XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 29 giugno 2016

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 29 giugno 2016.

      Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Businarolo, Cancelleri, Caparini, Capelli, Casero, Castelli, Castiglione, Catania, Censore, Centemero, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Cominelli, Costa, Culotta, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Frusone, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Lorenzo Guerini, Guerra, La Russa, Lauricella, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Manciulli, Marazziti, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Palma, Pes, Piccoli Nardelli, Piepoli, Gianluca Pini, Pisicchio, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scopelliti, Scotto, Sereni, Speranza, Tabacci, Tidei, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Zanetti, Zolezzi.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

      Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Businarolo, Cancelleri, Caparini, Capelli, Casero, Castelli, Castiglione, Catania, Censore, Centemero, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Cominelli, Costa, Culotta, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Frusone, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Guerra, La Russa, Lauricella, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Manciulli, Marazziti, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Palma, Pes, Piccoli Nardelli, Piepoli, Pisicchio, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Scopelliti, Scotto, Sereni, Tabacci, Tidei, Valeria Valente, Velo, Venittelli, Vignali, Zanetti, Zolezzi.

Annunzio di proposte di legge.

      In data 28 giugno 2016 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
          ANDREA MAESTRI ed altri: «Modifica all'articolo 94 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.  58, concernente l'inserimento degli scenari probabilistici nei prospetti di offerta al pubblico di strumenti e prodotti finanziari» (3934);
          CAPELLI ed altri: «Disposizioni concernenti l'erogazione di prestiti d'onore a studenti meritevoli» (3935);
          SBROLLINI: «Disciplina delle attività sportive dilettantistiche» (3936);
          PAGANO: «Abrogazione del comma 2 dell'articolo 13 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n.  160, in materia di limitazione delle funzioni attribuibili ai magistrati ordinari al termine del tirocinio» (3937);
          D'AGOSTINO: «Modifica all'articolo 609-ter del codice penale, concernente l'aggravamento della pena per il reato di violenza sessuale nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci» (3938);
          BRIGNONE ed altri: «Modifiche al codice penale concernenti il regime di procedibilità del delitto di atti sessuali con minorenne» (3939).

      Saranno stampate e distribuite.

Trasmissioni dal Senato.

      In data 28 giugno 2016 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza i seguenti disegni di legge:
          S. 2223. – «Norme per il contrasto al terrorismo, nonché ratifica ed esecuzione: a) della Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005; b) della Convenzione internazionale per la soppressione di atti di terrorismo nucleare, fatta a New York il 14 settembre 2005; c) del Protocollo di Emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo, fatto a Strasburgo il 15 maggio 2003; d) della Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005; e) del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatto a Riga il 22 ottobre 2015» (approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (3303-B);
          S. 1331. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di mutua assistenza amministrativa in materia doganale tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati uniti messicani, con Allegato, fatto a Roma il 24 ottobre 2011» (approvato dal Senato) (3940);
          S. 1334. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Angola in materia di sicurezza ed ordine pubblico, fatto a Luanda il 19 aprile 2012» (approvato dal Senato) (3941);
          S. 1605. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Capo Verde in materia di cooperazione di polizia, fatto a Praia l'8 luglio 2013» (approvato dal Senato) (3942);
          S. 1661. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dell'Armenia nel settore della difesa, fatto a Jerevan il 17 ottobre 2012» (approvato dal Senato) (3943);
          S. 1946. – «Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo di partenariato e cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica dell'Iraq, dall'altra, con Allegati, fatto a Bruxelles l'11 maggio 2012; b) Accordo quadro di partenariato e cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica delle Filippine, dall'altra, fatto a Phnom Penh l'11 luglio 2012» (approvato dal Senato) (3944);
          S. 1730. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo interinale in vista di un accordo di partenariato economico tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la parte Africa centrale, dall'altra, con Allegati, fatto a Yaoundé il 15 gennaio 2009 e a Bruxelles il 22 gennaio 2009» (approvato dal Senato) (3945);
          S. 1732. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione nel settore della difesa tra il Governo della Repubblica italiana e l'Esecutivo della Repubblica dell'Angola, fatto a Roma il 19 novembre 2013» (approvato dal Senato) (3946);
          S. 2026. – «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica di Slovenia, il Governo di Ungheria e il Governo della Repubblica italiana sulla Multinational Land Force (MLF), con Annesso, fatto a Bruxelles il 18 novembre 2014» (approvato dal Senato) (3947).

      Saranno stampati e distribuiti.

Adesione di deputati a proposte di legge.

      La proposta di legge GIACHETTI ed altri: «Disposizioni in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati» (3235) è stata successivamente sottoscritta dalla deputata Martelli.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

      A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
          II Commissione (Giustizia):
      BRIGNONE ed altri: «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n.  184, in materia di adozioni internazionali» (3877) Parere delle Commissioni I, III, V, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;

          VII Commissione (Cultura):
      RIBAUDO ed altri: «Disposizioni per l'organizzazione e la gestione del patrimonio delle aziende agricole sperimentali afferenti alle ex facoltà di agraria» (3889) Parere delle Commissioni I, V, XI, XIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

      La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 28 giugno 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8, comma 4, della legge 12 giugno 1990, n.  146, copia di un'ordinanza, emessa dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in data 13 giugno 2016, relativa agli scioperi programmati per il 17 giugno 2016 da alcune categorie di personale del settore del trasporto aereo.

      Questa documentazione è trasmessa alla IX Commissione (Trasporti) e alla XI Commissione (Lavoro).

Trasmissioni dal Ministro dell'interno.

      Il Ministro dell'interno, con lettere del 22 giugno 2016, ha trasmesso le note relative all'attuazione data agli ordini del giorno TARICCO n.  9/3-A/1, concernente l'adozione del criterio dell'estensione territoriale, oltre che del numero degli abitanti, nella distribuzione dei collegi elettorali e nella attribuzione dei seggi da eleggere in ciascuno di questi, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea dell'11 marzo 2014, DE MENECH n.  9/3-A/4, accolto come raccomandazione dal Governo nella medesima seduta, riguardante la tutela delle minoranze linguistiche del bellunese nella composizione dei collegi plurinominali, D'AMBROSIO n.  9/3513-A/17, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 10 febbraio 2016, concernente l'utilizzo delle risorse di cui alle contabilità speciali intestate ai prefetti, per l'istituzione delle province di Monza e della Brianza, di Fermo e di Barletta-Andria-Trani.

      Le suddette note sono a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare e sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali) competente per materia.

Trasmissione dal Ministro della difesa.

      Il Ministro della difesa, con lettera del 28 giugno 2016, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data, per la parte di propria competenza, all'ordine del giorno PASTORINO ed altri n.  9/3393-A/19, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 18 novembre 2015, concernente iniziative volte a favorire una soluzione consensuale tra il Governo iracheno e le autorità regionali del Kurdistan sulla ripartizione delle rendite petrolifere, nonché sulla possibilità di impiegare forze militari per lo sminamento delle aree liberate dal Daesh e di trasferire i feriti curdi negli ospedali militari italiani.

      La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla IV Commissione (Difesa) competente per materia.

Annunzio di risoluzioni del Parlamento europeo.

      Il Parlamento europeo ha trasmesso il testo di sedici risoluzioni approvate nella tornata dal 9 al 12 maggio 2016 e di tre risoluzioni approvate nella tornata dal 25 al 26 maggio 2016, che sono assegnate, ai sensi dell'articolo 125, comma 1, del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, nonché, per il parere, alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), se non già assegnate alle stesse in sede primaria:
          Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri dell'Unione europea (Doc. XII, n.  954) – alla X Commissione (Attività produttive);
          Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell'Unione europea (Doc. XII, n.  955) – alla X Commissione (Attività produttive);
          Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio relativo alla conclusione a nome dell'Unione europea dell'accordo di partenariato per una pesca sostenibile tra l'Unione europea e la Repubblica di Liberia e del relativo protocollo di attuazione (Doc. XII, n.  956) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione europea, del protocollo che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall'accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e la Repubblica islamica di Mauritania per un periodo di quattro anni (Doc. XII, n.  957) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio concernente la conclusione dell'accordo di cooperazione relativo a un sistema globale di navigazione satellitare civile (GNSS) tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Corea, dall'altra (Doc. XII, n.  958) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione sui nuovi strumenti per lo sviluppo territoriale nella politica di coesione 2014-2020: investimenti territoriali integrati (ITI) e sviluppo locale di tipo partecipativo (Doc. XII, n.  959) – alla V Commissione (Bilancio);
          Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n.  184/2005 relativo alle statistiche comunitarie inerenti alla bilancia dei pagamenti, agli scambi internazionali di servizi e agli investimenti diretti all'estero per quanto riguarda il conferimento alla Commissione dei poteri delegati e di esecuzione al fine dell'attuazione di alcuni provvedimenti (Doc. XII, n.  960) – alla V Commissione (Bilancio);
          Risoluzione sulla politica di coesione nelle regioni montane dell'Unione europea (Doc. XII, n.  961) – alla V Commissione (Bilancio);
          Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n.  575/2013 per quanto riguarda le esenzioni per i negoziatori per conto proprio di merci (Doc. XII, n.  962) – alla VI Commissione (Finanze);
          Risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Agenzia dell'Unione europea per la cooperazione nell'attività di contrasto (Europol) e sostituisce e abroga le decisioni del Consiglio 2009/371/GAI, 2009/934/GAI, 2009/935/GAI, 2009/936/GAI e 2009/968/GAI (Doc. XII, n.  963) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
          Risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato, programmi di scambio di alunni o progetti educativi, e collocamento alla pari (rifusione) (Doc. XII, n.  964) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
          Risoluzione sull'accelerazione dell'attuazione della politica di coesione (Doc. XII, n.  965) – alla V Commissione (Bilancio);
          Risoluzione sui tatari di Crimea (Doc. XII, n.  966) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale (Doc. XII, n.  967) – alla VI Commissione (Finanze);
          Risoluzione sullo status di economia di mercato della Cina (Doc. XII, n.  968) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza di taluni alimenti (Doc. XII, n.  969) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
          Risoluzione sui flussi di dati transatlantici (Doc. XII, n.  970) – alla III Commissione (Affari esteri);
          Risoluzione sugli ostacoli non tariffari nel mercato unico (Doc. XII, n.  971) – alla X Commissione (Attività produttive);
          Risoluzione sulla strategia per il mercato unico (Doc. XII, n.  972) – alla X Commissione (Attività produttive).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

      La Commissione europea, in data 28 giugno 2016, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
          Proposta di decisione del Consiglio relativa alla firma, a nome dell'Unione europea, e all'applicazione provvisoria dell'accordo internazionale del 2015 sull'olio d'oliva e le olive da tavola (COM(2016) 426 final), corredata del relativo allegato (COM(2016) 426 final – Annex 1);
          Proposta congiunta della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n.  267/2012 concernente misure restrittive nei confronti dell'Iran (JOIN(2016) 1 final/2).

Trasmissione dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico.

      Il Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, con lettera in data 27 giugno 2016, ha trasmesso una relazione riguardante lo stato di utilizzo e di integrazione degli impianti di produzione alimentati dalle fonti rinnovabili e degli impianti di cogenerazione ad alto rendimento.

      Questa relazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente) e alla X Commissione (Attività produttive).

Atti di controllo e di indirizzo.

      Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

      Nell’Allegato A al resoconto della seduta del 18 aprile 2016, a pagina 5, seconda colonna, quarantesima e quarantunesima riga, le parole: «di Luigi Cesaro, deputato all'epoca dei fatti» sono sostituite dalle seguenti: «del deputato Luigi Cesaro».

MOZIONI VACCA ED ALTRI N.  1-01268, CENTEMERO E OCCHIUTO N.  1-01283, BORGHESI ED ALTRI N.  1-01289, BRIGNONE ED ALTRI. N.  1-01293, MARZANO ED ALTRI N.  1-01295, PANNARALE ED ALTRI N.  1-01298, RAMPELLI ED ALTRI N.  1-01301 E GHIZZONI, PISICCHIO, VEZZALI, SANTERINI, BUTTIGLIONE ED ALTRI N.  1-01312 CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A FAVORIRE L'ACCESSO AGLI STUDI UNIVERSITARI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AD UN'EQUA RIPARTIZIONE DELLE RISORSE SUL TERRITORIO NAZIONALE

Mozioni

      La Camera,
          premesso che:
              gli articoli 33 e 34 della Costituzione pongono i princìpi fondamentali relativi all'istruzione con riferimento, rispettivamente, all'organizzazione scolastica e universitaria e ai diritti di accedervi e di usufruire delle prestazioni che essa è chiamata a fornire. Organizzazione e diritti sono aspetti speculari della stessa materia, l'una e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente. Non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l'organizzazione;
              l'articolo 33, dopo aver stabilito, al primo comma, che «l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento» e, al secondo comma, che la «Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi», prevede, tra gli altri per le università, «il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». «Secondo la Costituzione, l'ordinamento della pubblica istruzione è dunque unitario ma l'unità è assicurata, per il sistema scolastico in genere, da «norme generali» dettate dalla Repubblica; in specie, per il sistema universitario, in quanto costituito da «ordinamenti autonomi», da «limiti stabiliti dalle leggi dello Stato»;
              gli «ordinamenti autonomi» delle università, cui la legge, secondo l'articolo 33 della Costituzione, deve fare da cornice, non possono considerarsi soltanto sotto l'aspetto organizzativo interno, manifestantesi in amministrazione e in normazione statutaria e regolamentare. Per l'anzidetto rapporto di necessaria reciproca implicazione, l'organizzazione deve considerarsi anche sul suo lato funzionale esterno, coinvolgente i diritti e incidente su di essi. La necessità di leggi dello Stato, quali limiti dell'autonomia ordinamentale universitaria, vale pertanto sia per l'aspetto organizzativo, sia, a maggior ragione, per l'aspetto funzionale che coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni;
              in questo modo, all'ultimo comma dell'articolo 33 viene a conferirsi una funzione, per così dire, di cerniera, attribuendosi alla responsabilità del legislatore statale la predisposizione di limiti legislativi all'autonomia universitaria relativi tanto all'organizzazione in senso stretto, quanto al diritto di accedere all'istruzione universitaria, nell'ambito del principio secondo il quale «la scuola è aperta a tutti» (articolo 34, primo comma) e per la garanzia del diritto riconosciuto ai «capaci e meritevoli, anche, se privi di mezzi» «di raggiungere i gradi più alti degli studi» (articolo 34, terzo comma);
              la conclusione cui così si perviene attraverso la specifica interpretazione degli articoli 33 e 34 della Costituzione è, del resto, confermata e avvalorata dai «principi generali informatori dell'ordinamento democratico, secondo i quali ogni specie di limite imposto ai diritti dei cittadini abbisogna del consenso dell'organo che trae da costoro la propria diretta investitura» e dall'esigenza che «la valutazione relativa alla convenienza dell'imposizione di uno o di altro limite sia effettuata avendo presente il quadro complessivo degli interventi statali nell'economia inserendolo armonicamente in esso, e pertanto debba competere al Parlamento, quale organo da cui emana l'indirizzo politico generale dello Stato» (si confronti la sentenza n.  383 del 1998 della Corte costituzionale);
              non può negarsi che il diritto costituzionale allo studio, come ricostruito dalla riportata giurisprudenza costituzionale, imponendo scelte pubbliche d'insieme, inerenti alla determinazione delle risorse necessarie per il funzionamento delle istituzioni universitarie, per la garanzia del diritto alla formazione culturale (sancita dall'articolo 2 della Costituzione) e alle scelte professionali di ciascuno (articolo 4) risulti, soprattutto negli ultimi anni, drammaticamente compromesso;
              il sistema di finanziamento pubblico del diritto allo studio universitario avviene attraverso tre voci ovvero:
                  a) il fondo integrativo statale;
                  b) il gettito derivante dalla tassa regionale per il diritto allo studio;
                  c) le risorse proprie delle regioni, pari almeno al 40 per cento dell'assegnazione del fondo integrativo statale;
              negli ultimi anni il diritto allo studio universitario è stato umiliato a causa del sempre più frequente fenomeno dello studente idoneo a percepire la borsa di studio ma non beneficiario a causa delle insufficienti risorse stanziate dallo Stato;
              nonostante le nuove regole sul diritto allo studio, conseguenti alla «riforma Gelmini» dell'università, abbia causato un numero di studenti idonei a percepire la borsa di studio inferiore rispetto al passato, le regioni non riescono, comunque, ad assegnare le borse a tutti i richiedenti che ne hanno diritto;
              l'Italia si colloca negli ultimi posti in Europa per investimenti sul diritto allo studio, tant’è che in diversi Stati dell'Unione europea l'iscrizione all'università è gratuita e la borsa di studio garantisce tutti gli studenti privi di mezzi;
              in Italia, a beneficiare di borse di studio è circa il 7 per cento degli studenti, per una spesa complessiva pubblica 258 milioni di euro, contro il 25,6 per cento della Francia (1,6 miliardi di euro), il 30 per cento della Germania (2 miliardi di euro) e il 18 per cento della Spagna (943 milioni di euro);
              in particolare, l'importo della tassa per il diritto allo studio è stabilito dalle regioni e dalle province autonome e può essere articolato in 3 fasce. La misura minima della fascia più bassa della tassa è fissata in 120 euro e si applica a coloro che presentano una condizione economica non superiore al livello minimo dell'indicatore di situazione economica equivalente corrispondente ai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai livelli essenziali delle prestazioni (lep) del diritto allo studio. I restanti valori della tassa minima sono fissati in 140 euro e 160 euro per coloro che presentano un indicatore di situazione economica equivalente rispettivamente superiore al livello minimo e al doppio del livello minimo previsto dai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai livelli essenziali delle prestazioni del diritto allo studio. Il livello massimo della tassa per il diritto allo studio è fissato in 200 euro;
              l'attuale normativa prevede che l'impegno delle regioni in termini economici maggiori rispetto a quanto previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 29 marzo 2012, n.  68, sia valutato attraverso l'assegnazione di specifici incentivi nel riparto del fondo integrativo statale di cui al comma 1, lettera a), dello stesso decreto legislativo, e del fondo per il finanziamento ordinario alle università statali che hanno sede nel rispettivo contesto territoriale;
              i criteri per il riparto del fondo integrativo per la concessione di prestiti d'onore e di borse di studio sono stabiliti dall'articolo 16 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001;
              analogo discorso, circa i limiti che il legislatore statale deve porre all'autonomia degli atenei al fine di garantire la piena attuazione della Costituzione, deve riferirsi alla determinazione delle tasse d'iscrizione all'università. Attualmente anche la contribuzione richiesta agli studenti rappresenta, infatti, un ostacolo alla formazione;
              il decreto del Presidente della Repubblica n.  306 del 1997 regolamenta la disciplina in materia di tasse di iscrizione all'università a carico degli studenti. Tale regolamento prevede che ogni università abbia piena autonomia nella determinazione dell'entità e delle regole della tassazione studentesca rispettando criteri di equità, solidarietà e progressività, tenendo in considerazione la condizione economica dello studente;
              oltre ai contributi universitari, ogni studente è tenuto a versare all'università anche la tassa di iscrizione, fissata inizialmente in trecentomila lire ed aggiornata annualmente con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. L'importo della tassa di iscrizione è identica per tutti gli atenei italiani;
              la contribuzione totale versata dallo studente universitario è la risultante della somma tra la tassa di iscrizione definita annualmente dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e i contributi universitari decisi autonomamente da ogni singola università;
              come contrappeso all'autonomia delle università, per evitare che queste possano stabilire importi contributivi troppo alti, il regolamento stabilisce che la somma delle contribuzioni versate da ogni singolo studente ogni anno alla propria università non possa eccedere il 20 per cento del finanziamento ordinario dello Stato all'ateneo;
              il citato regolamento stabilisce alcuni principi, seguendo criteri più specifici, che prevedono anche la garanzia dell'accesso ai capaci e ai meritevoli privi di mezzi e la riduzione del tasso di abbandono degli studi;
              tale disciplina in materia di contributi universitari è rimasta inalterata fino alle modifiche apportate dalla normativa sulla spending review (decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135), che ha disposto (con l'articolo 7, comma 42) l'introduzione dei commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies dell'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  306 del 1997;
              le modifiche apportate dal citato decreto-legge n.  95 del 2012 entrano nel merito dei limiti della contribuzione studentesca modificando i criteri per individuare la tassazione massima a carico dello studente. In sostanza, viene modificato il calcolo del limite del 20 per cento dell'ammontare della contribuzione studentesca totale (la somma di tutte le tasse pagate dagli studenti in un singolo ateneo) rispetto al finanziamento ordinario assegnato dallo Stato alla singola università;
              con le novelle introdotte dal decreto-legge n.  95 del 2012, ai fini del calcolo della contribuzione studentesca totale, è stata scorporata la contribuzione degli studenti fuori corso. Come conseguenza non sono più considerate, ai fini del calcolo della contribuzione totale versata dagli studenti alle università, le somme pagate dagli studenti fuori corso che, in media, rappresentano il 40 per cento degli iscritti;
              tale novità comporta, di fatto, un aumento del limite massimo di contribuzione sia per gli studenti in corso che per quelli fuori corso; inoltre, è eliminato qualsiasi limite alla determinazione dell'importo della contribuzione studentesca per gli studenti fuori corso;
              il citato decreto-legge n.  95 del 2012 prevede, inoltre, entro tre anni dalla entrata in vigore, un aumento significativo della tassazione per tutti gli studenti;
              il fondo per il finanziamento ordinario delle università (ffo) è relativo alla quota a carico del bilancio statale delle spese per il funzionamento e le attività istituzionali delle università, comprese le spese per il personale docente, ricercatore e non docente, per l'ordinaria manutenzione delle strutture universitarie e per la ricerca scientifica e della spesa per le attività sportive universitarie;
              negli ultimi anni il fondo per il finanziamento ordinario è sensibilmente diminuito; per questa ragione, le università che si sono trovate a superare il limite del 20 per cento sono numerose, ben due delle università statali su tre nell'anno accademico 2011/2012;
              alcune università (Insubria, Milano statale, Milano Bicocca, Napoli Partenope, Urbino, Venezia Ca’ Foscari, Venezia Iuav) hanno superato anche il 30 per cento e una (Bergamo) addirittura il 40 per cento;
              di fatto le modifiche apportate dal decreto-legge n.  95 del 2012 al decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n.  306, scaricano sugli studenti i tagli apportati al fondo per il finanziamento ordinario nel corso degli anni dai vari Governi alla guida del nostro Paese;
              gli atenei che, fino al 2013, non hanno rispettato il tetto massimo degli introiti derivanti da tasse e contribuzione studentesche previste dal decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n.  306, sono stati avvantaggiati dal reclutamento e dalle quote premiali, nonostante fossero in difetto fino all'entrata in vigore delle disposizioni normative introdotte dal decreto-legge n.  95 del 2012;
              dal 2007 alcune associazioni studentesche universitarie hanno avviato una serie di ricorsi amministrativi contro quegli atenei che superavano il limite del 20 per cento stabilito dall'articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n.  306;
              dopo l'accoglimento, nel marzo del 2011, del primo ricorso sulla contribuzione studentesca presentato nel 2007 (registro generale 599) al tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo contro l'Università di Chieti Pescara, si sono moltiplicati i ricorsi in vari atenei italiani;
              di fatto, le disposizioni normative introdotte dal decreto-legge n.  95 del 2012 hanno rappresentato una sanatoria per le università che fino al 2012 non rispettavano quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n.  306;
              si ritiene necessario, in considerazione di quanto esposto, prevedere l'esonero dal pagamento (della contribuzione studentesca per gli studenti meno abbienti introducendo una no tax area per indicatori della situazione economica equivalente al di sotto dei 20 mila euro. Secondo i dati forniti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'ammontare del fondo di finanziamento ordinario 2017 si attesta intorno ai 7.003 milioni di euro, mentre il gettito complessivo della contribuzione studentesca intorno ai 1.497 milioni di euro;
              al fine di non ridurre le già esigue risorse destinate al sistema universitario, risulta doveroso rimborsare alle università il mancato gettito derivante dall'introduzione della no tax area attraverso un incremento dedicato del fondo di finanziamento ordinario,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative volte a modificare la disciplina attualmente vigente sulla contribuzione studentesca alle università statali stabilendo un'area di reddito entro cui lo studente sia esente dal pagamento della contribuzione (fascia no-tax) per tutti gli studenti con Isee al di sotto dei 20.000 euro;
          a dare pronta attuazione a quanto previsto dall'articolo 20 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n.  68, attivando l'osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario e, in particolare, creando un sistema informativo, correlato a quelli delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, per l'attuazione del diritto allo studio, anche attraverso una banca dati dei beneficiari delle borse di studio;
          ad assumere iniziative normative, a garanzia dell'effettività del diritto allo studio sancito dalla Costituzione, volte ad incrementare le risorse destinate al diritto allo studio universitario con l'obiettivo di far sì che gli strumenti e i servizi per il conseguimento del pieno successo formativo nei corsi di istruzione superiore siano a disposizione di una platea di studenti che sia almeno corrispondente ad un quarto degli iscritti, in modo da allinearsi agli standard della Germania e della Francia;
          al fine di implementare l'utilizzo delle nuove tecnologie nonché di agevolare lo studio universitario a distanza, ad assumere iniziative per incrementare le risorse destinate alla didattica universitaria digitale;
          al fine di garantire il diritto alla prosecuzione degli studi e alla soddisfazione professionale di ciascuno, ad assumere iniziative per rimodulare l'attuale sistema di accesso per i corsi di laurea a numero programmato.
(1-01268) «Vacca, D'Uva, Brescia, Simone Valente, Luigi Gallo, Marzana, Di Benedetto, D'Incà».


