XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 4 agosto 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              gli ultimi mesi hanno visto un rapido mutamento della situazione politica internazionale, con il verificarsi di eventi che avranno un forte impatto sulle relazioni tra gli Stati e la sicurezza internazionale;
              l'esito del referendum sull'uscita del Regno Unito dall'Unione europea impone un radicale ripensamento sull'attuale modello di governance dell'Unione europea, ormai dimostratosi incapace di produrre politiche condivise dai popoli europei, ed evidenzia l'improcrastinabile necessità di abbandonare l'attuale approccio quasi esclusivamente economicistico per rilanciare politiche volte al perseguimento anche di quegli obiettivi generali, come, ad esempio, la lotta contro l'esclusione sociale e le discriminazioni, la promozione della giustizia e della protezione sociale, che erano stati definiti dal Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, il cui processo di ratifica si è purtroppo arrestato nel 2009;
              in vista della «Brexit», il rilancio di un percorso verso l’«Europa di popoli» appare una questione di sopravvivenza per l'Unione europea e tale percorso passa anche attraverso la realizzazione di una vera e propria politica estera comune, per ottenere la quale appare sempre più necessaria anche la creazione di uno strumento militare comune e concretamente impiegabile nella risposta rapida alle crisi;
              il recente colpo di stato in Turchia, nel corso del quale sono morte circa 290 persone e ne sono state ferite circa 2.000, e la successiva campagna repressiva lanciata dal Governo turco, con l'arresto di oltre 18.000 persone, licenziamenti di massa, chiusura di tv, radio e giornali e una ormai sistematica repressione del dissenso e della libertà di espressione, costringe l'Unione europea e la NATO a confrontarsi rispettivamente con un partner e un Paese membro che ha adottato delle politiche ormai evidentemente incompatibili con i valori democratici su cui si basano le due principali organizzazioni internazionali occidentali; ciò comporta l'esigenza di riconsiderare le politiche adottate dall'Unione europea e dalla NATO nei confronti della Turchia, nonostante i vantaggi strategici, veri o presunti, che il mantenimento dello status quo nei rapporti con il governo turco comporterebbe riguardo alla gestione della crisi migratoria e dei conflitti in Siria e Iraq; a questo proposito appare fondamentale che anche l'Italia si assuma la responsabilità di partecipare alla definizione e implementazione di nuove e più adeguate politiche nell'ambito dell'Unione europea e NATO nei confronti della Turchia, con l'obiettivo di contrastare la deriva autoritaria dell'attuale governo turco e di prevenire possibili minacce derivanti, ad esempio, da eventuali ritorsioni che la Turchia potrebbe adottare nei confronti dei Paesi membri dell'Unione europea e della NATO;
              NATO e Unione europea si trovano anche a dover gestire un periodo di gravi tensioni con la Russia, originate dalla crisi in Ucraina che ha visto l'illegittima annessione della Crimea da parte della Federazione russa; anche in questo caso le posizioni delle due organizzazioni internazionali sono vicine ma diverse, poiché corrispondono a interessi strategici ed economici dei Paesi che ne fanno parte che non sono perfettamente coincidenti; ciò è dovuto, da un lato, alla preponderante influenza degli Stati Uniti nella definizione delle politiche della NATO e, dall'altro all'esigenza dei Paesi europei di mantenere relazioni amichevoli con la vicina Russia rispetto alla quale sussistono enormi interessi economici e dalla quale provengono strategici approvvigionamenti di idrocarburi; risulta, dunque, di grande importanza la condotta di una politica europea nei confronti della Russia che sia quanto più possibile unitaria e indipendente da quella della NATO, seppure con essa coordinata, allo scopo di perseguire una distensione delle relazioni con Mosca, così da favorire una soluzione pacifica e condivisa della crisi in Ucraina e prevenire l'emergere di altre crisi come quella che in futuro potrebbe riguardare la regione artica;
              la drammatica serie di attentati di matrice jihadista che continuano a colpire l'Europa dimostra come le misure di sicurezza, anche straordinarie, adottate dai Paesi europei non siano sufficienti a scongiurare una minaccia derivante da persone spesso radicalizzatesi nel segreto delle proprie mura di casa, e in grado di colpire in ogni momento e con i più svariati metodi; appare dunque sempre più urgente affrontare il problema alla radice, cioè contrastando la vasta opera di proselitismo condotta dalle organizzazioni islamiste mediante una efficace campagna di propaganda;
              similmente anche il problema delle migrazioni di massa, che, nonostante le diverse misure adottate negli anni dai Paesi europei, non accennano a diminuire e continuano a provocare migliaia di vittime all'anno, dovrebbe essere affrontato più a monte, intercettando i flussi nei Paesi di transito con l'apertura di corridoi umanitari per i profughi e avviando politiche volte a sostenere il rilancio economico dei paesi dai quali partono i cosiddetti migranti economici;
              la stabilizzazione della Libia rappresenta un altro obiettivo da perseguire con forza, anche allo scopo di poter finalmente gestire adeguatamente i flussi migratori, e a questo proposito è necessario contrastare le iniziative che favoriscono una dissoluzione della Libia in diverse entità statuali, come, ad esempio, il sostegno militare fornito da alcuni paesi a milizie che non dipendono dal Governo di accordo nazionale insediato a Tripoli;
              la vastità degli impegni che l'Italia ha assunto e continuerà ad assumersi per contribuire alla gestione delle diverse crisi internazionali impone, tuttavia, una sorta di razionalizzazione di tali impegni, con particolare riguardo alle missioni militari, allo scopo di concentrare le risorse nazionali principalmente sulle problematiche che maggiormente impattano sugli interessi nazionali; a questo proposito, ad esempio, sarebbe necessario prevedere un prossimo ritiro del contingente italiano presente in Afghanistan ininterrottamente dal 2002, cedendo ad altri il comando del Training Advise Assist Command – West (TAAC-W) e l'onere di proseguire l'addestramento delle forze afghane nella zona Herat,

impegna il Governo:

          in ordine al terrorismo transnazionale di matrice jihadista:
              a) a elaborare e proporre un piano nazionale di contro-propaganda impiegando i canali già disponibili, come la scuola e i mass-media, per contrastare in tempi brevi gli effetti dell'attività propagandistica condotta dall'ISIS e da altri gruppi jihadisti, a valutare l'avvio di programmi di dialogo e avvicinamento interculturale rivolti ai giovani immigrati e cittadini europei, anche tramite specifici programmi da condurre nelle scuole e nelle università e a valutare iniziative di facilitazione all'inserimento sociale sfruttando anche risorse già disponibili quali, ad esempio, il sistema del servizio civile nazionale italiano e analoghi sistemi di altri Paesi europei;
              b) a incrementare gli sforzi in ambito internazionale per il contrasto ai flussi di finanziamento dei gruppi terroristici, con particolare riguardo alla cooperazione con i Paesi islamici per l'interruzione dei proventi riconducibili a donazioni esterne, l'utilizzo del sistema finanziario internazionale e lo sfruttamento di asset economici e risorse di qualsiasi genere;

          in ordine alla crisi migratoria:
              a) a promuovere in sede di Unione europea l'istituzione del visto umanitario comunitario con validità per tutta l'area Schengen ed emettibile in uno Stato terzo;
              b) a proporre in sede di Unione europea e in collaborazione con l'Alto Commissariato dell'ONU per i Rifugiati l'istituzione, nei Paesi di transito che presentano sufficienti condizioni di sicurezza, di «uffici per le migrazioni» dove potranno essere valutati i singoli casi e assegnati visti umanitari e documenti di viaggio temporanei che consentano ai migranti di impiegare mezzi di trasporto legali verso l'Europa;
              c) a promuovere una politica europea volta a consentire, successivamente all'istituzione degli «uffici per le migrazioni» sopracitati, la possibilità per i migranti richiedenti asilo, valutata favorevolmente la domanda di asilo, di raggiungere il territorio del Paese membro accogliente attraverso servizi di trasporto (aereo, marittimo e terrestre) legali, anche a spese dello stesso migrante, con il fine ultimo di salvare migliaia di vite, di distruggere alla base il business dei trafficanti di esseri umani e di ridurre in maniera organizzata la pressione ai confini dell'Europa, nonché il rischio di infiltrazioni terroristiche;
              d) a promuovere in ambito internazionale programmi volti al rilancio economico dei Paesi democratici dai quali originano i principali flussi di migranti economici;

          in ordine alla situazione in Turchia:
              a) ad avanzare, anche in vista dell'assunzione, da parte italiana, nel 2018, della presidenza dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, la proposta dell'invio di osservatori dell'OSCE in Turchia per monitorare la condotta dei processi a carico delle persone accusate di aver preso parte al tentato colpo di Stato del 15 luglio 2016;
              b) a proporre in sede di Consiglio europeo di subordinare l'implementazione degli impegni assunti con la dichiarazione Unione europea-Turchia del 18 marzo 2016, in particolare alla revoca delle restrizioni sui visti per i cittadini turchi in viaggio nell'Unione europea, alla interruzione della campagna repressiva avviata dal Governo turco in seguito al tentativo di colpo di Stato del 15 luglio 2016, alla scarcerazione delle oltre 8.300 persone incarcerate senza nessuna accusa formale a loro carico, nonché al consenso da parte del Governo turco ad accettare che i processi alle circa 9.680 persone arrestate con l'accusa di aver preso parte al suddetto tentativo di colpo di Stato siano sottoposti al monitoraggio di osservatori dell'OSCE;
              c) a rivalutare l'opportunità della presenza in Turchia di una batteria del sistema missilistico da difesa aerea SAMP/T del 4o reggimento artiglieria contraerei «Peschiera» e di circa 130 militari italiani impegnati nell'ambito della missione NATO «Attive Fence»;
              d) a sollevare in sede NATO, visti i recenti avvenimenti in Turchia, la questione relativa all'opportunità di mantenere presso la base aerea di Incirlik le bombe nucleari statunitensi schierate quale deterrente nucleare NATO secondo il sistema «a doppia chiave»;

          in ordine alla crisi in Libia:
              a) a ribadire il pieno supporto dell'Italia al Consiglio presidenziale libico e al governo presieduto da Fajez al-Serraj, e a sostenere con forza, in ambito internazionale, l'esigenza di una soluzione unitaria per la Libia;
              b) a opporsi politicamente alle iniziative di sostegno militare condotte da altri Paesi a favore delle milizie del generale Khalifa Haftar, anche se volte al contrasto di gruppi terroristici, ribadendo che il Governo di accordo nazionale, riconosciuto dall'ONU, è l'unico titolare del diritto all'uso della forza militare in Libia ed è l'unico che può autorizzare operazioni militari di Paesi esteri in territorio libico;

          in ordine alla situazione in Afghanistan:
              a) ad avviare consultazioni con gli alleati della NATO allo scopo di elaborare un percorso di disimpegno dell'Italia dalla partecipazione alla missione Resolute Support, nell'ottica di una più equa redistribuzione tra gli alleati degli oneri e dei rischi derivanti dal mantenimento degli impegni internazionali assunti dalla NATO;

          in ordine all'uscita del Regno Unito dall'Unione europea:
              a) a favorire un percorso di riscrittura dei trattati dell'Unione europea rispettoso della scelta dei cittadini britannici e a proporre agli Stati membri una riforma dell'attuale modello di governance dell'Unione europea, ora incentrato sugli accordi intergovernativi e sull'attribuzione quasi esclusiva del diritto di iniziativa legislativa all'organo esecutivo, ovvero la Commissione europea, allo scopo di conferire il pieno diritto di iniziativa legislativa al Parlamento europeo in quanto istituzione rappresentativa dei cittadini europei, rispettando così anche il principio fondamentale della separazione dei poteri;
              b) a valutare la predisposizione di un programma di sostegno per i cittadini italiani che lavorano nel Regno Unito da attivare nel caso essi si trovino costretti a rientrare permanentemente in Italia a causa di misure adottate dal Governo britannico conseguentemente all'uscita del Regno Unito dall'Unione europea;

          in ordine alla sicurezza e difesa europea:
              a) ad adoperarsi, anche nell'ottica di una, revisione del «trattato di Dublino», affinché l'Italia e gli altri Paesi membri dell'Unione europea diano seguito al punto 6 del testo delle Conclusioni finali approvato dalla Conferenza interparlamentare sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sulla politica di sicurezza e difesa comune (PSDC) svoltasi a l'Aja dal 6 all'8 aprile 2016, relativi al rafforzamento delle capacità militari di risposta rapida dell'Unione europea e, in particolare, alla messa in pratica degli articoli 42, paragrafo 6 (cooperazione strutturata permanente) e 44 (implementazione della politica di sicurezza e difesa comune tramite missioni condotte da un gruppo di Stati membri) del Trattato sull'Unione europea, nonché alla definizione e adozione di nuove soluzioni per il superamento delle problematiche politiche e tecniche che attualmente ostacolano l'impiego operativo dei «Battlegroups» dell'Unione europea;
              b) a dare impulso ad una maggiore integrazione nelle politiche di difesa europea allo scopo di ottimizzare in un'ottica di complementarietà le capacità, sia operative, sia industriali, già disponibili tra i diversi Stati membri dell'Unione europea, nonché a favorire in questo stesso ambito il ricorso da parte di altri Paesi europei all'impiego di strutture e asset italiani, che rappresentano un'eccellenza o non hanno eguali in Europa, come, ad esempio, la Scuola di volo di Galatina e la FACO di Cameri;

          in ordine ai rapporti con la Russia:
              a) a promuovere un processo di distensione delle relazioni tra NATO e Russia, favorendo il dialogo attraverso il Consiglio NATO-Russia e misure di de-escalation quali, ad esempio, esercitazioni antiterrorismo congiunte;
              b) a promuovere un dialogo internazionale sull'Artico al fine di comporre pacificamente i contenziosi relativi alla definizione dei confini delle aree di sfruttamento delle risorse della regione artica, nonché a elaborare politiche comuni per la preservazione dell'ambiente.
(1-01338) «Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».


      La Camera,
          premesso che:
              scenari di crisi incombono sul mondo occidentale e sul nostro Paese: in particolare, il jihadismo in fase di attacco globale è una realtà di orrore e morte per i popoli del Medio Oriente, dell'Africa e anche della stessa Europa, come dimostrano i recenti tragici episodi di Parigi, Bruxelles, Nizza, colpendo in maniera indiscriminata bambini, donne, uomini, tra cui diversi nostri connazionali;
              il terrorismo è un atto criminale ingiustificabile in qualsiasi circostanza, e rappresenta una minaccia alla pace, alla sicurezza e alla stabilità di ciascun Paese, ma soprattutto ai diritti e alla libertà dei suoi cittadini;
              il terrorismo che attualmente minaccia il mondo occidentale è di matrice islamica e trova il proprio fondamento ideologico, ma anche spesso finanziario e operativo, all'interno dell'autoproclamatosi Stato Islamico dell'Iraq e della Siria (Isis). L'Isis ad oggi, a seguito del vuoto di potere che si è creato nel paese dopo l'intervento occidentale contro il regime di Gheddafi, ha conquistato anche alcune città libiche, avvicinandosi sempre di più alle coste italiane e moltiplicando le minacce all'Italia e ad altri Paesi europei;
              negli ultimi giorni a Sirte, in Libia, a soli 300 chilometri dalle coste italiane, alcuni obiettivi strategici sono stati colpiti da raid aerei degli Stati Uniti, su richiesta del governo di unità nazionale guidato da Fayed al Sarraj, per «negare ai jihadisti dello Stato islamico un covo sicuro in Libia da cui potrebbero attaccare l'America e i suoi alleati». Le operazioni potranno proseguire nei prossimi giorni;
              da parte sua, il Governo italiano si è affrettato ad esprimere pieno sostegno all'intervento Usa, volto «a contribuire a ristabilire la pace e la sicurezza in Libia», negando di fatto il proprio coinvolgimento, e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Paolo Gentiloni ha dichiarato che il Governo è pronto a «valutare» eventuali richieste di utilizzo di basi militari da parte di Washington.  Anche in questo caso, però, è risultata evidente la totale irrilevanza del Governo italiano nello scenario politico internazionale, finanche nel contesto mediterraneo, dove è presente in prima linea la nostra Marina nelle operazioni quotidiane di salvataggio in mare dei migranti;
              i recenti attacchi terroristici hanno scosso profondamente gli animi, e richiamato con forza la necessità di un nuovo approccio alla lotta al terrorismo; diversi sono gli attentati ideati e compiuti da cittadini regolarmente residenti sul territorio europeo, e che all'interno dello stesso circolavano liberamente: ciò dimostra ancora una volta quanto il contrasto al terrorismo non possa che avvenire innanzitutto a livello europeo ed internazionale;
              malgrado le accresciute misure di sicurezza a livello nazionale, europeo e internazionale, nonché la crescente cooperazione tra i Paesi europei ed extra europei, la minaccia terroristica rimane altissima, come gli allarmi e le operazioni di polizia che si susseguono in tutte le principali città europee;
              inoltre, la minaccia posta dai cittadini europei, o comunque appartenenti a stati del mondo occidentale, radicalizzati, molti dei quali sono anche foreign fighters, che si sono recati all'estero per addestrarsi e combattere tra le fila dell'Isis, è destinata a persistere nei prossimi anni. Per rispondere efficacemente a tale problematica occorrono un approccio globale e un impegno a lungo termine;
              per questo, la responsabilità di combattere il terrorismo non può spettare ai soli Stati. L'Unione europea e la comunità internazionale devono svolgere un ruolo di primo piano, data la natura transfrontaliera della minaccia;
              ma in questo quadro drammatico, si constata l'impotenza dell'Europa, che non ha una politica estera unitaria e chiara, e l'incapacità del Governo del nostro Paese di incidere con efficacia, a partire dalla crisi libica e dalle ultime operazioni di portata internazionale. Si assiste sgomenti a una escalation che finora ha trovato i leader europei uniti nella retorica ma incapaci di coordinare qualsiasi strategia di tutela della sicurezza interna e di attacco al santuario del terrore di Al Baghdadi in Medio Oriente. Il prevalere di miopi interessi particolari o personalismi senza capacità di leadership aumenta la disaffezione quando non una vera e propria ostilità verso le istituzioni europee;
              tra l'altro il Presidente del Consiglio dei ministri ha trattato in Europa per il ruolo dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, attualmente ricoperto da Federica Mogherini, che ha ben poca incisività rispetto alle politiche dell'Unione europea, sarebbe stato con tutta probabilità più opportuno e vantaggioso per il nostro Paese avere tra i propri rappresentanti un membro interno alla Commissione di peso, che magari avrebbe caratterizzato il proprio mandato per efficacia e incisività dell'Italia in seno all'Unione;
              anche la conquista di un seggio non permanente all'interno del Consiglio di Sicurezza dell'Onu per il 2017 assume per l'Italia il sapore di una sconfitta, se il risultato finale, ovvero la «condivisione» del seggio con l'Olanda, viene letto alla luce di quelle che erano le premesse iniziali;
              la lotta contro lo stato islamico, per essere forte e credibile, richiede leadership. E la leadership richiede la capacità e la responsabilità di prendere decisioni, anche quando sono difficili. Una caratteristica che l'Europa, soprattutto sul fronte internazionale, non sembra mostrare;
              l'unica decisione di politica estera di un qualche significato presa dall'Europa è stata quella di farsi del male da sola, colpendo la Federazione russa con le sanzioni, controproducenti per la convivenza pacifica e dannose per l'economia e le imprese anzitutto del nostro Paese. Opporsi alle sanzioni non significa acquiescenza nei confronti di quanto avvenuto in Ucraina e in Crimea, ma, alla luce dei dati emersi e delle conseguenze che hanno fatto seguito all'applicazione delle misure, il bilancio dello strumento introdotto è certamente negativo; la questione avrebbe quindi richiesto una valutazione maggiormente ponderata e approfondita, considerando soluzioni alternative;
              in questi mesi difficilissimi, continuando ad insistere sulle sanzioni, l'Unione europea ha quindi perseverato nella propria cecità di fronte al mancato coinvolgimento della Russia quale alleata preziosa per pacificare i Paesi del Mediterraneo;
              i sottoscrittori del presente atto esprimono grande apprezzamento per la risoluzione approvata il 28 aprile 2016 dall'Assemblea nazionale francese, con cui si è chiesto di cancellare le sanzioni dell'Unione europea contro la Federazione russa. Risoluzione molto simile nei contenuti agli atti di indirizzo presentati da Forza Italia, in particolare nell'ultimo anno;
              da svariati mesi, infatti, Forza Italia in Parlamento chiede al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e al suo Governo di farsi promotore di una iniziativa nel senso della cancellazione delle sanzioni, come primo fondamentale passo per il disgelo e per costruire l'unità contro il terrorismo, anche alla luce della situazione geopolitica attuale, in cui la minaccia del terrorismo islamico può essere combattuta solo da una grande coalizione internazionale che sotto l'egida dell'Onu metta insieme Europa, Cina, Paesi arabi, Federazione russa e Stati Uniti, coinvolgendo, in particolare, il ruolo di questi ultimi nel favorire processi di pace nel mondo;
              in questa situazione drammatica in cui il fronte anti terrorismo e anti Isis è diviso, compito attuale dell'Italia è in continuità con la sua missione storica di ponte tra USA, Nato e Russia, che nella fedeltà anche operativa alle scelte della alleanza cui apparteniamo, sappia creare condizioni di intesa e dialogo sfruttando gli ambiti OCSE e il Consiglio dei 20 creato a Pratica di Mare;
              la responsabilità dell'Italia è anzitutto quella di rispettare la sua tradizionale attitudine ad essere un ponte di pace con la Federazione russa, sulla scia di quanto realizzato a seguito degli accordi di Pratica di Mare, nati su impulso del Presidente Silvio Berlusconi, consentendo, nel 2002, una partnership strategica tra Nato e Federazione russa; ma troppo lontano è quel ruolo di protagonisti che portò il nostro Paese ad essere artefice e ospite del momento più alto e collaborativo tra i Paesi della Nato e la Federazione russa;
              in ogni caso, davanti a questo drammatico scenario internazionale, sembra ormai ineludibile per i Paesi europei impegnarsi per lo sviluppo di un'effettiva politica di difesa e sicurezza comune, in un quadro di collaborazione con le alleanze atlantiche; sono innumerevoli le opportunità che possono derivare dall'integrazione europea della difesa, con particolare riferimento alla costituzione di asset operativi e addestrativi comuni, finalizzati ad una piena interoperabilità, nonché alla promozione di sinergie industriali finalizzate alla ricerca, allo sviluppo e alla produzione di programmi comuni sulla base di accordi di cooperazione o di cooperazione rafforzata;
              le azioni dell'Islam jihadista e la minaccia terroristica sono indissolubilmente legate al tema dei flussi migratori indiscriminati che interessano l'Italia e l'intera Europa. La lotta al terrorismo non può infatti prescindere da una corretta gestione del fenomeno migratorio: l'Italia, per la sua posizione geografica, porta d'ingresso in Europa, è da anni meta di un forte e continuo flusso migratorio, ed è stata spesso abbandonata a se stessa nella gestione di operazioni assai onerose (rivelatesi comunque controproducenti), quali «Mare Nostrum» e «Triton»;
              anche la missione EUNAVFOR MED riporta risultati comunque limitati dal fatto che non è ancora stata avviata la fase 3 dell'operazione, che prevede la possibilità di arrestare gli scafisti e di sequestrare o affondare le barche direttamente sulle coste di partenza e sullo stesso territorio libico. La fase 3, che però presuppone il consenso del governo costiero interessato, è fondamentale, perché permetterebbe di entrare nelle acque territoriali libiche, combattendo in maniera efficace gli scafisti responsabili del traffico illegale di clandestini. Rimanere bloccati alla fase 2 significa che il Governo libico è ancora fermo, e che il nostro Paese rischia di continuare a sostenere una missione che è in grado solo di alimentare l'immigrazione clandestina;
              in buona sostanza, tutte le iniziative e le misure poste in essere fino ad oggi per fronteggiare il fenomeno migratorio non hanno avuto esiti positivi, registrando di fatto il fallimento di una politica europea comune delle migrazioni; siamo quindi ancora lontani dal raggiungimento degli obiettivi che lo stesso Consiglio europeo ha fissato, quantomeno sulla carta. Lo dice di fatto lo stesso Consiglio europeo. Lo dice il Governo italiano, che più di una volta ha manifestato insoddisfazione per la scarsa implementazione dell'accordo dello scorso ottobre 2015, e per il mancato rispetto degli impegni da parte dell'Unione europea. Lo dicono i numeri: in particolare quelli relativi ai rimpatri, alle riallocazioni, all'immigrazione irregolare;
              è quantomeno necessario uno sforzo comune per rafforzare la gestione delle frontiere esterne dell'Europa, a fronte di un flusso migratorio irregolare che nel 2015 è aumentato di circa 7 volte rispetto a quello del 2014. Secondo Frontex, infatti, nel 2015, sono stati rilevati 1,83 milioni di attraversamenti irregolari di migranti alle frontiere esterne dell'Unione europea, a fronte dei 283.500 dell'anno precedente;
              in questi mesi difficili, persino lo spirito di Schengen è stato messo fortemente in discussione: posto che non si ritiene strategicamente corretto limitare l'esercizio del diritto alla libera circolazione dei cittadini europei solo perché non si è in grado di fronteggiare il grande problema dei flussi migratori, si ritiene necessario potenziare il controllo delle frontiere esterne a Schengen, nonché il sistema dei rimpatri e, in questa direzione, far sì che l'Europa diventi protagonista degli accordi di rimpatrio con i Paesi africani, non limitandosi a demandarne la negoziazione ai singoli Stati europei;
              alla luce di ciò è urgente ed improcrastinabile l'implementazione di una politica migratoria europea comune e coerente, che affronti i temi del controllo delle frontiere e della stabilità e sviluppo dei Paesi di origine e di transito, e che contempli interventi mirati per contrastare gli scafisti in partenza dalla Libia e dalla Tunisia, unitamente a interventi di carattere umanitario per garantire, a chi ne ha diritto, di ricevere assistenza in Africa e accoglienza in Europa;
              occorre una maggiore condivisione delle responsabilità con gli altri Paesi europei per scongiurare il rischio di nuovi attacchi terroristici nel continente nonché, per quanto concerne la spartizione delle responsabilità, la necessità di modificare il sistema di Dublino poiché superato, inefficace e ingiusto per i paesi di sbarco e per i richiedenti asilo;
              per quanto riguarda l'attuazione dei programmi di ricollocazione stabiliti dal Consiglio dello scorso autunno, merita rilevare che il numero totale di persone ricollocate all'11 luglio 2016 è limitato a 3.056 (2 213 dalla Grecia e 843 dall'Italia), considerando anche la Croazia, che per la prima volta ha aderito al programma. Ciò significa che si è ancora molto lontani dall'obiettivo fissato dalla Commissione di ricollocare 6.000 persone al mese;
              pertanto, è evidente che gli Stati membri ancora non adempiono agli impegni assunti a norma delle decisioni del Consiglio sulla ricollocazione. Tale lentezza nell'attuazione dei programmi di relocation sconta infatti le resistenze da parte di molti Stati, alcuni dei quali si sono addirittura rifiutati di aderire al programma;
              il dato è particolarmente grave, in particolare alla luce dei continui sbarchi sulle coste del nostro Paese: solo nell'ultimo fine settimana di luglio sono stati circa 5500 i migranti tratti a bordo dalle navi del dispositivo di sicurezza che pattuglia le acque del Mediterraneo;
              l'Europa deve inoltre prendere atto dei dati non confortanti che provengono dalle misure adottate dalla Turchia nell'ambito del Piano d'azione che tale Stato terzo ha convenuto con l'Unione europea: in ogni caso, su tale fronte, lo scenario, oggi, appare notevolmente mutato, a seguito del tentativo di colpo di Stato perpetrato nella notte tra il 15 e il 16 luglio 2016, quando una parte dell'esercito turco ha cercato di rovesciare il presidente Recep Tayip Erdogan e il Governo in carica;
              al fallimento del golpe ha fatto seguito la durissima reazione del Governo, che ha proceduto con migliaia di arresti e sospensioni dai pubblici uffici, fino a dichiarare la possibilità di ripristino della pena di morte;
              dopo le iniziali dichiarazioni dei leader internazionali a favore del ristabilito ordine democratico a golpe fallito, a partire dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e dall'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, il Consiglio dei 28 ministri degli esteri, riunito a Bruxelles, ha esortato la Turchia al rispetto dei valori democratici e dello Stato di diritto, ribadendo che la loro violazione o la reintroduzione della pena di morte escluderebbe lo Stato turco dalla procedura di adesione all'Unione europea;
              il segretario di Stato americano, Kerry, ha richiamato la responsabilità della Turchia come membro NATO di fronte alle migliaia di arresti e alle misure restrittive adottate nella pubblica amministrazione, nelle forze armate e nei media;
              l'accordo raggiunto tra i 28 leader europei e la Turchia (in base a quanto stabilito nell'accordo negoziato nella missione in Turchia del vicepresidente Timmermans e del commissario per l'allargamento Hahn) per la gestione dei migranti prevede: il respingimento dei migranti in Turchia (per ogni profugo siriano che viene rimandato in Turchia dalle isole greche un altro siriano verrà trasferito dalla Turchia all'Unione europea, attraverso dei canali umanitari); la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, a partire dal 10 giugno 2016; aiuti economici alla Turchia attraverso il versamento da parte dell'Unione europea di 3 miliardi di euro, già approvati nel vertice di novembre 2015, per la gestione dei campi profughi, e la mobilitazione «fino a un massimo di altri 3 miliardi entro fine 2018», ma solo dopo che i primi 3 miliardi saranno spesi; l'adesione della Turchia all'Unione europea;
              le istituzioni internazionali, in primis quelle europee, non possono ignorare i numeri degli arresti e delle sospensioni dai pubblici uffici registrati ad oggi, e hanno l'obbligo di vigilare ed agire per la tutela dello stato di diritto, della libertà di stampa e dei diritti umani;
              sul piano della politica economica, la politica seguita nell'Eurozona e più in generale nell'Unione europea, a trazione tedesca e all'insegna della pura austerità, non solo non ha prodotto i risultati sperati, visto l'aggravarsi di tutti i problemi finanziari, dal deficit di bilancio al debito pubblico, ma ha alimentato una spirale deflazionistica che rende estremamente preoccupanti le prospettive future;
              la reazione alla «Brexit», specie quella italiana, non si è mostrata al momento ancora costruttiva; di certo, è evidente la necessità di una svolta politica ed economica tra gli Stati che compongono l'Unione. Oggi le istituzioni europee non reggono perché incapaci di cambiare politiche che hanno dimostrato il loro fallimento in termini di crescita economica e, di conseguenza, in termini di benessere sociale;
              il Governo italiano avrebbe dovuto da tempo dare seguito alla proposta francese di restituire una dimensione politica all'eurozona, con un Governo e un Parlamento comuni. Ciò avrebbe cambiato le carte in tavola nell'Unione europea; non più l'imbuto voluto dalla Germania, fatto di controlli sempre più stringenti; cessioni progressive di sovranità; «compiti a casa»; asfissia dei Paesi con alto debito pubblico e difficoltà di governance; ricatti politici e dei mercati finanziari. Ma una nuova unione in cui davanti a tutto c’è la politica e la responsabilità;
              l'Italia, tuttavia, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo è rimasta immobile. Il Presidente del Consiglio non ha saputo decidere se fare asse con la Francia, e magari la Spagna, oppure sottostare, anche in questa occasione, alla linea di Angela Merkel, in cambio di un po’ di flessibilità e di possibilità di fare deficit, al fine di ottenere facile consenso;
              per quanto riguarda, gli aspetti della politica macroeconomica, è difficile negare che oggi l'Europa non soffra di una carenza di domanda e che sia necessario uno stimolo fiscale che supporti la politica monetaria; in particolare, ciò che ha inciso più negativamente sulla funzionalità dell'Unione, è stato il surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti (netta prevalenza delle esportazioni sulle importazioni) dell'economia tedesca, che ha cominciato a essere tale con l'avvento dell'euro, e che da allora ha avuto un andamento crescente, in particolare negli anni della crisi. Ma in un'unione monetaria, il surplus di uno o più paesi produce più danni dell'eccesso di deficit di altre economie dell'Unione;
              l'Europa a trazione tedesca non ha quindi volutamente colto, sbagliando, questo punto. E le misure per fronteggiare la crisi che ne sono derivate non hanno fatto altro che peggiorare la situazione, piuttosto che risolverla, e la politica del «sangue, sudore e lacrime» implementata negli anni della crisi dall'Europa a trazione tedesca è stato un tragico (e con tutta probabilità, non casuale) errore;
              non solo, in parallelo con l'adozione di misure di politica economica sbagliate, in Europa si è voluto procedere, sotto pressione tedesca, con sempre più stringenti cessioni di sovranità, presentate, guarda caso, come necessarie e indispensabili per far fronte all'emergenza; sono proprio degli anni della crisi, infatti, il Six Pack, il Fiscal Compact, e il Two Pack, tutte modifiche intervenute sull'originario trattato di Maastricht, tra l'altro attraverso strumenti legislativi inadeguati e, secondo alcuni, illegittimi, che hanno ulteriormente squilibrato il sistema europeo, stravolgendone l'impianto iniziale. Modifiche che oggi più che mai bisogna sospendere, per tornare all'impianto originale. Magari completandolo con le quattro unioni (bancaria, inclusa la garanzia comune europea sui depositi; economica, che significa Eurobond; politica e di bilancio) da troppo tempo solo discusse e mai davvero implementate,

impegna il Governo:

          a rilanciare l'azione del nostro Paese e dell'intera Europa sul fronte della lotta al terrorismo e sul piano internazionale in generale, soprattutto con riguardo allo scenario mediterraneo e mediorientale, attraverso una collaborazione politico-strategica con la Federazione russa, coinvolgendo anche gli Stati Uniti, sulla scia di quanto fatto con gli accordi di Pratica di Mare nel 2002;
          ad implementare la propria azione a livello internazionale ed europeo, affrontando con decisione i temi della lotta al terrorismo internazionale e della gestione del fenomeno migratorio attraverso un contributo fattivo ed incisivo in qualità di futuro membro del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per il 2017, nonché nell'ambito della prossima presidenza del G7 e della futura presidenza OSCE assegnata al nostro Paese per il 2018, agevolando un clima di maggiore distensione internazionale, di dialogo e di collaborazione, e lavorando in particolare per un riavvicinamento della Federazione russa al G7, seguendo una logica inclusiva;
          a riconsiderare nell'ambito dell'Unione europea la posizione dell'Italia con riguardo alle sanzioni comminate alla Federazione russa perché controproducenti per la convivenza pacifica e dannose per l'economia anzitutto del nostro Paese, nonché ad adoperarsi affinché questo esempio sia seguito da un numero crescente di Paesi, al fine di raggiungere un accordo unanime che porti all'annullamento delle sanzioni in vigore contro la Federazione russa – anche valutando l'ipotesi di esercitare sul punto il proprio diritto di veto – per agevolare un positivo coinvolgimento di quest'ultima nella lotta al terrorismo internazionale e nelle operazioni portate avanti nel Mediterraneo;
          a rendersi disponibile a meccanismi di informazione e consultazione permanente con gli organi parlamentari che coinvolgano le forze politiche di maggioranza e di opposizione, per trattare nel merito situazioni di crisi gravi ogni volta che queste si presentano e che favoriscano, senza sostituirsi alle competenze dell'Assemblea plenaria, il confronto e la discussione delle iniziative del Governo e delle proposte delle opposizioni;
          ad operare in ambito NATO per sostenere e promuovere azioni efficaci contro il terrorismo internazionale, e per stimolare il dibattito e la riflessione sulle nuove priorità geopolitiche, alla luce dell'attuale e drammatico scenario internazionale;
          a chiarire quanto prima la strategia e il coinvolgimento dell'Italia nei confronti della crisi libica, a fronte della recente operazione portata avanti dagli Stati Uniti su richiesta del Governo libico di unità nazionale;
          a promuovere ogni iniziativa in ambito europeo volta a dare impulso a concrete iniziative per la crescita della dimensione di difesa comune europea;
          nell'ambito delle misure per affrontare la crisi migratoria e dei rifugiati, ad adottare ogni iniziativa volta a promuovere un'azione incisiva a livello europeo per fronteggiare il fenomeno migratorio, sulla scia di quanto già indicato, a seguito dell'approvazione della risoluzione di Forza Italia n.  6-00251, sollecitando con forza un impegno fattivo e responsabile degli Stati dell'Unione europea, in linea con il Migration Compact, volto a stipulare accordi economici bilaterali da parte dell'Europa con i Paesi di origine e di transito per interrompere i flussi migratori e per il rimpatrio dei clandestini, anche attraverso lo sviluppo di una politica di cooperazione volta a sostenere lo sviluppo economico e l'occupazione in questi territori;
          a sollecitare un intervento decisivo volto a rafforzare le frontiere esterne dell'Unione, attraverso l'intensificazione dei controlli di frontiera sia in mare che a terra nel Mediterraneo meridionale, sul Mar Egeo e lungo la «rotta balcanica», fornendo adeguato sostegno agli Stati membri in prima linea assicurando la ricollocazione e il rimpatrio dei migranti, e la costituzione di punti di crisi (hotspot) nei Paesi di provenienza, definendo un approccio comune europeo per la gestione del flusso dei rifugiati e dei migranti economici;
          a promuovere in sede europea opportuni interventi volti a garantire un sistema che regoli la concessione del diritto di asilo secondo standard e procedure comuni in tutti i Paesi, rivedendo altresì le clausole del regolamento di «Dublino III» per coinvolgere tutti gli Stati dell'Unione europea nella gestione dei richiedenti asilo e dei migranti che varcano i confini europei;
          ad intervenire nelle opportune sedi per porre in essere nel più breve tempo possibile l'inizio della fase 3 della missione EUNAVFOR MED, che permetterà di entrare nelle acque territoriali libiche per impedire le partenze dei barconi e contrastare più efficacemente il traffico di esseri umani, valutando altresì, ove ciò non fosse praticabile in tempi ragionevolmente brevi, la possibilità della sospensione dell'attuale fase 2;
          ad adottare ogni iniziativa a livello europeo volta ad implementare lo scambio di informazioni, per sorvegliare con la massima attenzione e continuità tutti i possibili luoghi di aggregazione dei terroristi, evidenziando il ruolo di Europol ed Eurojust, e a prevedere una migliore e più efficace condivisione delle informazioni tra i diversi servizi di intelligence degli Stati membri, insieme ad un anti-terrorismo cibernetico contro la propaganda dell'ISIS; ad adottare iniziative volte a rafforzare lo stesso ruolo dell’intelligence, incrementando e velocizzando il reclutamento di esperti, individuati nell'ambito accademico e scientifico, in grado di contribuire a inquadrare le nuove minacce alla sicurezza;
          al fine di un generale contrasto allo Stato islamico e alla sua attività di propaganda e reclutamento online, a farsi promotore a livello europeo ed internazionale di accordi con gli operatori delle telecomunicazioni per rendere più rapidi i tempi di rimozione dei messaggi che Daesh diffonde sul web, segnalare tempestivamente i casi di propaganda o minaccia a sfondo terroristico, nonché di vendita online di beni di ogni genere da parte di Daesh, così come a chiudere in tempi rapidissimi i canali di finanziamento online a cui l'Isis fa ricorso;
          nel ribadire la ferma condanna per ogni tentativo di sovvertimento dell'ordine democratico in Turchia, alleato strategico in un'area di primaria importanza geopolitica, ad agire all'interno delle istituzioni dell'Unione europea nei confronti del Governo turco per: ribadire nelle sedi opportune la tutela e il rafforzamento dello stato di diritto, della libertà di stampa e dei diritti umani; intervenire con ogni mezzo, affinché non venga ripristinata la pena di morte; vigilare, affinché il processo in corso non favorisca il rafforzamento di Daesh nella regione; offrire concretezza agli accordi con la Turchia sui migranti, verificando l'utilizzo dei fondi già erogati e di quelli da erogare entro il 2018, e valutando la possibilità di introdurre meccanismi in grado di vincolare lo stanziamento di fondi alla garanzia che la stessa Turchia rispetti i diritti umani e i termini del patto;
          ad assumere ogni opportuna iniziativa tesa a progredire nell'unione politica dell'area euro di pari passo con le unioni bancaria, economica e di bilancio, onde evitare il progressivo allontanamento dei cittadini nei confronti delle politiche dell'Unione europea e scongiurare una deriva tecnocratica che cancelli, di fatto, lo spirito dell'Europa delle origini, comportando, tra l'altro, la progressiva perdita di sovranità dei singoli Stati nazionali;
          a stimolare la riflessione delle istituzioni europee, anche alla luce del risultato del referendum sulla permanenza del Regno Unito all'interno dell'Unione europea, al fine di promuovere iniziative volte a cambiare le politiche che hanno dimostrato il loro fallimento in termini di crescita economica e, di conseguenza, in termini di benessere sociale.
(1-01339) «Brunetta, Carfagna, Archi, Valentini, Occhiuto, Vito».


      La Camera,
          premesso che:
              il settore marittimo riveste un ruolo fondamentale per il rilancio dell'economia, anche mediante la valorizzazione di tutte le risorse del Mar Mediterraneo; il suo ruolo è strategico e di primaria importanza per l'intero Paese;
              la «crescita blu» ha un potenziale importante; il «cluster» marittimo italiano vale il 2,6 per cento del prodotto interno lordo, il 3,3 per cento delle esportazioni, e quasi il 5 per cento degli investimenti nazionali; il settore marittimo, direttamente o attraverso l'indotto, occupa circa 480.000 addetti; il moltiplicatore di settore è pari a 2,37 per il reddito e a 1,73 per l'occupazione: questo significa che per ogni 100 euro spesi nell'ambito del cluster marittimo (ad esempio per investimenti o approvvigionamenti), si attivano 237 euro di reddito complessivo nel sistema economico nazionale; parallelamente, 100 nuove unità di lavoro operanti nel cluster marittimo, attivano 173 unità di lavoro complessive nell'economia nazionale;
              negli spazi marittimi si svolgono una molteplicità di attività e di operazioni complesse di importanza vitale per l'economia e per l'ambiente: la pesca e l'acquacoltura, innanzitutto; queste attività coesistono, ma spesso si contendono lo stesso spazio e le stesse risorse nelle zone costiere e marittime e nelle zone marine protette: si pensi ad infrastrutture marittime o a dispositivi quali cavi, condutture, impianti per l'estrazione di petrolio e gas naturale, impianti eolici e quant'altro; è dunque di rilievo strategico pianificare la gestione e lo sviluppo sostenibile degli spazi marittimi allo scopo di superare i conflitti esistenti, gli sprechi, le diseconomie, i danni ambientali accresciuti e resi insuperabili da uno sfruttamento irrazionale e spesso «conflittuale» degli spazi marittimi, che si aggrava anche in relazione alla crescita incessante della domanda di spazio marittimo per nuove attività;
              nell'aprile del 2014 il Parlamento europeo ha approvato una proposta di direttiva sulla pianificazione dello spazio marittimo (PSM) con l'intento di sollecitare gli Stati membri alla elaborazione e alla messa a punto di piani intesi a favorire un migliore coordinamento delle diverse attività che si svolgono negli spazi marittimi, garantendo nel contempo l'efficacia, lo sviluppo e la sostenibilità ambientale delle medesime attività;
              la direttiva fissa i contenuti essenziali dei piani nazionali di gestione dello spazio marittimo: è necessario individuare tutte le attività umane che si svolgono in tale spazio, tenendo conto delle interazioni terra-mare, nonché le modalità più efficaci per la loro gestione; la direttiva si propone di sostenere gli Stati membri e di aiutarli a cooperare in modo più efficace, anche in considerazione del fatto che tali attività si sviluppano spesso ben oltre le frontiere nazionali e il mare territoriale;
              la pianificazione dello spazio marittimo (PSM) è un'importante occasione per la valorizzazione della risorsa mare: consente, infatti, di meglio comprendere la distribuzione delle risorse marine e offre agli investitori maggiori certezze sulle prospettive di sviluppo, contribuendo a ridurre la molteplicità di norme e regole e a semplificare gli adempimenti amministrativi; un migliore coordinamento tra gli Stati membri e all'interno del territorio nazionale consente di semplificare e abbreviare le procedure con rilevanti vantaggi economici; secondo la Commissione europea accelerare di 1, 2 o 3 anni gli investimenti a favore dell'acquacoltura in mare aperto o della produzione di energie rinnovabili offshore, ad esempio, potrebbe generare, da qui al 2020, benefici economici compresi tra 60 e 600 o più milioni di euro;
              i piani nazionali di gestione dello spazio avranno anche l'importante obiettivo di limitare i conflitti tra i diversi settori e di creare sinergie tra le attività dello spazio marittimo; dovranno anche puntare ad incoraggiare gli investimenti mediante una disciplina normativa chiara e certa e il coordinamento tra le amministrazioni all'interno di uno Stato e tra i singoli Paesi; dovranno, inoltre, essere orientati ad incrementare la cooperazione transfrontaliera tra i Paesi dell'Unione europea su questioni delicate quali le installazioni offshore per impianti per energie rinnovabili e come le rotte di navigazione; dovranno prevedere iniziative e puntuali interventi a tutela dell'ecosistema, mediante individuazione precoce dell'impatto e dei possibili rimedi per limitarlo nonché delle opportunità per un uso polivalente dello spazio;
              la pianificazione dello spazio marittimo ha anche l'obiettivo di favorire la creazione di zone marine protette, per le quali è indispensabile la cooperazione transfrontaliera, in modo da garantire piena ed effettiva applicazione della disciplina comunitaria per la protezione dell'ecosistema nelle zone marine;
              entro il 18 settembre 2016 gli Stati membri devono recepire la direttiva nella legislazione nazionale e individuare l'autorità competente incaricata di attuare la pianificazione dello spazio marittimo;
              entro il 2021 gli Stati membri sono tenuti ad elaborare i rispettivi piani di gestione dello spazio marittimo, che dovranno essere conformi ai requisiti minimi stabiliti dalla direttiva; i contenuti e le strategie dei piani di gestione dello spazio marittimo potranno però essere adattati alle priorità economiche, sociali e ambientali nonché agli obiettivi delle politiche settoriali nazionali e ai principi dell'ordinamento di ciascuno Stato membro dell'Unione europea;
              la valorizzazione della risorsa «mare» e la tutela del suo patrimonio pone con urgenza la questione dello status giuridico delle acque del Mediterraneo. Nel quadro di una gestione comune dello spazio mediterraneo, il nostro Paese potrebbe infatti assumere, stante la sua posizione geografica e specie se in un regime di acque internazionali (alto mare), la regia di una politica mediterranea finalizzata allo scambio e alla cooperazione, ponendosi quale interlocutore privilegiato tra i Paesi della sponda nord e della sponda sud del Mediterraneo. Il primo passo in tale direzione consisterebbe senz'altro nella piena realizzazione delle potenzialità dell’«economia blu», attuata nel più ampio quadro della politica marittima integrata dall'Unione europea. Ciò implica l'integrazione dei diversi comparti del settore marittimo (pesca e acquacoltura, biodiversità marina, energia e minerali marini, trasporti e portualità, difesa e sicurezza) in una governance unitaria, che coinvolga tutti gli operatori del mare in una visione politica e strategica comune. In termini più ampi, occorre ripensare la politica marittima nazionale nel suo complesso e mettere a punto una strategia regionale onnicomprensiva – volta tanto all'utilizzo sostenibile delle risorse quanto a favorire la stabilizzazione del Mediterraneo – nell'ambito della quale l'Italia possa, attraverso la valorizzazione delle esperienze, delle conoscenze e degli investimenti conseguiti negli anni passati, assumere il suo naturale ruolo di guida e di punto di riferimento per gli altri Paesi mediterranei e per l'Unione europea nell'area;
              il gruppo parlamentare del Partito Democratico ha elaborato e concorso ad approvare in sede di esame della manovra 2016 importanti norme per rivoluzionare il modo di fare pesca e per il rilancio delle politiche per la pesca nel Mediterraneo, tra cui, in particolare:
                  proroga e rifinanziamento del programma nazionale triennale della pesca e dell'acquacoltura;
                  estensione alle imprese della pesca e dell'acquacoltura degli interventi di ISMEA a garanzia di finanziamenti, come già previsto per le imprese agricole;
                  credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive nelle regioni del Mezzogiorno fino al 31 dicembre 2019 anche per le imprese attive nella produzione, trasformazione e commercializzazione agricola primaria, della pesca e dell'acquacoltura;
              l'intenso lavoro del Gruppo parlamentare del PD ha lo scopo di valorizzare e sviluppare tutti i settori che operano nell'ambito dell’«economia del mare» in primis la pesca – allo scopo di far riconquistare – ai pescherecci italiani – un ruolo di primo piano rispetto ad altre flotte del Mediterraneo,

impegna il Governo:

          ad assumere le iniziative di competenza per recepire nell'ordinamento nazionale – entro il 18 settembre 2016 – la direttiva 2014/89 del Parlamento europeo sulla pianificazione dello spazio marittimo (PSM), opportunamente coinvolgendo – nella fase di elaborazione della normativa nazionale – le associazioni della pesca e dell'acquacoltura;
          a individuare al più presto l'autorità competente incaricata di attuare la pianificazione dello spazio marittimo;
          a valutare l'opportunità di rafforzare il coordinamento delle funzioni attribuite alle diverse amministrazioni afferenti al settore marittimo (trasporti e portualità – affidate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, pesca e acquacoltura – affidate al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, tutela della biodiversità – affidate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, estrazioni minerarie sottomarine ed energia – affidate al Ministro dello sviluppo economico) per meglio garantire la funzione di presidio, controllo e tutela, anche ambientale, e di contrasto alla pesca illegale.
(1-01340) «Venittelli, Oliverio, Tullo, Borghi, Sani, Sbrollini, Falcone, Rostellato, Crivellari, Covello, Anzaldi, Tartaglione, Giuliani, Terrosi, Patriarca, Rubinato, De Menech, Vico, Antezza, Amato, Carrescia, Arlotti, Morani, Minnucci, Lodolini, Giampaolo Galli, Carrozza, Moscatt, Mognato, Capozzolo, Zanin, Basso, D'Incecco, Pinna».


      La Camera,
          premesso che:
              un efficiente sistema di infrastrutture di trasporto e logistico nel nord ovest d'Italia contribuisce allo sviluppo di un sistema produttivo più sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale;
              con tale obiettivo le regioni Lombardia Liguria e Piemonte, che costituiscono la macroarea del Nord ovest, e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno siglato, lo scorso 9 aprile, il Protocollo di intesa per l'attuazione delle iniziative strategiche del sistema logistico del nord ovest individuando gli interventi centrali per realizzare la Piattaforma Logistica con finalità di coordinamento strategico e promozione del sistema logistico del territorio;
              nello scenario europeo e mondiale sono attualmente in atto fenomeni di cambiamento che rappresentano per la macroarea logistica del Nord ovest una grande opportunità:
                  lo spostamento dei flussi di merce sui vettori marittimi di grandi dimensioni inducono la centralità del Mediterraneo e della portualità nei traffici internazionali;
                  l'imminente apertura dei trafori del Gottardo e del Ceneri e lo sviluppo della dorsale Torino – Lione e del Terzo Valico dei Giovi fanno prevedere una grande permeabilità dell'area verso i mercati europei collocati a nord e ad ovest dell'arco alpino;
              questi fenomeni possono consentire di consolidare l'attuale mercato ma anche di recuperare nuovi traffici in conseguenza di un'azione sinergica ed integrata con le politiche di sviluppo dei porti figuri, valorizzando la funzione degli interporti del nord ovest sia nel loro ruolo di retroporti di Genova e Savona, sia nel ruolo di centri intermodali e luoghi di concentrazione di attività logistiche che si estendono anche alla manipolazione delle merci, generando quindi valore aggiunto dal punto di vista reddituale ed occupazionale;
              l'attuale distribuzione dei traffici marittimi che interessano l'area mediterranea provenendo dal far east asiatico attraverso il Canale di Suez risulta fortemente sbilanciata verso i porti del nord-europa che assorbono circa il 68,4 per cento dei volumi contro il 31,6 per cento che fa riferimento ai porti del Mediterraneo. Tale sbilanciamento è dovuto a diversi fattori che giocano un ruolo fondamentale nelle decisioni delle grandi compagnie di spedizione che controllano il mercato del commercio marittimo;
              in tale contesto assumono particolare rilevanza gli interventi programmati sugli assi (corridoi europei) che collegano i porti del Nord con mercati di destinazione delle merci collocati nel sud dell'Europa, e tra essi anche l'Italia e la Pianura Padana in particolare;
              la macroarea del Nord-ovest essendo funzionalmente collegata alle principali reti di comunicazione transeuropee costituisce un vero e proprio sistema di portualità e retroportualità e pertanto riveste un ruolo strategico nella movimentazione e distribuzione delle merci. In particolare, l'area è posta all'incrocio dei due corridoi TEN-T che collegano l'est e l'ovest (Corridoio Mediterraneo) nonché il nord ed il sud (Corridoio Reno Alpi) del continente europeo e intercetta anche il Corridoio Scandinavo-Mediterraneo;
              entrambi i corridoi sono interessati da «tunnel di base» per l'attraversamento delle Alpi e degli Appennini e consentiranno il transito di treni a quote di pianura, a grande sagoma (AF-PC8o), di lunghezza minima di 75cm con possibilità di carico superiori alle 2000 Ton a locomotore singolo. Di tali corridoi, anelli principali appartenenti all'ambito territoriale di riferimento sono le opere costituite dal nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione (Corridoio mediterraneo) e dal terzo Valico dei Giovi (corridoio Reno-Alpi), ma il corridoio di direzione nord-sud ricomprende anche il sistema Gottardo – Ceneri realizzato dalla Svizzera;
              con l'apertura delle gallerie di base del Gottardo e del Ceneri si creeranno le condizioni per indirizzare verso gli scali sud europei il traffico oggi appannaggio degli scali del nord Europa, rendendo potenzialmente più competitivo il sistema portuale ligure;
              in generale, per l'area del 7 corridoio Reno Alpi che rappresenta il 18 per cento prodotto interno lordo europeo si prevede un aumento di trasporto ferroviario a scenario 2030 da 44,6 a 82,6 milioni di tonnellate, mentre per l'area del corridoio Mediterraneo, che rappresenta il 17 per cento del PIL europeo, si prevede un aumento di trasporto ferroviario a scenario 2030 da 22,2 a 81,2 milioni di tonnellate;
              i modelli di traffico merci predisposti dalla Commissione europea indicano che entro il 2030 ci sarà un aumento significativo dei flussi di merce trasportati per il tramite della ferrovia, a condizione che siano realizzate le misure in materia di shift modale contenute nei piani di corridoio; la crescita dei porti del Mediterraneo e liguri in particolare, è quindi ancor più giustificata dai minori volumi di emissioni di gas serra complessivamente prodotti dalle rotte marittime e dai trasporti via terra delle merci verso i mercati sud europei;
              la ricerca di maggiore competitività delle grandi compagnie di navigazione impone sempre più l'aumento dei volumi di carico a parità di consumi, come dimostra il fatto che oltre il 50 per cento dei volumi dal Far East si muove oggi su navi con capacità di carico superiore ai 12.500 Teu;
              i possenti investimenti realizzati negli ultimi anni nei tre porti liguri sia da parte pubblica (dragaggi, nuovi terminal con riempimenti, impianti ferroviari) che da parte degli operatori privati (nuove gru, investimenti in ICT), costituiscono già una prima risposta – ancorché non esaustiva – all'esigenza di adeguare le infrastrutture portuali alle nuove dimensioni delle navi portacontainer e all'attesa crescita dei traffici. È ora necessario completare le opere programmate e avviare quelle previste nelle pianificazioni dei porti senza dimenticare gli investimenti in materia di adeguamento della lunghezza delle banchine e della profondità dei bacini portuali, dello spazio di manovra per raggiungere l'accosto e per uscire dal porto, delle gru per la movimentazione di carichi sempre crescenti;
              le tre realtà portuali liguri hanno attivato cantieri per aumentare la capacità di oltre il 50 per cento nei prossimi 5 anni nel settore del container, permettendo di passare da un attuale capacità di 4,3 milioni di Teu (sfruttata all'80 per cento) ad una di 6,6 milioni di Teu al 2020, valorizzabile solo estendendo i bacini di mercato di riferimento anche oltre le Alpi, attraverso innovativi servizi intermodali;
              oltre ai due corridoi fondamentali della rete europea TEN-T la macro area logistica del Nord-ovest comprende milioni di metri quadrati di aree destinate alla logistica, un hub aeroportuale internazionale (Malpensa), tre grandi porti (Genova, La Spezia e Savona), la retroportualità di Rivalta Scrivia e le strutture intermodali di CIM Novara, Sito Orbassano, Busto-Arstizio-Gallarate, Melzo, Mortara, Segrate e altri minori;
              il piano strategico nazionale della portualità e della logistica prospetta obiettivi ed azioni in grado di consentire al sistema portuale e logistico di essere un fondamentale contributore alla ripresa economica del paese ed una garanzia della promozione della sostenibilità;

accanto alle misure per migliorare i servizi di trasporto ed aumentare l'accessibilità dei porti via mare e via terra, essenziali per uno sviluppo deciso del trasporto ferroviario, rimane ancora da sviluppare la governance delle aree logistiche integrate, la cui strutturazione potrebbe costituire il luogo di concertazione con i gestori della rete per la programmazione infrastrutturale portuale/retroportuale;
              in linea con la programmazione nazionale contenuta nel piano strategico nazionale della portualità e della logistica, in relazione al corridoio Mediterraneo assumono rilevanza i nodi logistici del novarese e alessandrino, intesi come punti di incrocio tra i Corridoi Mediterraneo e Reno-Alpi, per i quali occorre valutare opportuni scenari di sviluppo anche con l'obiettivo di individuare in Novara la capofila del progetto di sviluppo logistico in virtù della sua posizione strategica per farne un luogo di concentrazione di attività logistiche che si estendono anche alla manipolazione delle merci, generando quindi valore aggiunto dal punto di vista reddituale ed occupazionale;
              già oggi in tutto il Piemonte l'offerta logistica è rilevante potendo contare su una potenzialità di oltre 24 milioni di metri quadrati con destinazione ad attività logistiche e, appunto, su alcune infrastrutture di eccellenza:
                  S.I.TO. Torino/Orbassano: interporto di Torino che costituisce insieme all'adiacente S.M. Orbassano (RFI) e a CAAT, una piattaforma logistica a servizio dell'area metropolitana torinese con una superficie di quasi 5 milioni di metri quadrati;
                  C.I.M. Novara: Centro logistico intermodale posto in posizione strategica all'incrocio di due principali corridoi europei con una superficie di circa 840 mila metri quadrati;
                  Interporto di Rivalta Scrivia – RTE con una superficie di 2 milioni di metri quadrati che costituisce il retroporto di riferimento per la portualità ligure;
              è quindi fondamentale che gli interventi sulla rete afferente al nodo di Torino, al nodo di Novara ed alle relative connessioni con i porti liguri, siano programmati e realizzati con un orizzonte temporale compatibile con le esigenze del sistema logistico del nord-ovest nel breve o medio periodo;
              è importante che le tre regioni del Nord-ovest concorrano nell'ambito del tavolo nazionale di coordinamento delle priorità di sistema portuali ad elaborare l'accordo quadro nazionale volto a sostenere attività di interesse comune in materia di sviluppo logistico di area vasta a supporto del sistema portuale;
              in tale contesto l'intento che il piano strategico nazionale della portualità e della logistica (PSNPL) persegue si pone in linea con le azioni già avviate tra le regioni del Nord-ovest sui temi dei corridoi strategici europei (Core network) e delle relative infrastrutture di connessione (Comprehensive network) e sulle iniziative relative alla logistica di corridoio. Tra queste azioni si inserisce a pieno titolo la cabina di regia per la logistica del Nord-Ovest in merito ai due corridoi Reno-Alpi e Mediterraneo finalizzata alla condivisione ed al coordinamento delle politiche di sviluppo che le regioni Piemonte, Liguria e Lombardia si propongono di attuare nell'ambito della logistica territoriale collegata alle attività dei porti di Genova e di Savona e più in generale alla portualità dell'Alto Tirreno;
              il 28 luglio 2015 la Commissione ha lanciato ufficialmente la strategia dell'Unione europea per la regione alpina (EUSALP), la quarta strategia macroregionale, dell'Unione europea che riguarda cinque Stati membri (Austria, Francia, Germania, Italia e Slovenia) e due Paesi terzi (Liechtenstein e Svizzera), coinvolgendo totale di 48 regioni. Sarebbe utile e auspicabile coordinare le attività e le iniziative per lo sviluppo della logistica del nord ovest con la strategia EUSALP, per quanto riguarda il trasporto merci in linea con il 2o Pilastro «Connettività per tutti: alla ricerca di uno sviluppo territoriale equilibrato attraverso modelli di mobilità ecocompatibili, sistemi di trasporto, servizi di comunicazione e infrastrutture»;
              il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti definendo i contenuti del documento pluriennale di pianificazione (DPP) di cui al decreto legislativo n.  228 del 2011, che include e rende coerenti tutti i piani e i programmi di investimento per opere pubbliche di propria competenza ed in particolare il contratto di programma RFI relativo agli investimenti sulla rete ferroviaria,

impegna il Governo:

          a dare esecuzione, per le parti di propria competenza, al protocollo di intesa per l'attuazione delle iniziative strategiche del sistema logistico del Nord-ovest siglato con le Regioni Liguria, Lombardia e Piemonte;
          ad individuare quali priorità, all'interno della programmazione nazionale contenuta nel DPP di cui al decreto legislativo n.  228 del 2011, gli investimenti e gli interventi per lo sviluppo dei nodi logistici di Novara e Alessandria, in considerazione della loro rilevanza strategica come punti di incrocio tra i corridoi Mediterraneo e Reno-Alpi, delineando quegli scenari di sviluppo funzionali alla crescita dell'intera macro area del nord ovest;
          a prevedere che la programmazione e la realizzazione degli interventi per l'adeguamento prestazionale e tecnologico delle tratte di adduzione al valico del Frèjus lungo il Corridoio Mediterraneo, nonché gli interventi afferenti al nodo di Torino, al nodo di Novara ed alle relative connessioni con i porti liguri, avvengano con un orizzonte temporale compatibile con le esigenze del sistema logistico del Nord-ovest;
          ad istituire un tavolo di concertazione permanente tra le regioni, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana al fine di verificare e ad aggiornare gli interventi infrastrutturali relativi al potenziamento e all'adeguamento della rete ferroviaria del Nord-ovest, con particolare riferimento alle prestazioni per la circolazione di treni merci, con l'obiettivo di definire un piano di interventi condiviso tra i soggetti istituzionali interessati che possa essere recepito nel DPP di cui al decreto legislativo n.  228 del 2011 e negli aggiornamenti annuali del contratto di programma tra Stato e RFI relativo agli investimenti sulla rete ferroviaria;
          al fine di rafforzare la sussidiarietà verticale e orizzontale, indispensabile per raggiungere gli obiettivi di sviluppo e crescita della Macroarea Nord-ovest, a promuovere le più opportune modalità di partecipazione alla cabina di regia, con particolare riguardo agli enti locali della città di Novara, istituita tra le tre regioni per dare maggior forza all'iniziativa nell'ambito delle strategie nazionali delineate con il piano strategico nazionale della portualità e della logistica.
(1-01341) «Falcone, Fragomeli, Paolo Rossi, Rampi, Malpezzi, Fiorio, Oliverio, Sbrollini, Pinna, Barbanti, Mongiello, Palma, Magorno, Preziosi, Lodolini, Rostellato».

Risoluzioni in Commissione:


      La III e la X Commissione,
          premesso che:
              a seguito di una lunga trattativa in seno alle istituzioni europee, è stato raggiunto a Bruxelles, in data 19 febbraio 2013, un accordo su un tribunale unificato dei brevetti, a cui l'Italia, se pure tra i firmatari, vi ha ufficialmente aderito nell'ottobre del 2015;
              il negoziato per la realizzazione di una protezione brevettuale europea, che ha portato la Commissione europea ad adottare una prima proposta di regolamento già nel mese di agosto dell'anno 2000, ha subito diverse battute di arresto; ampiamente dibattuti sono stati i temi della tutela giurisdizionale e soprattutto del regime di traduzione linguistica dei brevetti;
              quest'ultimo aspetto, che introduce un regime trilinguistico, inglese, francese e tedesco, per il deposito della domanda di brevetto unitario, è stato determinante nella scelta dell'Italia, e poi della Spagna, di non aderire alla cooperazione rafforzata per l'istituzione di una tutela brevettuale unitaria, autorizzata con una decisione del 10 marzo 2011;
              l'Italia ha quindi fatto ricorso alla Corte di giustizia dell'Unione europea avverso la cooperazione rafforzata e il relativo regime linguistico, pur firmando l'Accordo su un tribunale unificato dei brevetti; a seguito del pronunciamento della Corte sui ricorsi, italiano e spagnolo, che ha giudicato compatibile la cooperazione rafforzata con il diritto dell'Unione europea il Governo italiano, il 2 luglio 2015, ha notificato al Consiglio dell'Unione europea l'intenzione di aderire alla cooperazione rafforzata;
              con la ratifica dell'accordo prenderà vita un sistema giurisdizionale unificato, costituito da un tribunale centrale con sede a Parigi e due sezioni a Monaco e a Londra;
              è necessario considerare che l'adesione a questo accordo comporterà per le imprese italiane diverse complicazioni anche sotto il profilo della gestione giurisdizionale di futuri conflitti, i quali dovranno essere affrontati in sedi giurisdizionali estere;
              quello che nelle premesse poteva essere un sistema vantaggioso per le imprese innovative rischia invece di divenire la causa della loro stessa perdita di competitività; infatti, un eventuale processo sui brevetti europei che coinvolga gli imprenditori italiani costringerebbe questi ultimi a doversi rivolgere all'estero per avere giustizia, in una lingua straniera, con costi più alti e tali da mettere a rischio l'attività dell'azienda;
              nel parere approvato dalla Commissione attività produttive della Camera dei deputati, in data 21 luglio 2016, sulla ratifica ed esecuzione dell'Accordo su un tribunale unificato dei brevetti, con Allegati, fatto a Bruxelles il 19 febbraio 2013, è emersa l'ipotesi di avviare una riflessione sulle sedi centrali del tribunale unificato dei brevetti, alla luce dell'esito del recente referendum britannico;
              soltanto in alcuni Paesi dell'Unione europea, tra cui non figura l'Italia, si concentrano le sedi dei più importanti organismi europei; è evidente che in tale materia, anche alla luce dell'inclinazione del sistema imprenditoriale italiano alla creazione e all'invenzione, sia giusto e corretto che la sede del tribunale unificato dei brevetti, una volta che Londra non sarà più deputata a ricoprire il ruolo di sede centrale, venga ricoperta dall'Italia,

impegnano il Governo

alla luce dell'esito del recente referendum britannico, a farsi promotore nelle competenti sedi europee dell'individuazione della città di Torino quale una delle sedi centrali del tribunale unificato dei brevetti, attualmente individuata nella città di Londra.
(7-01076) «Allasia, Gianluca Pini».


      La IX Commissione,
          premesso che:
              la cronaca recente, a fine luglio 2016, ha richiamato l'attenzione pubblica sul tragico fenomeno dei bambini dimenticati all'interno di automobili, con i connessi gravi rischi di morte per ipertermia;
              si tratta di un fenomeno diffuso a livello mondiale, che non pare dipendere dalle condizioni sociali o economiche del genitore, ma che può accadere a chiunque, anche a genitori diligenti e precedentemente modello di responsabilità genitoriale, come evidenziato nel noto articolo pubblicato da Gene Weingarten sul Washington Post l'8 marzo 2009, che valse il premio Pulitzer al suo autore;
              la IX Commissione, durante l'esame della proposta di legge C. 1512, per la riforma puntuale di numerose disposizioni del codice della strada, ha quindi osservato come un approccio sanzionatorio specifico sia inutile, dovendosi piuttosto individuare prassi e sistemi tecnologici per prevenire questi fatti;
              risulterebbe opportuno, in particolare, intervenire sull'articolo 172 del C.d.S. (uso delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta per bambini), come richiesto nella petizione lanciata da Maria Ghirardelli e nella campagna sostenuta dal Centro Alfredo Rampi Onlus;
              si è ragionato sul fatto che un dispositivo «anti-abbandono» dovrebbe essere installato non sul veicolo, ma direttamente sul sistema di ritenuta;
              così si assicurerebbe che, dovunque vi sia un bambino, di età tale da dover usare un sistema di ritenuta (non sussistendo il pericolo di ipertermia per i bambini di età superiore), sia attivo un dispositivo «anti-abbandono», mentre si eviterebbe di imporre ex lege l'installazione del dispositivo (con i relativi e costi) su veicoli destinati a non ospitare mai, per le più varie ragioni, bambini in età a rischio;
              si è inoltre ragionato sul fatto che un'eventuale norma di legge non dovrebbe contenere una puntuale descrizione di un singolo tipo di dispositivo anti-ritenuta, così irrigidendo la norma stessa su una precisa scelta tecnica, senza prevedere la possibilità che vengano sviluppati dispositivi più efficaci o efficienti per raggiungere il medesimo risultato;
              d'altra parte, alla luce del livello di integrazione sovranazionale raggiunto in materia di regolamentazione sistemi di ritenuta, come risulta dal regolamento (CE) n.  661/2009 e dalle norme UNECE, un intervento normativo nazionale, anche qualora fosse possibile, sarebbe inefficace,

impegna il Governo:

          ad attivarsi, in tutte le sedi e in particolare in sede europea, per sostenere l'inserimento, nei sistemi di ritenuta per bambini, di dispositivi anti-abbandono e per prevenire a una loro regolamentazione;
          a studiare la possibilità di incentivare, anche tramite iniziative normative la commercializzazione di sistemi di ritenuta dei bambini dotati di dispositivi anti-abbandono, anche mediante il coinvolgimento dei produttori di tali sistemi.
(7-01075) «Catalano, Mucci, Prodani».


      La IX Commissione,
          premesso che:
              in Italia ogni giorno sono, in media, oltre 3 milioni i passeggeri che usufruiscono del servizio ferroviario regionale, in particolare per ragioni di lavoro o di studio;
              secondo il rapporto Pendolaria 2015 di Legambiente, i pendolari che scelgono il trasporto pubblico su ferro, contribuendo in misura rilevante a ridurre l'inquinamento e la congestione delle aree urbane, aumentano solo nelle regioni dove negli ultimi anni il servizio non è stato tagliato e sono stati realizzati investimenti nell'acquisto di nuovi treni (Alto Adige + 7,9 per cento di passeggeri), mentre nelle linee riqualificate i pendolari sono triplicati;
              la maggiore domanda di trasporto pendolare (il 91 per cento del totale) è concentrata, in ordine decrescente, nelle regioni Lombardia, Lazio, Toscana, Campania, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto, Puglia e Liguria;
              il Piemonte ha già subito negli ultimi anni il taglio di 14 linee ferroviarie (-35.000 viaggiatori al giorno rispetto al 2011) e ha registrato un aumento del costo dei biglietti pari al 47 per cento: l'impatto è stato di particolare rilievo nel territorio compreso tra Biella, Vercelli e Novara, a forte richiesta di mobilità pendolare;
              Trenitalia, a partire dal prossimo mese di settembre, ha in programma di spostare dalla storica tratta Torino-Milano alla linea Alta Velocità i treni Frecciabianca 9712 Venezia-Torino e 9733 Torino-Venezia, con la conseguenza che saranno soppresse le fermate di Novara e Vercelli, peggiorando il servizio per i pendolari che utilizzano tali treni in fasce orarie dove non esistono alternative o per ovviare alle endemiche situazioni di sovraccarico dei convogli regionali negli orari di punta;
              la celta di Trenitalia investe una tratta commerciale non contribuita dalla regione e comporta l'intervento della stessa nel predisporre soluzioni alternative per far fronte ad un'oggettiva penalizzazione attraverso un servizio di trasporto regionale veloce che, con sole tre fermate, garantisca gli stessi tempi di percorrenza ed eviti ricadute negative sulle potenzialità socio-economiche del territorio, con particolare riguardo al turismo;
              il potenziamento della rete regionale implica interventi importanti come l'elettrificazione della linea Biella-Santhià e il completamento di progetti non prima di quattro, cinque anni, tempi incompatibili con le esigenze dei pendolari che ogni giorno si spostano per studio o lavoro;
              anche se fosse possibile realizzare il potenziamento delle linee regionali entro settembre l'inserimento di nuovi e più veloci treni in aggiunta a quelli in servizio richiederebbe consistenti risorse a integrazione del contratto di servizio regione Piemonte-Trenitalia;
              i treni regionali veloci potrebbero svolgere un servizio analogo a quello attuale garantendo il collegamento tra città capoluogo quali Novara e Vercelli e le grandi reti di trasporto nazionale – portando il tempo di percorrenza di tali convogli tra Torino a Milano a livelli paragonabili a quello dei Frecciabianca – solo nell'ipotesi in cui siano previste non più di 3 fermate sulla tratta; in questo caso rimarrebbe comunque esclusa Santhià, stazione nevralgica anche per il pendolarismo biellese;
              nei servizi cosiddetti «a mercato», Frecciarossa, Frecciabianca e Frecciargento, gli investimenti di Trenitalia, in particolare nel Centro-Nord, hanno determinato un aumento dei pendolari e dei viaggiatori in ragione dell'introduzione di collegamenti diretti, dell'utilizzo di nuovo materiale rotabile e della riduzione dei tempi di percorrenza;
              viceversa il cosiddetto servizio «universale» – intercity e treni notturni – e i treni regionali, regolati da un contratto di servizio diverso per ogni regione, hanno subito dal 2010 ad oggi tagli che si possono stimare intorno al 6,5 per cento medio a livello nazionale;
              il trasporto ferroviario regionale è caratterizzato, in tutt'Italia, da ritardi e disservizi, nonostante la rilevante e crescente domanda dei pendolari, in particolare su alcune linee del Nord-Ovest (la Milano-Novara-Vercelli, con 38.000 viaggiatori al giorno, è una delle linee pendolari più frequentate in Italia);
              l'età media dei treni in servizio nelle regioni è di 18,6 anni, con differenze da regione a regione; a livello europeo, si considera come indicatore anagrafico per la sostituzione del materiale rotabile il superamento dei 20 anni di età, quando diventano necessari una sostituzione o almeno un intervento di revamping completo;
              l'indagine conoscitiva della IX commissione della Camera sul trasporto pubblico locale che si è conclusa nel 2015 ha stimato che, per garantire un pieno ristoro dei tagli intervenuti negli ultimi anni, il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, previsto dall'articolo 16-bis del decreto-legge n.  95 del 2012, interamente ridisciplinato dalla legge di stabilità per il 2013, dovrebbe essere incrementato dagli attuali 4.929 milioni di euro a 6.330 milioni di euro,

impegna il Governo:

        ad intervenire presso Trenitalia affinché sospenda la propria decisione di spostare i FrecciaBianca sulla linea dell'Alta Velocità, in modo tale da garantire che le tracce ora ad essi dedicate siano riservate al potenziamento dei treni regionali;
          ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volta ad aumentare le risorse per coprire i costi relativi all'introduzione dei servizi ferroviari veloci;
          a garantire, per quanto di competenza, un'effettiva vigilanza sulla qualità dei servizi pubblici di trasporto ferroviario, affinché sia realizzato un servizio efficiente e di qualità, con treni nuovi, rapidi, frequenti e puntuali, carrozze comode, pulite e non sovraffollate, stazioni sicure e presidiate, informazioni ai viaggiatori, e, soprattutto, per garantire un'adeguata e completa rete di collegamenti secondo i più avanzati standard europei.
(7-01079) «Pagani, Falcone».


      La XI Commissione,
          premesso che:
              la base retributiva su cui viene liquidata l'indennità di maternità, nella misura di legge (80 per cento), per il personale aeronavigante, è individuata secondo criteri diversi, dettati dall'articolo 48 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1997, n.  917, per effetto dell'unificazione delle basi imponibili fiscale e previdenziale di cui al decreto legislativo n.  314 del 1991;
              l'articolo 51, comma 6, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.  917, prevede che «le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all'espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, le indennità di navigazione e di volo previste dalla legge o dal contratto collettivo, nonché le indennità di cui all'articolo 133 del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959, n.  1229, concorrono a formare il reddito nella misura del 50 per cento del loro ammontare»;
              per effetto della parificazione della base imponibile sia ai fini fiscali che previdenziali ad opera dell'articolo 6 del decreto legislativo n.  314 del 1997 che richiama l'articolo 12, comma 10 e 12, della legge n.  153 del 1969, la retribuzione imponibile viene presa a riferimento per il calcolo delle prestazioni a carico delle gestioni di previdenza e di assistenza sociale interessate e quindi anche per il calcolo delle prestazioni economiche di maternità, cosicché l'indennità di volo, che concorre a formare il reddito imponibile ai fini fiscali solo nella misura del 50 per cento, viene calcolata, dall'Istituto di previdenza, anche ai fini contributivi, solo nella misura del 50 per cento;
              accade dunque che l'INAIL (dal 1o gennaio 2014 INPS) riconosce alle lavoratrici del personale dell'aviazione civile l'indennità di maternità nella misura dell'80 per cento della base contributiva-fiscale del 50 per cento dell'ammontare della indennità di volo versata al dipendente ovvero solo nella misura del 40 per cento;
              l'articolo 22 del decreto legislativo n.  151 del 2001 prescrive che «le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità»;
              l'articolo 23, comma 3, del medesimo decreto dispone che «concorrono a formare la retribuzione gli stessi elementi che vengono considerati agli effetti della determinazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria per le indennità economiche di malattia»;
              l'articolo 22 e 23 del decreto n.  151 del 2001 devono essere interpretati nel senso che si riferiscono alla retribuzione globale e con le pronunce della Corte costituzionale in materia (sent. n.  132 del 1991 e 271 del 1999) e nel senso che nel calcolo dell'indennità di maternità debbano concorrere quantomeno gli stessi elementi previsti per l'erogazione dell'indennità di malattia;
              la convenzione internazionale 183 del 2000, denominata Convenzione sulla protezione della maternità, 2000, stabilisce all'articolo 6 che «Le prestazioni in denaro devono essere di livello tale che la donna possa sopperire al proprio mantenimento e a quello del suo bambino, in buone condizioni di salute e secondo un congruo tenore di vita» e che «l'ammontare di tali prestazioni non deve essere inferiore a due terzi dei guadagni precedenti della donna o del guadagno adottato come base per il calcolo delle prestazioni»;
              a seguito di un interpello rivolto dall'Associazione del personale aeronavigante alla direzione generale per le politiche previdenziali e all'INPS, risulta che l'indennità di volo (prevista dall'articolo 907 del codice della navigazione, in ragione della specialità e dell'onerosità delle attività del personale navigante, ossia piloti ed assistenti di volo), non sarebbe paradossalmente una voce contemplata nel contratto degli assistenti di volo e, quindi risulterebbe «improprio definirla tale»;
              tale indennità costituirebbe di fatto una diaria che, come tale, non potrebbe essere considerata una voce retributiva ed esulerebbe dal calcolo rimesso alla retribuzione, con evidente vantaggio dei datori di lavoro, che, sottraendola dall'imponibile, beneficerebbero della corrispondente decontribuzione;
              le assistenti di volo in maternità non possono ricevere un trattamento di maternità che non computi anche l'indennità di volo minima garantita al 100 per cento e la parziale esenzione, sotto il profilo fiscale, dell'indennità di volo non può avere come conseguenza la penalizzazione delle lavoratrici in maternità;
              un trattamento economico di maternità come quello erogato dall'INAIL (INPS) che risulti pari al 40 per cento della retribuzione percepita dalle assistenti di volo prima del congedo di maternità si pone anche in contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione all'articolo 37 che recita che «la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e a parità di lavoro le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione e assicurare alla madre e al bambino a speciale e adeguata protezione» e tale disparità non trova nessuna ragionevole giustificazione;
              l'erogazione da parte dell'INAIL di un'indennità di maternità di importo inferiore all'80 per cento (anzi addirittura pari al 40 per cento) della retribuzione costituisce, ad avviso di firmatari del presente atto, anche una discriminazione fondata sul sesso ai sensi dell'articolo 25, comma 1 del decreto legislativo n.  198 del 2006, dell'articolo 3, comma 3, del decreto n.  151 del 2001 e dell'articolo 2, comma 2, lettera c), della direttiva europea n.  54 del 2006, poiché di fatto non garantisce alla lavoratrice madre lo stesso tenore di vita goduto in precedenza e quindi costituisce comportamento adottato in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria a tutela della lavoratrice madre e appare discriminatoria;
              l'indennità di volo, che costituisce una buona parte della retribuzione del personale di volo, non può non avere natura retributiva;
              è necessario tutelare la maternità ma anche il minore che è pregiudicato dalla circostanza che la madre riceva una indennità di maternità di importo minore,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa, anche di tipo normativo, volta alla rimozione della discriminazione in atto e al riconoscimento dell'indennità di volo, quale misura retributiva, in modo tale che nell'ambito della retribuzione imponibile ai fini del calcolo della indennità di maternità delle lavoratrici del settore aereo, siano applicate le disposizioni di cui al decreto legislativo n.  151 del 2001, aggiornato dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n.  80.
(7-01074) «Ciprini, Spadoni, Cominardi, Tripiedi, Lombardi, Dall'Osso, Chimienti».


      La XI Commissione,
          premesso che:
              nel sistema previdenziale italiano si sono susseguiti nel tempo diversi interventi legislativi che prevedono misure di valorizzazione e riconoscimento per situazioni particolari, maggiorazioni in termini di contribuzione figurativa di categorie particolarmente svantaggiate (ad esempio articolo 80, comma 3, della legge n.  388 del 2000 – invalidi; legge 29 marzo 19, n.  113 – centralinisti telefonici non vedenti); oppure per altre condizioni particolari a titolo risarcitorio per quei lavoratori che hanno svolto inconsapevolmente, o per obbligo, attività lavorativa in siti produttivi, che si sono rilevati successivamente pericolosi per la salute e che ha o inciso sulla propria speranza di vita. Condizioni che hanno profondamente penalizzato non solo i lavoratori direttamente interessati, ma anche i famigliari (ad esempio articolo 13, commi 7 e 8 della legge n.  257 del 1992 e articolo 47 del decreto legge n.  269 del 2003 lavoratori esposti all'amianto); agevolazioni in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice (legge 3 agosto n.  206);
              i lavoratori che hanno avuto diritto al calcolo retributivo della pensione hanno goduto di tali maggiorazioni sia in termini di riconoscimento di anzianità contributiva, sia per quanto riguarda la misura dell'assegno pensionistico, mentre per coloro che hanno diritto al calcolo misto o totalmente contributivo le suddette maggiorazioni vengono considerate utili ai soli fini del conseguimento del requisito di accesso alla pensione, ma non vengono valorizzate ai fini del calcolo dell'assegno pensionistico;
              la maggiorazione convenzionale non assume rilevanza nel calcolo della quota di pensione contributiva (per le pensioni a calcolo misto) ovvero della pensione da liquidare integralmente con il sistema contributivo in quanto nel calcolo contributivo l'importo della pensione è determinato moltiplicando il montante individuale dei contributi per il coefficiente di trasformazione relativo all'età al momento del pensionamento. Di fatto, quindi, la maggiorazione non costituisce effettiva contribuzione figurativa e di conseguenza non incrementa il montante contributivo;
              per rendere comprensibile la situazione vale la pena di proporre un esempio pratico: 10 anni di lavoro corrispondono a 520 settimane contributive, il montante si crea in base alla percentuale sulla retribuzione percepita che va ad alimentare il proprio patrimonio di contributi, la maggiorazione per esposizione all'amianto se fosse di 5 anni, incrementa di 260 settimane contributive aggiuntive, portando la capienza di settimane dei 10 anni a 780 settimane, situazione normalmente non verificabile, perché la capienza per ogni anno di lavoro è al massimo di 52 settimane, proprio per questo si definisce «maggiorazione». Il calcolo retributivo si basa sulla retribuzione media settimanale da prendere a riferimento per il calcolo della misura; la si moltiplica per tutte le settimane accreditabili e in questo modo gli anni di maggiorazione per esposizione all'amianto sono effettivamente valorizzati come se fossero stati anni di effettivo lavoro in più, il calcolo contributivo, invece, considera solo i contributi effettivamente versati e il montante contributivo viene moltiplicato per il coefficiente di trasformazione dell'età in cui il lavoratore va in pensione. Questo comporta che la maggiorazione diventa utile solo per andare in pensione prima;
              occorre inoltre aggiungere che il beneficio previdenziale derivante da esposizione all'amianto può variare in dipendenza dell'evento che lo ha determinato e del momento in cui è stato richiesto, creando in questo modo situazioni di discriminazione effettiva tra i lavoratori:
                a) maggiorazione dell'1,5 per cento ai fini del diritto e della misura (calcolo) della pensione di tutti i periodi in cui risulti l'esposizione all'amianto per i lavoratori che, a causa di tale esposizione, abbiano contratto o contraggano una malattia professionale (articolo 7, della legge n.  257 del 1992);
                  b) maggiorazione dell'1,5 per cento ai fini del diritto e della misura (calcolo) della pensione di tutti i periodi in cui risulti un'esposizione qualificata pari a 0,1 fibre per centimetro cubo per oltre 10 anni (articolo 13, comma 8, della n.  257 del 1992). La domanda per ottenere tale beneficio doveva essere presentata entro il 2 ottobre 2003.
                  c) maggiorazione dell'1,25 per cento solo ai fini della misura (calcolo) della pensione di tutti i periodi in cui risulti un'esposizione qualificata pari a 100 fibre litro per almeno 10 anni. La domanda per ottenere tale beneficio doveva essere presentata tra il 3 ottobre 2003 e il 15 giugno 2005. Il beneficio in parola si applica ai lavoratori con periodi di esposizione in attività non soggette in precedenza all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, (articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003 n.  269, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  326 del 2003; articolo 3, comma 132, della legge n.  350 del 2003; decreto interministeriale del 27 ottobre 2004). Tale beneficio si applica anche ai lavoratori dipendenti di aziende destinatarie di atti di indirizzo ministeriali che avessero già ricevuto la relativa certificazione dall'INAIL (con riferimento ad alcune specifiche realtà aziendali, negli anni 2000-2001 il Ministero del lavoro e della previdenza sociale ha emesso atti di indirizzo nei quali sono contenuti gli elementi utili alla certificazione dell'esposizione all'amianto. Con gli atti di indirizzo si considera presunta l'esposizione per tutti lavoratori di un determinato comparto);
                  d) prolungamento dei periodi di esposizione per i lavoratori dipendenti di aziende già destinatarie di atti di indirizzo (articolo 1 commi 20, 21 e 22, della legge n.  247 del 2007); la maggiorazione può variare (1,5 per cento o 1,25 per solo misura) in relazione al momento in cui è stata presentata la prima domanda di riconoscimento amianto secondo le condizioni descritte nei punti precedenti. I lavoratori interessati dovevano presentare domanda di prolungamento entro e non oltre l'11 maggio 2009 (decreto 13 marzo 2008);
              una volta chiarite le condizioni per accedere alle varie tipologie di maggiorazione per amianto, appare evidente che la maggiorazione ed il relativo beneficio previdenziale può essere utile ai fini del diritto e cella della pensione (qualsiasi pensione: vecchiaia, anticipata, invalidità, reversibilità e altro) solo a condizione che l'istanza sia stata presentata entro e non oltre il 2 ottobre 2003 (punto 2). Se l'istanza risulta presentata in data successiva a tale data fino al 15 giugno 2005, il beneficio sarà utile solo per determinare l'importo della pensione. Le domande presentate dopo il 15 giugno 2005 diverse da quelle di prolungamento previste al punto 4, non generano alcun beneficio pensionistico;
              quanto al diritto e alla misura della pensione con il beneficio amianto dopo la legge Fornero si osserva quanto segue;
              per i lavoratori la cui istanza sia stata presentata entro il 2 ottobre 2003 la maggiorazione è sempre utile per la maturazione del diritto a pensione, anche per maturare i nuovi requisiti della pensione anticipata. Facendo riferimento alle maggiorazioni contributive l'INPS (messaggio n.  219/2013 punto 13) si limita a ricordare che esse non sono utili per determinare l'importo delle quote di pensione liquidate con il sistema contributivo o delle pensioni calcolate interamente con il sistema contributivo, ma restano comunque utili per perfezionare il diritto. La limitazione sul calcolo dunque interesserà i lavoratori destinatari del sistema misto (assicurati prima del 1o gennaio 1996 con meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995) o contributivi puri (assicurati dal 1o gennaio 1996) esclusivamente per i periodi di esposizione all'amianto che si collocano tra il 1 gennaio 1996 e il 2 ottobre 2003. La legge oggi non consente il riconoscimento di periodi di esposizione successivi a tale data;
              è evidente che si tratta di una materia molto complessa che avrebbe sicuramente bisogno di essere riconsiderata complessivamente anche perché esistono molti contenziosi in atto si verificano situazioni paradossali in cui lavoratori ai quali non è stata riconosciuta l'esposizione o non hanno fatto domanda entro i termini si ammalano di mesotelioma o ancor peggio muoiono per mesotelioma;
          la tipologia delle maggiorazioni si è estesa anche ad altri casi, come per esempio le agevolazioni in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice (legge 3 agosto 2004, n.  206), l'INPS ha costruito un sistema per attribuire dette maggiorazioni anche alle pensioni calcolate interamente con il sistema contributivo disponendo la maggiorazione come effettiva contribuzione figurativa, quindi quantificandola anche come incremento del montante contributivo riconoscendo la maggiorazione anche ai fini del calcolo della pensione;
              appare evidente che le maggiorazioni che sono state nel tempo riconosciute dallo Stato alle categorie svantaggiate o a titolo risarcitorio, non possono avere un trattamento diverso sul calcolo della pensione rispetto alla valorizzazione della contribuzione figurativa, nel caso di calcolo misto o contributivo, in questa sede si sono posti alcuni esempi, ma la problematica va affrontata nel suo complesso,

impegna il Governo

ad adottare iniziative per un monitoraggio della normativa in essere in modo da portare ad una reale semplificazione atta ad uniformare e migliorare il riconoscimento delle maggiorazioni previste dalle leggi in vigore, anche ai fini della misura dell'assegno pensionistico indipendentemente dal sistema di calcolo della misura della pensione, tenendo conto inoltre della speranza di vita compromessa dalle attività citate in premessa.
(7-01077) «Gnecchi, Boccuzzi, Giacobbe, Albanella, Baruffi, Casellato, Cinzia Maria Fontana, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Giorgio Piccolo, Gribaudo, Di Salvo, Arlotti, Zappulla».


