XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 16 maggio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              la base del diritto allo studio universitario è fissata dagli articoli 3 e 32 della nostra Carta costituzionale. Infatti, il secondo comma dell'articolo 3, affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale;
              l'articolo 34 prevede, proprio per l'affermazione dei diritti allo studio universitario, che i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, abbiano diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Lo stesso articolo stabilisce che la Repubblica rende effettivo tale diritto attraverso la concessione di borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso;
              la riforma del titolo V della Costituzione, varata con la legge costituzionale n.  3 del 2001, ha attribuito alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Nell'ambito di tale titolo, la potestà legislativa in materia di diritto allo studio universitario spetta esclusivamente alle regioni, non rientrando né tra le materie di potestà esclusiva dello Stato, né tra quelle di legislazione concorrente;
              da sottolineare come l'articolo 3 del decreto-legislativo n.  68 del 2012 prevede un sistema integrato di strumenti e servizi per la garanzia del diritto allo studio universitario, al quale partecipano, nell'ambito delle rispettive competenze, diversi soggetti;
              in particolare, lo Stato ha la competenza esclusiva in materia di determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) erogate dalle università statali. Le regioni a statuto ordinario esercitano la competenza esclusiva in materia di diritto allo studio, disciplinando ed attivando gli interventi per il concreto esercizio di tale diritto mentre le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano le competenze ad esse spettanti in base ai rispettivi statuti, tenendo conto dei livelli essenziali delle prestazioni stabilite, come detto dallo Stato. Inoltre, le università e le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam), nei limiti delle proprie risorse, organizzano i propri servizi, compresi quelli di orientamento e tutorato, al fine di realizzare il successo formativo degli studi e promuovono attività culturali, sportive e ricreative, nonché interscambi tra studenti di università italiane e straniere;
              l'articolo 12 del decreto legislativo citato, inoltre, attribuisce al Miur il compito di promuovere accordi di programma e protocolli d'intesa per favorire le diverse istituzioni che concorrono al successo formativo degli studenti e per potenziare la gamma dei servizi ed interventi posti in essere dalle stesse;
              il sistema di finanziamento delle borse di studio previsto dall'articolo 18 del citato decreto legislativo, prevede che, nelle more della completa definizione dei Lep e dell'attuazione delle disposizioni in materia di federalismo fiscale, si provveda alla concessione di borse di studio mediante un nuovo Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio da ripartire tra le regioni. Il fondo è inoltre alimentato dal gettito della tassa regionale per il diritto allo studio, il cui importo è articolato in tre fasce a seconda della condizione economica dello studente e dalle risorse proprie delle regioni, pari almeno al 40 per cento dell'assegnazione del fondo;
              sempre lo stesso decreto legislativo disciplina la possibilità che le regioni, le province autonome, le università e le istituzioni Afam, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio e sulla base di criteri definiti con decreto tra Miur e Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni, disciplinino le modalità per la concessione di prestiti d'onore agli studenti che possiedano i requisiti di merito. I medesimi soggetti possono altresì concedere un prestito d'onore aggiuntivo rispetto alla borsa di studio agli studenti dei corsi di laurea magistrale e di dottorato, nonché agli studenti iscritti almeno al quarto anno dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico, in possesso dei requisiti per l'accesso alle borse di studio;
              altre norme dispongono l'esonero totale dal pagamento della tassa di iscrizione e dei contributi universitari per gli studenti in possesso dei requisiti per l'accesso alle borse di studio, per gli studenti disabili e per gli studenti stranieri. Inoltre, il citato decreto legislativo dispone la collaborazione fra i soggetti che offrono servizi per il diritto allo studio, il potenziamento dell'offerta abitativa nazionale e la programmazione integrata della disponibilità di alloggi pubblici e privati;
              inoltre, al fine di promuovere il merito e l'eccellenza fra gli studenti universitari è stato istituito presso il Miur un fondo destinato ad erogare premi di studio a fondo perduto, buoni studi ed a costituire una garanzia per i finanziamenti concessi agli studenti;
              una recente indagine del Censis ha inoltre rilevato come circa 170 mila studenti provenienti dalle regioni del Sud si iscrivano ad università delle città settentrionali, in particolare nella città di Milano;
              lo studio del Censis sottolinea, altresì, come il mancato versamento di denaro nel sistema universitario meridionale sia pari a circa 122 milioni di euro nell'anno accademico 2014-2015. A fronte dei mancati incassi delle tasse universitarie al Sud occorre aggiungere che la spesa sostenuta per iscriversi agli atenei del Nord costa circa 126 milioni di euro in più;
              è, inoltre, da rilevare come proprio nel Sud, nell'anno accademico 2014-2015, le iscrizioni alle facoltà universitarie sono diminuite del 25,5 per cento e nelle isole addirittura del 30,2 per cento rispetto all'anno 2003-2004. In sintesi, i giovani del nostro Mezzogiorno si iscrivono sempre meno all'università e, di quelli che si iscrivono, lo fanno in università del Centro o del Nord del nostro Paese. Infine, tra coloro che si laureano nel Sud, moltissimi emigrano, portando le loro competenze in altre parti del Paese o addirittura all'estero;
              la Fondazione RES ha pubblicato un rapporto «Nuovi divari: un'indagine sulle università del nord e del sud», che analizza le problematiche relative alla presenza di studenti negli atenei del settentrione e del mezzogiorno del nostro Paese ed agli investimenti effettuati dallo Stato. In particolare, l'Italia investe in istruzione di terzo livello 7 miliardi di euro all'anno, con il fondo ordinario. La Germania, al contrario, di miliardi nell'università ne investe 26. Tale divario diventa ancora più grande se si confrontano i dati relativi alle università del Sud del nostro Paese. Infatti, si può riscontrare che la spesa media per abitante in Germania è di 332 euro l'anno, in Francia è di 305 euro, in Spagna di 157 euro, nel Centro-Nord dell'Italia è di 117, mentre nel Sud è soltanto di 99 euro;
              inoltre, la spesa complessiva per l'università in Italia è diminuita. Infatti, tra il 2008 ed il 2005, gli atenei del Nord hanno perso, nel periodo 2008-2015, il 4,3 per cento del finanziamento pubblico, mentre quelli del Mezzogiorno il 12 per cento ed ancora di più quelli situati nelle isole;
              come sottolinea il rapporto della Fondazione RES, si sta creando una grave differenziazione tra le università italiane. L'eccellenza degli atenei è infatti concentrata nel triangolo Milano, Bologna, Venezia, con estensioni fino a Torino, Trento ed Udine, mentre nel resto del Paese esistono università cosiddette di «serie B»;
              il 2 maggio 2016 è stato approvato dal Cipe il Programma nazionale per la ricerca, che prevede un investimento di 2,5 miliardi di euro di fondi pubblici per aumentare il numero di ricercatori in Italia. Il programma destina oltre il 40 per cento delle risorse totali al capitale umano, con l'obiettivo di aumentare il numero di ricercatori e dottori di ricerca nel Paese e di attrarre i migliori talenti. In particolare, è previsto l'ingresso di 6 mila giovani (dottori e ricercatori) in più rispetto agli stanziamenti ordinari. Inoltre, vengono triplicati i fondi per le infrastrutture di ricerca;
              il Programma nazionale per la ricerca si configura come un vero e proprio programma quadro per la ricerca nazionale. Si tratta, infatti, di una «cornice» all'interno della quale, idealmente, si iscrivono programmi specifici di intervento, capaci di migliorare la performance innovativa del nostro Paese. La strategia del piano è, inoltre, quella di favorire in Italia la costituzione di un sistema efficace ed efficiente di azioni dirette allo sviluppo economico ed alla coesione sociale;
              il programma opera su tre assi prioritari:
                  1) investire nello sviluppo e favorire l'attrazione di capitale umano altamente qualificato da inserire nel tessuto produttivo del Paese;
                  2) identificare un numero limitato di progetti tematici di forte impatto al fine di favorire il benessere dei cittadini;
                  3) investire sulla promozione della competitività del sistema produttivo, attraverso l'incremento della capacità di ricerca e di innovazione delle imprese, in particolare delle piccole e piccolissime,

impegna il Governo:

          ad elaborare una visione coerente dell'ingresso del nostro Paese nell'economia della conoscenza assumendo iniziative per elevare la qualificazione professionale ed il livello della preparazione universitaria ed individuando aree prioritarie di ricerca in connessione con il potenziale di sviluppo dell'Italia;
          ad assumere iniziative per favorire lo sviluppo di attività di ricerca che consentano di realizzare il programma industria 4.0 ovvero l'applicazione sistematica al nostro sistema manifatturiero dell'innovazione hi-tech;
          a collegare più organicamente il programma di ricerca nazionale con il corrispettivo programma quadro europeo;
          a favorire un migliore coordinamento delle spese per la ricerca oggi ripartite tra i diversi Ministeri all'interno di un'unica visione nazionale connessa con una visione europea;
          ad assumere iniziative di competenza per garantire la trasparenza per i bandi di ricerca emessi dai diversi organismi a ciò deputati ed il facile ed imparziale accesso a questi bandi da parte di tutti i ricercatori;
          a favorire, in collaborazione con le associazioni delle piccole e medie imprese, la valutazione del fabbisogno di ricerca delle stesse creando la possibilità di contatto e di collaborazione con le università ed i centri di ricerca;
          a valutare l'istituzione di un'Agenzia nazionale della ricerca la quale svolga i compiti richiamati nei punti precedenti;
          ad affrontare il problema indilazionabile delle aree del Mezzogiorno del nostro Paese, assumendo iniziative per creare in queste zone dei centri di eccellenza che elevino la qualità e la competitività del nostro sistema universitario e di ricerca del Sud anche mediante l'utilizzo dei fondi strutturali europei;
          ad assumere iniziative per migliorare il rapporto tra il sistema formativo universitario, la formazione professionale ed il sistema dell'impresa in modo da assicurare ai giovani una formazione orientata verso la domanda di lavoro formulata dal sistema produttivo.
(1-01269) «Buttiglione, Bosco».


      La Camera,
          premesso che:
              in attuazione dei principi costituzionali sanciti negli articoli 2, 3, 32, 38 e 117 lettera m), la legge n.  289 del 2002 prescrive al servizio sanitario nazionale, e per la parte di integrazione contributiva ai comuni, di garantire le prestazioni domiciliari integrate, semiresidenziali e residenziali a tutte le persone colpite da malattie gravemente invalidanti, agli anziani cronici non autosufficienti, nonché ai soggetti con handicap intellettivo grave e ai pazienti con rilevanti disturbi psichiatrici e con limitata o nulla autonomia;
              vanno considerati i benefici che in molti casi hanno le persone non autosufficienti dal poter ricevere cura ed assistenza al proprio domicilio anche da parte di familiari o terze persone disponibili a svolgere il ruolo di accuditori con il supporto dei servizi sanitari e socio sanitari;
              vanno considerati altresì, i risparmi che conseguono dal ridurre i ricoveri presso strutture ospedaliere e/o residenze socio-sanitarie,

impegna il Governo:

          confermando il diritto (pienamente ed immediatamente esigibile) delle persone non autosufficienti alle prestazioni socio-sanitarie residenziali senza limiti di durata, ad assumere iniziative di competenze per potenziare l'erogazione delle cure socio-sanitarie presso il domicilio, considerandole parte integrante dei livelli essenziali di assistenza socio-sanitaria;
          a promuovere il riconoscimento del ruolo dell'accuditore domiciliare, garantendo a coloro (familiari o terze persone) che liberamente si rendano disponibili a svolgere tale ruolo il giusto ristoro economico.
(1-01270) «Giorgis, Fregolent, D'Ottavio, Paola Bragantini, Lattuca, Zoggia, Marantelli, Bruno Bossio, Basso, Fedi, Malisani, Pagani, Tino Iannuzzi, Gadda, Gnecchi, Mognato, Grassi, Romanini, Piccione, Manfredi, Carloni, Fabbri, Rostellato, Di Salvo, Rossi, Culotta, Vico, Lodolini, Taricco, Censore, Iori, Borghi, Blazina, Rossomando, Causi».

Risoluzioni in Commissione:


      Le Commissioni III e VIII,
          premesso che:
              per garantire a ciascun essere umano un'esistenza dignitosa e in salute è necessario avere acqua potabile al fine di soddisfare i bisogni primari e consentire lo sviluppo delle più comuni attività umane;
              secondo il recente rapporto Unicef-OMS «25 years of Progress on Sanitation and Drinking Water», ancora oggi 663 milioni di abitanti nel pianeta attingono acqua da fonti insalubri e circa 2,4 miliardi, ovvero quattro abitanti del pianeta su dieci, vivono in condizioni igieniche incompatibili con la sicurezza e con la salute;
              garantire l'accesso all'acqua potabile, unitamente all'uso responsabile della stessa risorsa, per più della metà della popolazione mondiale è uno degli obiettivi della Nuova Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e della «Carta di Milano» presentata a EXPO2015;
              come emerso, a fine 2015, dai negoziati della 21esima Conferenza ONU delle Parti di Parigi la sempre minore disponibilità di acqua, la cui richiesta con l'espansione della popolazione mondiale è in costante aumento a fronte di una diminuzione della risorsa stessa, oltre che essere un problema di ordine ambientale e sociale, la trasforma in una variabile di enorme valore strategico e politico. Specialmente in Africa;
              il 36 per cento della popolazione dell'Africa sub-sahariana, quindi circa un terzo di tutte le persone della regione, non ha ancora accesso a una fonte d'acqua potabile. E non avere accesso a una fonte d'acqua pulita e potabile significa aumentare, e considerevolmente, il rischio di contrarre malattie spesso pandemiche e mortali. Di più, la carenza d'acqua alimenta anche la disuguaglianza di genere: infatti, per procurarsi acqua potabile, spesso bisogna affrontare un cammino anche di 4-5 ore al giorno e nella maggior parte dei casi, nei paesi in via di sviluppo, questo compito ricade su donne e bambine;
              di fronte all'impatto delle calamità naturali e fenomeni meteorologici estremi sempre più frequenti legati agli effetti dei mutamenti climatici in atto non sempre è possibile adattarsi e spesso milioni di donne, uomini e bambini sono costretti a fuggire. I migranti ambientali, secondo le Nazioni Unite, entro il 2050 costituiranno circa 200 milioni di rifugiati e nel 2060, nella sola Africa, ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici;
              la grave questione delle migrazioni, sintomo e non punto di caduta ultimo delle crisi economiche e ambientali in corso, richiede che l'Italia, Paese cardine nei rapporti Europa-Africa, assuma un ruolo di guida nella risoluzione delle cause strutturali che originano i fenomeni migratori;
              l'Africa è il continente che contribuisce meno alle emissioni di carbonio ma, tuttavia, si è dimostrato tra i più suscettibili ai cambiamenti climatici in atto. Detta vulnerabilità aggrava la povertà e le capacità di sostentamento, distrugge la produzione agricola, acuisce le tensioni sociali per lo spostamento di migliaia di persone dalle campagne agli insediamenti urbani in cerca di cibo. Un caso emblematico per il continente africano è dato dall'Etiopia;
              a causa de El Niño la produzione agricola etiopica è crollata dal 50 al 90 per cento in alcune regioni e fallita completamente nelle zone orientali del Paese. La siccità ha inoltre causato la perdita di centinaia di migliaia di capi di bestiame;
              l'Africa rappresenta oggi un continente di opportunità che, in un mondo multipolare e minato dal terrorismo, aspira ad essere uno dei blocchi più dinamici e un attore protagonista nelle sfide planetarie. Secondo stime del Fondo monetario Internazionale, ben 7 delle 10 economie che registreranno i più elevati tassi di crescita nei prossimi anni appartengono a Paesi Sub-sahariani. I Paesi africani hanno bisogno di crescere oltre il mero sfruttamento delle risorse naturali e possono cogliere l'opportunità di una crescita sostenibile, diversificando le proprie economie mediante mirati investimenti nei settori della formazione e dell'innovazione, sfruttando il potenziale della loro giovanissima popolazione, inclusa quella femminile;
              l'Italia, come dimostrato da azioni concrete in recenti e numerose missioni istituzionali, vuole inserirsi a pieno titolo nella fase virtuosa di sviluppo politico, economico e sociale del Continente, valorizzando una presenza storica che ha contribuito alla crescita sociale ed infrastrutturale di molti paesi dell'Africa. In particolare è stato intenso il dialogo su temi quali: l'energia e l'ambiente (con particolare riguardo alla trasmissione elettrica, con il coinvolgimento del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dell'Agenzia internazionale per l'energia e di IRENA, agenzia multilaterale competente per le fonti rinnovabili), l'agricoltura (con il coinvolgimento del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare), la salute (sicurezza alimentare, sanità veterinaria con il coinvolgimento del Minsalute), la cultura (con la collaborazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), le infrastrutture;
              nel continente africano il nostro Paese è tuttora, e lo è stato storicamente, impegnato in progetti di costruzione di invasi per produrre energia elettrica. Sui più recenti progetti di diga «Gibe III» e sul costruendo Gibe IV, in Etiopia, sono forti le critiche espresse dalle maggiori ONG internazionali attive per i diritti umani in Africa in merito all'impatto socio-ambientale nella bassa valle dell'Omo dei citati sbarramenti, sulla coatta riallocazione di intere tribù native, sullo stravolgimento dell'agricoltura tradizionale per la minore portata dell'Omo, a cui il Governo etiope oppone motivazioni di natura diametralmente opposte. Il nuovo sistema di dighe sulla Valle dell'Omo avrà anche un altro effetto, che in parte ha già iniziato a manifestarsi, la citata riduzione della portata delle acque del fiume, deviate per riempire il bacino che alimenterà la diga con effetti importanti sull'ecosistema del lago Turkana, così come sulle vita delle popolazione rivierasche;
              l'interscambio commerciale tra Italia e Africa è poi in forte espansione. Secondo gli ultimi dati disponibili le importazioni di prodotti africani hanno avuto un valore di 7,6 miliardi di euro nel 2014, mentre le esportazioni sono aumentate dell'8,9 per cento, passando da 5,7 miliardi di euro a 6,2 miliardi. I settori maggiormente coinvolti nell'import sono i prodotti di cave e miniere (48 per cento) e la metallurgia (32 per cento), seguiti da prodotti alimentari, agricoli, in pelle e il legno. Il 43 per cento degli articoli esportati in Africa sono macchinari e apparecchiature, l'11 per cento sono prodotti elettronici, seguiti da prodotti dalla raffinazione del petrolio, alimentari e chimici,

impegna il Governo:

          a farsi parte attiva nella stabilizzazione politico-istituzionale dei Paesi del Continente africano, e a promuovere interventi educativi e socio-sanitari miranti allo sviluppo umano e ambientale, a partire dal Corno d'Africa, dove l'Italia già svolge un ruolo politico, che deve continuare ad essere esercitato in modo significativo, ma anche rafforzando la presenza diplomatica e di cooperazione italiana in zone quali il Sahel, area di grande rilevanza strategica per l'Italia;
          ad affiancare, alla tradizionale azione di cooperazione, un nuovo modello di «finanziamenti misti» da implementare, anche ispirandosi a formule già esistenti di responsabilità sociale di impresa, ex lege n.  125 del 2014;
          a promuovere, a fronte delle crisi ambientali in atto nel continente africano, approcci integrati e inter-settoriali per lo sviluppo sostenibile in campo ambientale, la green economy e l'adattamento al cambiamento climatico;
          a finanziare interventi nell'ambito della lotta alla desertificazione e all'accesso universale e responsabile, dell'acqua, anche tramite il finanziamento di scavo di pozzi, privilegiando le aree più colpite dal Niño;
          a promuovere la gestione sostenibile del suolo nelle aree soggette a migrazione attraverso meccanismi di finanziamento innovativi in collaborazione con i migliori esempi nazionali in agricoltura;
          a sostenere i progetti di cooperazione che includano attività di formazione, di microcredito e di «capacity building» nel comparto ingegneristico e in settori tecnici e manifatturieri di alta specializzazione, anche mediante il coinvolgimento delle organizzazioni di volontari e di pensionati italiani;
          a valutare per quanto riguarda l'Etiopia, anche di concerto con la Commissione mondiale sulle dighe e l'Ocse, l'impatto ambientale e antropologico in termini di biodiversità e diritti dei popoli indigeni dei progetti di diga denominati Gibe III e Gibe IV nella valle dell'Omo.
(7-00994) «Braga, Quartapelle Procopio, Gadda, Carrescia, Ascani, Realacci, Zan, Tino Iannuzzi, Berlinghieri, Fedi, Salvatore Piccolo, Arlotti, Amato, Famiglietti, Mariani, D'Incecco, Lodolini, Minnucci, Mazzoli, Manfredi, Pagani, Carnevali, Morani, Marantelli, Capone, Capozzolo, Narduolo, Tidei, Meta, Rampi, Sbrollini, Vico, Montroni, Marco Di Maio, Cinzia Maria Fontana, Schirò, Villecco Calipari, Bonomo, Zardini, Moscatt, Ribaudo, Romanini, Cominelli, Piccione, Crivellari, Gnecchi, Patriarca, Murer, Massa, Mognato, Moretto, Rossomando, Rossi, Piazzoni, Manzi, Taricco, Castricone, Sgambato, Incerti, Garavini, Tullo, Zampa, Peluffo, Dallai, Marchi, Casellato, Di Salvo».