      La Camera,
          premesso che:
              gli articoli 33 e 34 della Costituzione pongono i princìpi fondamentali relativi all'istruzione con riferimento, rispettivamente, all'organizzazione scolastica e universitaria e ai diritti di accedervi e di usufruire delle prestazioni che essa è chiamata a fornire. Organizzazione e diritti sono aspetti speculari della stessa materia, l'una e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente. Non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l'organizzazione;
              l'articolo 33, dopo aver stabilito, al primo comma, che «l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento» e, al secondo comma, che la «Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi», prevede, tra gli altri per le università, «il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». «Secondo la Costituzione, l'ordinamento della pubblica istruzione è dunque unitario ma l'unità è assicurata, per il sistema scolastico in genere, da «norme generali» dettate dalla Repubblica; in specie, per il sistema universitario, in quanto costituito da «ordinamenti autonomi», da «limiti stabiliti dalle leggi dello Stato»;
              gli «ordinamenti autonomi» delle università, cui la legge, secondo l'articolo 33 della Costituzione, deve fare da cornice, non possono considerarsi soltanto sotto l'aspetto organizzativo interno, manifestantesi in amministrazione e in normazione statutaria e regolamentare. Per l'anzidetto rapporto di necessaria reciproca implicazione, l'organizzazione deve considerarsi anche sul suo lato funzionale esterno, coinvolgente i diritti e incidente su di essi. La necessità di leggi dello Stato, quali limiti dell'autonomia ordinamentale universitaria, vale pertanto sia per l'aspetto organizzativo, sia, a maggior ragione, per l'aspetto funzionale che coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni;
              in questo modo, all'ultimo comma dell'articolo 33 viene a conferirsi una funzione, per così dire, di cerniera, attribuendosi alla responsabilità del legislatore statale la predisposizione di limiti legislativi all'autonomia universitaria relativi tanto all'organizzazione in senso stretto, quanto al diritto di accedere all'istruzione universitaria, nell'ambito del principio secondo il quale «la scuola è aperta a tutti» (articolo 34, primo comma) e per la garanzia del diritto riconosciuto ai «capaci e meritevoli, anche, se privi di mezzi» «di raggiungere i gradi più alti degli studi» (articolo 34, terzo comma);
              la conclusione cui così si perviene attraverso la specifica interpretazione degli articoli 33 e 34 della Costituzione è, del resto, confermata e avvalorata dai «principi generali informatori dell'ordinamento democratico, secondo i quali ogni specie di limite imposto ai diritti dei cittadini abbisogna del consenso dell'organo che trae da costoro la propria diretta investitura» e dall'esigenza che «la valutazione relativa alla convenienza dell'imposizione di uno o di altro limite sia effettuata avendo presente il quadro complessivo degli interventi statali nell'economia inserendolo armonicamente in esso, e pertanto debba competere al Parlamento, quale organo da cui emana l'indirizzo politico generale dello Stato» (si confronti la sentenza n.  383 del 1998 della Corte costituzionale);
              non può negarsi che il diritto costituzionale allo studio, come ricostruito dalla riportata giurisprudenza costituzionale, imponendo scelte pubbliche d'insieme, inerenti alla determinazione delle risorse necessarie per il funzionamento delle istituzioni universitarie, per la garanzia del diritto alla formazione culturale (sancita dall'articolo 2 della Costituzione) e alle scelte professionali di ciascuno (articolo 4) risulti, soprattutto negli ultimi anni, drammaticamente compromesso;
              il sistema di finanziamento pubblico del diritto allo studio universitario avviene attraverso tre voci ovvero:
                  a) il fondo integrativo statale;
                  b) il gettito derivante dalla tassa regionale per il diritto allo studio;
                  c) le risorse proprie delle regioni, pari almeno al 40 per cento dell'assegnazione del fondo integrativo statale;
              negli ultimi anni il diritto allo studio universitario è stato umiliato a causa del sempre più frequente fenomeno dello studente idoneo a percepire la borsa di studio ma non beneficiario a causa delle insufficienti risorse stanziate dallo Stato;
              nonostante le nuove regole sul diritto allo studio, conseguenti alla «riforma Gelmini» dell'università, abbia causato un numero di studenti idonei a percepire la borsa di studio inferiore rispetto al passato, le regioni non riescono, comunque, ad assegnare le borse a tutti i richiedenti che ne hanno diritto;
              l'Italia si colloca negli ultimi posti in Europa per investimenti sul diritto allo studio, tant’è che in diversi Stati dell'Unione europea l'iscrizione all'università è gratuita e la borsa di studio garantisce tutti gli studenti privi di mezzi;
              in Italia, a beneficiare di borse di studio è circa il 7 per cento degli studenti, per una spesa complessiva pubblica 258 milioni di euro, contro il 25,6 per cento della Francia (1,6 miliardi di euro), il 30 per cento della Germania (2 miliardi di euro) e il 18 per cento della Spagna (943 milioni di euro);
              in particolare, l'importo della tassa per il diritto allo studio è stabilito dalle regioni e dalle province autonome e può essere articolato in 3 fasce. La misura minima della fascia più bassa della tassa è fissata in 120 euro e si applica a coloro che presentano una condizione economica non superiore al livello minimo dell'indicatore di situazione economica equivalente corrispondente ai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai livelli essenziali delle prestazioni (lep) del diritto allo studio. I restanti valori della tassa minima sono fissati in 140 euro e 160 euro per coloro che presentano un indicatore di situazione economica equivalente rispettivamente superiore al livello minimo e al doppio del livello minimo previsto dai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai livelli essenziali delle prestazioni del diritto allo studio. Il livello massimo della tassa per il diritto allo studio è fissato in 200 euro;
              l'attuale normativa prevede che l'impegno delle regioni in termini economici maggiori rispetto a quanto previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 29 marzo 2012, n.  68, sia valutato attraverso l'assegnazione di specifici incentivi nel riparto del fondo integrativo statale di cui al comma 1, lettera a), dello stesso decreto legislativo, e del fondo per il finanziamento ordinario alle università statali che hanno sede nel rispettivo contesto territoriale;
              i criteri per il riparto del fondo integrativo per la concessione di prestiti d'onore e di borse di studio sono stabiliti dall'articolo 16 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001;
              analogo discorso, circa i limiti che il legislatore statale deve porre all'autonomia degli atenei al fine di garantire la piena attuazione della Costituzione, deve riferirsi alla determinazione delle tasse d'iscrizione all'università. Attualmente anche la contribuzione richiesta agli studenti rappresenta, infatti, un ostacolo alla formazione;
              il decreto del Presidente della Repubblica n.  306 del 1997 regolamenta la disciplina in materia di tasse di iscrizione all'università a carico degli studenti. Tale regolamento prevede che ogni università abbia piena autonomia nella determinazione dell'entità e delle regole della tassazione studentesca rispettando criteri di equità, solidarietà e progressività, tenendo in considerazione la condizione economica dello studente;
              oltre ai contributi universitari, ogni studente è tenuto a versare all'università anche la tassa di iscrizione, fissata inizialmente in trecentomila lire ed aggiornata annualmente con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. L'importo della tassa di iscrizione è identica per tutti gli atenei italiani;
              la contribuzione totale versata dallo studente universitario è la risultante della somma tra la tassa di iscrizione definita annualmente dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e i contributi universitari decisi autonomamente da ogni singola università;
              come contrappeso all'autonomia delle università, per evitare che queste possano stabilire importi contributivi troppo alti, il regolamento stabilisce che la somma delle contribuzioni versate da ogni singolo studente ogni anno alla propria università non possa eccedere il 20 per cento del finanziamento ordinario dello Stato all'ateneo;
              il citato regolamento stabilisce alcuni principi, seguendo criteri più specifici, che prevedono anche la garanzia dell'accesso ai capaci e ai meritevoli privi di mezzi e la riduzione del tasso di abbandono degli studi;
              tale disciplina in materia di contributi universitari è rimasta inalterata fino alle modifiche apportate dalla normativa sulla spending review (decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135), che ha disposto (con l'articolo 7, comma 42) l'introduzione dei commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies dell'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  306 del 1997;
              le modifiche apportate dal citato decreto-legge n.  95 del 2012 entrano nel merito dei limiti della contribuzione studentesca modificando i criteri per individuare la tassazione massima a carico dello studente. In sostanza, viene modificato il calcolo del limite del 20 per cento dell'ammontare della contribuzione studentesca totale (la somma di tutte le tasse pagate dagli studenti in un singolo ateneo) rispetto al finanziamento ordinario assegnato dallo Stato alla singola università;
              con le novelle introdotte dal decreto-legge n.  95 del 2012, ai fini del calcolo della contribuzione studentesca totale, è stata scorporata la contribuzione degli studenti fuori corso. Come conseguenza non sono più considerate, ai fini del calcolo della contribuzione totale versata dagli studenti alle università, le somme pagate dagli studenti fuori corso che, in media, rappresentano il 40 per cento degli iscritti;
              tale novità comporta, di fatto, un aumento del limite massimo di contribuzione sia per gli studenti in corso che per quelli fuori corso; inoltre, è eliminato qualsiasi limite alla determinazione dell'importo della contribuzione studentesca per gli studenti fuori corso;
              il citato decreto-legge n.  95 del 2012 prevede, inoltre, entro tre anni dalla entrata in vigore, un aumento significativo della tassazione per tutti gli studenti;
              il fondo per il finanziamento ordinario delle università (ffo) è relativo alla quota a carico del bilancio statale delle spese per il funzionamento e le attività istituzionali delle università, comprese le spese per il personale docente, ricercatore e non docente, per l'ordinaria manutenzione delle strutture universitarie e per la ricerca scientifica e della spesa per le attività sportive universitarie;
              negli ultimi anni il fondo per il finanziamento ordinario è sensibilmente diminuito; per questa ragione, le università che si sono trovate a superare il limite del 20 per cento sono numerose, ben due delle università statali su tre nell'anno accademico 2011/2012;
              alcune università (Insubria, Milano statale, Milano Bicocca, Napoli Partenope, Urbino, Venezia Ca’ Foscari, Venezia Iuav) hanno superato anche il 30 per cento e una (Bergamo) addirittura il 40 per cento;
              di fatto le modifiche apportate dal decreto-legge n.  95 del 2012 al decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n.  306, scaricano sugli studenti i tagli apportati al fondo per il finanziamento ordinario nel corso degli anni dai vari Governi alla guida del nostro Paese;
              gli atenei che, fino al 2013, non hanno rispettato il tetto massimo degli introiti derivanti da tasse e contribuzione studentesche previste dal decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n.  306, sono stati avvantaggiati dal reclutamento e dalle quote premiali, nonostante fossero in difetto fino all'entrata in vigore delle disposizioni normative introdotte dal decreto-legge n.  95 del 2012;
              dal 2007 alcune associazioni studentesche universitarie hanno avviato una serie di ricorsi amministrativi contro quegli atenei che superavano il limite del 20 per cento stabilito dall'articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n.  306;
              dopo l'accoglimento, nel marzo del 2011, del primo ricorso sulla contribuzione studentesca presentato nel 2007 (registro generale 599) al tribunale amministrativo regionale dell'Abruzzo contro l'Università di Chieti Pescara, si sono moltiplicati i ricorsi in vari atenei italiani;
              di fatto, le disposizioni normative introdotte dal decreto-legge n.  95 del 2012 hanno rappresentato una sanatoria per le università che fino al 2012 non rispettavano quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n.  306;
              si ritiene necessario, in considerazione di quanto esposto, prevedere l'esonero dal pagamento (della contribuzione studentesca per gli studenti meno abbienti introducendo una no tax area per indicatori della situazione economica equivalente al di sotto dei 20 mila euro. Secondo i dati forniti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'ammontare del fondo di finanziamento ordinario 2017 si attesta intorno ai 7.003 milioni di euro, mentre il gettito complessivo della contribuzione studentesca intorno ai 1.497 milioni di euro;
              al fine di non ridurre le già esigue risorse destinate al sistema universitario, risulta doveroso rimborsare alle università il mancato gettito derivante dall'introduzione della no tax area attraverso un incremento dedicato del fondo di finanziamento ordinario,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di intraprendere – nel rispetto dell'autonomia delle università statali – iniziative normative sul controllo della contribuzione studentesca alle università statali stabilendo un'area di reddito entro cui lo studente sia esente dal pagamento della contribuzione (fascia no-tax) per tutti gli studenti con ISEE al di sotto di una determinata soglia, garantendo al tempo stesso un adeguato ristoro delle minori entrate delle università;
          a dare pronta attuazione a quanto previsto dall'articolo 20 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n.  68, attivando l'osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario e, in particolare, creando un sistema informativo, correlato a quelli delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, per l'attuazione del diritto allo studio, anche attraverso una banca dati dei beneficiari delle borse di studio;
          al fine di implementare l'utilizzo delle nuove tecnologie nonché di agevolare lo studio universitario a distanza, ad assumere iniziative per incrementare le risorse destinate alla didattica universitaria digitale.
(1-01268)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Vacca, D'Uva, Brescia, Simone Valente, Luigi Gallo, Marzana, Di Benedetto, D'Incà».


      La Camera,
          premesso che:
              le norme in materia di diritto allo studio universitario trovano il loro fondamento nella Costituzione che all'articolo 3, comma 2, affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese e, all'articolo 34, prevede, tra l'altro, che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e stabilisce che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso;
              la Costituzione stabilisce, all'articolo 117, comma 2, lettera m), che è competenza dello Stato stabilire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
              alle regioni spetta in via esclusiva la potestà legislativa in materia di diritto allo studio;
              la legge delega n.  240 del 2010, cosiddetta riforma Gelmini, in attuazione delle norme costituzionali è intervenuta in materia prevedendo la revisione della normativa in materia di diritto allo studio e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere erogate dalle università italiane;
              tra gli obiettivi principali perseguiti dalla legge n.  240 del 2010 ci sono stati quelli di rafforzare le opportunità di accesso all'istruzione superiore per gli studenti provenienti da situazioni socioeconomiche sfavorite e di promuovere il merito tra gli studenti;
              in attuazione della delega è stato approvato il decreto legislativo n.  68 del 2012, che prevede la partecipazione di soggetti diversi, ciascuno nell'ambito delle proprie competenza, ad un sistema integrato di strumenti e servizi al fine di garantire il diritto allo studio;
              il finanziamento per il diritto allo studio universitario riesce a coprire appena il 73 per cento circa delle richieste e questa percentuale registra una tendenza a diminuire: dal 74,25 per cento del 2013/14 si è passati al 73,89 per cento del 2014/15;
              questi dati rappresentano la situazione a livello nazionale, ma la percentuale di copertura delle richieste non risulta omogenea tra le varie regioni e la distribuzione del fondo per il diritto allo studio evidenzia forti sperequazioni al livello regionale;
              il meccanismo di ripartizione dei fondi statali alle regioni è basata sulla loro ricchezza per cui quelle che riescono ad assegnare un maggior numero di borse di studio perché più ricche ottengono paradossalmente maggiori fondi dallo Stato; tale distribuzione attiva un circolo vizioso per cui alle regioni del Sud vanno meno risorse rispetto a quelle del Nord;
              un alto grado di istruzione rappresenta un aspetto fondamentale per il progresso sia economico sia sociale di un Paese, tanto più in un'economia globalizzata e basata sulla conoscenza, nella quale è necessario disporre di una forza lavoro qualificata per poter competere in termini di produttività, qualità e innovazione; livelli bassi di istruzione terziaria, infatti, agiscono da ostacolo per la competitività e possono compromettere la capacità del nostro Paese di generare «crescita intelligente»;
              ampliare l'accesso all'istruzione superiore aumentando la partecipazione ai corsi di istruzione terziaria in particolare del membri dei gruppi svantaggiati, appare una scelta necessaria anche in considerazione degli obiettivi che l'Unione europea ha indicato ai propri stati membri. La strategia Europa 2020 è stata adottata per innovare Lisbona 2001, per rispondere alle nuove priorità che la crisi economica ha posto e che hanno portato l'Unione europea a riconoscere l'urgenza di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. La Strategia Europa 2020 si è posta cinque obiettivi, tra questi investire in istruzione, innovazione e ricerca, per sviluppare una economia basata sulla conoscenza e sulla innovazione, indicando tra i traguardi prioritari da raggiungere entro il 2020 quello di portare almeno al 40 per cento la percentuale di popolazione in possesso di un diploma universitario o di una qualifica simile in età 30-34 anni;
              conoscenza, ricerca, sviluppo appaiono quindi quali tasselli fondamentali di un quadro strutturale generale volto a rispondere alle carenze strutturali che l'economia europea ha mostrato ma per poter raggiungere questi risultati l'Europa richiede ai Paesi membri di adottare a livello nazionale provvedimenti che si adattino alla specifica situazione locale; attraverso la crescita del livello generale di istruzione;
              la quota di popolazione con un'istruzione terziaria nella Unione europea dei 28 è in costante aumento ma tra i territori in cui si registra un andamento di segno inverso ci sono quattro regioni che si trovano nell'Italia meridionale: Basilicata, Campania, Sardegna e Sicilia;
              secondo il rapporto Education at a glance 2015 in Italia solo il 34 per cento dei giovani, a fronte di una media Ocse del 50 per cento, consegue un diploma d'istruzione terziaria,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative volte a garantire pari opportunità di accesso all'alta formazione universitaria, all'alta formazione artistica e musicale, agli istituti tecnici superiori, attraverso una effettiva implementazione del diritto allo studio, che valorizzi i talenti delle studentesse e degli studenti in linea con gli obiettivi della Strategia UE 2020 e i livelli europei ed internazionali;
          ad assumere le iniziative necessarie a portare l'investimento della quota di prodotto interno lordo nel comparto universitario al livello degli altri Paesi dell'Ocse, dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa, potenziando le sinergie tra atenei, istituti per l'alta formazione ed istituti tecnici superiori, e tessuto produttivo, anche attraverso l'attuazione di un sistema duale sul modello europeo.
(1-01283) «Centemero, Occhiuto».


      La Camera,
          premesso che:
              le norme in materia di diritto allo studio universitario trovano il loro fondamento nella Costituzione che all'articolo 3, comma 2, affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese e, all'articolo 34, prevede, tra l'altro, che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e stabilisce che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso;
              la Costituzione stabilisce, all'articolo 117, comma 2, lettera m), che è competenza dello Stato stabilire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
              alle regioni spetta in via esclusiva la potestà legislativa in materia di diritto allo studio;
              la legge delega n.  240 del 2010, cosiddetta riforma Gelmini, in attuazione delle norme costituzionali è intervenuta in materia prevedendo la revisione della normativa in materia di diritto allo studio e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere erogate dalle università italiane;
              tra gli obiettivi principali perseguiti dalla legge n.  240 del 2010 ci sono stati quelli di rafforzare le opportunità di accesso all'istruzione superiore per gli studenti provenienti da situazioni socioeconomiche sfavorite e di promuovere il merito tra gli studenti;
              in attuazione della delega è stato approvato il decreto legislativo n.  68 del 2012, che prevede la partecipazione di soggetti diversi, ciascuno nell'ambito delle proprie competenza, ad un sistema integrato di strumenti e servizi al fine di garantire il diritto allo studio;
              il finanziamento per il diritto allo studio universitario riesce a coprire appena il 73 per cento circa delle richieste e questa percentuale registra una tendenza a diminuire: dal 74,25 per cento del 2013/14 si è passati al 73,89 per cento del 2014/15;
              questi dati rappresentano la situazione a livello nazionale, ma la percentuale di copertura delle richieste non risulta omogenea tra le varie regioni e la distribuzione del fondo per il diritto allo studio evidenzia forti sperequazioni al livello regionale;
              il meccanismo di ripartizione dei fondi statali alle regioni è basata sulla loro ricchezza per cui quelle che riescono ad assegnare un maggior numero di borse di studio perché più ricche ottengono paradossalmente maggiori fondi dallo Stato; tale distribuzione attiva un circolo vizioso per cui alle regioni del Sud vanno meno risorse rispetto a quelle del Nord;
              un alto grado di istruzione rappresenta un aspetto fondamentale per il progresso sia economico sia sociale di un Paese, tanto più in un'economia globalizzata e basata sulla conoscenza, nella quale è necessario disporre di una forza lavoro qualificata per poter competere in termini di produttività, qualità e innovazione; livelli bassi di istruzione terziaria, infatti, agiscono da ostacolo per la competitività e possono compromettere la capacità del nostro Paese di generare «crescita intelligente»;
              ampliare l'accesso all'istruzione superiore aumentando la partecipazione ai corsi di istruzione terziaria in particolare del membri dei gruppi svantaggiati, appare una scelta necessaria anche in considerazione degli obiettivi che l'Unione europea ha indicato ai propri stati membri. La strategia Europa 2020 è stata adottata per innovare Lisbona 2001, per rispondere alle nuove priorità che la crisi economica ha posto e che hanno portato l'Unione europea a riconoscere l'urgenza di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. La Strategia Europa 2020 si è posta cinque obiettivi, tra questi investire in istruzione, innovazione e ricerca, per sviluppare una economia basata sulla conoscenza e sulla innovazione, indicando tra i traguardi prioritari da raggiungere entro il 2020 quello di portare almeno al 40 per cento la percentuale di popolazione in possesso di un diploma universitario o di una qualifica simile in età 30-34 anni;
              conoscenza, ricerca, sviluppo appaiono quindi quali tasselli fondamentali di un quadro strutturale generale volto a rispondere alle carenze strutturali che l'economia europea ha mostrato ma per poter raggiungere questi risultati l'Europa richiede ai Paesi membri di adottare a livello nazionale provvedimenti che si adattino alla specifica situazione locale; attraverso la crescita del livello generale di istruzione;
              la quota di popolazione con un'istruzione terziaria nella Unione europea dei 28 è in costante aumento ma tra i territori in cui si registra un andamento di segno inverso ci sono quattro regioni che si trovano nell'Italia meridionale: Basilicata, Campania, Sardegna e Sicilia;
              secondo il rapporto Education at a glance 2015 in Italia solo il 34 per cento dei giovani, a fronte di una media Ocse del 50 per cento, consegue un diploma d'istruzione terziaria,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative volte a garantire pari opportunità di accesso all'alta formazione universitaria, all'alta formazione artistica e musicale, agli istituti tecnici superiori, attraverso una effettiva implementazione del diritto allo studio, che valorizzi i talenti delle studentesse e degli studenti in linea con gli obiettivi della Strategia UE 2020 e i livelli europei ed internazionali.
(1-01283)
(Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Centemero, Occhiuto».


      La Camera,
          premesso che:
              la Costituzione all'articolo 3, secondo comma, sancisce che: «la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»; questo è il principio cardine da cui nasce il diritto allo studio; mentre all'articolo 34, la Costituzione prevede che: «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»;
              per quanto attiene all'organizzazione necessaria a rendere effettivi i diritti suddetti, la Costituzione statuisce, all'articolo 117, secondo comma, lettera m), che è competenza dello Stato stabilire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Alle regioni spetta in via esclusiva la potestà legislativa in materia;
              il finanziamento per il diritto allo studio universitario, a livello nazionale, copre poco più del 70 per cento delle richieste effettive, con una continua tendenza al ribasso, con forti disparità tra le regioni del Paese;
              in Italia solo il 34 per cento dei giovani, contro una media Ocse del 50 per cento, consegue la laurea; secondo quanto emerge dai dati raccolti dal Censis, le università italiane stanno perdendo sempre più immatricolati, 78.000 in meno negli ultimi dieci anni, trend che continua ad allontanare l'Italia dalla possibilità di raggiungere il 40 per cento di laureati entro il 2020 come stabilito a livello europeo;
              le cause di tale calo di immatricolazione sono molteplici: il restringimento dei canali di accesso all'università, il numero programmato dei corsi di laurea, programmi di studio troppo antiquati e carenza di adeguati finanziamenti regionali;
              allarmante è non soltanto l'emorragia dei giovani studenti universitari, ma anche la fuga di coloro che hanno già conseguito una laurea, a riprova che, sempre più spesso, chi possiede qualità e titoli sceglie di massimizzarli puntando dove maggiori sono le opportunità economiche e d'impiego. Il trasferimento degli studenti italiani post-laureati, peraltro, rappresenta una perdita non soltanto in termini di risorse umane ma anche in termini economici, il cui costo è stato stimato in 23 miliardi di euro,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per prevedere un impegno sempre maggiore di risorse, attraverso il costante aumento dell'investimento di quote di prodotto interno lordo nel comparto universitario, per portarlo al livello degli altri Paesi dell'Ocse, al fine di migliorare la situazione attuale che accresce il divario tra i ceti sociali ed economici, in netto contrasto con il dettato costituzionale.
(1-01289) «Borghesi, Allasia, Attaguile, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


      La Camera,
          premesso che:
              la Costituzione italiana prevede il principio di uguaglianza sostanziale, in base al quale «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
              la medesima Costituzione prevede quale specificazione, all'articolo 34, quarto comma, che «La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»;
              tra il 2008 e il 2014, secondo i dati dell’European university association public funding observatory, l'investimento pubblico si è ridotto del 21 per cento in termini reali e tra il 2014 (unico anno in cui il livello di investimenti aveva ripreso a crescere almeno rispetto al 2013) al 2015 si è assistito a una nuova riduzione;
              secondo l’«Education at a glance 2015», l'annuale pubblicazione Ocse che analizza i sistemi di istruzione dei trentaquattro Paesi membri e di altri Stati partner, l'Italia destina soltanto lo 0,9 per cento del prodotto interno lordo all'istruzione terziaria, la seconda quota più bassa tra i Paesi dell'Ocse dopo il Lussemburgo, mentre Paesi come Canada, Cile, Corea, Danimarca, Finlandia, Stati Uniti, hanno dedicato quasi il 2 per cento, o una quota superiore, del prodotto interno lordo all'istruzione terziaria;
              in particolare, i fondi destinati alla copertura delle borse di studio, che rappresenterebbero, in diretta attuazione del dettato costituzionale, uno strumento per garantire l'accesso agli studi universitari anche da parte di chi non può permetterselo in base al reddito familiare e alle proprie forze, sono sempre insufficienti e infatti ci sono molti aventi diritto che ne rimangono privi;
              negli ultimi anni, infatti, il diritto allo studio universitario è stato privato di effettività a causa del sempre più frequente fenomeno per cui uno studente risulti idoneo a percepire la borsa di studio ma non possa esserne beneficiario a causa delle insufficienti risorse stanziate dallo Stato (tanto da avere fatto notizia la circostanza per cui una regione nel 2016 risulterebbe in grado finalmente di avere la copertura del 100 per cento per l'erogazione delle borse di studio);
              infatti, nonostante le nuove regole sul diritto allo studio, conseguenti alla «riforma Gelmini» dell'università, abbiano causato un numero di studenti idonei a percepire la borsa di studio inferiore rispetto al passato, le regioni non riescono, comunque, ad assegnare le borse a tutti i richiedenti che ne hanno diritto;
              sullo specifico fondamentale punto del diritto allo studio è in corso una mobilitazione studentesca alla quale anche Alternativa libera-Possibile ha fornito il proprio apporto al fine di presentare una proposta di legge di iniziativa popolare per garantire l'effettività e l'omogeneità delle prestazioni, destinate ad assicurare la copertura totale delle borse di studio, l'efficienza e l'adeguatezza dei servizi e la fascia di esenzione dalle tasse; definire l'ammontare della borsa di studio sulla base di parametri oggettivi e prevedere ulteriori interventi di attuazione del principio di uguaglianza sostanziale ed effettività del diritto allo studio universitario (dall'assistenza sanitaria gratuita nella regione in cui ha sede l'università, anche se non si tratta di quella di residenza, alla tariffa agevolata per la mensa e altro);
              secondo i dati dell'anagrafe del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il numero degli immatricolati è passato da trecentotrentaseimila nell'anno accademico 2003/2004 a duecentosettantamila nel 2014/2015 e dati simili risultano da studi dell'Ocse (dai trecentotrentacinquemila del 2004/2005 a duecentosettantamila del 2014/2015); risulta che siano stati persi circa quattrocentosessantatremila studenti in dieci anni;
              negli ultimi anni c’è stato peraltro anche un sensibile calo delle immatricolazioni: secondo il rapporto Res «Università in declino. Un'indagine sugli atenei da Nord a Sud», a cura di Gianfranco Viesti, «rispetto al momento di massima dimensione (databile, a seconda delle variabili considerate, fra il 2004 e il 2008) al 2014-2015 gli immatricolati si riducono di oltre 66 mila unità, passando da circa 326 mila a meno di 260 mila (con una riduzione del 20 per cento), tanto da portare alla conclusione che “l'Italia ha compiuto, nel giro di pochi anni, un disinvestimento molto forte nella sua università”»;
              secondo gli obiettivi ”Europa 2020” fissati dalla Commissione europea, tra quattro anni dovrebbero esserci, nell'Unione europea, il 40 per cento di giovani laureati, ma l'obiettivo italiano alla stessa data è pari al 26-27 per cento (partendo dal 21,7 per cento del 2012), che continuerebbe a collocarla all'ultimo posto,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per prevedere una maggiore e crescente destinazione di risorse al comparto universitario per portarlo al livello degli altri Paesi dell'Ocse;
          ad assumere iniziative normative a garanzia dell'effettività del diritto allo studio universitario previsto dalla Costituzione, aumentando in particolare le risorse destinate al relativo fondo.
(1-01293) «Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino, Matarrelli, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».