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              la soia gialla è il legume che vanta il più alto contenuto di proteine, ben 36 grammi per 100 di prodotto, ed è priva di colesterolo. Racchiude inoltre fibre (11,9/100 grammi) e minerali come potassio, fosforo e calcio in quantità elevate. È apprezzata poi per la presenza degli Omega 6, dei fitosteroli e degli isoflavoni;
              in Italia questo importante legume, coltivato in Cina e Giappone da oltre 5 mila anni, negli ultimi anni ha avuto un vero e proprio boom: le superfici seminate a soia, secondo le stime Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), nel 2014 hanno sfiorato i 226 mila ettari, contro i 184 mila del 2013, con un aumento del 22 per cento;
              l'indagine condotta nel 2014, in collaborazione con l'Unione Seminativi (che riunisce i produttori italiani di frumento, mais, oleaginose e altri cereali), ha evidenziato un aumento delle superfici a soia a discapito di mais e girasole, scesi rispettivamente del 9 e del 20 per cento. La crescita più significativa si è verificata in Veneto, dove si concentra quasi la metà della coltivazione nazionale e, in proporzioni minori, in altre regioni del Nord Italia come Piemonte, Lombardia, Friuli ed Emilia Romagna. La soia richiede, infatti, costi di produzione inferiori e prezzi più vantaggiosi per gli agricoltori, rispetto a quelli dei cereali «nostrani» e questo spiega l’exploit degli ultimi mesi. A luglio 2014 è nata Soia Italia, associazione se a scopo di lucro fondata da Sipcam Italia e Cortal Extrasoy, per incentivarne la coltivazione sul territorio nazionale, diffonderne la conoscenza e favorire lo sviluppo della filiera, con un occhio di riguardo alla sostenibilità ambientale ed economica;
              «Cresce la produzione di soia in Italia, dove viene prodotta solo ogm free, e cresce la voglia dei produttori di veder riconosciuta la qualità di un prodotto attraverso un marchio distintivo italiano», sottolineano le federazioni provinciali di Confagricoltura e Cia agricoltori italiani, dando conto di quanto emerso durante «un coordinamento tecnico tra i rappresentanti di Cia e Confagricoltura dell'Emilia-Romagna e del Nord Italia per discutere del futuro della soia». Ivan Nardone, del dipartimento di sviluppo agroalimentare e territorio di Cia Nazionale, e Mario Salvi, responsabile area produzioni cerealicole di Confagricoltura, hanno incontrato «rappresentanti delle associazioni delle regioni produttrici del Nord Italia per discutere del futuro di una coltura che, a livello di consumo alimentare, fa certamente tendenza», informano le federazioni, spiegando che durante l'incontro è stato fatto «il primo passo verso un vero e proprio “brand” made in Italy della soia» e «sono stati analizzati due fattori rilevanti a livello di produzione e consumo di soia». Nel 2016 a livello produttivo c’è stato un aumento di superfici investite del 10-12 per cento e la produzione stimata è di circa 1.250.000 tonnellate, mai così alta dagli anni ’90. Ma, nonostante questa notevole impennata, la quantità di soia prodotta copre solo il 7 per cento circa del fabbisogno europeo e il resto viene importato da America e Ucraina. Aumenta a due cifre, circa del 10 per cento, anche il consumo di soia a livello alimentare perché gli alimenti a base di proteine vegetali vanno a coprire la richiesta di mercato di vegetariani e vegani che, peraltro, chiedono sostanzialmente prodotti bio e certificati, evidenziano Confagricoltura e Cia Ferrara;
              negli ultimi 20 anni la soia ha assunto un ruolo estremamente importante nella produzione di mangimi. Dagli anni ’90 le importazioni si sono quadruplicate. Tale crescita è da attribuirsi per metà all'ampliamento della produzione, e per l'altra metà è una conseguenza diretta della crisi legata al morbo della «mucca pazza» e al conseguente divieto di impiegare proteine animali nei mangimi per gli allevamenti. La soia è il sostituto ideale perché ha un maggiore contenuto di proteine vegetali rispetto ad altre piante e un elevato apporto di lisina (un importante amminoacido);
              le colture proteiche rivestono una particolare importanza per ragioni economiche, sociali o ambientali. In tema di filiere agroalimentari, mangimistica e sementi c’è da sottolineare che in sede comunitaria è in corso    ampio dibattito sul tema della procedura di autorizzazione degli organismi geneticamente modificati a seguito della proposta della Commissione europea di modificare il regime di autorizzazione attualmente in vigore in Europa, lasciando libertà di scelta agli Stati membri, oltre a quella della messa a coltura di piante OGM (direttiva 2015/412), anche in materia di importazione di organismi geneticamente modificati (in primis la mangimistica). Rispetto a questi temi un discorso da approfondire e mettere a sistema è quello delle colture destinate alla produzione delle piante proteiche, (pisello proteico, fave e favette, lupino dolce), delle proteoleaginose (girasole, soia, colza) e delle foraggere leguminose (erba medica, trifoglio, e altro). Tali colture consentono al produttore agricolo di migliorare l'ordinamento produttivo, stimolando la rotazione tra colture depauperanti e colture da rinnovo, interrompendo la monosuccessione di cereali. Inoltre, contribuiscono a favorire la rotazione con molteplici benefici ambientali: migliorano la struttura e la fertilità del terreno, riducono l'impiego di fertilizzanti di sintesi e di agro farmaci, evitano i gravi rischi di abbandono e/o di depauperamento dei terreni a causa della monocoltura di cereali. Tali vantaggi hanno spinto l'Unione europea a promuovere un «piano proteine vegetali» che, tuttavia, è stato lasciato alla volontà degli Stati membri e solo in pochi hanno colto questa opportunità. L'opportunità più concreta per stimolare la produzione di proteine vegetali è derivata dalla nuova politica agricola comune 2014-2020;
              il quadro delle superfici dedicate alle principali colture proteiche bio nelle diverse regioni italiane, è dato da una ricerca compiuta a partire dai dati Sinab-Ismea, da cui emergono gli ottimi risultati della regione Emilia Romagna nella coltivazione della soia (terza regione per superfici, con una quota nel 2013 pari al 20 per cento del totale nazionale) e, soprattutto, dell'erba medica (prima regione italiana con una quota pari ad oltre il 40 per cento della superficie nazionale). A livello nazionale, nel caso della soia biologica, nel 2013 sono state importate quasi 21 mila tonnellate, a fronte di una produzione stimata di 9.700 tonnellate (Sinab e Ismea, 2014). Appare chiara, quindi, l'urgenza di un incremento di superfici e produzioni di queste colture, anche in virtù della crescita del comparto zootecnico bio sia in termini di capi allevati che di numero di aziende con produzioni zootecniche (giunte nel 2013 a superare le 8.000 unità, +4,1 per cento rispetto al 2012). In effetti, sebbene nel 2013 in Italia gli investimenti in superfici siano decisamente cresciuti sia per i legumi secchi e colture proteiche biologiche (27 mila ettari, +29 per cento rispetto al 2012) che per i semi oleosi biologici (11 mila ettari, +23 per cento l'analisi dell'andamento negli ultimi anni non mostra un altrettanto marcata crescita (rispetto al 2010 +5 per cento per leguminose e colture proteiche e addirittura –0,4 per cento per i semi oleosi). Tra le diverse regioni, nonostante la riduzione delle superfici osservata nel 2013, l'Emilia Romagna mantiene un ruolo di primaria importanza nelle superfici investite a semi oleosi biologici, dove gli ettari coltivati nella regione sono pari al 9 per cento della superficie nazionale (quota che arriva al 20 per cento nel caso della soia), e soprattutto di erba medica, dove con quasi 33 mila ettari investiti nel 2013 (41 per cento della superficie nazionale) l'Emilia Romagna detiene largamente il primato tra le regioni italiane. Leadership che appare rilevante alla luce della centralità che l'erba medica ricopre nel comparto mangimistico, grazie in primis alla sua qualità come foraggio (elevato contenuto proteico),

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative volte alla realizzazione di un marchio che certifichi la soia italiana, tale da valorizzare sia la qualità del prodotto made in Italy e il lavoro dei produttori in termini di prezzo, sia la tutela della salute di chi sceglie di consumare alimenti a base di soia;
          ad assumere iniziative tali da creare un vero e proprio « brand» di filiera che renda più remunerativo per gli agricoltori coltivare la soia, in modo tale che essa sia sempre più appetibile per le aziende di trasformazione che vedrebbero soddisfatto maggiormente il fabbisogno di soia italiana e ridurrebbero le importazioni e, naturalmente, per i consumatori, che saprebbero esattamente quello che arriva sulle loro tavole;
          a    promuovere progetti di ricerca con la collaborazione del Crea e ad assumere iniziative per stanziare risorse da destinare al miglioramento delle varietà in relazione ai vari climi della penisola italiana;
          a valutare l'andamento statistico delle superfici coltivate con varietà proteiche per la mangimistica e sostenere la ricostituzione della filiera di produzione e trasformazione, in modo da assicurare al mercato interno quote più ampie di prodotto per soddisfare le esigenze degli allevamenti ogm free.
(7-01078) «Zaccagnini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
          il comitato olimpico nazionale italiano (CONI) è la Confederazione delle Federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate e si conforma ai principi dell'ordinamento sportivo internazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato olimpico internazionale, di seguito denominato CIO. È un ente pubblico che cura l'organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale ed in particolare la preparazione degli atleti e l'approntamento dei mezzi idonei per le Olimpiadi e per tutte le altre manifestazioni sportive nazionali o internazionali;
          lo Stato italiano finanzia con un fondo di circa 450 milioni di euro annui CONI per volgere le proprietà attività sportive;
          la Federazione italiana di atletica leggera (FIDAL) è una delle Federazioni appartenenti al CONI. Come riportato nei comunicati della stessa FIDAL viene indicato «(...) Nel Consiglio, tenuto conto del difficile momento economico del mondo sportivo, ha istituito anche un fondo di solidarietà a favore delle società; il contributo è di 50.000 euro, da destinare a club storici che si trovino in un particolare momento di necessità e difficoltà. Un sostegno una tantum, motivato da situazioni di particolare necessità e urgenza, e volto a sventare la riduzione delle attività agonistiche»;
          la delibera del Consiglio federale n.  90 del 28 luglio 2016 della FIDAL approva i requisiti e i criteri di assegnazione dei contributi previsti con il Fondo per le Società che si trovano in difficoltà istituito con delibera n.  77 del 23 giugno 2016. Tra i criteri approvati rientrano, come riportato dall'allegato alla delibera n.  90 del 28 luglio 2016, una attenzione solo per società con un alto livello di risultati agonistici in campo femminile e maschile, Società che in questi anni potrebbero aver investito fondi per poter competere ai campionati di società e ai titoli di società anche con atleti stranieri;
          i criteri adottati, ad avviso degli interpellanti, non rispecchiano lo spirito dell'articolo 1, comma 1, dello statuto della stessa FIDAL che si ispira al principio di democrazia e di partecipazione di chiunque in condizioni di uguaglianza e di pari opportunità  –:
          quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per rafforzare il sostegno, anche finanziario, alle società sportive che investono sui giovani e sui talenti italiani, nonché per sviluppare i vivai nazionali, con particolare riferimento a discipline come l'atletica leggera che più di altre risentono del difficile momento economico.
(2-01454) «Cova, Terrosi, Romanini, Prina, Marrocu, Casati, Cuomo, Zanin, Fregolent, Fusilli, Paolo Rossi, Bazoli, Malpezzi, Dallai, Lavagno, Fragomeli, Tentori, Crimì, Coppola, Cassano, Amato, Albini, Scanu, Senaldi, Lacquaniti, Patriarca, Naccarato, Luciano Agostini, Nicoletti, Castricone, Fossati, Preziosi, Dell'Aringa».

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
          il 23 febbraio 2016 è stata presentata l'interrogazione a risposta in commissione n.  5-07867 ancora senza risposta, sul progetto «Parco eolico di Poggio Tre Vescovi - Fresciano», alla quale integralmente ci si richiama; ad integrazione di quanto in essa contenuto si osserva quanto segue;
          il progetto di parco eolico previsto a Poggio Tre Vescovi fra manufatti di servizio e posa in opera delle torri coliche interessa complessivamente tre comuni (fra comuni romagnoli e toscani) considerati luoghi di importanza strategica per il raccordo fra aree protette regionali, interregionali, statali e comunitarie di primaria importanza e – se realizzato – costituirebbe uno degli impianti eolici onshore più grandi d'Europa, capace di modificare, oltre al delicato ecosistema di crinale, la percezione del paesaggio dell'intero Montefeltro;
          l'opera progettata dovrebbe risiedere sul crinale appenninico fra la riserva naturale dell'Alpe della Luna, il parco interregionale del Sasso Simone e Simoncello, il parco nazionale delle foreste Casentinesi e una costellazione di altre importantissime riserve, aree di interesse comunitario (SIC) e zone di protezione speciale (ZPS) con potenziali rischi di crisi ambientale di tutta la regione e segnatamente di deflagrazione e la frammentazione dei corridoi ecologici naturali oltre che interessare zone ad elevato rischio sismico;
          la documentazione scientifica fornita a tal proposito mette in luce che il territorio è caratterizzato da fenomeni erosivi di tipo franoso, con la nascita delle tipiche nicchie di distacco, che coinvolgono poi importanti volumi di materiale in movimento;
          l'area prescelta per la collocazione degli aerogeneratori eolici è così ampia che la costruzione degli impianti andrà ad incidere sul coefficiente d'erosione dei siti, in modo esteso e generalizzato, dal momento che dovranno essere effettuate su molteplici diramazioni tutti i lavori inerenti gli accessi per far giungere sul luogo i mezzi meccanici necessari;
          proprio sul fronte opposto di questa vallata, inoltre, in comune di Casteldelci, s’è verificato nel 2010 uno dei movimenti franosi più vasti degli ultimi 50 anni, a dimostrazione della precaria staticità di queste litologie;
          il Consiglio dei ministri, obbligato dalla sentenza del TAR, nel novembre 2015 ha convocato tutte le istituzioni e parti interessate – regioni, province, comuni, autorità di bacino, comunità montane, ARPA, AUSL, soprintendenze, ENEL, TERNA, – per aprire un'istruttoria di valutazioni di impatto ambientale interregionale, chiedendo alla Geo Italia di riformulare il progetto;
          la Geo Italia, nella successiva riunione del 2015, ha presentato modifiche e proposte di variazioni che appaiono insufficienti a ridurre il rilevante impatto ambientale: riduzione della movimentazione terre, riduzione del numero di aerogeneratori e la prospettiva di rimozione di alcune turbine;
          la regione Toscana ha chiesto tempo per nuove valutazioni, avendo nel frattempo adottato un nuovo piano paesaggistico (PAER/PIT). Hanno chiesto tempo e nuova documentazione anche la regione Emilia-Romagna e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – direzione generale del paesaggio  –:
          se il Governo non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per firmare il progetto alla luce dei pareri scientifici espressi contrari alla sua realizzazione e delle criticità richiamate in premessa.
(2-01451) «Pagano».

Interrogazione a risposta orale:


      VICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
          con decreto del Presidente della Repubblica del 19 luglio 2013 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.  180 del 2 agosto 2013), è stato decretato lo scioglimento del consiglio provinciale di Taranto e nominato il commissario straordinario, a causa delle dimissioni rassegnate da sedici componenti del corpo consiliare che hanno determinato l'ipotesi dissolutoria dell'organo elettivo disciplinata dall'articolo 141, comma 1, lettera b), n.  3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267;
          in data 7 aprile 2014, vale a dire quasi un anno dopo lo scioglimento del consiglio provinciale di Taranto, ha visto la luce la legge n.  56, contenente Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni;
          la prima stesura della richiamata legge n.  56 del 2014, per quanto qui di interesse, stabiliva che:
              il presidente della provincia è eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia e dura in carica quattro anni;
              sono eleggibili a presidente della provincia i sindaci dei comuni facenti parte della provincia, il cui mandato scada non prima di diciotto mesi dalla data di svolgimento delle elezioni, nonché, in sede di prima applicazione della legge e quindi in via transitoria, i consiglieri provinciali uscenti;
              il presidente della provincia decade dalla carica in caso di cessazione dalla carica di sindaco;
              il consiglio provinciale è eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della provincia e dura in carica due anni;
              sono eleggibili a consigliere provinciale i sindaci e i consiglieri comunali in carica. La cessazione dalla carica comunale comporta la decadenza da consigliere provinciale;
              il comma 79 stabiliva che in sede di prima applicazione della legge, l'elezione del consiglio provinciale, presieduto dal presidente della provincia o dal commissario, è indetta:
                  a) entro il 30 settembre 2014 per le province i cui organi scadono per fine mandato nel 2014;
                  b) successivamente a quanto previsto alla lettera a), entro trenta giorni dalla scadenza per fine del mandato ovvero dalla decadenza o scioglimento anticipato degli organi provinciali;
              nel caso di cui alla lettera a) per le prime elezioni erano eleggibili anche i consiglieri provinciali uscenti;
          la legge n.  56 del 2014 è stata integrata e modificata dal decreto-legge 90 del 24 giugno 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 114 dell'11 agosto 2014, nonché dal decreto-legge n.  210 del 2015 (cosiddetto «decreto milleproroghe»), convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n.  21. All'esito dell'intervento legislativo di modifica ed integrazione, le previsioni dei commi della legge n.  56 del 2014, qui di interesse, risultavano essere le seguenti (in neretto le modifiche apportate dal cosiddetto milleproroghe):
              comma 65: il presidente della provincia decade dalla carica in caso di cessazione dalla carica di sindaco;
              comma 60: sono eleggibili a presidente della provincia i sindaci della provincia il cui mandato scada non prima di diciotto mesi dalla data di svolgimento delle elezioni;
              comma 79: in sede di prima applicazione della presente legge, l'elezione del presidente della provincia e del consiglio provinciale ai sensi dei commi da 58 a 78 è indetta e si svolge: a) entro il 12 ottobre 2014 per le province i cui organi scadono per fine mandato nel 2014; b) successivamente a quanto previsto alla lettera a), (entro novanta giorni) dalla scadenza per fine del mandato ovvero dalla decadenza o scioglimento anticipato degli organi provinciali;
              comma 80: per le elezioni di cui al comma 79, sono eleggibili anche i consiglieri provinciali uscenti;
              comma 81: nel caso di cui al comma 79, lettera a), il consiglio provinciale eletto ai sensi dei commi da 67 a 78 svolge fino al 31 dicembre 2014 le funzioni relative ad atti preparatori e alle modifiche statutarie conseguenti alla presente legge; l'assemblea dei sindaci, su proposta del consiglio provinciale, approva le predette modifiche entro il 31 dicembre 2014. Periodo soppresso dal decreto-legge 24 giugno 2014, n.  90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n.  114. In caso di mancata approvazione delle modifiche statutarie entro il 30 giugno 2015 si applica la procedura per l'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n.  131;
              comma 82: nel caso di cui al comma 79, (lettere a) e b)), in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 325, della legge 27 dicembre 2013, n.  147, il presidente della provincia in carica alla data di entrata in vigore della presente legge ovvero, in tutti i casi, qualora la provincia sia commissariata, il commissario a partire dal 1o luglio 2014, assumendo anche le funzioni del consiglio provinciale, nonché la giunta provinciale, restano in carica a titolo gratuito per l'ordinaria amministrazione e per gli atti urgenti e indifferibili, fino all'insediamento del presidente della provincia eletto ai sensi dei commi da 58 a 78;
          come si vede, quindi, il terzo periodo del comma 81, il quale recava esplicitamente la possibilità – in sede di prima applicazione della legge – della eleggibilità a presidente dei consiglieri provinciali uscenti, alla data del 24 giugno 2014 risultava soppresso;
          in data 28 settembre 2014 hanno avuto luogo le elezioni per il presidente e il consiglio della provincia di Taranto, a seguito delle quali è stato eletto il dottor Martino Carmelo Tamburrano, candidatosi quale sindaco in carica del comune di Massafra;
          è opportuno sottolineare che il dottor Tamburrano ha presentato la propria formale candidatura alla carica di presidente della provincia solo nella qualità di sindaco in carica e non già di consigliere provinciale uscente, sempreché detta qualità fosse ancora in capo allo stesso per quanto di seguito precisato;
          nel mese di giugno 2016, a seguito del rinnovo amministrativo del comune di Massafra e della elezione di un nuovo sindaco, il dottor Tamburrano ha cessato il proprio mandato sindacale, con ogni effetto conseguenziale;
          in data 16 giugno 2016 il dottor Martino Tamburrano nella perduranza della carica di presidente, con proprio decreto n.  128 aveva confermato la precedente delega delle proprie funzioni di presidente al vice presidente dottor Giovanni Azzaro sino a tutto il 31 luglio 2016;
          su richiesta del vice presidente pro tempore dottor Giovanni Azzaro, tesa a conoscere i limiti della delega all'esercizio delle funzioni presidenziali conferitagli dal dottor Martino Tamburrano, il dirigente del settore avvocatura della provincia di Taranto opinava per la intervenuta inefficacia della delega stessa a seguito della cessazione della carica di sindaco del delegante dottor Tamburrano e della sua conseguenziale decadenza dalla carica di presidente, ai sensi e per gli effetti di cui al comma 65 dell'articolo 1 della legge n.  56 del 2014. Riteneva, infatti, doversi considerare che, in occasione della tornata elettorale del 28 settembre 2014, la decorrenza della presentazione delle candidature era fissata per il giorno 7 settembre 2014, pertanto in costanza della soppressione del secondo e terzo periodo del comma 81 della legge n.  56 del 2014 operata dal decreto-legge n.  90 del 24 giugno 2014. Ciò poiché doveva ritenersi che il dottor Tamburrano avesse presentato la propria candidatura a presidente della provincia esclusivamente nella qualità di sindaco del comune di Massafra, come in effetti – tra l'altro – era avvenuto;
          sulla scorta di tale parere, trasmesso alla prefettura – UTG di Taranto, il vice presidente della provincia di Taranto dottor Giovanni Azzaro, al fine di ricevere l'avallo in ordine alla legittimità della azione amministrativa dell'Ente, richiedeva l'adozione del decreto prefettizio ricognitivo della intervenuta decadenza del presidente eletto nella tornata elettorale del 28 settembre 2014, ai sensi e per gli effetti del già richiamato comma 65 dell'articolo 1 della legge n.  56 del 2014, e di presa d'atto degli effetti conseguenziali ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 267 del 2000, in combinato disposto con l'articolo 1, comma 66, della richiamata legge n.  56 del 2014;
          tale richiesta non ha avuto alcun seguito né riscontro;
          successivamente, a seguito di richiesta del segretario generale della provincia di Taranto formulata in data 28 giugno 2016 direttamente al sottosegretario di Stato della Presidenza del Consiglio dei ministri con delega agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, quest'ultimo con nota in data 30 giugno 2016 affermava quanto segue: «considerato che al momento della accettazione della candidatura a Presidente della provincia il dottor Tamburrano si trovava anche nella condizione prevista in sede di prima applicazione dal combinato disposto di cui ai commi 79 e 80 dell'articolo 1 della legge 7 aprile 2014 n.  56, si ritiene che il requisito sostanziale sebbene non dichiarato nel modello di candidatura, rappresentato dall'essere consigliere provinciale uscente, non configuri un motivo di decadenza così come diversamente previsto dal comma 65 dell'articolo 1 della medesima legge e che pertanto il dottor Tamburrano debba rimanere in carica con pieni poteri»;
          tuttavia, in disparte l'effettivo valore giuridico di tale riscontro, l'opinione espressa dal Sottosegretario sopra riportata desta, ad avviso dell'interrogante, non poche perplessità per le ragioni che seguono:
              a) il dottor Tamburrano ha presentato la propria formale candidatura alla carica di presidente della provincia soltanto ed espressamente nella qualità di sindaco in carica del comune di Massafra e non già in qualità di consigliere provinciale uscente, sempreché detta qualità fosse ancora in capo allo stesso per quanto di seguito precisato. Onde fare riferimento a un presunto «requisito sostanziale» comporta una inammissibile integrazione della legge, non solo, ma anche e soprattutto della volontà del medesimo dottor Tamburrano, in quanto se questi avesse voluto partecipare alla elezione a presidente della provincia nella veste di consigliere provinciale del consiglio disciolto nel mese di luglio del 2013, (quand'anche ciò fosse stato possibile), avrebbe dovuto palesare espressamente tale volontà, nel mentre, come visto, il medesimo ha proposto la propria candidatura esclusivamente nella qualità di Sindaco del Comune di Massafra;
              b) la interpretazione letterale della legge n.  56 del 2014, come successivamente integrata e modificata dal decreto-legge n.  90 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n.  114 del 2014, non può – se non con quello che all'interrogante appare un opinabile contorcimento logico – essere interpretata nel senso di consentire in sede di prima applicazione l'elettorato passivo per la carica di presidente in capo ai consiglieri provinciali uscenti, in quanto tale previsione, contenuta nel terzo periodo del comma 81 della legge n.  56, è stata espressamente abrogata dal decreto-legge n.  90 del 2014, né la reviviscenza di tale possibilità è ritraibile dalla modifica del precedente comma 79;
              c) in ogni caso, anche qualora si dovesse convenire sulla interpretazione fornita dal Sottosegretario, certo è che per «consigliere provinciale uscente» può intendersi soltanto il consigliere ancora in carica al momento della presentazione della candidatura e non di certo un consigliere facente parte di un consiglio sciolto ormai da più di un anno e tre mesi. In tal senso la giurisprudenza amministrativa, con espresso riferimento alla legge n.  56 del 2014, ha affermato che per «consiglieri provinciali uscenti» possono intendersi solo quei soggetti che rivestano l'ufficio di consigliere provinciale al momento della presentazione delle candidature e che il riferimento a consiglieri provinciali “uscenti” esprime la volontà di limitare il diritto di elettorato passivo ai soli consiglieri in carica al momento di presentazione della candidatura (cfr. TAR Lazio, Latina, n.  803/2014). Con il che resta superato anche il contenuto della circolare n.  32/2014 del 1o luglio 2014 del Ministero dell'interno allorché a pagina 6, erroneamente affermava proprio il contrario di quanto ritenuto dalla giurisprudenza appena citata, addirittura facendo risalire l'elettorato passivo alla carica di presidente in capo ai «consiglieri provinciali delle province i cui organi sono scaduti per fine mandato o per anticipato scioglimento negli anni ricompresi tra la fine del 2011 e il 2014». E ciò al di là della effettiva forza giuridica di una circolare ministeriale, che non ha di per sé valore normativo al di là degli organi e uffici periferici, ovvero sottordinati, del plesso amministrativo dal quale promana;
              d) corrivamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza, quindi, la qualificazione di consigliere uscente avrebbe potuto darsi soltanto nel caso di conclusione naturale fisiologica della consiliatura, ovvero – in caso di scioglimento anticipato – allorché tale scioglimento avesse avuto luogo immediatamente prima dell'indizione delle nuove elezioni. E non, come nel caso della provincia di Taranto, in relazione ad uno scioglimento anticipato avvenuto addirittura nel 2013;
              e) concludendo, l'opinione espressa dal Sottosegretario certamente non è condivisibile in quanto, al di là della personale interpretazione delle disposizioni di cui alla legge n.  56 del 2014 e successive modificazioni e integrazioni, non supera secondo l'interrogante almeno due obiezioni di fondo:
                  1) nel turno elettorale del settembre 2014 il dottor Tamburrano ha presentato la propria candidatura a presidente della provincia di Taranto nella sola qualità di sindaco in carica del comune di Massafra e non già in quella di facente parte del consiglio provinciale sciolto nel 2013 (e quindi di preteso consigliere uscente). Né tale scelta può essere alterata o supplita da una interpretazione di terzi che fa riferimento ad un improbabile «requisito sostanziale» che assimila due fattispecie completamente diverse quanto agli effetti (non foss'altro per il fatto che nel caso di candidatura in qualità di Consigliere provinciale uscente l'ipotesi di decadenza prevista dal comma 65 della legge n.  56 del 2014 non potrebbe mai verificarsi), per cui non è certo indifferente la specificazione del titolo di elettorato passivo;
                  2) alla luce della giurisprudenza amministrativa citata innanzi, il dottor Tamburrano non potrebbe giammai essere considerato «consigliere provinciale uscente», proprio perché il riferimento della legge n.  56 del 2014 ai consiglieri provinciali «uscenti» esprime la volontà di limitare il diritto di elettorato passivo ai soli consiglieri in carica al momento di presentazione della candidatura, qualità non rivestita dal dottor Tamburrano  –:
          alla luce di quanto descritto, se non si intendano assumere iniziative per la revisione o la revoca del parere espresso in data 30 giugno 2015 dal sottosegretario di Stato della Presidenza del Consiglio dei ministri, Gianclaudio Bressa. (3-02458)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      TURCO, ARTINI, MATARRELLI, SEGONI, CIVATI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'INPS eroga ai cittadini stranieri, comunitari o extracomunitari, un assegno sociale attualmente pari ad euro 448,52 per tredici mensilità, in presenza di determinate condizioni, tra cui l'aver compiuto 65 anni e 3 mesi di età; lo stato di bisogno economico; per i cittadini stranieri comunitari è richiesta l'iscrizione all'anagrafe del comune di residenza; per i cittadini extracomunitari sono richieste titolarità del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno) e residenza effettiva, stabile e continuativa per almeno 10 anni nel territorio nazionale;
          come si legge nella relativa pagina web dedicata dell'INPS: «L'assegno sociale è concesso con carattere di provvisorietà e la verifica del possesso dei requisiti reddituali e di effettiva residenza viene fatta annualmente. Non è reversibile ai familiari superstiti ed è inesportabile, pertanto non può essere erogato all'estero. Il soggiorno all'estero del titolare, di durata superiore a 30 giorni, comporta la sospensione dell'assegno. Decorso un anno dalla sospensione, la prestazione viene revocata»;
          orbene, risulta agli interroganti che le strutture territoriali dell'INPS al fine di effettuare le verifiche di effettiva residenza sul territorio nazionale, che dovrebbero effettuarsi a norma di legge «annualmente», siano del tutto prive della titolarità ad accertare tale stato di fatto, dovendo per l'effetto sempre appoggiarsi alle strutture della Guardia di Finanza ovvero della polizia municipale;
          non risulta agli interroganti che vi sia alcuna norma, primaria o secondaria, che preveda l'esercizio diretto da parte dei dipendenti dell'INPS del potere di verifica della residenza nei confronti dei soggetti stranieri percipienti l'assegno sociale;
          quanto sopra determina secondo gli interroganti evidenti ritardi ovvero gravi mancanze nella rigorosa verifica annuale del requisito della continuità della residenza sul territorio nazionale da parte di cittadini stranieri al fine della riscossione dell'assegno sociale; da ciò consegue il proliferare di truffe ai danni dell'INPS da parte di soggetti stranieri che continuano a percepire l'assegno sociale pur essendo di fatto rientrati nei Paesi di origine (vedasi l'articolo ne Il Fatto Quotidiano del 23 maggio 2016: «Inps, maxi truffa da oltre 16 milioni sugli assegni sociali: denunciate 517 persone in 19 regioni», comprovante come il fenomeno assuma effettivamente contorni numericamente allarmanti con discendenti effetti deleteri per le casse dell'INPS)  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
          se e quali iniziative intendano sollecitamente porre in essere onde consentire all'INPS di poter effettuare direttamente, senza doversi necessariamente rivolgere ad altre strutture pubbliche, le verifiche sul requisito della continuità della residenza sul territorio nazionale da parte di cittadini stranieri, al fine della riscossione dell'assegno sociale;
          se e quali ulteriori iniziative intendano sollecitamente porre in essere onde assicurare una costante e capillare verifica sull'intero territorio nazionale della titolarità del requisito dell'effettiva residenza dei soggetti stranieri che percepiscono l'assegno sociale e per l'effetto evitare il dilagare di truffe ai danni dell'INPS nell'ambito di specie. (5-09364)


      VALLASCAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
          nelle ultime settimane, alcuni autorevoli organi di stampa avrebbero riferito della situazione di criticità in cui opererebbero i centri antiviolenza nel nostro Paese;
          secondo quanto riportato, tra le cause di questa situazione di difficoltà, che avrebbe già determinato la chiusura di alcuni centri e la riduzione di orari e attività in altri, sarebbe da annoverare l'insufficiente dotazione economico-finanziaria;
          sembrerebbe, infatti, in base a quanto riferito da responsabili e dirigenti nazionali di diverse associazioni e reti di volontariato, che dei fondi stanziati per il biennio 2013-2014, dal piano nazionale anti violenza e trasferiti alle regioni, circa 16,5 milioni di euro, solo una parte residuale, e comunque inadeguata alle esigenze, sarebbe andata alle strutture che operano nel territorio;
          la dotazione per il biennio 2015-2016, circa 18 milioni di euro, stanziati con la legge di stabilità, non sarebbe stata ancora erogata in attesa della Conferenza Stato-regioni;
          è il caso di sottolineare che i centri antiviolenza, sorti negli anni in tutta Italia, svolgano un servizio di primaria importanza nella prevenzione, protezione e assistenza di donne, e dei loro bambini, vittime di violenza;
          un ruolo straordinario se posto in relazione sia all'insufficienza o assenza di analoghi servizi erogati dalle strutture pubbliche sia alla recrudescenza delle diverse manifestazioni della violenza;
          in tale senso, è opportuno riferire che nell'ultimo decennio sarebbero state 1.740 le donne uccise in Italia, mentre nei primi cinque mesi del 2016 i casi di femminicidio sarebbero stati 55;
          a questo si aggiungerebbero le diverse forme di violenza, dai maltrattamenti domestici, le violenze fisiche, sessuali e psicologiche che, molto spesso, coinvolgerebbero anche minori;
          in questo contesto, verrebbe amplificato il ruolo dei centri antiviolenza anche nella capacità di prevenire i crimini, fornendo protezione alle potenziali vittime, o nel facilitare i processi di emersione delle violenze, sostenendo le vittime psicologicamente e legalmente nelle procedure di denuncia alle autorità giudiziarie;
          la chiusura dei centri o la riduzione dei servizi da essi offerti per mancanza di risorse finanziarie rappresenterebbe un grave danno per ampie porzioni della popolazione femminile, come testimonierebbero le numerose dichiarazioni e testimonianze preoccupate riferite dai citati organi di stampa;
          come detto, emergerebbero molteplici criticità nella gestione dei finanziamenti a sostegno delle strutture preposte a contrastare la violenza di genere, sia nei tempi di erogazione sia nella qualità economica degli stessi;
          una situazione che richiama con urgenza una rimodulazione delle procedure per sbloccare le risorse già stanziate ma non ancora erogate, approntando, nel contempo, una metodologia di rendicontazione che consenta di monitorare l'effettivo impiego delle risorse erogate, quantificando quelle destinate ai diversi soggetti con una misurazione degli effetti prodotti;
          nel giugno del 2013, l'Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti di donne e la violenza domestica  –:
          se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
          quali iniziative il Governo intenda adottare per garantire una piena e continua operatività dei centri antiviolenza operanti in Italia, a garanzia delle attività di prevenzione, protezione e assistenza dalle donne vittime di violenze;
          quali iniziative si intendano adottare per rimuovere gli ostacoli e le difficoltà emerse nelle procedure di erogazione delle risorse finanziarie stanziate per le attività di prevenzione e contrasto della violenza di genere;
          se non si ritenga opportuno, per quanto di competenza, promuovere un sistema di rendicontazione che sia in grado di verificare l'effettiva destinazione delle risorse erogate nonché di misurare e quantificare l'efficacia delle azioni poste in essere nell'ambito della attività di prevenzione, protezione e assistenza dalle donne vittime di violenza. (5-09379)


      AGOSTINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il Fatto Quotidiano del 23 luglio 2016 ha pubblicato un dettagliato articolo sulla pedemontana Treviso Vicenza e sul meccanismo dei project financing. Il citato articolo inizia con: «È noto che il cosiddetto project financing è una delle tecniche più efficaci per rapinare le casse dello Stato. In genere la politica quando non è mandante o complice – se ne accorge sempre dopo». In effetti stando al contenuto dell'articolo, finora non smentito, si ricostruisce la vicenda del project financing per la realizzazione del collegamento stradale tra le province di Treviso e Vicenza, affidato ad un Consorzio «senza oneri per lo Stato» e che ora potrebbe costare ai contribuenti italiani circa 20 miliardi di euro;
          il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, stando al quotidiano, ha attivato nei giorni scorsi una girandola di frenetiche riunioni per salvare il salvabile. La Presidenza del Consiglio è dovuta intervenire a seguito dello stato dell'attività dei ministri interrogati, e del presidente della regione Veneto Luca Zaia;
          l'operazione parte nel 2003 con i consueti ingredienti dell'epoca: legge obiettivo e project financing e con gli stessi ideatori a partire dall'ingegnere Ercole Incalza. Esecuzione delle opere in tempi e costi certi; il costruttore costruisce e finanzia la strada e se la ripaga con i proventi del traffico così lo Stato non ci mette un euro;
          nel 2009 il Presidente del consiglio Berlusconi e Guido Bertolaso varano un decreto che svincola la Pedemontana dalla legge obiettivo e istituisce un commissario, individuato nella persona di Silvano Vernizzi braccio destro dell’ex Presidente della regione Giancarlo Galan, per i cantieri, assegnandogli il ruolo di «autorità concedente». Il commissario e i due presidenti di regione approvano tutto. Forse non si rendono conto di alcuni dettagli: il costo dell'opera è passato da 895 milioni di euro a 2,7 miliardi di euro; la seconda è che dei volumi di traffico ipotizzati per ripagare l'opera con i pedaggi si sono rivelati ampiamente sovrastimati e quindi il concessionario chiede ulteriori finanziamenti; il contributo statale (per la strada a costo zero per lo Stato) ha ricevuto dallo Stato contributi in conto capitale, rispetto ai 150 milioni di euro iniziali, la cifra di 614 milioni di euro grazie ad un atto aggiuntivo firmato nel 2013 da Vernizzi e assentito da Zaia e ora il commissario chiede gli ultimi duecento milioni di euro per non chiudere i cantieri, mentre il privato non ha ancora messo un euro del suo;
          due giorni fa, a Palazzo Chigi, il sottosegretario De Vincenti sarebbe rimasto sorpreso quando due dirigenti della Bei (Banca europea per gli Investimenti) e Cdp (Cassa depositi e prestiti) gli hanno detto che, secondo un loro studio, le previsioni di traffico messe sul piano sono tre volte la realtà. Calcolatrice alla mano, la regione Veneto dovrebbe rimborsare al Consorzio SIS 366 milioni all'anno per la durata della concessione, 39 anni: 14 miliardi di euro in tutto che diventano 20 miliardi calcolando interessi e quisquilie varie;
          qui scatta, secondo l'articolista, una vera e propria «bomba» economica: il privato per costruire l'opera deve finanziarsi sul mercato, in questo caso per una cifra di 1,7 miliardi di euro. Ma nessuna banca si arrischia a presentare fondi al costruttore anche perché i volumi di traffico sono stati ampiamente sopravvalutati e quindi scatterebbe una garanzia sottostante della regione Veneto se dovesse far fronte ai 386 milioni all'anno andrebbe in default. Spunta allora l’ex Ministro dell'economia della Repubblica Italiana Vittorio Grilli, oggi capo dell’investment banking europeo di Jp Morgan.  La banca americana ha pronto il piano per l'emissione delle obbligazioni con cedola all'8 per cento, un lauto interesse che alla fine sarebbe pagato dal contribuente veneto e italiano. L’ex Ministro della Repubblica italiana Grilli tiene molto all'affare che porterebbe alle casse di Jp Morgan una cifra stimata tra i 40 e gli 80 milioni di euro per la prestazione di arranger. Siccome nessuna banca vuole comprare il Pedemontana Bond, Grilli starebbe facendo pressioni sulla Bei e sulla Cassa depositi e prestiti perché si mettano una mano sulla coscienza e partecipino all'operazione: sarebbe un segnale forte per il mercato e garantirebbe il successo dell'operazione. Per questa ragione i tecnici di Bei e Cassa depositi e prestiti hanno messo a punto lo studio sulle previsioni di traffico che hanno illustrato a De Vincenti. E le conclusioni sono infauste: solo un pazzo investirebbe su un'operazione così strampalata, ed essendo Bei e Cassa depositi e prestiti banche pubbliche i loro manager non possono fare follie;
          a complicare il quadro c’è però un manifesto interesse del presidente di Cassa depositi e prestiti, Claudio Costamagna, per l'operazione. Da mesi Grilli sta premendo su di lui facendo leva sull'ottimo rapporto tra i due banchieri, cementato dalla mossa realizzata dall’ex Ministro della Repubblica Grilli nello scorso gennaio: ha assunto in Jp Morgan la moglie di Costamagna, Alberica Brivio Sforza, assegnandole il ruolo di «senior private banker per la clientela Ultra High Net Worth»;
          nel frattempo presso gli uffici dei Ministri interrogati proseguono (come si apprende dalla stampa locale della città di Ancona) incontri serrati (l'ultimo il 19 luglio alla presenza del vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Senatore Nencini, per cercare di trovare una soluzione alle problematiche emerse su un altro project financing riguardante l'uscita a ovest del porto di Ancona). Un affare oggetto di ripetuti atti di sindacato ispettivo dell'interrogante e ancora parzialmente senza risposta, benché sull'operazione siano in atto le verifiche dell'ANAC e sugli schemi di convenzione finora prodotti siano state individuate clausole illegittime e dannose per lo Stato, nonché, come rilevato dai tecnici del Ministero dell'economia e delle finanze, la sovrastima dei volumi di traffico calcolati dal concessionario in sede di piano economico e finanziario. In sostanza, ad avviso dell'interrogante, si stanno creando le condizioni per avviare un nuovo project financing in Ancona che esporrà lo Stato a pagare somme ingentissime e non dovute, come per la Pedemontana Treviso Vicenza  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti suesposti e quali iniziative intenda adottare per evitare che nel caso della Pedemontana si prosegua su una concessione che si è rivelata fallimentare e per impedire che i contribuenti paghino a peso d'oro una strada progettata e assegnata «a costo zero» per lo Stato, mentre, stando all'articolo citato, si arriverebbe a pagare cifre astronomiche come quella indicata di 20 miliardi di euro;
          se risponda, al vero il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti e se trovi conferma che Jp Morgan, e per esso l’ex Ministro della Repubblica italiana Grilli abbia assunto la moglie del Presidente di Cassa depositi e prestiti e quali iniziative intendano assumere per scongiurare tale eventualità;
          se e in base a quali normative lo Stato abbia anticipato al concessionario 614 milioni di euro per un'opera a costo zero per lo Stato;
          se e quali iniziative intendano assumere nei confronti del commissario della pedemontana, di eventuali responsabili ministeriali e del concessionario che hanno trasformato il project financing, Treviso-Vicenza in uno strumento tale da gravare oltremodo sulle casse dello Stato;
          in riferimento al project financing del collegamento del porto di Ancona alla grande viabilità, quali iniziative intendano assumere per intervenire «prima» che anch'esso diventi uno strumento di aggravio per le casse dello Stato e quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, nei confronti di eventuali responsabili, dimostrando così che, almeno in questo caso, l'assunto dell'articolo «in genere la politica, quando non è mandante o complice, se ne accorge sempre dopo» è sbagliato. (5-09385)


      PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          tra giovedì 28 luglio e venerdì 29 luglio 2016 si è verificata una nuova fuga dal reparto infettivi di Is Mirrionis a Cagliari;
          il primo a darsi irreperibile è stato un giovane somalo appena maggiorenne, due giorni dopo una ragazza minorenne;
          entrambi gravemente affetti da TBC bacillifera, la più pericolosa per la propria vita e per il pericolo di contagio per via aerea, la giovane ragazza drammaticamente colpita anche da Hiv;
          i due si sono allontanati dal reparto infettivi dell'ospedale is Mirrionis e non hanno fatto più ritorno;
          i medici del reparto infettivi hanno attivato tutte le procedure in base alla gravità dei fatti, ma sino ad ora di due pazienti nessuna notizia;
          una situazione che sta degenerando senza che nessuno assuma decisioni e compia azioni urgenti per evitare quello che costituisce un pericolo senza precedenti per la salute pubblica;
          il tipo di Tbc bacillifera non solo è altamente contagiosa, ma è risultata del tipo MDR, Multy drugs resistent, ovvero un ceppo infettivo resistente ad una moltitudine di farmaci che si sono rivelati del tutto inefficaci;
          è stato impossibile fino a questo momento rintracciare i due pazienti e il rischio è che siano a contatto con comunità esterne con tutti i rischi che si corrono, sia per la loro salute già grave, sia per quanto riguarda la comunità che li sta accogliendo senza sapere niente;
          questo testimonia in modo assolutamente evidente l'irresponsabilità gestionale di questo flusso migratorio e l'incapacità assoluta dei vertici sanitari regionali di gestire questo gravissimo fenomeno;
          la giunta regionale appare all'interrogante inadeguata e assente che, non solo non ha preso nessuna posizione su questa situazione sempre più grave, ma continua a mettere a rischio, con la propria incapacità, la salute e la sicurezza pubblica;
          il disinteresse e l'incapacità di questa regione stanno maldestramente coprendo questa situazione, nonostante la gravissima denuncia di un mese fa dei medici del reparto infettivo;
          in una lunga lettera che l'interrogante divulgò un mese fa i medici lanciarono un vero e proprio SOS: la situazione è fuori controllo e bisogna agire senza perdere altro tempo;
          la missiva «choc» era scandita da cinque denunce una più grave dell'altra, dalla fuga dei pazienti affetti da TBC bacillifera per arrivare all'impossibilità di garantire sicurezza nel reparto stesso;
          la lettera protocollata dai medici è stata del tutto ignorata e i due nuovi casi sono drammatici proprio perché dei due non si ha nessuna notizia;
          la chiamata forte e chiara alla responsabilità delle istituzioni sembra essere stata messa in un cassetto e i medici sono inermi dinanzi alla gravità della situazione;
          con la gestione inefficiente degli sbarchi e la gestione dei migranti da parte della struttura regionale si sta mettendo a rischio la salute pubblica di un'intera regione;
          tutto questo è intollerabile, anche in considerazione del fatto che l'interrogante con le denunce di oltre un anno fa sulla mala gestione sanitaria degli sbarchi era stato accusato di allarmismo;
          la superficialità e l'irresponsabilità dell'assessore e della stessa giunta emergono, secondo l'interrogante, in tutta la loro devastante verità;
          questa volta con una nuova fuga si conferma che i medici sono stati abbandonati, e in alcuni casi esposti al rischio di subire pregiudizi se avessero parlato e denunciato i fatti;
          si tratta di medici in trincea, quelli che conoscono come pochi ciò che sta realmente accadendo;
          la denuncia dei medici era circostanziata: un vero e proprio «SOS» medico rivolto alle istituzioni nel senso che si sta sottovalutando tutto quello che sta succedendo in seguito agli sbarchi e si sta mettendo a serio rischio la salute pubblica;
          in gioco vi è la salute di tutti, a partire da quella dei migranti che sono rimasti a contatto e che vi restano con quei casi di infezione resistenti a qualsiasi contrasto;
          stare in silenzio secondo l'interrogante significa essere corresponsabili della scandalosa gestione di questo scellerato agguato alla luce dei sardi e degli stessi migranti  –:
          se il Governo non intenda intervenire immediatamente per evitare che si generino in Sardegna fenomeni di contagi legati a tale gravissima gestione della partita sanitaria relativa alle problematiche infettive, segnalate dai medici e aggravatesi nei giorni scorsi;
          se non si ritenga di dover assumere iniziative per censire, con fotosegnalazione e identificazione, tutti coloro che sono giunti in Sardegna attraverso gli sbarchi e creare condizioni di verifica puntuale degli spostamenti di coloro che sono risultati colpiti da malattie contagiose che possono provocare grave allarme e conseguenze gravissime per la salute pubblica;
          se non si ritenga di dover assumere le iniziative di competenza per la nomina di un commissario governativo in relazione all'emergenza collegata alla gestione sanitaria degli sbarchi in Sardegna, considerato che si stanno rischiando fenomeni di contagio gravissimi non solo su scala regionale. (5-09388)


      PIRAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 28 aprile 2016 è apparso su Libero Quotidiano – rilanciato altresì su tutti i canali media e social – un articolo (sotto forma di editoriale) del giornalista Filippo Facci, dal non fraintendibile titolo «Filippo Facci svela il vero volto dell'Islam: ecco perché lo odio;
          nello specifico lo scritto riporta inaccettabili affermazione quali: «Odio l'islam, tutti gli islam, gli islamici e la loro religione più schifosa addirittura di tutte le altre, odio il loro odio che è proibito odiare, le loro moschee squallide, la cultura aniconica e la puzza di piedi, i tappeti pulciosi e l'oro tarocco, il muezzin, i loro veli, i culi sul mio marciapiede, il loro cibo da schifo, i digiuni, il maiale, l'ipocrisia sull'alcol, le vergini, la loro permalosità sconosciuta alla nostra cultura, le teocrazie, il taglione, le loro povere donne, quel manualetto militare che è il Corano, anzi, quella merda di libro con le sue sireh e le sue sure, e le fatwe, queste parole orrende che ci hanno costretto a imparare»; «odio l'islam perché la mia (la nostra) storia è giudaica, cattolica, laica, greco-latina, rousselana, quello che volete: ma la storia di un'opposizione lenta e progressiva e instancabile a tutto ciò che gli islamici dicono e fanno, gente che non voglio a casa mia, perché non ci voglio parlare, non ne voglio sapere: e un calcio ben assestato contro quel culo che occupa impunemente il mio marciapiede è il mio miglior editoriale»;
          l'articolo 3 della Costituzione italiana recita che: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»;
          la legge 25 giugno 1993, n.  205 (cosiddetta legge Mancino), sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all'ideologia nazifascista e aventi per scopo l'incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. Al comma 1, lettera a), dell'articolo 3 della legge n.  654 del 1975, in particolare, si prevede «la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi»;
          il quotidiano Libero ha una tiratura nazionale stimata, per l'anno 2015, in circa 50.000 fra copie cartacee e digitali;
          a detta dell'interrogante l'articolo in questione – dati i toni oltremodo violenti e discriminatori e la diffusione dello stesso – fomenta in maniera intollerabile l'odio razziale e religioso, soprattutto in un momento storico come questo in cui la tenuta sociale (dati anche i flussi migratori che interessano il Paese) è a forte rischio. In tal modo, inoltre, si rischia di andare incontro ad una recrudescenza di episodi di violenza già oggetto di cronaca nera in questi mesi, come l'omicidio del richiedente asilo a Fermo – alla cui base vi è appunto la discriminazione razziale e religiosa;
          la testata Libero non è nuova ad articoli a sfondo razzista e discriminatorio, come per esempio la copertina dal titolo «Bastardi islamici» che seguiva gli attentati di Parigi del novembre del 2015;
          già nel febbraio del 2011, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) con delibera 63/11/CONS ha sanzionato il deputato Antonio Angelucci per omessa comunicazione di controllo per i giornali Opinioni Nuove e appunto Libero Quotidiano. Conseguentemente, la Commissione consultiva sull'editoria presso la Presidenza del Consiglio, preso atto della sanzione comminata dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha stabilito per i due quotidiani la restituzione dei circa 43 milioni di euro di contributi percepiti nel quadriennio 2006/2010  –:
          se, fermo restando il principio della libertà di stampa e di parola sancito dalla Carta costituzionale, non intendano valutare ogni iniziativa utile, per quanto di competenza, ad evitare che nel prossimo futuro si ripetano i gravissimi come da premessa. (5-09389)


      PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il patto per la Sardegna sottoscritto nei giorni scorsi dal Presidente del Consiglio e da quello della regione Sardegna appare al firmatario del presente atto un assegno a vuoto senza precedenti;
          il Presidente del Consiglio e quello della regione hanno prospettato risorse, a giudizio del firmatario del presente atto, di fatto inesistenti;
          la relazione allegata al def 2016 svela la realtà dei fatti clamorosamente;
          il ministro dell'economia e delle finanze aveva previsto di spendere 13,4 miliardi di euro per i patti, mentre, prima che arrivasse in Sardegna, Renzi aveva assunto impegni per oltre 20 miliardi di euro;
          nel documento economico-finanziario approvato dal Parlamento è previsto il master plan per il Mezzogiorno;
          per attuarlo sono previsti i patti con le regioni e le città metropolitane. Il Ministro dell'economia e delle finanze mette nero su bianco le cifre, 13,4 miliardi di euro;
          quando è arrivato a Sassari per la firma del patto per la Sardegna il Presidente del Consiglio aveva già promesso ben 22 miliardi e 500 milioni di euro;
          si tratta, secondo l'interrogante, di «assegni a vuoto», senza copertura;
          Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria e Campania hanno ottenuto impegni di spesa per oltre 20 miliardi di euro;
          le città di Bari, Catania, Palermo e Reggio Calabria sfiorano complessivamente i due miliardi di euro;
          si tratta di cifre imponenti, quasi quanto il buco che questi «pseudopatti» genererebbero;
          si è ad una operazione in grande stile, secondo il firmatario del presente atto priva di concretezza, firmata alla larga dalle vertenze più calde, con il programma più «furtivo» della storia autonomistica, lontano dalle sedi istituzionali della regione, a significare la poca verosimiglianza del progetto ferragostano dei Presidenti Renzi e Pigliaru;
          non ha avuto nessun problema il Presidente Renzi a passare nel giro di poche ore dai 2,5 miliardi di euro addirittura alla cifra tonda dei tre;
          si tratta di vane promesse destituite di ogni fondamento e alla luce dei patti già firmati del tutto irrilevanti;
          lo schema messo in campo appare collaudato: ricognizione di tutti gli stanziamenti pregressi, restyling, «riciclo» e propaganda;
          peccato che questa volta l'inganno è ben più consistente e non riguarda solo la Sardegna ma l'intero Mezzogiorno, se è vero, come è vero, che l'operazione passa anche attraverso una decurtazione di 17 miliardi di euro dal fondo di sviluppo e coesione;
          nel 2014 erano disponibili 55 miliardi, nel 2016 sono diventati 38 miliardi. 17 miliardi sottratti al sud e usati per banda larga, ricerca, beni culturali;
          si rileva un non modesto dettaglio: il criterio di riparto di quei fondi era fissato per legge 80 per cento al Sud, 20 al Nord. Questo Governo lo ha ribaltato: 73 per cento al Nord, solo il 27 al Sud;
          non solo, in questo pateracchio ferragostano non si intravede una minima strategia per abbattere il gap insulare; niente è stato fatto per restituire alla Sardegna il maltolto dei fondi comunitari;
          il 18 aprile del 2014 il Cipe approvava il riparto dei fondi comunitari; ancora una volta la Sardegna non solo viene umiliata nel riparto delle somme, ma paga ancora una volta lo sforamento del rapporto sul prodotto interno lordo medio europeo, a giudizio dell'interrogante per responsabilità di Saras e di certa politica;
          basti un dato: 5 regioni, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia si portano a casa 22 miliardi di euro, Sardegna con Abruzzo e Molise appena 1,3 miliardi;
          in quella «delibera scandalo», quasi vergognandosi dell'atto, si legge che nella successiva fase di programmazione si dovrà tener conto dell'esigenza di riequilibrare il finanziamento a favore delle regioni in transizione, la Sardegna appunto;
          di quel dato devastante nessuno parla e la sottrazione maturata nel patto non restituisce nemmeno un euro di quei 22 miliardi assegnati alle regioni meno sviluppate;
          la Sardegna risulta penalizzata e di fatto raggirata;
          ad avviso si tratta di un'operazione plausibile solo per i creduloni, dalla prima all'ultima cifra;
          solo chi non capisce niente di bilancio dello Stato può pensare che con uno slogan si assegnano tre miliardi di euro alla Sardegna senza colpo ferire;
          in realtà, l'estensore materiale del progetto appare al firmatario del presente atto un abile imbonitore considerato che da quattro anni si prospettano soluzioni, mai attuate, per i lavoratori di Alcoa, convincendoli ogni volta che si è fatto un passo in avanti;
          la regola appare sempre la stessa prendere tutti gli stanziamenti esistenti, vecchi e finti, metterli in lavatrice, stirarli e riciclarli come fossero euro appena emessi dalla Banca d'Italia;
          lo stesso dicasi per il capitolo della continuità territoriale;
          in effetti ci sono 30 milioni di euro per un anno destinati alla continuità territoriale: le casse della regione nemmeno li vedranno, finiranno direttamente ad Alitalia, per quello che appare all'interrogante l'ennesimo «regalo» alla compagnia sostenuta dal Governo Renzi;
          in questo caso i millantati 120 milioni di euro per 4 anni non esistono;
          non esiste un solo provvedimento che li stanzi tanto che nell'accordo si fa esplicito riferimento all'utilizzo dei fondi di coesione, gli stessi destinati per legge alla Sardegna;
          il risultato sarebbe ancora più grave; per avvantaggiare l'Alitalia lo Stato non metterebbe nemmeno un euro, ma farebbe mettere le risorse direttamente alla regione;
          si tratterebbe di un «regalo» di Stato ad Alitalia con le risorse dei sardi;
          il quadro finanziario di questo fantomatico patto è devastante: nemmeno una risorsa aggiuntiva dello Stato ma solo i fondi di pertinenza della regione, quelli che spettano in base ad una percentuale, 12 per cento, sulla base di calcolo;
          385 milioni di euro risultano fondi già assegnati in base al riparto proporzionale, un miliardo e mezzo è la quota della Sardegna nel riparto nazionale, un modesto stanziamento ordinario di 215 milioni di euro all'anno per 7 anni e poi cifre secondo il firmatario del presente atto del tutto destituite di fondamento, senza alcuna copertura e destituite di ogni fondamento giuridico;
          nel 2017 si potranno spendere 277 milioni di euro, si tratta della quota annuale e una parte del pregresso del settennio 2014-2020, considerato che è iniziato con un ritardo di due anni e mezzo;
          è la conferma che si tratta di un vero proprio «inganno» per la Sardegna e per i sardi;
          ci sono 100 milioni inediti nel contratto con RFI per le reti ferroviarie sarde, stanziamento strappato con una personale battaglia dell'interrogante in commissione trasporti, come risulta da atti e verbali, comunque insufficienti e marginali rispetto alle esigenze della più inadeguata rete ferroviaria d'Europa. Di altre risorse non si ha traccia e comunicazione, né con accordi di programma né tantomeno con contratti di servizio;
          a questo si aggiunge la governance di questo «pateracchio», con la regione messa in un angolo e il presidente della regione che, secondo il firmatario del presente atto, assume un ruolo marginale e di sottomissione;
          il comitato di indirizzo e gestione viene di fatto commissariato dallo Stato che nomina 3 componenti su 4, lasciando un solo membro alla regione;
          la stessa presidenza del comitato finisce nelle mani di un rappresentante statale dell'Agenzia per la coesione territoriale;
          si tratta di uno schiaffo all'autonomia, considerato che, anziché nominare il presidente della regione commissario con pieni poteri, lo si relega a quello che appare al firmatario del presente atto un ruolo di comparsa inutile e marginale;
          a questo si aggiunge un ultimo aspetto: comparando l'allegato del piano si rilevano con facilità le partite doppie e il «gioco delle tre carte». Opere già finanziate e rimesse come nuove nell'elenco di Palazzo Chigi;
          stanziamenti vecchi e reiterati, dal versante di Ponente di Montevecchio, passando per la strada di Burcei, richiamando gli interventi nelle università per finire sulla Sassari-Olbia;
          si tratta di interventi prospettati e dichiarati due o tre volte, con tanto di proclami pubblici. Si registra spregiudicatezza e memoria corta. Tutto questo è inaccettabile e va denunciato con forza e chiarezza;
          un piano che non solo non affronta le questioni dell'insularità ma fa fare alla Sardegna un ulteriore passo indietro;
          si registrano meno risorse, zero potere gestionale e istituzionale e ancora una volta la Sardegna è vittima di reiterate iniziative penalizzanti dello Stato  –:
          se il Governo intenda assumere le iniziative di competenza per addivenire a una piena copertura finanziaria degli impegni annunciati;
          se non intenda assumere iniziative per restituire le somme sottratte alla Sardegna negli stanziamenti del fondo di sviluppo e coesione;
          se non intenda promuovere un piano di riequilibrio insulare in termini economici, infrastrutturali e fiscali, a partire dall'istituzione della zona franca integrale di riequilibrio insulare;
          se non intenda fornire un puntuale piano temporale di avvio e conclusione degli interventi annunciati. (5-09396)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il tratto costiero della provincia di Chieti è sicuramente quello di maggior pregio dei circa 125 chilometri di fascia costiera abruzzese;
          tra Ortona e Vasto in poco più di 50 chilometri si trovano 7 riserve naturali regionali (Ripari di Giobbe, Acquabella, Grotta delle Farfalle, San Giovanni in Venere, Lecceta di Torino di Sangro, Punta Aderci, Marina di Vasto), 1 sito di importanza regionale (il Corridoio Verde, ai sensi della legge regionale n.  5 del 2007) e 6 siti di importanza comunitaria (IT7140106 Fosso delle Farfalle, IT7140107 Lecceta litoranea di Torino di Sangro e Foce Fiume Sangro, IT7140111 Boschi riparali sul Fiume Osento, IT7140108 Punta Aderci, IT7140109 Marina di Vasto, IT7140127 Fiume Trigno) oltre a numerose stazioni dove sono segnalate specie vegetali in via d'estinzione e in lista rossa IUCN (International Union far Conservation of Nature) come documentato dall'università de L'Aquila dal gruppo del professor Pirone. Complessivamente risultano protetti 11,41 chilometri quadri, pari al 3,7 per cento del territorio costiero, considerando solo le aree protette. Superficie che aumenta fino a 19,3 chilometri quadri, pari al 6,3 per cento se si considera anche la parte ricadente nei siti d'importanza comunitaria della rete Natura 2000. Con la legge n.  344 del 1997 (articolo 4, comma 3) la «Costa Teatina» viene inserita (su proposta del senatore Staniscia) tra le «prioritarie aree di reperimento» previste dalla legge n.  394 del 1991 (lettera l-bis del comma 6, dell'articolo 34) e sulle quali si dovevano realizzare parchi nazionali. Successivamente la legge n.  93 del 2001,      all'articolo 8, comma 3, avvia l’iter di istituzione, ricordando le procedure e le intese richiamando la legge n.  394 del 1991 e fissa in lire 1.000 milioni dal 2001 i limiti massimi di spesa per l'istituzione e il funzionamento. La giunta Pace allora al governo regionale ricorre alla Corte costituzionale contro la legge n.  93 del 2001 per farne dichiarare l'incostituzionalità e, comunque, per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato. La Corte costituzionale con la sentenza n.  422 del 2002 depositata il 18 ottobre 2002 dichiara «non fondata» la richiesta della regione Abruzzo e ribadisce la legittimità dell'articolo 8, comma 3, della legge 23 marzo 2001, n.  93. Nel 2005 cambia il governo regionale e con la dismissione della tratta Adriatica, tra Ortona e Vasto, di RFI si torna a parlare di Costa Teatina;
          viene fatta una prima proposta dall'assessore regionale Franco Caramanico;
          il 6 settembre 2006 una delegazione abruzzese guidata da Caramanico si incontra con il direttore del servizio di conservazione della natura del Ministero dell'ambiente e si riavvia l’iter di perimetrazione del parco nazionale della Costa Teatina;
          dopo diversi mesi di confronto con i comuni, deliberano solo in tre a favore del parco (Vasto, San Salvo e Francavilla);
          si approda, quindi, dopo un confronto di un anno e mezzo con associazioni ed università, al «sistema delle aree protette della Costa Teatina» con la legge regionale n.  5 del 2007;
          il sistema viene costituito nelle more della definizione del parco nazionale della Costa Teatina. L’iter del parco rallenta di nuovo e vista la renitenza dei comuni la direzione regionale competente formula una proposta di perimetrazione e la invia ai comuni e al Ministero (2008). A luglio 2008 viene arrestato l'allora presidente della regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, si va verso le elezioni a dicembre 2008 e l’iter si ferma di nuovo. A fine aprile 2010, nell'anno internazionale della biodiversità, con il direttore Aldo Cosentino in procinto di andare in pensione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare riprende gli iter dei parchi sospesi (ne mancano ancora 5 da istituire: Costa Teatina, isola di Pantelleria, Egadi e litorale trapanese, Eolie, Iblei). Il 10 maggio 2010, regione Abruzzo, provincia di Chieti e comuni Costieri (Ortona, San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Fossacesia, Torino di Sangro, Casalbordino, Vasto e San Salvo) sono convocati a Roma presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e si riavvia l’iter di istituzione del parco nazionale della Costa Teatina e alla regione Abruzzo viene affidato il compito di riconvocare i comuni e la provincia per definire una nuova perimetrazione condivisa entro la fine del 2010. Il 9 luglio 2010 la regione Abruzzo convoca i comuni e la provincia di Chieti e preso atto della contrarietà alla proposta di perimetrazione elaborata dalla direzione regionale aree protette e parchi del 2008, si concorda di lavorare su una ipotesi che preveda 4 zone, anticipando la zonazione nel decreto istitutivo e graduando meglio i vincoli in considerazione delle valenze naturalistiche e dell'antropizzazione del territorio. Ogni comune si prende l'onere di deliberare in merito decidendo se essere favorevole o contrario, definendo anche una perimetrazione per il territorio di competenza da rimandare in regione Abruzzo per una successiva integrazione e raccordo complessivo delle proposte. Si ipotizza di terminare questa fase per settembre-ottobre. Dopo diversi incontri di coordinamento la questione resta sospesa;
          tra agosto e ottobre solo alcuni comuni si muovono e iniziano la discussione e avviano dei percorsi di confronto ed ascolto anche con i cittadini, tra questi Fossacesia, Torino di Sangro e Vasto. Nello specifico: Torino di Sangro delibera in consiglio sulla volontà di dare origine al parco e di definire una perimetrazione su 4 zone come concordato in regione;
          Fossacesia ne discute nel suo Forum Ambiente e approva in commissione urbanistica la proposta di perimetrazione su 4 zone;
          Vasto approva un ordine del giorno e rimanda la discussione della perimetrazione. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 4 agosto 2014 l'architetto Giuseppe De Dominicis, presidente emerito della provincia di Pescara, è stato nominato quale «Commissario ad acta» per l'istituzione del parco nazionale della Costa Teatina. Nell'ambito della procedura per l'istituzione del parco nazionale della Costa Teatina, disciplinato dalla legge n.  394 del 1991 e successive modificazioni e integrazioni, il menzionato «Commissario ad acta» dell'istituendo parco, ne ha definito – nel mese di maggio 2015 – la perimetrazione provvisoria, permettendo con tale fondamentale atto propedeutico un'auspicabile e pronta emanazione da parte del Governo del relativo ed indispensabile decreto istitutivo dell'area protetta in argomento;
          nonostante i tempi e le procedure cui è vincolato il commissario per la perimetrazione provvisoria, numerosi sono stati gli incontri con associazioni e amministratori locali e diversi i suggerimenti e le proposte avanzati e accolti e riportati in cartografia o in normativa;
          ad oggi, per istituire il parco della Costa Teatina, continua a mancare solo la firma della Presidenza del Consiglio dei ministri. Ci si chiede se ci sono, e quali sono, i motivi che impedirebbero la chiusura dell’iter a distanza ormai di un anno dalla fine degli adempimenti degli altri enti competenti  –:
          essendo concluso l’iter istituzionale ed essendo stati rispettati tutti i passaggi necessari già da un anno, quali siano le ragioni per le quali a tutt'oggi non sia stata formalizzata l'istituzione del Parco della Costa Teatina. (4-14006)


      GIORGIA MELONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          diversi quotidiani hanno pubblicato un filmato, girato il 4 ottobre 2015 a Ventimiglia ad una manifestazione organizzata dagli antagonisti in favore dei migranti nel quale compare una persona che somiglia a Mohamed Lahaouiej Bouhlel, l'autore della strage avvenuta il 14 luglio 2016 sul lungomare di Nizza nella quale hanno perso la vita 84 persone tra cui 6 italiani;
          stando a quanto riportano i quotidiani, fonti della Digos e dell'antiterrorismo avrebbero affermato che seppur non ci sia ancora la certezza dell'identità dell'uomo è probabile che si tratti di lui, perché venne fermato per un controllo dalle forze di polizia proprio nei giorni a ridosso della manifestazione;
          a parere dell'interrogante, se la notizia dovesse essere confermata sarebbe di una gravità inaudita e confermerebbe che l'Italia è terra di nessuno dove terroristi e jihadisti sono liberi di circolare liberamente e persino di partecipare a cortei e manifestazioni  –:
          se la notizia riportata in premessa corrisponda al vero e quali siano gli elementi di cui il Governo disponga in merito. (4-14011)


      NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Fatto Quotidiano, il 30 luglio 2016, sono stati inviati di recente decine di membri dei reparti speciali militari italiani, in Libia e in Iraq, per fronteggiare avanzata dei terroristi islamici legati all'Isis;
          il medesimo articolo evidenzia, al riguardo, che le operazioni militari condotte dalle forze speciali, sono segrete e decise dal Governo all'insaputa del Parlamento, aggiungendo inoltre che tali missioni (che ufficialmente non esistono) devono essere categoricamente smentite fino alla loro conclusione, ovvero fino a quando non arriva il conferimento ufficiale di medaglie e onorificenze;
          al riguardo, secondo quanto si apprende da autorevoli fonti militari, (prosegue l'articolo del Fatto Quotidiano) in Iraq e per l'esattezza nella città di Al-Anbar è in corso ancora oggi un'azione delle forze speciali italiane, denominata «Operazione Centuria» ed è condotta dalla, Task Force 44, inizialmente basata su un'aliquota del 9 o reggimento d'assalto «Col Moschin» affiancati, o avvicendati, dalle altre unità dipendenti dal Cofs (il comando interforze per le operazioni delle forze speciali del generale Nicola Zanelli) quindi gli incursori di Marina del Comsubin, quelli del 17 o stormo dell'Aeronautica e i Gis dei Carabinieri, solitamente supportati dai ricognitori del 185 o Folgore e dai Ranger del 4 o Alpini; inoltre, risulta la partecipazione del Goi (Gruppo operativo incursori, alias Comsubin), mentre altre fonti riferiscono la presenza di uomini di tutte le 4 unità del Cofs;
          in Libia invece, dell'operazione italiana nell'ex colonia, autorizzata dal Presidente del Consiglio, il 10 febbraio 2016 con un decreto subito secretato, prosegue articolo in precedenza richiamato, non si conoscono ancora il nome in codice né i corpi speciali che vi partecipano; ma si sa solo, in via ufficiosa, che si tratta di un piccolo distaccamento basato all'aeroporto militare di Misurata, che partecipa insieme alle forze speciali britanniche all'operazione Banyoun Al Marsoos (struttura solida) lanciata a maggio delle brigate misuratine e dalle guardie petrolifere di Ibrahim Jadhran per riconquistare la roccaforte Isis di Sirte;
          i combattimenti hanno provocato pesanti perdite tra le forze filo-governative libiche, ufficialmente supportate dall'Italia solo con un ponte-aereo di soccorso medico e secondo quanto riporta l'articolo suddetto, lo scorso fine aprile, (quando fonti israeliane ha o riportato la notizia di soldati inglesi e italiani caduti in un'imboscata dell'Isis), la smentita del Governo italiano è stata immediata sostenendo l'assenza di soldati italiani che combattono in Libia, Iraq e in Afghanistan;
          l'interrogante evidenzia, inoltre, che, a fronte di quanto precedentemente esposto, si affianca un'ulteriore vicenda pubblicata dagli organi di stampa in data odierna e relativa alla pianificazione operativa degli imminenti raid in Libia da parte del comando militare degli Stati Uniti d'America, per colpire le basi militari dei terroristi jihadisti dell'Isis a Sirte liberando la città libica e utilizzando lo spazio aereo e le basi italiane di Sigonella in Sicilia;
          al riguardo, un articolo pubblicato dal quotidiano Il Corriere della Sera, in data odierna, evidenzia come i raid in Libia dureranno trenta giorni, confermando come il nostro Paese ha già messo a disposizione le strutture militari operative presenti in Sicilia;
          a giudizio dell'interrogante le suesposte vicende legate agli articoli pubblicati dai rispettivi quotidiani Il Fatto Quotidiano e: Il Corriere della Sera, ove confermate destano sgomento e preoccupazione considerando come ad oggi secondo né le Commissioni difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, né tantomeno il Parlamento sono stati informati di tali importanti e delicate decisioni militari così strettamente collegate alla sicurezza del nostro Paese;
          la necessità di riferire in tempi immediati le istituzioni preposte sull'eventuale partecipazione di militari italiani, in luoghi di guerra quali l'Iraq e la Libia, appare a giudizio dell'interrogante, indispensabile in considerazione della delicatezza e gravità delle vicende in precedenza richiamate, nonché del rispetto delle prerogative dei parlamentari i quali nell'esercizio delle loro funzioni costituzionalmente attribuite, esigono essere cointeressati da iniziative che riguardano il futuro e la sicurezza del Paese in questa particolare fase che attraversa l'Europa a causa del terrorismo internazionale  –:
          se      trovino conferma il contenuto degli articoli di stampa esposti in premessa, secondo i quali reparti speciali militari sono stati inviati in Iraq e in Libia per fronteggiare i terroristi dell'Isis, l'autorizzazione da parte del Governo, all'utilizzo delle basi militari di Sigonella in Sicilia, per un imminente attacco aereo in Libia degli Stati Uniti;
          in caso affermativo, quali siano i motivi per i quali il Parlamento non sia stato preventivamente informato di tali decisioni;
          quali iniziative urgenti e necessarie il Governo intenda assumere per i alzare i livelli di sicurezza sul territorio italiano, costantemente minacciato dal terrorismo islamico legato all'Isis. (4-14038)


      MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          con l'approvazione della legge 28 gennaio 2016, n.  11, il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;
          nel rispetto dei principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n.  234, nonché dei principi e criteri direttivi specifici delineati dalla sopra richiamata legge delega, è stato emanato, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il decreto legislativo 18 aprile 2016, n.  50, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale serie generale n.  91 del 19 aprile 2016 – supplemento ordinario n.  10;
          con l'entrata in vigore del citato provvedimento – ed al fine di introdurre immediatamente nell'ordinamento un sistema di regolazione nella materia degli appalti di lavori, forniture e servizi, coerente, semplificato, unitario, trasparente ed armonizzato alla disciplina europea – è stata disposta l'abrogazione del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.  163, del regolamento di attuazione n.  207 del 2010 e di altre disposizioni incompatibili e sono state previste opportune disposizioni di coordinamento, transitorie e finali per assicurare, in ogni caso, l'ordinata transizione tra la previgente disciplina e la nuova, al fine di evitare incertezze interpretative    applicative;
          l'attuale disciplina – ispirata a rendere più efficiente l'uso dei fondi pubblici nell'ottica di una maggiore semplificazione e flessibilità delle procedure, a garantire parità di accesso a condizioni eque e non discriminatorie per tutte le imprese europee dell'Unione, in particolare alle piccole e medie imprese, a promuovere l'uso strategico degli appalti, per favorire l'innovazione, l'uso più efficace e responsabile delle risorse naturali, la tutela ambientale e la responsabilità sociale nonché a favorire la lotta alla corruzione attraverso procedure più trasparenti ed una maggiore partecipazione – presenta diversi elementi di novità per pubbliche amministrazioni ed operatori economici;
          ciononostante, affinché il suddetto processo di riforma possa considerarsi definitivamente completato occorrerà attendere l'approvazione e la successiva emanazione degli oltre cinquanta provvedimenti attuativi (decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, decreti ministeriali, interministeriali ed atti dell'Autorità nazionale    anticorruzione) previsti dal nuovo codice i quali – così come espressamente stabilito, in taluni casi, dalla legge 28 gennaio 2016, n.  11 – dovranno essere trasmessi alle competenti Commissioni parlamentari per il parere prima della loro adozione;
          occorre, peraltro, rilevare come, in ordine alla nuova disciplina di cui al decreto legislativo n.  50 del 2016, siano, ad oggi, già state pubblicate circa 180 rettifiche inerenti a circa 100 articoli su un impianto normativo di 220, correzioni materiali che, complessivamente, occupano ben 526 righe in 8 pagine di gazzetta;
          a tal proposito, appare opportuno evidenziare in questa sede come il Ministero non abbia ancora provveduto – ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dalle disposizioni di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n.  50 – all'adozione, entro la data del 18 luglio 2016, di alcuni provvedimenti attuativi inerenti a determinate materie specificamente indicate; più precisamente – entro il termine sopra richiamato – il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avrebbe dovuto regolamentare, ognuna con specifico decreto, le discipline relative:
              alla programmazione delle acquisizioni delle stazioni appaltanti (articolo 21, comma 8), finalizzata a mettere in condizione le amministrazioni di aggiornare i propri programmi degli acquisti di beni e servizi, il programma triennale dei lavori pubblici ed il programma annuale; d'altra parte, una riforma che si basa sulla trasparenza e che afferma di volere invertire la tendenza rispetto al passato non può continuare, a distanza di quasi 4 mesi dall'entrata in vigore del nuovo codice, ad utilizzare i meccanismi di carattere transitorio pur previsti dall'articolo 216;
              ai requisiti di professionisti, società di ingegneria e loro consorzi (articolo 24, comma 2);
              all'elenco delle opere – rispetto alle quali non è ammesso l'avvalimento – per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica (articolo 89, comma 11) e come tale elenco possa rispettare i criteri dettati dall'articolo 63 della direttiva 2014/24/UE che, in parte non viene rispettato neanche nell'articolo 89 del nuovo codice dei contratti;
              alle linee guida per il direttore dei lavori e per il direttore dell'esecuzione (articolo 111, commi 1 e 2) per le quali in parte non esiste una disciplina transitoria in quanto essendo stati abrogati dall'articolo 217, comma 1, lettera u) il decreto del Presidente della Repubblica n.  207 del 2010 recante il previgente Regolamento di attuazione e non essendo prevista alcuna disposizione transitoria in merito agli articoli dal 147, 148, 149, 150, 152, 153, 154, 155, 156, 157, 159, 160, 161, 162, 163, 164, 165, 166, 167, e 170 del regolamento di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica n.  270 del 2010, in atto non è in vigore alcuna norma per la direzione dei lavori e l'esecuzione dei lavori ed in particolare mancano utili indicazioni relative all'ufficio di direzione dei lavori, alla consegna dei lavori, all'esecuzione in senso stretto dei lavori stessi ed al subappalto sino al 18 aprile dettate dalla Parte II, Titolo VIII, Capo I, e dalla Parte II, Titolo VIII, Capo II, sezioni I, II, III e IV del decreto del Presidente della Repubblica n.  207 del 2010 abrogate dal 19 aprile 2016;
          inoltre, sempre in ordine alla mancata adozione di provvedimenti attuativi prescritti dalla legge, si rileva come il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non abbia provveduto, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 23, comma 13, del decreto legislativo n.  50 del 2016, ad emanare, entro la data del 31 luglio 2016, un decreto con il quale si sarebbero dovuti definire le modalità e i tempi di progressiva introduzione dell'obbligatorietà – presso le stazioni appaltanti, le amministrazioni concedenti e gli operatori economici – di metodi e strumenti elettronici specifici quali quelli di modellazione per l'edilizia (Building Information Modeling-BIM);
          infine, relativamente al documento di gara unico europeo, nella Gazzetta ufficiale n.  170 del 22 luglio 2016 è stato pubblicato un comunicato recante «Linee guida per la compilazione del modello di formulario di Documento di gara unico europeo (DGUE) approvato dal regolamento di esecuzione (UE) 2016/7 della Commissione del 5 gennaio 2016» per il quale erano state omesse le parti V e VI, successivamente sostituito dalla circolare n.  3 del 18 luglio 2016 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.  174 del 27 luglio 2016  –:
          sulla base di quali specifiche motivazioni non siano stati adottati, nei termini previsti, i sopra richiamati provvedimenti attuativi ed in che tempi intenda provvedere alla loro emanazione e se non ritenga che, con riferimento alla disciplina dell'avvalimento, si possa incorrere in una procedura di infrazione ex articolo 258 TFUE per il mancato rispetto dell'articolo 63 della direttiva 2014/24/UE;
          quali siano i motivi per i quali il testo del decreto legislativo n.  50 del 2016 sia stato pubblicato con una così elevata quantità di errori materiali e riferimenti inesatti – comprese quelle che appaiono agli interroganti evidenti e superficiali sviste di carattere grammaticale – e le ragioni sulla base delle quali le rettifiche sono giunte a quasi 3 mesi di distanza dalla pubblicazione del decreto stesso;
          quali siano i motivi per i quali il documento di gara unico europeo sia stato pubblicato prima sulla Gazzetta Ufficiale n.  170 del 22 luglio 2016 con la veste di un semplice comunicato e successivamente sostituito dalla circolare n.  3 del 18 luglio 2016 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.  174 del 27 luglio 2016 e quali iniziative il Governo intenda intraprendere per evitare che tali incresciose situazioni possano ripetersi;
          quale sia l'ammontare dei costi sostenuti per la pubblicazione dell'avviso di rettifica richiamato nelle premesse ed a chi siano imputabili tali spese e quelle che eventualmente si riterranno necessarie in futuro. (4-14039)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


