito beneficio per le casse erariali)  –:
          quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato, per quanto di competenza, alla luce della interpretazione resa dalle sezioni unite con la sentenza 5069, pubblicata il 13 marzo 2016, e se non ritenga in ogni caso opportuno assumere iniziative normativo volte a far chiarezza in merito alla questione relativa alla perentorietà o meno del termine entro il quale l'amministrazione finanziaria deve provvedere alla liquidazione e agli effetti connessi all'inutile decorso di detto termine, con riferimento ai crediti di imposta esposti in dichiarazione. (5-08270)


      PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          al fine di tutelare e ristorare coloro che avevano investito in modo inconsapevole i propri risparmi in strumenti finanziari subordinati emessi dalle quattro banche poste in risoluzione alla fine di novembre 2015 (Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa, di risparmio di Chieti), i commi da 855 a 861 dell'articolo 1, della legge n.  208 del 2015 (legge di stabilità 201-6), istituiscono un Fondo di solidarietà alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi – Fidt, con una dotazione di 100 milioni di euro che opererà, in conformità con la normativa europea in tema di aiuti di Stato, soltanto nel limite di spesa della stessa; le stesse disposizioni, poi, rimandano a successivi provvedimenti di rango secondario per la definizione delle modalità di gestione del fondo e delle condizioni di accesso al rimborso, lenendo conto della vulnerabilità socioeconomica dei danneggiati, dei rendimenti ottenuti nel tempo e del tasso dei prodotti sottoscritti;
          nello specifico, il comma 857 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016 prevede che con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti:
              a) le modalità di gestione del Fondo di solidarietà;
              b) le modalità e le condizioni di accesso al Fondo di solidarietà, ivi inclusi le modalità e i termini per la presentazione delle istanze di erogazione delle prestazioni;
              c) i criteri di quantificazione delle prestazioni, determinate in importi corrispondenti alla perdita subita, fino a un ammontare massimo;
              d) le procedure da esperire, che possono essere in tutto o in parte anche di natura arbitrale;
              e) e tutte le ulteriori disposizioni per l'attuazione della procedura di risoluzione della crisi;
          l'accesso alle prestazioni è riservato agli investitori che siano persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti;
          inoltre, il successivo comma 859 del medesimo dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016 prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentite le competenti commissioni parlamentari, siano nominati gli arbitri, scelti tra persone di comprovata imparzialità, indipendenza, professionalità e onorabilità, ovvero possano essere disciplinati i criteri e le modalità di nomina dei medesimi e siano disciplinate le modalità di funzionamento del collegio arbitrale, nonché quelle per il supporto organizzativo alle procedure arbitrali, che potrà essere prestato anche avvalendosi di organismi o camere arbitrali già esistenti;
          il suddetto termine di emanazione dei provvedimenti attuativi scade il 30 marzo 2016;
          la dotazione del suddetto Fondo di solidarietà, pur essendo di per sé considerevole, è comunque pari a meno di un terzo del totale delle perdite subite dai sottoscrittori dei bond subordinati: infatti, secondo stime presentate in Parlamento, il valore azzerato nel settore retail sfiora i 329 milioni di euro, con 10.559 clienti, i più esposti dei quali sono 1.010; si tratta di persone che hanno un patrimonio finanziario presso la propria banca inferiore a 100 mila euro e posseggono bond subordinati in misura superiore al 50 per cento del patrimonio: essi rappresentano il gruppo più vulnerabile con un controvalore di obbligazioni subordinate pari a 27,4 milioni di euro. Ci sono inoltre anche 1.484 casi di «media esposizione»: si tratta di persone che hanno un patrimonio inferiore a 100 mila euro, ma per i quali le obbligazioni subordinate rappresentano una quota compresa fra il 30 per cento ed il 50 per cento del patrimonio, per un controvalore pari a 93,4 milioni di euro; infine, la categoria più folta, con 8.065 casi, per complessivi 208,4 milioni di euro, è quella rappresentata da coloro che detengono presso la banca un patrimonio finanziario superiore ai 100 mila euro, con una quota del patrimonio inferiore o uguale al 30 per cento in obbligazioni subordinate;
          per tali ragioni si erano susseguite nei giorni scorsi su alcuni media voci che ipotizzavano misure ambiziose volte ad aumentare la capienza del Fondo stesso, anche a carico del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fidt) sembrerebbe quindi che sia stato chiesto alle altre banche di triplicare lo sforzo economico mettendo sul piatto almeno altri 280-300 milioni di euro, che siano state avviate iniziative volte a negoziare con l'Unione europea la possibilità di rimborsare tutti i risparmiatori vittima del default dei quattro istituti di credito, senza però incappare nella disciplina sugli aiuti di Stato;
          il 24 marzo 2016, il quotidiano Il Sole 24 Ore riportava la notizia che allo studio di alcuni tecnici di Palazzo Chigi vi sarebbe la soluzione di rimborsare senza ricorrere agli arbitrati tutti i 10.559 obbligazionisti subordinati rimasti penalizzati dalla procedura di risoluzione;
          il 13 gennaio 2016, il presidente dell'Anac (l’Authority che dovrà gestire gli arbitrati), Raffaele Cantone, aveva annunciato che (per quanto di sua competenza, il decreto avrebbe potuto essere emanato entro la fine di gennaio 2016: successivamente, il 26 gennaio 2016, lo stesso Cantone, parlando a margine di un incontro ad Unioncamere, aveva dichiarato che i decreti sarebbero approdati di lì a qualche giorno al Consiglio dei ministri, per poi alludere, nei giorni successivi, a «nodi politici ancora da sciogliere»;
          a tutt'oggi non risultano emanati né il decreto ministeriale con i criteri per i rimborsi agli obbligazionisti, né il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la nomina degli arbitri  –:
          per quali ragioni il Governo non sia ancora riuscito a rispettare la suddetta scadenza, prevista dall'articolo 1, comma 857 della legge n.  208 del 2015, per l'emanazione del decreto ministeriale per la determinazione dei criteri per i rimborsi agli obbligazionisti subordinati dei quattro istituti di credito citati in premessa, in quali tempi pensi di rimediare al ritardo e con quali modalità, alla luce delle voci che ipotizzano una maggiore capienza del relativo fondo di ristoro a carico del fondo interbancario. (5-08271)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      LATRONICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi anni i debiti commerciali della pubblica amministrazione sono divenuti insostenibili in un contesto in cui sono particolarmente difficili le condizioni di liquidità delle imprese fornitrici, poiché alla congiuntura sfavorevole si sono aggiunte le maggiori difficoltà di accesso al credito dovute alle politiche più restrittive delle banche;
          il ritardo del Governo nel pagamento dei debiti della pubblica amministrazione è costato, nel 2014, alle imprese italiane la cifra di 6,4 miliardi di euro, sotto forma di interessi applicati al capitale prestato;
          secondo gli ultimi dati disponibili del Ministero dell'economia e delle finanze (agosto 2015), di 7 miliardi di euro stanziati lo Stato ne ha effettivamente pagati 5780 milioni; di 33 milioni e 189 mila euro delle regioni, ne sono stati pagati 23 milioni e 312 mila euro; di 16 milioni 100 mila euro degli enti locali solo 9 milioni e 593 mila euro. In totale, 38 milioni e 685 mila euro milioni su 56 milioni e 289 mila euro. Ciò è dovuto in parte al fatto che, è il caso di alcune regioni, le risorse messe a disposizione per pagare i creditori sono stati invece utilizzate per affrontare nuove spese o coprire il pregresso disavanzo di amministrazione, e in parte poiché vi è stato un nuovo rallentamento del processo di pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni;
          gli elevati ritardi di pagamento delle pubbliche amministrazioni rappresentano una disfunzione grave, su cui sarebbe stato opportuno intervenire ben prima della crisi globale;
          l'incertezza sui tempi di pagamento rende problematici i rapporti commerciali, rischiando di allontanare le imprese e di favorire comportamenti non corretti e per di più il tutto pesa sui costi dei servizi per le amministrazioni, in quanto le aziende incorporano nei prezzi l'onere atteso dei ritardi;
          secondo le stime della Associazione artigiani piccole imprese (Cgia) di Mestre, la pubblica amministrazione italiana risulta la peggiore pagatrice d'Europa, saldando, mediamente, i propri fornitori dopo 144 giorni, contro i 38 giorni della media dell'Unione europea, nonostante i tempi di pagamento nell'ultimo anno siano scesi di 21 giorni, l'amministrazione dello Stato italiano resta la più ritardataria, ben 106 giorni in più della media europea;
          da innumerevoli parti viene lamentato il fatto che di fronte al comportamento impunito di una Pubblica Amministrazione che paga i suoi debiti alle imprese con enorme ritardo (lo Stato per i rimborsi Iva, le regioni e gli enti locali a causa del patto di stabilità interno e dei mancati trasferimenti statali), anche piccoli ritardi nei pagamenti da parte delle imprese oppure il mancato rispetto di poche rate nei piani di rateazione con Equitalia, comportano effetti devastanti per i già fragili bilanci aziendali;
          ci si riferisce, in modo particolare, per le imprese e i contribuenti, alla decadenza dai benefici di rateazione, all'applicazione di interessi di mora e sanzioni spropositati, alla subitanea iscrizione a ruolo con implacabili procedure esecutive e conseguente blocco dei conti correnti e, di fatto, all'impossibilità di esercitare l'attività economica, garantita ai sensi dell'articolo 41 della Costituzione, con regolarità e serenità;
          a tale stato di cose conseguono gravissime conseguenze consistenti nelle difficoltà che le imprese incontrano nel rispettare puntualmente le scadenze di pagamento di tributi verso l'Erario. Le inadempienze delle imprese sono chiaramente dovute alla crisi che, almeno nel Mezzogiorno e in particolare in Basilicata, non è affatto superata, e spesso sono causate dai mancati pagamenti della pubblica amministrazione;
          le dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi dalla Confapi di Matera delineano un quadro di emergenza per le imprese che hanno in corso con Equitalia un piano di rateizzazione;
          con il decreto legislativo n.  159 del 2015, si prevedeva la possibilità di rateazione delle cartelle esattoriali di Equitalia nei confronti di quei contribuenti che non erano stati in grado di completare il pagamento del piano rateale precedentemente concordato. Le somme non ancora versate potevano essere oggetto di un nuovo piano, ripartito in un massimo di 72 rate o, nei casi comprovati di gravi difficoltà economiche, di 120 rate. Per accedere, inoltre, bisognava presentare domanda a Equitalia entro il 23 novembre 2015;
          tutti quei contribuenti, fra cui migliaia di piccole e medie imprese, che prima del 23 novembre 2015, seppur in condizioni di difficoltà, risultavano essere regolari nelle rateazioni concordate e per i quali i piani di rateizzazione non risultavano essere decaduti, oggi, in una condizione di problematicità, non potrebbero ottenere i benefici previsti dalla normativa;
          il provvedimento, infatti, prevede che, per ottenere una nuova rateizzazione, i contribuenti dovrebbero pagare la quota scaduta del vecchio piano in un'unica soluzione e solo successivamente accedere ad un nuovo piano rateale;
          le piccole e medie imprese che devono fronteggiare situazioni come quelle descritte si ritroveranno, altresì, nella condizione non solo di non poter ottemperare ai propri debiti e sanare la propria posizione debitoria con Equitalia, ma non potranno nemmeno più ottenere la certificazione di regolarità contributiva e, quindi, di fatto, si ritroveranno nella condizione di non poter lavorare  –:
          quali iniziative, anche di carattere normativo, il Ministro intenda adottare al fine di dare soluzione alle situazioni descritte in premessa, per non aggravare le condizioni già precarie, di migliaia di aziende e contribuenti;
          quali iniziative intenda porre in essere al fine di evitare ulteriori danni a un sistema economico la cui sopravvivenza viene messa a dura prova dall'applicazione di norme che risultano all'interrogante assolutamente inique. (5-08260)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, RUOCCO, LOMBARDI, TRIPIEDI, COMINARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'11 febbraio 2016, la Conafi Prestitò spa – società quotata iscritta, come intermediario finanziario, all'elenco generale, ex articolo 106, e nell'elenco speciale, ex articolo 107 del TUB – ha diffuso un comunicato secondo cui, in pari data, era stato nominato, quale presidente del consiglio di amministrazione, il dottor Gaetano Caputi;
          come noto il dottor Caputi ha ricoperto la carica di direttore generale della Consob sino all'atto delle sue dimissioni anticipate avvenute con decorrenza 12 gennaio 2015;
          in base a quanto disposto dall'articolo 22 della legge n.  114 dell'11 agosto 2014, «I componenti degli organi di vertice e i dirigenti della Commissione nazionale per le società e la borsa, nei due anni successivi alla cessazione dell'incarico, non possono intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, di consulenza o di impiego con i soggetti regolati né con società controllate da questi ultimi. I contratti conclusi in violazione del presente comma sono nulli. Le disposizioni del presente comma non si applicano ai dirigenti che negli ultimi due anni di servizio sono stati responsabili esclusivamente di uffici di supporto»;
          ancora, la legge istitutiva della Consob (articolo 2, comma 4 della legge n.  216 del 1974) dispone che «Il regolamento di cui all'articolo 1, ottavo comma, prevede per il coordinamento degli uffici, le qualifiche di direttore generale e di vicedirettore generale, determinandone le funzioni»;
          dal combinato disposto delle due norme ne discende che, il direttore generale della Consob sovraintende al funzionamento di tutti gli uffici della Consob (coordinandoli) e quindi è responsabile dell'attività sia degli uffici di supporto che di quelli cui sono attribuiti compiti di vigilanza. A detta degli interroganti, pare incontrovertibile che si rientri in pieno nelle limitazioni previste dalla legge 114 del 2014;
          ne consegue che, la società la Conafi Prestitò spa non avrebbe potuto, legittimamente, nominare il dottor Caputi, essendo trascorso poco più di un anno dalla sua fuoriuscita dalla Consob, quale presidente del consiglio di amministrazione, e che tale nomina è nulla;
          ciò che sorprenderebbe gli interroganti è che la Consob del presidente Vegas, cui spetta la vigilanza sulle società quotate, non abbia avuto nulla a che dire rispetto a questa nomina. In realtà si tratta solo dell'ennesima dimostrazione di quello che appare agli interroganti quantomeno un rapporto scarsamente trasparente che da tempo lega il presidente Vegas e il dottor Caputi e che ha portato la procura di Roma ad indagare, nell'ambito di diverse e più ampie ipotesi di mala gestione addebitabili a carico del presidente Vegas, sulle irregolarità che hanno caratterizzato l'assunzione, a chiamata diretta, del dottor Caputi in Consob;
          infatti, l'articolo 2, comma 6, della legge n.  216 del 1974, istitutiva della Consob, pone una chiara e assoluta incompatibilità per il personale della Consob con ogni altro impiego, incarico o attività («Al personale in servizio presso la Commissione è in ogni caso fatto divieto di assumere altro impiego o incarico o esercitare attività professionali, commerciali o industriali»). Questa norma, di rango primario, è poi ulteriormente specificata dal regolamento del personale della Consob che, all'articolo 20, comma 1, dispone «Al personale è fatto divieto [...] e) di svolgere comunque attività lavorativa subordinata od autonoma, sia pure occasionalmente ovvero in periodi nei quali non presti effettivo servizio [...]»;
          come si vede, dal quadro normativo emerge un divieto assoluto volto ad eliminare, alla radice, possibili situazioni di conflitto di interessi e ad assicurare il dovuto impegno del dipendente, in termini sia qualitativi che quantitativi, anche in considerazione dell'importanza e delicatezza dell'attività lavorativa svolta. Del resto, proprio per questa ragione, l'attività lavorativa in Consob è adeguatamente retribuita, con il riferimento da parte della stessa legge istitutiva all'applicazione del contratto di Banca d'Italia;
          è bene ricordare che tale divieto è stato vanificato, a giudizio degli interroganti, dal comportamento del presidente Vegas e del dottor Caputi all'atto dell'assunzione di quest'ultimo in Consob. Infatti, come lo stesso presidente Vegas ha dichiarato in occasione di audizioni parlamentari, egli ben conosceva i (numerosi) altri incarichi del dottor Caputi. Incarichi che andavano dall'essere componente del consiglio di amministrazione della Difesa servizi spa, membro della Commissione consultiva per le infrazioni in materia valutaria e di lotta al riciclaggio, socio delle società di consulenza ad ampio spettro GECO s.r.l., GE.CO.RE. s.r.l. e GLM professore della Scuola superiore di economia e finanze e componente della Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali;
          ciò non di meno, il presidente Vegas ha proceduto alla sua assunzione e, quando tali altri incarichi sono stati via via evidenziati dalla stampa, si è limitato secondo gli interroganti, ad assistere passivamente, alle conseguenti dimissioni del dottor Caputi da tali incarichi che, con tale frettoloso ancorché tardivo comportamento, null'altro ha fatto, secondo gli interroganti, che confermare l'illegittimità della posizioni ricoperta;
          l'attuale violazione del divieto di intrattenere, per almeno due anni dalle dimissioni dalla Consob, rapporti con soggetti vigilati, null'altro è che la conferma di quella che agli interroganti appare la scarsa propensione del dottor Caputi al rispetto dei vincoli che il legislatore pone agli altri comuni cittadini, l'inadeguatezza del presidente Vegas a esercitare poteri e controlli, sia che si tratti dell'attività di vigilanza dell'istituto che dirige, sia che si parli della gestione interna o del personale dello stesso  –:
          se il Governo non ritenga che una tale violazione delle norme implichi la necessità di prendere atto che il presidente Vegas non sia adatto a ricoprire il ruolo di presidente della Consob e che debbano essere assunte le iniziative di competenza per la revoca dell'incarico di chi, secondo gli interroganti, con la sua gestione personalistica ne ha screditato la reputazione difendendo le sue scelte anche contro l'evidenza. (4-12679)


      GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nel 2001 la società Acea Ato 5 spa – gruppo Acea spa ha vinto una gara d'asta internazionale per realizzare un progetto finalizzato ad una gestione ottimale del servizio idrico integrato dell'ambito territoriale ottimale n.  5 del Lazio Meridionale Frosinone, cioè del ciclo completo dell'acqua, dalla captazione, distribuzione alla depurazione e sino allo smaltimento;
          il capitolato di appalto della gara descriveva gli interventi da realizzare in 30 anni;
          ACEA ha vinto la gara in quanto aveva presentato l'offerta migliore, rispetto alle spese previste, offerta che si concretizzava poi nelle tariffe da applicare nei primi 10 anni, stabilita per ciascun anno con il metodo normalizzato;
          gli utenti lamentano che, secondo il capitolato della gara di appalto, ACEA avrebbe dovuto fare investimenti per 179 milioni di euro nei primi 10 anni, invece risulterebbe che siano stati utilizzati solo 68 milioni e che, grazie agli investimenti mancanti e alle reti obsolete, le perdite di acqua in alcune zone sfiorerebbero l'80 per cento a fronte di una media fisiologica del 25-30 per cento;
          inoltre, gli utenti lamentano la mancanza d'acqua per giorni interi e che, malgrado le numerose richieste di interventi, ACEA ATO5 interviene a distanza di giorni;
          tuttavia, nonostante tali disagi, gli utenti si ritrovano a pagare bollette esorbitanti, con richieste di conguagli anche di 6-7 anni;
          risultano numerosi ricorsi promossi dagli utenti, grazie anche all'opera dei Comitati per l'acqua pubblica che si sono formati nei vari comuni del Frusinate, a difesa dei consumatori;
          i cittadini si sentono impotenti di fronte ad una lampante irregolarità di gestione, anche perché le tariffe esercitate da ACEA ATO5 vengono concordate durante le assemblee dei sindaci i quali sembrerebbero in accordo con il gestore;
          nell'ultima Assemblea, tenutasi il 18 febbraio 2016, la linea che i sindaci avevano dichiarato di voler tenere era quella della risoluzione contrattuale con ACEA ATO5 in base all'articolo 34 della Convenzione d'ambito; invece, il risultato dell'Assemblea è stato un voto a maggioranza di una risoluzione che concede ulteriori 180 giorni ad ACEA per «ottemperare» agli investimenti non fatti in tutti questi anni;
          nel frattempo, ACEA ATO5 sta facendo ricorsi su ricorsi per la riscossione di crediti e, per il mese di aprile, è stata programmata un'ulteriore assemblea dei sindaci per ridiscutere le tariffe;
          ultimamente, ACEA ha fatto richiesta al Ministero dell'economia e delle finanze di poter affidare ad Equitalia la riscossione dei crediti vantati; il 22 febbraio 2016, il Ministro Padoan ha firmato un decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale n.  58 del 10 marzo 2016, con il quale concede tale richiesta, creando così un precedente per il recupero crediti da parte di ulteriori aziende private;
          i cittadini che si vedono vessati da aumenti tariffari e conguagli esorbitanti e ingiusti si sentono senza tutela contro un gestore che, a giudizio dell'interrogante, la fa da padrone e temono che ACEA sia appoggiata dalla classe politica che sembra difendere la società e assecondarla in tutte le sue richieste;
          in Parlamento si sta discutendo sulla gestione privatistica dell'acqua, nonostante l'esito referendario del 2011 che ha riconosciuto la natura pubblica del bene acqua, fondamentale per la vita, tuttavia, il Governo tratta la questione dei servizi idrici in maniera a giudizio dell'interrogante ambigua, da una parte privatizzando e dall'altra ravvisando la rilevanza pubblica dei crediti vantati dalla società Acea Ato 5 spa – gruppo Acea spa, in quanto relativi ad un servizio pubblico essenziale, tanto da affidarne la riscossione dei crediti a Equitalia  –:
          di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda assumere iniziative volte a rivedere complessivamente la gestione dei servizi idrici, alla luce delle criticità emerse nel caso della provincia di Frosinone ove i cittadini che si sentono impotenti di fronte a quelle che appaiono all'interrogante lampanti anomalie di gestione, aspirano a uscire da questa condizione di «sudditanza» nei confronti di Acea Ato 5 spa. (4-12686)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


      MONCHIERO e RABINO. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
          la riforma della geografia giudiziaria ha previsto la soppressione del tribunale di Alba ed il suo accorpamento al più piccolo tribunale di Asti: tutto ciò, senza tenere in alcun conto il fatto che quello albese risultava, secondo gli stessi dati ministeriali, fra i più grandi tribunali del Piemonte, ed aveva raggiunto altissimi livelli di efficienza;
          è noto, infatti, che il tribunale di Alba rappresentava il quarto tribunale del distretto della corte d'appello di Torino (comprendente ben due regioni: il Piemonte e la Valle d'Aosta), per bacino di utenza e per numero di affari trattati, tra i 17 tribunali del distretto;
          l'accorpamento del tribunale di Alba – sito in provincia di Cuneo e contiguo al circondario del tribunale di Cuneo – a quello di Asti, in altra provincia, è secondo gli interroganti in palese contrasto con la previsione legislativa, secondo cui la ridefinizione dei circondari di tribunale doveva avvenire preferibilmente nell'ambito della stessa provincia, tenuto conto anche del fatto che nella provincia di Cuneo (terza per ampiezza territoriale in Italia) sono stati soppressi tre dei quattro tribunali esistenti e quello di Cuneo è ora travolto da un eccessivo sovraccarico;
          come più volte lamentato degli ordini forensi e dalle autorità civili del territorio, l'assurdo accorpamento del tribunale di Alba ad uno di dimensioni inferiori, reca grave nocumento alle attività economiche di un territorio ricco di iniziative e fra i più prosperi ed innovativi del Paese e si sottolinea, ancora una volta, che tale errore di programmazione esigerebbe tempestivo rimedio;
          tra le molte conseguenze negative della scelta iniqua ed improvvida dell'accorpamento del tribunale di Alba a quello di Asti, si è verificato anche un grave vulnus al principio di rappresentanza degli ordini forensi;
          infatti, a causa dell'accorpamento del tribunale di Alba a quello di Asti, anche il consiglio dell'Ordine degli avvocati di Alba (come quelli di tutti gli altri tribunali accorpati) ha cessato di esistere alla data del 31.12.2014 ed è stato accorpato a quello di Asti;
          a seguito di decisioni esecutive dall'autorità giudiziaria amministrativa (sentenze Tar Lazio-Roma 13 giugno 2015 n.  8332 e n.  8333) è stata dichiarata la parziale nullità della normativa regolante le modalità per l'elezione dei nuovi Consigli dell'Ordine degli avvocati (decreto del Ministero della giustizia 10 novembre 2014, n.170) che, tenuto conto degli accorpamenti, prevedeva tra l'altro un maggior numero di componenti degli stessi per consentire una rappresentanza anche agli ordini incorporati; taluni Ordini hanno indetto egualmente le elezioni in base alle norme annullate; altri, come quello di Asti, hanno rispettato l'avvenuto annullamento delle norme elettorali, sì che è rimasto in funzione il solo Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Asti, formato da soli nove componenti, tutti esclusivamente avvocati appartenenti all'accorpante Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Asti, di talché attualmente gli unici avvocati rappresentati sono gli avvocati del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Asti, mentre i 303 dell'ex Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Alba non hanno alcuna possibilità di interloquire, unitamente ai sindaci del loro territorio, con i pubblici poteri e autorità  –:
          se, in attesa di un auspicato provvedimento di riordino della geografia giudiziaria, non si intendano almeno assumere iniziative per prevedere, in via generale, la rielezione dei rappresentanti del Consiglio dell'Ordine degli avvocati presso i tribunali accorpanti, in modo da garantire la rappresentanza degli avvocati iscritti alle sezioni degli Ordini correlate ai tribunali soppressi. (3-02142)


      ROCCELLA. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
          la surrogazione di maternità è sanzionata dalla legge n.  40, articolo 12 comma 6, che recita: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
          nonostante la legge vigente, questa pratica non viene sanzionata dai tribunali italiani, che finora non hanno agito contro chi vi fa personalmente ricorso (si assiste frequentemente a trasmissioni televisive in cui si racconta di tale pratica effettuata all'estero, sia da parte di cittadini comuni, sia di persone con ruoli istituzionali di rilievo), e neppure nei confronti di coloro che organizzano dall'Italia questo mercato, nonostante denunce circostanziate e nonostante la facilità di verificare le violazioni della legge n.  40 in merito alla maternità surrogata attraverso le pubblicità e gli annunci su Internet;
          come recentemente affermato anche in una recente mozione approvata dal Comitato nazionale per la bioetica «l'ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, è in netto contrasto con i principi bioetici fondamentali» e «la maternità surrogata è un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione»;
          le ipotesi di maternità surrogata a scopo puramente altruistico sono smentite dai contratti tra le parti; nei Paesi ove il pagamento è formalmente vietato, in genere si parla genericamente di «rimborsi», ma la conferma del fatto che si tratta di gravidanza dietro compenso è confermata dall'esistenza del contratto, e dal fatto che l'ovocita femminile appartiene sempre a una donna diversa dalla madre gestante, costringendo due donne diverse, entrambe fertili, a sottoporsi a trattamenti farmacologici inappropriati (perché destinati a donne infertili) e spesso pericolosi per la salute fisica e psichica; se si trattasse di un «dono» la necessità di questa scissione, che serve a garantire il committente da eventuali contenziosi, verrebbe meno;
          la donna che fornisce i propri ovociti viene in genere scelta in base a criteri con connotazioni razziste, cioè al fenotipo (pelle bianca, colore occhi e capelli, aspetto gradevole) e alle capacità intellettive (possibilmente con grado elevato di istruzione), e viene pagata di conseguenza, mentre quella che porta avanti la gravidanza deve solo godere di buona salute, e solitamente appartiene a Paesi terzi da cui non vengono esportati ovociti (India, Guatemala, Nepal) perché l'aspetto fisico di donne di queste etnie non corrisponde agli standard richiesti dal mercato; come recentemente riportato da un'inchiesta su questo fenomeno del periodico «Vanity Fair»: «Per risparmiare, facciamo così. Siccome la maggior parte della gente vuole bambini bianchi, facciamo l'inseminazione negli Stati Uniti, trasportiamo gli embrioni congelati in Israele e poi li portiamo in Nepal, dove abbiamo creato una clinica. Le madri vengono quasi tutte dall'India, dove c’è grande disponibilità. I vantaggi sono i costi bassi e la maggior velocità, perché in Nepal non c’è la burocrazia contrattuale che c’è in America»;
          se si trattasse di «dono del grembo», e non di utero in affitto, potrebbe essere un'unica donna a contribuire con i propri ovociti e con la gravidanza, cedendo il figlio alla nascita in modalità analoghe a quelle che in Italia sono note come «parto anonimo»; si ricorda che modalità di adozione concordate prima della nascita sono legittime in diversi stati, anche nei confronti di coppie omosessuali;
          anche nei Paesi dove formalmente la surroga è gratuita, sono presenti, come abbiamo detto, forme di pagamento surrettizie mascherate da rimborsi spese, come è facile constatare attraverso gli annunci su Internet e le inchieste giornalistiche, ad esempio quella già menzionata di «Vanity Fair», in cui si legge: «In realtà nessuna lo fa gratis, nemmeno in Canada dove le forme di compenso vengono registrate come rimborso spese»;
          la «cessione» di bambini al di fuori dei percorsi adottivi è considerata reato, in quanto tratta di esseri umani, in tutti i Paesi del mondo –:
          quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato perché siano implementate le sanzioni previste per il reato di surrogazione di maternità e sia quindi tutelata la dignità delle donne e dei bambini, e se, nelle more, intenda avvalersi del dispositivo dell'articolo 9 del codice penale che prevede, per reati commessi all'estero da cittadini italiani, per i quali la legge italiana stabilisce una pena restrittiva della libertà personale di durata minore di tre anni, che il colpevole sia punito «a richiesta del Ministro della giustizia». (3-02143)


      MAROTTA. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
          i recenti fatti di terrorismo accaduti in Belgio, dopo quelli avvenuti a Parigi, destano grave allarme tra la popolazione europea e nel nostro Paese;
          anche in Italia il livello di allarme per possibili attacchi terroristici ha indotto il Governo ad elevare l'attenzione per prevenire tali fenomeni;
          è praticamente impossibile, comunque, avere un livello di prevenzione sicuro per arginare il fenomeno del terrorismo internazionale;
          il Ministro della giustizia è intervenuto creando un sistema di indagine che fa capo alla procura nazionale antiterrorismo ed un efficiente sistema di controlli tramite banche dati all'avanguardia a livello europeo –:
          quali ulteriori iniziative intenda adottare per prevenire e reprimere il fenomeno del terrorismo internazionale, anche promuovendo nelle sedi opportune la costituzione di una procura europea antiterrorismo. (3-02144)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
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Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IX Commissione:


      COPPOLA e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 5-bis del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n.  82, disposto ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 2010, n.  235, prevede che la presentazione di istanze, dichiarazioni, dati e lo scambio di informazioni e documenti tra le imprese e le amministrazioni pubbliche possa avvenire esclusivamente utilizzando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione e che con le medesime modalità le amministrazioni pubbliche adottino e comunichino atti e provvedimenti amministrativi nei confronti delle imprese;
          con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 luglio 2011, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 novembre 2011, n.  267, viene data attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 5-bis del Cad, stabilendone la decorrenza a partire dal 1o luglio 2013;
          il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri stabilisce inoltre, all'articolo 2, che le pubbliche amministrazioni centrali definiscano un programma di informatizzazione delle comunicazioni con le imprese, fissando obiettivi intermedi quantitativamente omogenei con scadenze almeno semestrali (comma 3) e che, a ogni scadenza, sia pubblicato sui siti istituzionali di ciascuna amministrazione l'elenco dei procedimenti amministrativi relativamente ai quali le comunicazioni sono svolte esclusivamente in via telematica, con l'indicazione della data di decorrenza, comunque non superiore a sessanta giorni (comma 4);
          la medesima disposizione prevede, al comma 5, che i programmi di informatizzazione delle comunicazioni con le imprese, gli elenchi dei provvedimenti per le imprese informatizzati e quelli delle altre procedure comunque già informatizzate siano trasmessi a DigitPA (ora Agenzia per l'Italia digitale) per la verifica del rispetto dell'articolo 5-bis del codice;
          in base all'articolo 5 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l'inosservanza dell'obbligo di pubblicazione delle procedure informatizzate e di quello di trasmissione all'Agenzia per l'Italia digitale, di cui all'articolo 2, commi 4 e 5, costituisce responsabilità dirigenziale ai sensi dell'articolo 21, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165  –:
          quale sia il grado di digitalizzazione degli atti degli uffici e delle procedure del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sia con riguardo allo stato di attuazione delle previsioni di cui all'articolo 5-bis del codice dell'amministrazione digitale, sia in ordine all'effettivo inserimento degli obiettivi di digitalizzazione all'interno del piano delle performance del Ministero, di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.  150.
(5-08263)


      FRANCO BORDO, SCOTTO e FOLINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          a Napoli rimane gravissima la situazione che coinvolge la ferrovia Circumvesuviana, una delle ferrovie più colpite dai tagli degli ultimi anni, con treni vecchi e degradati, vagoni stracolmi di persone perché insufficienti a garantire un servizio adeguato per una tratta molto frequentata come quella che collega Napoli con i quartieri e i comuni ad Est;
          si tratta di una delle linee pendolari più frequentate della Campania, con 142 chilometri di lunghezza e oltre 121 mila utenti ogni giorno;
          nell'ultimo anno, secondo l'ultimo rapporto «Pendolaria» di Legambiente, sono stati numerosi gli episodi di disagi e disservizi, con treni fermi anche un'ora alle fermate a causa di guasti e rotture dei mezzi. Proprio il materiale rotabile e la scarsa frequenza del servizio sono le cause maggiori dei problemi della Circumvesuviana;
          come è emerso sulla stampa ancora di recente, l'Eav (Ente autonomo Volturno), l'azienda che gestisce il trasporto regionale della Campania tra cui la ferrovia Circumvesuviana, versa in condizioni finanziarie e industriali disastrose, avendo accumulato passività totali pari a 823 milioni di euro a fronte di un patrimonio netto di circa 10 milioni;
          l'azienda presenta, all'interno dei principali indicatori di bilancio riguardanti la redditività, un quadro preoccupante: il margine operativo lordo (Mol) calcolato sui ricavi segna un –4,5 per cento, mentre il risultato operativo sugli investimenti (Roi) è altrettanto negativo (-2,7 per cento);
          in merito alla gestione finanziaria dell'azienda, la Corte dei Conti, che ha avviato un'indagine sull'Eav e sulle ferrovie di Napoli, ha accertato un danno erariale di 7,6 milioni di euro;
          secondo il presidente dell'Eav, Umberto De Gregorio, il problema del debito nascerebbe «per contenziosi con imprese che avevano aperto cantieri, poi chiusi improvvisamente nel 2011 dalla giunta Caldoro». Secondo il presidente dell'Eav, la fusione dei servizi era una cosa utile, ma «quella di aziende finanziariamente disastrate ha determinato un mostro con un debito enorme e ingestibile e con oltre 2700 contenziosi in corso»;
          il primo effetto della debacle finanziaria e industriale riguarda l'ammodernamento del parco mezzi. Sui treni che percorrono la Circumvesuviana — ma anche le altre ferrovie del comprensorio come la Cumana o la Circumflegrea — viaggiano treni che hanno più di vent'anni. Sempre a detta dello stesso presidente De Gregorio, «è come se stessimo portando i passeggeri in giro con le Cinquecento degli anni ’60, che si fermano in continuazione»;
          i disagi riguardano anche le stazioni, dove sono state chiuse 22 biglietterie, e l'affollamento sempre più insostenibile delle banchine di attesa e non sono previsti investimenti volti a rinnovare il quadro infrastrutturale della ferrovia;
          la questione della sicurezza è poi diventata sempre più allarmante. Negli scorsi giorni si è verificato l'ennesimo blocco dei treni sulla linea a causa del maltempo. Come hanno riferito i passeggeri, all'interno dei mezzi e soprattutto all'interno delle cabine di guida e controllo, pioveva con grande intensità, testimoniata anche dai video apparsi sui social media e sui media;
          sono frequenti anche le aggressioni e gli atti di violenza. Nell'ultimo anno sono state quasi 40 le violenze ai danni del personale. Tantissimi i treni danneggiati. Prese di mira anche molte delle 78 stazioni, due terzi delle quali è priva di qualsiasi controllo. Alcune sono state saccheggiate, altre sono ostaggio di balordi. E non ci sono le risorse per garantire la sicurezza: «i servizi di vigilanza interni dell'Eav si sono ridotti di circa il 70 per cento in 4 anni»  –:
          quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda assumere per garantire, per quanto concerne il trasporto ferroviario della Circumvesuviana, che ha carattere di servizio pubblico, un adeguato flusso di investimenti per ammodernare e potenziare il parco mezzi, adeguare e mettere in sicurezza le infrastrutture pubbliche, le stazioni e le banchine di approdo e assicurare il controllo dell'ordine pubblico e della legalità sulle tratte in    questione. (5-08264)