      La Camera,
          premesso che:
              la Costituzione italiana prevede il principio di uguaglianza sostanziale, in base al quale «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
              la medesima Costituzione prevede quale specificazione, all'articolo 34, quarto comma, che «La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»;
              tra il 2008 e il 2014, secondo i dati dell’European university association public funding observatory, l'investimento pubblico si è ridotto del 21 per cento in termini reali e tra il 2014 (unico anno in cui il livello di investimenti aveva ripreso a crescere almeno rispetto al 2013) al 2015 si è assistito a una nuova riduzione;
              secondo l’«Education at a glance 2015», l'annuale pubblicazione Ocse che analizza i sistemi di istruzione dei trentaquattro Paesi membri e di altri Stati partner, l'Italia destina soltanto lo 0,9 per cento del prodotto interno lordo all'istruzione terziaria, la seconda quota più bassa tra i Paesi dell'Ocse dopo il Lussemburgo, mentre Paesi come Canada, Cile, Corea, Danimarca, Finlandia, Stati Uniti, hanno dedicato quasi il 2 per cento, o una quota superiore, del prodotto interno lordo all'istruzione terziaria;
              in particolare, i fondi destinati alla copertura delle borse di studio, che rappresenterebbero, in diretta attuazione del dettato costituzionale, uno strumento per garantire l'accesso agli studi universitari anche da parte di chi non può permetterselo in base al reddito familiare e alle proprie forze, sono sempre insufficienti e infatti ci sono molti aventi diritto che ne rimangono privi;
              negli ultimi anni, infatti, il diritto allo studio universitario è stato privato di effettività a causa del sempre più frequente fenomeno per cui uno studente risulti idoneo a percepire la borsa di studio ma non possa esserne beneficiario a causa delle insufficienti risorse stanziate dallo Stato (tanto da avere fatto notizia la circostanza per cui una regione nel 2016 risulterebbe in grado finalmente di avere la copertura del 100 per cento per l'erogazione delle borse di studio);
              infatti, nonostante le nuove regole sul diritto allo studio, conseguenti alla «riforma Gelmini» dell'università, abbiano causato un numero di studenti idonei a percepire la borsa di studio inferiore rispetto al passato, le regioni non riescono, comunque, ad assegnare le borse a tutti i richiedenti che ne hanno diritto;
              sullo specifico fondamentale punto del diritto allo studio è in corso una mobilitazione studentesca alla quale anche Alternativa libera-Possibile ha fornito il proprio apporto al fine di presentare una proposta di legge di iniziativa popolare per garantire l'effettività e l'omogeneità delle prestazioni, destinate ad assicurare la copertura totale delle borse di studio, l'efficienza e l'adeguatezza dei servizi e la fascia di esenzione dalle tasse; definire l'ammontare della borsa di studio sulla base di parametri oggettivi e prevedere ulteriori interventi di attuazione del principio di uguaglianza sostanziale ed effettività del diritto allo studio universitario (dall'assistenza sanitaria gratuita nella regione in cui ha sede l'università, anche se non si tratta di quella di residenza, alla tariffa agevolata per la mensa e altro);
              secondo i dati dell'anagrafe del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il numero degli immatricolati è passato da trecentotrentaseimila nell'anno accademico 2003/2004 a duecentosettantamila nel 2014/2015 e dati simili risultano da studi dell'Ocse (dai trecentotrentacinquemila del 2004/2005 a duecentosettantamila del 2014/2015); risulta che siano stati persi circa quattrocentosessantatremila studenti in dieci anni;
              negli ultimi anni c’è stato peraltro anche un sensibile calo delle immatricolazioni: secondo il rapporto Res «Università in declino. Un'indagine sugli atenei da Nord a Sud», a cura di Gianfranco Viesti, «rispetto al momento di massima dimensione (databile, a seconda delle variabili considerate, fra il 2004 e il 2008) al 2014-2015 gli immatricolati si riducono di oltre 66 mila unità, passando da circa 326 mila a meno di 260 mila (con una riduzione del 20 per cento), tanto da portare alla conclusione che “l'Italia ha compiuto, nel giro di pochi anni, un disinvestimento molto forte nella sua università”»;
              secondo gli obiettivi ”Europa 2020” fissati dalla Commissione europea, tra quattro anni dovrebbero esserci, nell'Unione europea, il 40 per cento di giovani laureati, ma l'obiettivo italiano alla stessa data è pari al 26-27 per cento (partendo dal 21,7 per cento del 2012), che continuerebbe a collocarla all'ultimo posto,

impegna il Governo:

          ad assumere, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e gli impegni in altri settori, iniziative per prevedere una maggiore e crescente destinazione di risorse al comparto universitario per portarlo al livello degli altri Paesi dell'Ocse;
          ad assumere, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e gli impegni in altri settori, iniziative normative a garanzia dell'effettività del diritto allo studio universitario previsto dalla Costituzione, aumentando in particolare le risorse destinate al relativo fondo.
(1-01293)
(Testo modificato nel corso della seduta)     «Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino, Matarrelli, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».


      La Camera,
          premesso che:
              secondo l'ultimo rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR 2016), nonostante la crescita degli ultimi anni, l'Italia rimane tra gli ultimi Paesi in europa per quota di popolazione in possesso di un titolo d'istruzione terziaria, anche tra la popolazione più giovane (24 per cento contro 37 per cento della media UE e 41 per cento media OCSE nella popolazione 25-34 anni); così il nostro Paese ha colmato la distanza in termini di giovani che conseguono un diploma di scuola secondaria superiore, ma presenta tassi di accesso all'istruzione terziaria ancora più bassi della media europea e OCSE (42 per cento contro 63 per cento nella media UE, 67 per cento media OCSE);
              nonostante si sia realizzata in un contesto di tagli al diritto allo studio – spesso operati a livello regionale – che intaccano l'uguaglianza delle opportunità richiesta dalla Costituzione, la mobilità degli studenti tra atenei è recentemente aumentata in tutte le aree del Paese, specialmente a livello di lauree magistrali; così la quota di quanti studiano fuori regione è salita dal 18 per cento del 2007-2008 al 22 per cento nel 2015-2016 a beneficio soprattutto degli atenei del Centro-Nord;
              secondo i dati OCSE (Education at a glance 2015) la spesa in istruzione terziaria in Italia risulta inferiore a quella media OCSE, sia in rapporto al numero degli studenti iscritti sia in rapporto al prodotto interno lordo; così, nel 2015, le somme stanziate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per il finanziamento del sistema universitario e per il sostegno agli studenti e al diritto allo studio ammontano a 7,25 miliardi di euro, mentre nel 2016 l'ammontare previsto è di 7,34 miliardi di euro – valori simili a quelli del 2013 e 2014, ma lontani dal massimo raggiunto nel 2009 di 8,44 miliardi di euro;
              la principale criticità del sistema di diritto allo studio è rappresentata dalla cronica carenza di risorse, dal fatto che quelle disponibili non sempre vengono erogate in maniera tempestiva, e dall'incertezza circa la permanenza del sostegno da un anno all'altro. Inoltre, permane una eterogeneità (tra regioni e, all'interno delle stesse, tra i diversi atenei) nei requisiti di accesso e nei tempi di erogazione dei benefici; il 47,3 per cento della spesa regionale per gli interventi di sostegno agli studenti è così coperto dalla tassa universitaria regionale e, negli ultimi anni, quest'ultima è stata elevata a 140 euro nella maggior parte delle regioni;
              senza un aumento complessivo delle risorse investite nella formazione terziaria e nella ricerca e una maggiore diversificazione dell'offerta appare difficile conseguire gli obiettivi della strategia «Europa 2020» e si rischia di rimanere lontani dagli altri Paesi europei, che si prefiggono di investire il 3 per cento del Pil nella ricerca (a fronte dell'obiettivo nazionale dell'1,5 per cento) e di conseguire una quota pari al 40 per cento di giovani con titolo di formazione terziaria (contro il 26 per cento in Italia),

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative volte a migliorare la ripartizione delle risorse, sostenendo con più decisione aspetti come il diritto allo studio e le prospettive di carriera dei migliori giovani studiosi e delle migliori giovani studiose;
          a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a differenziare il sistema nazionale di istruzione terziaria affinché non solo aumenti l'impegno nella riduzione degli abbandoni e nel recupero dei ritardi, ma si arrivi anche a un ampliamento dell'offerta didattica in direzione tecnico-professionale e non solo universitaria.
(1-01295) «Marzano, Nesi, Marcolin, Matteo Bragantini, Prataviera, Labriola, Faenzi, Parisi, D'Alessandro, Lainati, Locatelli, Di Lello, Prodani, Pastorelli».


      La Camera,
          premesso che:
              per vivere in una società complessa come quella attuale, è indispensabile elevare il livello di formazione degli individui;
              il diritto allo studio universitario si manifesta nel nostro sistema giuridico come una delle declinazioni del principio generale di uguaglianza sostanziale di cui all'articolo 3, secondo comma, della Costituzione, che impone alla Repubblica di rimuovere tutti quegli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono agli individui di sviluppare ed esprimere pienamente la propria personalità nella società civile. Questo principio trova inoltre il suo esplicito fondamento negli ultimi due commi del successivo articolo 34, laddove si afferma che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi economici, hanno il diritto di accedere ai gradi più alti dell'istruzione e della formazione e che la Repubblica deve garantirne l'esigibilità attraverso l'attribuzione, per concorso, di borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze;
              in seno alla stessa Assemblea costituente fu, infatti, osservato che: «Uno dei punti al quale l'Italia deve tenere è che nella sua Costituzione, come in nessun'altra, sia accentuato l'impegno di aprire ai capaci e meritevoli, anche se poveri, i gradi più alti dell'istruzione. Alla realizzazione di questo impegno occorreranno grandi stanziamenti; ma non si deve esitare; si tratta di una delle forme più significative per riconoscere, anche qui, un diritto della persona, per utilizzare a vantaggio della società forze che resterebbero latenti e perdute, di attuare una vera e integrale democrazia»;
              il diritto allo studio, oltre a rappresentare un diritto sociale costituzionalmente garantito, è dunque uno strumento per garantire i diritti inviolabili dell'individuo nelle formazioni sociali, al quale corrisponde un preciso dovere della collettività di assicurare a tutti i capaci e meritevoli uguali punti di partenza ed uguali possibilità di portare a compimento i percorsi formativi prescelti;
              eppure da alcuni anni in ambito europeo si va affermando un'idea di economia della conoscenza, ossia uno sviluppo del tessuto produttivo mirato all'estrazione di valore sulla base di una forte innovazione e dell'elevazione del livello generale di formazione, che sta portando alcuni Paesi membri, incluso il nostro, a smantellare il tradizionale meccanismo di assegnazione delle suddette provvidenze, in favore di un sistema nuovo, riservato a pochi eccellenti, attraverso un innalzamento dei soli criteri di merito ed un'aumentata competitività tra studenti;
              a rendere, inoltre, la formazione universitaria un percorso irto di ostacoli sono stati i continui e pesanti definanziamenti, nonché tutte quelle politiche scarsamente inclusive ed incapaci di rispondere alle esigenze della popolazione studentesca attraverso la pianificazione di servizi, agevolazioni ed interventi che, direttamente o indirettamente, contribuiscono a migliorare la condizione dei soggetti in formazione, siano essi residenti, fuorisede, italiani o stranieri;
              nel nostro Paese il diritto allo studio universitario non ha mai ricevuto quell'attenzione che invece meriterebbe, anche a causa di una legislazione che si è evoluta lentamente rispetto alle reali necessità e spesso in maniera confusa ed inadeguata. La stessa costituzionalizzazione del diritto allo studio non ne ha garantito in tutti questi decenni la piena ed immediata effettività, avendo conosciuto un significativo riconoscimento normativo solo dopo il trasferimento delle competenze a favore delle regioni avvenuto negli anni ’70, cui seguirono tuttavia una frammentazione ed una stratificazione di leggi regionali molto eterogenee tra loro perfino riguardo alla definizione di welfare studentesco, tanto da delineare l'assenza di una reale volontà politica di investire nell'accesso ai percorsi formativi e da sfociare in un mancato rispetto dello stesso principio di eguaglianza. A ciò si aggiunga che l'incapacità delle regioni di garantire l'esercizio del diritto allo studio è storicamente imputabile ad una serie di fattori, primo fra tutti quello delle inadeguate risorse finanziarie trasferite loro dallo Stato, risorse che per croniche difficoltà strutturali di bilancio le stesse regioni non sono state in grado di integrare attraverso fondi propri;
              d'altra parte, anche la successiva legge quadro, la n.390 del 1991, ha aggravato la confusione del contesto normativo, essendosi caratterizzata, da un lato, per l'attribuzione di funzioni importanti agli organi centrali dello Stato, nel tentativo di porre freno alla eterogeneità delle risposte locali, e dall'altro, per il trasferimento di alcune competenze dalle regioni alle università;
              successivamente, a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, e secondo il decreto legislativo n.  68 del 2012, il diritto allo studio universitario, non rientrando tra le materie attribuite in via esclusiva allo Stato né tra quelle di natura concorrente, si è collocato come ambito di competenza legislativa residuale delle regioni, competenza che, pur incontrando attualmente un limite molto importante imposto dall'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, e sulla base del quale lo Stato deve stabilire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, tra i quali rientrano a pieno titolo le provvidenze legate al diritto allo studio, può riprodurre quel quadro di interventi e di frammentazione normativa antecedenti all'approvazione della legge quadro n.  390 del 1991, capaci di inficiare il principio di uguaglianza sancito dal suddetto articolo 3 della Costituzione. Inoltre, lo stesso diritto, rimanendo in parte di competenza regionale, è soggetto alle incerte e fluttuanti disponibilità finanziarie delle singole regioni, con risultati tutt'altro che lusinghieri. Oggi infatti, grazie a strumenti di welfare studentesco di tipo assistenziale che, seppur fondamentali, non bastano alla promozione dell'autonomia del soggetto in formazione, solo pochissime regioni, quelle peraltro più virtuose, riescono ad attribuire a tutti gli idonei le borse di studio, mentre rimangono ancora inadeguati ed insufficienti rispetto al numero degli aventi diritto gli alloggi e le forme di reddito indiretto, come mobilità gratuita, mense agevolate, misure per l'accesso alla cultura e, laddove esistono, luoghi di aggregazione culturale sui territori;
              altro punto dolente è rappresentato dall'ottica assistenzialista con cui le amministrazioni hanno fino ad oggi gestito la materia, quasi che vigesse la logica della «beneficenza» piuttosto che l'obbligo, da parte delle istituzioni, di garantire un diritto. Lo stesso ruolo delle amministrazioni comunali, delegate dalle regioni all'assegnazione delle borse di studio, ha fallito gran parte degli obiettivi preposti e auspicati. In sostanza, la mancanza di parametri e principi comuni di riferimento ha fatto sì che vigesse l'arbitrio delle singole istituzioni di competenza che, invece di investire sulle vere priorità, hanno sempre considerato la questione del diritto allo studio come secondaria;
              sul fronte dei finanziamenti l'Italia, secondo quanto riportato dall'ultimo rapporto sull'educazione dell'Ocse, spende per l'università circa lo 0,9 per cento del proprio prodotto interno lordo, di cui solo una quota pari allo 0,04 destinata al diritto allo studio universitario; in secondo luogo, come rivelato dall'ultimo «Rapporto Istat sulla povertà nel nostro Paese», sono stimate in 2.737.000 le famiglie che si trovano in condizione di povertà relativa rappresentando l'11,3 per cento delle famiglie residenti. A fronte di questo scenario risulta desolante il confronto delle politiche economiche nazionali per il diritto allo studio con quelle degli altri Paesi europei, dove invece la presenza di un più forte stato sociale e politiche per l'accesso ai canali formativi hanno meglio garantito altissimi livelli di istruzione e formazione e, conseguentemente, migliori condizioni di vita: se l'80 per cento degli studenti italiani non riceve una borsa di studio, in Francia la percentuale è del 70 per cento; la percentuale scende al 60 per cento in Germania, mentre in Olanda addirittura al 4 per cento; rispetto alle residenze universitarie, in Italia solo il 2 per cento degli studenti ha diritto ad un alloggio, mentre in Francia la percentuale sale all'8 per cento, in Germania al 10 per cento, e in Svezia addirittura al 17 per cento. Si tratta di dati che chiariscono come in Italia vi sia uno dei tassi di abbandono universitario tra i più alti d'Europa, il 18,5 per cento, ben al di sopra di altri Stati come Olanda, pari al 7 per cento, o Gran Bretagna, pari all'8,5 per cento;
              dunque, accanto ad una normativa lacunosa, anche la scelta trasversale degli ultimi Governi di trascurare l'investimento in formazione superiore ha fatto sì che i fondi destinati dallo Stato al riconoscimento delle borse di studio siano sempre insufficienti a garantire la copertura totale degli idonei e che il diritto allo studio pesi ormai per oltre il 42 per cento sulle spalle degli studenti stessi che vi provvedono tramite la tassa regionale per il diritto allo studio, diventandone così essi stessi i principali finanziatori. Se si guarda, infatti, al decennio che va dal 2002 al 2012 si scopre che, a fronte di un numero quasi costante di studenti dichiarati idonei alla borsa di studio, una larga parte di essi, oltre 25.000, a causa della carenza di fondi è stata confinata nel limbo degli idonei che non l'hanno percepita, andando così ad allargare la platea dei cosiddetti «idonei non beneficiari», ossia di coloro che, pur soddisfacendo i requisiti di accesso sanciti dal bando dell'ufficio regionale competente, non ricevono alcuna borsa a causa dell'insufficienza delle risorse;
              poiché la concessione delle borse di studio è assicurata a tutti gli studenti aventi i requisiti di eleggibilità nei limiti delle risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, lo stesso Stato, pur vincolando le regioni a versare per tale finalità il 40 per cento del contributo statale, non vincola in alcun modo se stesso allo stanziamento atto a coprire la spesa di tutte le borse in concorso, dimostrando in tal modo di non attribuire al diritto allo studio quel carattere inderogabile e prioritario che invece gli impone la Costituzione;
              a complicare la situazione interviene lo stesso meccanismo previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 9 aprile 2001 che, a garanzia del prioritario utilizzo delle risorse statali da parte delle regioni, prevede che le stesse possano ricorrervi solo dopo aver esaurito le proprie e quelle derivanti dalla tassa regionale per il diritto allo studio, pena la riduzione di pari importo della quota loro spettante del fondo integrativo;
              tutte le suddette carenze generano anche profonde sperequazioni tra le diverse zone d'Italia che si traducono nella penalizzazione degli studenti che provengono dalle aree più povere del Paese, in particolare dal meridione. Ogni anno, infatti, le università meridionali registrano una costante riduzione delle immatricolazioni e circa 29.000 diplomati al sud emigrano al Centro-nord per iscriversi a corsi universitari, una riduzione che ovviamente condiziona anche il numero dei laureati. Anche i criteri di riparto del fondo integrativo per la concessione delle borse di studio penalizzano in maniera evidente da oltre 13 anni il meridione, sottraendo ogni anno importanti risorse economiche agli studenti, il 75 per cento dei quali, pur essendo idonei non ricevono le agevolazioni per la prosecuzione dei loro studi;
              sempre l'Ocse, nel suo rapporto annuale «Education at glance», pubblicazione che analizza i sistemi di istruzione di 34 Paesi membri e li elabora con i dati relativi ai tassi di occupazione e disoccupazione per livello di studio, ha sottolineato la stretta correlazione tra il numero di laureati e lo sviluppo economico di un territorio e come la riduzione del numero dei laureati meridionali produca ripercussioni negative sulla situazione economica e culturale di quell'area del Paese;
              l'articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n.  306, («Regolamento recante disciplina in materia di contributi universitari») stabilisce che la quota totale di contribuzione con la quale gli studenti concorrono alla copertura del costo dei servizi offerti dalle università non può eccedere il 20 per cento dell'importo del finanziamento ordinario annuale dello Stato a ciascuna di esse. A causa della sensibile diminuzione delle risorse del fondo per il finanziamento ordinario, molte università a fronte di una conseguente diminuzione di risorse, per garantire il medesimo livello dei servizi, sono state costrette a superare tale limite (a volte fino ad elevarlo al 40 per cento) e ad elevare le tasse;
              in tutti i Paesi dell'Unione europea, tranne Italia e Grecia, esistono forme di reddito diretto per i soggetti in formazione. Si tratta di uno strumento che supera il modello assistenzialistico e rende lo studente libero e responsabile delle proprie scelte, favorendone la partecipazione e la creatività giovanile, stimolando l'opportunità di formarsi culturalmente al di là dei luoghi classici della formazione, in grado di slegare i soggetti in formazione dalla famiglia e dalla propria condizione sociale, imprimendo un'accelerazione alla mobilità sociale;
              quanto premesso promuove un modello sociale che rischia di esacerbare le disuguaglianze e di annullare ogni opportunità di autodeterminazione dei soggetti impegnati in percorsi di alta formazione,

impegna il Governo:

          ad adottare ogni iniziativa di competenza, relativa al diritto allo studio universitario, volta:
              a) alla definizione di un sistema di welfare studentesco nazionale che garantisca l'effettiva rimozione degli ostacoli di natura economica per gli studenti capaci e meritevoli, consentendo loro di accedere e completare i corsi di studio universitario;
              b) alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni connesse al diritto allo studio, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, capaci di abbattere le attuali disuguaglianze sociali e disomogeneità territoriali;
              c) all'adozione di un piano straordinario di finanziamenti strutturali per il diritto allo studio, al fine di raggiungere la copertura totale dei fondi destinati alle borse di studio da erogare a tutti gli idonei per risolvere definitivamente il diffuso ed inaccettabile fenomeno degli idonei non vincitori di borsa;
              d) all'ampliamento delle fasce di reddito degli aventi diritto alle provvidenze attualmente previste che al peggiorare della situazione economica si rivelano sempre più inadeguate;
              e) alla garanzia del pieno godimento dei diritti di cittadinanza agli studenti universitari anche attraverso misure di agevolazione della mobilità sui mezzi di trasporto pubblico, canoni calmierati per la locazione di immobili nel comune in cui ha sede l'ateneo, e assistenza sanitaria gratuita nella regione in cui ha sede l'università;
              f) ad un regime sperimentale che riconosca il reddito di formazione a tutti quegli studenti che vivono in condizioni economiche particolarmente disagiate;
              g) ad una più equa ripartizione della contribuzione studentesca attuata anche attraverso la previsione di una «no tax area» per quei soggetti con Isee al di sotto dei 20.000 euro, che, a causa di condizioni economiche disagiate, sono potenzialmente più esposti al rischio di abbandono degli studi;
              h) all'estensione agli studenti immigrati di tutte le agevolazioni riservate agli studenti di cittadinanza italiana in materia di diritto allo studio;
              i) all'istituzione della carta di cittadinanza studentesca al fine di favorire i consumi culturali;
              j) allo stanziamento di ulteriori risorse finanziarie finalizzate a rendere effettivo su tutto il territorio nazionale il diritto allo studio universitario.
(1-01298) «Pannarale, Giancarlo Giordano, Carlo Galli, Paglia, Nicchi, Gregori, Scotto».


      La Camera,
          premesso che:
              in Italia sono ancora troppo pochi i giovani che scelgono di intraprendere gli studi universitari, e l'edizione 2015 del rapporto «Education at a Glance», pubblicato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo Sviluppo Economici, ha dimostrato come sotto questo aspetto l'Italia invece di migliorare stia continuando ad arretrare rispetto agli altri Stati membri;
              la percentuale di italiani che inizia gli studi post-secondari è, infatti, la più bassa in Europa, pari ad appena il 42 per cento, e la penultima nell'OCSE, davanti solo al Messico, mentre la media europea e quella dell'OCSE sono più alte, rispettivamente, di 21 e 25 punti percentuali, attestandosi la prima sul 63 per cento, e la seconda sul 67 per cento;
              ancora più critiche appaiono le cifre relative agli studenti che riescono a concludere il ciclo di studi universitari, pari ad appena il 24 per cento, valore più basso tra tutti i Paesi facenti parte dell'OCSE, e che rende un traguardo oramai irraggiungibile la quota del quaranta per cento di laureati nella fascia di età compresa tra i 30 e i 34 anni fissato nell'ambito della strategia «Europa 2020»;
              stando al rapporto Alma Laurea su «Il Profilo e la condizione occupazionale dei laureati», presentato lo scorso mese di aprile a Napoli, «il costante calo delle immatricolazioni, che negli ultimi anni ha interessato l'intero sistema universitario italiano, sta interessando in modo differenziato i diversi territori. A pagare il prezzo più elevato sono le regioni del Sud, non solo per la diminuzione più marcata di immatricolati, ma anche per i costanti flussi di mobilità dei giovani che dal Mezzogiorno scelgono di spostarsi per studiare nelle altre regioni del Paese»;
              l'andamento delle immatricolazioni mostra, infatti, che dal 2003 al 2015 le università hanno perso nel complesso quasi settantamila nuovi iscritti, con una diminuzione che nel Mezzogiorno è stata pari al trenta per cento, nelle regioni del centro si è fermata al ventidue per cento, mentre in quelle settentrionali è stata di appena il tre per cento;
              ad aggravare ulteriormente questa situazione, sulla quale pesa come elemento affatto trascurabile anche il calo demografico che negli ultimi decenni ha ridotto di quasi la metà la platea dei giovani possibili studenti universitari, si è andata recentemente ad aggiungere la questione relativa alla revisione delle modalità di calcolo dell'isee, in vigore dal 1o gennaio 2015 in applicazione del DPCM 5 dicembre 2013, n.159, recante il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)»;
              le modifiche al sistema di calcolo dell'Isee e dell'Ispe (Indicatore della situazione patrimoniale equivalente) e all'individuazione delle rispettive soglie per accedere alle borse di studio hanno determinato l'esclusione del venti per cento degli studenti risultati fino ad oggi idonei dai benefici del diritto allo studio a parità di condizioni economiche reali;
              questi studenti vanno ad aggiungersi alla già numerosa platea degli studenti idonei non beneficiari, fenomeno tutto italiano che dipende dalla mancata erogazione di fondi adeguati da parte dello Stato e delle regioni, che nell'anno accademico 2013/2014 sono stati più di quarantaseimila, vale a dire un quarto di tutti gli aventi diritto, e che non hanno, invece, percepito la borsa di studio a causa della mancanza di fondi;
              la percentuale di copertura delle borse di studio, inoltre, non risulta omogenea tra le varie regioni, e accade quindi che in alcune regioni la percentuale di studenti beneficiari rispetto agli idonei rimanga addirittura al di sotto del sessanta per cento, fino ad arrivare ad un minimo del trentadue per cento di copertura da parte della regione Sicilia;
              il sottofinanziamento del sistema universitario italiano emerge chiaramente dal confronto con gli altri Paesi europei, ove si può vedere come la percentuale di prodotto interno lordo destinata dall'Italia, pari allo 0,4 per cento, è nettamente inferiore a quello impegnato da parte di Nazioni come la Germania e la Francia, rispettivamente, lo 0,99 per cento e lo 0,98 per cento, ma anche del Regno Unito e della Spagna, che versano lo 0,51 per cento e lo 0,73 per cento;
              l'esiguità delle risorse destinate dall'Italia alla formazione universitaria si manifesta anche nella spesa media per studente e, di contro, nell'elevata tassazione studentesca, che negli ultimi sette anni è aumentata del cinquanta per cento, mentre rispetto all'atteggiamento tenuto dalle singole Nazioni negli anni della crisi economica l'Italia si contraddistingue per essere l'unica che ha operato una riduzione dei finanziamenti al sistema universitario;
              l'articolo 18 del decreto legislativo 68 del 2012 ha previsto la creazione di un nuovo fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, da ripartire tra le regioni e che ha assorbito il fondo precedentemente destinato alle medesime finalità;
              rispetto alla ripartizione ed erogazione delle risorse giacenti sul Fondo integrativo si registrano pesanti ritardi, che mettono a rischio la concreta erogazione da parte delle regioni delle rate delle borse di studio;
              il diritto allo studio, oltre a discendere dal principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione, trova un esplicito rilievo costituzionale nell'articolo 34 che prevede espressamente che «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi», e che «la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per assicurare la piena realizzazione del diritto allo studio, attraverso la rimozione degli ostacoli economici e sociali che limitano l'accesso agli studi universitari e a garantire l'uniformità su tutto il territorio nazionale dei benefici in materia di diritto allo studio universitario;
          a promuovere il conseguimento dei più alti livelli formativi da parte di tutti i giovani, in condizioni di pari opportunità, valorizzando prioritariamente il merito degli studenti capaci e privi di mezzi;
          ad assumere iniziative per realizzare una riforma dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che possa garantire l'accesso alle prestazioni relative al diritto allo studio ad una quantità maggiore di studenti, avvicinando il rapporto tra studenti beneficiari e studenti iscritti a quello degli altri Stati europei;
          ad assumere iniziative per realizzare un incremento della quota di prodotto interno lordo destinato al sistema universitario, anche al fine di determinare una significativa riduzione delle tasse a carico degli studenti, nonché ad adottare politiche volte a rendere più efficiente l'apparato burocratico, riducendo gli sprechi ed eliminando i disservizi;
          ad adottare le opportune iniziative volte a definire in modo chiaro i termini temporali per la ripartizione e l'erogazione delle risorse del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, nonché a disporre un aumento delle risorse del medesimo fondo che possa risolvere in via definitiva la problematica degli studenti idonei non beneficiari;
          ad assumere iniziative per prevedere meccanismi di sgravi fiscali che permettano alle famiglie di detrarre integralmente le spese sostenute per la frequenza universitaria.
(1-01301) «Rampelli, La Russa, Giorgia Meloni, Petrenga, Taglialatela, Cirielli, Maietta, Nastri, Rizzetto, Totaro».


