XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Risoluzioni in Commissione:
Le Commissioni VI e XII,
premesso che:
il beneficio dell'esenzione del bollo auto si applica ai veicoli, sia condotti dai disabili, sia utilizzati per il loro accompagnamento, con limitazione di cilindrata fino a 2000 cc se con motore a benzina, e fino a 2800 cc se con motore diesel;
una persona è a carico del familiare quando possiede un reddito annuo non superiore a 2.840,51 euro. Si ricorda che le pensioni, gli assegni e le indennità corrisposte agli invalidi civili «fanno reddito» ai fini Irpef (articolo 12 e articolo 13-bis del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917);
l'esenzione spetta per un solo veicolo, scelto dal disabile stesso nel caso in cui possieda più veicoli, e per ottenere l'esenzione bisogna presentare una domanda mentre per le regioni convenzionate con l'Automobile club d'Italia (ACI) la domanda può essere presentata presso gli uffici provinciali dell'Automobile club d'Italia oppure presso le delegazioni dell'Automobile Club d'Italia;
è possibile ottenere nuovamente l'agevolazione per un secondo veicolo solo se il primo, per il quale si è già beneficiato dell'agevolazione, viene venduto o cancellato dal pubblico registro automobilistico (PRA);
in assenza di tale cancellazione, si dovrà corrispondere la relativa tassa automobilistica entro il mese successivo alla data in cui si verifica l'evento ed il veicolo deve essere intestato direttamente al disabile o, in alternativa, al familiare che lo ha fiscalmente a carico;
le spese per le visite mediche, gli accertamenti strumentali e di laboratorio richiesti dalla commissione medica locale sono totalmente a proprio carico, non essendo previste dal servizio sanitario nazionale (articolo 330 del regolamento di esecuzione del codice della strada);
è prevista l'esenzione dall'imposta di trascrizione al pubblico registro automobilistico, sui passaggi di proprietà (con esclusione, però, di non vedenti e sordi). Il beneficio compete sia in occasione della prima iscrizione di un'auto nuova, sia nella trascrizione di un «passaggio» riguardante un'auto usata;
in caso di minorazioni agli arti e alla colonna vertebrale, la cui funzione sia vicariata o assistita con l'adozione di adeguati mezzi protesici od ortesici o tramite adattamenti particolari ai veicoli da guidare, la commissione medica locale deve anche verificare (articolo 327 del regolamento di esecuzione del codice della strada): o la funzionalità delle protesi e delle ortesi, attestata dal costruttore con apposita certificazione da esibire alla stessa commissione medica locale e/o l'individuazione degli adattamenti la cui efficienza verrà verificata successivamente al momento del collaudo del veicolo presso l'ufficio della motorizzazione civile provinciale di competenza (Umc);
per la guida dei motocicli, questa valutazione e verifica della commissione medica locale sull'efficienza degli arti assume maggiore rilevanza in considerazione delle imprescindibili funzioni di stabilità e manovrabilità del veicolo;
in caso di minorazioni a tre o quattro arti la commissione medica locale, per formulare il giudizio di idoneità/non idoneità, dovrà individuare: innanzitutto le effettive capacità della persona alla guida, per verificare la possibilità di azionamento in maniera efficace e sicura dei comandi; poi, eventualmente, prescriverà gli adattamenti da installare sul veicolo;
se la commissione medica locale non può formulare il giudizio di idoneità in base ai soli accertamenti clinici e documentali, in quanto le valutazioni cliniche e analisi dei certificati anamnestici fanno sorgere dubbi circa l'idoneità alla guida della persona, si dovrà sostenere una prova pratica di guida su un veicolo adattato in relazione alle particolari patologie (articolo 119, comma 4, del codice della strada);
non sono esentabili gli autocaravan, benché ci siano patologie che prevedano la mobilitazione del paziente in aree più idonee ed il costo dell'autocaravan sia sicuramente inferiore alla locazione di un immobile,
impegnano il Governo:
ad assumere iniziative per rivedere tutte le norme in materia, a maggiore beneficio del disabile e dei suoi familiari;
ad assumere iniziative per garantire la gratuità della visita per il rilascio della patente per il disabile ed in forma ridotta per i suoi familiari in base al modello Isee, totalmente se il reddito complessivo è inferiore a 30000 euro (lordi) per nucleo familiare composto da tre persone;
ad assumere iniziative per prevedere l'esenzione dal bollo auto per tutti i mezzi afferenti ad un nucleo familiare con disabili in famiglia che non siano classificati di lusso;
ad assumere iniziative per prevedere l'esenzione dal bollo relativamente agli autocaravan per quelle disabilità che obbligano a spostamenti per lunghi periodi sia per consentire le cure del disabile sia per agevolare una migliore qualità della salute del medesimo;
ad assumere iniziative per esentare dal pagamento del bollo per la patente tutti i disabili;
ad assumere iniziative per consentire l'erogazione del carburante con il riconoscimento di uno sgravio fiscale in sede di dichiarazione dei redditi pari al 25 per cento delle spese annuali sostenute per lo stesso, anche quando esso venga acquistato nelle regioni dove il prezzo è agevolato, ad esempio il Friuli Venezia Giulia.
(7-01037) «Villarosa, Di Vita, Dall'Osso, Basilio, Vacca, Brugnerotto, Cecconi, Pesco, Alberti, Paolo Nicolò Romano, Caso, Nuti, Dell'Orco, Fantinati, Nesci, Manlio Di Stefano, Spadoni, Grande, Sibilia, Marzana, Brescia, Baroni, Lorefice».
La X Commissione,
premesso che:
Azimut-Benetti è uno dei maggiori gruppi privati attivi nel settore della nautica. Il gruppo opera e produce in 6 stabilimenti – attualmente situati ad Avigliana (Torino), Savona, Viareggio, Livorno, Fano (Pesaro), Itajai (Brasile) –, con oltre 40 modelli in produzione;
lo stabilimento di Fano è specializzato nella realizzazione di gusci in vetroresina e scafi, potendo disporre di personale altamente qualificato ed un sito produttivo in grado di operare con elevati standard di qualità e sicurezza;
il livello di produzione dello stabilimento negli ultimi tre anni è stato intenso, con produzione a pieno regime sino allo scorso maggio. Tuttavia, l'azienda ha avanzato richiesta di cassa integrazione per 40 lavoratori (attualmente lo stabilimento impiega 89 tra operai e impiegati, dei quali 30 già in cassa integrazione) dovuta alla presenza di dieci yacht invenduti;
in data 23 giugno 2016 i lavoratori dello stabilimento Azimut-Benetti di Fano hanno proclamato lo stato di agitazione a seguito della decisione del vertice aziendale di cedere il ramo di azienda, con il rischio di una prossima chiusura dello stabilimento;
alla base di tale decisione, secondo quanto sostengono le organizzazioni sindacali prontamente attivatesi sulla vertenza, ci sarebbe la volontà dell'azienda di ridurre il costo del lavoro, esternalizzando la produzione ad altre ditte (Il Resto del Carlino, edizione Pesaro, 24 giugno 2016);
le organizzazioni sindacali hanno già in prima battuta avanzato delle ipotesi tecnico-produttive per mantenere attivo lo stabilimento, tuttavia respinte dall'azienda (Il Corriere Adriatico, edizione Pesaro, 24 giugno 2016);
la vicenda dello stabilimento Azimut-Benetti si innesta in una crisi più ampia del settore nautico che ha interessato l'intera area della Val Metauro (in provincia di Pesaro) un tempo fiore all'occhiello di questo settore;
la chiusura di questo stabilimento comporterebbe enormi criticità sia per il numero di lavoratori coinvolti (89) sia per la dispersione di elevate competenze produttive maturate in questo settore,
impegna il Governo
a convocare tempestivamente un tavolo di confronto tra i vertici aziendali di Azimut-Benetti, le organizzazioni sindacali e le istituzioni locali, al fine di mettere in atto tutte le misure possibili volte a scongiurare la chiusura del sito produttivo di Fano.
(7-01034) «Ricciatti, Ferrara, Folino, Placido, Airaudo, Piras, Melilla, Quaranta, Duranti, Scotto, Nicchi, Rizzetto».
L'XI Commissione,
premesso che:
la Stampi Group di Monghidoro (Bologna), società attualmente in liquidazione, produce ed esporta bobine elettriche ed è di proprietà dell'imprenditore lodigiano Elvio Turchetto, che nel 2012 acquistò l'impianto dalla multinazionale Kemet, assumendo gradualmente gli ex dipendenti della società americana, anche usufruendo di incentivi economici da parte della multinazionale per ogni assunzione;
la produzione fu avviata nel 2013, ma già dall'anno seguente gli stipendi incominciarono a non essere corrisposti con regolarità. Dal mese di marzo 2015 la società non ha più proceduto ad accantonare i versamenti del TFR e a metà dello stesso anno l'azienda ha iniziato a non pagare le retribuzioni fino a 4 mensilità complessive, saldate solo successivamente con l'intervento del maggiore cliente (BOSCH) della società, che ha anticipato i pagamenti per fare corrispondere le retribuzioni ai lavoratori;
si è poi fatto ricorso alla cassa integrazione ed ai contratti di solidarietà, fino ad arrivare al mese di febbraio 2016 quando gli 84 lavoratori dell'azienda hanno ricevuto la loro ultima retribuzione;
la crisi della Stampi Group è, ad avviso del firmatario del presente atto, da imputare esclusivamente alla mala gestione della proprietà, in quanto non rientra in casi di crisi di settore o congiunturali; inoltre, a quanto è dato sapere, i vertici aziendali stanno assumendo quello che appare al firmatario del presente atto un irresponsabile atteggiamento ostruzionistico nel favorire una soluzione che consenta la salvaguardia delle prospettive produttive e occupazionali. I sindacati hanno, quindi, chiesto un intervento del prefetto di Bologna nel tentativo di dare una svolta all'attuale situazione di stallo;
dunque, ormai senza stipendio da 120 giorni, sostenuti dai sindacati, i dipendenti stanno protestando con una serie di presidi dinanzi alla sede dell'azienda, alla regione ed alla prefettura di Bologna, affinché vengano retribuiti e salvaguardati;
per evitare i licenziamenti e riprendere l'attività, l'unica soluzione sembra essere la vendita dell'azienda, tuttavia, la convocazione in regione di tavoli di salvaguardia, nonché gli incontri che in tale sede si sono tenuti tra i vertici aziendali e i possibili acquirenti si sono conclusi con un nulla di fatto;
ad oggi, gli 84 lavoratori della Stampi Group hanno ottenuto il ritiro della mobilità giunto a seguito di una richiesta ufficiale da parte della regione al liquidatore, che quanto meno apre la prospettiva dell'utilizzo degli ammortizzatori sociali;
si ritiene necessario adottare urgenti provvedimenti a tutela dei lavoratori in questione che, insieme alle loro famiglie, stanno vivendo una grave situazione di crisi ed incertezza non percependo da mesi un reddito, ciò anche a causa della condotta ostativa della società nel pervenire ad una risoluzione della vertenza, con conseguenze sempre più devastanti per la tenuta sociale di un territorio che vede privarsi di un'importante realtà aziendale,
impegna il Governo
ad assumere immediate iniziative al fine di salvaguardare i redditi e i livelli occupazionali dei dipendenti della Stampi Group srl di Monghidoro.
(7-01036) «Rizzetto».
La XIII Commissione,
premesso che:
l'agricoltura e la zootecnia nazionale soffrono da tempo una crisi di prezzo ormai generalizzata a causa degli alti costi di energia, acqua, fertilizzanti e fitofarmaci, nonché per un più alto costo della manodopera rispetto ai suoi competitori tradizionali;
è già in corso una forte richiesta da parte delle maggiori organizzazioni del settore per ottenere una modifica dell'attuale situazione di crisi del prezzo e per ottenere prezzi migliori dei fattori di produzione per gli operatori agricoli e dell'allevamento;
è necessario sostenere il reddito agricolo con misure di accrescimento delle possibilità produttive del settore primario, con particolare riferimento alla multifunzionalità delle aziende agricole;
un significativo aumento della disponibilità locale di approvvigionamenti di materiali per il settore primario da parte di operatori economici locali migliorerebbe la ragione di scambio dei produttori del settore primario nazionale, incrementando l'economia circolare;
è auspicabile sviluppare la filiera del luppolo nazionale, considerate le positive opportunità che si sono aperte con l'incremento del consumo della birra e delle produzioni artigianali;
tra gli operatori locali in grado di fornire prodotti a basso costo e a basso impatto ambientale vi sono certamente i produttori di birra che, tra l'altro, ha o sostenuto il reddito dell'impresa attraverso altre forme di sostentamento come ad esempio il riutilizzo virtuoso dei sottoprodotti;
le trebbie di birra sono i sottoprodotti ottenuti per essiccamento dei residui di cereali sottoposti al maltaggio, costituite dal residuo dell'estrazione a caldo del cereale maltato: comprendono gli involucri esterni della granella e le frazioni che non hanno subito solubilizzazione nel processo di maltaggio e ammostamento; infatti la presenza di principi nutritivi varia nelle trebbie in modo anche sensibile in dipendenza dei metodi di ammostamento e, più ancora, delle caratteristiche del cereale impiegato;
invece di essere avviate allo smaltimento in discarica ogni anno molte migliaia di tonnellate sono recuperate e destinate all'alimentazione animale, per le sue proprietà nutritive, per i ruminanti, i suini ed i volatili; alcuni birrifici, prevalentemente industriali, cedono inoltre i sottoprodotti ai panifici per la produzione di pasta;
le trebbie di birra sono poi tra i rifiuti utilizzabili negli impianti a biomasse e gas, come disposto dal decreto ministeriale n. 6 luglio del 2012 del Ministero dello sviluppo economico, alla tabella 1. A;
molti produttori di birra (ed in particolare i microbirrifici), per difficoltà logistiche o per le ridotte quantità di volumi prodotti, non possono riutilizzare in modo economico le trebbie né per gli impianti a biomasse e gas, né per i mangimi animali, né per i panifici e tali produzioni potrebbero essere utilmente annoverate nella tipologia di ammendanti, al pari di sottoprodotti simili come le vinacce o le sanze della lavorazione delle olive;
per promuovere un maggiore riutilizzo delle trebbie, disincentivando al tempo stesso il loro smaltimento nelle discariche secondo gli innovativi principi dell'economia circolare, sarebbe peraltro possibile inserire tali sottoprodotti anche tra i fertilizzanti dei terreni agricoli al pari di altri Paesi europei, come la Germania;
anche le associazioni dei produttori di birra hanno da tempo sollecitato l'introduzione delle trebbie tra gli ammendanti, al fine di incrementare il reddito dei microbirrifici,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per incentivare ogni forma di economia circolare in ambito rurale e agricolo, al fine di ridurre i costi per le imprese agricolo e dell'allevamento, aumentandone i margini di profitto;
a proseguire nell'individuazione di ulteriori forme di multifunzionalità delle aziende agricole e dell'allevamento al fine di sostenere il reddito agricolo;
ad assumere iniziative per consentire l'acquisto diretto da parte degli operatori agricoli delle trebbie prodotte dalla lavorazione della birra permettendone l'utilizzo come ammendante per i terreni agricoli al fine di promuovere il riutilizzo di una sempre maggiore quantità di sottoprodotti, ridurre i volumi dei rifiuti destinati alle discariche, ridurne il prezzo e sostenere in tal modo il reddito delle aziende agricole;
a promuovere lo sviluppo della filiera del luppolo nazionale, considerate le positive opportunità che si sono aperte con l'incremento del consumo della birra e delle produzioni locali in birrifici di medie dimensioni e in microbirrifici.
(7-01035) «Sani».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
il clickbait è una pratica promozionale basata sulla pubblicazione, soprattutto su social network, di contenuti web con titoli sensazionalistici o immagini accattivanti per attirare, talvolta in modo fraudolento, gli utenti sulla propria pagina web o su quella della propria azienda, al fine di aumentare gli accessi e, conseguentemente, gli introiti derivanti da contratti pubblicitari;
l'utilizzo di questa pratica di marketing, sviluppata e diffusa da parecchio tempo, e in crescita esponenziale nel corso degli ultimi anni, ha costretto anche i gestori di alcuni social network molto noti — ad esempio Facebook nell'agosto 2014 — a rivedere la propria policy e l'algoritmo di funzionamento del proprio sistema, al fine di ridurre l'impatto del clickbait all'interno del portale o sito web;
tale fenomeno ha trovato ampia diffusioni anche sul sito web di una nota forza politica che, attraverso i social network, ne ha fatto e ne fa ampio uso indirizzando gli utenti dalla pagina ufficiale su Facebook del Movimento 5 stelle verso siti web di proprietà personale come quello di Beppe Grillo, registrato a nome di Emanuele Bottaro, e successivamente indirizzati in maniera sistematica verso siti di proprietà aziendale, tra i quali si possono citare www.tzetze.it, www.la-cosa.it, www.lafucina.it, a loro volta di proprietà della Casaleggio Associati srl;
la pratica del clickbait — letteralmente «esca da click» proprio per indicare in modo dispregiativo l'utilizzo anche in modo fraudolento di un contenuto web volutamente roboante per attirare il maggior numero possibile di utenti, al solo fine di aumentare le visite a un sito per generare rendite pubblicitarie online — appare oggi molto controversa sia sotto il profilo della tutela del consumatore, che spesso in modo del tutto inconsapevole si ritrova navigando su web bersagliato da contenuti pubblicitari indesiderati; sia sotto il profilo della tutela degli stessi inserzionisti, che potrebbero a loro volta essere involontariamente danneggiati dal fatto che i consumatori, attratti in modo fraudolento su un'immagine pubblicitaria, potrebbero ritenere l'inserzionista, a sua volta potenzialmente inconsapevole, responsabile della frode in atto;
per le ragioni sopra dette tali pratiche destano, a giudizio degli interpellanti, maggior preoccupazione se poste in essere da appartenenti ad un partito o movimento politico, i cui rappresentanti siedono nelle sedi istituzionali, specie in assenza delle adeguate informazioni sul web di quanto sta per essere pubblicizzato –:
quale sia in generale l'orientamento del Governo sulla correttezza e liceità della pratica del cosiddetto clickbait, poste che tali comportamenti possono costituire una moderna forma di pubblicità ingannevole, specie laddove siano coinvolte aziende private come nei casi citati in premessa;
se non ritenga quante prima necessario adottare iniziative, anche normative, per regolamentare la materia, tutelando gli interessi di trita gli attori coinvolti, e valutando l'opportunità di una limitazione dell'utilizzo da parte di partiti, movimenti o rappresentanti istituzionali, specie in assenza delle opportune informazioni sulla diffusione pubblicitaria in atto;
quale sia l'orientamento del Governo sull'utilizzazione del clickbait quale forma di finanziamento dei partiti politici e se, allo stato delle conoscenze tecnologiche attuali, sia possibile effettuare una stima del traffico di denaro che l'utilizzo di tale pratica riesce a generare.
(2-01413) «Coppola, Bonaccorsi, Carbone, Donati, Lattuca, Basso, Stella Bianchi, Piazzoni, Ermini, Famiglietti, Verini, Tullo, Carloni, Capone, Lauricella, Arlotti, Bruno Bossio, Rotta, Currò, Fiano, Simoni, Beni, Tacconi, Dallai, Raciti, Ascani, Boccadutri, Barbanti, Malpezzi, Pierdomenico Martino, Zardini, Burtone, Borghi, Lodolini, Ginato, Fregolent, Petrini, Giuditta Pini, Cristian Iannuzzi, Rampi, Anzaldi, Cominelli, Catalano, Prina, Cova, Crimì, Bergonzi, Cinzia Maria Fontana».
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
la città di Taranto è da tempo alla attenzione del Governo per le note vicende che riguardano lo stabilimento siderurgico Ilva, e quanto ne deriva in termini di condizioni di vivibilità, di occupazione, di sviluppo del territorio ionico;
tali vicende che hanno assunto particolare rilevanza a seguito dei provvedimenti della magistratura tarantina, evidenziano una condizione ambientale di eccezionale criticità;
numerosi studi scientifici (Sentieri dell'Istituto Superiore di Sanità, registro Tumori e perizie epidemiologiche del Tribunale) segnalano una incidenza di malattie tumorali e, in generale, patologie a carico dell'apparato respiratorio, notevolmente superiore alle medie nazionali, correlata alle condizioni ambientali;
in questo quadro di particolare emergenza sanitaria si registra una carenza di strutture sanitarie, di personale medico e paramedico, di presidi territoriali di assistenza;
in più occasioni il varo di piani di riordino ospedaliero regionale, e in generale, di ristrutturazione del sistema sanitario, hanno riguardato il territorio tarantino in misura significativa riducendo in modo esponenziale l'offerta sanitaria, pubblica e privata;
l'ultimo provvedimento regionale in materia, portato alla attenzione del Governo, ha previsto la chiusura di ulteriori presidi ospedalieri, senza prevedere un adeguato sistema di assistenza territoriale;
in questi giorni l'Asl locale è in procinto di operare ulteriori riduzioni di servizi, eliminando alcuni importanti punti di Pronto Soccorso (presso ospedale Moscati di Taranto e San Marco di Grottaglie) e accorpando altri reparti;
all'interrogante sono giunte diverse segnalazioni, tra cui una nota del consigliere regionale Renato Perrini, che segue da tempo le vicende della sanità tarantina, che indicano il rischio di un prossimo collasso del sistema assistenziale. Preoccupazione condivisa da diversi altri soggetti istituzionali e dalla stessa direzione generale dell'ASL locale, che ha trasmesso in questi giorni una nota al presidente della regione Puglia, con la quale segnala le problematiche relative alla carenza di organico;
a fronte di una urgente necessità di adeguare l'offerta sanitaria alla particolare situazione di emergenza, si prospetta la costruzione di un nuovo ospedale, il cui completamento è previsto, ragionevolmente, non prima dei prossimi otto anni –:
se il Governo sia a conoscenza della particolare situazione di criticità del sistema sanitario della provincia ionica;
se il Governo non ritenga, per quanto di competenza, di dover intervenire, anche assumendo iniziative che introducano forme di esclusione del territorio ionico dai vincoli previsti dal decreto ministeriale 70 del 2015, che prevedano deroghe al patto di stabilità e al divieto di assunzione di personale medico e paramedico, che permettano il potenziamento delle strutture sanitarie, pubbliche e private, nell'ambito di un più ampio programma di sostegno al territorio che richiede valutazioni e provvedimenti specifici non includibili nella gestione ordinaria;
se il Governo intenda accogliere la richiesta proveniente da più soggetti e associazioni di assumere iniziative per utilizzare una parte dei fondi stanziati per la ricerca per istituire a Taranto un IRCCS (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico), che affianchi e supporti le strutture esistenti per conteggiare la gravissima emergenza sanitaria in atto.
(2-01412) «Chiarelli».