      BERGAMINI e BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          lo spettacolo viaggiante è regolato dalla legge n.  337 del 1968, la quale riconosce, all'articolo 1, la funzione sociale di tale attività ed impegna lo Stato a promuovere e consolidare lo sviluppo del suddetto settore. Il riconoscimento della funzione sociale di questa sana e popolare forma di divertimento sancisce la valenza di un'attività di aggregazione sociale che raggiunge anche località prive di luoghi di spettacolo e divertimento;
          l'attuale formulazione del codice della strada causa serie difficoltà agli operatori degli spettacoli viaggianti, soprattutto quando si trovano ad effettuare i loro continui e consueti spostamenti da una città ad un'altra. Alcune modifiche al codice hanno, infatti, ristretto i limiti dimensionali dei mezzi, portandoli dai precedenti 2,70 metri di larghezza agli attuali 2,50 metri. Lo stesso vale per la lunghezza, in quanto si è passati dai precedenti 23 metri agli attuali 18. Ne consegue che molti dei mezzi di cui si servono gli operatori del settore oggi sono classificati, ai sensi del codice della strada, come trasporti eccezionali;
          dal 1986 tali mezzi sono stati dotati di un documento sostitutivo (DGM243), specificatamente previsto dal regolamento di esecuzione del nuovo codice della strada, che, a seguito di visita e prova, concedeva loro la circolazione sulla «intera rete nazionale»;
          dal novembre 2014, però, una parte del parco automezzi dello spettacolo viaggiante non può più accedere alle autostrade e strade principali a seguito di una risposta fornita dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ad un quesito posto dall'Associazione italiana società autostrade e trafori sull'ammissibilità alla circolazione di mezzi in dotazione allo spettacolo viaggiante, muniti di detto documento sostitutivo della carta di circolazione;
          nello specifico, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, facendo riferimento al punto 7, lettera a), dell'articolo 175 del codice della strada, il quale stabilisce che sulle carreggiate, sulle rampe, sugli svincoli, sulle aree di servizio o di parcheggio e in ogni altra pertinenza autostradale è vietato trainare veicoli che non siano rimorchi, ha di fatto escluso la possibilità per i mezzi utilizzati negli spettacoli viaggianti di poter circolare sulle autostrade e sulle strade principali;
          nel momento in cui ai veicoli, dopo visita, prova e punzonatura sul telaio o sugli organi di traino, è stato rilasciato il documento sostitutivo della carta di circolazione, con il modello DGM243, tali veicoli non possono essere quelli di cui all'articolo 175, comma 7, lettera a) del codice della strada, in quanto equiparati, di fatto, ai rimorchi. Non a caso tali mezzi hanno sempre circolato sulla rete stradale e autostradale negli ultimi trent'anni ottenendo i permessi, qualora eccezionali per massa o sagoma;
          come stabilito dall'articolo 80 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.  285, e alla luce della classificazione di trasporti eccezionali, gli operatori degli spettacoli viaggianti sono tenuti, con cadenza annuale, a sottoporre i loro mezzi a revisione, pur considerando che la loro percorrenza annua è molto bassa (al massimo 1500 chilometri annui) e che lo è altrettanto la loro velocità di trasferimento;
          il regolamento (UE) n.  165/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 febbraio 2014, relativo ai tachigrafi nel settore dei trasporti su strada, che abroga il regolamento (CEE) n.  3821/85 del Consiglio relativo all'apparecchio di controllo nel settore dei trasporti su strada e modifica il regolamento (CE) n.  561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada, prevede, nelle premesse, che «(3) Determinati veicoli sono soggetti a un'esenzione dalle disposizioni del regolamento (CE) n.  561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio. Per garantire la coerenza, dovrebbe essere possibile esonerare tali veicoli anche dall'ambito di applicazione del presente regolamento» e «(4) (omissis) Al fine di garantire la coerenza tra le esenzioni pertinenti stabilite dal regolamento (CE) n.  561/2006 e per ridurre gli oneri amministrativi che gravano sulle imprese di trasporto rispettando al contempo gli obiettivi di tale regolamento, è opportuno rivedere alcune massime distanze consentite stabilite in tali esenzioni»;
          il regolamento citato prevede, all'articolo 3, paragrafo 2, che «Gli Stati membri possono esonerare dall'applicazione del presente regolamento i veicoli di cui all'articolo 13, paragrafi 1 e 3, del regolamento (CE) n.  561/2006»;
          il regolamento (CE) n.  561/2006, prevede, all'articolo 13, paragrafo 1, che «Purché ciò non pregiudichi gli obiettivi indicati all'articolo 1, ogni Stato Membro può concedere deroghe alle disposizioni degli articoli da 5 a 9 e subordinarle a condizioni individuali, per il suo territorio o, con l'accordo degli Stati interessati, per il territorio di altri Stati membri, applicabili ai trasporti effettuati impiegando:» omissis « j) veicoli speciali che trasportano materiale per circhi o parchi di divertimenti;»;
          da qualche tempo le motorizzazioni civili chiedono che la revisione di tali veicoli venga eseguita presso le sedi delle stesse, anziché sul luogo dove sono installate le attrazioni, come prevederebbe la circolare emanata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 12 febbraio 2013, registro n.  3842  –:
          se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per introdurre un'apposita e organica regolamentazione della circolazione dei veicoli adibiti esclusivamente a spettacoli viaggianti e dei mezzi in loro dotazione, allineando in tal modo le disposizioni relative al settore a quelle in vigore in altri Paesi europei. (5-08265)


      DE LORENZIS, DELLA VALLE, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, DELL'ORCO, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la legge 6 novembre 2012, n.  190, recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», al comma 42 dell'articolo 1 introduce le seguenti modificazioni all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165: «16-ter. I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti»;
          la legge 20 luglio 2004, n.  215, recante «Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interesse», all'articolo 1 prevede, inoltre, che «I titolari di cariche di governo [tra cui rientrano anche i commissari di governo così come specificato al comma 2 dello stesso articolo], nell'esercizio delle loro funzioni, si dedicano esclusivamente alla cura degli interessi pubblici e si astengono dal porre in essere atti e dal partecipare a deliberazioni collegiali in situazione di conflitto d'interessi». L'articolo 2 della stessa legge prevede inoltre un'incompatibilità tra il ruolo di governo e lo svolgimento di funzioni sia in enti di diritto pubblico, anche economici, che in società aventi fini di lucro o in attività di rilievo imprenditoriale. Il comma 4 altresì estende tale incompatibilità anche ai 12 mesi successivi alla conclusione dell'incarico;
          l'architetto Mario Virano ha ricoperto l'incarico di commissario straordinario del Governo dal 16 agosto 2006, con scadenza al 31 dicembre 2013 successivamente rinnovata per un altro triennio (dal 1o gennaio 2014 al 1o dicembre 2016) con decreto del Presidente della Repubblica 13 gennaio 2014. Nell'ambito del predetto incarico l'architetto Virano svolge le funzioni di presidente dell'Osservatorio Torino-Lione, come risulta dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o marzo 2006 e successive modifiche. Istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o marzo 2006 con la decisione assunta dal «Tavolo istituzionale di Palazzo Chigi» del 10 dicembre 2005, l'Osservatorio è la sede tecnica di confronto di tutte le istanze interessate alla realizzazione della Nuova Linea Torino Lione (NLTL), con l'analisi delle criticità e l'istruzione di soluzioni per i decisori politico-istituzionali. Come si evince dagli atti d'insediamento e dalla documentazione rinvenibile sul sito istituzionale, tra le funzioni l'Osservatorio rientrano quelle di fornire indirizzi operativi per la progettazione preliminare e definitiva della nuova linea Torino-Lione. Più in dettaglio, l'Osservatorio ha fornito le specifiche relative alla progettazione, riprese negli stessi bandi di gara di affidamento degli incarichi di progettazione, nonché le indicazioni relative ai tracciati ed alle possibili alternative progettuali. L'Osservatorio Torino Lione ha avuto tra le sue funzioni prevalenti quindi quella di intervenire con modifiche al progetto volte a mediare tra gli interessi delle comunità locali, a tutela del proprio territorio, e gli interessi connessi alla realizzazione dell'opera. Tali interessi, come spesso accade in opere infrastrutturali di questa portata, sono stati spesso confliggenti tra loro e compito dell'Osservatorio avrebbe dovuto essere proprio quello di fungere da soggetto al di sopra delle parti con l'obiettivo di individuare soluzioni tecniche condivise;
          agli interroganti in virtù del ruolo determinante avuto dall'Osservatorio nella definizione dell'opera, risulta quindi quanto meno inopportuna e potenzialmente illegittima e in situazione di conflitto di interessi, anche alla luce dei disposti normativi citati, la nomina dell'architetto Mario Virano a direttore generale della Tunnel Euralpin Lyon Turin.  Questa infatti è responsabile della realizzazione della futura linea, le cui specifiche sono state definite in sede di progettazione alla luce delle indicazioni dell'Osservatorio;
          la nomina dell'architetto Virano a capo del soggetto realizzatore dell'opera appare agli interroganti quindi in contrasto con il ruolo precedentemente ricoperto dello stesso come presidente dell'Osservatorio, configurandosi come potenziale situazione di conflitto di interesse tra l'attività istituzionale e gli altri ruoli eventualmente ricoperti. Alla luce di quanto sopra esposto, sarebbe opportuno riconsiderare pertanto la legittimità della nomina dell'architetto Mario Virano a direttore generale della Tunnel Euralpin Lyon Turin.  Esposti e segnalazioni sulla questione è stato presentato dal consigliere regionale del Piemonte Francesca Frediani all'Autorità nazionale anticorruzione, alla Corte dei Conti, alla Presidenza del Consiglio dei ministri e alla regione Piemonte;
          con fascicolo n.  3090/2015, il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione dottor Raffaele Cantone trasmetteva lo stesso esposto all'Autorità garante della concorrenza e del mercato; l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, a seguito della trasmissione dell'esposto di cui al punto precedente, ha avviato le procedure per verificare la sussistenza dell'accusa di conflitto di interessi legata all'Architetto Mario Virano;
          secondo quanto risulta agli interroganti, l'architetto Mario Virano risulterebbe essere inoltre indagato per omissioni d'atti d'ufficio, reato che sarebbe stato commesso nell'ambito della sua presidenza dell'Osservatorio tecnico per la Torino-Lione  –:
          quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in relazione alla posizione dell'Architetto Virano e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di risolvere la situazione descritta in premessa, in via cautelativa e a tutela dei cittadini, nel breve periodo. (5-08266)


      FAUTTILLI e CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il Consiglio dei ministri, il 20 gennaio 2016, ha approvato, in esame preliminare, il decreto legislativo recante norme in materia di «riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle autorità portuali», presentato dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione;
          il provvedimento si inserisce nelle politiche e nelle azioni per il rilancio della portualità e della logistica intrapreso dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
          tale decreto punta, insieme ad altre azioni per favorire la competitività dei nostri porti, alla semplificazione delle procedure per facilitare il transito di merci e passeggeri, alla promozione di centri decisionali strategici rispetto all'attività di porti in aree omogenee, alla riorganizzazione amministrativa;
          i porti italiani vengono così riorganizzati e ridotti da 24 a 15 centri decisionali strategici con sedi nelle realtà maggiori: per la Sardegna è stata designata la sede di Cagliari;
          lo stesso Ministro Graziano Delrio ha affermato il 21 gennaio 2016, ad approvazione avvenuta del suddetto decreto in Consiglio dei ministri che «Perché l'Italia sia davvero il porto dell'Europa abbiamo introdotto misure per la semplificazione e la competitività dei nostri porti»;
          anche sottolineando che «la Risorsa Mare torna centrale in Italia. Queste innovazioni servono a rendere concreta quella «cura dell'acqua» che abbiamo avviato e a valorizzare il Sistema Mare, che è uno dei nostri principali asset economici, attraverso il quale transita il 70 per cento delle merci italiane»;
          fino ad oggi erano attive in Sardegna l'autorità portuale di Olbia e Golfo Aranci (comprendente i porti di Olbia, Golfo Aranci e Porto Torres) e l'autorità portuale di Cagliari;
          gli interroganti condividono l'ottica di razionalizzazione e riorganizzazione della realtà portuale, nella visione più ampia della spending review;
          Cagliari è ad oggi già città metropolitana, sede della regione, territorio privilegiato per le infrastrutture e inoltre è stata scelta nel novembre 2015, per l'istituzione dell'unico posto d'ispezione frontaliera (Pif) per i controlli sulle carni provenienti dai Paesi fuori dall'Unione europea per la regione Sardegna;
          come illustrato in una interrogazione precedentemente presentata e in attesa di risposta proprio relativamente alle scelte del Ministro della salute di localizzare a Cagliari la sede dell'unico Pif regionale è emerso che il maggior flusso di merci (prodotti agricoli della caccia e della pesca, prodotti alimentari, animali vivi) si registra prevalentemente nei porti del nord della Sardegna, e in particolare nel porto di Olbia;
          il maggior traffico di passeggeri è registrato nel nord dell'Isola: oltre tre milioni di passeggeri transitano attraverso il porto di Olbia, Golfo Aranci e Porto Torres) rispetto ai circa 300 mila che transitano per il porto di Cagliari;
          della nuova autorità portuale faranno parte anche Olbia, Porto Torres, Golfo Aranci, Oristano, Portoscuso-Portovesme, Santa Teresa;
          non si comprende come la scelta di Cagliari come sede dell'autorità possa garantire il rispetto di quei criteri enunciati dallo stesso Ministro Delrio come quello di favorire il trasporto di passeggeri, valorizzare il «Sistema Mare», attraverso il quale transita il 70 per cento delle merci, considerando l'istituzione dell'autorità in un porto nel quale i flussi di passeggeri e i traffici commerciali sono minori rispetto a quelli dei porti del nord dell'isola  –:
          quali siano stati i criteri alla base della scelta del Governo di concentrare nella città di Cagliari tutte le attività di indirizzo, programmazione e coordinamento del sistema dei porti, scelta che di fatto ha ignorato, ad avviso degli interroganti la realtà complessa dei porti sardi, rischiando di compromettere lo sviluppo in particolare nel nord dell'isola, laddove si concentra la maggioranza dei porti succitati, e se il Governo non intenda rivedere i succitati criteri. (5-08267)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la Corte costituzionale, con la sentenza n.  261 del 17 novembre 2015, ha dichiarato la incostituzionalità dell'articolo 29, comma 17 del decreto-legge 12 settembre 2014 n.  133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n.  164, nella parte in cui tale disposizione non prevede che il piano strategico nazionale della portualità e della logistica sia adottato in sede di conferenza Stato-regioni;
          infatti, la norma censurata del decreto-legge n.  133 del 2014 incide sulla materia «porti e aeroporti civili» che, alla stregua dell'articolo 117, terzo comma della Costituzione, rientra fra quelle di competenza legislativa concorrente fra Stato e regioni;
          nella materia «porti», quindi, il ruolo costituzionalmente sancito delle regioni può essere salvaguardato solamente ove siano realizzate «forme adeguate di coinvolgimento e procedure concertative e di coordinamento orizzontale fra Stato e regioni, quali le intese», come ha espressamente indicato la Corte;
          con la successiva legge cosiddetta Madia 7 agosto 2015, n.  124, all'articolo 8, comma 1, lettera f), il Governo è stato delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per la «riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della legge 28 gennaio 1994, n.  84, con particolare riferimento al numero, all'individuazione di autorità di sistema nonché alla governance tenendo conto del ruolo delle regioni e degli enti locali e alla semplificazione e unificazione delle procedure doganali e amministrative in materia di porti»;
          tali decreti legislativi debbono essere adottati su proposta del Ministro, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città ed autonomie locali, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n.  281 del 1977;
          in risposta alla precedente interrogazione n.  5-07327 del 12 gennaio 2016, presentata dal sottoscritto nella seduta della IX Commissione del 25 febbraio 2016, ha chiarito il ruolo delle regioni nella fase di redazione e approvazione del piano della portualità e della logistica, un ruolo che deve «essere più incisivo rispetto alla semplice manifestazione di un parere»; «è stata quindi indetta la Conferenza delle regioni, che è ora in fase di confronto con il Governo e si sono già svolte diverse proficue riunioni a livello tecnico e istruttorio per consolidare un confronto più di merito sui punti sopra esposti. Confidiamo di poter giungere, a valle di tale confronto, all'espressione dell'intesa»;
          pertanto, il Ministero ha riconosciuto che per il piano della portualità è necessaria l'intesa Stato-regioni;
          invece, per il decreto legislativo sulla governance dei porti, previsto dalla cosiddetta legge Madia, sempre per il Ministero, occorrerebbe solo il parere delle regioni, dal momento che «le Autorità» Portuali sono Amministrazione centrale dello Stato ed il decreto in questione riorganizza la governance dei 54 porti di rilevanza nazionale ed internazionale»;
          questa tesi, come ha rilevato l'interrogante nella successiva replica alla indicata risposta del Governo, non può essere affatto condivisa e non appare corretta in ordine al rispetto sia della disciplina costituzionale e sia della stessa sentenza della Corte;
          infatti, anche la governance dei porti chiama in causa il ruolo delle regioni, perché essa incide più direttamente sulla realtà dei territori e sulle competenze regionali;
          ne è riprova, ad esempio, la circostanza che il presidente della autorità portuale ai sensi dell'articolo 8 della legge n.  84 del 1994 e, quindi a legislazione vigente, è nominato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti d'intesa con la regione interessata, con un meccanismo tipico di co-decisione fra Stato e regioni;
          la materia dei porti, nell'intero ed inscindibile ambito della relativa potestà legislativa, ricade nella competenza concorrente e ripartita fra Stato e regioni;
          è evidente che l'intesa occorre ed è necessaria non solamente per le attività di pianificazione portuale e logistica e per gli interventi infrastrutturali e per i relativi programmi di opere pubbliche indispensabili allo svolgimento di tutte le attività legate ai sistemi portuali (piano della portualità), ma anche per la definizione della governance dei porti e per i profili organizzativi del governo delle diverse realtà portuali nel nostro Paese (decreto di cui alla «legge Madia»);
          la Corte Costituzionale ha posto, con la sentenza n.  261 del 2015, un principio vincolante di portata generale, in quanto tale riferibile alla intera competenza legislativa nella materia dei «porti»;
          del resto la Corte, con tale pronunzia, ha potuto valutare la incostituzionalità solo della disposizione del decreto-legge cosiddetto sblocca Italia riguardante il piano della portualità, perché questa è stata l'unica norma sottoposta al suo sindacato, mentre l'articolo 8, comma 1. lettera f) della «legge Madia», concernente la riforma delle autorità portuali, non è stata mai rimessa alla Corte medesima;
          è evidente, tuttavia, che la motivazione a fondamento della sentenza della Corte vale non solo per il piano della portualità, ma pure ed alla stessa stregua per la riforma della governance e per la riorganizzazione dei porti, in particolare per quanto attiene alla definizione delle istituende autorità di sistema ed all'accorpamento delle attuali autorità portuali;
          le regioni debbono, pertanto, essere coinvolte in misura incisiva con il meccanismo delle intese, per addivenire alle scelte più equilibrate, per le quali è indispensabile la partecipazione attiva e piena delle regioni, che hanno compiuta e profonda conoscenza della realtà dei territori e delle comunità;
          questo percorso istituzionale è irrinunciabile e fondamentale per scongiurare scelte e decisioni affrettate e superficiali ed incompatibili con il quadro costituzionale  –:
          quali iniziative e quali procedure concertative e di coordinamento orizzontale, il Ministro interrogato intenda assumere per addivenire alle intese necessarie Stato-regioni – in coerenza e nel rispetto della sentenza della Corte Costituzionale n.  261 del 2015 – non solo per il piano nazionale strategico della portualità e della logistica, ma anche per i decreti legislativi di cui all'articolo 8, comma 1, lettera f), della «legge Madia» n.  124 del 2015, in particolare per le scelte organizzative relative al modello di governance dei porti, con l'istituzione delle autorità di sistema, la riorganizzazione, il riordino e l'accorpamento delle attuali autorità portuali. (5-08272)