      La Camera,
          premesso che:
              in Italia sono ancora troppo pochi i giovani che scelgono di intraprendere gli studi universitari, e l'edizione 2015 del rapporto «Education at a Glance», pubblicato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo Sviluppo Economici, ha dimostrato come sotto questo aspetto l'Italia invece di migliorare stia continuando ad arretrare rispetto agli altri Stati membri;
              la percentuale di italiani che inizia gli studi post-secondari è, infatti, la più bassa in Europa, pari ad appena il 42 per cento, e la penultima nell'OCSE, davanti solo al Messico, mentre la media europea e quella dell'OCSE sono più alte, rispettivamente, di 21 e 25 punti percentuali, attestandosi la prima sul 63 per cento, e la seconda sul 67 per cento;
              ancora più critiche appaiono le cifre relative agli studenti che riescono a concludere il ciclo di studi universitari, pari ad appena il 24 per cento, valore più basso tra tutti i Paesi facenti parte dell'OCSE, e che rende un traguardo oramai irraggiungibile la quota del quaranta per cento di laureati nella fascia di età compresa tra i 30 e i 34 anni fissato nell'ambito della strategia «Europa 2020»;
              stando al rapporto Alma Laurea su «Il Profilo e la condizione occupazionale dei laureati», presentato lo scorso mese di aprile a Napoli, «il costante calo delle immatricolazioni, che negli ultimi anni ha interessato l'intero sistema universitario italiano, sta interessando in modo differenziato i diversi territori. A pagare il prezzo più elevato sono le regioni del Sud, non solo per la diminuzione più marcata di immatricolati, ma anche per i costanti flussi di mobilità dei giovani che dal Mezzogiorno scelgono di spostarsi per studiare nelle altre regioni del Paese»;
              l'andamento delle immatricolazioni mostra, infatti, che dal 2003 al 2015 le università hanno perso nel complesso quasi settantamila nuovi iscritti, con una diminuzione che nel Mezzogiorno è stata pari al trenta per cento, nelle regioni del centro si è fermata al ventidue per cento, mentre in quelle settentrionali è stata di appena il tre per cento;
              ad aggravare ulteriormente questa situazione, sulla quale pesa come elemento affatto trascurabile anche il calo demografico che negli ultimi decenni ha ridotto di quasi la metà la platea dei giovani possibili studenti universitari, si è andata recentemente ad aggiungere la questione relativa alla revisione delle modalità di calcolo dell'isee, in vigore dal 1o gennaio 2015 in applicazione del DPCM 5 dicembre 2013, n.159, recante il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)»;
              le modifiche al sistema di calcolo dell'Isee e dell'Ispe (Indicatore della situazione patrimoniale equivalente) e all'individuazione delle rispettive soglie per accedere alle borse di studio hanno determinato l'esclusione del venti per cento degli studenti risultati fino ad oggi idonei dai benefici del diritto allo studio a parità di condizioni economiche reali;
              questi studenti vanno ad aggiungersi alla già numerosa platea degli studenti idonei non beneficiari, fenomeno tutto italiano che dipende dalla mancata erogazione di fondi adeguati da parte dello Stato e delle regioni, che nell'anno accademico 2013/2014 sono stati più di quarantaseimila, vale a dire un quarto di tutti gli aventi diritto, e che non hanno, invece, percepito la borsa di studio a causa della mancanza di fondi;
              la percentuale di copertura delle borse di studio, inoltre, non risulta omogenea tra le varie regioni, e accade quindi che in alcune regioni la percentuale di studenti beneficiari rispetto agli idonei rimanga addirittura al di sotto del sessanta per cento, fino ad arrivare ad un minimo del trentadue per cento di copertura da parte della regione Sicilia;
              il sottofinanziamento del sistema universitario italiano emerge chiaramente dal confronto con gli altri Paesi europei, ove si può vedere come la percentuale di prodotto interno lordo destinata dall'Italia, pari allo 0,4 per cento, è nettamente inferiore a quello impegnato da parte di Nazioni come la Germania e la Francia, rispettivamente, lo 0,99 per cento e lo 0,98 per cento, ma anche del Regno Unito e della Spagna, che versano lo 0,51 per cento e lo 0,73 per cento;
              l'esiguità delle risorse destinate dall'Italia alla formazione universitaria si manifesta anche nella spesa media per studente e, di contro, nell'elevata tassazione studentesca, che negli ultimi sette anni è aumentata del cinquanta per cento, mentre rispetto all'atteggiamento tenuto dalle singole Nazioni negli anni della crisi economica l'Italia si contraddistingue per essere l'unica che ha operato una riduzione dei finanziamenti al sistema universitario;
              l'articolo 18 del decreto legislativo 68 del 2012 ha previsto la creazione di un nuovo fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, da ripartire tra le regioni e che ha assorbito il fondo precedentemente destinato alle medesime finalità;
              rispetto alla ripartizione ed erogazione delle risorse giacenti sul Fondo integrativo si registrano pesanti ritardi, che mettono a rischio la concreta erogazione da parte delle regioni delle rate delle borse di studio;
              il diritto allo studio, oltre a discendere dal principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione, trova un esplicito rilievo costituzionale nell'articolo 34 che prevede espressamente che «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi», e che «la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»,

impegna il Governo

a promuovere il conseguimento dei più alti livelli formativi da parte di tutti i giovani, in condizioni di pari opportunità, valorizzando prioritariamente il merito degli studenti capaci e privi di mezzi.
(1-01301) (Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Rampelli, La Russa, Giorgia Meloni, Petrenga, Taglialatela, Cirielli, Maietta, Nastri, Rizzetto, Totaro».


      La Camera,
          premesso che:
              secondo l'edizione 2015 del rapporto internazionale «Education at a Glance» prodotto dall'Ocse, solo il 42 per cento degli italiani inizia gli studi universitari, valore che è il più basso in Europa (a parte il Lussemburgo che non ha università) e il penultimo nell'Ocse (davanti solo al Messico), a fronte di una media europea del 63 per cento e di valori massimi che superano l'80 per cento;
              gli studenti universitari italiani dovrebbero, quindi, aumentare almeno di metà anche solo per raggiungere la media europea, addirittura raddoppiare per raggiungere i Paesi europei più avanzati;
              secondo il medesimo rapporto, l'Italia, per percentuale di laureati nella fascia 25-34 anni, occupa adesso l'ultimo posto nell'Ocse con il 24 per cento (dopo essere stata a lungo penultima davanti alla Turchia), a fronte di una media europea del 39 per cento;
              il numero dei laureati italiani dovrebbe, quindi, aumentare di oltre il 60 per cento per raggiungere la media europea, mentre l'obiettivo del 40 per cento fissato da «Europa 2020» è ormai del tutto irraggiungibile per il nostro Paese;
              la percentuale di laureati italiani scende poi al 17 per cento nella fascia 25-64 anni, di nuovo la più bassa nell'Ocse, e, se si analizza il dato su base regionale come ha fatto il gruppo di ricerca coordinato da Gianfranco Viesti nel suo recente rapporto «Università in declino» pubblicato da Donzelli nel 2016, si vede che ai valori più alti (20 per cento) toccati dal Lazio, comunque pur sempre ben lontani dalla media europea, vi sono valori inferiori addirittura al 14 per cento in Puglia e in Sicilia, dello stesso ordine di quelli di Cina, Indonesia o Sudafrica;
              nemmeno l'andamento recente delle immatricolazioni induce a ben sperare, poiché, come già evidenziato dal Consiglio universitario nazionale sin dal 2013 e come documentato un mese fa dal XVIII rapporto Almalaurea appena pubblicato, dopo l'aumento registratosi dal 2000 al 2003, legato soprattutto al rientro nel sistema universitario di fasce di popolazione adulta dopo la riforma dell'ordinamento degli studi nel 1999, si è verificato un vistoso calo del 20 per cento dal 2003 al 2015 (in valori assoluti si sono perse circa 70.000 matricole), solo in piccola parte mitigato dal leggero aumento del 2 per cento registrato nell'ultimo anno accademico;
              il dato delle immatricolazioni è anch'esso molto differenziato tra le regioni: infatti, il calo di matricole tocca il -30 per cento al Sud, il -22 per cento al Centro ed è pari solo al -3 per cento al Nord; del resto anche il rapporto di Viesti valuta che circa i due terzi delle matricole mancanti abitino nel Meridione e nelle Isole, mentre, in valori assoluti, le università campane e quelle siciliane hanno avuto 6.500 matricole in meno tra il 2009 e il 2013, 5.000 in meno quelle pugliesi;
              tali dati evidenziano, tra l'altro, un accresciuto flusso di giovani meridionali che vanno a studiare nelle università del Centro-nord: il citato rapporto Viesti evidenzia che al Sud la mobilità riguarda il 28,9 per cento degli immatricolati, di cui 4 su dieci si spostano al Nord e altri 4 al Centro: sono circa 29.000 ogni anno i giovani meridionali in mobilità per l'università, fenomeno importante associato con una mobilità interna al Mezzogiorno assai contenuta e con un flusso in uscita dalla circoscrizione a cui non corrisponde un flusso in entrata;
              la mobilità studentesca non è di per sé un fenomeno negativo quando consente ai giovani di esprimere al meglio le proprie capacità in sedi e tipologie di studi che ritengono più consone alle loro aspirazioni, ma nel nostro Paese si sta trasformando in una vera e propria emigrazione intellettuale senza ritorno, generando da una parte una perdita per le regioni di uscita in termini di capitale umano, dall'altra un trasferimento di reddito a favore delle regioni di entrata per le spese sostenute dalle famiglie per il mantenimento dei figli fuori sede;
              la scelta del trasferimento fuori sede per gli studi universitari dipende da più fattori; in particolare, da una più elevata capacità attrattiva di singoli atenei centro-settentrionali, soprattutto della Lombardia e dell'Emilia Romagna, anche per la maggiore qualità della vita nelle città universitarie, nonché dalle maggiori prospettive occupazionali nei mercati del lavoro del Nord, mentre assai limitata risulta l'attrattività delle università meridionali;
              il sopra citato rapporto Almalaurea, relativamente ai laureati magistrali a 5 anni dal conseguimento del titolo, evidenzia che, tra i residenti nel Nord Italia, l'88 per cento ha svolto gli studi universitari e attualmente lavora nella propria area di residenza, mentre l'unico flusso uscente di una certa consistenza (7 per cento) dipende dal trasferimento all'estero; invece, tra i laureati di origine nell'Italia meridionale, il 53 per cento ha trovato lavoro al Nord, mentre solo l'11 per cento di chi si è laureato al Nord rientra dopo gli studi nella propria regione di origine;
              dati sostanzialmente simili riguardo alla mobilità interregionale durante gli studi universitari sono stati ricavati anche da un gruppo di ricerca guidato da Pasqualino Montanaro, ricercatore presso la Banca d'Italia, utilizzando l'Anagrafe nazionale degli studenti universitari nell'ambito del progetto ACHAB (Affording College with the Help of Asset Building), gestito da un consorzio di enti pubblici o privati senza fini di lucro e finanziato dall'Unione europea;
              il basso numero di studenti e laureati italiani dipende anche da un inefficace sistema di orientamento pre-universitario: il rapporto ANVUR 2016 sullo stato del sistema universitario, presentato il 24 maggio 2016, certifica un tasso di abbandoni che tocca il 38,5 per cento a dieci anni dall'immatricolazione e soprattutto che tocca il 19,6 per cento a soli due anni dall'immatricolazione (abbandoni precoci), anche se si registra un piccolo miglioramento rispetto al rapporto 2014;
              lo stesso rapporto evidenzia che il tasso di abbandoni precoci è maggiormente concentrato tra i diplomati degli istituti tecnici e professionali e tra gli studenti del Meridione e delle isole;
              tra le ragioni che spiegano il basso numero di studenti e di laureati deve sicuramente annoverarsi anche il limitato impegno nazionale nel campo del diritto allo studio universitario anche se deve essere registrato positivamente il recente e molto significativo aumento dello stanziamento statale che è passato dai 162 milioni del 2015 ai 217 del 2016: infatti, nel 2014/2015 solo l'8,2 per cento degli studenti italiani ha ottenuto la borsa di studio solo il 10,3 per cento è stato destinatario di un qualche intervento di diritto allo studio, a fronte di valori superiori al 30 per cento in Francia, Inghilterra e Svezia, superiori addirittura all'80 per cento in Olanda, Danimarca, Finlandia;
              è ancora purtroppo sussistente la categoria degli idonei non beneficiari, cioè studenti valutati come idonei, per ragioni di reddito e di merito, a ottenere la borsa di studio ma che non la ricevono per mancanza di fondi, categoria di cui fa parte circa un quarto degli idonei (oltre 45.000 studenti);
              anche sotto questo aspetto si registrano notevoli differenze a livello regionale: la percentuale di idonei non beneficiari è inferiore al 10 per cento in tutte le regioni del Nord e del Centro, salvo Piemonte e Lazio, mentre è superiore al 40 per cento in Piemonte, Campania, Calabria, Sardegna, con un picco negativo di oltre il 65 per cento in Sicilia;
              eppure la borsa di studio si dimostra strumento abbastanza efficace: come mostra una ricerca condotta dall'Osservatorio regionale del Piemonte sotto la guida di Federica Laudisa, i borsisti abbandonano gli studi universitari il 13 per cento di volte in meno dei non borsisti e conseguono in media 13 crediti formativi in più ogni anno rispetto ai non borsisti;
              anche sul fronte delle contribuzioni alle università da pagare da parte degli studenti (le cosiddette tasse universitarie), le università italiane si dimostrano alquanto esose con i loro studenti: per entità delle tasse pagate dagli studenti, l'Italia è al terzo posto in Europa dopo la Gran Bretagna e l'Olanda, con poco meno di 2.000 euro annui in media, mentre in molti Paesi europei, tra cui la Germania e tutte le nazioni scandinave, l'istruzione universitaria è gratuita o quasi;
              il risultato è che nel nostro Paese le condizioni economiche e culturali delle famiglie di origine pesano molto più che in altri sul successo scolastico e sul reddito dei figli: ad esempio, il rapporto annuale dell'ISTAT valuta che il livello professionale del capo famiglia e la proprietà della casa di abitazione porta ai figli un vantaggio reddituale del 14 per cento in Italia a fronte dell'8 per cento in Francia, mentre il figlio di un genitore laureato dispone in Italia di un reddito mediamente superiore del 29 per cento al figlio di genitori con la licenza media;
              riguardo, infine, all'efficacia sociale di possedere un titolo di studio universitario, non solo i laureati hanno una speranza di vita maggiore di 3,8 anni rispetto a chi ha raggiunto solo la licenza media, ma, nonostante la lunga crisi economica globale, hanno ancora oggi occasioni di occupazione e livello di reddito ben maggiori dei diplomati; ad esempio, il rapporto annuale dell'ISTAT certifica che nel 2007 la disoccupazione nella fascia 25-34 anni era del 9,5 per cento tra i laureati ma del 13,1 per cento tra i diplomati, mentre nel 2014 (dopo sette anni di crisi) ambedue le percentuali erano molto cresciute attestandosi al 17,7 per cento per i laureati, ma ben al 30 per cento per i diplomati;
              dati simili sono forniti anche dal XVIII Rapporto Almalaurea che indica nel 67 per cento il tasso di occupazione dei laureati magistrali a un anno dal conseguimento del titolo, in piccola ripresa dopo la lunga crisi che lo ha fatto scendere dall'82 per cento del 2008 al 66 per cento del 2014;
              il XXI Rapporto sulle retribuzioni, pubblicato recentemente dal gruppo privato «OD&M Consulting», mostra altresì che il neolaureato in ingresso guadagna di più di un lavoratore senza laurea con alle spalle già 3-5 anni di anzianità; inoltre, il titolo di laurea mitiga anche il differenziale retributivo tra uomini e donne rispetto a quello presente tra i non laureati;
              i dati esposti nelle premesse, provenienti da agenzie internazionali e da accurate ricerche, acclarano dunque il fatto che l'Italia soffre di un serio ritardo nella diffusione della formazione universitaria nella popolazione, sia in generale, sia nella fascia più giovane, e che non si registrano purtroppo segnali di inversione di tendenza e di recupero;
              gli stessi dati evidenziano ancora una volta il profondo divario sociale ed economico che caratterizza le regioni italiane: a pagare il prezzo più elevato di questo depauperamento di capitale umano sono le regioni del Mezzogiorno, continentali e insulari, dove si registra la diminuzione più marcata di immatricolati e i flussi più significativi di mobilità giovanile unidirezionale verso le altre regioni, ma non mancano segni di difficoltà anche nelle aree interne e marginali del Settentrione e del Centro;
              nonostante la ripresa sia stata finalmente agganciata dopo la lunga crisi globale, grazie alle politiche del Governo sul mercato del lavoro e ad altre specifiche scelte di natura sociale ed economica per incrementare la domanda interna, occorre anche tener conto che la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata nel primo decennio del secolo e quindi sembra opportuno realizzare interventi redistributivi che incidano, in particolare, sui meccanismi che conducono alla formazione dei redditi primari e, quindi, aiutino gli individui a dotarsi di capacità meglio remunerate sul mercato del lavoro, come, ad esempio, tutte le politiche dell'istruzione;
              ciò che è stato realizzato nell'ambito scolastico con gli ingenti investimenti e le riforme messe in campo dalla legge n.  107 del 2015, deve ora essere esteso alla formazione post-secondaria, in quanto conseguire un titolo di studio superiore non solo permette di realizzare l'apprezzabile obiettivo di una società forte di competenze di cittadinanza, competitiva e dinamica, ma porta evidenti vantaggi ai singoli cittadini interessati;
              occorre, dunque, rimuovere gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di quest'obiettivo, agendo sia sul lato del diritto allo studio che su quello della contribuzione universitaria per dare supporto alle famiglie di studenti universitari che devono affrontare i costi degli studi: la gracilità degli attuali sistemi determina una perdita netta di talenti e di opportunità, individuali e per l'intero Paese, e perpetua l'immobilità sociale ed economica, la rigidità delle rendite di posizione e la sclerosi delle corporazioni di cui soffre l'Italia;
              in questo ambito, una particolare attenzione deve essere rivolta alle sperequazioni esistenti tra le diverse aree territoriali del Paese, a danno soprattutto delle regioni meridionali e delle aree interne e marginali, che sono probabilmente tra le cause delle gravi difficoltà economiche e sociali di queste aree e della loro maggiore difficoltà di ripresa;
              a seguito dell'entrata in vigore delle norme del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  159 del 2013, lo Stato dispone adesso di uno strumento raffinato ed efficace, l'indicatore della situazione economica equivalente o ISEE, per valutare il reddito e il patrimonio di chi richiede di accedere alle prestazioni sociali, in particolare delle famiglie degli studenti universitari, ai quali è specificamente destinato l'articolo 8 del sopra citato provvedimento;
              a seguito dell'entrata in vigore del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n.  893 del 2014, è entrato in funzione nel 2015 uno strumento introdotto dalla legge n.  240 del 2010, cioè il costo standard per studente, che è certamente un metodo molto innovativo e trasparente per ripartire una parte della quota base del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, metodo certamente da consolidare e potenziare dopo aver provveduto ad individuare e a correggere gli aspetti che si fossero rivelati più deboli rispetto agli obiettivi e alle prescrizioni della legge;
          tra gli aspetti del costo standard per studente che si sono rivelati più problematici vi sono:
              a) la quantificazione dei costi degli studenti in ritardo, inclusi gli studenti part-time, rispetto all'attuale sistema on-off (1 gli studenti in corso, 0 gli studenti in ritardo, cioè «fuori corso»);
              b) l'addendo perequativo, che dovrebbe essere per legge commisurato ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università, ma che nel 2015 ha pesato per una percentuale minima sul costo standard totale: meno del 6 per cento per la Sicilia, circa del 3 per cento per la Sardegna, rispetto alla Lombardia;
              c) la dimensione delle classi ottimali, uniforme in tutta Italia in modo indipendente dai territori e quindi dalle diverse densità di popolazione e disponibilità di infrastrutture per la mobilità e l'ospitalità degli studenti, che si riflette pesantemente sul finanziamento assegnato alle università con corsi di studio di dimensioni sub-ottimali,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per stabilizzare definitivamente il fondo integrativo per il diritto allo studio al valore stanziato per il 2016 dall'ultima legge di stabilità, come primo passo per consolidare il diritto allo studio universitario e per garantire la borsa di studio a tutti gli idonei, con l'obiettivo di una crescita graduale del fondo per raggiungere almeno i valori medi europei;
          ad adottare quanto prima, superando la normativa pregressa che risale al 2001, il decreto ministeriale previsto dall'articolo 7, comma 7, del decreto legislativo n.  68 del 2012, con un duplice obiettivo: da un lato, aggiornare e rendere maggiormente omogenei a livello nazionale i requisiti di merito dello studente e di reddito e patrimonio della famiglia (cioè il valore ISEE) per accedere alle prestazioni del diritto allo studio universitario; da un altro lato, stabilire i criteri di ripartizione del fondo integrativo statale sulla base dei fabbisogni regionali e rendere altresì vincolante per le regioni lo stanziamento di risorse proprie, oltre al gettito della tassa regionale per il diritto allo studio, in misura pari ad almeno il 40 per cento del fondo integrativo ricevuto, come già stabilito dall'articolo 18, comma 1, del sopra citato decreto legislativo;
          a valutare l'opportunità di intraprendere – nel rispetto dell'autonomia delle università statali – iniziative normative volte a modificare la disciplina attualmente vigente sulla contribuzione studentesca alla università statali stabilendo un'area di reddito entro cui lo studente sia esente dal pagamento della contribuzione (fascia no-tax) per tutti gli studenti con ISEE al di sotto di una determinata soglia, garantendo al tempo stesso un adeguato ristoro delle minori entrate delle università;
          ad assumere iniziative per disporre che, relativamente alle regioni dell'ex-obiettivo convergenza, una quota del fondo di sviluppo e coesione previsto dal decreto legislativo n.  88 del 2011 sia destinata alle università a parziale compensazione del basso gettito che deriva loro da una più vasta platea di studenti che non pagano contribuzioni o pagano importi molto ridotti per ragioni di basso reddito familiare;
          a stabilizzare su base pluriennale le cifre e i criteri di allocazione e di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, al fine di consentire agli atenei una migliore programmazione delle risorse finanziarie sulla base di obiettivi nazionali condivisi e noti ex ante;
          a valutare la possibilità di aggiornare il modello di calcolo del costo standard dello studente, in particolare per quanto riguarda: l'addendo perequativo, per tener meglio conto, come prescrive la legge n.  240 del 2010; dei «differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali» in cui operano le università; il numero di studenti (regolari, in ritardo e part-time) da ponderare con maggiore gradualità; le dimensioni ottimali dei corsi di studio articolandole rispetto alle classi di corsi di laurea, ai contesti territoriali e alle tipologie di studenti;
          ad adottare idonee iniziative per garantire, almeno a livello regionale, la presenza di corsi di studio in grado di soddisfare le diverse esigenze culturali e di formazione degli studenti, con particolare riferimento ad ambiti scientifici specialisti o settoriali, alle tradizioni disciplinari e alle vocazioni territoriali;
          ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per ampliare e pluralizzare l'offerta formativa universitaria e per rafforzare le attività di orientamento pre-universitario per contrastare il fenomeno del calo delle iscrizioni e soprattutto degli abbandoni precoci, con particolare riguardo agli studenti del Mezzogiorno e tenendo anche conto delle caratteristiche e delle aspirazioni dei diplomati degli istituti tecnici e professionali.
(1-01312) «Ghizzoni, Pisicchio, Vezzali, Santerini, Buttiglione, Coscia, Molea, Covello, Dallai, Piccoli Nardelli, Ascani, Blazina, Bonaccorsi, Carocci, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Iori, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Rocchi, Sgambato, Ventricelli, Vico, Paola Boldrini, Iacono, Binetti, Piccione, Antezza, Amoddio».