Interrogazioni a risposta orale:
CRIVELLARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
nei giorni scorsi, la stampa — anche locale, nella provincia di Rovigo — ha dato notevole risalto alla vicenda di una bambina di soli dodici anni, una ragazzina originaria del Bangladesh, costretta a sposare un uomo adulto nel 2006;
la vicenda processuale legata a questa dolorosa vicenda ha portato ad oggi alla condanna a tre anni di detenzione per maltrattamenti in concorso al padre e alla matrigna della ragazzina, che ora risiedono nella provincia di Rovigo, mentre l'ex «marito», un commerciante di trentasette anni, trasferitosi in altra città del nord, è stato invece condannato a otto anni di carcere e dovrà rispondere anche dell'accusa di abusi sessuali;
secondo quanto la giovane ha esposto a suo tempo agli inquirenti, i genitori – all'epoca commercianti a Ravenna – si erano indebitati per acquistare della merce e proprio la necessità di un prestito aveva condotto al matrimonio forzato. Le «nozze» sono poi state celebrate a Ravenna a fine primavera 2006 quando, secondo i documenti evidenziati dall'accusa, la giovane aveva appena dodici anni;
sembra che la pratica dei matrimoni forzati coinvolga oggi, nella sola Italia, tante giovani donne e bambine costrette a subire violenze fisiche e psicologiche, segregazioni, stupri, scompensi psichici e della salute, sequestri e rimpatrio forzato nei Paesi d'origine – a volte, la morte –:
se il Ministero dell'interno disponga di analisi e di statistiche relative all'incidenza di questo fenomeno nel nostro Paese e quali strategie intenda mettere in atto il governo per prevenire e contrastare la diffusione della pratica dei «matrimoni forzati». (3-02355)
BOLOGNESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
secondo quanto pubblicato da alcuni organi di stampa, i fascisti di Avanguardia Nazionale (AN) si sono radunati, il 25 e 26 giugno 2016, a Roma, presso la sala convegni del ristorante La Fraschetta nel Campo, sita in via Tiburtina 949. Alla riunione erano presenti delegazioni di AN provenienti da tutta Italia, da Trieste alla Calabria;
all'assemblea hanno partecipato Stefano Delle Chiaie, già capo storico di AN, uno dei protagonisti della strategia della tensione e, tra gli altri, il noto infiltrato Mario Merlino, coinvolto nel processo per la strage di Piazza Fontana;
i vertici storici della formazione fascista hanno dichiarato di voler trasformare AN in una sigla politica a tutti gli effetti con l'apertura di nuove sedi sul territorio italiano;
Avanguardia nazionale, fondata da Stefano Delle Chiaie, fu disciolta con decreto del Ministero dell'interno l'8 giugno 1976 in quanto finalizzata alla ricostituzione del partito fascista in violazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana e della legge specifica legge n. 645 del 20 giugno 1952, nota come «legge Scelba»;
l'estremista di destra Stefano Delle Chiaie è stato coinvolto nel processo per la strage di Piazza Fontana, nel processo per la strage alla stazione di Bologna, in quello dell'omicidio del giudice Vittorio Occorsio e nel processo per l'attentato contro il presidente della Dc cilena Bernardo Leighton e sua moglie, esuli a Roma; è stato coinvolto nel processo contro il Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese e, nel maggio 1977, sempre a Roma, per la sua partecipazione ad attentati contro scuole e distributori di benzina avvenuti tra il 1968 e il 1969 –:
se il Governo intenda adottare iniziative atte ad impedire ulteriori assemblee pubbliche di un'organizzazione illegale, disciolta con il citato decreto dell'8 giugno 1976, i cui capi storici annunciano la trasformazione in sigla politica e l'apertura di sedi sul territorio italiano;
se si intenda avviare un'indagine interna volta ad identificare le responsabilità dei funzionari che hanno omesso di intervenire — nonostante il raduno di AN fosse stato annunciato — per impedire il raduno pubblico di questa organizzazione di estrema destra, già sancita come illegale dal Governo italiano. (3-02356)
Interrogazioni a risposta scritta:
OTTOBRE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie è stata redatta in seno al Consiglio d'Europa e aperta alla firma degli Stati a Strasburgo il 5 novembre 1992; fino ad oggi la Carta risulta firmata da 33 Stati membri del Consiglio d'Europa, con lo scopo di tutelare le lingue storiche regionali o minoritarie d'Europa che rischiano purtroppo di scomparire;
il trattato, in vigore dal 10 marzo 1998, dopo il raggiungimento delle cinque ratifiche previste, risulta ratificato solo da 24 Stati, mentre i restanti 9 non hanno ancora avviato o esaurito le procedure allo scopo previste;
il diritto ad usare una lingua regionale e minoritaria nella vita, sia pubblica che privata, rappresenta un diritto inalienabile dell'uomo, previsto nel Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato e aperto alla firma a New York il 19 dicembre 1966, e reso esecutivo ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e conforme anche alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848;
l'Italia ha firmato il trattato il 27 giugno 2000, ma non ha ancora ratificato perché durante la XIV, la XV, XVI e la XVII legislatura purtroppo non si è riusciti ad approvare o a iniziare l’iter di esame delle proposte di legge atte ad eseguire la ratifica;
la Carta chiarisce quali debbano essere gli obiettivi e i princìpi ai quali gli Stati firmatari sono tenuti ad adeguare la propria politica legislativa: prima di tutto, riconoscere le lingue regionali come espressione di ricchezza culturale; rispettare l'area geografica di ciascuna lingua regionale o minoritaria; agevolare e incoraggiare l'uso, orale e scritto, delle lingue in questione, sia nella vita privata che in quella pubblica; prevedere forme e mezzi per l'insegnamento e per lo studio di queste lingue, nonché promuovere studi e ricerche nelle università o presso istituti equivalenti;
il recepimento della Carta è una delle condizioni richieste dalle istituzioni europee, segnatamente dal Consiglio d'Europa, per l'adesione di nuovi Paesi al contesto comunitario, ed è quindi opportuno che un Paese fondatore del Consiglio d'Europa, quale è l'Italia, provveda sollecitamente all'esecuzione di questo importante strumento internazionale; va dato atto peraltro che l'Italia, ancora prima di sottoscrivere la Carta nel 2000, ne aveva già dato di fatto un'attivazione sostanziale, approvando la legge n. 482 del 1999;
lo Statuto speciale del Trentino Alto Adige è fondato sul pieno riconoscimento dei diritti dei tre gruppi linguistici conviventi nel territorio, e al riguardo l'articolo 2 dello Statuto stesso afferma: «nella regione è riconosciuta parità di diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali»;
i tre gruppi riconosciuti in Trentino Alto Adige sono l'italiano, il tedesco sudtirolese e il ladino;
è sul gruppo maggioritario di quest'ultimo, in Trentino, che grava la minaccia del misconoscimento e dell'estinzione, in quanto lo Statuto destina particolare rilievo alla tutela dei gruppi linguistici ladini insediati nel territorio delle due province, non distinguendo in linea generale fra i vari ceppi di appartenenza; per quanto riguarda il Trentino, è prevista riserva una complessa normativa a tutela dei ladini dolomitici insediati nella Valle di Fassa, ma non sono disciplinati ancora i diritti dell'altro gruppo linguistico ladino stanziato nella Valle del Noce;
il gruppo ladino stanziato nella Valle del Noce è il più antico e il più numeroso, esso è diverso dal gruppo ladino dolomitico, per storia, dislocazione geografica, lingua e identità culturale; è sorto 2000 anni fa dall'innesto della lingua e della civiltà romana su quelle delle popolazioni retiche, stanziate nella Valle 500 anni prima di Cristo, ed insignito della cittadinanza romana nel 46 dopo Cristo con l'editto imperiale denominato «Tavola Clesiana»;
detto gruppo, nel corso di duemila anni, ha mantenuto la propria lingua ladino-retica e la propria identità consolidata a plurisecolari forme di autonomia territoriale; solo da poco tempo ha rivendicato il riconoscimento della propria identità, per il fatto che, al contrario dei ladini dolomitici, essa non è stata mai minacciata dalla pressione dei popoli germanici, come accadde invece nella provincia di Bolzano;
la richiesta di riconoscimento da parte del suddetto gruppo si basa anche sulla constatazione che, senza il supporto delle istituzioni, nessuna minoranza, per quanto radicata, nei tempi presenti è in grado di sopravvivere, tale richiesta si basa anche sul fatto che queste popolazioni, che già nel 2001 in sede di censimento si erano espresse per il riconoscimento della loro identità con percentuali significative, nel censimento del 2011 hanno rivendicato il riconoscimento con una percentuale nella Anaunia del 25 per cento dei dichiaranti e con una cifra complessiva di oltre 10.000 persone;
è da rilevare che in base al suddetto censimento i ladini della Valle del Noce sono largamente il gruppo maggioritario in Trentino e rappresentano un quarto dei ladini della regione, oltre ad avere una ampia prospettiva di espansione dato che la Valle del Noce ha una popolazione di oltre 50.000 abitanti;
la legge n. 482 del 1999 determina un diritto al riconoscimento delle rivendicazioni di questa parte significativa delle popolazioni, ma nonostante l'interessamento di alcuni dei commissari della Commissione paritetica dei 12 istituita presso la provincia di Trento per l'esame delle proposte di norma di attuazione dello statuto che hanno proposto un testo di una norma di attuazione che prevede questo riconoscimento; ma inspiegabilmente, tale proposta non è mai stata messa all'ordine del giorno, le legittime rivendicazioni delle popolazioni della Valle del Noce sono ancora inascoltate;
quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza, al fine di garantire che la minoranza linguistica ladino-retica della Valle del Noce venga legalmente riconosciuta ed acquisisca tutti i diritti di cui finora gode solo la minoranza ladino dolomitica insediata nella Valle di Fassa. (4-13637)
NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il 15 gennaio 2016 l'interrogante presentava l'interrogazione a risposta scritta n. 4-11694;
nel succitato atto di sindacato ispettivo si ricostruiva la tragica vicenda di una donna di 28 anni incinta, residente a San Calogero (Vibo Valentia), che si sarebbe recata il 26 dicembre 2015, all'ospedale «Jazzolino» per sottoporsi a degli accertamenti, a causa di dolori addominali lancinanti, da cui pure sembrerebbe sia emerse una sofferenza fetale. Rimandata a casa e tranquillizzata sugli stessi dolori, la donna si è ripresentata al nosocomio il 7 gennaio 2016, ma a quel punto in ospedale hanno riscontrato e poi comunicato alla donna l'incredibile morte del feto ancora in grembo;
sulla vicenda è in corso anche un'inchiesta giudiziaria condotta dalla Procura della Repubblica di Vibo Valentia, che ha portato all'iscrizione nel registro degli indagati dei tre medici che hanno avuto in cura la signora Elvira Marturano: due sanitari del reparto di ginecologia dello «Jazzolino» (uno dei quali già coinvolto in passato in un episodio analogo) e uno in servizio presso il pronto soccorso. L'ipotesi di reato formulata è provocato aborto in concorso;
a condurre indagini parallele, peraltro, è stato anche il dipartimento, per la tutela della salute della regione Calabria, che ha «immediatamente attivato il gruppo di esperti per la valutazione e verifica delle procedure messe in atto relativamente al percorso nascita», come dichiarato, a quanto risulta all'interrogante, dal dirigente generale Riccardo Fatarella;
su «La Gazzetta del Sud» di venerdì 24 giugno, sono riportati i rilievi mossi dalla Commissione di verifica degli eventi avversi in sanità, attivata come detto dal suddetto dipartimento regionale e composto dai dottori Rosalba Barone, Giacomino Brancati, Bernardo Cavalcanti e Domenico Perri;
nel premettere che «l'analisi dell'evento avverso potrà essere conclusa solo quando si acquisiranno i risultati dell'esame autoptico indicativo della reale morte», la commissione regionale di verifica giunge a una serie di conclusioni legate soprattutto alla gestione della paziente — la signora Elvira Marturano — e delle attività di reparto e di Pronto soccorso rilevando «criticità che — si precisa — non vengono esplorate in rapporto di casualità o meno con l'evento avverso, ma con lo spirito di pervenire a un miglioramento dell'assistenza in termini di qualità e di sicurezza per i pazienti e per gli operatori sanitari»;
nella suddetta relazione, ancora, si censura — per quanto riportato nell'articolo di giornale — il comportamento della dottoressa Daniela Fusca (dal 2007 medico specialista nel reparto di ginecologia e ostetricia dell'ospedale «Jazzolino» di Vibo Valentia), in merito alle visite ed ecografie, effettuate «amichevolmente» alla signora Marturano, aspetto che, secondo la Commissione, «sarebbe opportuno approfondire al fine di comprendere quale fosse il reale rapporto instaurato dal momento che traspare un uso “privato” della struttura ospedaliera»;
ancora, i commissari pongono in risalto criticità organizzative anche da parte dei dottori Rocco Fiasché (medico in servizio nel reparto di Ginecologia) e Francesco Tripodi (medico in servizio al Pronto soccorso di Vibo Valentia);
in conclusione «emergono criticità tanto nella comunicazione orale che in quella scritta, nonché criticità di archiviazione del dato che se non corrette (errore latente) possono includere sulla qualità della prestazione e sulla sicurezza dei pazienti e degli operatori sanitari che successivamente intervengono per prestare assistenza alla gravida»;
altro aspetto rilevato è quello relativo alla «incongruenza tra i parametri della biometria fetale e l'epoca della gravidanza», nel senso che «una biometria compatibile col peso d 2.200 grammi alla 38esima settimana era indicativa di feto di basso peso e avrebbe dovuto indurre allo studio flussimetrico e al ricovero in osservazione della gravida»;
altri rilievi, ancora, riguardano, secondo quanto si legge nel succitato articolo, «errori nella compilazione della cartella clinica, prescrizione dei farmaci, assenza della scheda unica di terapia e di traccia del rischio tromboembolico. Infine, poco chiara per i commissari la scelta di sottoporre la paziente a taglio cesareo d'urgenza»;
fatto sta, conclude l'articolista, chi se il 26 dicembre 2015 (il primo giorno in cui la signora Elvira Marturano si è recata in ospedale) fosse stata indotta al parto o sottoposta a taglio cesareo, probabilmente il bimbo sarebbe vivo;
soltanto pochi giorni fa (21 giugno 2016) l'interrogante ha presentato interrogazione a risposta scritta n. 4-13527, nella quale si ricostruiva la vicenda di una donna di 43 anni, morta nell'ospedale di Reggio Calabria a causa di complicazioni avvenute in seguito a un parto cesareo gemellare;
a mo’ di esempio, si ricorda ancora l'interrogazione n. 4-08940, presentata dall'interrogante il 24 aprile 2015, nella quale si raccontava di una donna di 37 anni (C.C. le sue iniziali), fisioterapista di Taverna che viveva a Squillace (due piccoli comuni in provincia di Catanzaro), morta domenica 19 aprile 2015 all'ospedale «Pugliese» di Catanzaro, poche ore dopo la nascita della figlia;
tali vicende non possono prescindere da una ricognizione puntuale sulle carenze della rete dell'assistenza calabrese in ordine all'evento del parto –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
se il Governo non ritenga urgente e indispensabile verificare se del caso, mediante iniziative ispettive quali siano le effettive condizioni circa la sicurezza dei parti nei punti nascita della regione Calabria. (4-13638)
NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Agenas) gode di una convenzione con la regione Calabria allo scopo di fornire supporto tecnico nell'attuazione del Piano di rientro;
tale convenzione è in piedi dal 2009, quando commissario ad acta era il governatore pro tempore Giuseppe Scopelliti, ed era a titolo esclusivamente gratuito, come già evidenziato nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-11528, presentata dall'interrogante nel mese dicembre 2015;
secondo quanto riportato dal giornalista Pietro Bellantoni sul portale internet del giornale « Il Corriere della Calabria», con l'avvento del nuovo commissario ad acta, Massimo Scura, e la riconferma del sub commissario Andre Urbani, «il servizio è diventato a pagamento»;
per le prestazioni rese al servizio sanitario calabrese, l'Agenas avrebbe infatti richiesto «almeno 200 mila euro all'anno», secondo quanto emerge dalla nota recapitata a Scura Urbani il 22 maggio 2016, in vista del rinnovo dia convenzione con la regione;
preme ricordare che già nel novembre 2014 il commissario ad acta pro tempore, generale Luciano Pezzi, chiese una prosecuzione della collaborazione con Agenas interrottasi per mancanza della nomina a commissario ad acta, durata cinque mesi;
già in quella circostanza Agenas si dichiarò disponibile ma pretese, la sottoscrizione di una convenzione specifica e, stavolta, in termini onerosi per la regione;
per tutta risposta, il Generale Pezzi, rispose: «Come è noto la Giunta della regione Calabria è attualmente in regime di prorogatio per cui non è nelle condizioni di assumere impegni economici». E ancora: «Ove la nuova Giunta ritenga di aderire alla nuova impostazione dei rapporti economici con Agenas...», con ciò significando che spettava unicamente alla giunta regionale e non al commissario ad acta decidere sulla proposta di convenzione;
secondo quanto stabilito dal decreto del commissario ad acta n. 46/2016 del 6 maggio 2016, relativo giustappunto alla «Approvazione schema di convenzione tra l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Age.na.s) e il commissario ad acta pro tempore, per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi sanitari della regione Calabria, secondo i programmi operativi di cui all'articolo 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191», il commissario infatti invoca a sostegno della necessità della convenzione «le difficoltà del Dipartimento Tutela della salute a fornire adeguato supporto alla Struttura commissariale in conseguenza dell'attuale processo di riorganizzazione in atto all'interno del Dipartimento stesso»;
dal suddetto decreto, peraltro, non è chiaro nemmeno a quanto ammonti il costo della suddetta convenzione, dato che la si attesa, in numeri, a «E. 200.000,00» e, a lettere, in «euro cinquantamila/00»;
il commissario Scura, come se non bastasse, pretende ancora che «la regione, nello svolgimento delle attività della presente convenzione, deve garantire presso i suoi uffici la presenza di professionisti in possesso di capacità e competenze tecnico-scientifiche che consentano l'implementazione e l'attuazione delle proposte, procedure e modelli organizzativi individuati ed indicati dall'Agenzia» (articolo 4, comma 4 del summenzionato decreto del commissario ad acta), quasi a significare secondo l'interrogante che oggi al dipartimento tutela della salute lavorerebbero persone non in grado di far fronte alle esigenze di cui sopra;
all'articolo 5, comma 2, ancora, si parla della nomina specifica di una funzionaria e coordinatore scientifico e referente;
a tale riguardo preme sottolineare che il supporto è meramente tecnico e non vi è nulla di scientifico, senza dimenticare che il referente di Agenas avrebbe dovuto essere il dirigente generale del dipartimento (come avvenuto dal 2010 al 2014) o un dirigente competente in delega, e non la struttura commissariale, per quanto già precisato in premessa;
come se non bastasse, con un atto per l'interrogante arbitrario e d'impero, la struttura commissariale assegna al dipartimento regionale tutela della salute il mero ruolo di silente ufficiale pagatore, laddove si decreta di «demandare a successivo atto del Dirigente Generale del Dipartimento Tutela della Salute p.t. l'assunzione del relativo impegno di spesa, a carico del FSR, dovuto all'Age.na.s. a titolo di corrispettivo, nonché alla successiva liquidazione delle competenze, ai sensi e con le modalità definite nell'articolo 6 dello schema di convenzione, allegato al presente atto»;
è evidente, a parere dell'interrogante, l'ennesimo eccesso di potere della struttura commissariale per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi sanitari della regione Calabria, aggravato, per quanto suesposto, dalla «sciatteria» con la quale è stato redatto un documento ufficiale, nel quale non è chiara nemmeno l'entità del costo della suddetta convenzione con Agenas;
con il decreto del commissario ad acta n. 58/2016, del 24 giugno 2016, la struttura commissariale per il piano di rientro dal disavanzo sanitario della Calabria ha in parte revocato il decreto del commissario ad acta n. 46/2016, approvando un nuovo schema di convenzione tra Agenas e regione Calabria, che, all'articolo 6, fissa un contributo onnicomprensivo annuo pari a 200 mila euro, a carico della regione;
paradossalmente, con nota della predetta struttura commissariale, protocollo n. 176859 del 4 giugno 2016, al direttore generale di Agenas, professor Franco Bevere, era stato comunicato che il contributo onnicomprensivo di 200 mila euro annui non era sostenibile da parte della regione Calabria, in quanto soggetta a rientro dal disavanzo sanitario regionale;
preme in questa sede ricordare che Andrea Urbani, oltre a ricoprire l'incarico di sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro, è anche membro del collegio dei revisori dei conti di Agenas;
secondo quanto riportato dal giornalista Adriano Mollo su « Il Quotidiano del Sud» del 16 ottobre 2015, Andrea Urbani percepisce 148.606 euro in qualità di sub commissario, cui si aggiungono ulteriori 12.549 in qualità, per l'appunto, di membro, del collegio dei revisori dei conti di Agenas;
stando così le cose, il sub-commissario riceverà soldi pubblici dalla regione Calabria sia per il suddetto incarico governativo, sia per il ruolo ricoperto in Agenas, cosa che inevitabilmente profila a giudizio dell'interrogante un concreto conflitto d'interessi;
a parere dell'interrogante desta legittimo sospetto il fatto che si richieda una convenzione a pagamento, nonostante il rapporto tra Agenas e regione Calabria, per quanto specificato in precedenza, sia nato a titolo esclusivamente gratuito, né si capisce la ragione per cui si è deciso, a partire dall'insediamento del commissario Scura e della riconferma di Urbani, di passare ad un accordo a pagamento;
il 10 maggio 2016, l'interrogante ha esposto alla procura della Repubblica di Roma e di Catanzaro i fatti qui riassunti, in ordine all'adozione del decreto del commissario ad acta n. 46/2016 –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti suesposti;
se il Governo non intenda assumere iniziative per l'immediata revoca dei decreti del commissario ad acta per il piano di rientro dai disavanzi sanitari della regione Calabria n. 46 e 58 di cui in premessa;
se, alla luce di quanto premesso, non ritengano di assumere iniziative per revocare gli incarichi di commissario e sub-commissario per l'attuazione del suddetto piano di rientro all'ingegner Scura e al dottor Urbani. (4-13640)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazioni a risposta in Commissione:
PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
ha recentemente acquisito centralità nel dibattito politico la necessità di rivedere la disciplina in materia di gestione dell'acqua inclusi la pianificazione, la gestione e il finanziamento del servizio idrico integrato;
in questo contesto si inserisce l'annosa questione che sta riguardando alcune regioni italiane dove, a giudizio dell'interrogante arbitrariamente, i soggetti gestori stanno emettendo bollette con la richiesta di ingiustificati conguagli su partite pregresse che in alcun modo possono essere riconosciute legittime ed esigibili;
tali «conguagli 2005-2011» riguardano partite pregresse di dubbia legittimità che non costituiscono in alcun modo una componente tariffaria di competenza 2014, ma una rimodulazione della tariffa per il periodo 2005-2011, con evidenti effetti retroattivi;
la vicenda interessa un rilevantissimo numero, imprecisato, di utenti che si sono visti recapitare da diversi soggetti, tra questi la società Abbanoa spa, una bolletta con la quale si pretende un pagamento nell'anno 2016 di somme a titolo di partite pregresse o conguagli, per gli anni 2005- 2011, con minaccia di slaccio in caso di mancato pagamento;
nelle fatture viene specificato che «le tariffe sono relative alla componente tariffaria di competenza 2014, sulla base della delibera n. 18 del 26/06/2014 dell'ente d'ambito della Sardegna (quantificazione e riconoscimento dei conguagli spettanti al gestore per partite pregresse) e della Determina dell'amministratore unico Abbanoa n. 281 del 31/12/2014, nel rispetto delle modalità di cui all'articolo 31 alla deliberazione dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico n. 643/2013/R/IDR»;
tali partite pregresse vengono classificate quale «conguaglio anni 2005- 2011», ma queste fatture sono in realtà delle forme di recupero dei ricavi essendo sganciati dai reali consumi;
il corrispettivo viene così svincolato dalla regola di corrispettività essendo determinato forfettariamente, ossia a prescindere da un accertamento specifico (o quantomeno indicato nella fattura). Inoltre, gran parte del debito (almeno i 4/5), anche se la quantificazione complessiva e pluriennale impedisce di distinguere le diverse annualità, sarebbe relativo a diritti ampiamente prescritti, considerando che si tratta di richieste che vanno oltre gli ultimi cinque anni;
appare indubbio all'interrogante che le richieste di pagamento non siano di dubbia legittimità per diversi motivi;
i diversi soggetti attori di questa richiesta, ad avviso dell'interrogante, sono evidentemente responsabili di aver agito in modo che appare non conforme alla legge, pur nel tentativo maldestro di fondare tale richiesta su presunte normative nazionali di cui si invoca l'applicazione;
in realtà ad avviso dell'interrogante si tratta di una situazione di non conformità alle norme riferita in questo caso al soggetto Abbanoa che gestisce il servizio idrico integra o della Sardegna:
a) intervenuta prescrizione:
si eccepisce, ai sensi dell'articolo 2498, n. 4, del codice civile, l'intervenuta prescrizione del diritto di credito azionato da Abbanoa, posto che la stessa prescrizione decorre dal giorno in cui è stato effettuato il consumo e, nel caso di specie, i consumi (come indicato in fattura) riguardano gli anni dal 2005 al 2011;
b) violazione del principio di trasparenza:
muovendo da due incontrovertibili assunti, ossia che la società Abbanoa è una impresa in house, e monopolistica, e che l'acqua potabile è un servizio pubblico indispensabile per le esigenze della vita quotidiana, qualsiasi utente, consumatore e non, è obbligato a rivolgersi ad Abbanoa per usufruire del relativo servizio idrico. Occorre poi evidenziare che qualsiasi monopolista deve avere maggiore attenzione nel rispettare i consueti principi di buona fede di cui all'articolo 1375 del codice civile principi che i più evoluti filoni giurisprudenziali additano quale criterio guida per l'integrazione e l'interpretazione del contratto imposto dal soggetto forte e/o monopolista;
già in precedenza il giudice di pace di Enna con le sentenze n. 25 del 29 febbraio 2016 (dottoressa Ivana R.M. Merella) e la n. 258 del 4 aprile 2016 (dottore Giuseppe Dante Maria Amico) hanno ritenuto illegittima la pretesa economica dell'ente gestore del servizio idrico a titolo di «partite pregresse», stabilendo l'illegittimità dell'inserimento unilaterale di detta voce di costo, per violazione sia dei principi di trasparenza e buona fede sottesi al contratto d'utenza. La bolletta reca solo l'indicazione: «Conguaglio anni 2005-2010 partite pregresse»;
anche gli articoli 2 e 35, comma 1, del codice del consumo impongono il necessario cospetto del diritto del consumatore alla trasparenza, tanto più che la Carta dei diritti del consumatore e il regolamento idrico non prevedono la possibilità che Abbanoa emetta bollette a titolo di conguagli regolatori, tanto meno con conteggi forfettari, per giunta retroattivi e senza neppure uno specifico accertamento (lettura);
al contrario prevedono che l'utente ha diritto a ricevere almeno due bollette l'anno, dovendosi includere tra queste anche quelle emesse a conguaglio;
c) indeterminatezza del conteggio – violazione dell'articolo 48, comma 1, lett. c), codice del consumo – retroattività. Violazione del principio di buona fede e correttezza nelle relazioni contrattuali:
le fatture fanno riferimento a «conguagli/ partite pregresse 2005/2011». Il «foglio informativo» allegato alla fattura inviata da Abbanoa a una parte degli utenti (nel senso che non è arrivata a tutti), al paragrafo 3, relativamente al metodo utilizzato per il calcolo, precisa che: «l'ammontare del conguaglio regolatorio è rapportato al consumo di ciascun cliente ed è applicato in base ai consumi rilevati nell'anno 2012, fatturati a saldo. Il costo è di euro/mc 0,5978 per il servizio idrico; euro/mc 0,1085 per il servizio di fognatura; euro/mc 0,2683 per il servizio di depurazione;
ad avviso dell'interrogante, nulla di più generico, contraddittorio ed incomprensibile per il consumatore «medio»;
in pratica, Abbanoa sulla base dei consumi del 2012, di ciascun utente, ha deciso di chiedere un conguaglio sui consumi degli anni che vanno dal 2005 al 2011. Operazione che appare all'interrogante inspiegabile logicamente;
oggi, tra l'altro, essendo trascorso un enorme lasso di tempo, non è neppure possibile alcun effettivo controllo dal momento che le fatture, come noto, non vanno conservate oltre i 5 anni, ossia oltre i termini prescrizionali;
a ciò aggiungasi che non si comprende, né si spiega la ragione per la quale si sia scelto l'anno 2012 quale riferimento per i consumi da prendere in considerazione per gli anni 2005 — 2011, anche alla luce del fatto che tra il 2005 ed il 2012 è normale che ad ogni utente siano capitate circostanze diverse che possono aver alterato significativamente i consumi di ciascuna famiglia (esempio matrimoni, convivenze, separazioni, figli nascituri oppure che abbandonano la residenza dei genitori, malattie, ricoveri, decessi, perfino distacchi delle utenze e altro);
a voler riconoscere la legittimità di un simile modus operandi si giungerebbe ad ammettere che il somministrante potrebbe chiedere un conguaglio regolatore per somme pagate anche trent'anni prima;
un conguaglio, per sua natura, non è altro che l'addebito di consumi realmente maturati che, in un primo momento non erano stati conteggiati dal somministrante, mentre, in un secondo momento – in esito ad un'attenta verifica e ad una scrupolosa attività di accertamento — lo stesso ha più correttamente quantificato con specifico riferimento ad ogni singola utenza (e non indiscriminatamente e genericamente per tutti i consumatori), rilevando uno scostamento rispetto alla iniziale fatturazione di cui ai consumi stimati in prima battuta, che deve comunicare all'utente con rapidità e comunque entro l'anno in corso;
ad avviso dell'interrogante ne risulta una violazione della buona fede nei rapporti contrattuali e la mancanza di trasparenza da parte del gestore idrico che, profittando della posizione dominante (articolo 24 del codice del consumo), e monopolistica e del ruolo pubblico ricoperto per l'erogazione di un bene di primaria necessità (ed irrinunciabile), ha pensato di addebitare sugli utenti costi ipotetici di consumi sostenuti undici anni prima, cosa che di fatto consente, secondo l'interrogante di ripianare delle perdite della società; perdite che il gestore ha sostanzialmente addebitato ai consumatori con pubblica avvertenza di interruzione del servizio in caso di mancato pagamento del conguaglio (articolo 24 del codice del consumo);
in sostanza manca una determinazione degli effettivi costi che Abbanoa assume essere stati sostenuti in quegli anni e ciò, come già detto, determina l'assoluta e l'oggettiva impossibilità per l'utente di verificare la correttezza degli importi richiesti in contrasto non solo con il principio di trasparenza ma anche con il suo diritto alla comprensione di quanto gli viene richiesto;
una volta di più emerge, ad avviso dell'interrogante, come Abbanoa, in spregio alle disposizioni del codice del consumo sopra richiamate e alle norme in materia di buona fede e correttezza nelle relazioni contrattuali abbia voluto «far cassa» sui consumatori/utenti; si ribadisce che essendo il gestore una società pubblica (gestore/concessionario di un pubblico servizio), avrebbe dovuto agire nel rispetto dei principi di legalità, buon andamento e trasparenza oltre che buona fede;
d) mancanza di previsione contrattuale e violazione contrattuale (articolo 6.1 della carta del servizio idrico):
si evidenzia la mancanza di una disposizione contrattuale che legittimi Abbanoa a fatturare conguagli regolatori, a distanza di tanti anni dall'effettivo consumo, in spregio dei consueti principi civilistici che Abbanoa, agendo nel diritto privato, è obbligato a rispettare;
la mancanza di una clausola in tal senso rende, secondo l'interrogante, illegittima la fattura, oggi contestata, e si pone in contrasto con le disposizioni in tema di trasparenza, di buona fede e correttezza nelle relazioni contrattuali, oltre che di irretroattività, come sopra richiamate, e conferma che Abbanoa ha posto in essere una condotta, ad avviso dell'interrogante, ai limiti dell'abuso del diritto e della posizione dominante;
sul punto si richiama quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 335/2008, ovvero che «L'interpretazione della legge n. 36 del 1994, condotta alla stregua dei comuni criteri ermeneutici, porta dunque a ritenere che la tariffa del servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell'utente, bensì nel contratto di utenza. L'inestricabile connessione delle suddette componenti è evidenziata, in particolare, dal fatto sopra rilevato che, a fronte del pagamento della tariffa, l'utente riceve un complesso di prestazioni, consistenti sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione. Ne consegue che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto (articolo 13 della legge n. 36 del 1994)»;
al contrario, a mente dell'articolo 6 della carta del servizio idrico, integrato (che costituisce parte integrante del contratto stipulato tra le parti), comma 2, «Le fatture sono emesse con cadenza non inferiore al bimestre e non superiore al semestre, in base ai consumi conseguenti a letture a data certa, eseguite con periodicità di almeno due volte l'anno, e in relazione all'abbonamento contrattualmente sottoscritto»;
appare evidente dunque che i conguagli richiamati sono in contrasto con il disposto anzidetto, atteso che lo stesso non distingue tra diversi tipi di bollette, così per l'effetto dovendosi dunque ricomprendere anche i conguagli di qualunque genere;
è indispensabile che il Governo intervenga a chiarire e dare la corretta interpretazione alle norme che non possono in alcun modo ledere i principi del diritto;
l'articolo 154 del decreto legislativo n. 154 del 2006 afferma infatti chiaramente che «1. La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'ente di governo dell'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo»;