      COMINELLI, SBERNA, GALPERTI, GELMINI, ROMELE, BAZOLI, BERLINGHIERI, PISO, PICCHI e CAPARINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          il 4 luglio 2016 il cittadino italiano Federico Rosa nato a Brescia, in data 11 settembre 1969, manager ed agente di numerosi atleti di livello mondiale, è stato interrogato, previo invito a comparire, presso il commissariato antidoping di Nairobi in Kenya;
          Federico Rosa, è un affermatissimo manager di molti dei più prestigiosi atleti del panorama della maratona internazionale e plurivincitore delle maratone di Boston, New York, Chicago, Londra, Berlino, Rotterdam, Campionati Mondiali ed Olimpiadi;
          il manager veniva invitato a comparire il giorno dopo presso lo stesso commissariato e il 5 luglio gli veniva ritirato il passaporto, contestualmente veniva tradotto in custodia in una stazione di polizia;
          venerdì 8 luglio, dopo tre giorni, Federico Rosa veniva portato in tribunale e dopo aver pagato una cauzione di 300.000 scellini (circa 3.000 dollari) veniva rilasciato senza la restituzione del passaporto;
          l'accusa formalizzata al Federico Rosa è incentrata sulla testimonianza di un atleta keniota, Elijan Kiprono Boit, il quale ha dichiarato di aver ricevuto trattamenti dopanti dal 2004 al 2008;
          l'atleta in questione, a quanto risulta agli interroganti, ha esclusivamente intrattenuto rapporti di lavoro con il Rosa per meno di un anno, nel solo 2004, avendo poi cambiato manager e non è mai stato trovato positivo al doping;
          mercoledì 13 luglio Federico Rosa è stato riportato in tribunale e gli è stato notificato che, alla denuncia del Boit, si era aggiunta quella di Rita Jeptoo, già condannata a 2 anni di sospensione per doping;
          in virtù di questa ulteriore denuncia Federico Rosa è stato nuovamente trattenuto in custodia in una stazione di polizia;
          lunedì 18 luglio in tribunale, Federico Rosa ha ricevuto da parte del giudice, come condizione per il rilascio a piede libero, una richiesta di garanzia da effettuare a carico di due cittadini Kenioti per un importo di 500.000 scellini ognuno (circa 5.000 dollari);
          le garanzie richieste, a causa di una serie di lungaggini burocratiche, sarebbero giunte in ritardo (ore 16 locali) ed essendo il giudice andato via, Federico Rosa è rimasto in stato detentivo;
          in data 1o agosto 2016 si è svolta l'udienza per cui il giudice doveva pronunciarsi sulla richiesta di restituzione del passaporto, la domanda è stata accolta e a Federico Rosa è stato riconsegnato il passaporto  –:
          se il Ministro interrogato abbia conoscenza puntuale della vicenda sopra riportata;
          se in che termini si sia, eventualmente, attivato per sostenere il nostro connazionale;
          quali eventuali iniziative intenda intraprendere per una vicenda che sta coinvolgendo un cittadino italiano sul quale da più parti, dal mondo dell'atletica e dello sport, sono pervenuti messaggi di stima e solidarietà per il riconoscimento di un lavoro sempre svolto nell'assoluto rispetto delle regole. (4-14014)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      DAGA, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI, VIGNAROLI, CORDA, VALLASCAS, NICOLA BIANCHI, DELL'ORCO, FERRARESI, SPADONI, PAOLO BERNINI, SARTI e DALL'OSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          recentemente sono stati ripresentati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare quattro progetti per il parere di compatibilità ambientale (procedura di valutazione di impatto ambientale), interventi relativi ad attività di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi;
          si tratta di riproposizioni di progetti già depositati nel corso del 2015 e non approvati per la parzialità e la scarsa chiarezza della documentazione;
          un progetto intitolato «Prospezione geofisica al largo della costa nord-occidentale della Sardegna – zona marina E denominato “d 2 E.P-.TG”» riguarda un'ampia area di ben 600.000 ettari del mare di Sardegna in cui la società TGS – Nopec vuole condurre prospezioni con la tecnica dell'airgun;
          un secondo progetto riguarda la messa in produzione del pozzo di estrazione di gas Agosta 1dir a Comacchio, a pochissima distanza dal sito Unesco delle Valli di Comacchio. Un'area tutelata ai massimi livelli internazionali che viene messa a rischio dalla subsidenza che per stessa ammissione dell'Eni verrà prodotta dalle estrazioni di gas; il proponente stesso prevede una subsidenza aggiuntiva di 10 centimetri circa, in una zona già interessata da gravi fenomeni di abbassamento del suolo innescati, secondo quanto ammette la stessa Eni nella documentazione progettuale, dallo sfruttamento già in atto del vicino giacimento di Dosso degli Angeli;
          un terzo progetto, presentato dalla società Adriatica Idrocarburi, riguarda la perforazione e la messa in produzione del pozzo di idrocarburi liquidi Torrente Tona 26dir, nella concessione Masseria Verticchio in Molise;
          infine, un quarto intervento progetto riguarda il pozzo esplorativo Malerbina 1 dir nel ferrarese, presentato dalla società Enel Longanesi Developments s.r.l.;
          in tutti e quattro i casi vi era stata una netta opposizione delle comunità locali, compresi diversi enti, che hanno presentato puntuali osservazioni nella prima fase di pubblicazione;
          per il progetto intitolato «Prospezione geofisica al largo della costa nord-occidentale della Sardegna – zona marina E denominato “d 2 E.P-.TG”» vi è stata una prima pubblicazione nel 2015 con scadenza per le osservazioni il 6 aprile 2015. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha richiesto integrazioni il 10 agosto 2015, concedendo una prima proroga per il loro deposito di 60 giorni il 29 ottobre 2015 e una seconda proroga di 8 mesi il 14 marzo 2016. Le integrazioni sono pervenute il 25 luglio 2016;
          per il progetto «Messa in produzione del pozzo Agosta 1 Dir» il primo termine per la scadenza delle osservazioni era il 27 settembre 2015; il Ministero ha chiesto integrazioni l'11 maggio 2016, depositate il 26 luglio 2016; il nuovo termine per le osservazioni del pubblico è il 27 settembre 2016;
          per il progetto «Pozzo esplorativo “Malerbina 1 dir” nell'ambito del permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi denominato “Portomaggiore”» la prima scadenza per presentare osservazioni era il 7 agosto 2015; il Ministero ha chiesto integrazioni il 28 aprile 2016, le quali sono state ricevute il 12 luglio 2016; la scadenza per le osservazioni sul progetto ripubblicato è fissata per il 30 settembre 2016;
          per il progetto riguardante il pozzo Torrente Tona 26dir vi è stato un primo deposito il 5 marzo 2015 con termine per le osservazioni per il pubblico entro il 10 maggio 2015; il Ministero, attivando l'istruttoria tecnica solo il 18 maggio 2015, quindi dopo il termine del periodo di osservazioni, verificava problemi con gli atti; a tale verifica seguiva una prima ripubblicazione del progetto con nuova scadenza dei termini per le osservazioni il 6 luglio 2015; successivamente, il 18 marzo 2016 il Ministero chiedeva integrazioni progettuali, concedendo anche una proroga di 45 giorni fino al 26 aprile 2016; le integrazioni venivano depositate il 6 giugno 2016; la fase delle osservazioni sugli elaborati oggetto di II ripubblicazione scadono il 6 agosto 2016;
          il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare richiede tutte queste integrazioni richiamando l'articolo 26, comma 3, del decreto legislativo n.  152 del 2006 «Testo unico dell'Ambiente»; tale comma, però, impone termini netti per il deposito di eventuali integrazioni. Ai fini della presente interrogazione si evidenzia che la norma prevede espressamente che l'autorità competente possa richiedere integrazioni al proponente, in un'unica soluzione, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui all'articolo 24, comma 4, del medesimo decreto e, cioè, del termine di scadenza per la presentazione delle osservazioni da parte del pubblico, che sono 60 giorni. Inoltre l'articolo 26, comma 3, specifica che le integrazioni devono pervenire entro 45 giorni al massimo dalla richiesta, prorogabili una sola volta per altri 45 giorni. Infine, il successivo comma 3-bis dell'articolo 26 specifica che, qualora siano ritenute rilevanti per il pubblico, le integrazioni devono essere ripubblicate. Ovviamente, tale comma 3-bis non cancella il rispetto degli obblighi di cui al comma 3 già citato;
          riepilogando, le integrazioni devono essere richieste al massimo entro 30 giorni dalla scadenza della prima fase di osservazioni da parte del pubblico; le integrazioni devono pervenire al massimo entro 90 giorni (45 + 45 in caso di proroga);
          in primo luogo, esaminando le date riportate per i quattro procedimenti citati, gli interroganti rilevano che le varie richieste di integrazioni sono pervenute ben oltre i 30 giorni individuati dalla norma e, cioè, 8 mesi per il progetto del pozzo Agosta 1dir e per il progetto del pozzo Malerbina, e 4 mesi per il progetto di prospezione nel mar di Sardegna;
          per il progetto Torrente Tona 26dir la situazione è ancora peggiore in quanto l'istruttoria tecnica di verifica della completezza della documentazione risulta agli interroganti essere stata avviata dal Ministero addirittura 73 giorni dopo il primo deposito del progetto avvenuto il 5 marzo 2015, con il paradosso che sono state avviate le procedure di osservazioni per il pubblico su documentazione non rispondente ai requisiti di legge. Infatti l'articolo 23, comma 4, del decreto legislativo n.  152 del 2006 prescrive che la completezza della documentazione vada verificata entro 30 giorni dal deposito mentre in questo caso sono passati più del doppio dei giorni. Ciò ha portato immediatamente ad una prima ripubblicazione con una seconda fase di osservazioni per il pubblico. Le integrazioni sono state richieste dopo 8 mesi dalla scadenza del periodo di osservazioni e ora siamo nella terza fase di osservazioni per il pubblico;
          si evidenziano, quindi, ad avviso degli interroganti, evidenti scostamenti tra la tempistica consentita dalla legge e quella in uso presso le strutture tecniche ministeriali. Questo vale anche per i periodi concessi per presentare i nuovi elaborati. Come detto l'articolo 26, comma 3, è esplicito nel consentire il deposito delle integrazioni entro un massimo di 90 giorni (45 + 45) dalla richiesta. Nel caso del progetto di prospezione nel mar di Sardegna sono state concesse proroghe per complessivi 10 mesi e sono intercorsi più di 11 mesi tra la data di richiesta e la data di ricezione della documentazione;
          le scadenze imposte dal decreto legislativo n.  152 del 2006 consentono di contemperare, da un lato, l'esigenza di poter integrare i progetti ma, dall'altro, di assicurare un contraddittorio non sbilanciato tra i diversi attori, compresi coloro che si oppongono ai progetti. Progetti incompleti, parziali o superficiali dovrebbero essere immediatamente dichiarati irricevibili oppure bocciati senza appesantire il procedimento che nei casi citati supera di gran lunga quanto fissato dalla norma. Le osservazioni del pubblico non possono essere usate «routinariamente» per correggere elaborati non conformi ai requisiti di legge o non corrispondenti agli standard di qualità tecnico-scientifici visto che i cittadini non sono normalmente pagati per fare il lavoro che dovrebbe essere fatto dai tecnici incaricati dalle aziende come se ci trovassimo, nella prima fase delle pubblicazioni, in un momento preliminare di correzione di bozze  –:
          se non ritenga che le irregolarità evidenziate in premessa debbano essere risolte e quali iniziative di competenza intenda intraprendere sia nei confronti dei funzionari ministeriali incaricati di seguire i progetti sia della Commissione tecnica VIA che ha esaminato le istanze con così grave ritardo, con conseguente dilazione delle richieste di integrazioni progettuali;
          se non ritenga di valutare se l'iter dei 4 progetti citati non vada riesaminato, provvedendo a dichiarare irricevibili le istanze che sono state oggetto di integrazioni al di fuori dei termini previsti dalla legge e se non ritenga che sia il caso che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rilasci un parere esclusivamente sugli elaborati consegnati senza tener conto delle integrazioni.
(5-09382)


      TERZONI, GALLINELLA, CIPRINI, CECCONI, AGOSTINELLI, MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          Castelluccio di Norcia ed i suoi «piani» costituiscono un altopiano carsico-alluvionale dell'Appennino Umbro-Marchigiano, sui Monti Sibillini, ai piedi del Monte Vettore, nei Comuni di Norcia (PG) e Castelsantangelo sul Nera (MC), nel cuore del Parco nazionale dei Monti Sibillini;
          tali aree sono tutelate con vincolo paesaggistico, rientrano nel parco nazionale dei Monti Sibillini e nel sito di importanza comunitaria (S.I.C.) «Piani di Castelluccio di Norcia» con codice IT5210052, ai sensi della direttiva n.  92/43/CEE. Gran parte dei piani (1.136 ettari) sono aree a uso civico, di cui è titolare la Comunanza Agraria di Castelluccio;
          la Commissione europea ha avviato nel 2014 l'indagine EU Pilot 6730/14/ENVI «diretta ad accertare se esista in Italia una prassi di sistematica violazione dell'articolo 6 della direttiva Habitat» a causa di svariate attività e progetti realizzati in assenza di adeguata procedura di valutazione di incidenza ambientale (V.INC.A.) in aree rientranti in siti di importanza comunitaria (S.I.C.) e zone di protezione speciale (Z.P.S.) componenti la rete Natura 2000, individuati rispettivamente in base alla direttiva n.  92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali, la fauna, la flora e alla direttiva n.  09/147/CE sulla tutela dell'avifauna selvatica. Uno dei fatti contestati è lo svolgimento di gare motociclistiche nel maggio 2014 proprio sui piani di Castelluccio;
          tali criticità sono note al Ministro interrogato che ha più volte segnalato la necessità di attivare accorgimenti tecnici per salvaguardare le fragilità ambientali delle piane di Castelluccio e per evitare d'incorrere in procedure di infrazione comunitaria considerato che il Piano Grande è anche sito di interesse comunitario e zona di protezione speciale. Tuttavia, con ordinanza del comune di Norcia n.  49 del 16 giugno 2015, il sindaco ha ritenuto di avvalersi dei poteri di ordinanza contingibile e urgente per destinare aree del Piano Grande di Castelluccio a parcheggio di autoveicoli e aree di sosta di camper, in previsione della realizzazione di un piano di azione per la mobilità sostenibile (PAMS) e sperimentare alcune misure gestionali da proporre nello scenario definitivo di pianificazione;
          nella stessa ordinanza si legge che il comune di Norcia «sta portando a termine, nell'ambito dei progetti finanziati dal Ministero dell'Ambiente e della Regione Umbria, in collaborazione con il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, lo studio di un Piano di azione per la mobilità sostenibile (PAMS)»;
          le procedure seguite per realizzare questi interventi appaiono, tuttavia, agli interroganti, poco coerenti con il dettato normativo e con il valore naturalistico del Piano Grande di Castelluccio;
          dalla documentazione consultabile sul sito https://gruppodinterventogiuridicoweb.com, si apprende che l'ente parco chiedeva al comune di Norcia lo studio di incidenza ambientale per poter espletare la procedura di valutazione di incidenza ambientale (V.INC.A.) con nota del 18 giugno 2015, sebbene il comune di Norcia avesse già affidato la realizzazione delle opere, con determinazione n.  117 dell'11 giugno 2015 nella quale viene evidenziato che «i lavori di che trattasi dovranno essere immediatamente eseguiti dopo la notifica della presente» alla ditta affidataria;
          a conclusione della procedura di V.INC.A, con provvedimento dirigenziale n.  52 del 2 luglio 2015, l'Ente parco emanava l'autorizzazione, per la sola estate 2015, con una nutrita serie di condizioni, pur affermando testualmente «che la superficie di sosta provvisoria complessiva, pari a 17.000 mq, individuata sul Pian Grande di Castelluccio con l'ordinanza n.  49/2015 potrebbe essere non compatibile, nel medio lungo-periodo, con gli obiettivi di conservazione del SIC-ZPS 1T5210071 «Monti Sibillini (versante umbro)» e che, pertanto, la medesima è da considerarsi, oltreché una misura provvisoria, una soluzione assolutamente non più praticabile per le stagioni estive successive a quella in corso. Obiettivo prioritario del Piano di azione per la mobilità sostenibile dovrà, infatti, essere quello di valutare, a prescindere dall'attuale domanda di parcheggio, quale sia per gli ambienti naturali e seminaturali dei piani di Castelluccio, nonché per le finalità di promozione del turismo sostenibile del Parco, il massimo carico sostenibili di veicoli (in sosta e in movimento)»;
          inoltre, con nota prot. n.  3831 del 7 luglio 2015 l'Ente parco ricordava al comune di Norcia che i lavori stradali che interessano il sito in questione devono essere preventivamente autorizzati sotto il profilo paesaggistico e da parte dello stesso Ente parco ai sensi dell'articolo 13 della legge n.  394 del 1991 e successive modificazioni e integrazioni, con ciò lasciando emergere una prassi del comune poco attenta al rispetto della normativa di tutela ambientale, come peraltro rilevato dallo stesso Ente parco in riferimento all'allestimento di un'ulteriore area sosta in località Pian Perduto con ordinanza del comune di Norcia n.  54 del 9 luglio 2015: «Si precisa che tale provvedimento non è stato trasmesso a questo Ente Parco e pertanto neanche la richiesta di procedura di V.Inc.A. a cui si fa riferimento nel preambolo dello stesso atto»;
          come riportato nel sito https://gruppodinterventogiuridicoweb.com le associazioni ecologiste Mountain Wilderness - Umbria e Gruppo d'Intervento Giuridico Onlus hanno inoltrato, in data 5 agosto 2015, una specifica richiesta di informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti riguardo la realizzazione degli interventi indicati nella predetta ordinanza n.  49 del 2015, con particolare riferimento alle necessarie autorizzazioni ambientali, coinvolgendo la Commissione europea, la Commissione petizioni del Parlamento europeo, i Ministeri dell'ambiente e dei beni e attività culturali, l'Ente parco nazionale dei Monti Sibillini, e informando per opportunità la procura della Repubblica presso il tribunale di Spoleto e il commissariato per gli usi civici per il Lazio, l'Umbria, la Toscana;
          nel dare seguito alla predetta richiesta, il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare - direzione generale per la protezione della natura e del mare, con nota prot. n.  16232 del 17 agosto 2015, si è rivolto agli enti territoriali competenti per aggiornamenti in merito al completamento dei procedimenti di autorizzazione ambientale prima dell'inizio delle attività di cantiere e prima della realizzazione dei parcheggi e aree di sosta per i camper;
          il Commissariato per gli usi civici per il Lazio, l'Umbria, la Toscana, con ordinanza n.  255 del 28 luglio 2016, ha disposto il sequestro giudiziario delle aree adibite a parcheggi autoveicoli e autocaravan su terreni a uso civico al Piano Grande e al Pian Perduto di Castelluccio di Norcia e nominato custode giudiziario il comandante del reparto del Corpo forestale dello Stato competente per territorio, mentre gli atti sono stati trasmessi alla competente procura della Repubblica per le ipotesi di reato paesaggistico e alla procura regionale della Corte dei conti per le ipotesi di danno erariale (https://gruppodinterventogiuridicoweb.com);
          nel giugno 2016 le stesse associazioni hanno inoltrato una nuova richiesta di informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti riguardo l'ennesima ordinanza «contingibile e urgente» del comune di Norcia n.  40 del 22 giugno 2016 che prevede aree di sosta diurne e notturne (a pagamento nel fine settimana, dal 25 al 31 luglio 2016) per autoveicoli e camper sui Piani di Castelluccio, «in attesa della concreta e definitiva messa in opera di tutti i provvedimenti previsti dal PAMS». Quest'ultimo, di cui risulta la presa d'atto del consiglio comunale di Norcia nella seduta del 20 giugno 2016, ma di cui gli interroganti ignorano la presenza delle necessarie autorizzazioni ambientali, interessa complessivamente circa due ettari sul Pian Grande e sul Pian Perduto, una buona parte in terreni a uso civico;
          a margine dei profili ambientali segnalati si rileva che, con determinazione dell'area urbanistica del comune di Norcia n.  53 del 30 dicembre 2014, l'incarico per l'elaborazione del PAMS veniva disposto con affidamento diretto a favore della Caire Urbanistica – Coop. Architetti e Ingegneri con sede in Reggio Emilia, per un importo complessivo di euro 39.500,00 (appena al di sotto della soglia comunitaria di euro 40.000);
          inoltre, dal sito internet www.nuovanorcia.it (in particolare dai tre seguenti articoli: http://www.nuovanorcia.it/lamico-dellamico.html, http://www.nuovanorcia.it/fermateli.html, http://www.nuovanorcia.it/auguri.html) si apprende che il sindaco del comune di Norcia, il signor Nicola Alemanno, risulta essere amministratore unico del gruppo Omnigis e della controllata Omnilab srl, comproprietario unitamente alla Caire Urbanistica, della società a responsabilità limitata UNISKY;
          l'incarico per la redazione della valutazione di incidenza ambientale (V.Inc.A.) per le aree di sosta temporanee a Castelluccio, risulta invece affidato, con determinazione del responsabile dell'area lavori pubblici n.  116 del 9 giugno 2015, al dottor Simone Alemanno e liquidato con determina n.  167 del 30 novembre 2015, a firma dello stesso Sindaco Nicola Alemanno, in qualità di responsabile dell'area economico – finanziaria per effetto della delibera di G.C. n.  47 del 16 aprile 2014, con decorrenza dal 1° maggio 2015;
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
          se il Ministro abbia ricevuto risposta alla nota prot. n.  16232 del 17 agosto 2015 e abbia verificato il rispetto degli adempimenti e delle procedure autorizzative previste dalla direttiva 92/43/CEE, dalla legge 394/1991 e dal decreto legislativo n.  42 del 2004, necessarie per dare attuazione agli interventi oggetto delle ordinanze citate in premessa e se queste siano ritenute compatibili con la natura degli interventi stessi;
          di quali elementi disponga il Ministro interrogato circa la redazione del piano di azione per la mobilità sostenibile (PAMS) e le procedure di valutazione ambientale, considerato che gli interventi sono riconducibili a progetti finanziati anche dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e se sia in grado di relazionare in merito ai predetti finanziamenti;
          se il Ministro abbia preso visione del predetto piano e se risulti conforme alle direttive comunitarie, al fine di escludere l'apertura di nuove procedure di infrazione europea;
          se il Ministro non ritenga opportuno, per quanto di competenza, aprire un tavolo di concertazione con l'Ente parco nazionale Monti Sibillini, il comune di Norcia, gli enti coinvolti e le associazioni ambientaliste per porre fine al susseguirsi di ordinanze «contenibili e urgenti» e promuovere interventi che rispondano all'obiettivo prioritario di tutelare gli ambienti naturali e seminaturali dei piani di Castelluccio;
          se non ritenga di dover riesaminare la normativa che definisce le procedure per la valutazione di incidenza ambientale facendo diventare vincolante il parere dell'Ente parco oppure, assegnando per i siti Natura2000 ricadenti in tutto o in parte in un'area protetta nazionale, direttamente ai gestori delle aree protette la competenza per la valutazione di incidenza ambientale, in linea con quanto indicato dalla Commissione europea;
          se non ritenga di assumere iniziative normative che assicurino forme vincolanti di pubblicità, partecipazione e trasparenza nelle procedura di valutazione di incidenza ambientale;
          se intenda intervenire direttamente, per quanto di competenza, per la salvaguardia dei valori ambientali, paesaggistici e naturalistici del paese, bloccando un'iniziativa che chiaramente creerebbe danni, anche sulla base dell'articolo 8, comma 3, della legge n.  349 del 1986;
          cosa si intenda fare, per quanto di competenza, per salvaguardare i valori paesaggistici dell'area. (5-09391)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PIRAS, ZARATTI, RICCIATTI, DURANTI, QUARANTA e SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la Saras (Società anonima raffinerie sarde) è entrata in produzione nel giugno del 1966, in un'area della Sardegna meridionale – Sarroch (Cagliari) – di assoluto pregio paesaggistico e ambientale, fra le più fertili dal punto di vista agricolo, caratterizzata da un sistema di zone umide tradizionalmente dedicato alle attività della piccola pesca;
          Sarlux (attuale denominazione della Saras), società quotata in borsa, è la più grande raffineria del Mediterraneo e tratta circa 15 milioni di tonnellate l'anno di petrolio, il 25 per cento del totale della movimentazione navale di greggio;
          l'inquinamento prodotto in cinquant'anni di attività è penetrato nel territorio, nel sistema idrico, nei fondali marini e contamina l'aria, esponendo la popolazione locale tutta e i lavoratori a una molteplicità di agenti inquinanti, determinando innumerevoli casi di morti premature;
          nel gennaio del 2009, un importante film documentario d'inchiesta, prodotto dal regista Massimiliano Mazzotta, denominato Oil, ha messo in luce il gravissimo inquinamento dell'area, le profonde modificazioni ambientali e nella struttura sociale e la pesante complicità dello Stato in quello che appare essere un vero e proprio disastro ambientale;
          nel 2013 la prestigiosa rivista internazionale di epidemiologia dell'università di Oxford « Mutagenesis» ha pubblicato i risultati di una ricerca condotta su 75 bambini delle scuole elementari di Sarroch;
          le conclusioni dell'indagine, condotte attraverso la comparazione con eguale campione di coetanei residenti in un'area di campagna, sono inequivocabili: «il nostro studio dimostra che i bambini residenti in prossimità del polo industriale di Sarroch presentano incrementi significativi di danni e alterazioni del Dna» rispetto agli standard di riferimento;
          nel 2014 l'Agenzia europea dell'ambiente (AEA), chiamata ad analizzare i costi sanitari e ambientali dell'industria, l'impatto sulle produzioni agricole e in termini di morti premature, ha classificato la Saras-Sarlux di Sarroch al 92o posto (su 1329) fra gli impianti più inquinanti d'Europa (l'Ilva di Taranto è al 29o);
          recentemente come riportato da tutti i principali quotidiani sardi, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ammesso la riconducibilità dell'inquinamento del suolo, del sottosuolo e delle acque di falda nell'area di Sarroch alle attività della Salux-Saras, sostenendo altresì che l'azienda ha provveduto ad attivare le necessarie misure di messa in sicurezza delle falde;
          pare assolutamente blanda e insufficiente agli interpellanti la risposta del Ministro considerata l'attività ultradecennale della raffineria, oltre che la documentazione sopra citata;
          va reso atto che finora non vi è mai stato alcun approfondito studio epidemiologico di parte pubblica  –:
          quali siano le iniziative di competenza poste in essere dai Ministri interrogati per conoscere, sul piano ambientale, epidemiologico e sanitario, le reali condizioni del territorio e delle popolazioni che lo abitano;
          quali iniziative, per quanto di competenza, siano state poste in essere affinché Saras-Sarlux garantisca l'assoluto rispetto delle soglie di concentrazione previste dalla normativa vigente;
          quali siano le iniziative di competenza che si intendano porre in essere per mettere in sicurezza l'area, per riparare il danno ambientale e riconoscere un effettivo risarcimento al territorio. (4-14010)


      TERZONI, DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, assieme al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il 15 giugno 2016 ha emanato il decreto di compatibilità ambientale favorevole per lo scavo del pozzo «Armonia 1dir» a Solarolo, in provincia di Ravenna;
          il beneficiario del provvedimento è la società AleAnna Resources LLC avente sede principale nello Stato statunitense del Delaware; l'azienda è assegnataria del permesso di ricerca «Ponte dei grilli», conferito dal Ministero dello sviluppo economico il 30 marzo 2009 su un'estensione di 25.845 ettari nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena e Bologna;
          l'iter procedurale della procedura di valutazione di impatto ambientale ha visto diverse pubblicazioni ed integrazioni della documentazione da parte dell'azienda. Il 29 dicembre 2014 la società deposita una prima volta gli elaborati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Parte quindi la fase pubblica per le osservazioni della durata di 60 giorni che però viene interrotta in quanto l'azienda a quanto consta agli interroganti ha erroneamente indicato quale comune interessato unicamente quello di Solarolo, senza coinvolgere i limitrofi comuni di Cotignola e Faenza. Il 2 febbraio 2015 avviene la ripubblicazione del progetto con deposito presso i tre comuni; segue il nuovo avviso sulla stampa e sul sito del Ministero, con scadenza dei termini per le osservazioni da parte del pubblico 60 giorni dopo, il 3 aprile 2015;
          tra il 2 febbraio 2015 e il 3 aprile 2015 non emerge alcun ulteriore elemento in relazione alla documentazione depositata e ad eventuali problematiche relative all'iter procedurale, come richieste e interlocuzioni tra proponente e autorità competente;
          come risulta dalla ricevuta di ritorno di avvenuta consegna (ore 18:44:29 del 2 aprile 2015 da parte dell'indirizzo email certificato agostinorossi@legalmail.it), almeno un'osservazione da parte del pubblico viene depositata nei termini stabiliti dalla legge da parte di CastelBologneseInMovimento;
          come prevede il decreto legislativo n.  152 del 2006 scaduto il termine entro 90 giorni il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe dovuto concludere la procedura con un assenso o con un diniego, procedendo a controdedurre le osservazioni pervenute; pertanto il decreto doveva essere emanato entro il 2 luglio 2015 sulla base degli elementi in possesso del Ministero;
          invece, il 6 agosto 2015 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sulla base di una nota della commissione tecnica di valutazione di impatto ambientale, chiede delle integrazioni progettuali. In particolare vengono richiesti numerosi approfondimenti tra cui: una relazione geologica ed idrogeologica; una relazione geotecnica e geomeccanica; una relazione sismica; un approfondimento sui rischi di incidenti;
          nella nota della Commissione tecnica di valutazione di impatto ambientale allegata alla richiesta del Ministero vi è un punto denominato «Osservazioni e controdeduzioni» in cui si può leggere testualmente «Considerato che la scadenza per la presentazione di osservazioni del pubblico è scaduta in data 3 aprile 2015, si richiede al proponente di fornire le opportune controdeduzioni alle osservazioni eventualmente ad oggi pervenute (non risultano osservazioni pubblicate sul portale Valutazioni Ambientali del MATTM)»;
          anche nel parere del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si sostiene che non sono state presentate osservazioni da parte del pubblico;
          nel decreto finale di compatibilità ambientale si sostiene che non sono pervenute osservazioni;
          nella medesima nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 6 agosto 2015 si precisa all'azienda che secondo quanto previsto dal decreto legislativo n.  152 del 2006 le integrazioni devono pervenire entro 45 giorni dalla data di protocollo della richiesta; l'articolo 26, comma 3, del decreto legislativo n.  152 del 2006 specifica che può essere concessa una sola proroga a questa scadenza per ulteriori 45 giorni. Pertanto possono essere assegnati al massimo 90 giorni di tempo per le integrazioni, fermo restando le altre limitazioni connesse al loro deposito (di cui ai punti successivi della presente interrogazione);
          la società AleAnna Resources LLT deposita le integrazioni in due diversi momenti, il 5 novembre e il 19 novembre 2015, rispettivamente 91 giorni e 105 giorni dopo la richiesta di integrazioni;
          il decreto legislativo n.  152 del 2006, in relazione alla possibilità di presentare integrazioni progettuali, prevede solo tre casi, dopo l'avvenuto deposito da parte dell'azienda: a) l'articolo 23, comma 4, dispone che la completezza dello studio di impatto ambientale debba essere verificata dall'autorità competente entro 30 giorni dalla scadenza della fase pubblica, cioè entro 30 giorni dalla data di deposito. Per questo progetto entro il 4 marzo 2015; b) l'articolo 24, comma 9, dispone che il proponente possa integrare spontaneamente la documentazione entro 30 giorni successivi alla data di scadenza per le osservazioni da parte del pubblico (quindi il 5 maggio 2015); c) l'articolo 26, comma 3, dispone che l'Autorità competente possa richiedere integrazioni alla documentazione, precisando che la richiesta debba pervenire entro 30 giorni dalla scadenza della fase pubblica (il 4 marzo 2015 per la precisione). Pertanto quello in esame non pare rientrare in uno dei tre casi previsti dal decreto legislativo n.  152 del 2006 per il deposito di nuova documentazione;
          in merito alla completezza degli studi di impatto ambientale che la Commissione europea ha già precisato nella nota relativa alla procedura Pilot sulle procedure di valutazione di incidenza ambientale realizzate nel nostro Paese, conclusioni di certo estendibili alle ben più complesse procedure di valutazione di impatto ambientale, che progetti con documentazione carente devono essere dichiarati irricevibili o essere bocciati (si veda il punto 11 della nota della Commissione europea di cui alla procedura Pilot 6730/14/ENVI);
          il decreto legislativo n.  152 del 2006 prevede che a seguito di deposito di nuova documentazione si provvede alla ripubblicazione ove si «ritenga che le modifiche apportate siano sostanziali e rilevanti per il pubblico,». Tale valutazione, per i principi di buon andamento e trasparenza della pubblica amministrazione, deve basarsi su elementi e considerazioni oggettivi. In questo caso per attività di tipo estrattivo si richiede la relazione geologica, quella sismica, quella sugli incidenti per un totale di 19 nuovi elaborati depositati a novembre 2015 quando nel primo deposito del 2 febbraio 2015 erano stati consegnati 22 elaborati;
          a mero titolo di esempio, a parte le questioni sul numero di elaborati, richiamiamo elementi di contenuto relativi alle integrazioni. Nell'elaborato «Relazione sismotettonica», a pagina 25, penultimo capoverso, l'azienda ammette che perforeranno il pozzo sopra tre sorgenti sismogenetiche, due delle quali hanno prodotto terremoti in epoca storica. La ditta aggiunge che rimanendo sopra le faglie attive «Tale assetto stratigrafico-strutturale rende improbabile una connessione idraulica tra i due diversi livelli geologici interessati dagli accumuli di gas e dalle sorgenti sismogenetiche». Ricordiamo che la connessione idrologica, giudicata «improbabile» ma non esclusa dall'azienda, è importante perché le variazioni di pressioni dei fluidi nelle rocce possono essere responsabili della sismicità indotta dall'uomo;
          per quanto riguarda gli incidenti, nell'elaborato «Rischio Incidenti», a pagina 6 si sostiene che sono poco probabili, in particolare quello più pericoloso, l'eruzione incontrollata di idrocarburi in testa al pozzo (conosciuto come «blow-out»). Tali valutazioni avvengono sulla base dell'affermazione che per «quanto riguarda i pozzi esplorativi on-shore gas si può affermare che non si è mai verificato in Italia»;
          a tale affermazione non è seguita alcuna contro-deduzione da parte dell'autorità competente nonostante sia per gli interroganti del tutto fuorviante ed inesatta;
          la prima documentazione in cui si riporta il blow-out di un pozzo, con eruzione di metano mista a sedimenti e incendio del pozzo (con fiamme alte cento metri) è quella riferibile ad un pozzo scavato a Fontevivo nel parmense nel 1929. Il fatto è raccontato con dovizia di particolari nel testo «Il petrolio a Fontevivo», a pagina 1 SNR158, Pionieri e Veterani, ENI;
          bisogna aspettare il dopoguerra per avere numerosi casi di blow-out. Una prima documentazione riguarda il blow-out di un pozzo a gas a Soncino in Lombardia nel 1947. L'evento era durato qualche ora, come riporta il verbale SNR384 del centro di documentazione e formazione dell'associazione pionieri e veterani dell'ENI;
          sempre per rimanere in tema di blow-out di pozzi a gas, il dottor Davide Scrocca dell'Istituto di geologia ambientale e geoingegneria (IGAG) del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) in una presentazione al Convegno scientifico dell'osservatorio ambientale della Val d'Agri – I Edizione – Sismicità indotta del 15 marzo 2013 (a pagina 18 della presentazione) riporta integralmente il passaggio di una relazione dell'Agip del 1957 in cui, tra il 1949 e il 1950, nel campo di Caviaga/Basiasco si riportano almeno 3 blow-out a gas (pozzi 13, 14 e 18; accenni di blow-out anche al pozzo 11). Sempre a Caviaga ci sono testimonianze anche per un blow-out del pozzo n.  5 in quegli stessi anni (a pagina 460);
          in un articolo del quotidiano Il Sole del 20 aprile 1949 relativo all'eruzione del Pozzo 14 di Caviaga/Basiasco, si riportano altri due blow-out di pozzi di metano, uno a Lodi nel 1947/primi mesi del 1948 (che durò 5 giorni con 1 milione di mc di metano liberati al giorno) e uno a Crema nel 1948 (con durata di una notte);
          sempre per quanto riguarda altri blow-out di pozzi, si ricordano quelli dei pozzi 18 e 21 a Cortemaggiore nel 1950, oggetto anche di un'interrogazione parlamentare, descritti alle pagine 58-59 del libro «Quando Mattei era l'impresa energetica – Io c'ero» di Giuseppe Accorinti, Hacca edizioni. Il pozzo 18 ebbe un blow-out a petrolio (Istituto Luce), mentre il 21 ebbe un blow-out a gas;
          un caso maggiormente conosciuto, tanto da essere ricompreso nella documentazione relativa ad un altro progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale nazionale, quello dello stoccaggio gas di Bordolano, depositata presso il medesimo Ministero (che quindi ne ha consapevolezza fin dal 23 ottobre 2015, data del deposito del documento), è quello del Pozzo BO2 nel 1952 (a pagina 2 primo capoverso) con la perdita di 370 106 smc di gas. Anche l'Istituto Luce documentò l'incendio che durò settimane;
          nel 1953 risulta addirittura un blow-out a gas con incendio della colonna di fluidi proprio a Cotignola, nei pressi dell'area oggetto dell'intervento dell'AleAnna Resources, così come testimoniato da un servizio dell'Istituto Luce;
          se veniamo a tempi più recenti un blow-out a gas con incendio del pozzo si verificò a Policoro in Basilicata il 13 ottobre 1991. Il fatto è ammesso dalla stessa ENI nella relazione progettuale dello studio di impatto ambientale del progetto Guendalina, anch'esso depositato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ne è dunque consapevole dal 21 dicembre 2007. A pagina 72 si può leggere testualmente «Di questi, l'unico caso in cui si è verificata la contaminazione con olio della zona circostante la postazione, è quello dell'incidente al pozzo Trecate 24 (onshore-1994), due sono relativi ai pozzi a gas Larissa 1 (off-shore-1988) e Policoro 1 (onshore-1991) ed il quarto si riferisce al pozzo Trecate 3 (onshore-1989), dove si è verificata un'eruzione di acqua salata (acqua di strato) senza rilascio di idrocarburi»;
          infine, ricordiamo che il 7 giugno 1973 in Lazio a Torre Alfina si è verificato un blow-out con emissioni di grandi quantità di gas (per la gran parte CO2), durante la perforazione di un pozzo geotermico, come rileva la pubblicazione «CO2distribution in the atmosphere and noise survey after blow-out in alfina 1 well, Northem Latium, Italy» pubblicata sulla prestigiosa rivista Geothermics (Volume 6, Issues 3-4, 1977, pages 163-174);
          complessivamente, quindi, per quanto si è potuto ricostruire in questa sede, in Italia in terraferma si sono verificati almeno 13 blow-out a gas (11 a metano; 1 a CO2 e 1 a acqua) e 2 a olio; off-shore almeno 2 a gas (Larissa 1 e Paguro a Ravenna nel 1965 della Saipem);
          ovviamente, presso i pozzi possono verificarsi diverse tipologie di incidente non sempre riconducibili a veri e propri blow-out. Ad esempio il giorno 8 giugno 2002 a Grumento Nova salta la valvola del condotto del pozzo «Monte Alpi 1 Est». Secondo fonti ENI sarebbero stati 500 i litri di greggio nebulizzati a causa dell'alta pressione; le associazioni ambientaliste denunciano un quantitativo maggiore. L'Associazione OLA riporta altresì la testimonianza di cittadini di Viggiano che nel gennaio del 2001 hanno riferito rumori fortissimi con fuoriuscita di materiale da un tubo fino ad altezza di 10 metri al pozzo Pozzo «Monte Alpi 1 Ovest» con chiamate ai Vigili del Fuoco. Per questo secondo caso ENI, nelle controdeduzioni alle osservazioni in un altro procedimento di VIA (relativo ad un progetto di pozzo esplorativo a Carpignano Sesia), scrive «In merito ai due incidenti menzionati sui pozzi Monte Alpi in Basilicata, si fa presente che tali esempi non sono noti incidenti verificatisi all'interno dell'area del pozzo Monte Alpi Ovest 1». Cioè ENI, pur essendo proprietaria del pozzo Monte Alpi 1 ovest e, quindi, immaginiamo ben conscia di quanto accade nei siti ad essa concessi, non nega ma si limita a dire che semplicemente non è a conoscenza di incidenti, che è cosa diversa dallo smentire le dichiarazioni riportate dalla OLA;
          in ogni caso, altri incidenti conosciuti in fase di perforazione di pozzi esplorativi sono, ad esempio, franamento del piazzale durante le operazioni, come avvenuto ad esempio a Cermignano in Abruzzo nel 1978;
          sul sito dell'Unmig vi è un elenco di 39 pozzi incidentati/sospesi, mentre 108 riportano la dicitura «esito sconosciuto». In realtà proprio tra questi ultimi sono stati catalogati alcuni dei pozzi con blow-out (Caviaga 14,.14 e 18; Bordolano 002; Cortemaggiore 18 e 21);
          Il pozzo esplorativo della AleAnna Resources LLT è previsto a poche decine di metri dalle prime case e a 1 chilometro dall'ingresso del paese di Solarolo;
          qui un elenco relativo ad incidenti in una sola area degli Stati Uniti. Nel 2010 si è verificata un'esplosione con sette morti in un pozzo di gas in Pennsylvania nel 2010. Questi casi fanno ben comprendere i rischi per la pubblica incolumità derivanti dalle attività di perforazione;
          l'osservazione depositata da CastelBologneseInMovimento verteva su numerosi punti, tra cui quelli relativi alle problematiche di rischio e alla salvaguardia dei beni culturali, ai quali non è stata data risposta o presentato controdeduzioni, neanche involontariamente ed indirettamente, né dall'azienda nelle integrazioni, né dalla commissione tecnica di valutazione di impatto ambientale, né attraverso il parere del Ministero dei beni culturali, né nel decreto finale di compatibilità ambientale  –:
          se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga necessario ritirare in auto-tutela il decreto di compatibilità ambientale in favore, della AleAnna Resources LLT in relazione alle molteplici ed evidenti irregolarità di cui in premessa che riguardano sia la tempistica dell'iter procedurale, sia l'aver concesso alla società di integrare la documentazione al di fuori delle previsioni di legge e, infine, per aver escluso dall'iter procedimentale osservazioni regolarmente depositate;
          se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo non intenda in auto-tutela revocare il proprio parere favorevole avendo ignorato le osservazioni pervenute. (4-14030)


      COLLETTI, VACCA, DEL GROSSO, BUSTO, TERZONI, DAGA, MANNINO, DE ROSA, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          recentemente la società canadese CMI Energia s.p.a., ha richiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il rilascio del parere di compatibilità ambientale (procedura di V.I.A. nazionale) sull'intervento denominato «Progetto di sviluppo concessione “Colle Santo”»;
          il progetto prevede la messa in produzione dei pozzi esistenti Monte Pallano 1 e 2, la perforazione e completamento di due nuovi pozzi Monte Pallano 3 e 4 e l'eventuale perforazione di un ulteriore pozzo Monte Pallano 5, la costruzione di un gasdotto di circa 21 chilometri e di una centrale di trattamento gas nell'area industriale del comune di Paglieta;
          di fatto questo intervento è la riproposizione, grazie al decreto «sblocca Italia» che ha traslato dalle regioni allo Stato le competenze per l'espletamento delle procedure di valutazione di impatto ambientale per i progetti collegati agli idrocarburi, di un intervento già «bocciato» dal Comitato CCR-VIA    della regione Abruzzo che aveva rilasciato un parere di compatibilità ambientale sfavorevole, in considerazione del rischio per la stabilità della diga di Bomba, posta appena a monte, a causa della subsidenza innescata dall'estrazione del gas;
          l'unica differenza tra progetto esaminato dalla regione Abruzzo e quello presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è relativa alla posizione della centrale di trattamento che viene spostata più a valle rispetto all'area dei pozzi che invece rimane nello stesso punto; anche il numero di pozzi previsti è lo stesso così come la quantità di gas estratto;
          in particolare, la regione Abruzzo rilevava la necessità di fare ricorso al cosiddetto principio di precauzione, in quanto, sulla base degli elaborati progettuali presentati dal proponente, esisteva un rischio di una vera e propria catastrofe, tenuto conto che nel fondovalle del fiume Sangro insistono grandi insediamenti industriali come la SEVEL dove ogni giorno gravitano decine di migliaia di persone e che in caso di cedimento della diga una vastissima area sarebbe colpita da inondazioni distruttive;
          il Comitato CCR-VIA della regione Abruzzo reiterava più volte il parere negativo tanto che il conflitto insorto tra autorità competente e proponente arrivò nel 2015 davanti al Consiglio di Stato. Quest'ultimo con la sentenza N. 02495/2015 del 18 maggio 2015 ha stabilito in maniera inequivocabile che doveva applicarsi il principio di precauzione dato l'estremo pericolo derivante da un eventuale crollo della diga a causa delle subsidenza;
          tale sentenza è cristallina e ha allo stesso tempo un ampio portato, dichiarando che la regione Abruzzo, dopo aver assicurato tutti i necessari approfondimenti e sopportato un serrato contraddittorio con l'azienda proponente, aveva agito correttamente in considerazione dei rischi che l'intervento comportava per la tutela della popolazione;
          scrivono, tra l'altro, i giudici «In definitiva, a fronte del rischio di cedimento della diga e in considerazione delle più ampie esigenze di tutela ambientale e di incolumità pubblica, del tutto legittima appare, nell'esercizio di un potere latamente discrezionale non sindacabile nel merito in assenza di profili di sviamento e travisamento, la conclusione di matrice cautelativa cui è pervenuto il Comitato VIA. Osserva poi il Collegio che l'onere motivazionale che incombe sull'Amministrazione è stato adeguatamente assolto dal Comitato procedente già in occasione del primo giudizio VIA negativo n.  1929 del 2012, nel quale si dà conto dei timori connessi al fenomeno della subsidenza legata all'estrazione del gas, specie in considerazione dell'ubicazione del giacimento al di sotto del lago e della diga interna e delle conseguenze disastrose che potrebbero derivare da un eventuale crollo della diga. Timori, questi, che hanno reso doverosa la predisposizione di una tutela anticipata e legittima l'applicazione del principio di precauzione»;
          in presenza di una sentenza inequivocabile, la riproposizione dell'intervento, con gli stessi identici elementi da cui derivavano i rischi oggetto di censura (localizzazione e numero dei pozzi), appare agli interroganti una palese violazione del giudicato che avrebbe dovuto comportare il rigetto immediato dell'istanza da parte dei funzionari del Ministero;
          tra l'altro, il proponente, per cercare di superare questa insormontabile sentenza, si è limitato a presentare una nuova relazione di parte basata esclusivamente sulla rielaborazione dei dati oggetto del procedimento di valutazione di impatto ambientale conclusosi con parere negativo da parte della regione Abruzzo. Appare francamente poco credibile, tra l'altro, che dagli stessi dati lo stesso proponente arrivi a conclusioni diverse e, di fatto, a smentire le precedenti relazioni con le quali si voleva far approvare il progetto, visto che due anni fa la subsidenza era stimata in 7 cm e ora si è ridotta a soli 2,8 cm. Vi è dunque una trappola logica: se il proponente stesso presenta elaborazioni sfasate tra di loro, ci si chiede per quale motivo si dovrebbe ritenere quella più recente come quella più attendibile, in assenza di fatti nuovi; tra l'altro la sentenza evidenzia che è proprio il carattere intrinsecamente probabilistico del calcolo della subsidenza a lasciare quel margine di incertezza che fa scattare, in presenza di un così grave rischio di danni irreparabili, il principio di precauzione;
          immutate sono inoltre rimaste le condizioni di grave instabilità dei versanti, come già rilevato dagli stessi giudici del Consiglio di Stato; l'area dei pozzi insiste infatti in una zona classificata a rischio elevato dal P.A.I. della regione Abruzzo  –:
          se non ritenga che il progetto in questione debba essere rigettato immediatamente al fine di non incorrere nella violazione del giudicato del Consiglio di Stato;
          se    intenda agire conformemente alle conclusioni a cui è giunto il Consiglio di Stato in materia di principio di precauzione, tenendo conto dei gravissimi rischi per l'incolumità pubblica derivanti dal progetto, in un contesto di grave dissesto idrogeologico diffuso nell'area e in presenza di una delle aree industriali più importanti d'Italia. (4-14031)


      TERZONI, VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il consiglio comunale di comune di Rocca di Mezzo (L'Aquila), secondo quanto riportato dalla stampa locale, ha recentemente approvato un piano di lottizzazione con decine di villette e oltre 10.000 metri cubi di volumetrie da realizzarsi proprio sulla piana dell'Altipiano delle Rocche, località Prato della Madonna (http://ilcentro.gelocal.it/);
          l'intero intervento ricade all'interno del perimetro del parco naturale regionale Sirente-Velino, sito di interesse comunitario codice IT7110206 e zona di protezione speciale codice IT7110130; l'area risulta vincolata dal punto di vista paesaggistico;
          l'area oggetto dell'intervento è una delle pochissime stazioni italiane di Klasea lycopifolia, una specie prioritaria per la direttiva 43/92/CE «Habitat»; sono prati umidi che presentando un'elevata biodiversità e un estremo valore paesaggistico; moltissime specie di uccelli di rilevante importanza nidificano nell'area e, in particolare, è stata registrata un'altissima densità di Averla piccola (Lanius collurio) oggetto proprio in questo sito di una ricerca scientifica pubblicata a livello internazionale (Scozzafava S. e A. De Sanctis (2006) Exploring the effects of land abandonment on habitat structures and on habitat sustainability for three passerine species in a highland of Central      Italy. Lanscape and Urban Planning. Vol. 75 (2), Pp 23-33); questa specie sta subendo un rapido declino in tutta Europa proprio per la frammentazione dell'habitat e l'urbanizzazione del territorio con conseguente sottrazione di siti riproduttivi idonei; tali effetti si risentono indirettamente anche nel sito di intervento nonostante gli sforzi volti alla conservazione del suo ambiente elettivo;
          la regione Abruzzo ha effettuato una valutazione di incidenza ambientale, con esito positivo, senza, a quanto risulta agli interroganti, dare adeguate forme di pubblicità al procedimento (ad esempio, pubblicazione sul portale o altro) nonostante la stessa Commissione europea nella procedura Pilot 6730/14/ENVI sulla valutazione di incidenza ambientale abbia evidenziato l'obbligo per lo Stato membro di assicurare adeguate forme di trasparenza e partecipazione a tali procedure; tra l'altro l'articolo 6 della Convenzione di Aarhus e le relative linee guida sull'applicazione della Convenzione, chiariscono che qualsiasi progetto che possa avere un potenziale impatto sull'ambiente, ivi compresi progetti non sottoposti a valutazione di impatto ambientale, deve avere una fase in cui il pubblico interessato possa esprimere osservazioni sulla documentazione;
          l'intervento è così invasivo e confliggente con gli obiettivi di tutela della biodiversità e del paesaggio che ha suscitato l'indignazione delle più alte cariche istituzionali;
          lo stesso parco regionale risulta aver segnalato la non compatibilità dell'intervento proposto con le vigenti norme transitorie di salvaguardia e secondo il principio comunitario di precauzione atteso che non è possibile escludere effetti diretti e indiretti pregiudizievoli per l'integrità dei siti in cui è presente la specie prioritaria Klasea lycopifolia. Il Comitato di coordinamento regionale per la valutazione di impatto ambientale (CCR-VIA) con giudizio 2391 del 17 aprile 2014 ha come detto espresso parere favorevole con la prescrizione di escludere ogni tipo di attività, comprese quelle di cantiere, nella fascia di 5 metri dalle aree dove è individuata la presenza di Klasea lycopifolia;
          il parere della CCR-VIA lascia molte perplessità, poiché secondo gli interroganti non rispetta il principio comunitario di precauzione invocato del parco e gli interventi di mitigazione presi in considerazione appaiono insufficienti, inutili e superficiali, sulla Klasea lycopifolia in particolare, in Abruzzo presente solo nell'Altopiano delle Rocche e nella piana di Campo Felice; basti pensare agli effetti negativi delle attività di cantiere difficilmente controllabili come, la formazione di polvere e quelli persistenti collegati alla circolazione delle acque che sarebbe completamente stravolta a causa dell'insediamento degli edifici (basti pensare agli effetti delle fondazioni) con ovvie ripercussioni sulle caratteristiche pedologiche e microclimatiche del sito;
          il patrimonio immobiliare dell'Altipiano delle Rocche è composto per una parte consistente da numerosissimi alloggi sfitti o invenduti, derivanti da una politica di aggressione territoriale avvenuta soprattutto negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso; questo intervento pare replicare esattamente quel tipo di approccio predatorio sul territorio che tanti danni sta causando al territorio italiano; appare inutile gridare al consumo di suolo ogni volta che l'ISPRA divulga i dati sulla cementificazione del territorio quando addirittura si torna a prevedere lottizzazioni nelle aree più pregiate e vulnerabili della penisola  –:
          se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per riesaminare la normativa che definisce le procedure per la valutazione di incidenza ambientale facendo diventare vincolante il parere dell'Ente Parco oppure, meglio, assegnando per i siti Natura2000 ricadenti in tutto o in parte in un'area protetta nazionale, direttamente ai gestori delle aree protette la competenza per la valutazione di incidenza ambientale, in linea con quanto indicato dalla Commissione europea; se non si ritenga di assumere iniziative normative che assicurino forme vincolanti di pubblicità, partecipazione e trasparenza nelle procedura di valutazioni di incidenza ambientale;
          come si intenda garantire, per quanto di competenza, la corretta applicazione delle direttive 43/92/CE «Habitat» e 147/2009/CE «Uccelli», anche con il supporto dell'ISPRA o di altro istituto scientifico specializzato, soprattutto alla luce delle misure precauzionali previste che appaiono agli interroganti del tutto insufficienti e non fondate su un'adeguata conoscenza dell'ecologia delle specie interessate;
          se intenda assumere direttamente iniziative, per quanto di competenza, per la salvaguardia dei valori ambientali, paesaggistici e naturalistici del paese, bloccando un'iniziativa che chiaramente creerebbe danni irreparabili, anche sulla base dell'articolo 8, comma 3, della legge n.  349 del 1986;
          cosa intende fare per salvaguardare i valori paesaggistici dell'area. (4-14034)


      FUSILLI, MASSA, GINOBLE, D'INCECCO e ZARDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la comunità di Bussi sul Tirino (Pe) attraversa da molti anni un drammatico periodo di emergenza e precarietà sotto il profilo ambientale, del diritto alla salute e della crisi del polo industriale ivi insediato che rischia di segnare il definitivo default di ogni prospettiva occupazionale;
          fin dal maggio 2001 la Ausimont Spa (società del Gruppo Montedison ex proprietaria del sito) attivava le prime procedure di emergenza e di bonifica ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n.  22 del 1997 e del decreto ministeriale n.  471 del 1999 presentando all'amministrazione comunale un piano di caratterizzazione dello stabilimento;
          nel maggio del 2002 il sito industriale di Bussi sul Tirino di proprietà Montedison fu acquisito dal gruppo Solvay, il quale non avviò strategie di sviluppo del polo industriale, con la conseguenza di determinare l'ulteriore aggravamento della crisi del polo produttivo ed il conseguente aumento esponenziale della disoccupazione (il sito industriale è passato dagli oltre 600 occupati agli attuali circa 70);
          la strategia di Solvay sembrava tendere alla totale cancellazione del sito produttivo di Bussi, come è stato confermato dallo stesso direttore generale Italia di Solvay Marco Colatarci nella sua audizione del 26 maggio 2015 presso la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività connesse agli illeciti ambientali. In tale audizione Solvay dichiarava di essere «a disposizione per cedere la proprietà a ricavo zero» al fine di favorire la creazione di attività imprenditoriali data la decisione di «uscire dal Settore del Cloro»;
          nella medesima audizione il direttore generale Colatarci dichiarava, inoltre, che Solvay aveva in atto un arbitrato, di entità non dichiarata in quella sede, con Edison, in ordine al grado reale di inquinamento dell'area produttiva verificata in seguito alla cessione societaria avvenuta nel maggio 2002, avendo scoperto che «la realtà del sito sicuramente era diversa da quella che era stata rappresentata»;
          nel marzo 2007 il Corpo forestale dello Stato scopriva una discarica di rifiuti chimici, di estensione pari a 4 ettari e con altezza media di 6 metri, sulla sponda del fiume Pescara, in corrispondenza del polo chimico di Bussi. Tale discarica, contenente circa 240.000 tonnellate di rifiuti, insiste su un terreno di proprietà della società «Come iniziative immobiliari Montedison Spa», attualmente di proprietà Montedison srl, identificata nel catasto del comune di Bussi sul Tirino al foglio 21, particella 50; in epoca successiva, venivano individuati altri siti inquinati (di proprietà Solvay) in corrispondenza delle discariche 2A-2B nelle aree a nord del polo chimico, tutte contenenti solventi clorurati, sostanze organo-alogenate di vario genere, metalli pesanti, sostanze classificate come cancerogene, e in gran parte pericolosissime e persistenti, frammiste a residui di demolizione di impianti industriali;
          a seguito dei gravissimi eventi che interessavano l'area, su richiesta del comune di Bussi, delle associazioni ambientaliste Legambiente e WWF, dei sindacati e di tutti i consigli comunali della Val Pescara, della provincia di Pescara e della regione Abruzzo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con decreto del 29 maggio 2008 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  172, serie generale, del 24 luglio 2008, istituiva e perimetrava il Sin – Sito di bonifica di interesse nazionale in località «Bussi sul Tirino»;
          il decreto-legge 29 dicembre 2010, n.  225, coordinato, con la legge di conversione 26 febbraio 2011, n.  10 (Milleproroghe) 3-octies stanziava 50 milioni di euro per le «opere e gli interventi di bonifica e messa in sicurezza...» da attuare «prioritariamente sulle aree industriali dismesse e siti limitrofi, al fine di consentirne la reindustrializzazione»;
          a tal fine, fin dal 19 settembre 2011 la Giunta Comunale di Bussi approvava un «Avviso pubblico finalizzato ad acquisire la manifestazione di interesse alla localizzazione di insediamenti produttivi, industriali ed artigianali che concorrano alla reindustrializzazione del Sito di Bussi»;
          in data 17 luglio 2013, constatata l'assenza di progetti e soluzioni concrete tali da favorire l'attuazione dell'articolo 2, comma 3-octies, della sopracitata legge e nell'intento di consentire la reindustrializzazione, la nuova amministrazione comunale di Bussi, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Abruzzo, approvava un nuovo Avviso di manifestazione di interesse, reso ufficiale con Delibera di Giunta comunale del 30 agosto 2013: «Avviso pubblico di manifestazione di interesse-candidatura di soggetti interessati alla reindustrializzazione dell'area Sin di Bussi sul Tirino», al fine di conoscere l'effettiva sussistenza di proposte di investimento/insediamento da parte di soggetti interessati;
          all'avviso rispondevano 22 aziende;
          i criteri di selezione delle aziende interessate, approvati all'unanimità dal consiglio comunale di Bussi in data 30 aprile 2014, erano i seguenti:
              assicurazione di continuità produttiva e occupazionale delle attività industriali esistenti, supportata da progetti di innovazione tecnologica di prodotto e/o processo produttivo in grado di garantire e sviluppare nel tempo un'occupazione qualificata;
              riutilizzo delle aree inattive per nuove iniziative industriali compatibili e capaci di creare nuova occupazione qualificata, duratura e stabile;
              disponibilità a monitorare e valutare le istanze sociali alla luce di nuovi investimenti industriali, riconversioni produttive, da effettuarsi sul territorio di Bussi;
              processi produttivi anche attraverso l'utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili;
              compatibilità delle nuove realtà produttive con l'ambiente e la salute dei cittadini;
          nella conferenza dei servizi del 15 giugno 2015, presso la regione Abruzzo, venivano approvati i progetti di bonifica e messa in sicurezza, con la partecipazione del commissario delegato Goio, della regione Abruzzo, della provincia di Pescara, del comune di Bussi sul Tirino, dell'Arta Abruzzo, dell'Istituto superiore della sanità, nonché alla presenza della Solvay e dei rappresentanti delle associazioni WWF Italia e Lega ambiente Abruzzo;
          in data 17 luglio 2015, a conclusione dell’iter della procedura sopra richiamata, finalizzata alla ricerca delle aziende interessate ad investire nel sito Solvay il consiglio comunale di Bussi sul Tirino, con deliberazione n.  12, individuava il gruppo Uniholding-Unichimica quale unico soggetto avente i requisiti richiesti nella citata delibera del 30 aprile 2014. Il piano industriale presentato da Uniholding conteneva un progetto integrato comprendente l'acquisizione delle attuali produzioni di Solvay, salvaguardando totalmente l'occupazione esistente, e la costruzione di un nuovo stabilimento farmaceutico con la previsione a regime di circa 200 nuovi occupati;
          in data 28 luglio 2015 Solvay, con lettera inviata a tutte le istituzioni coinvolte, dichiarava che, qualora non si fosse addivenuti ad un accordo entro il 31 ottobre 2015, la stessa, a partire dal mese di novembre, si sarebbe ritenuta libera di assumere qualsiasi iniziativa in modo privato, senza sentirsi più vincolata al percorso stabilito fino a quel momento con le istituzioni interessate;
          dalla data indicata risulta che Solvay, abbia cessato di interloquire con l'amministrazione comunale di Bussi, nonostante fino a quel momento ci fossero state continue ed intense relazioni nell'ambito delle quali l'amministrazione aveva garantito una corretta collaborazione istituzionale per la risoluzione dei problemi dell'area del sito industriale, in considerazione anche delle esigenze della stessa Solvay;
          ciò avveniva nonostante Solvay avesse sempre continuato a confermare, in ogni riunione ufficiale e nella corrispondenza intercorsa sia con gli enti pubblici coinvolti che con il gruppo Uniholding, la sua collaborazione per la realizzazione delle opere di bonifica e per la cessione del sito al soggetto reindustrializzatore individuato nell'ambito della procedura pubblica, al fine di corrispondere al contenuto del citato decreto-legge 29 dicembre 2010, n.  225;
          ciò avveniva nonostante Solvay partecipasse direttamente all'elaborazione del previsto accordo di programma con il quale riconoscere il suo ruolo di proprietario non responsabile dell'inquinamento pregresso nel sito di Bussi e favorire il nuovo investimento produttivo;
          a tal fine, l'amministrazione comunale di Bussi convocava la conferenza dei servizi del 30 ottobre 2015 al fine di addivenire alla sottoscrizione di accordo di programma;
          il 2 ottobre 2015 si svolgeva una conferenza dei servizi preliminare, al fine di illustrare ai componenti del tavolo tecnico, la bozza di accordo di programma predisposto dall'amministrazione comunale di Bussi per la riunione decisoria del 30 ottobre 2015;
          la programmata conferenza di servizi non si svolgeva per l'assenza della regione Abruzzo e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
          peraltro, il Ministero procedeva a comunicare, con nota del 29 ottobre, alcune prescrizioni al contenuto dell'accordo;
              la regione Abruzzo, con nota ns. Prot. n.  6404 del 29 ottobre 2015, pur manifestando la sostanziale adesione all'iniziativa nel suo complesso, rappresentava l'opportunità di attenersi alle prescrizioni formulate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di cui al precedente punto;
          nei mesi successivi l'amministrazione comunale e l'intera popolazione del comune di Bussi, consapevoli dell'urgenza e della drammaticità della situazione ambientale e occupazionale, sollecitavano una rapida conclusione della procedura al fine di non vanificare le residue possibilità di salvaguardia e sviluppo del sito industriale;
          in data 3 novembre 2015, con atto n.  20, consiglio comunale di Bussi sul Tirino approvava lo schema di accordo di programma per la bonifica e messa in sicurezza del Sin di Bussi finalizzata alla reindustrializzazione dell'area industriale di Bussi Officine, recependo tutte le osservazioni pervenute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
          la ditta Solvay continuava a dichiarare piena disponibilità a collaborare al percorso di reindustrializzazione e tale disponibilità si formalizzava in ripetute comunicazioni ufficiali tra le quali si citano:
              lettera del 7 settembre 2013 al comune di Bussi e a Uniholding con cui Solvay conferma la sua collaborazione condizionata a determinate condizioni:
      «Nella ormai cospicua e durevole serie di iniziative finalizzate alla reindustrializzazione del sito di Bussi, Solvay ha sempre reso noto di non essere interessata in tal senso. Ciò nondimeno Solvay ha sempre manifestato la propria disponibilità a collaborare con le amministrazioni per favorire il raggiungimento di un siffatto risultato, adeguandosi agli scenari amministrativi via via diversi che le sono stati proposti.
      Da ultimo come noto si è tenuta su impulso del Commissario Delegato una Conferenza dei Servizi, il 15 giugno 2015 in L'Aquila, nell'ambito della quale sono stati illustrati i progetti di bonifica e messa in sicurezza delle aree del sito di Bussi, predisposti dalla struttura commissariale proprio nell'ottica di poter dar seguito al predetto obiettivo di una reindustrializzazione del sito stesso.
      Ancora una volta, in quell'occasione, la Scrivente è stata invitata a partecipare quale proprietaria del sito e ha ribadito la propria disponibilità volta a favorire la reindustrializzazione del sito dichiarando a verbale le condizioni della propria proposta, e precisamente:
          Trasferire a titolo gratuito all'Amministrazione il proprio fondo (comprensivo di aree esterne ed interne) in modo che l'inizio dei lavori da parte della struttura commissariale (e l'investimento dei fondi pubblici stanziati ad hoc dal Legislatore) abbia luogo solo dopo tale trasferimento di proprietà; il tutto facendo salvo in proprio favore unicamente il diritto su impianti, beni immobili e aziendali ivi insistenti, per i quali la stessa si è comunque impegnata ad una successiva cessione a titolo oneroso e a condizioni di mercato al privato reindustrializzatore una volta che questi fosse stato individuato dalle amministrazioni all'esito delle corrispondenti procedure di rito;
          mettere a disposizione dell'amministrazione un ulteriore contributo economico in sostituzione, in sostituzione dell'attività relativa al cd. Capping in corso di esecuzione sulle aree esterne, perché possa essere investito nell'area sud-est del sito (ex Medavox);
          lettera del 25 ottobre 2013 inviata a Uniholding con cui confermava il proprio interesse ad esaminare i piani industriali per il sito di Bussi precisando che «in ogni caso dovranno anche prioritariamente essere indirizzati alla Pubblica Amministrazione Locale rappresentata dal Signor Sindaco di Bussi sul Tirino, come da richiesta di manifestazione di interesse pubblicata sul sito WEB del Comune stesso»;
          lettera del 20 ottobre 2015 indirizzata a Uniholding, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, commissario delegato, regione Abruzzo, provincia di Pescara, comune di Bussi:
      «Con la presente si fa seguito alla nostra del 7 settembre scorso sempre nell'ottica di contribuire ... a rendere più spedita la realizzazione del progetto commissariale volto alla reindustrializzazione del sito di Bussi sul Tirino. Già in quell'occasione invero la scrivente si era all'uopo detta disponibile anche a porre in essere quelle attività preliminari e funzionali al successivo avvio della negoziazione con il reindustrializzatore individuato dall'amministrazione per il trasferimento dei beni aziendali insistenti sul sito di Bussi.
      Solvay ... ha costantemente collaborato con le amministrazioni per favorire il raggiungimento di un siffatto risultato ... alle seguenti condizioni:
          necessità della previa sottoscrizione di un accordo avente ad oggetto il trasferimento a titolo gratuito alla mano pubblica del proprio fondo...
          previsione di una successiva negoziazione con il privato reindustrializzatore (nel frattempo individuato dalle Amministrazioni) per la cessione a titolo oneroso e a condizioni di mercato, degli impianti e dei beni aziendali insistenti sul sito, riconducibili alla Solvay Chimica Bussi Spa».

      Nella lettera Solvay affermava esplicitamente che questa comunicazione traeva origine dalla deliberazione del consiglio comunale di Bussi n.  12 del 17 luglio 2015 con la quale (riferendosi a Uniholding) «il Vostro Gruppo è stato indicato come reindustrializzatore selezionato all'esito delle corrispondenti procedure pubbliche di rito per insediarsi nel sito di Bussi. Da ciò scaturisce la presente corrispondenza» e proseguiva confermando l'impegno precedentemente assunto nella Conferenza dei Servizi del 15 giugno 2015 «in specie per quel che concerne la negoziazione con il privato reindustrializzatore di cui al punto ii)» e trasmetteva a Uniholding «un'apposita nota con la quale si è proceduto ad indicare i criteri per quantificare il valore di mercato degli impianti e dei beni aziendali insistenti sul sito facenti capo alla Solvay Chimica Bussi Spa» corrispondenti al cosiddetto «metodo EBITDA caratteristico dell'attività, che costituisce attuazione di quanto dichiarato da Solvay nella predetta Conferenza dei Servizi»; affermando comunque di voler dare avvio alla negoziazione con il privato indicato dal comune di Bussi solo «in un momento successivo alla fruttuosa sottoscrizione dell'accordo preliminare di cui al precedente punto i),» cioè solo dopo il trasferimento;
          lettera a Uniholding (inviata p.c. a Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Abruzzo, provincia di Pescara e comune di Bussi) del 4 aprile 2016 in cui – a riscontro della richiesta di Uniholding che il 30 marzo 2016 aveva chiesto di avviare la due diligence per l'acquisizione della società – confermava che «Solvay ha sempre manifestato la propria disponibilità a collaborare con le amministrazioni per favorire il raggiungimento di tale risultato, adeguandosi agli scenari amministrativi via via diversi che le sono proposti»;
          nella lettera Solvay ribadiva che «qualsiasi attività di negoziazione con il privato reindustrializzatore per la cessione dei beni aziendali insistenti sul sito non potrà che collocarsi in un momento posteriore alla sottoscrizione dell'Accordo fra le Amministrazioni e quindi posteriore al trasferimento delle aree alla mano pubblica»;
          nonostante le ripetute comunicazioni formali precedenti Solvay, a far data dal 17 luglio 2016, e cioè dalla deliberazione del consiglio comunale di Bussi con cui si indicava il soggetto reindustrializzatore, nonostante confermasse da un lato «l'ottica di contribuire a rendere più spedita la realizzazione del complesso progetto commissariale di reindustrializzazione», non ha mai più inteso incontrare Uniholding, nemmeno per attività propedeutiche condizionate alla successiva negoziazione effettiva;
          nell'ambito di diverse conferenze dei servizi venivano approvati gli interventi di bonifica e messa in sicurezza del Sin relativi sia alle aree interne che alle aree esterne al sito industriale, confermando che le opere di bonifica dovevano essere finalizzate a creare le condizioni per la reindustrializzazione dell'area, come dettato dal decreto-legge n.  225 e giustamente previste nell'accordo di programma redatto dall'amministrazione comunale;
          in data 21 marzo 2016, veniva convocata una conferenza di servizi presso la regione Abruzzo, propedeutica alla conferenza decisoria, nello stesso giorno il Ministro Galletti, in un Comunicato stampa, affermava che, «Oggi è stato compiuto un grande passo in avanti per il sito di Bussi: viene finalmente individuata una strada virtuosa che tiene insieme l'urgenza prioritario della messa in sicurezza e della bonifica con la prospettiva della reindustrializzazione»;
          la regione Abruzzo quindi convocava una nuova conferenza dei servizi per il giorno 23 maggio 2016;
          nel testo finale dell'accordo di programma, portato all'attenzione dei soggetti pubblici e privati coinvolti nella riunione del 23 maggio 2016, si stabilivano anche particolari forme di garanzia poste a carico del nuovo soggetto reindustrializzatore Uniholding, il quale si impegnava ad acquisire l'attività produttiva esistente, a mantenere e sviluppare l'occupazione attuale, a realizzare un nuovo stabilimento farmaceutico con 200 nuovi occupati a regime. Uniholding era impegnato inoltre a provvedere alle spese di gestione dell'impianto TAF (barriera idraulica necessaria alla messa in sicurezza delle falde acquifere) nel periodo successivo alla cessazione del medesimo impegno assunto da Solvay. L'accordo di programma prevedeva infine che Uniholding, in caso di disimpegno futuro dal sito di Bussi, cedesse gratuitamente al comune di Bussi l'intero impianto di produzione di energia elettrica con cui l'amministrazione pubblica potesse provvedere alle spese di gestione del TAF;
          nella medesima riunione, invece, Solvay, a quanto consta agli interroganti, dichiarava di aver individuato autonomamente un altro soggetto privato a cui cedere l'attività, contravvenendo con ciò, secondo gli interroganti alle intese ripetutamente prese con tutte le amministrazioni pubbliche coinvolte senza più considerare necessario che «qualsiasi attività di negoziazione con il privato reindustrializzatore per la cessione dei beni aziendali insistenti sul sito non potrà che collocarsi in un momento posteriore alla sottoscrizione dell'Accordo fra le Amministrazioni e quindi posteriore al trasferimento delle aree alla mano pubblica», con connessi obblighi in ordine agli obblighi di messa in sicurezza e bonifica ambientali e alle garanzie patrimoniale e di tutela occupazionale a carico del reindustrializzatore;
          la mancata sottoscrizione dell'accordo di programma, per l'atteggiamento assunto da Solvay, per il quale le amministrazioni pubbliche hanno prestato proprio impegno negli ultimi tre anni, fa permanere una drammatica situazione sia dal punto di vista ambientale che sociale ed occupazionale;
          va considerata la dichiarazione del legale di Solvay dottor Paolo Cintioli il 26 maggio 2015 che, in sede di audizione presso la «Commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati», ha dichiarato: «Credo sia dovere e responsabilità della mano pubblica, dell'Amministrazione, identificare con le procedure che si riterranno, il privato. Non è certo compito nostro identificare il privato;
          è in atto un contenzioso tra Edison e la Solvay fin dal 2012: contenzioso promosso in quanto «la garanzia era stata violata in considerazione del fatto che l'inquinamento era sostanzialmente superiore rispetto a quanto era stato rappresentato non solo a noi ma anche alle autorità» (come affermato dal legale di Solvay dottor Di Giovanni in sede di audizione presso la «Commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati» in data 26 maggio 2015), al fine di fornire ai competenti organismi pubblici e alla collettività tutte le informazioni concernenti la reale situazione ambientale del sito di Bussi  –:
          se e quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministero interrogato per evitare che:
              a) in merito all'area del Sin di Bussi, caratterizzata da un elevatissimo grado di inquinamento protrattosi negli ultimi decenni – sulla reale consistenza del quale è tuttora aperto un contenzioso legale fra Edison (precedente proprietario) e Solvay (attuale proprietario) a 14 anni dalla cessione delle attività industriali –, si consenta ad una grande società multinazionale l'abbandono di un sito industriale presente fin dal 1898, nel quale sono state utilizzate sostanze chimiche ad altissimo rischio per l'ambiente e la salute dei lavoratori e dei cittadini dell'intera area, di fatto contraddicendo gli impegni precedentemente assunti in ordine ai percorsi di reindustrializzazione ed all'individuazione dei nuovi soggetti privati da parte delle amministrazioni pubbliche coinvolte, sia per quanto riguarda le attività produttive, che per quanto riguarda le aree;
              b) la società Solvay possa disattendere gli impegni ripetutamente confermati circa il passaggio dell'area di sua proprietà in mano pubblica preventivamente alle opere di bonifica delle aree esterne già decise e in procinto di essere attuate in virtù di procedura di gara pubblica già in corso e la conseguente cessione ad un soggetto privato reindustrializzatore individuato dall'amministrazione pubblica a seguito di procedura ad evidenza pubblica contenente obblighi e garanzie poste a carico del nuovo imprenditore, in riferimento sia alla sicurezza ambientale, sia alla garanzia di salvaguardia e sviluppo occupazionale;
              c) la società Solvay, prima di procedere alla cessione delle sue attività presso il sito industriale di Bussi, possa desistere dagli obblighi previsti dalle vigenti norme in materia di bonifica e/o messa in sicurezza delle aree attualmente di sua proprietà, o direttamente o ponendoli a carico dell'imprenditore che acquisirà le medesime aree e che la medesima società possa abbandonare il sito di Bussi senza garantire preventivamente a tutta la comunità locale ed alle amministrazioni pubbliche coinvolte la massima conoscenza della reale consistenza delle situazioni di rischio relative all'intera area, in particolare attivando un'analisi dei rischi e di tutti i fattori connessi alla sicurezza sul lavoro effettuata dalle strutture competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero della salute, prima della cessione della società ad un altro soggetto privato;
              d) la società Solvay possa disattendere gli impegni assunti circa le opere di messa in sicurezza delle aree interne al sito industriale di Bussi (Area ex Medavox), per le quali aveva messo a disposizione 6 milioni di euro (vedasi Verbale della conferenza dei servizi del 15 giugno 2015), considerato che Solvay, nella conferenza dei servizi del 23 maggio 2016 ha dichiarato che non essendoci più, l'accordo di programma non avrebbe realizzato la messa in sicurezza dell'area ex MEDAVOX, interna al sito industriale, in quanto non interessata dalla reindustrializzazione;
              e) in assenza di procedure di cessione delle aree inquinate al soggetto pubblico, si decida di non procedere con le previste opere di bonifica «a danno» di Solvay (attuale proprietaria) la quale potrà successivamente rivalersi nei confronti del precedente proprietario;
          se il Ministro interrogato ritenga, indispensabile richiedere immediatamente alla Solvay la documentazione completa relativa al contenzioso legale in atto fin dal 2012 con la EDISON;
          se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative nei confronti delle Solvay che ha annunciato di voler cedere l'attività industriale di Bussi all'imprenditore Todisco e se il Ministero stia già procedendo a chiedere a Solvay e a Todisco le medesime garanzie chieste a Uniholding per quanto riguarda i piani industriali in grado di garantire la salvaguardia di tutti gli attuali occupati e, in particolare, della tutela ambientale relativa in particolare alla gestione del Taf (Trattamento acque di falda), oltre che forme di garanzia patrimoniale da porre a carico del nuovo soggetto imprenditoriale prescelto da Solvay in caso di suo successivo disimpegno. (4-14037)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


      TERZONI e CECCONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          le istituzioni concertistico orchestrali (ICO) sono regolate dal TITOLO III della legge n.  800 del 1967 articolo 28, comma 2;
          le ICO, secondo i dati del 2014 concernenti la relazione sull'utilizzazione del fondo unico per lo spettacolo e sull'andamento complessivo dello spettacolo, eseguono più di 1400 concerti in 12 regioni e 350 comuni per un totale complessivo di circa 190.000 giornate lavorate, hanno circa 700 persone occupate stabilmente, interessano circa 750.000 spettatori e godono di un finanziamento (FUS – fondo unico per lo spettacolo) di circa euro 13.400.000,00 pari al 3,3 per cento del fondo unico per lo spettacolo totale;
          affinché le ICO siano ammesse al contributo statale, devono avere un organico orchestrale costituito, in buona parte, da personale stabile, facente parte dell'organico medesimo, e perseguire una produzione propria che risponda ad un progetto culturale inerente anche la ricerca e la sperimentazione, nonché assicurando continuità lavorativa per almeno 5 mesi di attività;
          con la legge regionale n.  2 del 18 gennaio 1999 la regione Marche ha promosso la costituzione di una Fondazione denominata «Fondazione orchestra regionale delle Marche» (FORM);
          la FORM ha personalità giuridica di diritto privato ed è disciplinata, per quanto non espressamente previsto dalla suddetta legge regionale, dalle norme del codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo;
          secondo la suddetta legge regionale n.  2 del 1999 alla Fondazione partecipano la regione, la Società Filarmonica Marchigiana, società cooperativa a responsabilità limitata, quale istituzione concertistica orchestrale (I.C.O.) riconosciuta dal Ministero, e l'università degli studi di Ancona;
          la legge regionale n.  2 del 18 gennaio 1999 all'articolo 11 recita: «Al personale della fondazione si applicano le disposizioni di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 23 aprile 1998, n.  134» (secondo l'articolo 5 (Disposizioni in tema di personale) «1. Il contratto collettivo nazionale unico di lavoro del personale dipendente dalle fondazioni, ivi compresa la definizione degli organici funzionali, è approvato dall'Autorità di Governo competente in materia di spettacolo, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica»);
          l'attuale FORM nasce nel 1985 come Società Filarmonica Marchigiana, che gestisce l'Orchestra filarmonica marchigiana. Nel 1987 a questo soggetto giuridico è stata riconosciuta la qualifica di I.C.O. (Istituzione concertistica orchestrale): pertanto, attualmente, la FORM risulta essere una delle 14 I.C.O. riconosciute dallo Stato, presenti sul territorio nazionale; dal 2003, come previsto dalla succitata legge regionale n.  2 del 1999, alla Società filarmonica marchigiana è subentrata la FORM (atto Notaio G. Bucci del 30 maggio 2003), avendo come oggetto sociale la gestione dell'orchestra inquadrata come ICO. Dalla sua costituzione, la Fondazione ha dunque proseguito senza soluzione di continuità l'attività artistica della Società filarmonica marchigiana;
          la FORM è subentrata quindi, oltre che nelle «attività e passività» della Società filarmonica marchigiana, anche nella gestione del personale della stessa, attraverso l'approvazione di un protocollo d'intesa (sottoscritto presso la commissione provinciale del lavoro di Ancona), siglato dalla Società filarmonica marchigiana e dalla stessa FORM;
          tale protocollo di intesa regolamenta infatti, oltre al congelamento dei crediti vantati dai dipendenti della Società filarmonica marchigiana, anche l'impiego dei soci della Società filarmonica marchigiana per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 3 dello statuto ai fini del perseguimento delle finalità previste dall'articolo 3, comma 5, della legge regionale n.  2 del 1999; ha natura contrattuale, è dunque vincolante, non è superabile da successivi accordi se non con esplicito assenso scritto dalle parti interessate;
          il suddetto protocollo di intesa testualmente recita: «Per la formazione degli organici comunque occorrenti la FORM si impegna ad utilizzare prioritariamente i soci della Società filarmonica marchigiana, come elenco allegato sub2, mediante rapporti di lavoro dipendente (a tempo indeterminato/determinato) nelle forme previste dalla legge (full-time, part-time, con sosta stagionale) e attraverso rapporti di natura libero-professionale, tenuto conto della verifica professionale già eseguita dalla Società Filarmonica Marchigiana, delle qualifiche di utilizzo e delle posizioni lavorative in essere di ciascun socio. L'organizzazione del complesso orchestrale dovrà prevedere in ogni caso un «Nucleo Stabile» che garantisca qualità e continuità artistica e pertanto sarà composto da personale in regola con la verifica professionale eseguita già dalla Società Filarmonica Marchigiana e risultato idoneo»;
          a quanto risulta agli interroganti, fino al 19 dicembre 2013 i contratti che FORM ha stipulato col personale dipendente risulterebbero tutti di natura subordinata a tempo determinato o di collaborazione autonoma con partita iva;
          dal 20 dicembre 2013 la FORM sempre a quanto risulta agli interroganti, ha assunto 27 professori d'orchestra con contratto a tempo indeterminato part-time di 8 mesi, senza l'attivazione di nessun iter concorsuale relativo ai ruoli, ai titoli artistici, alle competenze professionali, alle qualifiche orchestrali (prime parti o fila);
          l'11 dicembre 2015 con la sentenza n.  260 del 2015 la Consulta ha dichiarato l'illegittimità della norma del «decreto del Fare» (decreto-legge n.  69 del 2013) che, nel fornire un'interpretazione autentica di una disposizione del «decreto sullo spettacolo» (decreto-legge n.  64 del 2010), aveva riconosciuto la retroattività della deroga per le fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, della stabilizzazione del rapporto di lavoro (in contratti a tempo indeterminato) quale conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine;
          la questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dalla corte d'appello di Firenze che aveva ravvisato una portata retroattiva della disciplina, dietro lo schermo dell'enunciata natura interpretativa, in contrasto con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza, con la lesione del diritto a un processo equo, oltre che dell'affidamento legittimo dei consociati, da un lato traducendosi in un'arbitraria ingerenza nell'esercizio della funzione giurisdizionale, e dall'altro discriminando i lavoratori delle fondazioni lirico-sinfoniche rispetto agli altri lavoratori del settore privato;
          tale sentenza si rifà ad altre emanate dalla Corte di giustizia europea (sentenza 26 febbraio 2015, nella causa C-238/14, Commissione contro Granducato di Lussemburgo, che riprende le affermazioni della sentenza della Corte di giustizia, 26 novembre 2014, nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo ed altri), che riguardano l'abuso di contratti a termine per lavoratori dello spettacolo;
          sulla scia di questa importante sentenza si apprende che diversi tribunali in Italia hanno emanato sentenze in favore dei lavoratori dello spettacolo, dichiarando l'illegittimità dei reiterati contratti di lavoro a termine e imponendone quindi la stabilizzazione a tempo indeterminato;
          a questo proposito, anche il sindacato FIALS Spettacolo CISAL ha recentemente emanato (17 febbraio 2016) un comunicato stampa in cui sottolinea la rilevanza di portata nazionale di tale sentenza nei «numerosi giudizi ancora pendenti» relativi all'abuso dei contratti a termine nelle fondazioni liriche;
          ancor più, il comunicato evidenzia come «la politica delle Fondazioni Liriche di non dialogare con i lavoratori e con i sindacati che li rappresentano, demandando la risoluzione di problemi in sede giudiziaria, è perdente e dispendiosa delle risorse pubbliche»;
          vengono pertanto sanciti importanti principi in difesa dei lavoratori dello spettacolo in materia di contratti a termine  –:
          se il Ministro interrogato non reputi opportuno assumere iniziative per destinare l'erogazione dei finanziamenti pubblici e quindi della quota del fondo unico per lo spettacolo alle istituzioni e fondazioni che applichino criteri trasparenti e meritocratici nella scelta del proprio personale. (3-02454)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CAROCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          gli operatori del comparto del restauro dei beni artistici e culturali stanno vivendo una situazione problematica;
          in particolare, preme evidenziare che la procedura pubblica prevista dall'articolo 182 del decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n.  42, noto come codice dei beni culturali e del paesaggio, per la verifica dei requisiti utili per il riconoscimento della qualifica di restauratore di beni artistici culturali, non è ancora terminata nonostante la commissione verificatrice abbia richiesto ed ottenuto più proroghe dei termini previsti, ultimo dei quali fissato al 31 luglio del corrente anno;
          il riconoscimento di detta qualifica dà luogo all'inserimento in un apposito elenco, la cui gestione è a cura del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Risulta, inoltre, che tale proroga ottenuta dalla Commissione non sarà sufficiente per il completamento delle valutazioni e che una ulteriore proroga protrarrà almeno per un altro anno la grave situazione venutasi a creare;
          in tale contesto, si inserisce l'emanazione da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di un bando per l'assunzione a tempo indeterminato di cinquecento funzionari tra cui ottanta restauratori di beni artistici e culturali, bando che ha visto l'inizio delle prove lo scorso 26 luglio;
          ad oggi, i restauratori presenti nell'elenco di cui sopra, quelli cioè ammessi al concorso, sono solo 800 in tutta Italia;
          in merito al bando per la selezione degli ottanta restauratori serve ricordare che i requisiti previsti per l'ammissione sono quelli summenzionati, ciò quelli previsti dal succitato articolo 182;
          non essendo ancora terminata la procedura di verifica dei requisiti utili per il riconoscimento della qualifica di restauratore di beni artistici e culturali a cura della commissione interna al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, lo stesso Ministero, con decreto dirigenziale del 21 luglio 2016 n.  77, dispone ugualmente la pubblicazione di un elenco parziale di quanti hanno i requisiti utili per il riconoscimento della qualifica, individuandoli unicamente nei soggetti che hanno il requisito del diploma delle scuole di alta formazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ignorando dunque tutti gli altri soggetti che hanno requisiti che, per legge, come i diplomi delle SAF, danno diritto al riconoscimento della qualifica;
          in tal modo, potranno accedere al concorso i soli soggetti che avranno il riconoscimento della qualifica tramite il requisito delle scuole del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, cioè dei propri diplomati, mentre la norma non fa distinzione alcuna tra i requisiti individuati come utili per il riconoscimento della qualifica;
          inoltre, per l'affidamento dei futuri lavori, non essendoci un elenco certo, la discrezionalità dei funzionari della Soprintendenza appare evidente: essi possono decidere in totale autonomia se un restauratore può o meno eseguire un lavoro e se invitarlo alle gare per i lavori pubblici;
          ciò può dare vita a situazioni poco chiare soprattutto in affido diretto, cioè sotto i 40000 euro, in cui non è necessario fare il bando;
          di fatto, si rischia che i restauratori non formati dal Ministero, attraverso l'Opificio delle pietre dure, Istituto centrale per il restauro e Venaria reale, che formano circa 15 restauratori all'anno ciascuno, non abbiano accesso alle opere sotto tutela  –:
          come intenda intervenire per sostenere i lavoratori del settore e, soprattutto, per impedire quella che appare una disparità di trattamento tra eguali operatori di uno stesso settore. (5-09361)


      BURTONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          in territorio di Pisticci (Matera) in contrada «Pozzitello» è presente una vecchia stazione ferroviaria delle ex linee Calabro Lucane;
          in un non lontano passato ha rappresentato un importante snodo in quanto a cavallo tra le valli del Basento e dell'Agri nonché tra il sud della, Basilicata e l'asse basentano;
          è stata attiva fino alla seconda metà degli anni ’70 per poi essere chiusa e praticamente abbandonata;
          è anche stata set cinematografico nella famosissima pellicola cinematografica del maestro Franco Rosi nel film «Cristo si è fermato ad Eboli» tratto dall'omonimo capolavoro di Carlo Levi ed interpretato da Gian Maria Volante;
          oggi, purtroppo, l'immobile è pericolante, non avendo mai ricevuto interventi di manutenzione, è sicuramente a rischio statico e costituisce anche un possibile pericolo per l'incolumità di chi si avvicina, pastori, avventori a vario titolo, in particolare curiosi;
          l'erba e la vegetazione selvatica si sono impadronite dell'immobile anche se è ancora possibile scorgere l'insegna;
          si richiama l'impegno profuso con successo dal Ministero per il recupero delle case cantoniere e dei fari  –:
          se e quali iniziative, in relazione al valore storico e culturale del citato immobile, il Ministero intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di una sua rapida messa in sicurezza scongiurandone l'abbattimento, e di una sua possibile valorizzazione, anche in vista dell'appuntamento di Matera 2019, capitale europea della cultura. (5-09366)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


      CORDA, BASILIO, TOFALO, RIZZO, FRUSONE e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il 28 luglio 2016 sul sito www.grnet.it è apparso un articolo dal titolo «Rappresentanza militare, un organismo reso inutile dalle gerarchie, ma il Parlamento non se ne occupa»;
          in tale articolo si evidenziano diverse problematiche che inciderebbero sulla funzionalità del Co.Ce.R. interforze;
          il Co.Ce.R. Interforze dalla fine del mese aprile 2015 si sarebbe riunito solo il 28 luglio 2016. Questa scarsa attività dell'organismo interforze è stata rimarcata da diversi Consigli mettendo in evidenza un chiaro disagio;
          come si legge dal citato sito, il Co.Ce.R. dei carabinieri con delibera n.  773 del 14 ottobre 2015, prendendo spunto da alcune decretazioni del generale Gerometta in qualità di direttore del personale militare (Persomil) non condivise con il Consiglio, deliberava di non partecipare più alle riunioni del Co.Ce.R. Interforze ed invitava il Capo di Stato Maggiore della Difesa a «disporre le dimissioni di ogni presidente che si dovesse trovare nelle medesime condizioni del generale Gerometta (ritenuto incompatibile)»;
          a questa delibera faceva seguito la n.  1457XI in data 29 ottobre 2015 del Consiglio nazionale della guardia costiera;
          già con l'interrogazione 5-05740 i deputati del gruppo M5S alla Camera dei deputati avevano portato all'attenzione della Ministro l'anomalia in cui si troverebbe il generale di divisione dell'Esercito Paolo Gerometta, attuale direttore generale di PERSOMIL (direzione generale per il personale militare), ricoprendo contemporaneamente anche l'incarico di presidente della sezione esercito del COCER (Consiglio centrale della rappresentanza militare);
          il presidente del Co.Ce.R. interforze generale di divisione generale Paolo Gerometta, ha recentemente assunto – a giudizio degli interroganti – un incarico ancora più incompatibile, cioè direttore del personale militare;
          sempre in merito ad incarichi con potenziale incompatibilità, in ambito Marina, è nota inoltre la situazione del presidente del Co.Ce.R. Sezione Marina ammiraglio Pietro Ricca che è da circa 5 anni anche capo del 1o reparto personale dello Stato Maggiore Marina;
          nel citato articolo si accenna a voci sempre più insistenti provenienti dalla rappresentanza militare secondo le quali il generale Gerometta sarebbe trattenuto in servizio, nonostante il raggiungimento dei limiti di età nel prossimo settembre  –:
          se il Ministro non ritenga, in attesa che il Parlamento vari una riforma della rappresentanza del personale militare (e si scelga la via del riconoscimento dei diritti sindacali), di assumere iniziative per impedire, per quanto di competenza, che si ripetano casi di sovrapposizione tra la rappresentanza del Co.Ce.R. e i direttori del personale stesso;
          se trovi conferma la possibilità di un trattenimento in servizio del generale Gerometta e, sulla base di quale strumento normativo, fermo restando che un eventuale richiamo comporterebbe anche per un giorno la cessazione del servizio e quindi la perdita della carica di delegato Co.Ce.R. (4-14026)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      TERROSI, CUPERLO, LENZI, CAPOZZOLO, ROMANINI, MICCOLI, ALBINI, AMODDIO, MONGIELLO, FRAGOMELI, OLIVERIO, VALIANTE, ALBANELLA, GINEFRA, PIAZZONI, SCUVERA, D'INCECCO e VENITTELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi, da notizie di stampa si è appreso che il personale di Poste Italiane ha indetto uno stato di agitazione che, già in atto in talune aree del nostro Paese, nel mese dal 25 luglio al 20 agosto sarà manifestato nella regione Lazio;
          dai comunicati diramati dalle sigle sindacali SLC CGIL, SLP CISL, UILPOSTE, UGL, CONFSAL e FAILP si apprende che a nulla sono valsi i tentativi di conciliazione previsti dal contratto;
          le assemblee previste nei luoghi di lavoro e l'astensione dei lavoratori da tutte le prestazioni straordinarie, scaturirebbero fondamentalmente dal procedere delle operazioni di riorganizzazione del settore delle Poste, che porterebbe oltre il 75 per cento della proprietà ai privati con possibili risvolti di tenuta occupazionale;
          la riorganizzazione del servizio di recapito, già avviata in alcune regioni e in fase di attivazione in altre, comporterà un taglio delle zone stimato in un 30-40 per cento, con la conseguente generazione di eccedenze di personale che potrebbero essere considerate esuberi;
          l'atto che ha sancito la succitata riorganizzazione, sottoscritto dalle organizzazioni sindacali, avrebbe dovuto prevedere l'attivazione di investimenti destinati all'ammodernamento del servizio e alla diversificazione delle attività: sembrerebbe tuttavia che nelle regioni in cui tale riorganizzazione ha avuto inizio, circa il 60 per cento del territorio nazionale, l'accordo non sia mai realmente entrato in vigore generando disservizio e accumulando grandi quantitativi di posta giacente;
          si apprende inoltre che sia il servizio di recapito sia quello di sportello soffrono di una carenza cronica di personale che si aggrava nel periodo estivo. Questo stato di cose risulterebbe particolarmente critico in talune aree del nostro Paese: nella provincia di Viterbo, che si porta ad esempio di una situazione generalizzata, viene denunciata una carenza strutturale di circa 20 unità cui l'azienda supplirebbe imponendo la chiusura, per un periodo superiore a cinque giorni nel mese di agosto, di uffici situati in comuni medio-grandi quali Acquapendente ed Orte (città e scalo), dislocando il personale normalmente ivi in servizio negli altri centri della provincia a seconda delle necessità, consentendo in questo modo, la fruizione delle ferie come da contratto;
          viene infine manifestata preoccupazione per la mancata attuazione in talune aree del Paese dell'accordo siglato nel luglio 2015 che prevedeva un dimensionamento tale da avere un organico stabile di 2-3 unità di personale per ogni ufficio. In particolare, sempre per la provincia di Viterbo, la mancata applicazione e le conseguenti ripercussioni sembrerebbero verificarsi in comuni quali Valentano, Castel Sant'Elia, Capodimonte, Ischia di Castro, Farnese, Piansano, San Lorenzo Nuovo, Graffignano;
          a soluzione della carenza di personale, in molte realtà italiane e in altre province del Lazio, si è proceduto al passaggio dalla forma part time al tempo pieno per il personale assunto negli ultimi quattro, cinque anni;
          il 25 luglio 2016 il Tar del Lazio si è espresso favorevolmente al ricorso avanzato da molti comuni della provincia di Terni e dalla regione Umbria contro il Piano di razionalizzazione delle sedi avviato da Poste Italiane nel 2015 che prevedeva la chiusura dei comuni suddetti. Il Tar del Lazio ha motivato il proprio giudizio sostenendo, tra l'altro, che «il ridimensionamento ovvero la riorganizzazione non può avvenire seguendo solo una logica di tipo economico e senza prevedere valide alternative»  –:
          se quanto riportato in premessa trovi conferma e se il Governo ne sia a conoscenza;
          se il Governo non ritenga di dover attuare, per quanto di competenza, opportune forme di monitoraggio e controllo affinché la ristrutturazione in atto in Poste Italiane non metta a repentaglio i posti di lavoro e il servizio di recapito postale e di sportello;
          se il Governo non ritenga di dover tutelare la permanenza in attività degli uffici postali proprio in quei comuni in cui, per quanto poco popolosi, gli stessi Uffici rappresentano un presidio territoriale strategico e offrono il servizio ad una popolazione sempre più anziana che presenta considerevoli difficoltà di spostamento anche per brevi distanze, stante la sentenza del Tar del Lazio del 25 luglio 2016 che accoglie il ricorso presentato da molti comuni della provincia di Terni e dalla regione Umbria contro il piano di razionalizzazione delle sedi avviato da Poste Italiane nel 2015 e che ha motivato il proprio giudizio sostenendo, tra l'altro, che «il ridimensionamento ovvero la riorganizzazione non può avvenire seguendo solo una logica di tipo economico e senza prevedere valide alternative»;
          se non ritenga di promuovere le necessarie iniziative affinché vi sia da parte di Poste Italiane pieno rispetto degli accordi presi con le organizzazioni sindacali in tema di personale dislocato presso ciascun ufficio e di investimenti da realizzare per promuovere l'ammodernamento e la diversificazione del servizio;
          se non ritenga, per quanto di competenza, di farsi parte attiva per sanare la controversia tra Poste Italiane e le organizzazioni sindacali aprendo un tavolo di discussione con e tra le parti interessate, principalmente sui temi di una congrua dotazione di personale in tutti gli uffici e della erogazione di un servizio, di consegna e di sportello, tempestivo, efficiente e preciso. (5-09359)


      RUBINATO e MORETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          secondo l'articolo 119 della Costituzione i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea;
          dal 2016 gli enti locali, partecipano al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea attraverso l'assoggettamento alle regole dell'equilibrio di bilancio;
          il principale obiettivo del passaggio dal patto di stabilità al pareggio di bilancio consiste nell'introduzione di meccanismi di finanza pubblica più semplici e lineari finalizzati anche a consentire agli enti locali di aumentare la spesa per investimenti;
          molti comuni dell'area metropolitana di Venezia, al fine di dare attuazione all'obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra del 20 per cento, di aumentare l'utilizzo di energie rinnovabili del 20 per cento e migliorare l'efficienza energetica del 20 per cento, hanno aderito al «Patto dei Sindaci istituito dalla Comunità Europea»;
          l'Unione europea e la BEI, attraverso il programma «ELENA», hanno sostenuto gli enti locali degli Stati membri al fine di promuovere l'attuazione di investimenti in materia di efficienza energetica, di energie rinnovabili e di trasporto sostenibile, attraverso contributi specifici a sostegno dei costi connessi all'assistenza tecnica;
          la città metropolitana di Venezia e i comuni di Camponogara, Caorle, Chioggia, Cona, Concordia Sagittaria, Dolo, Eraclea, Fiesso d'Artico, Fossalta di Piave, Fossalta di Portogruaro, Fossò, Jesolo, Meolo, Mirano, Musile di Piave, Noale, Noventa di Piave, Portogruaro, Pramaggiore, San Donà di Piave, San Stino di Livenza, Santa Maria di Sala, Stra, Torre di Mosto e Vigonovo, hanno aderito ad un programma specifico di interventi in materia di efficienza energetica per un ammontare complessivo di oltre 36 milioni di euro;
          la BEI, con nota del 27 novembre 2015, ha comunicato alla città metropolitana di Venezia di aver definitivamente approvato il finanziamento di oltre 1.000.000,00 euro richiesto per la progettazione dei suddetti programmi di investimento;
          tali programmi prevedono, in particolare, che i soggetti (cosiddetti E.S.Co) che si aggiudicheranno apposite gare, realizzeranno gli interventi di manutenzione straordinaria e ordinaria e di gestione di edifici e delle reti di illuminazione pubblica e forniranno i relativi servizi energetici, a fronte di un canone annuo che gli enti dovranno corrispondere, per un massimo di 10 anni, per gli investimenti realizzati;
          queste operazioni finanziarie appaiono oggi di difficile se non impossibile realizzazione per effetto del combinato disposto dell'applicazione dei nuovi principi contabili – entrati in vigore nel 2015, quindi successivamente al patto dei Sindaci – e delle regole del cosiddetto pareggio di bilancio;
          la contabilizzazione dell'investimento, infatti, dovrà essere fatta nell'anno in cui entrerà nel patrimonio dell'ente, con effetti negativi sul cosiddetto pareggio del bilancio, atteso che, in quell'anno, il valore del bene sarà registrato interamente come spesa – al netto degli eventuali canoni già corrisposti – che non sarà però compensata da nessuna entrata rilevante ai fini del pareggio essendo contabilmente rilevata in entrata come mutuo;
          sussiste il rischio che, per ragioni di rispetto delle nuove regole contabili, gli enti coinvolti rinuncino o si trovino nell'impossibilità di realizzare tali investimenti che appaiono molto rilevanti, sia per lo sviluppo del territorio sia per le finalità conseguibili in termini di tutela dell'ambiente  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti intenda assumere, anche parzialmente derogatorie sul piano normativo rispetto all'applicazione dei nuovi principi contabili, in questa fase di loro prima applicazione, per consentire la realizzazione degli investimenti già programmati e l'utilizzo del finanziamento europeo finalizzato a migliorare l'efficienza energetica delle reti di pubblica illuminazione.
(5-09367)


      RUBINATO e CASELLATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la legge 24 dicembre 2012, n.  243 ha introdotto — come è noto — nella normativa italiana, in modo, costituzionalmente «rafforzato», obblighi di pareggio di bilancio derivanti dalla situazione di gravissima instabilità della finanza pubblica che il Paese ha affrontato dalla fine del 2011. Le formulazioni allora adottate, con particolare riferimento agli enti territoriali, hanno delineato uno scenario eccessivamente restrittivo e inadeguato a incorporare le novità che di lì a poco sarebbero state introdotte dalla riforma della contabilità pubblica;
          le modifiche della legge n.  243 del 2012 intervenute con l'approvazione definitiva dell'AC 3976, in particolare delle norme relative alla finanza locale, costituiscono pertanto un passaggio obbligato per superare i limiti del disegno iniziale ed assicurare coerenza ai diversi elementi che compongono il sistema di governo della finanza pubblica, ricercando una maggiore e più flessibile capacità di gestione dei contributi al risanamento e alla crescita delle diverse articolazioni della pubblica amministrazione;
          le suddette modifiche della legge n.  243 del 2012 migliorano significativamente l'attuale disciplina con la previsione di un unico saldo finale di competenza non negativo facendo venir meno gli altri vincoli previsti dalla precedente normativa;
          in particolare, la nuova formulazione legislativa all'articolo 9, comma 1-bis, della legge 24 dicembre 2012, n.  243, prevede l'introduzione del fondo pluriennale vincolato fra le entrate e le spese finali a regime dal 2020, mentre tra il 2017 e il 2019 sarà la legge triennale di bilancio a stabilire le regole attraverso le quasi il fondo pluriennale vincolato entrerà nel saldo, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale;
          tale formulazione introduce elementi di incertezza operativa sul versante degli investimenti e, più in generale, potrebbe rallentare la politica espansiva degli enti locali nella gestione delle spese a valenza pluriennale considerato che entro il 31 luglio di ogni anno deve essere presentato al consiglio il documento unico di programmazione (DUP) ed entro il 15 novembre la giunta deve presentare al Consiglio una norma di aggiornamento al DUP unitamente allo schema di bilancio di previsione;
          il fondo pluriennale vincolato è, infatti, lo strumento previsto ordinariamente dalla nuova contabilità per raccordare i bilanci in un arco pluriennale, in sostituzione della gestione dei residui, considerata poco trasparente;
          gli enti locali di alcune regioni, in considerazione del fatto che il fondo pluriennale vincolato vale ai fini del pareggio di bilancio ai sensi della legge di stabilità n.  208 del 2015 per l'anno 2016, hanno programmato investimenti che comunque richiedono più anni per essere portati a compimento e necessitano che il fondo pluriennale vincolato sia inserito stabilmente tra gli aggregati rilevanti ai fini del saldo finale di competenza;
          esiste pertanto il rischio di interrompere la ripresa degli investimenti locali penalizzando proprie gli enti territoriali che, nel corso dell'anno 2016, hanno creduto nel definitivo superamento del patto di stabilità e che hanno maggiori capacità di programmazione e realizzazione delle opere pubbliche locali;
          in sede di discussione al Senato del disegno di legge A.S. 2344 di modifica della legge n.  243 del 2012, il Viceministro Morando, con riferimento alla possibilità e alla dimensione dell'inserimento del fondo pluriennale vincolato nella prossima legge di bilancio, ha dichiarato: «Avremo i dati alla fine di luglio e, se avremo riscontri che quella norma non determini effetti negativi di finanza pubblica, può darsi che sia possibile un inserimento pressoché totale anche prima del 2020»;
          da fonti di stampa si apprende, con riferimento proprio a questa verifica, che «a breve verrà convocata una riunione formale governo-Anci per trovare un accordo per decidere quanto del Fondo pluriennale vincolato potrà essere inserito tra le entrate dei bilanci degli enti locali. In particolare, viene riferito, dal 2017 al 2019 il governo avrebbe assicurato una disponibilità annua non inferiore a quella prevista nel 2016, quindi 660 milioni di euro»;
          occorre fare il massimo sforzo per inserire anche nel triennio 2017-2019 il fondo pluriennale vincolato tra gli aggregati rilevanti ai fini del saldo finale di competenza al fine di favorire la programmazione degli investimenti e, in generale, la gestione di tutte le spese a valenza pluriennale da parte degli enti territoriali anche in considerazione delle ricadute positive in termini di crescita per l'intero Paese  –:
          quali siano i dati a disposizione del Governo e lo stato di avanzamento del confronto in atto con le rappresentanze territoriali ai fini dell'inserimento, e in quale dimensione, del fondo pluriennale vincolato tra gli aggregati rilevanti ai fini del saldo finale di competenza per il triennio 2017-2019. (5-09378)


      SPESSOTTO, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, DELL'ORCO e CARINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          con interrogazione n.  5-01035, a prima firma del collega Andrea Colletti, rimasta senza risposta nonostante siano ampiamente trascorsi i termini regolamentari, venivano sollevati, già ad inizio legislatura, alcuni dubbi sulla nomina a dirigente in una società del gruppo Poste – denominata Postecom – di Alessandro Antonio Alfano, fratello del Ministro dell'interno Angelino;
          in particolare, nell'ambito di tale atto di sindacato ispettivo, veniva richiesto al Ministro di fornire chiarimenti circa i titoli che avevano permesso ad Alessandro Alfano di venire assunto, senza concorso e con uno stipendio superiore ai 100 mila euro, come dirigente di Postecom, società di servizi internet del gruppo Poste Italiane, partecipato al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
          come noto, la vicenda dell'incarico di Alessandro Alfano a dirigente di Postecom, è finita di recente al centro dell'inchiesta «Labirinto» coordinata dalla procura di Roma e relativa a supposti reati di frode fiscale, corruzione, riciclaggio, truffa ai danni dello Stato e all'appropriazione indebita, nell'ambito della quale inchiesta la Guardia di finanza avrebbe intercettato una conversazione tra Giuseppe Pizza, ex sottosegretario e collaboratore dell'ufficio comunicazione del Ministero guidato da Alfano e Davide Tedesco, collaboratore dello stesso Ministro;
          in particolare, la Guardia di finanza avrebbe annotato, nelle carte dell'indagine, che «Pizza sostiene di aver facilitato, grazie ai suoi rapporti con l'ex amministratore Massimo Sarmi, l'assunzione del fratello del Ministro in una società del Gruppo Poste»;
          da recenti notizie di stampa si apprende poi che l'amministratore delegato e direttore generale del gruppo Poste Italiane s.p.a., Francesco Caio, avrebbe provveduto ad aumentare lo stipendio di Alessandro Alfano portandolo sino a 200 mila euro a seguito del suo recente trasferimento al servizio Immobili di Poste Italiane, solo pochi mesi prima degli arresti di cui all'inchiesta della procura;
          inoltre, sembrerebbe che il profilo di Alessandro Alfano sia stato selezionato tramite la piattaforma Linkedin, digitando il suo nome direttamente all'interno del motore di ricerca dello stesso sito;
          in aggiunta, si segnala come in una recente relazione della Corte dei conti su Poste italiane (si veda la relazione della Corte dei Conti al bilancio del 2013), i magistrati contabili abbiano denunciato il problema dell'aumento degli incarichi di dirigenza esterni del gruppo Poste italiane e dell'aumento esponenziale degli stipendi di tali dirigenti, segnalando di fatto l'urgenza di un intervento del Governo su questa questione;
          il Ministro dell'economia e delle finanze, rispondendo su questo punto nel corso dell'audizione svoltasi il 19 luglio 2016 nell'ambito dell'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante definizione dei criteri di privatizzazione e delle modalità di dismissione di una ulteriore quota della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale di Poste italiane spa, ammetteva di non essere al corrente della questione e si riservava di analizzarla;
          infine, risulta inoltre agli interroganti, come confermato dai sindacati riuniti di Poste intervenuti in audizione presso la Commissione IX Trasporti Poste e Telecomunicazioni nel mese di luglio 2016, che il gruppo Poste italiane corrisponda circa 5 milioni di euro l'anno a Confindustria, per servizi di cui si ignora la portata  –:
          se il Ministro interrogato, in qualità di principale azionista di Poste italiane, abbia provveduto – e in che modo – a dar seguito, per quanto di competenza, alla denuncia della Corte dei conti in merito alla segnalata vicenda dei dirigenti esterni del gruppo di Poste di cui in premessa;
          se il Ministro interrogato possa chiarire a che titolo e per quali servizi il gruppo Poste italiane corrisponda annualmente a favore di Confindustria un contributo di circa 5 milioni di euro;
          se il Ministro interrogato, alla luce degli elementi emersi dall'indagine della procura di Roma, non intenda partecipare la Corte dei conti in merito alla vicenda della nomina dei Alessandro Alfano a dirigente di Postecom, al fine di verificare il rispetto in tale procedura di assunzione dei principi nazionali e comunitari di trasparenza, pubblicità e imparzialità. (5-09390)

Interrogazioni a risposta scritta:


      FRACCARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 13 della legge 27 luglio 2000, n.  212, avente ad oggetto «Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente», dopo aver definito nel dettaglio le funzioni attribuite al Garante del contribuente, al comma 12) dispone che ogni sei mesi il Garante del contribuente presenta una relazione sull'attività svolta al Ministro delle finanze, al direttore regionale delle entrate, ai direttori compartimentali delle dogane e del territorio nonché al comandante di zona della Guardia di finanza, individuando gli aspetti critici più rilevanti in materia fiscale e prospettando le relative soluzioni. Al comma 13-bis) dispone inoltre che, con relazione annuale, il Garante fornisce al Governo ed al Parlamento dati e notizie sullo stato dei rapporti tra fisco e contribuenti nel campo della politica fiscale;
          le succitate relazioni sono reperibili sul web in maniera disordinata e solo saltuariamente sono presentate pubblicamente e consegnate al contribuente che ne faccia richiesta, nonostante siano in esse contenuti pareri e raccomandazioni espressi dal Garante in relazione a: disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione finanziaria; funzionalità dei servizi di assistenza e di informazione al contribuente; agibilità degli spazi aperti al pubblico; comportamenti dell'amministrazione che determinano un pregiudizio dei contribuenti o conseguenze negative nei loro rapporti con l'amministrazione; e tutela del contribuente e della migliore organizzazione dei servizi;
          si rileva altresì che le informazioni presenti nelle pagine web istituzionali in riferimento alla figura del Garante del contribuente presso ogni direzione regionale e direzione delle entrate delle province autonome sono largamente lacunose per quanto riguarda la pubblicazione del curriculum vitae del Garante, della data e dell'atto di nomina e degli orari di ricevimento;
          è opinione diffusa che, al fine di favorire la realizzazione di un moderno ed efficiente sistema fiscale, da cui discende un'effettiva semplificazione nei rapporti con il contribuente e una crescente esigenza di implementare canali per assicurare la condivisione delle informazioni relativamente alle potenzialità e alle criticità del processo di modernizzazione, è necessario garantire la massima pubblicizzazione delle relazioni semestrali e annuali prodotte dal Garante del contribuente;
          a detta dell'interrogante, un'informazione completa e dettagliata sul ruolo e sull'attività del Garante deve essere fornita allo scopo di curare i rapporti di fiducia tra il fisco e i contribuenti e di favorire, in ultima istanza, la compliance fiscale. È da ritenersi pertanto strategico promuovere la massima trasparenza e pubblicizzare in maniera sistematica informazioni relativamente all'andamento del rapporto tra amministrazione fiscale e contribuenti al fine di contribuire a una migliore comprensione da parte dell'opinione pubblica dei problemi di natura fiscale  –:
          se sia a conoscenza dei fatti menzionati    in premessa e se intenda assicurare, per quanto di competenza, la sistematica pubblicazione delle relazioni di cui ai commi 12 e 13-bis, dell'articolo 13 della legge n.  212 del 2000, incluse le relazioni prodotte fino alla data odierna, e gli atti relativi alla nomina e il curriculum vitae del Garante del contribuente sul sito dell'Agenzia delle entrate predisponendo i relativi collegamenti ipertestuali sulla pagine delle direzioni regionali e delle direzioni delle province autonome dell'Agenzia delle entrate e sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze nella sezione «Fisco e contribuenti». (4-14012)


      MORETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 142 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n.  285, come modificato dall'articolo 25 della legge 29 luglio 2010, n.  120, reca disposizioni per il riparto e la destinazione dei proventi delle sanzioni derivanti dalla violazione dei limiti di velocità;
          in particolare, il comma 12-bis dell'articolo 142, stabilisce che tali proventi siano attribuiti nella misura del 50 per cento agli enti proprietari delle strade in cui è stato effettuato l'accertamento, escludendo espressamente dall'applicazione le strade in concessione;
          ai sensi del comma 12-ter del medesimo articolo 142, il 50 per cento che gli enti incamerano deve essere destinato alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale;
          in assenza di una specifica normativa per le strade in concessione, che dovrebbe precisare come eventualmente ripartire e versare il 50 per cento qualora non trovassero applicazioni le disposizioni previste dal comma 12-bis dell'articolo 142, le amministrazioni comunali si trovano ad accantonare somme di cui non possono disporre, a fronte di progetti di messa in sicurezza e prevenzione della sicurezza stradale che invece non possono essere realizzati per mancanza di fondi, i quali al contempo non possono neppure essere utilizzati da altri enti;
          il comune di Annone Veneto ha – fin dal 2013 – accantonato la quota pari al 50 per cento spettante all'ente proprietario della strada, per un importo complessivo di 148.300,00 euro, poiché però, essendo le sanzioni elevate tutte sulla strada regionale Postumia, data in concessione a Veneto Strade, tale devoluzione non dovrebbe sussistere  –:
          quali iniziative, anche normative, i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di chiarire la disciplina da applicare relativamente alle strade in concessione, al fine di prevedere la possibilità di precisare come ripartire e versare il 50 per cento dei proventi delle sanzioni.
(4-14028)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


      MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'associazione Antigone ha presentato il pre-rapporto sullo stato delle carceri in Italia, dal quale si evincono dati preoccupanti;
          il 30 novembre del 2010 l'Italia raggiunse il massimo storico della popolazione detenuta ovvero 69.155 unità. Nel gennaio del 2013 il nostro Paese è stato condannato dalla Corte europea dei diritti umani per le condizioni degradanti di vita presenti nelle sue carceri a causa del sovraffollamento (oltre che per l'assenza di rimedi giurisdizionali nel caso di reclami dei detenuti per i loro diritti violati);
          da pochi mesi si sono chiusi gli stati generali sull'esecuzione della pena, importante iniziativa voluta dal Ministero della giustizia per ragionare in modo partecipato sulle prospettive di cambiamento;
          i numeri della popolazione detenuta però tendono a salire di nuovo, dopo un paio di anni di decrescita, essenzialmente nella quota che riguarda i detenuti in custodia cautelare. I numeri salgono a legislazione invariata e nonostante non crescano i numeri delle denunce pervenute all'autorità giudiziaria;
          al 30 giugno 2016 erano 9.120 i detenuti in attesa di primo giudizio. Erano 8.878 al 30 giugno 2015, 4.566 i detenuti appellanti, contro i 4.618 del 30 giugno 2015. 3.841 i ricorrenti in Cassazione al 30 giugno 2016, contro i 3.107 di un anno prima, 1.381 erano i detenuti con più posizioni giuridiche contemporanee, contro i 1.227 dell'anno precedente;
          complessivamente sono 18.908 i detenuti in custodia cautelare, pari al 34,9 per cento della popolazione detenuta, al 30 giugno del 2015 erano 17.830, pari al 33,7 per cento della popolazione reclusa. Dunque vi è stata una crescita dell'1,2 per cento. È qui la spiegazione della crescita globale della popolazione detenuta nell'anno trascorso: crescono i presunti innocenti. Sul tema della custodia cautelare, un problema che non riguarda solamente il nostro Paese, i detenuti in custodia cautelare sono complessivamente cresciuti di 1.078 unità, ovvero la quasi totalità dei 1.318 detenuti in più nell'ultimo anno;
          al 30 giugno 2016 i detenuti erano 54.072. In un anno i detenuti sono cresciuti di 1.318 unità. Erano infatti 52.754 alla stessa data del 2015. La capienza regolamentare secondo il Ministero della giustizia è pari a 49.701 posti;
          al 30 giugno 2016 erano 23.850 le persone in misura alternativa, erano 23.377 un anno prima. I numeri delle misure alternative crescono lievemente, come hanno fatto anche negli anni precedenti, ma rimangono tuttavia troppo bassi rispetto alle potenzialità;
          nell'anno 2015 lo 0,79 per cento delle persone che scontavano una misura alternativa ha commesso un nuovo reato. È stato lo 0,76 per cento nel 2014 e lo 0,92 per cento nell'anno precedente. Percentuali irrisorie, a testimonianza del fatto che investire sulle misure alternative conviene e non mette a rischio la sicurezza  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato al fine di promuovere un'inversione di tendenza rispetto all'uso, eccessivo, delle misure cautelari in carcere e per garantire condizioni adeguate ai carcerati, al fine di ottemperare in modo concreto alle indicazioni della Corte europea dei diritti umani. (3-02455)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      RUBINATO, MOGNATO e CASELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la disciplina dell'esame per la professione di avvocato è stata modificata di recente dall'articolo 46, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n.  247; tuttavia, la disposizione in questione non è ad oggi applicabile, ma entrerà in vigore a partire dal 2017, in base al successivo articolo 49 (disciplina transitoria per l'esame), così come modificato dall'articolo 2-ter, comma 1, decreto-legge 31 dicembre 2014, n.  192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n.  11;
          il citato articolo 46 stabilisce, al comma 3, che «Nella prova orale il candidato illustra la prova scritta e dimostra la conoscenza delle seguenti materie: ordinamento e deontologia forensi, diritto civile, diritto penale, diritto processuale civile, diritto processuale penale; nonché di altre due materie, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto del lavoro, diritto commerciale, diritto comunitario ed internazionale privato, diritto tributario, diritto ecclesiastico, ordinamento giudiziario e penitenziario»;
          la disposizione tuttavia pare essere il frutto di una «disattenzione» da parte del legislatore in quanto non riconosce autonomo rilievo al diritto comunitario (rectius: diritto europeo);
          la modifica introdotta non pare del resto in sintonia con il quadro attuale dei pubblici concorsi: si ricorda, infatti, che nel concorso per magistrato ordinario il diritto comunitario (rectius: europeo) è materia distinta dal diritto internazionale (pubblico e privato, considerati congiuntamente) e lo stesso vale per l'esame di avvocato dello Stato;
          addirittura, il concorso per coadiutore in Banca d'Italia (coadiutori con orientamento nelle discipline giuridiche) prevede che la prova orale verta unicamente sul diritto dell'Unione europea e non anche sul diritto internazionale, come riporta il bando del 2014;
          anche nel recente decreto ministeriale sugli avvocati specialisti (decreto del Ministro della giustizia, 12 agosto 2015, n.  104, «Regolamento recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, a norma dell'articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n.  247»), l'articolo 1, lettera p) e q), prevede una specializzazione in «diritto internazionale» e un'altra in «diritto dell'Unione europea»: materie distinte, dunque, correttamente indicate;
          nel più recente decreto ministeriale sulla rideterminazione dei macrosettori e dei settori concorsuali universitari, decreto del Ministro dell'università e della ricerca 30 ottobre 2015, n.  855, i settori «diritto internazionale» e «diritto dell'Unione europea» sono distinti, proprio in considerazione della specificità e dell'autonomia scientifica acquisita dal settore del diritto dell'Unione europea rispetto a quello del diritto internazionale  –:
          quale sia      l'orientamento del Governo al riguardo e quali iniziative intenda assumere per garantire che anche nell'esame per la professione di avvocato venga distintamente trattata la materia «diritto dell'Unione europea». (5-09386)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MOLTENI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          l'associazione «ConDivisa», l'unica associazione che si propone di diffondere gratuitamente la legalità al fianco della divise, promuovendo i valori etici e sociali che caratterizzano gli uomini e le donne delle Forze dell'ordine, rileva un crescente disagio degli operatori della polizia penitenziaria nelle carceri italiane e, attraverso costanti iniziative e comunicati da parte del presidente Lia Staropoli, tenta di evidenziare le problematiche inerenti il mancato riallineamento dei funzionari di polizia penitenziaria;
          nell'anno 2000, con il decreto legislativo n.  146, sono stati istituti i ruoli direttivi «ordinario» e «speciale» del corpo di polizia penitenziari, ruoli che sin dalla riforma del 1990 costituivano il passo necessario, a lungo atteso, per una effettiva parificazione della polizia penitenziaria alle altre forze di polizia ad ordinamento civile;
          l'emanazione di detto decreto, attuativo della legge delega n.  266 del 1999, doveva rappresentare la possibilità per il corpo di polizia penitenziaria di avere una propria classe dirigente con attribuzioni funzionali e carriera analoga a quella riservata al personale direttivo e dirigenziale delle altre Forze di polizia ad ordinamento civile, quali Polizia di Stato e corpo forestale dello Stato;
          nei fatti, con la disciplina contenuta nel decreto legislativo n.  146 del 2000, si è giunti ad avviso dell'interrogante, ad un contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza e alle mancata attuazione della legge delega n.  266 del 1999, come dimostrano i numerosi ricorsi giurisdizionali pendenti dinanzi al TAR del Lazio;
          attualmente, i ruoli direttivi, ordinario e speciale, del corpo di polizia penitenziaria, sono stati, infatti, istituiti tradendo le premesse della legge delega, che li concepiva «articolati in qualifiche con ordini gerarchici e con livelli analoghi a quelli dei corrispondenti ruoli dei commissari della Polizia di Stato»;
          con l'entrata in vigore del decreto legislativo n.  334 del 2000, e del decreto legislativo n.  155 del 2001, disciplinanti i nuovi assetti della polizia di Stato e del corpo forestale dello Stato, si è determinata per i funzionari della polizia penitenziaria una gravissima sperequazione di trattamento che mortifica i ruoli direttivi nello status giuridico, nelle attribuzioni funzionali e nel trattamento economico. Di fatto, i funzionari del Corpo sono parificati nell'accesso al ruolo, per effetto della tabella di equiparazione di cui al decreto legislativo n.  257 del 2000, al personale delle forze armate inquadrato nel grado di «sottotenente»;
          sebbene siano trascorsi 15 anni da tale gravissima sperequazione normativa, nessun intervento legislativo è stato sostenuto per ridare dignità, in termini di equiparazione alle altre forze di polizia, alla classe dirigente della polizia penitenziaria quando anche un mero richiamo all'ordinamento della Polizia di Stato, in particolare agli articoli 22-bis e 22-ter del decreto legislativo n.  334 del 2000, sarebbe stato sufficiente per sanare lo squilibrio esistente;
          si ricorda, in proposito, che i funzionari della polizia penitenziaria sono penalizzati rispetto ai colleghi della polizia di Stato e del Corpo forestale dello Stato per quanto attiene alla qualifica iniziale nei ruoli, successiva ai corsi di formazione, che risulta di «vice commissario» per la polizia penitenziaria (parametro stipendiale 133,25), e di «commissario capo» per le altre forze di polizia (parametro stipendiale pari a 144,50);
          si evidenzia, altresì, che sono previsti sviluppi di carriera notevolmente più lenti per i funzionari della polizia penitenziaria, considero che il personale del ruolo dei commissari della polizia di Stato e del ruolo direttivo del Corpo forestale dello Stato raggiunge il livello apicale (rispettivamente di «vice questore aggiunto» e di «vice questore forestale») in ruolo aperto (cui hanno accesso tutti i funzionari) maturando cinque anni e sei mesi di effettivo servizio, laddove la per la polizia penitenziaria è prevista la promozione al livello equivalente (di «commissario coordinatore», oggi da aggiornare con la qualifica di «vice questore aggiunto penitenziario»), attraverso uno «scrutinio per merito comparativo» in ruolo chiuso (consentito solo ad un numero esiguo di funzionari), dopo una permanenza nelle qualifiche doppia a quelle previste nelle altre forze di polizia;
          per tali ragioni l'articolo 1, comma 973, della legge 28 dicembre 2015, n.  208, ha recentemente disposto l'equiparazione delle carriere dei ruoli direttivi della polizia penitenziaria a quelle dei corrispondenti ruoli direttivi della polizia di Stato di cui al decreto legislativo 5 ottobre 2000, n.  334 e successive modificazioni ed integrazioni, reperendo nella legge finanziaria gli esigui fondi rivolti a risolvere definitivamente la menzionata sperequazione giuridica ed economica dei funzionari di polizia penitenziaria;
          in tale sperequato panorama normativo nasce, quindi, la necessità di adeguare materialmente l'inquadramento dei funzionari della polizia penitenziaria a quello della polizia di Stato e del Corpo forestale dello Stato attraverso un provvedimento normativo che si limiti a raccordare i principi contenuti nel decreto legislativo n.  334 del 2000 e decreto legislativo n.  146 del 2000, in ossequio ai principi ribaditi dall'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n.  124;
          si rappresenta infatti come l'imminente riallineamento sia propedeutico anche all'imminente attività di riordino delle forze di polizia, il cui principale ed ineludibile fondamento su cui si regge la stessa legge delega cosiddetta Madia, è l'equità tra forze di Polizia. Ed infatti, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n.  124, alla base del «riordino» è imposta una «sostanzia – ergo effettiva – equiparazione tra i ruoli dei diversi corpi». Per quarto attiene al ruolo apicale del corpo, questo si traduce nella necessità che tutte le forze di polizia abbiano garantita, in maniera proporzionale, le stesse percentuali di dirigenti, in ossequio all'articolo 3 della Costituzione ed alle medesima legge delega. Ed infatti l'unico criterio previsto dalla legge delega di cui sopra, è il principio di equiordinazione tra forze di polizia nazionali;
          tale equiparazione deve necessariamente riguardare anche la progressione in carriera e la denominazione, oltre che l'articolazione delle qualifiche, comportando peraltro la fondamentale modifica della qualifica di «commissario coordinatore» in «vice questore penitenziario», così come accaduto per l'omologo grado del corpo forestale dello Stato, pena la palese violazione della delega stessa;
          si rammenta, peraltro, che il Ministro Orlando in occasione della festa del corpo di polizia penitenziaria tenutasi nel maggio 2015, alla presenza del Presidente della Repubblica, aveva testualmente affermato: «... Posso qui annunciare, finalmente, che è stata già predisposta una norma con individuazione anche delle risorse economiche. Essa sarà presentata dal Governo come emendamento al disegno di legge relativo al processo penale e all'ordinamento penitenziario, pendente in commissione giustizia alla Camera. L'esame del testo sarà avviato nei prossimi giorni e ne è prevista la calendarizzazione nel prossimo mese di giugno (2019), in vista di una definitiva approvazione che auspico rapida. Si tratta di un impegno che avevo preso lo scorso anno (2014) e che ora si trova a portata di mano in un'azione concreta e immediatamente praticabile...» Pertanto a distanza di oltre un anno risulta palese il mancato rispetto dei solenni impegni presi con i Funzionari del Corpo;
          il mancato riallineamento, inoltre, non costituisce l'unico pregiudizio per i funzionari di polizia penitenziaria, i quali vengono ammessi alla qualifica superiore con eccezionale e costante ritardo da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, registrando una incommentabile media di 3 anni e 6 mesi di ritardo, che in alcuni casi ha superato anche i 4 anni  –:
          quali iniziative si intendano intraprendere al fine di evitare il ripetersi dei gravi e reiterati ritardi nelle promozioni al grado superiore funzionari di polizia penitenziaria ed in particolare quali iniziative normative ed entro quale tempistica verranno adottate per dare attuazione all'articolo 1, comma 973, della legge 208, del 28 dicembre 2015 e consentire, quindi, l'adeguamento giuridico ed economico delle carriere dei funzionari del Corpo a quelle degli omologhi funzionari della polizia di Stato e del corpo forestale dello Stato, assicurando che per la polizia penitenziaria, così come avviene per il corpo forestale dello Stato e per la polizia di Stato, vi sia la denominazione di vice questore penitenziario, in luogo di quella di commissario coordinatore, che costituisce un unicum nel panorama delle forze di polizia e delle forze armate. (4-14023)


      BONAFEDE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          da notizie apparse nei giorni scorsi sugli organi di stampa («gonews.it» del 22 luglio 2016) si apprende che «la casa circondariale di Empoli sarà destinata a diventare una Rems, ossia una delle residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria varate con la legge 81 del 2014», legge quest'ultima che configura le Rems come strutture sanitarie con finalità di cura, riabilitazione e reinserimento sociale con lo scopo di aiutare il paziente nel recupero della capacità relazionali e dei rapporti affettivi con la propria famiglia e l'ambiente sociale, nonché con i servizi psichiatrici che coadiuveranno nella cura del soggetto;
          dall'agosto del 2010, data di riapertura del carcere femminile empolese, l'istituto è stato gestito secondo il moderno principio della sorveglianza dinamica, con ottimi risultati sia a livello trattamentale che di sicurezza interna, azzerando difatti gli eventi critici e portando la recidiva delle detenute tra le più basse a livello nazionale;
          dopo le varie condanne da parte della Corte giustizia di Strasburgo nei confronti dell'Italia per le condizioni in cui i detenuti sono costretti ad espiare le proprie pene detentive e per il sovraffollamento delle strutture carcerari, giudicando, la Corte stessa, le condizioni dei detenuti una violazione degli standard minimi di vivibilità che determina una situazione di vita degradante, non si capisce come sia possibile prendere la decisione di smantellare una struttura all'avanguardia nei progetti trattamentali, senza sovraffollamento e che funziona;
          negli anni 2009 e 2010, inoltre, venivano effettuati dei lavori di ristrutturazione nella suddetta struttura per renderla automatizzata, con nuovi sistemi di video sorveglianza, e con il rifacimento della portineria e dell'impiantistica;
          nella casa circondariale «Pozzale» di Empoli, tra l'altro, soprattutto negli ultimi anni, sono stati sviluppati numerosi progetti di recupero in favore delle detenute;
          destano preoccupazione, altresì, i tempi e le modalità con cui il Ministero della giustizia vorrebbe mettere in atto questo cambiamento, comunicato con una circolare dell'Ufficio della contabilità del provveditorato regionale del Ministero della giustizia, dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dove si informa che con la nota n.  0249018 del 20 luglio 2016 è stata disposta «l'immediata chiusura del carcere, con il conferimento dell'immobile all'agenzia del Demanio», così da poterla destinare a Rems, (residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria);
          il trasferimento da carcere femminile a Rems prevede infatti un passo obbligatorio: il trasferimento dell'immobile all'Agenzia del demanio, la quale poi lo assegnerà all'azienda sanitaria per la riqualificazione;
          all'interno della struttura di Empoli sono ospitate 15 detenute e 35 agenti di polizia penitenziaria e 4 unità di personale ministeriale. Detenute e personale verranno collocati in sedi limitrofe;
          risulta all'interrogante che diverse associazioni nonché organizzazioni sindacali di polizia penitenziaria sarebbero in stato di agitazione per l'eventuale chiusura del penitenziario empolese;
          secondo l'interrogante risulta essere assolutamente non idonea la trasformazione di un ex carcere in una Rems, visto che queste ultime nascono come strutture sanitarie e di recupero e tali caratteristiche, a giudizio dell'interrogante, sono difficilmente individuabili in una struttura carceraria;
          le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza sanitaria sono state create in sostituzione degli opg (ospedali psichiatrici giudiziari), in cui venivano reclusi i criminali con problemi mentali; già nell'aprile 2015 la regione Toscana tentò di trasformare la casa circondariale «Mario Gozzini» di Firenze in Rems sollevando le perplessità e le proteste di numerosi organizzazioni e degli stessi detenuti del Gozzini;
          la regione Toscana, inoltre, è una delle sei regioni commissariate dal Governo ai sensi della legge n.  81 del 2014, in quanto non in regola sulla dismissione degli ospedali psichiatrici giudiziari e la conseguente attivazione delle Rems, gestite dalla sanità territoriale;
          risulta all'interrogante che la casa circondariale di Empoli non appare essere idonea all'attivazione di una struttura sanitaria per malati psichici in quanto non atta a garantire agli stessi gli opportuni servizi medici e terapeutici; inoltre, non sarebbe attualmente nota l'entità della spesa che dovrà essere stanziata per la riqualificazione del suddetto carcere in Rems;
          per rimediare ad una legge carente, in cui non si prevede la vigilanza della polizia penitenziaria per le Rems, si utilizzano strutture carcerarie inadeguate alla funzione, o se ne trasformano altre in «mini carceri», affidandosi, per la sicurezza, a un sistema territoriale di pubblica sicurezza, già in, difficoltà;
          non si capisce quale sia la necessità di smantellare il carcere di Empoli, anche in considerazione del fatto che, nel vicino comune di Montelupo Fiorentino sono stati investiti numerosi finanziamenti per la ristrutturazione della struttura ivi presente  –:
          se trovino conferma le notizie di stampa riferite all'ipotesi della realizzazione di una Rems presso il carcere femminile «Pozzale» di Empoli e se vi siano ulteriori proposte di trasformazione in Rems di altri istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale;
          se sia prevista, e in quali tempi, la dismissione degli ospedali psichiatrici giudiziari di Montelupo Fiorentino. (4-14025)


      SGAMBATO, TINO IANNUZZI, CARRESCIA, MELILLI, TERROSI, BOCCUZZI, MANFREDI, ARLOTTI, DE MENECH, CARLONI, RUBINATO, LODOLINI e MANZI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge legge 30 giugno 2016, n.  117, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative in materia di processo amministrativo telematico, nel passaggio alla Camera si è arricchito, per mezzo dell'approvazione di un emendamento, di disposizioni relative alle assunzioni di personale amministrativo da parte del Ministero della giustizia;
          si tratta di una misura che avrà certamente effetti positivi sia sul processo di digitalizzazione della giustizia, che sull'intero comparto giustizia, poiché siamo di fronte al primo concorso pubblico per il personale della giustizia dopo circa 20 anni di blocco di assunzioni;
          l'inserimento del provvedimento in forma di emendamento di un decreto-legge già in discussione ha dimostrato la volontà di voler arrivare nel più breve tempo possibile alla pubblicazione dei bandi di concorso per l'assunzione di 1.000 nuove figure che dovranno contribuire a risolvere il problema della carenza di personale organizzativo degli uffici giudiziari, carenza evidenziata dal Consiglio superiore della magistratura, e che è comune praticamente a tutti gli uffici giudiziari italiani, provocando spesso riduzioni di orari di apertura delle cancellerie e perfino la sospensione delle udienze penali;
          il Ministero viene quindi autorizzato, per il triennio 2016-2018, ad assumere a tempo indeterminato fino a 1.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale; il personale sarà inquadrato nei ruoli dell'amministrazione giudiziaria e potrà essere selezionato, sia bandendo nuovi concorsi, che attingendo a graduatorie ancora valide. L'aumento del personale è destinato a supportare i processi di digitalizzazione degli uffici e a completare il processo di trasferimento allo Stato – avviato il 1o settembre 2015 – dell'obbligo di corrispondere le spese per gli uffici giudiziari precedentemente a carico dei comuni;
          nell'accogliere con molta soddisfazione tale misura, non si può, però non considerare ancora una volta la situazione che riguarda i precari della giustizia;
          si parla di tirocinanti che da ben 6 anni prestano in maniera continuativa il proprio lavoro nelle cancellerie alle dipendenze del Ministero della giustizia (attraverso il ricorso a contratti di tirocinio formativo reiterati di anno in anno), apportando un contributo notevole, sopperendo alla carenza di organico che da anni investe il settore giustizia;
          la funzione fondamentale svolta dai precari della giustizia è tanto più avvertita laddove si consideri le molteplici missive promananti dai presidenti delle Corti di appello, tribunali, nonché dal presidente della Suprema Corte di Cassazione, che incoraggiano il Ministro della giustizia a valorizzare in maniera fattiva e concreta il percorso svolto;
          trattasi, infatti, di soggetti più volte selezionati dallo stesso Ministero della giustizia (lavoratori in mobilità, cassintegrati, disoccupati/inoccupati e giovani laureati disoccupati/inoccupati) e da ultimo individuati attraverso la procedura concorsuale indetta con decreto interministeriale del 20 ottobre del 2015, emanato in attuazione dell'articolo 21-ter del decreto-legge 27 giugno 2015, n.  83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n.  132, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n.  257 del 4 novembre 2015, che prevede l'istituzione del cosiddetto ufficio del processo;
          la procedura permetteva di individuare 1502 tirocinanti da selezionare tra i coloro i quali avevano già svolto il tirocinio di perfezionamento ex articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111;
          ad oggi, dunque, sono circa 1200 i precari della giustizia che, dopo aver superato la selezione pubblica di cui in parola, sono impegnati nelle cancellerie degli uffici giudiziari italiani per garantire il corretto funzionamento dell'istituito Ufficio del Processo e la cui attività lavorativa cesserà in data 30 novembre 2016;
          come specificato dall'emendamento approvato il 12 luglio 2016, se alla base della scelta di operare uno scorrimento della graduatorie si pone la necessità di tener conto delle particolari esigenze connesse ai processi di razionalizzazione organizzativa e ai conseguenti fabbisogni di professionalità, non si comprende la pretermissione dalla procedura in oggetto della platea dei precari della giustizia che negli anni hanno arricchito il proprio bagaglio di competenze tecnico-professionali proprio nel settore giustizia, così diventando oltremodo idonei allo svolgimento delle mansioni di cui oggi si discute la razionalizzazione organizzativa;
          inoltre, se il ricorso a tecniche di mobilità e scorrimento delle graduatorie di concorsi indetti da altre pubbliche amministrazioni muove dal condivisibile intento di evitare un aggravio per la spesa pubblica dello Stato, così soddisfacendo i principi di economicità ed efficienza dell'azione della pubblica amministrazione, tale principio potrebbe trovare doppiamente attuazione attingendo la forza lavoro proprio nella platea dei precari della giustizia dal momento che, giova ribadirlo, trattasi di personale altamente qualificato che vanta anni di esperienza professionale maturata proprio nel settore dell'amministrazione giudiziaria, in quanto tali figure nascono con il precipuo intento di supportare il lavoro delle cancellerie in affanno;
          in sede di conversione del suddetto decreto-legge è stato accolto come raccomandazione un ordine del giorno n.  3954/A-1 proprio al fine di impegnare il Governo a valutare la possibilità di riconoscere in modo significativo, nelle procedure concorsuali pubbliche disciplinate con decreto del Ministro della giustizia per l'assunzione di personale finalizzata a rendere più efficienti i servizi anche mediante il processo telematico, il percorso formativo dei circa 1.100 tirocinanti di giustizia oggi a supporto agli uffici e, nelle more, al rinnovo del loro percorso formativo prevedendo una borsa lavoro più adeguata e confacente al contributo che essi stanno dando al sistema giudiziario  –:
          se e con quali iniziative i Ministri interrogati intendano intervenire al fine di valorizzare e di tener in debito conto i precari della giustizia, soggetti su cui, da un lato, lo Stato ha per anni investito le proprie risorse e, dall'altro, ne ha ricavato un apporto fattivo e concreto per ridurre le disfunzioni della macchina giudiziaria. (4-14033)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CRIVELLARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          Rete ferroviaria italiana ha previsto nei mesi scorsi una serie di investimenti per le stazioni e i tracciati ferroviari che interessano Rovigo e il Polesine. Per la stazione di Rovigo, in particolare, sono stati messi in programma diversi interventi con l'obiettivo di rendere la struttura più funzionale, come – ad esempio – il rifacimento dei marciapiedi, al fine di parificarli alla soglia dei treni regionali con relativa eliminazione delle barriere architettoniche;
          si ricorda che la stazione di Rovigo è l'unica della rete locale gestita da Centostazioni spa dei gruppo Ferrovie dello Stato italiane in sinergia con le altri grandi stazioni italiane. Per l'armamento ferroviario della linea sono stati previsti investimenti di circa 200 mila euro nei prossimi mesi, ai quali si somma, per gli impianti di Lama, Loreo, Adria e Chioggia, un investimento complessivo per manutenzione di 250 mila euro in tre anni;
          alla data odierna risulta tuttavia che non siano ancora state rimosse le numerose barriere architettoniche esistenti nella stazione di Rovigo né che si siano attivati gli ascensori necessari per raggiungere le varie banchine di partenza dei treni  –:
          quale sia effettivamente lo stato dell'arte degli interventi previsti per questa importante infrastruttura e se, soprattutto per quanto riguarda le barriere architettoniche, il Governo intenda attivarsi nei confronti di Ferrovie dello Stato italiane per velocizzare il programma di interventi e adeguare al più presto la realtà dello scalo polesano agli standard richiesti. (5-09353)


      TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi giorni si rincorrono, su diversi organi di informazione, le voci circa la pretesa volontà dell'ANAS e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di introdurre il pedaggio lungo l'Autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, in particolare nella tratta campana a tre corsie fra Salerno e Sicignano degli Alburni; così ad esempio secondo quanto pubblicato su il Mattino del 26 luglio 2016; in tal senso sarebbero allo studio specifici progetti;
          una eventuale decisione, diretta a prevedere il pedaggio su tale Autostrada, confliggerebbe clamorosamente con la volontà espressa più volte dal presidente dell'ANAS Armani, così nell'ottobre 2015 (si veda L'Espresso del 14 ottobre 2015), nel maggio 2016 (si veda la discussione del 3 maggio 2016 e la Repubblica del 29 maggio 2016) di non introdurre nuovi pedaggi sulle strade;
          la previsione del pedaggio sarebbe, secondo l'interrogante, in ogni caso francamente assurda e del tutto ingiustificata, dal momento che l'Autostrada A3 assolve non solamente a funzioni di infrastruttura autostradale, ma anche di viabilità ordinaria, attesa la totale mancanza di ogni arteria non autostradale capace di assicurare in tempi adeguati e dignitosi un collegamento generale e complessivo fra le diverse località interessate; infatti, la viabilità per così ordinaria è assolutamente carente ed inadeguata, implicando il ripetuto attraversamento di numerosi ed ingolfati centri abitati di tanti comuni, con conseguenti tempi di percorrenza, particolarmente lunghi di ore ed ore ed improponibili per una mobilità decente e funzionale alle normali esigenze di mobilità e trasporto di persone e merci ed allo svolgimento delle attività economiche e produttive;
          d'altronde, il costo del pedaggio sarebbe estremamente pesante ed oneroso per gli automobilisti e determinerebbe conseguenze negative molto forti e dure per le famiglie, gli studenti, le imprese e complessivamente per tutta la economia di quei territori e del Mezzogiorno;
          non va, poi, tralasciato che la utilizzazione gratuita della autostrada A3 venne all'epoca definita come misura volta ad incentivare e favorire lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno, nel quadro di politiche di riequilibrio e perequazione territoriale dirette a ridurre il divario esistente fra le differenti zone del Paese, soprattutto, per quanto concerne il Meridione; ragioni che sicuramente sussistono tutte, vista anche la ripresa di attenzione, registratasi finalmente negli ultimi mesi e dopo troppi anni di sottovalutazione e scarso interesse, nelle scelte di Governo e Parlamento verso le regioni e le comunità meridionali  –:
          se risponda al vero la paventata intenzione di introdurre il pedaggio lungo le tratte campane della autostrada del Mezzogiorno, la A3 Salerno-Reggio Calabria, ipotesi questa secondo l'interrogante in ogni caso del tutto negativa, sbagliata e profondamente dannosa per i territori, meridionali, alla luce di tutte le motivate ragioni sopradescritte, e come tale da respingere. (5-09374)


      CARRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          è assolutamente positiva la volontà dimostrata da Rfi, nonché da Trenord di investire nel rinnovo del materiale rotabile;
          si tratta di investimenti attesi che devono migliorare la qualità dei servizi ferroviari;
          la Cima metalmeccanica è una realtà produttiva che dopo tante traversie e le numerose difficoltà attraversate soprattutto dalle maestranze, potrebbe avere un ruolo importante nella realizzazione delle citate commesse;
          sarebbe importante acquisire una disponibilità tra le parti per consentire il rilancio di un segmento produttivo importante per il comprensorio mantovano  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di attivare un tavolo di confronto finalizzato a    promuovere nell'ambito dei prossimi investimenti previsti appunto da Rfi e Trenord, un piano complessivo di rilancio industriale dell'impianto Cima. (5-09387)


      CRISTIAN IANNUZZI, FURNARI e SEGONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          Latina è la seconda città del Lazio per numero di abitanti, preceduta soltanto da Roma;
          la stazione ferroviaria di Latina è uno dei principali snodi sull'asse ferroviario che collega Roma a Napoli nonché uno scalo di considerevole rilevanza per la mole di viaggiatori che ogni giorno vi transita (circa 227.000 persone giornaliere di cui l'80 per cento di questi è costituito da pendolari – dati Legambiente del 2014 e Cittadinanza attiva del 2010;
          l'inadeguatezza delle infrastrutture e della qualità dei servizi offerti all'utenza sono evidenti: carenza di pensiline sulle banchine; servizi igienici ridotti all'essenziale, non a norma, spesso inagibili o chiusi al pubblico; la sala d'attesa è spesso inaccessibile e soprattutto non sono presenti scivoli e/o ascensori che consentano di raggiungere secondo binario sia ai cittadini diversamente abili che a chi viaggia con le biciclette costituendo un evidente impedimento di tipo architettonico; la legge 5 febbraio 1992, n.  104 «Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», ha disposto norme precise per l'abbattimento e il superamento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici e privati; il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n.  503 «Regolamento recante norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici» ha ulteriormente formato e vincolato gli interventi edilizi e di ristrutturazione per l'eliminazione delle barriere architettoniche; il decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 1998, n.  277, recante «Regolamento recante norme di attuazione della direttiva 91/440/CEE relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie», a livello sovranazionale, la decisione 2008/164/CE e di recente i regolamenti sulle specifiche tecniche per l'interoperabilità (STI) del sistema ferroviario dell'Unione europea relative sia all'accessibilità per le persone con disabilità e a ridotta mobilità (1300/2014/UE) sia al sottosistema «infrastruttura» (Reg. 1299/2014/UE) stabiliscono le misure mirate ad assicurare nelle stazioni le migliori condizioni di accesso ai treni;
          Rete ferroviaria italiana (gruppo Ferrovie dello Stato italiane) ha avviato nel 2014 i lavori di riqualificazione per eliminare le barriere architettoniche e migliorare l'accessibilità in circa 70 stazioni del network nazionale che saranno conclusi entro il 2017 per un investimento complessivo oltre 150 milioni di euro; nel corso del 2016, sono programmati e avviati interventi di miglioramento in altre 500 stazioni italiane per un investimento di circa 120 milioni di euro  –:
          se il Ministro sia a conoscenza della situazione della stazione ferroviaria di Latina;
          se intenda fornire i dati della reale quantità di viaggiatori che partono e arrivano ogni giorno dalla stazione di Latina;
          quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda assumere al fine di garantire all'utenza dello snodo ferroviario pontino migliori condizioni e standard di fruibilità;
          se non ritenga opportuno attivarsi, affinché sia accertata la mancanza di condizioni di accesso eque e non discriminatorie alla mobilità dei passeggeri della stazione di Latina, causate dall'assenza di adeguamento agli standard di accessibilità, e quali iniziative intenda assumere al riguardo;
          se non ritenga opportuno verificare che lo scalo di Latina venga inserito nella lista delle 500 stazioni dove verranno eseguiti lavori di riqualificazione nel rispetto delle norme nazionali ed europee sull'eliminazione delle barriere architettoniche individuando con certezza la tempistica necessaria. (5-09392)


      MOGNATO, MARTELLA, MURER, MORETTO e ZOGGIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso:
          il 25 novembre 2014 si è conclusa positivamente la conferenza di servizi ai sensi dell'articolo 165 e ss. del decreto legislativo n.  163 del 2006, avviata il 27 ottobre 2014, presso la struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'approvazione del progetto preliminare Piattaforma d'altura al porto di Venezia e Terminal Container Montesyndial;
          sono trascorsi quasi due anni dalla conclusione della conferenza dei servizi e ai sensi dell'articolo 168 del decreto legislativo n.  163 del 2006 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avrebbe dovuto formulare «al CIPE a mezzo della struttura tecnica la proposta di approvazione o rinvio del progetto a nuova istruttoria, tenendo conto di tutte le proposte di prescrizioni o varianti acquisite agli atti. Il CIPE, su proposta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, approva o rinvia a nuova istruttoria il progetto, accogliendo le proposte di prescrizioni e varianti compatibili, le caratteristiche tecniche e funzionali e il limite di spesa»;
          ai sensi dell'articolo 3, comma 9-bis, del decreto-legge 12 settembre 2014, n.  133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n.  164, comunemente conosciuta come decreto-legge «Sblocca Italia», era previsto che le opere elencate nell'XI allegato infrastrutture, approvato ai sensi dell'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n.  443, e successive modificazioni e dal CIPE, nella seduta dell'agosto 2014, e per le quali all'entrata in vigore della legge di conversione, era stata già indetta la conferenza di servizi, di cui all'articolo 165 del decreto legislativo n.  163 del 2006, vengono trasmesse in via prioritaria, entro il termine di 180 giorni, allo stesso CIPE, al fine dell'assegnazione delle risorse finanziarie necessarie per la loro realizzazione. Tra le opere dell'XI allegato infrastrutture, vi è la realizzazione della «Piattaforma d'altura di Venezia» il cui avvio è stato disposto dall'articolo 1, comma 186, della legge di stabilità 2013;
          a norma dell'articolo 165 del decreto legislativo n.  163 del 2006 «il progetto preliminare delle infrastrutture è istruito e approvato ai fini della intesa sulla localizzazione dell'opera e, ove previsto, della valutazione di impatto ambientale; ogni altra autorizzazione, approvazione e parere, comunque denominato, è rilasciato sul progetto definitivo dell'opera ai sensi dell'articolo 166»;
          il progetto piattaforma d'altura al porto di Venezia ha acquisito sia l'intesa sulla localizzazione dell'opera (delibera della regione Veneto n.  1678 del 19 novembre 2015) sia il parere della commissione VIA (n.  n.  1320 del 2 agosto 2013) e pertanto è da intendersi giuridicamente completo delle necessarie autorizzazioni previste per la trasmissione da parte del Ministero delle infrastrutture al CIPE;
          al progetto devono essere applicate, in base al comma 27 del citato articolo 216 del decreto legislativo 18 aprile 2016 n.  50, le disposizioni del decreto legislativo n.  163 del 2006 in quanto: «Le procedure per la valutazione di impatto ambientale delle grandi opere avviate alla data di entrata in vigore del presente decreto secondo la disciplina già prevista dagli articoli 182, 183,184 e 185 di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.  163, sono concluse in conformità alle disposizioni e alle attribuzioni di competenza vigenti all'epoca del predetto avvio. Le medesime procedure trovano applicazione anche per le varianti»;
          gli impegni assunti nell'ambito degli accordi di programma tra autorità portuale di Venezia e magistrato alle Acque del 16 settembre 2009 e del 4 agosto 2010, oltre ad inquadrarsi in una serie di interventi volti ad ampliare ed adeguare le infrastrutture portuali rispetto alle nuove esigenze, tengono conto dei limiti alla navigazione già imposti con la posa dei cassoni del MoSE alla bocca di Malamocco che ne ha ridotto il pescaggio utile a -12.00 metri e di quelli ulteriori che deriveranno dalla messa in esercizio del sistema Mo.S.E. per il controllo delle maree e delle prescrizioni di cui alla legge 29 novembre 1984, n.  798 (cosiddetto legge speciale per Venezia) per la salvaguardia della laguna di Venezia;
          sussiste per il Governo l'obbligo dell'estromissione dei petroli dalla laguna di Venezia ai sensi della legge speciale di cui sopra e, in assenza dell'approvazione dell'intero progetto preliminare VOOPS anche quest'obbligo verrebbe disatteso;
          l'intervento è previsto nella legge di stabilità 2012, come rimodulata dalla legge di stabilità 2015, che autorizza la spesa nei limiti di importo e annuali ivi indicati per le «attività finalizzate alla realizzazione della piattaforma d'altura»;
          presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nel mese di giugno 2016 si sono svolti tre incontri con la direzione generale Porti e la struttura tecnica di missione in cui sono stati affrontati i temi giuridici, ingegneristici, economici e trasportistici del progetto, con quindi un'istruttoria aggiuntiva rispetto a quanto previsto dalla norma;
          il 16 aprile 2016 l'autorità portuale di Venezia ha pubblicato il bando per l'appalto del servizio di progettazione definitiva dei lavori relativi di realizzazione della piattaforma d'altura al porto di Venezia e Terminal Container Montesyndial della diga foranea del molo container e dell'area servizi in Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea (GU/S S75 16/04/2016 131892-2016-IT), il quale prevede che dovrà essere predisposta a cura dell'affidatario del servizio la Relazione per la verifica di ottemperanza ambientale (ai sensi degli articoli 166 e 185 decreto legislativo n.  163 del 2006), attestante la rispondenza del Progetto Definitivo (comprensivo della Variante della diga a cassoni circolari) al Progetto Preliminare e alle osservazioni e raccomandazioni espresse dalla Commissione VIA, dalla conferenza di servizi e dal Consiglio superiore dei lavori pubblici. L'importo complessivo posto a base di gara trova copertura nei finanziamenti attribuiti dalla Legge di Stabilità 2014/2015 e nelle risorse proprie dell'autorità portuale di Venezia;
          in assenza dell'approvazione in linea tecnica del progetto preliminare da parte del CIPE, non è possibile né rendere definitivo il parere      VIA, né adeguare gli strumenti urbanistici;
          in assenza dell'approvazione del CIPE non possono essere avviati i lavori relativi al primo lotto funzionale relativo al terminal container in area Montesyndial a Porto Marghera; si viene così meno al principio di leale collaborazione fra enti con riferimento agli obblighi assunti dal Governo all'accordo di programma sottoscritto da Ministero dello sviluppo economico, regione Veneto, comune di Venezia ed autorità portuale di Venezia per la riconversione e riqualificazione dell'area di crisi industriale complessa di Porto Marghera, siglato l'8 gennaio 2015;
          eventuali ritardi nella trasmissione del progetto al CIPE comporterà pertanto inevitabilmente il venir meno agli accordi presi con lo stesso Ministero dello sviluppo economico e la perdita di finanziamenti già stanziati e assegnati dal Governo per il rilancio di Porto Marghera a salvaguardia dei livelli economici ed occupazionali del territorio veneziano;
          come identificato anche dallo stesso Ministro Delrio, il porto di Venezia rappresenta un terminale importante della VIA della Seta e della strategia OBOR;
          hanno fatto visita al porto in questi mesi diversi investitori internazionali interessati al progetto VOOPS che in assenza di un segnale formale da parte del Governo italiano (l'approvazione in linea tecnica del progetto preliminare da parte del CIPE) non potranno che abbandonare ipotesi di investimento con l'ennesima mancata occasione dell'Italia nel rilancio delle infrastrutture portuali a vantaggio di quelle del Nord Europa, già attrezzate per contrastare i porti italiani e del sud europa (si veda l'ultimo rapporto Panteia);
          le gare per la costruzione e la gestione della piattaforma d'altura verranno bandite esclusivamente sul progetto definitivo riducendo quindi i rischi sia per il pubblico che per il privato;
          i finanziamenti pubblici attualmente a disposizione e in parte già spesi sono previsti dalla legge di stabilità 2013, legge di stabilità 2015 e dalla legge di stabilità 2016, oltreché dall'accordo con il Mise di cui sopra, da fondi comunitari e da risorse proprie dell'APV  –:
          se il progetto preliminare «Piattaforma d'altura al Porto di Venezia e Terminal Container Montesyndial verrà sottoposto al CIPE entro il mese di agosto 2016 per l'approvazione in linea tecnica affinché venga deliberato l'avvio dei lavori per il primo lotto funzionale a Porto Marghera garantendo, per quanto di competenza, che il finanziamento previsto dalle leggi di stabilità sopra citate rimanga invariato. (5-09394)

Interrogazioni a risposta scritta:


      TOTARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          alcuni dei molteplici ritardi che quotidianamente riguardano la circolazione dei treni ad alta velocità, in particolare nella tratta Roma-Firenze, sono dovuti all'attraversamento di animali di grossa taglia che vagano nei dintorni del tracciato ferroviario;
          questa tipologia di incidenti, analoga a quella dell'attraversamento di animali selvatici sulle strade di grande comunicazione (solo per citare i casi più noti la Firenze-Pisa-Livorno e la Firenze-Siena), oltre ad uccidere brutalmente gli animali mette seriamente a repentaglio la vita dei passeggeri e dei guidatori causando, nel primo caso, momenti di forte stress, tensione e ritardi, nel secondo anche ingenti danni alle automobili che nella maggior parte dei casi non vengono risarciti;
          capita che gli allevatori per cercare di salvare questi animali dalla morte sulle rotaie rischiano di finire loro stessi sotto al treno, mettendo seriamente in pericolo la propria incolumità;
          il treno ad alta velocità rappresenta una delle infrastrutture più importanti del nostro Paese in continua crescita ed espansione sia per numero di tratte che per numero di passeggeri  –:
          se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per prevedere, come l'interrogante auspica e ritiene urgente, la realizzazione di un adeguato sistema di protezione e sicurezza (ad esempio, l'installazione di reti di contenimento o recinzioni elettriche) in grado di limitare questi disagi dovuti alla libera circolazione di animali sulle principali vie di comunicazione, sia ferroviarie che stradali ad oggi ancora mancanti e/o comunque insufficienti. (4-14008)


      DONATI, TERROSI, ASCANI, ERMINI e DALLAI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          ogni giorno centinaia di pendolari provenienti dalle regioni Toscana, Umbria e alto Lazio si recano a Roma per motivi di lavoro o di studio utilizzando il mezzo di trasporto ferroviario;
          particolarmente utilizzata dai pendolari delle suddette regioni è la linea Firenze – Roma, che vede, nel corso del tragitto, importanti fermate quali Arezzo, Terontola – Cortona, Chiusi Chianciano Terme, Orvieto e Orte, che rappresentano snodi di trasporto molto importanti per la mobilità dell'intera Italia centrale;
          sempre più frequentemente, e in particolare nelle ultime settimane, si segnalano ritardi nel servizio con particolare riferimento alla categoria dei treni Intercity che dovrebbe assicurare un servizio puntuale e rapido e che invece vede di anno in anno allungare i tempi di percorrenza previsti dall'orario, ai quali si sommano ritardi frequenti e considerevoli;
          particolarmente degno di nota è il caso dell'Intercity 598 Roma – Firenze, che fino ad alcuni anni fa aveva tempi di percorrenza nettamente inferiori e un tasso di arrivi puntuali superiore a quello attuale, che vede una frequenza di ritardi molto alta;
          il cronico ritardo del servizio incide negativamente sulla qualità della vita e sulla produttività dei pendolari stessi, sottraendo loro tempo prezioso che potrebbe altrimenti essere dedicato alle relazioni familiari, lavorative, sociali e al riposo  –:
          se il Ministro interrogato intenda acquisire elementi in merito alla possibilità di migliorare il servizio Intercity nella tratta Roma – Firenze in termini di puntualità e riduzione dei tempi di percorrenza. (4-14015)

INTERNO

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          gli organi di informazione, in occasione delle passate elezioni per il rinnovo degli organi elettivi di numerose città, nel giugno 2016, hanno divulgato numerose notizie su presunti brogli elettorali;
          in alcuni contesti, stanti le denunce di brogli avvenute in occasioni di elezioni passate nonché la peculiarità del territorio, ove l'attività mafiosa è ben radicata, da più parti si erano levate richieste di monitoraggio e controllo della regolarità del voto;
          ciononostante si sono registrate numerosissime segnalazioni in tutto il Paese di diversi casi di schede elettorali fotografate all'interno della cabina elettorale, di seggi dotati di un numero di schede inferiore al dovuto o sparite, di errori nella compilazione dei verbali delle sezioni elettorali nonché di una vera e propria compravendita di voti se non addirittura di scambio elettorale politico-mafioso;
          alcuni casi sono stati molto eclatanti con una eco nazionale a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, dove, come raccontato nel corso della trasmissione televisiva Tagadà, in un video intervista anonima, una persona ammetterebbe l'esistenza di un vero e proprio radicato e proficuo sistema di scambio elettorale politico-mafioso o quanto meno di corruzione elettorale;
          a Napoli similmente si sono concentrati diversi episodi incresciosi, tant’è che due persone candidate nelle liste del Partito Democratico sono state indagate per ipotesi di corruzione elettorale;
          episodi sono stati registrati anche in altre zone d'Italia, come ad esempio in Umbria, a Città di Castello, in Puglia, a Rivo di Puglia e a Massafra, o a Bologna;
          quanto finora descritto, secondo l'interrogante, è un quadro desolante, ove il condizionamento del voto è profondo e radicato, e, soprattutto, ove mancano strumenti efficaci a disposizione delle autorità per effettuare una efficiente attività di prevenzione e contrasto, nonché un impianto legislativo e regolamentare relativo alla procedure elettorali e di scrutino che sia efficiente, rischiando in questo modo di pregiudicare fortemente il valore democratico stesso di queste passate elezioni  –:
          di quali elementi disponga sull'eventuale condizionamento del voto nelle passate elezioni amministrative del giugno 2016;
          se non intenda, nei limiti delle proprie competenze, adottare specifiche iniziative normative volte ad assicurare una maggiore presenza delle forze dell'ordine nei pressi dei seggi elettorali durante le operazioni di voto e di scrutinio, al fine di ostacolare la compravendita di voti o altre forme di condizionamento;
          se e quali iniziative intenda intraprendere, anche di tipo normativo, per modificare l'attuale sistema di voto e scrutinio, al fine di rendere le procedure elettorali più trasparenti e meno soggette a manomissioni o condizionamenti.
(2-01453) «Nuti».