      La Camera,
          premesso che:
              secondo l'edizione 2015 del rapporto internazionale «Education at a Glance» prodotto dall'Ocse, solo il 42 per cento degli italiani inizia gli studi universitari, valore che è il più basso in Europa (a parte il Lussemburgo che non ha università) e il penultimo nell'Ocse (davanti solo al Messico), a fronte di una media europea del 63 per cento e di valori massimi che superano l'80 per cento;
              gli studenti universitari italiani dovrebbero, quindi, aumentare almeno di metà anche solo per raggiungere la media europea, addirittura raddoppiare per raggiungere i Paesi europei più avanzati;
              secondo il medesimo rapporto, l'Italia, per percentuale di laureati nella fascia 25-34 anni, occupa adesso l'ultimo posto nell'Ocse con il 24 per cento (dopo essere stata a lungo penultima davanti alla Turchia), a fronte di una media europea del 39 per cento;
              il numero dei laureati italiani dovrebbe, quindi, aumentare di oltre il 60 per cento per raggiungere la media europea, mentre l'obiettivo del 40 per cento fissato da «Europa 2020» è ormai del tutto irraggiungibile per il nostro Paese;
              la percentuale di laureati italiani scende poi al 17 per cento nella fascia 25-64 anni, di nuovo la più bassa nell'Ocse, e, se si analizza il dato su base regionale come ha fatto il gruppo di ricerca coordinato da Gianfranco Viesti nel suo recente rapporto «Università in declino» pubblicato da Donzelli nel 2016, si vede che ai valori più alti (20 per cento) toccati dal Lazio, comunque pur sempre ben lontani dalla media europea, vi sono valori inferiori addirittura al 14 per cento in Puglia e in Sicilia, dello stesso ordine di quelli di Cina, Indonesia o Sudafrica;
              nemmeno l'andamento recente delle immatricolazioni induce a ben sperare, poiché, come già evidenziato dal Consiglio universitario nazionale sin dal 2013 e come documentato un mese fa dal XVIII rapporto Almalaurea appena pubblicato, dopo l'aumento registratosi dal 2000 al 2003, legato soprattutto al rientro nel sistema universitario di fasce di popolazione adulta dopo la riforma dell'ordinamento degli studi nel 1999, si è verificato un vistoso calo del 20 per cento dal 2003 al 2015 (in valori assoluti si sono perse circa 70.000 matricole), solo in piccola parte mitigato dal leggero aumento del 2 per cento registrato nell'ultimo anno accademico;
              il dato delle immatricolazioni è anch'esso molto differenziato tra le regioni: infatti, il calo di matricole tocca il -30 per cento al Sud, il -22 per cento al Centro ed è pari solo al -3 per cento al Nord; del resto anche il rapporto di Viesti valuta che circa i due terzi delle matricole mancanti abitino nel Meridione e nelle Isole, mentre, in valori assoluti, le università campane e quelle siciliane hanno avuto 6.500 matricole in meno tra il 2009 e il 2013, 5.000 in meno quelle pugliesi;
              tali dati evidenziano, tra l'altro, un accresciuto flusso di giovani meridionali che vanno a studiare nelle università del Centro-nord: il citato rapporto Viesti evidenzia che al Sud la mobilità riguarda il 28,9 per cento degli immatricolati, di cui 4 su dieci si spostano al Nord e altri 4 al Centro: sono circa 29.000 ogni anno i giovani meridionali in mobilità per l'università, fenomeno importante associato con una mobilità interna al Mezzogiorno assai contenuta e con un flusso in uscita dalla circoscrizione a cui non corrisponde un flusso in entrata;
              la mobilità studentesca non è di per sé un fenomeno negativo quando consente ai giovani di esprimere al meglio le proprie capacità in sedi e tipologie di studi che ritengono più consone alle loro aspirazioni, ma nel nostro Paese si sta trasformando in una vera e propria emigrazione intellettuale senza ritorno, generando da una parte una perdita per le regioni di uscita in termini di capitale umano, dall'altra un trasferimento di reddito a favore delle regioni di entrata per le spese sostenute dalle famiglie per il mantenimento dei figli fuori sede;
              la scelta del trasferimento fuori sede per gli studi universitari dipende da più fattori; in particolare, da una più elevata capacità attrattiva di singoli atenei centro-settentrionali, soprattutto della Lombardia e dell'Emilia Romagna, anche per la maggiore qualità della vita nelle città universitarie, nonché dalle maggiori prospettive occupazionali nei mercati del lavoro del Nord, mentre assai limitata risulta l'attrattività delle università meridionali;
              il sopra citato rapporto Almalaurea, relativamente ai laureati magistrali a 5 anni dal conseguimento del titolo, evidenzia che, tra i residenti nel Nord Italia, l'88 per cento ha svolto gli studi universitari e attualmente lavora nella propria area di residenza, mentre l'unico flusso uscente di una certa consistenza (7 per cento) dipende dal trasferimento all'estero; invece, tra i laureati di origine nell'Italia meridionale, il 53 per cento ha trovato lavoro al Nord, mentre solo l'11 per cento di chi si è laureato al Nord rientra dopo gli studi nella propria regione di origine;
              dati sostanzialmente simili riguardo alla mobilità interregionale durante gli studi universitari sono stati ricavati anche da un gruppo di ricerca guidato da Pasqualino Montanaro, ricercatore presso la Banca d'Italia, utilizzando l'Anagrafe nazionale degli studenti universitari nell'ambito del progetto ACHAB (Affording College with the Help of Asset Building), gestito da un consorzio di enti pubblici o privati senza fini di lucro e finanziato dall'Unione europea;
              il basso numero di studenti e laureati italiani dipende anche da un inefficace sistema di orientamento pre-universitario: il rapporto ANVUR 2016 sullo stato del sistema universitario, presentato il 24 maggio 2016, certifica un tasso di abbandoni che tocca il 38,5 per cento a dieci anni dall'immatricolazione e soprattutto che tocca il 19,6 per cento a soli due anni dall'immatricolazione (abbandoni precoci), anche se si registra un piccolo miglioramento rispetto al rapporto 2014;
              lo stesso rapporto evidenzia che il tasso di abbandoni precoci è maggiormente concentrato tra i diplomati degli istituti tecnici e professionali e tra gli studenti del Meridione e delle isole;
              tra le ragioni che spiegano il basso numero di studenti e di laureati deve sicuramente annoverarsi anche il limitato impegno nazionale nel campo del diritto allo studio universitario anche se deve essere registrato positivamente il recente e molto significativo aumento dello stanziamento statale che è passato dai 162 milioni del 2015 ai 217 del 2016: infatti, nel 2014/2015 solo l'8,2 per cento degli studenti italiani ha ottenuto la borsa di studio solo il 10,3 per cento è stato destinatario di un qualche intervento di diritto allo studio, a fronte di valori superiori al 30 per cento in Francia, Inghilterra e Svezia, superiori addirittura all'80 per cento in Olanda, Danimarca, Finlandia;
              è ancora purtroppo sussistente la categoria degli idonei non beneficiari, cioè studenti valutati come idonei, per ragioni di reddito e di merito, a ottenere la borsa di studio ma che non la ricevono per mancanza di fondi, categoria di cui fa parte circa un quarto degli idonei (oltre 45.000 studenti);
              anche sotto questo aspetto si registrano notevoli differenze a livello regionale: la percentuale di idonei non beneficiari è inferiore al 10 per cento in tutte le regioni del Nord e del Centro, salvo Piemonte e Lazio, mentre è superiore al 40 per cento in Piemonte, Campania, Calabria, Sardegna, con un picco negativo di oltre il 65 per cento in Sicilia;
              eppure la borsa di studio si dimostra strumento abbastanza efficace: come mostra una ricerca condotta dall'Osservatorio regionale del Piemonte sotto la guida di Federica Laudisa, i borsisti abbandonano gli studi universitari il 13 per cento di volte in meno dei non borsisti e conseguono in media 13 crediti formativi in più ogni anno rispetto ai non borsisti;
              anche sul fronte delle contribuzioni alle università da pagare da parte degli studenti (le cosiddette tasse universitarie), le università italiane si dimostrano alquanto esose con i loro studenti: per entità delle tasse pagate dagli studenti, l'Italia è al terzo posto in Europa dopo la Gran Bretagna e l'Olanda, con poco meno di 2.000 euro annui in media, mentre in molti Paesi europei, tra cui la Germania e tutte le nazioni scandinave, l'istruzione universitaria è gratuita o quasi;
              il risultato è che nel nostro Paese le condizioni economiche e culturali delle famiglie di origine pesano molto più che in altri sul successo scolastico e sul reddito dei figli: ad esempio, il rapporto annuale dell'ISTAT valuta che il livello professionale del capo famiglia e la proprietà della casa di abitazione porta ai figli un vantaggio reddituale del 14 per cento in Italia a fronte dell'8 per cento in Francia, mentre il figlio di un genitore laureato dispone in Italia di un reddito mediamente superiore del 29 per cento al figlio di genitori con la licenza media;
              riguardo, infine, all'efficacia sociale di possedere un titolo di studio universitario, non solo i laureati hanno una speranza di vita maggiore di 3,8 anni rispetto a chi ha raggiunto solo la licenza media, ma, nonostante la lunga crisi economica globale, hanno ancora oggi occasioni di occupazione e livello di reddito ben maggiori dei diplomati; ad esempio, il rapporto annuale dell'ISTAT certifica che nel 2007 la disoccupazione nella fascia 25-34 anni era del 9,5 per cento tra i laureati ma del 13,1 per cento tra i diplomati, mentre nel 2014 (dopo sette anni di crisi) ambedue le percentuali erano molto cresciute attestandosi al 17,7 per cento per i laureati, ma ben al 30 per cento per i diplomati;
              dati simili sono forniti anche dal XVIII Rapporto Almalaurea che indica nel 67 per cento il tasso di occupazione dei laureati magistrali a un anno dal conseguimento del titolo, in piccola ripresa dopo la lunga crisi che lo ha fatto scendere dall'82 per cento del 2008 al 66 per cento del 2014;
              il XXI Rapporto sulle retribuzioni, pubblicato recentemente dal gruppo privato «OD&M Consulting», mostra altresì che il neolaureato in ingresso guadagna di più di un lavoratore senza laurea con alle spalle già 3-5 anni di anzianità; inoltre, il titolo di laurea mitiga anche il differenziale retributivo tra uomini e donne rispetto a quello presente tra i non laureati;
              i dati esposti nelle premesse, provenienti da agenzie internazionali e da accurate ricerche, acclarano dunque il fatto che l'Italia soffre di un serio ritardo nella diffusione della formazione universitaria nella popolazione, sia in generale, sia nella fascia più giovane, e che non si registrano purtroppo segnali di inversione di tendenza e di recupero;
              gli stessi dati evidenziano ancora una volta il profondo divario sociale ed economico che caratterizza le regioni italiane: a pagare il prezzo più elevato di questo depauperamento di capitale umano sono le regioni del Mezzogiorno, continentali e insulari, dove si registra la diminuzione più marcata di immatricolati e i flussi più significativi di mobilità giovanile unidirezionale verso le altre regioni, ma non mancano segni di difficoltà anche nelle aree interne e marginali del Settentrione e del Centro;
              nonostante la ripresa sia stata finalmente agganciata dopo la lunga crisi globale, grazie alle politiche del Governo sul mercato del lavoro e ad altre specifiche scelte di natura sociale ed economica per incrementare la domanda interna, occorre anche tener conto che la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata nel primo decennio del secolo e quindi sembra opportuno realizzare interventi redistributivi che incidano, in particolare, sui meccanismi che conducono alla formazione dei redditi primari e, quindi, aiutino gli individui a dotarsi di capacità meglio remunerate sul mercato del lavoro, come, ad esempio, tutte le politiche dell'istruzione;
              ciò che è stato realizzato nell'ambito scolastico con gli ingenti investimenti e le riforme messe in campo dalla legge n.  107 del 2015, deve ora essere esteso alla formazione post-secondaria, in quanto conseguire un titolo di studio superiore non solo permette di realizzare l'apprezzabile obiettivo di una società forte di competenze di cittadinanza, competitiva e dinamica, ma porta evidenti vantaggi ai singoli cittadini interessati;
              occorre, dunque, rimuovere gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di quest'obiettivo, agendo sia sul lato del diritto allo studio che su quello della contribuzione universitaria per dare supporto alle famiglie di studenti universitari che devono affrontare i costi degli studi: la gracilità degli attuali sistemi determina una perdita netta di talenti e di opportunità, individuali e per l'intero Paese, e perpetua l'immobilità sociale ed economica, la rigidità delle rendite di posizione e la sclerosi delle corporazioni di cui soffre l'Italia;
              in questo ambito, una particolare attenzione deve essere rivolta alle sperequazioni esistenti tra le diverse aree territoriali del Paese, a danno soprattutto delle regioni meridionali e delle aree interne e marginali, che sono probabilmente tra le cause delle gravi difficoltà economiche e sociali di queste aree e della loro maggiore difficoltà di ripresa;
              a seguito dell'entrata in vigore delle norme del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  159 del 2013, lo Stato dispone adesso di uno strumento raffinato ed efficace, l'indicatore della situazione economica equivalente o ISEE, per valutare il reddito e il patrimonio di chi richiede di accedere alle prestazioni sociali, in particolare delle famiglie degli studenti universitari, ai quali è specificamente destinato l'articolo 8 del sopra citato provvedimento;
              a seguito dell'entrata in vigore del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n.  893 del 2014, è entrato in funzione nel 2015 uno strumento introdotto dalla legge n.  240 del 2010, cioè il costo standard per studente, che è certamente un metodo molto innovativo e trasparente per ripartire una parte della quota base del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, metodo certamente da consolidare e potenziare dopo aver provveduto ad individuare e a correggere gli aspetti che si fossero rivelati più deboli rispetto agli obiettivi e alle prescrizioni della legge;
          tra gli aspetti del costo standard per studente che si sono rivelati più problematici vi sono:
              a) la quantificazione dei costi degli studenti in ritardo, inclusi gli studenti part-time, rispetto all'attuale sistema on-off (1 gli studenti in corso, 0 gli studenti in ritardo, cioè «fuori corso»);
              b) l'addendo perequativo, che dovrebbe essere per legge commisurato ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università, ma che nel 2015 ha pesato per una percentuale minima sul costo standard totale: meno del 6 per cento per la Sicilia, circa del 3 per cento per la Sardegna, rispetto alla Lombardia;
              c) la dimensione delle classi ottimali, uniforme in tutta Italia in modo indipendente dai territori e quindi dalle diverse densità di popolazione e disponibilità di infrastrutture per la mobilità e l'ospitalità degli studenti, che si riflette pesantemente sul finanziamento assegnato alle università con corsi di studio di dimensioni sub-ottimali,

impegna il Governo:

          ad assumere, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e gli impegni in altri settori, iniziative per stabilizzare definitivamente il fondo integrativo per il diritto allo studio al valore stanziato per il 2016 dall'ultima legge di stabilità, come primo passo per consolidare il diritto allo studio universitario e per garantire la borsa di studio a tutti gli idonei, con l'obiettivo di una crescita graduale del fondo per raggiungere almeno i valori medi europei;
          ad adottare quanto prima, superando la normativa pregressa che risale al 2001, il decreto ministeriale previsto dall'articolo 7, comma 7, del decreto legislativo n.  68 del 2012, con un duplice obiettivo: da un lato, aggiornare e rendere maggiormente omogenei a livello nazionale i requisiti di merito dello studente e di reddito e patrimonio della famiglia (cioè il valore ISEE) per accedere alle prestazioni del diritto allo studio universitario; da un altro lato, stabilire i criteri di ripartizione del fondo integrativo statale sulla base dei fabbisogni regionali e rendere altresì vincolante per le regioni lo stanziamento di risorse proprie, oltre al gettito della tassa regionale per il diritto allo studio, in misura pari ad almeno il 40 per cento del fondo integrativo ricevuto, come già stabilito dall'articolo 18, comma 1, del sopra citato decreto legislativo;
          a valutare l'opportunità di intraprendere – nel rispetto dell'autonomia delle università statali – iniziative normative volte a modificare la disciplina attualmente vigente sulla contribuzione studentesca alla università statali stabilendo un'area di reddito entro cui lo studente sia esente dal pagamento della contribuzione (fascia no-tax) per tutti gli studenti con ISEE al di sotto di una determinata soglia, garantendo al tempo stesso un adeguato ristoro delle minori entrate delle università;
          ad assumere iniziative per disporre che, relativamente alle regioni dell'ex-obiettivo convergenza, una quota del fondo di sviluppo e coesione previsto dal decreto legislativo n.  88 del 2011 sia destinata alle università a parziale compensazione del basso gettito che deriva loro da una più vasta platea di studenti che non pagano contribuzioni o pagano importi molto ridotti per ragioni di basso reddito familiare;
          a stabilizzare su base pluriennale le cifre e i criteri di allocazione e di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, al fine di consentire agli atenei una migliore programmazione delle risorse finanziarie sulla base di obiettivi nazionali condivisi e noti ex ante;
          a valutare la possibilità di aggiornare il modello di calcolo del costo standard dello studente, in particolare per quanto riguarda: l'addendo perequativo, per tener meglio conto, come prescrive la legge n.  240 del 2010; dei «differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali» in cui operano le università; il numero di studenti (regolari, in ritardo e part-time) da ponderare con maggiore gradualità; le dimensioni ottimali dei corsi di studio articolandole rispetto alle classi di corsi di laurea, ai contesti territoriali e alle tipologie di studenti;
          ad adottare idonee iniziative per garantire, almeno a livello regionale, la presenza di corsi di studio in grado di soddisfare le diverse esigenze culturali e di formazione degli studenti, con particolare riferimento ad ambiti scientifici specialisti o settoriali, alle tradizioni disciplinari e alle vocazioni territoriali;
          ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per ampliare e pluralizzare l'offerta formativa universitaria e per rafforzare le attività di orientamento pre-universitario per contrastare il fenomeno del calo delle iscrizioni e soprattutto degli abbandoni precoci, con particolare riguardo agli studenti del Mezzogiorno e tenendo anche conto delle caratteristiche e delle aspirazioni dei diplomati degli istituti tecnici e professionali.
(1-01312)
(Testo modificato nel corso della seduta)     «Ghizzoni, Pisicchio, Vezzali, Santerini, Buttiglione, Coscia, Molea, Covello, Dallai, Piccoli Nardelli, Ascani, Blazina, Bonaccorsi, Carocci, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Iori, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Rocchi, Sgambato, Ventricelli, Vico, Paola Boldrini, Iacono, Binetti, Piccione, Antezza, Amoddio».


Risoluzione

      La Camera,
          premesso che:
              l'Italia nel 2014 è stato lo Stato membro dell'Unione europea con la minore percentuale di giovani laureati: con il 23,9 per cento si colloca, purtroppo, all'ultimo posto fra i 28 Stati membri, paragonato al 49,9 per cento della Svezia, al 47,7 per cento del Regno unito, ma anche al 31,3 per cento del Portogallo e al 25 per cento della Romania;
              sono dati inquietanti che fanno riflettere profondamente sullo stato di salute delle università italiane e sulle scelte fatte negli ultimi vent'anni con la consapevolezza della necessità, non più procrastinabile, di analisi più approfondite sull'argomento ma anche di un complessivo ripensamento dell'indirizzo di governo che riguardi l'istruzione superiore che significa produzione culturale del Paese, formazione delle classi dirigenti e, in particolare, di quel capitale umano di qualità che, è il fattore produttivo decisivo nell'economia di un Paese, specialmente in un paese così diverso al suo interno come l'Italia;
              l'Europa si è data l'obiettivo, nel 2020, di avere il 40 per cento di giovani laureati. L'obiettivo italiano alla stessa data è pari al 26-27 per cento, che continuerebbe a collocarla all'ultimo posto, rischiando di essere superata anche dalla Turchia. La regione con la percentuale maggiore di laureati, il Lazio (31,6 per cento), si colloca su livelli pari al Portogallo. Quattro regioni italiane, tutte del Mezzogiorno, sono fra le ultime dieci nella graduatoria delle 272 europee; la Sardegna (17,4 per cento) è penultima: la sua percentuale di giovani laureati è superiore solo alla regione ceca dello Severozàpad;
              il nostro Paese nel giro di pochi anni, ha vissuto un disinvestimento molto forte nella sua università, in totale controtendenza rispetto a tutti i Paesi avanzati che continuano invece ad accrescere la propria formazione superiore. Mentre il finanziamento pubblico delle università italiane si contraeva del 22 per cento, in Germania cresceva del 23 per cento, persino i Paesi mediterranei più colpiti dalla crisi hanno ridotto di meno il proprio investimento sull'istruzione superiore; i fondi del diritto allo studio universitario sono distribuiti alle regioni secondo criteri che generano gravi sperequazioni a danno delle regioni del Sud;
              per effetto di tale distribuzione il 75 per cento degli studenti che, secondo la Costituzione italiana, avrebbero diritto a beneficiare di borse di studio e non ne beneficiano sono iscritti nelle università del Sud;
              il rapporto della Fondazione Res, recentemente presentato, fotografa la condizione degli atenei italiani, da Nord a Sud, come un costante, inesorabile declino a cominciare dalla caduta delle immatricolazioni: dal 2003-04 si riducono di oltre 66 000 unità, fino a meno di 260 000 nel 2014-15 (-20,4 per cento). Fra tutti i Paesi avanzati solo la Svezia e l'Ungheria sperimentano un decremento più forte. Al contrario, gli immatricolati crescono sensibilmente nella media dei Paesi dell'Ocse e a ritmi particolarmente sostenuti, oltre che negli emergenti, in Germania e Regno unito. Il calo delle immatricolazioni, sempre dal 2003-04, è poi differenziato per territori: è particolarmente intenso nelle isole (-30,2 per cento), nel Sud continentale (-25,5 per cento) e nel Centro (-23,7 per cento, specie nel Lazio); più contenuto al Nord (-11 per cento);
              è grave il fenomeno migratorio di diplomati che, in numero di 24 mila, ogni anno abbandonano le regioni del Sud per studiare in università del Centro e del Nord e questo aggrava la già depressa situazione del Meridione;
              la mobilità studentesca è un fenomeno estremamente positivo, perché rappresenta un'esperienza di vita indipendente per i giovani, consente la scelta del corso di studio più adatto e una competizione sana tra atenei, ma è una mobilità a senso unico, da Sud verso Nord. Nel 2014-15 oltre 55 000 studenti si sono immatricolati in una regione diversa da quella di residenza;
              al Nord questo fenomeno riguarda il 17,8 per cento degli immatricolati, che rimangono quasi tutti (5/6) all'interno della circoscrizione. Al Centro è meno rilevante (14,5 per cento degli immatricolati), specie per gli studenti toscani e laziali, ma orientata di più verso l'esterno: metà di chi cambia regione va al Nord, un terzo rimane al Centro, un sesto va al Sud;
              al Sud la mobilità è molto maggiore: riguarda il 28,9 per cento degli immatricolati, 4 su dieci si spostano al Nord e altri 4 al Centro. È la mobilità dei circa 29000 immatricolati (in un anno) meridionali il fenomeno più importante, con una mobilità interna al Mezzogiorno assai contenuta e un flusso in uscita dalla circoscrizione a cui non corrisponde un flusso in entrata; la mobilità solo in direzione d'uscita è negativa perché genera da una parte una perdita per le aree di origine in termini di capitale umano, dall'altra un trasferimento di reddito a favore delle regioni di entrata per il mantenimento dei figli fuori sede sostenuto dalle famiglie, La scelta del trasferimento è riconducibile a più fattori e, in particolare, a una più elevata capacità attrattiva di singoli atenei centro-settentrionali, nonché alle maggiori prospettive occupazionali nei mercati del lavoro del Nord una volta conseguita la laurea;
              Molise (49,5 per cento), Trentino Alto Adige (47,8), Abruzzo (41,3) sono le regioni più piccole che nell'anno accademico 2014-15, hanno mostrato indici di attrattività più elevati spiegabili soprattutto con la qualità della vita urbana (Trento) o con la posizione geografica, come nel caso di Abruzzo e Molise. Le regioni medie e medio-grandi maggiormente attrattive sono tutte localizzate al nord: spiccano in particolare l'Emilia Romagna e la Lombardia. Al contrario risulta estremamente ridotta l'attrattività delle università meridionali, tutte largamente al di sotto della metà della media nazionale, ad eccezione della Basilicata che sfiora il 20 per cento, grazie alla specificità di alcuni indirizzi di studio;
              altro punto di grande criticità è quello dei docenti universitari che fra il 2008 e il 2015 si sono ridotti del 17,2 per cento; il calo è stato notevolmente più intenso di quello registrato in ogni altro comparto del pubblico impiego, ben cinque volte maggiore di quanto avvenuto nella scuola. La diminuzione del personale docente di ruolo è stata dell'11,3 per cento al Nord, ma del 18,3 per cento nel Mezzogiorno e del 21,8 per cento nelle università del Centro a causa dei blocchi del ricambio, in presenza dei pensionamenti. Ad esempio nel triennio 2012-14 il turn over (assunzioni in percentuale dei pensionamenti) è stato pari al 27,3 per cento, Il blocco del turn over negli atenei ha comportato un sensibile invecchiamento del personale docente, attualmente i dati disponibili dicono che un terzo dei professori ordinari ha più di 65 anni;
              la spesa totale (pubblica e privata) per l'istruzione universitaria riportata dal rapporto annuale Education at a Glance dell'Ocse (2014) e misurata rispetto al prodotto interno lordo (2011), è in Italia sui livelli più bassi fra tutti i Paesi dell'Ocse; gli unici Paesi con livelli comparabili sono Ungheria e Brasile; per tutti gli altri, europei ed extraeuropei, il livello è significativamente superiore. Nel 2011 il totale della spesa (pubblica e privata) era in Italia dell'1 per cento del prodotto interno lordo, contro una media Ocse dell'1,6 per cento e dei Paesi europei membri dell'Ocse pari all'1,4 per cento: i grandi Paesi europei si collocano fra 1,2 per cento e l'1,5 per cento; la stessa Turchia è all'1,3 per cento; gli scandinavi su livelli superiori, gli Stati uniti sono al 2,7 per cento;
              il fondo di finanziamento ordinario delle università (Ffo), nasce nel 1993, come veicolo di finanziamento « omnibus» all'interno del quale fare ricadere sia gli interventi per il funzionamento sia allocazioni «premiali» ed è stato proprio questo l'errore di fondo, sarebbe stato meglio fin da allora prevedere due diversi canali di finanziamento: uno destinato, appunto, alle spese ordinarie e un altro, con funzione premiale e incentivante. Fino al 2008 la dimensione del fondo cresce, anche se aumentano le quote relative degli atenei del Nord e del Sud, rispetto a quelli del Centro e delle isole. Con i provvedimenti presi a partire dal 2008, con la cosiddetta riforma Gelmini (legge n.  240 del 2010), l'investimento destinato alle università si riduce drasticamente. Il fondo di finanziamento ordinario diminuisce ai livelli di metà anni novanta. Sul totale delle entrate degli atenei diminuisce sensibilmente il peso delle risorse attribuite dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (e in particolare del fondo di finanziamento ordinario), a vantaggio della contribuzione studentesca e di finanziamenti di soggetti terzi, specie privati. Questo cambiamento produce un significativo impatto territoriale, perché colpisce in particolare le università collocate nelle aree meno ricche del Paese;
              l'analisi di tutti questi dati porta a delle conclusioni chiare, risulta necessario ed urgente ripensare questi meccanismi di finanziamento, basandosi su una distinzione netta fra fondi destinati al funzionamento del sistema universitario e fondi premiali destinati alla ricerca, ripristinando una sufficiente quota di finanziamento per tutti gli atenei, a copertura delle funzioni di didattica e di ricerca di base, e con l'allocazione di risorse aggiuntive, finalizzate alle grandi priorità di ricerca del Paese, sulla base di criteri di valutazione della ricerca, abbandonando formule e algoritmi onnicomprensivi che hanno dimostrato negli ultimi anni di non essere adeguati alla complessità della realtà,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di assumere iniziative per aumentare la dotazione finanziaria del fondo nazionale per il diritto allo studio;
          a valutare l'opportunità di assumere iniziative per modificare i criteri di assegnazione del fondo nazionale per il diritto allo studio, seguendo l'applicazione della regola delle quote capitarie e ripartendo quindi il fondo tra le regioni, esclusivamente in base al numero di idonei ai benefìci;
          a valutare l'opportunità di promuovere la revisione degli attuali meccanismi di finanziamento per le attività di ricerca presso le università;
          a valutare l'opportunità di assumere iniziative per incrementare il fondo nazionale di finanziamento ordinario delle università;
          a valutare l'opportunità di assumere iniziative per sbloccare il turn over per i docenti e i ricercatori delle università a copertura dei previsti pensionamenti.
(6-00256) «Palese, Latronico, Altieri, Ciracì».


      La Camera,
          premesso che:
              l'Italia nel 2014 è stato lo Stato membro dell'Unione europea con la minore percentuale di giovani laureati: con il 23,9 per cento si colloca, purtroppo, all'ultimo posto fra i 28 Stati membri, paragonato al 49,9 per cento della Svezia, al 47,7 per cento del Regno unito, ma anche al 31,3 per cento del Portogallo e al 25 per cento della Romania;
              sono dati inquietanti che fanno riflettere profondamente sullo stato di salute delle università italiane e sulle scelte fatte negli ultimi vent'anni con la consapevolezza della necessità, non più procrastinabile, di analisi più approfondite sull'argomento ma anche di un complessivo ripensamento dell'indirizzo di governo che riguardi l'istruzione superiore che significa produzione culturale del Paese, formazione delle classi dirigenti e, in particolare, di quel capitale umano di qualità che, è il fattore produttivo decisivo nell'economia di un Paese, specialmente in un paese così diverso al suo interno come l'Italia;
              l'Europa si è data l'obiettivo, nel 2020, di avere il 40 per cento di giovani laureati. L'obiettivo italiano alla stessa data è pari al 26-27 per cento, che continuerebbe a collocarla all'ultimo posto, rischiando di essere superata anche dalla Turchia. La regione con la percentuale maggiore di laureati, il Lazio (31,6 per cento), si colloca su livelli pari al Portogallo. Quattro regioni italiane, tutte del Mezzogiorno, sono fra le ultime dieci nella graduatoria delle 272 europee; la Sardegna (17,4 per cento) è penultima: la sua percentuale di giovani laureati è superiore solo alla regione ceca dello Severozàpad;
              il nostro Paese nel giro di pochi anni, ha vissuto un disinvestimento molto forte nella sua università, in totale controtendenza rispetto a tutti i Paesi avanzati che continuano invece ad accrescere la propria formazione superiore. Mentre il finanziamento pubblico delle università italiane si contraeva del 22 per cento, in Germania cresceva del 23 per cento, persino i Paesi mediterranei più colpiti dalla crisi hanno ridotto di meno il proprio investimento sull'istruzione superiore; i fondi del diritto allo studio universitario sono distribuiti alle regioni secondo criteri che generano gravi sperequazioni a danno delle regioni del Sud;
              per effetto di tale distribuzione il 75 per cento degli studenti che, secondo la Costituzione italiana, avrebbero diritto a beneficiare di borse di studio e non ne beneficiano sono iscritti nelle università del Sud;
              il rapporto della Fondazione Res, recentemente presentato, fotografa la condizione degli atenei italiani, da Nord a Sud, come un costante, inesorabile declino a cominciare dalla caduta delle immatricolazioni: dal 2003-04 si riducono di oltre 66 000 unità, fino a meno di 260 000 nel 2014-15 (-20,4 per cento). Fra tutti i Paesi avanzati solo la Svezia e l'Ungheria sperimentano un decremento più forte. Al contrario, gli immatricolati crescono sensibilmente nella media dei Paesi dell'Ocse e a ritmi particolarmente sostenuti, oltre che negli emergenti, in Germania e Regno unito. Il calo delle immatricolazioni, sempre dal 2003-04, è poi differenziato per territori: è particolarmente intenso nelle isole (-30,2 per cento), nel Sud continentale (-25,5 per cento) e nel Centro (-23,7 per cento, specie nel Lazio); più contenuto al Nord (-11 per cento);
              è grave il fenomeno migratorio di diplomati che, in numero di 24 mila, ogni anno abbandonano le regioni del Sud per studiare in università del Centro e del Nord e questo aggrava la già depressa situazione del Meridione;
              la mobilità studentesca è un fenomeno estremamente positivo, perché rappresenta un'esperienza di vita indipendente per i giovani, consente la scelta del corso di studio più adatto e una competizione sana tra atenei, ma è una mobilità a senso unico, da Sud verso Nord. Nel 2014-15 oltre 55 000 studenti si sono immatricolati in una regione diversa da quella di residenza;
              al Nord questo fenomeno riguarda il 17,8 per cento degli immatricolati, che rimangono quasi tutti (5/6) all'interno della circoscrizione. Al Centro è meno rilevante (14,5 per cento degli immatricolati), specie per gli studenti toscani e laziali, ma orientata di più verso l'esterno: metà di chi cambia regione va al Nord, un terzo rimane al Centro, un sesto va al Sud;
              al Sud la mobilità è molto maggiore: riguarda il 28,9 per cento degli immatricolati, 4 su dieci si spostano al Nord e altri 4 al Centro. È la mobilità dei circa 29000 immatricolati (in un anno) meridionali il fenomeno più importante, con una mobilità interna al Mezzogiorno assai contenuta e un flusso in uscita dalla circoscrizione a cui non corrisponde un flusso in entrata; la mobilità solo in direzione d'uscita è negativa perché genera da una parte una perdita per le aree di origine in termini di capitale umano, dall'altra un trasferimento di reddito a favore delle regioni di entrata per il mantenimento dei figli fuori sede sostenuto dalle famiglie, La scelta del trasferimento è riconducibile a più fattori e, in particolare, a una più elevata capacità attrattiva di singoli atenei centro-settentrionali, nonché alle maggiori prospettive occupazionali nei mercati del lavoro del Nord una volta conseguita la laurea;
              Molise (49,5 per cento), Trentino Alto Adige (47,8), Abruzzo (41,3) sono le regioni più piccole che nell'anno accademico 2014-15, hanno mostrato indici di attrattività più elevati spiegabili soprattutto con la qualità della vita urbana (Trento) o con la posizione geografica, come nel caso di Abruzzo e Molise. Le regioni medie e medio-grandi maggiormente attrattive sono tutte localizzate al nord: spiccano in particolare l'Emilia Romagna e la Lombardia. Al contrario risulta estremamente ridotta l'attrattività delle università meridionali, tutte largamente al di sotto della metà della media nazionale, ad eccezione della Basilicata che sfiora il 20 per cento, grazie alla specificità di alcuni indirizzi di studio;
              altro punto di grande criticità è quello dei docenti universitari che fra il 2008 e il 2015 si sono ridotti del 17,2 per cento; il calo è stato notevolmente più intenso di quello registrato in ogni altro comparto del pubblico impiego, ben cinque volte maggiore di quanto avvenuto nella scuola. La diminuzione del personale docente di ruolo è stata dell'11,3 per cento al Nord, ma del 18,3 per cento nel Mezzogiorno e del 21,8 per cento nelle università del Centro a causa dei blocchi del ricambio, in presenza dei pensionamenti. Ad esempio nel triennio 2012-14 il turn over (assunzioni in percentuale dei pensionamenti) è stato pari al 27,3 per cento, Il blocco del turn over negli atenei ha comportato un sensibile invecchiamento del personale docente, attualmente i dati disponibili dicono che un terzo dei professori ordinari ha più di 65 anni;
              la spesa totale (pubblica e privata) per l'istruzione universitaria riportata dal rapporto annuale Education at a Glance dell'Ocse (2014) e misurata rispetto al prodotto interno lordo (2011), è in Italia sui livelli più bassi fra tutti i Paesi dell'Ocse; gli unici Paesi con livelli comparabili sono Ungheria e Brasile; per tutti gli altri, europei ed extraeuropei, il livello è significativamente superiore. Nel 2011 il totale della spesa (pubblica e privata) era in Italia dell'1 per cento del prodotto interno lordo, contro una media Ocse dell'1,6 per cento e dei Paesi europei membri dell'Ocse pari all'1,4 per cento: i grandi Paesi europei si collocano fra 1,2 per cento e l'1,5 per cento; la stessa Turchia è all'1,3 per cento; gli scandinavi su livelli superiori, gli Stati uniti sono al 2,7 per cento;
              il fondo di finanziamento ordinario delle università (Ffo), nasce nel 1993, come veicolo di finanziamento « omnibus» all'interno del quale fare ricadere sia gli interventi per il funzionamento sia allocazioni «premiali» ed è stato proprio questo l'errore di fondo, sarebbe stato meglio fin da allora prevedere due diversi canali di finanziamento: uno destinato, appunto, alle spese ordinarie e un altro, con funzione premiale e incentivante. Fino al 2008 la dimensione del fondo cresce, anche se aumentano le quote relative degli atenei del Nord e del Sud, rispetto a quelli del Centro e delle isole. Con i provvedimenti presi a partire dal 2008, con la cosiddetta riforma Gelmini (legge n.  240 del 2010), l'investimento destinato alle università si riduce drasticamente. Il fondo di finanziamento ordinario diminuisce ai livelli di metà anni novanta. Sul totale delle entrate degli atenei diminuisce sensibilmente il peso delle risorse attribuite dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (e in particolare del fondo di finanziamento ordinario), a vantaggio della contribuzione studentesca e di finanziamenti di soggetti terzi, specie privati. Questo cambiamento produce un significativo impatto territoriale, perché colpisce in particolare le università collocate nelle aree meno ricche del Paese;
              l'analisi di tutti questi dati porta a delle conclusioni chiare, risulta necessario ed urgente ripensare questi meccanismi di finanziamento, basandosi su una distinzione netta fra fondi destinati al funzionamento del sistema universitario e fondi premiali destinati alla ricerca, ripristinando una sufficiente quota di finanziamento per tutti gli atenei, a copertura delle funzioni di didattica e di ricerca di base, e con l'allocazione di risorse aggiuntive, finalizzate alle grandi priorità di ricerca del Paese, sulla base di criteri di valutazione della ricerca, abbandonando formule e algoritmi onnicomprensivi che hanno dimostrato negli ultimi anni di non essere adeguati alla complessità della realtà,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di assumere iniziative per aumentare la dotazione finanziaria del fondo nazionale per il diritto allo studio, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e gli impegni in altri settori;
          a valutare l'opportunità di assumere iniziative per rivedere i criteri di assegnazione del fondo nazionale per il diritto allo studio, ispirandosi a quanto già previsto dal decreto legislativo n.  68 del 2012 al fine di darvi piena attuazione;
          a valutare l'opportunità di assumere iniziative per incrementare il fondo nazionale di finanziamento ordinario delle università, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e gli impegni in altri settori;
          a valutare l'opportunità di assumere iniziative per sbloccare il turn over per i docenti e i ricercatori delle università a copertura dei previsti pensionamenti.
(6-00256)
(Testo modificato nel corso della seduta)     «Palese, Latronico, Altieri, Ciracì».