      La III Commissione,
          premesso che:
              il 25 aprile 2016 la Camera dei Comuni del Regno Unito, con un voto di misura di 294 su 276, ha respinto una proposta finalizzata a concedere l'asilo a circa tremila minori non accompagnati in prevalenza siriani che si trovano attualmente nei centri di accoglienza a Calais in Francia e altrove nel Regno Unito. L'emendamento era stato proposto e approvato dalla Camera dei Lord al termine di una campagna, condotta da associazioni per i diritti umani e social media, favorevole ad accogliere nel Regno Unito orfani o minori stranieri abbandonati provenienti dalla Siria;
              la proposta di accoglienza di 3000 bambini era stata presentata da lord Alf Dubs, un membro del partito laburista che, da bambino aveva beneficiato dell'operazione Kindertransport, il programma sostenuto dall'allora Governo britannico per accogliere in Inghilterra i bambini rifugiati dalla Germania prima della seconda guerra mondiale. «Il mio messaggio ai conservatori è che nel 1938-1939 il nostro Paese accolse 10 mila piccoli rifugiati dalla Germania, dall'Austria e dalla Cecoslovacchia, ed io ero uno di loro», ha detto Dubs. «Oggi si tratta di accettare un numero assai minore di bambini siriani ed è vergognoso che la Gran Bretagna non lo faccia»;
              la battaglia sui media nel Regno Unito, all'indomani della decisione della Camera dei Comuni, è stata accesa al punto tale che i nomi di coloro che hanno votato contro l'emendamento sono stati pubblicati sulle principali testate giornalistiche;
              la motivazione addotta dal Ministero dell'interno per il rifiuto dei minori stranieri non accompagnati, e che pare molto abbia fatto per indurre alcuni fra i deputati conservatori a votare contro il cosiddetto emendamento Dubs, come hanno riportato i principali giornali inglesi e europei, è stata che così facendo si sarebbe finito per «incoraggiare le famiglie a inviare i propri figli da soli in Europa esponendoli ai rischi del viaggio al pericolo dei trafficanti di esseri umani»;
              secondo alcuni studi, per superare il trauma, potrebbe essere più facile un re-insediamento di queste bambine e di questi bambini nel proprio territorio piuttosto che un percorso di accoglienza in Europa;
              tuttavia, questi minori non hanno più modo di re-insediarsi dato che sono soli e che si trovano già in Europa, in condizioni di estrema vulnerabilità, preda dei peggiori trafficanti ed esposti al rischio di sfruttamento e violenze;
              in questi ultimi giorni il Governo inglese ha operato un cambiamento di rotta, anche grazie alla pressione delle organizzazioni umanitarie e dell'opinione pubblica. È del 4 maggio 2016 l'annuncio di David Cameron che ha dichiarato che nuove iniziative saranno assunte per i bambini richiedenti asilo. È utile sottolineare che il Governo del Regno Unito non sta fornendo alcun numero su quanti deciderà di accoglierne, in quanto dipenderà dal lavoro congiunto con le autorità locali al fine di prevedere entro la fine dell'anno i primi arrivi. Sembra plausibile verranno accolti i minori registrati in Grecia, Italia o Francia prima del 20 marzo 2016 ossia prima dell'entrata in vigore dell'accordo con la Turchia. Il Governo dovrebbe accettare l'emendamento «rivisto» di Lord Dubs nel momento in cui il progetto di legge sull'immigrazione tornerà alla Camera dei Comuni;
              è chiaro che, pur accogliendo come positivo il segnale lanciato dal Governo del Regno Unito, appare ancora troppo aleatorio ciò che accadrà ai 3000 minori non accompagnati e i tempi previsti appaiono davvero inaccettabili per chi dovrà ancora passare un altro inverno al freddo;
              risulta piuttosto imbarazzante e incomprensibile che nessuna voce si sia alzata in Europa in difesa di questi bambini, che nessuno abbia denunciato la totale violazione della Convenzione Onu per la protezione dei minori;
              i dati sui minori stranieri non accompagnati sono sconvolgenti: la stima originale di Save the Children, che aveva valutato la presenza di 26.000 minori non accompagnati in Europa, appare ora desueta dopo la pubblicazione del rapporto del Bureau of Investigative Journalism. Il rapporto infatti mostra come questo dato sia quantomeno quadruplicato fra il 2014 e il 2015; nel 2015, infatti, i minori non accompagnati richiedenti asilo in Europa sono stati circa 95.000. Fra questi l'Europol ha dichiarato di aver perso le tracce di almeno 10.000, lanciando all'inizio del 2016 un vero e proprio allarme: possibile tratta di esseri umani, sfruttamento sessuale, traffico d'organi e reclutamento nella criminalità;
              i 3000 minori, invece, sono stati «mappati» dalle organizzazioni umanitarie e ci sarebbero tutte le condizioni per offrire loro protezione in tempi rapidi: va sottolineato che, da un punto di vista numerico, costituiscono la popolazione di poco meno di tre scuole italiane insediate in una zona molto urbanizzata;
              dalla decisione di quale destino offrire a questi minori, dipenderà il destino stesso di quella che si può considerare l'anima dell'Europa;
              va rilevato che la retrocessione sui diritti dei minori risponde a logiche di politica interna dei singoli paesi e non tiene conto della vulnerabilità della loro minore età e condizione e del loro diritto di mettersi in salvo. È triste dover constatare che la violenza subita dai bambini uccisi, sepolti vivi, trucidati dal terrorismo, nonché annegati nel nostro mare, sia già cosa dimenticata e non interroghi piuttosto le coscienze dei cittadini europei e dei loro governi;
              il quadro normativo di riferimento per la tutela dei diritti dei minori è costituito dalla Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata anche dalla Gran Bretagna, indica gli obblighi agli Stati e alla comunità internazionale nei confronti dell'infanzia e, all'articolo 221 prevede, tra l'altro: «1. Gli Stati parti adottano misure adeguate affinché un fanciullo il quale cerca di ottenere lo statuto di rifugiato, oppure è considerato come rifugiato ai sensi delle regole e delle procedure del diritto internazionale o nazionale applicabile, solo o accompagnato dal padre o dalla madre o da ogni altra persona, possa beneficiare della protezione e della assistenza umanitaria necessarie per consentirgli di usufruire dei diritti che gli sono riconosciuti dalla presente Convenzione e dagli altri strumenti internazionali relativi ai diritti dell'uomo o di natura umanitaria di cui detti Stati sono parti. 2. A tal fine, gli Stati parti collaborano, nelle forme giudicate necessarie, a tutti gli sforzi compiuti dall'Organizzazione delle Nazioni Unite e dalle altre organizzazioni intergovernative o non governative competenti che collaborano con l'Organizzazione delle Nazioni Unite, per proteggere e aiutare i fanciulli che si trovano in tale situazione e per ricercare i genitori o altri familiari di ogni fanciullo rifugiato al fine di ottenere le informazioni necessarie per ricongiungerlo alla sua famiglia. Se il padre, la madre o ogni altro familiare sono irreperibili, al fanciullo sarà concessa, secondo i principi enunciati nella presente Convenzione, la stessa protezione di quella di ogni altro fanciullo definitivamente oppure temporaneamente privato del suo ambiente familiare per qualunque motivo»;
              in questo contesto, qualunque azione omissiva che incentivi o esponga i minori, anche indirettamente, al rischio di violenze, maltrattamenti, sfruttamento, rapimento o non adeguata cura è da considerarsi una violazione della Convenzione stessa;
              in Italia, in questi giorni è stata avviata una mobilitazione via web e sui social network, con hashtag #SaveTheKidsOfCalais – #SaveTheSoulOfEurope, in cui si chiede che le istituzioni dell'Unione europea e dei singoli Paesi membri promuovano tutte le iniziative necessarie ad assicurare il rispetto dei diritti e quindi il benessere dei minori stranieri non accompagnati, riconoscendo loro l'asilo sul suolo europeo. La mobilitazione ha già raccolto centinaia di adesioni;
              come cittadini europei non possiamo dimenticare che la vita e il benessere di ciascuna e ciascuno di questi bambini valga esattamente quanto la vita e il benessere di ciascuna e ciascuno dei bambini nati qui in Europa;
              la scomparsa di minori stranieri non accompagnati avviene, per lo più, prima della loro collocazione nella comunità di accoglienza o case famiglie e, dunque, in uno spazio temporale che di fatto rappresenta una sorta di sospensione delle tutele e delle garanzie previste dalla Convenzione Onu e dalla legislazione vigente. Anche per questo è stata presentata alla Camera la proposta di legge, atto Camera 1658, concernente «Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286, e altre disposizioni concernenti misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati» a prima firma del primo firmatario del presente atto ed è ormai improrogabile che il Parlamento giunga ad una celere approvazione della proposta,

impegna il Governo

ad adoperarsi in tutte le sedi europee affinché ciascuno degli Stati membri si faccia promotore della tutela e protezione dei 3.000 minori stranieri non accompagnati presenti a Calais e nei luoghi dove sono stati censiti, assumendo tutte le iniziative necessarie affinché sia concesso loro l'asilo sul suolo europeo, assicurando il rispetto dei diritti di questi minori in osservanza alla Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989.
(7-00997) «Zampa, Quartapelle Procopio, Garavini, Tidei, La Marca, Cimbro, Chaouki».


      La XI Commissione,
          premesso che:
              il lavoro stagionale implica, per sua stessa definizione, un'attività lavorativa espletata in un determinato periodo dell'anno e, pertanto, caratterizzata dalla discontinuità;
              con ben due atti di sindacato ispettivo (n.  5-05116 e n.  5-06704) è stata richiamata l'attenzione del Governo sulla scure che si è abbattuta sui lavoratori stagionali con l'introduzione della nuova assicurazione sociale per l'impiego (NASpI);
              con il nuovo sussidio di disoccupazione, introdotto dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n.  22, recante Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, emanato in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n.  183, il cosiddetto Jobs act, è riconosciuta una indennità proporzionale alla retribuzione mensile ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentano almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione e 30 giorni di lavoro effettivo o equivalenti nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione;
              in particolare, l'articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n.  22, dispone che la «NASpI» è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni e, ai fini del calcolo della durata, non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione;
              tale previsione comporta, rispetto al passato, una forte penalizzazione per i lavoratori del settore turistico, occupati per sei mesi all'anno e percettori dell'assegno di disoccupazione per i restanti sei mesi in virtù della previgente normativa; con la «NASpI», infatti, si ritroverebbero privi di copertura reddituale per tre mesi;
              a tale stortura è stato posto rimedio parzialmente con il successivo decreto legislativo 14 settembre 2015, n.  148, recante «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, anch'esso emanato in attuazione del cosiddetto Jobs Act, il cui articolo 43, comma 4, ha previsto, per il solo 2015 e per i soli lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali, un correttivo al sistema di calcolo della durata della «NASpI», atto a garantire una tutela fino a sei mesi di copertura sostanzialmente simile a quella previgente;
              dal 2016, pertanto, per effetto della normativa, i lavoratori stagionali del turismo che godevano dell’«ASpI» o della precedente indennità di disoccupazione non avranno più una completa copertura economica dei periodi non lavorati nell'anno: dal 1o gennaio 2016, cessando l'effetto del decreto legislativo n.  148 del 14 settembre 2015, anche per la categoria dei lavoratori stagionali, la durata della prestazione «NASpI» sarà calcolata secondo il regime ordinario, di cui alle disposizioni del decreto legislativo n.  22 del 2015, con la conseguenza che, a fronte di un rapporto di lavoro della durata di sei mesi nell'anno, la durata della prestazione sarà di tre mesi;
              è innegabile la necessità di apportare ulteriori correttivi alla normativa «NASpI» per gli stagionali, atteso il rilevante danno economico che la stessa causerà alle famiglie per le quali il lavoro stagionale rappresenta l'unica forma di impiego,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per apportare ulteriori correttivi al sistema di computo dell'indennità «NASpI», al fine di garantire ai disoccupati per i quali il lavoro stagionale rappresenta l'unica forma di impiego un sostegno al reddito per tutto il periodo di disoccupazione involontaria.
(7-00995) «Simonetti, Fedriga».