è evidente che nessuna determinazione forfettaria, sommaria e retroattiva della tariffa, possa ritenersi ammissibile; e ciò ancor più ove la stessa sia posta in essere in maniera generalizzata, postuma e indeterminata, in quanto realizzata in totale assenza di accertamento concreto sugli effettivi consumi;
se anche fosse vero che tali fatture rientrano in un'approvazione dell’«ente d'ambito» e, siano state redatte nei modi stabiliti dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI), esse sarebbero, comunque, in contrasto con la legge;
da questa casistica richiamata emerge secondo l'interrogante quindi la dubbia legittimità e l'irragionevolezza della pretesa economica dell'ente gestore del servizio idrico a titolo di «partite pregresse», oltreché l'ingiusto e lesivo inserimento unilaterale di detta voce di costo in fattura per violazione dei principi di trasparenza, correttezza e buona fede sottesi al contratto d'utenza oltreché per violazione del medesimo dettato della delibera n. 643/2013/R/IDR dell'Autorità elettrica, il gas e il sistema idrico – AEEGSI e della delibera n. 18 del 26/06/2014 del commissario di Abbanoa, per l'assenza di qualsiasi indicazione idonea all'esplicitazione di questa voce di costo indicata solo con la laconica indicazione «Conguaglio anni 2005-2011»;
le «partite pregresse» contestate in numerose realtà regionali, secondo l'interrogante, altro non sono che perdite o costi d'investimento sostenuti dalla società convenuta negli anni pregressi, ed unilateralmente (rectius, secondo l'interrogante arbitrariamente) ripartiti all'utenza; la relativa pretesa economica non può che ritenersi infondata e non provata in alcun modo, oltre che decisamente prescritta –:
se non ritenga di chiarire quale sia l'orientamento del Ministro interrogato su quanto sta accadendo nel governo della risorsa idrica pubblica, assumendo al riguardo ogni iniziativa;
se non ritenga di dover assumere iniziative normative tali da evitare il prosieguo di quella che appare una richiesta non conforme alla legge e che sta riguardando milioni di cittadini, con particolare riferimento ai 750 mila sardi che l'hanno già ricevuta. (5-09035)
PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
imponenti mezzi meccanici, ruspe ed escavatori, scavano da settimane indisturbati dentro il poligono di Capo Frasca, Arbus;
si tratta di sbancamenti imponenti in un'area protetta sotto ogni punto di vista;
sono state realizzate impunemente trincee di decine di metri scavate a monte della spianata;
nell'orizzonte si stagliano imponenti piramidi nere il cui contenuto sta emergendo in queste ultime giornate;
si tratta di vere e proprie discariche piene di tutto, da amianto in quantità ciclopiche a carcasse di missili, da pneumatici a rifiuti di ogni genere;
ingenti aree di macchia mediterranea sono state cancellate per sempre;
nella stessa area si trovava un sito archeologico censito ovunque che è stato letteralmente devastato con ruspe in azione su un'area archeologica dove emergono frammenti e reperti antichi;
è stato disposto un telo bianco che delimita l'area archeologica come a nascondere con un velo pietoso quel che è stato trovato e divelto a colpi di mezzo meccanico;
si tratta di uno scenario devastante che appare agli occhi e allo zoom di chi entra dentro il poligono e vietato agli occhi indiscreti di chi vuole capire quel che avviene nel segreto militare imposto su quei lavori;
più che un appalto di bonifica appare all'interrogante un lavoro con un solo obiettivo: radere tutto al suolo, portando via anche la terra vegetale, con una ferita al paesaggio senza precedenti; un lavoro da fare ad ogni costo per iniziare a spendere quel milione e passa di euro, ma in arrivo ce ne sarebbero molti di più, affidato ancora una volta ad una società produttrice d'armi e tecnologia avanzata, che questa volta compete e vince per il movimento della terra;
tutto questo si è svolto in totale silenzio se non fosse stato per la denuncia esposto presentata dall'interrogante alla procura della Repubblica;
i progetti e i piani di intervento non richiamano nemmeno un ufficio regionale;
nessuna trasmissione di documenti alla forestale o alla soprintendenza appare nell'unico cartello affisso in un box in piena collina;
nessuno, secondo l'interrogante, avrebbe potuto autorizzare quella devastazione naturalistico ambientale dentro un sic, un sito di interesse comunitario delimitato da un decreto nazionale e approvato dalla Commissione europea;
i cumuli di lentischio e macchia mediterranea sono imponenti a segnare la devastazione ambientale che ha raso al suolo tutto;
in quell'area bisogna operare con la massima attenzione proprio per la sensibilità ambientale imposta dal piano di gestione del sito «stagno di corru s'ittiri» che comprende l'intero poligono militare;
si tratta di uno sfregio gravissimo testimoniato dalle immagini che l'interrogante ha pubblicato sul proprio profilo Facebook;
l'interrogante ha già trasmesso in procura un esposto, perché la magistratura valuti l'entità del disastro ambientale e archeologico;
si tratta, ad avviso dell'interrogante, di un vero e proprio atto contrario ad ogni forma di tutela ambientale, naturalistica e archeologica;
risulta inspiegabile per quale motivo non risulti nessuna autorizzazione per quel tipo di sbancamento in un'area protetta;
qualsiasi cittadino sardo che avesse compiuto tale scempio sarebbe stato rinchiuso nelle «patrie galere», qui, invece, tutto tace e, ad avviso dell'interrogante, l'impunità la fa da padrona;
non si può nemmeno affermare che fosse necessario uno sbancamento per eliminare sostanze inquinanti o radioattive, proprio perché, è sempre stato affermato che in quell'area sono sempre state utilizzate munizioni inerti;
così come è gravissimo che da sempre si è a conoscenza che proprio quell'area è oggetto di ritrovamenti archeologici di varia natura e di diverse epoche, da quella nuragica, passando per quella fenicia e romana;
gli archeologi sostengono che quell'area sia una vera e propria miniera archeologica vietata da sempre, ma con importanti ritrovamenti;
è semplicemente inaccettabile che Capo Frasca sia l'unica zona franca della Sardegna dove il ministero della difesa opera con quella che appare all'interrogante una spregiudicatezza da padrone della colonia;
la Forestale e la soprintendenza devono immediatamente intervenire per rilevare i danni;
sarebbe un ulteriore grave atteggiamento se si volesse ulteriormente nascondere questo ennesimo misfatto;
si è dinanzi ad un vero e proprio oltraggio alla Sardegna;
tutto questo grazie ad una regione, a giudizio dell'interrogante, inesistente e inefficace, che accetta tutto e di più;
dopo la poco credibile conferenza sulle servitù niente è stato fatto, nemmeno un metro quadrato di terra è stato restituito alla Sardegna e per di più le violazioni appaiono sempre più spregiudicate;
è indispensabile far conoscere tale grave situazione anche al livello europeo per quella che l'interrogante ritiene una violazione di tutte le norme comunitarie di tutela di un sito protetto;
a questo si aggiunge che sta emergendo un dato inquietante e gravissimo: nella base militare di Capo Frasca ci sono tonnellate di insidiosi «frammenti di lastre» di amianto;
l'amianto del poligono veniva impunemente sotterrato in quantità rilevantissime;
a Capo Frasca ci sono diecimila metri cubi di terra contaminati – varie migliaia di tonnellate;
la rivelazione è, a quanto risulta all'interrogante, della stessa l'Aeronautica, che con una serie di comunicazioni tiene aggiornati il comune di Arbus e altri enti di controllo sullo stato di avanzamento della bonifica all'interno della base;
sarebbero state sotterrate tonnellate di bombe da esercitazione arrugginite, sganciate dai caccia e poi seppellite, pneumatici di ogni dimensione e altri materiali pericolosi;
tra i codici cer (catalogo europeo dei rifiuti) comparirebbero anche «imballaggi contenenti residui di sostanze pericolose o contaminati da tali sostanze»;
in passato dentro la base il «cemento killer» veniva interrato e nascosto;
ora quel materiale è maldestramente alla portata di teleobiettivo e nonostante siano stati utilizzati teli neri, che appaiono all'interrogante inadeguati, il pericolo per tutta l'area è sempre più grave;
c’è il problema dello smaltimento: una fibra microscopica, se inalata, può uccidere;
nella missiva pubblicata per stralci dal quotidiano Unione Sarda, in un articolo a firma di Enrico Fresu è scritto: «Tenuto conto della consistenza del materiale in esame stimata in circa 10.000 metri cubi (...) è intendimento di questa amministrazione procedere a un'attività di vagliatura in sito, con un mezzo speciale, e successiva cernita manuale, finalizzata al recupero del terreno per il ripristino delle aree escavate»;
una procedura, secondo l'interrogante, illegittima e in contrasto con qualsiasi norma;
l'intero poligono di Capo Frasca ricade nel compendio naturalistico ambientale denominato «Stagno di Corru S'Ittiri», sito di importanza comunitaria (SIC) istituito sulla base della direttiva «Habitat» (92/43/CEE), è inserito nella rete ecologica «Natura 2000», sistema di aree dedicate alla conservazione della biodiversità ai sensi della normativa comunitaria;
il sito prende il nome dalla Laguna omonima, ma comprende anche gli Stagni di Paùli Pirastu, Marceddì, San Giovanni e Santa Maria e ricade nei Comuni di Arborea, Terralba, Arbus e Guspini per una superficie di 5699 ettari;
l'area del SIC, con una superficie di 2651 ettari si sovrappone parzialmente alla zona di protezione speciale (ZPS) «Corru S'Ittiri, Stagno di San Giovanni e Marceddì», individuata ai sensi della direttiva comunitaria «Uccelli Selvatici» (79/409/CEE);
sono presenti due oasi permanenti di protezione faunistica (legge regionale 23 del 1992): l'Oasi di Corru S'Ittiri e Corru Mannu; l'Oasi dello Stagno di Marceddì e San Giovanni; il SIC individua un'area di grande rilevanza ambientale per la presenza di specie particolarmente significative e rare;
la conservazione degli habitat e la salvaguardia delle specificità floristiche e faunistiche del territorio rappresentano l'obiettivo primario del piano di gestione del SIC di Capo Frasca, protetto da convenzioni internazionali, da leggi dello Stato italiano e della regione Sardegna, caratterizzato da rilevanti emergenze archeologiche, nuragiche e puniche; si sono svolte e si stanno svolgendo, secondo l'interrogante, attività vietate e in contrasto totale con le norme e disposizioni nazionali e comunitarie;
attività che hanno generato e generano «distruzione e deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto», con la «distruzione e il deturpamento di bellezze naturali» e «danneggiamento al patrimonio archeologico e storico»;
tali attività sono svolte, in concorso tra loro, dalla Nato e dall'Esercito italiano, su disposizioni del Ministero della difesa e, a giudizio dell'interrogante, con l'omissione di tutela e controllo in capo ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dei beni e delle attività culturali e del turismo e della Commissione europea;
la gravità della distruzione in atto costituisce, secondo l'interrogante, presupposto per richiedere il sequestro preventivo dell'area oggetto del disastro, l'accertamento del danno, l'individuazione dei responsabili e il risarcimento del danno materiale, economico e morale compreso il ripristino dei luoghi;
si tratta di fatti che andrebbero valutati anche sul piano penale, considerato quanto disposto dai seguenti articoli del codice penale:
articolo 733-bis c.p. (Distruzione o deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto):
«Chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge un habitat all'interno di un sito protetto o comunque lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione, è punito con l'arresto fino a diciotto mesi e con l'ammenda non inferiore a 3.000 euro.»;
articolo 733 c.p. (Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale):
«Chiunque distrugge, deteriora o comunque danneggia un monumento o un'altra cosa propria di cui gli sia noto il rilevante pregio, è punito, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale, con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda non inferiore a euro 2.065. Può essere ordinata la confisca della cosa deteriorata o comunque danneggiata»;
articolo 734 c.p. (Distruzione o deturpamento di bellezze naturali):
«Chiunque, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità, è punito con l'ammenda da euro 1.032 a euro 6.197»;
tale compendio è a tutti gli effetti «habitat all'interno di un sito protetto», ovvero pienamente coincidente nella fattispecie definita dall'articolo 733-bis c.p.;
il sito in base agli atti di istituzione del sito di importanza comunitaria è denominato: «Stagno di Corru S'Ittiri»;
il sito oggetto di distruzione e deterioramento di habitat distruzione e deturpamento di bellezze naturali, di danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale è incluso nel Decreto 3 luglio 2008 – Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – primo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE. (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 184 del 7 agosto 2008);
tale decreto dispone l'attuazione e il recepimento della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, in particolare l'articolo 4, paragrafo 2, terzo periodo;
il decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, reca il regolamento di attuazione della direttiva 92/43/CEE, modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 12 marzo 2003, n. 120;
la Commissione europea ha ritenuto necessario l'aggiornamento dell'elenco iniziale di siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea sia per includervi i siti proposti dagli Stati membri a partire dal marzo 2006 come siti di importanza comunitaria per la regione biogeografia mediterranea ai sensi dell'articolo 1 della direttiva 92/43/CEE sia per tener conto di eventuali modifiche nelle informazioni relative ai siti trasmesse dagli Stati membri a seguito dell'adozione dell'elenco comunitario; in tal senso, il primo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea costituisce una versione consolidata dell'elenco iniziale dei siti per la regione biogeografica mediterranea;
ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/43/CEE, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna e Regno Unito hanno trasmesso alla Commissione gli elenchi di siti proposti quali siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea tra gennaio 2003 e settembre 2006;
gli elenchi dei siti proposti sono stati corredati di informazioni su ciascun sito, fornite nel formato fissato dalla decisione 97/266/CE della Commissione, del 18 dicembre 1996, concernente un formulario informativo sui siti proposti per l'inserimento nella rete Natura 2000;
sulla base dell'elenco proposto, redatto dalla Commissione con l'accordo di ciascuno degli Stati membri interessati, che identifica anche i siti che ospitano tipi di habitat naturale prioritari o specie prioritarie, è stato adottato un primo elenco aggiornato di siti selezionati quali siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea;
la decisione della Commissione europea n C(2008) 1148 def. del 28 marzo 2008 stabilisce, ai sensi della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, un primo elenco aggiornato di siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea e abroga la decisione 2006/613/CE;
il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con proprio decreto ha stabilito che i siti di importanza comunitaria per la regione biogeografia mediterranea in Italia, sono individuati ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 92/43/CEE, e sono elencati nell'allegato A che costituisce parte integrante del decreto stesso;
il codice di riferimento comunitario del sito è il seguente: ITB030032;
il SIC «Stagno di Corru S'Ittiri» è un'area di notevole interesse naturalistico soprattutto in considerazione dell'estensione e della varietà degli habitat che consentono di ospitare numerose specie faunistiche e floristiche, rilevanti dal punto di vista qualitativo e quantitativo. Sono presenti diversi habitat di interesse comunitario distinguibili in habitat costieri, marini e palustri, habitat delle dune, habitat delle macchie e boscaglie e habitat delle foreste, alcuni dei quali sottoposti a particolare tutela;
la vegetazione dell'area comprende due zone fondamentalmente differenti: il sistema stagnale e lagunare di Marceddì, San Giovanni e Corru S'Ittiri e l'estesa formazione a macchia della Penisola di Capo Frasca;
la vegetazione palustre degli stagni è organizzata rispetto al gradiente di salinità e comprende prevalentemente canneti a cannuccia di palude (Phragmites australis) e tifa a foglie strette (Typha angustifolia), giunco subnoduloso (Juncus subnodulosus) e giunco pungente (Juncus acutus) e salicornia (Salicornia spp);
la macchia comprende specie quali l'euforbia arborea (Euphorbia dendroides), lentisco (Pistacia lentiscus), il corbezzolo (Arbutus unedo) e il leccio (Quercus ilex);
nel sito sono presenti specie di pregio, endemiche o rare, come il ranuncolo cordato (Ranunculus cordiger), il limonio a glomeruli (Limonium glomeratum) e l'astragalo verrucoso (Astragalus verrucosus), quest'ultimo inserito nell'allegato II della direttiva comunitaria «habitat»;
si registra, secondo l'interrogante, una persistente azione di distruzione e deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto e distruzione o deturpamento di bellezze naturali e archeologiche compiuta non solo a seguito delle persistenti esercitazioni militari che si svolgono all'interno del sito protetto con danni gravissimi sia sul piano ambientale, paesaggistico e naturalistico ma anche per effetto delle opere relative ad un appalto che prevede «l'individuazione, la raccolta e lo smaltimento di rifiuti pericolosi e non pericolosi interrati» all'interno del sic suddetto;
ove risultassero sussistere le fattispecie di «distruzione e deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto», «distruzione e il deturpamento di bellezze naturali» e «danneggiamento al patrimonio archeologico e storico», dovrebbe scattare l'obbligo dell'effettivo ripristino, a spese del contravventore, della precedente situazione e, in mancanza, quello di adottare le misure di riparazione complementare e compensativa di cui alla direttiva 2004/35/CE (articolo 311, co. 2, T.U.A.);
il predetto articolo 311 prevede che l'obbligazione risarcitoria è posta a carico di «chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte». I presupposti della responsabilità risarcitoria, in questi casi, sono dunque assai simili a quelli che determinano la responsabilità penale per la violazione dell'articolo 733-bis –:
se il Governo, ai fini della tutela del sito di Importanza comunitaria richiamato, non intenda intervenire al fine di porre fine con immediatezza a quella che l'interrogante giudica come distruzione e deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto, distruzione e il deturpamento di bellezze naturali e danneggiamento al patrimonio archeologico e storico;
se non si intendano valutare le responsabilità interne ai singoli Misteri e conseguentemente adottare tutte le iniziative necessarie in sede di autotutela e per il risarcimento dei danni causati;
se i Ministeri interrogati abbiano rilasciato qualsivoglia autorizzazione o valutazione di competenza sull'intervento oggetto dell'appalto richiamato;
se non ritenga di dover segnalare tale situazione al presidente della Commissione europea e al Commissario competente per valutare le possibili azioni, anche risarcitorie da mettere in campo;
se non si intendano assumere iniziative per individuare i responsabili e la catena di comando che avrebbe disposto l'occultamento, interrandoli, di tali agenti inquinanti;
se e quale procedura si intenda seguire per eliminare le sostanze inquinanti, considerata l'entità delle stesse;
se e quale procedura sia stata adottata per «appaltare» tale intervento di asserita bonifica del sito. (5-09036)
Interrogazioni a risposta scritta:
COMINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
nei giorni scorsi, come riportato anche in un articolo del Corriere della Sera a firma Pietro Gorlani, a seguito di un controllo dei tecnici dell'Arpa e dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Brescia, coordinati dal capitano Teodoro Saggese è stata rinvenuta nel comune di Porzano di Leno (Brescia) una discarica abusiva nel terreno retrostante lo stabilimento dell'ex fabbrica di alluminio Alnor;
a circa due metri sotto terra sono stati rinvenuti numerosi sacchi di soda caustica, scorie di amianto, detriti edili e pneumatici. Secondo gli inquirenti si tratterebbe dei residui delle vasche di pulitura dell'ex fabbrica sotterrati illegalmente, anziché smaltiti come rifiuti pericolosi;
va evidenziato che la ditta Alnor è fallita nel 2014, a dicembre del 2015 lo stabilimento, finito all'asta, è stato comprato dalla Aps Extrusion, ditta del tutto estranea al reato ambientale recentemente scoperto e presumibilmente commesso dai precedenti responsabili;
la discarica abusiva rappresenta un serio pericolo ambientale e un rischio per la salute dei cittadini. La soda, infatti, è un composto molto solubile in acqua e può inquinare gravemente la falda acquifera. Il problema non riguarderebbe l'acqua dell'acquedotto comunale, pescata in tutt'altra zona, ma le molte abitazioni private che prelevano l'acqua dalla falda che scorre nella zona;
per accertare le responsabilità del danno ambientale commesso e punire i colpevoli serve un lavoro di indagine lungo e approfondito, in un momento in cui la procura di Brescia ha le forze dimezzate, con 9 pubblici ministeri che presto si trasferiranno –:
se il Governo sia a conoscenza della vicenda di cui in premessa, di quali elementi disponga circa il danno ambientale in atto e i conseguenti rischi per la salute dei cittadini, in considerazione della possibile contaminazione delle falde acquifere, e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo;
se il Governo non ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a rafforzare gli organici della procura di Brescia al fine di agevolare il lavoro dell'autorità giudiziaria e consentire l'applicazione del principio sacrosanto «chi inquina paga» (4-13626)
ATTAGUILE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la discarica sita in località Maccarone Sant'Elia nel comune di Corato è stata attiva dal 1975 al 1982. Dalla relazione che risale all'ottobre 2011, a firma dell'ingegnere Giandolfo Di Bari, dal 2001 al 2012 dirigente del settore ecologia e ambiente al comune di Corato e riportata nell'inchiesta giornalistica pubblicata questo mese dai mensile coratino «Lo stradone», emerge un quadro a tinte fosche e allarmante. «La discarica – si legge nel documento – nel 1975 è stata allestita e coltivata seguendo i criteri espressi dalle normative dell'epoca. In particolare tali norme prevedevano il semplice deposito del rifiuto sul suolo a cielo aperto e la loro successiva ricopertura con materiale inerte. È possibile perciò ipotizzare che il contatto diretto dal corpo dei rifiuti con il fondo e le pareti della cava possa aver determinato l'innescarsi di fenomeni di diffusione del percolato all'interno dei primi strati del sottosuolo. (...) Sulla base del fatto che la discarica in questione non è dotata di nessuno dei presidi di antinquinamento previsti dalle vigenti normative, ne deriva che il Comune di Corato ha l'obbligo, in qualità di responsabile dell'inquinamento, di avviare le necessarie procedure (...) che consistono nella esecuzione delle indagini preliminari-caratterizzazione e nella esecuzione di messa in sicurezza permanente».
quella di contrada Maccarone-Sant'Elia è una discarica anomala sotto diversi punti di vista. Essa è situata ad appena 500 metri dalla prima zona abitata e si trova a pochi passi da insediamenti industriali, ma anche da civili abitazioni. Ha una estensione di 10.000 metri quadrati e, tuttora, non è delimitata da alcuna recinzione. Al passaggio non si direbbe nemmeno che l'area in questione sia una discarica dismessa da ben 34 anni. Ottantamila metri cubi di spazzatura di ogni tipo, accumulati in 7 anni di attività, riempiono quella enorme cava. Una cifra approssimativa giacché come recita la relazione dell'ingegnere Di Bari «non si hanno al momento dati attendibili se non che lo smaltimento dei rifiuti avveniva per deposito a cielo aperto senza alcun controllo e che il sito non è provvisto sul fondo di alcun sistema di impermeabilizzazione»;
nonostante di questa discarica nessuno abbia mai parlato, la sua anomalia era ben nota agli uffici comunali e ai pubblici amministratori che si sono susseguiti almeno dal periodo che va dal 2011 al 2015. Per comprendere il grado di pericolosità della discarica è opportuno fare un passo indietro, al 4 aprile 1975 quando l'allora sindaco Quatela, su istanza del presidente dell'allora AMNU (azienda municipale nettezza urbana), nonostante il parere negativo dell'ufficiale sanitario, autorizzò l'azienda all'uso della cava come discarica. La cava rimase attiva sino al 28 gennaio 1982, ossia fino a quando raggiunse il massimo della capacità e al contempo fu definita dall'Ufficio Igiene e Sanità «pericolosa per la salute pubblica e dannosa per l'ambiente». La pericolosità della discarica di Maccarone, dunque, era già stata accertata 34 anni fa. Nulla di ciò che si sarebbe dovuto fare è stato fatto: nessuna impermeabilizzazione del fondo, nemmeno con argilla costipata e neanche con teli di polietilene; nessun sistema di captazione del biogas dopo la chiusura della discarica e nessuna sistemazione finale mediante copertura con materiale impermeabilizzante. Ovviamente nessun piano di recupero e sistemazione dell'area;
se non esistesse il decreto legislativo n. 152 del 2006, ossia quel decreto in materia ambientale che prevede la bonifica dei siti contaminati, il nostro grado di conoscenza rispetto allo stato della ex discarica di Maccarone, sarebbe probabilmente molto basso. In anni recenti sono stati finanziati, per un importo di 300.000 euro il progetto di caratterizzazione della discarica (110.000 euro con fondi FESR) e il progetto di bonifica (190.000 euro). Il 24 luglio del 2012 si dava avvio alla installazione del cantiere, all'esecuzione delle perforazioni e ai prelievi dei campioni. Un mese di lavoro nel corso del quale ci sono stati anche sopralluoghi da parte dell'Arpa Puglia per concordare con l'azienda il numero di saggi da eseguire;
il verdetto delle analisi è inquietante: «I valori riscontrati confermano che la presenza dei contaminanti è costituita soprattutto da metalli e idrocarburi pesanti. In particolare, nello strato più superficiale (da 0 a 1 metro rispetto al piano campagna) sono stati ritrovati superamenti per i limiti normativi del Berillio, Stagno, Cadmio, Tallio, Zinco e Idrocarburi pesanti» (ndr limiti riferiti ai siti ad uso privato e residenziale). L'unico superamento di Concentrazione Soglia di, Contaminazione per i siti ad uso commerciale e industriale si è riscontrato per il Cadmio. (...) Si evidenzia comunque una elevata concentrazione dello Zinco, che raggiunge valori vicini ai superamenti dei limiti di legge per siti ad uso industriale» (si legge a pag. 13 della relazione di sintesi di indagine di caratterizzazione). Da non trascurare un altro importante aspetto: dall'analisi della presenza di contaminazione del sito emerge che «la tipologia di contaminanti riscontrata fa supporre che il rifiuto stoccato nel sito non rappresenta propriamente un rifiuto solido urbano ma piuttosto un misto di raccolta indifferenziata». In altri termini: in quella discarica può esserci di tutto, forse anche rifiuti speciali o pericolosi. Il dato è chiaro: la discarica di contrada Maccarone è inquinata. E lo è ancora dopo 34 anni dalla sua dismissione. Ed è inquinata da metalli pesanti, ossia quelle sostanze definite, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, cancerogene. Inoltre, come previsto dal piano di caratterizzazione, furono anche prelevati campioni di acqua dai pozzi a monte e a valle della ex discarica, dalle cui analisi emerse «un superamento rispetto ai limiti normativi per quanto attiene il parametro zinco per il pozzo ubicato a monte idrogeologico rispetto all'aree, in esame e dei nitriti per i due pozzi ubicati a valle idrogeologico.» E ancora, nella relazione si legge: «non si può escludere che le caratteristiche chimiche della matrice acqua non siano state alterate dal fenomeno inquinamento imputabile al sito in esame»;
quello che fu scritto dall'ufficio igiene nel 1982 trova conferma 30 anni dopo: «i risultati dell'applicazione dell'analisi di rischio hanno evidenziato la presenza di rischio per l'uomo dovuto a sostanze cancerogene a causa della presenza di Arsenico e Berillio per quel che concerne il percorso diretto contatto dermico del suolo superficiale». I tecnici, al termine della relazione di caratterizzazione, si spingevano, inoltre a suggerire interventi da svolgere nell'immediatezza: «almeno una recinzione che isolasse il sito contaminato per poi procedere all'intervento di bonifica o messa in sicurezza permanente del sito, magari attraverso la realizzazione di un «capping», una copertura superficiale con la finalità da un lato di ridurre le emissioni in atmosfera, dall'altro di limitare le infiltrazioni di acque meteoriche che possono dilavare i rifiuti, nonché consentire il contenimento della diffusione degli inquinanti impedendone il contatto con l'uomo e con i ricettori ambientali circostanti». Ancora oggi nulla di quanto suggerito dall'azienda che si è occupata delle analisi è stato fatto. Con l'agghiacciante certezza, da parte dei cittadini, di aver convissuto per oltre trent'anni con una immensa discarica contaminata da metalli pesanti. L'esigenza di mettere in sicurezza l'area, definita dalla regione Puglia ma anche dallo stesso comune di Corato come «sito inquinato», si è Palesata immediatamente dopo l'ufficializzazione delle analisi;
la discarica in questione può essere definita come una silenziosa ma comunque attiva bomba ecologica e sanitaria in quanto si apprende, da oncologi interpellati da una testata giornalistica locale « Lostradone» (promotrice di un'inchiesta pubblicata sul numero di giugno 2016), che «sovraesposizione ai metalli pesanti può essere potenzialmente in grado di determinare anche il cancro. Tuttavia non è da trascurare la capacità di determinare anche altre malattie neurodegenerative, come ad esempio la SLA» –:
se il Ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del mare intenda intervenire attraverso il Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente per appurare quanto esposto in premessa circa la tossicità e pericolosità della discarica di Maccarone; se il Ministro della salute intenda avviare, per quanto di competenza un'indagine epidemiologica al fine di valutare se vi sia una correlazione tra l'inquinamento provocato dalla discarica e l'incidenza tumorale o le malattie neurodegenerative negli abitanti di Corato residenti nell'area interessata. (4-13634)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazione a risposta in Commissione:
CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
la Fondazione Arena di Verona, sita in via Roma 7/D a Verona, da diversi anni vive una situazione economica di grave difficoltà mettendo in serio pericolo la sua stessa sopravvivenza poiché gravata dal peso di milioni di euro di debiti, la cui stima varia dai 24 ai 60 milioni di euro;
nel settembre 2013 il sovrintendente alla guida della Fondazione, Francesco Girondini, dichiarava che «Con questi numeri meritiamo il Nobel per l'economia»;
in report di giugno 2015 curato dalla società di revisione Kpmg e commissionato dalla stessa Fondazione si certificava che, tra il 2012 e il 2014, si sarebbero verificati un «significativo incremento» dei debiti verso i fornitori e un «sensibile peggioramento» dell'esposizione bancaria;
nel marzo 2015, si procedeva a rinnovare la nomina del sovrintendente Francesco Girondini, sotto la cui gestione è andata generandosi parte della situazione debitoria in cui versa tutt'ora la fondazione;
il sindacato autonomo dello spettacolo, Fials, nel denunciare il rischio dei lavoratori della Fondazione – subendo da tempo ritardi nel pagamento degli retribuzioni – ha individuato tra le cause dei debiti «scelte aziendali tutte riconducibili al sovrintendente e al Consiglio di indirizzo (Cdi)», il cui presidente è il sindaco di Verona, Flavio Tosi;
nell'aprile 2016 la stampa dava notizia della volontà del sindaco Tosi di procedere alla privatizzazione della Fondazione attraverso la costituzione cella «Arena Lirica Spa», i cui soci fondatori avrebbero dovuto essere il Comune, la Camera di commercio, la Fondazione Cariverona e un fondo di investimento finanziato da capitali di privati;
il 15 aprile 2016, il Ministro Franceschini firmava il decreto ministeriale n. 205 per il Commissariamento della Fondazione Arena di Verona – congelando l'ipotesi che guardava alla privatizzazione e con l'obiettivo di salvare l'Arena e farla accedere alle misure previste dalla cosiddetta legge Bray – nominando Commissario straordinario dell'Arena di Verona Carlo Fuortes, il cui mandato scadrà il prossimo settembre 2016;
il piano di rilancio proposto da Carlo Fuortes e sottoscritto dai lavoratori prevede tagli per 4 milioni di euro e la chiusura del corpo di ballo;
tuttavia, l'ipotesi della privatizzazione non sembra affatto abbandonata, considerato che il sindaco Flavio Tosi – secondo quanto riportato da L'Arena di Verona del 26 giugno 2016 – ha dichiarato che: «Fuortes ha già posto le basi per una gestione di tipo privatistico della Fondazione, improntata a una maggiore efficienza. Bisogna proseguire in questa direzione»;
secondo quanto riportato dalla stampa locale in data 28 giugno 2016, l'imprenditore Giuseppe Manni e gli avvocati Giovanni Maccagnani e Lamberto Lambertini avrebbero presentato al Ministro Franceschini il progetto «Arena Spa» il quale prevede una «conduzione più privatistica della Fondazione» che il Ministro stesso avrebbe molto apprezzato –:
il Ministro sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
se rientri tra le sue intenzioni la privatizzazione della Fondazione e, in caso contrario, quali iniziative intenda adottare affinché sia scongiurata l'ipotesi della privatizzazione;
considerato che i debiti in cui versa la Fondazione Arena parrebbero essere in parte conseguenza delle scelte aziendali riconducibili al sovrintendente Girondini e al consiglio di indirizzo (Odi), il cui presidente è il sindaco di Verona, Flavio Tosi, la rendicontazione della gestione della Fondazione e a quali tipo di scelte e se intenda chiarire a quali soggetti responsabili siano riconducibili i debiti accumulati nella precedente gestione;
come intenda garantire l'effettiva attuazione del piano di rilancio delineato dal commissario Fuortes, per evitare un ulteriore deterioramento della situazione di bilancio della fondazione;
quali iniziative intenda assumere affinché sia garantita l'adozione di criteri meritocratici per l'individuazione del successore del commissario Fuortes.