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Iniziative di competenza, anche in via di autotutela, volte all'annullamento dell'aggiudicazione di una gara bandita dal Consorzio canavesano ambientale (Cca) e dal commissario straordinario di Azienda servizi ambientali (ASA) nel dicembre 2012 – 3-02345

      GIAMMANCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il Consorzio canavesano ambiente (Cca) e il commissario straordinario di Azienda servizi ambientali (Asa) hanno bandito nel dicembre del 2012 una gara a doppio oggetto, con la quale i concorrenti sono stati invitati, da una parte, a presentare un'offerta per l'acquisto del ramo rifiuti del precedente gestore (Consorzio Asa e Asa Servizi s.r.l.) e dall'altra a presentare un'offerta per l'esecuzione del servizio stesso;
          aggiudicataria provvisoria del bando risultava, alla fine della gara, la Teknoservice s.r.l. di Piossasco seguita dall'associazione temporanea di imprese composta da San Germano Derichebourg/Ederambiente s.c.;
          il Ministero dello sviluppo economico, analizzando le offerte dei due partecipanti, confermava l'esito della gara ed autorizzava la cessione del ramo d'azienda alla Teknoservice e, in subordine, all'associazione temporanea di imprese San Germano Derichebourg/Ederambiente qualora la Teknoservice non avesse ottemperato agli obblighi di gara;
          la Teknoservice firmava il contratto da aggiudicataria definitiva a fine ottobre del 2013, con la presentazione di tre fideiussioni previste dal disciplinare di gara;
          l'Istituto vigilanza sulle assicurazioni, nel dicembre 2013, bandiva la Onix asigurari, compagnia rumena che aveva prestato le garanzie proprio alla Teknoservice, dall'elenco compagnie autorizzate a rilasciare fideiussioni per enti pubblici;
          nel gennaio 2014 la Ederambiente s.c. (oggi denominata Helix ambiente s.c.) inoltrava regolare richiesta di accesso agli atti per avere contezza del regolare svolgimento della fase successiva all'aggiudicazione definitiva;
          a seguito di tale istruttoria si evinceva che per la gara a doppio oggetto (cessione di Asa e affidamento del servizio di igiene urbana nel territorio del Cca, compresi gli obblighi di mantenimento dei livelli occupazionali del personale dipendente) la Teknoservice aveva presentato delle fideiussioni definitive del consorzio Fidiroma di Torino;
          ciò configurava una palese anomalia, perché il consorzio Fidiroma di Torino non risultava essere abilitato allo svolgimento dell'attività di rilascio di fideiussioni, come confermato dallo stesso soggetto preposto per legge al rilascio di tali abilitazioni e alla relativa vigilanza, ovvero la Banca d'Italia, la quale, in data 16 novembre 2012, aveva rilasciato una nota dalla quale risultava che ”la società in oggetto non è mai stata abilitata allo svolgimento dell'attività di rilascio di garanzie nei confronti del pubblico e quindi alla prestazione della garanzia segnalata”;
          a seguito di questa evidente anomalia l'associazione temporanea di imprese San Germano Derichebourg/Ederambiente procedeva a richiedere alla stazione appaltante e al commissario straordinario di agire in autotutela con l'annullamento dell'aggiudicazione definitiva a favore di Teknoservice e la conseguente aggiudicazione alle seconde classificate, così come stabilito inequivocabilmente dalla giurisprudenza e dal «codice appalti»;
          si deve evidenziare che la grave illegittimità amministrativa era stata commessa quando erano ormai decorsi i termini per eventuali ricorsi al tribunale amministrativo regionale e che a seguito di esposto la procura di Torino ha aperto un fascicolo dove sono ipotizzati i reati di abuso d'ufficio e turbativa d'asta;
          la stazione appaltante Cca non inoltrava alcuna risposta, motivo per cui la Ederambiente s.c. presentava quindi esposto all'Autorità nazionale anticorruzione per una valutazione definitiva sulla correttezza dell'operato della stazione appaltante in relazione all'intero procedimento;
          l'Autorità nazionale anticorruzione apriva specifico fascicolo nel luglio 2014 e rilevava gravi ed insanabili anomalie, concludendo che: «nessun chiarimento, integrazione, né diversa motivazione potrà andare a sanatoria dell'illegittimità amministrativa riscontrata poiché Fidiroma non poteva rilasciare fideiussioni e pertanto è da considerare tamquam non esset, come se non esistesse»;
          la mancata presentazione, o presentazione invalida, di una fideiussione definitiva nella stipula di un contratto è da considerarsi evidentemente, anche secondo la giurisprudenza, quale carenza insanabile e deve comportare l'immediata esclusione del concorrente con la relativa aggiudicazione a chi segue in graduatoria;
          si aggiunga l'incomprensibile motivo per cui la Teknoservice sia stata obbligata, dal consorzio Canavesano e dal commissario stesso, a sostituire la polizza del consorzio Fidiroma con altra conforme a quella richiesta nel capitolato speciale d'appalto se gli stessi attori erano certi della regolarità della polizza del consorzio Fidiroma;
          a conferma di ciò, il 31 marzo 2016, l'Autorità nazionale anticorruzione ha chiuso l'istruttoria riconoscendo di fatto la grave anomalia segnalata dall'Ederambiente s.c. (oggi Helix Ambiente s.c.), rigettando, una ad una, tutte le giustificazioni fornite dalla stazione appaltante, dal commissario straordinario e da Teknoservice stessa, mettendo altresì in discussione la serietà e la buona fede della Teknoservice;
          l'Autorità nazionale anticorruzione ha altresì intimato al commissario e al Cca di comunicare entro 30 giorni le iniziative assunte a seguito della delibera (la n.  373 depositata il 31 marzo 2016), indirizzate a riparare le criticità riscontrate nel procedimento in questione e ad informare l'Autorità sull'andamento del servizio;
          il Consorzio canavesano con lettera protocollo n.  91 del 29 aprile 2016 ha inviato all'Autorità nazionale anticorruzione un riepilogo della situazione generale, ma nello stesso non tratta minimamente, od evita strumentalmente, l'argomento relativo agli obbiettivi di raggiungimento della percentuale di raccolta differenziata previsti da legge (65 per cento);
          i dati del territorio riferiscono infatti un risultato, dopo tre anni di appalto, ben inferiore a quanto disposto dalla legge nazionale;
          a ciò si deve aggiungere che il capitolato d'appalto della gara a doppio oggetto prevedeva che, in caso di mancato raggiungimento degli obbiettivi di raccolta differenziata, i maggiori oneri di smaltimento sarebbero stati addebitati all'appaltatore;
          anche questo punto nella relazione non viene discusso e non risulta quindi che siano mai state applicate all'aggiudicatario le penali previste dal capitolato con il possibile conseguente danno erariale, senza contare la moltitudine di altre minori anomalie segnalate, come, ad esempio, il sistema di rilevazione vuotature per l'applicazione della tariffa puntuale;
          nella relazione la stazione appaltante si appella anche alla recente ”legge Madia” ritenendo che sia ormai intervenuta la prescrizione di 18 mesi per un'azione in autotutela, dimenticando però che il contenzioso di fronte all'Autorità nazionale anticorruzione è stato aperto a luglio 2014, e cioè molto prima che intervenisse la possibile prescrizione;
          la giurisprudenza del Consiglio di Stato e dell'adunanza plenaria assevera il diritto/dovere della pubblica amministrazione di avvalersi del proprio potere di annullamento in autotutela, se questo è finalizzato al ripristino della legalità amministrativa violata in occasione della stipula di un contratto a seguito di una procedura ad evidenza pubblica;
          a questo si deve aggiungere che un contratto stipulato mediante presentazione di inidonea o non valida garanzia fideiussoria deve essere ritenuto nullo, neanche annullabile ma semplicemente come se non fosse mai esistito, senza che esso abbia mai prodotto effetti perché gli stessi non sarebbero dovuti esistere;
          risulta altrettanto anomalo che sia la stazione appaltante ad appellarsi alla «legge Madia» quando la decisione finale spetta in realtà al Ministero dello sviluppo economico;
          la gara a doppio oggetto prevedeva infatti, come evidenziato anche dall'Autorità nazionale anticorruzione, che l'affidamento del servizio fosse subordinato alla cessione del ramo d'azienda;
          ne deriva che se questo è nullo anche il contestuale affidamento deve perdere la sua validità;
          spetta quindi al Ministero dello sviluppo economico intervenire in autotutela a conclusione di un contenzioso che finalmente si è concluso dopo più di 600 giorni;
          tale azione in autotutela di annullamento e di aggiudicazione ad altro partecipante della procedura di gara non comporterà in alcun modo problemi di igiene pubblica, né interruzione di pubblico servizio, in quanto resterà in capo alla Teknoservice l'obbligo di garantire la raccolta sino al nuovo subentro, così come sarebbe in caso di nuovo aggiudicatario a seguito di regolare procedura di gara espletata al termine del periodo contrattuale di sette anni;
          è dovere, nonché volontà, da parte delle pubbliche amministrazioni il rispetto delle regole, anche nei confronti dei propri contribuenti, delle leggi e delle autorità competenti (Autorità nazionale anticorruzione) che vigilano sugli appalti di servizi  –:
          se il Ministro interrogato abbia intenzione nell'immediato di procedere con tutti gli strumenti in suo possesso affinché sia rispettata la legge, per ripristinare la legittimità amministrativa della gara in questione e sanare la palese anomalia riscontrata sia da Ederambiente s.c., sia dall'Autorità nazionale anticorruzione, anche attivando tutte le iniziative di sua competenza ai fini dell'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione fatta a favore di Teknoservice e alla conseguente aggiudicazione alla seconda in graduatoria. (3-02345)


Elementi ed iniziative in merito alla circolare dell'Inps n. 94 del 2015 in materia di assicurazione sociale per l'impiego (NASpI) con riferimento al requisito della trenta giornate di lavoro effettivo – 3-02346

      GALGANO e SOTTANELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          è ad oggi irrisolto il caso «under 40» degli ex lavoratori della ThyssenKrupp Ast di Terni, che hanno accettato di lasciare il lavoro con la «buonuscita» e per i quali, terminato l'anno di mobilità, non è possibile accedere a nessun altro tipo di ammortizzatore sociale;
          la circolare dell'Inps n.  94 del 12 maggio 2015 ha disposto che per avere diritto alla nuova assicurazione sociale per l'impiego (NASpI) è necessario aver assommato trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione;
          dai terminali dell'Inps non risultano «le trenta giornate di lavoro effettivo» entro l'anno che precede l'inizio del periodi di disoccupazione (è evidente che se l'anno è trascorso in mobilità non può esserci il mese lavorativo), cosa che invece la sopra citata circolare riconosce per chi è stato in cassa integrazione anche per più di un anno;
          tuttavia, la circolare, non facendo riferimento alcuno, al caso di lavoratori in mobilità, determina il passaggio dei lavoratori da una situazione di «tutela», rappresentata dall'anno di mobilità, ad una situazione in cui quella «tutela» rappresenta un limite rispetto alle tutele previste per tutte le altre situazioni di disagio;
          tutto ciò, a parere degli interroganti, rende incomprensibile una discriminante venutasi a creare verso chi è in mobilità. Nello specifico, chi ha ricevuto un solo anno di mobilità, secondo l'interpretazione testuale della circolare non avrebbe diritto ad una tutela maggiore, come tutti gli altri lavoratori in disoccupazione  –:
          se l'interpretazione della circolare dell'Inps sia nel senso strettamente testuale e, in questo caso, se l'assenza di riferimento ai casi di mobilità sia voluta, quindi non soggetta a possibile modifica, recando in tal senso una effettiva discriminante, e quali urgenti iniziative intenda assumere per sanare l'evidente discriminazione venutasi a creare attraverso l'interpretazione testuale della sopra citata circolare verso i lavoratori in mobilità. (3-02346)


Chiarimenti in merito alla predisposizione dell'accordo tra Stato e regione per la rideterminazione della presenza militare in Sardegna, con particolare riferimento all'impegno a destinare i 250 uomini della brigata Sassari, o di altro corpo militare, alla nuova caserma di Pratosardo a Nuoro – 3-02347

      CAPELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la Sardegna ospita la grande maggioranza delle servitù militari italiane e i tre più grandi poligoni d'Europa;
          si tratta, in particolare, dell'ex base La Maddalena, di due siti per il poligono interforze del Salto di Quirra, della base militare di Capo Frasca, dell'aeroporto militare Decimomannu, della base militare di Capo Teulada, ex base missilistica degli Stati Uniti, di Monte Limbara, altra ex base missilistica Usa, della base militare Sinis-Cabras, della base militare di Tavolara, della base militare Santu Lussurgiu, della base aerea Elmas, della base militare Santo Stefano-La Maddalena;
          tutti questi territori sono delle vere e proprie perle ambientali e turistiche e come tali andrebbero salvaguardate, valorizzate e utilizzate, in modo da garantire uno sviluppo economico e sociale endogeno e non legato alla presenza, o meno, di basi militari;
          è, quindi necessario, immaginare soluzioni che rendano meno ingombrante possibile, e più ”produttiva”, la presenza militare in Sardegna, salvaguardando in maniera certa la salute di tutti coloro che sono esposti ai rischi legati a questa presenza, oltre che degli operatori civili e militari, ma anche dal patrimonio ambientale ed archeologico;
          non è, però, possibile fingere che la situazione attuale non abbia importanti riflessi dal punto di vista economico ed occupazionale per le zone dove risiedono le strutture militari;
          è, infatti, del tutto irrealistico pensare di poter chiudere le basi militari senza che vi sia una ripercussione negativa sul territorio dove queste basi insistono, anche alla luce del non adeguato indennizzo che lo Stato versa alla Sardegna per la presenza delle cosiddette servitù militari;
          è, quindi, necessario predisporre un piano di razionalizzazione ed ottimizzazione della presenza militare in Sardegna, più che uno di mera riduzione della presenza suddetta, per i motivi su esposti;
          il piano citato non potrà, naturalmente, non prendere in seria considerazione la necessità di rispettare l'ambiente, soprattutto concentrandosi sulle necessarie operazioni di bonifica che dovranno essere messe in atto in maniera tempestiva e continuativa e sull'opportunità di sviluppare la ricerca tecnologica connessa, ad esempio, ai sistemi di simulazione come il Siat;
          un caso particolarmente importante è quello relativo alla caserma di Pratosardo a Nuoro. Si tratta, infatti, di una nuova caserma, sorta in seguito all'accordo di programma datato 1997 tra comune, regione e Ministero della difesa;
          la costruzione della nuova caserma, che ha richiesto oltre diciotto anni di lavoro, colloca la struttura in periferia ed è volta a sostituire la vecchia area ”dell'Artiglieria”, che si trova nel centro della città di Nuoro e che verrà riutilizzata come parco urbano;
          in questo sito, di oltre quattro ettari, sono previsti spazi per uffici, alloggi, auditorium, mensa e officina e dovrebbero essere ospitati 250 militari della brigata Sassari, con evidenti conseguenze positive per la non facile situazione economica e sulla precaria condizione di sicurezza sociale del territorio;
          si teme, però, che il nuovo sito possa essere utilizzato per altri scopi rispetto a quelli originali (si parla di far alloggiare nella caserma molti migranti) o addirittura che venga abbandonato a se stesso con evidente ed inaccettabile spreco di denaro pubblico;
          non si tratta di contrapporre militari a migranti o di ignorare i doveri di solidarietà verso chi ha bisogno, ma è fondato il timore che il cambiamento di destinazione della caserma appena completata abbia gravi conseguenze sull'occupazione, sull'economia del territorio e sulla fiducia nelle istituzioni;
          il Governo ha dato prime rassicurazioni al riguardo, ma resta vivo il timore che il piano di razionalizzazione della presenza militare in Sardegna coinvolga in modo fortemente negativo la nuova caserma di Pratosardo, con tutte le evidenti conseguenze negative per il tessuto economico e sociale di Nuoro  –:
          a che punto sia la predisposizione dell'accordo tra Stato e regione per la rideterminazione della presenza militare in Sardegna e, in particolare, se sia o meno confermato l'impegno a destinare i 250 uomini della brigata Sassari, o di altro corpo militare, alla nuova caserma di Pratosardo. (3-02347)


Iniziative in sede europea volte a favorire il processo di attuazione di una politica di difesa comune – 3-02348

      CAUSIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il dibattito sulla creazione di un esercito comune europeo per la cooperazione e la difesa collettiva è tornato nuovamente alla ribalta. Da più di mezzo secolo circa si continua a discutere sulla sua creazione, che viene sempre ostacolata da chi teme di perdere la propria sovranità nazionale;
          con la firma del Trattato di Maastricht nel 1992, l'Unione europea si prefigge l'obiettivo di «affermare la sua identità sulla scena internazionale, segnatamente mediante l'attuazione di una politica estera e di sicurezza comune, ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune che potrebbe, successivamente, condurre ad una difesa comune»;
          a causa del moltiplicarsi di nuove minacce, come, ad esempio, i traffici illegali, il fondamentalismo ed il terrorismo di varie matrici, l'Unione europea ha attuato una politica estera con il fine di portare a termine missioni umanitarie e ristabilire la pace anche con l'uso della forza;
          ad oggi, l'Unione europea non dispone di un esercito permanente, ma di corpi di intervento rapido forniti dai Paesi membri, come, ad esempio, la European rapid operational force (Eurofor): un'unità costituita su esigenza fondata nel 1995, a cura di Italia, Francia, Spagna e Portogallo. Soppressa nel 2012, ha partecipato a diverse azioni in Albania e Kossovo con il fine di riportare pace e sicurezza;
          il rapporto con gli Stati Uniti, peraltro, risulta ancor più complesso da quando il loro approccio alla questione sembra privilegiare una visione dell'Europa come problema più che come un'opportunità su cui continuare ad investire in termini di sicurezza, intelligence e spese militari  –:
          quali iniziative il Governo intenda adottare in sede europea, al fine di sollecitare il processo di attuazione di una politica di difesa comune in grado di affrontare efficacemente anche le minacce derivanti dal terrorismo internazionale.
(3-02348)


Iniziative per una razionalizzazione della gestione degli sbarchi dei migranti, anche con riferimento all'utilizzo del porto commerciale di Augusta – 3-02349

      BRESCIA, NUTI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI, TONINELLI, LUIGI DI MAIO, LOREFICE, FRUSONE e MARZANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione dell'Agenda europea sulla migrazione e a norma della decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio che istituisce norme temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia, il Governo, in attuazione degli impegni politici assunti, ha redatto la road map che istituisce i cosiddetti centri hotspot;
          recentemente il Ministero dell'interno ha reso pubbliche le «procedure operative standard» che definiscono le indicazioni operative applicabili agli hotspot;
          le «procedure operative standard» illustrano come l’hotspot possa essere considerato un approccio e non soltanto uno spazio fisico, o un centro, precedentemente istituito e definito, tanto da prevedere l'istituzione di un team mobile;
          l’hotspot, sia esso inteso come centro o come approccio, risulta non avere alcuna base giuridica all'interno dell'ordinamento italiano e della normativa europea;
          stando ai dati disponibili, aggiornati al mese di giugno 2016, forniti dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, si stima in 218.382 il numero dei migranti arrivati via mare nel 2016, di cui 59.042 sbarcati sulle coste italiane;
          in data 24 giugno 2016 sono giunti sulle coste siciliane 2.100 migranti, di cui 1.135 nel solo porto di Augusta;
          in una precedente risposta ad un'interrogazione immediata il Ministro interrogato ha dichiarato come la volontà di istituire un hotspot presso il porto commerciale di Augusta fosse stata definitivamente abbandonata;
          in data 26 giugno 2016, stando ai dati forniti dalla Guardia costiera, i migranti sbarcati sulle coste siciliane risultano essere 3.324, messi in salvo attraverso 26 distinte operazioni della Guardia costiera, di concerto con la Marina militare, Eunavformed e organizzazioni non governative, quali Medici senza frontiere e Sea watch;
          risulterebbe inoltre che una cospicua parte dei migranti sbarcati siano poi stati direttamente smistati ed accolti in centri di accoglienza straordinari, senza inter alia, una giusta valutazione delle condizioni di salute e l'accertamento della sussistenza di particolari esigenze di accoglienza ex articolo 11 del decreto legislativo n.  142 del 2015;
          si stima che le persone decedute nel tentativo di attraversare il Mar Mediterraneo nel 2016 siano state 2.886  –:
          quali iniziative intenda disporre per garantire una gestione razionale degli arrivi via mare – a fronte del numero dei posti disponibili per l'accoglienza previsti per il 2016, evidentemente sottostimati dal piano nazionale per l'accoglienza – la presa in carico e la tutela dei migranti salvati in mare – specie i casi vulnerabili in aumento – e per interrompere l'utilizzo del porto commerciale di Augusta, come precedentemente annunciato. (3-02349)


Iniziative per la piena trasparenza dei finanziamenti diretti alle moschee e ai centri culturali islamici – 3-02350

      GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo uno studio del Ministero dell'interno del 2015, riportato da alcuni quotidiani, in Italia pare siano approssimativamente presenti, autorizzati e non, più di 700 luoghi di culto islamici, categoria nella quale vengono ricompresi i centri islamici, le moschee e le sale di preghiera, dette «musalla»;
          secondo quanto riportato dalla stampa, pare che ogni anno in Italia arrivino ben 18 milioni di euro da Qatar, Arabia Saudita e Turchia, attraverso le associazioni e le onlus di questi Stati, per sovvenzionare la creazione di nuovi luoghi di culto, autorizzati e non, per costruire moschee e finanziare l'estensione capillare dell'Islam in Italia;
          sempre secondo notizie di stampa, in media, ogni anno, la Qatar charity foundation, che tra i suoi compiti ha quello di finanziare la creazione di luoghi di culto in Italia e in Europa, destinerebbe al nostro Paese circa 6 milioni di euro, mentre dalle associazioni turche ne arriverebbero 4 e 8 milioni dall'Arabia Saudita;
          tali investimenti milionari sono destinati, dunque, a diffondere la dottrina islamica nel nostro Paese, con la presenza capillare di luoghi di culto sull'intero territorio nazionale;
          la conferma a quanto sopra si troverebbe in un articolo apparso, più recentemente, su Il Giornale dell'8 maggio 2016 nel quale viene riportata la notizia che la Qatar charity foundation avrebbe donato all'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) 25 milioni di euro per la costruzione di 33 moschee in Italia;
          la stessa Qatar charity foundation è stata riconosciuta dal Governo americano come uno dei soggetti finanziatori di Al Qaeda e sembra che nel 1997 lo stesso Bin Laden abbia ricevuto del denaro da parte di questa organizzazione non governativa;
          le principali comunità musulmane sono collocate nel Nord-Ovest con il 39 per cento del totale e nel Nord-Est con il 27 per cento, più precisamente le regioni con una maggiore presenza musulmana sono Lombardia (26,5 per cento), Emilia Romagna (13,5 per cento), Veneto e Piemonte (9 per cento);
          la Lombardia, dove vi è la più numerosa comunità islamica del Paese con più di 80 associazioni, risulta il territorio più a rischio in termini di proselitismo jihadista, come dimostrano i più recenti casi giudiziari ed investigativi, ma anche il fatto che la maggior parte delle espulsioni operate dal Ministero dell'interno nel 2016 sono avvenute proprio in territorio lombardo;
          dunque, la moltiplicazione dei luoghi di culto islamici costituisce una circostanza aggravante del pericolo terroristico a medio e lungo termine, favorendo la concentrazione di immigrati di fede musulmana, tra i quali poi è più facile che i terroristi jihadisti trovino riparo, come è emerso da quanto è accaduto in Francia e Belgio;
          non esiste in Italia una specifica normativa volta ad assicurare la tracciabilità del denaro in entrata e in uscita per finanziare i luoghi di culto e i centri islamici, diversamente da altri Stati europei, come ad esempio l'Austria, che hanno già provveduto ad aggiornare la propria legislazione regolamentando in modo preciso non solo l'edilizia di culto ma, principalmente, tutte le attività connesse ai luoghi di culto ed ivi esercitate, con particolare riguardo ai finanziamenti delle stesse;
          secondo la «Bundesgesetz über die äuβeren Rechtsverhältnisse islamischer Religionsgesellschaften – Islamgesetz 2015” (Legge federale concernente le relazioni giuridiche esterne delle società religiose islamiche – Legge sull'Islam 2015) approvata dall'Austria nel 2015 non solo «Ai fini dell'acquisizione della personalità giuridica (...) una società religiosa islamica deve disporre di una stabilità assicurata e dell'indipendenza economica» (articolo 4) di uno statuto recante «disposizioni concernenti il reperimento dei mezzi finanziari, la loro amministrazione e contabilità» (articolo 7), ma, soprattutto, viene disposto che «Il reperimento dei mezzi finanziari necessari all'attività abituale per il soddisfacimento delle esigenze religiose della società religiosa, delle comunità locali e dei loro membri deve avvenire sul territorio nazionale» (articolo 6), con ciò, di fatto, impedendo il finanziamento dall'estero delle comunità stesse e degli edifici di culto;
          occorre fare chiarezza sull'origine dei finanziamenti che dall'estero giungono in Italia alla luce di quanto sopra esposto ed anche della vicinanza della Qatar charity foundation a esponenti dell'Islam più radicale;
          è necessario un intervento normativo adeguato che regolamenti la piena trasparenza nella gestione finanziaria delle moschee, dei luoghi di culto, dei centri culturali islamici  –:
          quali strumenti più opportuni siano stati ad oggi impiegati per garantire la tracciabilità e il controllo dei flussi finanziari che dall'estero giungono in Italia per sovvenzionare i luoghi di culto islamici o se invece non si ritenga più utile un intervento normativo, come quello adottato dall'Austria, per assicurare la piena trasparenza nella gestione finanziaria delle moschee, dei luoghi di culto, dei centri culturali islamici e di tutte le attività collaterali. (3-02350)