Interrogazione a risposta scritta:


      CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 10 aprile 2015, sull'autostrada A19 Catania-Palermo, all'altezza del viadotto Himera, chilometro 61, tra gli svincoli di Scillato e Tremonzelli, direzione del capoluogo etneo, sono ceduti due piloni a causa di una frana in movimento dal 2005 sulla strada provinciale Scillato-Caltavuturo;
          la procura della Repubblica di Termini Imerese ha aperto una inchiesta per «disastro colposo» proprio per accertare eventuali responsabilità sul disastro che, di fatto, ha paralizzato l'unica infrastruttura in grado di collegare le due città siciliane;
          sin dal 2004, il comune di Caltavuturo ha segnalato alla provincia di Palermo il rischio generato dal dissesto idrogeologico di questo zona dell'isola e che tale comune è rimasto isolato a causa delle frane avvenute che hanno bloccato la strada provinciale 20 e la strada statale n.  120;
          il Movimento 5 Stelle aveva presentato al Ministro Delrio un progetto di «bypass» alternativo per la A19 che tagliava costi e tempi rispetto a quelli prospettati dall'Anas. Progetto inizialmente accolto con entusiasmo dal commissario straordinario avvocato Guardabassi che aveva ricevuto i deputati nazionali del M5S, salvo poi ricredersi e comunicare, tramite gli uffici tecnici ministeriali, che il progetto non poteva essere accolto a causa di alcune lacune, nonostante illustri docenti universitari avessero detto che il progetto avanzato dal MoVimento 5 Stelle era valido;
          in data 10 marzo 2016 si legge su repubblica.it, di una nota dell'Anas in cui comunica che sta iniziando la «fase due» con il conferimento di incarico a due professori universitari per verificare la possibilità di salvare il viadotto rimasto in piedi;
          due docenti chiamati dall'Anas avranno il compito di comunicare, tramite relazione da consegnare a fine aprile, se sarà possibile transitare nella carreggiata Catania-Palermo; il professore Marcello Arici, che è stato incaricato per condurre l'analisi strutturale della carreggiata rimasta in piedi, dovrà verificare se la struttura del viadotto sia stata danneggiata dalla spinta dell'altra carreggiata, poi fatta esplodere, che si era appoggiata; il professore Calogero Valore dovrà portare avanti l’«analisi geotecnica» e capire in che condizioni è il terreno su cui poggiano i piloni e con la frana ancora attiva. Si ricorda al proposito che il terreno è proprio quello franato l'anno prima, provocando il cedimento dei piloni autostradali  –:
          quali siano le motivazioni che hanno portato il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a conferire l'incarico per la verifica della stabilità dell'infrastruttura superstite di cui in premessa solo adesso e non subito dopo l'evento;
          se il Ministro interrogato ritenga di assumere iniziative per verificare se ci sia stato un errore di valutazione con riguardo al cronoprogramma e alle scelte operate da parte dell'avvocato Guardabassi, in quanto a giudizio dell'interrogante il commissario avrebbe potuto verificare immediatamente la stabilità del viadotto non interessato dal cedimento e se questa avesse dato esito positivo si sarebbero potuti risparmiare dieci milioni di euro, non realizzando la bretella a quel punto non più necessaria;
          quali siano le motivazioni che hanno portato il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a non considerare la proposta di esponenti del Movimento 5 Stelle di Caltanissetta che prevedeva l'utilizzo di ponti Bailey e la realizzazione dell'infrastruttura temporanea da parte del Genio militare, alla quale, a quanto risulta da una nota consegnata in occasione della risposta all'interrogazione 3-01951 dell'onorevole Rizzo Gianluca, era stato dato parere favorevole con la disponibilità ad eseguire i lavori;
          quali siano le motivazioni per le quali, ancora oggi, non sia stato predisposto alcun intervento di competenza in relazione alla frana che ha provocato il cedimento dell'infrastruttura;
          se, nel caso in cui sia accertata la perfetta staticità dei manufatti, quali iniziative di competenza saranno assunte per accertare le responsabilità per il grave danno cagionato alla collettività costituito dal costo della bretella e dai danni alle aziende ed ai privati cittadini che sono stati costretti a percorrere in un primo tempo strade di montagna (Polizzi) e successivamente la regia trazzera Prestanfuso, realizzata e finanziata dal movimento 5 stelle siciliano. (4-12682)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata:


      FITZGERALD NISSOLI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
          si è posta all'attenzione dell'opinione pubblica la situazione dei cittadini italiani, nati in Italia, che hanno perso la cittadinanza in seguito ad espatrio per motivi di lavoro o in seguito a matrimonio;
          a livello internazionale, sul piano giuridico, si assiste ad una graduale accettazione del principio della doppia cittadinanza e della cittadinanza multipla;
          la riapertura dei termini per la presentazione della dichiarazione per il riacquisto della cittadinanza italiana, di cui all'articolo 17 della legge 5 febbraio 1992, n.  91, più volte prorogata, non è riuscita a raggiungere buona parte dei cittadini che ne avrebbero fatto richiesta e, tanto meno, coloro che risiedevano in uno Stato dove il possesso della doppia cittadinanza è stato ammesso dopo lo scadere di tale provvedimento;
          è doveroso tener conto dell'aspirazione al riacquisto della cittadinanza di quegli italiani che l'hanno persa recandosi all'estero e che, nel periodo di vigenza del termine di cui all'articolo 17 della legge 5 febbraio 1992, n.  91, non potevano far richiesta di riacquisto della cittadinanza italiana senza perdere quella lo status civitatis del Paese di residenza;
          alcuni Paesi hanno aperto le porte alla doppia cittadinanza, conformemente al citato principio della cittadinanza multipla, creando le condizioni affinché si possa richiedere la cittadinanza italiana senza perdere quella del Paese di accoglienza;
          gli italiani all'estero rappresentano una risorsa preziosa per il nostro Sistema Paese;
          attualmente gli italiani all'estero che volessero riacquistare la cittadinanza devono risiedere per un anno in Italia, condizione, evidentemente, poco praticabile per chi vive e lavora in un altro Paese  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per venire incontro alle esigenze di questi italiani di fatto permettendo loro di riacquistare la cittadinanza italiana. (3-02145)


      BRESCIA, NUTI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI, TONINELLI, LUIGI DI MAIO, LOREFICE, FRUSONE e MARZANA. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
          a norma dalla decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio che istituisce norme temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia, è prevista la creazione di punti di crisi (hotspot) funzionali alle operazioni di ricollocamento in altri Paesi membri di richiedenti asilo;
          l'Italia ha individuato nella road map di attuazione degli impegni assunti 6 punti di crisi, di cui cinque in Sicilia ed uno in Puglia;
          nella prima relazione sulla ricollocazione e il reinsediamento della Commissione europea del 16 marzo 2016 si legge come attualmente in Italia siano operativi quattro dei punti di crisi previsti ovvero Lampedusa, Pozzallo, Trapani, Taranto, mentre si attendono piani precisi per la ristrutturazione degli altri due siti precedentemente indicati nella road map ad Augusta e Porto Empedocle;
          la stessa relazione della Commissione ammette come l’iter di esecuzione sia particolarmente lento a fronte di notevoli difficoltà; infatti, dall'Italia risultano ricollocati al 15 marzo 2016 solo 368 richiedenti asilo, ed anche le azioni di reinsediamento risultano inefficaci tanto che rispetto agli impegni assunti il 20 luglio 2015 l'Italia stessa ha reinsediato sul suo territorio solamente 96 richiedenti asilo a fronte dei 1989 previsti;
          l'inefficacia attuale del sistema dei ricollocamenti è anche dimostrata dalla decisione di esecuzione del Consiglio europeo del 10 febbraio 2016 relativa alla sospensione temporanea del 30 per cento dei richiedenti assegnati all'Austria a norma della decisione (UE) 2015/1601 per un periodo di un anno;
          la situazione internazionale risulta aggravata dall'approvazione dell'accordo Unione europea-Turchia, del tutto non condivisibile, da cui molte organizzazioni internazionali stanno prendendo le distanze, e dalla difficile situazione in Grecia che ha portato anche l'UNHCR a sospendere le sua attività come si evince dal comunicato del 22 marzo 2016;
          si continua a perseguire quanto previsto nella road map italiana con l'istituzione di punti di crisi cosiddetti hotspot in considerazione del fatto che l'assenza di una chiara definizione giuridica contribuisce a far venir meno ogni concreta garanzia di tutela del diritto e controllo;
          con nota del 10 marzo 2016 l'Agenzia nazionale Invitalia richiama la pubblicazione di un bando per la realizzazione di due centri di accoglienza per migranti ad Augusta e Messina;
          si apprende da mezzi di stampa che la procura di Siracusa ha aperto un'inchiesta sul bando di affidamento per la struttura da realizzare ad Augusta –:
          se non ritenga necessario interrompere ogni iniziativa che preveda l'istituzione di centri di accoglienza – ad avviso degli interroganti non meglio definiti rispetto alla normativa vigente – in siti privi dei requisiti idonei a garantire una gestione efficace, come, nel caso specifico, il porto commerciale di Augusta, il quale nasce con funzioni radicalmente diverse e necessita, al contrario, di essere tutelato.
(3-02146)


      FIANO, ROBERTA AGOSTINI, BERSANI, CARBONE, CUPERLO, DE MENECH, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, FERRARI, GASPARINI, GIACHETTI, GIORGIS, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, NACCARATO, NARDI, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, FRANCESCO SANNA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
          i recenti drammatici attentati di Bruxelles, di Lahore, di Baghdad hanno riproposto con drammaticità la questione del «terrorismo islamico» in tutto il mondo, mentre il quadro politico e militare del quadrante mediterraneo e del vicino oriente forniscono elementi di preoccupazione e di instabilità;
          in Europa, al momento, Francia e Belgio sembrano essere stati scelti come centrale prevalente di azione e di organizzazione dei nuclei di terroristi jihadisti, ma ovviamente anche l'Italia, come altri Paesi europei, inevitabilmente costituisce un territorio di passaggio e di presenza di elementi legati alle organizzazioni del terrorismo islamico;
          il Governo ha da tempo elevato il livello di attenzione e allerta di tutto il comparto sicurezza: altissimo è il numero dei controlli, degli arresti e delle espulsioni effettuate in questo campo nel corso degli ultimi 12 mesi;
          tuttavia, è sempre più necessaria un'azione specifica di contrasto alla radicalizzazione delle comunità islamiche nel nostro Paese;
          il Parlamento e il Governo nel corso degli ultimi 12 mesi hanno sia innovato l'assetto legislativo specifico sia investito risorse ingenti per nuove assunzioni straordinarie e per investimenti in mezzi e strumenti nel comparto sicurezza e in quello dei servizi di intelligence –:
          quali ulteriori iniziative intenda assumere per aumentare sempre più la capacità preventiva e repressiva di tale fenomeno sia in ambito nazionale sia a livello europeo e internazionale. (3-02147)


      SALTAMARTINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
          i sanguinosi attentati compiuti a Bruxelles confermano l'esposizione dell'intero territorio dell'Unione europea ad un'accresciuta minaccia;
          le indagini condotte a tappeto dagli inquirenti francesi dopo gli attacchi dello scorso anno a Charlie Hebdo e al Bataclan avevano dimostrato l'esistenza di una rete transnazionale di supporto alle attività condotte dai jihadisti che simpatizzano per il Daesh o hanno aderito ad al Qaeda;
          le risultanze di quelle inchieste stanno trovando conferme, in quanto gli inquirenti belgi al lavoro sulla strage di Bruxelles stanno accertando;
          mentre la stampa ed i media italiani enfatizzano tutte le falle finora accertate nell'azione di contrasto al terrorismo sviluppata dagli apparati di sicurezza franco-belgi ed altri lamentano l'assenza di comunicazioni efficaci tra i servizi operanti in Europa, sta emergendo una scomoda verità, concernente l'utilizzo del territorio nazionale italiano come canale di transito da parte di terroristi vicini al Daesh e persino come snodo logistico nel quale sono svolte attività di grande rilevanza, tra le quali la falsificazione dei documenti d'identità usati dai terroristi;
          risultano aver attraversato l'Italia, tra gli altri, Salah Abdeslam, per recarsi in Grecia e poi far ritorno in Belgio; Khalid el Bakraoui, che per giunta ha utilizzato un documento falso intestato ad un ex calciatore dell'Inter, Ibrahim Maaroufi, senza essere smascherato, riuscendo anche a soggiornare in un noto albergo di lusso nei pressi di Venezia; Ismail Mostefai, Ahmad Dahmani, Ahmad Mohammed e M. al Mahmod, tutti lungo l'asse di comunicazioni che lega la Grecia all'Europa nord-occidentale;
          è stato catturato a Bellizzi, nei pressi di Salerno, Djamal Eddine Ouali, colpito da un mandato d'arresto europeo spiccato in quanto ritenuto l'autore materiale dei documenti falsi utilizzati dai terroristi affiliati al Daesh che insanguinano il nostro continente;
          il 14 gennaio 2016 un noto quotidiano nazionale segnalava infine come l'Interpol cercasse in Italia alcuni pericolosi latitanti appartenenti al Daesh –:
          se le evidenti lacune emerse nell'attività di contrasto al Daesh nel nostro Paese siano imputabili a negligenze o se, invece, riflettano una deliberata volontà politica di non «antagonizzare» troppo apertamente il network internazionale del terrore, nell'intento di sottrarre l'Italia alla sua violenza sanguinaria. (3-02148)


      RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
          il 22 marzo 2016 a Bruxelles hanno avuto luogo due attentati terroristici, uno in aeroporto e uno in una stazione della metropolitana che hanno causato 32 morti e oltre 300 feriti a tutt'oggi negli ospedali;
          poco prima delle 8 della mattina, infatti, due esplosioni hanno devastato l'area delle partenze riservata alla compagnia aerea statunitense American Airlines all'aeroporto internazionale di Zaventem, lo scalo principale della capitale belga, distante circa quindici chilometri dal centro cittadino, che secondo le prime ricostruzioni sarebbero state causate da attentatori suicidi;
          l'altro attacco ha colpito la stazione della metropolitana di Maelbeek, che si trova a poche decine di metri dalla sede della Commissione europea, lasciando immaginare che l'obiettivo dell'attentato non fosse tanto la città o il Belgio in sé, ma le istituzioni europee, con i funzionari, dipendenti ed europarlamentari che proprio il martedì mattina iniziano la settimana;
          gli attentati arrivano a pochi giorni dall'arresto, avvenuto venerdì 18 marzo 2016, di Salah Abdeslam, l'ultimo membro del commando dell'Isis responsabile degli attacchi a Parigi del 13 novembre 2015 che hanno causato centotrenta morti, tra le quali anche una studentessa italiana;
          il Belgio è considerato la culla dello jihadismo europeo e, infatti, almeno sei dei dodici attentatori di Parigi venivano da Molenbeek un comune alle porte di Bruxelles, e pur a fronte della consapevolezza dell'esistenza di numerose cellule «in sonno» sembra che nessuno si aspettasse una vendetta così repentina e violenta;
          i terroristi hanno agito in una città che era già presidiata e in stato d'allerta, a dimostrazione della difficoltà di contrastare in modo efficace l'attività degli estremisti islamici;
          dagli attacchi di Parigi ad oggi in tutto il mondo hanno avuto luogo numerosi attacchi terroristici, soprattutto in Turchia e in Mali, anch'essi in parte riconducibili alla lotta jihadista;
          le indagini condotte in seguito agli attentati di Bruxelles hanno dimostrato come alcuni sospetti appartenenti ai gruppi terroristici siano transitati per l'Italia uno dei quali è stato arrestato a Salerno;
          dalle notizie trapelate su alcuni quotidiani italiani e dalle indagini della guardia costiera risulta che Palazzo Curtatone, immobile occupato dai movimenti per la casa e da immigrati clandestini, è stato utilizzato come base da parte di 17 scafisti responsabili del traffico di esseri umani;
          nonostante le reiterate segnalazioni e le denunce tramite atti di sindacato ispettivo rivolte al Ministro dell'interno, lo sgombero dell'immobile non è stato ancora attuato nonostante il blitz della guardia costiera che ha portato all'arresto dei 17 scafisti –:
          quali urgenti iniziative intenda assumere per il contrasto al terrorismo di matrice islamica in Italia, al fine di garantire la sicurezza di tutti i cittadini, e per il coordinamento delle iniziative assunte a tal fine in ambito internazionale.
(3-02149)