(5-09034)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazioni a risposta in Commissione:
CARRESCIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 21-bis della legge n. 504 del 26 ottobre 1995 (testo unico delle disposizioni legislative concernenti le impose sulla produzione e sui consumi 9 relative sanzioni penali e amministrative) inserito dall'articolo 1, comma 1, lettera e) del decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 26 (Attuazione della direttiva 2003/96/CE che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità) disciplina la complessa materia delle accise;
con tale articolo di legge era stato approvato anche il programma sperimentale della durata di 6 anni (1o gennaio 2008 – 31 dicembre 2013) per l'uso delle emulsioni fissando le seguenti aliquote:
a) per uso carburante:
1. fino al 31 dicembre 2009: euro 256,70 per mille litri;
2. a decorrere dal 1o gennaio 2010: 280,50 euro per mille litri;
b) come combustibile per riscaldamento:
1. 245,16 euro per mille litri;
con la legge n. 147 del 27 dicembre 2013, articolo 1, comma 634, è stata approvata la sperimentazione per altri 6 anni sul prodotto emulsione a decorrere dal 1o gennaio 2014 e fino al 31 dicembre del 2019; l'efficacia della disposizione era subordinata alla preventiva approvazione del programma da parte della Commissione europea così come disposto dal comma 635 dello stesso articolo della legge n. 147 del 2013;
con la legge n. 147 del 2013 sono poi state introdotte le seguenti aliquote di accisa:
a) per uso carburante: euro 374,67 per mille litri;
b) come combustibile per riscaldamento: euro 245,16 per mille litri;
sono state altresì inserite altre aliquote di accisa, non derivanti dal precedente programma del 2007, con riferimento a:
a) emulsioni di olio combustibile denso ATZ:
1. come combustibile per riscaldamento: euro 99,32 per mille chilogrammi;
2. per uso industriale: euro 41,69 per mille chilogrammi;
b) emulsione di olio combustibile denso BTZ:
1. come combustibile per riscaldamento: 29,52 per mille chilogrammi;
2. per uso industriale: euro 20,84 per mille chilogrammi;
la Commissione Europea si è espressa favorevolmente al programma di sperimentazione presentato dall'Italia con riferimento all'uso delle emulsioni con decisione dell'11 aprile del 2015 recante «Aiuto di Stato SA. 37856 (2013/N) – Italia – proroga con diminuzione della dotazione per la riduzione del livello di tassazione dei prodotti petroliferi in emulsione con acqua (N 533/2007)»;
la decisione della Commissione europea ha messo in evidenza che la dotazione richiesta su questo «Aiuto di Stato» è passata da 7.810.000 euro/anno a 2.200.000 euro anno con una riduzione pari a 5,61 milioni di euro per ogni anno;
con riguardo alla variazione della aliquota di accisa sull'emulsione per autotrazione, l'Italia ha chiaramente adottato un criterio diverso rispetto al passato; nel primo programma (2007-2013) l'aliquota fissata dall'Italia era di 256,7 euro per mille litri fino al 31 dicembre 2009 e di 280,50 euro per mille litri nel periodo 2010-2013 (tale livello di tassazione si rifaceva al limite minimo imposto dalla «direttiva sulla tassazione dell'energia» – «DTE» del 2003 che fissava tale limite minimo di accisa in 303 euro per mille litri fino al 2009 ed in 330 euro per mille litri dal 2010 in poi);
rispetto a tale limite l'Italia ha calcolato l'accisa solo sulla componente che nelle emulsioni è pari all'85 per cento del prodotto finale e con tale modalità sono stati ottenuti i valori delle accise agevolate per i due periodi trattati fino al 2013 (256,7 euro è l'85 per cento di 302 e 280,5 è l'85 per cento di 330);
non essendo variato il livello minimo di tassazione in base alla «DTE» attualmente pari a euro 330 per mille litri, si sarebbe potuto replicare il ragionamento posto alla base del programma 2007-2013 e mantenere l'accisa a 280,5 anche per l'autotrazione così come in passato; per rispettare invece il limite minimo di 330 euro posto dalla «DTE», tale accisa è stata fissata in 374,67 euro ponendo però, in tal modo, tale prodotto fuori dal mercato dei trasportatori abituali che hanno diritto al rimborso di accisa fino alla concorrenza dell'aliquota vigente nel 2003 di 403 euro per mille litri;
questo dato oggettivo trova riscontro anche nella nota n. 8 della decisione della Commissione europea del 2014 che così recita: «come indicato nel considerato 45 della decisione originaria, nel caso delle emulsioni acqua-gasolio ad uso carburante, l'Italia si avvale dell'articolo 16 della direttiva sulla tassazione dell'energia il quale prevede la possibilità di applicare una riduzione dell'aliquota per determinati prodotti e, partendo dal livello minimo di tassazione di euro 302, esenta la componente di acqua della miscela. Di conseguenza, la tassazione sulle emulsioni in questione è inferiore del 15 per cento all'aliquota minima e ammonta a 256,7 euro»;
la sperimentazione sue emulsioni ha prodotto ulteriori sviluppi delle tecniche di produzione che hanno reo il prodotto sempre più compatibile per l'utilizzo quale combustibile/carburante alternativo al gasolio;
le caratteristiche principali delle emulsioni sono tutte di carattere ambientale e riassumibili in un abbattimento sostanziale di molteplici fattori inquinanti quali: fumosità, PM 10 e PM 3, NOX e altro; il processo di combustione della componente gasolio, risulta essere ottimizzato grazie al combinato della presenza dell'acqua, dell'additivo e del sistema di taglio delle parcelle di combustibile;
diverse imprese italiane hanno raggiunto positivi-risultati, ma per rendere possibile una più ampia diffusione dei prodotti, atteso che, come da classificazione NC 3824909799S098 (emulsione ad uso autotrazione) NC 3824909799S099 (emulsione ad uso riscaldamento) essi sono identificati come prodotti con caratteristiche specifiche che sostanzialmente ricalcano quelle del gasolio ma che non sono uguali, è necessario riconoscere l'emulsione quale carburante/combustibile al quale riservare una propria autonoma tassazione;
l'emulsione, in sostanza, sostituisce ad ogni effetto il gasolio per tutti gli scopi già normati (autotrazione e riscaldamento);
per consentirne l'uso per finalità ambientali anche in settori che già godono di specifiche agevolazioni, si rende però necessario un intervento legislativo che per l'accisa per il prodotto utilizzato per autotrazione per veicoli di portata superiore a 7,5 quintali, può essere fissata nel limite dell'85 per cento dell'accisa minima prevista dalla direttiva energia del 2010 (ad oggi, pari a 287,10 euro per 1000 litri) e in euro 245,16 per il prodotto utilizzato quale combustibile per il riscaldamento;
nel caso di presenza di agevolazioni settoriali e/o territoriali, le stesse dovrebbero essere applicate anche all'emulsione utilizzando le medesime procedure previste per il gasolio, fermo restando che la loro applicazione non potrà mai superare in riduzione percentuale il differenziale fissato nei paragrafi che precedono;
nel caso di settori aventi agevolazioni che esentano dal pagamento delle accise, anche alle emulsioni andrebbe riconosciuto il medesimo trattamento;
la copertura di gettito per gli anni 2015 e 2016 resterebbe invariata rispetto a quanto già previsto, mentre per le annualità successive esse vanno rideterminate in sede di approvazione della legge di stabilità, tenendo conto del grado di effettivo utilizzo del prodotto;
da una modifica della situazione attuale, senza alcun onere per lo Stato e a parità di gettito, ne trarrebbero benefici le imprese di trasporto e il sistema ambientale per le ridotte emissioni in atmosfera del combustibile utilizzato –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta e se e quali iniziative intendono intraprendere per la riduzione del livello di tassazione dei prodotti petroliferi in emulsione con acqua e per porre fine alla penalizzante situazione in cui si trovano le imprese che hanno avviato la sperimentazione di nuovi prodotti con caratteristiche ambientalmente più sostenibili del gasolio. (5-09025)
GINATO, PELILLO e GIACOBBE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
i buoni fruttiferi postali (BFP) rappresentano una forma di risparmio, offrendo ai sottoscrittori la possibilità di disinvestire in qualsiasi istante con la totale garanzia del capitale investito maggiorato degli interessi nel frattempo maturati. Sono emessi dalla Cassa depositi e prestiti, garantiti dallo Stato italiano e sono sottoscrivibili e rimborsabili presso tutti gli uffici postali;
il potere di modificare il tasso di interesse previsto anche con riferimento a serie di buoni postali già emesse, oltre che a quelle di nuova emissione, era conferito al Ministro del tesoro dall'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, (poi abrogato dal decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 284); in particolare, la norma prevedeva la possibilità di modificare i tassi d'interesse sia per i buoni di nuova serie, emessi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, sia per quelli relativi a serie emesse in precedenza; lo stesso articolo 173 prevedeva inoltre che gli interessi dovevano essere corrisposti sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni e che tale tabella, in caso di successiva variazione dei tassi, dovesse essere integrata con quella messa a disposizione dei titolari dei buoni stessi presso gli uffici postali;
con decreto ministeriale del 13 giugno 1986 furono istituiti una nuova serie di buoni postali con lettera «Q» stabilendo che tutti i buoni fruttiferi postali delle serie precedenti (serie L, M, N, O) fossero convertiti in serie «Q» tale attribuzione rappresentava un declassamento delle serie precedenti, presentando tassi d'interesse molto più bassi rispetto a quelli sottoscritti al momento dell'acquisto;
con riferimento ad un buono postale fruttifero trentennale del valore di lire 500.000, serio O, la somma da corrispondersi alla scadenza naturale del 31 dicembre 2014 doveva essere pari a lire 17.329,651, oggi euro 8.950,02, ma il sottoscrittore al momento della riscossione, ha appreso che la somma liquidata sarebbe stata notevolmente inferiore rispetto a quanto indicato sulla tabella posta sul retro del titolo stesso, pari a 4.166,03;
sul retro del buono postale venivano specificate le somme rimborsabili secondo una dettagliata tabella riportante l'indicazione degli anni e dei relativi bimestri e del saggio di interesse applicabile; sul buono non veniva riportato alcun riferimento ad alcuna disposizione normativa che potesse prevedere un mutamento unilaterale dei saggi d'interesse convenuti e/o delle somme rimborsabili;
nella liquidazione dell'importo, Poste Italiane SpA riteneva applicabile il combinato disposto di cui all'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 (Testo Unico in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni) e all'articolo 6 del decreto del Ministero del tesoro n. 148 del 1986, provvedendo pertanto a rimborsare agli intestatari una somma complessivamente inferiore rispetto a quanto reso noto all'acquirente al momento dell'acquisto del buono postale;
nella causa civile promossa con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, l'avvocato difensore di Poste, davanti al giudice adito, preliminarmente ha sollevato una serie di eccezioni pregiudizievoli di rito («difetti di forma del giudizio» che attendono ai requisiti necessari della domanda e che sono indispensabili per la continuazione del processo) e, nel merito, in via subordinata, una serie di mere argomentazioni difensive, dirette, genericamente, a contestare la fondatezza della pretesa del risparmiatore, onde ottenere la dichiarazione di nullità del decreto ingiuntivo, in quanto «infondato, ingiusto ed illegittimo»;
la sentenza del 29 settembre 2015 pubblicata dal giudice di pace di Savona ha accolto il ricorso di circa venti possessori di buoni investiti dalla diminuzione dei saggi di interesse. Le eccezioni di rito avanzate dall'avvocato della società Poste Italiane sono state superate dal giudice di pace;
il giudice ha adeguatamente motivato in sentenza che la controversia non verte su leggi relative a prestiti pubblici o su leggi sul debito pubblico, ma riguarda le problematiche di interpretazione e applicazione dell'articolo 173 decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 (così come integrato dall'articolo 6 del decreto ministeriale n. 148 del 13 giugno 1986), che è una norma facente parte del «Testo Unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni» che non detta una normativa in materia postale di titoli del debito pubblico, ma regola la materia dei buoni postali fruttiferi emessi da Poste italiane (che non sono titoli di Stato);
si rivela la natura contrattuale e privatistica del rapporto instaurato, chiaramente riconosciuta, precedentemente, dalle, sezioni unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 13979/2007 sostenendo, che tra i sottoscrittori dei buoni e Poste italiane si instauri un rapporto di natura contrattuale e privatistica che fa sì che alla fattispecie in esame si applichino le norme di diritto privato;
inoltre, dalla stessa sentenza, si legge che il Tribunale di Napoli, nell'ordinanza del 16 luglio 1999, ha censurato l'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 e successive modifiche, nella parte in cui consentiva l'estensione dell'intervenuta variazione del saggio di interesse anche alla serie di buoni postali fruttiferi precedentemente emessi, senza che tale variazione fosse comunicata al domicilio del titolare dei buoni per consentirgli il tempestivo esercizio di diritto di recesso;
ad avviso del Tribunale di Napoli, l'articolo 173 del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, diversamente regolando la materia, ingenerava una ingiustificata disparità di trattamento fra gli utenti di analoghi servizi, determinando uno scoraggiamento del risparmio postale privo di garanzie di trasparenza e chiarezza apprestate per il risparmio ed investimento presso istituti di credito;
le disposizioni contenute nei capi V e VI del titolo I del libro III del decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 (compreso anche l'articolo 173), sono state abrogate dall'articolo 7, comma 3, del decreto legislativo n. 284 del 1999, il quale prevede che «i rapporti già in essere (...) continuano ad essere regolati dalle norme anteriori», apparentemente consentendo il protrarsi della già denunciata disparità di trattamento in danno della tutela del risparmio e dei diritti fondamentali dell'individuo, penalizzando altresì il risparmiatore di ieri rispetto a quello di oggi, ancorché entrambi siano fruitori dei medesimi servizi di risparmio postale;
l'applicazione, invocata da Poste italiane, del combinato disposto degli articoli 173 decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 e articolo 6 del decreto ministeriale del Tesoro n. 148 del 1986, oltre a determinare una disparità di trattamento tra risparmiatori, più volte stigmatizzata dalla giurisprudenza, sotto il profilo della legittimità costituzionale, comporta anche una violazione del principio di irretroattività della legge sancito dall'articolo 11 delle preleggi;
in risposta ad una interrogazione svolta in Commissione finanza, il Sottosegretario Zanetti, ha sottolineato che la possibilità degli interessati «di essere portati tempestivamente e capillarmente a conoscenza della generalità dei risparmiatori» sarebbe stata «soddisfatta attraverso il regime di pubblicità legale degli atti normativi (pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale)»; questo appare, di fatto, insufficiente, in particolare alla luce della discussione in corso sulla trasparenza nel rapporto tra chi propone investimenti e i risparmiatori;
come ritenuto dalla Corte di Cassazione, il risparmiatore deve essere tutelato nel caso in cui, pur vigendo determinati tassi di interesse, i buoni postali fruttiferi emessi a suo favore siano stati rilasciati con l'apposizione a tergo di una tabella di tassi di interesse più favorevoli ma già superati al momento dell'emissione del buono stesso a maggior ragione dovrà essere tutelato il sottoscrittore, che abbia acquistato un buono postale fruttifero corredato di una tabella per la liquidazione dei tassi di interesse corrispondenti a quella prevista dalla normativa che lo ha istituito, senza essere stato contrattualmente informato della possibilità di successiva variazione i tassi, anche in senso peggiorativo e che a seguito dell'intervento di una normativa di rango secondario (decreto ministeriale n. 148 del 1986) si veda decurtato di molto il rendimento del buono, in contrasto con le condizioni contrattuali sottoscritte al momento della emissione del buono stesso e senza ricevere alcuna comunicazione –:
se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per ripristinare la certezza giuridica del calcolo degli interessi dei buoni fruttiferi postali, secondo le legittime aspettative dei sottoscrittori, a tal fine intervenendo presso Poste italiane spa, così evitando il proliferare di contenziosi in sede giurisdizionale con inevitabili costi aggiuntivi e dilatazione dei pagamenti. (5-09032)
Interrogazione a risposta scritta:
D'ARIENZO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
migliaia di azionisti della Banca Popolare di Vicenza hanno perso i propri risparmi in quanto le azioni che avevano sottoscritto sono crollate in pochi mesi da 62,5 euro a dieci centesimi. Va ricordato che il valore delle azioni era stato fissato dalla banca medesima in assenza di qualsiasi confronto con il mercato;
gli azionisti sono rimasti «incastrati» nel vortice perché, come è noto, non sono riusciti a riavere i propri risparmi, nonostante più volte avessero chiesto alla banca la remissione delle azioni detenute;
il sistema utilizzato dalla banca era un vero capestro nei confronti di chiunque chiedesse prestiti. In particolare, i richiedenti venivano obbligati a comprare azioni rivelatesi completamente vuote oltre che identificate come attribuibili a soci di un certo livello;
purtroppo, si è verificato anche il suicidio di uno degli azionisti della banca a causa della perdita totale del patrimonio accumulato negli anni;
dalle verifiche fatte è emerso un sistema scientificamente organizzato che ha portato la banca al collasso, tranne per alcuni soci «amici»;
il collasso della banca popolare di Vicenza avrà ricadute molto negative sul territorio, anche in ragione del radicamento che essa aveva perseguito negli ultimi anni;
l'incredibile vicenda mina la fiducia dei risparmiatori nei confronti del sistema del credito e dei controllori preposti, che hanno dimostrato pericolose lacune ed inefficienze;
uno dei principali responsabili, Gianni Zonin, nei confronti del quale si intendeva avviare azione di responsabilità – sebbene questa non sia stata votata a causa di quelle che appaiono all'interrogante alcune assurde astensioni in seno all'Assemblea dei soci della suddetta banca – risulta da notizie di stampa che stia vendendo e/o cedendo il suo patrimonio ai figli e alla moglie per evitare che venga aggredito in caso di risarcimento;
non si può escludere, secondo l'interrogante, che anche altri responsabili stiano provvedendo nella medesima direzione;
si ritiene necessario un gesto forte per tutelare i soci della banca ed impedire la diffusa sensazione di impunità che la vicenda sta determinando in campo nazionale;
sarebbe opportuno impedire lo svuotamento del patrimonio detenuto da parte di Gianni Zanin e degli altri responsabili –:
di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda valutare la possibilità di assumere iniziative normative per impedire che, in casi come quello descritto in premessa, qualora sia proposta o avviata un'azione di responsabilità, la persona che vi è soggetta possa cedere o vendere il proprio patrimonio al fine di tutelare i risparmiatori;
se e quali ulteriori iniziative di competenza il Governo intenda assumere al riguardo, anche al fine di evitare che casi come quello sopra descritto possano ripetersi in futuro. (4-13636)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
l'autostrada A19 è un'autostrada italiana che collega le città siciliane di Palermo e Catania, attraversando la Sicilia centrale con un percorso di oltre 191 chilometri, passando per Caltanissetta ed Enna;
la A19, è gestita da Anas Spa, è priva di pedaggio e il tratto di autostrada Buonfornello-Catania è anche classificato come strada europea E932;
le tre gallerie principali dell'autostrada sono Tremonzelli (1.784 metri), Fortolese (1.613 metri) e San Nicola (1.487 metri), come si evince al sito dell'Anas;
in particolare, la galleria Fortolese è sempre soggetta a chiusure producendo disagi per chi viaggia;
a oggi la galleria Fortolese risulta chiusa e non si comprende se i lavori stiano andando avanti;
dal sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nell'aggiornamento CdP ANAS-RFI al 12 febbraio 2016 la galleria risulta tra gli interventi previsti: si legge infatti «A19 Autostrada Palermo-Catania *territorio comunale *rifacimento e adeguamento a norme CEI impianto di illuminazione al KM 104+135, galleria Fortolese» –:
se il Ministro interrogato, che è tenuto alla vigilanza tecnica e operativa su ANAS, sia a conoscenza dello stato dei lavori nella galleria di cui in premessa e quando avverrà la riapertura della stessa. (5-09027)
RIZZO, CANCELLERI, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI e VILLAROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
Rete ferroviaria italiana SPA, è firmataria del contratto di servizio per il trasporto ferroviario con la regione siciliana;
più volte sono stati segnalati disservizi da parte dell'azienda, rispetto alle necessità dei viaggiatori ferroviari che utilizzano i servizi da essa offerti;
molti sono stati gli atti di sindacato ispettivo predisposti dall'interrogante e dal gruppo del Movimento 5 Stelle in ordine a tali gravose situazioni già in passato;
è recente la notizia della soppressione della tratta ferroviara Catania-Siracusa per lavori di manutenzione sino al 3 settembre 2016, con la previsione di autobus sostitutivi;
è altresì di qualche giorno fa la notizia della riduzione dei servizi sostitutivi di autobus sulla già soppressa linea Caltagirone-Gela, colpita dal crollo di un ponte ricadente sul territorio di Niscemi ed ancora in attesa di essere ricostruito;
sono forti le accuse del Comitato pendolari siciliano e di Federconsumatori rispetto alle citate gravi notizie di cronaca che ledono il diritto alla mobilità e la dignità di un'intera categoria di lavoratori nonché l'immagine stessa dell'isola rispetto alle necessità del movimento turistico regionale;
cosa ben più grave, rispetto a quanto emerge dalle notizie di cronaca, è che la regione siciliana, non sia stata coinvolta nella decisione della chiusura della tratta Catania-Siracusa, pur essendo soggetto interessato e controfirmatario dell'accordo di servizio;
sarebbe opportuno che i vertici siciliani valutassero la possibilità di risolvere definitivamente il contratto di servizio tra le parti, in relazione al quale gli interroganti ritengono opportuno segnalare i fatti alle autorità competenti, quali la Corte dei conti –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione in cui versa la Sicilia dal punto di vista del servizio ferroviario;
se intenda favorire, per quanto di competenza, l'istituzione di un tavolo di lavoro tra Ministero, regione siciliana, Rete ferroviaria italiana e rappresentanti dei pendolari, dei consumatori e del turismo regionale per procedere speditamente verso la sottoscrizione di un accordo di programma quadro mancante da anni nell'isola tra regione siciliana e RFI spa.