Interrogazione a risposta orale:


      MARCON, SCOTTO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'esponente locale nonché capogruppo della Lega Nord nel consiglio comunale di Musile di Piave Monica Bars, ha affermato attraverso il proprio profilo facebook in data 22 luglio 2016 che la Presidente della Camera Laura Boldrini vada «eliminata fisicamente»;
          non è la prima volta, anche nel Veneto, che esponenti della Lega invocano la violenza nei confronti di coloro che sono ritenuti avversari politici;
          pochi giorni fa il segretario della Lega, Matteo Salvini ha paragonato la Presidente della Camera ad una «bambola gonfiabile», esponendone una durante un comizio  –:
          come il Ministro interrogato intenda procedere, per quanto di competenza, a tutela in particolare di alte cariche dello Stato, per monitorare e prevenire possibili conseguenze derivanti dai numerosi e reiterati atti di intimidazione;
          come il    Ministro interrogato intenda procedere, per quanto di competenza per evitare fenomeni emulativi che possano indurre a replicare, o addirittura a mettere in pratica, le forme violente di contrapposizione politica, quali quelle che la consigliera Bars indica nella dichiarazione in argomento. (3-02459)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CARBONE, AIELLO e BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
          ad oggi, il consiglio comunale di Messina non ha ancora deliberato la decadenza della consigliera comunale dottoressa Donatella Sindoni, per la sussistenza, all'atto dell'elezione, della causa di incompatibilità di cui all'articolo 9, comma 1, n.  9), della legge regionale n.  31 del 1986;
          suddetta incompatibilità è stata sancita con parere del 24 giugno 2016, protocollo 13.737, dall'ufficio legislativo e legale della regione siciliana, il quale testualmente riportava quanto segue: «alla luce delle osservazioni sin qui svolte, va confermata la perdurante vigenza, nei limiti sopra precisati, della causa di ineleggibilità di cui all'articolo 9), comma 1, n.  9, della legge regionale n.  31 del 1986 e la sua applicabilità nella fattispecie in esame»;
          tale parere è stato espresso in risposta alla nota del 22 ottobre 2015, n.  247855, redatta dal segretario generale del comune di Messina, attraverso cui si è sollevata nei confronti dei consigliera Sindoni la sussistenza della causa di ineleggibilità di cui all'articolo 9, comma 1, n.  9 della legge regionale 24 giugno 1986, n.  31;
          il parere è stato tempestivamente trasmesso al comune, in data 1o luglio 2016;
          sono trascorsi quindi ben 27 giorni dal ricevimento del citato parere e il consiglio comunale di Messina non ha ancora deliberato in ordine alla decadenza del consigliere comunale interessato dalla menzionata causa di ineleggibilità;
          in base a quanto previsto dall'articolo 9, comma 1, n.  9    della legge regionale n.  31 del 1986, «Non sono eleggibili a consigliere provinciale, comunale e di quartiere: [...] 9) i legali rappresentanti ed i dirigenti delle strutture convenzionate per i consigli del comune il cui territorio coincide in tutto o in parte con il territorio dell'unità sanitaria locale con cui sono convenzionate o dei comuni che concorrono a costituire l'unità sanitaria locale con cui sono convenzionate»;
          come rilevato dall'ufficio legislativo e legale della regione, si tratta di una norma tuttora vigente e applicabile al caso di specie;
          la dottoressa Sindoni risultava essere al momento della sua elezione, legale rappresentante dello «Studio diagnostico Sindoni & C. Snc    accreditato con il sistema sanitario regionale;
          come chiarito dalla Corte di Cassazione in merito ad un caso analogo, «la ratio della norma è infatti quella di prevenire la lesione della par condicio tra candidati alla competizione elettorale: quale si verificherebbe in favore di un soggetto che godesse di una particolare visibilità presso l'elettorato in virtù della carica societaria rivestita, che lo pone come controparte in trattative contrattuali con la pubblica amministrazione in un settore di particolare rilievo sociale come la sanità» (Cass. Civ., Sez. i, 21 aprile 2011, n.  9262);
          a norma dell'articolo 14, comma 4, della legge regionale n.  31 del 1986, «quando successivamente all'elezione si verifichi qualcuna delle condizioni previste dalla presente legge come causa di ineleggibilità ovvero esista al momento dell'elezione o si verifichi successivamente qualcuna delle condizioni di incompatibilità previste dalla presente legge il consiglio di cui l'interessato fa parte gliela contesta»;
          la normativa prevede anche il termine di 10 giorni di tempo per il consigliere interessato per formulare osservazioni o per eliminare le cause di ineleggibilità o di incompatibilità;
          qualora il consigliere non vi provveda entro i successivi dieci giorni il consiglio lo dichiara decaduto;
          tutti gli adempimenti di cui sopra si configurano come atti dovuti, privi di qualsiasi elemento di presunta discrezionalità e quindi di immediato compimento;
          la mancata deliberazione da parte del consiglio comunale circa la decadenza della consigliera dottoressa Donatella Sindoni sta determinando una oggettiva situazione di difficoltà per il consiglio comunale della città di Messina, anche in riferimento alla legittimità degli atti posti essere;
          quanto evidenziato può costituire anche fonte di responsabilità del comune verso terzi in ragione dei provvedimenti deliberati dal consiglio comunale che risulterebbero viziati dalla presenza della citata consigliera anche con possibile danno erariale in riferimento a coloro i quali hanno omesso di porre in essere gli atti e i provvedimenti previsti dalla legge  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza si intendano attivare, in particolare sul piano normativo, per confermare l'applicabilità della disciplina sopra richiamata a fattispecie come quella verificatasi presso il comune di Messina. (5-09363)


      PREZIOSI, QUARTAPELLE PROCOPIO, GINATO, SBROLLINI, PATRIARCA, DELL'ARINGA, BAZOLI, BENAMATI, NICOLETTI, ZANIN, PINNA, FALCONE, PRINA, LODOLINI, FITZGERALD NISSOLI, RUBINATO, SENALDI e MARCHETTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          nel corso del 2016 i dati in merito agli sbarchi di minori non accompagnati (Msna) a seguito delle ondate migratorie sono più che allarmanti;
          in questi mesi sono giunti nel nostro Paese ben oltre 13 mila minori non accompagnati un numero doppio rispetto al totale del 2015;
          ai dati infatti forniti dal Ministero dell'interno si aggiungono quelli comunicati dall'Anci nei giorni scorsi relativamente ai Msna presi in carico dai comuni nel sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar): si passa dai 4.588 del 2010 ai 9.197 del 2011, dai 9.678 del 2013 fino ai 13.523 del 2014;
          sono dati che creano difficoltà ai comuni che si trovano ad affrontare un'emergenza nell'emergenza;
          in riferimento ai minori non accompagnati nel 2014, ultimo anno di rilevazione del rapporto redatto dall'Anci, l'85 per cento si concentra in appena 87 Comuni;
          Roma è la città in cui si registra il maggior numero di minori soli, a cui seguono e maggiori città della Calabria e della Sicilia a partire da Reggio di Calabria, Palermo, Messina e Catania;
          mentre per quanto riguarda le regioni è la Sicilia quella che ospita il maggior numero di minori non accompagnati seguita da Lazio e Calabria;
          ormai l'attuale sistema di gestione rischia di collassare;
          è evidente la necessità di supportare anche economicamente i territori che affrontano l'accoglienza di questi minori non accompagnati, anche in considerazione del fatto che ad essere interessati sono realtà che già vivono enormi difficoltà finanziarie;
          è quindi indispensabile un intervento immediato del Governo per affrontare una situazione che sta progressivamente diventando sempre più critica  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere con urgenza al fine di accelerare protocolli d'intesa tra prefetture e strutture affidatarie per minori nonché associazioni preposte all'accoglienza temporanea di minori stranieri su tutto il territorio nazionale, nonché per promuovere, con le regioni, la formazione di elenchi di tutori e curatori volontari dei minori e favorire ogni intervento finalizzato a sensibilizzare le comunità scolastiche in materia di accoglienza e inclusione dei minori. (5-09373)


      CARRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          dagli atti del processo «Aemilia», che si sta svolgendo a Brescia emergerebbe che si sarebbero tenuti incontri tra esponenti della cosca Grande Aracri e della ’ndrangheta emiliana;
          da tali incontri emergerebbe la presenza delle suddette organizzazioni criminali nel territorio dell'alto mantovano e della bassa gardesana  –:
          alla luce di quanto sopra esposto, di quali elementi disponga circa il livello di penetrazione della ’ndrangheta nei territori di Solferino, Castiglione delle Stiviere e, più in generale, in quelli dell'alto mantovano e della bassa gardesana. (5-09397)

Interrogazioni a risposta scritta:


      COLONNESE, LOREFICE e BRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'organizzazione non governativa Human Rights Watch, che si occupa di studi e ricerche sulle violazioni delle norme internazionali sui diritti umani, in una dichiarazione pubblicata in data 26 luglio 2016 ha denunciato il presunto respingimento effettuato dalle autorità italiane di un minore straniero non accompagnato verso la Grecia;
          il minore in questione sarebbe un diciassettenne curdo iracheno che ha raccontato di essere arrivato in Italia dopo 18 ore di viaggio, nascosto sotto un camion imbarcato su un traghetto partito dalla Grecia ma di essere stato individuato dalla polizia italiana che lo avrebbe chiuso in una cabina dello stesso vettore e respinto nuovamente verso la Grecia;
          l'organizzazione Human Rights Watch aveva già documentato e denunciato episodi simili nel 2013; la Corte europea dei diritti dell'uomo con la sentenza Sharifi ed altri c. Italia e Grecia n.  16643/09 del 21 ottobre 2014 aveva già condannato l'Italia per aver effettuato dei respingimenti verso la Grecia;
          i minori stranieri sono titolari dei diritti garantiti dalla Convenzione di New York sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 1989, ratificata dall'Italia con la legge n.  176 del 1991, in cui viene affermato il principio del «superiore interesse del minore» in merito a tutte le decisioni riguardanti i minori;
          l'articolo 19, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n.  286 del 1998 sancisce il divieto di espulsione dei minori stranieri e conseguentemente anche il divieto di respingimento alla frontiera;
          il trasferimento di richiedenti protezione internazionale a norma del regolamento (UE) n.  604/2013 noto come regolamento «Dublino III», dagli Stati membri verso la Grecia è stato sospeso dal 2011 a causa di gravissime carenze sistemiche così come stabilito da due sentenze di cui M.S.S. c. Belgio e Grecia n.  30696/09 della Corte europea dei diritti dell'uomo e N.S. e altri della Corte di giustizia dell'Unione europea nei procedimenti riuniti C-411/10 e C-493/10;
          la cosiddetta «crisi dei rifugiati» a seguito del perdurare del violento conflitto in Siria, e la chiusura della cosiddetta «rotta balcanica» ha contribuito ad aggravare le condizioni dei migranti tuttora bloccati in Grecia in attesa della procedura d'asilo (si stimano circa 8.000 migranti presenti sulle isole e tra i 50/60 mila sulla terraferma);
          in data 10 febbraio 2016 la Commissione europea presentava una raccomandazione C(2016) 871 alla Grecia rispetto alle misure che il Paese deve adottare con urgenza in vista della ripresa dei trasferimenti a norma del regolamento (UE) n.  604/2013, evidenziando come la situazione in cui versa il sistema di accoglienza greco sia ancora grave ed al di sotto degli standard minimi previsti dalle norme internazionali;
          in occasione del question time tenuto presso il Senato della Repubblica in data 28 luglio 2016 sul tema del sistema di accoglienza migranti, il Ministro dell'interno Alfano, rispondendo ad una interrogazione circa i minori stranieri non accompagnati dichiarava che: «un conto è il bambino di quattro, sette o dieci anni, che è minore non accompagnato; un altro conto è un ragazzo, alto un metro e novanta e che afferma di avere diciassette anni, ma che non dà l'impressione di essere debole ed indifeso»;
          l'articolo 19 del decreto legislativo 25 del 2008 sancisce che qualora vi fossero dubbi circa la minore età, anche a seguito di accertamenti medico-sanitari non invasivi, vale sempre la presunzione di minore età dello straniero ed in alcun modo questa può essere contraddetta secondo criteri di soggettività  –:
          se il Governo sia a conoscenza di queste presunte pratiche illegittime in atto, se siano state date specifiche istruzioni operative in tal senso alle forze dell'ordine che si trovano a gestire episodi quale quello denunciato o se si tratti di iniziative individuali;
          quali urgenti iniziative intenda assumere per verificare la veridicità di quanto denunciato, prendere i giusti provvedimenti e fare in modo che non vengano più perpetrate ai danni di soggetti vulnerabili, quali i minori stranieri non accompagnati, violazioni di diritti fondamentali.
(4-14017)


      COLONNESE, LOREFICE, BRESCIA e SIBILIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 14 luglio 2016, un migrante proveniente dalla Nuova Guinea, Idrissa Diallo di 19 anni, è morto poco dopo il suo ricovero presso l'ospedale Moscati di Avellino. Il ragazzo era giunto al pronto soccorso con febbre altissima e ormai in stato di coma, con rigidità nucale e, secondo quanto dichiarato dal dottor Nicola Acone, primario del dipartimento di malattie infettive del Moscati di Avellino, sarebbe andato quasi subito in arresto cardiaco, spirando poche ore dopo l'arrivo in ospedale. I medici ritengono che il giovane sia stato colpito da una meningoencefalite di tipo infettivo. Nel caso di insorgenza contemporanea delle due infiammazioni, meningite e encefalite, i sintomi che si osservano sono praticamente gli stessi che dipendono dalle singole infiammazioni: febbre alta, vomito, mal di testa, rigidità nucale e l'infiammazione può essere causata da anche dal morso di una zecca, (chiamata anche Tbe: tick borne encephalitis). Il giovane era ospite di una struttura di accoglienza temporanea gestita dall'azienda agrituristica Petrilli, nel comune di Monteforte Irpino;
          il caso di Idrissa Diallo dovrebbe accendere i riflettori su una condizione più ampia, che riguarda il numero imprecisato di migranti arrivati dall'Africa lungo una tratta di migliaia di chilometri attraverso il deserto e il mare. Nei centri di accoglienza      arrivano stanchi, a volte malati. Infezioni e febbri non necessariamente prese nel deserto: «La meningite ha un periodo di incubazione di una settimana», dichiarano i volontari di Comunità accogliente in riferimento al tragico fatto di cronaca. Già tempo fa, durante un report effettuato nelle strutture che danno accoglienza agli stranieri in Irpinia, i sindacalisti della Cgil avevano denunciato le precarie condizioni di salute di alcuni ospiti africani. Da allora però non è stato fatto nulla, né quell'appello-denuncia è stato mai preso seriamente in considerazione dalle autorità preposte;
          in qualità di membro della commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, nel corso di ispezioni ai CAS, spesso la prima firmataria del presente atto si è imbattuta in situazioni di pessime condizioni igieniche e, come si rileva anche da fonti di stampa, di migranti che denunciano parassitosi e cattive condizioni igienico-sanitarie. La struttura di accoglienza «Agriturismo Petrilli» dovrebbe risultare vincitrice di gara d'appalto ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n.  163 del 2006, e dovrebbe essere dunque firmataria, tra gli altri, dell'allegato A al bando di gara «capitolato d'oneri», in base al quale, oltre ai servizi di sussistenza, ai migranti ospitati deve essere garantita assistenza medica e mediazione culturale;
          si ricorda inoltre che la stessa azienda, già nel dicembre 2015 era stata interessata da un grave fatto di cronaca: un suo ospite, Emokpa Edosa, nigeriano di 37 anni, è stato rinvenuto privo di vita, nella sua camera all'interno proprio della struttura di accoglienza «Agriturismo Petrilli» che lo ospitava. Sul caso è stata presentata l'interrogazione a risposta scritta al Ministero dell'interno n.  4-11447 ancora senza risposta;
          l'attuale andamento del fenomeno migratorio ha mostrato l'esigenza di un intervento che non sia solo emergenziale, ma che abbia un approccio sistematico e strutturato. Nell'ambito del sistema organizzativo di accoglienza bisognerebbe prestare particolare cura non solo alle procedure relative ai pubblici appalti per la gestione dell'accoglienza dei migranti, comprese le strutture temporanee, ma anche agli affidatari di tali servizi, al fine di prevenire e contrastare eventuali fenomeni corruttivi e di infiltrazione da parte della criminalità;
          nonostante la direttiva del Ministro dell'interno in materia di implementazione delle attività di controllo sui soggetti affidatari dei servizi di accoglienza dei cittadini extracomunitari, nella circolare n.  11209 del 20 agosto 2015 trasmessa ai prefetti, si denotano delle evidenti criticità di tutto il sistema di accoglienza «emergenziale», che non risponde in maniera efficace ed efficiente al fenomeno spesso ignorando le indicazioni di buone prassi per la sua gestione  –:
          se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
          quali iniziative intenda assumere per monitorare l'operato e i servizi offerti dai soggetti affidatari operanti sul territorio che gestiscono l'accoglienza, indicando nel caso specifico, se sia stato effettuato effettivamente lo screening medico di cui al «capitolato d'oneri»; il corretto impiego dei fondi comunitari; il costante rispetto dei diritti umani nei centri di accoglienza; la celere produzione dei documenti necessari ai migranti per soggiornare in Europa;
          se e quali strategie intenda attuare per prevenire episodi similari a quello descritto in premessa, che stanno interessando tutto il territorio nazionale, denotando delle evidenti criticità di tutto il sistema di accoglienza «emergenziale», che non sta rispondendo in maniera efficace ed efficiente ad un fenomeno si complesso, ma in relazione al quale spesso vengono ignorate le buona prassi per la sua gestione;
          se non intenda assumere iniziative per approntare un registro delle società, associazioni o aziende che gestiscono l'accoglienza straordinaria dei migranti in strutture temporanee, in modo da avere una black-list di quelle che non si attengono al capitolato d'oneri ovvero di quelle presso le quali si siano verificati gravi fatti di cronaca come quelli descritti e se, in tali casi non ritenga, anche ricorrendo a iniziative normative, di procedere oltre all'applicazione di semplici sanzioni pecuniarie, anche a risolvere la concessione e a vietare che vengano assegnati      altri bandi per l'accoglienza;
          se, nel caso specifico descritto in premessa, siano stati approntati tutti gli interventi di profilassi atti a scongiurare contagi, non solo tra gli ospiti del centro ma anche tra la cittadinanza e gli operatori afferenti al centro. (4-14018)


      PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 30 luglio si è tenuto a Rimini il Summer Pride 2016, organizzato da Arcigay per celebrare tutte le affettività;
          la manifestazione ha visto il sostegno attivo dell'amministrazione locale e la partecipazione di migliaia di persone e si è conclusa in Piazza Fellini;
          nella stessa piazza in concomitanza Forza Nuova era presente con un presidio, esplicitamente rivolto a contestare e provocare il Pride;
          questo ha comportato la necessità di predisporre un imponente servizio di sicurezza da parte delle forze dell'ordine, con relativo impiego di mezzi e risorse, altrimenti più proficuamente impiegabili;
          si è inoltre consentito ad un gruppo di neo-fascisti, già noto alle locali cronache giudiziarie, di recare disturbo ad una bella festa di popolo, partecipata da numerosi esponenti istituzionali  –:
          come si concili l'autorizzazione del presidio di Forza Nuova nella stessa piazza già destinata al Summer Pride, nonostante le intenzioni palesemente ostili che ne accompagnavano la convocazione. (4-14022)


      QUARTAPELLE PROCOPIO, PRINA, CASATI, COVA e GASPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella città di Magenta è operante, da luglio 2014, su corrispondente indicazione della prefettura di Milano, un centro di accoglienza straordinaria per cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale, attivato per ospitare 100 persone circa presso la locale struttura «La Vincenziana» e gestito dalla cooperativa sociale «Intrecci» di Rho;
          l'amministrazione comunale di Magenta ha tempestivamente fornito all'autorità di Governo e ai soggetti preposti all'accoglienza dei cittadini stranieri, fin dalla attivazione della struttura, la necessaria e opportuna assistenza e il relativo sostegno, al fine di consentire la migliore convivenza tra la predetta struttura e la comunità locale circostante;
          nonostante diverse manifestazioni organizzate per protestare contro l'apertura della riferita struttura di accoglienza, la situazione in essere non ha creato sino ad oggi nessun eccezionale disagio rispetto alla presenza nel territorio dei cittadini stranieri accolti;
          sotto l'egida dell'amministrazione comunale e sempre in collaborazione con la Cooperativa Intrecci, i cittadini stranieri sono piuttosto stati positivamente coinvolti in diverse attività promosse da associazioni sportive dilettantistiche e laboratori teatrali, nella giornata del verde pulito e in generale in molteplici iniziative minori a carattere ricreativo e aggregativo svolte in città;
          secondo le cifre fornite dagli organi di informazione, al 10 luglio 2016, la città di Magenta, sulla base della quota di proporzionalità rispetto alla popolazione residente e riferendosi ai 100 cittadini stranieri accolti, ospitava 61 persone in più di quelle teoricamente previste;
          in questo contesto, all'inizio del mese di luglio 2016 l'amministrazione comunale ha appreso, peraltro solamente a seguito di contatti informali, dell'intenzione della prefettura di Milano di attivare, sin dal mese di agosto 2016, un secondo centro di accoglienza straordinaria in quel territorio, destinato all'ulteriore ospitalità di 30/50 cittadini stranieri; tale eventualità è stata confermata dal sindaco di Magenta dal prefetto di Milano, nel corso di un incontro svolto il 19 luglio 2016, durante il quale il sindaco ha altresì rappresentato al prefetto l'enorme criticità che comporterebbe l'apertura di un nuovo centro di accoglienza di migranti a Magenta, sottolineando, da una parte, lo straordinario sforzo collettivo che la città già svolge per accogliere cento cittadini stranieri nella struttura «La Vincenziana» e, dall'altra, le problematiche di carattere logistico, urbanistico, igienico-sanitario che la nuova struttura individuata potrebbe presentare nell'essere destinata a funzioni di accoglienza;
          con propria nota del 29 luglio 2016, il sindaco di Magenta ha ulteriormente evidenziato al prefetto di Milano alcune osservazioni critiche rispetto alla possibilità che sia attivata, sul territorio comunale, una seconda struttura, oltre a quella già operante, per l'accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale; in particolare, l'amministrazione comunale ha richiamato l'attenzione: i) sulla localizzazione dell'immobile, che è situato al centro di un'area agricola, in una posizione sprovvista di collegamenti con il nucleo urbano, isolata da un tratto della SP ex SS 11 Padana Superiore e pertanto difficilmente raggiungibile; ii) sulla destinazione corrente del compendio, tipica cascina lombarda costituita da un cortile comune a forma di quadrilatero e, ai lati, da strutture per attività agricola e abitazioni, attualmente abitato da due nuclei familiari per un totale di otto persone, che verserebbero nella delicata situazione di condividere gli spazi comuni con il centro di accoglienza, alimentando una tensione facilmente immaginabile che non gioverebbe in alcun modo ad una serena accoglienza; iii) sulla risposta della comunità locale, che, già impegnata con grande senso di responsabilità e di sincera solidarietà a collaborare con il soggetto gestore della struttura «La Vincenziana» per sviluppare progetti promossi da realtà dell'associazionismo e del volontariato, difficilmente riuscirebbe a garantire altrettanta attenzione e sensibilità nei confronti dei nuovi cittadini stranieri che potrebbero essere ospitati presso il secondo centro, in ragione, tra l'altro, anche delle riferite difficoltà a raggiungere l'immobile e comunque solo a pena di impoverire le condizioni di una giusta accoglienza verso quanti sono già presenti  –:
          se la prefettura di Milano intenda effettivamente attivare durante il mese di agosto 2016 nel comune di Magenta una nuova struttura per l'accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale, se abbia verificato adeguatamente l'idoneità, la capienza e la compatibilità della dislocazione logistica della nuova struttura che dovrebbe essere attivata e, in ogni caso, se siano state valutate soluzioni alternative alla stessa che privilegino una più corretta applicazione della quota di proporzionalità tra comuni nella distribuzione territoriale dei posti destinati all'accoglienza. (4-14024)


      COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Ministero dell'interno, dipartimento dei vigili del fuoco e soccorso pubblico e difesa civile in data 2 aprile 2015 ha pubblicato un bando di gara per l'acquisto di n.  100.000 magliette polo di tessuto ignifugo ad un importo massimo di euro 3.500.000,00 iva esclusa;
          lo stock di magliette acquistato si differenzia da quelle attualmente in uso al Corpo dei vigili del fuoco, oltre che per la composizione del tessuto, anche per il colore grigio con bordi gialli in luogo dell'abituale colore rosso;
          dal sito internet del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nella sezione gare e pubblicità legale, in data 25 luglio 2016 risulta aggiudicato un ulteriore bando per la fornitura di n.  40.000 magliette polo ignifughe al prezzo di euro 1.308.000 iva esclusa  –:
          quale sia stato il prezzo finale al quale è stato assegnato l'appalto e chi sia stato il soggetto aggiudicatore;
          quale siano le esigenze che hanno condotto a bandire la gara per l'acquisto di 100.000 magliette polo ignifughe e se la fornitura di 40.000 magliette polo riportata in premessa sia da considerarsi aggiuntiva a quella prevista dal bando del 2 aprile 2015. (4-14027)


      CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel territorio di Anzio, in provincia di Roma, si registra la presenza di noti gruppi criminali, come testimoniato dal processo «Appia», conclusosi innanzi al tribunale di Velletri con condanne per associazione a delinquere di tipo mafioso;
          in particolare, secondo le relazioni della direzione nazionale antimafia 2012, 2013 e 2014, in tale territorio, opera il clan ‘ndrangherista Gallace. Figura importante di questo clan risultava essere Nicola Perronace, fratello di Pasquale Perronace, attuale consigliere comunale di maggioranza ad Anzio;
          nel comune risulta attivo anche il clan dei Casalesi, come attestano le indagini della direzione distrettuale antimafia di Roma, nonché numerose sentenze, anche passate in giudicato, emesse dall'autorità giudiziaria a carico di Pasquale Noviello ed altri, per reati che vanno dall'associazione a delinquere di stampo camorristico al tentato omicidio;
          il 5 marzo 2012, alle ore 15 circa, ignoti esplodevano numerosi colpi di pistola all'indirizzo della villa dell'assessore Patrizio Placidi;
          la notte del 14 febbraio 2015, venivano sparati numerosi colpi di arma da fuoco contro l'abitazione dell'assessore ai lavori pubblici di Anzio, Alberto Alessandroni;
          risulterebbe essere stato richiesto il rinvio a giudizio secondo quanto risulta agli interroganti, per vari reati, nei confronti di amministratori e consiglieri comunali di Anzio, in particolare nei confronti dell'assessore per l'ambiente Patrizio Placidi, del consigliere comunale Valentina Salsedo, di suo marito Ernesto Parziale, nonché del dottor Walter Dell'Accio, dirigente dell'ufficio ambiente;
          nell'ambito del procedimento penale denominato «Mala Suerte», nel maggio 2016, venivano tratti in arresto diversi pregiudicati di Anzio, tra i quali spiccano Roberto Madonna e Angelo Pellecchia, arrestati per estorsione aggravata, giusta ordinanza di custodia emessa dal giudice per le indagini preliminari di Velletri Zsusa Mendola;
          nell'ambito del procedimento, sarebbe emerso che la cooperativa Supercar, che gestisce ad Anzio i parcheggi per la sosta delle vetture dei turisti diretti a Ponza, avrebbe versato somme agli indagati Madonna e Pellecchia;
          in particolare, riferirebbe alla polizia l'amministratrice della ditta citata: «nel 2012, però, al porto iniziò ad operare un'altra cooperativa denominata I Neroniani il cui rappresentante era Ernesto Speziale, titolare della pizzeria Antico grottino di Anzio. A nome della cooperativa operavano certi personaggi di origine campana tra cui tale Angelo Pellecchia, che attualmente gestisce un bar in via Roma di Anzio e tale Letizia Raffaele, di circa 50 anni, che per sentito dire, faceva parte della camorra e che Pellecchia Angelo chiamava Schiavone. Per questo motivo mi rivolsi dapprima al Comando dei vigili urbani e poi all'Ufficio commercio del Comune per avere chiarimenti, ricevendo assicurazioni di un fattivo interessamento. Non avendo avuto riscontro, decisi di rivolgermi ad un personaggio politico di Anzio, [...] il quale mi lasciò intendere di lasciar perdere, vista la reputazione dei personaggi ed in virtù del fatto che la cooperativa era sponsorizzata da Giorgio Zucchini (...) Evidentemente Giorgio Zucchini venuto a conoscenza delle mie lamentele, nell'inverno del 2013, mi chiese di avere un incontro con lui e con Parziale Ernesto per chiarire la situazione. Entrambi si presentarono nel mio ufficio [...] mio malgrado fui costretta ad accettare la collaborazione della cooperativa che avrebbe avuto il 30 per cento del ricavato;
          nell'ambito delle attività d'indagine, sarebbero emerse numerose intercettazioni telefoniche in cui il cennato Madonna avrebbe minacciato gravemente De Bernardinis e di mettere una bomba sotto la vettura dell'amministratore della Supercar;
          i legami sopra descritti tra esponenti della malavita organizzata e membri dell'amministrazione comunale di Anzio rendono opportuno l'intervento del Governo quantomeno ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico sugli enti locali;
          come noto, in base ai suddetti articoli, in presenza di atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico si può procedere allo scioglimento del consiglio comunale oppure alla rimozione del sindaco o dei singoli componenti del consiglio o della giunta;
          a parere dell'interrogante i fatti sopra riportati impongono al Governo di verificare l'opportunità di adottare i provvedimenti in questione  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e se non ritenga di assumere le iniziative di competenza ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (4-14032)


      GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 29 luglio 2016, la stampa locale ha dato notizia dell'apparizione di alcune scritte inquietanti nell'area del comune di Lomazzo in cui sorge la stazione delle Ferrovie nord;
          gli slogan dipinti sui vetri del nuovo ascensore e sulle mura annunciavano minacciosamente, tra l'altro, «bruceremo le Chiese», «bruceremo gli Altari» e «bruceremo i palazzi»;
          la circostanza è stata stigmatizzata dalle autorità politiche di Lomazzo, che hanno chiesto alle Ferrovie nord di procedere quanto meno all'esame dei filmati registrati dagli strumenti di videosorveglianza, allo scopo di facilitare l'individuazione dei responsabili;
          sembra comunque opportuno un intervento delle forze dell'ordine  –:
          quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per contribuire a far luce sulle scritte minatorie nella stazione di Lomazzo delle Ferrovie nord e comunque per assicurare la legalità nel perimetro di questa infrastruttura. (4-14036)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la legge n.  190 del 2014 (stabilità 2015) ha abrogato con decorrenza 1o settembre 2015 l'articolo 459 del decreto legislativo n.  297 del 1994 che indicava i criteri e le modalità per ottenere l'esonero o il semiesonero del docente vicario o collaboratore del dirigente scolastico;
          la legge n.  107 del 2015 – cosiddetta Buona scuola – ha previsto che il dirigente scolastico possa individuare nell'ambito dell'organico dell'autonomia fino al 10 per cento dei docenti che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico;
          la figura del collaboratore vicario non scompare, ma sono mutati i criteri e le modalità di individuazione di queste figure che vanno individuate nell'organico potenziato;
          sono in corso le operazioni di costituzione degli organici per l'anno scolastico 2016/17 e, come già accaduto lo scorso anno per il quale era stata prevista una deroga, spunta nuovamente il problema di esoneri e semiesoneri dei docenti vicari conseguente alla nuova normativa;
          risulta all'interrogante che l'ufficio scolastico della regione Calabria sia intervenuto in materia con una nota che invita i dirigenti scolastici dall'astenersi dall'inserire al SIDI le posizioni di esonero e/o di semiesonero;
          a causa della carenza di dirigenti scolastici molti titolari saranno obbligati a proseguire o ad accettare situazioni di reggenze non sempre risolvibili con la nomina di collaboratori vicari; in alcuni casi, infatti, in seguito all'applicazione della normativa su citata, sarà impossibile nominare vicari alcuni docenti ove questi appartengono a situazioni particolari (docente di primaria di religione cattolica (IRC), materia non prevista nell'organico di potenziamento; docenti di una materia per la quale non è stato previsto neanche un posto di potenziamento nell'istituto interessato);
          di conseguenza, i dirigenti scolastici ai quali sarà imposta una reggenza, potrebbero essere costretti a seguire più di un istituto senza coadiutori, con conseguenti ripercussioni sulla qualità, oltre che sulla quantità del loro lavoro  –:
          se la Ministra interrogata non ritenga di operare una ricognizione al fine di valutare tutte le possibili situazioni di difficoltà e di assumere iniziative volte a prevedere che i dirigenti scolastici possano indicare, come propri collaboratori, anche docenti che attualmente non potrebbero essere nominati. (5-09348)


      CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito dei decreti attuativi della legge n.  107 del 2015, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sta per emanare il decreto sugli organici per il prossimo anno scolastico;
          in numerose diocesi italiane un numero considerevole di insegnanti di religione cattolica sono già stati scelti come collaboratori del dirigente scolastico;
          vi è il rischio, serio ed oggettivo, che non intervenendo in modo tempestivo, seppur rispettoso, tutti costoro vengano definitivamente esclusi da questi compiti, in quanto non rientrano nell'organico dell'autonomia;
          l'esclusione degli insegnanti di religione dall'incarico di vicario creerebbe una palese discriminazione tra insegnanti e produrrebbe il mancato rispetto della normativa pattizia vigente, considerato inoltre che ciò non comporterebbe alcun aggravio economico per lo Stato;
          alcune sigle sindacali tra cui l'ANP (Associazione nazionale presidi), si sono espresse in questa direzione;
          cresce l'allarme fra quella parte dei vicari esonerati dall'insegnamento che appartengono a situazioni particolari (insegnanti di religione, insegnanti di scuola dell'infanzia, insegnanti per i quali nell'organico di potenziamento non vi è comunque corrispondenza); per loro, una nota del capo dipartimento aveva previsto una specifica soluzione, che ora invece – ma è tutto ufficioso – sembrerebbe non essere più praticabili;
          le riserve del Ministero dell'economia e delle finanze in materia di spesa potrebbero essere assorbite dalla mancata assunzione di alcune centinaia di insegnanti in fase C, particolarmente per quanto riguarda il sostegno, le cui graduatorie risulterebbero esaurite in numerose province  –:
          se il Ministro interrogato intenda valutare l'opportunità di intraprendere al più presto un'iniziativa affinché nel decreto sugli organici venga esplicitata la possibilità che i dirigenti scolastici possano scegliere come collaboratore anche un insegnante di religione. (5-09349)


      CHIMIENTI, LUIGI GALLO, VACCA, DI BENEDETTO, BRESCIA, D'UVA, MARZANA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la legge 13 luglio 2015, n.  107, all'articolo 1 comma 79, ha previsto che: «il Dirigente Scolastico propone gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati all'ambito territoriale di riferimento [...] anche tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesimi»;
          mediante il suddetto comma 79, la legge 13 luglio 2015, n.  107, sancisce la facoltà di scelta da parte dei dirigenti scolastici dei docenti che dovranno ricoprire i posti dell'organico dell'autonomia che risulteranno disponibili e vacanti;
          la nota ministeriale emessa 22 luglio 2016, recante il titolo «Indicazioni operative per l'individuazione dei docenti trasferiti o assegnati agli ambiti territoriali e il conferimento degli incarichi nelle istituzioni scolastiche», espone le linee guida del provvedimento determinando una situazione per la quale, a partire dall'anno scolastico 2016/2017, i trasferimenti del personale interessato alla mobilità non saranno più su sede;
          in base alla suddetta nota ministeriale, i docenti di ruolo non saranno più assegnati alle sedi scolastiche sulla base di anzianità e punteggi, ma per le loro competenze ed esperienze, sdoganando una volta per tutte il principio di scelta discrezionale da parte del dirigente scolastico del personale docente della sua scuola;
          ogni singolo dirigente potrà, infatti, scegliere di privilegiare alcuni criteri anziché altri, entro la rosa sancita dal Governo, facendo venire di fatto a mancare l'oggettività a causa dell'assenza di criteri univoci nazionali;
          il giorno 13 aprile 2016 l'ANAC, l'Autorità nazionale anticorruzione, ha emanato la delibera n.  430 mediante la quale analizza i motivi di possibile corruzione all'interno delle istituzioni scolastiche. Tra i processi a rischio di corruzione l'ANAC inserisce anche il conferimento degli incarichi di docenza, il quale a suo avviso può creare «discriminazioni e favoritismo nell'individuazione all'interno degli ambiti del personale cui conferire incarichi»;
          per ovviare a questo pericolo l'Autorità nazionale anticorruzione consiglia di «definire anche attraverso la consultazione degli organi collegiali, e pubblicazione sul sito internet della scuola, dei criteri oggettivi per l'attribuzione di incarichi; la diramazione di circolare esplicative dei criteri, nonché la pubblicazione tempestiva degli incarichi di docenza conferiti»;
          inoltre, nell'allegato 1 della suddetta delibera, viene identificato come «Processo a maggior rischio corruttivo» la «Formulazione di proposte di incarico ai docenti coerenti con il PTOF», perché collegato all'evento rischioso di «favorire il posizionamento nelle graduatorie interne di particolari docenti o personale ATA di ruolo attraverso l'attribuzione illegittima di punteggi». Come rimedio, viene proposta la «Pubblicazione, sul sito internet della scuola, della normativa contenente i criteri per la formazione delle graduatorie e della graduatoria, nel rispetto della normativa sulla tutela dei dati personali, come da decreto legislativo numero 196/2003»;
          le suddette indicazioni dell'ANAC non sono state tenute in considerazione dalla nota ministeriale del 22 luglio 2016, dal momento che la stessa nota specifica: «i dirigenti scolastici individuano un numero congruo di criteri, indicativamente da tre a sei, anche in ordine di priorità, coerenti con il Piano triennale dell'offerta formativa e il Piano di miglioramento, corrispondenti alle competenze richieste per l'individuazione dei docenti»;
          inoltre, sempre secondo la nota, i dirigenti «esaminano la corrispondenza dei CV dei docenti inseriti nell'ambito, partendo da quelli che hanno presentato la propria candidatura, con i criteri prefissati. I dirigenti scolastici, per ciascuno dei posti, individuano così il docente cui proporre l'incarico, eventualmente anche mediante colloqui, in presenza o in remoto»;
          colloqui che come emerge nell'articolo pubblicato in data 26 luglio 2016 sul sito Orizzonte Scuola e dal titolo «Chiamata diretta, come prepararsi al colloquio col dirigente in 10 mosse. Mentire si può, attenti a Skype», sembrano facilmente aggirabili;
          la scelta di docenti non può, ad avviso degli interroganti, prescindere dalla valorizzazione dell'anzianità di servizio, che costituisce uno dei pochi, oggettivi, valori aggiunti in capo alle singole figure professionali di docenti  –:
          se e in che modalità il Ministro interrogato intenda adeguare i contenuti della nota ministeriale del 22 luglio 2016 a quanto suggerito dall'Autorità nazionale anticorruzione. (5-09352)


      DE MENECH. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'ufficio scolastico regionale del Veneto ha chiesto al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca un incremento dei posti dell'organico di diritto per    l'anno scolastico 2016/2017 del personale docente delle scuole del Veneto, al fine di evitare il ripetersi delle numerose criticità che erano precedentemente emerse, che hanno penalizzato il servizio scolastico della regione, generando un'anomala disparità di trattamento con le altre regioni;
          l'ufficio scolastico regionale Veneto ha segnalato diverse criticità: 175 classi sovradimensionate che non era stato possibile sdoppiare (equivalenti a 289 posti mancanti), 1480 ore eccedenti all'orario prescritto di 18 ore (equivalenti a 82 cattedre risparmiate), 20 sezioni di scuola dell'infanzia non autorizzabili (pari a 40 posti mancanti), n.  8 turni pomeridiani di sezioni di scuola dell'infanzia non attivabili (pari a 8 posti), 130 cattedre di liceo musicale non inseribili al SIDI;
          il Ministero ha applicato al Veneto in organico di diritto 2016/2017 una riduzione di 92 posti rispetto all'organico di diritto 2015/2016;
          l'ufficio scolastico regionale Veneto ha richiesto al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'assegnazione del numero indispensabile di posti di personale docente in sede di adeguamento dell'organico alla situazione di fatto per l'anno scolastico 2016/2017, calcolato in 48.530 posti;
          la richiesta di organico di fatto per le scuole statali del Veneto per l'anno scolastico 2016/2017 ammonta a 48.530 posti, che superano quelli dell'organico di diritto per l'anno scolastico 2016/2017 di 3.013 posti;
          la nota arrivata in questi giorni dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca presenta un taglio delle risorse dell'organico di fatto non solo per la scuola Veneta, ma anche per Belluno. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca dice che sia dovuto ai 3000 alunni in meno;
          negli ultimi quattro anni, tra scuola dell'infanzia e primaria, in provincia di Belluno sono stati persi complessivamente 600 alunni;
          la flessione, iniziata diversi anni fa, ha portato pian piano ad una riorganizzazione delle istituzioni scolastiche provinciali. Un dato che non era mai stato raggiunto prima e che porta con sé tutte le problematiche a livello di istruzione;
          in provincia, ed in particolare nelle zone più marginali, le pluriclassi stanno diventando una prassi; solo nell'anno scolastico appena finito nel bellunese sono state circa una ventina;
          se i numeri comunicati, saranno confermati, l'ufficio scolastico provinciale non sarà in grado di garantire lo sdoppiamento delle classi soprannumerarie, delle pluriclassi costituite in od oltre la norma e deroga di montagna, delle classi articolate con più di 30 alunni, e l'avvio dei percorsi di istruzione e formazione professionale (leFP) e dei corsi serali, date le ore previste per il tempo pieno (44 e non 40), e il doppio turno alle sezioni dell'infanzia;
          la montagna ha deroghe che oggi l'ufficio scolastico regionale non rispetta, contravvenendo così ai principi normativi, e soprattutto mettendo a rischio i presidii nelle zone più periferiche;
          sono molte le scuole costrette a chiudere;
          è sempre maggiore la preoccupazione che non venga garantita agli alunni bellunesi il diritto allo studio ed una scuola efficiente e di qualità;
          la scuola rappresenta un perno della vita sociale per i paesi e le valli di montagna, già in notevole difficoltà visto il calo sempre maggiore dei servizi;
          si rischia, ancora una volta, di perdere un altro servizio essenziale per la montagna;
          questa situazione rischia di vanificare la riforma «la buona scuola» che ha tra i principali obiettivi il potenziamento dell'organico  –:
          se e come il Governo intenda far fronte a questa situazione di sofferenza creatasi per la scuola veneta ed in particolare quali iniziative si intendano adottare    per le scuole in difficoltà soprattutto nelle zone più critiche della provincia di Belluno. (5-09356)


      LUIGI GALLO, MARZANA, BRESCIA, VACCA, CHIMIENTI e FRUSONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          con la mozione n.  1-01312 approvata a larghissima maggioranza nella seduta n.  644 del 29 giugno 2016 con 436 voti favorevoli e soli 6 voti contrari, la Camera dei deputati ha impegnato il Governo, inter alia: «a valutare la possibilità di aggiornare il modello di calcolo del costo standard dello studente, in particolare per quanto riguarda: l'addendo perequativo, per tener meglio conto, come prescrive la legge n.  240 del 2010, dei “differenti contesti economici; territoriali e infrastrutturali” in cui operano le università; il numero di, studenti (regolari, in ritardo e part-time) da ponderare con maggiore gradualità; le dimensioni ottimali dei corsi di studio articolandole rispetto alle classi di corsi di laurea, ai contesti territoriali e alle tipologie di studenti»;
          l'urgenza di una diversa distribuzione delle risorse, basata sulle eterogeneità dei «differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali» del nostro Paese, deriva dal fatto che i tagli subiti dall'università pubblica dal 2008 ad oggi sono stati fortemente squilibrati a livello territoriale e hanno colpito in particolare le università del centro-sud innescando poi un meccanismo a catena che ha comportato, inter alia, un calo delle immatricolazioni di circa il –30 per cento al sud, del –22 per cento al centro e del –3 per cento al nord (circa i due terzi delle matricole mancanti sono da rintracciarsi nel Meridione e nelle isole, e, in valori assoluti, le università campane e quelle siciliane hanno avuto 6.500 matricole in meno tra il 2009 e il 2013; 5.000 in meno quelle pugliesi), come confermato da una grande mole di dati raccolti negli ultimi anni e da numerosi report, tra cui quello del gruppo di ricerca coordinato da Gianfranco Viesti nel suo recente rapporto «Università in declino» pubblicato da Donzelli nel 2016 o quello recentemente pubblicato da Almalaurea;
          come approfondito dalla disamina del succitato Gianfranco Viesti nell'articolo «L'ultimo schiaffo agli atenei del Sud» pubblicato su Il Mattino il 26 luglio 2016, la mozione, n.  1-01312 si configura come punto d'arrivo, seppur parziale, di un iter iniziato precedentemente da altri atti parlamentari, tra cui, ad esempio, una mozione per «Iniziative volte a favorire l'accesso agli studi universitari, con particolare riferimento ad un'equa ripartizione delle risorse sul territorio nazionale» dei deputati Pisicchio e Palese; a questa si era affiancata una mozione di alcuni deputati del Movimento 5 Stelle, specie per quanto concerne una no-tax area per gli studenti al di sotto di una certa soglia ISEE;
          tali mozioni sono state discusse il 23 maggio e il voto è avvenuto nella seduta del 29 giugno 2016 ove si è svolta una discussione molto articolata su numerosi mozioni, tra cui: Vacca ed altri n.  1-01268, Centemero e Occhiuto n.  1-01283, Borghesi ed altri n.  1-01289, Brignone ed altri n.  1-01293, Marzano ed altri n.  1-01295, Pannarale ed altri n.  1-01298, Rampelli ed altri n.  1-01301 e Ghizzoni, Pisicchio, Vezzali, Santerini, Buttiglione ed altri n.  1- 01312;
          si ribadisce che, tra i vari impegni approvati nella seduta n.  644 del 29 giugno 2016, spicca la possibilità di aggiornare il modello di calcolo del costo standard dello studente, in particolare per quanto riguarda: l'addendo perequativo; i «differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali» in cui operano le università; il numero di studenti (regolari, in ritardo e part-time) da ponderare con maggiore gradualità; le dimensioni ottimali dei corsi di studio articolandole rispetto alle classi di corsi di laurea, ai contesti territoriali e alle tipologie di studenti;
          ciononostante, il decreto ministeriale 6 luglio 2016 n.  552, «Criteri di ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) per l'anno 2016», non solo non ha previsto alcuna ridefinizione del computo del cosiddetto «costo standard di formazione per studente in corso» atta a fornire un sostegno agli atenei in funzione delle diverse esigenze territoriali, ma addirittura ne ha stabilito un aumento del peso nel riparto, pari al 28 per cento della quota base di euro 4.725.922.155, mostrando un +3 per cento rispetto al 25 per cento dell'anno precedente di cui all'articolo 2, lettera a), del decreto ministeriale 8 giugno 2015 n.  335  –:
          quali siano le ragioni che hanno portato il Governo a non dare piena attuazione all'impegno voluto dalla grande maggioranza delle forze parlamentari di valutare, nella distribuzione del fondo di finanziamento ordinario per le università, la possibilità di aggiornare il modello di calcolo del costo standard dello studente al fine di fornire sostegno alle diverse esigenze territoriali degli atenei, con particolare attenzione alla situazione di disagio vissuta da quelli del Centro-sud;
          con quali modalità il Ministro interrogato intenda perseguire le finalità    indicate nelle citate mozioni approvate dalla Camera dei deputati concernenti iniziative volte a favorire l'accesso agli studi universitari, con particolare riferimento ad un'equa ripartizione delle risorse sul territorio nazionale. (5-09358)


      SGAMBATO, CUOMO, DI LELLO, CARLONI, PALMA e MANZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la legge n.  107 del 2015 ha previsto prima l'assunzione fuori regione – nell'organico di diritto residuo nazionale – dei docenti meglio graduati in graduatoria di merito (GM) (fase B), successivamente l'assunzione all'interno delle proprie regioni – nell'organico di potenziamento – dei docenti con punteggi minori in GM (fase C). Di conseguenza, i docenti meglio graduati nelle GM sono stati obbligati a lavorare lontano da casa, mentre quelli con punteggi minori sono rimasti nelle loro regioni, in contrasto con il criterio meritocratico sancito dalla Costituzione e dalle leggi;
          molti docenti assunti in fase B si stanno rivolgendo ai giudici: in particolare il Consiglio di Stato con ordinanza cautelare n.  2960 del 22 luglio, ha accolto il ricorso presentato da numerosi insegnanti immessi in ruolo in fase B in regione diversa da quella di provenienza. Al riguardo, condividendo la tesi dei ricorrenti, il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta dei docenti di vedersi assegnata una sede nella propria regione di provenienza;
          inoltre, alcune pronunce di giudici del lavoro (di Tivoli, Torino, Sondrio e Verona), seppur con argomentazioni differenti, hanno sancito lo stesso principio favorevole, certamente rilevante, ossia che gli assunti da concorso in fase B del piano straordinario di assunzioni devono rimanere nella regione di svolgimento del concorso;
          alla prima pronuncia di Tivoli sono seguite le ordinanze del tribunale di Torino, di Sondrio e di Verona che, seppur spostando l'attenzione dalla fase dell'assunzione alla fase di mobilità, hanno sancito il principio secondo cui, in occasione dell'assegnazione della sede definitiva, deve garantirsi la permanenza nella regione in cui i docenti sono risultati vincitori di concorso;
          queste ultime pronunce hanno infatti evidenziato che dal quadro normativo e contrattuale in materia emerge con chiarezza che la sede di assegnazione iniziale, in quanto provvisoria, è del tutto irrilevante ai fini dell'attribuzione della sede definitiva;
          l'attribuzione della sede provvisoria fuori regione è circoscritta temporalmente all'anno scolastico 2015-2016, mentre per l'accesso ai ruoli a tempo indeterminato vale la regola sancita dall'articolo 1, comma 109, e cioè la necessaria inclusione dell'ambito territoriale di assunzione nella regione per la quale il docente ha concorso;
          i giudici del lavoro hanno rimarcato come la permanenza dei ricorrenti in una regione lontana dalla propria famiglia, pregiudicherebbe in maniera irreparabile il sereno sviluppo della personalità dei figli minori nell'ambito del nucleo familiare, ossia una delle formazioni sociali che, a mente dell'articolo 2 della Costituzione, devono essere particolarmente tutelate;
          la situazione peggiora ulteriormente a causa del mancato riferimento nel comma 108 dell'articolo 1 della legge n.  107 ai docenti assunti dalle graduatorie di merito: in tale comma si disciplina la mobilità straordinaria. Esso prevede che i docenti assunti dalle graduatorie ad esaurimento possano chiedere la mobilità straordinaria nazionale, mentre non vi è alcun riferimento a quelli assunti dalle graduatorie di merito, introducendo una disparità di trattamento tra le due categorie, in contrasto, inoltre, alla ratio della legge n.  107 che concede alle graduatorie di merito sempre la priorità;
          a causa del mancato riferimento alle graduatorie di merito nel comma 108, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sembra interpretare la legge in senso restrittivo e inserisce i docenti nella procedura di mobilità solo in coda a tutte le altre categorie, danneggiandoli fortemente e azzerando di fatto qualsiasi possibilità di ritorno nelle loro regioni;
          in fase di discussione del disegno di legge AC 3822, relativo alla conversione in legge del decreto-legge 29 marzo 2016, n.  42, recante disposizioni urgenti in materia di funzionalità del sistema scolastico e della ricerca, il Governo ha accolto un ordine del giorno al fine di valutare l'opportunità di adottare ogni misura utile per il ricollocamento dei docenti assunti in regione diversa da quella in cui hanno espletato il concorso  –:
          quali iniziative urgenti intenda intraprendere per assegnare ai docenti della fase B delle graduatorie di merito la sede di titolarità non a partire dalla sede provvisoria di servizio, ma dalla regione in cui il concorso era stato espletato ripristinando la corretta sequenza di movimenti che la ratio della legge n.  107 intrinsecamente prevede, cioè: a) i docenti assunti entro il 2014-2015; b) i docenti assunti dalle graduatorie di merito; c) i docenti assunti dalle graduatorie ad esaurimento. (5-09380)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GIULIETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          in Umbria gli insegnanti tecnico pratici alberghiero sala bar e cucina hanno conseguito l'abilitazione a proprie spese a San Benedetto del Tronto e ora partecipato al concorso a cattedre a Terracina e non hanno avuto come gli altri colleghi la possibilità di prendere l'abilitazione all'interno della propria regione;
          oggi in Umbria in queste classi di concorso ci sono 10 concorrenti per 6 posti più il 10 per cento, quindi 7 (nel Lazio, ad esempio, ci sono 70 partecipanti, i posti disponibili sono 72 più il 10 per cento, quindi 79; rimangono 9 posti disponibili non assegnati che andranno a non Abilitati a Supplenza);
          a livello nazionale delle classi di concorso B20 – B21 non c’è nessuno in graduatorie ad esaurimento, quindi ci sarebbe da ripartire anche il 30 per cento di posti lasciati fuori concorso per iscritti In Gae  –:
          se sia possibile prendere in considerazione la possibilità che i posti non assegnati, in relazione a quanto esposto in premessa, siano distribuiti a regioni limitrofe o mediante graduatoria nazionale degli idonei del concorso, ovvero quali iniziative il Ministro intenda mettere in atto per risolvere la situazione sopra esposta che riguarda l'Umbria e in modo particolare le classi di concorso B20 e B21. (4-14013)


      MATARRELLI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          una delle finalità perseguite dalla legge n.  107, del 13 luglio 2015 è quella di prevedere un'azione specifica volta a risolvere l'annoso problema del precariato nell'ambito scolastico;
          la legge è stata presentata all'opinione pubblica come una sorta di ultima spiaggia per i docenti inseriti nelle graduatorie permanenti i quali, se non avessero prodotto domanda di assunzione, non avrebbero avuto, in futuro, speranza di un incarico a tempo indeterminato;
          già nella prima fase di applicazione della legge, decine di migliaia di lavoratori sono stati, di fatto, costretti a prendere servizio in località diverse e lontane dalla propria residenza;
          con le successive ordinanze ministeriali dell'8 aprile 2016 nn.  241 e 244, è stato previsto un piano di mobilità straordinario obbligatorio per il personale della scuola volto ad assegnare la sede di titolarità;
          a più riprese, esponenti di questo Governo hanno rassicurato e garantito che i lavoratori sarebbero tornati a svolgere le proprie funzioni lavorative nelle province di residenza, al fine di consentire il ricongiungimento familiare;
          di essi, la grande maggioranza sono donne, ultra quarantacinquenni, con figli minori a carico e spesso impegnate anche nell'assistenza a genitori ormai anziani e malati;
          di queste lavoratrici, numerose decine di migliaia sono state invece destinate a svolgere il proprio lavoro in regioni lontane dalla provincia di residenza;
          attualmente sono coinvolte dal fenomeno oltre 12.000 lavoratrici delle sole scuole dell'infanzia e della scuola primaria;
          ad avviso degli interroganti si è riscontrata una scarsa trasparenza che ha caratterizzato la pubblicazione dei bollettini di trasferimento emanati da molti ambiti territoriali, opacità riscontrata anche nella graduatoria nazionale dei movimenti per la scuola primaria resa pubblica dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a cui si sono aggiunte numerose centinaia di segnalazioni di incongruenze rilevate dai docenti nei diversi ambiti, nonché di docenti assegnati agli ambiti di residenza con punteggi inferiori ad altri colleghi, i quali sono stati invece assegnati in altri ambiti;
          ad avviso degli interroganti, tutto quanto nel complesso narrato ha causato effetti devastanti derivanti dall'impatto sociale ed economico che questo esodo comporta per le già martoriate regioni meridionali, e comporta il mancato rispetto dell'articolo 29 della Costituzione, che tutela l'unità familiare  –:
          se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative tecniche e organizzative intendano adottare, al fine di evitare il protrarsi della situazione descritta;
          considerando anche la grave situazione sociale in cui versa la quasi totalità delle regioni meridionali, se il Governo intenda adottare specifiche iniziative necessarie a garantire sia diritti dei lavoratori che le esigenze delle istituzioni scolastiche, in particolare prevedendo l'aumento dell'organico, volto ad arrestare il fenomeno dell'abbandono scolastico e a sostenere maggiormente l'educazione alla legalità;
          se intenda assumere iniziative per una riduzione del numero degli alunni per classe e per il ripristino del tempo scuola pari a 30 ore settimanali, ricostituendo le condizioni esistenti precedentemente all'entrata in vigore della cosiddetta riforma Gelmini;
          se intenda assumere iniziative affinché il personale coinvolto dal piano di mobilità siano destinati i posti da assegnare con i concorsi che, ad oggi, non sono stati conclusi e che certamente non lo saranno prima dell'avvio del nuovo anno scolastico 2017/2018;
          se intenda pubblicare con urgenza il complesso delle graduatorie di tutti gli ambiti, integrate dai dati completi;
          se intenda effettuare la ripubblicazione dei movimenti del personale docente della scuola primaria e promuovere l'immediata pubblicazione dei movimenti relativi ai docenti di tutti gli ordini e gradi scolastici la cui pubblicazione è già prevista, contenente la specifica, per ciascun candidato, della fase della procedura di mobilità a cui ha partecipato e l'eventuale diritto alla precedenza in base all'articolo 13 del contratto di mobilità 2016/2017 dell'8 aprile 2016. (4-14029)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


      BURTONE, BATTAGLIA e CUOMO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi il presidente dell'Inps, professore Tito Boeri, ha presentato il regolamento di organizzazione dell'istituto;
          in base a questo nuovo regolamento le direzioni centrali diminuirebbero da 19 a 14 con la cancellazione di organizzazione, formazione, credito e welfare, posizione assicurativa, vigilanza, convenzioni internazionali e comunitarie, ispettorato;
          verrebbero poi istituite due nuove direzioni centrali «segreteria unica tecnica amministrativa» e «servizi agli utenti»;
          sarebbe inoltre prevista la possibilità di assegnare un numero non contingentato di incarichi di consulenza, studio e ricerca di livello dirigenziale generale che potrebbero far lievitare di molto le funzioni dirigenziali previste dallo stesso regolamento;
          andrebbe inoltre effettuato un approfondimento sul nuovo profilo attribuito dal citato atto al ruolo di direttore generale che apparirebbe nettamente ridimensionato a vantaggio del presidente il quale godrebbe di un principio di discrezionalità nella scelta degli incarichi esterni che appare non contemperata da alcun contrappeso;
          nella storia dell'istituto, soprattutto quella recente, il ruolo del direttore generale ha sempre avuto un compito di fondamentale contrappeso rispetto all'organo più politico rappresentato dal presidente;
          il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'Inps ha chiesto ufficialmente il ritiro del suddetto regolamento d'organizzazione minacciando addirittura al ricorso al TAR;
          l'INPS è un istituto fondamentale per il welfare nazionale e al suo interno ha un patrimonio di know how e professionalità che non va assolutamente disperso e mortificato proprio in relazione alla strategica funzione dell'istituto;
          era stato il legislatore stesso a prevedere una riorganizzazione della governance dell'istituto, ma questo in una prospettiva più ampia e in un disegno complessivo di riforma del welfare  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare al fine di vigilare in merito alla definizione del citato regolamento e tutelare il buon funzionamento dell'Istituto, considerata la sua funzione strategica nel welfare italiano. (3-02456)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      DE MENECH. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il gruppo Ferroli è un'azienda leader nel settore del riscaldamento e del condizionamento e delle energie alternative; fondata nel 1955 da oltre 50 anni opera in Italia nel settore del riscaldamento, della climatizzazione e del termoarredo, e da circa 40 anni è presente sul mercato europeo e quello mondiale.
          Ferroli spa ha diversi stabilimenti produttivi in Italia e all'estero, tra questi la sede di Alano di Piave, in provincia di Belluno, che da occupazione a 130 lavoratori;
          l'azienda Ferroli spa è da tempo in crisi occupazionale e di produzione, fino all'epilogo di qualche giorno fa, in cui l'amministratore delegato ha presentato il piano industriale, che, sostanzialmente, restringe il perimetro d'azione italiano dell'azienda termomeccanica ai soli stabilimenti di Verona – San Bonifacio e Siena – Casole d'Elsa. Fonderie e logistica verranno chiusi. In tutto si tratta di circa 600 esuberi, compresi i 130 di Alano;
          le cifre nascondono una realtà lacerante per territori già duramente colpiti dalla crisi. Si tratta di donne e uomini in cassa integrazione a zero ore da un anno, che spesso non sanno come pagare l'affitto, come fare la spesa e pagare le bollette, la scuola per i propri figli e, a volte nipoti, trattandosi di maestranze anziane, che superano abbondantemente la cinquantina d'anni e non sanno come arrivare serenamente alla fine del mese, lontani come sono dalla pensione;
          il dramma di quelle terre e di quelle unità produttive era noto. Il destino della «banca del caldo» di Colmirano era segnato da tempo;
          ad aprile 2015 Luca Zaia, presidente uscente della regione, poi riconfermato, aveva dichiarato che al tavolo con le banche la regione avrebbe fatto da garante; sempre nello stesso periodo, quando già si ventilavano esuberi e licenziamenti aziendali, il presidente Zaia aveva dato disponibilità ad aprire un tavolo con «Veneto Sviluppo» per risolvere i problemi in essere;
          il piano industriale presentato dall'azienda prevede una riorganizzazione complessiva, dalla gamma di prodotti alla rete commerciale, senza escludere gli impianti produttivi, ormai obsoleti;
          la volontà di creare un modello di business sempre più internazionale, snello e agile che mette al centro la qualità dei prodotti, la fluidità dei processi produttivi per eliminare inefficienze e rinnovare un business model obsoleto che ha portato l'azienda quasi al fallimento, non tiene però in considerazione il conto molto alto che dovranno pagare lavoratori e territori coinvolti;
          sembrerebbe una confessione del fallimento della dirigenza nella conduzione aziendale da diversi anni a questa parte ed invece la soluzione proposta appare la confessione di aver utilizzato la cassa integrazione senza rilanciare l'azienda nel suo complesso o quantomeno salvare il maggior numero di lavoratori; a giudizio dell'interrogante l'azienda ha di fatto salvato se stessa attraverso il sacrificio di 536 lavoratori. Si tratta, come spesso succede, di percorrere la strada più comoda e facile per risolvere problemi creatisi negli ultimi anni, facendo pagare il prezzo più alto ai lavoratori;
          in data 1o agosto 2016 è stato siglato un accordo fra i sindacati e l'azienda Ferroli spa al fine di diminuire l'impatto sociale e le perdite occupazionali;
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione venutasi a creare nei territori interessati dagli stabilimenti dell'azienda Ferroli e se non ritengano quanto mai necessario e urgente avviare un tavolo di lavoro con i rappresentanti dei lavoratori, con le istituzioni del territorio e la giunta regionale per scongiurare l'ipotesi degli oltre 500 esuberi e licenziamenti, attraverso una ridefinizione concordata del piano industriale meno penalizzante per le forze del lavoro. (5-09360)


      GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          come è noto la liquidazione delle pensioni avviene attraverso procedure informatizzate e non sempre gli operatori dell'Inps delle sedi territoriali possono intervenire direttamente nel processo di liquidazione anche quando si accorgono che il calcolo della pensione derivante dal sistema presenta evidenti incongruenze;
          a titolo di esempio si segnala un caso di liquidazione di pensione ai superstiti che riguarda un minore (M.G. nato il 12 novembre 2004), orfano di un lavoratore, al quale è stata liquidata dall'Inps la pensione di reversibilità (modello TE08 — categoria SO — sede 640000 — certifico 20049217 — richiesta n.  2134576400148);
          la richiesta di pensione di reversibilità è stata avanzata dalla vedova, non correttamente informata, dopo anni dalla morte del lavoratore dante causa (2008) e l'Inps ha proceduto alla pensione di reversibilità con la corretta descrizione degli importi spettanti dal 2008 al 2015;
          detti importi (ratei), annualmente non superano il limite imponibile e come tale non sarebbero tassabili, non possedendo il minore altri redditi; nonostante questo, l'Inps ha operato la trattenuta Irpef sui detti importi, con la precisazione che «si è tenuto conto delle detrazioni fiscali» e secondo l'operatore dell'Inps che ha gestito la pratica, gli importi corrisposti, vengono determinati attraverso procedure informatiche sulle quali l'operatore non ha alcun potere di intervento;
          chiaramente il patronato che segue la pratica di pensione ha proceduto a presentare ricorso e, da parte dell'operatore Inps, si è proceduto almeno per l'anno 2015 a restituire la trattenuta Irpef applicata, mentre per gli anni precedenti ad oggi, nonostante le reiterate richieste, l'istituto non ha ancora provveduto alla restituzione delle trattenute erroneamente operate;
          del suddetto caso è stata anche interessata la sede territoriale dell'Agenzia delle entrate, ma non è chiaro, essendo l'Inps sostituto di imposta, quale sia fra questi due enti, il soggetto che dovei restituire le trattenute erroneamente operate dal 2008 al 2014  –:
          quali iniziative si intendano assumere affinché si pervenga ad una definitiva soluzione del caso segnalato che peraltro riguarda un minore. (5-09362)


      BURTONE e BATTAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 27 del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, ha riformulato la disciplina degli interventi di reindustrializzazione delle aree di crisi, introducendo forme di intervento a sostegno delle cosiddette «aree di crisi complessa», la cui disciplina attuativa è stata già adottata con decreto del Ministro dello sviluppo economico 31 gennaio 2013;
          con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 9 giugno 2015 sono stati stabiliti termini, modalità e procedure per la presentazione delle domande di accesso, nonché i criteri di selezione e valutazione per la concessione ed erogazione delle agevolazioni in favore di programmi di investimento finalizzati al rilancio di tutte le aree di crisi, sia quelle caratterizzate da crisi complessa, sia quelle interessate da situazioni di crisi industriale non complessa, ma comunque con impatto significativo sullo sviluppo dei territori e dell'occupazione;
          con circolare del direttore generale per gli incentivi alle imprese 6 agosto 2015, n.  59282, sono fornite ulteriori indicazioni specifiche e specificazioni relative alle modalità di concessione ed erogazione delle agevolazioni e di presentazione delle domande da parte delle imprese;
          l'area industriale della Valbasento in Basilicata è stata la prima area industriale del Paese, nel dicembre del 1987, ad essere interessata da uno strumento della cosiddetta programmazione negoziata;
          il processo di dismissione avviato da parte dell'Eni dei propri impianti e le negative ricadute occupazionali che interessarono allora il sito produsse la necessità di affrontare la crisi attraverso un programma di reindustrializzazione partendo appunto dal citato accordo di programma;
          purtroppo, il processo di reindustrializzazione nonostante le rifasature del citato accordo non è riuscito mai a produrre gli effetti sperati e purtroppo nei primi anni del nuovo millennio la crisi del sito industriale lucano si è ulteriormente aggravata con la chiusura degli impianti di Nylstar 1 Nylstar 2 (ex Snia) di Cfp, Panasonic. Pinca, Cotto Coperture, PNT ed altre realtà importanti con un ulteriore ridimensionamento dei livelli occupazionali;
          la citata area industriale è tra quelle maggiormente infrastrutturate e con un rilevante potenziale attrattivo;
          è interessata anche da un programma di bonifica processi di bonifica ai sensi dell'accordo di programma quadro siglato in data 19 giugno 2013;
          purtroppo, gli esuberi occupazionali si trovano in questo territorio in grandissima difficoltà, poiché, esaurito lo strumento della mobilità, in deroga, vi sono centinaia di ex lavoratori privi di qualsiasi prospettiva occupazionale in una età assolutamente critica compresa tra i 45 i 60 anni;
          la regione Basilicata ha introdotto lo strumento del reddito minimo, ma che non riesce a ricomprendere la maggior parte di questi lavoratori;
          è indispensabile promuovere politiche attive del lavoro e rilanciare un processo di reindustrializzazione del sito;
          in considerazione della storia di quest'area industriale e della sua rilevanza strategica, è fondamentale perseguire ogni tentativo di rilancio per dare risposte occupazionali ad un territorio in grande difficoltà  –:
          se il Governo non intenda attivare un tavolo di concerto, con tutte le parti interessate, al fine di riconoscere la Valbasento come area di crisi complessa e porre in essere ogni iniziativa finalizzata al rilancio produttivo ed occupazionale del sito. (5-09365)


      LATRONICO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          a seguito di procedura aperta per l'affidamento del servizio di gestione e supporto tecnico-operativo del centro unificato di prenotazione (CUP) dell'azienda sanitaria locale di Matera (ASM), la direzione dell'ASM ha proceduto all'affidamento del servizio e alla stipula del contratto alla società risultata vincitrice, e cioè il raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) coop. EDP La Traccia – Traccia Hi Tech – GSI srl;
          l'affidamento comprende sia il servizio CUP, che il servizio di risonanza magnetica precedentemente affidato alla società Alliance Medical ed è di venuto operativo dal febbraio 2016;
          le organizzazioni sindacali hanno rappresentato ai sensi dell'articolo 11 del disciplinare di gara (clausola di salvaguardia sociale di cui alla legge regionale n.  24 del 2010) la necessità di salvaguardare i livelli occupazionali garantendo il mantenimento della stabilità occupazionale per tutti i 56 dipendenti di cui n.  53 attualmente impegnati nel servizio CUP dell'ASM, e n.  3 occupati nel servizio di risonanza magnetica, precedentemente gestito dalla ditta cessante Alliance Medical, alle stesse condizioni fino ad oggi maturate presso le ditte cessanti, con l'invarianza del trattamento economico complessivo maturato;
          il RTI ha rappresentato l'impossibilità, stanti le condizioni dell'appalto, di garantire a tutti i 56 lavoratori l'invarianza del trattamento economico complessivo ed in particolare del numero di ore lavorative;
          nel precedente contratto di appalto i lavoratori erano già interessati da un contratto di solidarietà nella misura del 18 per cento circa delle ore contrattuali e quindi hanno già subito una riduzione di retribuzione;
          il 9 febbraio 2016 il presidente della regione, Marcello Pittella, accompagnato dall'assessore alla sanità ha presieduto a Potenza, una riunione resasi necessaria dopo il fallimento di precedenti tentativi di conciliazione. Si è raggiunta un'intesa che ha salvaguardato i livelli occupazionali, con la previsione di una riduzione di orari pari al 10 per cento, distribuito in maniera uniforme su tutti i lavoratori, oltre alla previsione di soluzioni di recupero di nuove attività lavorative, tali da assorbire la riduzione di orario;
          nel luglio 2016, a 5 mesi dalla definizione dell'accordo, i sindacati hanno denunciato come le intese del 9 febbraio siano state disattese, in particolare per quel riguarda la riduzione uniforme degli orari di lavoro e l'utilizzo dei lavoratori in altre attività del RTI, chiedendo un nuovo incontro con la regione. La regione non ha inteso rispondere;
          il 29 luglio 2016 Cgil, Cisl e Uil di Matera hanno reso noto, in un comunicato stampa, di aver proclamato lo sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori impiegati nell'appalto Cup dell'Asm di Matera, per l'intera giornata lavorativa del 12 settembre 2016. La decisione è stata presa dopo aver «preso atto di quanto comunicato alle organizzazioni sindacali nel corso dell'incontro svoltosi in data 8 luglio 2016 presso la sede Confapi di Matera, in ordine alla decisione del RTI di operare il taglio di un ulteriore 15 per cento di ore lavorate e di retribuzione, in aggiunta al 10 per cento già applicato al momento del cambio di appalto»  –:
          quali orientamenti intendano esprimere i Ministri interrogati, per quanto di competenza, in merito alla vicenda esposta in premessa;
          se non ritengano opportuno assumere ogni utile iniziativa di competenza, in considerazione del fatto che le norme sulla riduzione della spesa sanitaria da un lato hanno portato ad una precarizzazione dei posti di lavoro, dall'altro incidono sia sui livelli essenziali di assistenza (LEA), che devono essere garantiti a livello nazionale, sia sulle politiche volte a ridurre le liste di attesa, anche in sede di prenotazione delle prestazioni sanitarie.
(5-09377)


      COMINARDI, TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'Inpgi, ovvero l'Istituto nazionale di Previdenza dei giornalisti italiani, già riconosciuto con regio decreto 25 marzo 1926, n.  838, è una «fondazione dotata di personalità giuridica di diritto privato incaricata di pubbliche funzioni a norma dell'articolo 38 della Costituzione», con autonomia gestionale, organizzativa e contabile, ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n.  509. Il 20 dicembre 1951 con la legge Rubinacci,      è stato riconosciuto al medesimo carattere sostitutivo di tutte le forme di previdenza ed assistenza obbligatoria dei giornalisti iscritti. L'Istituto provvede alle seguenti prestazioni in favore dei giornalisti professionisti e praticanti titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica: trattamento di pensione di invalidità, vecchiaia, anzianità e superstiti; trattamento economico in caso di tubercolosi, trattamento in caso di disoccupazione, assegni per il nucleo familiare, ogni altro trattamento previsto da provvedimenti di legge, trattamento in caso di infortunio. Alla sopracitata gestione principale (Inpgi 1) si è affiancata la Gestione separata (Inpgi 2), obbligatoria dal 1996 per tutti i giornalisti, pubblicisti o professionisti, che svolgano attività giornalistica autonoma;
          è notizia riportata dal Fatto Quotidiano il 28 giugno 2016 che il rapporto dei magistrati contabili sul bilancio dell'Inpgi evidenzi profondi squilibri nei conti dell'ente: si legge nella determinazione dei magistrati che senza interventi ulteriori «il patrimonio si azzera nel 2030 e torna ad essere positivo solo dal 2060». Il rapporto tra iscritti attivi ed assegni è ancora in calo. La neo presidente Macelloni ha promesso nuove misure, ma per ora la situazione è in rapido deterioramento. I numeri dell'Istituto nazionale previdenza giornalisti non tornano. Parola della Corte dei Conti che sul lungo periodo registra profondi squilibri nella gestione previdenziale. Senza contare che, se le cose non cambiano, l'ente potrà contare in futuro sempre meno sulle plusvalenze del mattone per far quadrare l'esercizio. L'Istituto ha chiuso il bilancio 2015 della gestione principale con un rosso di quasi 142 milioni di euro e un patrimonio a valore di mercato sceso da 1,99 a 1,86 miliardi. Sempre lo scorso anno lo squilibrio tra entrate e uscite previdenziali ed assistenziali è stato di 112 milioni di euro contro gli 81 del 2014. «Il rapporto fra il numero degli iscritti attivi ed il numero delle pensioni è ancora in calo, passando da 1,97 del 2014 a 1,77 del 2015» prosegue la Corte, lasciando intuire che la crisi dell'editoria sta lasciando il segno nei conti dell'istituto;
          ancora il Fatto Quotidiano in data 8 giugno 2016 ha pubblicato la notizia di uno scontro nel consiglio generale dell'Inpgi sull'indennità della neo presidente Marina Macelloni. Dopo ore di discussione, i consiglieri eletti a febbraio 2016, hanno alla fine dato il via libera con 36 voti a favore, 17 contrari e 3 astenuti a un compenso di circa 230 mila euro lordi l'anno. «Colei che in aprile ha preso il posto di Andrea Camporese l'ex numero uno rinviato a giudizio per corruzione e truffa ai danni dell'ente – guadagnerà quasi come il capo dello Stato Sergio Mattarella»;
          sul fronte della gestione separata, cioè quella dedicata ai liberi professionisti e giornalisti collaboratori, si registra invece una riduzione dell'avanzo che passa dai 41,206 milioni del 2014 ai 39,627 milioni del 2015. «La gestione patrimoniale chiude in positivo per 5,621 milioni» spiega il documento, tuttavia anche in questo caso c’è un decremento del saldo della gestione previdenziale, che passa dai 46,311 milioni del 2014 ai 43,604 milioni dello scorso anno. Ma almeno qui la situazione è sotto controllo: non certo per i beneficiari, che intascano poco più di 1.000 euro mensili lordi l'anno e devono versare il 10 per cento alla gestione separata. A tal proposito, Il Manifesto il 13 gennaio 2016 evidenzia che «quattro giornalisti freelance su dieci hanno lavorato gratis in Italia nel 2014». Il dato sconvolgente è emerso dal rapporto 2014 sulla professione giornalistica «Libertà di Stampa diritto all'Informazione» presentato l'11 gennaio 2016 a Roma alla Federazione nazionale della stampa. Questa condizione interessa 16.830 giornalisti «autonomi» sui 40.534 iscritti alla gestione separata dell'istituto previdenziale, vale a dire      41,5 per cento degli iscritti. Il rapporto parla di «zero redditi»: in una situazione certamente problematica si trovano anche i 23.704 freelance che nel 2014 hanno dichiarato redditi inferiori o pari ai 10 mila euro lordi annui. Chi lavora con partita Iva o con la ritenuta d'acconto in Italia guadagna mediamente il 17,9 per cento di chi invece ha un contratto di lavoro dipendente, 5,6 volte meno. Questi dati vanno confrontati con il numero complessivo dei giornalisti. Si fa così un'importante scoperta: i precari (parasubordinati con un contratto precario, le partite Iva, i liberi professionisti) rappresentano la stragrande maggioranza dei giornalisti: nel 2014 erano in totale 50.488. Di questi 32.631 sono lavoratori «autonomi puri» e solo 17.857 sono quelli dipendenti e assunti (7.903 iscritti anche all'Inpgi 2);
          a giudizio degli interroganti, l'enorme sproporzione dimostra com’è cambiata la professione del giornalista: un nucleo duro di «professionisti», in costate ed irreversibile calo, e una crescente moltitudine di «collaboratori» esterni senza diritti, rappresentanza sindacale, variamente segmentati in categorie, destinati alla competizione permanente e al ribasso dei compensi decisi dalle aziende editoriali. In data 12 gennaio 2016, 400 giornalisti freelance hanno inviato al Presidente del Consiglio Matteo Renzi una lettera (online sul sito giornalisti freelance.tk) in cui riportano i dati del rapporto Lsdi 2014 e avanzano al Governo sette richieste urgenti: erogazione di contributi e agevolazioni solo agli editori che pagano equamente e con regolarità, superamento dei contratti atipici, pari diritti e tutele ai giornalisti dipendenti ed autonomi, applicazione della legge sull'equo compenso, tariffe per la liquidazione giudiziale dei compensi, l'obbligo di tracciabilità e firma di tutti gli articoli, per agevolare i controlli e far emergere il lavoro non retribuito  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei dati e degli elementi riportati in premessa e, per quanto di propria competenza, quali iniziative intendano intraprendere al fine di rimediare alle criticità denunciate nella relazione della Corte dei Conti;
          quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere per eliminare le disparità di trattamento sopra evidenziate tra le varie categorie di giornalisti, garantendo i diritti fondamentali e le necessarie tutele anche ai giornalisti precari-freelance. (5-09381)

Interrogazioni a risposta scritta:


      VENITTELLI, GINOBLE, PAOLA BOLDRINI, IACONO, ROSTELLATO, RAGOSTA, FUSILLI, BURTONE, D'INCECCO, OLIVERIO, MONTRONI, SCUVERA, ERMINI, CARRA, GINEFRA, LAURICELLA, DALLAI, FALCONE, FAMIGLIETTI, LUCIANO AGOSTINI, BARGERO, FERRARI, MORETTO, PETRINI, DONATI, MONGIELLO, ROMANINI, BATTAGLIA, RIBAUDO, ZARDINI, ZANIN, MAZZOLI, LODOLINI, COVELLO, CAPOZZOLO, CRIVELLARI e CASELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il Nuovo Zuccherificio del Molise srl, operante nel settore della produzione saccarifera con un organico complessivo di 79 unità lavorative, ha in essere un contratto di affitto di ramo d'azienda con lo Zuccherificio del Molise spa società dichiarata fallita nel maggio 2015 e ha attivato in data 10 agosto 2015 la procedura consultiva prevista dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n.  218 del 2000, ai fini della presentazione della richiesta di concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale ai sensi dell'articolo 1 della legge n.  223 del 1991;
          ad oggi, risulta sempre più a rischio il futuro dello Zuccherificio del Molise, in bilico tra un nuovo bando di vendita e una campagna saccarifera per il 2016 di cui ancora non si conosce la portata e l'obiettivo, considerando che si tratta dell'ultima che verrà realizzata con il sistema delle quote. In mezzo a tutto questo, si trovano i dipendenti dello Zuccherificio, ridotti a sessantatré, sui quali incombe un futuro lavorativo incerto e una cassa integrazione in scadenza il 16 agosto 2016 e sulla quale, al momento, non vi è alcuna garanzia di proroga;
          con il decreto n.  95075 del 25 marzo 2016, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, ha definito ai sensi dell'articolo 21, comma 4, del decreto legislativo 14 settembre 2015 n.  148, i criteri per l'accesso ad un ulteriore periodo di integrazione salariale straordinaria da concedersi qualora all'esito di un programma di crisi aziendale, l'impresa cessi l'attività produttiva e proponga concrete prospettive di rapida cessione d'azienda stessa e il conseguente riassorbimento del personale;
          il riferimento normativo è l'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo n.  148 del 2015, il quale dispone che «in deroga agli articoli 4, comma 1, e 22, comma 2, entro il limite di spesa di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, può essere autorizzato, sino a un limite massimo rispettivamente di dodici, nove e sei mesi e previo accordo stipulato in sede governativa al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche in presenza del Ministero dello sviluppo economico, un ulteriore intervento di integrazione salariale straordinaria qualora all'esito del programma di crisi aziendale di cui al comma 3, l'impresa cessi l'attività produttiva e sussistano concrete prospettive di rapida cessione dell'azienda e di un conseguente riassorbimento occupazionale  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non ritengano di dover intervenire al fine di attivare un tavolo istituzionale con le parti interessate e addivenire ad un accordo volto a garantire sia la ripresa di un settore fondamentale per quell'agricoltura produttiva che ancora resiste, sia l'applicazione della normativa vigente in materia di proroga della cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendali. (4-14005)


      FRANCO BORDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          alcune segnalazioni sono giunte all'interrogante da cittadini che pur ritenendo di aver raggiunto l'età e possedendo i requisiti per poter presentare domanda di ricevimento della pensione si sono visti respinta la domanda dall'INPS in quanto, secondo il citato Istituto, mancherebbero alcuni anni ai fini contributivi, riferibili alla fine degli anni ‘70, quando ancora i sistemi di gestione non erano digitalizzati;
          questi lavoratori ritengono la loro posizione INPS in ordine, come in effetti risulta dai libretti di lavoro in loro possesso;
          l'INPS ritiene insufficienti gli elementi che dimostrano il versamento dei contributi, poiché il libretto di lavoro, risalente al periodo precedente alla digitalizzazione, non viene considerato prova sufficiente, quindi l'Istituto richiede le buste paga degli anni 1977 e 1978 o, in sostituzione, la dichiarazione con un atto notarile di altri dipendenti che siano stati in servizio in quegli anni ma, soprattutto, dipendenti i cui contributi risultino versati in quegli anni;
          è del tutto evidente che trattandosi di documentazione risalente a oltre 35 anni fa non tutti i soggetti coinvolti, per vari motivi, sono in grado di presentare la suddetta documentazione;
          i cittadini in questione hanno persino proposto all'Inps un riscatto oneroso, senza trovare consenso  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della problematica illustrata in premessa;
          se il Ministro interrogato non ritenga necessario adoperarsi, per quanto di competenza affinché l'Inps consideri valido, al fine del conto pensionistico, il libretto in usa precedentemente alla digitalizzazione, senza che siano considerate indispensabili le buste paga o le testimonianze di colleghi, tra l'altro non sempre reperibili e, in tale contesto quali iniziative intenda intraprendere affinché i lavoratori interessati possano vedersi riconosciuti tutti i periodi lavorativi fini pensionistici.
(4-14009)


      PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          Castelfrigo srl è un'azienda operante a Castelnuovo Rangone (Modena) nel settore della lavorazione di carni suine;
          nel 2014 ha fatturato 77 milioni di euro, impiegando circa 100 dipendenti diretti e altrettanti in appalto da cooperative;
          nei mesi di gennaio e febbraio 2016 è stata interessata da una pesante vertenza, che ha visto coinvolti i lavoratori in appalto, coordinati dalla CGIL, e che si è conclusa dopo 9 giorni di sciopero con un accordo presso la prefettura di Modena;
          l'accordo prevedeva l'applicazione a tutti i lavoratori del contratto collettivo nazionale di lavoro dell'industria alimentare e la previsione della clausola sociale in caso di cambiamento della ditta appaltatrice, con il mantenimento del posto di lavoro e delle relative condizioni a carico della ditta subentrante;
          nei mesi successivi si sarebbe dovuto definire anche un nuovo quadro di relazioni industriali, che riconoscesse il ruolo del sindacato all'interno dell'azienda;
          questo non è avvenuto, ma si è piuttosto verificato un atteggiamento di chiusura della direzione nei confronti della CGIL, che ha comportato varie lettere di contestazione ai rappresentanti sindacali, una raccolta firme contro gli stessi, di fatto avallata dalla proprietà, e infine l'impedimento fisico di tenere un'assemblea regolarmente convocata per raccogliere firme sui referendum proposti dalla Cgil;
          la situazione culmina il 1o agosto nel licenziamento di due delegati sindacali da parte della cooperativa Work Service, per presunte minacce ricevute dai responsabili dell'organizzazione del lavoro;
          tutto questo avviene in un ambiente presidiato da vigilantes privati, dove si rifiuta qualsiasi canale diretto di confronto con il sindacato;
          è stato lo stesso Sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali, Massimo Cassano, nel corso di una risposta a un'interpellanza alla Camera del 19 febbraio 2016, ad avere rilevato come presso la Castelfrigo fossero state riscontrate delle irregolarità a seguito di ispezioni della direzione territoriale del lavoro; irregolarità inerenti «l'applicazione di contratti collettivi nazionali differenti per i lavoratori delle società committenti e per quelli delle cooperative operanti in regime di appalto, fenomeni di interposizione di manodopera, omissioni contributive, registrazioni infedeli sul libro unico del lavoro e violazioni della normativa in materia di orario di lavoro»  –:
          se e come il Ministro interrogato intenda intervenire, per quanto di competenza, a tutela dei diritti sindacali costituzionalmente garantiti, soprattutto in riferimento ai delegati licenziati, anche alla luce del ruolo avuto dalla prefettura nella definizione dell'accordo di febbraio 2016. (4-14021)


      POLVERINI. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          i lavoratori addetti alla raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani sono esposti al rischio di investimento generato dalla stessa esposizione al traffico veicolare;
          l'evento dell'88esima Adunata nazionale degli Alpini — svolta nella città di L'Aquila i giorni 15, 16 e 17 maggio 2015, ha avuto una programmazione temporale antecedente di circa un anno;
          l'azienda ASM spa L'Aquila — a totale partecipazione pubblica del comune dell'Aquila — si occupa della raccolta e del trasporto dei rifiuti solidi urbani;
          l'azienda ASM spa L'Aquila a ridosso di tale evento ha acquistato indumenti per gli operai addetti alle attività di raccolta e controllo del servizio spendendo — con fondi pubblici — la somma di euro 55.860,75 per circa 130 unità con un investimento pro-capite a lavoratore di circa euro 430 cadauno per l'acquisto di indumenti consistenti in 1 giaccone, 2 pantaloni, 1 gilet, 1 sovrapantalone ed 1 berretto;
          l'azienda ASM spa L'Aquila ha fatto sì ricorso — in forma diretta — al Me.Pa. (mercato elettronico per la pubblica amministrazione — Consip s.p.a.) ma suddividendo l'acquisto in modo da ottenere, importi inferiori alla soglia minima prevista (nonostante l'importo superasse la somma di euro 40 mila ossia la soglia minima) non effettuando quindi la gara ad evidenza pubblica ai sensi dell'ex articolo 125 del decreto legislativo 163 del 2006 e successive modificazioni;
          il regolamento per gli acquisti sul Me.Pa. (Consip s.p.a.) sancisce in particolare che «Il Soggetto Aggiudicatore ed il Fornitore riconoscono che Consip ed il Gestore del Sistema non possono in alcun modo verificare né tantomeno garantire la conformità dei Beni e dei Servizi offerti a Catalogo con quelli che verranno effettivamente consegnati o effettuati dai Fornitori ai Soggetti Aggiudicatori, e pertanto non assumono alcuna responsabilità, né forniscono alcuna garanzia sui Beni, sui Servizi, sulla loro conformità alla normativa applicabile e sul buon esito delle transazioni concluse nel Mercato Elettronico tra i Fornitori e i Soggetti Aggiudicatori»;    
          si richiamano il contratto collettivo nazionale di lavoro di riferimento, il codice della strada ed il suo regolamento di attuazione, il decreto legislativo 475 del 1992 e successive modificazioni, il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 10 luglio 2002, la circolare del dipartimento per i trasporti terrestri e per i sistemi informativi e statistici della direzione generale della motorizzazione e della sicurezza del trasporto terrestre — protocollo 14/MOT1 del 15 gennaio 2004 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il decreto interministeriale del 4 marzo 2013, il decreto legislativo 81 del 2008 e successive modificazioni (TUS), la EN ISO 20471:2013 «Indumenti ad alta visibilità – Metodi di prove e requisiti» e soprattutto il decreto 9 giugno 1995, del Ministero dei lavori Pubblici, Disciplinare tecnico sulle prescrizioni relative ad indumenti e dispositivi autonomi per rendere visibile a distanza il personale impegnato su strada in condizioni di scarsa visibilità, che stabilisce in particolare ai capitoli 11, 12 e 13 il contenuto della etichetta di cui deve essere dotato l'indumento ad alta visibilità;
          la ASL territorialmente competente — ASL n.01 L'Aquila/Sulmona/Avezzano — era stata già preventivamente avvisata dal settembre 2015 e ha soprasseduto agli adempimenti ad essa ascritti dalla così detta Carta 2000 — vedasi conferenza del 3-5 dicembre 1999 a Genova, cui è seguita la specifica circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e del Ministero della salute – Protocollo VII/291 che prevede dettagliatamente: «In coerenza a quanto sopra esposto, appare evidente che il personale ispettivo e di controllo degli organi e dei servizi in indirizzo non solo attingerà notizie e informazioni utili direttamente dalla rappresentante della sicurezza — organo legittimato dagli interessi di cui è portatore e alla cui tutela l'attività amministrativa è finalizzata — ma gli parteciperà anche le irregolarità riscontrate tramite consegna della copia del verbale di ispezione opportunamente depurato degli aspetti strettamente penali»;
          a quanto risulta all'interrogante l'azienda convenzionata con l'ASM spa L'Aquila, deputata al lavaggio degli stessi, ha rilasciato su alcuni indumenti — al primo lavaggio — la dicitura CAPO NON CONFORME NORMA EN 471 con superamento aree minime;
          sempre quanto risulta agli interroganti gli indumenti in dotazione ai lavoratori non riporterebbero, né cucita né tantomeno stampata, l'etichetta identificativa per quelli ad alta visibilità e quindi tutto quanto previsto e stabilito dalla norma in parola (decreto ministeriale del 9 giugno 1995);
          le certificazioni prodotte da ASM spa L'Aquila inerenti i requisiti – comunque dichiarati sia da ASM spa L'Aquila che dal fabbricante/venditore — sono riferite alla presunta rispondenza alla normativa tecnica e non ad una o a delle direttive specifiche e sono postume alla commercializzazione del prodotto ed altresì alcune fanno riferimento alla certificazione del tessuto e non dell'intero indumento, come invece prevede la norma;
          da semplice indagini di mercato, si viene a determinare un costo più esiguo (ben 2/3 alla somma complessiva) con indumenti corrispondenti a quanto necessario con rispettiva correlazione delle certificazioni previste per quelli ad alta visibilità (riferimento UNI EN 20471:2013);
          l'ex Amministratore unico di ASM spa L'Aquila — Dottor Rinaldo Tordera — ha dichiarato che con atto depositato presso il tribunale dell'Aquila sezione lavoro — ed ancor più precedentemente, già nel novembre 2015, «Tali certificazioni sono state già esaminate dalla ASL dell'Aquila – Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro — Dipartimento di Prevenzione (a seguito di richiesta pressoché concomitante al comunicato sindacale) senza che siano emerse osservazioni di sorta» e questo con atto indirizzato alla proprietà, ossia al comune dell'Aquila;
          la ASL territorialmente competente che sta svolgendo attualmente le indagini è — in questo momento — gestita dal dottor Rinaldo Tordera, neo-nominato, che ha acquistato gli indumenti in precedenza in ASM spa L'Aquila e che quindi sostanzialmente è divenuto controllore di se stesso;
          gran parte della documentazione è già in pieno possesso delle varie divisioni ministeriali già poste a conoscenza che a tutt'oggi, a quanto consta all'interrogante, non hanno fornito — nonostante vari contatti di sollecitazione — i dovuti pareri  –:
           quali iniziative di competenza intendano assumere i Ministri interrogati al fine di tutelare i lavoratori che sono esposti su strada e che ogni giorno rischiano la propria incolumità, indossando oltretutto a tutt'oggi detti indumenti, nonché al fine di garantire la salute e la sicurezza nell'ambiente di lavoro.
(4-14035)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      ROMANINI e PAOLO ROSSI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il nostro Paese è di gran lunga il primo produttore di grano duro in Europa con una superficie coltivata di 1,3 milioni di ettari e una produzione stimata nel 2016 di quasi 5 milioni di tonnellate, e si contende con i   Canada, su base annuale, il primato mondiale. In molte zone d'Italia il grano duro non ha alternative colturali e la sua coltivazione contribuisce in maniera importante al miglioramento economico e sociale di tali aree rurali, nonché alla valorizzazione del paesaggio e alla difesa idrogeologica del territorio;
          nonostante questo primato è ancora forte la dipendenza dell'Italia dalle importazioni di grano duro, sia in ragione dell'insufficiente produzione nazionale rispetto al fabbisogno, sia in considerazione della necessità di disporre di forniture che si caratterizzano per qualità omogenea e costanza nel tempo;
          le quotazioni del grano duro sono ormai ben al di sotto dei 20 euro al quintale (le produzioni biologiche non superano i 25/26 euro) e testimoniano un trend che negli ultimi anni ha visto comprimersi la redditività a fronte di costi di produzione, al contrario, in progressiva crescita. Inoltre, la dipendenza dalle importazioni ha esposto l'andamento dei prezzi agli squilibri internazionali dei mercati cerealicoli. Nonostante questo non si è rilevato alcun beneficio per i consumatori finali sui prezzi di vendita dei prodotti lavorati;
          le associazioni agricole e gli stessi agricoltori, a partire dai produttori dei distretti del frumento duro di Puglia ed Emilia Romagna, stanno organizzando iniziative di mobilitazione lungo tutta la penisola;
          il 20 luglio 2016 si è svolta a Roma la riunione del tavolo nazionale della filiera cerealicola, presieduto dal Ministro interrogato, che ha visto la partecipazione dei rappresentanti delle regioni, delle organizzazioni agricole e della cooperazione, delle imprese di trasformazione, di commercializzazione e dell'industria mangimistica;
          tra le sei azioni presentate dal Ministero alla filiera si ricordano, in particolare, lo stanziamento di 3 milioni di euro per l'anno 2016 e 7 milioni di euro per l'anno 2017 per la costituzione di un fondo per il sostegno delle imprese del comparto cerealicolo, la conferma degli aiuti accoppiati europei Pac per il frumento (circa 70 milioni di euro all'anno fino al 2020), il rafforzamento dei contratti di filiera attraverso nuovi bandi (per un budget totale di 400 milioni di euro) ai quali potranno attingere anche i progetti legati al grano;
          il Ministro ha confermato inoltre il proprio impegno per la tutela del made in Italy annunciando l'intenzione di sottoporre, già nei prossimi giorni, alla Conferenza Stato-regioni il provvedimento per il marchio unico volontario anche per grano e prodotti trasformati  –:
          in che tempi, il Ministro interrogato, intenda rendere pienamente operative le misure annunciate per fronteggiare la contingente crisi del prezzo del grano duro;
          se non intenda sostenere, in sede comunitaria, una revisione della politica agricola comune tale da prevedere forme di incentivazione a strumenti di stabilizzazione del reddito quali, ad esempio, i fondi mutualistici;
          se non intenda assumere iniziative per rendere obbligatoria e non facoltativa la comunicazione delle scorte da parte degli operatori commerciali e industriali in modo da avere dati oggettivi e verificabili, favorendo quindi la trasparenza nella valutazione di mercato, al fine di consentire la stesura di bilanci previsionali affidabili per la nuova campagna di commercializzazione. (5-09351)


      ROSTELLATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il 7 luglio 2016 il corpo forestale dello Stato, ha scoperto una piantagione di mais transgenico, geneticamente modificato MON810, nel comune di Guarda Veneta a Rovigo. Così come previsto il terreno è stato dapprima sequestrato e poi le piante di mais distrutte;
          questo episodio rientra nell'ambito di un programma di controlli che il corpo forestale dello Stato sta effettuando e che ha come scopo quello di verificare l'utilizzo di organismi geneticamente modificati (Ogm) in agricoltura, su tutto il territorio nazionale, anche mediante l'uso di test che rilevano la presenza dell'endotossina specifica per il MON810;
          il mais MON 810 è un mais geneticamente modificato utilizzato in tutto il mondo. Si tratta di una linea di Zea mays della compagnia Monsanto geneticamente modificata (Ogm) con la capacità di combattere la perdita di raccolto causata dagli insetti. Il tutto è dovuto ad un gene inserito nel Dna del mais MON 810, che permette alla pianta di produrre una proteina che danneggia gli insetti che cercano di nutrirsene. Il gene inserito è tratto dal Bacillus thuringiensis che produce la Delta-endotossina, sostanza velenosa per gli insetti dell'ordine dei Lepidotteri, tra cui la Piralide del mais europea. È stato approvato per l'uso in Argentina, in Australia, in Brasile, in Canada, in Cina, in Colombia, nell'Unione europea, in Giappone, in Corea, in Messico, nelle Filippine, nel Sud Africa, in Svizzera, nella Corea del Sud, in Taiwan, negli Stati Uniti e in Uruguay;
          gli organismi genericamente modificati sono esseri viventi il cui patrimonio genetico è stato artificialmente alterato tramite aggiunta, eliminazione o modifica di elementi genici, al fine di ottenere determinate caratteristiche nel nuovo organismo, quasi sempre per garantire piante resistenti a determinate malattie che generalmente nella agricoltura tradizionale sono combattute attraverso fitofarmaci. La ricerca in ambito di genetica in agricoltura è soprattutto tesa a garantire piante più sane, più resistenti alle malattie e di conseguenza ridurre l'uso dei fitofarmaci che, è dimostrato, sono nocivi per la salute umana;
          in alcuni casi, alcuni prodotti vengono migliorati geneticamente per curare o evitare alcune malattie umane. È il caso del golden rice, una varietà di riso geneticamente modificato (Ogm) in grado di ridurre, nei consumatori, la carenza di vitamina A, causa di cecità e morte prematura tra i bambini dei paesi in via di sviluppo;
          la normativa sugli organismi geneticamente modificati (Ogm) è stata oggetto in Europa di un ampio dibattito che ha coinvolto le istituzioni comunitarie e gli Stati membri;
          la prima direttiva europea atta a uniformare l'approccio degli Stati membri riguardo agli organismi geneticamente modificati risale al 1990 (direttiva 90/220/CEE). Secondo le procedure riportate in questa direttiva sono stati autorizzati al rilascio deliberato nell'ambiente, per scopi sperimentali e non, 17 organismi diversi, tra cui 14 piante (ad esempio diverse varietà di mais, colza e soia) e due vaccini (quello per la rabbia e quello per la malattia di Aujeszky, ad uso veterinario);
          tra il 1990 e il 1997 numerose sono state le mobilitazioni degli attivisti anti-Ogm ed hanno fatto sì che il dibattito sugli Ogm entrasse nelle agende politiche degli Stati membri e dell'Unione europea. La crescente impopolarità degli alimenti Ogm, nonostante il parere unanime della scienza sulla loro innocuità per l'uomo, ha fatto naufragare la politica di apertura cautelativa verso gli Ogm iniziata con la direttiva 90/220/CEE;
          nel 1997 diversi Stati membri hanno iniziato a rifiutare l'autorizzazione all'uso di Ogm nei propri territori appellandosi alla cosiddetta «clausola di salvaguardia», e nel 1998 diversi Stati, guidati dalla Francia, hanno votato per un blocco delle autorizzazioni di Ogm a livello europeo fino a che non fosse garantito il diritto di scelta dei cittadini attraverso appropriate norme di etichettatura ed una revisione della normativa alla luce del principio di precauzione. Come conseguenza, tra il 1998 e il 2004 nessun nuovo Ogm è stato autorizzato nell'Unione europea, venendo a creare una moratoria di fatto. Gli Stati Uniti, in quanto maggiori produttori di piante Ogm, e le multinazionali agrobiotecnologiche, si sono opposti fortemente a questa moratoria denunciando il mancato rispetto degli accordi sul commercio internazionale, regolati dall'Organizzazione mondiale del commercio, basati sul principio che solo pericoli per la salute, scientificamente provati, possono costituire una barriera all'importazione. Un'azione formale presso l'Omc è stata presentata da Stati Uniti, Canada e Argentina nel maggio 2003, proprio sulla base del fatto che la moratoria europea non era sostenuta da nessuna evidenza scientifica di rischio per la salute umana, animale o dell'ambiente;
          tale situazione di stallo ha comportato, tra l'altro, una drastica riduzione delle attività di ricerca biotecnologica svolte dai centri di ricerca europei, le cui prove sperimentali sono drasticamente diminuite da alcune centinaia l'anno a poche decine, come sottolineato in un report del Joint Research Center europeo;
          per superare tale fase l'Europa ha intrapreso una faticosa strada per la riscrittura del panorama normativo di riferimento;
          dopo un lungo dibattito a livello nazionale e comunitario, l'Unione europea ha introdotto la possibilità, attraverso la pubblicazione in Gazzetta ufficiale della Direttiva UE 2015/412 dell'11 marzo 2015 che modifica la direttiva 2001/18/CE, di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati (Ogm) sul loro territorio;
          a livello europeo, l'importanza delle modificazioni genetiche nel raggiungere gli obiettivi di sostenibilità del sistema agricolo è stato più volte riconosciuto dalle società scientifiche. Ad esempio, nel 2013 il Science Advisory Board delle Accademie delle Scienze Europee (Easac) ha pubblicato un rapporto in cui si evidenzia come, quando correttamente utilizzate, le piante Ogm resistenti a diserbanti o insetti possono portare importanti vantaggi, che comprendono una riduzione nell'uso di erbicidi e pesticidi, e una semplificazione delle tecniche agronomiche, con riduzione dei fenomeni di erosione del suolo. Ovviamente l'impatto di una pianta geneticamente modificata, come quello di qualsiasi altra varietà vegetale, è dipendente dal contesto agronomico, economico e sociale in cui viene utilizzata;
          in Italia, da oltre dieci anni, al contrario di quanto avviene nei maggiori Paesi europei, non è possibile fare ricerca scientifica pubblica, sperimentando in pieno campo le innovazioni biotecnologiche scoperte dagli scienziati italiani e tale divieto è in contrasto con l'interesse nazionale e con le indicazioni dell'Unione Europea contenute nella stessa direttiva (UE) 2015/412 con cui si dispone che, nel lasciare liberi gli Stati di regolamentare a piacere sul loro territorio le piante geneticamente modificate, si raccomanda di favorire la ricerca scientifica nell'interesse dell'economia agricola europea e mondiale;
          numerosi sono stati i report da parte di accademie delle scienze, comitati, società scientifiche europee che hanno lamentato la contrazione delle attività di ricerca in alcuni settori scientifici come la botanica e il miglioramento genetico, in cui l'Europa era e ancora è storicamente forte;
          si assiste da anni ad un progressivo declino della possibilità delle aziende agricole italiane a competere con le produzioni di provenienza estera, anche quando si tratti di produzioni italiane di elevata qualità o tipiche;
          nonostante i vari stanziamenti operati dal ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (21 milioni di euro nella legge di stabilita 2016 per il finanziamento del progetto di ricerca pubblica per il miglioramento genetico attraverso biotecnologie sostenibili e l'istituzione di un fondo da 10 milioni di euro inserito nel decreto-legge enti locali per l'avvio del piano cerealicolo nazionale a sostegno delle produzioni di grano italiane e per la valorizzazione della qualità), la ricerca scientifica in pieno campo è vietata e quindi non applicabile;
          questa scelta, così poco strategica, causa un ulteriore gravissimo ritardo che penalizza la produzione agricola nazionale;
          la Germania, al contrario di quello che succede dall'inizio del secolo in Italia, continua ad effettuare sperimentazioni in pieno campo di piante geneticamente migliorate e, nel solo mese di settembre 2015, ha depositato la documentazione per svolgere cinque diverse sperimentazioni di Ogm in pieno campo;
          nonostante sia negata la produzione nel nostro Paese di Ogm, si importano una grande quantità di cereali Ogm per l'alimentazione degli animali. Gli Ogm quindi già da tempo sono entrati nella nostra catena alimentare;
          il 30 giugno 2016 109 premi Nobel hanno elaborato un testo per chiedere a Greenpeace, che da anni si batte contro gli organismi geneticamente modificati, di cessare l'opposizione alla coltivazione di organismi geneticamente modificati;
          i firmatari «Chiedono a Greenpeace e ai suoi sostenitori di riesaminare le testimonianze di agricoltori e consumatori in tutto il mondo a proposito dei raccolti e degli alimenti migliorati grazie alle biotecnologie, di riconoscere le scoperte delle istituzioni scientifiche e l'attività delle agenzie regolatorie e di abbandonare le campagne contro gli Ogm in generale e contro il golden rice in particolare»;
          un rapporto pubblicato recentemente dagli esperti delle National Academies of Sciences, Engineering and Medicine ha addirittura certificato che non emergerebbero «prove sostanziali» di differenze nei rischi per la salute umana derivanti dal consumo di prodotti geneticamente modificati e coltivati tradizionalmente, né «prove conclusive di causa-effetto» di problemi ambientali;
          dal momento che tutto il settore della cerealicultura sta subendo un crollo dei prezzi, basti pensare al grano, che a luglio è calato del 42 per cento rispetto allo scorso anno, una situazione che ha causato la «strage» di centinaia di migliaia di aziende, la desertificazione di milioni di ettari di terreno e la messa in pericolo per il futuro di prodotti simbolo del made in Italy come la pasta e il pane, oppure al crollo della quotazione del mais, elaborata dalla Borsa Merci Telematica nella sua analisi sul mercato cerealicolo all'ingrosso, compiuta a partire dai listini rilevati dalle camere di commercio e borse merci nazionali, che segnala che a partire da metà giugno 2016 le quotazioni del mais nazionale sono scese in tutti i principali centri di scambio nazionali risulta paradossale che, da un lato, venga vietata la coltivazione di mais e soia geneticamente modificati e che, dall'altro, il mais e la soia da noi prodotto vengano pagati come il mais Ogm importato, i cui costi di produzione sono nettamente inferiori;
          il piano agricolo e alimentare delle Nazioni Unite prevede che debbano essere raddoppiate entro il 2050 le produzioni di alimenti, mangimi e fibre per riuscire a soddisfare le esigenze di alimentazione della popolazione mondiale, in costante crescita e per farlo, l'aiuto delle tecnologie in agricoltura diventa una necessità ineludibile alla quale non ci si può sottrarre, pena il non riuscire a sfamare tra qualche anno milioni di persone;
          le agenzie di regolamentazione e gli istituti scientifici preposti, d'altra parte, hanno ripetutamente certificato che i cibi migliorati attraverso l'utilizzo di Ogm sono altrettanto sicuri – se non più sicuri – di quelli derivanti da altri metodi di produzione;
          il miglioramento genetico vegetale rappresenta uno dei settori attraverso il quale è possibile aumentare competitività, efficienza produttiva e sostenibilità del sistema agricolo, favorendo l'adattamento ai cambiamenti climatici, e contribuendo alla qualità delle produzioni, sia con riferimento al potenziamento delle proprietà salutistiche e nutraceutiche, sia diminuendo la necessità di ricorrere all'uso dei fitofarmaci;
          risulta quindi necessario far sì che gli agricoltori possano aver accesso a tutti gli strumenti della biologia moderna e che anche nel nostro Paese    si superino le resistenze nei confronti delle biotecnologie e degli Ogm che non hanno ragion d'essere e che rischiano di penalizzare l'intero comparto produttivo agricolo  –:
          se il Governo non intenda rivedere la propria posizione in merito alla ricerca genetica in pieno campo al fine di valutare e assicurare la totale innocuità degli organismi geneticamente modificati sulla saluta umana e permettere quindi le coltivazioni di tali prodotti anche da parte degli agricoltori italiani;
          se non intenda assumere iniziative per rilanciare la ricerca biotecnologica agraria pubblica in Italia, prevedendo la sperimentazione in campo aperto delle innovazioni studiate in ambito pubblico, anche al fine di rendere possibili le ricerche su nuove piante e microrganismi utili in agricoltura, con particolare riferimento alle tecniche di garanzia della tutela della salute e alla lotta nei confronti dell'abuso di fertilizzanti chimici di cui sono conosciute le negatività. (5-09372)


      ZANIN, OLIVERIO, MONGIELLO, COVA, PRINA e ROMANINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          in Italia il settore pataticolo è strutturato in organizzazioni dei produttori (OP), che hanno promosso la costituzione della Unione nazionale delle associazioni dei produttori (UNAPA), riconosciuta giuridicamente sulla base della legge nazionale n.  674 del 1978. Nel 2007 UNAPA ha ottenuto il riconoscimento di organizzazione comune dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi del decreto legislativo n.  102 del 2005;
          con la riforma della politica agricola comune (regolamento (UE) 1308/2013) l'Unione europea ha individuato nelle organizzazioni dei produttori (OP) e nelle associazioni delle organizzazioni dei produttori (AOP) i soggetti economici preposti nella gestione delle misure di mercato previste dai regolamenti europei per la salvaguardia del reddito dei produttori;
          le OP pataticole aderenti a UNAPA hanno ottenuto il nuovo riconoscimento, sulla base del Regolamento 1308/2013, dalle rispettive regioni di appartenenza. Nel maggio 2015, per volontà delle medesime OP, UNAPA ha presentato al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali formale richiesta di riconoscimento quale AOP. Tale riconoscimento non è ancora avvenuto, atteso che UNAPA possiede tutti i requisiti previsti, poiché rappresenta 10 OP operanti in 9 regioni con un fatturato di circa 55 milioni di euro;
          ad oggi è stata chiarita la competenza in merito al riconoscimento delle OP, mentre la competenza per il riconoscimento delle AOP non è stata definita; è di tutta evidenza che nel caso di UNAPA non possa essere la regione a procedere al riconoscimento, poiché la sua operatività si estende a livello nazionale;
          il mancato riconoscimento di UNAPA come AOP le impedisce di utilizzare le opportunità derivanti dai regolamenti comunitari in materia di programmi di valorizzazione prodotti agricoli. In particolare, UNAPA non ha potuto presentare la domanda all'Unione europea per il finanziamento di un progetto per la promozione delle patate Dop e Igp italiane, ai sensi del regolamento (UE) n.  1144/2014, per la mancanza del riconoscimento;
          in questo contesto di mancanza di chiarezza del quadro giuridico, anche la costituzione di un organismo interprofessionale nel settore pataticolo, già concordata con le altre componenti della filiera, è sospesa in attesa di questo riconoscimento giuridico, con evidente danno oltre che per UNAPA, anche per gli stessi produttori, che perdono le possibilità di valorizzare i loro prodotti  –:
          in che tempi si intenda procedere, per quanto di competenza, a concretizzare l'impegno di riconoscere UNAPA come Associazione delle organizzazioni dei produttori. (5-09375)


      ZANIN, OLIVERIO, MONGIELLO, COVA, PRINA e ROMANINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          la coltivazione della patata riveste una particolare valenza economica nel contesto del sistema, agricolo nazionale, riconducibile sia ai valori della produzione lorda vendibile sia ad alcune sue caratteristiche produttive e commerciali;
          un livello di redditività costante negli ultimi anni ha contribuito creare un assetto produttivo e commerciale evoluto sotto il profilo organizzativo, agevolando il consolidamento della coltura in molti comprensori;
          a questa costanza di rendimento ha contribuito il sostegno finanziario erogato, in regime di deroga fin dal 1998, dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, volto ad agevolare lo stoccaggio e la conservazione del prodotto fresco in un contesto regolamentato dalla presenza di uno specifico accordi interprofessionale;
          la fine del regime di deroga degli aiuti di Stato nel dicembre 2011 ha imposto la necessità di elaborare una politica nazionale di settore per accompagnare le aziende della filiera nel passaggio al nuovo regime di mercato;
          nel 2012, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha definito una strategia nazionale mediante il piano di settore della filiera pataticola e lo ha finanziato con circa 3 milioni di euro per i seguenti interventi:
              a) lotta alle principali problematiche fitosanitarie della patata (elateridi, tignola della patata, epitrix specie di nuova introduzione, nematodi a cisti); fisiopatie (maculatura ferruginea);
              b) sviluppo di uno specifico progetto di ricerca genetica della patata e successiva verifica dei materiali attraverso la realizzazione di campi sperimentali;
              c) azioni specifiche per la tracciabilità dell'origine della patata secondo l'utilizzo della tecnica degli isotopi;
              d) un programma di informazione al consumatore in materia di sicurezza alimentare;
          nonostante le risorse siano disponibili fin dal 2012, a tutt'oggi esse non sono state utilizzate. Le risorse trasferire dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ad ISMEA, che doveva controllare l'attivazione delle misure e quindi erogarle agli interessati, sono rimaste inutilizzate. Anche la decisione presa a fine novembre 2015 di far gestire le azioni previste dal piano attraverso un programma di ricerca nazionale gestito dal CREA non si si è di fatto concretizzata;
          questa situazione si traduce in un danno incalcolabile per i produttori di patate, che hanno necessità di difendere il proprio reddito attraverso una corretta valorizzazione della loro offerta  –:
          in che termini e con quali tempi il Ministro ritenga di poter dare soluzione effettiva all'impiego dei fondi disponibili per il sostegno del settore pataticolo.
(5-09376)


      CAPOZZOLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          con il presente atto di sindacato ispettivo si solleva all'attenzione del Governo un episodio che evidenzia una criticità molto rilevante per quel che concerne il funzionamento della dogana di Napoli che ha avuto purtroppo conseguenze negative per l'immagine e la commercializzazione di un prodotto di qualità;
          il caso in oggetto riguarda la società Basso Fedele e Figli Srl di San Michele di Serino (AV) azienda olearia;
          in data 19 maggio 2016 dagli impianti della citata società partono 10 container di olio confezionato destinati a Seoul in Corea del Sud e che sarebbero dovuti partire dal porto di Napoli;
          la Transcoma Logistic spedizioniere della merce inserisce i 10 container in una unica bolla doganale che viene trasmessa ad un operatore doganale;
          in data 30 maggio la società Basso contatta la Transcoma per sollecitare la trasmissione della bolla doganale;
          a quanto risulta all'interrogante nella risposta fornita sarebbe stato dichiarato che non era possibile ricevere la bolla da parte della Basso perché su 6 container era in corso una verifica merce e pertanto bisognava attendere l'esito delle analisi chimiche prima di sbloccare tutta la merce in partenza;
          le analisi giungono solo in data 15 luglio 2016 ossia quasi due mesi dopo l'arrivo del prodotto presso il porto di Napoli;
          i container per tutto questo tempo sono stati sotto il sole con il rischio di vedere alterate di un prodotto altamente sensibile;
          l'importatore coreano rappresenta tutte le sue proteste, per il mancato arrivo della merce, in considerazione del fatto che era indispensabile per celebrare una ricorrenza di quel Paese;
          l'azienda dopo l'esito delle analisi che hanno dato il via libera all'esportazione si è vista costretta a dover ricorrere al trasporto aereo altrimenti non avrebbe fatto in tempo ad esaudire la richiesta del cliente;
          suddette lungaggini burocratiche hanno rischiato di far perdere un importatore straniero di un prodotto di eccellenza del tessuto agroalimentare italiano con notevole danno di immagine e anche economico;
          nel caso specifico si parla di un valore pari a oltre 374 mila euro;
          poiché non è la prima volta che si verifica un simile    disservizio e poiché nessuno vuol limitare la strategica e fondamentale funzione delle dogane a tutela della legalità e della qualità delle merci che circolano, è evidente la necessità di avere un sistema più efficiente e maggiormente rispondente anche ai tempi dell'economia e del commercio internazionale  –:
          in considerazione di quanto riportato in premessa, quali iniziative il Governo intenda porre in essere al fine di prevedere un termine massimo congruo entro il quale i laboratori di riferimento delle dogane possano emettere i risultati di analisi, al fine di tenere nella dovuta considerazione qualità e deperibilità del prodotto, anche in relazione alte esigenze di spedizione con l'obiettivo di coniugare sicurezza e competitività in favore del nostro tessuto produttivo. (5-09393)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERRETTA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          la produzione di miele rappresenta una delle specificità del territorio siciliano ed in particolare etneo, nelle zone dei comuni montani come Zafferana;
          l'azienda «miele di Sicilia» di Zafferana rappresenta un'eccellenza produttiva nel settore;
          la produzione delle tipologie di miele Zagara di Agrumi, Sulla, Millefiori, è venuta meno per l'anno in corso a causa di siccità prolungata, temperature critiche durante la fioritura degli agrumi, presenza di frutti pendenti durante la fase di fioritura;
          questa situazione è aggravata dal focolaio di Aethina Tumida riscontrata negli alveari dei comuni del siracusano e in Calabria, come riscontrabile nell'articolo apparso sul Fatto Quotidiano a firma di Luisiana Gaita il 4 gennaio 2016;
          a seguito del calo della produzione interna dovuto alle calamità climatiche sono aumentate le importazioni dall'estero, anche da Paesi in cui vengono permesse le coltivazioni geneticamente modificate, come riportato sul sito specialistico lamentapiperita.com in data 14 giugno 2016  –:
          quali iniziative ritenga di dover intraprendere per tutelare un'eccellenza della produzione agricola del territorio etneo;
          se non ritenga che sussistano le condizioni per dichiarare lo stato di calamità per i territori colpiti dal calo della produzione dovuto alle condizioni climatiche della scorsa primavera. (4-14007)


      FAENZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il sito internet del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, nell'ambito dell'incontro richiesto dai rappresentanti degli operatori ippici, ha pubblicato il comunicato relativo al pagamento premi gennaio-maggio 2016 delle corse al trotto, nel quale si attesta che il recupero delle quote arretrate e accumulate fino ad oggi è da ritenersi assicurato;
          il medesimo comunicato evidenzia, inoltre, la prossima messa a regime del sistema del pagamento dei premi, che sarà in grado di garantire il completamento dell'istruttoria ai fini della liquidazione delle competenze entro 60 giorni, dal mese di svolgimento degli eventi connessi alle corse al trotto;
          per quanto riguarda lo stato dell'istruttoria, per la parte di pertinenza del Ministero, il comunicato stesso informa che per il pagamento dei premi destinati agli operatori non iscritti all'albo IVA, alla data odierna risulta quanto segue:
              a) per i premi di gennaio 2016, l'ultimo decreto di liquidazione è stato inviato all'ufficio centrale bilancio (UCB), distaccato presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in data 7 luglio 2016;
              b) per i premi di febbraio 2016, l'ultimo decreto di impegno di spesa in UCB è stato inviato in data 15 luglio 2016 per un numero complessivo di 41.29 decreti, di cui 26 ad oggi, risultano registrati da parte di UCB e liquidati attraverso l'invio del relativo decreto in UCB. Il completamento della predisposizione dei decreti di liquidazione è fissato non oltre il 26 agosto 2016;
              c) per i premi di marzo 2016 in data 15 luglio 2016 sono stati inviati i decreti di impegno di spesa all'UCB. Il completamento della predisposizione dei decreti di liquidazione è previsto non oltre il 26 agosto 2016;
              d) per i premi di aprile 2016 i decreti di impegno di spesa saranno inviati entro il 28 luglio 2016 in UCB. Il completamento della predisposizione dei decreti di liquidazione è previsto non oltre il 12 settembre 2016;
              e) per i premi di maggio 2016 i decreti di impegno di spesa saranno inviati entro il 10 agosto 2016 all'UCB. Il completamento della predisposizione dei decreti di liquidazione è previsto non oltre il 26 settembre 2016;
          per quanto riguarda il pagamento dei premi in favore degli operatori titolari di partita IVA (prosegue il comunicato del Ministero) una recente comunicazione dell'UCB relativa all'obbligatorietà di applicare la normativa sullo split payment anche per i premi, renderà necessario ripetere la procedura di impegno e liquidazione dei premi di febbraio e marzo che comporterà un differimento dei tempi (allo stato attuale non quantificabile) per il completamento dell'istruttoria di competenza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali Mipaaf di cui saranno fornite a breve termine indicazioni per gli operatori;
          il comunicato, infine, conclude evidenziando l'obbligo di segnalare che la data dell'effettivo bonifico bancario dipenderà dalla positiva conclusione delle prescritte e necessarie procedure di verifica e controllo di esclusiva competenza dell'UCB;
          al riguardo, alla luce dei rilievi riportati dal comunicato in precedenza richiamato, nella parte in cui si fa riferimento alla situazione dei pagamenti dei premi al traguardo, l'interrogante rileva la necessità di ulteriori precisazioni da parte del Ministero in merito alla posizione dell'UCB relativamente all'applicazione dello split payment sugli operatori titolari di partita IVA;
          tale posizione, ad avviso dell'interrogante, contravviene alle finalità del decreto ministeriale del 20 febbraio 2015 e alla circolare n.  15/E dell'aprile 2015 emessa dall'Agenzia delle entrate, che precisano gli adempimenti e i casi di esclusione fra i quali: «prestazioni di servizi con compensi assoggettati a ritenute alla fonte»;
          l'interrogante evidenzia a tal fine che, considerato che le fatture degli operatori ippici titolari di partita IVA, sono assoggettate ad una ritenuta di imposta del 4 per cento, risultano incomprensibili i motivi per quali, gli operatori ippici con partita IVA non debbano rientrare nei casi di esclusione;
          l'interrogante rileva altresì, come la norma in questione sia entrata in vigore il 1o gennaio 2015, ma ciononostante, le fatture emesse per il medesimo anno e pagate attraverso il c/c EX-ASSI mediante il dirigente delegato e le fatture inerenti ai premi di gennaio 2016 pagate con il nuovo sistema mediante UCB, saranno pagate senza l'applicazione dello split payment;
          in considerazione delle numerose e articolate osservazioni in precedenza richiamate, a parere dell'interrogante, risultano indispensabili una serie di delucidazioni, in merito alla posizione intrapresa dall'UCB e, al contempo, occorre una effettiva accelerazione da parte del medesimo ufficio per le procedure di pagamento dei premi degli operatori con partita IVA –:
          quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere, nell'ambito delle rispettiva competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se non ritengano opportuno fornire adeguate delucidazioni in merito alle osservazioni in precedenza richiamate, con riferimento a quanto disposto dal decreto ministeriale del 20 febbraio 2015 e dalla circolare n.  15/E dell'aprile 2015 emessa dall'Agenzia delle entrate, in materia di regolamento di split payment IVA, nella parte in cui si prevedono i casi di esclusione per i soggetti quali gli operatori ippici titolari di partita IVA;
          quali siano i motivi per i quali le fatture per il pagamento dei premi, emesse dopo il 1o gennaio 2015 (pagate attraverso il c/c EX-ASSI mediante il dirigente delegato) e quelle per i premi di gennaio 2016 (pagate con il nuovo sistema mediante UCB), saranno pagate senza l'applicazione dello split payment;
          quale sia, nella sostanza, l'impostazione procedurale da parte dell'ufficio centrale bilancio in relazione ai pagamenti delle corse al trotto, posto che le evidenti difficoltà tecniche e burocratiche, con cui sono costretti a misurarsi da anni gli stessi operatori ippici, accrescono una costante incertezza in merito ai tempi di erogazione dei premi, fattore che contribuisce a ridurre l'attrattività degli eventi di gara;
          quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere, al fine di garantire una effettiva accelerazione da parte ufficio centrale bilancio in relazione alle procedure di pagamento dei premi degli operatori ippici con partita IVA. (4-14019)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      TARICCO, CARRA, GIULIETTI, MINNUCCI, MARIANI, SENALDI, GIUSEPPE GUERINI, CARLONI, ANTEZZA, ALBANELLA, IORI, OLIVERIO, PAOLO ROSSI, ROMANINI, CARRESCIA, IACONO, CENSORE, LODOLINI, CAPOZZOLO, CARROZZA, BONOMO e TIDEI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 22 dicembre 2015 con l'approvazione in via definitiva dal Senato della Repubblica della legge di stabilità 2016, la legge sull'autismo n.  134 del 2015 riceve il suo primo finanziamento;
          la legge 18 agosto 2015 n.  134, prevede interventi finalizzati a garantire la tutela della salute, il miglioramento delle condizioni di vita e l'inserimento nella vita sociale delle persone con disturbi dello spettro autistico; in conformità a quanto previsto dalla risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite A/RES/67/82 del 12 dicembre 2012 sui bisogni delle persone con autismo;
          la legge prevede che l'Istituto di Sanità aggiorni le linee guida sul trattamento dei disturbi dello spettro autistico in tutte le età della vita sulla base dell'evoluzione delle conoscenze fisiopatologiche e terapeutiche derivanti dalla letteratura scientifica e dalle buone pratiche nazionali e internazionali;
          viene disposto l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con l'inserimento, per quanto attiene ai disturbi dello spettro autistico, delle prestazioni della diagnosi precoce, della cura e del trattamento individualizzato, mediante l'impiego di strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche;
          entro centoventi giorni dall'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e in applicazione degli stessi, il Ministero della salute, previa intesa in sede di Conferenza unificata, provvede all'aggiornamento delle linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nei disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS), con particolare riferimento ai disturbi dello spettro autistico, Le linee di indirizzo sono aggiornate con cadenza almeno triennale;
          il Ministero della salute provvede alla promozione dello sviluppo di progetti di ricerca riguardanti la conoscenza del disturbo dello spettro autistico e delle buone pratiche terapeutiche ed educative;
          alle singole regioni e province autonome spetta il compito di individuare i centri di riferimento per il coordinamento dei servizi; stabilire percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali, assicurandone la continuità nel corso della vita della persona; realizzare strutture semiresidenziali e residenziali per la presa in carico di soggetti minori, adolescenti e adulti;
          per dare piena attuazione alla legge n.  134 del 2015, la legge di stabilità 2016 (legge n.  208 del 2015 articolo 1, comma 401) ha istituito presso il Ministero della salute un fondo di 5 milioni di euro annui a decorrere dal 2016 per la cura dei soggetti con disturbo dello spettro autistico. I criteri e le modalità di accesso al Fondo spetteranno ad un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare, previa intesa in sede di Conferenza unificata, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore delle legge di stabilità 2016;
          il 25 febbraio 2016 il Ministero della salute ha firmato con l'Istituto superiore di sanità un accordo di collaborazione finalizzato all'istituzione dell'Osservatorio nazionale per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico. Il progetto ha il duplice obiettivo di effettuare una stima di prevalenza dei disturbi delle spettro autistico a livello nazionale e di costituire una rete pediatrica-neuropsichiatria infantile per la loro individuazione precoce;
          ad oggi, effettivamente, a quanto è dato sapere, il Ministero non avrebbe ancora attivato le procedure necessarie alla ripartizione delle risorse dichiarate e pertanto non sono ancora disponibili i fondi necessari a procedere con i progetti sopracitati  –:
          quale sia lo stato di attuazione delle misure di cui in premessa da parte del Ministero della salute se trovi conferma la situazione descritta e se non ritenga indispensabile agire tempestivamente per sbloccarla, predisponendo il citato decreto, e attivando il confronto in Conferenza unificata per mettere al più presto le singole regioni in condizione di accedere ai fondi disponibili e attivare così i progetti e le attività ad oggi bloccate. (5-09350)


      GRIBAUDO e CARNEVALI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la legge n.  208 del 28 dicembre 2015 (legge di stabilità 2016) ha istituito presso il Ministero della salute il fondo per la cura dei soggetti con disturbo dello spettro autistico «al fine di garantire la compiuta attuazione della legge 18 agosto 2015, n.  134»;
          a tale fine, l'articolo 1, comma 401 della suddetta legge individua una dotazione annuale di 5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016;
          il successivo comma 402 specifica che i criteri e le modalità per l'utilizzazione del Fondo sono stabiliti con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281, e successive modificazioni, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge;
          ad oggi tali direttive non risultano essere ancora state emanate  –:
          quali siano i criteri con cui il Ministro interrogato intenda dare attuazione alle norme che prevedono l'istituzione del Fondo per l'autismo e quali siano i tempi previsti per l'adozione del richiamato decreto ministeriale. (5-09354)


      PILI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          una circolare delle asl Sardegna di fatto «rispedisce» indietro i pazienti sottoposti a cure delicatissime; i centri chiudono anzitempo e il personale è in ferie forzate;
          si tratta di pazienti affetti da disabilità gravi, fisiche, psichiche e sensoriali, mandati a casa senza cure;
          vi sono famiglie senza fondi impossibilitate a garantire le cure ai propri cari e le asl ordinano ai centri di fermare i servizi per tutti i pazienti disabili, compresi, quelli gravi;
          si parla di tagli da attuarsi da qui alla fine dell'anno di oltre il 21 per cento rispetto allo scorso anno; tagli come se si trattasse di ridurre il carburante di una macchina;
          la regione taglia risorse per i disabili come se niente fosse;
          è bastata una delibera della giunta regionale del 12 luglio 2016 divulgata nelle ultime ore per imporre ai commissari della asl una direttiva diramata ai familiari dei pazienti che si sono visti cancellare tutte le prestazioni di cura proprio per ottemperare alla assurda imposizione regionale;
          si tratta di centri che hanno letteralmente chiuso i cancelli con disposizioni affisse agli albi e con comunicazione diretta ai familiari dei pazienti: i centri riabilitativi chiudono dal 1o agosto al 4 settembre e riaprono il 5 settembre non per volontà delle strutture ma a causa della circolare ricevuta il 27 luglio scorso;
          si tratta per la maggior parte di pazienti ex articolo 26, quindi con patologie neurologiche, adulti e bambini;
          pazienti che hanno bisogno di cure continue, con adulti post ictus e patologie neurodegenerative che rischiano ripercussioni permanenti;
          tra loro vi sono anche bambini con sindromi genetiche e di autismo e paralisi cerebrali infantili;
          è tutto bloccato per una regione di a giudizio dell'interrogante, incapace e priva anche del minimo buon senso;
          la asl più solerte ad eseguire l'ordine è quella di Cagliari, ma in queste ore la direttiva si sta attuando in tutta Sardegna;
          l'ordine perentorio è quello di tagliare 72 giorni di prestazioni;
          la riabilitazione globale obbligatoria a ciclo continuativo, non si può interrompere senza provocare gravissime ripercussioni su pazienti affetti da grave disabilità fisica, psichica e sensoriale;
          è stata cancellata anche la riabilitazione residenziale a valenza socio-riabilitativa, lo stesso dicasi per l'attività riabilitativa per persone con disabilità in situazioni di gravità;
          si tratta di una vera e propria «ritirata» della sanità che lascia in balia della malattia migliaia di pazienti in tutta la Sardegna;
          ciò all'interrogante appare una interruzione di pubblico servizio per il quale le responsabilità sono tutte in capo ad una gestione inaccettabile della sanità regionale che dilapida i fondi dei sardi per l'ospedale dei ricchi e taglia i servizi per i territori più deboli e i pazienti più poveri;
          a questo si aggiunge lo scandaloso accordo del 2006 che ha scaricato sulla regione l'intero costo della sanità, senza tener conto delle dinamiche della crescita della spesa sanitaria;
          una scelta nefasta voluta e attuata dal trio «Soru — Pigliaru – Prodi» che ha, ad avviso dell'interrogante, messo in ginocchio la sanità sarda costretta a reggersi sulle entrate proprie, nonostante sulla stessa sanità gravi pesantemente il peso dell'insularità;
          la asl 8 ha intimato alle strutture riabilitative di interrompere le prestazioni per consentire la verifica del tetto attribuito e conseguentemente il superamento dello stesso;
          le strutture che probabilmente hanno il quadro delle prestazioni non hanno potuto far altro che bloccare l'erogazione delle prestazioni in attesa del conteggio delle prestazioni gennaio – luglio 2016. Nella sola asl di Cagliari hanno ricevuto l'intimazione l'Aias, l'Anfass, Crfs, Cmf, Cmsr, Consalus, CRN, CRM, CTR, Logos, San Biagio, Santa Lucia, Gesù Nazareno, Santa Maria Bambina;
          si tratta di un vero e proprio disastro con familiari senza alcuna risposta e soprattutto con gravissime patologie senza alcuna cura  –:
          se non ritenga il Governo di dover valutare un'immediata iniziativa, per quanto di competenza, per accertare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
          se non si ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza, anche valutando la sussistenza dei presupposti per dichiarare lo stato di emergenza e procedere alla nomina di un commissario governativo, al fine di garantire il rispetto dei livelli essenziali di assistenza nella regione Sardegna. (5-09383)

Interrogazione a risposta scritta:


      PARENTELA, L'ABBATE, GALLINELLA, GAGNARLI e DA VILLA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          l'anagrafe equina è attualmente gestita dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) con le risorse dell'incorporata ASSI ex UNIRE (Agenzia per lo sviluppo del settore ippico), ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge n.  147 del 2003 e seguenti (istituzione della Banca Dati Equidi) e dell'articolo, 14, comma 28, del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive (soppressione e riordino di enti ed organismi pubblici);
          l'Agenzia ex ASSI, oggi assorbita dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in base al decreto ministeriale 31 gennaio 2013 (trasferimento delle relative funzioni), aveva articolato l'anagrafe per razza, tipologia d'uso e diffusione territoriale degli equidi, utilizzando a tal fine anche l'AIA (Associazione italiana allevatori) e le rispettive strutture provinciali e regionali (APA e ARA), con la duplice finalità di custodire in apposita documentazione i dati concernenti i capi equini e curarne l'aggiornamento attraverso un monitoraggio costante;
          le modalità gestionali dell'anagrafe equina in capo all'ex ASSI sono state stabilite a propria volta con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali 29 dicembre 2009 e seguenti (linee guida), che all'articolo 3 comma 11 prevede per ogni impresa di allevamento equino l'onere di conservare un autonomo registro di carico e scarico degli equidi detenuti in azienda, ove a annotare separatamente per ogni proprietario tutte le variazioni entro sette giorni dal loro verificarsi;
          il manuale operativo del registro di carico e scarico è stato approvato con successivo decreto ministeriale 26 settembre 2011 e successive che ha adeguato le relative procedure al regolamento (CE) 504/2008 (identificazione degli equidi), poi abrogato e sostituito integralmente con decorrenza operativa dal 1o gennaio 2016 a norma del nuovo regolamento dell'Unione europea 262/2015 di pari oggetto;
          il Ministero della salute è intervenuto a sua volta mediante le due circolari esplicative n.  13626 del 23 luglio 2009 e n.  14896 del 18 agosto 2011, ove sono state chiarite le modalità di registrazione dei capi equini nella BDN (Banca Dati Nazionale dell'anagrafe zootecnica), istituita ex articolo 12, comma 1, del decreto legislativo n.  196 del 1999 presso il centro servizi dell'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e Molise «G. Caporale» con sede a Teramo;
          ciò malgrado le aziende del settore di allevamento equino hanno incontrato notevoli criticità operative, dovute da lato alla coesistenza di svariate tipologie di passaporto che accompagnano gli equini destinati alla macellazione (ASSI, ex IRE, AIA, APA, e altri), dall'altro ad oggettive lacune del sistema informatico che impediscono l'inserimento in tempo reale delle informazioni mancanti in banca dati nazionale;
          al fine di ovviare a tali difficoltà lo stesso Ministero della salute, con ordinanza 1o marzo 2013 (misure urgenti in materia di identificazione sanitaria degli equidi) adottata in conformità al vigente manuale operativo di cui al citato decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali 26 settembre 2011 e seguenti, ha introdotto un'apposita nuova sezione per i capi equini nell'anzidetta banca dati nazionale di Teramo;
          la ratio dell'ordinanza dovrebbe risiedere nell'esigenza di garantire a maggiore disponibilità dei dati contenuti nell'anagrafe ai fini dell'epidemiosorveglianza per gestire correttamente le più diffuse emergenze sanitarie della specie equina (anemia infettiva, West Nile disease, morbo coitale maligno), nonché di tutelare il benessere degli equidi rendendo identificabili aziende ed allevamenti per i servizi veterinari ufficiali;
          la nuova sezione per l'identificazione sanitaria degli equini, introdotta in BDN dalla stessa ordinanza del Ministero della salute 1° marzo 2013 con efficacia espressamente differita al 10 aprile 2016 in virtù di successiva ordinanza del 23 marzo 2015 e salve eventuali ulteriori proroghe, è aggiornata sia attraverso i dati già inseriti nell'anzidetta banca dati dell'anagrafe equina (BDE) gestita temporaneamente dall'AIA, sia tramite le informazioni fornite dai proprietari degli equidi e dal competente servizio veterinario ASL;
          il servizio veterinario stesso rettifica in sede di controllo ogni eventuale informazione in contrasto con quanto rilevato in sede di vigilanza, dichiarando «non destinati alla produzione di alimenti per il consumo umano» i soli equidi identificati in contrasto con le procedure di cui al manuale operativo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e registrando tale dichiarazione «non DPA» sul passaporto degli animali interessati (sezione IX), nella banca dati nazionale (sezione equidi) ed infine nella BDE (banca dati dell'anagrafe equina);
          malgrado l'illustrato riordino dei dati anagrafici confluiti in BDN, continuano tuttavia a sussistere le descritte criticità operative delle aziende del settore;
          in tal senso, ad inasprire le già difficili condizioni gestionali per le imprese del settore, sono intervenuti nuovi aggravi economici derivanti da un consistente aumento delle tariffe relative al corrispettivo dovute dai proprietari di equidi alle APA territorialmente competenti per il disbrigo delle pratiche concernenti i servizi anagrafici e di passaporto in base alla Circolare del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali n.  1 del 14 maggio 2007 (istruzioni all'AIA per la gestione dell'anagrafe equidi), salve riduzioni tariffarie per i soli proprietari che risultino soci APA;
          non è casuale infine che il Ministero della salute abbia presentato nel frattempo in Senato il disegno di legge AS n.  1324 (deleghe al Governo in tema di sicurezza veterinaria), attualmente in itinere all'esame delle Commissioni, che almeno, nella stesura originaria prevedeva disposizioni in materia di Anagrafe equina (v. ex articolo 21 stesso disegno di legge), quali ad esempio l'eventuale abrogazione dell'articolo 8, comma 15, citato decreto-legge n.  147 del 2003 o l'ipotetico affidamento della gestione in capo al medesimo dicastero tramite la propria Banca dati informatizzata ex articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica N. 437 del 2000 (regolamento)  –:
          quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati:
              a) per semplificare le attuali procedure amministrative, al momento troppo onerose sia in termini di adempimenti che di costi, al fine di ottimizzare l'anagrafe zootecnica per realizzare le auspicate condizioni di un agevole coordinamento delle info azioni concernenti tutti i capi equini dichiarati come «destinati alla produzione di alimenti per il consumo umano» (DPA) da registrare in quanto tali in banca dati;
              b) per attivare presso la nuova banca dati unitaria le funzionalità ritenute più idonee ad assicurare alle imprese del settore equino modalità unitarie ed omogenee di registrazione sul territorio nazionale, indipendentemente dalla provenienza geografica dei capi destinati alla macellazione;
              c) per alleviare le imprese del settore da costi impropri, eccessivi e non giustificati rispetto al servizio anagrafico, valorizzando ed implementando il più possibile le competenze dei servizi veterinari locali;
              d) per predisporre e coordinare adeguatamente le rispettive strutture amministrative competenti in materia di anagrafe equina, nelle more dell'eventuale approvazione della legge di riforma in itinere, al fine di garantire agli operatori del settore un ragionevole periodo transitorio teso alla graduale entrata in vigore ed al successivo ingresso a regime delle norme stesse;
          se non si ritenga opportuno assumere iniziative per consentire accesso tracciabile all'anagrafe equina ai veterinari iscritti all'albo;
          se, ai fini della sicurezza alimentare, non si intendano assumere iniziative per modificare la normativa in modo che i cavalli che non trascorrono la loro vita all'interno degli allevamenti da carne siano automaticamente classificati come non destinati alla produzione di alimenti per il consumo umano. (4-14016)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta orale:


      MOLTENI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          è uscito su La Provincia di Como un articolo in cui si riporta la volontà del comune di Cantù di procedere all'assunzione di 4 vigili accusando la regione Lombardia di bloccare il tutto;
          in merito alla notizia sono uscite le dichiarazioni stampa degli assessori regionali alla sicurezza, protezione civile e immigrazione, Simona Bordonali, e all'economia, crescita e semplificazione, Massimo Garavaglia;
          in particolare, l'assessore Bordonali ha precisato che «in merito allo sblocco delle assunzioni in ambito di polizia locale è necessario che la provincia di Como firmi l'accordo. Regione Lombardia ha già fatto la propria parte, garantendo con importanti interventi economici alle Province di continuare a fornire i servizi ai cittadini lombardi nonostante il governo le abbia portate all'agonia»;
           in altri termini l'assessore Bordonali precisa che il blocco deriva dalla provincia di Como, che di fatto impedisce al dipartimento della funzione pubblica di dare l'assenso allo sblocco delle assunzioni in polizia locale;
          l'assessore Garavaglia, a sua volta, volendo «fare chiarezza sulla telenovela delle province» precisa che «la regione Lombardia è pronta già dai primi mesi di febbraio di quest'anno a firmare le intese con le province per consentire le assunzioni da parte dei comuni, come prevede la legge. Purtroppo le province non vogliono firmare questi accordi»;
          è drammatico, per l'interrogante, il comportamento dell'ente ex provincia di Como, che oramai da mesi si rifiuta di firmare le intese con regione Lombardia per sbloccare le nuove assunzioni, a danno dei mancati lavoratori e della sicurezza dei cittadini;
          appare altrettanto chiara all'interrogante la volontà del sindaco di Cantù di strumentalizzare la vicenda per attaccare la regione Lombardia, rifiutandosi di accettare che i problemi dei canturini siano risolti in raccordo anche con la regione, a prescindere dal colore politico di chi la governa  –:
          se intenda fare chiarezza, per quanto di competenza, sulle cause che ostano all'assunzione di personale, vigili inclusi, da parte dei comuni lombardi e quali iniziative in merito intenda assumere, nel rispetto delle competenze degli enti locali, per accelerare lo sblocco della situazione. (3-02457)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          si apprende da notizie di stampa che la J.P. Industries, fondata nel 2012 dall'imprenditore Giovanni Porcarelli che ha rilevato dalla procedura di amministrazione straordinaria i complessi aziendali della ex Antonio Merloni spa, sta avviando la procedura di mobilità per 400 dei suoi 684 dipendenti (619 gli operai), riassunti dalla ex azienda fra Umbria e Marche e distribuiti nelle fabbriche di Fabriano e Gaifana, proprio mentre, dopo sei anni di attesa, l'accordo di programma per la reindustrializzazione delle aree umbro-marchigiane colpite dalla crisi dell'ex Merloni stava per diventare operativo, con 26 milioni di euro a disposizione delle due regioni;
          una parte rilevante delle risorse dell'accordo di programma, circa 9 milioni di euro, soro destinati per il comparto ex Merloni, mentre 2,6 milioni sono stati accantonati dalle regioni Umbria e Marche per cofinanziare un grande progetto di ricerca e sviluppo della Jp che, qualora andasse in porto, otterrebbe 10-15 milioni di contributo pubblico. Tutte risorse, però, a cui J.P. Industries non può accedere finché non si risolve lo strascico di contenzioso con le banche;
          la notizia dell'avvio della procedura di mobilità per circa il 60 per cento dei dipendenti della J.P. Industries ha destato stupore sia tra i sindacati sia tra le istituzioni locali, tanto più se si considerano i tanti sforzi compiuti in favore di questa azienda dalle due regioni che si sono peraltro attivate presso il Ministero dello sviluppo economico per spingere verso la risoluzione dei problemi dell'ex Merloni che, negli ultimi tempi, non sembrava lontanissima ed è per questo che non ci si attendeva un'iniziativa come quella della messa in mobilità;
          l'azienda ricorda che in media dal 2012, anno in cui ha iniziato la propria attività, ci sono sempre stati 480 lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria e che il piano industriale di fatto non è mai decollato, soprattutto, secondo i vertici della J.P. Industries, per le conseguenze del contenzioso nato dal ricorso delle banche creditrici contro l'acquisizione della ex Merloni;
          nella comunicazione dell'avvio della procedura di mobilitazione trasmessa ai Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dello sviluppo economico e alle parti sociali, l'imprenditore Porcarelli addita gli strascichi del contenzioso promosso dalle banche creditrici della ex Merloni e le mutate condizioni del mercato degli elettrodomestici come principali cause della situazione in cui versa l'azienda;
          contro la vendita della Merloni in amministrazione straordinaria avevano fatto ricorso otto banche (da Mps e Unicredit a Veneto Banca), che tutte insieme vantavano crediti per 170 milioni di euro, sostenendo che fosse troppo basso il prezzo di acquisto da parte della J.P. Industries (12,2 milioni invece dei 54 stimati), e sia il tribunale di Ancona sia la corte d'appello avevano dato ragione agli istituti di credito. La Corte di Cassazione però ha ribaltato la sentenza e per l'azienda si è aperta la strada di una transazione con le banche, rimasta tuttavia sulla carta;
          il titolare della J.P. Industries Porcarelli ha affermato che, non potendo far ricorso «a risorse finanziarie provenienti dal mondo bancario», sono saltati «gli investimenti programmati» e sono cresciute le difficoltà nell'instaurare «rapporti duraturi con clienti e fornitori». A ciò si è aggiunta «la crisi del mercato di settore» e il «mutamento della domanda». Porcarelli sostiene altresì che non esiste alcun segnale di ripresa all'orizzonte, ma anzi una situazione negativa «definitiva e strutturale» che impone scelte di «efficientamento produttivo» e rende indispensabile una ristrutturazione con riduzione del personale;
          i rappresentanti sindacali del territorio hanno definito «irricevibile» la decisione della J.P. di mettere in mobilità 400 dipendenti e «inaccettabile e intollerabile» l'intento del titolare dell'azienda «che di fatto cancella tutto quello fatto finora e fa tornare la fabbrica nella condizione di partenza e assoluta instabilità del 2012». I sindacati hanno altresì chiesto alla regione Marche di «agire nei confronti dell'imprenditore perché ritiri la procedura anche in ragione delle disponibilità pubbliche di cui J.P. già beneficia»  –:
          se il Governo intenda attivarsi per fare chiarezza su quanto sta avvenendo in questa complessa vicenda riguardante la ex-Merloni, nonché sulle motivazioni che ha o indotto i vertici della J.P. Industries ad avviare la procedura di mobilità per 400 suoi dipendenti;
          quali urgenti      iniziative intenda adottare il Governo, anche attraverso un'azione sinergica con le regioni e le istituzioni locali interessate, al fine di salvaguardare il futuro della ex Merloni, scongiurare l'apertura della procedura di mobilità, tutelare gli interessi dei lavoratori, nonché rilanciare lo sviluppo della fascia appenninica, già fortemente penalizzata in termini di lavoro e opportunità dalla crisi economica in atto.
(2-01452) «Galgano, Monchiero».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      VICO, GINEFRA, CAPONE, MARIANO, PELILLO, BOCCIA, GRASSI, MASSA, VENTRICELLI, MONGIELLO, CASSANO, LOSACCO e MICHELE BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          su Taranto esiste un'azienda di call center, Human Power, insediata nel 2013, con riferimento al contratto collettivo nazionale di lavoro del commercio;
          circa 1 anno e mezzo fa quest'azienda è stata rilevata ed inserita nel gruppo calabrese Planet Group (non direttamente associabile ma discendente da Phonemedia);
          nell'azienda sono occupati, tra dipendenti a tempo indeterminato e collaboratori, circa 300 lavoratori;
          tra le varie commesse, sin dal suo insediamento, l'azienda si è strutturata su Taranto sulla base della commessa Mediaset Premium, sia Inbound che Outbound;
          con la venuta di Planet Group, i volumi di Mediaset, particolarmente quelli Inbound sono andati calando;
          risulterebbe agli interroganti che questi volumi, specie quelli Inbound, siano lavorati nel call center Power Contact, appartenente a Planet Group, di Catanzaro con lavoratori a progetto, contravvenendo alla disciplina legislativa sui rapporti di lavoro nei call center;
          sono impegnati lavoratori a progetto su commesse di telecomunicazioni che a quanto risulta agli interroganti violano l'accordo tra committenza e segreterie nazionali SLC CGIL, FISTEL CISL e UILCOM UIL sulla materia dell'OB;
          le organizzazioni sindacali SLC CGIL e FILCAMS CGIL hanno segnalato queste irregolarità chiedendo incontro ad azienda (accordato per il 27 luglio);
          in data 26 luglio l'azienda ha negato l'incontro precedentemente accordato ed in data 28 luglio ai lavoratori dipendenti di Taranto sono state inviate le lettere di licenziamento a seguito di annunciata messa in liquidazione aziendale  –:
          se i Ministri interrogati intendano assumere ogni vigente iniziativa di competenza per assicurare le condizioni di legalità e tutela occupazionale, anche in base alla disciplina della clausola sociale vigente, nonché se intendano attivarsi nei confronti del committente Mediaset Premium al fine di evitare ulteriore perdita di posti di lavoro sul territorio di Taranto. (5-09355)


      ALLASIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          oltre due anni fa Terna (società italiana quotata ma ancora a controllo pubblico ed attiva nel settore regolato della trasmissione elettrica) ha concluso l'acquisizione della Tamini Trasformatori di Melegnano, all'epoca azienda fra i leader europei nella progettazione e costruzione di grandi trasformatori elettrici con quattro stabilimenti produttivi nel Nord Italia;
          nonostante gli annunci, la società Tamini è in piena crisi, con drammatica contrazione del portafoglio ordini e chiusura dei propri siti produttivi;
          l'azionista Terna sembra non avere alcuna reale strategia sul futuro della Tamini, asset tecnologico/manifatturiero così importante per l'intero Paese che nel 2012 Tannini aveva realizzato un fatturato di circa 141,1 milioni di euro ed era attiva nel settore europeo dei trasformatori ad alta tensione dove operano grandi player come ABB, Alstom e Siemens;
          Tamini non ha ancora un vero Management (l'amministrazione è ad interim affidata al direttore finanziario di Terna) e l'anticipata integrazione all'interno del gruppo Terna non viene realizzata (i lavoratori, preziosa risorsa, a quanto risulta all'interrogante, invece di essere incentivati al passaggio al contratto degli elettrici equiparandoli ai dipendenti di Terna vengono incentivati a lasciare la Tamini Trasformatori)  –:
          quali immediate, iniziative di competenza intendano adottare per salvaguardare il patrimonio industriale ed i lavoratori della Tamini;
          quali iniziative di competenza si intendano adottare per tutelare gli azionisti pubblici e privati di Terna che vedono gravare gli oneri economici della Tamini sui risultati di Terna stessa. (5-09357)


      OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          a seguito della direttiva comunitaria 97/67/CE (recepita nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo n.  261 del 1999), si è aperta per la prima volta in Italia la concorrenza in ambito postale;
          con la direttiva europea n.  2008/6/CE l'Unione europea ha previsto che gli Stati membri aboliscano qualunque forma di monopolio, di riserva e di diritti speciali nel settore postale e adottino tutte le misure necessarie alla completa apertura del mercato (regolamentazione del servizio universale, accesso alle infrastrutture postali, determinazione dei prezzi e delle tariffe dei servizi postali);
          nella consultazione pubblica «Regolamento in materia di titoli abilitativi per l'offerta al pubblico di servizi postali» (indetta dall'Autorità AgCom con delibera n.  485/14/CONS), è stato rilevato che «l'attuale scenario di mercato è caratterizzato da un numero elevatissimo di soggetti abilitati all'offerta di servizi postali» e che «sotto tale profilo, la situazione italiana è assolutamente anomala se confrontata con quella esistente a livello europeo», non risultando ancora regolamentato il servizio universale e l'accesso all'infrastruttura postale;
          l'elenco rilasciato dal Ministero dello sviluppo economico non prevede una sostanziale categorizzazione degli operatori postali operanti in Italia; da tale elenco si può evincere solamente che la maggior parte degli operatori si dedica al trasporto e consegna della corrispondenza in città (cosiddetti recapitisti con modalità non meglio specificate), mentre non risulta essere assolutamente specificato quali siano gli operatori retail che operano nel mercato postale nazionale attraverso la vendita di speciali etichette ed attraverso una propria rete di cassette di impostazione alternativa a quelle di Poste italiane;
          è stato registrato, in particolare, un aumento considerevole dei titoli abilitativi (licenze e autorizzazioni) rilasciati (quasi 900 sia nel 2012 che nel 2013) per un totale ad oggi di circa 4.000 titoli; ammonta a 2.516 il numero totale delle imprese che risultano in possesso di un titolo abilitativo e, in assenza di ulteriori informazioni sulla tipologia di attività postale concretamente svolta dai soggetti abilitati, si può ragionevolmente presumere che la maggior parte dei soggetti abilitati a diverso titolo ad operare nel settore postale svolgano un ruolo di intermediazione o siano attivi solo in alcune specifiche fasi della catena logistica dei servizi postali e operino in ambito locale;
          la stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ammette una difficoltà nell'individuare l'attività concretamente svolta dai soggetti abilitati e la loro esatta collocazione nella catena logistica dei servizi postali e del loro ambito d'azione (locale o nazionale), così come gli stessi operatori sottolineano la necessità di ottenere una chiara distinzione, attraverso una categorizzazione che tenga conto dell'attività prevalentemente erogata: attorno a questa infatti, ciascun operatore struttura la propria società considerando il mercato di riferimento, il grado di incidenza nella catena logistica dei servizi postali e l'area di operatività (locale, regionale o nazionale);
          con riferimento alla consultazione pubblica dell'Agcom sullo «Schema di regolamento licenze e autorizzazioni» tenutasi 17 novembre 2014, la stessa Autorità afferma che in ambito retail «la differenziazione territoriale costituisce una proposta interessante sebbene non sia stata espressamente prevista dalla normativa nazionale». «L'Autorità si appresta a sostituire una regolamentazione che è in vigore dal 2000 e che vede oggi un numero di titoli abilitativi che non ha eguali in Europa»;
          a differenza di molti altri Stati europei (Regno Unito, Spagna, Polonia, Germania, Norvegia e Belgio), l'adeguamento richiesto dall'Unione europea e avvenuto tanto lentamente da non essere stato completato del tutto e così, a distanza di 16 anni, gli operatori postali che intendono offrire un servizio di tipo retail, ovvero basato su un concetto di vendita di servizio postale con business model basato sull'efficacia di raccolta dalla propria rete, si imbattono in una regolamentazione per certi aspetti limitante in quanto ancora in via di definizione;
          infatti, mentre altrove gli operatori postali privati intenzionati ad entrare nel mercato nazionale possono limitare il rischio d'impresa in quanto la normativa vigente gli consente di poter stipulare con l'ex monopolista accordi commerciali individuali e non discriminatori, differenti tra di loro per via delle caratteristiche del servizio offerto, in Italia, il rischio di impresa è elevatissimo perché, anche a fronte di un elevato investimento iniziale già sostenuto, gli operatori postali entranti non sono sufficientemente tutelati ed hanno poche possibilità di raggiungere nuovi accordi commerciali adeguati e ragionevoli con l'ex monopolista di Stato, in grado di consentire la nascita e lo sviluppo di un libero mercato;
          si registra, d'altra parte, che alle attuali condizioni di mercato, alcuni operatori postali privati eroganti servizio retail si sono dimostrati addirittura capaci di ripristinare il tradizionale servizio postale nei territori montani e morfologicamente più svantaggiati del Paese;
          il Regno Unito, ad esempio, è tra i Paesi che hanno regolato il fenomeno attraverso l'adozione di uno specifico codice di condotta, tramite il quale l'autorità di regolamentazione ha inteso definire alcune «procedure postali operative comuni». Tali disposizioni stabiliscono le modalità di restituzione della posta di altri operatori, introducendo anche dei criteri per la valutazione dei costi applicabili alle operazioni connesse. Il codice funge da accordo di « default», volto ad assicurare che, in assenza di accordi sottoscritti tra i fornitori di servizi postali e l'operatore designato di fornire il servizio universale postale, siano comunque applicate delle disposizioni in grado di assicurare agli utenti la corretta fornitura del servizio;
          anche la Spagna, nel recepire la normativa europea sulla liberalizzazione del comparto postale, ha previsto una forte tutela della concorrenza in ambito postale, tra l'altro obbligando l'ex incumbent ad accettare accordi differenti con i nuovi operatori postali e a mettere a disposizione la propria rete postale presente sul territorio, nonché istituendo una commissione di sorveglianza e risoluzione di conflitti entro tempi certi  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere per regolamentare e gestire la comprovata nascita di una sana concorrenza in questo settore che ha già attirato investimenti e creato nuova occupazione anche assumendo iniziative per procedere ad un riconoscimento della categoria di operatori postali privati di tipo retail capace di tutelare la qualità offerta al consumatore finale e di assoggettare tutti questi operatori al rispetto di una medesima normativa infrastrutturale, fiscale e di reciprocità contrattuale orientata al costo di mercato ed ai costi emergenti, che consenta di stipulare specifici accordi con l'ex monopolista o altri operatori postali di tipo privato appartenenti alla medesima categoria. (5-09368)


      MOGNATO, TULLO, MARTELLA, MURER, ZOGGIA e MORETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          Poste italiane ha più volte affermato che l'azienda intende investire come nodi strategici del proprio sviluppo sulla gestione del risparmio postale da un lato, e sull’e-commerce dall'altro;
          per quanto riguarda in particolare l’e-commerce, Poste Italiane già oggi è il primo consegnatario di pacchi per Amazon, tanto che il comparto pacchi ha realizzato un incremento dei volumi del 12,4 per cento nel 2015 rispetto alla precedente annualità, per un totale di 86 milioni di consegne in un anno;
          in quest'ottica, diventa pertanto strategico disporre di centri logistici di smistamento in prossimità dei grandi nodi infrastrutturali, primi fra tutti gli aeroporti, per sostenere la propria competitività rispetto ad una concorrenza particolarmente forte e attiva, che cerca a sua volta di conquistare fasce di mercato nell’e-commerce;
          emblematico è in tal senso il caso del polo aeroportuale di Venezia, ove la società di gestione Save ha di recente siglato un accordo con il vettore DHL per la creazione di un polo logistico di 19.000 metri quadrati con un investimento di 35 milioni di euro;
          la società NEXIVE ha recentemente inaugurato un proprio centro, proprio in prossimità dell'aeroporto Marco Polo di Venezia, in quanto questa area ha un tasso di infrastrutturazione molto elevato, a partire dall'interconnessione aeroporto/autostrada e, in prospettiva, aeroporto/alta velocità-capacità ferroviaria;
          a fronte di tale situazione, Poste Italiane dispone proprio a ridosso del sedime aeroportuale del Centro Postale di Venezia-Tessera, da cui deriverebbe una condizione di oggettivo vantaggio rispetto agli altri competitori;
          Poste Italiane, negli ultimi anni ha depotenziato il Centro Postale di Venezia-Tessera, trasferendo buona parte degli impianti di meccanizzazione in altre strutture;
          così facendo si sono liberati spazi che potrebbero essere impiegati per ospitare tecnologie di ultima generazione per la lavorazione dei pacchi, così da candidare il Centro di Venezia-Tessera come lo stabilimento principale da un punto di vista strategico e logistico del Veneto grazie alla sua posizione;
          Poste Italiane non ha fin qui chiarito se il Centro Postale di Venezia-Tessera rientri a pieno titolo tra gli investimenti prioritari nella gestione pacchi derivante dall’e-commerce, con una posizione a giudizio degli interroganti contraddittoria rispetto all'effettiva potenzialità produttiva del sito  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, perché Poste Italiane chiarisca se e come il Centro postale di Venezia-Tessera possa essere riqualificato all'interno della strategia di progressivo potenziamento della gestione dell’ecommerce, in ragione dell'indubbia situazione di vantaggio che esso offrirebbe all'azienda su scala territoriale veneta e dell'intero Nord-est, chiarendone le prospettive di sviluppo nell'ambito del piano industriale e la conseguente inalienabilità della struttura e della area in cui insiste. (5-09369)


      LIUZZI, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, DELL'ORCO, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'Agenda digitale è una grande visione di digitalizzazione e modernizzazione del Paese volta allo sviluppo di competenze e infrastrutture digitali, per migliorare l'efficienza dei processi, la qualità della vita dei cittadini alimentando opportunità di conoscenza, culturali, sociali ed economiche;
          l'Agenda digitale europea, pone la banda larga come una delle sette iniziative chiave della strategia Europa 2020, prevedendo tra i suoi obiettivi banda larga di base per tutti entro il 2013 e accesso a reti di nuova generazione (velocità pari o superiori a 30Mbps) per tutti i cittadini europei entro il 2020;
          nel 2015 il Governo ha elaborato il piano strategico per la banda ultra larga e l'11 febbraio 2016 le regioni hanno condiviso in sede di conferenza Stato-regioni un piano per lo sviluppo della banda ultra larga sul territorio nazionale, sottoscrivendo un accordo quadro;
          in un articolo giornalistico, pubblicato sulla versione online del quotidiano « La Repubblica» il 25 luglio 2016 a firma di Alessandro Longo, dal titolo «I buchi nella rete della banda larga: 1,2 milioni di case fuori da ogni bando» si evidenzia che da un'analisi dei bandi attraverso i quali saranno stanziati i primi 1,4 miliardi di fondi pubblici emergerebbero significative criticità;
          anzitutto i bandi prevedono come facoltativa la copertura delle cosiddette «case sparse» localizzate nel territorio nazionale, lasciando di fatto agli operatori ampia discrezionalità circa la copertura o meno di tali aree che coinvolgono 1,4 milioni di cittadini residenti;
          la seconda criticità riscontrata riguarda la competitività delle imprese. Secondo quanto emerge dal citato articolo gli operatori sembrano privilegiare con riferimento ai collegamenti per le imprese, in particolare nel «Cluster B», collegamenti di tipo FTTE (Fiber To The Exchange) piuttosto che FTTB (Fiber To The Building), con ciò non garantendo le migliori condizioni possibili di connessione per le imprese localizzate nelle aree interessate;
          nel quadro descritto l'articolo citato riporta una dichiarazione di Raffaele Tiscar, tra i redattori della strategia governativa, il quale evidenzia che «Non ci sono più i tempi tecnici per fare la rete pubblica banda ultra larga, nemmeno entro il 2022 (termine entro il quale devono essere spesi i fondi europei relativi)» a dimostrazione dei ritardi e delle inefficienze che caratterizzano la strategia governativa  –:
          quali iniziative intenda intraprendere nell'ambito del piano strategico del Governo, al fine di garantire la massima copertura possibile in termini di banda ultra larga per la popolazione residente e di assicurare alle imprese, in particolare alle piccole e micro imprese, connessioni adeguate alla rete internet che appaiono cruciali per assicurare la competitività delle stesse. (5-09370)


      FRANCO BORDO e FOLINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          come si apprende da fonti stampa, Poste Italiane ha recentemente tagliato drasticamente il servizio di recapito postale in una delle più importanti città del Mezzogiorno, Palermo, e come ha commentato il sindaco della città sicula, Leoluca Orlando: «appare del tutto incomprensibile la scelta di Poste Italiane che ha deciso la drastica riduzione del servizio di recapito della corrispondenza a Palermo, unica fra le grandi città metropolitane senza la consegna giornaliera con un taglio del servizio che ne danneggia pesantemente la qualità oltre che determinare gravissime ripercussioni occupazionali. Non è pensabile che il processo di privatizzazione in atto venga compiuto mortificando il ruolo postale di Poste italiane, pur comprendendo la volontà aziendale di diversificare l'offerta includendo tradizionalmente non affini a Poste». I lavoratori dell'azienda hanno dunque deciso di scendere in sciopero nei prossimi giorni contro le decisioni dei vertici di Poste;
          manifestazioni analoghe si    stanno verificando un po’ in tutta Italia. La scorsa settimana, davanti alla prefettura di Cremona, una delegazione di sindaci e di lavoratori di Poste italiane, insieme alla partecipazione del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana, ha dato vita ad un presidio. I problemi legati al servizio postale stanno coinvolgendo un numero crescente di persone anche in quella zona. Ma scioperi e protese sono stati organizzati anche a Milano, Genova, Bari, Taranto, Campobasso, Firenze, Pavia, Mantova e in tanti altri luoghi, segno che la preoccupazione di cittadini e lavoratori per la definitiva privatizzazione di Poste Italiane spaventa in molti e mette a repentaglio le garanzie di continuità ed efficienza del servizio postale universale;
          la scelta di effettuare il recapito a giorni alterni sta creando disagi in ampia parte del Paese e disservizi ai cittadini e alle imprese. Contemporaneamente, si registrano situazioni inaccettabili in vari centri di smistamento e distribuzione in cui giacciono enormi quantitativi di posta che non viene consegnata;
          i sindacati di categoria delle Poste hanno incontrato unitariamente i vertici dell'Anci nazionale, per illustrare anche ai rappresentanti dei comuni italiani le preoccupazioni e le ricadute sociali sulle comunità del Paese derivanti dalla privatizzazione di Poste Italiane;
          il rischio è che la totale privatizzazione della più grande azienda del Paese possa ulteriormente desertificare il territorio, privandolo di servizi sociali necessari, specie nelle realtà montane e nelle ruralità dove si assiste già alla chiusura dei piccoli uffici e al recapito al recapito a giorni alterni;
          allo stesso tempo, stiamo assistendo ad a vera e propria offensiva nel campo della logistica e dell’ecommerce che rappresenta una sfida per la sostenibilità economica di Poste.Amazon, azienda americana, leader nel campo dell’ecommerce, nei giorni scorsi ha annunciato 500 milioni di euro di investimenti in Italia e l'apertura di due centri a Torino e uno vicino a Roma, quest'ultimo sarà il più grande dopo quello di Piacenza che è già operativo;
          sembra dunque, assolutamente necessario ripensare il ruolo degli uffici postali, riconosciuti unanimemente come presidi territoriali socialmente fondamentali, aprendo a proposte che provengano da ovunque (cittadini, organizzazioni, imprese, e altro), immaginando nuove sinergie territoriali capaci di utilizzare l'impatto del digitale e dell'automazione e della logistica integrata per mantenere la rete territoriale degli sportelli postali  –:
          quali iniziative urgenti s'intendano avviare, per quanto di competenza, affinché il servizio di recapito postale su tutto il territorio nazionale venga ripristinato nella sua regolarità, prestando particolare attenzione alle zone più periferiche, ma anche ai grandi centri urbani e garantendo i livelli occupazionali interessati, anche alla luce del processo, di definitiva privatizzazione di Poste Italiane. (5-09371)


      RICCIATTI, FERRARA, FRANCO BORDO, PIRAS, AIRAUDO, COSTANTINO, FAVA, QUARANTA, SANNICANDRO e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          Unioncamere Calabria, in sinergia con il sistema camerale calabrese, ha promosso, attraverso il progetto F.P. 2014 Lemb (legal economy more business), una serie di azioni incentrate sul temi della legalità, della contraffazione, della corruzione, della tutela dei prodotti ed in particolare sull'impatto di tali fenomeni a carico di una già fragile economia regionale. Tra le attività progettuali realizzate, è scritto in una nota, vi è il monitoraggio dell'economia e il rischio illegalità attraverso la pubblicazione del rapporto «L'illegalità economica e la sicurezza del mercato in Calabria» volto a rilevare ed a comprendere i fenomeni che determinano il rischio illegalità e gli impatti economici dell'azione della criminalità sull'economia regionale; si registra inoltre l'assistenza tecnica alle piccole e medie imprese per ridurre il rischio sicurezza attraverso la realizzazione del «Tour della legalità Calabria 2016. Cultura e pratiche contro la corruzione» svoltosi nelle cinque province calabresi che ha previsto il rilascio del toolkit anticorruzione ed infine la promozione della cultura della legalità e della tutela dei prodotti in modo da aumentare la consapevolezza del consumatore sulle possibili conseguenze derivanti dall'acquisto di un prodotto contraffatto;
          proprio a tale riguardo, sul tema specifico della contraffazione e della tutela dei prodotti, si è appena concluso, nelle camere di commercio calabresi, un ciclo di seminari promosso e realizzato dal sistema camerale calabrese, attraverso il coordinamento di Unioncamere Calabria, in collaborazione con il laboratorio chimico della, camera di commercio di Torino;
          Maurizio Ferrara, segretario generale di Unioncamere Calabria, ha affermato «La contraffazione è un fenomeno dalle dimensioni colossali, basti soffermarsi sui dati pubblicati da un recente rapporto elaborato dal Ministero dello Sviluppo Economico in collaborazione con il Censis, da cui emerge che, nel 2015, il fatturato totale della contraffazione sia stato stimato in 6 miliardi e 905 milioni di euro, con una variazione reale del +4,4 per cento rispetto ai 6 miliardi e 535 milioni di euro del 2012. I prodotti più colpiti dal sistema del falso risultano essere quelli del settore dell'abbigliamento e degli accessori, il cui valore sul mercato è stimato in 2 miliardi e 247 milioni di euro, pari al 32,5 per cento del totale. Seguono i supporti audio e video, supporti informatici per computer e consolle e file con segni mendaci, il cui valore di spesa risulta essere pari a 1 milione e 965.000 euro, in crescita dell'8,7 per cento rispetto al 2012. In terza posizione e in leggera diminuzione rispetto al 2012, si trovano poi prodotti alimentari, alcolici e bevande, con un valore di spesa stimato di circa 1 miliardo di euro nel 2015, pari al 14,8 per cento del totale. Diventa pertanto imprescindibile aggredire il fenomeno della contraffazione su più fronti, mediante le attività di repressione e contrasto ma anche attraverso iniziative di sensibilizzazione e informazione mirate alla conoscenza del fenomeno, alla sua prevenzione ed alla tutela dei prodotti e dei consumatori» (fonte ANSA)  –:
          se il Ministro interrogato abbia un quadro preciso ed aggiornato del fenomeno della contraffazione;
          se il Ministro interrogato non abbia intenzione di aggredire ancor più pesantemente il fenomeno della contraffazione;
          come il Ministro interrogato intenda gestire la situazione esposta in premessa. (5-09384)


      LODOLINI e GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          JP Industries il 29 luglio 2016, ha improvvisamente comunicato l'apertura della mobilità collettiva per 400 dipendenti. Una decisione inaccettabile per i lavoratori, per il territorio, per le comunità marchigiana e umbra, alle quali è stata espressa immediatamente contrarietà da parte delle organizzazioni sindacali e del territorio  –:
          quali iniziative il Governo, per quanto di competenza, intenda mettere in campo affinché l'azienda ritiri immediatamente il provvedimento di mobilità;
          se sia stato attuato il piano industriale presentato al momento dell'acquisto dell'allora Antonio Merloni-Ardo o, se, al contrario, vi sia stato inadempimento della JP agli obblighi assunti all'atto di cessione/acquisto stipulato l'amministrazione straordinaria della Merloni spa; conseguentemente, se sussistano i presupposti per promuovere eventualmente una azione di inadempimento nei confronti della società per il mancato rispetto degli impegni contrattualmente assunti, all'atto di sottoscrizione del contratto di cessione; se intenda valutare, per quanto di competenza, se sussistono i presupposti per promuovere un'eventuale azione risarcitoria a fronte di eventuali comportamenti diretti ad eludere le norme e gli accordi;
          se il piano industriale abbia subito nel tempo degli aggiornamenti, eventualmente anche per richiedere ed ottenere nuovi finanziamenti;
          se negli anni, da parte dell'azienda, siano stati fatti degli investimenti di carattere industriale tecnologico, logistico e strutturale;
          se ci siano stati finanziamenti dello Stato all'azienda suddetta;
          se ci siano stati o siano tuttora in corso finanziamenti delle regioni per investimenti, ricerca e innovazione;
          se siano stati rispettati i punti dell'accordo di programma; in particolare, se vi sia piena corrispondenza tra gli impegni assunti dalla JP con l'accordo di programma e le azioni poste in essere a seguito dell'accordo; se il finanziamento sia avvenuto integralmente o se una parte debba essere ancora elargita; in questo ultimo caso, se non si intenda procedere alla immediata sospensione del finanziamento nonché promuovere, per quanto di competenza, eventuali iniziative ai fini della messa in mora o della ripetizione delle somme concesse di cui all'accordo di programma;
          se vi sia ed eventualmente di quale entità sia una situazione debitoria della JP nei confronti di banche, Stato e privati;
          nel periodo interessato, quanti dipendenti abbiano svolto effettivamente attività lavorativa e quale sia stato il numero dei dipendenti posti in cassa integrazione;
          se sia definita la vertenza giudiziaria relativa all'impugnazione del contratto di cessione dopo il rinvio della Cassazione alla corte di appello di Ancona e quindi se si intenda valutare, qualora sia ancora in corso, di intervenire in quella sede per avanzate possibili richieste, ove ancora possibili, per l'annullamento del contratto originario di cessione stipulato tra il Ministero e la società;
          se il Ministro intenda rendere disponibili tutti gli atti del fascicolo della procedura di amministrazione straordinaria della Merloni spa ed in particolare gli atti ed il carteggio intercorso tar il Ministero e la JP. (5-09395)

Interrogazione a risposta scritta:


      OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          secondo gli ultimi dati Istat diffusi dall'ufficio studi Confartigianato, nel primo trimestre del 2016 si registra un calo nelle esportazioni liguri rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, tale riduzione riguarda sia il totale del manifatturiero, sia i nove settori a maggiore concentrazione di micro e piccole imprese;
          per quanto riguarda il manifatturiero ligure nel suo complesso, le esportazioni risultano in calo del 13,2 per cento, superando di poco 1,3 miliardi di euro, a fronte di una lieve diminuzione nazionale dello 0,3 per cento sui quasi 95 miliardi di export. Al primo posto per volume di esportazioni si trovano la Lombardia (26,3 miliardi, +0,5 per cento), il Veneto (13,5 miliardi, +0,2 per cento), e l'Emilia Romagna (13 miliardi, –0,4 per cento);
          considerando invece la divisione ad alta concentrazione di micro e piccole imprese, che pesa per il 17,3 per cento (229 milioni di euro) sull’export del totale manifatturiero regionale, la Liguria registra un calo ancora più marcato, paria –15,1 per cento. A livello nazionale, invece, l'andamento vede un leggero aumento dello 03 per cento su un totale di 28,2 miliardi di euro di export. Anche in questo caso, ai primi posti per volumi di merce movimentata si trovano Lombardia (7 miliardi), Veneto (6 miliardi) ed Emilia Romagna (3,6 miliardi), con incrementi compresi tra lo 0,6 per cento e l'1,5 per cento;
          a pesare sull'andamento regionale è soprattutto la provincia di Genova, che in questa prima parte di anno registra un calo del 20,1 per cento delle esportazioni del manifatturiero totale (759 milioni) e addirittura del 24,4 per cento per quello che riguarda la divisione ad alta concentrazione di micro e piccole imprese (127,8 milioni). Una riduzione si registra anche alla Spezia, dove l’export totale perde il 9,8 per cento (144,9 milioni), mentre le microimprese lo 0,8 per cento (55,9 milioni di merce esportata). A Imperia restano invariate le esportazioni totali di manifatturiero (63,1 milioni), mentre risultano in calo dell'1,4 per cento quelle relative alle microimprese (33,3 milioni di euro). Risultati positivi invece a Savona dove l’export totale del manifatturiero (359,6 milioni di euro) registra una crescita dell'1,5 per cento rispetto al primo trimestre 2015, mentre le esportazioni dei prodotti delle micro e piccole imprese, che pesano per 12 milioni su quelle totali, salgono del 14,4 per cento;
          pertanto, se nell'ultima parte del 2015 l’export ligure delle micro e piccole imprese aveva retto, a differenza del manifatturiero totale della Liguria, nella prima parte del 2016 si registra una diminuzione delle esportazioni anche per piccole realtà imprenditoriali liguri;
          la frenata delle esportazioni liguri inizia proprio nel 2015: fino a quell'anno, a partire dal 2007, il manifatturiero regionale aveva registrato una crescita del 48 per cento, mentre l’export relativo alla sola divisione ad alta concentrazione di micro e piccole imprese liguri era aumentato tra 2007 e 2015 del 37,2 per cento, risultando la quarta maggior crescita d'Italia  –:
          quali iniziative intenda adottare affinché la dinamica delle esportazioni delle microimprese, in particolare nella regione Liguria, possa al più presto tornare positiva. (4-14020)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in commissione Guidesi n.  5-08499, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Allasia.

      L'interrogazione a risposta scritta Scagliusi n.  4-13668, pubblicata nell'allegato B i resoconti della seduta del 1o luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Grande, Manlio Di Stefano, Liuzzi, D'Ambrosio, Brescia, Cariello, Sibilia, Del Grosso.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Cariello e altri n.  5-09094, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pesco.

      L'interrogazione a risposta scritta Scagliusi n.  4-13842, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Grande, Manlio Di Stefano, Spadoni, Sibilia, Di Battista, Del Grosso, Frusone.

Pubblicazione di testi riformulati.

      Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Ciracì n.  4-13817, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  654 del 14 luglio 2016.

      CIRACÌ. Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
          il 24 settembre 2015 è entrato in vigore il decreto legislativo 14 settembre 2015, n.  150, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n.  183;
          tra le altre, il predetto decreto attuativo 150 del 2015 ha provveduto all'istituzione dell'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) a partire dal 1o gennaio 2016 con importanti funzioni in materia di coordinamento della rete nazionale dei servizi per il lavoro e di gestione;
          tra gli organi dell'ANPAL, l'articolo 6 del richiamato decreto legislativo n.  150 del 2015 individua il presidente, scelto tra personalità di comprovata esperienza e professionalità nel campo delle politiche e delle istituzioni del mercato del lavoro, nominato per tre anni, rinnovabile per una sola volta, interlocutore unico del Governo, dei Ministeri, degli altri enti e istituzioni;
          ai sensi dello stesso decreto legislativo n.  150 del 2015, il presidente di ANPAL è anche amministratore unico di Italia Lavoro Spa, struttura in house di ANPAL;
          il 30 giugno 2016 è stato emanato da Italia Lavoro un avviso per la copertura di un posto di «Assistente all'amministratore unico di Italia Lavoro Spa, che coincide con il presidente dell'ANPAL;
          questo «assistente all'amministratore unico di Italia Lavoro spa» è chiamato a svolgere attività connesse all'implementazione dei progetti di politica attiva nei territori, alla raccolta di informazioni, al monitoraggio e al raccordo infra ed inter progetti, all'organizzazione degli interventi di rappresentanza istituzionale, al raccordo con altre istituzioni e organizzazioni per interventi nelle aree/aziende in crisi;
          a fronte di un profilo di esperto, l'inquadramento previsto per questa posizione è A1, che corrisponde al più alto inquadramento contrattuale delle figure professionali presenti in Italia Lavoro, mentre il livello di inquadramento in ingresso generalmente riconosciuto è il B1, a quanto risulta all'interrogante;
          l'avviso prevede altresì che la retribuzione base A1 potrà anche essere incrementata con un superminimo, generalmente riconosciuto in caso di professionalità particolarmente qualificate;
          a differenza di quanto previsto dallo stesso regolamento per il reclutamento del personale dipendente e per il conferimento di incarichi di Italia Lavoro e di quanto sempre previsto per le posizioni di «Esperto», l'avviso in questione non richiede necessariamente la laurea;
          con espressione insolita, l'avviso stabilisce che il titolo di studio potrà essere sostituito da un'esperienza particolarmente qualificante nel campo delle attività richieste pari ad almeno 10 anni, a «insindacabile giudizio della Commissione di selezione»;
          la predetta formulazione pone, secondo l'interrogante problemi di legittimità, in quanto per sua natura una valutazione non è mai insindacabile dovendosi sempre fornire tutti gli elementi necessari a comprovare il processo logico e valutativo, ed è sempre necessario garantire la possibilità di tutela da parte dei controinteressati; inoltre, nel merito non risulta predeterminato il criterio in base al quale l'anzianità di servizio è tale da poter sopperire alla mancanza del titolo di laurea lasciando la più totale discrezionalità alla commissione;
          l'incarico è di 5 mesi ma prorogabile per sopravvenute esigenze aziendali;
          all'avviso non è stata data, ad avviso dell'interrogante, la necessaria pubblicità in quanto non è stato pubblicato in home page è difficilmente rintracciabile nel portale di Italia Lavoro;
          generalmente viene avviata una procedura comparativa interna per valutare la possibilità di reperire all'interno della struttura le professionalità richieste, visto che, a quanto risulta all'interrogante, attualmente in Italia Lavoro ci sarebbero 29 dirigenti e 70 quadri che potrebbero aver avuto le competenze necessarie per ricoprire il ruolo di «assistente all'amministratore unico di Italia Lavoro Spa» per il quale si è proceduto alla ricerca di una unità di personale esterna;
          questa figura a giudizio dell'interrogante presenta una connotazione molto simile a quella delle così dette figure di staff generalmente riconosciute ai Ministri e sottosegretari attraverso l'affidamento di incarichi fiduciari per dar loro la possibilità di svolgere la propria funzione avvalendosi di persone a loro vicine;
          parimenti irrituale appare all'interrogante la previsione dell'avviso per cui il contratto «potrà essere prorogato per sopravvenute esigenze aziendali», laddove i principi di pubblicità e trasparenza impongono la definizione degli elementi del contratto sin dalla sua pubblicazione;
          dal 25 luglio e sino al 9 settembre 2016 è possibile presentare la candidatura all’«albo degli specialisti» di Italia Lavoro, una procedura di selezione rivolta esclusivamente a persone fisiche con competenze disciplinari di alto livello ed esperienze professionali di lunga durata (almeno 10 anni);
          anche in questo caso, a quanto consta all'interrogante, non è presente alcun avviso nella home page del sito di Italia Lavoro. Peraltro, la definizione di un arco temporale assai esiguo e coincidente con il periodo convenzionale di ferie estive, è in contraddizione con il piano anticorruzione pubblicato da Italia Lavoro, che ne richiede l'apertura permanente;
          il predetto albo è rimasto inattivo dal settembre del 2014;
          il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 aprile 2016 adottato ai sensi del richiamato decreto legislativo n.  150 del 2015 disciplina le modalità di trasferimento delle risorse umane, strumentali e economiche dall'ISFOL e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali verso l'ANPAL;
          svolge la funzione di Presidente dell'Agenzia il Prof. Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro all'Università Bocconi e attualmente consigliere economico del Presidente del Consiglio dei Ministri;
          in diverse occasioni pubbliche i vertici del Ministero del Lavoro e della stessa Agenzia hanno dichiarato che l'ANPAL sarà operativa a partire da gennaio 2017, un anno dopo la sua formale istituzione;
          in data 14 luglio 2016, si è riunito il primo Consiglio di Amministrazione di ANPAL completando le procedure formali di insediamento dei suoi organi mentre la sua operatività, a partire dalla definizione dell'organico ad essa deputato, è ancora alle prime fasi  –:
          quale sia il rapporto funzionale di Italia Lavoro spa, riordinata come struttura in house del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, rispetto all'ANPAL;
          se il Governo non ritenga di assumere iniziative per modificare la disposizione che prevede la coincidenza del presidente dell'Agenzia con l'amministratore unico di Italia Lavoro considerato il fatto che, ad avviso dell'interrogante potrebbe profilarsi un conflitto di interessi giacché Italia Lavoro svolge anche un ruolo di progettazione e gestione di attività ed interventi finalizzati allo sviluppo dell'occupazione sull'intero territorio nazionale;
          se sia necessaria un'ulteriore figura da destinare al supporto dell'amministratore unico di Italia Lavoro considerato che lo stesso, nella sua contestuale veste di presidente dell'ANPAL, potrà già contare su uno staff di 217 persone, peraltro con un inedito, elevato inquadramento contrattuale;
          se e quali valutazioni delle professionalità attualmente inserite nella struttura siano state effettuate prima di addivenire alla scelta di procedere ad un avviso pubblico per la selezione di una risorsa esterna;
          quali iniziative siano state adottate per garantire la trasparenza della procedura di selezione e quali si intendano intraprendere per garantire il buon andamento della stessa;
          quale sia il costo previsto per la retribuzione dell'assistente dell'amministratore unico e quanto incida sul bilancio di Italia Lavoro spa;
          come si ritenga di rispettare l'invarianza di spesa prevista dal decreto legislativo n.  150 del 2015;
          alla base di quali motivazioni l'amministrazione di Italia Lavoro, rappresentata dal suo amministratore unico, ha deciso di riaprire un albo di esperti, chiuso da quasi due anni, in un momento di composizione organizzativa in itinere tanto complesso, considerate anche le procedure di mobilità di personale dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dall'ISFOL in ANPAL;
          se non si stia prefigurando un sistema di selezione di personale esterno da destinare alle attività dell'ANPAL per il tramite di Italia Lavoro che molto più facilmente, quale organismo in house, potrà procedere all'affidamento di incarichi esterni;
          se il Governo intenda sopperire alle 178 unità di personale in meno rispetto all'originaria dotazione prevista dal richiamato decreto legislativo n.  150 del 2015 (395 unità a fronte delle 217 previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di trasferimento delle risorse umane da ISFOL e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in ANPAL) attraverso la selezione di personale esterno dall'albo riaperto quasi in concomitanza con il riassetto organizzativo delle istituzioni deputate a gestire le politiche attive del lavoro considerato che, per l'interrogante, in questo modo non si starebbe connotando una struttura cosiddetta «di staff» generalmente riconosciuta ai Ministri e Sottosegretari attraverso l'affidamento di incarichi fiduciari per dar loro la possibilità di svolgere la propria funzione avvalendosi di persone a loro vicine;
          quale sia il costo previsto per la retribuzione dell'assistente dell'amministratore unico e quale quello preventivato per le eventuali figure di esperti selezionate dall'albo e quanto incidano sul bilancio di Italia Lavoro spa;
          quali siano i risparmi di spesa previsti dal momento che parte delle risorse liberate dalla riorganizzazione dell'ISFOL, e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dovranno coprire le spese di funzionamento della nuova Agenzia, comprese le spese del personale, interno ed esterno e se tali scelte siano in linea con quanto previsto dal decreto legislativo n.  150 del 2015;
          se non ritengano utile, alla luce di quanto fin qui esposto, fornire elementi sullo stato di avanzamento della riforma delle politiche attive del lavoro in Italia, e in merito alla complessiva riorganizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'ISFOL, di Italia Lavoro e di ANPAL;
          quali concrete iniziative intendano intraprendere per accompagnare i disoccupati nel mercato del lavoro e per evitare che la gestione delle strutture organizzative rechi un pregiudizio proprio ai destinatari finali delle politiche, ossia alle persone in cerca di lavoro perché lo hanno perso o perché non lo hanno mai avuto. (4-13817)

      Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Silvia Giordano n.  4-13996, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  666 del 2 agosto 2016.

      SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MANTERO, GRILLO, LOREFICE, DI VITA e NESCI. Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
          in data 31 maggio 2016 il consiglio regionale della Campania ha approvato la proposta di legge «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione per la procedura dei direttori delle Aziende Sanitarie e ulteriori misure di razionalizzazione» che modifica, in maniera sostanziale, il meccanismo di nomina dei direttori generali del servizio sanitario regionale della Campania, sopprimendo il secondo livello di valutazione da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali di cui all'articolo 3-bis, comma 3, del decreto legislativo n.  502 del 1992, iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni;
          con la citata legge, approvata il 31 maggio 2016, il presidente della giunta nomina il direttore generale direttamente tra i soggetti iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni ed è stata quindi soppressa la previsione che il presidente della giunta regionale, su conforme deliberazione della giunta stessa, nomini il direttore generale all'interno di una rosa di cinque candidati che hanno ottenuto i migliori punteggi, a seguito della valutazione dei titoli e dei requisiti posseduti dagli idonei che hanno partecipato all'avviso;
          il Presidente della regione Campania Vincenzo De Luca, nelle riunioni di giunta del 13 e 20 luglio 2016, ha provveduto sulla base della nuova legge varata dalla regione alla nomina dei direttori generali: dell'Asl Napoli 1, dell'Asl Napoli 2, dell'Asl Napoli 3, dell'azienda ospedaliera dei Colli, dell'Asl Caserta, dell'Asl Salerno;
          a seguito dell'interpellanza urgente 2-01388 e dell'interrogazione a risposta immediata in commissione 5-09157 sono stati illustrati i profili di incostituzionalità della citata legge regionale per palese contrasto con le norme nazionali ovvero con il decreto legislativo n.  502 del 1992 e con la legge n.  124 del 2015 (cosiddetta delega Madia), norme entrambe che costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione che, al terzo comma, prevede che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato; nel caso di specie il principio fondamentale è in materia di tutela della salute;
          in occasione della discussione della citata interpellanza, il sottosegretario alla salute Vito De Filippo, ha fatto presente che nell'ambito dell'istruttoria da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri sarà garantita la massima attenzione tenuto conto della materia così delicata come quella indicata dalla interpellanza sopra richiamata del M5S ed ha aggiunto che riguardo ai profili d'incostituzionalità sia fondamentale, anche soprattutto proprio la citata «legge delega Madia» e lo schema di decreto legislativo di imminente attuazione (poi varato il 28 luglio 2016);
          in riferimento all'interrogazione a risposta immediata in commissione n.  5-09157, riferita alla legge della regione Campania n.  15 del 2016, il Ministero della salute ha comunicato che, in data 6 luglio 2016, ha evidenziato la sussistenza di profili di illegittimità costituzionale alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento affari regionali – com’è noto la decisione finale di impugnare la medesima legge compete al Consiglio dei ministri;
          il 28 luglio 2016 Consiglio dei ministri ha varato il decreto legislativo in applicazione dell'articolo 11, lettera p) della legge delega sulla pubblica amministrazione, che detta i criteri per il conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore sanitario, e di direttore dei servizi sociosanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale;
          le regioni potranno procedere a nominare direttori generali esclusivamente gli iscritti all'elenco nazionale. La valutazione dei candidati per titoli e colloquio è effettuata da una commissione regionale che fisserà una rosa di 3-5 nomi da sottoporre al presidente della regione;
          il decreto istituisce l'elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale. L'elenco, istituito presso il Ministero della salute, dovrà essere aggiornato con cadenza biennale;
          nel decreto sono individuati anche requisiti necessari per ricoprire le cariche apicali in sanità: un età inferiore a 65 anni, possedere un'esperienza almeno quinquennale maturata nella sanità o settennale in altri settori, sia nel pubblico che nel privato, aver conseguito l'attestato relativo al corso di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria attivato dalla regione, essere incluso nell'apposito elenco nazionale (con un punteggio da 75 a 100) e entro due anni dovrà raggiungere gli obiettivi prefissati dalla programmazione regionale. E chi decade per aver violato gli obblighi di trasparenza non potrà più entrare nell'elenco nazionale;
          il Premier Matteo Renzi, ha commentato dopo l'approvazione da parte del Governo del decreto legislativo che detta i criteri per la nomina dei manager in sanità «Mai più la sanità nelle mani della politica peggiore. Il tema è la trasparenza, il merito, le persone giuste alla guida della sanità»;
          il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, al termine del Consiglio dei ministri ha affermato «Abbiamo deciso di puntare a nuovi modelli di selezione dei manager della sanità. Il metodo che applichiamo privilegia merito e trasparenza»;
          lo stesso giorno in cui è stato varato dal Consiglio dei ministri il decreto legislativo che detta criteri più trasparenti per la nomina dei vertici sanitari, il Consiglio dei ministri ha esaminato la legge della regione Campania n.  15 del 2016 e deciso di non impugnarla, nonostante tale legge preveda che il presidente della giunta nomina direttamente il direttore generale e sopprima il secondo livello di valutazione, da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali  –:
          se nell'ambito dell'istruttoria da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri sia stata garantita la massima attenzione all'esame della legge della regione Campania n.  15 del 2016;
          quale seguito sia stato dato alle osservazioni formulate dal Ministero della salute in materia;
          quali siano le ragioni che hanno determinato la decisione di non impugnare la legge della regione Campania n.  15 del 2016, nonostante i profili di incostituzionalità rilevati dallo stesso Ministero della salute e l'esigenza di una maggiore indipendenza dalla politica delle nomine apicali in sanità, dichiarata lo stesso giorno dal Presidente del Consiglio dei ministri come riportato in premessa. (4-13996)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Franco Bordo n.  4-02942 del 13 dicembre 2013;
          interrogazione a risposta scritta Caparini n.  4-11728 del 20 gennaio 2016;
          interrogazione a risposta scritta Franco Bordo n.  4-13074 del 4 maggio 2016;
          interrogazione a risposta scritta Parentela n.  4-13748 dell'11 luglio 2016;
          interpellanza urgente Venittelli n.  2-01444 del 29 luglio 2016;
          interpellanza Piras n.  2-01450 del 2 agosto 2016;
          interrogazione a risposta immediata in Commissione Oliaro n.  5-09342 del 2 agosto 2016;
          interrogazione a risposta immediata in Commissione Mognato n.  5-09343 del 2 agosto 2016;
          interrogazione a risposta immediata in Commissione Liuzzi n.  5-09344 del 2 agosto 2016;
          interrogazione a risposta immediata in Commissione Franco Bordo n.  5-09345 del 2 agosto 2016.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      BATTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 14, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n.  234 prevede che ogni tre mesi, il Presidente del Consiglio dei ministri inoltri alle Camere un elenco, articolato per settore e materia:
              a) delle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea relative a giudizi di cui l'Italia sia stata parte o che abbiano rilevanti conseguenze per l'ordinamento italiano;
              b) dei rinvii pregiudiziali disposti ai sensi dell'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea da organi giurisdizionali italiani;
              c) delle procedure d'infrazione avviate nei confronti dell'Italia ai sensi degli articoli 258 e 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, con informazioni sintetiche sull'oggetto e sullo stato del procedimento, nonché sulla natura delle eventuali violazioni contestate all'Italia;
              d) dei procedimenti di indagine formale avviati dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
          al successivo comma 2 dell'articolo 14, la legge prevede che, ogni sei mesi, venga trasmessa alle Camere una relazione concernente le informazioni sulle eventuali conseguenze di carattere finanziario degli atti e delle procedure di cui sopra;
          in data 30 aprile 2015 viene trasmessa alle Camere la «Relazione concernente l'impatto finanziario derivante dagli atti e dalle procedure giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea», aggiornata al 30 giugno 2014 (doc. LXXIII n.  5);
          tale relazione è però una relazione generica, ove non si evince alcuna analisi che quantifichi l'impatto finanziario di tali procedure ed inoltre, a giudizio dell'interrogante la stessa è carente di tutte quelle informazioni che trimestralmente, ai sensi del già citato articolo 14, comma 1, della legge n.  234 del 2012, la Presidenza del Consiglio dei ministri dovrebbe aver ottenuto dalle amministrazioni interessate;
          difatti, seppur non esplicitamente previsto, è desumibile secondo l'interrogante dal disposto normativo dei commi 1 e 2 del suddetto articolo che la relazione dovrebbe essere aggiornata secondo i flussi informativi più recenti, che sono appunto trimestrali, mentre l'analisi dell'impatto finanziario è effettuata, sulla base di tali flussi, semestralmente. Appare quindi evidente che la ratio della norma sia quella di dare piena conoscenza al Parlamento di una stima puntuale sull'impatto finanziario derivante dalle procedure giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea;
          dalla lettura delle 239 pagine della relazione, oltre a non esistere alcuna quantificazione, nemmeno di stima, delle eventuali sanzioni e spese legali per i contenziosi, manca quindi tutto l'elenco di nuove procedure d'infrazione e di precontenzioso aperte a cavallo tra il 30 giugno 2014 e il 30 aprile 2015, arco temporale di 10 mesi, in cui i flussi informativi previsti dall'articolo 14, comma 1, risultano comunque pervenuti  –:
          per quali motivi la relazione di cui all'articolo 14, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, trasmessa il 30 aprile 2015 sia aggiornata soltanto al 30 giugno 2014;
          per quali motivi non sia stata presentata in tale documento una stima quantificabile economicamente dell'impatto finanziario delle procedure e giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea;
          a quanto ammonti oggi la quantificazione economica stimata dei costi (ammontare delle sanzioni e spese legali e amministrative) dovuta per tali pendenze con l'Unione europea;
          quali iniziative intenda assumere il Governo per sanare le infrazioni in essere e quelle per cui è già stata condannata, come ad esempio quelle relative alla gestione dei rifiuti in Campania, alle discariche abusive e al recupero degli aiuti di Stato illegittimi. (4-10937)

      Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame relativo alla mancata quantificazione dell'impatto finanziario delle procedure giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea nella relazione al Parlamento di cui all'articolo 14 della legge 24 dicembre 2012, n.  234, («Relazione concernente l'impatto finanziario derivante dagli atti e dalle procedure giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea»), con il quale l'interrogante chiede di sapere: per quali motivi la relazione di cui all'articolo 14, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, trasmessa il 30 aprile 2015 sia aggiornata soltanto al 30 giugno 2014; per quali motivi non sia stata presentata in tale documento una stima quantificabile economicamente dell'impatto finanziario delle procedure e giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea; a quanto ammonti oggi la quantificazione economica stimata dei costi (ammontare delle sanzioni e spese legali e amministrative) dovuta per tali pendenze con l'Unione europea; quali iniziative intenda assumere il Governo per sanare le infrazioni in essere e quelle per cui è già stata condannata, come ad esempio quelle relative alla gestione dei rifiuti in Campania, alle discariche abusive e al recupero degli aiuti di Stato illegittimi.
      La relazione è predisposta ogni sei mesi dal Ministero dell'economia e delle finanze – Ragioneria generale dello Stato, sulla base dei dati forniti trimestralmente dal dipartimento per le politiche europee ai sensi dell'articolo 14, comma 1 della legge 234 del 2012. Prima di essere pubblicata e trasmessa al Parlamento e alla Corte dei Conti, la relazione viene presentata dal Ministero dell'economia al Sottosegretario per le politiche e gli affari europei per l'acquisizione del previsto concerto ai sensi dell'articolo 14, comma 2 della legge n.  234 del 2012. Il Ministero, dunque, elabora gli elenchi forniti dal Dipartimento (procedure d'infrazione pendenti, sentenze della Corte di giustizia, rinvii pregiudiziali e aiuti di Stato) e individua i dossier dai quali derivano degli oneri finanziari.
      L'ultima relazione, trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati il 18 aprile 2016 e su cui il Sottosegretario per le politiche e gli affari europei ha prestato il concerto, riguarda il I semestre 2015 (gennaio-giugno 2015).
      Con riferimento alle procedure d'infrazione pendenti ai sensi degli articoli 258 e 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, sono noti unicamente i costi derivanti dalle sentenze di condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie.
      A prescindere dalle sanzioni pecuniarie comminate ai sensi di sentenze di condanna, le procedure possono comportare poi oneri derivanti dall'adozione di misure di adeguamento (normative, amministrative o infrastrutturali) che solo le singole amministrazioni capofila possono individuare e indicare nei casi specifici e non aprioristicamente. Si fa presente, peraltro, che alcune misure di adeguamento possono produrre effetti positivi sul bilancio dello Stato come ad esempio le questioni relative al sistema fiscale italiano.
      Ad oggi è possibile quantificare l'impatto economico dei costi relativi alle sole 4 procedure d'infrazione per le quali è in corso il pagamento delle sanzioni pecuniarie. Si tratta in particolare di:
          procedura d'infrazione n.  2007/2229 relativa al mancato recupero di aiuti concessi per interventi a favore dell'occupazione (contratti formazione lavoro);
          procedura d'infrazione 2003/2077 relativa alle discariche abusive;
          procedura d'infrazione 2007/2195 relativa alla gestione dei rifiuti in Campania;
          procedura d'infrazione 2012/2202 relativa al mancato recupero degli aiuti concessi a favore delle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia.

      Per le sopraindicate procedure complessivamente l'Italia ha già pagato 245,5 milioni di euro di sanzioni pecuniarie.
      Per quanto concerne le altre procedure d'infrazione pendenti, i costi non sono ancora stimabili.
      Le attività ordinarie di gestione a livello tecnico del precontenzioso e contenzioso sono incentrate sul coordinamento costante e attivo delle amministrazioni centrali e locali responsabili dei reclami e delle procedure per la definizione di una posizione unitaria e una forte sensibilizzazione delle stesse per l'adozione di atti normativi e amministrativi funzionali alla soluzione dei casi.
      Sul piano politico-istituzionale, si intende proseguire l'opera di sensibilizzazione del livello politico delle amministrazioni, anche attraverso la discussione in sede Comitato interministeriale per gli affari europei delle misure da intraprendere per sanare le infrazioni più sensibili. In tali occasioni le Amministrazioni sono chiamate ad indicare le ragioni per le quali sussistono situazioni di inadempimento nei rispettivi ambiti di competenza.
      Con specifico riferimento alle procedure per cui l'Italia è già stata condannata, si segnala che sono state intraprese alcune iniziative finalizzate a migliorare il sistema di attuazione delle sentenze.
      In particolare, con riferimento al recupero degli aiuti di Stato, è stata predisposta una norma che riguarda il caso in cui, a seguito della notifica di una decisione di recupero di cui all'articolo 14 del regolamento (CE) n.  659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, le attività da compiere siano di competenza di più Ministeri. Tale provvedimento, che modifica l'articolo 48 della legge n.  234 del 2012, è stato approvato in prima lettura dal Senato. L'iter di approvazione della norma prosegue con l'esame da parte della Camera dei deputati del Parlamento italiano.
      La norma prevede che, entro due mesi dalla data di notifica di una decisione di recupero ovvero, nel diverso termine stabilito nella decisione medesima, qualora vi siano più amministrazioni competenti nonché in caso di aiuti concessi nel quadro di un regime da più amministrazioni competenti, il Presidente del Consiglio dei ministri nomini il commissario straordinario del Governo che, con proprio provvedimento, individua definitivamente i soggetti tenuti alla restituzione dell'aiuto, accerta gli importi dovuti e determina le modalità e i termini del pagamento. Il provvedimento del commissario straordinario costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati.
      Inoltre, nella legge di stabilità 2016 è stata inserita una norma modificativa della legge n.  234 del 2012 volta ad assicurare un miglioramento nell'attuazione di sentenze di condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea. Nel caso in cui si renda necessaria, al fine di provvedere ai dovuti adempimenti, l'adozione di una molteplicità di provvedimenti/atti (ad esempio nel caso dell'esecuzione della sentenza «discarica abusiva»), agli enti inadempienti vengono assegnati tempi congrui per adottare ciascuno dei provvedimenti/atti previsti e, in caso di mancato rispetto anche di uno solo dei termini assegnati, il Consiglio dei ministri adotta i provvedimenti necessari ovvero nomina un apposito commissario.
      Inoltre, sempre nella legge di stabilità è stata inserita una norma modificativa della legge n.  234 del 2012 volta a introdurre una più incisiva procedura di rivalsa da parte dello Stato nei confronti delle amministrazioni responsabili delle violazioni.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Sandro Gozi.


      BERRETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          con delibera n.  86 del 16 luglio 2015 della giunta comunale di Adrano in provincia di Catania, avente ad oggetto denominazione di vie in contrada Roccazzello, si è deciso di intitolare una strada ad Agatino Chiavaro, podestà di Adernó (precedente denominazione di Adrano) dal 1923 al 1927, con la seguente motivazione che: «riuscì a promuovere nella cittadina un grande progresso sociale ed economico. Tra gli interventi di grande rilievo la realizzazione della Villa Comunale, Giardino della Vittoria»;
          in realtà il Chiavaro lungi dall'essersi distinto in positivo, fu un fedele interprete del regime fascista, capeggiando la squadra d'azione «La Disperata», squadra che, solo per fare un esempio, diresse nel 1922, armi alla mano, un'azione contro il sindaco Don Vincenzo Bascetta, occupando il Municipio (in seguito liberato per ordine di Benito Mussolini);
          il 1° gennaio 1928 il Chiavaro fu arrestato per concussione, peculato, minacce ed abuso di autorità;
          dagli atti di causa emerge il profilo di un uomo prepotente, violento, che aveva instaurato una vera e propria dominazione sulla città;
          la Corte d'appello di Messina, con sentenza del 30 luglio 1932 lo dichiarava colpevole dei reati di appropriazione indebita continuata e di falso per soppressione di scritture private;
          con determinazione del 4 giugno 1940, il medesimo podestà di Adrano, Pietro Polizzi, deliberò di promuovere giudizio civile contro gli eredi per il recupero delle somme sottratte al comune dal Chiavaro (il quale morì in un incidente stradale nel 1938)  –:
          se il Ministro acquisire elementi in relazione all'istruttoria condotta per intitolare ad Agatino Chiavaro, una via nel Comune di Adrano;
          se non intenda assumere iniziative normative per introdurre un esplicito divieto di autorizzare la denominazione di vie o piazze ad esponenti politici fascisti o legati alla storia del regime fascista.
(4-10150)

      Risposta. — Con l'interrogazione indicata in oggetto l'interrogante manifesta perplessità sulla delibera del mese di luglio dello scorso anno, con cui la giunta comunale di Adrano ha deciso di intitolare una strada ad Agatino Chiavaro, che era stato podestà di quella cittadina dal 1923 al 1927 e, negli anni successivi, era stato condannato dalla corte di appello di Messina per reati contro il patrimonio, o inerenti alla falsità in atti.
      Al riguardo, si comunica che, con provvedimento dell'8 marzo scorso, la prefettura di Catania, all'esito dell'istruttoria di rito, ha rigettato la richiesta di dar luogo a detta intitolazione.
      Quanto alla richiesta di interventi normativi volti ad introdurre un esplicito divieto di intitolare vie o piazze a esponenti del fascismo, si manifesta la disponibilità a collaborare fattivamente ad eventuali iniziative parlamentari nella specifica materia.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      BORGHESE e MERLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          l'Italia dispone di un'estesa rete di istituzioni scolastiche all'estero di cui la principale in assoluto è rappresentata dai corsi di lingua e cultura italiana ex articolo 636 del decreto legislativo n.  297 del 1994, i quali raggiungono una vastissima utenza. Questi corsi si sono trasformati nel tempo in un dispositivo primario per la diffusione e promozione della lingua e cultura italiana all'estero, grazie anche alla loro capillare presenza a livello mondiale;
          la lingua italiana rappresenta uno strumento indispensabile di promozione culturale, di società, di mobilità e turismo, nonché volano del settore economico. Reggere un'azione di sostegno dell'insegnamento dell'italiano all'estero diviene lungimirante, per raggiungere quell'azione di promozione prima citata;
          i corsi di lingua e cultura italiana all'estero sono stati portati avanti, negli ultimi anni, da istituzioni senza fini di lucro, gli «enti gestori». Ai docenti assunti da questi enti si affiancano docenti di ruolo provenienti dall'Italia. Il controllo è affidato, sotto un'ottica generale, da una parte dalle autorità consolari e dall'altra al dirigente scolastico responsabile per l'area. La collaborazione esplicata tramite gli «enti gestori», prevede in generale la presa in carico totale o parziale degli oneri di docenza, della stessa formazione dei docenti, come anche la fornitura di materiale didattico;
          trattasi non solo di corsi extrascolastici ma in gran parte inseriti, a vario titolo, nelle scuole locali, grazie a specifiche convenzioni sottoscritte dalla rete diplomatico-consolare con le autorità scolastiche del Paese. Processo messo in atto per facilitare l'inserimento dell'italiano nei diversi sistemi d'istruzione;
          una specifica Commissione per la «spending review ha operato nel 2012 per conto del ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ed è entrata nel merito della questione. Questa ha lavorato per un complessivo riordino e per la riqualificazione della spesa, tra cui quella sulla razionalizzazione dei corsi di lingua e cultura italiana all'estero. La Commissione si è avvalsa di elementi informativi sul bilancio della Farnesina sulle sue risorse umane e strutturali, effettuando anche un'analisi comparata rispetto ad altri Paesi europei; i relativi dettami sono stati in gran parte la linea portante dello «spending review» effettuato negli ultimi tre anni nel ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
          la Commissione nelle sue conclusioni, come obiettivo prioritario e d'applicazione immediata, ha raccomandato: «di ridurre il contingente di docenti di ruolo all'estero, operando una graduale sostituzione con docenti assunti localmente; di dedicare le risorse così liberate all'intensificazione delle politiche linguistico-culturali»;
          tutto ciò avrebbe sensibilmente ridotto i costi per i trasferimenti e per le indennità di servizio all'estero e avrebbe offerto anche opportunità di lavoro per giovani laureati qualificati, fatta eccezione per i soli dirigenti scolastici, che avrebbero continuato a svolgere un importante ruolo di vigilanza e coordinamento d'area;
          seguendo le indicazioni in merito alla spending review, si è proceduto ed in maniera accelerata, rispetto ai tempi previsti, ad una progressiva riduzione del contingente scolastico per l'estero e proveniente dall'Italia Piano che, come già stabilito, procederà sino al 2018;
          purtroppo, si sono assunte iniziative in palese contraddizione con le indicazioni della stessa Commissione della spending review, nella parte riguardante la graduale sostituzione con docenti assunti localmente. I fondi, infatti, per i corsi di lingua e cultura italiana all'estero, portati avanti dagli «enti gestori», hanno continuato a subire continui tagli, risultando per alcuni versi i relativi capitoli di bilancio quelli di gran lunga più dissanguati (addirittura, se si considera dal 2008 ad oggi, vi sono stati tagli per oltre il 60 per cento su questi capitoli di spesa);
          la situazione ha determinato un arretramento marcato nella diffusione dell'insegnamento della lingua e cultura italiana in molti Paesi. Partendo dal 2012, cioè da quando è stato stilato il rapporto della Commissione, vi è stata una perdita di studenti frequentanti di circa il 30 per cento sul totale. Dalle seguenti cifre, fornite dallo stesso ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il numero degli alunni dei corsi ex articolo 636 del decreto legislativo n.  297 del 1994, risulta il seguente: nell'anno 2012, 315.953; nell'anno 2013, 296.497; nell'anno 2014, 288.141 (cifra che rappresenta l'ultimo dato statistico fornito nel mese di luglio 2015);
          nel triennio scolastico in questione, quindi, si è avuta una riduzione nel numero degli studenti di ben 27.812 unità, come detto prima, pari a circa il 30 per cento del totale rispetto al 2012/13/14;
          con la legge di stabilità 2016, che è stata approvata a dicembre 2015, si è attuato un consistente taglio, nella misura di quasi il 30 per cento corsi ex articolo 636 del decreto legislativo n.  297 del 1994;
          la realtà mette in luce una situazione del tutto insostenibile, che ha causato un triste e penoso declino dell'insegnamento e promozione della lingua e cultura italiana all'estero. Tutto ciò fa seguito a molte dichiarazioni da parte di importanti esponenti di Governo, che invece considerano l'insegnamento della lingua all'estero una risorsa d'indotto molto importante per l'Italia, un investimento economico strategico;
          i tagli attuati della legge di stabilità 2016, rimarcano e aggravano quella già citata palese contraddizione. Mortificano ulteriormente tantissimi cittadini italiani residenti all'estero di nuova emigrazione, ai quali si aggiungono moltissimi discendenti italiani, veri protagonisti della stessa  –:
          quali iniziative intendano adottare in futuro al fine di poter aumentare, appena sarà possibile, la dotazione dei capitoli di spesa relativi alla promozione della lingua e cultura italiana all'estero, rimodulando, i finanziamenti al fine di minimizzare le criticità emerse negli ultimi tempi nel rispetto delle chiare indicazioni date nel 2012 dalla Commissione per la spending review, con riferimento a una graduale sostituzione delle cattedre scoperte, con docenti assunti in loco. (4-11679)

      Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame, concernente la riduzione del contingente scolastico all'estero e i tagli dei corsi ex articolo 636 del decreto-legge n.  297 del 1994 e dei finanziamenti agli enti gestori nel quadro della razionalizzazione dei corsi di lingua e cultura italiana all'estero avviata nel 2012, si forniscono di seguito le informazioni acquisite dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, amministrazione competente per materia, con nota dell'11 marzo 2016.
      Si rappresenta preliminarmente che a seguito dell'esercizio della spending review avviato nel settembre 2015, che ha stabilito l'obiettivo di risparmio del 3 per cento rispetto alle dotazioni di bilancio di ogni singolo ministero, tra le misure adottate, la Farnesina si è vista ridurre, nella scorsa legge di stabilità, i propri stanziamenti per un totale di circa 37 milioni. In tale ambito, si è riusciti a contenere il taglio relativo alle politiche per gli italiani all'estero nell'importo di circa 2,5 milioni di euro. Anche grazie alla costante attenzione del Parlamento per il tema dell'insegnamento della lingua italiana all'estero, si è riusciti in sede di esame parlamentare della legge di stabilità a neutralizzare tale taglio e ad assestarsi su una cifra, comunque consistente, di circa 9,4 milioni di euro, con un aumento comunque di 800.000 euro rispetto all'importo stanziato per il 2016 dalla precedente legge di stabilità. Senza dubbio, come ricordato nell'interrogazione, ci troviamo di fronte ad una disponibilità inferiore di circa 2 milioni rispetto a quella del 2015, che aveva beneficiato, sempre in sede di esame parlamentare della legge di stabilità, di un consistente incremento nel capitolo in questione.
      In merito allo specifico quesito posto nell'interrogazione – come sottolineato anche dal Ministro Gentiloni nel Question time in Aula Camera del 24 febbraio 2016 – il Governo, a partire dalla Farnesina, è fortemente impegnato per cercare di individuare possibili strumenti atti a ripristinare il prima possibile la dotazione del capitolo 3153 al livello dell'anno precedente; un esercizio che – come si può immaginare non risulterà semplice, alla luce delle note ristrettezze di bilancio e dei vincoli della spending review che hanno inciso su capitoli già depauperati, ma che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale cercherà di finalizzare, possibilmente in sede di assestamento, in accordo con il Ministero dell'economia e delle finanze.
      Tale ridimensionamento delle risorse ha reso necessario razionalizzare e ottimizzare l'offerta formativa proposta da parte degli enti gestori, che sono passati da circa 250 del 2009 agli attuali 132. Le misure attuate hanno consentito di garantire, con un terzo dello stanziamento, la realizzazione di circa 13.000 corsi indirizzati a 300.000 studenti: rispetto ad una riduzione delle risorse, pari a circa il 60 per cento, il decremento di studenti registrato corrisponde al 30 per cento circa.
      Nell'attuare tali iniziative, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale si è conformato alle indicazioni della «Commissione della spending review». In particolare, il taglio dell'organico dei docenti ministeriali in area europea è stato compensato da un maggiore ricorso ai docenti locali messi a disposizione dagli enti gestori. A tal fine, agli enti gestori attivi in Belgio, Francia, Germania, Regno unito e Svizzera sono stati erogati contributi integrativi straordinari, a valere sul Capitolo 3153, proprio per consentire loro di coprire i posti lasciati vacanti dai docenti ministeriali rientrati in Italia.
      È stata al contempo potenziata l'azione di supervisione e coordinamento da parte dei dirigenti scolastici all'estero, che garantiscono coerenza didattica e organizzativa nelle aree loro assegnate. Si precisa, al riguardo, che la legge n.  125 del 2013, fortemente voluta dalla Farnesina, ha consentito, per gli anni scolastici 2013/2014 e 2014/2015, un parziale «sblocco» delle sostituzioni e la partenza per l'estero di alcuni dirigenti scolastici, il cui numero attuale è pari a 42 unità (di cui 8 in servizio nelle scuole statali).
      Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha anche promosso iniziative straordinarie nell'ambito della formazione e dell'aggiornamento professionale del personale docente degli enti gestori, al fine di potenziare la qualità dei corsi. In particolare, nel 2014/2015 è stato avviato un «progetto-pilota», con l'utilizzo di parte delle risorse disponibili sul capitolo 3153, in collaborazione con alcuni Atenei italiani, che ha consentito di inviare presso gli enti gestori alcuni neolaureati (11 nel 2014 e 26 nel 2015) specificamente formati per l'insegnamento dell'italiano come lingua straniera, con l'obiettivo di veicolare ai docenti locali le più moderne metodologie e tecniche della glottodidattica volte a qualificare l'offerta formativa. Al momento, è in corso di definizione da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale di un piano di offerta sistematica agli enti gestori di corsi di formazione per i docenti locali, finalizzato a garantire i necessari aggiornamenti metodologici e di contenuto per l'insegnamento della lingua e cultura italiana all'estero.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      BORGHESI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          operatori della Caritas presso la struttura «La Lucciola» del comune di Zone (BS), starebbero svolgendo a quanto consta all'interrogante il proprio lavoro con 12 profughi ospitati in un albergo;
          nell'ambito della loro funzione sarebbero state previste attività laboratoriali con i bambini dell'asilo e della scuola elementare di Zone, proponendo alle scuole di allestire una mostra in biblioteca e creare degli incontri alla presenza dei rifugiati, per presentare i Paesi da cui provengono i 12 ragazzi ospitati (Mali, Nigeria, Gambia);
          a tal fine le scuole hanno fatto esplicita richiesta ai genitori di condividere o meno l'iniziativa, così come deve avvenire per legge nel caso di tutte le attività extracurricolari;
          i 12 ospiti dell'albergo hanno tuttora in corso l'istruttoria per il riconoscimento dello status di profugo; quindi, ad oggi, non si sa ancora se effettivamente si tratta di profughi o piuttosto di clandestini  –:
          se trovi conferma quanto espresso in premessa e quale sia l'orientamento del Ministro in indirizzo sull'opportunità del progetto in questione;
          se non si ritenga quanto meno improprio lo svolgimento di attività extra-curricolari di questo tipo, vista anche la giovane età degli alunni coinvolti, i quali non sono ancora sufficientemente formati nel loro senso critico e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-12972)

      Risposta. — Va precisato preliminarmente che il Ministero ha interpellato l'istituto scolastico coinvolto per acquisire gli elementi necessari per la risposta all'interrogazione in esame che di seguito si illustra.
      Il progetto interculturale scuola primaria di Zone è stato preventivamente approvato da tutti gli organi collegiali dell'istituto comprensivo «L. Einaudi» di Sale Marasino con votazione all'unanimità (consiglio interclasse, collegio dei docenti e consiglio d'istituto).
      Il progetto non ha mai previsto l'allestimento della mostra da parte della scuola, né incontri tra i rifugiati, bambini e/o insegnanti, né laboratori con i bambini, privilegiando piuttosto un'azione interdisciplinare, quotidiana, diluita nell'arco dell'intero anno scolastico. In tal modo si è voluto evitare il rischio che l'intercultura diventi una disciplina a sé, disgiunta dall'azione educativa complessiva.
      I migranti, ospiti della cooperativa «La lucciola», nel mese di marzo 2016, hanno allestito una mostra interculturale nella biblioteca comunale, in totale autonomia e senza il coinvolgimento degli alunni della scuola primaria di Zone.
      Ciò in collaborazione con:
          il comune di Zone;
          la fondazione Opera Caritas San Martino di Brescia.

      La parte conclusiva del progetto ha previsto, per gli alunni, un'uscita didattica in biblioteca (ricompresa tra le attività curricolari) per visionare la suddetta mostra realizzata dalla cooperativa «La lucciola».
      Tale uscita è stata realizzata, in data 2 aprile 2016, previa acquisizione dell'autorizzazione formale firmata dai singoli genitori.
      Le persone da coinvolgere nella presentazione della mostra sono state oggetto di apposito accordo formale con la fondazione Opera Caritas San Martino di Brescia; gli accordi raggiunti hanno previsto la presenza, in aggiunta ai docenti della classe, di due cittadini senegalesi, con regolare permesso di soggiorno rilasciato dalla questura di Brescia.
      È utile evidenziare che il piano dell'offerta formativa dell'istituto comprensivo «L. Einaudi» di Sale Marasino stabilisce che l'intercultura è un'area prioritaria dell'azione formativa dell'istituto.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          come si evince da numerosi articoli di stampa locale e nazionale, a breve entrerà in funzione un importante impianto di stoccaggio GPL con capacità di 10.500 metri cubi, in «Val Da Rio» a 150 metri dal centro storico della città di Chioggia, in provincia di Venezia;
          la sopracitata area era stata indicata in passato idonea al trasferimento del locale mercato del pesce;
          quello citato è un intervento complesso sia sotto il profilo ambientale che della sicurezza pubblica. A quanto si apprende esso genererà un traffico veicolare di almeno 15 autobotti al giorno nella già trafficata SS. 309 «Romea». Quello di Val Da Rio sarà sostanzialmente un deposito, che verrà raggiunto dalle navi da cui partiranno i rifornimenti per i distributori del territorio;
          un articolo de La Nuova Venezia del 17 giugno 2015 descrive un iter autorizzativo corretto in merito al predetto impianto di stoccaggio Gpl;
          il gas propano liquido allo stato gassoso ha una densità superiore a quella dell'aria e ciò gli impedisce di diffondersi nell'atmosfera. In caso di fuoriuscite accidentali tende a concentrarsi ristagnando al suolo e nelle cavità, causando situazioni di accumulo molto pericolose, a rischio di incendio. Per questo, in passato, agli autoveicoli con bombole di GPL era vietato (in Italia) il parcheggio sotterraneo o al chiuso (nelle navi, per esempio), e tuttora è in genere vietato il parcheggio su piani inferiori al primo interrato. Il Gpl è stato il protagonista del pauroso incidente ferroviario di Viareggio  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda;
          se intendano verificare la legittimità di tutto l’iter autorizzativo dell'impianto di stoccaggio Gpl in Val Da Rio e se quanto esposto non pregiudichi effettivamente la sicurezza pubblica per tutto l'abitato di Chioggia;
          se così fosse, se non intendano mettere in campo, per quanto di competenza, urgenti iniziative di tutela ambientale e di incolumità pubblica. (4-12563)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'entrata in funzione di un impianto di stoccaggio GPL in «Val Da Rio», nel territorio comunale di Chioggia, in provincia di Venezia, sulla base degli elementi acquisiti dalle diverse amministrazioni competenti, si rappresenta quanto segue.
      Si fa presente, in via preliminare, che con il decreto-legge 9 febbraio 2012, n.  5 convertito dalla legge 4 aprile 2012, n.  35, e successive modificazioni e integrazioni, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo», agli articoli 57 e 57-bis sono state individuate le infrastrutture e gli insediamenti strategici per i quali, fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano e le normative in materia ambientale, le autorizzazioni previste all'articolo 1, comma 56, della legge 23 agosto 2004, n.  239, sono rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per gli impianti definiti costieri, d'intesa con le regioni interessate.
      Si precisa, in particolare, che la società Costa Bioenergie s.r.l., subentrata nella titolarità dell'autorizzazione per l'installazione di un deposito costiero di gasolio ed oli lubrificanti destinati al servizio di bunkeraggio per la flotta peschereccia ed il naviglio locale della capacità di 1.350 metri cubi, da realizzarsi su terreno privato ricadente in area portuale del comune di Chioggia, già rilasciata alla società Costa Petroli con il decreto ministeriale n.  17369 del 21 maggio 2013, con istanza in data 8 aprile 2014 ha chiesto di essere autorizzata a modificare il deposito portando la capacità complessiva a 10.350 metri cubi di oli minerali mediante l'installazione di n.  3 serbatoi tumulati da 3.000 metri cubi ciascuno per GPL.
      Viste le quantità di sostanze e categorie di sostanze pericolose presenti e dichiarate dal gestore, lo stabilimento è stato classificato come stabilimento soggetto agli adempimenti di cui agli articoli 6, 7 ed 8 del decreto legislativo n.  334 del 1999. Si ricorda al riguardo che lo scopo di tale normativa e delle varie direttive «Seveso» che si sono succedute è quello di fissare azioni, misure e controlli grazie ai quali sia possibile prevenire i così detti «incidenti rilevanti» e ridurne gli eventuali effetti in modo tale da limitarne gli impatti.
      In base agli obblighi per tale categoria di stabilimenti disposti dal decreto legislativo n.  105 del 2015, che rinnova e sostituisce il citato decreto legislativo n.  334 del 1999, lo stabilimento è classificato come nuovo stabilimento di soglia superiore (articolo 3 del decreto legislativo n.  105 del 2015), e la sua realizzazione è subordinata alla presentazione della notifica e al rilascio del Nulla osta di fattibilità (NOF) da parte del Comitato tecnico regionale (CTR) presso la direzione regionale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco territorialmente competente.
      Il nulla osta di fattibilità viene rilasciato a seguito della verifica del rapporto preliminare di sicurezza presentato dal gestore dello stabilimento, nel quale sono individuati i pericoli di incidente rilevante, le misure di sicurezza e gestionali atte a prevenirli e a limitarne le conseguenze, nonché le informazioni necessarie a valutare la compatibilità degli impianti con il territorio circostante dal punto di vista della sicurezza.
      Da quanto agli atti di questo ministero, il comitato tecnico regionale veneto risulta avere espresso, a seguito di istruttoria, parere favorevole, con prescrizioni, al rilascio del Nulla osta di fattibilità per la costruzione dello stabilimento in oggetto, il 2 settembre 2014.
      In base alle disposizioni del decreto legislativo n.  105 del 2015 il gestore è tenuto a rinnovare la notifica e a presentare il rapporto definitivo di sicurezza per le valutazioni di competenza del comitato tecnico regionale.
      Nel rapporto definitivo di sicurezza dovranno essere dettagliatamente analizzati tutti gli aspetti già valutati nella fase preliminare, e dimostrata l'ottemperanza alle prescrizioni formulate con il rilascio del nulla osta di fattibilità.
      Si rileva inoltre che, come da verbale del comitato tecnico regionale e connessa documentazione di riunione agli atti, il comitato tecnico regionale analizzerà la documentazione tecnica presentata dal gestore nell'ambito delle procedure previste dall'articolo 17 comma 2 del decreto legislativo n.  105 del 2015, per la valutazione del rapporto definitivo di sicurezza.
      Si segnala, inoltre, che nell'ambito del suindicato procedimento di autorizzazione la competente direzione generale per le valutazioni ambientali, ha evidenziato che, non risultando aspetti di propria competenza (statale) in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA), ai fini del rilascio dell'autorizzazione il progetto dovesse essere sottoposto ad una preventiva procedura di verifica di assoggettabilità, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n.  152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, di competenza regionale.
      A seguito di tale comunicazione, la regione Veneto con nota del 12 giugno 2014 ha comunicato che, ai sensi della normativa regionale vigente (legge regionale n.  10 del 1999, delibera della giunta regionale n.  575 del 2013) la competenza in materia di VIA risultava delegata alla provincia ed ha invitato l'amministrazione provinciale di Venezia ad effettuare i necessari accertamenti.
      La provincia di Venezia, a seguito dello svolgimento della procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA, ha emanato il provvedimento di non assoggettabilità alla VIA del progetto di cui trattasi n.  9036 del 2 febbraio 2015.
      Si segnala, da ultimo, che avverso il decreto interministeriale n.  17407 del 26 maggio 2015, che ha autorizzato la società Costa Bioenergie a modificare la costituzione del deposito costiero di prodotti petroliferi, aumentando la capacità di stoccaggio a complessivi 10.350 mc di GPL e oli minerali, il comune di Chioggia ha proposto ricorso al Presidente della Repubblica, datato 15 gennaio 2016, per ottenere l'annullamento del provvedimento.
      Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo ministero continuerà a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          fonti di stampa, il 7 gennaio 2015, hanno resa pubblica la notizia che numerosi studenti palermitani delle scuole superiori affetti da disabilità, dopo la pausa natalizia, non hanno potuto fare rientro in classe a causa della mancanza del servizio locale di assistenza scolastica e trasporto;
          su iniziativa di Anffas Onlus Palermo – Associazione nazionale di famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale – i genitori e gli alunni disabili hanno lamentato il mancato servizio, simbolicamente incatenandosi davanti ai cancelli dell'ufficio regionale scolastico e dell'Istituto superiore alberghiero Francesco Paolo Cascino – frequentato dagli studenti disabili;
          sebbene l'ordinamento giuridico attribuisca l'assistenza scolastica degli alunni disabili degli istituti superiori a carico dell'area metropolitana di Palermo, oggi competente in materia a seguito dell'abrogazione delle province, la stessa non è più in grado di fornire il servizio a causa della riduzione di risorse regionali e statali a ciò destinate. Il Ministero dovrebbe adoperarsi per lenire i disagi da ciò causati agli studenti disabili e alle loro famiglie, che vedono ledere il diritto effettivo all'istruzione;
          appare agli interroganti contraddittorio verificare che nei fatti, nell'era definita della «buona scuola», un servizio necessario come quello dell'assistenza scolastica e del trasporto di studenti disabili sia loro sottratto  –:
          se i fatti narrati in premessa trovino riscontro e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti di competenza intenda porre in essere il Ministro interrogato per garantire un effettivo diritto allo studio a tutti gli studenti normodotati e disabili, indipendentemente dal grado di scuola frequentato, individuando tempestivamente soluzioni possibili affinché anche gli studenti disabili possano tornare ad usufruire del diritto d'assistenza loro sottratto, a causa della mancanza di efficienza degli organi della pubblica amministrazione a ciò preposti, oggetto di responsabilità politica e dirigenziale degli organi che devono provvedere concretamente all'affido del servizio. (4-11610)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede quali iniziative urgenti di competenza intenda porre in essere il Ministro per garantire un effettivo diritto allo studio a tutti gli studenti normodotati e disabili, indipendentemente dal grado di scuola frequentato, individuando tempestivamente soluzioni possibili affinché anche gli studenti disabili possano tornare ad usufruire del diritto d'assistenza loro sottratto, a causa della mancanza di efficienza degli organi della pubblica amministrazione a ciò preposti, oggetto di responsabilità politica e dirigenziale degli organi che devono provvedere concretamente all'affido del servizio.
      In particolare, l'interrogazione si riferisce alla mancanza di assistenza agli studenti disabili frequentanti istituti superiori della provincia di Palermo ed alle manifestazioni di protesta poste in essere recentemente dalle famiglie.
      Poiché la materia è di competenza dell'amministrazione provinciale, è stato necessario acquisire informazioni presso la città metropolitana di Palermo.
      Nella relazione trasmessa dall'ente locale sono state fornite informazioni sui servizi ai disabili avviati nonostante l'esiguità delle risorse finanziarie che non consente, purtroppo, di garantire la continuità nell'assistenza.
      Nonostante i minori trasferimenti ed i pesanti tagli alle risorse finanziarie, la città metropolitana di Palermo ha indetto nel mese di agosto 2015, dopo l'approvazione della legge regionale n.  15 del 2015, le procedure di gara ad evidenza pubblica per l'affidamento dei servizi di assistenza igienico personale, di assistenza alla comunicazione per disabili sensoriali, di assistenza all'autonomia, di trasporto per il periodo settembre-dicembre 2016.
      Contemporaneamente sono stati avviati dallo stesso ente locale i servizi rivolti ai disabili sensoriali ai sensi della legge regionale n.  33 del 1991, erogati mediante il sistema dell'accreditamento.
      I servizi di integrazione scolastica per studenti disabili frequentanti le scuole secondarie di secondo grado ed i servizi rivolti ai disabili sensoriali, sono stati garantiti con fondi dell'ente locale a far data dal 10 ottobre 2015 fino al periodo di sospensione delle lezioni per le vacanze natalizie.
      I servizi rivolti ai disabili sensoriali, nel mese di gennaio 2016, a causa della situazione finanziaria dell'ente locale non sono stati riattivati.
      I servizi di integrazione scolastica in favore degli studenti frequentanti le scuole secondarie di secondo grado sono stati riattivati il 12 gennaio 2016 e, vista l'assenza di bilancio e l'assenza di risorse economiche, sono stati garantiti fino al 29 febbraio 2016.
      Si coglie l'occasione per precisare che il citato ente locale, nell'ambito dei servizi rivolti ai disabili sensoriali, ha accolto un totale di 327 istanze distribuite su tre tipologie di servizi e precisamente: 2 utenti hanno richiesto il convitto, 145 hanno scelto il servizio di semiconvitto, 180 hanno scelto le attività extrascolastiche integrative.
      Nell'ambito degli interventi di integrazione scolastica, l'ente provinciale eroga giornalmente le seguenti prestazioni:
          servizio di assistenza igienico personale (427 studenti con disabilità);
          servizio di assistenza alla comunicazione per studenti con disabilità sensoriale (78 studenti con disabilità);
          servizio di assistenza all'autonomia (349 studenti con disabilità);
          servizio di trasporto (378 studenti con disabilità).

      Posto ciò, comunque, si evidenzia che l'ufficio scolastico regionale per la Sicilia, nell'ambito delle sue competenze, per consentire alle scuole di garantire l'assistenza di base in presenza delle difficoltà in cui versano gli enti locali, ha avviato l'organizzazione di 14 corsi di formazione rivolti ai collaboratori scolastici che usufruiscono del beneficio previsto dalla 1a posizione economica ex articolo 7 del contratto collettivo nazionale di lavoro 2004/2005. Nello specifico sono previste 32 ore di formazione che verteranno su contenuti relativi all'ambito giuridico, sanitario e relazionale, da svolgersi in 8 incontri.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il Gazzettino di Padova del 2 marzo 2016 riporta la notizia della denuncia di molti insegnanti precari su «l'ulteriore beffa dei corsi “fuori tempo massimo”. Infatti i termini per la domanda per partecipare al concorso statale che assegnerà le cattedre di ruolo per il prossimo anno scolastico scadono il 30 marzo, mentre i corsi abilitanti presso l'università di Padova terminano dopo, tra maggio e giugno»;
          il rischio concreto è che gli insegnanti che si sono iscritti ai corsi abilitanti sognando un posto fisso all'interno della scuola dovranno aspettare altri tre anni prima di poter partecipare a un nuovo concorso;
          si dà il caso che in altre Università italiane, ad esempio Napoli, Firenze e Trento, i corsi abilitanti Tfa (tirocinio formativo attivo) e Pas (Percorso abilitante speciale) siano stati intensificati proprio per rientrare nei termini;
          il bando emanato il 26 febbraio 2016 non ammette l'iscrizione con riserva, quindi il titolo, entro il 30 marzo, dev'essere già stato conseguito. Si tratterebbe di un danno ancor più grande per gli specializzandi nel sostegno agli alunni con disabilità che, già abilitati nella materia, plurititolati e con anni pregressi di insegnamento, si stanno formando ulteriormente  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti e se non ritenga di assumere urgentemente iniziative affinché presso tutte le università italiane, inclusa quella di Padova, i corsi abilitanti si concludano entro il termine previsto per la domanda di partecipazione al concorso, garantendo così a tutti i corsisti la possibilità di partecipare allo stesso. (4-12353)

      Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame, non si può che ribadire che l'abilitazione all'insegnamento, così come il possesso del prescritto titolo di specializzazione per l'insegnamento sul sostegno, rappresenta requisito di accesso al concorso, come previsto dall'articolo 1, comma 110, della legge n.  107 del 2015.
      Tale principio è stato anche confermato dall'ordinanza n.  2162 adottata in sede cautelare dai Consiglio di Stato, Sezione VI il 9 giugno 2016.
      I docenti che hanno conseguito l'abilitazione e la specializzazione al sostegno successivamente alla data di scadenza di partecipazione al concorso per titoli ed esami, indetto lo scorso 23 febbraio, potranno inserirsi nelle graduatorie di istituto di II fascia per l'attribuzione dei contratti a tempo determinato, nelle more dell'espletamento dei successivi concorsi.
      In base al disposto della legge n.  107, in particolare al comma 113, i concorsi saranno banditi d'ora in avanti a cadenza triennale. Ciò rappresenta un significativo progresso in tema di reclutamento in quanto consentirà di disporre di personale di ruolo in numero sempre più cospicuo, riducendo progressivamente la necessità di ricorrere al precariato.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      BUENO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          da notizie apparse su autorevoli testate brasiliane si apprende che l'ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, indagato per corruzione, avrebbe l'intenzione di sfuggire alle inchieste che lo riguardano e ad un suo possibile arresto, chiedendo asilo all'Italia;
          sempre dalla stampa locale si apprende che si sarebbero svolte conversazioni con l'ambasciata italiana a Brasilia proprio per richiedere asilo politico grazie al fatto che la moglie, di origini italiane, ha la doppia cittadinanza;
          con un comunicato dell'ambasciata italiana del 25 marzo 2016, in relazione all'articolo «il piano segreto» pubblicato dalla rivista Veja, vengono smentite le informazioni relative alle presunte conversazioni intercorse con l'ambasciata stessa;
          Lula, accusato di occultamento di patrimonio e frode fiscale, si è sempre dichiarato innocente e sperava di entrare nell'esecutivo della Rousseff per avere uno scudo legale che avrebbe imposto il trasferimento del suo caso alla Corte suprema. Nonostante la nomina sia sospesa, il 31 marzo la Corte Suprema brasiliana ha deciso di avocare a sé il caso Lula togliendo la giurisdizione al giudice federale Sergio Moro che aveva istruito il dossier di accuse contro l'ex presidente  –:
          se trovino conferma tali presunti contatti da parte dell'indagato ex presidente Lula con l'Italia e, in tal caso, quali siano in merito, per quanto di competenza, gli orientamenti del Governo.
(4-12725)

      Risposta. — In Brasile, nel dicembre 2015, a seguito dello scandalo per corruzione che ha interessato la compagnia petrolifera dello Stato (Petrobras) e che ha coinvolto la Presidente Rousseff e l'ex Presidente Lula, il Presidente della Camera Eduardo Cunha ha accettato di avviare ufficialmente un procedimento di impeachment contro la Rousseff.
      Il processo di impeachment rappresenta l'ultima fase del grave stato di crisi politica in cui versa il Paese, iniziato già un paio di anni fa, in coincidenza con il rallentamento della crescita economica che ha reso inattuabili molte delle politiche sociali del «Partido dos Trabalhadores» (PT). Essendo al potere da più di 13 anni, il PT ed i suoi esponenti principali, Lula e Dilma, sono diventati inevitabilmente i bersagli principali della protesta. Mentre il partito nel suo insieme è accusato di aver istituzionalizzato il «sistema» di corruzione, su di Lula si è progressivamente appuntata non solo l'accusa politica di non averne contrastato il consolidamento, ma anche quella di esserne stato beneficiario.
      Il 17 aprile 2016 la Camera dei deputati ha deliberato l'ammissibilità della messa in stato di accusa della Presidente. L'avanzamento dell’impeachment con una maggioranza ben superiore a quella richiesta dei due terzi è stato un segnale della forte ostilità che le forze politiche brasiliane provano nei suoi riguardi. Dal 12 maggio 2016, a seguito del voto del Senato, Dilma Rousseff è stata sospesa per sei mesi dalla Presidenza della Repubblica. Per tutto il suddetto lasso di tempo la Presidenza della Repubblica passa al Vice Presidente Michel Temer.
      In merito all'interrogazione in esame non si può che ribadire quanto già espresso nel comunicato stampa dell'ambasciata d'Italia a Brasilia del 25 marzo 2016, con il quale si è fatto stato dell'insussistenza di contatti fra l'ambasciata d'Italia e le autorità brasiliane in merito all'ipotesi di una richiesta di asilo dell'ex Presidente Lula.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Mario Giro.


      BUSIN, BORGHESI, GIANLUCA PINI e CAPARINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il 13 maggio 2015 in sede di svolgimento di interrogazioni a risposta immediata nell'aula della Camera dei Deputati, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha risposto all'interrogazione n.  3-01492 concernente il completamento verso nord dell'Autostrada A31 Valdastico;
          come è noto, l'autostrada Valdastico A31 nord è un completamento autostradale (di circa 39 chilometri, da aggiungere ai circa 90 chilometri già esistenti) di cui il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha disposto la realizzazione tramite assegnazione della concessione ad autostrada Brescia Verona Vicenza Padova spa;
          il Governo, inoltre, l'ha inserito nell'8° Allegato Infrastrutture – programma delle infrastrutture strategiche del 2010 ed in successivi aggiornamenti, l'ha confermato nell'Intesa Generale quadro di cui alla legge obiettivo sottoscritta nel 2011 con la regione del Veneto e ne ha chiesto ed ottenuto l'inserimento nelle reti di trasporto europee TEN-T nel 2013 assumendo, in tal modo, l'impegno a realizzare l'opera anche nei confronti della Unione Europea;
          la provincia autonoma, per parte sua, afferma che sia carente l'intesa prevista dalla legge obiettivo (e dallo Statuto di autonomia trentina) per la parte di tracciato ricadente nella provincia autonoma stessa;
          si tratta, nella sua interezza, di un'opera pubblica del valore di circa 2 miliardi di euro, interamente finanziati e senza onere alcuno a carico dello Stato, importante per migliorare i collegamenti dell'Adriatico e del nord-est con l'Europa e che darà al Veneto un contributo decisivo per superare la crisi economica;
          a conferma dell'utilità dell'opera è significativo segnalare che, nella fase preparatoria del cosiddetto decreto Sblocca Italia e in risposta a specifica sollecitazione del Presidente del Consiglio dei ministri, ben 55 sindaci del Veneto hanno sottoscritto un documento comune con il quale veniva segnalata la necessità e l'urgenza di completare l'autostrada e, si ritiene anche in esito a tale forte segnale del territorio, fino all'emanazione del decreto il completamento autostradale era indicato tra le opere da sbloccare e tuttora compare nelle elencazioni e nelle mappe disponibili sul web;
          il progetto preliminare dell'Autostrada Valdastico A31 nord è già stato approvato nel febbraio 2012 dall'Ente concedente – ora coincidente con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – e ha ottenuto la positiva valutazione d'impatto ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero per i beni e le attività culturali;
          nell'ambito della procedura approvativa, però, la provincia autonoma di Trento ha negato l'intesa urbanistica sulla localizzazione dell'opera;
          il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel gennaio 2013 ha così dato avvio agli adempimenti di legge previsti per superare il dissenso della provincia autonoma chiamando il Consiglio superiore dei lavori pubblici ad esprimersi sulla questione, ma nell'ambito di tale istruttoria non è stato possibile superare il dissenso mentre si è preso atto della possibilità di articolare l'opera in due segmenti;
          il 1° lotto funzionale – di circa 19 chilometri, interamente in territorio Veneto – ha così ottenuto la conclusiva approvazione da parte del CIPE nel marzo 2013;
          non si è invece ancora conclusa la procedura approvativa del 2° lotto di completamento di circa 20 chilometri, di cui 15 chilometri in territorio trentino, relativamente al quale nella seduta del 10 novembre 2014, il CIPE «ha assunto motivate determinazioni in ordine all'esigenza di superare il dissenso manifestato dalla provincia autonoma di Trento sulla localizzazione dell'autostrada A31 Valdastico Nord, 2° lotto di completamento – da Valle dell'Astico alla A22 (Besenello) – e di proseguire nello svolgimento dell'apposita procedura prevista dall'articolo 165, comma 6, lettera a), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.  163 (codice dei contratti pubblici)»;
          risulta che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbia adempiuto, nel corso degli anni, ad ogni possibile tentativo di raggiungimento della più ampia intesa richiesta dalla legge obiettivo e dallo statuto di autonomia trentina, avendo attuato numerosi e reiterati tentativi di dialogo con la provincia autonoma di Trento nel rispetto del principio di leale collaborazione tra amministrazioni pubbliche, riscontrando invece da parte della provincia autonoma un comportamento ostruzionistico che di fatto ha finora concretizzato un improprio diritto di veto;
          risultano pertanto sussistere i presupposti, come supportato da plurime sentenze della Corte costituzionale (che ha più volte sottolineato come il principio di leale collaborazione, che giustifica la ricerca dell'intesa tra lo Stato e le regioni, non possa mai trasformarsi nell'indebito riconoscimento a queste ultime di un indefinito e insuperabile potere di veto), da pareri di autorevoli giuristi (i quali hanno messo in luce come il mancato raggiungimento dell'intesa con la regione o con la provincia autonoma non possa impedire sine die l'assunzione di una decisione finale da parte dello Stato, soggetto portatore e garante delle esigenze unitarie e dell'interesse pubblico generale), e nel pieno rispetto del dettato costituzionale, affinché lo Stato dia corso ad un atto unilaterale finalizzato a superare anche tale seconda Intesa in ragione delle esigenze unitarie nazionali ed europee – di cui è portatore e garante;
          atteso anche il significativo beneficio che deriverà dalla realizzazione dell'opera al nord-est e alla fascia adriatica, la società concessionaria, considerato che alle determinazioni del CIPE del 10 novembre 2014 non hanno fatto seguito gli adempimenti previsti dalla legge (parere della Commissione parlamentare per gli affari regionali, deliberazione del Consiglio dei ministri decreto del Presidente della Repubblica), ha presentato ricorso al TAR contro il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Presidente del Consiglio dei ministri per l'adozione degli atti di rispettiva competenza. Dalla mancata assunzione della decisione finale potrebbero dunque derivare ulteriori danni alle finanze pubbliche, scaturenti dalle eventuali condanne risarcitorie;
          la risposta fornita dal nuovo Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio il giorno 13 maggio 2015 alla richiamata interrogazione ha destato stupore e sconcerto in quanto il Ministro ha fatto esclusivo riferimento alle presunte prerogative del Trentino ignorando quelle del Veneto e, soprattutto, quelle nazionali di cui invece dovrebbe essere prioritariamente garante;
          il Ministro, inoltre, richiamando la presunta esigenza delle intese con la provincia autonoma, come detto oramai sicuramente contestabile con una più attenta lettura della norma, in tre minuti ha sconfessato anni di operato del suo Ministero oltre ad una volontà già chiaramente espressa dal CIPE, e quindi dal Governo, nel novembre 2014;
          il Ministro ha ignorato e secondo gli interroganti avvilito il comportamento più virtuoso del Veneto, il quale, in risposta all'istanza proveniente dallo Stato, ha da tempo messo a disposizione il proprio territorio per la realizzazione dell'infrastruttura;
          il Ministro, infine, non ha assunto alcun impegno per risolvere una questione grave e annosa, da cui (stante la mancata definizione di soli 15 chilometri di un tracciato complessivo di 129 chilometri) deriva un'opera incompiuta e un gravissimo sperpero di denaro (in ragione degli ingentissimi investimenti sostenuti per la costruzione dei 90 chilometri già esistenti) di proporzioni non inferiori alla tristemente nota Salerno-Reggio Calabria  –:
          se intenda dare corso alle determinazioni già assunte dal CIPE nel novembre 2014;
          se la posizione del Governo sul completamento dell'opera è quella espressa dal CIPE, come riportata sul sito istituzionale del Comitato, oppure quella espressa dal neo Ministro Delrio;
          se intenda dare attuazione alla Costituzione che prevede uguale dignità e diritti per tutti i cittadini nello Stato italiano, siano essi trentini o veneti;
          se intenda assecondare il distorto utilizzo delle prerogative dell'autonomia trentina al punto di farne derivare un diritto di veto insuperabile e un potere assoluto di una minoranza nei confronti dello Stato, riconoscendo così che il Governo è di fatto ostaggio della provincia autonoma di Trento;
          se intenda così scongiurare il concretizzarsi di un'opera incompiuta, onorare l'impegno assunto in sede europea e dare la risposta attesa dal corridoio adriatico e dal nord-est. (4-09266)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, concernente la realizzazione della Valdastico nord, si forniscono e seguenti elementi di risposta.
      A seguito della delibera Cipe n.  55 del 6 agosto 2015 è stata avviata la procedura per l'intesa prevista dall'articolo 19 della norma di attuazione dello statuto di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  381 del 1974 e dall'articolo 1, comma 1, della legge n.  443 del 2001, mediante la costituzione di un comitato paritetico tra Stato-Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione del Veneto e provincia autonoma di Trento che entro 45 giorni avrebbe provveduto a verificare la sussistenza di tutte le condizioni previste ai fini dell'intesa e a definire la soluzione più rispondente agli obiettivi strategici europei, nazionali e locali. La proposta nei successivi 30 giorni, previa delibera da parte degli organi statali, provinciali e regionali competenti, sarebbe stata sottoposta al Cipe, comprensiva delle attività e dei tempi previsti per la redazione del progetto definitivo e la sua approvazione.
      Il comitato paritetico, costituitosi presso questa amministrazione, ha provveduto all'analisi degli aspetti trasportistici e alla valutazione dei costi e dei benefici indotti dall'autostrada Valdastico A31 nord; i lavori del comitato sono stati ultimati con la sottoscrizione di apposito atto in data 9 febbraio 2016.
      Dal documento conclusivo si evince come il comitato abbia accertato la necessità di individuare un corridoio stradale per il completamento della Valdastico nord. Tale soluzione ha chiaramente trovato il consenso da parte sia della provincia di Trento che della regione Veneto. Contestualmente, in considerazione che il termine di scadenza della concessione della autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova Spa è condizionata dall'approvazione di tale opera, risulta necessario procedere alla revisione del piano economico finanziario (Pef).
      In data 14 marzo 2016 la predetta società ha pertanto trasmesso a questa amministrazione una versione aggiornata del Pef, che, successivamente istruita dagli uffici ministeriali competenti, è stata presentata in data 17 maggio 2016 al Cipe unitamente alla documentazione di riferimento e contestualmente alla presentazione del documento conclusivo del suddetto comitato paritetico, al fine della successiva approvazione necessaria per avviare le procedure progettuali della tratta nord Valdastico 2o lotto, quelle di realizzazione del 1o lotto già approvato e tutte le attività necessarie per la realizzazione delle altre opere.
      Infine, si informa che il Nars ha già fornito parere favorevole e che il Cipe, nella seduta del 4 agosto 2016, dovrebbe deliberare in senso favorevole.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Graziano Delrio.


      CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 10 aprile 2015, sull'autostrada A19 Catania-Palermo, all'altezza del viadotto Himera, chilometro 61, tra gli svincoli di Scillato e Tremonzelli, direzione del capoluogo etneo, sono ceduti due piloni a causa di una frana in movimento dal 2005 sulla strada provinciale Scillato-Caltavuturo;
          la procura della Repubblica di Termini Imerese ha aperto una inchiesta per «disastro colposo» proprio per accertare eventuali responsabilità sul disastro che, di fatto, ha paralizzato l'unica infrastruttura in grado di collegare le due città siciliane;
          sin dal 2004, il comune di Caltavuturo ha segnalato alla provincia di Palermo il rischio generato dal dissesto idrogeologico di questo zona dell'isola e che tale comune è rimasto isolato a causa delle frane avvenute che hanno bloccato la strada provinciale 20 e la strada statale n.  120;
          il Movimento 5 Stelle aveva presentato al Ministro Delrio un progetto di «bypass» alternativo per la A19 che tagliava costi e tempi rispetto a quelli prospettati dall'Anas. Progetto inizialmente accolto con entusiasmo dal commissario straordinario avvocato Guardabassi che aveva ricevuto i deputati nazionali del M5S, salvo poi ricredersi e comunicare, tramite gli uffici tecnici ministeriali, che il progetto non poteva essere accolto a causa di alcune lacune, nonostante illustri docenti universitari avessero detto che il progetto avanzato dal MoVimento 5 Stelle era valido;
          in data 10 marzo 2016 si legge su repubblica.it, di una nota dell'Anas in cui comunica che sta iniziando la «fase due» con il conferimento di incarico a due professori universitari per verificare la possibilità di salvare il viadotto rimasto in piedi;
          due docenti chiamati dall'Anas avranno il compito di comunicare, tramite relazione da consegnare a fine aprile, se sarà possibile transitare nella carreggiata Catania-Palermo; il professore Marcello Arici, che è stato incaricato per condurre l'analisi strutturale della carreggiata rimasta in piedi, dovrà verificare se la struttura del viadotto sia stata danneggiata dalla spinta dell'altra carreggiata, poi fatta esplodere, che si era appoggiata; il professore Calogero Valore dovrà portare avanti l’«analisi geotecnica» e capire in che condizioni è il terreno su cui poggiano i piloni e con la frana ancora attiva. Si ricorda al proposito che il terreno è proprio quello franato l'anno prima, provocando il cedimento dei piloni autostradali  –:
          quali siano le motivazioni che hanno portato il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a conferire l'incarico per la verifica della stabilità dell'infrastruttura superstite di cui in premessa solo adesso e non subito dopo l'evento;
          se il Ministro interrogato ritenga di assumere iniziative per verificare se ci sia stato un errore di valutazione con riguardo al cronoprogramma e alle scelte operate da parte dell'avvocato Guardabassi, in quanto a giudizio dell'interrogante il commissario avrebbe potuto verificare immediatamente la stabilità del viadotto non interessato dal cedimento e se questa avesse dato esito positivo si sarebbero potuti risparmiare dieci milioni di euro, non realizzando la bretella a quel punto non più necessaria;
          quali siano le motivazioni che hanno portato il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a non considerare la proposta di esponenti del Movimento 5 Stelle di Caltanissetta che prevedeva l'utilizzo di ponti Bailey e la realizzazione dell'infrastruttura temporanea da parte del Genio militare, alla quale, a quanto risulta da una nota consegnata in occasione della risposta all'interrogazione 3-01951 dell'onorevole Rizzo Gianluca, era stato dato parere favorevole con la disponibilità ad eseguire i lavori;
          quali siano le motivazioni per le quali, ancora oggi, non sia stato predisposto alcun intervento di competenza in relazione alla frana che ha provocato il cedimento dell'infrastruttura;
          se, nel caso in cui sia accertata la perfetta staticità dei manufatti, quali iniziative di competenza saranno assunte per accertare le responsabilità per il grave danno cagionato alla collettività costituito dal costo della bretella e dai danni alle aziende ed ai privati cittadini che sono stati costretti a percorrere in un primo tempo strade di montagna (Polizzi) e successivamente la regia trazzera Prestanfuso, realizzata e finanziata dal movimento 5 stelle siciliano. (4-12682)

      Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta, sulla base delle informazioni fornite dal Commissario delegato e dalla società ANAS.
      Come è noto, il 10 aprile 2015 una frana ha danneggiato alcune pile del viadotto «Imera I» dell'autostrada A19 «Palermo-Catania», tra il chilometro 57+150 ed il chilometro 59+300, nel territorio comunale di Scillato e Caltavuturo.
      La carreggiata del viadotto, maggiormente colpita, con danni rilevanti alle sei campate tra le pile n.  16 e n.  22, è stata quella in direzione di Catania, prospiciente al versante in frana.
      Le attività di analisi strutturale effettuate sulla corsia autostradale, in direzione di Palermo, erano, pertanto, subordinate alla rimozione della carreggiata interessata dal cedimento.
      Per garantire la continuità di utilizzo dell'A/19, anche ai mezzi pesanti, il 7 agosto 2015 la società ANAS ha avviato i lavori per la realizzazione di una variante provvisoria del tracciato, modificando la strada provinciale 24, parallela all'autostrada predetta.
      I lavori sono terminati il 13 novembre 2015 mentre, il successivo 22 dicembre è stata completata la demolizione delle sei campate del viadotto.
      Sono state, quindi, avviate le verifiche sullo stato di conservazione del viadotto non direttamente interessato dalla frana. Dette verifiche hanno dato esito positivo sulla staticità dell'opera e per tale motivo il 30 aprile 2016 è stato possibile riaprire la carreggiata in direzione Palermo.
      Le attività di monitoraggio geomorfologico e geotecnico del viadotto sono tutt'ora in corso e procedono rispettando il Cronoprogramma delle attività.
      In attesa dei pareri di approvazione, da parte degli enti competenti, del progetto preliminare per la ricostruzione del viadotto, è stata avviata l'elaborazione del relativo progetto esecutivo, la cui approvazione è prevista per il mese di novembre 2016.
      In merito, poi, ad alcuni aspetti specifici evidenziati dall'interrogante si fa presente quanto segue.
      La scelta di salvaguardare la carreggiata in direzione Palermo evitando il più facile e conveniente brillamento di entrambe le carreggiate, è stata effettuata per due ordini di ragioni: in primo luogo è necessario evidenziare che le due carreggiate non erano svincolate, ma, all'opposto, una (la Catania) premeva in appoggio sull'altra (la Palermo) e, quindi, salvaguardia e valutazione di quest'ultima non potevano prescindere dal distacco e dalla demolizione della prima. E ciò non solo per basilari considerazioni fisiche attinenti alla meccanica ed alla statica, ma anche per consentire alle maestranze l'esecuzione delle indagini in sicurezza.
      In secondo luogo, come rileva anche l'interrogante, la frana, nonostante la riprofilatura del versante operata nel corso dell'intervento emergenziale, continuava a lambire le pile della carreggiata Palermo, pertanto, più volte gli uffici preposti (commissario delegato e capo del dipartimento della Protezione civile) hanno sollecitato la regione Siciliana a farsene carico, come previsto dalla normativa vigente.
      Non sarebbe stato possibile, consentire la riapertura al traffico della carreggiata Palermo senza la realizzazione di opere provvisionali (cunei, cuffie, eccetera) a protezione delle pile.
      Tali ultime opere sono state programmate da ANAS nell'ambito della realizzazione del nuovo viadotto (direzione Catania), mentre la riapertura della carreggiata direzione Palermo, in unico senso di marcia, è divenuta possibile come sopra riferito in data 30 aprile 2016, in virtù delle perizie dei consulenti dell'università di Palermo, appositamente incaricati per valutare la struttura del viadotto ed in particolare le fondazioni delle pile. Inoltre, le condizioni geomorfologiche del sito, l'avvenuta riprofilatura del versante e la sua parziale sistemazione, le favorevoli condizioni stagionali, con l'abbassamento della falda acquifera, l'implementazione del sistema di monitoraggio, sono tutte condizioni che hanno consentito la circolazione in sicurezza, nelle more della realizzazione delle opere di protezione, seppure in unico senso di marcia.
      La scelta di riaprire la carreggiata in direzione Palermo, comunque, è stata assunta in autonomia da Anas quale gestore dell'A19.
      Ciò che preme rilevare, peraltro, è che il tempo di attesa necessario per il distacco e la decostruzione della carreggiata Catania, collassata un anno fa, era stato comunque prudenzialmente stimato in nove mesi.
      Il Commissario, infatti, dinanzi all'alternativa di attendere con certezza almeno nove mesi, lasciando la comunicazione stradale tra Palermo e Catania nelle notorie precarie condizioni, senza bypass autostradale, anche durante l'autunno e l'inverno e quella di realizzare immediatamente la bretella (come peraltro richiesto dall'ordinanza della protezione civile e dallo stato emergenziale proclamato dal Consiglio dei ministri), ha optato per la seconda. E, così facendo, ha consentito l'apertura del bypass il 16 novembre 2015, mentre, nell'opposta ipotesi, è bene ribadirlo, sino ad oggi l'unica via sarebbe stata la strada statale 630 di Polizzi Generosa, con tutti i disagi, i rischi nonché i costi connessi.
      Quanto alle motivazioni che hanno indotto il Commissario a non scegliere la proposta avanzata dal Movimento 5 Stelle, lo stesso ha comunicato che detta proposta è stata oggetto di attenta valutazione, anche perché quasi coincidente con una delle ipotesi alternative elaborate da Anas, ma nella ponderazione delle alternative non ha trovato seguito, alla stregua di altre opzioni, tranne quella che è stata ritenuta la migliore, sia sotto il profilo del minor rischio idrogeologico e tenuto conto dei vincoli massimi di tempo (6 mesi, poi rispettati) sia del costo (9,35 milioni di euro, con un risparmio di circa 2,5).
      Per completezza d'informazione si allega il piano-cronoprogramma predisposto dal commissario delegato ai sensi dell'ordinanza n.  258 della Protezione civile del 30 maggio 2015 (disponibile presso il Servizio Assemblea).
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Graziano Delrio.


      CAPARINI, FEDRIGA e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 5 maggio 2016, il CONAPO, Sindacato autonomo dei vigili del fuoco, ha proclamato lo stato di agitazione nazionale del personale appartenente al Corpo, preannunciando l'intenzione di indire lo sciopero nazionale della categoria unitamente ad altre manifestazioni di piazza;
          lo stato di agitazione è finalizzato ad ottenere l'equiparazione delle retribuzioni e delle pensioni dei vigili del fuoco a quelle degli altri corpi dello Stato, ponendo rimedio ad alcune evidenti sperequazioni tuttora in essere con specifico riferimento alle forze di polizia ad ordinamento civile, Corpo forestale dello Stato incluso;
          sul piano retributivo, ad esempio, i vigili del fuoco risultano subire una sperequazione mediamente pari a 300 euro mensili;
          i vigili del fuoco del CONAPO chiedono il loro pieno inserimento nel comparto sicurezza mediante l'estensione dei meccanismi di equiparazione retributiva previsti dagli articoli 16, 43 e 43-ter della legge n.  121 del 1981;
          in subordine, peraltro, i vigili del fuoco del CONAPO si dichiarano disponibili ad accettare anche alcune norme specifiche di equiparazione retributiva e pensionistica;
          si segnalano fra gli obiettivi dei vigili del fuoco del CONAPO in stato di agitazione, lo scatto dell'assegno funzionale ai 17, 27 e 32 anni di servizio; la perequazione di tutti gli importi delle indennità di rischio; l'estensione al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco dei sei scatti aggiuntivi sull'importo della pensione, già riconosciuti al personale delle forze di polizia ad ordinamento civile sin dal 1987; l'introduzione per i vigili del fuoco dell'aumento di servizio ai fini pensionistici, nella misura pari ad un anno ogni cinque, come capita già al personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile sin dal 1977; l'introduzione per il personale direttivo e dirigente dei vigili del fuoco di aumenti retributivi rispettivamente al 13° e al 23° anno di servizio ed al 15° e 25° anno di servizio, come già succede dal 1981 al personale delle forze di polizia ad ordinamento civile delle corrispondenti qualifiche;
          a fondamento giuridico delle richieste avanzate dai vigili del fuoco del CONAPO vi è l'articolo 19 della legge n.  183 del 2010, significativamente rubricato «specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco»  –:
          in che modo il Governo intenda rispondere alla giusta rivendicazione di parità di trattamento da parte del personale dei vigili del fuoco aderente al CONAPO;
          se, in particolare, il Governo intenda aprire una trattativa con il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e le sue rappresentanze al fine di tradurre in fatti concreti l'equiparazione con le forze dell'ordine sancita formalmente dalla legge e poi di fatto disattesa in termini di remunerazione e trattamento pensionistico. (4-13165)

      Risposta.— Con l'interrogazione in esame l'interrogante, richiamando le rivendicazioni avanzate dal sindacato autonomo Conapo, sollecita l'adozione di iniziative volte ad equiparare il trattamento retributivo e pensionistico dei vigili del fuoco a quello del personale delle forze di polizia ad ordinamento civile.
      Si rappresenta innanzitutto che il rilancio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e la valorizzazione del suo personale anche sotto il profilo economico-retributivo costituiscono, da oltre un decennio, punti fondamentali nell'agenda del Governo in tema di sicurezza.
      Risale al 2004 un'incisiva riforma che ha ricondotto il rapporto d'impiego dei vigili del fuoco dal regime privatistico a quello di diritto pubblico, al pari di quanto era già previsto per gli altri corpi dello stato chiamati alla difesa dei valori fondamentali della Repubblica.
      Su tale base, il personale del Corpo nazionale è stato inquadrato nel comparto di negoziazione «vigili del fuoco e soccorso pubblico», contiguo ma distinto dai comparti sicurezza e difesa previsti per il personale delle Forze armate e i corpi di pubblica sicurezza in senso stretto.
      Da quel momento, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica, si sono susseguiti molteplici interventi legislativi diretti a realizzare il progressivo avvicinamento dell'ordinamento del personale del Corpo nazionale a quello delle Forze di polizia.
      Si ritiene utile ripercorrere le tappe di questo percorso normativo, all'interno del quale un primo passo particolarmente significativo è rappresentato dal decreto-legge n.  185 del 2008 – confermato dalla legge n.  183 del 2010 – che ha riconosciuto la specificità del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al pari delle Forze armate e delle Forze di polizia, ai fini della definizione degli ordinamenti e della tutela economica, pensionistica e previdenziale.
      Va anche ricordato che con il predetto decreto-legge n.  185, sono state, tra l'altro, destinate risorse aggiuntive all'istituzione di una speciale indennità operativa per il servizio di soccorso tecnico urgente espletato all'esterno.
      Successivamente, il processo di armonizzazione del trattamento economico è proseguito sia con il decreto n.  39 del 2009 (cosiddetto «decreto-legge Abruzzo»), in virtù del quale i vigili del fuoco si sono visti ripristinare l'indennità di missione, analogamente a quanto previsto per il personale dei comparti sicurezza e difesa, sia con il decreto-legge n.  78 dello stesso anno, che ha autorizzato la spesa di 15 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2010, da destinare alla speciale indennità operativa citata prima.
      Sempre nel 2009, il decreto-legge n.  195 ha riconosciuto ai Vigili del fuoco l'indennità di trasferimento.
      Più di recente, con la legge di stabilità 2014, sono stati reintrodotti il trattamento economico aggiuntivo per infermità dipendenti da causa di servizio e il diritto, a decorrere dall'anno 2014, agli assegni vitalizi ai familiari di invalidi vittime del terrorismo con invalidità non inferiore al 50 per cento.
      Da ultimo, la legge di stabilità 2016 ha destinato anche al personale del Corpo nazionale un contributo straordinario pari a 960 euro su base annua, al fine di fronteggiare le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale, per l'anno in corso.
      Svolta questa breve disamina delle iniziative pregresse, si assicura l'amministrazione dell'interno proseguirà nella sua politica di attenzione verso quella componente fondamentale della protezione civile e del sistema generale della sicurezza del Paese che è il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e, in tal senso, continuerà ad adoperarsi per assecondare le legittime aspettative del personale. In tale ambito, vi sarà senz'altro lo spazio per un confronto serio con le organizzazioni sindacali di categoria, come auspicato nell'interrogazione.
      Ma occorre accettare l'idea che il superamento delle differenze retributivo-previdenziali tuttora esistenti rispetto alle Forze di polizia avverrà giocoforza attraverso un processo graduale, che il Governo porterà avanti, pur in un contesto caratterizzato da stringenti vincoli di finanza pubblica e, comunque, in una logica di contemperamento con gli altri interessi collettivi presenti nel Paese, ritenuti meritevoli di pari tutela e considerazione.
      Si informa, in proposito, che, nell'ambito del progetto di riforma dell'ordinamento del personale dei vigili del fuoco, attualmente in fase di avanzata elaborazione, e in attuazione della cosiddetta legge Madia, è stata prevista l'istituzione di un fondo per il riconoscimento economico del ruolo operativo svolto dai vigili del fuoco, da impiegare per la corresponsione al personale di emolumenti fissi e continuativi, aventi natura pensionabile.
      A questo si aggiunge che prima della pausa estiva si aprirà, presso il Dipartimento della funzione pubblica, il tavolo per il rinnovo del contratto, che riguarderà in maniera abbastanza significativa anche i vigili del fuoco.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      CARROZZA, FONTANELLI e GELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          la biblioteca universitaria di Pisa, aperta al pubblico nel 1742 nei locali situati sotto la Specola astronomica in via Santa Maria, ha attualmente sede della Domus Galilaeana. Sin dal 1823 ha sede nel palazzo quattrocentesco della Sapienza di cui occupa le ali poste a nord-ovest del piano nobile, dove sono situati i locali destinati all'utenza, le sale di consultazione e gli uffici, e le ali a sud-ovest del secondo piano, adibite a magazzini librari;
          nel patrimonio bibliografico si contano: 1.395 manoscritti, 162 incunaboli, 7.083 cinquecentine, 600.000 volumi e opuscoli, 6.500 testate di periodici, rappresenta un patrimonio culturale di grande valore per l'Ateneo e per la città di Pisa;
          la biblioteca è stata chiusa dal maggio del 2012 in seguito al terremoto che ha colpito il nord-Italia con epicentro in Emilia; diversi studi hanno messo in luce gravissimi problemi di staticità e sicurezza dell'edificio storico de «La Sapienza», rendendo necessario realizzare un complesso e oneroso progetto di recupero, precondizione per l'uso pubblico del bene;
          l'8 giugno 2016, in seguito alla rottura di un tubo dell'acqua nella struttura della biblioteca universitaria pisana la conseguente colata lungo i locali che ospitano i volumi della biblioteca ha danneggiato numerosi preziosi volumi: alcuni di questi sono stati asciugati, altri trasferiti a Firenze, altri ancora lasciati sul posto; si tratta di 1.500 volumi antichi e 1.500 volumi moderni;
          una nuova perdita d'acqua ingente potrebbe provocare ulteriori ritardi sui lavori di restauro e messa in sicurezza della biblioteca;
          sono emerse preoccupazioni, condivise recentemente anche dal consiglio di amministrazione dell'università di Pisa, che ha ricordato che, «per espressa volontà del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT), l'intervento di riqualificazione funzionale della biblioteca universitaria pisana rientra nella esclusiva sfera di competenza dello stesso Ministero, mentre l'università si è fatta carico di tutti gli interventi di carattere generale sull'edificio, nonché di quelli relativi alle aree di propria competenza», e che nel contempo ha fornito la propria disponibilità a valutare le richieste giunte dal Ministero di un maggiore coinvolgimento nei lavori che riguardano la biblioteca universitaria pisana al fine di evitare il disallineamento temporale di tutta la procedura a discapito dell'intero progetto, essendo l'intervento di pertinenza dell'ateneo giunto quasi a conclusione;
          i lavori per la ristrutturazione de «La Sapienza», per i quali sono stati stanziati 4,7 milioni di euro da parte dell'università di Pisa, 3 milioni dalla Fondazione Pisa, altri 3 milioni derivanti dalla vendita delle azioni dell'aeroporto della regione, 1,2 milioni dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, procedono a ritmi serrati e in autunno è prevista la riapertura del complesso (fine lavori prevista per il 30 settembre);
          come detto, per espressa volontà del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT), l'intervento di riqualificazione funzionale della biblioteca universitaria pisana rientra nella esclusiva sfera di competenza dello stesso Ministero, mentre l'università si è fatta carico di tutti gli interventi di carattere generale sull'edificio, nonché di quelli relativi alle aree di propria competenza;
          per i lavori di ripristino della biblioteca universitaria pisana ci sono le risorse (pari a 1,7 milioni di euro), ma manca ancora il progetto a carico del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo-Soprintendenza, in quanto a tutt'oggi gli uffici competenti del Ministero medesimo non hanno ancora presentato alcun progetto di adeguamento funzionale della stessa;
          sussiste il rischio che la riapertura della biblioteca universitaria pisana sia procrastinata nel tempo  –:
          come e in che tempi il Ministro intenda procedere, per quanto di competenza e nel rispetto degli impegni assunti, per dare avvio ai lavori necessari al ripristino della biblioteca universitaria di Pisa.
(4-13845)

      Risposta.— L'interrogante, dopo aver ricordato che la Biblioteca universitaria di Pisa è chiusa dal maggio del 2012 a seguito del terremoto in Emilia, che durante i susseguenti lavori una perdita d'acqua ha danneggiato preziosi volumi e che sono emerse preoccupazioni circa la sua riapertura nella storica sede della Sapienza, chiede come e in che tempi il Ministero intenda procedere per dare avvio ai lavori necessari al ripristino della biblioteca stessa.
      Al riguardo è opportuno ripercorrere la cronologia degli interventi finora effettuati e in corso, premettendo che sia il segretariato generale che la direzione generale biblioteche e istituti culturali di questo Ministero hanno operato con la massima sollecitudine per individuare i percorsi più rapidi onde risolvere il serio problema della sede della Biblioteca, sia attraverso l'impegno diretto delle rispettive strutture che a livello personale, in stretto collegamento con l'università. È ben noto infatti che il palazzo della Sapienza ospita tanto la biblioteca quanto l'ateneo.
      La partecipazione di qualificati tecnici del Ministero, in particolare del segretariato generale, agli studi preliminari e alla stesura del progetto complessivo del palazzo della Sapienza ha contribuito in misura non irrilevante a trovare le migliori soluzioni tecniche ed organizzative per il complesso intervento.
      Va ricordato che, in conseguenza della ordinanza del sindaco di Pisa n.  56 del 29 maggio 2012 e della ordinanza della Direzione protezione civile del 4 marzo 2014, l'intero palazzo della Sapienza, ove ha sede la biblioteca, è stato sottratto alla pubblica fruizione per problemi statici.
      Da subito questa amministrazione si è attivata per assicurare il servizio al pubblico della biblioteca:
          1. è stato costituito un gruppo di lavoro composto da tecnici delle istituzioni statali interessate per verificare i problemi strutturali del palazzo della Sapienza;
          2. in tale contesto, in relazione alla biblioteca universitaria, è stata accertata la necessità di alleggerire i solai del 30 per cento (operazione conclusa);
          3. al fine di trasferire la parte del patrimonio librario necessaria ad alleggerire i carichi del palazzo della Sapienza, a seguito della ricerca di locali idonei ad accogliere i volumi, si è infine acquisita la sede demaniale dell'ex convento di San Matteo, i cui necessari lavori di adeguamento sono stati ritardati da imprevisti tanto gravi quanto imponderabili: presenza di amianto e inadeguatezza dei solai;
          4. grazie all'impegno finanziario profuso, nel corso del 2013 è stata possibile l'apertura di un punto di servizio in locali messi a disposizione dall'azienda regionale per il diritto allo studio universitario della Regione Toscana (locali posti al piano terra della residenza universitaria «Nettuno», destinati a servizio temporaneo di consultazione e prestito);
          5.    con decreto ministeriale 24 gennaio 2014, è stata istituita una commissione che ha elaborato uno studio, sulle problematiche connesse alla riapertura della Biblioteca universitaria di Pisa nel palazzo della Sapienza e all'apertura della succursale nell'ex convento di San Matteo;
          6.    dal mese di dicembre 2014, è stata aperta la sede distaccata della Biblioteca universitaria di Pisa presso il complesso monumentale di san Matteo in Soarta, dove, dismessa la sede temporanea della residenza universitaria «Nettuno», vengono consultate tanto le opere ivi collocate quanto quelle rimaste presso il palazzo della Sapienza;
          7. preliminarmente si è lavorato alla progettazione impiantistica e successivamente ai lavori di adeguamento funzionale, non particolarmente complessi, benché onerosi, necessari per il ripristino della funzionalità della sede della Biblioteca.