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              il valore del bosco risiede nelle sue molteplici funzioni che si traducono in servizi ecosistemici di cui l'intera collettività beneficia. Le funzioni del bosco sono: produttiva: da qui infatti è possibile ottenere legname da opera e da energia, prodotti non legnosi quali funghi, frutti e erbe officinali; protettivo-ambientale di protezione idrogeologica: svolgendo la funzione di regimazione delle acque, di contenimento di eventi franosi e di protezione dal rischio di valanghe; non vanno dimenticate inoltre le funzioni boschive; ecologica: l'assorbimento e lo stoccaggio di carbonio atmosferico e la conservazione della biodiversità su larga scala; paesaggistica e turistico ricreativa, rispetto alla quale viene riposta sempre maggiore attenzione da parte dell'opinione pubblica; sociale e culturale;
              il terzo inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi forestali di carbonio (Infc 2015) evidenzia come il patrimonio forestale italiano si sia esteso di circa 1,7 milioni di ettari negli ultimi venti anni, raggiungendo quasi 11 milioni di ettari di superficie, con 12 miliardi di alberi che ricoprono il 34,6 per cento dell'intero territorio’ nazionale con un incremento, rispetto al 2005, di circa 600.000 ettari. Il patrimonio rappresenta il 5 per cento della superficie forestale totale europea e colloca in questo modo l'Italia al sesto posto nella classifica dei Paesi europei per estensione forestale (escludendo la Russia), dopo la Svezia, la Finlandia, la Spagna, la Francia e la Germania;
              a questi dati positivi si affiancano oggi i risultati dell'indagine sulla quantità di carbonio immagazzinato nei suoli forestali italiani. L'indagine, unica in Europa su così vasta scala, mette in evidenza come il suolo forestale svolga un ruolo fondamentale nello «stoccaggio» di carbonio organico, addirittura superiore a quello della parte epigea del bosco. La quantità di carbonio trattenuta nei tessuti, nei residui vegetali e nei suoli delle foreste, infatti, è pari a 1,24 miliardi di tonnellate di carbonio, corrispondenti a 4 miliardi di tonnellate di CO2, ovvero circa la metà delle emissioni del comparto dei trasporti. Il 58 per cento di tutto il carbonio forestale è contenuto nel suolo, mentre quello accumulato nella vegetazione arborea e arbustiva è il 38 per cento. In particolare, il carbonio contenuto nel suolo ammonta a oltre 700 milioni di tonnellate. Tali dati sottolineano l'enorme importanza dei suoli forestali per la mitigazione dei cambiamenti climatici in atto;
              l'Europa ha affrontato in modo ampio e circostanziato la materia, dando precise indicazioni:
                  a) nel settembre 2013 la Commissione europea ha adottato «Una nuova strategia forestale dell'Unione europea: per le foreste e il settore forestale» (COM(2013)0659); le foreste occupano il 4o per cento della superficie dell'Unione europea e rappresentano una risorsa essenziale per una migliore qualità di vita e per la crescita dell'occupazione. La strategia evidenzia l'importanza delle foreste per l'ambiente, la biodiversità, per le industrie forestali, la bioenergia e la lotta contro i cambiamenti climatici. La gestione sostenibile delle foreste rappresenta uno dei principali pilastri dello sviluppo rurale 2014-2020 nonché uno dei principi fondatori della nuova strategia forestale europea. La strategia «esce dalla foresta» per affrontare gli aspetti della «catena di valore» (ossia l'utilizzo delle risorse forestali ai fini della produzione di beni e servizi), che incidono in misura determinante sulla gestione delle foreste. La strategia individua i seguenti punti principali:
                      adottare un approccio olistico; tener conto dell'impatto di altre politiche sulle foreste e degli sviluppi che si verificano al di fuori dell'area forestale propriamente detta;
                      integrare pienamente le pertinenti politiche europee nelle strategie forestali nazionali dei singoli Stati membri;
                      istituire un sistema di informazione forestale su scala nazionale, laddove manca una base dati affidabile ed aggiornata, favorendo la raccolta di dati armonizzati a livello europeo sulle foreste. Questo per consentire una pianificazione delle strategie politiche da adottare nel lungo periodo;
                  b) nell'aprile 2015 il Parlamento europeo ha approvato una dettagliata risoluzione, sottolineando che la strategia forestale dell'Unione europea deve concentrarsi sulla gestione attiva e sostenibile delle foreste e sul loro ruolo multifunzionale sotto il profilo economico, sociale e ambientale, nonché garantire un migliore coordinamento delle politiche comunitarie direttamente o indirettamente collegate alla selvicoltura secondo i seguenti indirizzi: invita l'Unione europea a sostenere le politiche nazionali volte a conseguire una gestione delle foreste attiva, multifunzionale e sostenibile; esorta gli Stati membri a definire la loro politica forestale in termini di protezione della biodiversità, di prevenzione dell'erosione del suolo, garanzia di cattura del carbonio, purificazione dell'aria e mantenimento del ciclo dell'acqua; mette in evidenza come l'uso del legno come materia prima rinnovabile, unita ad una gestione sostenibile delle foreste, svolga un ruolo importante per il conseguimento degli obiettivi sociopolitici dell'Unione europea (transizione energetica, mitigazione e adeguamento al cambiamento climatico, raggiungimento degli obiettivi previsti dalla strategia Europa 2020 e di quelli relativi alla biodiversità); sottolinea il ruolo importante svolto dalla produzione e dall'utilizzo sostenibili di legname, di biocombustibili legnosi e altri materiali provenienti dalle foreste per lo sviluppo di modelli economici sostenibili e la creazione di posti di lavoro verdi; osserva che il comparto forestale impiega oltre 3 milioni di cittadini europei e che la sua competitività a lungo termine si può ottenere solo con operatori qualificati e professionali; ricorda che le foreste sottoposte a gestione presentano una capacità di assorbimento di CO2 superiore a quella delle foreste non gestite ed evidenzia quindi l'importanza della gestione sostenibile delle foreste (GFS); sostiene l'intenzione della Commissione di elaborare un insieme di criteri e indicatori ambiziosi, oggettivi e dimostrabili per la GFS, conformi ai requisiti elaborati nell'ambito di Forest Europe (conferenza ministeriale per la protezione delle foreste in Europa); invita la Commissione e gli Stati membri a creare incentivi e a promuovere nuovi modelli di business e di consapevolezza dei servizi ecosistemici del bosco, affinché i piccoli proprietari forestali privati siano incoraggiati o indotti a gestire in modo attivo e sostenibile i propri appezzamenti forestali; invita gli Stati membri a stimolare una produzione locale sostenibile onde ridurre al minimo l'impronta del carbonio creata dal trasporto;
              il quadro normativo e politico-culturale delineato dalle iniziative comunitarie sopra descritte impone un rapido ed efficace adeguamento del nostro Paese alle indicazioni della nuova strategia forestale dell'Unione europea sia dal punto di vista giuridico che da quello dell'approccio teorico al sistema-foresta;
              anche in Italia il patrimonio forestale costituisce la base di tutta la complessa filiera foresta-legio in cui si distinguono due entità separate: le utilizzazioni forestali e le industrie di lavorazione del prodotto legno. Tra le componenti industriali della filiera foresta-legno si individuano alcune importanti sottofiliere, principalmente tre: la prima include l'utilizzo del legno nella produzione industriale di mobili, negli impieghi strutturali e nelle costruzioni, la seconda riguarda la produzione di carta e cartone, mentre la terza riguarda l'uso del legno per fini energetici;
              il «Programma quadro per il settore forestale» (PQSF) (approvato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano il 18 dicembre 2008) definisce «i principi di indirizzo internazionale e nazionale in materia forestale, in modo complementare e coordinato alle politiche forestali già definite e attuate dalle amministrazioni regionali». Esso intende, in forma coordinata, attuare gli impegni internazionali sottoscritti dal Governo italiano in materia di foreste e, al tempo stesso, costituire un quadro di riferimento strategico, di indirizzo e coordinamento per il settore forestale nazionale. Il Programma sottolinea il ruolo delle foreste quale fattore di sviluppo ed elemento di tutela del territorio, individuando nella gestione attiva e sostenibile del patrimonio forestale lo strumento principale per valorizzare le potenzialità del bosco come «risorsa» economica, socio-culturale e ambientale di tutela del territorio e di sviluppo locale. Gli obiettivi prioritari definiti dal Programma sono: sviluppare una economia forestale efficiente e innovativa; tutelare il territorio e l'ambiente; garantire le prestazioni di interesse pubblico e sociale; favorire il coordinamento e la comunicazione;
              gli ambiziosi obiettivi del PQSF si scontrano però con una realtà spesso disomogenea e disorganizzata, appesantita da ostacoli burocratici generati dalla sovrapposizione e dall'intreccio di competenze a livello nazionale, regionale e locale, soprattutto di carattere normativo, che causano incertezze e difficoltà nell'attuazione di una gestione attiva e sostenibile del patrimonio forestale;
              le motivazioni che limitano le normali pratiche di gestione del patrimonio forestale nazionale e inibiscono le iniziative imprenditoriali sono molteplici: difficili condizioni orografiche unite ad una inadeguata rete di viabilità di servizio; alto costo della manodopera; complessità del panorama normativo e vincolistico nazionale e regionale; scarsa organizzazione della filiera; inadeguata remunerazione del prodotto da parte dei mercati; polverizzazione della proprietà terriera; mancato riconoscimento e valorizzazione della gestione degli assetti fondiari collettivi garantiti dalle comunità titolari (beni civici e comunioni familiari);
              nonostante ciò, la filiera produttiva italiana legata alla risorsa legno – connessa sia alle foreste di origine naturale e semi-naturale che alle produzioni legnose fuori foresta (le cosiddette piantagioni) – rappresenta un'importante realtà produttiva e occupazionale per il Paese e presenta ampie possibilità di crescita e sviluppo, generando ad esempio ricadute economiche locali grazie alla sostituzione con il legno di prodotti maggiormente energivori. Infatti l'industria italiana di lavorazione del legno, per fatturato, è il primo esportatore in Europa e il secondo nel mondo: attualmente si stima che nelle attività connesse alla filiera del legno siano coinvolte circa 126.000 imprese, per oltre 600.000 unità lavorative. La filiera produttiva nazionale risulta però dipendente dall'estero per l'approvvigionamento della materia prima per più di 2/3 del proprio fabbisogno;
              il prelievo legnoso nazionale nell'ultimo decennio, di poco superiore agli 8 milioni di metri cubi annui (dati ISTAT), è equivalente a poco meno del 25 per cento dell'incremento annuo, a fronte di un 65 per cento della media europea. Inoltre, il prelievo legnoso rimane disomogeneo, episodico e in alcuni casi distante dai centri di trasformazione industriale. La mancanza di omogeneità quantitativa e qualitativa, poi, non riesce a soddisfare le richieste del mercato che, nel corso degli ultimi 50 anni, è profondamente cambiato, orientandosi sempre più verso una domanda costante di assortimenti pregiati. La contraddizione interna della filiera forestale è caratterizzata da un'alta richiesta di materiale di pregio e da una sempre maggiore incapacità dell'offerta di soddisfare questa domanda, anche a causa della diminuzione di tutti quegli assortimenti forestali di qualità, andati persi con l'abbandono della gestione forestale attiva;
              parallelamente si continua poi a registrare una costante e crescente richiesta di legna da ardere, il cui consumo peraltro è in realtà notevolmente maggiore rispetto a quanto risulta dall'analisi dei dati ufficialmente disponibili. A fronte di un consumo stimato — su base campionaria ed a livello domestico — pari a circa 18 milioni di tonnellate l'anno, il consumo apparente, basato sulle statistiche ufficiali di produzione, importazione ed esportazione, è pari a circa un quarto rispetto al precedente dato, cioè circa 5 milioni di tonnellate. C’è la presenza di un evidente fenomeno di mercato sommerso che va affrontato con adeguati strumenti di controllo e di prevenzione del fenomeno. Non a caso l'Italia infatti è il primo importatore al mondo di biomasse legnose ad uso energetico. Questo malgrado la maggior parte dei boschi italiani abbia un urgente bisogno di interventi colturali che potrebbero, oltre che fornire quantitativi importanti di materiale legnoso (oggi più del 6o per cento di esso è già destinato all'uso energetico), garantire stabilità idrogeologica e tutela della biodiversità;
              attualmente la filiera foresta-legno-energia sembra dunque quella che possiede le maggiori opportunità di sviluppo. Lo sfruttamento razionale e sostenibile delle risorse forestali destinate al mercato della bioenergia è possibile strutturando dapprima il tessuto industriale in grado di rispondere alla domanda del mercato e alla particolare offerta dei singoli territori, poi garantendo un'efficace recupero sistematico dei residui delle operazioni colturali in bosco e di lavorazione del legno, applicando il sempre più diffuso e condiviso concetto «dell'utilizzo a cascata del legno». La filiera bio-energetica infatti è fortemente interconnessa alle altre filiere di utilizzazione del legno, in particolare per quanto riguarda il riutilizzo degli scarti di lavorazione e la valorizzazione dei materiali lignei. Pertanto l'attuazione di strategie volte al miglioramento dell'efficienza delle filiere foresta-legno e della qualità delle produzioni forestali nazionali, diventa sempre più necessaria e opportuna;
              per le caratteristiche del patrimonio forestale del nostro Paese e dei settori ad esso collegati sarebbe poi necessario promuovere lo sviluppo e supportare l'industria locale di prima lavorazione del legno. Lavorare il legno quanto più vicino possibile al luogo di origine della materia prima assume particolare importanza per rafforzare o realizzare economie di scala ridotta (filiere corte) dal punto di vista della sostenibilità sia economica che ambientale grazie ad una riduzione dei costi di trasporto (economici, energetici e ambientali), alla creazione di reddito e occupazione per la popolazione locale (rurale e montana), ed alla valorizzazione del ruolo protettivo/ambientale delle foreste (attraverso una gestione sostenibile e pianificata);
              un problema rilevante che ostacola la gestione forestale è poi rappresentato dall'estrema polverizzazione della proprietà fondiaria che impone di affrontare i temi del riordino fondiario e del limite posto all'utilizzazione sostenibile delle aree forestali produttive dal concetto di «terreno/bosco abbandonato/incolto». Se per i terreni agricoli è stato relativamente facile, nel passato, definire lo stato di abbandono (cfr. articolo 2 della legge n.  440 del 1978) per il bosco analoga definizione appare giuridicamente difficile: da un lato è complicato affermare che un bosco viene coltivato (il termine «coltivazione» si applica piuttosto a qualcosa fatto dall'uomo) e si deve piuttosto dire che è «governato» o «gestito» attivamente, dall'altro è difficile sostenere che non viene gestito nel caso in cui, di fatto, non vi si fanno interventi da molti decenni, per il semplice motivo che il turno di utilizzazione di un bosco può essere, secondo le regole selvicolturali, di molto superiore al secolo;
              il tema del «riordino fondiario» va dunque affrontato individuando sistemi e/o procedure che consentano «l'accesso ai fondi» non utilizzati e/o abbandonati da un certo tempo (per esempio 3o anni) da parte di un comune, che poi li assegna in gestione, per conto della proprietà, ad un soggetto privato o pubblico (cfr. il caso interessante della Toscana che con la legge regionale 80 del 2014 ha istituito un ente Terre regionali toscane), proprio perché nella legislazione italiana la proprietà privata è fortemente tutelata a livello costituzionale e risulta difficile accedervi senza il permesso formale del proprietario;
              risulta perciò necessario individuare uno specifico indicatore o criterio che esprima lo stato di abbandono delle aree forestali interessate e/o sviluppare e supportare forme snelle di consorziamento/associazionismo tra proprietari assenteisti (o loro eredi in giro per il inondo) e imprese boschive, anche obbligatorie. Queste azioni consentirebbero di garantire una sufficiente estensione di terreni boscati tale da rendere tecnicamente ed economicamente conveniente la loro utilizzazione da parte di un'impresa boschiva o di una cooperativa o di chiunque in grado di farlo. Al proprietario potrebbero essere versati, in apposito conto infruttifero, gli introiti, al netto di tutti i costi sostenuti e dell'utile di impresa derivante dall'opera di gestione forestale, che resteranno in tale fondo per un certo numero di anni. In caso di mancato reclamo da parte dell'avente diritto potrebbero essere introitati dal comune;
              nell'ambito delle attività previste dal tavolo di filiera legno (decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali n.  18352 del 14 dicembre 2012) si è dato avvio a un processo di aggiornamento e semplificazione, della normativa nazionale di settore (decreto legislativo 28 agosto 2001, 11. 227), proponendo approcci concettuali e strumenti operativi innovativi, capaci di poter rispondere efficacemente sia alle attuali necessità di tutela idrogeologica e ambientale, sia alle moderne esigenze economiche, produttive e occupazionali del territorio, nonché ai precisi obblighi e impegni internazionali e comunitari assunti dal Governo italiano in materia di lotta al cambiamento climatico, conservazione della biodiversità, tutela del paesaggio, sviluppo sostenibile, commercializzazione e trasformazione dei prodotti forestali. Nello specifico, la proposta di profonda revisione normativa elaborata dal tavolo, intende portare il patrimonio forestale sinergicamente al centro delle attività di tutela del territorio e delle strategie di sviluppo della green economy, per garantire una produzione sostenibile di beni materiali e servizi ecosistemici. Questa proposta normativa, già ampiamente condivisa e concertata con le istituzioni nazionali e regionali competenti, i principali stakeholder di settore, le parti sociali e produttive, e oggi all'attenzione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dovrà valutare le più idonee procedure necessarie a consolidare l'attuale testo e a procedere verso una rapida approvazione, anche eventualmente assumendo iniziative per una delega al Governo per l'emanazione di norme generali e di indirizzo per il riordino della disciplina nel settore forestale e delle sue filiere;
              tutto ciò premesso, talune proposte non prevedono alcun nuovo o maggiore onere a carico della finanza pubblica, ma piuttosto risparmi connessi allo snellimento delle procedure amministrative necessarie a garantire e promuovere una gestione attiva del bosco, nonché ricadute positive sulle economie locali e, nel lungo periodo, anche sulle finanze dello Stato, sotto forma di risparmi sulla spesa per interventi straordinari e urgenti per la tutela dell'assetto idrogeologico del territorio e per la salute e incolumità pubblica,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per istituire un sistema di statistica forestale nazionale informatizzato che assicuri la raccolta di dati armonizzati e confrontabili sia a livello nazionale che a livello europeo;
          a rinforzare, nel rispetto delle competenze istituzionali, il ruolo di rappresentanza, coordinamento e indirizzo strategico nazionale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nei confronti delle regioni e dei Ministeri competenti in materia di ambiente e paesaggio, attraverso la costituzione di un apposito ufficio forestale dedicato;
          a promuovere l'adozione e l'applicazione degli strumenti di pianificazione forestale già previsti e a semplificare le procedure autorizzative per la gestione forestale attiva, al fine di migliorare l'accesso ai fondi comunitari e l'efficienza di spesa per gli interventi di interesse forestale cofinanziati nell'ambito dei programmi di sviluppo rurale regionale dal fondo FEASR in questo modo creando opportunità di lavoro legate alla gestione, tutela e valorizzazione patrimonio forestale, per il rilancio delle aziende forestali e delle filiere produttive legate alle risorse legnose e non legnose;
          ad assumere, per quanto di competenza, iniziative volte a fornire alle regioni e alle province autonome, per l'efficace esercizio della potestà legislativa loro riservata, strumenti amministrativi e operativi snelli ed innovativi per promuovere sul territorio la gestione forestale attiva, sostenibile e la reale valorizzazione della cosiddetta multifunzionalità del bosco, valorizzando i prodotti legnosi e non legnosi nazionali da esso ottenibili, prevedendo:
              a) lo sviluppo di una più efficiente viabilità forestale al servizio delle attività agrosilvopastorali;
              b) l'incentivazione della pianificazione forestale per le proprietà pubbliche e private;
              c) la riconsiderazione dei parametri selvicolturali al fine di garantire una gestione attiva e sostenibile;
              d) la semplificazione delle procedure vincolistiche al fine di poter avere interventi e tempi operativi certi, nel rispetto dell'ambiente e a garanzia dell'incolumità pubblica;
              e) la promozione della rinnovazione artificiale delle specie autoctone, anche in relazione ai danni causati dalla fauna selvatica e dai fenomeni di cambiamento climatico in atto;
              f) la riconversione dei cedui invecchiati e la valorizzazione delle vocazioni forestali locali;
          a favorire i proprietari pubblici e privati di boschi nella stipula di contratti di gestione attraverso l'attuazione, di piani pluriennali di gestione con imprese boschive altamente specializzate;
          a promuovere, con opportune iniziative normative, procedure e supporti, la ricomposizione fondiaria dei piccoli e piccolissimi appezzamenti di proprietà forestali private;
          a garantire la sostenibilità ambientale e la legalità dell'uso della risorsa legnosa, stimolando l'adozione di forme di certificazione di gestione forestale sostenibile (GFS) e certificazioni di prodotto e di processo tali da garantire l'immissione sul mercato di prodotti a basse emissioni di CO2, tenendo conto che la certificazione, oltre a qualificare i proprietari e gli utilizzatori, farebbe emergere il lavoro è il mercato nero, agevolando la trasparenza per gli organi di controllo;
          a considerare l'introduzione di strumenti per stimolare l'emersione del mercato sommerso che caratterizza la compravendita di legna da ardere, strumenti che dovrebbero, ad esempio, prevedere forme di detrazione fiscale per i cittadini che comprovano l'acquisto della legna da ardere con regolare emissione di scontrino fiscale da parte del venditore, prevedendo inoltre una maggiore di premialità per l'acquisto di legna da ardere certificata secondo uno schema di certificazione di prodotto e di processo, come sopra riportato;
          ad avviare un processo di riesame del vincolo paesaggistico introdotto per la materia agroforestale dal decreto legislativo n.  42 (codice dei beni culturali — codice «Urbani»), al fine di assicurare le normali e necessarie attività di gestione forestale che, in tale vincolo, trovano oggi in qualche caso un ostacolo;
          ad assumere iniziative per valorizzare tutte le forme di proprietà collettiva e aggiornare la situazione degli usi civici, anche in considerazione del fatto che le esperienze migliori dimostrano che le forme cooperative di gestione delle foreste e delle risorse legnose da esse derivanti assicurano una risposta più efficace alle esigenze innovative di un settore debole e parcellizzato come quello forestale, e perciò anche facilitare la costituzione di strumenti di gestione cooperativa dei patrimoni forestali, con agevolazioni fiscali sugli atti costitutivi e con innalzamento dei limiti economici per l'assunzione di lavori.
(7-00996) «Zanin, Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Capozzolo, Carra, Cova, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Sani, Taricco, Terrosi, Venittelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


      LATRONICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          secondo i dati dell'Organizzazione mondiale del turismo (Omt), l'Italia si è confermata al quinto posto per gli arrivi e al settimo posto per gli introiti nella graduatoria 2015 delle destinazioni turistiche mondiali più frequentate dal turismo straniero. Le località marine hanno avuto un incremento rispetto al 2014 con le presenze che si attestano a 44.034.290 milioni di visitatori secondo i dati provvisori dell'Istat;
          l'Italia ha 7.500 chilometri di costa e la varietà delle sue coste ricca di golfi, insenature, approdi naturali, porti turistici, lunghe e sabbiose spiagge la rende perfetta per ogni tipo di vacanza e di viaggio all'insegna della natura, del divertimento e del relax. Nel nostro Paese risultano censite circa 30.000 concessioni rilasciate per finalità turistico-ricreative con strutture «amovibili» e circa 1.000 pertinenze demaniali marittime con manufatti «inamovibili» di proprietà dello Stato che coprono circa 18 milioni di metri quadri;
          anche il mare della Basilicata è caratterizzato da 35    chilometri di spiagge di sabbia finissima e dorata sulla costa ionica da Metaponto a Nova Siri e 15 chilometri di spiagge sul tirreno Maratea: baie, grotte naturali del Golfo di Policastro. Le località della costa ionica e tirrenica dispongono di numerose strutture ricettive alberghiere, agrituristiche e campeggi che hanno raggiunto livelli significanti crescita e di occupazione;
          il settore turistico balneare in Italia attira milioni di utenti e costituisce un asse portante dell'apparato produttivo italiano e un settore strategico di sviluppo e di occupazione. Gli stabilimenti balneari sono generalmente imprese economiche di tipo familiare che valorizzano l'offerta turistico-ricettiva, qualificandola come tra le più competitive e rendono le aree demaniali più attrattive e fruibili, preservando la bellezza e il paesaggio;
          con l'approssimarsi della stagione estiva 2016 le oltre 30.000 imprese balneari che operano sulle coste italiane rischiano di essere fuori legge per il pronunciamento della Corte di giustizia dell'Unione europea che potrebbe bocciare la proroga automatica delle concessioni demaniali fino al 2020 perché contraria alla «direttiva Bolkestein»;
          la direttiva Bolkestein è stata presentata dalla Commissione europea nel febbraio del 2004 ed emanata nel 2006. La legislazione italiana ha recepito la direttiva tramite l'approvazione del decreto legislativo n.  59 del 26 marzo 2010. La direttiva si concentra sui servizi del mercato unico europeo e prevede che, dal 1o gennaio 2016, le concessioni demaniali non potranno più essere rinnovate automaticamente (non valendo più il diritto di insistenza), ma dovranno essere oggetto di un bando con procedura di evidenza pubblica alla scadenza temporale di ogni concessione;
          nel 2008, la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione a carico dell'Italia in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime, in quanto il rinnovo automatico delle concessioni, previsto dall'Italia, è in contrasto con la richiamata direttiva comunitaria, che prevede invece l'assegnazione del demanio pubblico mediante gara. Nel 2009 per chiudere la procedura di infrazione, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del citato decreto e in scadenza al 31 dicembre 2015 è stato prorogato fino al 31 dicembre 2020, ai sensi dell'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n.  194, come modificato dall'articolo 1, comma 547, della legge 24 dicembre 2012, n.  228 (legge di stabilità 2013);
          la Corte di giustizia europea è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione pregiudiziale relativa alla legge italiana sollevata dai Tribunali amministrativi regionali Sardegna e Lombardia, che hanno chiesto di verificare la compatibilità della norma della legge di stabilità 2013 con il diritto comunitario, esprimendo dubbi sull'automatismo della proroga;
          l'Avvocato generale della Corte di giustizia dell'Unione europea, Maciej Szpunar, a febbraio 2016, si è espresso con un parere negativo (non vincolante per la Corte dell'Unione europea) che ritiene fondati i dubbi espressi dai Tar, concludendo che «la direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato Ue, impedisce alla normativa nazionale di prorogare in modo automatico la data di scadenza delle concessioni per lo sfruttamento economico del demanio pubblico marittimo e lacustre»;
          il Governo sta predisponendo con ritardo un disegno di legge in materia di demanio marittimo che dovrebbe produrre un quadro normativo chiaro, adeguandosi ai principi comunitari in materia di trasparenza, libertà di stabilimento e prestazione di servizi e raccogliere le istanze degli enti territoriali e delle categorie economiche che operano sul demanio marittimo;
          da uno studio comparato su alcuni Paesi mediterranei relativo alle concessioni balneari emerge che la durata massima delle concessioni oscilla tra i 7 anni dell'Italia, i 30 della Spagna e i 75 del Portogallo e che, la scelta del concessionario non avviene necessariamente con gare pubbliche. La Commissione europea dovrebbe chiarire i motivi delle diverse normative sui demani marittimi spagnolo e portoghese rispetto a quello italiano, nonostante per tutti dovrebbe valere la direttiva europea Bolkestein che nel nostro Paese è stata la giustificazione per abolire il rinnovo automatico delle concessioni balneari e per minacciarne la messa all'asta;
          la Commissione europea sostiene che l'apertura alla libera concorrenza permetta di garantire una migliore qualità dei servizi e prezzi più convenienti. In Italia, invece, gli oppositori della «Bolkestein» avvertono che la sua applicazione segnerebbe la fine del made in Italy perché le spiagge italiane finirebbero gestite da multinazionali straniere;
          mentre esponenti del Governo promettono di intervenire in tempo, alcune regioni a quanto consta all'interrogante, provano ad approvare delibere che cercano di andare incontro alle necessità delle imprese balneari andando, allo stesso tempo, incontro alle norme europee;
          ad avviso dell'interrogante il provvedimento di riforma in materia di demanio marittimo dovrà contenere regole chiare per redigere la nuova disciplina sulle concessioni demaniali marittime, stabilendo i nuovi limiti di durata delle concessioni in maniera proporzionata all'interesse pubblico e all'entità degli investimenti, fissando i criteri per le assegnazioni delle gare che le regioni sono tenute a rispettare;
          se la pronuncia della Corte di giustizia europea dovesse confermare tali posizioni, molte imprese balneari italiane si troverebbero in una situazione di estrema difficoltà, avendo continuato ad investire sui propri stabilimenti in virtù della proroga concessa. L'offerta turistica italiana subirebbe un duro colpo con l'apertura ad attori economici esteri, snaturando un comparto economico che richiederebbe particolare attenzione per le peculiarità di ogni singolo Paese, oltre a determinare una situazione di estrema criticità per la prossima stagione estiva  –:
          se il Governo intenda attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché siano assunte le opportune iniziative, al fine di risolvere le problematiche evidenziate in premessa;
          se il Governo intenda attivarsi per promuovere una riforma delle concessioni in grado di restituire futuro e certezza alle 30.000 imprese che rappresentano l'eccellenza del sistema turistico nazionale e che da oltre 7 anni sono in attesa di una soluzione compatibile con le norme europee;
          quali iniziative il Governo intenda adottare per negoziare con l'Unione europea una più lunga fase transitoria nell'applicazione delle direttive che consenta agli operatori balneari e titolari di concessioni di ammortizzare gli investimenti fatti, vista l'imminenza della stagione balneare;
          se il Governo intenda intervenire, in tempi brevi, assumendo iniziative per il riordino del settore, coinvolgendo al tavolo di lavoro tutti i soggetti interessati per garantire futuro e certezza ad un comparto che rappresenta una realtà fondamentale per il sistema turistico nazionale e che attende da troppi anni una legge di riforma. (3-02257)


      LOSACCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          da circa una settimana è allarme a Casamassima, importante e popoloso comune a pochi chilometri da Bari, a seguito del diffondersi di numerosi casi di gastroenterite, con alcuni ricoveri che hanno riguardato in particolare dei bambini;
          a seguito delle analisi effettuate sull'acqua potabile Acquedotto Pugliese ha prudentemente sconsigliato di utilizzare l'acqua a scopo potabile;
          le attività di campionamento in rete per riportare la situazione alla normalità evidenziano ancora una debole contaminazione dell'acqua distribuita nell'abitato, causata da una lieve concentrazione batterica non conforme agli standard di legge per le acque potabili;
          tale disagio sarebbe dovuto ad una delle due condotte adduttrici che alimentano l'abitato, prontamente esclusa dal sistema e probabilmente interessata da una lesione;
          l'Acquedotto Pugliese ha comunicato che proseguono gli accertamenti per il definitivo riscontro, escludendo la contaminazione da reflui di natura fognaria;
          per limitare i disagi ai cittadini, prosegue il servizio alternativo di rifornimento idrico, con autobotti e la protezione civile locale sta provvedendo alla distribuzione di sacche da 5 litri fornite da Acquedotto pugliese alla popolazione;
          se i Ministri interrogati sono a conoscenza dei disagi riportati in premessa che riguardano la comunità di Casamassima e quali iniziative di competenza intendano assumere per verificare la massima sicurezza della salubrità dell'acqua potabile. (3-02258)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      FRACCARO, BATTELLI, PETRAROLI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          con la risoluzione conclusiva di dibattito n.  8/00170 approvata il 3 febbraio 2016 la Commissione politiche dell'Unione europea della Camera dei deputati ha impegnato il Governo ad assumere iniziative per facilitare l'accessibilità, l'attivazione e la diffusione della conoscenza in ordine all'Iniziativa dei cittadini europei (ICE) e ad assumere iniziative nei confronti della Commissione europea affinché siano recepite le raccomandazioni del Parlamento europeo e i suggerimenti della società civile, dei gruppi di interesse e degli esperti per una revisione del regolamento (UE) n.  211/2011;
          il 23 febbraio 2016 presso la sede del Comitato economico sociale europeo (CESE) si è svolto un convegno organizzato dalla medesima organizzazione per analizzare le critiche di cui è oggetto l'Unione europea a causa del suo deficit di democrazia e per discutere della revisione dell'ICE al fine di mettere i cittadini in condizione di partecipare attivamente al processo legislativo dell'Unione. Il CESE, occupandosi attivamente di questo problema, sta elaborando un parere sull'ICE al fine di facilitare e rendere più pratico ed efficace l'uso di queste iniziative. In occasione del predetto convegno, il relatore del parere, Antonio Longo, ha invocato uno strumento più facile da usare e che consenta a ogni cittadino europeo di partecipare, sottolineando che in un momento in cui i cittadini stanno sempre più perdendo fiducia nell'Unione europea, l'ICE deve diventare lo strumento che offre loro una possibilità reale di avere voce in capitolo;
          nel predetto convegno, le critiche rivolte all'ICE sono state riassunte nei seguenti aspetti: i termini troppo stretti entro i quali ottenere tutte le firme richieste; l'enorme responsabilità che i promotori devono assumersi: il fatto che siano personalmente responsabili «degli eventuali danni da essi arrecati nell'organizzazione» di un'ICE genera un effetto dissuasivo; l'eccessiva quantità di informazioni necessarie per sostenere un'ICE; l'assenza di uno status giuridico per il «comitato dei cittadini»; l'eccessiva rigidità nell'applicazione dei criteri di ammissibilità dell'ICE; la diversità dei requisiti necessari in materia di dati personali nei vari Stati membri;
          in data 2 febbraio 2016 la Commissione europea ha risposto per iscritto alla risoluzione sull'ICE approvata a grande maggioranza dal Parlamento europeo in seduta plenaria il 28 ottobre 2015 con la quale il Parlamento ha chiesto alla Commissione di presentare al più presto una proposta di revisione del regolamento 211/2011 ECI. La risposta della Commissione ha un significato inequivocabile affermando che dopo solo tre anni dall'entrata in vigore dell'ICE è troppo presto per lanciare una revisione legislativa del regolamento. Nella risposta della Commissione non sembra essere stato tenuto in debita considerazione, dando adeguato seguito, al lungo ed esauriente elenco dei rapporti di ricerca, delle analisi, delle audizioni e delle pubblicazioni promosse da ricercatori accademici, consulenti politici e membri dello staff in istituzioni dell'Unione europea che hanno studiato le decine di ICE presentate finora. Tutte queste analisi hanno peraltro consentito di definire un quadro estremamente chiaro e coerente sulle regole e sulle procedure che disciplinano l'ICE, evidenziandone i limiti sulla semplicità d'uso e sulla proporzionalità delle misure in ordine alle finalità che l'ICE stessa persegue. Le conseguenze di tali limiti determinano una situazione di disparità tra i cittadini dell'Unione europea, che non si trovano tutti nella capacità di esercitare i propri diritti a parità di condizioni;
          la mancanza di volontà politica per la democrazia partecipativa esplicitata nella risposta della Commissione europea evidenzia, secondo gli interroganti, una profonda incomprensione sulle finalità dell'ICE tanto da essere ritenuta una minaccia per l'Unione europea. Tale lettura non porta solo al rifiuto dell'idea di rivedere il regolamento 211/2011/UE nel futuro prossimo, ma contribuisce a incrementare la profonda sfiducia dei cittadini, poiché respinge anche tutte le richieste di nuove misure per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'ICE, per sostenere le campagne informative e per rendere le procedure di registrazione e di trattazione dell'ICE più trasparenti e dettagliate;
          in data 17 febbraio 2016 il Governo ha espresso parere contrario sulla risoluzione in Assemblea n.  6/00209 a prima firma di Battelli Sergio (M5S). Nella fattispecie il Governo ha espresso parere contrario anche limitatamente al secondo capoverso del dispositivo, cui è seguita con votazione nominale mediante procedimento elettronico, la bocciatura. Il succitato capoverso proponeva di impegnare il Governo a promuovere azioni miranti ad accrescere la legittimazione democratica dell'Unione europea ed in questo contesto a favorire un coinvolgimento attivo e sostanziale dei Parlamenti nazionali sia nella definizione delle politiche poste a fondamento dell'Unione, che nella formazione della normativa europea, inclusa la revisione del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. In questo contesto è necessario favorire un generale e sostanziale miglioramento in chiave democratica dell'Unione europea e delle sue istituzioni, sostenendo anche la necessità di sviluppare strumenti di democrazia diretta adeguati all'Unione, e pertanto impegnandosi in primo luogo per promuovere la sostanziale revisione del regolamento (UE) n.  211/2011 riguardante l'Iniziativa dei cittadini europei;
          la risposta della Commissione europea e il silenzio del Consiglio europeo rispetto alla risoluzione del Parlamento europeo del 28 ottobre 2015 e alle richieste scaturite dalle decine di ICE presentate finora e dalla grossa mole di lavoro di analisi scientifica prodotta sulle ICE, hanno determinato il disappunto della società civile che si è concretizzata nel lancio di una petizione europea che ha raccolto in pochissime ore migliaia di sottoscrizioni. La petizione « Save the European Citizens’ Initiative Now !» (Salviamo l'Iniziativa dei Cittadini Europei Ora !) è stata lanciata nel marzo 2016 dalle organizzazioni The ECI Campaign, Mehr Demokratie e Democracy International rispettivamente sulla piattaforme http://www.citizens-initiative.eu/, https://www.mehr-demokratie.de/ e https://www.democracy-international.org/eci-final-call, ha avuto notevole risonanza mediatica a livello europeo e deve essere tenuta in considerazione dalle istituzioni europee e dagli Stati nazionali  –:
          quali iniziative il Governo intenda promuovere per dare attuazione agli impegni e agli indirizzi approvati nella risoluzione n.  8/00170 citata in premessa, per accrescere la legittimazione democratica dell'Unione europea attraverso il miglioramento delle procedure atte ad agevolare l'accesso e la diffusione dell'ICE e per promuovere la sostanziale revisione del regolamento (UE) n.  211/2011 riguardante l'Iniziativa dei cittadini europei. (5-08684)

Interrogazioni a risposta scritta:


      VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la città di Barcellona Pozzo di Gotto è la seconda città della provincia di Messina con circa 45.000 abitanti, è sede di un tribunale ordinario che copre un comprensorio di circa 100.000 abitanti;
          il tribunale, negli ultimi anni, è stato interessato da numerosi processi di mafia in quanto la città è stata «sede» della cosiddetta cosca dei «barcellonesi» affiliati a Cosa Nostra catanese e della limitrofa cosca dei cosiddetti «mazzarroti»;
          il 25 febbraio 2016 si è insediato il nuovo presidente del tribunale, Dottor Giovanni De Marco;
          in un articolo del 4 aprile 2016 uscito sulla Gazzetta del Sud si legge di una disposizione del presidente Giovanni De Marco in cui esplicitamente sostiene che «la situazione in cui versa il Tribunale di Barcellona può essere definita disperata: per volume di arretrato, carichi di lavoro, vacanze e inadeguatezza della pianta organica»; lo stesso presidente analizza nel dettaglio la situazione del tribunale sostenendo che «il tribunale nelle condizioni attuali non è in grado di gestire e trattare la mole dell'arretrato e di fronteggiare la stessa mole delle sopravvenienze» arrivando a stabilire, con la disposizione, una priorità nei procedimenti proprio per evitare che i processi più importanti arrivino in prescrizione;
          i dati citati nell'articolo, aggiornati al 30 giugno 2015, sono molto chiari ed inquadrano la situazione drammatica in cui versa il tribunale, le pendenze sono: circa 18.000 per i procedimenti civili, circa 3.000 per i processi penali in fase dibattimentale e circa 8.000 per i procedimenti penali pendenti in fase gip e gup, tutti distribuiti su soli 11 giudici e quindi con una media circa 2600 procedimenti per ogni giudice, nettamente superiore al dato statistico nazionale, con l'aggiunta dell'elemento, di certo non secondario a parere degli interroganti, che molti dei procedimenti più importanti legati alla criminalità organizzata di stampo mafioso sono concentrati proprio in questo tribunale;
          in un'intervista rilasciata al giornale Centonove.it lo stesso presidente De Marco, per denunciare il gravissimo stato in cui versa il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, dichiara che quest'ultimo: «È un presidio di legalità se funziona. Se non funziona, se non assolve al compito per cui è stato istituito, diventa un presidio di illegalità, è la prova vivente del fallimento dello Stato, un inno all'anti-Stato perché se uno non riesce a trovare giustizia nelle vie ordinarie si rivolge altrove. Se si tiene in piedi un tribunale che non funziona si dà la possibilità all'anti-Stato di realizzare una giustizia parallela»;
          lo stesso Consiglio dell'Ordine degli avvocati, come si può leggere in un articolo della Gazzetta del Sud del 6 aprile 2016, ha deliberato una «pressante istanza», diretta ai più alti livelli istituzionali tra cui il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia e tutti gli organi interessati «affinché vengano assunti i più idonei interventi di natura strutturale onde porre fine alla inadeguatezza della pianta organica che va implementata almeno di 5 magistrati ed alla cronica carenza di organico»;
          con un articolo del 12 maggio 2016 apparso sulla Gazzetta del Sud si viene a conoscenza che, oltre alla disposizione del presidente del tribunale ed all'istanza del Consiglio dell'ordine degli avvocati, anche i sindacati hanno deciso di proclamare lo stato d'agitazione all'interno del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, in quanto, come si può constatare dall'articolo, nonostante la conclamata carenza d'organico sono state richieste dalla corte d'appello di Messina tre unità di personale amministrativo «per fronteggiare straordinarie criticità sopravvenute»  –:
          se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
          quali iniziative intendano adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per arginare il progressivo depauperamento del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto e, conseguentemente, del ruolo importantissimo che esso svolge per la parte «sana» di popolazione;
          quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di migliorare le prestazioni, anche tramite adeguamento della pianta organica, del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto;
          se intendano effettuare, per quanto di competenza, un'immediata ed attenta valutazione in merito alla situazione del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, anche prendendo eventualmente in considerazione una eventuale chiusura definitiva della struttura, ma fornendo una soluzione valida ed efficace al fine di non far percepire ulteriormente alla popolazione locale quella spiacevolissima sensazione di non far parte (o farne parte in maniera minore) dello Stato italiano.
(4-13211)


      FANTINATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          un articolo pubblicato il 6 maggio 2016 da un autorevole quotidiano nazionale, riferisce di uno stanziamento di 40 milioni di euro che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha destinato alla riqualificazione dei capannoni del Cerimant, ubicati a Tor Sapienza, quartiere nella periferia est di Roma;
          nei piani del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo la riconversione dei 7 capannoni del Cerimant dovrebbe dar vita ad un polo della creatività con spazi culturali e residenze per artisti;
          il Cerimant, un ex deposito militare ormai fatiscente, sorge in una zona desolata della capitale, tra magazzini e capannoni abbandonati da anni, scarsamente servito dalla rete di trasporto pubblico;
          tale progetto rientra nel programma del Ministero «Un miliardo per la cultura» che prevede investimenti su 33 siti in tutta Italia. Tra le eccellenze del patrimonio culturale da restaurare o riconvertire figurano tra gli altri la Reggia di Caserta (40 milioni di euro), il Museo di Capodimonte (30 milioni di euro), le aree archeologiche di Pompei ed Ercolano (50 milioni di euro complessivi), la Pinacoteca di Brera (40 milioni di euro), gli Uffizi (40 milioni di euro), il centro storico, il Duomo e S. Maria Paganica de L'Aquila (30 milioni di euro);
          a Roma, interessate agli interventi di valorizzazione e restauro saranno anche la facciata e il giardino di Palazzo Barberini (9 milioni di euro), l'ala Cosenza della Galleria nazionale d'Arte Moderna (15 milioni di euro), l'antico tracciato romano, fino a Brindisi, della Via Appia (20 milioni di euro);
          in merito ai capannoni del Cerimant, il quotidiano scrive che «forse è un caso, ma la struttura lautamente sovvenzionata si trova a due passi dal popolare quartiere Alessandrino, storico “feudo elettorale” di Michela Di Biase», attuale moglie del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, consigliere comunale uscente, presidente della commissione consiliare Cultura, politiche giovanili e lavoro e di nuovo candidata del Partito democratico alle prossime comunali di Roma;
          già nel 2013, il Ministro interrogato – all'epoca responsabile dei rapporti col Parlamento del Governo Letta ed ex segretario del Pd – era finito nella bufera per un sms da lui inviato agli iscritti romani del Pd con l'obiettivo di portare nel Consiglio comunale della Capitale Michela De Biase, all'epoca sua compagna  –:
          quali elementi si intendano fornire in relazione ai fatti descritti in premessa e che, a parere dell'interrogante, destano più di qualche perplessità considerando che la condotta di un Ministro della Repubblica, nell'esercizio delle sue funzioni, dovrebbe essere improntata ad un rigore tale da fugare qualsiasi sospetto. (4-13214)


      TOFALO e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il segretario distrettuale di Magistratura Indipendente a Potenza è stato accusato di far parte di un «comitato di affari» che aggiustava cause in corso in cambio di favori personali. Favori che sarebbero consistiti anche in lavori di ristrutturazione della propria casa a Roccapiemonte;
          sul caso potrebbe presto intervenire il Csm. È stato infatti chiesto al Comitato di presidenza l'apertura di una pratica in Prima Commissione per «valutare se sussistano profili di incompatibilità ambientale o funzionale sotto il profilo dell'appannamento dell'immagine di terzietà e imparzialità» per il magistrato coinvolto nell'indagine;
          nella stessa inchiesta sono indagati due esponenti di maggioranza del comune di Roccapiemonte, dove si presume il magistrato abbia ricevuto favori per ristrutturazioni edilizie  –:
          se siano a conoscenza dei fatti esposti;
          se il Governo non ritenga che sussistano i presupposti per avviare iniziative ai sensi dell'articolo 142 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n.  267 del 2000.
(4-13215)


      BRIGNONE, BECHIS, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          dal sito istituzionale della Presidenza del Consiglio si apprende che: «Il Presidente Renzi ha informato il Consiglio dei ministri della sua intenzione di attribuire al Ministro Maria Elena Boschi, ad integrazione della sua attuale delega, quelle di indirizzo e coordinamento in materia di adozioni internazionali e di Presidente della Commissione per le adozioni internazionali, nonché in materia di pari opportunità. Il Consiglio dei ministri ha condiviso l'iniziativa»;
          il Consiglio dei ministri a cui ci si riferisce si è svolto nella giornata del 10 maggio 2016;
          ad, avviso degli interroganti appare assai inopportuno che funzioni così rilevanti non siano attribuite ad uno specifico esponente del Governo, che possa occuparsene in maniera esclusiva;
          se non intenda assumere le iniziative di competenza per rivalutare la scelta di cui in premessa, al fine di attribuire le deleghe in questione ad un esponente del Governo che possa svolgere le relative funzioni in via esclusiva. (4-13218)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


      FAVA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          da due distinti articoli, pubblicati sul settimanale l'Espresso nel marzo e nell'aprile 2016, a firma del giornalista Fabrizio Gatti, si apprende che un gruppo di cittadini italiani gestisce a Las Vegas un giro di affari, operazioni commerciali e attività finanziarie, dai contorni poco chiari;
          dal giornalista viene evidenziato che si tratta di personaggi che, «nonostante risultino ufficialmente nullatenenti o quasi al fisco, hanno comprato società e ristoranti grazie a una girandola di conti correnti aperti negli Stati Uniti»;
          nell'inchiesta si riferisce anche di guadagni milionari ottenuti dagli stessi, in qualità di procacciatori di clienti o di semplici giocatori, nei casinò Aria e Bellagio, due tra i più prestigiosi della città dello Stato del Nevada;
          gli articoli raccontano della presenza di alcuni dei soggetti in questione nell'inchiesta «Rischiatutto» della Direzione distrettuale antimafia di Napoli sul riciclaggio di denaro nel gioco d'azzardo, in quella condotta dalla magistratura di San Marino sul tesoro della Banda della Magliana e inoltre in segnalazioni giunte all'FBI di Las Vegas e alla Guardia di finanza;
          negli stessi viene sottolineato che l'avvocato Dominic Gentile, console italiano a Las Vegas, è il difensore di «famosi assassini e criminali» ed è finito sui giornali per avere ottenuto come pagamento dell'onorario, da parte di due suoi clienti condannati per omicidio, il più noto locale di spogliarelli della città, il «Palomino Club», oggi di proprietà del figlio di Gentile;
          dalla lettura complessiva non emerge con chiarezza se su queste vicende e sui personaggi in esse coinvolti sia stata svolta un'attenta e puntuale attività di controllo da parte del console italiano Gentile  –:
          se non intenda assumere tutte le iniziative di competenza dirette verificare l'attività svolta dal consolato italiano di Las Vegas, con particolare attenzione alle vicende in questione;
          se non ritenga di dover riconsiderare l'opportunità dell'affidamento del ruolo di console onorario all'avvocato Gentile i cui comportamenti, descritti nell'articolo, non sembrano all'interrogante appropriati alla funzione di rappresentanza istituzionale che ne deriva e allo svolgimento dei compiti ad essa connessi. (4-13210)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      DALLAI e SANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          le rilevanti criticità determinate dai danni causati all'agricoltura ed alla zootecnia dagli animali selvatici hanno assunto negli ultimi anni dimensioni notevoli, con ripercussioni allarmanti che incidono negativamente, oltre che sui bilanci economici delle aziende agricole, anche sull'equilibrata coesistenza tra attività umane e specie animali;
          in particolare, da anni, si registrano ormai in tutta Italia attacchi di lupi e di ibridi ad aziende con particolare frequenza in Toscana, con particolare intensità nella provincia di Grosseto, ma con episodi che caratterizzano quasi tutte le province della regione;
          secondo i dati resi noti dal corpo forestale nel «2015, nella provincia di Grosseto, ci sono state 476 denunce di episodi di predazione, con mille e 210 capi morti (pecore e agnelli)»; «le aziende che hanno subito attacchi nel 2015 sono 193 su un totale di mille e trecento registrate». Nei primi quattro mesi del 2016 le denunce sono però dimezzate: «dalle 202 tra gennaio e aprile 2015 alle 101 dei primi quattro mesi di quest'anno»;
          l'incremento della frequenza di attacchi da parte di lupi agli allevamenti, sta causando un inasprimento della tensione sociale, soprattutto tra le imprese e gli addetti interessati. Tale fenomeno assume quindi i connotati di una vera e propria emergenza, che sollecita l'avvio urgente di iniziative da parte delle istituzioni pubbliche, volte a prevedere un sistema adeguato di misure preventive e di contrasto;
          la regione Toscana sta mettendo in campo misure per ricercare un equilibrio tra le esigenze delle attività degli allevatori, che sono parte costitutiva dell'economia e dell'identità territoriale, e la tutela della biodiversità;
          a livello europeo, il lupo (definizione ufficiale canis lupus) è una specie identificata e tutelata dalla direttiva 92/43CE (cosiddetta «Direttiva Habitat»);
          nonostante l'articolo 12 di tale direttiva vieti «qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata sulle specie», è permesso comunque agli Stati membri di mettere in atto delle azioni di gestione in deroga. Azioni già intraprese, peraltro, negli anni scorsi, da Francia e Spagna;
          non esiste in Italia una legge nazionale che regoli la conservazione o la gestione delle specie protette. La legge n.  157 del 1992, infatti, indica solamente che le specie protette non possano essere sottoposte a prelievo venatorio;
          si apprende, da organi di informazione, che «la Conferenza Stato-Regioni» stia «per decidere se autorizzare una quota annuale di abbattimenti di lupi. Nella bozza presentata dal ministero dell'Ambiente del nuovo Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, si parla infatti della possibilità di autorizzarne l'eliminazione del 5 per cento del totale: in tutto, circolano circa 1.500 di lupi nella Penisola (dopo il ripopolamento degli anni ’70), disseminati nelle aree protette dell'Appennino e delle Alpi. Con il via libera si potrebbe arrivare fino a un massimo di 60 esemplari in meno l'anno»;
          tali abbattimenti, sempre secondo la stampa, sarebbero disposti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per attenuare «il conflitto sociale connesso alla coesistenza uomo-lupo: conflitto che in questi anni si è manifestato in molteplici ambiti geografici e che ha concorso all'aumento di episodi di bracconaggio»;
          la presenza di lupi, legata alla crescita del randagismo dei canidi anche nelle campagna e nelle zone boschive sta inoltre causando un notevole aumento del fenomeno dell'ibridazione, che rappresenta inevitabilmente una seria minaccia alla sopravvivenza stessa della specie genetica del lupo;
          uno studio effettuato dall'università La Sapienza di Roma ha infatti accertato la presenza di molti di questi esemplari nei boschi e nelle campagne del nostro Paese;
          in Toscana, esemplari ibridi sono stati confermati nel Mugello, nel Senese, nell'Amiata e nel Parco della Maremma;
          a causa degli incroci con il cane, il lupo rischia di perdere la sua identità genetica. Questo può comportare la perdita degli adattamenti acquisiti dal lupo nel corso di milioni di anni attraverso la selezione naturale. Il comportamento degli ibridi è del tutto simile a quello dei lupi, ma le caratteristiche degli ibridi, spesso simili a quelle di un cane, consentono a questi animali di avvicinarsi a Paesi e animali domestici senza destare allarme. In tal modo, gli ibridi hanno un vantaggio sui lupi nell'attaccare il bestiame, mostrando un comportamento temerario;
          i danni causati dagli ibridi e dai cani vaganti sono del tutto simili a quelli causati dal lupo ed è oggettivamente difficile distinguerli; di conseguenza, la gran parte dei danni viene attribuita al lupo anche quando questo non ne è responsabile;
          gli ibridi non sono chiaramente identificati nell'attuale quadro normativo: non sono protetti dalla legge quadro sulla caccia (legge n.  157 del 1992), non sono contemplati dalla legge sul randagismo canino (legge n.  281 del 1991), né dai regolamenti per l'indennizzo dei danni, e ciò pone quindi seri problemi legali per la gestione sia degli animali ibridi, che dei danni da loro causati;
          è attivo il progetto «Ibriwolf», unico nel continente, le cui attività sono comprese nel piano d'azione per la gestione dei lupi in Europa (pubblicato dal Consiglio d'Europa nel 2000) e sono previste dal piano di gestione del lupo italiano in fase di sviluppo da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
          il progetto «Ibriwolf» ha i seguenti obiettivi:
              identificare e rimuovere tutti gli ibridi da due aree pilota in Toscana, dove ne è stata riscontrata la presenza;
              diminuire la presenza di cani vaganti attraverso la loro rimozione ove possibile, sterilizzando e custodendo tutti gli individui catturati;
              aumentare nel pubblico la consapevolezza della minaccia rappresentata dagli ibridi – e dai cani vaganti – per i lupi e per la fauna in genere;
              creare una rete per contribuire allo sviluppo delle migliori soluzioni per affrontare il problema dell'ibridazione, anche nel lungo periodo;
              sviluppare linee guida per la gestione di ibridi lupo-cane;
              attrezzare delle aree in cui gli ibridi catturati possano essere tenuti in cattività ed essere visti dal pubblico;
              creare una rete di amministrazioni pubbliche, dove la presenza di ibridi è stata riscontrata, al fine di stimolare la replica di esperienze di successo e il miglioramento di queste attività sperimentali  –:
          quali iniziative urgenti intenda intraprendere, anche di concerto con gli enti territoriali coinvolti, al fine di introdurre gli strumenti più idonei a garantire un giusto equilibrio tra la presenza del lupo e quella degli allevatori, per salvaguardare al tempo stesso le attività di reddito per le comunità locali e la conservazione e la valorizzazione delle peculiarità faunistiche ed ambientali del territorio;
          se le notizie citate in premessa e relative alle anticipazioni di stampa sul nuovo piano di conservazione e gestione del lupo in Italia corrispondano al vero;
          quali interventi urgenti, sempre in relazione a quanto esposto in premessa, stia promuovendo il Ministro interrogato per prevenire e contrastare il fenomeno dell'ibridazione lupo-cane e quali siano stati, fino ad oggi, i risultati ottenuti.
(5-08686)

Interrogazione a risposta scritta:


      DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO, TERZONI, MANLIO DI STEFANO, BASILIO, COMINARDI, ALBERTI, CARINELLI, TONINELLI, TRIPIEDI, PESCO, SORIAL, PETRAROLI e CASO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nel 2015 regione Lombardia ha espresso parere positivo in merito alla valutazione di impatto ambientale per il progetto di laminazione delle acque del Seveso, attraverso la costruzione di 3 vasche nel comune di Senago (Milano). A questa prima opera approvata seguiranno la costruzione di altri invasi lungo l'asta del Seveso, necessari secondo il progetto AIPO per la salvaguardia di Milano;
          il torrente Seveso è attualmente il terzo corso d'acqua più inquinato d'Europa e, secondo uno studio condotto da Arpa Lombardia, nel 2009, le acque del Seveso sono state classificate «scadenti e inadatte a qualsiasi tipo di uso», anche per la presenza di metalli pesanti come nichel, mercurio e zinco;
          la stessa relazione di valutazione di impatto ambientale classifica le acque del Seveso con grado «cattivo» o «scarso» secondo la classificazione LIMeco (VIA par. 4.3.2.1 Tab. 5) e alcuni campionamenti riportati nella documentazione di valutazione di impatto ambientale hanno rilevato la presenza, seppur nei limiti di legge, di metalli pesanti nelle acque e nei sedimenti del fiume Seveso (VIA par. 4.3.2.4.);
          più preoccupante risulta la presenza nei medesimi campioni di concentrazioni di crVI (cromo esavalente) superiore ai limiti di legge (~8 microgrammi/litro a fronte del limite di legge pari a 5 microgrammi/litro);
          il cromo esavalente è stato classificato dalla IARC (International Agency for Research on Cancer) come cancerogeno per l'uomo (classe 1) sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche;
          la regione Lombardia ha sviluppato un progetto di bonifica delle acque del fiume Seveso che però non potrà essere attuato a breve termine, mettendo potenzialmente a rischio la salute delle popolazioni residenti nelle zone adiacenti a quelle interessate dal progetto delle vasche;
          dal progetto finale presentato, riferito alla costruzione della prima opera a Senago, e dal provvedimento di valutazione di impatto ambientale (delibera regione Lombardia n.  1829 del 2015) emerge che il sedimento prodotto e accumulato sul fondo, a seguito dell'uso delle vasche, verrà rimosso tramite sbancamento meccanico solo se la quota di materiale depositato dovesse superare i 30 cm di altezza;
          appare quindi evidente il rischio che un deposito potenzialmente tossico inferiore ai 30 cm possa rimanere per lunghi tempi accumulato sul fondo vasca e disperso nell'ambiente a causa all'azione di agenti atmosferici  –:
          se il Governo non intenda valutare, per quanto di competenza e con il coinvolgimento della regione e degli enti locali, la possibilità di commissionare e finanziare uno studio, anche per il tramite dell'Ispra e dell'Istituto superiore di sanità, sulla dispersione degli inquinanti in fase antecedente alla costruzione della prima opera prevista dal progetto, con particolare riferimento al rischio che gli inquinanti cancerogeni potenzialmente tossici presenti nei sedimenti possano, in caso di dispersione in atmosfera (a causa dell'inutilizzo delle vasche e al dissolvimento prodotto da sole e vento), creare danno alle popolazioni residenti nelle zone adiacenti a quelle interessate dall'intero progetto. (4-13216)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