(5-09028)
Interrogazione a risposta scritta:
D'ARIENZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la variante alla strada statale 12 da Buttapietra a Verona è un'opera infrastrutturale attesa da decenni dal territorio, l'unica in grado di spostare la pressione automobilistica di un'ampia area territoriale verso le grandi vie di comunicazione, oltre che sgravare la zona sud della città dal pesante ingolfamento;
la progettazione della tratta, attualmente a livello preliminare, è stata assunta dalla regione Veneto attraverso la società partecipata Veneto Strade spa;
il progetto è all'attenzione della commissione VIA provinciale che sta redigendo l'istruttoria;
l'impegno finanziario si aggira intorno ai 150 milioni di euro;
allo stato il progetto consta di due opzioni diverse di attacco alla tangenziale sud di Verona, che si sostanziano come segue:
a) soluzione proposta dai progettisti (e preferita da ANAS), con l'arrivo da sud della nuova strada ad ovest della ferrovia, in affiancamento, spanciamento per poter superare la strada ferrata ed aggancio alla tangenziale nei pressi del casello di VR sud, con piena possibilità di permeabilità conseguente;
b) soluzione richiesta dal comune di Verona, con arrivo della nuova strada da sud sempre in affiancamento della ferrovia, ad ovest e distacco per andare a raccordarsi con lo svincolo alle tangenziali sulla strada dell'Alpo. In questo caso la soluzione non permetterebbe l'immediata permeabilità tra la nuova Strada Statale 12 e l'autostrada o tra la tangenziale e l'autostrada. Infatti, sia il nuovo svincolo della tangenziale, sia la nuova strada per collegarsi con il casello di Verona sud necessitano delle strade via Torricelli o via Fermi, inadeguate. Tale situazione ripeterebbe, ribaltata, la situazione che da anni si sopporta con lo svincolo della tangenziale a San Giacomo e collegamento con il casello attraverso via Flavio Gioia, L'investimento complessivo verrebbe pertanto in parte vanificato da questo spostamento del nodo di congiunzione della tangenziale e della nuova strada statale 12 lontano dal casello della autostrada A4:
il comune di Verona, inoltre, vorrebbe finanziare una parte di una variante, diversa, peraltro, dalle due opzioni indicate, nell'ambito delle opere a carico del colosso IKEA a compensazione per il prossimo insediamento di questa nel veronese;
si è consapevoli che questa terza ipotesi non risolve il nodo stradale presenta difficoltà procedurali legate alle necessarie varianti degli attuali piano di area quadrante Europa e piano di coordinamento provinciale, condizioni superabili solo con un accordo tra comune di Verona, provincia di Verona e regione Veneto, e allunga notevolmente i tempi per qualsiasi altra soluzione, peraltro migliore di questa;
la regione Veneto ha fatto richiesta di fondi per circa 300 milioni di euro a valere sul fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), le cui risorse vengono impiegate per il finanziamento degli investimenti pubblici in infrastrutture materiali ed immateriali realizzati dalle regioni attraverso lo strumento negoziale dell'accordo di programma quadro (APQ);
il Fondo in questione ben si presta a finanziare opere infrastrutturali come la variante alla strada statale 12, a questo punto realizzata dalla regione Veneto –:
se ritenga di valutare positivamente la richiesta della regione Veneto e di favorire l'accordo di programma relativo, in modo che la regione, medesima possa definire il progetto e avviare le procedure per realizzare, finalmente, la variante alla strada statale 12. (4-13618)
INTERNO
Interrogazioni a risposta scritta:
MAGORNO, AIELLO, BATTAGLIA, BARBANTI, BRUNO BOSSIO, CENSORE, COVELLO, OLIVERIO, STUMPO, BRUNO, GALATI, FALCONE, VENITTELLI, MANFREDI, FAMIGLIETTI, SGAMBATO, SANGA, GIOVANNA SANNA, MORANI, SBROLLINI, COVA, LODOLINI, ANZALDI, MARCO DI STEFANO, BAZOLI, PES, TARTAGLIONE, ROSSOMANDO, FRAGOMELI, ZOGGIA, CAPOZZOLO, LEVA, GALPERTI, LA MARCA, VALIANTE, MARANTELLI e PALMA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il consiglio comunale di Cosenza è stato sciolto anticipatamente in seguito alle dimissioni volontarie della maggioranza dei consiglieri comunali;
conseguentemente alla decadenza del sindaco Mario Occhiuto l'amministrazione è stata affidata al commissario prefettizio;
il rinnovo del consiglio comunale avviene con le elezioni amministrative del 5 giugno 2016;
Mario Occhiuto ha riproposto la propria candidatura a sindaco;
sulla stampa, nei giorni scorsi, è stata data notizia della possibile esistenza di una condizione di incompatibilità alla carica di sindaco nel caso di una eventuale rielezione di Mario Occhiuto;
la possibile incompatibilità potrebbe derivare dalla sussistenza di un contenzioso tra Mario Occhiuto e il comune;
il contenzioso sarebbe generato dal fatto che il tribunale ordinario di Cosenza avrebbe ordinato al comune di sostituirsi al debitore principale nel pagamento dei debiti personali contratti dallo stesso Mario Occhiuto;
la decisione del tribunale di Cosenza, come nel caso del procedimento 2777/2013, sarebbe stata determinata dalla mancata evasione dei doveri del comune in quanto soggetto terzo pignorato;
tutto sarebbe avvenuto dopo che era già stato disposto il pignoramento di 1/5 della indennità percepita da sindaco, a seguito della causa intentata contro Mario Occhiuto, dalla società Fimmi;
tra le società che hanno intentato causa contro Mario Occhiuto risulta anche la società Porsche Financial Services;
sarebbero numerosi gli atti di citazione presso il tribunale di Cosenza per l'accertamento dell'obbligo del terzo pignorato ex articolo n. 548 c.p.c., a causa dei debiti privati di Mario Occhiuto durante gli anni della sua permanenza nella carica di sindaco della città;
in particolare, la stampa ha dato notizia che tra gli atti di citazione si registra quello intentato per il recupero di un debito a carico di Mario Occhiuto pari ad euro 1.777.609,09;
nel suddetto atto di citazione sono state segnalate palesi irregolarità nella condotta dell'amministrazione comunale;
il comune non si è costituito in giudizio e ne è stata dichiarata la contumacia;
il comune, a quanto consta agli interpellanti, pare avrebbe omesso di accantonare le somme richieste per fronteggiare le istanze pervenute dai creditori di Mario Occhiuto –:
quali iniziative utili ed efficaci il Ministro interrogato intenda adottare affinché:
il commissario prefettizio di Cosenza faccia rapidamente chiarezza sul quadro che si va delineando nella relazione tra i debiti personali di Mario Occhiuto e gli oneri e gli obblighi che la legge attribuisce al comune di Cosenza;
si pervenga ad una esatta ricognizione dei procedimenti in cui, nel corso della intera precedente consiliatura comunale, il comune di Cosenza è stato coinvolto come terzo pignorato o sostituto del debitore principale;
si accerti la sussistenza di eventuali contenziosi potenziali o in corso tra Mario Occhiuto e il comune di Cosenza, conseguenti ai suddetti procedimenti, che potrebbero dare luogo una possibile condizione di incompatibilità nel caso in cui Mario Occhiuto dovesse essere rieletto alla carica di sindaco;
il commissario prefettizio, in presenza di irregolarità ed eventuali danni all'erario comunale, accerti l'esistenza di eventuali responsabilità a carico dei dirigenti del comune preposti all'espletamento degli uffici inerenti i suddetti procedimenti. (4-13623)
BERRETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in data 27 giugno 2016 sul portale di informazione telematica « LiveSicilia Catania» è apparso un articolo a firma Roberta Fuschi che testimoniava la denuncia del segretario provinciale del Siap di Catania, Tommaso Vendemmia, riguardante le difficili condizioni in cui le forze di polizia operano nell'ambito dell'emergenza relativa allo sbarco dei profughi
le maggiori difficoltà riguardano l'identificazione e lo smistamento dei profughi nei diversi centri di accoglienza, solo l'ultimo sbarco ha portato nel porto di Catania 4.000 persone;
in molte città portuali come Taranto e Augusta sono stati realizzati degli « hot spot» per provvedere alle operazioni sopracitate;
dalla prefettura di Catania è giunta la proposta di realizzare tale struttura presso il Cara di Mineo;
tale scelta appare illogica, atteso che tale struttura dista 60 chilometri dal porto di Catania; sarebbe invece più efficiente ed efficace realizzare una tale struttura nelle più immediate vicinanze del porto e non nell'entroterra;
ciò a maggior ragione ove si consideri che il Cara di Mineo già oggi, senza un ulteriore carico di compiti, presenta numerose e gravi criticità e non assicura adeguati standard di accoglienza dei migranti. Senza considerare le numerose e gravi inchieste che coinvolgono amministratori del Cara e amministratori delle cooperative coinvolte nella gestione;
i rappresentanti sindacali delle forze dell'ordine hanno espresso dubbi in ordine a tale ventilata scelta –:
se non ritenga inopportuna la proposta della prefettura di Catania di realizzare un hot spot nella struttura di Mineo;
se non ritenga opportuno verificare la possibilità di realizzare l’hot spot nelle vicinanze del porto di Catania così da favorire e migliorare le condizioni, già di per sé difficilissime, in cui operano le nostre forze dell'ordine e facilitare le attività di identificazione e smistamento dei migranti. (4-13624)
PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
sono quasi 1.400 i migranti arrivati in Sardegna in tre giorni: 737 domenica 26 giugno, 621 martedì 28 giugno;
in Sardegna si registra una vera e propria emergenza nel settore dell'accoglienza;
la prefettura di Cagliari ha dichiarato che con l'ultimo sbarco dalla nave spagnola Rio Segura, le quote destinate all'Isola, pari al 2,96 per cento del totale nazionale, sono state raggiunte, se non addirittura superate;
nei prossimi giorni non è escluso, in presenza di altri salvataggi nel Mediterraneo, che queste stesse quote vengano rimodulate al rialzo, destinando altri profughi alla Sardegna;
dei 621 migranti arrivati, 295 rimarranno nel cagliaritano, andando a sommarsi ai 350 di domenica, 187 sono destinati a Sassari (220 quelli di due giorni fa), 81 a Nuoro, che ne aveva già ricevuti 96, e, infine, 58 a Oristano, che vanno ad aggiungersi ai 70 di domenica;
la prefettura ha già pubblicato un nuovo bando per raccogliere le manifestazioni di interesse di nuove strutture per l'ospitalità;
emerge in tutta la sua gravità la questione dei minorenni non accompagnati che devono essere trasferiti in centri diversi da quelli degli adulti;
domenica 26 giugno 2016, sono arrivati 140 tra ragazzi e bambini, il 28 oltre cento;
si registra una tensione in tutta l'Isola senza precedenti con continue proteste dei migranti che chiedono di lasciare al più presto l'Isola;
nei giorni scorsi nel comune di Sadali si è registrata una vera e propria rivolta contro il proprietario della struttura, la cui auto è stata gravemente danneggiata a colpi di bastone;
sono intervenute anche in questo caso numerose forze dell'ordine, una decina di auto di polizia e carabinieri;
tutto questo sta letteralmente smobilitando i servizi ordinari delle forze di polizia creando gravissimi disagi in tutta l'Isola;
emerge che i servizi immigrazione delle questure sono di fatto rimasti inalterati nelle forze a disposizione con gravissimi ritardi nell'espletamento del lavoro –:
se non intenda assumere iniziative per bloccare qualsiasi nuovo sbarco in Sardegna per le ragioni richiamate e soprattutto per quello che appare all'interrogante il chiaro tentativo di isolare tali migranti con la creazione di notevoli tensioni che mettono a rischio la sicurezza non solo delle forze dell'ordine;
se non si intenda verificare l'adeguatezza delle strutture utilizzate per l'accoglienza, con particolare riferimento alle norme sulla sicurezza;
se non si intenda affrontare il tema degli organici delle forze dell'ordine, considerata anche la peculiarità insulare della Sardegna. (4-13627)
REALACCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
come si evince da un recente comunicato stampa apparso sul sito del gruppo cooperativo «GOEL», famoso tra le varie attività per il primo marchio di moda eco-etica di fascia alta in Italia «Cangiari», un uliveto di un socio del gruppo cooperativo «GOEL», in provincia di Reggio Calabria, è stato colpito da un ennesimo atto criminale ed intimidatorio presumibilmente nella notte tra il 25 e il 26 giugno 2016;
nel predetto spazio temporale ignoti si sono introdotti nel podere di uno dei produttore della cooperativa GOEL BIO, in contrada Tavoleria a Stilo in provincia di Reggio Calabria, per tagliare numerose piante di ulivo;
dal 2009, con cadenza quasi annuale, l'azienda di Monasterace è stata oggetto di ripetute intimidazioni di natura incendiaria. Come non dimenticare poi che nel 2012 è stata addirittura distrutta parte della struttura di accoglienza agrituristica. Due anni fa si è tentato di appiccare fuoco al ristorante;
si tratta infatti di ben 8 intimidazioni mafiose in 7 anni contro GOEL. Tutte ad oggi impunite, eccone la cronologia:
10 agosto 2009 (incendio uliveto); 30 giugno 2010 (ritrovamento di una bottiglia contenente liquido infiammabile con accendino all'ingresso della locanda Cocintum); 24 settembre 2011 (incendio del quadro elettrico pompa per l'irrigazione); 23 gennaio 2012 incendio degli alloggi della casa padronale); 23 maggio 2013 (incendio di una botte esterna alla locanda); 3 settembre 2014 (incendio di un'altra botte esterna alla locanda); 31 ottobre 2015 (incendio di un ricovero di attrezzi agricoli); 27 giugno 2016 (taglio di alberi di ulivi);
l'ultimo atto intimidatorio appare di chiara natura criminale e intende evidentemente minare e fiaccare con i danni e la paura l'impegno e i sacrifici di coloro i quali hanno costruito, in un territorio con grandi potenzialità naturali, economiche e turistiche, ma ad altissima infiltrazione mafiosa della ’ndrangheta, come l'area jonica nella provincia di Reggio Calabria, una struttura imprenditoriale altissima qualità in una zona peraltro minata dalla criminalità e dalla disoccupazione;
la missione del consorzio GOEL, di cui fa parte «A Lanterna», come si legge dal sito di tutti gli appartenenti al gruppo cooperativo, si prefigge peraltro il «cambiamento della Locride e della Calabria nell'affermazione piena della libertà, della democrazia, della sussidiarietà, della giustizia sociale ed economica, del rispetto dei diritti delle persone e fasce sociali più deboli e marginali, del bene comune delle comunità locali e dei territori»;
tutte le realtà afferenti al gruppo cooperativo GOEL bio, oltre ad essere state colpite da altri atti intimidatori, sono caratterizzate dalla scelta di un modello di sviluppo sostenibile, legato alla Locride e rispettoso del lavoro e della legalità, con tutti i lavoratori regolarmente assunti;
l'interrogante ha presentato sulle ripetute minacce a GOEL due atti di sindacato ispettivo, l'8 settembre 2014 e il 3 novembre 2015, di quest'ultimo atto, il n. 4-10933, non è giunta, pur sollecitata con cadenza periodica, alcuna risposta –:
quali iniziative urgentissime di competenza intenda mettere in campo il Ministro interrogato per rafforzare il controllo del territorio e la presenza dello Stato nella Locride, affinché le sopraddette molteplici intimidazioni non abbiano più a verificarsi e affinché il rilancio legale e sostenibile di quel territorio non venga più minacciato dalla criminalità mafiosa; se non si intendano far conoscere i risultati del piano «Focus ’Ndrangheta» promosso a livello regionale dal Ministero dell'interno con specifico riferimento al territorio della Locride citato nella risposta all'interrogazione n. 4-05928. (4-13629)
RICCIATTI, MELILLA e QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il sindacato di polizia Siulp, per il tramite del segretario della provincia di Pesaro e Urbino Marco Lanzi, ha denunciato le condizioni di difficoltà del personale nell'adempiere ai doveri di istituto a causa della carenza del personale. In particolare, il segretario del Siulp, ha segnalato come nella notte tra domenica 26 e lunedì 27 giugno non era disponibile alcuna volante della polizia per l'ordinario servizio di pattuglia a causa della assegnazione della stessa al servizio scorta per otto profughi sbarcati nei giorni scorsi sulle coste siciliane, trasferiti da Montemarciano (Ancona) a Pesaro (fonte: Il Messaggero, ed. Pesaro, del 28 giugno 2016);
la segnalazione riportata è allarmante soprattutto in relazione al particolare periodo dell'anno, la stagione estiva, caratterizzata dal moltiplicarsi di furti e di episodi di microcriminalità, e dalla necessità di garantire l'ordine pubblico nelle diverse manifestazioni estive che interessano le città rivierasche della provincia di Pesaro;
il Ministero dell'interno ha disposto l'assegnazione per l'estate di 5 agenti della polizia di Stato e di 7 carabinieri, nonché di ulteriori 5 unità, che entreranno nell'organico della questura di Pesaro e Urbino in modo permanente;
tuttavia, ad oggi, come sottolinea lo stesso sindacato di polizia Siulp, la pianificazione dei carichi di lavoro non pare adeguata alle necessità di sicurezza ed ordine pubblico, in quanto parte rilevante del lavoro legato alla gestione dell'emergenza profughi ricade sulla polizia di Stato –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
quali iniziative intenda adottare per garantire una più efficace tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza nei comuni rivieraschi della provincia di Pesaro e Urbino;
se non intenda fornire chiarimenti in merito alle linee guida inviate alle prefetture sulla distribuzione delle incombenze tra le varie forze di polizia in ordine alla gestione dei profughi. (4-13631)
BERRETTA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
in data 22 giugno 2016 sul portale di informazione telematica «Sudpress» un articolo a firma di Serena Di Stefano sottolinea l'opacità nella gestione dei bandi pubblici per l'assegnazione di fondi PON sicurezza per lo sviluppo (obiettivo convergenza 2007/2013), dal valore di 750.000,00 euro, da parte del teatro Massimo Bellini di Catania;
nel citato articolo la presidentessa della fondazione Città Invisibile, Alfia Milazzo, afferma di non aver potuto accedere agli atti inerenti al bando per il progetto relativo alla costituzione di orchestre giovanili nei quartieri disagiati della città, nonostante la fondazione da 6 anni abbia realizzato il progetto dell'orchestra «Falcone e Borsellino» per i ragazzi dei quartieri di San Cristoforo e Librino;
nel citato articolo si fa presente che in uno dei progetti, il progetto «Manos Blancos», avviati dal Teatro, risulta tra gli aderenti l'associazione Afae che però attraverso il suo rappresentante legale nega di aver mai dato la sua adesione;
in altre occasioni sono stati sollevati dubbi sulla trasparenza delle procedure connesse alla gestione di tali fondi, da parte della direzione del Teatro, come nell'articolo del 24 settembre 2015, a firma di Mattia Gangi su «Sudpress»;
quali iniziative di competenza il Governo ritenga di dover intraprendere per verificare la correttezza nella gestione dei fondi del PON sicurezza per lo sviluppo da parte del teatro Massimo Bellini di Catania. (4-13633)
MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
come riportato nei giorni scorsi da quotidiani locali, tra cui La Provincia di Como, pare che sei immigrati ospitati a Cucciago, ma che si sarebbero dovuti trasferire a Caslino d'Erba, abbiano rifiutato la nuova destinazione, perché ritenuta troppo isolata, senza negozi e senza i servizi «richiesti»;
in particolare, secondo la ricostruzione fatta dalla stampa, il 21 giugno un pulmino con a bordo sei immigrati, di cui non è chiara la nazionalità, si è presentato in pieno centro, nell'area del vecchio lavatoio, per prendere possesso di un appartamento messo a disposizione da un privato cittadino;
giunti in loco, senza neanche scendere dal mezzo, i sei immigrati avrebbero subito chiesto di essere riportati a Cuggiago, perché il paese di Caslino non sarebbe stato di loro gradimento;
dopo essere stati portati a cena ad Erba dal conducente del pulmino e tornati a Caslino, i sei immigrati avrebbero nuovamente manifestato la volontà di non fermarsi nel paese e, davanti al rifiuto della cooperativa i Girasoli di Desenzano sul Garda, responsabile della loro accoglienza e del loro trasferimento, sarebbero scesi dal pulmino e, pare dopo alcuni tafferugli, da allora sarebbero spariti;
successivamente si è tenuta una riunione tra il sindaco e i responsabili della cooperativa I Girasoli di Desenzano sul Garda, perché giungerà in paese un altro pulmino con altri sei immigrati da alloggiare nello stesso appartamento, se di loro gradimento;
dal 21 giugno 2016 non si sa dove siano i sei immigrati e non se ne hanno più notizie, come confermato anche sui quotidiani locali da Andrea Gatti, direttore della cooperativa I Girasoli di Desenzano;
la vicenda è avvenuta nei giorni scorsi, ma è venuta alla luce soltanto recentemente e, pubblicata anche sul sito internet de La Provincia, ha provocato numerose reazioni e polemiche;
pare il Sindaco di Caslino, Marcello Pontiggia, non fosse stato nemmeno informato dalla cooperativa e dalla Prefettura del giorno e dell'ora dell'arrivo dei sei immigrati, ma ne venuto a conoscenza per caso, ossia da un caslinese che aveva visto il pulmino e gli immigrati aggirarsi per il paese;
Caslino è un tranquillo paese di 1.700 abitanti, situato tra le province di Lecco e Como, che per le sue attrattive è anche meta turistica –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa e se ciò trovi conferma;
se abbia notizia di casi simili a quello riportato dai quotidiani citati, quale sia l'identità e la nazionalità dei sei immigrati protagonisti della vicenda riferita, se siano stati rintracciati e dove siano stati nel frattempo i sei immigrati fuggiti;
se sia stata inoltrata in tempo utile comunicazione alla prefettura, da parte della cooperativa responsabile, del loro mancato rientro presso il centro;
quali siano state le iniziative adottate nel caso, in particolare se vi sia stata la perdita del diritto all'accoglienza e sia stato adottato un provvedimento di espulsione. (4-13635)
MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
qualche giorno fa nove immigrati, di origine sudanese e che erano stati recentemente trasferiti da Ventimiglia in Sardegna con altri connazionali, si sono sdraiati in segno di protesta sulla strada statale che collega Santa Teresa Gallura ad Olbia, paralizzando di fatto il traffico a Porto Pozzo;
secondo quanto riportato dalla stampa, pare che la protesta sia stata inscenata dai nove immigrati perché di non loro gradimento il trasferimento su un'isola, come appunto la Sardegna, in quanto ciò significherebbe il loro trasferimento in un centro dal quale sarebbe poi difficile uscire e, di fatto, ciò impedirebbe agli stessi di sottrarsi agli adempimenti di legge, tra cui l'identificazione e la verifica dei requisiti di soggiorno in Italia, e di raggiungere senza impedimenti i familiari in Francia e in Germania;
per ripristinare l'ordine pubblico sono dovute intervenire sul posto le forze dell'ordine, grazie alle quali ha potuto poi riprendere anche la regolare circolazione stradale;
questo episodio ha creato gravi disagi a cittadini e turisti, impedendo anche la normale circolazione del traffico;
simili proteste danneggiano l'immagine dell'isola e rischiano di comprometterne la stagione turistica;
attualmente a quanto consta all'interrogante sarebbero 118 gli immigrati alloggiati da sei mesi nel centro di accoglienza di Porto Pozzo e in teoria tale centro avrebbe dovuto essere «temporaneo»;
il numero degli immigranti è troppo alto rispetto a quello degli abitanti, considerato che d'inverno gli stanziali sono circa 150 e la località turistica rischia di trasformarsi in una colonia di immigrati, con sempre più gravi ripercussioni sulla sicurezza e sull'economia del luogo;
il numero delle forze dell'ordine a Santa Teresa di Gallura non è sufficiente a fronteggiare eventuali emergenze, nonostante queste svolgano in modo impeccabile il loro lavoro, pare inoltre che verrà chiusa la caserma della Guardia di finanza, rendendo di fatto impossibile presidiare in modo adeguato il territorio –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti riportati dalla stampa locale e se corrisponda al vero, che i 9 immigrati autori della protesta, saranno ospitati nel centro di accoglienza temporaneo di Porto Pozzo e, in caso affermativo, sulla base di quali valutazioni siano stati accolti; se nei Paesi di origine di tali immigrati siano in corso eventi bellici; se, in conseguenza dei fatti esposti e in particolare dei fatti che hanno comportato una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, siano state assunte iniziative per revocare le misure di accoglienza; se sia già stato emesso nei confronti di tali immigrati il decreto di espulsione dal territorio nazionale e se questi siano stati rimpatriati nei Paesi di origine; quanti siano gli immigrati ospiti del centro di Porto Pozzo; la durata dell'appalto del servizio di accoglienza temporaneo presso tale centro, se, anche alla luce delle considerazioni sopra esposte e della vocazione turistica della Sardegna, verranno effettuati sull'isola altri trasferimenti di immigrati o se sia invenzione ridurne il numero rispetto alle attuali presenze. (4-13639)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazioni a risposta in Commissione:
VEZZALI e MOLEA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
fra i disturbi specifici dell'apprendimento (DSA) si annovera la dislessia, un problema neurologico che spesso si evidenzia solo con la scolarizzazione del bambino;
non di rado si manifesta associato a disgrafia e difficoltà di lettura e di calcolo;
un soggetto dislessico può non presentare deficit di intelligenza o sensoriali e non essere affetto da problemi psicologici o ambientali;
in Italia questo disturbo che già coinvolge circa due milioni di persone è in crescita;
i ragazzi afflitti da questi disturbi hanno necessità di supporti didattici, spesso costosi, da utilizzare sia in ambito scolastico che presso il domicilio;
i soggetti con disturbi di apprendimento utilizzano software (correttori e lettori vocali) che consentono loro di superare lo sforzo che altrimenti farebbero per seguire le lezioni e fare le esercitazioni a casa;
molti di loro necessitano di sostegno professionale da parte di psicologi e logopedisti che può arrivare a costare anche 40/50 euro l'ora e che non tutte le famiglie possono permettersi;
in non pochi casi, il disturbo può essere recuperato, se solo i bambini venissero adeguatamente seguiti e aiutati, soprattutto sostenuti affinché non si scoraggino;
la certificazione di questo disturbo viene fatta dalle commissioni sanitarie regionali, ma, se queste non certificano un handicap o una invalidità, i soggetti (le loro famiglie) non beneficiano dell'indennità di frequenza;
l'indennità di frequenza, che si può percepire fino al compimento della maggiore età, è un contributo economico che non raggiunge i 300 euro al mese per 10 mesi all'anno, quindi è legata al periodo scolastico;
al pari dell'indennità che viene attribuita ai portatori di handicap e agli invalidi civili, viene erogata dall'INPS –:
se i Ministri interrogati non ritengano necessario assumere iniziative per definire dei parametri nazionali, validi per tutte le commissioni sanitarie regionali, che consentano di avere criteri e valutazioni uniformi al fine di stabilire il livello di gravità del disturbo e non discriminare i soggetti che presentano queste difficoltà;
se non ritengano utile assumere iniziative per inserire i soggetti dislessici (anche senza deficit di intelligenza o sensoriali) fra i beneficiari dell'indennità di frequenza proprio per sostenere le famiglie, non tutte in condizioni economiche tali da poter sopportare spese medico/professionali e tecnologiche necessarie, e garantire, così, a questi bambini un aiuto temporaneo che, se tempestivo, molto spesso si rivela risolutivo;
se non ritengano di dover adoperarsi, per quanto di competenza, affinché l'impegno finanziario pubblico risulti congruo per assicurare il medesimo trattamento a tutti i soggetti dislessici in età scolare, in attesa che gli accordi Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca/università consentano di affiancare a questi studenti del personale insegnante capace di utilizzare metodologie didattiche ad hoc. (5-09029)
ALBANELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
la legge 13 luglio 2015, n. 107, è intervenuta sul tema dei concorsi per dirigenti scolastici. Nel dichiarato intento di risolvere la questione, il legislatore ha disposto lo svolgimento di un corso intensivo di formazione «volto all'immissione dei soggetti di cui al comma 88 nei ruoli dei dirigenti scolastici»;
il decreto con il quale sono state successivamente definite le modalità di attuazione del predetto corso di formazione in ottemperanza alla previsione dell'articolo 1, comma 87, della richiamata legge è il decreto ministeriale n. 499 del 2015, il quale, all'articolo 3, ha previsto le modalità di espletamento della prova scritta finale;
l'applicazione del richiamato decreto ministeriale sembra non essere stata uniforme su tutto il territorio nazionale;
si apprende che l'ufficio scolastico regionale per la Sicilia ha adottato un'interpretazione restrittiva del decreto ministeriale n. 499 del 2015, a differenza di quanto effettuato da parte di altre regioni. In particolare, l'Ufficio scolastico regionale della Sicilia ha ritenuto che il corso di formazione previsto dalla legge n. 107 del 2015 e poi disciplinato in concreto dal decreto ministeriale n. 499 del 2015 avesse natura concorsuale e che pertanto la prova finale del corso comportasse l'attribuzione di punteggi ed individuazione di vincitori e, ove il punteggio fosse stato inferiore a 21/30, all'esito delle valutazioni da parte della commissione, anche l'individuazione di non idonei;