Misure a favore dei braccianti stranieri che lavorano nelle campagne di Rosarno – 3-02351

      BENI, BRUNO BOSSIO, CARNEVALI, CHAOUKI, GADDA, GIUSEPPE GUERINI, PATRIARCA, SCUVERA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'8 giugno 2016 nella tendopoli che si trova tra San Ferdinando e Rosarno è avvenuto l'omicidio di un bracciante straniero da parte di un carabiniere a seguito di una lite scoppiata tra alcuni stranieri;
          secondo la versione riportata dagli organi di stampa, in mattinata la vittima avrebbe aggredito con un coltello un altro bracciante per futili motivi e successivamente un altro uomo tentando di rapinarlo;
          durante l'intervento delle forze dell'ordine, avvenuto a seguito della segnalazione di alcune persone presenti, la vittima si sarebbe scagliata con un coltello contro i militari, uno dei quali dopo essere stato ferito ha sparato colpendo il bracciante all'addome;
          immediato è stato l'avvio delle indagini – tuttora in corso – da parte della magistratura per accertare se il militare abbia o meno agito per legittima difesa;
          a seguito di questo episodio, numerosi sono stati i momenti di tensione all'interno della tendopoli per la protesta dei braccianti stranieri che intendevano denunciare quanto accaduto e le condizioni disumane in cui sono relegati da anni;
          questo grave episodio, avvenuto in un contesto di estremo disagio, riaccende i riflettori sulla situazione dei braccianti agricoli della piana di Gioia Tauro, tristemente nota per le forti tensioni sociali culminate nei gravi scontri di Rosarno del gennaio 2010, quando centinaia di migranti scesero in strada distruggendo auto e danneggiando abitazioni;
          la rivolta del 2010 ha rivelato all'opinione pubblica le disumane condizioni di sfruttamento dei migranti lavoratori stagionali impegnati nella raccolta delle arance e ospitati all'epoca in uno stabile fatiscente, abbattuto dopo la rivolta;
          a distanza di sei anni da quella rivolta, centinaia di braccianti stagionali stranieri vivono ancora in condizioni di sfruttamento e profondo degrado anche dal punto di vista igienico-sanitario, come più volte ha denunciato l'organizzazione Medici per i diritti umani;
          oggi i braccianti stranieri sono ospitati in una tendopoli allestita dalla Protezione civile per ordine della prefettura, ma le presenze sono già lievitate fino a 1.000, contro le 350 inizialmente previste, con la conseguenza che docce e servizi sono del tutto insufficienti;
          negli ultimi mesi nella zona si sono verificati frequenti episodi di aggressione a danno dei migranti ed è nuovamente cresciuto un clima di esasperazione che aggrava le tensioni sociali e aumenta i rischi per l'ordine pubblico  –:
          quali urgenti iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per procedere alla chiusura definitiva della tendopoli, al fine di garantire soluzioni abitative dignitose ai braccianti stranieri che lavorano nelle campagne di Rosarno, e come intenda dare maggiore efficacia alla repressione del fenomeno della tratta di esseri umani, del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori stranieri, attuando politiche tese a favorire l'integrazione e la pacifica convivenza. (3-02351)


Orientamenti del Governo in ordine ad un ampliamento delle scriminanti in merito alla legittima difesa per coloro che subiscono un reato nel proprio domicilio – 3-02352

      FORMISANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          da tempo si discute della questione relativa alla legittima difesa;
          l'interrogante, unitamente ad altri colleghi, ha presentato la proposta di legge n.  3774 in materia;
          recentemente è stata presentata presso il Senato della Repubblica una proposta di legge di iniziativa popolare con oltre un milione e 200.000 firme di cittadini che chiedono la riforma dell'articolo 55 del codice penale  –:
          quale sia l'orientamento del Governo in ordine ad un ampliamento delle scriminanti in merito alla legittima difesa per i soggetti che subiscono un reato nel proprio domicilio. (3-02352)


Orientamenti del Governo in merito alla questione della cosiddetta stepchild adoption – 3-02353

      SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 22 giugno la Corte di cassazione ha depositato la sentenza n.  12962 del 26 maggio 2016 con la quale ha detto sì all'adozione per i bambini «arcobaleno», ovvero quelli che hanno due genitori dello stesso sesso;
          la Corte di cassazione ha avallato l'interpretazione dell'articolo 44, lettera b), della legge sulle adozioni già adottato dal tribunale per i minorenni di Roma, nella sentenza del 30 luglio 2014 e successivamente confermata dalla corte d'appello di Roma e dalla corte d'Appello di Torino (e richiamato adesivamente anche dalla corte d'appello di Milano), che consente l'adozione coparentale (cosiddetti stepchild adoption) da parte del genitore sociale all'interno delle famiglie omoparentali;
          dopo tante polemiche, la Corte di cassazione ha confermato, dunque, che sussiste un diritto fondamentale dei bambini a mantenere una relazione familiare legalmente riconosciuta con entrambe i genitori, anche se dello stesso sesso. Un esito che non sorprende chi ha seguito negli anni le fondate argomentazioni dei tribunali che hanno applicato una norma diretta ad assicurare riconoscimento ai legami genitoriali di fatto, nell'esclusivo interesse dei bambini;
          la decisione della Corte di cassazione costituisce un caposaldo della giurisprudenza in materia di tutela del preminente interesse dei bambini, che è stato realizzato interpretando le leggi vigenti, anche alla luce delle convenzioni internazionali in materia di protezione dell'infanzia e dell'adolescenza e non costituisce – come invece alcuni hanno sostenuto – un'indebita ingerenza della magistratura nel campo delle competenze del legislatore;
          si può dire, al contrario, ad avviso degli interroganti, che mentre la magistratura ha applicato le leggi e i principi dell'ordinamento nazionale e di quello sovranazionale, la discussione che si è svolta in Parlamento e sulla stampa nel corso dell’iter di approvazione della legge in materia di unioni civili (legge n.  76 del 2016) ha avuto una forte caratterizzazione ideologica, impedendo, soprattutto con riguardo ai figli delle coppie formate da persone dello stesso sesso, l'approvazione di una disposizione minimale che tentava di tutelarli maggiormente;
          come noto, il disegno di legge – nelle sue numerose versioni – conteneva la piena equiparazione fra unione civile fra persone dello stesso sesso e matrimonio fra persone di sesso diverso con riguardo all'accesso all'adozione coparentale ex articolo 44, lettera b), della legge in materia di adozioni. Tale disposizione è stata stralciata all'ultimo istante nel maxiemendamento su cui il Governo ha posto la fiducia;
          nell'operare lo stralcio, la legge n.  76 del 2016, al comma 20, prevede comunque che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti», una disposizione il cui unico significato e funzione – secondo parte della dottrina – è da ricondurre alla volontà del legislatore di segnalare comunque come la mancata previsione dell'estensione della lettera b) non deve essere interpretata come uno stop all'orientamento consolidatosi negli ultimi anni in giurisprudenza in favore dell'adozione del figlio del partner (nelle coppie eterosessuali o omosessuali) ai sensi della lettera b);
          la debolezza della politica che ha colpito i bambini con due genitori dello stesso sesso, emersa in occasione dell'approvazione della legge n.  76 del 2016, necessita di essere spazzata via, senza indugi, alla luce dell'orientamento giurisprudenziale che la sentenza già citata della Corte di cassazione ha consolidato;
          ai bambini deve essere assicurato il massimo di protezione e il Governo e la sua maggioranza sono chiamati a dare il loro contributo, non abdicando al dovere di impegnarsi in Parlamento per la pronta approvazione di una legge in materia di adozione nelle coppie same-sex, non limitandosi a prendere atto di quanto già chiarito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, ma approntando un intervento che porti l'ordinamento italiano a conformarsi ai principi delle Carte internazionali in materia di diritti dei bambini, garantendo che essi possano essere adottati dal co-genitore dello stesso sesso (ma anche di sesso diverso) e non solo «in casi particolari» e con adozione «non piena» sotto il profilo del riconoscimento del rapporto di parentela con i fratelli e con i nonni;
          l'adozione, infatti, insieme con il genitore, deve comportare sempre l'acquisizione della parentela, rendendo, ad esempio, più chiaro quanto già oggi la legge sembra prevedere. Infatti, la riforma dell'articolo 74 del codice civile avvenuta con l'articolo 1 della legge 10 dicembre 2012, n.  219, consente di ritenere che sia stato implicitamente abrogato l'articolo 55 della legge in materia di adozione nella parte in cui rinvia all'articolo 300, secondo comma, codice civile (per cui «l'adozione non induce alcun rapporto civile tra l'adottante e la famiglia dell'adottato, né tra l'adottato e i parenti dell'adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge»);
          secondo il nuovo articolo 74 del codice civile, infatti «la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo», senza alcuna distinzione fra adozione congiunta ed adozione in casi particolari, di talché si dovrebbe intendere che anche quest'ultima instaura un rapporto di piena parentela del bimbo adottato con tutti i parenti dell'adottante;
          una lettura delle norme che tenga conto della successione delle leggi nel tempo e che sia conforme all'interesse migliore dei bambini, dunque una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata (tenuto pure conto che l'adozione coparentale negli altri Paesi è generalmente «piena»), può portare a ritenere che i bambini adottati ai sensi dell'articolo 44, lettera b), della legge in materia di adozione siano giuridicamente pienamente inseriti nelle loro famiglie, siano figli dei loro genitori, nipoti dei loro nonni, fratelli e sorelle dei loro fratelli e sorelle  –:
          se il Governo non ritenga che la questione dell'adozione in casi particolari (cosiddetta stepchild adoption) debba rappresentare un punto fondamentale della politica di Governo e, anche alla luce della recente sentenza della Corte di cassazione, se non intenda attivarsi, per quanto di competenza, per favorire l’iter di approvazione delle proposte di legge che chiedono di garantire massimamente il preminente interesse dei figli «arcobaleno» a vedersi riconosciuti entrambi i genitori e la parentela. (3-02353)


Iniziative in relazione alla situazione nelle carceri italiane – 3-02354

      CIRIELLI, RAMPELLI, GIORGIA MELONI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nonostante le promesse del Governo la situazione nelle carceri italiane resta critica, aumentano i casi di recidiva e non accenna a diminuire il numero dei reclusi;
          l'ultima edizione del rapporto «Space» del Consiglio d'Europa, contenente le statistiche annuali relative alla popolazione carceraria degli Stati membri, qualifica l'Italia come l'undicesimo Paese «maglia nera» per numero di carcerati rispetto alla capacità delle prigioni;
          appena dieci giorni fa il Sindacato autonomo degli agenti di polizia penitenziaria ha affermato che sarebbero oltre ottomilatrecento i detenuti senza posto, denunciando come la situazione nelle carceri stia «tornando a livelli allarmanti»;
          questi dati, secondo gli interroganti, dimostrano il completo fallimento delle politiche messe in atto dai Governi succedutisi in questi ultimi anni, tutte improntate al «perdonismo» e dirette unicamente a svuotare le carceri senza eseguire interventi strutturali che possano risolvere l'emergenza carceraria sul lungo periodo;
          occorre, invece, investire sulla funzione rieducativa della pena, in primo luogo attraverso il miglioramento delle condizioni di vivibilità in carcere, sia per i detenuti sia per gli agenti di custodia, e in secondo luogo attraverso investimenti destinati all'assunzione di sociologi e assistenti sociali, favorendo il lavoro esterno e con ciò il reinserimento sociale dei detenuti;
          gli agenti di polizia penitenziaria, che svolgono un ruolo particolarmente delicato e dovrebbero essere adeguatamente valorizzati e messi nelle condizioni di lavorare, versano da anni in una condizione di cronica carenza d'organico che oltre ad aggravare il loro lavoro ne mette a rischio anche l'incolumità personale;
          è necessario costruire nuove carceri o aprire quelle già ultimate ma mai messe in servizio, che siano in linea con gli standard europei, attraverso cui offrire una sistemazione dignitosa ai carcerati, permettendo loro di fare un percorso rieducativo e smettendo, invece, di adottare provvedimenti dannosi come i cosiddetti «svuota carceri», che scardinano il sistema punitivo e creano insicurezza sociale  –:
          quali iniziative intenda assumere con riferimento alle problematiche di cui in premessa. (3-02354)


DISEGNO DI LEGGE: S. 2228 – DISPOSIZIONI PER L'ADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI DERIVANTI DALL'APPARTENENZA DELL'ITALIA ALL'UNIONE EUROPEA – LEGGE EUROPEA 2015-2016 (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 3821)

A.C. 3821 – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

PARERE CONTRARIO

      Sull'emendamento Gagnarli 31.4.

NULLA OSTA

sui restanti emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1.

A.C. 3821 – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

PARERE CONTRARIO

      Sugli emendamenti 1.5 (parte ammissibile), 1.6, 1.8, 2.1, 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.30, 6.31, 11.6, 11.7, 14.1, 14.50, 14.51, 23.1, 23.2, 23.4, 23.5, 23.6, 29.1, 29.2, 31.2, 31.4, 31.5, 31.7, 31.8, 31.9, 33.1, e 33.2, in quanto suscettibili di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica privi di idonea quantificazione e copertura,

NULLA OSTA

sulle restanti proposte emendative.

A.C. 3821 – Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Capo I
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

Art. 1.
(Disposizioni in materia di qualità e trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini. Caso EU Pilot 4632/13/AGRI).

      1. Alla legge 13 gennaio 2013, n.  9, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) all'articolo 1, il comma 4 è sostituito dal seguente:
      «4. L'indicazione dell'origine delle miscele di oli di oliva originari di più di uno Stato membro dell'Unione europea o di un Paese terzo, conforme all'articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (UE) di esecuzione n.  29/2012 della Commissione, del 13 gennaio 2012, deve essere stampata, ai sensi dei commi 2 e 3 del presente articolo, in un punto evidente in modo da essere visibile, chiaramente leggibile e indelebile. Essa non deve essere in nessun modo nascosta, oscurata, limitata o separata da altre indicazioni scritte o grafiche o da altri elementi suscettibili di interferire»;
          b) all'articolo 7, il comma 1 è sostituito dal seguente:
      «1. Il termine minimo di conservazione entro il quale gli oli di oliva vergini mantengono le loro proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione va indicato con la dicitura: “da consumarsi preferibilmente entro il” quando la data comporta l'indicazione del giorno, oppure: “da consumarsi preferibilmente entro fine” negli altri casi»;
          c) all'articolo 7, comma 3, le parole: «La violazione del divieto di cui ai commi 1 e 2» sono sostituite dalle seguenti: «Il termine minimo di conservazione, di cui al comma 1, è indicato da parte del produttore o del confezionatore sotto la propria responsabilità. La relativa dicitura va preceduta dall'indicazione della campagna di raccolta, qualora il 100 per cento degli oli provenga da tale raccolta. La previsione dell'indicazione della campagna di raccolta non si applica agli oli di oliva vergini prodotti ovvero commercializzati in un altro Stato membro dell'Unione europea o in Turchia né ai prodotti fabbricati in uno Stato membro dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA), aderente all'Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE). La violazione delle disposizioni di cui al comma 1 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 8.000 e la confisca del prodotto. La violazione del divieto di cui al comma 2».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 1.
(Disposizioni in materia di qualità e trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini. Caso EU Pilot 4632/13/AGRI).

      Sopprimerlo.
1. 6. Gianluca Pini, Guidesi, Bossi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

      Al comma 1, sopprimere la lettera b).

      Conseguentemente, al medesimo comma, sostituire la lettera c), con la seguente:
          c) all'articolo 7, comma 3, le parole: «La violazione del divieto di cui ai commi 1 e 2» sono sostituite dalle seguenti: «Il termine minimo di conservazione di cui al comma 1 è preceduto dall'indicazione della campagna di raccolta, qualora il 100 per cento degli oli provenga da tale raccolta, e della data di imbottigliamento. La previsione dell'indicazione della campagna di raccolta e della data di imbottigliamento non si applicano agli oli di oliva vergini: prodotti ovvero commercializzati in un altro Stato membro dell'Unione europea o in Turchia né ai prodotti fabbricati in uno Stato membro dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA), aderente all'Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE). La violazione delle disposizioni di cui al comma 1 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 8.000 e la confisca del prodotto. La violazione del divieto di cui al comma 2».
1. 5.(parte ammissibile) L'Abbate, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, Lupo, Parentela, Battelli, Palese.

      Al comma 1, sopprimere la lettera b).
1. 8. Gianluca Pini, Guidesi, Bossi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

      Al comma 1, lettera b), capoverso comma 1, dopo le parole: in adeguate condizioni di conservazione aggiungere le seguenti:, in luogo fresco e asciutto, lontano da fonti di luce e di calore,.
1. 3. Fabrizio Di Stefano, Elvira Savino, Occhiuto.

      Al comma 1, lettera b), capoverso comma 1, aggiungere, in fine, le parole: In etichetta devono essere riportati anche la determinazione dello stato di ossidazione del prodotto al momento del confezionamento e l'indicazione dell'annata della raccolta.
1. 30. Ciracì.

      Al comma 1, lettera c), dopo le parole: di tale raccolta aggiungere le seguenti:, e della data di imbottigliamento.

      Conseguentemente, alla medesima lettera, dopo le parole: della campagna di raccolta aggiungere le seguenti: e della data di imbottigliamento.
1. 4. Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Battelli, Palese.

      Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: da euro 2.000 a euro 8.000 con le seguenti: da euro 5.000 a euro 20.000.
1. 12. Gianluca Pini, Guidesi, Bossi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

A.C. 3821 – Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 2.
(Disposizioni relative all'etichettatura del miele. Caso EU Pilot 7400/15/AGRI).

      1. All'articolo 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n.  179, dopo il comma 4 è aggiunto il seguente:
      «4-bis. Le disposizioni di cui al comma 2, lettera f), non si applicano ai mieli prodotti e confezionati in altri Stati membri nel rispetto delle definizioni e delle norme di cui alla direttiva 2001/110/CE del Consiglio, del 20 dicembre 2001».

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 2.
(Disposizioni relative all'etichettatura del miele. Caso EU Pilot 7400/15/AGRI).

      Sopprimerlo.
2. 1. Gianluca Pini, Guidesi, Bossi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

A.C. 3821 – Articolo 3

ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 3.
(Attuazione della rettifica della direttiva 2007/47/CE in materia di immissione in commercio dei dispositivi medici).

      1. All'allegato I, punto 7.4, del decreto legislativo 24 febbraio 1997, n.  46, e successive modificazioni, le parole: «costi/benefici» sono sostituite dalle seguenti: «rischi/benefici».
      2. All'allegato 1, punto 10, del decreto legislativo 14 dicembre 1992, n.  507, e successive modificazioni, le parole: «costi/benefici» sono sostituite dalle seguenti: «rischi/benefici».

A.C. 3821 – Articolo 4

ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 4.
(Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n.  1297/2014, che modifica il regolamento (CE) n.  1272/2008 in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele).

      1. All'articolo 8 del decreto legislativo 27 ottobre 2011, n.  186, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente:
      «2-bis. La sanzione amministrativa di cui al comma 2 si applica anche alla violazione delle disposizioni di cui all'articolo 1 del regolamento (UE) n.  1297/2014 della Commissione, del 5 dicembre 2014».

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 4.
(Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n.  1297/2014, che modifica il regolamento (CE) n.  1272/2008 in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele).

      Al comma 1, capoverso comma 2-bis, sostituire le parole: all'articolo con le seguenti: al punto 3.3.2., numeri I), II) e III) dell'allegato II all'articolo.

      Conseguentemente, al medesimo capoverso, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque viola le disposizioni di cui al punto 3.3.2. numero IV) e al punto 3.3.3. dell'allegato II all'articolo 1 del regolamento (UE) n.  1297/2014 della Commissione del 5 dicembre 2014, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 20.000 euro a 70.000 euro.
4. 1. Gianluca Pini, Guidesi, Bossi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

A.C. 3821 – Articolo 5

ARTICOLO 5 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Capo II
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI LIBERA PRESTAZIONE DEI SERVIZI E LIBERTÀ DI STABILIMENTO

Art. 5.
(Disposizioni relative alle Società Organismi di Attestazione. Procedura di infrazione 2013/4212).

      1. Le Società Organismi di Attestazione disciplinate dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n.  207, e dall'articolo 84 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.  50, devono avere una sede nel territorio della Repubblica.
      2. Al comma 1 dell'articolo 64 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  207 del 2010, le parole: «; la sede legale deve essere nel territorio della Repubblica» sono soppresse.

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 5 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 5.
(Disposizioni relative alle Società Organismi di Attestazione. Procedura di infrazione 2013/4212).

      Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
      3. Le disposizioni del presente articolo si applicano fino alla data della data di entrata in vigore delle linee guida dell'ANAC, di cui all'articolo 83, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.  50, fermo restando il rispetto delle medesime disposizioni da parte dell'ANAC.
5. 1. Gianluca Pini, Guidesi, Bossi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

A.C. 3821 – Articolo 6

ARTICOLO 6 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 6.
(Disposizioni in materia di tassazione delle vincite da gioco. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea 22 ottobre 2014 nelle cause riunite C-344/13 e C-367/13. Caso EU Pilot 5571/13/TAXU).

      1. All'articolo 69 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917, il comma 1 è sostituito dai seguenti:
      «1. Fatte salve le disposizioni di cui al comma 1-bis, i premi e le vincite di cui alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 67 costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione.
      1-bis. Le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate nello Stato o negli altri Stati membri dell'Unione europea o in uno Stato aderente all'Accordo sullo Spazio economico europeo non concorrono a formare il reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta».

      2. Il settimo comma dell'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  600, è abrogato.
      3. Agli oneri derivanti dall'attuazione del presente articolo, valutati in euro 3,96 milioni per l'anno 2017 e 2,32 milioni a decorrere dall'anno 2018, si provvede con quota parte delle maggiori entrate derivanti dall'applicazione della disposizione recata dall'articolo 22.
      4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 6 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 6.
(Disposizioni in materia di tassazione delle vincite da gioco. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea 22 ottobre 2014 nelle cause riunite C-344/13 e C-367/13. Caso EU Pilot 5571/13/TAXU).

      Sostituirlo con il seguente:

Art. 6.
(Disposizioni in materia di tassazione delle vincite da gioco. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea 22 ottobre 2014 nelle cause riunite C-344/13 e C-367/13. Caso EU Pilot 5571/13/TAXU).

      1. All'articolo 69 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917, il comma 1 è sostituito dal seguente:
      «1. I premi e le vincite di cui alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 67, che siano state conseguite in case da gioco autorizzate in Italia o in altri Stati membri dell'Unione europea o nello Spazio economico europeo, costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione, fatta salva l'applicazione delle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, ove esistenti».
      2. All'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  600, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) al primo comma, sono premesse le parole: «Fatte salve le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 69 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,»;
          b) il quarto comma è sostituito dal seguente: «La ritenuta sulle vincite e sui premi dei giochi esercitati dallo Stato è compresa nel prelievo operato dallo Stato, previsto in applicazione delle regole stabilite dalla legge per ognuna di tali attività di gioco».
6. 3. Battelli.

      Sostituire il comma 1 con il seguente:
      1. All'articolo 69 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917, il comma 1 è sostituito dal seguente:
      «1. I premi e le vincite di cui alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 67, che siano state conseguite in case da gioco autorizzate in Italia o in altri Stati membri dell'Unione europea o nello Spazio economico europeo, costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione, fatta salva l'applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, ove esistenti».

      Conseguentemente, sostituire i commi 2 e 3 con il seguente:
      2. All'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  600, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) al primo comma, sono premesse le seguenti parole: «Fatte salve le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 69 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917,»;
          b) il quarto comma è sostituito dal seguente: «La ritenuta sulle vincite e sui premi dei giochi esercitati dallo Stato è compresa nel prelievo operato dallo Stato, previsto in applicazione delle regole stabilite dalla legge per ognuna di tali attività di gioco».
6. 2. Battelli.

      Sostituire il comma 1 con il seguente:
      1. All'articolo 69 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917, il comma 1 è sostituito dal seguente:
      «1. I premi e le vincite di cui alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 67, che siano state conseguite in case da gioco autorizzate in Italia o in altri Stati membri dell'Unione europea o nello Spazio economico europeo, costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione, fatta salva l'applicazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, ove esistenti».

      Conseguentemente, sopprimere il comma 3.
6. 1. Pesco, Battelli.

      Sostituire i commi 3 e 4 con i seguenti:
      3. Agli oneri derivanti dall'attuazione del presente articolo, valutati in euro 3,96 milioni per l'anno 2017 e 2,32 milioni a decorrere dall'anno 2018, si provvede mediante corrispondente aumento della misura del prelievo erariale unico sugli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del regio decreto 18 giugno 1931, n.  773.
      4. Il Ministro dell'economia e delle finanze emana, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti per l'attuazione delle disposizioni di cui al comma 3.

      Conseguentemente, sopprimere l'articolo 22.
6. 30. Gianluca Pini, Guidesi, Bossi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

      Sostituire i commi 3 e 4 con i seguenti:
      3. Agli oneri derivanti dall'attuazione del presente articolo, valutati in euro 3,96 milioni per l'anno 2017 e 2,32 milioni a decorrere dall'anno 2018, si provvede mediante corrispondente aumento della misura del prelievo erariale unico sugli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del regio decreto 18 giugno 1931, n.  773.
      4. Il Ministro dell'economia e delle finanze emana, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti per l'attuazione delle disposizioni di cui al comma 3.

      Conseguentemente, sostituire l'articolo 22 con il seguente:

Art. 22.

      1. Al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  633, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) alla tabella A, parte II, al numero 9 le parole «, ex 21.07.02» sono soppresse;
          b) alla tabella A, Parte II-bis, dopo il numero 1) aggiungere il seguente:
              «1-bis) preparazioni alimentari a base di riso (ex voce 21.07.02)».

      2. Agli oneri derivanti dall'attuazione del presente articolo, valutati in 4 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea di cui all'articolo 41-bis della legge 24 dicembre 2012, n.  234.
6. 31. Gianluca Pini, Guidesi, Bossi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

      Sostituire i commi 3 e 4 con i seguenti:
      3. Agli oneri derivanti dall'attuazione del presente articolo, valutati in euro 3,96 milioni per l'anno 2017 e 2,32 milioni a decorrere dall'anno 2018, si provvede mediante corrispondente aumento della misura del prelievo erariale sugli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del regio decreto 18 giugno 1931, n.  773.
      4. Il Ministro dell'economia e delle finanze emana, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti per l'attuazione delle disposizioni di cui al comma 3.
6. 4. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

A.C. 3821 – Articolo 7

ARTICOLO 7 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Capo III
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI GIUSTIZIA E SICUREZZA

Sezione I

Art. 7.
(Disposizioni in materia di obbligazioni alimentari, in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale. Accesso e utilizzo delle informazioni da parte dell'autorità centrale).