      DE GIROLAMO, OCCHIUTO e GARNERO SANTANCHÈ. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
          il 9 marzo 2016 è stato arrestato presso il centro di accoglienza di Campomarino (CB), un imam somalo di 22 anni richiedente asilo; il giovane somalo inneggiava all'Isis, ad Al Qaeda e ad Al Shaabab, invitando gli altri ospiti del Centro di accoglienza ad azioni violente da realizzare nell'ambito della Jihad, in particolare indirizzate verso Roma. Una azione descritta dagli inquirenti come «intensa e veemente di proselitismo» contro l'Occidente;
          è inammissibile che i centri di accoglienza diventino dei luoghi di reclutamento ed istigazione al terrorismo di matrice islamica;
          il somalo arrestato nel centro d'accoglienza di Campomarino, aveva presentato la richiesta di asilo in Norvegia, Svezia, Germania, Ungheria e Austria, ed era stata puntualmente respinta nella totalità dei casi;
          è inconcepibile come moltissimi imam possano in maniera del tutto indisturbata svolgere un'attività di istigazione e proselitismo violento all'interno dei centri d'accoglienza, approfittando del loro ruolo per indurre altri ospiti correligionari a compiere azioni con finalità di terrorismo;
          l'episodio di Campomarino è sintomatico di uno dei tanti pericoli a cui il nostro Paese è costantemente sottoposto;
          qualche giorno fa è stato arrestato a Bellizzi (Salerno) Djamal Eddine Ouali, un algerino destinatario di un mandato di arresto europeo emesso dalle autorità del Belgio: per gli investigatori era implicato in una rete che produceva falsi documenti che sarebbero stati utilizzati anche da alcuni terroristi implicati nelle stragi di Parigi e Bruxelles;
          spetterà agli inquirenti ricostruire i rapporti di Ouali con la comunità di Bellizzi; capire quindi quando si è trasferito, con la moglie ora incinta di otto mesi (la cui richiesta di permesso di soggiorno temporaneo ha fatto scattare i controlli dell'ufficio immigrazione della questura di Salerno), chi frequentasse e se avesse contatti con luoghi di culto a Salerno o a Napoli. La stessa Bellizzi è sede di una piccola moschea, ospitata in un locale seminterrato. Anche in questi centri di modeste dimensioni, tra i tanti lavoratori stagionali magrebini, potrebbero nascondersi – come in passato – islamisti radicali simpatizzanti dell'Isis –:
          quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché le città italiane possano essere sicure, e individui così pericolosi siano tenuti lontano dal nostro Paese, con particolare riguardo alle procedure per la richiesta di asilo o di permesso di soggiorno, anche alla luce delle indagini sui casi riportati in premessa, e se e quali specifiche misure siano state adottate per il rafforzamento dei controlli su aeroporti, stazioni e metropolitane, porti e, nello specifico, luoghi di culto, per evitare che soprattutto questi diventino luoghi di reclutamento ed istigazione al terrorismo di matrice islamica.
(3-02150)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'Italia, purtroppo, si trova già da tempo a dover affrontare l'allerta terrorismo essendo uno dei Paesi obiettivo degli attacchi dell'ISIS. Il territorio italiano convive da anni con situazioni provocate da forti eventi calamitosi, terremoti, alluvioni, esondazioni, frane e altro, che sono causa di perdita di vite umane e di stati di emergenza;
          è il corpo nazionale dei vigili del fuoco ad assicurare tutti gli interventi tecnici necessari al fine di salvaguardare l'incolumità delle persone e l'integrità dei beni; esso garantisce il soccorso in tutte le situazioni di emergenza. I suoi interventi sono caratterizzati dal requisito dell'immediatezza delle prestazioni, che richiedono professionalità tecniche anche ad alto contenuto specialistico ed idonee risorse strumentali. Eppure, ormai da anni, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco subisce tagli costanti di organico e di risorse strumentali. La ormai cronica carenza di organico dei vigili del fuoco potrebbe diventare una debolezza e un problema per la sicurezza e l'incolumità dei cittadini;
          in merito alle minacce terroristiche di cui il nostro Paese è oggetto, è utile ricordare che i vigili del fuoco, con il nucleo NBCR, sono deputati ad intervenire in difesa della popolazione in caso di attacchi con armi non convenzionali, ovvero, con armi batteriologiche, chimiche e radiologiche, ma neanche su questo fronte il Governo pare sia interessato a stanziare adeguate risorse;
          è necessario ricordare quanto già dall'interrogante esposto nell'interrogazione a risposta scritta n.  4-11374 del 3 dicembre 2015, ad oggi ancora senza risposta (nonostante un sollecito scritto del 12 gennaio 2016) in merito al concorso pubblico, per titoli ed esami, di 814 posti nella qualifica di vigili del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, bandito nell'ottobre del 2008. Dopo due anni, nell'ottobre 2010 è stata redatta la graduatoria definitiva del concorso con 814 vincitori e circa 7.000 idonei non vincitori. Dal 2010 ad oggi per le assunzioni nel corpo dei vigili del fuoco si è attinto al 5 per cento da questa graduatoria e al 50 per cento da una graduatoria di stabilizzazione per i volontari (bando del 2007 per soli titoli e riservato esclusivamente a vigili volontari discontinui);
          nonostante due graduatorie attive e 4.000 idonei presenti nella graduatoria «814» (senza considerare i 184 idonei di un concorso del 1998 che aspettano ancora di essere assunti) e la sentenza del 2011 del Consiglio di Stato che ha affermato che lo scorrimento delle graduatorie preesistenti e vigenti deve rappresentare la regola, è in fase di definizione il nuovo regolamento per una nuova procedura concorsuale, a fronte, probabilmente, della chiusura al 31 dicembre 2016 di ogni graduatoria attiva;
          il rischio reale per gli idonei del 2008, nel caso fosse chiusa la graduatoria e indetto un nuovo concorso, sarà di non potervi partecipare per raggiunti limiti di età, dato che nel concorso del 2008 il limite massimo di età era di 37 anni;
          il 26 dicembre 2015, il quotidiano «Il Fatto», in seguito alla mobilitazione del Corpo nelle piazze in diverse città italiane, denunciava le difficoltà che i vigili del fuoco incontrano nel lavoro di ogni giorno, a fronte delle quali l'incolumità dei cittadini risulta meno tutelata. Secondo quanto riferito dai sindacati, «In Italia abbiamo in media un pompiere in servizio ogni 15 mila abitanti, ben al di sotto degli standard europei». Mancherebbero circa 3.500 unità. Tra le altre cose, l'articolo sottolineava la grave situazione provocata da un turn over limitato che, «fino al 2015 si è fermato al 55 per cento. In poche parole, per ogni 100 vigili del fuoco che sono andati in pensione se ne potevano assumere solo 55. E oltre a contenere la disponibilità di uomini, questo limite ha stoppato anche il ricambio generazionale. L'età media di un vigile del fuoco italiano supera ormai i 50 anni»  –:
          se il Governo, al fine di garantire la sicurezza nazionale di persone e cose, non ritenga urgente intervenire anche con iniziative normative straordinarie per recuperare le risorse economiche volte a colmare le carenze organiche del Corpo dei vigili del fuoco e se, per raggiungere questo obiettivo, non ritenga corretto nei riguardi degli idonei, attingere dalle graduatorie ancora aperte e ripristinare a pieno regime il turn over del Corpo dei vigili del fuoco. (4-12673)


      PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          con l'approvazione delle norme recanti le disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), il Corpo nazionale dei vigili del fuoco non ha ottenuto alcun potenziamento degli organici;
          il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, non ha ricevuto dal Governo stesso, stanziamenti destinati ad assumere, ma ha proceduto a finanziare le proprie assunzioni extra turnover rimodulando il capitolato di spesa destinato al personale volontario, quindi da considerarsi «assunzioni a costo zero», in quanto tale fondo era già in seno all'amministrazione stessa;
          la Federazione nazionale coordinamenti VVF discontinui ha manifestato rammarico e disapprovazione per questa decisione scellerata del Governo;
          allo stato attuale l'unica certezza è data dalle 600 unità, con fondi già disponibili derivanti dall'ultima tranche derivante dall'assunzione di 1000 unità vigili del fuoco ai sensi del decreto-legge 24 giugno 2014 n.  90, convertito    dalla legge 11 agosto 2014 n.  114, e l'anticipo del turnover 2014 e 2015 in vista del Giubileo straordinario della misericordia di 355 unità derivante dal decreto-legge 78 del 2015 (decreto enti locali), i cui rispettivi corsi di formazione sono partiti il 7 settembre 2015 per 600 unità, il 9 dicembre per 250 unità e il 21 dicembre 2015 per 105 unità;
          in base a quanto esposto, in virtù anche della massiccia ondata di pensionamenti del prossimo triennio, considerando che l'anticipo delle 355 unità, di cui 250 da assumere come era previsto nel 2016, la situazione potrebbe determinare un vuoto di assunzioni, già verificatosi nel 2012 che portò il Corpo nazionale dei vigili del fuoco quasi al collasso;
          ad oggi si hanno ancora 2 bacini di personale da cui attingere per le assunzioni che contano oltre 4000 unita, ovvero il concorso pubblico 814 e la graduatoria di stabilizzazione del personale volontario decretata con decreto ministeriale 1996 del 2008 valide fino al 31 dicembre 2016;
          il Corpo nazionale dei vigili del fuoco non deve essere in alcun modo considerato come una risorsa salvaguardia del cittadino di minore importanza, come sembra stia accadendo con i provvedimenti sopracitati, anche in relazione ai tragici eventi terroristici che hanno colpito Parigi, con l'attacco allo stadio di Francia e la sanguinosa strage al teatro Bataclan, che hanno disseminato nel territorio europeo sconcerto e paura, ricordando che per tutto l'anno 2016 l'Italia sarà impegnata a fronteggiare le questioni di sicurezza legate al Giubileo straordinario della misericordia  –:
          quali iniziative si intendano adottare nel breve tempo, affinché possa concretizzarsi un reale potenziamento dell'organico, necessario a garantire un efficiente servizio di soccorso;
          quali iniziative intenda adottare per dare compiute risposte al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, con particolare riferimento ai vigili del fuoco discontinui da sempre bistrattati dall'amministrazione statale;
          se non intenda assumere iniziative per dare continuità e certezza di servizio garantendo una stabilizzazione di quei tanti vigili del fuoco discontinui dotati di importanti professionalità ma perennemente mortificate. (4-12676)


      FRACCARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Consiglio dei ministri, nella seduta del 10 febbraio 2016, ha approvato il decreto per l'indizione del referendum popolare relativo all'abrogazione della previsione che le attività di coltivazione di idrocarburi relative a provvedimenti concessori già rilasciati in zone di mare entro dodici miglia marine hanno durata pari alla vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. La consultazione si terrà il 17 aprile 2016;
          sulla sezione del sito internet del comune di Trento dedicata alla trasmissione in diretta streaming e in differita delle sedute del consiglio comunale, a partire dal mese di marzo 2016, è stato pubblicato il seguente annuncio: «In occasione del referendum popolare del 17 aprile 2016, secondo quanto previsto dall'articolo 9, comma 1 della legge 22 febbraio 2000 n.  28, fino alla conclusione delle operazioni di voto «è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni». Per il periodo indicato non saranno quindi visibili le dirette delle sedute del Consiglio comunale, né in versione streaming né in versione registrata»; i provvedimenti conseguenti al predetto annuncio hanno pertanto determinato la sospensione della diretta streaming delle sedute del Consiglio comunale di Trento fino al 17 aprile 2016 nonché l'oscuramento delle registrazioni delle sedute del Consiglio comunale di Trento che si sono svolti nelle seguenti date: 23 e 24 febbraio 2016, 8, 9, 22 e 23 marzo 2016;
          la suddetta comunicazione è stata pubblicata anche sul sito internet del comune di Rovereto (Tn) e, analogamente, è stato adottato il medesimo provvedimento finalizzato all'oscuramento delle registrazioni delle sedute svolte dalla data di indizione del referendum popolare;
          i suddetti provvedimenti sembrano essere scaturiti, a quanto consta all'interrogante, da un'interpretazione eccessivamente restrittiva dell'articolo 9, comma 1, della legge 22 febbraio 2000, n.  28 «Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie è per la comunicazione politica», il quale prevede che «dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni», e della nota del 15 febbraio 2006, prot. n.  3/2006 della conferenza dei comitati per le comunicazioni delle regioni e delle province autonome (che fa parte della conferenza dei presidenti dell'assemblea dei consigli regionali e delle province autonome), nella quale si precisa che «il divieto investe tutte le modalità di riproduzione/trasmissione, quindi anche quella relativa ad internet e coinvolge l'insieme delle attività assembleari, compresa quella relativa alla cosiddetta question time»; i provvedimenti adottati dalle amministrazioni di Trento e Rovereto non trovano peraltro riscontro sui siti internet di altre assemblee legislative regionali e assemblee comunali del resto del Paese. A titolo di esempio, sul sito del consiglio della provincia autonoma di Trento sono consultabili le registrazioni delle sedute del 3, 9 e 10 di marzo 2016. Lo stesso avviene per le registrazioni delle sedute del consiglio della regione Puglia che si sono svolte in data 1o, 15 e 22 marzo nonché per le dirette e le registrazioni delle sedute dei consigli comunali di Merano (comune superiore ai 20,000 abitanti della provincia di Bolzano) e dei comuni capoluogo delle regioni Lombardia e Campania, Milano e Napoli, che si sono svolte nel periodo considerato;
          preso atto della situazione a livello nazionale, la quale, indipendentemente dalla data di convocazione dei comizi elettorali in ordine al referendum del 17 aprile 2016 si caratterizza in forma omogenea per la libera trasmissione in streaming e in differita delle sedute dei consigli regionali e comunali, l'ampiezza del divieto di trasmissione istituzionale delle sedute consiliari applicata dalle amministrazioni comunali di Trento e di Rovereto risulterebbe secondo l'interrogante eccessiva e irragionevole. La portata del suddetto divieto priverebbe infatti gli elettori dei consigli comunali di Trento e Rovereto del diritto di essere informati sull'attività della pubblica amministrazione, diritto inteso come risvolto passivo della libertà di manifestazione del pensiero sancita dall'articolo 21 della Costituzione;
          inoltre, il divieto assoluto di trasmissione delle sedute in streaming e in differita applicato dalle amministrazioni comunali di Trento e Rovereto apparirebbe a giudizio dell'interrogante eccessivo per il fatto di non distinguere l'ambito di applicazione in riferimento alla tipologia di competizione elettorale. Sembrerebbe infatti ragionevole ritenere che solo per attività riconducibili alle tematiche correlate alla campagna referendaria in corso si possa giustificare il divieto di trasmissione in streaming e in differita. Diversamente, per le attività dei consigli comunali con implicazioni non riconducibili o scarsamente riconducibili alla citata campagna referendaria dovrebbe essere consentita la trasmissione senza alcuna restrizione  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti menzionati in premessa e se intenda adottare iniziative normative volte a disciplinare l'attività di comunicazione e informazione istituzionale delle pubbliche amministrazioni a partire dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto in ordine ai referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione, dall'articolo 138 della Costituzione e dagli statuti regionali, al fine di assicurare il diritto dei cittadini ad essere informati sull'attività assembleare dei consigli dei comuni, delle regioni e delle province autonome anche durante lo svolgimento delle competizioni referendarie. (4-12677)


      GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          stando ai dati forniti dal Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, convocato per discutere della situazione a Lodi e Lodi Vecchio, i furti compiuti nel capoluogo dal 1o gennaio al 15 marzo 2016 risultano fortemente aumentati;
          in particolare, sono aumentati di oltre il 50 per cento furti compiuti nelle abitazioni, passando dai 50 registrati nel 2015 ai 77 denunciati nei primi due mesi e mezzo del 2016;
          le zone maggiormente colpite sono quelle di San Bernardo, Viale delle Rimembranze, Fanfani ed Albarola;
          anche a Lodi Vecchio si è constatata una vera e propria impennata dei furti;
          della tendenza ha preso atto lo stesso Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, convenendo l'incremento immediato dei servizi coordinati di vigilanza, che dovrebbero essere potenziati soprattutto negli orari serali e notturni, con l'apporto del reparto prevenzione del crimine della polizia di Stato di Milano  –:
          se il Governo ritenga sufficienti le misure adottate nell'ambito del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica allo scopo di contrastare l'impennata dei furti nelle abitazioni in atto a Lodi e Lodi Vecchio e, soprattutto, se le ritenga sostenibili nel tempo, tenuto conto che si è rivelato necessario attingere alle risorse che presidiano Milano;
          se il Governo non ritenga doveroso promuovere misure strutturali per fronteggiare l'ondata criminale, ad esempio rinforzando in modo permanente gli organici dei presidi di polizia presenti sul territorio lodigiano. (4-12678)


      SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il comune di Siderno (Reggio Calabria) è stato commissariato per circa cinque anni;
          dal 1o giugno 2015 si è insediata un'amministrazione democraticamente eletta con grande consenso popolare;
          la commissione straordinaria, nel mese di aprile 2013, decise di accedere all'anticipazione di liquidità prevista dal decreto-legge n.  35 del 2013 che portò nelle casse dell'ente la somma di euro 8.991.275,66, da restituire allo Stato in 30 anni;
          tale liquidità, nelle intenzioni del legislatore, doveva servire a pagare i debiti scaduti della pubblica amministrazione, assicurando il riequilibrio finanziario degli enti territoriali ed evitando così il dissesto finanziario;
          nel caso di Siderno, però, paradossalmente, la commissione straordinaria prese i fondi, pagò i debiti per circa euro 11.500.000 ma dichiarò il dissesto finanziario;
          tale scelta è a parere dell'interrogante contraddittoria, in quanto lo Stato ha messo a disposizione denaro liquido per dare «ossigeno» agli enti locali e consentire di pagare i debiti scaduti, per evitare, quindi, il dissesto finanziario ed invece, a Siderno, si fa esattamente il contrario: da un lato, si prendono i fondi, mettendo, comunque, sulle spalle dei cittadini «un mutuo» trentennale, dall'altro, si dichiara il dissesto finanziario;
          tale scelta è, soprattutto, inspiegabile sia sotto il profilo strategico, che economico;
          sotto il profilo strategico, ci si chiede come mai, visto che la ricognizione e quantificazione dei debiti, cui non si riusciva a far fronte con le risorse disponibili, era stata fatta ad aprile 2013 e si era deciso di ricorrere all'anticipazione di liquidità, a distanza di 7 mesi la stessa operazione di ricognizione ha portato i commissari a dichiarare il dissesto; delle due l'una: secondo l'interrogante o si doveva dichiarare il dissesto ad aprile, oppure va constatato che si è dichiarato a dicembre un dissesto che non doveva essere dichiarato;
          ancora più inspiegabilmente, sotto il profilo economico, considerato che i debiti del dissesto possono essere pagati al 50 per cento (come ha di fatto scelto di fare l'amministrazione Fuda), ci si chiede perché si è deciso di pagarli al 100 per cento tra il mese di maggio fino al 5 dicembre 2013 («bruciando» in sette mesi diversi milioni di euro), se poi il 20 dicembre 2013 si è arrivati a dichiarare il dissesto;
          come emerge con chiarezza dagli atti, la commissione straordinaria, dopo 2 anni di gestione:
          a) 15 giorni prima di andare via, con deliberazione n.  105, ha determinato il fondo cassa iniziale da trasferire all'organismo straordinario di liquidazione in euro 0 e con quello che appare all'interrogante una sorta di artificio contabile ha quantificato una somma a credito del comune per pagamenti effettuati per conto dell'organismo straordinario di liquidazione pari ad euro 5.283.862,83;
          b) il giorno prima di andare via, con la deliberazione n.  130, ha approvato il rendiconto dell'esercizio 2014, che, grazie anche all'artificio contabile sopra detto, si è chiuso con un avanzo di amministrazione di euro 7.686.612,89, omettendo, a giudizio dell'interrogante, in contrasto con le norme di legge, il contestuale riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi;
          anche su questo punto, se è vero che dal rendiconto 2014 approvato dalla commissione straordinaria risultava un avanzo di amministrazione di euro 7.686.612,89 è, soprattutto, vero che, quando l'amministrazione Fuda ha provveduto al riaccertamento straordinario dei residui è emersa a parere dell'interrogante un'altra realtà ossia un disavanzo di oltre 6,5 milioni di euro: il credito era diventato un debito;
          in sostanza, la commissione, secondo l'interrogante, in gran fretta, il giorno prima di andare via, ha approvato 3 bilanci, uno dei quali poteva essere approvato anche dalla nuova amministrazione e, invece, non ha approvato il riaccertamento straordinario dei residui che era obbligatorio fare entro le 24 ore; ciò, secondo l'interrogante, perché avrebbe fatto forse emergere che non c'era avanzo;
          in 20 anni il comune ha accumulato debiti per 20 milioni di euro e i commissari in soli 2 anni hanno lasciato un enorme disavanzo e un dissesto finanziario che doveva, ma soprattutto poteva, essere evitato;
          con nota del 24 giugno 2015, prot. n.  16517, il comune di Siderno chiedeva al prefetto di Reggio Calabria, ai sensi dell'articolo 145, comma 3, del decreto legislativo n.  267 del 2000, l'assegnazione del dottor Giuseppe Curciarello, dipendente, inquadrato in categoria D6 del comune di Roccella Jonica (Reggio Calabria), da destinare, in sovraordinazione, ai settori «Finanze» e «Tributi», per n.  18 ore settimanali;
          la prefettura di Reggio Calabria, con nota del 30 giugno 2015, prot. n.  61893, chiedeva l'integrazione della nota al fine di consentire le necessarie valutazioni sia della prefettura medesima, che del Ministero dell'interno;
          il comune di Siderno, con nota del 6 luglio 2015, prot. n.  17716, forniva alla prefettura di Reggio Calabria le integrazioni richieste;
          la prefettura di Reggio Calabria, con nota del 27 luglio 2015, prot. n.  71148, evidenziava – nuovamente – che «l'eventuale assegnazione temporanea di personale non può sopperire a carenze di organico dell'ente, ma è esclusivamente finalizzata al perseguimento di specifici obiettivi di riorganizzazione e ripristino della legalità nell'Amministrazione comunale», ed invitava il comune a specificare dettagliatamente gli obiettivi in relazione ai quali era stata chiesta l'assegnazione di personale, indicando il programma di lavoro ed i tempi stimati per il conseguimento dei risultati;
          il comune di Siderno, sollecitandone il riscontro con successiva nota del 24 dicembre 2015, prot. n.  35546, ad integrazione di quanto già detto nelle precedenti note affermava che la richiesta di assegnazione del dottor Curciarello era finalizzata, esclusivamente, al perseguimento di specifici obiettivi di riorganizzazione e ripristino della legalità nell'Amministrazione comunale che mi onoro di rappresentare;
          nel merito, si riportavano, in allegato, come richiesto, analiticamente, gli obiettivi, con il relativo programma di lavoro ed i tempi stimati per il conseguimento dei risultati;
          la prefettura di Reggio Calabria, ribadendo che l'eventuale assegnazione temporanea di personale non può sopperire a carenze di organico dell'ente, avrebbe osservato che l'assegnazione richiesta non appare, al momento, rispondere alle condizioni e ai presupposti previsti dalle disposizioni vigenti;
          è necessario precisare, che il comune di Siderno, come si evince dalla corrispondenza, non ha richiesto il dottor Curciarello per sopperire alle carenze di organico, sebbene la prefettura abbia ripetutamente evidenziato che «l'eventuale assegnazione temporanea di personale non può sopperire a carenze di organico dell'ente, ma è esclusivamente finalizzata al perseguimento di specifici obiettivi di riorganizzazione e ripristino della legalità nell'Amministrazione comunale»;
          infine, per completezza di informazione, si deve evidenziare che la commissione straordinaria (che ha governato il comune di Siderno da aprile 2013 a maggio 2015), sia all'atto della prima istanza di assegnazione di ben 6 unità di personale, che al momento della proroga delle stesse unità, nel chiedere al prefetto di Reggio Calabria di valutare positivamente le varie richieste, come espressamente riportato nelle note:
              ha indicato, come compiti da assegnare ai sovraordinati, esclusivamente attività ordinarie dell'ente (rectius, snellimento delle procedure di liquidazione, fattura elettronica, pagamento dei debiti, rideterminazione della dotazione organica, programmazione del fabbisogni di personale, controllo del territorio in materia di «edificabilità fantasma», verifica delle ordinanze di demolizione, attuazione delle opere pubbliche, sopralluoghi sul territorio su richieste di intervento, monitoraggio dell'alveo dei torrenti);
              ha esplicitamente sottolineato nelle note che, a quanto risulta all'interrogante, nell'ente vi era una grave carenza di personale, oggi peraltro ulteriormente aggravata;
          la prefettura di Reggio Calabria, a quanto risulta all'interrogante, ha accordato l'assegnazione e la proroga delle sei unità. Questa evidente disparità di trattamento «riservata» dalla prefettura di Reggio Calabria, è ancora più ingiustificabile se si pensa che oggi l'ente, non solo chiede una sola unità di personale e non sei come la commissione straordinaria, ma non indica a motivo della richiesta la grave carenza di personale (che pur esiste e si aggrava di giorno in giorno), né chiede l'assegnazione, ex articolo 145 del decreto legislativo n.  267 del 2000, per svolgere attività ordinarie, ma al contrario:
              precisa, che la richiesta assegnazione del dottor Curciarello è finalizzata, esclusivamente, al perseguimento di specifici obiettivi di riorganizzazione e ripristino della legalità nell'amministrazione comunale;
              nel merito, si riportano, in allegato alla richiesta, analiticamente, gli obiettivi, con il relativo programma di lavoro ed i tempi stimati per il conseguimento dei risultati  –:
          quali iniziative compensative intenda promuovere il Ministro, per quanto di competenza, alla luce dei gravi danni subiti dalla comunità sidernese a seguito della gestione commissariale;
          quali iniziative di competenza si intendano adottare nei confronti dei commissari in relazione a quelli che l'interrogante giudica loro gravi responsabilità;
          se il Ministro interrogato non ritenga sia necessario accertare quali siano le ragioni che motivano l'atteggiamento, ad avviso dell'interrogante, ostruzionistico del prefetto di Reggio Calabria nei confronti del comune di Siderno. (4-12688)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          per la realizzazione della «buona scuola» si è auspicata la digitalizzazione, si è ritenuto prioritario l'insegnamento di tecnologie informatiche per rendere competitiva la formazione dei giovani e si è puntato alla modernizzazione degli istituti con un piano di rilevazione della loro consistenza tecnologica;
          comunicati sindacali evidenziano, però, una, contraddizione fra gli auspici e la realtà;
          nel riordino della scuola superiore, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha previsto con la revisione delle classi di concorso e il nuovo reclutamento dei docenti, l'introduzione della classe di concorso B16 in cui confluiscono per accorpamento le classi C310 e C300 – laboratorio informatica industriale dei periti informatici ITIS e laboratorio gestionale dei ragionieri;
          il DDG 106 del 26 febbraio 2016, però, ha previsto 475 cattedre (A41) di informatica alla quale la B16 è connessa per la copresenza;
          per la categoria (B16), non è più prevista come insegnamento tanto che il bando non contempla posti per i docenti di questa disciplina, la materia «laboratorio di tecnologie informatiche» (primo biennio degli istituti tecnici)  –:
          posto che insegnare la materia informatica non appare sufficiente a rendere gli alunni capaci di utilizzare le tecnologie, se non intenda assumere iniziative per garantire le esercitazioni tecnico-pratiche in laboratorio necessarie per acquisire padronanza dei vari supporti;
          se la decisione di far confluire, per copresenza, la specifica classe di concorso B16 e non menzionare la materia «laboratorio di tecnologie informatiche» (primo biennio degli istituti tecnici) non possa comportare una riduzione di cattedre in organico di diritto di circa il 50 per cento con docenti che scivoleranno nella categoria dei dop. (5-08254)


      FEDRIGA e BORGHESI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          nelle scuole medie superiori e inferiori di tutta la regione Friuli Venezia Giulia, in orario scolastico mattutino, senza chiedere il consenso informato ai genitori degli alunni minorenni ovvero agli studenti maggiorenni, è tenuto da rappresentanti delle associazioni Arcigay e Lgtb - e finanziato dalla regione stessa - il progetto «A scuola per conoscerci»;
          il progetto in questione include principalmente contenuti di educazione affettiva e sessuale;
          nel suddetto progetto, come in molti altri, il titolo e la descrizione, che sono stati approvati nei piani dell'offerta formativa (pof), nei piani territoriali dell'offerta formativa (Ptof), anche se ineriscono sia alla legalità che alla cittadinanza che ad altre iniziative pienamente rispondenti allo spirito della nostra Costituzione, non garantiscono affatto che «tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrino in nessun modo né «ideologie gender» né l'insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo» (come evidenziato dal capo dipartimento dottor Rosa De Pasquale nella circolare Prot. AOODPIT n.  1972 del 15 settembre 2015), e anzi omettono di citare gli elementi affettivi e inerenti la sessualità, e sono quindi insufficienti, allo scopo della valutazione del progetto;
          con nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 6 luglio 2015 indirizzata agli uffici scolastici regionali – Prot.  AOODGSIP n.  4231 – la direzione generale per lo studente, l'integrazione e la partecipazione, rilevando il sopraggiungere di quesiti da parte di numerose istituzioni scolastiche in merito al rapporto con le famiglie in occasione della definizione dei piani triennali dell'offerta formativa (Ptof), ribadiva «la corretta prassi che le scuole sono chiamate a seguire fin dall'inizio dell'anno scolastico e per sottolineare il ruolo strategico e la centralità del Piano dell'Offerta Formativa, in cui tutte le attività che le istituzioni scolastiche intendano realizzare devono essere specificate», precisando che «Le famiglie hanno il diritto, ma anche il dovere, di conoscere prima dell'iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano dell'Offerta Formativa e, per la scuola secondaria, sottoscrivere formalmente il Patto educativo di corresponsabilità per condividere in maniera dettagliata diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie. Si ricorda alle scuole, quindi, di assumere le iniziative utili per assicurare da parte delle famiglie una conoscenza effettiva e dettagliata del PTOF» nonché «Va inoltre specificato che i progetti relativi a qualsiasi tematica possono essere realizzati, in orario curricolare, sia nell'ambito del curricolo obbligatorio sia nell'ambito della quota parte facoltativa, ma pur sempre previsti dal Piano dell'Offerta Formativa. La partecipazione a tutte le attività extracurricolari, anch'esse inserite nel P.T.O.F., è per sua natura facoltativa e prevede la richiesta del consenso dei genitori per gli studenti minorenni o degli stessi se maggiorenni che, in caso di non accettazione, possono astenersi dalla frequenza»;
          con nota del 13 luglio 2015 – Prot. AOODRFR n.  5518 – avente ad oggetto «Realizzazione di progetti previsti dal Piano dell'Offerta Formativa. Richiesta di consenso informato da parte dei genitori», il direttore dell'ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia Biasiol, richiamando la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n.  4321 sulla corretta prassi che le scuole sono tenute a seguire, ha ritenuto «prive di fondamento e dolorosamente fuorvianti le segnalazioni e le prese di posizione pubblica con cui ad alcune scuole della Provincia di Pordenone è stata rivolta l'accusa di voler sottrarre ai genitori il compito di orientare l'educazione morale e sessuale dei propri figli»;
          nella stessa nota, il direttore Biasiol inaugura un'interpretazione che, a parere degli interroganti, confonde l'orario curriculare con la materia curriculare. Asserisce infatti: «La partecipazione alle attività extracurricolari, inserite nel P.O.F., è per sua natura facoltativa e prevede il consenso dei genitori per gli alunni minorenni. Per quanto invece riguarda le attività realizzate in orario curricolare, alla scuola compete il diritto-dovere di svolgere la propria funzione istituzionale, nell'ambito delle legge, adottando scelte di programmi e di metodi didattici, anche se questi non siano corrispondenti alle convinzioni dei genitori: nei confronti di tali opzioni didattiche, correttamente assunte nell'ambito dell'esercizio dell'autonomia scolastica ed inserite, mediante la – procedura di norma, all'interno del Piano dell'Offerta Formativa, non è ammessa l'opposizione ovvero l'uso di una sorta di diritto di veto da parte dei singoli genitori. Non appare pertanto legittima la richiesta di previo rilascio di “consenso” da parte dei genitori in rapporto all'insegnamento di specifiche discipline o di parti di esse o allo svolgimento di attività didattiche programmate.»;
          si segnala intanto quella che appare agli interroganti la grave sottovalutazione presente nella suddetta circolare del dirigente dell'ufficio scolastico regionale Friuli Venezia Giulia in altre determinazioni ad essa collegate del ruolo della componente genitori e di tutta la relativa normativa pregressa e attuale citata mirante al normale funzionamento della scuola dell'autonomia;
          a giudizio dell'interroganti non basta che un'attività extracurriculare sia inserita nell'orario normale delle lezioni (invece che in orario pomeridiano - aggiuntivo) perché diventi curriculare;
          l'informazione appropriata delle famiglie, più volte raccomandata da tutta la normativa in merito, riguarda sia le attività curriculari che le extracurriculari che, poi, confluiscono tutte nel Ptof. Le une sono di norma obbligatorie (salvo ricorrere all'istruzione parentale o abbandonare la scuola per frequentarne un'altra), le altre ad avviso degli interroganti, dovrebbero rimanere extracurriculari, quindi facoltative. Sembra, infatti, che sia da escludere che ogni attività, inserita nel Ptof, diventi automaticamente obbligatoria e curriculare. Nel qual caso ogni scuola diventerebbe titolare di definire tutto il curricolo obbligatorio, per cui ai genitori non resterebbe, per ogni attività non condivisa, che scegliere un'altra scuola. Cosa, questa, impedita a gran parte delle famiglie, le quali, non disponendo delle possibilità economiche non possono accedere alle scuole pubbliche paritarie. Si avallerebbe in tal modo un comportamento non in linea con quanto sancisce la Costituzione;
          si ricorda che l'insegnamento della religione cattolica, che rientra nella quota obbligatoria del curricolo nazionale, è lasciato alla libera scelta dei genitori mediante l'opzione dell'attività alternativa: si chiede quindi pari tutela anche per tutti gli altri temi delicati e moralmente sensibili che hanno a che fare con l'educazione affettiva e sessuale dei bambini, e non possono venire imposti dalla singola istituzione scolastica, per giunta col concorso di soggetti non meglio identificati quanto a competenza e affidabilità;
          ancor più grave è, a parere degli interroganti, quanto affermato dal direttore dell'ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia, Biasiol, durante l'incontro di formazione tenutosi il giorno 7 marzo 2016, davanti a circa 300 docenti (testo riportato anche nelle slides 12, 13, 14 dei materiali per i neoassunti presenti nel sito dell'ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia: e cioè che la sentenza della Cassazione sezioni unite n.  2656 del 2008 (secondo  a quale la funzione della famiglia non è esclusiva e totalizzante) limita l'azione dei genitori in ambito educativo e che quindi, a suo parere non ci sono presupposti giuridici perché la famiglia possa opporsi agli interventi educativi (in particolare di educazione sessuale) della scuola gli interroganti ritengono che l'ordinanza n.  2656 del 2008 della Corte di cassazione sia citata impropriamente, in quanto non si è mai chiesto il «diritto di veto dei singoli genitori» nei riguardi dell'istituto scolastico, essendo ben consapevoli che si rischierebbe l'immobilismo totale dell'attività scolastica. D'altra parte, la suddetta ordinanza, letta nella sua integralità, non è centrata su tale presunto diritto di veto, bensì pone bene in evidenza una indispensabile «esigenza di bilanciamento e coordinamento tra i diritti e doveri della famiglia e quelli della scuola (si veda al proposito la pagina 3 di detta ordinanza in linea anche con quanto più volte ribadito nel decreto del Presidente della Repubblica n.  275 del 1999) che è appunto quanto sostenuto dagli interroganti;
          con comunicato stampa del 1o marzo 2016, il comitato «difendiamo i Nostri Figli» ha reso noto di avere «inoltrato formale reclamo e contestuale richiesta di chiarimenti alle autorità competenti del Ministero della Pubblica Istruzione e della Ricerca e al Ministro medesimo», chiarendo che «Tale intervento si è reso necessario affinché, mediante autentica interpretazione della normativa pregressa e attuale al riguardo, sia riconosciuto il diritto di genitori e famiglie alla libera e consapevole scelta del genere di educazione da impartire ai propri figli evitando decisioni unilaterali e non consensuali da parte della scuola»  –:
          se il Ministro intenda dare con celerità al comitato «Difendiamo i nostri Figli» e a tutte le scuole i richiesti chiarimenti di cui in premessa;
          se e quali iniziative di competenza intenda urgentemente adottare affinché sia impedita la scelta unilaterale da parte delle scuole, con l'avallo degli uffici scolastici regionali come accade per il Friuli Venezia Giulia, sull'educazione sessuale e affettiva da impartire agli alunni, evitando in particolare che si ricorra all’escamotage di inserirla nel Ptof senza il preventivo consenso informato dei genitori, confondendo la materia curriculare con l'orario curriculare;
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato, nel rispetto della normativa in materia recentemente richiamata tramite le circolari del 6 luglio 2015 e 15 settembre 2015, affinché sia garantito al genitore il «consenso informato preventivo» per decidere in ordine al diritto – dovere di istruire il proprio figlio, come voluto dall'articolo 30 della Costituzione, prevedendo che lo stesso possa decidere di far partecipare o meno il proprio figlio ad un'attività extracurriculare e richiedere, in caso di dissenso, la sua partecipazione ad attività alternative;
          quale sia la procedura corretta da seguire da parte del singolo genitore per esercitare «la libertà di scelta educativa» (di cui all'articolo 21, comma 9, della legge n.  59 del 1997) in presenza di attività extracurriculari facoltative proposte dalla scuola e non condivise, considerato che tale principio, secondo gli interroganti, è alla base di quanto si intende perseguire con la procedura del «consenso informato preventivo». (5-08273)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'editoria televisiva privata locale ha rappresentato nel nostro Paese una pluralità di voci che hanno, in parte, garantito il pluralismo nell'informazione;
          tuttavia oggi l'emittenza televisiva locale è interessata da una gravissima crisi economica e finanziaria, dovuta a un insieme di fattori costituiti, tra i principali, oltre che dalla fase recessiva in cui si trova il Paese, anche dalle difficoltà collegate al passaggio al digitale;
          la generale crisi dell'emittenza televisiva privata non ha risparmiato neanche la regione Umbria e le difficoltà economiche incontrate dalle aziende locali del settore televisivo rischiano di minare i livelli occupazionali e gli spazi di libera informazione;
          l'emittente televisiva locale T.E.F. s.r.l. con sede in Perugia, strada Lacugnano, è sorta nel dicembre del 1988 e conta ad oggi 13 dipendenti di cui 6 giornalisti, 2 impiegati amministrativi e 5 tecnici;
          la società T.E.F. ha avuto il merito di cambiare lo stile dei telegiornali locali umbri occupando spazi importanti nel panorama televisivo e dell'informazione locale trattando temi di cronaca, rubriche dedicate all'economia, al lavoro, di denuncia sociale ma anche trasmissioni di carattere scientifico divulgativo («Dottor Salute»), di attualità e politica («Agorà Oggi») arricchendo la pluralità dell'informazione;
          tra le poche realtà televisive private locali, T.E.F. è riuscita a garantire — grazie alla professionalità e al senso di responsabilità dei lavoratori — l'informazione e programmi di approfondimento, ma complice la crisi economica, l'azienda è stata costretta dal 1o settembre 2014 a ricorrere ai contratti di solidarietà e i 13 dipendenti, giornalisti tecnici ed amministrativi, compreso il direttore dottor Marcello Migliosi, si sono visti ridurre lo stipendio nella misura del 50 per cento;
          nonostante i sacrifici dei lavoratori, ai quali è applicato il contratto del settore giornalisti AerAnticorallo per l'emittenza locale, la situazione finanziaria dell'emittente non pare migliorata e gli stessi lavoratori versano in una situazione economica ormai insostenibile;
          a quanto consta agli interroganti, agli stessi – dal settembre 2014 a tutt'oggi – non è stata ancora erogata la parte di retribuzione spettante per l'attivazione dei contratti di solidarietà;
          forte rimane la preoccupazione tra i lavoratori di T.E.F. anche per il futuro, poiché a settembre del 2016 vedranno la scadenza dei contratti di solidarietà e il rischio che l'ammortizzatore non venga rinnovato  –:
          per quali motivi i dipendenti dell'emittente televisiva T.E.F. di Perugia non abbiano ricevuto ancora la parte di retribuzione spettante per l'attivazione del contratto di solidarietà e quale tempistica preveda il Governo per l'erogazione di quanto dovuto agli stessi;
          quali concrete iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza, anche in accordo con la regione Umbria e le istituzioni locali, al fine favorire e sostenere il rilancio dell'emittenza televisiva locale umbra ed, in particolare, della T.E.F. di Perugia, garantendo la qualità del lavoro e la salvaguardia dei livelli occupazionali ed evitando di conseguenza, effetti nefasti in termini di pluralismo dell'informazione e di ricadute occupazionali negative. (5-08259)