tale situazione ha generato una evidente disparità di trattamento: in altre regioni, come ad esempio in Lombardia e in Toscana, le prove dei corsi di formazione per l'immissione in ruolo nella qualifica di dirigente scolastico non hanno avuto carattere concorsuale, in quanto gli Uffici scolastici regionali hanno disposto l'immissione in ruolo di tutti coloro che avevano effettivamente svolto il corso di formazione e la prova finale;
appare opportuno rilevare come l'interpretazione proposta dall'Ufficio scolastico regionale della Sicilia non appaia pienamente aderente al disposto della legge n. 107 del 2015; l'articolo 1, comma 87, della legge demandava al decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (poi n. 499 del 2015) la definizione delle «modalità di svolgimento di un corso intensivo di formazione e della relativa prova scritta finale, volto all'immissione dei soggetti di cui al comma 88 nei ruoli dei dirigenti scolastici». Anche la finalità della prova finale doveva essere quella di consentire l'immissione in ruolo dei dirigenti scolastici e nulla prevedeva tale disposizione rispetto alla qualificazione di tale procedura, avente carattere evidentemente eccezionale, come concorsuale. La finalità della legge sulla buona scuola era quella espressamente dichiarata dallo stesso comma 87: «tutelare le esigenze di economicità dell'azione amministrativa e prevenire le ripercussioni sul sistema scolastico dei possibili esiti del contenzioso pendente relativo ai concorsi per dirigente scolastico di cui al comma 88». Invero così non è stato;
la disposizione non ha risolto i contenziosi in corso ed anzi ne ha generato di nuovi;
i contenziosi ai quali la richiamata disposizione faceva riferimento erano in particolare quelli relativi al concorso per dirigente scolastico pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 56 del 15 luglio 2011, e quelli riferiti ai concorsi del 2004 e del 2006;
appare opportuno soffermarsi, in particolare, sulle vicende che hanno caratterizzato il concorso bandito con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 26 novembre 2004, n. 94, in quanto queste risultano esemplificative di un modus operandi del tutto atipico e singolare, che si protrae da oltre dieci anni;
la buona scuola è stata adottata proprio al fine di porre fine ad un quadro di evidente anomalia che ha portato gli aspiranti dirigenti scolastici a dover sostenere per quasi dieci anni un continuo contenzioso con l'amministrazione;
per gli aspiranti dirigenti scolastici della Sicilia la procedura sembrerebbe, ancora una volta, aver recato l'apertura di nuovi contenziosi;
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, in tal caso se non ritenga opportuno adottare iniziative, se del caso tramite una circolare interpretativa del decreto ministeriale n. 499 del 2015, per precisare che la prova scritta di cui all'articolo 3 del medesimo decreto ha carattere meramente idoneativo e non concorsuale, in quanto la ratio della legge 13 luglio 2015, n. 107, è quella di risolvere i contenziosi pendenti prevedendo un percorso intensivo ed immediatamente abilitante. (5-09033)
Interrogazioni a risposta scritta:
VENTRICELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il personale educativo che opera nei convitti e negli educandati dello Stato è equiparato giuridicamente ai docenti di scuola primaria, ma di fatto non viene considerato nell'ambito della professione docente, tant’è che non è stato riconosciuto il diritto al bonus di 500 euro previsto dalla legge n. 107 del 2015, né è stata data la possibilità agli educatori in esubero di riconvertirsi sul sostegno, contrariamente a quanto avvenuto per altri docenti diplomati (docenti tecnico-pratici e titolari di A075 e A076);
molti educatori, pur risultando di ruolo, non hanno mai avuto una sede di titolarità, sia perché in alcuni casi il provveditorato ha stabilito la chiusura di alcuni convitti, sia a causa del taglio sugli organici operato dal Ministro pro tempore Gelmini;
molti di loro, quindi, risultano in esubero da anni e, come nel caso di alcuni educatori della provincia di Bari, la loro professionalità viene messa a disposizione dell'ambito territoriale di Bari, nel quale svolgono di fatto mansioni corrispondenti a quelle di funzionario esperto;
alcuni vengono chiamati, ad esempio, in sostituzione di funzionari in pensione che si occupavano della definizione degli organici della scuola secondaria di secondo grado del quarto ambito territoriale per grandezza di tutta la Nazione;
nel 1990, sempre nella stessa provincia di appartenenza degli educatori, si verificò una situazione di esubero del personale educativo della provincia di Bari e sei unità furono trasferite d'ufficio nei ruoli dell'amministrazione periferica, persino in sovrannumero sull'organico complessivo del provveditorato;
dato il precedente caso appena citato, nel 2010 alcuni educatori, non ancora contrattualizzati in maniera stabile, hanno presentato, richiesta di passaggio nei ruoli dell'amministrazione, trasmessa con parere favorevole dall'Ufficio scolastico regionale Puglia al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, poiché esiste un articolo di legge mai abrogato, articolo 73 legge n. 270 del 1982, che prevede espressamente: «il personale di cui al presente articolo può chiedere il passaggio nei ruoli del personale dell'amministrazione centrale e dell'amministrazione scolastica periferica del Ministero della pubblica istruzione. Tale passaggio sarà disposto d'ufficio nei confronti del personale in soprannumero.»;
non avendo ricevuto risposta dopo tale richiesta, gli educatori coinvolti hanno presentato nuovamente domanda nel marzo 2014 e, anche in questo caso, la richiesta è stata trasmessa con parere favorevole;
nonostante molti di loro abbiano provveduto, con il loro operato, a consentire un «corretto avvio dell'anno scolastico», così come riconosciuto dal provveditorato, questo personale educativo è collocato, ancora, in una specie di limbo, da quale non sembra riuscire a venir fuori –:
per quali ragioni – se di fatto questo personale non appartiene alla funzione docente – l'amministrazione neghi la possibilità di riconversione sul sostegno e non riconosca il diritto all'aggiornamento mediante l'attribuzione del bonus;
per quali motivi, allo stesso tempo, l'amministrazione neghi la possibilità di transitare nei ruoli degli uffici amministrativi, negando in questo modo l'applicazione di una legge ancora esistente. (4-13620)
SAMMARCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
dalla risposta alle interrogazioni n. 4-10170, 4-10704 e 4-13529 si apprende, con favore, che il prefetto di Roma, il 6 maggio 2016, ha disposto un'ultima proroga dell'incarico dei due commissari, specificamente mirata a consentire la ricostituzione degli organi di governo della Fondazione, «sicché la Fondazione Accademia di Danza (Fand) possa tornare subito dopo ad operare in regime ordinario»;
si apprende anche che i commissari hanno ritenuto opportuno che le attività della Fondazione fossero ridotte all'essenziale, in considerazione del fatto che «esse avrebbero comportato in ogni caso una certa alea di rischio e determinato, quindi, la possibile insorgenza di ulteriori posizioni debitorie e il potenziale peggioramento dei conti dell'ente»;
per ammissione degli stessi commissari la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della Fondazione è adeguata e consente il perseguimento degli scopi statutari, ma essi hanno precisato che «il consolidamento del debito totale dell'ente dipenderà in gran parte dall'esito dei giudizi in corso, nonché dall'eventuale prescrizione di buona parte dei crediti per i quali comunque non è stata finora avanzata alcuna pretesa»;
tuttavia i motivi di timore già rappresentati in numerosi atti ispettivo circa lo scioglimento e conseguente incorporazione della Fand nell'And erano tutt'altro che infondati, poiché si è andati ben oltre la «riduzione all'essenziale» delle attività: queste sono state completamente azzerate, persino la memoria della Fondazione è stata cancellata essendo venuto meno il sito web istituzionale, divenute inattive tutte le e-mail e risultando meramente figurativa la sede legale indicata dai commissari straordinari;
dalla memoria di replica nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, presentato dall'ex gruppo dirigente della Fand, con il quale è stata contestata l'insussistenza delle condizioni che hanno portato al commissariamento della Fondazione, depositata il 26 maggio 2016 presso il Dipartimento degli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, si viene a sapere che le parti controinteressate (prefettura di Roma e commissari straordinari della Fand), sono state messe dalla parte ricorrente nella condizione di spiegare le proprie ragioni nell'indicato procedimento, ma hanno eccepito l'irrituale notifica del ricorso giocando sulla situazione di incertezza (da esse stesse determinata) circa l'esatta ubicazione della sede della Fand: da un lato, sostenendo che la sede di Solarino (SR) – che pure era riportata nel certificato camerale – non fosse quella legale; dall'altro, facendo in modo di far risultare «trasferita» la fondazione dalla sede di Roma, che, in atti formali si assume essere la sede effettiva;
giova ricordare che il commissariamento della fondazione è stato disposto più che per la situazione patrimoniale, ma perché il consiglio di amministrazione, che ne aveva il potere in base allo statuto precedentemente approvato dalla prefettura di Roma, aveva, nel settembre 2014, trasferito la sede legale a Solarino per realizzare un Polo internazionale della danza grazie ad un accordo con gli enti della regione siciliana che avevano messo a disposizione uno spazio prestigioso in un immobile demaniale, peraltro senza alcun onere economico aggiuntivo e senza che questa decisione minimamente incidesse sul complesso intreccio dei rapporti tra l'accademia – che ne avrebbe avuto vantaggio – la fondazione è tenuta ad avere;
si segnala che, risulta dalla relazione del 17 febbraio 2011 del collegio ispettivo della prefettura di Roma, dalla quale emergeva già allora la grave situazione contabile ed economico-finanziaria – adottata dalla prefettura per giustificare il commissariamento, cui all'epoca non ha fatto seguito alcuna iniziativa da parte della medesima prefettura – è stata causata dalla disastrosa gestione precedente facente capo a Margherita Parrilla e Bruno Borghi, che si alternavano, allo stesso tempo, nella direzione sia di And che di Fand;
al momento del commissariamento, inoltre, la complessiva situazione economico-finanziaria e contabile era in risanamento come emerge dai bilanci consolidati 2011-2014. L'ammontare del mutuo acceso dalla gestione precedente era già stato dimezzato grazie all'azione del nuovo gruppo dirigente della Fand, in carica dal 2011 e dimessosi nel dicembre 2014;
il contenzioso tra And e Fand in essere sin dal 2011 è stato generato da reiterati impegni di spesa privi di copertura economica precedentemente assunti a carico della fondazione dalla gestione Parrilla-Borghi, in ordine al quale nessuna iniziativa è stata adottata dall'attuale direttore dell'And (già commissario dal 2013 dell'accademia);
le poche cause oggi pendenti sono di valore modesto e non in grado di alterare l'attuale situazione patrimoniale, economica e finanziaria della fondazione, mentre i giudizi definiti sono stati tutti favorevoli alla Fand, come nel caso Ballo sport dell'And del 2009, nel quale un noto artista ingaggiato dall'accademia aveva chiesto la condanna della fondazione al pagamento di 120 mila euro per lo spettacolo;
un'altra sentenza della corte di appello di Roma ha condannato l'And a restituire il villino Munoz per mancato pagamento del canone di locazione di 90.000 euro annui; un'ulteriore sentenza del tribunale di Roma del 17 maggio 2016 ha respinto la domanda dell'And contro la Fand di inadempimento della convenzione del 29 gennaio 2009 (a firma Parrilla e Borghi) da parte della fondazione e ha condannato l'And a pagare 72.000 euro, oltre ad interessi legali, alla Fand;
nelle interrogazioni parlamentari presentate dal 2011 a oggi si è cercato di capire se fosse in atto un disegno in base al quale, con le gestioni AND-FAND fino al 2011, sempre in mano alternativamente alle stesse persone, si sia tentato di utilizzare la Fondazione come ente nel quale scaricare i debiti dell'Accademia;
si è inoltre cercato di capire se, dalla data del commissariamento della fondazione, fosse in atto un tentativo di chiudere diverse tra le partite pregresse tra And e Fand, incorporando la fondazione nell'Accademia, in modo da chiudere le partite debito-credito, un atto, a giudizio dell'interrogante, contrario alla legge e al legato testamentario della fondatrice di entrambe le istituzioni, Jia Ruskaja;
un ulteriore elemento di incertezza in questa vicenda, è costituito dalla questione relativa alla procedura di nomina del direttore dell'Accademia, contestata in sede amministrativa, con un iter giudiziario durato dall'ottobre 2014 al giugno 2016. Il procedimento, sia pure giunto alla positiva conclusione che il direttore dell'Accademia «deve essere un compositore di danza», (riconoscendo la supremazia della norma istitutiva del 1948, rispetto alle norme successive), ha fortemente limitato l'operatività e la programmazione delle attività dell'accademia, costringendola praticamente ad operare in regime di gestione dell'ordinario;
l'Accademia è l'unica istituzione di alta formazione della danza presente in Italia; il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo la dovrebbe considerare un suo «fiore all'occhiello» e dovrebbe lavorare in modo che i rapporti con la Fand, a cui è demandata anche l'attività esterna dell'accademia, siano regolari, collaborativi e cristallini, in modo da creare un circuito virtuoso;
in questo quadro giova ricordare che la fondazione opera da sempre – ed è tenuta per statuto e per legato testamentario ad operare in autonomia – in stretto raccordo con l'accademia per la diffusione, mediante spettacoli, saggi, concorsi e borse di studio, della danza italiana in Italia e nel mondo –:
quali iniziative urgenti, anche eventualmente di natura finanziaria, i Ministri interrogati intendano adottare, per quanto di competenza, al fine di ripristinare l'ordinaria gestione e il prestigio sia dell'Accademia nazionale di danza che della Fondazione dell'Accademia nazionale di danza. (4-13630)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta scritta:
SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
dal 1o gennaio 2015 è entrata in vigore la riduzione dei trattamenti economici di mobilità prevista dalla «riforma Fornero»;
tale processo porterà nel 2017 ad unico trattamento di disoccupazione (la «NASPI») della durata di 12 mesi per tutti, a prescindere da età, territorio e settore produttivo, a differenza di quanto avviene con l'attuale disciplina;
i decreti attuativi del Jobs Act hanno definito la fine della mobilità in deroga nel 2016, ma nel frattempo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso la circolare 40/0005425 del 24 novembre 2014 ha escluso la possibilità di accedere alla mobilità in deroga per tutti i lavoratori che avrebbero terminato nel 2015 la mobilità ordinaria;
in tal modo, dunque, i lavoratori licenziati e collocati in mobilità che hanno avuto la mobilità in deroga nel 2014 hanno avuto la possibilità di continuare a percepirla per altri otto mesi, mentre coloro che nella stessa azienda hanno terminato la mobilità ordinaria nel 2015 non ha o avuto diritto neppure ad un mese di proroga;
eppure, inizialmente, il «decreto Poletti» n. 83473 del 1o agosto 2014 aveva lasciato la possibilità di accesso a tutti i lavoratori per altri otto mesi alla sola condizione di non aver superato 36 mesi di mobilità in deroga;
tale situazione ha creato una forte discriminazione per migliaia di lavoratori in tutta Italia, rimasti senza reddito per non aver mai usufruito di sostegno in deroga;
sulla scorta di tali norme la regione Campania ha, nel mese di aprile 2016, sottoscritto con un solo sindacato (e rompendo dunque l'unità sindacale) un'intesa sugli ammortizzatori sociali;
tale intesa ricalca, sostanzialmente, quanto sopra citato e crea dunque un'enorme differenza di trattamento tra chi ha concluso la fase di mobilità ordinaria nel 2014 e chi l'ha conclusa nel 2015;
in una regione come la Campania, fortemente colpita dalla crisi economica di questi ultimi anni, una condizione di tal fatta rischia di mettere in ginocchio centinaia di famiglie;
tale scenario risulta ancor più drammatico nella provincia di Caserta, in cui ad oggi circa 1.500 lavoratori del «bacino di crisi Caserta» e appartenenti alle ex-aziende metalmeccaniche, non hanno più nessun sostegno al reddito, nonostante gli impegni delle istituzioni nazionali, regionali e locali che prevedevano, a seguito dei fallimenti di gruppi storici internazionali e con le misure dei contratti di programma del 2008 e successivamente con i piani di azione e coesione, che avrebbero dovuto garantire nuove politiche attive e nuovo sviluppo;
un intervento del Governo per correggere questo ennesimo paradosso dovuto a politiche del tutto sbagliate diventa a questo punto doveroso –:
quali iniziative intenda assumere per evitare discriminazioni tra i lavoratori in base all'anno di fine della mobilità ordinaria che li ha coinvolti e per evitare di lasciare migliaia di lavoratori privi di ogni forma di sostegno al reddito. (4-13628)
MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
si apprende dal quotidiano Il Centro di un clamoroso caso di mala burocrazia in provincia di Teramo. Mariano Mariani è morto nel 1975, ma l'Inail qualche giorno fa gli ha chiesto il certificato di cessazione della ditta per chiudere il rapporto assicurativo;
è la storia che vede protagonista suo malgrado il defunto Mariano Mariani, che era titolare di un frantoio a Faiano, frazione a 3 chilometri da Montorio (TE);
a ricevere la comunicazione inviata dalla sede teramana dell'Inail è stato il nipote. Si legge nella missiva: «A seguito di accertamenti e ricerche effettuate dai funzionari amministrativi della sede il 6/06/2016, abbiamo rilevato, che sono venuti meno i requisiti per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Di conseguenza, a decorrere dal 31/12/1976, abbiamo provveduto a cessare il rapporto assicurativo individuato dal codice ditta numero...»;
il nipote, che porta lo stesso nome del defunto nonno ha pensato al principio fosse un errore poi dopo varie ricerche si è reso che la comunicazione riguardava non lui ma il suo defunto parente;
la comunicazione dell'Inail non finisce qui perché «per consentire all'Inail di effettuare il calcolo del premio dovuto», si legge ancora nella parte finale della lettera, «l'azienda deve presentare la dichiarazione delle retribuzioni entro il giorno 16 del secondo mese successivo alla data di cessazione. Entro tale termine deve essere effettuato il pagamento del premio eventualmente dovuto. Nel caso in cui dal calcolo risulti un credito a favore dell'azienda, quest'ultima può effettuare la compensazione sul modello F24 oppure presentare alla sede Inail competente domanda di rimborso, per la quale è indispensabile l'indicazione del codice Iban». Ma ci si chiede se da quel febbraio 1977, data entro la quale il signor Mariano avrebbe dovuto presentare la dichiarazione delle retribuzioni, eventuali crediti a favore dell'azienda dopo 40 anni non siamo caduti in prescrizione –:
se intenda assumere iniziative per verificare come sia potuto accadere questo episodio e di chi siano le responsabilità. (4-13632)
SALUTE
Interrogazione a risposta in Commissione:
LODOLINI, LUCIANO AGOSTINI e PETRINI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
con decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, recante Normativa relativa all'uso e alla commercializzazione di prodotti fitosanitari, si affida al Ministero della salute, d'intesa col Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e col Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il compito di adottare «specifiche disposizioni per l'individuazione dei prodotti fitosanitari destinati ad utilizzatori non professionali» nonché «le modalità di vendita agli utilizzatori non professionali di prodotti fitosanitari che non recano in etichetta la specifica dicitura: prodotto fitosanitario destinato agli utilizzatori non professionali»;
nel corso di questi anni si sono succeduti vari interventi normativi:
regolamento (CE) n. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 febbraio 2005 sui livelli massimi di residui di antiparassitari nei o sui prodotti alimentari e mangimi di origine vegetale e animale;
regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele;
direttiva 2009/128/CE, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi;
regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009 relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari;
decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, recante «Attuazione della direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi»;
tuttavia, il perdurare del mancato pronunciamento ministeriale, sta creando sul territorio nazionale una situazione di incertezza operativa riscontrata tra l'altro anche dagli stessi organismi di controllo;
ad acuire questo livello di difficoltà ha contribuito anche il fatto che alcune regioni sono rimaste in una posizione di attesa della regolamentazione ministeriale, mentre altre hanno deciso di legiferare in merito fissando procedure specifiche che hanno di fatto generato ulteriori difformità territoriali –:
se il Governo intenda in tempi rapidi adottare l'apposita disciplina e quali iniziative intenda assumere per chiarire alcune problematiche particolarmente sentite dalle imprese che operano nel settore della commercializzazione di prodotti per l'agricoltura, tematiche che tra l'altro si ripercuotono anche nei confronti degli utenti e consumatori finali operanti nel settore agricolo. (5-09030)
Interrogazioni a risposta scritta:
VACCA e DEL GROSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la difficile situazione dei pazienti affetti da CIDP, polineuropatia cronica infiammatoria demielinizzante, mette in luce una significativa carenza nel nostro sistema sanitario nazionale che coinvolge, naturalmente purtroppo, anche l'Abruzzo ed in particolare l'ospedale di Chieti (reparto neurologia);
la CIDP è una grave patologia del sistema nervoso periferico. Con le modalità specifiche di ciascun caso, le crisi arrivano a generare una progressiva paralisi degli arti, a cominciare dagli arti inferiori, con possibilità di evoluzione in tetra-paresi e con rischi di insufficienze respiratorie per paresi delle corde vocali;
la gravità di questa patologia dal risvolto doloroso e invalidante, nonché il disagio, sia fisico che psichico, di questi pazienti hanno giustamente motivato l'intenzione di una loro maggiore tutela da parte del nostro sistema sanitario nazionale. Intenzione legittimata dal fatto che la CIDP si trova iscritta nell'elenco delle malattie rare per le quali è prevista l'esenzione dalla partecipazione al costo della cura del Ministero della salute con il codice di esenzione RFO180;
a causa della varietà e della complessità dei sintomi clinici delle malattie rare, la norma non definisce puntualmente le prestazioni erogabili in esenzione, ma prevede, per quelle presenti nell'elenco allegato al decreto ministeriale 18 maggio 2001, n. 279, il diritto all'esenzione per tutte le prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza, necessarie a confermare la diagnosi, appropriate per il monitoraggio della malattia e per la prevenzione degli ulteriori aggravamenti;
in merito alla delicata situazione sopra esposta, si manifesta una grave discordanza tra intenti e realizzazione effettiva nelle condizioni di assistenza a questi pazienti, discordanza legata, in primo luogo, alle consistenti difficoltà di accesso al trattamento terapeutico più accreditato per tale patologia, la somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa (IVIg). L'ampia letteratura in merito, sia sul territorio nazionale che in ambito internazionale – non ultimo un recentissimo contributo, presente su affermate riviste internazionali, dei neurologi dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Humanitas, legato all'università di Milano – attestano che il trattamento con IVIg si trova in prima linea nella cura di neuropatologie autoimmuni e, in particolare, della CIDP;
la somministrazione di immunoglobuline è praticata in day hospital, a questi pazienti, con una certa regolarità che varia da caso a caso, presso le strutture ospedaliere di riferimento. Qualora questo iter incontri ostacoli, essi sono costretti, in caso di crisi in atto, a correre in pronto soccorso, dove vengono sottoposti a ricovero ospedaliero, nel corso del quale viene loro somministrata la terapia già menzionata;
la difficoltà di cui sopra si traduce nel fatto che, a dispetto della consistente e accreditata letteratura, nonché della stessa prassi ospedaliera, i pazienti si confrontano da alcuni anni con gravi restrizioni nell'accessibilità o disponibilità del farmaco: le loro esperienze evidenziano strutture farmaceutiche che affermano l'impossibilità di prescrizione del farmaco per il trattamento della CIDP oppure che, pur in presenza di specifiche richieste mediche e piani terapeutici autorizzati, non ne hanno la disponibilità, avendo esaurite le rispettive voci previste dal bilancio annuale. Emergono spiacevoli situazioni che attestano mancanza di chiarezza, per non dire gravi carenze, sulle condizioni di assistenza di questi malati e sulle loro possibilità di trovare sul nostro territorio nazionale una sollecita e adeguata tutela;
parlare di «difficoltà di reperimento del farmaco» per questi pazienti corrisponde all'oggettivo e sofferto aggravamento di una situazione già di per sé non facile, né indolore: difatti, se la somministrazione non è praticata tempestivamente, il peggioramento delle condizioni del paziente, al manifestarsi della crisi, si fa rapido e drastico e, conseguentemente, il recupero è più lento e sofferto –:
se il Ministero interrogato sia a conoscenza di quanto evidenziato in premessa e quali iniziative – anche di natura normativa – intenda predisporre al fine di risolvere la sopra indicata situazione di drammatica criticità, affinché agli intenti di tutela corrisponda un effettivo e pieno sostegno per coloro che, insieme alle loro famiglie, si trovano o possono trovarsi ad affrontare situazioni di così grave disagio. (4-13619)
ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
in data 25 maggio 2016, l'Antitrust, Autorità garante della concorrenza e del mercato, diffondeva attraverso i maggiori organi di stampa e televisione, i risultati di un'indagine conoscitiva sui vaccini per uso umano dal titolo «Un mercato più trasparente su costi e prezzi dei farmaci» nella quale si descriveva «Una spesa annua di 300 milioni di euro, a carico del Sistema Sanitario Nazionale, destinata a raddoppiare con l'approvazione del nuovo piano di prevenzione vaccinale. Un mercato mondiale di oltre 20 miliardi di euro, dominato da un oligopolio di quattro imprese multinazionali. Forti carenze informative su costi e prezzi dei prodotti; necessità di scelte mediche univoche e trasparenti, anche per orientare correttamente la domanda»;
l'indagine conoscitiva dell'Antitrust su «I mercati dei vaccini a uso umano», in particolare su quelli considerati essenziali perché qualificati come obbligatori o raccomandati dai piani nazionali, indaga su questo delicato mercato. L'Autorità, presieduta da Giovanni Pitruzzella, ha rilevato varie criticità sul piano della concorrenza, alcune riconducibili alla più generale struttura dell'industria vaccinale e ancor più del settore farmaceutico nel suo complesso, altre proprie della situazione italiana. Quanto alle questioni di portata generale, l'indagine ha accertato l'esistenza di un oligopolio fortemente concentrato su base mondiale, con quattro imprese multinazionali – GlaxoSmithrline, Sanofi Pasteur, MerckSharpDohme e Pfizer – che detengono oltre l'89 per cento in valore delle vendite complessive dei vaccini in un settore con un fatturato complessivo che supera attualmente i 20 miliardi di euro ed è da anni in forte crescita. Questo trend dipende in gran parte dallo sviluppo di prodotti innovativi che hanno prezzi ben più elevati di quelli tradizionali e sono coperti da esclusive di brevetto particolarmente complesse: ciò ostacola lo sviluppo di versioni generiche dei vaccini, in misura anche superiore agli altri mercati farmaceutici, con fenomeni di product differentiation che rendono più difficile la sostituibilità tra prodotti destinati a prevenire una medesima malattia. Le politiche commerciali adottate dai principali operatori (in particolare il tiered pricing o «prezzi a strati», a cui si aggiungono di frequente accordi di riservatezza sui prezzi praticati) comportano per i centri di spesa la difficoltà di definire in maniera congrua i propri acquisti. Nella percezione comune, tuttavia, i vaccini continuano a essere considerati farmaci tradizionali, economici e facilmente disponibili. Lo studio dell'Autorità suggerisce perciò interventi mirati – indicandoli in termini puntuali – per superare tali criticità concorrenziali, da adottarsi e condividere a livello internazionale;