      1. Il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia, designato quale autorità centrale a norma dell'articolo 49 del regolamento (CE) n.  4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, dell'articolo 53 del regolamento (CE) n.  2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, e dell'articolo 4 della Convenzione dell'Aia del 23 novembre 2007, nello svolgimento dei suoi compiti si avvale dei servizi minorili dell'Amministrazione della giustizia. Può chiedere l'assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondono alle funzioni che gli derivano dalle convenzioni e dai regolamenti. Può accedere tramite tali organi ed enti alle informazioni contenute nelle banche dati in uso nell'ambito dell'esercizio delle loro attività istituzionali. Resta ferma la disciplina vigente in materia di accesso ai dati e alle informazioni conservati negli archivi automatizzati del Centro elaborazione dati istituito presso il Ministero dell'interno, prevista dall'articolo 9 della legge 1o aprile 1981, n.  121.
      2. Le informazioni sulla situazione economica e patrimoniale dei soggetti interessati di cui al comma 1 sono trasmesse all'ufficiale giudiziario previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente ai sensi dell'articolo 492-bis del codice di procedura civile.

A.C. 3821 – Articolo 8

ARTICOLO 8 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 8.
(Disposizioni in materia di titolo esecutivo europeo).

      1. L'autorità che ha formato l'atto pubblico è competente al rilascio di ogni attestato, estratto e certificato richiesto per l'esecuzione forzata dell'atto stesso negli Stati membri dell'Unione europea.
      2. In ogni caso in cui l'autorità che ha formato l'atto pubblico sia stata soppressa o sostituita, provvede l'autorità nominata in sua vece o che sia tenuta alla conservazione dei suoi atti e al rilascio delle loro copie, estratti e certificati.

A.C. 3821 – Articolo 9

ARTICOLO 9 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 9.
(Norme di adeguamento per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nelle cause transfrontaliere in materia di obbligazioni alimentari e sottrazione internazionale di minori).

      1. Per le domande presentate ai sensi del capo III della Convenzione dell'Aia del 23 novembre 2007, il patrocinio a spese dello Stato è concesso conformemente al decreto legislativo 27 maggio 2005, n.  116, fatte salve le disposizioni di maggior favore di cui agli articoli 14, 15, 16 e 17 della Convenzione predetta.
      2. Il patrocinio a spese dello Stato è riconosciuto per tutte le domande presentate ai sensi della Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, aperta alla firma all'Aia il 25 ottobre 1980, di cui alla legge 15 gennaio 1994, n.  64, tramite l'autorità centrale.
      3. Le domande di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentate, tramite autorità centrale, ai sensi dell'articolo 56, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CE) n.  4/2009 e dell'articolo 10, paragrafo 1, lettera a), della Convenzione dell'Aia del 23 novembre 2007, sono proposte al consiglio dell'ordine degli avvocati del luogo di esecuzione.
      4. Agli oneri derivanti dall'attuazione del presente articolo, valutati in euro 189.200 annui a decorrere dall'anno 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea di cui all'articolo 41-bis della legge 24 dicembre 2012, n.  234. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n.  196, il Ministro della giustizia provvede al monitoraggio degli oneri di cui al primo periodo e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al presente comma, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro della giustizia, provvede, con proprio decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attività di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie rimodulabili di parte corrente di cui all'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n.  196, nell'ambito del programma «Giustizia civile e penale» della missione «Giustizia» dello stato di previsione del Ministero della giustizia.
      5. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

A.C. 3821 – Articolo 10

ARTICOLO 10 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 10.
(Permesso di soggiorno individuale per minori stranieri).

      1. Al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) all'articolo 31, il comma 1 è sostituito dal seguente:
      «1. Il figlio minore dello straniero con questo convivente e regolarmente soggiornante segue la condizione giuridica del genitore con il quale convive ovvero la più favorevole tra quelle dei genitori con cui convive. Il minore che risulta affidato ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 maggio 1983, n.  184, segue la condizione giuridica dello straniero al quale è affidato, se più favorevole. Al minore è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari valido fino al compimento della maggiore età ovvero un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ai sensi dell'articolo 9. L'assenza occasionale e temporanea dal territorio dello Stato non esclude il requisito della convivenza»;
          b) all'articolo 31, il comma 2 è abrogato;
          c) all'articolo 32, comma 1, le parole: «le disposizioni di cui all'articolo 31, commi 1 e 2,» sono sostituite dalle seguenti: «le disposizioni di cui all'articolo 31, comma 1,».

      2. All'articolo 28, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n.  394, e successive modificazioni, le parole: «, salvo l'iscrizione del minore degli anni quattordici nel permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario stranieri regolarmente soggiornanti in Italia» sono soppresse.
      3. Al minore di anni quattordici, già iscritto nel permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario alla data di entrata in vigore della presente legge, il permesso di soggiorno di cui all'articolo 31, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286, come sostituito dal comma 1, lettera a), del presente articolo, è rilasciato al momento del rinnovo del permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario.
      4. Per il rimborso dei costi di produzione sostenuti dall'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato Spa nel periodo di sperimentazione del permesso di soggiorno elettronico rilasciato ai soggetti di cui al comma 3, decorrente dal dicembre 2013 fino alla data di entrata in vigore della presente legge, è autorizzata la spesa di 3,3 milioni di euro per l'anno 2016. Al predetto onere si fa fronte mediante corrispondente riduzione della dotazione del fondo per il recepimento della normativa europea di cui all'articolo 41-bis della legge 24 dicembre 2012, n.  234.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 10 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 10.
(Permesso di soggiorno individuale per minori stranieri).

      Sopprimerlo.
10. 1. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

      Al comma 1, lettera a), capoverso comma 1, sostituire il terzo periodo con il seguente: Il minore fino al compimento del quattordicesimo anno di età è iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno di uno o di entrambi i genitori o dello straniero al quale è affidato.

      Conseguentemente:
          al medesimo comma,
              medesimo capoverso, quarto periodo, aggiungere, in fine, le parole:
e il rinnovo dell'iscrizione;
              sopprimere le lettere b) e c);
              sopprimere i commi 2 e 3.
10. 2. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

      Al comma 1, lettera a), capoverso comma 1, quarto periodo, aggiungere, in fine, le parole:, salvo che l'assenza si protragga per oltre trenta giorni in un anno.
10. 3. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

      Sostituire il comma 2 con il seguente:
      2. All'articolo 28, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n.  394, e successive modificazioni, dopo le parole: «Comitato medesimo» sono aggiunte le seguenti: «previa esibizione di idonea certificazione medica attestante la minore età».
10. 4. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

      Sostituire il comma 2 con il seguente:
      2. All'articolo 28, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1991, n.  394, e successive modificazioni, dopo le parole: «Paesi di origine» sono aggiunte le seguenti: «e non può essere convertito dopo la maggiore età, al compimento della quale sono avviate tempestivamente le procedure di espulsione di cui agli articoli 13 e seguenti del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286, e successive modificazioni».
10. 5. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Simonetti.

A.C. 3821 – Articolo 11

ARTICOLO 11 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Sezione II

Art. 11.
(Diritto all'indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, in attuazione della direttiva 2004/80/CE. Procedura di infrazione 2011/4147).

      1. Fatte salve le provvidenze in favore delle vittime di determinati reati previste da altre disposizioni di legge, se più favorevoli, è riconosciuto il diritto all'indennizzo a carico dello Stato alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona e comunque del reato di cui all'articolo 603-bis del codice penale, ad eccezione dei reati di cui agli articoli 581 e 582, salvo che ricorrano le circostanze aggravanti previste dall'articolo 583 del codice penale.
      2. L'indennizzo è elargito per la rifusione delle spese mediche e assistenziali, salvo che per i fatti di violenza sessuale e di omicidio, in favore delle cui vittime, ovvero degli aventi diritto, l'indennizzo è comunque elargito anche in assenza di spese mediche e assistenziali.
      3. Con decreto del Ministro dell'interno e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono determinati gli importi dell'indennizzo, comunque nei limiti delle disponibilità del Fondo di cui all'articolo 14, assicurando un maggior ristoro alle vittime dei reati di violenza sessuale e di omicidio.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 11 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 11.
(Diritto all'indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, in attuazione della direttiva 2004/80/CE. Procedura di infrazione 2011/4147).

      Sostituirlo con il seguente:

Art. 11.
(Diritto all'indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, in attuazione della direttiva 2004/80/CE. Procedura di infrazione 2011/4147).

      1. È istituito presso il Ministero della giustizia un Fondo per le vittime dei reati intenzionali violenti, di seguito denominato «Fondo», finalizzato a concedere adeguato indennizzo a ciascuna persona che non abbia potuto conseguire il risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale cagionato dal reato o la rifusione delle spese e degli onorari di costituzione di parte civile.

      Conseguentemente:
          sostituire gli articoli da 12 a 14 con i seguenti:

Art. 12.
(Presupposti per l'accesso al fondo).

      1. Le disposizioni dell'articolo 11 si applicano alle vittime di reati violenti commessi nel territorio dello Stato italiano.
      2. Ai fini di cui all'articolo 11, per vittima di reato violento si intende la persona offesa dal reato, quando:
          a) il responsabile è deceduto;
          b) il responsabile, successivamente alla sentenza di condanna, si è sottratto all'adempimento delle obbligazioni civili;
          c) il responsabile è rimasto ignoto;
          d) quando il giudice civile a seguito di proscioglimento per intervenuta prescrizione ha condannato il prosciolto al risarcimento del danno a favore della vittima per il fatto dedotto nell'imputazione nel processo penale.

      3. Hanno diritto di accesso al Fondo le vittime dei reati intenzionali violenti che abbiano riportato lesioni personali gravi, permanenti o gravissime. Nei casi in cui, in conseguenza dei delitti medesimi, la persona offesa abbia perso la vita, il diritto di accesso al Fondo è riconosciuto nell'ordine: a) al coniuge e ai figli; b) ai genitori; c) al convivente more uxorio; d) ai fratelli e alle sorelle;.

Art. 13.
(Disposizioni generali).

      1. L'elargizione è corrisposta, in misura proporzionale all'ammontare del danno e comunque in una misura massima stabilita, tenuto conto della dotazione del fondo, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Con il medesimo decreto sono stabilite le modalità per la richiesta del contributo di cui all'articolo 11, l'istruttoria e la liquidazione dell'indennizzo, nonché le procedure di recupero dell'eventuale provvisionale anticipatoria in ragione dell'esito del procedimento penale ovvero di provvedimenti cautelari anticipatori emessi dal Giudice nell'ambito del processo civile in attesa della sua definizione.
      2. Nei casi in cui il danno è coperto da un contratto di assicurazione o se per lo stesso anno è stato riconosciuto il diritto a risarcimento, indennizzo, ristoro o rimborso, a qualsiasi titolo, da parte di una pubblica amministrazione o da altro fondo previsto dalla legislazione vigente, l'indennizzo è concesso per la sola parte che eccede la somma liquidata o che può essere liquidata. L'elargizione è condizionata all'accertamento della sussistenza dei presupposti della stessa.
      3. I soggetti di cui agli articoli 11 e 12 hanno, altresì, diritto ad accedere al gratuito patrocinio legale, a carico del Fondo medesimo, qualora ne facciano richiesta, e nei loro confronti non si applicano le limitazioni di reddito previste dal testo unico delle disposizioni legislative in materia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n.  115. In casi motivati di necessità, il Fondo può provvedere a corrispondere una anticipazione. Le somme elargite sono esenti dal pagamento dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e cumulabili con i trattamenti pensionistici previsti dalla normativa vigente. Restano ferme le disposizioni a tutela delle vittime di determinati reati previste dalla legislazione vigente. Quota parte del Fondo è utilizzata, nell'ambito della rete di strutture pubbliche esistenti, per la promozione e lo sviluppo di presìdi e servizi pubblici sul territorio dedicate all'ascolto, sostegno, l'assistenza e all'orientamento della vittima del reato, con le modalità definite dalla normativa vigente.
      4. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente, legge, il Ministro della salute adotta, di concerto con il Ministro dell'interno, un decreto volto a determinare le modalità di esenzione dal pagamento di ticket, per ogni tipo di prestazione sanitaria in favore dei cittadini che abbiano subito ferite o lesioni in conseguenza di aggressione;.

Art. 14.
(Dotazione del fondo).

      1. Il Fondo è alimentato da un contributo dello Stato, determinato annualmente dalla legge di stabilità in proporzione alla dotazione complessiva del fondo, comunque in misura annua non inferiore a 15 milioni di euro, nonché da:
          a) quota parte dei proventi delle sanzioni derivanti dal processo penale e dalla cessione, da parte dello Stato, dei crediti vantati nei confronti di coloro che sono stati condannati in via definitiva a pene pecuniarie, mediante, l'applicazione di una aliquota obbligatoria, fissata annualmente dal Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
          b) quota parte dei proventi derivanti dalla confisca e vendita dei proventi dei reati e dei mezzi utilizzati per l'esecuzione dei reati e dei proventi derivanti dal pagamento delle pene pecuniarie e delle somme versate per la multa o per l'ammenda a titolo di responsabilità civile, mediante l'applicazione di un'aliquota obbligatoria fissata annualmente dal Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
          c) introiti derivanti dalla specifica destinazione di quota parte delle ritenute operate sulle retribuzioni dei condannati ammessi al lavoro ai sensi della legge 26 luglio 1975, n.  354 e successive modificazioni, individuate con le modalità di cui alle lettere b) e c);
          d) altre risorse individuate annualmente dal Ministero della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
          e) contribuzioni volontarie, donazioni, lasciti da chiunque effettuati con le modalità stabilite dal Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.;
          f) dagli introiti derivanti dalla specifica destinazione di un'aliquota delle ritenute erariali dei proventi dei giochi e scommesse determinata annualmente con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia;
          g) dai premi vinti e mai incassati del fondo giochi e scommesse istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze.
11. 7. Ferraresi, Cominardi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Gallinella, Battelli, Kronbichler, Gianluca Pini, Romele.

      Al comma 1, sopprimere le parole: ad eccezione dei reati di cui agli articoli 581 e 582, salvo che ricorrano le circostanze aggravanti previste dall'articolo 583 del codice penale.
11. 4. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia, Rizzetto.

      Sostituire il comma 2 con il seguente:
      2. L'indennizzo elargito è comprensivo di quanto dovuto alla vittima, ovvero agli aventi diritto, nella misura del danno patrimoniale e non patrimoniale, cagionato dal reato, riconosciuto con sentenza di condanna passata in giudicato, laddove il soggetto obbligato si sia sottratto all'adempimento ovvero sia rimasto ignoto. L'indennizzo è altresì elargito per la rifusione delle spese mediche ed assistenziali sostenute dalle vittime ovvero degli aventi diritto.
11. 3. Ferraresi, Cominardi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Gallinella, Battelli.

      Al comma 2, sopprimere le parole: per la rifusione delle spese mediche e assistenziali, salvo che per i fatti di violenza sessuale e di omicidio, in favore delle cui vittime, ovvero degli aventi diritto, l'indennizzo è comunque elargito.
11. 5. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 3, sopprimere le parole: comunque nei limiti delle disponibilità del fondo di cui all'articolo 14, assicurando un maggior ristoro alle vittime dei reati di violenza sessuale e di omicidio.
11. 6. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

A.C. 3821 – Articolo 12

ARTICOLO 12 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 12.
(Condizioni per l'accesso all'indennizzo).

      1. L'indennizzo è corrisposto alle seguenti condizioni:
          a) che la vittima sia titolare di un reddito annuo, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a quello previsto per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
          b) che la vittima abbia già esperito infruttuosamente l'azione esecutiva nei confronti dell'autore del reato per ottenere il risarcimento del danno dal soggetto obbligato in forza di sentenza di condanna irrevocabile o di una condanna a titolo di provvisionale, salvo che l'autore del reato sia rimasto ignoto;
          c) che la vittima non abbia concorso, anche colposamente, alla commissione del reato ovvero di reati connessi al medesimo, ai sensi dell'articolo 12 del codice di procedura penale;
          d) che la vittima non sia stata condannata con sentenza definitiva ovvero, alla data di presentazione della domanda, non sia sottoposta a procedimento penale per uno dei reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale e per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto;
          e) che la vittima non abbia percepito, per lo stesso fatto, somme erogate a qualunque titolo da soggetti pubblici o privati.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 12 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 12.
(Condizioni per l'accesso all'indennizzo).

      Al comma 1, sopprimere la lettera a).

      Conseguentemente, dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
      2. L'importo dell'indennizzo è rapportato, in maniera inversamente proporzionale, al reddito annuo della vittima, risultante dall'ultima dichiarazione.
12. 4. Ferraresi, Cominardi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Gallinella, Battelli.

      Al comma 1, sopprimere la lettera a).
*12. 1. Ferraresi, Cominardi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Gallinella, Battelli.

      Al comma 1, sopprimere la lettera a).
*12. 14. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 1, sopprimere la lettera a).
*12. 50. Giorgia Meloni, Rampelli.

      Al comma 1, lettera a), sostituire le parole: non superiore a con le seguenti: non superiore a sette volte di.
12. 13. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 1, lettera a), sostituire le parole: non superiore a con le seguenti: non superiore a sei volte di.
12. 12. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 1, lettera a), sostituire le parole: non superiore a con le seguenti: non superiore al quintuplo di.
12. 10. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 1, lettera a), sostituire le parole: non superiore a con le seguenti: non superiore al quadruplo di.
12. 11. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 1, lettera a), sostituire le parole: non superiore a con le seguenti: non superiore al triplo di.
12. 3. Ferraresi, Cominardi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Gallinella, Battelli.

      Al comma 1, lettera a), sostituire le parole: non superiore a con le seguenti: non superiore al doppio di.
12. 2. Ferraresi, Cominardi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Gallinella, Battelli.

      Al comma 1 lettera a), aggiungere, in fine, le parole: come disciplinato dal Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n.  115.
12. 15. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 1, lettera b), sostituire le parole: già esperito infruttuosamente con le seguenti: tentato di esperire.
12. 16. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 1, lettera b), aggiungere, in fine, le parole: o irreperibile.
12. 17. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 1, lettera c), sopprimere le parole: anche colposamente,
12. 5. Ferraresi, Cominardi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Gallinella, Battelli.

      Al comma 1, sopprimere la lettera d).
*12. 6. Ferraresi, Cominardi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Gallinella, Battelli.

      Al comma 1, sopprimere la lettera d).
*12. 19. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 1, lettera d), sopprimere le parole: ovvero, alla data di presentazione della domanda, non sia sottoposta a procedimento penale per uno dei reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale e.
12. 18. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 1, lettera d), sopprimere le parole: e per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
12. 7. Ferraresi, Cominardi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Gallinella, Battelli.

      Al comma 1, sopprimere la lettera e).

      Conseguentemente, dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
      2. Nei casi in cui il danno è parzialmente coperto da un contratto di assicurazione o, a qualsiasi altro titolo, sia stato liquidato un indennizzo, ristoro o rimborso da parte di una pubblica amministrazione o di altro fondo previsto dalla legislazione vigente, l'indennizzo di cui all'articolo 11 è elargito per la sola parte che eccede la somma liquidata fino a totale risarcimento.
12. 9. Ferraresi, Cominardi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Gallinella, Battelli.

      Al comma 1, sopprimere la lettera e).
12. 8. Ferraresi, Cominardi, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Sarti, Gallinella, Battelli.

A.C. 3821 – Articolo 13

ARTICOLO 13 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 13.
(Domanda di indennizzo).

      1. La domanda di indennizzo è presentata dall'interessato, o dagli aventi diritto in caso di morte della vittima del reato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale e, a pena di inammissibilità, deve essere corredata dei seguenti atti e documenti:
          a) copia della sentenza di condanna per uno dei reati di cui all'articolo 11 ovvero del provvedimento decisorio che definisce il giudizio per essere rimasto ignoto l'autore del reato;
          b) documentazione attestante l'infruttuoso esperimento dell'azione esecutiva per il risarcimento del danno nei confronti dell'autore del reato;
          c) dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, ai sensi dell'articolo 46 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.  445, sull'assenza delle condizioni ostative di cui all'articolo 12, comma 1, lettere d) ed e);
          d) certificazione medica attestante le spese sostenute per prestazioni sanitarie oppure certificato di morte della vittima del reato.

      2. La domanda deve essere presentata nel termine di sessanta giorni dalla decisione che ha definito il giudizio per essere ignoto l'autore del reato o dall'ultimo atto dell'azione esecutiva infruttuosamente esperita.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 13 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 13.
(Domanda di indennizzo).

      Al comma 1, alinea, sopprimere le parole:, a pena di inammissibilità,
13. 2. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 1, lettera a), sostituire le parole: copia della con le seguenti: estremi identificativi della.
13. 3. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 2, sostituire la parola: sessanta con la seguente: trecentosessantacinque.
13. 7. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 2, sostituire la parola: sessanta con la seguente: duecentodieci.
13. 6. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 2, sostituire la parola: sessanta con la seguente: centottanta.
*13. 4. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 2, sostituire la parola: sessanta con la seguente: centottanta.
*13. 50. Giorgia Meloni, Rampelli.

      Al comma 2, sostituire la parola: sessanta con la seguente: centoventi.
13. 5. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 2, aggiungere in fine il seguente periodo: Per le vittime che non hanno sinora potuto accedere a un indennizzo a causa della incompleta attuazione della direttiva 2004/80/CE il termine di sessanta giorni si intende a decorrere dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della presente legge.
13. 51. Giorgia Meloni, Rampelli.

A.C. 3821 – Articolo 14

ARTICOLO 14 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 14.
(Fondo per l'indennizzo in favore delle vittime).

      1. Il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura è destinato anche all'indennizzo delle vittime dei reati previsti dall'articolo 11 e assume la denominazione di «Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell'usura e dei reati intenzionali violenti».
      2. Ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 febbraio 2014, n.  60, il Fondo è altresì alimentato da un contributo annuale dello Stato pari a 2.600.000 euro a decorrere dall'anno 2016.
      3. Il Fondo è surrogato, quanto alle somme corrisposte a titolo di indennizzo agli aventi diritto, nei diritti della parte civile o dell'attore verso il soggetto condannato al risarcimento del danno.
      4. In caso di disponibilità finanziarie insufficienti nell'anno di riferimento a soddisfare gli aventi diritto, è possibile per gli stessi un accesso al Fondo in quota proporzionale e l'integrazione delle somme non percepite dal Fondo medesimo negli anni successivi, senza interessi, rivalutazioni ed oneri aggiuntivi.
      5. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del titolo II del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 febbraio 2014, n.  60. Con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n.  400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono apportate le necessarie modifiche al citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  60 del 2014.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 14 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 14.
(Fondo per l'indennizzo in favore delle vittime).

      Sostituirlo con il seguente:

Art. 14.
(Fondo per l'indennizzo in favore delle vittime).

      1. Il fondo per l'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti è istituito presso il Ministero della giustizia.
      2. Tale fondo, che prevede una dotazione iniziale di 15 milioni di euro, è alimentato:
          a) da un contributo fisso dello Stato, determinato annualmente dalla legge di stabilità in misura non inferiore al 50 per cento dell'ammontare complessivo dello stesso fondo;
          b) dagli introiti derivanti dall'applicazione di un'aliquota dell'imposta di bollo sugli atti giudiziari, fissata annualmente con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia;
          c) dagli introiti derivanti dall'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, in una quota fissata annualmente con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
          d) dalle economie di gestione realizzate nel corso di ogni anno in relazione agli indirizzi non corrisposti o revocati, nonché alle somme provenienti da azioni di rivalsa, computate per intero o tenuto conto dei rimborsi già ricevuti;
          e) da donazioni e da lasciti da chiunque effettuati.

      3. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, si provvede a disciplinare il funzionamento del fondo e a stabilire le modalità per la concessione dell'indennizzo.
      4. L'indennizzo è corrisposto in misura proporzionale all'ammontare del danno e, comunque, non superiore a 1.500.000 euro.
      5. Se il danno è coperto, anche in parte, da un contratto di assicurazione o se per lo stesso danno è stato ottenuto un rimborso, a qualsiasi titolo, da parte di un'altra amministrazione pubblica, l'indennizzo è concesso per la sola parte che eccede la somma liquidata o che può essere liquidata.
      6. L'indennizzo è esente dal pagamento dell'imposta sul reddito delle persone fisiche.

      Conseguentemente, sopprimere l'articolo 16.
14. 1. Gianluca Pini, Bossi, Guidesi, Borghesi, Invernizzi, Caparini, Grimoldi, Allasia.

      Al comma 2 sostituire le parole: 2.600.000 euro con le seguenti: 4.000.000 euro.

      Conseguentemente, all'articolo 16, comma 4, sostituire le parole: 2.600.000 euro con le seguenti: 4.000.000 euro.
14. 50. Giorgia Meloni, Rampelli.

      Al comma 2 sostituire le parole: 2.600.000 euro con le seguenti: 3.000.000 euro.

      Conseguentemente, all'articolo 16, comma 4, sostituire le parole: 2.600.000 euro con le seguenti: 3.000.000 euro.
14. 51. Giorgia Meloni, Rampelli.

      Dopo il comma 3, aggiungere il seguente:
      3-bis. Il Fondo eroga, altresì, le somme eventualmente richieste a titolo di spese giudiziarie alle vittime in quanto soggetti coobbligati in ottemperanza alle norme vigenti.
14. 52. Giorgia Meloni, Rampelli.

A.C. 3821 – Articolo 15

ARTICOLO 15 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 15.
(Modifiche alle leggi 22 dicembre 1999, n.  512, e 23 febbraio 1999, n.  44).

      1. Alla legge 22 dicembre 1999, n.  512, sono apportate le seguenti modificazioni:
          a) all'articolo 3, nella rubrica e al comma 1, primo periodo, dopo la parola: «mafioso» sono aggiunte le seguenti: «e dei reati intenzionali violenti»;
          b) all'articolo 3, comma 1, lettera b), le parole: «da un rappresentante del Ministero di grazia e giustizia» sono sostituite dalle seguenti: «da due rappresentanti del Ministero della giustizia»;
          c) all'articolo 4, comma 3, dopo le parole: «e successive modificazioni» sono aggiunte le seguenti: «, ovvero quando risultano escluse le condizioni di cui all'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 20 ottobre 1990, n.  302».

      2. All'articolo 19, comma 1, della legge 23 febbraio 1999, n.  44, dopo la lettera b) è inserita la seguente:
          «b-bis) da un rappresentante del Ministero della giustizia».

      3. La disposizione di cui al comma 1, lettera c), si applica alle istanze non ancora definite alla data di entrata in vigore della presente legge.

A.C. 3821 – Articolo 16

ARTICOLO 16 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 16.
(Disposizioni finanziarie).

      1. All'articolo 1, comma 425, della legge 23 dicembre 2014, n.  190, e successive modificazioni, la parola: «2.000» è sostituita dalla seguente: «1.943» e le parole: «1.000 nel corso dell'anno 2016» sono sostituite dalle seguenti: «943 nel corso dell'anno 2016».
      2. All'articolo 22, comma 1, alinea, del decreto-legge 27 giugno 2015, n.  83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n.  132, la parola: «49.200.000» è sostituita dalla seguente: «46.578.000», la parola: «94.200.000» è sostituita dalla seguente: «91.578.000» e la parola: «93.200.000» è sostituita dalla seguente: «90.578.000».
      3. All'articolo 22, comma 1, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2015, n.  83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n.  132, le parole: «46.000.000 di euro» sono sostituite dalle seguenti: «43.378.000 euro» e le parole: «92.000.000 di euro» sono sostituite dalle seguenti: «89.378.000 euro».
      4. Per l'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 14 è autorizzata la spesa di euro 2.600.000 a decorrere dall'anno 2016, cui si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 96, della legge 23 dicembre 2014, n.  190.
      5. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio.

A.C. 3821 – Articolo 17

ARTICOLO 17 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Capo IV
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI TRASPORTI

Art. 17.
(Iscrizione nel Registro internazionale italiano di navi in regime di temporanea dismissione di bandiera comunitaria).

      1. All'articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto-legge 30 dicembre 1997, n.  457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n.  30, dopo le parole: «appartengono a soggetti» sono inserite le seguenti: «comunitari o» e le parole: «registro straniero non comunitario» sono sostituite dalle seguenti: «registro comunitario o non comunitario».