      RICCIATTI, AIRAUDO, PLACIDO, GREGORI, FERRARA, PIRAS, QUARANTA, DURANTI, MELILLA, SANNICANDRO e COSTANTINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          in data 26 marzo 2016 la testata Corriereadriatico.it, ha riportato la notizia di un controllo eseguito dai carabinieri della compagnia di Macerata, insieme al personale della direzione territoriale del lavoro, nei confronti di due aziende site in Montecassiano e Corridonia attive nel settore della pelletteria e dell'abbigliamento, gestite da cittadini cinesi;
          i controlli sono stati eseguiti su trenta lavoratori e sarebbero emerse, a quanto si apprende dalla fonte di stampa citata, violazioni quali il mancato rispetto dei requisiti di sicurezza sui posti di lavoro (nell'azienda di Monteccassiano) e la presenza di minori che lavoravano in ore notturne, oltre a due cittadini stranieri privi del permesso di soggiorno (nell'azienda di Corridonia);
          gli interroganti hanno già segnalato al Ministro interrogato episodi analoghi nei distretti manifatturieri delle Marche, che oltre a colpire i lavoratori in modo diretto colpiscono indirettamente tutte le aziende del settore che operano rispettando tutte le prescrizioni di legge  –:
          quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato sul fronte del contrasto al «lavoro nero» ed irregolare, sia sul piano della rilevazione/repressione, che su quello della prevenzione del fenomeno;
          se siano previste iniziative particolari per aree come quelle indicate in premessa, caratterizzate da un consistente numero di piccole imprese operanti nel settore della pelletteria e dell'abbigliamento per conto terzi, maggiormente esposte a violazioni di tale natura. (5-08261)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SIMONETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          nel 2015 sono state oltre mille le stalle da latte chiuse, il 60 per cento delle quali in montagna, con una media di una stalla su cinque, con effetti drammatici sull'economia, sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale nonché sull'occupazione;
          il latte agli allevatori viene pagato ben al di sotto dei costi di produzione infatti, nell'ultimo anno il prezzo a loro corrisposto è sceso a 34 centesimi al litro, ben al di sotto dei costi di produzione, stimanti in un valore medio compreso tra i 38 e i 41 centesimi;
          con la continua e crescente importazione di latte (circa il 42 per cento del latte consumato) dai Paesi esteri, in particolare dall'Est Europa — che ha costi inferiori ed è di scarsa qualità – si sta verificando una situazione insostenibile per i produttori italiani, in particolare quelli piemontesi. Ogni giorno si assiste al passaggio presso il passo del Brennero di Tir provenienti in particolare da Romania e Ucraina, che trasportano il latte nel nostro Paese;
          in questi Paesi dell'Est europeo sembra che non sussistano normative così rigorose come nel nostro. In particolare, sembra che in Ucraina le mucche vivano allo stato brado e che il latte venga raccolto senza un grande rispetto delle norme igieniche. Inoltre, il latte, perché non fermenti durante il viaggio, deve subire un trattamento chimico-termico particolare;
          il Piemonte è la quarta regione in Italia per produzione di latte con i suoi 8 milioni di quintali annui e 2.000 aziende produttrici con 8.000 posti di lavoro e 390 milioni di produzione lorda vendibile. Oltre il 70 per cento del latte prodotto viene destinato alla trasformazione casearia e il 25 per cento riservato alla preparazione di formaggi dop con oltre 30 caseifici storici;
          il Piemonte si fregia di 6 dop regionali, Bra, Castelmagno, Murazzano, Robiola di Roccaverano, Torna Piemontese e una interregionale, il Gorgonzola;
          nel 2015 in provincia di Vercelli si contavano 347 allevamenti bovini per un totale di 11.956 capi, che si sommano ai 570 allevamenti del Biellese con i loro 20.841 capi;
          nel Vercellese e nel Biellese non può esistere agricoltura senza zootecnia. Eppure il rischio è che questo importante patrimonio culturale, economico e identitario vada perduto per sempre, per colpa di una crisi senza precedenti che sta mettendo a rischio il futuro delle imprese del settore lattiero caseario;
          sembra che dei contributi europei, ripartiti in Piemonte, solo 6 milioni siano stati destinati alle ditte di trasformazione che lavorano prodotto italiano. Sarebbe opportuno che si verificasse attentamente la ripartizione dei fondi del Psr (piano di sviluppo rurale) e che realmente siano destinati alle imprese che lavorano esclusivamente latte piemontese e italiano;
          tre cartoni di lattea lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri, mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall'estero, soprattutto dai Paesi dell'Est Europa. Il consumatore finale è allo scuro di tutto ciò perché non esiste l'obbligo di indicare in etichetta l'origine degli alimenti;
          con una consultazione pubblica on line sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali da novembre 2014 a marzo 2015, l'89 per cento dei consumatori ritiene che la mancanza di etichettatura, di origine possa essere ingannevole per i prodotti lattiero caseari;
          per garantire al consumatore un prodotto di qualità e totalmente « made in Italy» è necessaria una corretta e completa informazione sulla provenienza della materia prima, ovvero il latte utilizzato per la produzione di prodotti lattiero caseari;
          trasparenza e chiarezza sono indispensabili affinché le risorse messe in campo da parte dell'Europa, ma anche dal nostro Paese siano realmente destinate alla trasformazione del latte, anche per far fronte a questo momento di profonda crisi che sta attraversando il comparto della zootecnia da latte;
          è necessaria e urgente una «boccata d'ossigeno» per non far chiudere per sempre le stalle italiane  –:
          se non sia quanto mai necessario ed urgente assumere iniziative per prevedere l'obbligo di etichettatura di origine del latte anche come materia prima nei prodotti lattiero caseari, al fine di fermare le importazioni dall'estero, che potrebbero essere poi spacciate come « made in Italy», e sostenere i produttori di latte italiani, e in particolare piemontesi, che lamentano di essere sottopagati dall'industria anche per la concorrenza del latte dell'Est Europa. (5-08255)


      RICCIATTI, AIRAUDO, PLACIDO, GREGORI, FERRARA, PIRAS, QUARANTA, DURANTI, MELILLA, SANNICANDRO e COSTANTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'Associazione italiana allevatori (AIA), fondata nel 1944 con l'obiettivo di far rinascere la zootecnia nazionale dopo la seconda guerra mondiale, è un'associazione a carattere tecnico-economico che ha come scopo quello di «attuare tutte le iniziative che possono utilmente contribuire ad un più rapido miglioramento del bestiame allevato e ad una più efficiente valorizzazione del bestiame stesso e dei prodotti da questo derivati» (articolo 3 dello Statuto dell'associazione);
          tra i compiti di maggior rilievo dell'organizzazione vi sono: lo svolgimento dei controlli delle attitudini produttive o svolgimento dei controlli funzionali; la tenuta dei libri genealogici e dei registri anagrafici; l'assistenza tecnica alle aziende zootecniche; la gestione informatizzata dei dati del sistema allevatori; il coordinamento della rete di laboratori nazionali; attività relative al benessere animale e sicurezza alimentare; nonché la valorizzazione del prodotto italiano;
          l'Associazione è organizzata in 27 associazioni nazionali di allevatori di specie o razza (Ana), 19 associazioni regionali allevatori (Ara) e 47 tra associazioni provinciali ed interprovinciali allevatori (Aipa/Apa), oltre a 9 enti operanti nella filiera zootecnica con compiti che rientrano nelle finalità istituzionali dell'organizzazione;
          l'Associazione regionale allevatori Marche (Aram) è stata commissariata dall'Associazione italiana allevatori alla fine del 2012 a causa di gravi difficoltà economiche dovute al permanere, per un lungo periodo in una condizione di disavanzo strutturale;
          nel 2014 il commissario ha proposto un percorso di risanamento con la previsione di tagli al personale;
          molti dei lavoratori dell'Aram, distribuiti nelle sedi territoriali di Fano, Falconara, Macerata e Ascoli Piceno, hanno continuato a prestare la loro opera professionale pur non percependo lo stipendio per diversi mesi (in alcuni casi accumulando sino a 12 mesi di arretrato, come ha denunciato il sindacato Fai Cisl Marche il 12 ottobre 2015, annunciando lo sciopero di tutti i lavoratori);
          permangono, oggi, estreme difficoltà per alcuni di quei lavoratori nell'ottenere gli stipendi e le spettanze arretrate, nonostante gli stessi abbiano lavorato per periodi prolungati senza percepire gli stipendi dovuti, garantendo in ogni caso lo svolgimento delle attività di istituto dell'Associazione regionale;
          emblematico è il caso del signor Mouslish Abdallah, impiegato dell'Associazione regionale allevatori delle Marche dal 2006, che dal maggio 2013 non ha più ricevuto lo stipendio, arrivando ad accumulare un credito di oltre 24 mila euro tra mensilità non retribuite, spettanze varie e Tfr (la vicenda è stata di recente riportata dalla testata Cronachemaceratesi.it, il 26 marzo 2016); dopo 9 mesi di lavoro senza retribuzione, il signor Mouslish Abdallah si dimetteva per giusta causa (21 febbraio 2014);
          il 16 gennaio 2015, lo stesso, si rivolgeva alla direzione territoriale del lavoro chiedendo un intervento per recuperare gli arretrati e i mancati versamenti degli oneri contributivi, che hanno, peraltro, impedito al lavoratore l'accesso a forme di sostegno al reddito come l'indennità di disoccupazione;
          il tentativo della direzione territoriale del lavoro risulta al momento infruttuoso a causa del rifiuto dell'Associazione di fornire i documenti relativi ai pagamenti effettuati;
          il recupero dei crediti maturati dal lavoratore dell'associazione risulta impellente a causa delle difficilissime condizioni di sussistenza economica della famiglia, oltre ad una evidente situazione di ingiustizia che penalizza gravemente chi ha sempre svolto oltre l'ordinaria diligenza il proprio lavoro  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
          se non intendano, nell'ambito delle rispettive competenze, assumere ogni utile iniziativa al fine di far fronte alle criticità esposte in ordine al recupero dei crediti di lavoro maturati dai lavoratori che hanno prestato servizio presso l'Aram. (5-08262)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      LOREFICE, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, GRILLO, BARONI e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'endometriosi è una malattia cronica e invalidante della quale sono affette in Italia circa 3 milioni di donne, 14 milioni in Europa e 150 milioni nel mondo. Questi dati in Italia sono solo stimati, in considerazione del fatto non sono mai stati istituiti osservatori per il monitoraggio della malattia;
          dalla risposta del rappresentante del Governo all'interrogazione n.  5-03160 svoltasi in Commissione Affari sociali l'11 giugno 2015 emerge che «non esistono dati nazionali sull'entità dell'endometriosi, se non i dati relativi ai ricoveri e alle dimissioni per tale patologia», per cui il numero potrebbe anche essere più alto se si considerano le tante donne che si rivolgono a studi medici privati, che non subiscono ricoveri ospedalieri o che non hanno ancora ricevuto una diagnosi certa di endometriosi;
          si tratta di una patologia che in alcuni casi (III e IV stadio) presenta sintomi gravi con alterazione della qualità della vita e perdita dell'autonomia, in altri casi anche dopo la terapia medica e/o chirurgica è presente un'elevatissima possibilità di recidive della sintomatologie e delle lesioni. Sono presenti non poche condizioni che presentano caratteristiche di irreversibilità;
          nella risposta all'interrogazione n.  5-03160 si leggeva che «nella proposta di aggiornamento dell'elenco di malattie croniche allegato allo stesso decreto ministeriale n.  329 del 1999, inclusa nella più complessiva proposta di aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza, è stata inserita la «Endometriosi moderata e grave», con un pacchetto di prestazioni specialistiche ambulatoriali utili al monitoraggio dell'evoluzione della malattia e alla prevenzione degli aggravamenti»;
          si legge anche nella risposta che «i costi economici individuali per la paziente e per il Servizio sanitario nazionale per accertamenti diagnostici, terapie farmacologiche croniche, ricoveri ospedalieri, trattamenti chirurgici, sono molto alti»;
          da diversi anni si parla di riconoscimento dell'endometriosi come malattia invalidante e già nel dicembre 2012 la stampa riferiva dell'imminente firma dell'allora Ministro Balduzzi, entro l'anno o al massimo entro la fine della legislatura, del decreto che avrebbe varato l'aggiornamento dei Lea, in cui si diceva fosse inserita anche l'endometriosi;
          dal dicembre 2014 varie testate giornalistiche riportavano le dichiarazioni del Ministro interrogato secondo cui il tavolo sulla revisione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), a cui sedevano Ministero della salute, Agenas e regioni, aveva concluso i lavori dopo 9 mesi e che entro il 29 dicembre avrebbe ricevuto il decreto pronto per il varo;
          alle esternazioni del Ministro tuttavia non è seguito ad oggi alcuna pubblicazione del decreto, ma solo la delusione delle tantissime donne affette da questa patologia che lottano giornalmente senza sentirsi tutelate dallo Stato;
          eclatante, a giudizio dell'interrogante, è stata in particolare la dichiarazione del Ministro interrogato che ha reso su twitter durante la giornata mondiale sull'endometriosi, il 19 marzo 2016, che recita «Promessa mantenuta: #endometriosi nei nuovi #Lea. Risposta concreta alle oltre 3 milioni di #donne in Italia che ne soffrono», e quella su facebook: «La cura dell'endometriosi sarà nei Lea. Sono molto felice di poter dire che l'impegno che avevamo preso un anno fa con tutte le donne è stato mantenuto e che la promessa fatta è diventata realtà. Con la conclusione dell'iter di aggiornamento dei nuovi Lea, questa patologia rientrerà infatti nell'elenco delle malattie croniche invalidanti che danno diritto all'esenzione»;
          quali siano le motivazioni che hanno determinato il rinvio dell'adozione del decreto che aggiornerà i livelli essenziali di assistenza, che dovrebbero comprendere anche l'endometriosi, e se non intenda assumere iniziative per accelerare la pubblicazione dello stesso che, dalle stesse dichiarazioni del Ministro, pare essere già stato firmato, considerata l'importanza fondamentale della revisione degli elenchi per i milioni di malati che aspettano da anni un cambiamento della normativa ormai obsoleta, ed in particolare per le donne affette da endometriosi alle quali ha dichiarato di essere vicina;
          se possa escludere che con l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza vengano rimosse dall'elenco patologie le cui prestazioni sono al momento garantite dal servizio sanitario nazionale. (5-08256)