dall'indagine conoscitiva dell'Antitrust, emerge: «[...]Con specifico riferimento all'Italia, l'Antitrust ha analizzato le dinamiche di offerta e domanda dei vaccini qualificati come essenziali nel periodo 2010-2015, quando i costi per l'acquisto di questi prodotti da parte del SSN sono stati mediamente di 300 milioni di euro all'anno. Rispetto a tali dinamiche, l'Agcm ha preso atto positivamente del processo attualmente in corso di riaggregazione della domanda pubblica intorno a un numero limitato di centrali di acquisto, considerandolo idoneo a bilanciare la concentrazione dell'offerta (countervailing buyer power): a giudizio dell'Autorità, è necessaria però una maggiore trasparenza informativa, a partire dalla più agevole disponibilità dei dati di aggiudicazione delle gare di appalto, in funzione della loro elaborazione per valutazioni di benchmark, oltre a buone pratiche amministrative. Più in dettaglio, l'indagine conoscitiva documento gli effetti positivi della concorrenza sull'andamento dei prezzi nell'interesse dei consumatori: quando si verifica un confronto commerciale tra prodotti diversi, infatti, i prezzi tendono a scendere in misura sensibile, anche in assenza di versioni cosiddette generiche. Risultano emblematici in questo senso i casi dei vaccini anti-papilloma virus e di quelli esavalenti, che costituiscono rispettivamente la terza e seconda voce di spesa vaccinale a carico del SSN (23 e 75 milioni di euro), dove si è assistito alla competizione diretta tra i prodotti di GlaxoSmithKline (Cervarix e Infanrix Hexa) e Sanofi-MerckSharpDohme (Gardasil e Hexyon). Nel caso dei vaccini anti-pneumococcici, prima voce della spesa vaccinale pubblica (84 milioni di euro), si è registrata invece una situazione di assoluta prevalenza di un prodotto, il Prevenar13 di Pfizer, preferito dalle stazioni appaltanti in quanto offre una copertura vaccinale per più ceppi sierotipici rispetto al prodotto concorrente, il Synflorix di GlaxoSmithKline. In assenza di decisioni ufficiali sull'eventuale equivalenza medica (da cui dipende la sostituibilità commerciale) di vaccini con coperture sierotipiche diverse, si è così assistito al perdurante monopolio di un prodotto, che, pur a fronte di volumi di vendita crescenti e garantiti nei confronti del SSN, ha aumentato negli anni i propri prezzi. L'Antitrust segnala pertanto la necessità che le autorità mediche competenti adottino posizioni chiare, trasparenti e indipendenti: sia in ordine all'inclusione di una determinata vaccinazione nei piani nazionali di prevenzione e ai conseguenti livelli essenziali di assistenza; sia in merito ai profili di equivalenza medica tra prodotti vaccinali. Per consentire un riequilibrio dei rapporti commerciali tra offerta e domanda, l'Autorità propone inoltre di includere i vaccini in classi di rimborso che assoggettino i prezzi a una contrattazione preventiva con AIFA per quei prodotti che, dopo essere stati registrati in classi a prezzo libero, vengano compresi nei piani nazionali di vaccinazione, tenuto conto che ciò garantisce acquisti continuati di grandi volumi e in vista di opportune valutazioni sconti-qualità»;
in Italia sono obbligatorie per tutti i nuovi nati le vaccinazioni contro difterite, tetano, poliomielite, epatite B. Il Ministero della salute raccomanda le vaccinazioni per prevenire meningite, morbillo, parotite, pertosse, rosolia, varicella e infezione da papillomavirus. Poi c’è il caso del Veneto, regione, che nel 2007 ha deciso di affidarsi alla scelta consapevole dei cittadini sospendendo l'obbligatorietà delle vaccinazioni pediatriche, in nome della libertà di scelta garantita dall'articolo 32 della Costituzione e dalla Convenzione di Oviedo del 1997. Le cifre sulla vaccinazione obbligatoria parlano chiaro: 280 milioni di cittadini europei beneficiano della libertà di scelta informata sulla vaccinazione, ma molti altri ancora no. Le vaccinazioni sono obbligatorie nei Paesi membri dell'Unione europea Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, così come nei Paesi candidati membri Macedonia, Montenegro, Serbia ed altri;
si precisa come la vaccinazione resa obbligatoria con sanzioni, isolamento, processi e sentenze di non conformità nega i principi della «Dichiarazione universale dei diritti Umani», in quanto viola la dignità della persona e la sua integrità fisica. Una decisione della Corte europea dei diritti umani, pubblicata nel 2002, afferma che in quanto trattamento sanitario non volontario, la vaccinazione obbligatoria interferisce con il diritto alla privacy così come garantito dall'articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
la «Carta dei dirti dell'Unione europea», all'articolo 3 «Diritto all'integrità della persona» a) ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. b) della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge. Inoltre, la «Convenzione sui diritti del bambino delle nazioni unite», adottata e aperta alla firma, ratificata dall'Assemblea generale con risoluzione 44/25 del 20 novembre 1989 ed entrata in vigore internazionale il 2 settembre 1990, in accordo con l'articolo 49», afferma all'articolo 6, a) gli Stati Parti riconoscono che ogni fanciullo ha un diritto inerente alla vita. b) Gli Stati Parti assicurano in tutta la misura del possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo;
in data 3 giugno 2016, il quotidiano « Il Corriere della Sera» pubblicava un articolo a firma di Annalisa Grandi e Cristina Marrone, dal titolo «Vaccini e autismo, i consulenti della Procura di Trani» nel quale si descriveva come: «[...]»Linee guida Oms inadeguate». E dai consulenti della Procura di Trani è arrivata anche la critica alle linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, Acip (Advisory committee on immunization practices) e Aafp (the American academy of family physicians) «non sembrano assolutamente adeguate per promuovere una corretta sicurezza vaccinale» e anche per rispettare il «principio di precauzione» che dovrebbe essere il pilastro di ogni intervento sanitario». In particolare, sottolineano «stupisce che si limitino semplicemente a dire che i vaccini non dovrebbero essere usati se il paziente ha febbre alta o altri segni di malattia grave». Le linee guida, scrivono Rezza e i medici Aldo Ferrara e Francesca Fusco «Sembrerebbero invece finalizzate solo a promuovere le vaccinazioni pediatriche focalizzandosi semplicemente sulla loro utilità nell'evitare quella specifica patologia per cui il vaccino è stato preparato». «L'Oms – proseguono i consulenti – dimentica per esempio di consigliare una attenta e dettagliata raccolta anamnestica delle condizioni fisiologiche e patologiche del bambino, ma anche dei suoi familiari, unitamente ad una valutazione dell'ambiente in cui vive, su come viene alimentato e trattato e sulle caratteristiche psico-comportamentali dei genitori. A ciò si associa la frequente disattenzione sulle condizioni del bambino nei 40 giorni antecedenti l'inoculo vaccinale in relazione a comparsa di febbre, virosi, patologie esantematiche fruste, somministrazioni anche estemporanee di farmaci a qualunque livello immuno-interferenti quali, ad esempio, steroidi anche in formulazioni topica dermatologica, anche banali patologie, contratte in ambito scolastico o da nido materno». Il commento dell'esperto Alberto Villani, vicepresidente della Società italiana di pediatria chiarisce le critiche emerse sulle linee guida dell'Oms: «Le linee guida dell'Oms sui vaccini sono elaborate per tutto il mondo, e vanno poi adattate ai singoli paesi. Un'organizzazione che deve basarsi sull'intero mondo ha parametri diversi da quelli che può avere un paese come il nostro. Le linee guida tengono conto della situazione di tutti, poi sta al singolo stato adattarsi. Da noi le procedure vanno benissimo così come sono, bisogna lavorare però sulla cultura medica della popolazione italiana, che al momento è la più bassa d'Europa». Secondo Villani chiedere dei test che verifichino la capacità del sistema immunitario di tollerare la vaccinazione non ha senso: «Un banale raffreddore determina in, un organismo una risposta anticorpale equivalente ad eseguire più di mille vaccinazioni – sottolinea l'esperto –. Per quanto riguarda i test non c’è nessuna ragionevolezza neanche nel proporli, non esistono test, non vanno fatti. La salute dei bambini non lo richiede, forse servono per qualcuno che ha interessi economici [...]» –:
se il Ministro interrogato non intenda chiarire la strategia del Governo per fronteggiare, nel contesto italiano, gli effetti negativi dell'attuale sistema oligopolico descritto dall'Antitrust, fortemente concentrato su base mondiale, con quattro imprese multinazionali, GlaxoSmithKline, Sanofi Pasteur, MerckSharpDohme e Pfizer;
se e attraverso quali modalità delle risorse per il nuovo piano di prevenzione vaccinale si accompagnato anche da meccanismi di maggiore concorrenza per portare i prezzi ad un loro abbassamento e se il Ministero metterà in campo iniziative per un maggior sviluppo di versioni generiche dei vaccini;
se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per dare seguito alle raccomandazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato che, sottolineato il fatto positivo della creazione delle centrali di acquisto, propone una maggiore trasparenza informativa, a partire dalla più agevole disponibilità dei dati di aggiudicazione delle gare di appalto, in funzione della loro elaborazione per valutazioni di benchmark, oltre a buone pratiche amministrative;
se e quali iniziative si intendano adottare per consentire ai cittadini italiani, vista anche la raddoppiata disponibilità economica del nuovo piano vaccinale, di vaccinare i figli solo con le vaccinazioni obbligatorie, attraverso l'offerta di un pacchetto vaccinale che non comprenda i vaccini non obbligatori, in modo tale da garantire la libertà di scelta e produrre un abbassamento del numero dei genitori che decide di non vaccinare i figli, a causa del fatto che il pacchetto vaccinale esavalente solitamente offerto contiene vaccini non obbligatori;
se e come intenda integrare le linee guida nazionali promuovere la raccolta anamnestica delle condizioni fisiologiche e patologiche del bambino prima della vaccinazione, ma anche dei suoi familiari, unitamente ad una valutazione dell'ambiente in cui vive e alle condizioni del bambino nei 40 giorni antecedenti l'inoculo vaccinale, in relazione a comparsa di febbre, virosi, patologie esantematiche fruste, somministrazioni anche estemporanee di farmaci a qualunque livello immuno-interferenti, quali, ad esempio, steroidi anche in formulazioni topica dermatologica. (4-13622)
CENSORE, AIELLO, COVELLO e MAGORNO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
è cronaca di queste ultime ore che, a giudizio della procura della Repubblica di Vibo Valentia esistono fondate motivazioni scientifiche e procedurali tali da giustificare la sottoposizione a sequestro di quattro ripetitori di diffusione radiotelevisiva e telefonica, ricadenti nel limitrofo comune di Stefanaconi, ancorché situati tra il cimitero ed il castello normannosvevo della città capoluogo di provincia;
dal provvedimento, eseguito il 21 giugno 2016 dalla polizia giudiziaria su disposizione della procura della Repubblica di Vibo Valentia, è emerso, tra le altre cose, che l'Arpacal avrebbe rilevato emissioni elettromagnetiche superiori alla norma, fuori dai limiti imposti dalla legge;
a Stefanaconi, comune limitrofo a Vibo Valentia, da anni un comitato civico sta conducendo una scrupolosa campagna, denunciando rischi altissimi e concreti per la locale comunità;
gli effetti dell'assorbimento di energia elettromagnetica sono ormai noti, così come note e chiare sono diverse evidenze scientifiche indicanti correlazioni con l'insorgenza di patologie anche gravi;
la tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo è stata riservata allo Stato dall'articolo 4 della legge n. 36 del 22 febbraio 2001 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici);
con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003, emanato su proposta del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro della salute, sono stati individuati i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità per la protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici;
con la risoluzione del 24 aprile 2009 il Parlamento europeo ha esortato i Paesi membri ad adottare seri e urgenti provvedimenti cautelativi nei confronti delle esposizioni ai campi elettromagnetici –:
quali iniziative di competenza intenda assumere per ricondurre i livelli di qualità per la protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici a quelli suggeriti da recenti rapporti citati nella risoluzione del Parlamento europeo del 24 aprile 2009 di cui in premessa. (4-13625)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
notevole è la valenza paesistico ambientale del territorio del comune di Monte San Vito (An) e le sue molteplici peculiarità;
con la nota del ministero dello sviluppo economico prot. n. 13027 del 16 giugno 2015, è stato comunicato al comune di Monte San Vito che la società SNAM Rete Gas ha richiesto l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio, presso l'impianto di Falconara Marittima, dell'unità di misura e filtraggio per i metanodotti in uscita dell'impianto Eni E&P, ovvero «Met. Radd. Coll. Centrale Agip Falconara al RA-CH DN 500 (20")» e «Mat. Coll. Centrale Agip Falconara al RA-CH DN 250 (10")»;
l'opera prevede l'installazione ed i ricollegamenti alla rete degli allacciamenti esistenti nonché la realizzazione di n. 2 «impianti trappola» a monte e valle dei suddetti metanodotti, rispettivamente in comune di Falconara Marittima ed in comune di Monte San Vito, al fine di ispezionare i gasdotti per la pulizia periodica;
con la deliberazione giunta municipale n. 143 del 22 ottobre 2015, il comune di Monte San Vito ha preso atto del documento istruttorio del responsabile III settore — tecnico manutentivo nel quale sono riportate osservazioni e prescrizioni al progetto preliminare presentato dalla Società SNAM Rete Gas denominato «met. Radd. e coll. Pozzi Agip Falconara al ra-ch, varianti per installazione trappole e filtri, DN 500 (20") DN 250 (10"), DP 70 bar e opere connesse – ditta Snam Rete Gas – provvedimenti» ed ha espresso parere contrario all'intervento adducendo le seguenti motivazioni:
a) non sono descritte le emissioni in atmosfera che possono derivare dagli sfiati, dalle attività di controllo e manutenzione, dalle candele di scarico avente altezza di ml. 9,20 ed eventualmente dalle unità di misura e filtraggio;
b) per la fase di esercizio non sono previste mitigazioni per la componente atmosfera;
c) l'area interessata dall'intervento di metri quadri 4.230 è ubicata nelle immediate vicinanze di area che il ha individuato come area a rischio esondazione «R4» e quindi a rischio molto elevato in quanto interessata dal corso d'acqua del Torrente Triponzio;
il comune di Monte San Vito con delibera consiliare n. 65 del 19 novembre 2015 ha preso atto della conformità alla vigente normativa urbanistica comunale del progetto presentato dalla società SNAM Rete Gas ed ha confermato il parere contrario già espresso con deliberazione giunta municipale n. 143 del 22 ottobre 2015;
il dirigente della P.F. valutazioni ed autorizzazioni ambientali della regione Marche con decreto n. 34 del 22 aprile 2016 ha escluso il progetto in questione dalla procedura di valutazione impatto ambientale;
è imminente la convocazione, da parte del Ministero dello sviluppo economico, della conferenza di servizi, ai sensi dell'articolo 14 della legge n. 241 del 1990, in riferimento alla procedura per l'autorizzazione alla costruzione, con accertamento della conformità urbanistica, apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e dichiarazione di pubblica utilità ex decreto del Presidente della Repubblica 327 del 2001;
con la delibera di giunta comunale n. 84 del 14 giugno 2016 il comune di Monte San Vito ha preso atto del documento istruttorio del responsabile del III settore tecnico manutentivo del 13 gennaio 2016, redatto a seguito dell'esclusione del progetto dalla procedura di valutazione di impatto ambientale, ed ha confermato il parere contrario alla realizzazione del progetto presentato dalla società SNAM Rete Gas;
il documento istruttorio di cui sopra contiene ulteriori elementi e motivazioni a sostegno dell'espressione del parere contrario da parte della giunta comunale alla realizzazione dell'opera sottolineando, in particolare, gli aspetti ed i settori sui quali si avrebbero ricadute negative a seguito della realizzazione dell'intervento e precisamente:
a) esistono produzioni agricole di pregio:
il comune di Monte San Vito ha ottenuto per molti anni consecutivi il riconoscimento della «bandiera verde» per l'agricoltura a dimostrazione dell'importanza che l'attività agricola e di tutela ambientale riveste per il suo territorio. Il comune è altresì tra i soci fondatori dell'Associazione nazionale città dell'olio. Infatti, le zone circostanti l'edificando impianto, sono interessate da attività agricole con produzioni agricolo-alimentari quali vigneti e oliveti tipiche e proprie del territorio comunale. Tutto il territorio di Monte San Vito, ma in particolare i terreni in adiacenza all'edificando impianto sono vocati alla produzione di olio extravergine di oliva con certificazione biologica; nell'area circostante è insediata un'azienda che produce olio extravergine di oliva biologico certificato che negli anni ha ottenuto riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale tanto da essere l'unica Azienda marchigiana a rappresentare la regione Marche all'EXPO 2015 di Milano. Tale azienda e le sue produzioni olivarie, che provengono da luoghi vicini a quello in cui si vorrebbe insediare l'impianto, rappresentano, a livello nazionale ed internazionale un'eccellenza italiana. L'Azienda in questione è la più importante testimoniai delle Marche nel mondo per il pregio e la qualità biologica dei suoi prodotti. Attraverso l'esposizione dei prodotti made in Monte San Vito, l'Azienda ha esportato nel mondo l'immagine della bellezza del territorio e del paesaggio in cui la produzione interamente biologica viene realizzata. Da anni tale produttore locale si dedica alla produzione biologica e si batte pubblicamente per tenere alta l'attenzione sulle tematiche agro-ambientali e su quelle relative all'impatto ambientale;
oltre a tale azienda, in zona ve ne sono altre che si distinguono per la produzione biologica di vino lacrima di Morro d'Alba DOC, essendo le stesse all'interno dell'area di produzione della DOC «Lacrima di Morro d'Alba» e che hanno ottenuto importantissimi riconoscimenti in manifestazioni a rilevanza nazionale, come il Vinitaly. Anche tali aziende svolgono la propria attività produttiva in regime biologico secondo le norme che regolano l'agricoltura biologica;
b) l'area è a vocazione turistica:
l'area di interesse paesistico-ambientale è collocata a ridosso di percorsi agrituristici a valenza sovracomunale caratterizzati da una costante presenza di persone. Nelle adiacenze dell'area interessata dall'impianto, negli anni sono state avviate strutture agrituristiche e bed and breakfast che fanno della bellezza del territorio, della qualità dell'aria e delle produzioni eno-gastronomiche biologiche locali il loro punto di forza. Il loro biglietto da visita principale è costituito dal mettere a disposizione dei clienti prodotti della terra chilometri 0, coltivati lontano da fonti inquinanti e da potenziali rischi di inquinamento. Tutte queste strutture hanno nel loro «DNA» la filosofia dell'agricoltura biologica che dà importanza all'intero eco sistema agricolo, cercando di sfruttare la fertilità del terreno favorendola con interventi limitati che escludono l'impiego di prodotti chimici e di fertilizzanti. Con questa filosofia nelle strutture agrituristiche e nelle molte aziende agricole presenti sul territorio, vengono prodotti frutta, uova, patate e legumi ed allevati animali da cortile poi utilizzati per gli avventori i locali ristoranti;
c) quanto al consumo di suolo:
l'intervento prevede una occupazione di ulteriore area per una superficie di circa metri quadrati 4.000 posizionati su una zona pianeggiante di fondovalle attualmente dedicata ad attività agricola e ad alta percezione visiva così come descritta nei punti che precedono;
d) si riscontra la presenza di aree abitate:
nelle immediate vicinanze sono presenti degli edifici di civile abitazione –:
se il Governo non intenda attivarsi, considerate le motivazioni di cui sopra, affinché siano trovate possibili soluzioni alternative a quelle individuate nel progetto presentato dalla Società SNAM Progetti e denominato «met. Radd. e coll. Pozzi Agip Falconara al ra-ch, varianti per installazione trappole e filtri, DN 500 (20") – DN 250 (10"), DP 70 Bar e opere connesse», privilegiando aree sulle quali possano essere causati minori impatti dal punto di vista paesaggistico ed ambientale. (5-09026)
BECATTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il 12 dicembre 2006 il Parlamento europeo e il Consiglio europeo hanno approvato la direttiva 2006/123/CE, meglio nota come direttiva Bolkestein, con lo scopo facilitare la creazione di un libero mercato dei servizi in ambito europeo. L'Italia ha dato attuazione alla direttiva mediante i decreto legislativo n. 59 del 26 marzo 2010;
col citato provvedimento il Governo italiano ha deciso di applicare tale direttiva anche al settore del commercio ambulante su aree pubbliche. Il Parlamento europeo, con risoluzione n. (2010/2109 (INI)), ha preso atto tuttavia della forte preoccupazione espressa dai venditori ambulanti nei confronti della possibilità che la direttiva 2006/123/CE possa essere applicata negli Stati Membri estendendo il concetto di «risorsa naturale» anche al suolo pubblico, producendo limitazioni temporali alle concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche che sarebbero gravemente dannose per l'occupazione, la libertà di scelta dei consumatori e l'esistenza stessa dei tradizionali mercati rionali;
l'Italia è diventata così l'unico paese nell'Unione, insieme alla Spagna, ad aver applicato la direttiva Bolkestein al commercio ambulante;
il recepimento della direttiva Bolkestein nell'ambito dei mercati ambulanti comporta, fra le altre cose, l'apertura del settore a nuove imprese straniere e multinazionali – comprese società di capitali –, il divieto di rinnovo automatico delle concessioni e l'assegnazione degli spazi pubblici tramite bandi con divieto di favorire il prestatore uscente, come previsto dagli articoli 11, 16, comma 4, e 70, comma 1, del decreto legislativo n. 59 del 2010;
la conferenza unificata fra regioni e province autonome ha raggiunto il 5 luglio 2012 un accordo, in attuazione dell'articolo 70, comma 5, del decreto legislativo n. 59 del 2010, che prevede una proroga dell'attuale situazione fino al 7 maggio 2017, seguita da un regime transitorio di licenze, della durata compresa fra i 9 e i 12 anni, durante il quale i comuni potranno assegnare gli spazi secondo criteri che tengano conto dell'anzianità di servizio nell'esercizio del mercato su aree pubbliche, per tutelare le imprese che già svolgono la loro attività in tali mercati. La Spagna ha fissato a 75 anni la durata di un simile regime transitorio a tutela delle imprese già presenti;
le misure previste dal decreto legislativo n. 59 del 2010, malgrado il regime transitorio approvato dalla conferenza unificata, non tengono conto delle peculiarità di queste attività, quasi sempre imprese individuali o a dimensione familiare, che difficilmente potrebbero competere in un mercato così aperto. Inoltre il decreto legislativo menzionato fa venire meno i requisiti di stabilità necessari per programmare investimenti in strutture e personale, nonché per recuperare gli investimenti già realizzati e indispensabili per garantire un'offerta migliore. Infine questa tipologia di mercati, impiegando circa 500.000 addetti a livello nazionale, fa parte del tessuto economico delle nostre città, nonché della loro immagine turistica e tradizionale, che anche per questo necessiterebbero di maggior tutela;
alcune associazioni che rappresentano gli interessi dei commercianti ambulanti hanno richiesto che venga rivista la decisione di applicare la direttiva Bolkestein al commercio ambulante, o che quantomeno si preveda l'estensione della durata del regime transitorio delle concessioni per un tempo abbastanza ampio da permettere l'ammortamento degli investimenti realizzati, così come fatto in Spagna;
alcune regioni stanno approvando documenti coerenti con le proposte delle associazioni sopra citate: la regione Puglia con la mozione n. 106/2016 e la regione Piemonte con una proposta di legge (Atto Camera 3700) recentemente approvata dalla III commissione del consiglio regionale in sede legislativa e successivamente trasmessa al Parlamento, finalizzata a prevedere che l'Italia escluda il commercio ambulante dall'ambito di applicazione della direttiva Bolkestein per tutelare le piccole imprese del settore;
le associazioni di categoria di cui sopra hanno anche osservato che l'intesa raggiunta dalla conferenza unificata il 5 luglio 2012 pone ulteriori difficoltà ai commercianti ambulanti che operano in comuni diversi, poiché non prevede l'utilizzo di regole omogenee per l'istituzione dei bandi, lasciando libertà di applicare criteri differenti sul territorio;
per cercare di porre rimedio a quest'ultimo problema la regione Toscana ha sottoscritto l'11 ottobre 2013 un protocollo d'intesa con Anva Confesercenti, Anci Toscana e Fiva Confcommercio, col quale si impegna a favorire e a sostenere l'uniforme applicazione della nuova disciplina in materia di commercio sulle aree pubbliche all'interno della regione;
sempre nel consiglio regionale della Toscana è stata presentata il 16 giugno 2016 una mozione (n. 424) affinché la giunta regionale riferisca sullo stato di attuazione delle norme previste dalla conferenza unificata del 5 luglio 2012 e dal protocollo d'intesa dell'11 ottobre 2013, così da promuovere insieme al Governo un'ulteriore fase di approfondimento del quadro giuridico in materia –:
se il Governo sia a conoscenza della questione e dei documenti di cui in premessa approvati dalle Regioni;
quale sia l'orientamento del Governo in merito, tenuto conto che fino ad oggi solo Spagna ed Italia hanno recepito la direttiva in materia di commercio ambulante su aree pubbliche, peraltro con modalità molto diverse riguardo alla durata delle concessioni;
se sussista il rischio che si verifichi un'applicazione dell'intesa, raggiunta in sede di conferenza unificata, diversa da comune a comune, potendosi così generare un appesantimento burocratico che va contro la spinta alla semplificazione prevista da recenti misure normative;
se il Governo non consideri ragionevole la proposta avanzata da alcune associazioni del settore, di una proroga dell'attuale sistema di concessioni fino al 2020, così da favorire un approfondimento del quadro giuridico in materia. (5-09031)
Interrogazione a risposta scritta:
SBROLLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
Nestlé Italiana s.p.a. e Sanpellegrino s.p.a sono proprietari dei marchi di bibite Acqua Recoaro®, Acqua Brillante Recoaro® e Gingerino® prodotte presso lo stabilimento di Recoaro Terme (VI);
nelle ultime settimane Nestlè-San Pellegrino ha manifestato la volontà di cedere parte dei rami dell'azienda mettendo a rischio il futuro degli stabilimenti produttivi e dei relativi posti di lavoro;
all'interno delle pagine de Il Giornale di Vicenza, in data 18 giugno 2016, è stata data la notizia che l'azienda Nestlè-Sanpellegrino intende vendere lo stabilimento di imbottigliamento di Recoaro senza i marchi storici Gingerino® e Acqua Brillante®:
i dipendenti dello stabilimento, i rappresentanti politici e le organizzazioni sindacali, tanti ex lavoratori hanno dato vita a più manifestazioni e scioperi sfilando dallo stabilimento al municipio. Il prossimo 1o luglio 2016 alle ore 11,30 è previsto un incontro convocato dal sindaco del comune di Recoaro Giovanni Ceola;
gli amministratori locali, i sindacati ed i lavoratori chiedono a gran voce la tutela dei marchi e la difesa dei lavoratori; Gingerino® e Acqua Brillante® sono linee produttive che sembrano generare profitto alla proprietà, allo stesso tempo costituiscono un patrimonio non solo economico ma anche storico ed identitario fortemente legato al comune di Recoaro Terme;
la presenza dello stabilimento nell'area della Valle dell'Agno rappresenta una ricchezza economica per tutta la comunità e il mantenimento dei marchi storici costituisce un elemento di salvaguardia dei posti di lavoro e una possibilità di sviluppo per tutta la zona –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
con quali iniziative il Governo stia operando o intenda operare per prevenire la «desertificazione» industriale delle aree periferiche ai grandi centri urbani;
se e come il Governo intenda vigilare in proposito e pervenire a un chiarimento sulla vendita dello stabilimento Nestlè-San Pellegrino di Recoaro Terme. (4-13621)
Apposizione di firme ad una mozione.
La mozione Ghizzoni e altri n. 1-01312, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Antezza, Amoddio.
Apposizione di firme a risoluzioni.
La risoluzione in Commissione Laffranco n. 7-00964, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Sandra Savino.
La risoluzione in Commissione Petrini e altri n. 7-01023, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lattuca.
La risoluzione in Commissione Petrini e altri n. 7-01027, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lattuca.
Apposizione di firme ad una interrogazione.
L'interrogazione a risposta scritta Scagliusi n. 4-13609, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Del Grosso, Manlio Di Stefano, Sibilia, Grande, Spadoni, Petraroli, Nesci, Battelli.
Modifica dell'ordine dei firmatari di una mozione.