      GIANLUCA PINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il luogotenente dei carabinieri, Giovanni Morgese, fino a pochi giorni fa comandante del e nucleo comando della compagnia carabinieri di Ravenna, ha accettato di far parte della squadra dei tecnici che collabora con il candidato sindaco di Ravenna, Michela Guerra, alla stesura del suo programma;
          Giovanni Morgese ha conseguentemente assunto un incarico di natura politica, ancorché all'interno di una lista civica, che però concorre alle elezioni amministrative nel comune di Ravenna, senza che, per quanto consta all'interrogante risulti aver chiesto alcuna particolare autorizzazione alle autorità superiori;
          il luogotenente Morgese non si è peraltro candidato, circostanza che gli avrebbe imposto di chiedere una licenza straordinaria, paradossalmente però rendendo più trasparente la sua posizione;
          il luogotenente Morgese afferma di aver potuto assumere l'incarico senza esperire alcuna particolare procedura autorizzativa in quanto Michela Guerra guida una lista civica, denominata Movimento Civico Cambierà, che non ha rapporti con alcun partito politico nazionale;
          è tuttavia dubbio, a giudizio dell'interrogante, che le limitazioni cui soggiacciono i militari in divisa si applichino soltanto al caso dell'attività politica condotta all'interno di una formazione partitica nazionale;
          l'articolo 1483 del codice dell'ordinamento militare, in effetti, stabilisce chiaramente che «le Forze armate devono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche»;
          risulterebbe, inoltre, dal combinato disposto degli articoli 1350 e 1483 del citato codice dell'ordinamento militare che i membri delle Forze armate, singolarmente presi, possono svolgere liberamente attività politica o propaganda a favore di qualsiasi partito (non necessariamente nazionale) oppure iscriversi ad uno di essi, soltanto a queste tassative condizioni: che non svolgano attività di servizio; che non siano in luoghi militari o comunque destinati al servizio; che non indossino l'uniforme e non si qualifichino, in relazione ai compiti di servizio, come militari o non si rivolgano ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali;
          con queste norme si è intesa prevenire la politicizzazione delle Forze armate e dell'Arma dei carabinieri e tutelarne l'indipendenza, beni fondamentali in uno Stato di diritto, oltre a garantire ai cittadini candidati la non ingerenza delle forze dell'ordine nelle competizioni elettorali;
          vantando le proprie esperienze professionali, il luogotenente Morgese ha già espresso pubblicamente sulla stampa posizioni sulla situazione dell'ordine pubblico a Ravenna e le misure che occorrerebbe adottare per migliorarla, facendo a tutti gli effetti politica, mentre veste ancora la divisa;
          in seguito alla grande pubblicità data al caso ed alla richiesta specifica della Lega Nord ravennate, il luogotenente Giovanni Morgese è stato rapidamente trasferito ad altro incarico apparentemente di natura operativa, presso il comando provinciale di Forlì dell'Arma dei carabinieri;
          è stato dato rilievo da parte della candidata della lista civica alla quale Morgese ha aderito, che il trasferimento è avvenuto ad un incarico di prestigio, circostanza che non permetterebbe di qualificare il provvedimento come una forma di sanzione disciplinare  –:
          se il Governo abbia effettivamente «premiato» il luogotenente Giovanni Morgese, trasferendolo a Forlì, oppure abbia – in ossequio al codice dell'ordinamento militare – deliberato lo spostamento precisamente per evitare interferenze tra le attività territoriali dell'Arma a Ravenna e gli impegni politici del Morgese;
          di quali informazioni disponga il Governo in merito alle azioni intraprese nei confronti del luogotenente Morgese, e alle relative tempistiche, dal comandante provinciale dell'Arma dei carabinieri.
(4-13209)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      FEDRIGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la CDP Investimenti Sgr (CDPI Sgr) è attualmente interessata ad un progetto di social housing nella città di Ferrara, avendo deciso di investire 32,9 milioni di euro per contribuire alla costruzione di 268 alloggi sociali in un progetto di riqualificazione del Palazzo degli Specchi (detto anche Palaspecchi) di via Beethoven, ma le implicazioni della questione si stanno rivelando a quanto consta all'interrogante, poco limpide, tanto che le circostanze e le valutazioni di tale progetto sollevano nell'interrogante dubbi circa l'idoneità dei soggetti preposti all'amministrazione, alla direzione e al controllo della CDPI Sgr;
          CDPI Sgr gestisce il «Fondo Investimenti per l'Abitare» (FIA), un fondo immobiliare riservato ad investitori qualificati, operante nel settore del social housing, con la finalità di incrementare sul territorio italiano l'offerta di alloggi sociali per la locazione a canone calmierato e la vendita a prezzi convenzionati, a supporto ed integrazione delle politiche di settore dello Stato e degli enti locali. È stata costituita il 24 febbraio 2009 da Cassa depositi e prestiti, che la partecipa con una quota pari al 70 per cento, con un capitale sociale pari a 2 milioni di euro, ed è autorizzata alla prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, nonché è iscritta all'albo delle società di gestione del risparmio tenuto dalla Banca d'Italia, nella sezione dei gestori di FIA, secondo quanto stabilito all'articolo 35 del testo unico delle finanze (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.  58);
          il 25 giugno 2014, al Salone del Real Estate a Milano (EIRE), è stato sottoscritto un protocollo d'intesa tra il comune di Ferrara e la società Ferrara 2007 per il conferimento dei terreni, degli immobili sovrastanti e di circa 5 milioni di euro; CDPI Sgr, che con 32,9 milioni di euro è di gran lunga il socio di maggioranza, con il 75 per cento; ACER Ferrara, che dovrà gestire l’housing sociale e partecipa con una quota di 3,375 milioni di euro; Intercantieri Vittadello (2 milioni di euro) per le opere di costruzione. Il progetto prevede la riqualificazione del complesso «Ex Palazzo degli Specchi» e la realizzazione di 268 alloggi di edilizia residenziale sociale (ERS) da affittare a canone calmierato (circa 300 euro al mese), tranne una quota del 20 per cento destinata a vendita convenzionata, 110 posti letto per studenti e tremila metri quadrati destinati a servizi e al settore commerciale;
          la società Ferrara 2007 è proprietaria unicamente del complesso edilizio e, nonostante un capitale sociale di 10.000 euro, appare sostanzialmente una «scatola vuota», considerato l'importo del conferimento e il fatto che abbia diversi milioni di euro di tributi non pagati al comune di Ferrara;
          la convenzione stipulata tra il comune e la società Ferrara 2007 prevede un gravosa fideiussione a garanzia della costruzione della futura sede della polizia municipale: se la nuova casa dei vigili urbani – da erigere nel blocco del PalaSpecchi, inizialmente destinato ad albergo – non sarà realizzata, la società di Parsitalia (che, a sua volta, tramite la società Ferrara 2007 è la proprietaria dell'immobile) dovrà versare 6,8 milioni di euro nelle casse del comune;
          l'aggravarsi delle criticità di sicurezza pubblica, di ordine pubblico e di igiene e sanità pubbliche hanno spinto i cittadini residenti nelle vicinanze a fare una segnalazione all'azienda Usl di Ferrara che, in data 7 settembre 2015, ha redatto un atto (prot. n.  0052448), avente ad oggetto «esposto segnalazione di rischio incendi, rischio crollo, rischio sanitario, rischio incolumità verso terzi», in cui si mettevano in evidenza le disastrose criticità sanitarie e igieniche dell'edificio;
          già nel 2004, la perizia dell'architetto Paolo Gabbuti, asseverata al tribunale di Ferrara (in data 8 luglio 2004) e agli atti del comune di Ferrara, descriveva l'immobile in «uno state conservativo di un certo degrado», con «distacchi parziali di calcestruzzo» dalla facciata e di autorimesse «totalmente compromesse [...], completamente allagate per un'altezza di 130-150 cm [...] in cui si è persino notata la presenza di fauna ittica [...], con processi di salificazione irreversibili delle strutture portanti e delle murature»;
          nello stesso, dove da tempo si sono stabilite alcune decine di occupanti abusivi, sarebbero stati compiuti reati di devastazione e saccheggio, danneggiamento con incendio e crolli dolosi, già esposti alla competente Procura della Repubblica in data 19 aprile 2016;
          nel frattempo, il 28 gennaio 2016, è stata autorizzata una proroga (dal 31 dicembre 2015 al 31 marzo 2016) per l'avvio del progetto di riqualificazione, a causa di una presunta mancanza di liquidità, ovvero di 4-5 milioni di euro, pari al 10 per cento dei 43,9 milioni di euro di costo stimato per la riqualificazione del complesso;
          in data 12 marzo 2016, però, l'imprenditore Sergio Vittadello, titolare della succitata Intercantieri Vittadello Spa è stato arrestato con l'ipotesi di reato di corruzione;
          all'interrogante non appare chiaro se, in presenza di atti e fatti di simile gravità, portati alla luce in diverse occasioni anche dalla stampa locale e dalla televisione nazionale, la governance di CDPI Sgr abbia compiuto tutti gli atti prodromici volti a giustificare un investimento di decine di milioni di euro, di fondi anche pubblici, per la partecipazione a questo progetto  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se ritenga attinente alla finalità di Cassa depositi e prestiti, seppur tramite la CDPI Sgr, un investimento di così ingente importo in relazione alle condizioni economiche del progetto e valutato il mercato immobiliare in cui si collocherebbe;
          quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere al fine di tutelare lo Stato azionista di Cassa depositi e prestiti per l'80 per cento, e quindi la collettività, contro il potenziale pregiudizio che ne deriverebbe alle risorse pubbliche. (5-08690)

Interrogazione a risposta scritta:


      FEDRIGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          nonostante i dati governativi sulla ripresa, gli effetti della pesante e lunga crisi appena trascorsa investono ancora appieno famiglie e imprese: dopo anni di incertezza e di misure «lacrime e sangue», questi si ritrovano ancora con il peso di debiti non pagati e attivi là sull'orlo del lastrico da far ripartire;
          durante gli anni della crisi, infatti, non sono state adottate misure anticicliche con politiche di bilancio espansive e questo ha creato sicuramente delle ripercussioni pesantissime non soltanto sul ceto medio, costituito in gran parte da liberi professionisti, e piccoli imprenditori, ma soprattutto sulla fascia più povera, aumentando la percentuale di poveri che appartengono, a famiglie in condizione di grave deprivazione materiale che nel 2015 sono saliti all'11,5 per cento della popolazione;
          nello specifico, secondo i dati Istat, tra il 2014 e il 2012, l'incidenza di povertà assoluta è aumentata di circa 2 punti percentuali e la spesa per la protezione sociale della popolazione debole (10,4 per cento) non è invece aumentata, attestandosi a meno di 10 punti percentuali rispetto a quella di Francia e Germania; al pari, secondo i dati della Cgia, tra il 2010 e il 2014, la quota di nuclei familiari in cattive condizioni economiche è aumentata di 1,2 punti percentuali;
          ancora oggi, nel 2016, secondo i dati del «Rapporto sulla povertà in Italia» presentati dall'Istat in audizione alla Camera, davanti alle commissioni lavoro e affari sociali, ci sono un milione e 470 mila famiglie residenti in Italia che vivono in condizioni di povertà assoluta, ovvero 4 milioni e 102 mila persone pari al 6,8 per cento dell'intera popolazione del Paese;
          per quanto riguarda nello specifico le famiglie con reddito principale da lavoro autonomo, i dati Cgia di Mestre stimano che, nel 2015, il 24,9 per cento di queste ha vissuto con una disponibilità economica inferiore a 9.455 euro annui (soglia di povertà totale calcolata dall'Istat), ossia una su quattro si è trovata in una condizione di vita non accettabile;
          questa situazione si deve, anche, ad una pressione fiscale cresciuta ininterrottamente dal 2011 e che oramai è talmente alta, da far posizionare il nostro Paese, con una percentuale di imposizione fiscale del 49 per cento rispetto al prodotto interno lordo, al quarto posto in Europa per peso del fisco sui salari, senza una corrispondente crescita di servizi sociali;
          in questo contesto, il carico delle imposte indirette (il 13,8 per cento del totale del prelievo fiscale, rispetto al 19,5 per cento della media Ocse secondo dati 2012), seppur minore rispetto a quelle dirette, risulta comunque insostenibile per quella parte della popolazione in condizioni meno agiate, perché queste, applicandosi sulla ricchezza nel momento in cui viene spesa, colpiscono in maniera indiscriminata senza tener conto del livello reddituale;
          in ragione del principio costituzionale della progressività del sistema tributario sancito nell'articolo 53 della Costituzione, sarebbe quindi opportuno rimodulare l'intero carico della pressione fiscale derivante dalla tassazione indiretta al fine di proteggere in maniera più efficace, e soprattutto per l'acquisto di beni primari e dei servizi essenziali, quella parte della popolazione più in difficoltà;
          nell'ultimo documento di economia e finanza presentato dal Governo alla Camere, si prevede un riordino delle spese fiscali da operare nella prossima manovra di fine anno, volta a eliminare o rivedere quelle spese non più giustificate sulla base delle mutate esigenze sociali ed economiche o quelle che duplicano programmi di spesa pubblica;
          si renderebbe in realtà opportuno, rivedere la pressione fiscale derivante dall'imposizione indiretta, accanto ad una più generale riorganizzazione in maniera definitiva, concreta ed efficiente dell'intero sistema fiscale contributivo, in direzione di una vera semplificazione che attiri gli investimenti e non vessi i contribuenti  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno prevedere un particolare mandato riguardante le possibilità di rimodulazione delle imposte indirette da affidare alla commissione di esperti istituita dal Ministro delle economia e delle finanze con l'incarico di studiare le modalità con cui la riforma delle tax expenditures dovrà essere applicata, al fine di introdurre un sistema contributivo più equo e più attento alle difficili situazioni economiche che una parte della popolazione si trova ormai a dover affrontare;
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno affidare alla stessa commissione lo studio attinente al completo riordino dell'intero sistema contributivo, assumendo iniziative per prevedere anche una riforma totale e complessiva dell'intera materia, sia riguardo alle imprese che ai cittadini in generale, al fine di introdurre un criterio proporzionale di imposizione fiscale, con l'applicazione di un'aliquota fissa al 15 per cento e una deduzione fissa pari a 3.000 euro per ciascun contribuente o carico familiare, in modo da rispettare i principi costituzionalmente previsti della progressività dell'imposta e dell'uguaglianza sostanziale tra i cittadini, tenuto conto della loro condizione economica e sociale, al fine di combattere veramente l'evasione e l'elusione fiscale, data per lo più dall'enorme carico fiscale imposto nel nostro Paese. (4-13213)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'attività di autodemolizione concerne l'intera filiera della demolizione-rottamazione, frantumazione, del riciclo materiali e del recupero energetico (impianti industriali), di assoluto rilievo ambientale e produttivo, oltre che del settore dei trasporti in relazione alla disciplina prevista dal codice stradale;
          detta attività è sottoposta ad una pluralità di regole afferenti alla raccolta, alla messa in sicurezza, alla bonifica e allo smaltimento di materiali di diverso tipo (vetro, metallo, pneumatici, liquidi, e altro), nonché di rispetto delle norme a tutela dell'ambiente (prevenzione di inquinamento e contaminazione delle aree adibite all'autodemolizione);
          nell'ambito di tale settore si avvertono ormai da troppo tempo notevoli disagi che pongono in difficoltà la relativa categoria;
          sul versante dei trasporti, in particolare, si verificano gravi disagi per l'applicazione distorta o l'aggiramento della normativa vigente che stanno provocando lo spropositato aumento delle cosiddette radiazioni per esportazioni all'estero dei veicoli sottraendo materiale agli impianti. Nello specifico, infatti, la procedura di esportazione all'estero (di cui all'articolo 103 del decreto legislativo n.  285 del 1992), a differenza di quella di demolizione (di cui al decreto legislativo n.  209 del 2003, recante l'attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso), può essere condotta in assoluta autonomia da ciascun privato senza alcun tipo di controllo/autorizzazione e non presenta costi particolari per i proprietari che vogliono disfarsi del veicolo;
          essendo previsto, invero, che tutti i veicoli immatricolati siano registrati al Pubblico registro automobilistico, consegue che, in caso di demolizione o esportazione all'estero, debbono eseguirsi delle procedure che conducono alla cosiddetta radiazione del veicolo, ovvero alla sua esclusione dai registri del Pubblico registro automobilistico. Il veicolo, unitamente a targhe, libretto di circolazione e certificato di proprietà, va consegnato in un centro di raccolta autorizzato (o per il tramite di concessionario/rivenditore). Al momento della consegna il centro o il concessionario/rivenditore emette un «certificato di rottamazione». Entro 30 giorni il centro o il concessionario/rivenditore definisce la cancellazione dal Pubblico registro automobilistico del veicolo. Diversamente, in forza della normativa già richiamata, il proprietario/intestatario che vuole esportare il veicolo in via definitiva deve semplicemente richiedere al Pubblico registro automobilistico la «cessazione della circolazione per esportazione»;
          ne deriva che il veicolo esportato all'estero può essere reimmatricolato e quindi riutilizzato oppure, come può accadere a norma vigente, demolito-smaltito quindi utilizzato come rifiuto anche se, al momento dell'esportazione, non è stato trattato come rottame. Per cui la radiazione per esportazione finisce per rappresentare un sistema lecito e legale per aggirare le normative nazionali e europee nonché per favorire, indirettamente, la bilancia commerciale import/export di altri Paesi;
          ulteriori disagi si riflettono anche su altri aspetti come l'abbattimento del prezzo del rottame, in funzione anche dell'importazione di acciaio da Stati terzi, senza alcuna garanzia del rispetto delle norme ambientali e di tutela del lavoro e nell'assenza di regole certe nella filiera del fine vita del veicolo, che consentono comportamenti arbitrari da parte dei partner  –:
          se i Ministri interrogati, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, intendano porre in essere iniziative, anche di tipo normativo per porre rimedio ai gravi disagi rappresentati in premessa che pongono in gravi difficoltà la categoria degli autodemolitori che costituiscono una ricchezza produttiva del nostro Paese.
(5-08683)


      MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il tesserino di ingresso aeroportuale (T.I.A.) è un documento del quale devono essere obbligatoriamente muniti tutti gli operatori pubblici e privati, compreso il personale in uniforme ed in servizio aeroportuale delle amministrazioni dello Stato, per accedere nelle aree delle aerostazioni e loro pertinenze aperte al pubblico e va esposto in modo visibile per tutto il periodo in cui questi si trovino in tutte le aree dell'aeroporto;
          il ritiro o la sospensione del T.I.A. determinano l'impossibilità di un soggetto di accedere nelle zone aeroportuali per le quali è prevista l'obbligatorietà del possesso e dell'esposizione di tale documento; tale condizione determina anche l'impossibilità di svolgere quelle mansioni lavorative per le quali il soggetto è assunto;
          nel corso degli anni vi sono stati molteplici episodi nei quali ad alcuni lavoratori occupati in varie mansioni all'interno degli aeroporti è stato sospeso in via cautelativa il T.I.A. a causa di indagini preliminari avviate nei loro confronti;
          a causa della sospensione di cui sopra, i soggetti interessati si sono ritrovati nell'impossibilità a svolgere le proprie mansioni, condizione che in un tempo che è variato da caso a caso si è risolta con il licenziamento dei lavoratori coinvolti;
          nella quasi totalità degli episodi, gli indagati sono stati assolti con formula piena;
          a seguito dell'assoluzione, i lavoratori licenziati hanno chiesto la reintegrazione nel posto di lavoro ex articolo 18 legge n.  300 del 1970;
          nelle varie sentenze seguite alle richieste di reintegro è emerso che il licenziamento è legittimo, tanto che nella sentenza della Corte di cassazione n.  19613 del 17 settembre 2014 è possibile leggere che «Giova ricordare che il recesso di cui è causa risulta intimato per impossibilità sopravvenuta della prestazione, dopo una sospensione del rapporto di lavoro di circa un anno in conseguenza del provvedimento adottato dall'Enac che aveva sospeso la validità delle tessera di accesso all'area aeroportuale in possesso del lavoratore (in conseguenza di un accertamento penale ai danni del [...] per il reato di furto), documento essenziale per lo svolgimento dell'attività lavorativa come comunicato immediatamente al lavoratore dalla società Aeroporti di Roma. Non si tratta, pertanto, di un licenziamento disciplinare ma di un recesso intimato in conseguenza dell'accertata impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione convenuta contrattualmente in virtù di un provvedimento non emesso dal datore di lavoro ed estraneo alla sua sfera di influenza come il rilascio del tesserino di accesso, nell'area aeroportuale riservato, anche per ragioni di sicurezza pubblica, all'Enac»;
          giuridicamente è inopinabile secondo l'interrogante quanto sentenziato dalla Corte di Cassazione; è oggettivo il fatto che molti lavoratori hanno perduto il proprio posto di lavoro pur non avendo commesso nessun tipo di reato, essendo stati assolti con formula piena;
          è legittimo affermare che i lavoratori aeroportuali licenziati, anche se assolti dai reati a loro contestati, hanno subito un danno sia morale che economico;
          risulta presentata al Senato, durante la seduta pomeridiana n.  68 del 16 luglio 2013, la petizione n.  325 con titolo breve «Tutela dei dipendenti di società aeroportuali sospettati di reati lavoro e poi assolti», il cui testo cita «Il signor Moreno Cristofori, di Caprarola (Viterbo), chiede misure a tutela dei dipendenti di società aeroportuali sospettati di aver compiuto reati sul posto di lavoro, indi sospesi e non reintegrati in servizio nonostante il successivo proscioglimento o la sentenza di assoluzione» che la petizione tratta uno dei vari casi di licenziamento avvenuti a causa di sospensione del T.I.A. ai danni di lavori del settore aeroportuale  –:
          se sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
          quali iniziative intenda avviare nell'immediato, per quanto di competenza, a tutela dei lavoratori aeroportuali di cui in premessa;
          come intenda agire, anche nel piano normativo, affinché siano evitati episodi simili in futuro. (5-08689)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


      RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo gli ultimi dati disponibili e resi noti dal Ministero dell'interno, a Cascina, in provincia di Pisa, risulterebbero ospitati nelle strutture di accoglienza cosiddetta temporanea complessivamente 35 richiedenti asilo e precisamente 8 in un appartamento in via De Gasperi, 23 a S. Benedetto Casello Idraulico e 6 in un altro appartamento in Via Carraia;
          pochi giorni fa sono giunti improvvisamente a Cascina ulteriori 32 immigrati, pare sempre richiedenti asilo, che sono stati subito alloggiati alla villa della Tinaia in via Santa Maria sud, in un fabbricato di proprietà della signora Del Punta e gestito dall'srl «Gestione Immobiliare srl» del signor Cesare Merciai, che si è aggiudicata numerosi bandi per la gestione dei profughi anche in diversi comuni, non solo della regione Toscana;
          dai quotidiani locali si apprende che i residenti di via Santa Maria sud, una strada senza neanche illuminazione pubblica, siano perciò molto preoccupati dall'improvviso e inaspettato arrivo degli immigrati, liberi di girare senza alcun controllo nella zona;
          il presidente della società a responsabilità limitata, Cesare Merciai, pare sia stato già coinvolto in casi di inadeguata gestione dei servizi di accoglienza dei richiedenti asilo, avendo in passato collaborato con la cooperativa Xenia; ad esempio, a Quinto, in provincia di Treviso, il sindaco emanò ordinanza di sgombero per i 101 immigrati ospitati in alcuni appartamenti dalla stessa cooperativa Xenia;
          a seguito delle segnalazioni da parte di alcuni residenti preoccupati per l'evolversi della situazione dopo l'avvenuto accoglimento dei 32 richiedenti asilo all'interno della villa della Tinaia e delle successive verifiche da parte di alcuni consiglieri di opposizione, il sindaco non riusciva a fornire precise delucidazioni; risulterebbe all'interrogante che già in data 4 aprile 2016 la proprietaria del fabbricato aveva presentato una comunicazione di inizio lavori per interventi di straordinaria manutenzione e di adeguamento igienico-sanitario del «fabbricato rurale» e di adeguamento del sistema fognario;
          soprattutto, dagli elaborati grafici del progetto che prevedeva la realizzazione di numerosi vani magazzino e relativi servizi igienici, pare che già allora vi fosse il progetto di costruire delle camere con bagni da adibire ad alloggi;
          dunque, da quanto sopra ne deriverebbe che, in seguito al bando della prefettura, attualmente a Cascina siano stati alloggiati 32 immigrati in un fabbricato rurale e sia stata autorizzata la permanente dimora in locali adibiti a magazzini; non è noto, tra l'altro, se sia avvenuta la riscossione da parte del comune dei relativi oneri di urbanizzazione;
          con riguardo all'accoglienza nelle strutture temporanee di accoglienza, i controlli dovrebbero essere effettuati dalle prefetture che assegnano gli appalti, ma nella pratica il monitoraggio e il controllo degli enti gestori, dell'affidamento, dell'erogazione e della tracciabilità dei servizi di accoglienza, ma anche delle effettive presenze onde evitare indebite erogazioni di denaro, presenta, secondo l'interrogante, elevate criticità per l'assenza di controlli strutturati, di idonei organismi di sorveglianza ed uniformi procedure di assegnazione  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra riportato e se tali circostanze trovino conferma; in particolare, quale sia l'effettivo numero e la nazionalità dei richiedenti asilo ospitati nelle strutture di accoglienza a Cascina, distintamente i centri sopra indicati; se ed eventualmente quando siano previsti ulteriori arrivi nel comune, chi siano esattamente gli enti gestori, quali le somme erogate per i servizi di accoglienza ciascuna e i proprietari dei locali; se tutte le strutture siano, in regola con i requisiti igienico-sanitari e di sicurezza previsti dalla normativa vigente e quali siano stati i controlli effettuati in merito; se risulti al Governo l'immobile di villa della Tinaia che vi sia la certificazione di agibilità dei locali; quali siano le procedure di cui si è avvalsa la prefettura competente per l'assegnazione dei servizi di accoglienza; se gli immigrati ospitati complessivamente a Cascina abbiano presenta o domanda di asilo, a quale punto sia la procedura per l'esame della domanda ed eventualmente se vi siano stati rigetti delle domande o riconoscimenti di protezione internazionale; se alcuni immigrati abbiano precedenti penali e, infine, se e quali misure siano state previste e attivate, nell'ambito degli accordi tra il sindaco di Cascina e la prefettura, a tutela della sicurezza dei cittadini. (4-13212)


      NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA e MANNINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          come già ampiamente descritto tramite l'interrogazione a risposta scritta presentata alla Camera dei deputati n.  4-09911, secondo gli interroganti vi sarebbero numerosi dubbi circa la legittimità delle «selezioni pubbliche per il conferimento di quattordici incarichi dirigenziali a tempo determinato per anni uno ex articolo 100, comma 1, del decreto legislativo n.  267 del 2000», fatte dal comune di Palermo e pubblicate sul sito internet del comune in data 28 dicembre 2014;
          in particolare si richiama il fatto che, secondo quanto stabilito dal «Regolamento sull'Ordinamento degli Uffici e dei Servizi — Parte II: Acquisizione risorse umane e progressioni di carriera» del comune di Palermo (modificato pochi mesi prima della selezione medesima), in particolare agli articoli 50 e 51 relativi alle assunzioni a tempo determinato per copertura posti in dotazione e fuori dotazione organica, si prevede che i curricula vengano inviati al sindaco il quale individua, a suo insindacabile giudizio tramite formale provvedimento motivato, i vincitori;
          una recente sentenza del tribunale amministrativa regionale della Puglia n.  03661/2015 in data 21 dicembre 2015, in merito ad un caso similare a quello sopra citato, stabilisce che: «– secondo il preferibile orientamento della giurisprudenza l'articolo 110 del t.u.e.l., nel consentire agli enti locali di affidare incarichi di responsabilità dirigenziale con contratti a tempo determinato, non esonera gli enti stessi dallo svolgere procedure le quali, pur inassimilabili a un concorso pubblico in senso stretto, hanno comunque una valenza para-concorsuale: diversamente opinando, ovvero qualificando la selezione di cui all'articolo 110, comma 1, t.u.e.l. quale scelta intuitu personae, risulterebbe assai dubbia la compatibilità costituzionale della norma de qua in riferimento all'articolo 97, commi 2 e 4, Cost., [...] – l'osservanza dei principi di trasparenza, imparzialità e par condicio della selezione in parola avrebbe dunque imposto la predeterminazione [...] di concreti e puntuali parametri di apprezzamento: nel caso di specie, al contrario, l'avviso pubblico prevedeva criteri assolutamente generici e inidonei in merito alla valutazione dei curricula dei candidati (valutazione peraltro demandata, dall'Avviso pubblico, al Segretario Comunale, che invece si limitava a una riepilogazione sinottica degli stessi), sicché il Sindaco (il quale peraltro, come già scritto, avrebbe dovuto provvedere previa valutazione del Segretario Comunale) operava con discrezionalità tecnica pressoché assoluta, sì da risultare minata la trasparenza e l'imparzialità del suo operato [...]»;
          secondo l'interrogante, dunque, la normativa imporrebbe nelle selezioni pubbliche, incluse quelle per incarichi dirigenziali a tempo determinato, procedure che non lascino ampi margini di discrezionalità al sindaco, diversamente da quanto attualmente consentito dal citato regolamento del comune di Palermo;
          il decreto legislativo n.  39 del 2013, articolo 7, comma 2, lettera b) stabilisce che «[...] A coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti: a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione; b) gli incarichi dirigenziali nelle medesime amministrazioni di cui alla lettera a);
          inoltre, una recente delibera dell'Autorità nazionale anticorruzione, n.  294 del 2016 del 9 marzo 2016, avente oggetto «Provvedimenti conseguenti all'accertata inconferibilità di un incarico dirigenziale interno di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti a soggetto già componente del consiglio di amministrazione con deleghe gestionali dirette di un ente di diritto privato in controllo pubblico da parte del comune medesimo», stabilisce che l'incarico dirigenziale con contratto a tempo indeterminato, se conferito successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo n.  39 del 2013, è «inconferibile, ai sensi dell'articolo 7, comma 2, lettera b), per il ricorrere della condizione per la quale «a coloro che nell'anno precedente siano stati presidente o amministratore delegato [...] di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di comuni non possono essere conferiti incarichi dirigenziali nell'amministrazione di un comune con popolazione a 15.000 abitanti»»;
          agli interroganti risulta che alcuni dei soggetti vincitori della selezione per dirigenti a tempo determinato di cui in premessa ricadrebbero nella fattispecie di cui al decreto legislativo n.  39 del 2013, articolo 7, comma 2, lettera b), in quanto ricoprono o hanno ricoperto sino a poco prima di ricevere incarichi dirigenziali presso il comune di Palermo, cariche all'interno degli organi di governo di società partecipate dal medesimo ente; in particolare, risulterebbe che:
              Mario Li Castri, nominato dirigente tecnico all'ufficio riqualificazione urbana e delle infrastrutture, sarebbe attualmente amministratore unico della società strumentale Energy Auditing s.r.l., di proprietà del comune di Palermo tramite la partecipata AMG Energia s.p.a., nonché membro del consiglio di amministrazione della società AMG GAS S.R.L, partecipata al 20 per cento dal comune di Palermo tramite la stessa AMG Energia S.p.A.; inoltre, in passato avrebbe ricoperto anche la carica di membro del Consiglio di Amministrazione di AMG Energia s.p.a.;
              Antonino Rera, nominato dirigente dell'ufficio economato, in passato avrebbe ricoperto la carica di membro del Consiglio di Amministrazione della società AMG Energia s.p.a.;
              Giuseppe Monteleone, nominato dirigente allo sportello unico, in passato avrebbe ricoperto la carica di membro del consiglio di amministrazione di AMAP s.p.a., partecipata quasi interamente dal comune di Palermo;
          similmente il sindaco, tramite determina sindacale n.17/ds del 17 gennaio 2015, ha nominato Diego Bellia, attualmente membro del Consiglio di amministrazione di AMAT Palermo s.p.a. partecipata al 100 per cento dal comune di Palermo, e Fabio Giambrone, attualmente presidente del consiglio di amministrazione di GESAP s.p.a. partecipata per oltre il 31 per cento del comune di Palermo, rispettivamente a capo dell'ufficio delle relazioni interne e a capo dell'ufficio relazione esterne, con trattamento economico parametrato a quello dirigenziale;
          al capo VII «Vigilanza e sanzioni» del decreto legislativo n.  39 del 2013, gli articoli 15 e 16, stabiliscono precisi obblighi di vigilanza in capo al responsabile anticorruzione presso ogni amministrazione pubblica nonché in capo all'Autorità nazionale anticorruzione: in particolare, i primi devono contestare all'interessato l'esistenza o l'insorgere di situazioni di inconferibilità o incompatibilità, segnalare i casi di possibile violazione delle disposizioni del presente decreto all'Autorità nazionale anticorruzione, all'Antitrust e alla Corte dei Conti; mentre all'ANAC è conferito l'obbligo di vigilanza e l'esercizio di poteri ispettivi e di accertamento ed eventualmente l'obbligo di sospensione, su segnalazione o d'ufficio, del conferimento dell'incarico in caso di supposta violazione;
          tra le sanzioni previste all'articolo 18 del citato decreto legislativo, per coloro che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli, vi è la responsabilità per le conseguenze economiche degli atti adottati e l'impossibilità per tre mesi di conferire gli incarichi di loro competenza: nei casi specifici sopra descritti, l'organo conferente sarebbe, tra gli altri, il sindaco del comune di Palermo, Leoluca Orlando, alle cui responsabilità si affiancano le eventuali responsabilità in capo alla giunta comunale ed altri soggetti dell'amministrazione comunale  –:
          se non si intenda adottare ogni iniziativa di competenza in particolare di carattere ispettivo, in relazione a quanto descritto in premessa, anche alla luce della disciplina di cui all'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n.  165 del 2001. (4-13217)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


      LOSACCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la notizia dell'arresto di due maestre di una scuola materna pubblici: di Bari presso il quartiere Santo Spirito per maltrattamenti ai danni di alunni in età compresa tra i due anni e mezzo e i tre anni e mezzo di età ha suscitato enorme indignazione nella opinione pubblica;
          i bambini, come riportato dai mezzi di informazione, sarebbero stati schiaffeggiati, strattonati, presi a calci, hanno subito forti scossoni alle braccia;
          addirittura una delle due maestre arrestate per maltrattamento avrebbe spinto «così forte una bimba da farla sbattere di peso contro un banchetto, per poi rimbalzare all'indietro, perdere l'equilibrio e cadere in avanti, a pancia in giù, finendo rovinosamente con tutto il corpo e la faccia sul pavimento, rimanendo esanime per alcuni minuti, senza emettere gemiti o suoni di alcun tipo»;
          i reati contestati alle due arrestate risultano aggravati dall'avere commesso il fatto sia in violazione dei doveri inerenti all'esercizio di una funzione pubblica, quale quella educativa, all'interno di un istituto pubblico di formazione, sia dall'avere approfittato di circostanze di tempo, di luogo e di persona, anche in riferimento alla tenera età dei bambini, tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, avendo le due maestre perpetrato le condotte in un'aula dotata di porta metallica, priva di vetri, così da non consentire a terzi di scorgere quanto accadesse al suo interno;
          le indagini, partite dalla segnalazione da parte dei genitori dei bambini, secondo la procura, avrebbero accertato l'abitudine del ricorso alla violenza, sia psicologica sia fisica, da parte delle due arrestate in danno dei piccoli allievi loro affidati, assunto quale usuale metodo educativo. E sono tuttora in corso al fine di accertare eventuali responsabilità di altri soggetti;
          tra il 31 marzo e il 22 aprile 2016 i carabinieri avrebbero accertato 37 episodi di maltrattamenti compiuti in 13 giorni effettivi di lezione;
          purtroppo non è il primo caso che sale alla ribalta sulle cronache nazionali e sempre più spesso si segnalano abusi ai danni di soggetti fragili come i bambini;
          da tempo si dibatte sulla opportunità di installare delle videocamere all'interno dei plessi scolastici al fine di prevenire atti e comportamenti violenti;
          sarebbe opportuna anche una formazione più attenta ai profili psicologici degli insegnanti anche a tutela delle altissime professionalità che si registrano nel nostro sistema scolastico considerato che una minoranza violenta non può minare la credibilità di un intero corpo docente  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare per evitare il ripetersi di simili episodi, nonché se intenda valutare se sussistano i presupposti per assumere iniziative volte a installare nelle scuole materne sistemi di videocamere in grado di monitorare la sicurezza dei bimbi. (3-02259)

Interrogazione a risposta scritta:


      SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto ministeriale n.  249 del 10 settembre 2010 è stato istituito il tirocinio formativo attivo (TFA), percorso di formazione degli insegnanti nato per sostituire le scuole di specializzazione all'insegnamento secondario (SSIS) chiuse nel 2008;
          ai sensi dell'articolo 3 commi 2 e 3, di tale decreto è stato attivato anche il percorso di tirocinio formativo attivo per gli abilitati in «strumento musicale nella scuola secondaria di I grado»;
          si tratta della classe di concorso A056, ex A077;
          dunque, nonostante fossero in possesso del diploma di conservatorio di vecchio ordinamento (dello stesso valore di una qualsiasi altra laurea magistrale), i docenti di strumento musicale hanno dovuto dapprima sostenere una serie di prove selettive analoghe a quelle svolte dagli altri insegnanti in formazione con il tirocinio formativo attivo, per poi proseguire con un percorso formativo triennale composto da un biennio specialistico ad indirizzo didattico ed un anno di tirocinio formativo attivo;
          il numero di prove sostenute e di ore di formazione previste, oltre che la quantità di impegno da profondervi, travalica ampiamente il livello richiesto ai precedenti bienni per la formazione docenti, con i quali si sono abilitati finora i docenti;
          nel 2013 sono poi stati istituiti i percorsi abilitanti speciali (PAS), che inizialmente non erano previsti per la classe di concorso di strumento musicale;
          nell'anno accademico 2013/2014, tuttavia, i PAS vennero attivati anche per l'allora classe di concorso A077;
          in tal modo il calcolo del fabbisogno per l'accesso all'insegnamento è stato falsato e alterato, con abilitati attraverso PAS in certi casi fino a dieci volte più numerosi degli abilitati con tirocinio formativo attivo;
          il Ministero ha provato a «risarcire» i docenti abilitati con tirocinio formativo attivo vittime di questa situazione con la previsione, all'interno del decreto ministeriale n.  353 del 2014, del cosiddetto «bonus TFA»;
          per gli abilitati ai sensi dell'articolo 15 comma 1 del decreto ministeriale n.  249 del 2010 esso è stato quantificato in 42 punti, mentre per gli abilitati ai sensi dell'articolo 3, comma 3, dello stesso decreto esso ammonta in 66 punti;
          nel decreto ministeriale n.  353 del 2014, però, gli abilitati in strumento musicale vengono prima presi in considerazione nei primi due capoversi dell'articolo 5, comma 1, e poi inspiegabilmente esclusi dall'applicazione del bonus al terzo capoverso dello stesso comma;
          ciò è avvenuto attraverso il rimando all'utilizzo di un allegato obsoleto ed inutile ai fini valutativi che ci si prefiggeva;
          è del tutto evidente il legittimo affidamento maturato dagli abilitati in questione e derivante dalla relazione tra i posti banditi nei conservatori per l'ammissione al biennio ad indirizzo didattico per la classe di concorso A077 e il fabbisogno di docenti a livello regionale; si parla di tre anni di studio, corsi, esami, tesi di laurea, tirocinio, relazione finale, esame finale e di tutte le energie fisiche, intellettuali ed economiche investite in questo percorso;
          tra l'altro l'articolo 3, comma 6, del decreto ministeriale n.  249 del 2010 prevede l'incompatibilità con qualsiasi altro corso universitario, il che implica la rinuncia a qualsiasi altra prospettiva universitaria e di alta formazione artistica e musicale  –:
          quali iniziative intenda il Ministro assumere per garantire il pieno riconoscimento del valore concorsuale dell'esame per l'ammissione ai suddetti corsi sostenuto dagli abilitati negli anni accademici 2014/2015 e 2015/2016 nella classe di concorso A077;
          se non ritenga opportuno, a tal fine, assumere iniziative per istituire un doppio canale di assunzione e una nuova di tabella di valutazione che tenga conto sia della selettività del tirocinio formativo attivo che della valutazione dei titoli artistici. (4-13208)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          sono stati già presentati una serie di atti di sindacato ispettivo per richiedere i dati relativi alla salvaguardia dei cosiddetti «esodati ex postali», categoria avente decorrenza pensionistica oltre il 2018 e costituita per la maggior parte da donne che hanno lasciato il loro posto di lavoro con accordo individuale di esodo con Poste Italiane spa, entro il 31 dicembre 2011; al riguardo, è necessario conoscere il numero di tali persone per individuare le risorse finanziarie necessarie ai fini della salvaguardia. Questa categoria di esodati non ancora tutelati possiede tutti i requisiti soggettivi per una futura e definitiva salvaguardia, difatti, a fronte delle istanze presentate da queste persone, in occasione della settima salvaguardia, la direzione territoriale del lavoro ha confermato il possesso di tali requisiti definendoli «potenziali beneficiari»;
          tuttavia, pur se riconosciuti come aventi diritto alla salvaguardia, ad oggi, sono stati ingiustamente esclusi poiché il diritto previdenziale matura in data successiva al 2018, a cui si perviene a causa del progressivo incremento dell'aspettativa di vita, particolarmente penalizzante per le donne e non previsto al momento in cui sono stati sottoscritti gli accordi di esodo, ossia entro il 31 giugno 2011. Sul punto, tra l'altro, l'interrogante ha recentemente presentato una risoluzione in commissione, lavoro (risoluzione n.  7/00983) per l'abolizione dell'incremento dell'aspettativa di vita, che si basa su parametri previsionali e non reali, come dimostrano i recenti dati che attestano un calo dell'aspettativa di vita;
          altra questione che ha impedito la salvaguardia di questa categoria è l'impossibilità di riconoscere, ufficialmente, la loro consistenza numerica. Nonostante le continue richieste effettuate dai diretti interessati a Poste Italiane, per l'inclusione in future salvaguardie, ad oggi, a quanto consta all'interrogante, non sono pervenute comunicazioni ufficiali. Ad ogni modo, a quanto è dato sapere, le persone in attesa di tutela non raggiungono complessivamente le 250 unità e tale limitato numero non pregiudicherebbe certamente la relativa copertura finanziaria attraverso il fondo appositamente istituito per gli esodati, a cui dovranno confluire le risorse non utilizzate nelle precedenti salvaguardie per poter finanziarie un'ottava e definitiva salvaguardia;
          preso atto di tale difficoltà, a quanto consta all'interrogante, il Comitato esodati postali «over 2018» ha fatto richiesta al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di individuare il dato numerico dalle direzioni territoriali del lavoro presenti sul territorio, in quanto le stesse sono depositarie degli accordi di esodo. Anche tale richiesta ha avuto esito negativo poiché, a quanto è dato sapere, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha eccepito che la sottoscrizione di accordi individuali che hanno determinato la risoluzione del rapporto di lavoro impedisce di attingere al dato numerico necessario per programmare la copertura finanziaria e sebbene sia riconosciuta la legittima tutela per tale categoria. Va però evidenziato che tutti gli esodati postali già salvaguardati hanno anch'essi sottoscritto accordi individuali e ciò, dunque, non ha impedito la concreta estensione della tutela;
          ebbene, non è ammissibile per l'interrogante che la categoria in questione venga discriminata e non coperta dalla dovuta salvaguardia, poiché non si sta procedendo ad assumere le iniziative necessarie per ottenere il numero di questa platea di esodati; tale dato è certamente individuabile, anche in considerazione delle istanze non accolte dei lavoratori ex postali sui report dell'Inps relativi alle salvaguardie  –:
          quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;
          se e quali iniziative intenda adottare per individuare definitivamente il numero degli esodati ex postali, aventi decorrenza pensionistica oltre il 2018 e nati dopo il 31 dicembre 1956, al fine di includerli quali beneficiari dell’«ottava salvaguardia».
(5-08687)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BURTONE, CAPONE, GINEFRA, BATTAGLIA e CUOMO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          La prospettata approvazione dell'atto di indirizzo per il rinnovo della convenzione dei medici di medicina generale e dei pediatri, parte dall'esigenza di una migliore ed efficace organizzazione del servizio sul territorio;
          tuttavia esiste, la necessità di un ulteriore approfondimento per quanto concerne l'assistenza medica notturna che fino ad oggi viene svolta dai cosiddetti medici di guardia;
          la questione è molto delicata e riguarda l'organizzazione della continuità assistenziale e della rete della cosiddetta emergenza-urgenza;
          le organizzazioni sindacali paventano che la chiusura delle postazioni di guardia medica così come sono strutturate attualmente, abbia come conseguenza il ricorso anche in maniera impropria al 118 e il conseguente intasamento dei pronto soccorso;
          il problema si pone in particolare per i piccoli centri, con una incidenza di popolazione anziana superiore alla media, lontani da presidi ospedalieri;
          va fatto inoltre presente che spesso il 118 è organizzato con ambulanze non medicalizzate e questo in molti casi rappresenta un rischio per l'efficacia del soccorso;
          non va inoltre dimenticato che l'articolazione territoriale dell'assistenza medica del nostro Paese non è omogenea e i servizi di medicina del territorio variano da punte di eccellenza ubicate prevalentemente al centro-nord alle enormi criticità del Mezzogiorno;
          si chiede pertanto di sapere quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo per un ulteriore approfondimento della questione e per far sì che il servizio    di continuità dell'assistenza medica non abbia falle pericolose nella fascia oraria dalle 24 alle 8 del mattino, lasso di tempo ad alto rischio, e se non ritenga opportuno di assumere iniziative di competenza per rivedere anche l'organizzazione della emergenza — urgenza assicurando che il 118 in ogni regione abbia ambulanze medicalizzate.
(5-08688)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BUSINAROLO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la vicenda del signor Ciro Rinaldi, dipendente dell'ispettorato territoriale Emilia-Romagna del Ministero dello sviluppo economico-comunicazioni che, nel 2011, denunciò il comportamento anomalo di alcuni colleghi, avendo riscontrato diverse anomalie, ovvero allontanamenti ed assenze ingiustificate dagli uffici durante il normale orario di lavoro, è stata oggetto di una interrogazione parlamentare, la n.  4/05948 del 9 settembre 2014, presentata dalla sottoscritta quale prima firmataria;
          a seguito di tale denuncia, da cui partirono le indagini da parte della Guardia di finanza, sono state indagate 34 persone (tra cui 4 capi-settore) e, chiuse le indagini, il pubblico ministero ha richiesto il rinvio a giudizio per 9 persone, con l'accusa di truffa ai danni dello Stato;
          a causa della denuncia il signor Rinaldi è stato oggetto di continue vessazioni minacce, nonché destinatario di un procedimento disciplinare, poi tempestivamente impugnato;
          da notizie di cronaca (vedasi Il Resto del Carlino del 14 aprile 2016) si apprende che di recente il Tribunale di Bologna ha emesso la sentenza n.  50/16 dell'11 gennaio 2016, con la quale sono stati condannati a 14 mesi di reclusione ciascuno dei nove tra gli impiegati assenteisti dell'ispettorato regionale del Ministero dello sviluppo economico con sede in via Nazario Sauro;
          risultano davvero sconcertanti le giustificazioni dei lavoratori «fannulloni» riportate nelle 54 pagine della motivazioni depositate e riportate nella sentenza. «Non ho mai avuto un buon rapporto con il badge... io l'ho odiato il badge... è sempre stata una cosa che mi ha creato un grandissimo disagio... forse perché mi sembrava di essere uno spirito libero, mi sembrava di essere controllata...» dichiarava uno degli imputati, oppure: «... mentre un'altra indagata, a cui era stato contestata la timbratura del badge del 6 novembre 2009, alle 7,35 del mattino, giorno in cui invece risultava in ferie, rispondeva: “Ma guardi, se ero in congedo può darsi che sia entrata per andare in bagno se ero in giro, non lo so... magari sono passata in ufficio... potrebbe essere tutto e l'esatto contrario di tutto”»;
          dalle indagini condotte dalla Guardia di finanza, che hanno inchiodato gli assenteisti, è emerso che i dipendenti si recavano a fare la spesa, in palestra o effettuavano timbrature irregolari dei cartellini;
          nelle motivazioni della sentenza l'intera vicenda è descritta come un «sistema sconcertante, il cui fulcro era l'allora direttore, dell'ufficio, ing. Marco Cevenini, il quale «autorizzò, tollerò e incoraggiò», secondo il giudice, alcuni comportamenti illeciti degli imputati e inoltre : «... Non si comprende bene – continua il giudice – perché Cevenini non sia stato imputato quale concorrente morale negli illeciti dei dipendenti.»;
          appare dunque anomalo all'interrogante che nessun provvedimento sia stato attivato nei confronti del direttore Cevenini, tenuto a vigilare sul comportamento dei dipendenti  –:
          se siano a conoscenza dei fatti citati in premessa e se e quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, in relazione alla vicenda sopra descritta, allo scopo di garantire le tutele di cui all'articolo 54-bis del decreto legislativo n.  165 del 2001 nei confronti del signor Ciro Rinaldi, che ha contribuito a smascherare il giro di assenteismo sopra esposto, e se in particolare si ritenga che sussistano i presupposti per l'avvio di iniziative ispettive anche ai sensi dell'articolo 60, comma 6, del medesimo decreto legislativo. (5-08685)

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Guidesi n.  4-12913, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  610 del 20 aprile 2016.

      GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 10, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  633, individua le operazioni esenti. In particolare, il n.  18 di tale norma individua le prestazioni in materia sanitaria, per le quali sussiste l'esenzione dal tributo così disponendo: «le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell'esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell'articolo 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n.  1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro delle finanze»;
          fino al 2002 le prestazioni rese dai massofisioterapisti diplomati erano esenti dall'imposta sul valore aggiunto, a condizione che fossero rese in base ad una prescrizione medica, in forza di quanto statuito dal decreto ministeriale 21 gennaio 1994;
          tale decreto è stato, tuttavia, abrogato, dal decreto ministeriale 17 maggio 2002, il quale, in attuazione sempre del disposto di cui all'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n.  633 del 1972, ha, sostanzialmente, ristretto l'ambito di operatività dell'esenzione alle prestazioni rese dai fisioterapisti;
          in questo scenario, però, occorre rammentare che – in seguito alle riforme del sistema di formazione universitaria e professionale la professione del massofisioterapista è stata equiparata a quella del fisioterapista;
          secondo il decreto ministeriale 27 luglio 2000, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  191 del 16 agosto 2000, al diploma universitario di fisioterapista equivale, tra gli altri, anche il diploma di massofisioterapista, conseguito entro il 17 marzo 1999, in seguito ad un corso triennale di formazione specifica effettuato ai sensi della legge 19 maggio 1971, n.  403;
          il decreto 17 maggio 2002 «conferma l'esenzione per gli operatori sanitari, indicati nel richiamato decreto interministeriale del 21 gennaio 1994, che sono in possesso di titoli non ancora riconosciuti equivalenti ai sensi del comma 2 dell'articolo 4 della legge n.  42 del 1999»;
          successivamente, in attuazione della legge 26 febbraio 1999, n.  42, articolo 4, comma 2, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.  50 del 2 marzo 1999, in base all'accordo Stato-regioni 10 febbraio 2011 e al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 luglio 2011, i titoli massofisioterapista conseguiti entro il 17 marzo 1999, da corsi attivati entro il 31 dicembre 1995, in seguito ad un corso biennale di formazione specifica effettuato ai sensi della legge 19 maggio 1971, n.  403, sono resi equivalenti al diploma universitario di fisioterapia;
          ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, dunque, è agevole costruire il seguente sillogismo: 1) tutte le prestazioni sanitarie rese dai fisioterapisti sono esenti dall'applicazione dell'iva; 2) i massofisioterapisti in possesso di un diploma conseguito in seguito a corso biennale e triennale di formazione anteriormente al 17 marzo 1999 sono equiparati ai fisioterapisti; 3) le prestazioni rese dai citati massofisioterapisti sono esenti dall'imposta sul valore aggiunto. Restano escluse dall'operatività di questa esenzione tutte le prestazioni rese da massofisioterapisti in possesso di titoli di formazione diversi da quello menzionato;
          applicando i principi di diritto espressi dalla Corte di giustizia europea nel caso di specie, emerge che la scelta di tenere distinta la condizione giuridica e fiscale dei massofisioterapisti ante riforma da quella propria dei massofisioterapisti post riforma viola due importanti limiti che la Corte di giustizia europea ha posto al potere discrezionale degli Stati di definire le nozioni di prestazioni mediche e paramediche ai sensi dell'articolo 13, parte A, n.  1, lettera C), della sesta direttiva;
          riguardo al primo limite (in base al quale, in virtù dell'obiettivo perseguito dalla suddetta disposizione comunitaria, l'esenzione IVA è ammessa a favore delle prestazioni mediche che presentino un livello di qualità sufficiente tenuto conto della formazione professionale dei prestatori), viene evidenziato che sotto questo profilo non è ammissibile una distinzione fra le prestazioni poste in essere da un massofisioterapisti ante riforma da quelle realizzate da un massofisioterapisti post riforma. Invero, la formazione professionale della seconda categoria non differisce per nulla dalla prima, con la conseguenza che il livello della qualità delle prestazioni garantito dai massofisioterapisti post riforma è equivalente a quelle delle prestazioni realizzate dai massofisioterapisti ante riforma;
          la Corte di giustizia europea parla espressamente della necessità di applicare criteri oggettivi (appunto la formazione professionale e il livello di qualità delle prestazioni) e ciò corrisponde alla considerazione espressa sopra, per cui il titolo di massofisioterapista conseguito prima di una certa data (l'entrata in vigore della riforma sanitaria) non può essere considerato del tutto diversamente da quello conseguito in un momento (anche immediatamente) successivo;
          riguardo al secondo limite (secondo cui, in base al principio di neutralità fiscale, se le prestazioni mediche sono dello stesso tipo, non possono essere soggette ad un regime IVA diverso), è evidente che la prestazione concretamente posta in essere dal massofisioterapisti post riforma è identica in tutto e per tutto, a quella realizzata dal massofisioterapisti ante riforma;
          i massofisioterapisti ante riforma e i massofisioterapisti post riforma possiedono il medesimo titolo, con la differenza che solo per i primi la legislazione sanitaria ne prevede la formale equipollenza al diploma di laurea di fisioterapia. Considerazioni analoghe, con riferimento al secondo limite individuato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, si possono svolgere in merito al raffronto fra massofisioterapisti e fisioterapisti. Anche in questo caso, si ritengono applicabili i principi di diritto affermati nella sentenza del 27 aprile 2006 della Corte di giustizia europea, alla luce della considerazione che alcune mansioni svolte dal fisioterapista sono legittimamente poste in essere anche dal masso fisioterapista;
          l'interpretazione in senso restrittivo da parte dell'Agenzia delle entrate, oltre che in contrasto con i principi di diritto espressi dalla Corte europea, è fortemente penalizzante nei confronti della categoria in quanto dà origine ad una disparità con pesanti ripercussioni professionali ed economiche  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione e se non intendano intervenire assumendo tutte le iniziative normative necessarie al fine di porre rimedio ad una situazione dove si profila una evidente disparità di trattamento, sia sotto il profilo costituzionale sia sotto il profilo delle norme comunitarie, tra massofisioterapisti in possesso di un diploma di formazione triennale conseguito prima del 19 marzo 1999 per i quali si applica l'esenzione di cui all'articolo 10, comma 1, n.  18), del decreto del Presidente della Repubblica n.  633 del 1972 e massofisioterapisti che hanno conseguito un diploma di formazione biennale o un diploma di formazione triennale successivamente al 19 marzo 1999. (4-12913)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Ricciatti n.  5-08501 del 27 aprile 2016.