Interrogazioni a risposta scritta:


      RICCIATTI, NICCHI e GREGORI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          a partire dal maggio 2015 sono stati riscontrati 17 casi umani di «listeriosi» (di cui 5 nel 2016) nelle province di Pesaro Urbino, Ancona e Macerata, contro un numero di 8 rilevati nell'anno 2014;
          due anziani di 77 e 78 anni affetti da patologie croniche sono deceduti, nel mese di agosto nelle province di Ancona e Macerata, dopo aver contratto un'infezione da Listeria monocytogenes;
          il 2 febbraio 2016, sono state esperite da parte dei servizi dei dipartimenti di prevenzione dell'ASUR Marche indagini epidemiologiche e attività di campionamento di alimenti, che hanno consentito di identificare lo stesso ceppo di Listeria monocytogenes in un campione di alimento a base di carne suina (coppa di testa) prodotto da un piccolo stabilimento della provincia di Ancona, il salumificio Monsano srl;
          sulla questione una nota del Ministero della salute ha dato conto della precauzionale sospensione delle attività produttive dello stabilimento e della vendita di tutte le tipologie alimentari da questo prodotte, da parte delle competenti autorità della regione Marche, avvisando i consumatori di astenersi dal consumo dei prodotti della ditta Salumificio Monsano srl di Monsano;
          successivamente la regione Marche ha diffuso una nota con la quale sottolineava che i due decessi registrati nei mesi agosto 2015, in provincia di Macerata e Ancona, «non sono direttamente collegati al consumo dell'alimento contaminato che è stato identificato dalle autorità sanitarie nel gennaio 2016» (Il Corriere Adriatico, 5 febbraio 2016);
          l'incremento di casi di listeriosi osservato a partire dal 2015 è da imputare — secondo una nota diffusa dalla regione Marche il 28 febbraio 2016 — prevalentemente ad un unico ceppo di Listeria, identificato con metodiche molecolari come «pulsotipo cluster»;
          nella nota stampa della regione Marche, ultima citata, viene inoltre comunicato che «In data 24 febbraio 2016 il Laboratorio Nazionale di Referenza per Listeria monocytogenes (l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Abruzzo e del Molise) ha concluso la prima parte delle analisi sui campioni ambientali e prodotti alimentari prelevati il 3 febbraio 2016 presso lo stabilimento “Salumificio Monsano srl”, confermando la presenza del ceppo di Listeria monocytogenes, caratterizzato da un medesimo profilo genetico (tramite metodica PGFE e sequenziamento totale del genoma batterico) di quello responsabile di alcuni casi umani». Mentre le analisi sui campioni di alimenti e quelle ambientali relative ad altri stabilimenti sono tutt'ora in corso. La nota ha avvertito inoltre che «a causa dei lunghi tempi di incubazione della forma sistemica di malattia e della complessità nella completa identificazione dell'origine delle contaminazioni ambientali ed alimentari è possibile che, nonostante le misure già disposte, si verifichino altri casi»  –:
          se il Ministro interrogato non intenda adottare ulteriori iniziative di carattere preventivo e/o informativo, al fine di contenere la diffusione del batterio Listeria monocytogenes nelle Marche;
          quali informazioni il Ministro interrogato intenda fornire, anche al fine di fare dettagliatamente chiarezza sullo stato della diffusione delle infezioni da listeria e della efficienza dei meccanismi di monitoraggio. (4-12681)


      CARNEVALI, CASATI, BRAGA, RAMPI, GASPARINI, FERRARI, CIMBRO, PELUFFO, COMINELLI, MALPEZZI, GADDA, GIUSEPPE GUERINI, BERLINGHIERI, FRAGOMELI, TENTORI, GIAMPAOLO GALLI, POLLASTRINI e MISIANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la fine traumatica della IX legislatura regionale lombarda – dovuta alle dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri – ebbe la sua causa principale negli scandali che colpirono il sistema sanitario regionale (San Raffaele e Maugeri);
          le elezioni della primavera del 2013 per il presidente della regione e per la nuova assemblea regionale furono condotte dall'attuale maggioranza su promesse di un profondo rinnovamento del sistema politico regionale e di una forte discontinuità nella gestione della sanità;
          il candidato della coalizione di centro-destra Roberto Maroni promise un'esaustiva azione di pulizia nel sistema pubblico a partire appunto dalla riforma del sistema sanitario, garantendo un profondo rinnovamento dei comportamenti amministrativi, improntati alla trasparenza, efficacia ed efficienza e capaci di riportare la completa legalità in tutti i livelli dell'amministrazione regionale, con l'obiettivo di rinsaldare così il rapporto di fiducia con l'opinione pubblica;
          nel giugno del 2015 si sono concluse con la richiesta di rinvio a giudizio le indagini, avviate nel 2014, che vedono il coinvolgimento dello stesso presidente della giunta Roberto Maroni, del suo staff e dell'ex segretario generale, in provvedimenti giudiziari per «mala gestione» e il procedimento arriverà nelle aule di giustizia in questi giorni;
          il 13 ottobre 2015, la procura della Repubblica di Milano ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare per il vicepresidente della giunta regionale della Lombardia e assessore alla salute, Mario Mantovani, per i reati di concussione, corruzione aggravata e turbativa della libertà degli incanti;
          il 16 febbraio 2016, il pm della procura della Repubblica del tribunale di Monza ha fatto eseguire l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari del 27 gennaio 2016, con la quale dispone la misura cautelare della custodia in carcere del consigliere regionale e presidente della commissione sanità e politiche sociali Fabio Rizzi e di diverse altre persone, prevedendo la misura obbligatoria di dimora presso il comune di residenza per ulteriori 5 indagati;
          questa richiesta è originata dalla segnalazione di irregolarità nelle procedure di gara dal revisore dell'azienda Ospedaliera di Desio e di Vimercate, Giovanna Ceribelli e che fa emergere una vasta rete di collaborazione tra imprese, funzionari pubblici, sponsor politici con il cosiddetto «sistema Canegrati»;
          i protagonisti hanno fatto della corruzione il principale se non esclusivo strumento per garantirsi quelli che sono stati definiti l'aggiudicazione delle gare presso le strutture pubbliche usando il grimaldello di politici a «remunerato servizio» e l'attività pubblica diventa occasione per ottenere, se non esigere, pagamenti la cui consistenza e la cui programmata entità sono tali da richiedere la costruzione di società estere ove fare convogliare il denaro;
          altro fatto non irrilevante per il fenomeno corruttivo, sul quale si stanno svolgendo le indagini e dal quale sono scaturiti i provvedimenti restrittivi a carico delle persone e delle società coinvolte, hanno come fenomeno strutturale il fatto di aver consentito agli ospedali pubblici di chiudere i propri servizi odontoiatrici per sostituirli con servizi appaltati a «service» privati esterni da ospitare negli ospedali pubblici;
          il ruolo svolto dal consigliere Fabio Rizzi, su mandato del presidente Maroni, e stato quello di estensore della riforma della governance della sanità regionale; la sua funzione istituzionale e politica ne faceva uno dei principali interlocutori della sanità regionale;
          modello della riforma della governance della sanità regionale non trova corrispondenza nell'assetto organizzativo del servizio sanitario nazionale, come delineato dalla normativa statale, il quale, come noto, si articola nei due modelli distinti, delle ASL (aziende sanitarie locali) con funzioni affidate al distretto ed eventuali funzioni ospedaliere che, ove previste, sono riservate ai presidi ospedalieri a gestione diretta, e delle AO (aziende ospedaliere) ovvero gli ospedali che, possedendo determinati requisiti, acquistano personalità giuridica autonoma rispetto alle ASL, in tal modo, facendo confluire le funzioni distrettuali delle ASL nelle ASST;
          il legislatore regionale crea un tertium genus non previsto dalla normativa statale, costituendo comunque un notevole disallineamento rispetto all'articolazione organizzativa del servizio sanitario nazionale disciplinata dalla normativa statale; il Ministero della salute ha ammesso questo modello di governance solo a condizione di recepire i rilievi esplicitati dallo stesso Ministero inviati con una nota di parere e subordinandolo alla condizione di sperimentazione soggetta a verifica dei risultati e valutazione degli esiti;
          la regione, in collaborazione con il Ministero della salute, effettua una prima verifica in corso di sperimentazione al termine del primo triennio, al fine di individuare eventuali interventi correttivi;
          la legge regionale lombarda n. 23 del 2015 è entrata in vigore l'11 agosto 2015 con molte criticità sia per il percorso di applicazione sia per evidenti difficoltà a prevenire atti corruttivi;
          il Comitato regionale per la trasparenza degli appalti e sicurezza dei cantieri, nominato il 13 maggio 2013, e presieduto dall'ex generale della Guardia di Finanza, Mario Forchetti, ha evidenziato che il consistente ricorso alla proroga dei contratti da parte delle aziende del SSR, dovrebbe essere riservato a «casi limitati ed eccezionali perché contraddice il diritto alla libera concorrenza», vista altresì la incidenza di proroghe ed affidamenti diretti da parte di aziende sanitarie, per somme superiori al limite consentito dalle normative attuali  –:
          se siano stati avviati contatti tra il Ministero della salute e la regione Lombardia in vista della procedura di valutazione della sperimentazione di cui in premessa e quali iniziative di affiancamento siano previste al riguardo; se, in generale, si intendano assumere iniziative di competenza, anche normative, per prevenire situazioni corruttive analoghe a quelle esplicitate in premessa, con particolare attenzione al collocamento di «service» privati all'interno di strutture pubbliche. (4-12689)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


      SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          Poste Italiane s.p.a. negli ultimi anni sta portando avanti rigidi piani di razionalizzazione che hanno portato alla chiusura di numerosi uffici su tutto il territorio nazionale sulla base di una ridefinizione del servizio universale postale in quanto considerato, da Poste Italiane, disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico: ridefinizione più che preoccupante vista la missione di società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato;
          solo pochi mesi fa la società, che si impegna nel contratto di servizio a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste, ha previsto, la progressiva chiusura di ben 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura in circa 608 uffici, ritenuti «improduttivi» o «diseconomici» e oggi si parla di nuovo di 411 sedi a rischio chiusura;
          esattamente un anno fa, Poste Italiane aveva disposto per il Piemonte la chiusura di 40 uffici e l'apertura a giorni alterni di altri 130 uffici, ubicati soprattutto nelle realtà montane e svantaggiate, senza considerare che queste zone vivono condizioni generali di servizio già di per sé disagiate e ora si preannuncia un altro duro colpo per il Biellese in cui si parla di circa 20 uffici postali coinvolti nelle chiusure a partire già dal mese di aprile per concludersi entro il 2016;
          questa decisione unilaterale di Poste Italiane conferma l'orientamento portato avanti dalla società negli ultimi anni che insegue a giudizio dell'interrogante una logica del guadagno puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere a scapito delle esigenze della collettività, sacrificando uffici che ritiene non redditizi, senza considerare la loro importanza dal punto di vista sociale e rinnegando la ratio propria del servizio universale, che – a tutela delle esigenze essenziali degli utenti – impone la fornitura del servizio anche in situazioni di fallimento di mercato, caratterizzate da bassi volumi di domanda ed alti costi di esercizio, tali da rendere l'erogazione delle prestazioni strutturalmente non redditiva ed antieconomica;
          la delibera n.  342/14/Cons dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nel modificare i criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto specifici divieti nei confronti di Poste a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone svantaggiate del Paese: in particolare, sono state previste particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa. La delibera, inoltre, impone a Poste di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e per individuare possibili soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale. Entrambe le disposizioni non sembrano essere state prese nella giusta considerazione da Poste Italiane;
          con riguardo specifico all'esigenza di assicurare un'adeguata copertura del territorio nazionale, «incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane», la direttiva n.  97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 1997, recante «Regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio», come modificata, da ultimo, dalla direttiva n.  2008/6/CE, sottolinea che «le reti postali rurali, in particolare nelle regioni montuose e insulari, svolgono un ruolo importante al fine di integrare gli operatori economici nell'economia nazionale/globale, e al fine di mantenere la coesione sociale e salvaguardare l'occupazione», si riconosce altresì che «i punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote possono inoltre costituire un'importante rete infrastrutturale ai fini dell'accesso universale ai nuovi servizi di comunicazione elettronica». Nel successivo considerando si afferma, poi, che «gli Stati membri dovrebbero adottare le misure regolamentari appropriate per garantire che l'accessibilità ai servizi postali continui a soddisfare le esigenze degli utenti, garantendo, se del caso, un numero minimo di servizi allo stesso punto di accesso e, in particolare, una densità appropriata dei punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote». Inoltre, nel considerando n.  22, nel sottolineare il contributo significativo che un servizio postale di alta qualità può apportare al conseguimento degli obiettivi di coesione sociale e territoriale, si fa presente che «il commercio elettronico, in particolare, offre alle regioni remote e alle regioni scarsamente popolate nuove possibilità di partecipare alla vita economica»;
          i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale. La chiusura degli uffici e la limitazione degli orari di apertura pongono    quindi in serie difficoltà i privati, i turisti e tutto il bacino industriale;
          questa operazione di razionalizzazione si traduce in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti. Gli utenti della fascia più debole, quelli di età avanzata, ai quali è già stata negata la possibilità da febbraio 2012 di riscuotere la pensione in contanti e si sono quindi visti costretti a lasciare i propri risparmi sui libretti postali, ora si vedono nuovamente danneggiati, non potendo usufruire dei servizi resi dagli uffici periferici, nonostante il regime di servizio universale debba essere finalizzato alla promozione di inclusione sociale di categorie deboli di consumatori  –:
          se non ritenga urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per una momentanea sospensione del processo riorganizzativo di Poste Italiane nei comuni del Piemonte in attesa di una concertazione fra la società e le amministrazioni locali coinvolte, così da poter effettuare una puntuale verifica di ogni singola misura di razionalizzazione prevista, al fine di valutare di volta in volta, in relazione al caso concreto, la portata dei disagi eventualmente arrecati all'utenza, anche in relazione all'età anagrafica della popolazione servita e alle condizioni del trasporto pubblico che collega gli uffici postali, nonché i corrispondenti benefici in termini di miglioramento dell'efficienza complessiva della rete e di riduzione dei costi del servizio universale ricadenti sulla collettività. (4-12674)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Naccarato n.  5-07408, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Narduolo.

      L'interrogazione a risposta scritta Costantino e altri n.  4-12640, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Pannarale, Nicchi, Carlo Galli, Martelli, Giancarlo Giordano, Quaranta, Piras, Zaratti, Gregori, Kronbichler.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Capelli n.  4-11793 del 26 gennaio 2016;
          interrogazione a risposta scritta Costantino n.  4-12641 del 29 marzo 2016;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta in Commissione Pili n.  5-07417 del 19 gennaio 2016 in interrogazione a risposta scritta n.  4-12676;
          interrogazione a risposta in Commissione Ricciatti e altri n.  5-07949 del 1o marzo 2016 in interrogazione a risposta scritta n.  4-12681.
          interrogazione a risposta scritta Tino Iannuzzi n.  4-12565 del 17 marzo 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-08272;

ERRATA CORRIGE

      Risoluzione in Commissione Massimiliano Bernini e altri n.  7-00733 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n.  461 del 14 luglio 2015. Alla pagina 27087, seconda colonna, dalla riga tredicesima alla riga quattordicesima, deve leggersi: «Paesi unionali del colosso ucraino Imperovo, un gigante da 23 milioni di galline» e non come stampato.