L'ordine delle firme della mozione Locatelli e altri n. 1-01291, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 giugno 2016, si intende così modificato: Locatelli, Malisani, Nicchi, Buttiglione, Fitzgerald Nissoli, Palese, Matteo Bragantini, Tidei, Cimbro, Chaouki, Furnari, Cristian Iannuzzi, Civati, Lo Monte, Pastorelli, Quintarelli, Marzano, Labriola, Franco Bordo, Kronbichler, Pellegrino, Di Lello, Zampa, Binetti, Piccone, Causin, Nicoletti, Roberta Agostini, Carloni, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Romanini, Gribaudo, Iacono, Patrizia Maestri, Quartapelle Procopio, Schirò.
Pubblicazione di testi riformulati.
Si pubblica il testo riformulato della mozione Grillo n. 1-01178, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 575 del 23 febbraio 2016.
La Camera,
premesso che:
la deliberazione del CIPE del 1o febbraio 2001, n. 3, individua i criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci;
la legge 16 novembre 2001, n. 405, e successive modificazioni ed integrazioni recante interventi urgenti in materia di spesa sanitaria, all'articolo 7, prevede che i medicinali non coperti da brevetto aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali, sono rimborsati al farmacista dal Servizio sanitario nazionale (SSN) fino alla concorrenza del prezzo più basso del corrispondente farmaco generico disponibile;
secondo quanto disposto dal comma 2 dell'articolo 48 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa), è sottoposta alle funzioni di indirizzo del Ministero della salute e alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze;
l'articolo 5 del decreto-legge n. 159 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e successive modificazioni e integrazioni, ha fissato i tetti di spesa relativi alla spesa farmaceutica territoriale ed ospedaliera, nonché le disposizioni in tema di ripiano in caso di sforamento di questi ultimi;
il comma 7 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, dispone che, a decorrere dall'anno 2013, è posta a carico delle aziende farmaceutiche una quota pari al 50 per cento dell'eventuale superamento del tetto di spesa a livello nazionale di cui all'articolo 5, comma 5, del succitato decreto-legge;
l'intesa in Conferenza Stato-regioni n. 82 del 10 luglio 2014 (patto per la salute 2014-2016) prevede, al comma 2 dell'articolo 23, una serie di iniziative atte ad un miglioramento del governo della spesa farmaceutica ospedaliera e territoriale. Fra le azioni si segnalano l'aggiornamento del prontuario farmaceutico nazionale e la revisione degli accordi negoziali sui farmaci sottoposti ai registri di monitoraggio dell'Agenzia italiana del farmaco dopo un periodo massimo di 36 mesi;
il comma 585 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, dispone che entro il 31 dicembre 2015 l'AIFA, sulla base delle valutazioni della Commissione consultiva tecnico-scientifica e del Comitato prezzi e rimborso, provveda a una revisione straordinaria del prontuario farmaceutico nazionale sulla base del criterio costo-beneficio ed efficacia terapeutica, prevedendo anche dei prezzi di riferimento per categorie terapeutiche omogenee, mentre con il successivo comma 593 è stato istituito, per l'acquisto di medicinali innovativi, un fondo con dotazione da 500 milioni di euro, alimentato con un contributo statale per 100 milioni di euro per l'anno 2015 e per la quota rimanente, con il contributo del regioni per 400 milioni di euro per l'anno 2015, e 500 milioni di euro per l'anno 2016;
al punto D, "Farmaceutica territoriale ed ospedaliera", dell'intesa sancita in sede di Conferenza Stato-regioni del 2 luglio 2015, relativa alla manovra sul settore sanitario, si rileva che Governo e regioni hanno condiviso la necessità che le misure di cui ai punti D1 (Introduzione dell'elenco dei prezzi di riferimento relativo al rimborso massimo da parte del Servizio sanitario nazionale di medicinali terapeuticamente assimilabili), D2 (riforma della disciplina di definizione del prezzo dei medicinali biotecnologici dopo la scadenza brevettuale) e D3 (altre misure in materia di farmaceutica) debbano assicurare un risparmio al servizio sanitario nazionale di almeno 500 milioni di euro su basa annua;
il comma 10 dell'articolo 9-ter, «Razionalizzazione della spesa per beni e servizi, dispositivi medici e farmaci», del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, ha apportato modifiche all'articolo 11 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, come modificato dall'articolo 1, comma 585, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, sostituendo la vecchia rubrica con la seguente: «Disposizioni dirette a favorire l'impiego razionale ed economicamente compatibile dei medicinali da parte del servizio sanitario nazionale» e disponendo che «entro il 30 settembre 2015, l'Aifa concluda le procedure di rinegoziazione con le aziende farmaceutiche volte alla riduzione del prezzo di rimborso dei medicinali a carico del servizio sanitario nazionale, nell'ambito di raggruppamenti di medicinali terapeuticamente assimilabili, individuati sulla base dei dati relativi al 2014 dell'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali Osmed-Aifa, separando i medicinali a brevetto scaduto da quelli ancora soggetti a tutela brevettuale, autorizzati con indicazioni comprese nella medesima area terapeutica, aventi il medesimo regime di rimborsabilità nonché il medesimo regime di fornitura. L'azienda farmaceutica, tramite l'accordo negoziale con l'Aifa, potrà ripartire, tra i propri medicinali inseriti nei raggruppamenti terapeuticamente assimilabili, la riduzione di spesa a carico del servizio sanitario nazionale attesa, attraverso l'applicazione selettiva di riduzioni del prezzo di rimborso; il risparmio atteso in favore del servizio sanitario nazionale attraverso la rinegoziazione con l'azienda farmaceutica è dato dalla sommatoria del valore differenziale tra il prezzo a carico del servizio sanitario nazionale di ciascun medicinale di cui l'azienda è titolare inserito nei raggruppamenti terapeuticamente assimilabili e il prezzo più basso tra tutte le confezioni autorizzate e commercializzate che consentono la medesima intensità di trattamento a parità di dosi definite giornaliere (DDD) moltiplicato per i corrispondenti consumi registrati nell'anno 2014. In caso di mancato accordo, totale o parziale, l'Aifa propone la restituzione alle regioni del risparmio atteso dall'azienda farmaceutica, da effettuare con le modalità di versamento già consentite ai sensi dell'articolo 1, comma 796, lettera g), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, fino a concorrenza dell'ammontare della riduzione attesa dall'azienda stessa, ovvero la riclassificazione dei medicinali terapeuticamente assimilabili di cui l'azienda è titolare con l'attribuzione della fascia C di cui all'articolo 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, fino a concorrenza dell'ammontare della riduzione attesa dall'azienda stessa. In sede di periodico aggiornamento del prontuario farmaceutico nazionale, i medicinali equivalenti ai sensi di legge non possono essere classificati come farmaci a carico del servizio sanitario nazionale con decorrenza anteriore alla data di scadenza del brevetto o del certificato di protezione complementare, pubblicata dal Ministero dello sviluppo economico ai sensi delle vigenti disposizioni di legge»;
il successivo comma 11 dell'articolo 9-ter del decreto-legge sopra citato, interviene sull'articolo 48 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni, disponendo che «alla scadenza del brevetto sul principio attivo di un medicinale biotecnologico e in assenza dell'avvio di una concomitante procedura di contrattazione del prezzo relativa ad un medicinale biosimilare o terapeuticamente assimilabile, l'Agenzia avvia una nuova procedura di contrattazione del prezzo, ai sensi del comma 33, con il titolare dell'autorizzazione in commercio del medesimo medicinale biotecnologico al fine di ridurre il prezzo di rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale. Al fine di ridurre il prezzo di rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale dei medicinali soggetti a rimborsabilità condizionata nell'ambito dei registri di monitoraggio presso l'Agenzia, i cui benefici rilevati, decorsi due anni dal rilascio dell'autorizzazione all'immissione in commercio, siano risultati inferiori rispetto a quelli individuati nell'ambito dell'accordo negoziale, l'Agenzia medesima avvia una nuova procedura di contrattazione con il titolare dell'autorizzazione in commercio»;
la determina dell'Aifa 6 ottobre 2015 n. 1267/2015 reca disposizione in materia di rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali per uso umano a carico del Servizio sanitario nazionale, nell'ambito di raggruppamenti di medicinali terapeuticamente assimilabili cui è seguita la determina di aggiornamento del 23 dicembre 2015. È da sottolineare che l'attività di rinegoziazione dell'Aifa non prende in considerazione tutte le categorie terapeutiche di farmaci presenti nel prontuario farmaceutico nazionale;
la determina dell'Aifa 25 settembre 2015 n. 1.252/2015 interviene, invece, in materia di Rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali biotecnologici;
nella risposta all'interpellanza urgente n. 2-01118 il sottosegretario De Filippo ha dichiarato che il risparmio stimato per il Servizio sanitario nazionale da qui alla fine del 2017 sarà di 707,1 milioni di euro, una cifra ben inferiore ai 1.500 milioni di euro previsti con l'intesa Stato regioni del 2 luglio 2015;
il comma 569 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015 n. 208 (legge finanziaria 2016) prevede che la spesa per l'acquisto di farmaci innovativi concorre al raggiungimento del tetto di spesa per l'assistenza farmaceutica territoriale di cui all'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per l'ammontare eccedente annualmente, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, l'importo del fondo di cui all'articolo 1, comma 593, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
il successivo comma 570 della citata legge finanziaria 2016 prevede la predisposizione da parte del Ministero della salute, sentita l'Aifa, di un programma strategico volto a definire le priorità di intervento, le condizioni di accesso ai trattamenti, i parametri di rimborsabilità sulla base di risultati clinici significativi, il numero dei pazienti potenzialmente trattabili e le relative previsioni di spesa, le condizioni di acquisto, gli schemi di prezzo condizionato al risultato e gli indicatori di performance degli stessi, gli strumenti a garanzia e trasparenza di tutte le procedure, le modalità di monitoraggio e valutazione degli interventi in tutto il territorio nazionale. I commi 702 e 703 dispongono che le regioni accertino ed impegnino nel bilancio regionale dell'anno 2015, nella misura del 90 per cento e al netto degli importi eventualmente già contabilizzati, le somme a titolo di ripiano per ciascuno degli anni 2013 e 2014 dell'eventuale sfondamento del tetto della spesa farmaceutica territoriale ed ospedaliera;
la quota di compartecipazione a carico del cittadino che ha scelto il farmaco di marca al posto del farmaco generico di fascia A rimborsato dal Servizio sanitario nazionale nel 2015, ammonta a circa 1 miliardo di euro. Questa voce di spesa negli anni ha subito un costante incremento. La causa principale di detto incremento è dovuto al fatto che le industrie farmaceutiche per sostenere le vendite dei propri farmaci di marca, investono importanti cifre in comunicazione nei confronti di medici, società scientifiche e associazioni di pazienti. In proposito, anche al fine di contrastare tale fenomeno, l'Aifa ha recentemente pubblicato la guida «Medicinali Equivalenti – Qualità, sicurezza ed efficacia» anche al fine di contrastare tale fenomeno;
vanno altresì considerate le proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato inerenti al divieto di vincoli alle procedure di registrazione dei medicinali equivalenti alla scadenza del brevetto (« patent linkage») nonché alla liberalizzazione della vendita dei medicinali di Fascia C presso le parafarmacie;
la determinazione ANAC 28 ottobre 2015, n. 12, Aggiornamento 2015 al piano nazionale anticorruzione all'interno del capitolo dedicato alla sanità, riporta quali aree di rischio specifico quelli della «farmaceutica, dispositivi e altre tecnologie: ricerca, sperimentazioni e sponsorizzazioni»;
la sentenza n. 4538 del 2015 della sezione terza-quater del tribunale amministrativo regionale del Lazio accoglie la richiesta di annullamento, da parte della GlaxoSmithKline, del comunicato con il quale l'Agenzia italiana del farmaco, in data 27 marzo 2013, ha reso nota la metodologia applicativa relativa al budget provvisorio sulla spesa farmaceutica ospedaliera 2013, di cui all'articolo 15, comma 8, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135; l'Aifa ha ritenuto di non effettuare ricorso avverso detta la sentenza presso il Consiglio di Stato;
la sentenza n. 3977 del 2015 della sezione terza del Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato dall'Agenzia italiana del farmaco e dal Ministero della salute contro Pfizer Italia srl e nei confronti di AstraZeneca spa, riguardo alla sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 3157 del 2015 concernente il diniego di accesso agli atti relativi al budget della spesa farmaceutica ospedaliera;
la sentenza n. 00288 del 2016 della sezione terza-quater del tribunale amministrativo regionale del Lazio ha accolto la richiesta di annullamento, da parte di Federfarma, della determina Aifa 30 ottobre 2014 n. 1.239 «Ripiano dello sfondamento del tetto dell'11,35 per cento della spesa farmaceutica territoriale del 2013 ai sensi della legge n. 222 del 2007 e successive modificazioni ed integrazioni»;
l'articolo «Farmaci meno costosi per chi ? Gli effetti della determina AIFA sul prezzo dei medicinali» pubblicato sulla rivista Politiche del farmaco dicembre 2015 n. 6 riporta diverse criticità rispetto ai risultati conseguiti da Aifa (determina n. 1.267 del 2015) tra le quali l'aumento della quota di compartecipazione a carico del cittadino per i medicinali in lista di trasparenza;
nell'ambito della Governance farmaceutica e delle criticità connesse alle procedure di rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali appare emblematica la vicenda legata al regime di rimborsabilità e di prezzo del medicinale Sovaldi (sofosbuvir) per il trattamento del virus dell'epatite C, i cui elevati costi non consentono un corretto programma di eradicazione del virus dell'epatite C;
la determina 12 novembre 2014, n. 1.353, dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) avente ad oggetto «Regime di rimborsabilità e prezzo del medicinale per uso umano «Sovaldi» (sofosbuvir), è autorizzata con procedura centralizzata europea dalla Commissione europea», che all'articolo 2 prevede quale validità del contratto «18 mesi, decorrenti dalla prima commercializzazione»;
la determina 17 luglio 2015, n. 982, dell'Agenzia italiana del farmaco avente ad oggetto «Attività di rimborso alle Regioni in attuazione del meccanismo prezzo/volume per i medicinali per uso umano Sovaldi e Harvoni» prevede, all'articolo 1, le modalità di applicazione del meccanismo prezzo/volume per le specialità medicinali Sovaldi e Harvoni;
la determina 4 novembre 2015, n. 1.427, dell'Agenzia italiana del farmaco avente ad oggetto «Attività di rimborso alle Regioni in attuazione del meccanismo prezzo/volume per i medicinali per uso umano Sovaldi e Harvoni» indica tra le premesse:
«Visti gli accordi negoziali stipulati in data 29 gennaio 2015 tra AIFA e la società titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio per le specialità medicinali «Sovaldi» e «Harvoni», in cui si prevede l'applicazione di un meccanismo prezzo/volume alle condizioni ivi specificate»;
«Vista la decisione del CPR dell'AIFA, adottata nella seduta del 30 settembre-1o ottobre 2015, di accettare le restituzioni previste sulla base dell'accordo prezzo/volume di «Sovaldi» e «Harvoni» tramite emissione di note di credito, anziché tramite payback, già consentito ed attuato con det. AIFA n. 982/2015;
il parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (atto n. S2415 reso noto all'Aifa in data 24 dicembre 2015) ha rilevato come»...il mantenimento in vigore della determinazione n. 1427/2015 pare pertanto suscettibile di vincolare gli acquisti futuri di trattamenti anti-epatite C da parte delle Regioni a forniture dei Farmaci, con effetti di consolidamento/rafforzamento di posizioni commerciali che già vedono in Gilead il principale operatore nel mercato di riferimento...»;
la determina Aifa-DG n. 458/2016 avente ad oggetto: «Riforma della determinazione recante procedura di applicazione dell'articolo 15, comma 11 ter, del Decreto Legge 6 luglio 2012 n. 95 convertito con modificazioni nella Legge 7 agosto 2012 n. 125 e s.m.i.», ha indicato i criteri da applicare per la valutazione da parte di Aifa delle richieste di equivalenza terapeutica fra due o più farmaci individuati ed approvati dalla commissione tecnico Scientifica dell'Aifa nel corso della seduta del 12 febbraio 2016;
la determina Aifa n. 697/2016 ha sospeso l'efficacia della determinazione Aifa-DG n. 458/2016;
in data 25 maggio 2016 l'Aifa ha pubblicato sul proprio sito istituzionale la nota «Registri AIFA: l'Agenzia fornisce informazioni sui dati dei trattamenti con i nuovi farmaci per la cura dell'epatite C» nella quale sono indicati i criteri di rimborsabilità prioritaria al trattamento con i nuovi farmaci ad azione antivirale diretta di seconda generazione (DAAs) sulla base dei risultati emersi dai lavori del Tavolo tecnico epatite C istituito presso l'Agenzia;
la stessa nota riporta che: «al fine di garantire il più ampio accesso a questi trattamenti innovativi, l'AIFA è comunque impegnata in una continua e tempestiva verifica delle nuove evidenze scientifiche e delle possibilità di una rimodulazione dei vigenti criteri di eleggibilità al trattamento con i DAAs»;
l'Agenzia europea del farmaco (EMA) ha recentemente avviato una revisione sui farmaci antivirali ad azione diretta, per valutare il rischio di cancro al fegato e di riattivazione dell'epatite B in quanto per alcuni pazienti trattati ed affetti da entrambi i virus, si è infatti verificata la ricomparsa dell'infezione,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per considerare quali livelli minimi i valori del «pay back» individuati nell'allegato C della determina dell'Aifa 6 ottobre 2015 n. 1.267/2015 e ricalcolare gli importi considerando quale base dei dati gli effettivi valori di vendita, rispetto all'anno di riferimento, delle specialità medicinali oggetto della determinazione;
ad assumere iniziative per procedere ad una nuova procedura di rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali per uso umano a carico del servizio sanitario nazionale, sulla base dell'assimilabilità dei princìpi attivi, facendo sì che la rinegoziazione prenda in considerazione tutte le categorie terapeutiche di farmaci;
ad assumere iniziative per procedere ad una nuova procedura di rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali biotecnologici, oggetto del primo periodo del comma 11 dell'articolo 9-ter del decreto-legge n. 78 del 2015, al fine di ridurne il prezzo di rimborso da parte del servizio sanitario nazionale per una quota non inferiore al 30 per cento, tenendo, altresì, in considerazione le negoziazioni avvenute successivamente all'approvazione del decreto-legge n. 78 del 2015;
ad assumere iniziative affinché l'Aifa riporti con apposita determina i valori delle efficienze oggetto degli impegni sopra indicati;
ad assumere iniziative per classificare in fascia C le specialità medicinali presenti nelle «liste di trasparenza», di cui all'articolo 7 del decreto-legge n. 347 del 2001 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 405 del 2001 il cui prezzo al pubblico risulta uguale o maggiore del 10 per cento rispetto al prezzo a carico del servizio sanitario nazionale;
ad assumere iniziative per rimuovere (il divieto di) vincoli alle procedure di registrazione dei medicinali equivalenti alla scadenza del brevetto («patent linkage») nonché per assicurare la liberalizzazione della vendita dei medicinali di fascia C presso le parafarmacie;
ad assumere iniziative normative al fine di recuperare l'intero importo delle somme dovute dalle aziende farmaceutiche per il superamento dei tetti di spesa previsti dalla normativa vigente;
ad assumere iniziative per pubblicizzare tutti i dati riferiti ai medicinali soggetti a rimborsabilità condizionata nell'ambito dei registri di monitoraggio presso l'Aifa al fine di collegare l'appropriatezza terapeutica al prezzo di rimborso dei farmaci;
a considerare l'opportunità di assumere iniziative affinché l'Aifa proceda all'annullamento della propria determinazione 4 novembre 2015 n. 1.427/2015 in merito alle attività di rimborso alle regioni in attuazione del meccanismo prezzo/rimborso dei medicinali per uso umano Sovaldi e Harvoni;
rispetto ai farmaci per l'eradicazione del virus dell'epatite C, a predisporre iniziative anche di tipo normativo volte a favorire la stipula da parte di Aifa di contratti che prevedano esclusivamente, per singolo trattamento, importi non superiori a quelli maggiormente favorevoli attualmente in vigore, anche considerando le clausole prezzo/volumi;
a presentare entro e non oltre il 30 giugno di ogni anno il programma strategico previsto dal comma 570 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, alle Commissioni parlamentari competenti facendo sì che:
a) il programma tenga in debita considerazione quanto indicato nella determinazione dell'ANAC n. 12/2015 e, rispetto alla farmaceutica territoriale, contenga un piano di monitoraggio, di appropriatezza prescrittiva e di obiettivi per singola regione, sia in termini di dosi somministrate che di spesa, per singolo principio attivo, anche sulla base delle indicazioni previste nella determinazione dell'ANAC del 28 ottobre 2015, n. 12;
b) nell'ambito della programmazione sia previsto un rimborso, nella quota minima del 10 per cento, per tutti i farmaci antineoplastici ed immunomodulatori che superano una quota di fatturato annuo, a livello nazionale, pari a 80 milioni di euro lordi anche indipendentemente dalla molteplicità delle indicazioni di utilizzo;
c) il programma strategico contenga indicazioni precise per raggiungere l'obiettivo di ridurre di almeno il 50 per cento la quota di compartecipazione a carico del cittadino relativa alla scelta del farmaco di marca al posto del farmaco generico di fascia A rimborsato dal servizio sanitario nazionale;
d) sia prevista la riorganizzazione del sistema dei prezzi dei medicinali veterinari nonché l'implementazione di un sistema informatizzato per la corretta tracciabilità del farmaco veterinario;
ad assumere iniziative affinché l'Aifa provveda all'adozione definitiva dei criteri da applicare per la valutazione delle richieste di equivalenza terapeutica, fra due o più farmaci, individuati ed approvati dalla Commissione tecnico scientifica nel corso della seduta del 12 febbraio 2016;
ad attivarsi affinché il nuovo contratto per la determinazione del regime di rimborsabilità e di prezzo del medicinale per uso umano «Sovaldi» (sofosbuvir):
a) preveda quale base della contrattazione il miglior prezzo definito dall'applicazione del meccanismo di sconto prezzo/volume individuato dagli accordi negoziali, stipulati in data 29 gennaio 2015, tra Aifa e la società titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio delle specialità Sovaldi ed Harvoni;
b) tenga in considerazione l'equivalenza terapeutica tra tutti i farmaci ammessi al trattamento del virus dell'epatite C;
c) non prenda in alcuna considerazione il rimborso di eventuali sconti basati sull'emissione di note di credito;
d) garantisca la massima trasparenza e la divulgazione di tutte le informazioni in essi contenute;
e) preveda il pagamento definitivo dei trattamenti, da parte delle aziende sanitarie, entro un periodo non inferiore a 36 mesi;
a far sì che entro tre mesi il Ministero della salute presenti un piano nazionale di eradicazione del virus dell'epatite C.
(1-01178) (Nuova formulazione) «Grillo, Mantero, Silvia Giordano, Baroni, Colonnese, Lorefice, Di Vita, D'Incà, Dall'Osso».
Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Pellegrino n. 2-01408, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 643 del 28 giugno 2016.
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie per sapere, premesso che:
le istruzioni per la compilazione della dichiarazione dei redditi 2015, con la quale sono alle prese milioni di italiani, stabilisce che «Le spese mediche sostenute all'estero sono soggette allo stesso regime di quelle analoghe sostenute in Italia; anche per queste deve essere conservata a cura del dichiarante la documentazione debitamente quietanzata (...); se la documentazione sanitaria è in lingua originale, va corredata da una traduzione in italiano; in particolare, se la documentazione è redatta in inglese, francese, tedesco o spagnolo, la traduzione può essere eseguita a cura del contribuente e da lui sottoscritta; se è redatta in una lingua diversa da quelle indicate va corredata da una traduzione giurata»;
il testo precisa poi: «Per i contribuenti aventi domicilio fiscale in Valle d'Aosta e nella provincia di Bolzano non è necessaria la traduzione se la documentazione è scritta, rispettivamente, in francese o in tedesco. La documentazione sanitaria straniera eventualmente redatta in sloveno può essere corredata da una traduzione italiana non giurata, se il contribuente, residente nella Regione Friuli Venezia Giulia, appartiene alla minoranza slovena»;
le discriminazioni contenute in queste prescrizioni dell'Agenzie delle entrate sono molteplici. La prima riguarda la possibilità per il contribuente di effettuare la traduzione dei documenti per solo quattro lingue, quando l'Unione europea di cui facciamo parte conta almeno 24 lingue ufficiali; tra l'altro i documenti dell'Unione europea vengono normalmente redatti in inglese, francese e tedesco, non in spagnolo. Se una scelta andava effettuata, doveva secondo logica riguardare innanzitutto, tra le tante, le lingue che vengono utilizzate nelle relazioni transfrontaliere e parlate dalle minoranze delle aree di confine;
la seconda riguarda la discriminazione tra contribuenti delle aree di confine: in Valle d'Aosta e in provincia di Bolzano non è necessaria la traduzione di documenti redatti in francese e in tedesco, in Friuli Venezia Giulia tutte le ricevute di spese sanitarie effettuate in Slovenia devono essere oggetto di traduzione giurata;
tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia, entrata nell'Unione europea nel 2004, corre un confine di ben 232 chilometri lungo il quale le comunità italiane e slovene quotidianamente interagiscono, che la gestione transfrontaliera riguarda un'infinità di settori della vita economica, politica, culturale, ambientale, che in Friuli Venezia Giulia la lingua slovena è parlata in 32 comuni; l'ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia ha un apposito ufficio per l'istruzione in lingua slovena; la legge n. 38 del 2001 reca norme a tutela degli sloveni del Friuli Venezia Giulia; che in Friuli Venezia Giulia vengono pubblicati un importante quotidiano e diversi settimanali in sloveno;
tra i comuni di Gorizia, Nova Gorica e Šempeter-Vrojba è operativo un Gect, è, gruppo europeo di cooperazione territoriale costituito con convenzione sottoscritta a Gorizia il 19 febbraio 2010. Tra gli obiettivi del GECT, nell'ambito della progettualità per la costruzione di un network di servizi sanitari transfrontalieri, è prevista anche l'integrazione socio-sanitaria, con la realizzazione di un «centro transfrontaliero di prenotazione dei servizi socio-sanitari che includa tutti gli operatori sui due lati del confine e consenta agli utenti un migliore accesso ai servizi sociali e sanitari (Cup)» e una casa del parto transfrontaliera;
le strutture sanitarie della vicina Repubblica vantano eccellenze mediche e tecnologie sanitarie in molteplici settori, con costi decisamente inferiori per gli utenti, e quindi sono numerosi i cittadini italiani, anche non residenti nelle aree di confine che scelgono di farsi assistere oltre confine;
la terza discriminazione riguarda il diverso trattamento tra contribuenti italiani: quelli della minoranza slovena e quelli che non vi fanno parte. Selezione che non ha criteri oggettivi sulla base dei quali essere effettuata;
le discriminazioni derivanti dall'applicazione delle direttive dell'Agenzie delle entrate sono incomprensibili e ingiustificabili nella prospettiva europea dell'integrazione socio-sanitaria, producono spese e aggravi ai cittadini del Friuli Venezia Giulia che si rivolgono agli ospedali, ai professionisti medici e alle farmacie in Slovenia; la valutazione dell'appartenenza ad una minoranza linguistica è del tutto arbitraria –:
se non intenda il Governo assumere iniziative, per quanto di competenza, anche con opportuna circolare, al fine di includere, in parallelo con quanto previsto per la Valle d'Aosta e la provincia di Bolzano lo sloveno tra le lingue per le quali non è necessario allegare la traduzione o, in subordine, estendere a tutti i cittadini del Friuli Venezia Giulia il diritto a consegnare agli uffici dell'Agenzia delle entrate documenti con allegata traduzione non giurata.
(2-01408) «Pellegrino, Scotto».
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta immediata in commissione Ginato n. 5-07990 del 2 marzo 2016;
interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-02097 del 10 marzo 2016;
interpellanza urgente Magorno n. 2-01378 del 18 maggio 2016.
Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.
Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Cancelleri n. 4-13572 del 24 giugno 2016 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-09027.