      Si specifica che i lavori dell'intero palazzo, fatta esclusione per la biblioteca universitaria, sono stati avviati autonomamente dall'università degli studi di Pisa grazie a finanziamenti propri a cui questa amministrazione ha contribuito, visto il carattere monumentale del palazzo e la trasversalità dell'intervento, con un finanziamento (euro 1.700.000,00 su un quadro economico complessivo d euro 13.660.000,00) amministrato dal Segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali per la Toscana e che ha costituito oggetto di una specifica convenzione con l'università.
      Per quanto riguarda i lavori all'interno della biblioteca, oltre ai finanziamenti già stanziati (euro 1.851.000,00), è stato previsto un ulteriore importo di euro 1.100.000, a valere sulla programmazione di cui al comma 338, articolo 1, della legge n.  208 del 2015 (legge di stabilità 2016).
      Pertanto, il finanziamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Biblioteca universitaria di Pisa nel complesso della Sapienza è il seguente:
          a. euro 1.700.000 già trasferiti al Segretariato regionale della Toscana e utilizzati dall'università a seguito di apposito accordo per lavori di consolidamento generali;
          b.    euro 1.851.000 ex comma 9 e 10, articolo 1 legge 190 del 2014 (di cui 1.500.000 per il 2016) per i lavori all'interno della biblioteca;
          c.    euro 1.100.000 ex comma 338, articolo 1, legge 208 del 2015, per ulteriori lavori della Biblioteca.

      L'importo complessivo è dunque di euro 4.651.000.
      Non sono stati considerati in questo calcolo i cospicui finanziamenti erogati direttamente dalla Direzione generale biblioteche per interventi urgenti sia sull'immobile che sul patrimonio librario a partire dal 2012, di cui alla tabella seguente:
          anno: 2012; capitolo 7822 pg. 11; beneficiario: direzione regionale; importo: euro 100.000,00;
          anno: 2013; capitolo 7822 pg. 11; beneficiario: direzione regionale; importo: euro 400.900,00;
          anno: 2013; capitolo 7822 pg. 11; beneficiario: biblioteca universitaria; importo: euro 100.000,00;

      L'incidente del cantiere dell'università, ricordato dell'interrogante, è avvenuto in data 8 giugno 2016: la rottura di una tubazione provvisoria di cantiere, di pertinenza dei locali soprastanti, ha danneggiato circa 1.500 volumi conservati nella scaffalatura alloggiata in una sala della biblioteca, al primo piano del palazzo della Sapienza.
      Il personale della Biblioteca, coordinato dalla direttrice, ha spostato subito i libri dagli scaffali e ha provveduto ad interfoliarli, attivando tutte le procedure di salvaguardia del materiale librario, trasferendone al Laboratorio di restauro della Biblioteca nazionale di Firenze circa 1.100 volumi, maggiormente danneggiati.
      Questo ministero si è dunque attivato con tempestività coinvolgendo la struttura in cui sono presenti i massimi esperti in conservazione del patrimonio librario, ossia l'istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, che ha redatto accurate relazioni tecniche e indicato le misure da adottare, coordinandone altresì l'esecuzione. In disparte la procedura che il ministero attiverà per chiedere ai responsabili l'eventuale risarcimento del danno arrecato.
      Proprio a seguito di tale incidente e nella necessità di allineare temporalmente gli interventi, nell'ambito della più leale collaborazione tra istituzioni, il segretariato generale di questo Ministero, con nota del 27 giugno 2016, ha ritenuto opportuno coinvolgere l'università di Pisa nell'attuazione dell'intervento, oltre che al sopra ricordato punto A, anche al punto B, così da consentire all'università, proprietaria dell'immobile, la conduzione diretta dei lavori di adeguamento funzionale della biblioteca. Questa soluzione consente, infatti, di conseguire maggiore efficienza ed economicità dell'intervento, tenuto conto della complementarità dei lavori progettati per la biblioteca rispetto a quelli già in atto presso l'università, nonché del fatto che, benché gli interventi strutturali previsti siano minimali, le esigenze statiche dell'edificio sono necessariamente coerenti e unitarie e, inoltre, i lavori di impiantistica dell'università e della biblioteca devono essere compatibili fra loro.
      Si è ritenuto necessario intervenire con un approccio integrato con l'obiettivo di realizzare, al termine di tutti i lavori, una biblioteca all'altezza dell'istituzione, a fronte di una situazione preesistente che, indipendentemente dai danni strutturali segnalati, presentava standard di servizio estremamente carenti.
      Peraltro, proprio il recente incidente di cantiere occorso nell'ambito dei lavori effettuati nell'interesse diretto dell'università ha dimostrato l'inscindibilità degli interventi per azzerare il rischio di interferenze.
      Non sembra pertanto possibile inferire da tale ultima disposizione una valutazione negativa dell'operato dell'amministrazione, che al contrario si è adoperata e si adopera per perseguire le soluzioni più efficaci e razionali.
      I tecnici di fiducia di questa amministrazione hanno già più volte avuto modo di confrontarsi con i tecnici dell'università, per risolvere tutti gli aspetti progettuali che possano confliggere con il progetto generale di messa in sicurezza del palazzo della Sapienza.
      Il segretariato generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, conseguentemente, ha disposto che venga sottoscritto un atto aggiuntivo al già ricordato Protocollo per le modalità di erogazione del contributo ai lavori del palazzo «La Sapienza» siglato nei mesi scorsi.
      Contemporaneamente, la direzione generale biblioteche sta valutando, in relazione agli interventi da realizzare, la possibilità che temporaneamente, per la durata dei lavori, l'intero patrimonio librario conservato presso il palazzo della Sapienza sia trasferito in locali idonei a consentirne tanto la conservazione in sicurezza quanto la pubblica fruizione, due obiettivi che rappresentano primario compito istituzionale di questo Ministero.
      In conclusione, il Ministero ribadisce il suo impegno ad operare, in stretto coordinamento con l'università e le istituzioni locali, per conseguire – insieme alla tutela del prezioso patrimonio librario della biblioteca e alla continuità della sua fruizione – l'obiettivo del pieno ripristino del palazzo della Sapienza e la riapertura della biblioteca nella sua sede storica.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


      CIPRINI, GALLINELLA e TERZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la nota trasmissione televisiva di inchiesta «Report» condotta da Milena Gabanelli, ha raccolto la testimonianza di un operaio che avrebbe lavorato al maxi cantiere della Quadrilatero che sta realizzando l'opera Foligno-Civitanova che dovrebbe essere ultimata a breve;
          l'intervista raccolta da Giovanna Boursier avanza dubbi sulla sicurezza dell'opera: «Questa è la volta della galleria – dice l'operaio mentre in video lo si vede disegnare una sezione della galleria La Franca – in questi due punti che devono tenere lo sforzo, qua cemento non ce n’è. Ce ne sono 10 centimetri quando dovrebbe essercene 40 o 50. Non c’è spessore, può cascare. Essendo zona sismica poi, trema, si rompe e chi passa sotto...» (Giornale dell'Umbria dell'11 aprile 2015);
          l'operaio pone dei dubbi sui materiali e l'insufficienza del cemento utilizzato per realizzare l'opera;
          il presidente dell'Anas Pietro Ciucci avrebbe già annunciato una indagine replicando sulla sicurezza della galleria;
          gravi e preoccupanti rimangono le dichiarazioni rese alla trasmissione televisiva Report  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in ordine ai fatti esposti;
          se sia intenzione del Ministro aprire una formale indagine tecnica e amministrativa ovvero avviare una ispezione in ordine alla realizzazione dei lavori della galleria La Franca del maxilotto 1 della Quadrilatero della Foligno-Civitanova, al fine verificare la conformità dell'opera e dei materiali utilizzati ai migliori standard di qualità, quantità e sicurezza previsti dalla legge e dalla tecnica delle costruzioni. (4-08786)

      Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      In relazione a quanto segnalato dagli interroganti, ANAS, ha precisato che il progetto viario quadrilatero Marche-Umbria si sviluppa su una serie di interventi stradali idonei a migliorare ed incrementare l'accessibilità alle aree interne delle regioni interessate. Il progetto fu approvato dal CIPE, con delibera n.  13 del 2004, ed è suddiviso in due maxi lotti, relativi alla strada statale 77, direttrice Foligno-Civitanova Marche (maxi lotto 1), e alle strade statali 318 e 76, direttrice Perugia-Ancona e Pedemontana delle Marche (maxi lotto 2).
      I lavori di potenziamento della strada statale 77, Val di Chienti, tratto Foligno-Colle Sentino, completamento quattro corsie, ricompresi nell'ambito del maxi lotto 1, sono stati affidati con gara ad evidenza pubblica all'associazione temporanea di imprese costituita Strabag Ag, CMC e Grandi Lavori Fincosit, che hanno costituito, in regime di contraente generale, la società di progetto «Val di Chienti», Società cooperativa per azioni.
      Per quanto riguarda le varie vicissitudini che hanno caratterizzato la realizzazione dell'opera, sempre ANAS ha riferito che, a seguito delle verifiche disposte sulle gallerie realizzate dalla Quadrilatero Marche-Umbria, è stata confermata la presenza di vuoti e di sottospessori del rivestimento delle gallerie medesime, già evidenziati dalle precedenti campagne di indagine effettuate dal contraente generale.
      Da dette indagini è stato, altresì, accertato che non esistono rischi di natura statica delle gallerie in argomento. A valle delle puntuali analisi e verifiche disposte dall'ANAS e dalla società Quadrilatero Marche-Umbria sulle tipologie di intervento proposte dal progettista per ripristinare le performance di progetto delle gallerie in termini di resistenza e di durabilità, sono state avviate da parte del contraente generale le operazioni di risanamento delle parti non conformi. Infatti, sono in via di completamento gli interventi di intasamento dei vuoti, mentre sono in corso di esecuzione gli interventi sui limitati casi di sottospessori significativi.
      Infine, ANAS ha fatto presente che il ripristino delle citate non conformità sono interamente a carico del contraente generale.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Graziano Delrio.


      CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          un vero e proprio disastro ambientale, in sei giorni, ha messo in ginocchio l'intera provincia di Benevento in Campania;
          in particolare, nella notte tra il 14 e 15 ottobre 2015 l'esondazione del fiume Calore in diverse località della provincia ha procurato 3 morti e danni nell'ordine delle centinaia di milioni di euro;
          non solo vi sono paesi isolati, strade distrutte, ponti crollati, ma intere aziende a rischio di chiusura; l'agricoltura è in ginocchio e c’è il rischio che molti danni siano perenni;
          i centri più colpiti, oltre le zone di Benevento più vicine agli argini del fiume Calore (ad esempio, l'area cosiddetta Pantano e l'area ASI di Benevento) sarebbero i comuni di Solopaca, Telese e Amorosi, dove il corso d'acqua confluisce nel fiume Volturno, i comuni di Torrecuso, Ponte, Paupisi ma anche l'alto Sannio, con Castelpagano, Baselice, Cerreto Sannita, Colle Sannita e Fragneto Monforte;
          secondo l'allarme lanciato dalla Coldiretti in Campania, al danno già arrecato dalla furia dell'acqua, si aggiunge il rischio di far saltare le semine su migliaia di ettari pregiudicando anche le produzioni del prossimo anno, soprattutto in provincia di Benevento;
          il presidente di Confindustria Benevento, Biagio Mataluni, in un intervento su Radio 24 ha rivelato che sono settanta le aziende sannite attualmente ferme, 500 i milioni di euro di danni calcolati per il solo comparto industriale e 500 le richieste di cassa integrazione per altrettanti lavoratori;
          al di là dei fondi che saranno stanziati dal Governo per la messa in sicurezza con il doveroso riconoscimento dello stato di emergenza, forti dubbi rimangono sulle responsabilità dirette di quanti avrebbero dovuto porre in essere tutte quelle misure urbanistiche e idrauliche necessarie ad arginare o quantomeno mitigare la furia dell'acqua;
          il Sannio, infatti, sarebbe stato messo in ginocchio da una pioggia sì torrenziale ma che, secondo molti, rientra nella normalità del ciclo stagionale e, pertanto, bisognerebbe interrogarsi su quanto sia stato fatto per evitare l'esondazione del Calore e dei suoi piccoli affluenti: dalla costruzione di ponti secondo criteri adeguati ad un'adeguata e costante pulizia d'alveo e subalveo, con rimozione della vegetazione infestante fino alla diffusa pratica di discariche illegali a cielo aperto, come il monte che sovrasta il comune di Paupisi, diventato un vero e proprio sversatoio clandestino;
          a conferma di ciò, la procura della Repubblica ha aperto un fascicolo per cercare tra tecnici e amministratori locali responsabilità, inadempienze, condotte colpose e l'ipotesi sarebbe quella di reato di inondazione colposa;
          tra la documentazione acquisita dalla procura sannita circa la gestione dell'emergenza maltempo ci sarebbe anche quella relativa alla diga di Campolattaro (Benevento) che, secondo le prime indiscrezioni, non sarebbe stata fatta funzionare in maniera regolare;
          tutta la situazione sembra riassumersi perfettamente nelle parole di don Raffaele Pettenuzzo, il parroco di Paupisi, uno dei comuni maggiormente colpiti dall'alluvione, quando dice: «Oggi si pensa alla spending review, al risparmio. Non alla vita delle persone»  –:
          quali urgenti iniziative ritengano opportuno adottare per accertare, per quanto di competenza, le responsabilità degli organi dello Stato che avrebbero potuto e dovuto prevedere e contenere il disastro ambientale che ha messo in ginocchio l'intera provincia di Benevento;
          quali urgenti iniziative ritengano opportuno adottare per sostenere economicamente il beneventano e garantire il ripristino delle infrastrutture danneggiate, nonché per mettere in atto quegli interventi idrogeologici e urbanistici che non sono stati operati nel passato. (4-10905)

      Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in ESAME, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
      In via preliminare, si fa presente che, al fine di arginare le criticità legate al dissesto idrogeologico, tenuto conto anche della naturale fragilità del territorio italiano, a partire dal 2014 l'azione del Governo è stata finalizzata ad affrontare in modo più efficace sia la programmazione che l'attuazione degli interventi.
      A tale scopo, con il cosiddetto «sblocca Italia», sono state definite nuove regole per la programmazione, in coerenza con un quadro effettivo del rischio e garantendo criteri di trasparenza nella selezione degli interventi.
      L'attività del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in termini di prevenzione al dissesto idrogeologico, è iniziata su scala nazionale dai primi mesi del 2010, con la sottoscrizione con le regioni interessate degli accordi di programma che individuano e finanziano interventi urgenti per la messa in sicurezza della popolazione e del territorio. L'attività ha coinvolto anche le autorità di bacino ed il dipartimento della protezione civile.
      Il valore complessivo degli accordi sottoscritti, considerate le risorse FAS statali destinate dalla legge finanziaria 2010, quelle di bilancio messe a disposizione dal Ministero e le risorse regionali, è pari a circa 2.117 milioni di euro per oltre 1600 interventi finanziati. Le risorse che afferiscono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono circa 833 milioni di euro mentre quelle di competenza regionale ammontano a circa 1.284 milioni di euro. Peraltro, con specifico riferimento alla regione Campania, il Ministero ha sottoscritto con la stessa un accordo per 97 interventi.
      Attualmente, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in coordinamento con la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, sta procedendo alla predisposizione della nuova programmazione degli interventi. In particolare, Ministero e struttura di missione stanno lavorando con le regioni e le province autonome alla definizione del piano nazionale di prevenzione e di contrasto al dissesto per gli anni 2015-2023, definito dalle proposte presentate dalle Regioni attraverso l'utilizzo del sistema ReNDiS (repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo).
      Peraltro, nel corso del 2015, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, è stato individuato, nell'ambito del suddetto piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione definito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015.
      Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, che definisce le procedure, le modalità ed i criteri per il finanziamento degli interventi in modo da garantire, ai sensi della legge 241 del 1990, la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo, rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
      Il citato piano stralcio è costituito da una sezione attuativa e già finanziata (33 interventi per 654 milioni di euro) e da una sezione programmatica (99 interventi per 650 milioni di euro) destinata a futuro finanziamento.
      Il piano nazionale potrà essere finanziato attraverso le risorse di bilancio ordinarie e le risorse della politica di coesione nazionale ed europea. Per quanto riguarda le risorse ordinarie, è stata prevista l'assegnazione di 150 milioni di euro nell'anno 2016, 50 milioni di euro nell'anno 2017, 150 milioni di euro nell'anno 2018. Si segnala altresì che, per integrare tali risorse, si sta lavorando con gli enti di credito europei per valutare la richiesta di un mutuo finalizzato al finanziamento di una parte del Piano nazionale.
      La definizione del piano nazionale – ed il conseguente finanziamento degli interventi – si realizzerà, poi, anche per la Campania (come per le altre Regioni del Sud Italia) attraverso la sottoscrizione dei «Patti per il Sud». Il Patto sottoscritto tra la Regione Campania e il Governo prevede un importo pari a 150 milioni di euro da destinare a tali tipologie di interventi. In termini generali, allo stato risulta che regione Campania abbia fatto richiesta, con inserimento nel sistema telematico ReNDiS, di finanziamenti per 1.267 interventi — per un importo complessivo richiesto pari a circa 4.800 milioni di euro.
      Per quanto concerne le risorse della coesione europea, si segnalano inoltre diversi interventi per la medesima finalità, finanziati con i Programmi operativi regionali (POR), per un ammontare complessivo pari a circa 1,2 miliardi di euro.
      In relazione alle iniziative correlate all'attività di prevenzione del dissesto idrogeologico in Campania, si segnala, in primo luogo, che nella sezione programmatica del Piano stralcio citato sono già stati individuati otto interventi che interessano il territorio della Regione, per un importo totale richiesto di 42.674.703,81 euro.
      Si segnala, inoltre, che il cosiddetto collegato ambientale, per favorire la predisposizione del piano nazionale, ha istituito un fondo di 100 milioni di euro (assegnati dalla delibera CIPE n.  32/2015) per la progettazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, che sarà disciplinato con un decreto in corso di sottoscrizione.
      Con riferimento al finanziamento POR Campania FESR 2007/2013, si rappresenta che, secondo quanto riferito dalla competente Regione, come noto, con delibera n.  146 del 27 maggio 2013, la giunta regionale ha assegnato la somma totale di euro 15.000.000,00, nonché stabilito i criteri e gli indirizzi in base ai quali individuare le priorità, per garantire il necessario supporto finanziario alle province ed ai comuni, finalizzato alla predisposizione, applicazione e diffusione dei piani di protezione civile. Ad oggi, tenuto conto della procedura avviata dalla predetta regione, si evidenzia che circa 310 beneficiari hanno correttamente inviato la documentazione richiesta e sono stati redatti i relativi provvedimenti di liquidazione entro il 31 dicembre 2015, per un importo complessivo di 7.007.064,27 euro, di cui 6.652.339,82 euro pagati agli enti beneficiari entro il termine ultimo di ammissibilità della spesa e 354.724,45 euro (inesitati) non pagati agli Enti Beneficiari per ravvisata impossibilità di rispettare il termine ultimo di ammissibilità delle spese. Si segnala, altresì, che i competenti uffici stanno procedendo ad ulteriori verifiche. Tutte le operazioni di verifica e rendicontazione dovranno concludersi in tempo utile a che la regione Campania possa presentare i propri documenti di chiusura del programma entro il 31 marzo 2017.
      Si rappresenta, inoltre, per completezza di informazione, che la giunta regionale, con deliberazione n.  215 del 2016 ha, tra l'altro, programmato la copertura finanziaria degli interventi finanziati con il POR FESR 2007/2013, non conclusi entro il termine del 31 dicembre 2015, da completare anche ai sensi dell'articolo 1, comma 804 della legge di stabilità 2016,    a valere sulle risorse del piano di azione coesione 2007/2013 e/o del fondo di sviluppo e coesione e/o del POR Campania FESR 2014/2020 e/o programma operativo complementare 2014/2020.
      Con specifico riferimento alle richieste di intervento avanzate e validate dalla regione Campania fino all'8 giugno 2016, in relazione al piano nazionale 2015-2023, ed in particolare per quanto riguarda la provincia di Benevento, si precisa che per la stessa è stato previsto lo stanziamento di euro 635.269.839,07, a fronte della somma di euro 633.169.839,07 richiesta.
      In ogni caso, occorre ricordare che, ai fini di una più efficiente ed efficace attività di prevenzione del dissesto idrogeologico, è indispensabile la collaborazione delle regioni e delle istituzioni locali che hanno il compito, dove necessario, di modificare, integrare ed aggiornare la normativa a livello locale, con l'obiettivo di muoversi innanzitutto sulle regole del corretto uso del territorio.
      Da ultimo, si segnala che, nell'ambito della promozione e realizzazione di attività finalizzate alla prevenzione dei rischi, ed in particolare del rischio alluvione, il dipartimento della protezione civile sta portando avanti da 3 anni, su tutto il territorio nazionale, la campagna di comunicazione denominata «Io non rischio Alluvione», con l'obiettivo di informare e sensibilizzare i cittadini. Tale campagna è promossa e realizzata dal dipartimento con la collaborazione di alcuni centri di competenza scientifici e delle regioni e province autonome. L'iniziativa si inserisce nella più ampia campagna di comunicazione nazionale «Io non rischio», nata nel 2011 per sensibilizzare la popolazione sul rischio sismico e successivamente estesa nel 2013 anche al rischio maremoto.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      COLONNESE, FICO, SIBILIA, SILVIA GIORDANO, TOFALO, MICILLO e LUIGI GALLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il parco di Capodimonte, già Real parco di Capodimonte, è un parco cittadino di Napoli, ubicato nella zona di Capodimonte, antistante l'omonima reggia. Il parco di Capodimonte ha un'estensione di 134 ettari protetto in parte da una cinta muraria realizzata negli anni ’20 del XIX secolo, con circa 400 entità vegetali classificabili in 108 famiglie e 274 generi ed è senz'altro lo spazio verde più grande dell'intera città di Napoli, unico polmone verde. All'interno del suo perimetro si contano sedici architetture tra residenze, casini, fabbriche artigiane, depositi e chiese, oltre a fontane e statue, dispositivi per la caccia, orti e frutteti ed un cimitero, quello dei Cappuccini dell'Eremo. La storia del Parco con la Reggia inizia con l'ascesa al trono di Carlo di Borbone, il 10 maggio 1734 e con il suo ambizioso programma di un sistema di possedimenti direttamente amministrati dalla Corona denominati «siti reali». Capodimonte, alto e ventilato, dominante l'intero golfo e visibile da gran parte della città fu ritenuto luogo idoneo ad accogliere la residenza reale. I lavori di perimetrazione della tenuta di caccia risultarono già ultimati nel 1736. L'accesso avveniva dalla Porta di Mezzo che conduceva al grande emiciclo dal quale prendeva avvio il ventaglio dei viali. La tradizione storiografica ha sempre assegnato a Ferdinando San Felice e Domenico Antonio Vaccaro il disegno di questo scenografico impianto, ma ipotesi più recenti lo attribuiscono al romano Antonio Canevari. Scenografie naturalistiche, statue, fontane insieme a giardini murati non potevano mancare in un bosco reale dove però la zonizzazione vegetale era funzionale alle tipologie di caccia praticate dal re, per cui a zone densamente arboree con lecci, castagni, carpini ed olmi seguivano zone arbustate con il mirto, l'olivella ed il lauro regio, oltre a radure e ragnaie. Tra il 1836 ed il 1837 vengono eseguiti dei lavori di riqualificazioni sotto la guida del botanico Friedrich Dehnhardt: questi introduce il classico giardino all'inglese, in particolare nelle aiuole che circondano la reggia, e pone a dimora essenze arboree, alcune delle quali rare ed esotiche, come la Thuja e l'eucalipto;
          nel parco si contano oltre quattrocento varietà di alberi secolari come querce, lecci, olmi, tigli e castagni: accanto a queste, in passato, erano presenti coltivazioni di alberi da frutta, in particolar modo agrumi; inoltre, quando la zona era adibita a riserva di caccia reale, si incontravano tortore, beccafichi, tordi, fagiani di importazione boema, lepri, conigli e cervi;
          il parco di Capodimonte nel 2014 è risultato vincitore della XII edizione del concorso che premia «il Parco più bello d'Italia». In seguito alla procedura di selezione internazionale per i direttori dei 20 principali musei italiani prevista dalla «riforma Franceschini», allo storico dell'arte francese Sylvain Bellenger è stata affidata la direzione del museo con annesso parco e del Bosco di Capodimonte;
          in seguito a segnalazione degli abitanti della zona, gli interroganti sono venuti a conoscenza che nel sito di Capodimonte era in atto il taglio di molti alberi. La prima firmataria del presente atto si è subito attivata chiedendo informazioni alla segreteria del direttore: ha risposto il direttore amministrativo del museo di Capodimonte, che alla precisa e puntuale richiesta di informazioni riguardo a tagli, comunicava che gli interventi in essere si erano resi opportuni in seguito ad una tempesta che si era abbattuta sulla città nella notte tra il 28 e 29 febbraio. L'intervento, secondo quanto riferito, sarebbe stato «diffuso» e avrebbe interessato solo le piante malate e/o danneggiate dal maltempo garantendo la messa in sicurezza e permettendo la riapertura del sito che per l'occasione era stato chiuso dal 29 febbraio al 7 marzo 2016. All'uopo e dietro richiesta di documentazione, il direttore trasmetteva copia della nota trasmessa alla prefettura dove il museo comunicava la riapertura del sito in seguito all'avvenuta messa in sicurezza degli alberi ed eliminazione del pericolo, con l'elencazione degli interventi eseguiti:
              rimozione di alberi divelti o parti di essi (rami e ramuli) che ostruivano il passaggio;
              rimozione di rami pericolanti rimasti in quota;
              abbattimento di alberi in prossimità dei viali che presentavano fonti di rischio per i fruitori del parco (sollevamento della zolla radicale);
              potatura e alleggerimento della chioma e rimonda del secco;
          da fonti di stampa gli interroganti venivano invece a conoscenza che gli interventi effettuati sono stati ben diversi: si sarebbe effettuata una «capitozzatura» degli alberi lungo i crinali della zona retrostante il corpo di fabbrica del Museo che affaccia direttamente su Via Ponti Rossi;
          la «capitozzatura» è una tecnica di potatura che consiste nel taglio dei rami sopra il punto di intersezione con il tronco o altro ramo principale, in modo che rimanga solo quest'ultimo o una parte della chioma, dopo una rimozione molto drastica, dal 50 al 100 per cento. È pratica arboricola molto criticata e deprecata perché dannosa agli alberi, anche quando praticata su piante ornamentali. Con l'eliminazione della chioma, l'albero attiva le gemme latenti sottostanti, che determinano la crescita di nuovi germogli attorno al taglio. Soprattutto nelle piante ad alto fusto, questo richiede un enorme sforzo produttivo, oltre ad alterare la forma naturale dell'albero e la sua estetica, può creare futuri problemi alla stabilità della pianta con eventuali rischi di rotture, e indurre un probabile aumento dei costi a medio e lungo termine delle opere di arboricoltura;
          lo scenario che si è presentato ai fruitori del sito in questi giorni è stato davvero impressionante: una distesa di alberi falcidiati e monchi, una potatura così invasiva effettuata a quanto pare, solo per aprire uno spiraglio di panorama sulla città. Alle proteste dei cittadini e delle associazioni, tra cui Legambiente, il direttore Bellenger ha risposto in un'intervista che sono stati tagliati 100 alberi e che non ci sarebbe assolutamente l'intenzione di ripiantare gli alberi tagliati: «il parco è di nuovo bello»;
          naturalmente il concetto del «bello» è quanto mai opinabile: oltre la bruttezza della distesa di tronchi disadorni, c’è anche da mettere in conto la riduzione di uno dei polmoni di verde della città. Intervenire in tal modo significa amputare una riserva d'ossigeno immersa in una metropoli ad alto tasso di inquinamento. Al di là dell'impatto visivo, la scelta non è comunque piaciuta a molti napoletani;
          la legge 11 giugno 1922, n.  778 (legge Croce), introdusse il concetto che sarà caposaldo della successiva evoluzione della tutela: l'equiparazione tra bene artistico (divenuto poi bene culturale) e le bellezze naturali (oggi beni ambientali). Il 29 giugno 1939 con la legge n.  1497 fu promulgata la prima fondamentale norma «paesistica», di «protezione delle bellezze naturali», con la quale si sancì definitivamente l'equiparazione tra le bellezze naturali ed il patrimonio storico-artistico;
          la legge 8 agosto 1985, n.  431, che istituì il vincolo di tutela su tutto il territorio nazionale avente particolari caratteristiche naturali e dispose inoltre «la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriale» per la gestione e valorizzazione degli ambiti tutelati ai sensi della legge n.  1497 del 1939;
          le categorie di beni che la legge n.  431 del 1985 (articolo 1) sottoponeva a tutela (oggi tutelati dall'articolo 142 del decreto legislativo n.  42 del 2004) sono tra gli altri i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi e i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2 commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n.  122;
          il codice dei beni culturali, nella parte terza, definisce il paesaggio come «parte omogenea del territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana e dalle reciproche interrelazioni» (articolo 131) e sottolinea il ruolo imprescindibile della cooperazione tra le amministrazioni pubbliche al fine di pervenire ad «una definizione congiunta degli indirizzi e criteri riguardanti le attività di tutela, pianificazione; recupero, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio e di gestione dei relativi interventi» (articolo 132)  –:
          se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
          quale sia il motivo oggettivo per cui si sia effettuato l'intervento sul crinale del terrazzamento della cosiddetta «Spianata» descritto in premessa e quali specie arboree abbia interessato, a quale ditta sia stato commissionato e secondo quale criterio;
          se non ritengano che l'intervento effettuato contrasti con quanto riferito dalla segreteria del museo e con quanto comunicato alla prefettura, essendo stato secondo gli interroganti un intervento massivo e non diffuso come dichiarato nella nota di comunicazione alla prefettura e secondo quale studio agronomico si sia optato per tale intervento;
          se non ritengano di intervenire, per quanto di competenza, anche con iniziative normative, al fine di evitare che un unico soggetto, sia esso anche competente in virtù di un incarico istituzionale, possa decidere di intervenire in maniera tanto incisiva sul patrimonio naturalistico equiparato dalla legge n.  1497 del 1939 a patrimonio storico artistico;
          se non ritengano che intervenire in tal modo abbia significato amputare una riserva d'ossigeno di una metropoli ad alto tasso di inquinamento. (4-12685)

      Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame, l'onorevole interrogante riferisce di aver ricevuto una segnalazione di cittadini secondo la quale nel sito di Capodimonte era in corso il taglio di molti alberi. Interpellati dall'interrogante, gli uffici del museo di Capodimonte hanno precisato che si trattava di interventi su piante malate o danneggiate dalla tempesta abbattutasi sulla città di Napoli, nella notte tra il 28 e il 29 febbraio, effettuati per consentire la riapertura del parco al pubblico in condizioni di sicurezza. Da fonti di stampa l'interrogante veniva a sapere, invece, che era stato effettuato un intervento ben diverso, consistente in una «capitozzatura» degli alberi posti lungo i crinali della zona retrostante il corpo di fabbrica del museo affacciato direttamente su via Ponti Rossi, il quale avrebbe provocato proteste di cittadini e associazioni, in quanto invasivo ed effettuato al solo scopo di aprire un panorama sulla città.
      Pertanto, l'interrogante chiede di conoscere il motivo e le modalità dei lavori effettuati sul crinale del terrazzamento; e, inoltre, se non si ritenga che via sia contrasto con quanto riferito dagli uffici del museo e secondo quale studio agronomico si sia optato per tale intervento; se non si ritenga di operare, per quanto di competenza, anche con iniziative normative, al fine di evitare che un unico soggetto, sia esso anche competente in virtù di un incarico istituzionale, possa decidere di intervenire in maniera tanto incisiva sul patrimonio naturalistico equiparato dalla legge n.  1497 del 1939 a patrimonio storico artistico; se non si ritenga che «intervenire in tal modo abbia significato amputare una riserva d'ossigeno di una metropoli ad alto tasso di inquinamento».
      In merito ai quesiti posti dall'interrogante, la direzione del museo e del parco di Capodimonte ha inviato un esauriente rapporto che illustra i lavori eseguiti sulla vegetazione del parco e del quale qui si da conto.
      Nel rapporto si precisa in via preliminare che, diversamente da quanto ritenuto nell'atto ispettivo, il parco di Capodimonte è stato oggetto di due diversi e distinti interventi, rispondenti ciascuno a finalità specifiche.
      Il primo intervento è stato messo in opera a causa dell'evento meteorologico verificatosi nella notte tra il 28 e il 29 febbraio 2016.
      La direzione del Museo, a seguito degli ingenti danni causati dalla tempesta, ha reputato di dover tempestivamente intervenire e ha quindi ordinato alla ditta Euphorbia, già operante in situ e accreditata nelle White List della prefettura di Napoli di effettuare il giorno 29 febbraio un sopralluogo congiunto con la direzione lavori del museo, all'interno del parco e del bosco di Capodimonte per verificare i guasti e i danneggiamenti al patrimonio arboreo e riscontrare le situazioni ad alta pericolosità per la pubblica incolumità, al fine di predisporre, in via cautelativa, un'eventuale chiusura del bosco ed il transennamento di alcuni viali del parco.
      Al termine del sopralluogo ricognitivo è stato stilato un verbale di somma urgenza ai sensi dell'articolo 176, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n.  207 del 2010 (regolamento di attuazione del Codice degli appalti) per avviare immediatamente i lavori volti ad eliminare il pericolo per la pubblica incolumità e provvedere alla riapertura, nel minor tempo possibile, del parco e del bosco di Capodimonte, di cui il giorno stesso era stata ordinata l'immediata chiusura, previa comunicazione alla prefettura di Napoli.
      Il team tecnico della ditta Euphorbia, costituito da agronomi e architetti paesaggisti, ha eseguito un accurato accertamento e stima dei danni subiti dal patrimonio boschivo, in accordo con la direzione dei lavori, per valutare le priorità d'intervento.
      La ricognizione è stata effettuata attraverso un «esame speditivo massale» (ESM) sulle aree a minore fruibilità e un «esame speditivo puntuale» (ESP) sulle aree a maggiore fruibilità, al fine di individuare i fattori di rischio e pericolo per i visitatori e per i dipendenti.
      Nell'ambito dell'esame speditivo massale sono stati presi in considerazione determinati fattori al fine di attribuire un giudizio di stabilità del popolamento arboreo.
      Nell'ambito dell'esame speditivo puntuale sono stati presi in considerazione determinati fattori di criticità finalizzati alla presenza di sintomi macroscopicamente evidenti, riconducibili a possibile instabilità della pianta o parti di essa, senza utilizzo di strumentazioni.
      Al termine degli esami, sono stati individuati gli interventi urgenti da eseguire sul patrimonio arboreo nel suo insieme e sul singolo esemplare (abbattimento o potatura o segnalazione di ulteriori approfondimenti, senza attribuire nessuna categoria di propensione al cedimento come richiesto dalla metodologia VTA – Visual tree assessment).
      In considerazione del carattere di somma urgenza degli interventi da effettuarsi e della necessità di contenere al massimo i tempi di chiusura del parco e bosco di Capodimonte, si è optato per una metodologia di indagine più speditiva, rinviando ad una fase successiva l'adozione della metodologia VTA e soltanto per quegli esemplari arborei monumentali che non denunciassero sintomi di pericolosità imminente.
      I lavori eseguiti per eliminare lo stato di emergenza sono stati i seguenti: rimozione di alberi divelti o parti di essi (rami e ramuli) che ostruivano il passaggio; rimozioni di rami pericolanti rimasti in quota; abbattimento di alberi in prossimità dei viali che presentavano fonti di rischio per i fruitori del parco (sollevamento della zolla radicale); potatura di alleggerimento della chioma e rimonda del secco; pulizia dei viali da foglie, rami, frascame e altri residui vegetali a seguito dell'evento meteorologico avverso.
      Per i lavori effettuati nel bosco la maggiore concentrazione degli interventi ha interessato le alberature prospicienti lo Stradone della Porcellana e il viale rettilineo adiacente all'istituto Caselli, che conduce a Porta di Miano, e in particolare esemplari di Laurus nobilis alti in media 8 metri con diametro medio di 30 cm e di Quercus ilei alti in media 12-15 metri con diametro medio di 40 cm.
      Nelle aree adiacenti al museo, le attività sono consistite principalmente nella soppressione di branche pericolanti e nella rimozione del secco dalle alberature isolate o a macchia vegetanti sulle praterie e/o adiacenti ai percorsi. La pulizia dei viali ha riguardato la totalità delle aree ad alta fruibilità del parco e del bosco di Capodimonte. La quasi totalità dei lavori è stata ultimata il 7 marzo, giorno della riapertura al pubblico del parco e del bosco.
      Il parco e il bosco sono stati oggetto anche di un altro autonomo intervento, cui l'interrogazione fa riferimento quando parla di «“capitozzatura” degli alberi lungo i crinali della zona retrostante del corpo di fabbrica del Museo che affaccia direttamente su via Ponti Rossi», confondendolo, però, con i lavori prima descritti.
      Anche in questo caso si è trattato di un intervento di somma urgenza, anch'esso ai sensi dell'articolo 176, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n.  207 del 2010, il cui verbale è stato redatto l'11 gennaio 2016, e che ha riguardato la messa in sicurezza del patrimonio arboreo lungo il muro di cinta (da Porta Grande a Porta Piccola) e sulle scarpate del cosiddetto Spianato nonché delle masse arboree ai margini delle praterie e lungo i viali, nonché la garanzia e il ripristino di adeguate condizioni igienico sanitarie. Tutto ciò a garanzia della pubblica incolumità e della fruibilità del parco in sicurezza e in condizioni igienico-sanitarie idonee.
      La zona in questione rappresenta quella parte del parco intorno al Museo, il cosiddetto Spianato, maggiormente fruita dal visitatori nella quale, oltre a passeggiare, si preferisce sostare e riposare.
      I lavori come, anch'essi per la gran parte ultimati, per i quali e per le medesime motivazioni precisate è stata incaricata la ditta Euphorbia, già operante nel parco, hanno riguardato principalmente: contenimento e messa in sicurezza del patrimonio arboreo lungo il muro di cinta e le scarpate tra Porta Grande e Porta Piccola, fattore di pericolo per la sottostante sede stradale, sia in relazione allo schianto di rami pesanti e cariati, sia in relazione allo squilibrio aero/radicale riscontrabile sugli esemplari e in considerazione della forte pendenza del declivio (in questa categoria ricade anche l'intervento eseguito sulla Veduta di Napoli di cui si riferirà più diffusamente in seguito); messa in sicurezza delle masse arboree poste ai margini delle praterie e lungo i viali che richiedono un costante monitoraggio per salvaguardia della pubblica incolumità per i gravi problemi fitopatologici (carie del legno e marciumi radicali) di cui sono affetti e per l'appesantimento delle chiome, con rischio di schianti improvvisi sotto sollecitazioni dei venti; attività di monitoraggio e di riduzione del rischio di diffusione del Punteruolo rosso (come richiesto anche dalla profilassi del servizio fitosanitario della regione Campania), micidiale parassita che, da circa un decennio, falcidia il patrimonio di Aracaceoe ed in particolare di Phoenix delle zone adiacenti al museo, ampiamente depauperato, nonostante i provvedimenti adottati da anni (trattamenti fitosanitari a basso impatto, abbattimenti di esemplari morti, rimonda del secco e altro); manutenzione straordinaria (potatura di contenimento e scerbatura da specie infestanti) delle siepi miste, in particolare di quelle presso l'area di parcheggio di Porta Piccola, costituite principalmente da Pittosporum tobiria (specie introdotta verso gli anni settanta); pulizia generalizzata delle aree pavimentate e rifilettatura dei cordoli, inclusa raccolta dei rifiuti solidi urbani dai cestini, per garantire condizioni igienico-sanitarie e di salubrità al gran numero di visitatori del parco; ripristino di alcune aree prative sia per ragioni di decoro sia per evitare che possano essere colonizzate da specie infestanti con incremento di rischi allergeni; sistemazione di alcuni viali con presenza di buche, in corrispondenza delle parti pavimentate in cubetti di porfido, che potrebbero causare incidenti ai podisti e ciclisti che frequentano il parco; bonifica e sanificazione della fontana monumentale a mezzogiorno del museo, da alghe, mucillagini, residui vegetali e rifiuti solido-urbani, per ragioni di natura igienico-sanitaria.
      Chiarita la diversa natura dei due interventi, è opportuno descrivere più nel dettaglio l'intervento che, a detta dell'interrogante, avrebbe causato le proteste di cittadini, di associazioni e di Legambiente e che «avrebbe significato amputare una riserva d'ossigeno di in una metropoli ad alto tasso di inquinamento».
      L'area a mezzogiorno del Palazzo reale di Capodimonte, oggi museo nazionale, è storicamente conosciuta come la Veduta di Napoli, per l'estensione del panorama che si gode da questa posizione: la vista spazia dal Colle di S. Martino al Golfo di Napoli, fino a Punta Campanella e a Capri.
      Tale veduta, decantata da tutti i viaggiatori del Grand Tour e dalle guide d'epoca, dopo l'unità d'Italia, durante il regno dei Savoia, risulta ulteriormente enfatizzata da alcuni interventi quali: il riadattamento e sistemazione sullo Spianato della monumentale e antica fontana del Giardino Torre, che rafforza l'asse prospettico del palazzo verso mezzogiorno, la realizzazione di un piccolo belvedere con ringhiera ombreggiato da un esemplare di leccio, la piantumazione in questa parte del giardino, secondo il gusto del tempo, di specie vegetali quali varietà di palme, Cycas cinte da rose e variopinte fioriture, una bassa bordura di Viburnum lantana, verso l'affaccio panoramico.
      Ciascuno di questi episodi naturali e artificiali dialoga armonicamente senza interporsi con la Veduta di Napoli, unica ed assoluta protagonista di questa parte del parco.
      È solo a seguito dell'incuria, dell'abbandono e dell'inselvatichimento, a partire dalla Grande guerra, che affligge e depaupera il parco, che la natura prende il sopravvento e specie spontanee, ma anche infestanti, soppiantano e alterano alcuni luoghi emblematici della «Reale Delizia di Capodimonte»; usi sconsiderati e devastazioni prodotti dai campi militari degli alleati durante il secondo conflitto, dai campi profughi del dopoguerra, successivamente occupati da abusivi e dismessi solo agli inizi degli anni novanta del secolo scorso, dalle cooperative di ex-detenuti, costituiscono la storia recente del parco.
      Ovviamente, ci sono parti del parco dove valori come ecologia, biodiversità, rinaturalizzazione, attenzione ai cambiamenti climatici, contenimento delle spese manutentive, debbono necessariamente essere tenuti in grande considerazione, non potendo solo aspetti di natura storica o culturale condizionare e governare un corretto piano di manutenzione di un parco di così grande estensione quale quello di Capodimonte.
      Nessuno può o vuole ignorare che questo parco rappresenti il più grande polmone di ossigeno di una città a bassissimo indice di verde per abitante.
      Tuttavia il genius loci di quella parte del parco denominata la Veduta di Napoli deve restare il paesaggio della città, come lo era per tutti i casini e ville che punteggiavano la collina di Capodimonte, sebbene le alterazioni dei tessuto urbano possano averne in parte pregiudicato il fascino.
      Questo non solo o non tanto per una concezione estetica del paesaggio inteso come «quadro naturale», ma come manifestazione culturale, antropica, naturale che lega una comunità al suo spazio geografico.
      Già a partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, con l'avvio delle opere di riqualificazione del parco, anche la Veduta di Napoli era stata oggetto di restauro; tuttavia la scarsità di finanziamenti non ha mai consentito di intervenire in maniera risolutiva sulla scarpata che degrada a mezzogiorno e quindi non si sono eseguite, se non in minima parte, opere di ingegneria naturalistica o opere di reimpianto e di progressiva sostituzione dei Quercus ilex che, probabilmente, a partire dagli anni ’40 e spontaneamente, hanno colonizzato e preso il sopravvento su specie più idonee a carattere arbustivo che contenevano l'erosione della scarpata.
      I tagli che oggi si rilevano sulle alberature di leccio testimoniano che sono ormai molti decenni che periodicamente, ogni quinquennio, si operano drastici tagli, per recuperare la vista sul panorama della città, senza effettuare altro tipo d'intervento.
      Nell'ultimo decennio la Veduta di Napoli, a causa della mancanza di fondi, era stata nuovamente occultata dallo sviluppo patologico delle chiome delle alberature, rispetto alle quali l'unica pratica possibile è stata quella di effettuare un taglio drastico.
      La documentazione fotografica, prima e durante l'intervento, evidenzia lo stato di abbandono dei circa settanta esemplari di leccio vegetanti sulla scarpata, risultato di lavori eseguiti in passato sempre con carattere di provvisorietà e non risolutivi. In un paesaggio così fortemente antropizzato occorre una gestione integrata da parte dell'uomo affinché progredisca una vegetazione priva di elementi inquinanti che in altre situazioni potrebbero prendere il sopravvento su quella «potenziale».
      Per la riqualificazione ed il ripristino della Veduta di Napoli e per ristrutturare la vegetazione ormai abbandonata da anni, che storicamente ha caratterizzato l'area a mezzogiorno del museo e non semplicemente «per aprire uno spiraglio di panorama sulla città», è stato necessario intervenire con potature drastiche, che hanno permesso di ovviare alla caduta accidentale di branche e delle stesse piante di leccio ormai malate e invase da carie, costituenti punti deboli e cause eventuali di cedimenti strutturali, essendo prive di controlli periodici fitosanitari e fitostatici.
      Gli esemplari arborei (Quercus ilex, Ulmus minor e sporadici esemplari di Laurus nobilis) insistono su una scarpata a forte inclinazione, adiacente a una strada pubblica e trafficata (via Capodimonte); pertanto, oltre al recupero del valore storico della veduta, la modalità d'intervento è stata fortemente condizionata dal dover garantire la salvaguardia della pubblica incolumità.
      Gli alberi che vegetano sulla scarpata non sono in buono stato vegetativo, ma presentano ferite aperte mai cicatrizzate e con evidenti carie; pertanto si è preferito eseguire una potatura di risanamento sui succhioni malati, con inserzione debole e cariati, e una potatura più drastica sulle piante con problematiche strutturali e fitosanitarie gravi.
      Il taglio è stato compiuto leggermente sopra quello precedente, in modo tale da evitare di danneggiare il legno vecchio leggermente ingrossato e per ridurre il rischio di problemi fitosanitari. Tutti i tagli sono stati disinfettati con soluzioni fungistatiche e la loro inclinazione è tale da favorire la minore superficie a contatto con l'aria, per limitare l'attacco fungino.
      L'intervento di potatura è stato eseguito in un periodo tra fine inverno e inizio primavera, affinché la pianta abbia buone riserve nutritive e non ci sia rischio di stress da disidratazione.
      La potatura degli esemplari di Quercus ilex è stata effettuata prevedendo un controllo programmato da effettuarsi con piani pluriennali di ristrutturazione della chioma, selezionando i germogli ed arieggiando la chioma, nonché ipotizzando il reintegro della vegetazione esistente con nuove piante della stessa specie o preferibilmente con specie più idonee a carattere arbustivo, procedendo anche alla sostituzione degli esemplari più compromessi.
      L'intervento di valorizzazione della Veduta di Napoli, eseguito per ottemperare ad esigenze contingenti, costituisce, peraltro, il primo passo di un lavoro progressivo che ambisce nel medio-lungo termine a obiettivi di riqualificazione integrale: manutenzione e cura delle piante sane; rimozione delle piante malate e progressiva sostituzione con specie qualitativamente equivalenti o più idonee a scarpate; ripristino in corrispondenza dell'affaccio, dove è presente una staccionata in legno, della antica bordura con specie a basso grado manutentivo e con ricche fioriture stagionali; riposizionamento della staccionata esistente dietro la siepe per la messa in sicurezza della scarpata; interventi di ingegneria naturalistica con rimodellamento dei terrazzamenti; posa in opera di palizzata a secco e messa a dimora di specie arbustive autoctone e storicizzate per il consolidamento della scarpata e la riduzione dell'erosione superficiale del terreno determinata dallo scorrimento delle acque meteoriche.
      La direzione del parco, pertanto, nell'ambito dei propri poteri istituzionali, reputa di aver operato nell'assoluto rispetto della legislazione che tutela il paesaggio e le bellezze naturali, da ultimo il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, che all'articolo 132, comma 4, recita: «La tutela del paesaggio, ai fini del presente Codice, è volta a riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, recuperare i valori culturali che esso esprime. I soggetti indicati al comma 6 (Stato, regioni, altri enti pubblici territoriali nonché tutti i soggetti che, nell'esercizio di pubbliche funzioni, intervengono sul territorio nazionale) qualora intervengano sul paesaggio, assicurano la conservazione dei suoi aspetti e caratteri peculiari».
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


      CORSARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          risulterebbe di prossima chiusura, a quanto consta all'interrogante, la biglietteria della stazione internazionale di Stresa sulla linea Milano – Domodossola;
          la stazione di Stresa è l'unica in cui fermano i treni internazionali «Eurocity» sull'intera tratta e concentra, soprattutto nei mesi estivi, un intenso traffico turistico proveniente da tutte le località del Lago Maggiore;
          conseguentemente è necessario convergere su questa stazione se si intendono utilizzare le coincidenze internazionali o delle linee «Frecciarossa» ma le macchinette automatiche di emissione di biglietti (quando non sono state manomesse) emettono soltanto biglietti regionali e locali e tantomeno possono essere utilizzate per gli abbonamenti che vengono emessi solo dalla biglietteria;
          ogni giorno alcune centinaia di pendolari usano la stazione di Stresa ma anche, durante l'anno scolastico, ne fruiscono diverse centinaia di studenti della scuola alberghiera «Maggia» di Stresa, una delle più importanti scuole turistiche alberghiere d'Italia;
          risulta che l'incasso della biglietteria della stazione di Stresa sia di diverse decine di migliaia di euro al mese;
          la biglietteria è l'unico punto di informazione e di appoggio per il cambio di treni, coincidenze, emissione biglietti e altro, tenuto conto che sono già state chiuse le biglietterie di tutte le stazioni limitrofe a Stresa quali Baveno, Belgirate, Lesa e Meina;
           a motivazione della chiusura da parte di Trenitalia vi sarebbe la carenza di personale; inoltre la biglietteria della stazione di Stresa è aperta da alcuni mesi solo 3 giorni alla settimana e solo al mattino – causando notevoli danni e disagi alla clientela –. Ci si domanda però se non possano turnare con Stresa unità di personale in essere alla stazione di Domodossola;
          sarebbe necessario poter godere dei servizi di stazione soprattutto nella stagione estiva e per tutta la giornata, tutt'al più con turni ridotti nei giorni festivi  –:
          se corrisponda al vero che Trenitalia intenda chiudere la biglietteria della stazione di Stresa e in questo caso con quali motivazioni;
          se il Ministro non ritenga di dover intervenire, di concerto con l'assessore regionale alla mobilità del Piemonte, affinché questa chiusura venga scongiurata a tutela dell'utenza, ma anche della credibilità e delle entrate economiche della stessa Trenitalia. (4-12696)

      Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta, sulla base delle informazioni fornite dalla società Ferrovie dello Stato, interessata al riguardo.
      Le biglietterie regionali devono rispondere a criteri di sostenibilità commerciale, tenendo conto del valore del venduto, sommato al corrispettivo per la rete di vendita diretta versato dalla regione e dei costi complessivi. La biglietteria di Stresa presenta un rapporto costi/ricavi insufficiente e, pertanto, allo stato attuale non sussistono più le condizioni per la prosecuzione del servizio.
      Tuttavia, in considerazione della imminente stagione turistica e d'intesa con la regione Piemonte il servizio di biglietteria della stazione in questione sarà garantito per tutta la stagione estiva.
      Per l'acquisto dei biglietti ferroviari nella località di Stresa il servizio è assicurato da una emettitrice automatica presente in stazione e da 8 punti vendita esterni gestiti da terzi ma sarà possibile acquistare i titoli di viaggio anche nelle agenzie di viaggio convenzionate.
      Trenitalia ha, inoltre, evidenziato che ha in atto un ampliamento della rete di vendita che, utilizzando principalmente le nuove tecnologie informatiche, permette ai clienti di usufruire di una maggiore capillarità e disponibilità di biglietti. Difatti l'acquisto dei titoli di viaggio ferroviari è possibile anche attraverso i seguenti canali di vendita: on-line sul sito di Trenitalia, APP ProntoTreno e Samsung SmartTV.
      Infine, ferrovie dello Stato, ricorda che, grazie ai recenti accordi tra Trenitalia e Lottomatica Italia Servizi, Società rete servizi e Sisal, è possibile acquistare titoli di viaggio ferroviari su tutto il territorio nazionale anche presso le ricevitorie Lottomatica, punto Servizi e punti Sisal.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Graziano Delrio.


      COSTANTINO, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, RICCIATTI, NICCHI, DURANTI, MELILLA, PANNARALE e CARLO GALLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          durante i lavori di ricostruzione voluti dall'amministrazione di Vibo Valentia su viale Paolo Orsi, la via che conduce al cimitero cittadino, sono emersi sotto gli occhi della Soprintendenza che vigila sulla messa in opera, reperti archeologici che sembrano essere di grande valore;
          la Sovrintendenza è stata infatti coinvolta perché il suddetto viale ricade nell'area del parco archeologico urbano dove sono stati già rinvenuti i resti del tempio ionico in località Cofino, per il cui restauro sono stati finanziati 3 milioni di euro e per cui si attende la fine dei lavori;
          secondo fonti giornalistiche (Il quotidiano del Sud, 15 aprile 2016), durante i lavori che hanno interessato la carreggiata verso il cimitero sarebbero emersi ulteriori resti delle mura greche dell'antica Hipponion e, di concerto con la stessa Soprintendenza archeologica, si sta procedendo all'interramento degli stessi resti per proseguire l'asfaltatura della strada e la posa dei tubi di condotta idrica per lo scorrimento di acque bianche, probabilmente per carenza di fondi che permettano di valorizzare i resti e renderli fruibili a turisti e visitatori, rispettando così i tempi di consegna e attuazione progetto, a discapito di beni archeologici di fondamentale importanza  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come intenda verificare le responsabilità della Soprintendenza archeologica rispetto ai propri doveri di vigilanza e dunque che politiche intenda attuare per valorizzare reperti di questo valore, specie per implementare le risorse turistiche della zona. (4-13018)

      Risposta. — Nell'interrogazione in esame l'interrogante, con riferimento ai resti archeologici rinvenuti durante l'esecuzione di lavori di ricostruzione voluti dall'amministrazione di Vibo Valentia su viale Paolo Orsi, chiede quali iniziative si intenda assumere affinché siano verificate «le responsabilità della Soprintendenza archeologica rispetto ai propri doveri di vigilanza» e siano valorizzati i resti rinvenuti, «specie per implementare le risorse turistiche della zona».
      Di seguito sono riportati i fatti principali della vicenda oggetto dell'atto ispettivo cui si risponde.
      Il comune di Vibo Valentia con delibera della giunta comunale n.  231 del 21 ottobre 2008 ha approvato il progetto preliminare inerente la «Messa in sicurezza e riqualificazione strada cimitero-Croce Nivera in Vibo centro» per l'importo complessivo di euro 600.000, finanziato con un mutuo da contrarre con la Cassa depositi e prestiti, ai sensi dell'articolo 33 della legge regionale 11 maggio 2007, n.  9, Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2007, articolo 3, comma 4, della legge regionale n.  8 del 2002).
      Il comune, con nota prot. n.  13424 del 16 marzo 2012 ha trasmesso alla competente Soprintendenza per i beni archeologici della Calabria il progetto definitivo dei lavori, chiedendo sia il parere di competenza, ovvero le prescrizioni cui attenersi in fase di progettazione esecutiva, sia il nulla osta all'esecuzione delle opere di contenimento della strada che interessano un'area espropriata dal Ministero.
      La Soprintendenza, rilevato che nella progettazione inviata non era prevista né la somma da utilizzare eventualmente per lo scavo a mano né il compenso per l'archeologo, ha prescritto l'inserimento delle suddette somme nella successiva fase progettuale e l'assistenza in corso d'opera per tutti i tratti interessati da scassi o movimento terra (nota prot. n.  7775 del 7 maggio 2012).
      Successivamente il comune ha inviato il progetto esecutivo dei lavori (nota prot. n.  27772 del 6 giugno 2012).
      La Soprintendenza ha rilasciato parere favorevole al progetto esecutivo, ribadendo le prescrizioni già impartite in precedenza (prot. n.  10900 del 27 giugno 2012).
      I lavori, iniziati il 2 di febbraio 2016, hanno riguardato, in via prioritaria, la pulizia della scarpata in prossimità delle frane che hanno interessato via Paolo Orsi. Le operazioni di scavo prodromiche, eseguite con mezzo meccanico, hanno messo in luce un filare di conci di arenaria (petra mollis) con andamento semicircolare, ascrivibile, probabilmente, alla cinta muraria di età ellenistica di Hipponion, e in particolare a una torre circolare, come quelle già scoperte da Paolo Orsi. Dopo circa 30 metri di scavo lungo la scarpata in direzione est, sono emersi alcuni embrici disposti orizzontalmente, presumibilmente attribuibili ad una sepoltura sconvolta, vista la vicinanza con l'area di necropoli già nota e citata nelle premesse.
      Il funzionario di zona della Soprintendenza ha effettuato un sopralluogo, il 4 febbraio 2016, insieme al responsabile unico del procedimento (di seguito RUP), al direttore dei lavori (di seguito Dl), all'impresa esecutrice e all'archeologa incaricata dell'assistenza, per risolvere eventuali problemi e prendere le dovute decisioni in merito ai ritrovamenti.
      A seguito del sopralluogo, nella stessa giornata, nei locali dell'Ufficio tecnico comunale, il funzionario di zona ha partecipato ad una riunione per stabilire i termini dell'ordine di servizio imposto dalla direzione dei lavori all'impresa (prot. 01/2016), tramite il quale si è ordinata la messa a disposizione, per le indagini archeologiche, del personale necessario alle operazioni di scavo e pulizia delle emergenze.
      Nei giorni compresi tra il 5 e il 9 febbraio, immediatamente a nord della scarpata, lungo il tratto interessato dai suddetti rinvenimenti, a una distanza di circa 3 metri dal ciglio della strada esistente, su terreno sterile dal punto di vista archeologico perché trattasi di strato geologico, è stato autorizzato il posizionamento di gabbionate di contenimento, costituite da gabbie metalliche e riempimento in pietrame di varia pezzatura, mantenendo una dovuta distanza di rispetto dal filare di conci dell'ipotizzata torre circolare.
      Il successivo 10 febbraio, il funzionario di zona ha effettuato un altro sopralluogo presso il cantiere, durante il quale ha dato indicazioni all'archeologa incaricata dell'assistenza in merito alla tutela del filare di conci sopradescritti, con la raccomandazione di non coprire con terreno detta struttura rinvenuta, al fine di evitare successivi movimentazioni di mezzi nei pressi della stessa area che avrebbero potuto compromettere la conservazione della struttura.
      Il 17 febbraio 2016, il funzionario di zona ha organizzato un sopralluogo congiunto, insieme al Rup, al Dl, all'impresa e all'archeologa incaricata dell'assistenza, per constatare lo stato dei lavori e invitare l'impresa esecutrice alla massima collaborazione nelle operazioni di scavo, compreso l'utilizzo, ove necessario, dei mezzi meccanici, ai fini delle indagini stratigrafiche. A tal fine, il Dl, in data 18 febbraio, ha disposto un secondo ordine di servizio (prot. 02/2016) per l'utilizzo, da parte dell'impresa esecutrice dei lavori, dei mezzi meccanici per poter coadiuvare le attività di scavo archeologico.
      Dopo una sospensione, dal 25 febbraio, dovuta alle forti piogge, i lavori sono ripresi il 22 marzo. In tale data, dopo essere stato rilevato graficamente e fotograficamente, è stato prelevato l'embrice disposto orizzontalmente, descritto precedentemente e interpretato come possibile sepoltura. Nella stessa giornata è stata individuata, nella parete esposta, in prossimità di un'altra frana, quasi in corrispondenza della curva verso il cimitero e dell'ingresso all'area archeologica delle mura greche, una tomba «alla cappuccina», con laterizio piano e laterizi disposti a doppio spiovente, con all'interno terreno e ossa.
      Nei giorni seguenti, constatato che le operazioni stabilite nel sopralluogo tenutosi il 23 marzo non erano realizzabili, poiché il cordolo previsto per lo scolo delle acque sul lato meridionale della strada avrebbe potuto ulteriormente arrecare danni alle strutture murarie già presenti e visibili su questo lato, la direzione lavori e la direzione scientifica, di comune accordo e per le vie brevi, hanno accelerato l'intervento previsto in progetto esecutivo per la regimentazione delle acque, invitando la ditta a realizzare la trincea per la posa della condotta semi-interrata, da posizionare sul lato settentrionale della strada, in senso longitudinale.
      Il 5 aprile sono quindi iniziati i lavori di scavo per la posa della tubazione da 700 mm di diametro, effettuando, con l'ausilio di mezzo meccanico da 250 QL, una trincea larga metri 1,50 e profonda metri 1,80 dal piano stradale come da progetto.
      Lo scavo della trincea per il tubo delle acque bianche ha avuto inizio dal margine occidentale della strada e, per circa 46 metri verso est, non sono state individuate emergenze archeologiche, a parte sparuti frammenti ceramici e accumuli di pietrame non in connessione e, di conseguenza, tubo e pozzetti sono stati correttamente posizionati e interrati come da quota progettuale a metri –1,80.
      Il 6 aprile, a metri 46,80 dall'inizio della strada, è emerso il primo blocco squadrato di arenaria. Il mezzo meccanico è stato immediatamente fermato e si è proceduto, per due giorni, con lo scavo manuale per una lunghezza di metri 11,50. La trincea in questo tratto è stata ripulita, mettendo in evidenza le strutture murarie e gli strati terrosi a esse connessi, effettuando al contempo la documentazione grafica e fotografica. Tali emergenze affiorano a una quota di metri – 1,20 dal piano stradale.
      Durante il sopralluogo congiunto con il Rup, il Dl, l'impresa, il funzionario di zona e l'archeologa addetta alla vigilanza, svoltosi il giorno successivo, si è constatato che le strutture emerse nei giorni precedenti rappresentavano la prima vera emergenza ostativa alla realizzazione dell'opera prevista, sia in termini di ingombro che di quota per assicurare la necessaria pendenza alla tubazione. Si è decisa pertanto, di comune accordo, la prosecuzione della trincea per valutare la presenza di altre possibili strutture archeologiche, riservandosi di effettuare approfondimenti e ampliamenti d'indagine in un momento successivo.
      L'8 aprile, i lavori per lo scavo della trincea sono proseguiti verso-est per una lunghezza di metri 59,30 a una quota di metri –1,00 dal piano stradale esistente senza riscontrare strutture e stratigrafie archeologiche, fino al rinvenimento della superficie di un blocco di arenaria, ad una quota di metri –0,40 dal piano stradale. Nel frattempo, nel tratto libero da strutture archeologiche, l'impresa ha posizionato la tubazione e i relativi pozzetti.
      A seguito del sopralluogo svoltosi il successivo 11 aprile con il Rup, il Dl, l'impresa, il funzionario di zona e l'archeologa addetta all'assistenza archeologica, per cercare la risoluzione dei problemi emersi nei giorni precedenti, è stato deciso, a scopo cautelativo visti i notevoli rinvenimenti dei giorni precedenti, di cambiare mezzo meccanico (da 250 a 50 Ql) e di proseguire lo scavo della trincea, ma è stato subito rinvenuto un importante allineamento E-W di conci di arenaria, disposti quasi parallelamente alla trincea, con un orientamento divergente di alcuni gradi verso sud. Lo scavo a mezzo meccanico per la trincea è stato nuovamente sospeso e si è proceduto manualmente, mettendo in luce un interessante filare di blocchi di arenaria, a prima vista ben conservati.
      Il 13 aprile, proseguito lo scavo manualmente per circa 19 metri, si è constatato che l'allineamento di blocchi continuava con lo stesso orientamento.       Dopo aver effettuato la pulizia delle strutture per la dovuta documentazione grafica e fotografica, sentiti il decreto-legge e il Rup, è stato deciso lo spostamento dell'asse della trincea.
      All'esito del sopralluogo svoltosi il 18 aprile per stabilire una temporanea sospensione dei lavori, utile per i dovuti accertamenti circa la tutela e la conservazione delle strutture archeologiche rinvenute, nonché a seguito delle indicazioni ricevute dal direttore generale dell'Archeologia, avocante le funzioni di soprintendente Archeologia della Calabria, il funzionario archeologo di zona ha disposto, d'accordo con il Dl la sospensione temporanea dei lavori in attesa del sopralluogo del direttore generale fissato per il successivo 28 aprile.
      Nel corso di tale ultimo sopralluogo al quale, oltre al direttore generale archeologia, hanno partecipato, tra gli altri, il sindaco del comune di Vibo Valentia, il Rup il Dl e il funzionario archeologo della Soprintendenza archeologia della Calabria, è stato concordato quanto segue.
      L'autorizzazione data dalla Soprintendenza il 27 giugno 2012 (nota prot. n.  10900) è da intendersi ancora produttiva di effetti limitatamente ai lavori di posa in opera della tubazione di dimensioni maggiorate che, dal piazzale del cimitero arriva fino al punto di intersezione della strada con l'accesso all'area archeologica dove sono fruibili le mura greche, per una lunghezza di circa 110 metri e a quelli di realizzazione, sull'altro lato della strada, del marciapiede che verrà costruito senza l'effettuazione di scavi, tranne lo scotico superficiale del terreno, per una profondità non superiore a 20/25 cm.
      La stessa autorizzazione è invece da intendersi sospesa per il tratto restante, per il quale andranno effettuate le necessarie indagini archeologiche preventive, ai sensi dell'articolo 25, comma 8, lettera c del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.  50, Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, al fine di determinare nell'ordine: estensione e profondità delle gabbionate da mettere ancora in opera per il contenimento del terreno a valle dell'area di sedime della strada, in prossimità del punto in cui la stessa è franata: tracciato della tubazione che deve essere realizzata in prosecuzione del primo tratto già assentito e che dovrà essere adeguato agli eventuali rinvenimenti conseguenti alle indagini archeologiche preventive; definizione dell'attraversamento del tracciato della tubazione rispetto alla strada di che trattasi, da stabilirsi a seguito di apposite indagini.
      L'esecuzione dei lavori di riqualificazione di via Paolo Orsi, in corso nel comune di Vibo Valentia, si è svolta sotto il costante controllo degli uffici del Ministero, e in particolare della competente Soprintendenza archeologia della Calabria, che stanno operando, con il comune, per attuare le iniziative più opportune per tutelare e valorizzare i resti archeologici finora emersi e quelli che dovessero essere rinvenuti nel corso delle indagini di archeologia preventiva.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Dorina Bianchi.


      CRIVELLARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il territorio della Pianura padana è per la sua stessa natura più soggetto al rischio inquinamento dovuto alle cosiddette «polveri sottili»;
          in questa zona del Paese, come noto, si concentrano la maggior parte degli impianti industriali e produttivi oltre ad alcune tra le più grandi città italiane;
          Rovigo e la sua provincia ne risultano parte integrante, essendo poste nell'estremo lembo orientale;
          stando a quanto riportato dalle cronache locali nella seconda metà di ottobre si sono registrati nel capoluogo ben sei sforamenti dei limiti imposti dalle legge, il tutto nell'arco di soli otto giorni;
          detti sforamenti del limite massimo di emissioni tollerate si sono verificati in una finestra temporale che ha visto il Nordest del Paese interessato da una vasta perturbazione meteo, fenomeno che allarma ulteriormente atteso che in presenza di precipitazioni le polveri dovrebbero teoricamente diminuire anziché aumentare  –:
          come il Governo intenda intervenire per porre freno a una situazione ormai al di là della sostenibilità e che genera problemi e disagi alle persone che vedono a rischio sempre maggiore la propria salute anche in relazione alla possibilità dell'apertura di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia. (4-02438)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      La normativa nazionale in materia di qualità dell'aria affida alle regioni e alle province autonome le attività di valutazione finalizzate a conoscere il contesto territoriale e quelle di pianificazione volte ad identificare gli interventi più efficaci per assicurare il rispetto degli standard di qualità dell'aria e ad assicurarne l'attuazione.
      A queste ultime compete quindi il monitoraggio degli inquinanti atmosferici, la predisposizione dei piani o programmi per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria (compresa l'individuazione dei soggetti deputati all'attuazione di tali piani quali ad esempio la regione stessa o i sindaci) nonché la trasmissione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle relative informazioni per l'invio alla Commissione europea.
      Nella provincia di Rovigo la valutazione della qualità dell'aria ambiente è effettuata, per il PM10, tramite 3 stazioni fisse di monitoraggio, «RO-Borsea», «Badia Polesine» e «RO-Centro».
      I dati di qualità dell'aria di PM10 misurati da tali stazioni nel periodo 2013-2015 mostrano il superamento del valore limite giornaliero (valore limite di 50 μg/m3 da non superarsi per più di 35 giorni all'anno), facendo registrare nel 2015 un significativo aumento del numero dei superamenti rispetto ai due anni precedenti come si vede dalla tabella seguente:

          Superamenti del valore limite giornaliero per il PM10 misurati in provincia di Rovigo nel periodo 2013-2015:
          Stazione RO Borsea; 2013: 56; 2014: nessun superamento; 2015: 77;
          Stazione RO Centro; 2013: 65; 2014: 47; 2015: 75;
          Stazione Badia Polesine; 2013: 59; 2014: nessun superamento; 2015: 70;

      Il valore limite annuale di 40 μg/m3 è invece rispettato in tutte le stazioni, anche se l'andamento delle concentrazioni medie annuali per il PM10 mostra nel 2015 un incremento della concentrazione rispetto al 2014. Per ulteriori dati si rinvia al sito web dell'Arpa Veneto (www.arpa.veneto.it).
      La regione Veneto, per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico, con deliberazione del consiglio regionale n.  57 dell'11 novembre 2004, ha approvato il piano regionale di tutela e risanamento dell'atmosfera che definisce le prime misure atte a ridurre l'inquinamento atmosferico nel Veneto per gli inquinanti considerati critici, tra i quali anche il PM10.
      Inoltre, la Regione da anni, assieme alle altre regioni del Bacino Padano, promuove attività comuni volte al raggiungimento degli obiettivi di qualità dell'aria imposti dalle direttive comunitarie e dalle norme nazionali di riferimento.
      A seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo 155 del 2010, la regione ha quindi provveduto a definire un secondo Piano di risanamento e di tutela della qualità dell'aria, tenendo in particolare considerazione le misure definite a livello di bacino padano. Tale Piano è stato approvato con deliberazione n.  34 del 15 aprile 2014 e include un set di misure che mirano alla riduzione dei principali inquinanti atmosferici, tra cui il PM10, con un orizzonte temporale fino al 2020.
      A livello nazionale si segnala che, stante la competenza primaria delle regioni in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria, l'azione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stata mirata a garantire un costante e fondamentale supporto alle amministrazioni regionali e locali.
      In primo luogo, al fine di favorire un confronto istituzionale sul tema della valutazione e gestione della qualità dell'aria, è stato istituito presso questo dicastero un Coordinamento tra i rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero della salute, di ogni regione e provincia autonoma, dell'unione delle province italiane (UPI) e dell'associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), nonché delle agenzie e degli istituti tecnici con competenze in materia ambientale (Ispra, Iss, Enea, Cnr). Nel contesto di tale coordinamento sono individuati gli indirizzi comuni per la valutazione della qualità dell'aria, anche in relazione agli strumenti di pianificazione.
      Inoltre, il Ministero dell'ambiente ha avviato da tempo un'azione di indirizzo e coordinamento di tutte le amministrazioni centrali aventi competenza in settori che producono emissioni in atmosfera al fine di definire una strategia volta all'individuazione di misure condivise da attuare congiuntamente su tutto il territorio nazionale.
      Anche con le amministrazioni regionali è stata avviata un'interlocuzione finalizzata a porre in essere soluzioni mirate e condivise per l'individuazione delle misure per il miglioramento della qualità dell'aria specifiche per i diversi territori.
      In particolare, nel dicembre 2013 è stato sottoscritto un importante accordo di programma tra i Ministri dell'Ambiente, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e trasporti, delle politiche agricole e della salute, aventi competenza in settori che producono emissioni in atmosfera, e le regioni e province autonome del bacino padano.
      Tale accordo prevede l'istituzione di appositi gruppi di esperti con il compito di analizzare i principali settori produttivi (trasporto merci e passeggeri, riscaldamento civile e risparmio energetico, industria, agricoltura) e di individuare, con riferimento ad ogni singolo settore, specifiche misure analizzate anche in relazione alle ricadute ambientali e agli effetti socio economici. Le regioni del bacino padano dovranno quindi provvedere all'adozione delle misure elaborate dai gruppi attraverso una modifica dei propri piani di qualità dell'aria.
      Infine, si segnala che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente, la conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
      In particolare, tra le misure di urgenza, che saranno attivate dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola, 7 giorni), il protocollo prevede l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 KM orari nelle aree urbane estese al territorio comunale e alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
      Quanto evidenziato testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti, istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      CURRÒ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il Comprensorio industriale Milazzo-Valle del Mela, nello specifico il comune di Milazzo ricade nelle aree SIN (Siti di Interesse Nazionale) istituiti a partire dal 1998 con la legge n.426 del 9 dicembre 1998, che prevedeva l'adozione del Programma nazionale di bonifica e identificava un primo elenco di interventi di bonifica di interesse nazionale;
          con il decreto ministeriale 11 gennaio 2013, sono stati declassificati 18 siti dei precedenti 57, ma il sito di Milazzo rientra sempre tra i restanti 39 SIN che prevedono finanziamenti per la bonifica ambientale e per i quali esiste una diretta competenza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
          in tale quadro il dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell'università di Messina, ha eseguito alcuni esami medici (emocromo, urine, ecografie e visite mediche complete), su un campione di circa 200 adolescenti delle scuole medie dei comuni di Milazzo, S. Lucia del Mela, S. Filippo del Mela, Pace del Mela, Gualtieri Sicaminò, Condro e San Pier Niceto, tutti ricadenti nel comprensorio industriale denominato «Valle del Mela», nell'ambito di un biomonitoraggio condotto dal dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell'università di Messina commissionato dall'Organizzazione mondiale della sanità (progetto coordinato dal professor Francesco Squadrito emerito membro della comunità medica e scientifica mondiale);
          il rapporto del professor Squadrito è stato presentato nel luglio 2013;
          i livelli riscontrati dall'indagine eseguita e condotta dall’équipe medico scientifica del professor Francesco Squadrito sono allarmanti perché rilevano gravissimi danni fisici alla popolazione, senz'altro definibili come generazionali;
          ad esito degli esami eseguiti è risultato che diversi adolescenti esaminati erano vittime dell'inquinamento. Dalla raccolta di campioni biologici, è emersa infatti la presenza di metalli pesanti nel loro organismo, in particolar modo nichel, cadmio e cromo; inoltre in ben 31 casi su 200 sono state rilevate alterazioni morfologiche nell'apparato riproduttore degli adolescenti, tutti di età compresa tra i 12 ed i 14 anni;
          come è noto le patologie connesse con l'inquinamento da metalli pesanti influiscono pesantemente, tra le altre alterazioni biochimiche e funzionali, sull'apparato riproduttivo delle persone colpite impedendo a tali soggetti la procreazione;
          il suddetto biomonitoraggio è stato oggetto di attenzione, nello scorso novembre, dalla procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto che ha aperto di conseguenza un'indagine;
          lo stesso biomonitoraggio, è stato oggetto dell'interrogazione 3-00455 pubblicata il 5 novembre 2013, nella seduta n.  134, dei Senatori Catalfo, Nugnes, Pepe e Martelli indirizzata al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
          come attesta il rapporto di Legambiente del 2012 (Mal'Aria Industriale), quantità preoccupanti di nichel e di cromo vengono rilasciati nell'ambiente dalla raffineria di Milazzo, dalla centrale termoelettrica di S. Filippo del Mela, mentre cadmio, nichel e piombo sono prodotte dalla Ecologie Scrap Industry ESI spa., nonché da altre importanti aziende operanti nell'area di sviluppo industriale di Milazzo;
          inoltre, le citate aziende (le più importanti tra quelle ricadenti nel comprensorio industriale denominato «Valle del Mela») in questo tipo di «produzione» si collocano ai vertici degli stabilimenti italiani che rilasciano nell'ambiente tali tipologie di sostanze;
          dai dati emergenti dall'autorizzazione integrata ambientale, il provvedimento con cui vengono disciplinate e monitorate le emissioni inquinanti nell'ambiente rilasciata alle industrie inquinanti operanti nell'area di sviluppo industriale ed alla raffineria di Milazzo nel 2011 (in occasione della realizzazione della nuova unità idrogeno HMU3) ed in particolare dal parere rilasciato in data 25 febbraio 2011 in sede di istruttoria dalla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale, si evince che, alla predetta data del febbraio 2011, «sul territorio regionale non si rilevano in via continuativa metalli pesanti (...)» e che «la rete regionale di monitoraggio della qualità dell'aria è in fase di revisione ed adeguamento ai criteri stabiliti dagli standard europei», oltre alla circostanza che «le stazioni di monitoraggio per metalli saranno inserite nel contesto della rete regionale di monitoraggio nel nuovo assetto futuro»;
          ad oggi non sono stati appaltati i lavori di bonifica previsti dal protocollo del 21 maggio 2014 deliberato nel corso della conferenza di servizi istruttoria svoltasi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ha impegnato l'Arpa di Messina a realizzare uno studio capace di definire quali livelli di concentrazioni presenti nelle analisi di caratterizzazioni dei suoli da parte delle imprese riguardo a ferro, manganese ed altri inquinanti quali i metalli pesanti possono essere identificati come valori del fondo naturale del territorio dell'area complessiva di Milazzo. Ciò è il presupposto necessario ad impegnare le imprese in attività di bonifica in relazione all'inquinamento legato effettivamente alle attività produttive;
          proprio in questi mesi l'Arpa della regione Friuli Venezia Giulia ha ricevuto l'incarico di portare avanti, in collaborazione con l'università di Trieste, «uno studio approfondito sulla qualità dell'aria del monfalconese che preveda, oltre all'utilizzo di apparecchiature automatiche per la rilevazione su basi chimico-fisiche, anche l'uso dei licheni epifiti come bioindicatori, al fine di certificare il livello delle emissioni nell'aria con particolare riguardo per i metalli pesanti»;
          l'iniziativa in questione, promossa dall'assessore regionale all'Ambiente ed Energia, Sara Vito, in risposta ad un'interpellanza sulle emissioni della centrale termoelettrica di Monfalcone, ha avuto forte impulso e l'attenzione relativa ai livelli di inquinamento di metalli pesanti nel Monfalconese ha oggi acquisito centralità nell'azione amministrativa della regione  –:
          a che punto sia l'attività di identificazione dei valori del fondo naturale del territorio dell'area complessiva di Milazzo con riferimento a ferro, manganese ed altri inquinanti quali i metalli pesanti presupposto necessario ad impegnare le imprese in attività di bonifica in relazione all'inquinamento legato effettivamente alle attività produttive;
          se non si ritenga necessario predisporre immediatamente e senza indugio alcuno, viste le gravi ripercussioni che le emissioni di metalli pesanti hanno sulla salute dei cittadini, uno studio approfondito sulla qualità dell'aria nel comprensorio industriale di Milazzo e nel suo vasto hinterland che preveda oltre all'utilizzo di apparecchiature automatiche per la rilevazione su basi chimico-fisiche, anche l'uso dei licheni epifiti come bioindicatori, al fine di certificare il livello delle emissioni nell'aria e sul suolo, con particolare riguardo per i metalli pesanti nell'intero comprensorio dell'area di sviluppo industriale denominata «Valle del Mela». (4-05327)

      Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      Occorre dapprima evidenziare che l'area industriale di Milazzo è stata inserita tra i siti di bonifica di interesse nazionale (SIN) con legge n.  266 del 2005 e con il decreto ministeriale dell'11 agosto 2006 è stato individuato il relativo perimetro. La superficie totale dell'area a terra è pari a circa 550 ha, mentre l'area a mare copre una superficie di circa 1000 ha.
      Il sito di interesse nazionale coincide con l'area di sviluppo industriale di Gianmoro ed interessa i comuni di Milazzo, San Filippo del Mela, Pace del Mela, San Pier Niceto e Monforte San Giorgio, già dichiarati «aree ad elevato rischio di crisi ambientale del comprensorio del Mela» ai sensi del d.lgs. n.  112 del 1998.
      Nel sito di interesse nazionale di Milazzo è concentrata la presenza di un alto numero di imprese di produzione e trasformazione di dimensione medio-piccole che si sono sviluppate attorno al grande Polo industriale di Milazzo, che annovera, tra le industrie più grandi, una raffineria di petrolio, la grande centrale termoelettrica di San Filippo del Mela e l'acciaieria di Gianmoro di Pace del Mela.
      All'interno dell'area sito di interesse nazionale è infatti presente il consorzio Irsap (ex ASI) che ospita imprese di piccole e medie dimensioni dei più svariati settori, da quello dell'artigianato (ceramica) a quello agroalimentare o dei mobili. Un capitolo a parte è invece il settore della cantieristica navale (produzione di imbarcazioni di lusso), presente sia nella zona del porto cittadino sia nel polo industriale di Gianmoro di Pace del Mela.
      I principali contaminanti riscontrati in fase di caratterizzazione sono i seguenti:
          nei suoli: PCDD/PCDF, Idrocarburi C<12, Idrocarburi C>12, BTEX e Piombo alchili;
          nelle acque di falda: alluminio, arsenico, ferro, manganese, piombo, fluoruri, benzene, idrocarburi totali, 1,2 dicloropropano, tricloroetilene, tetracloroetilene, diclorobenzene, MTBE.

      Per quanto riguarda l'attività di identificazione dei valori del fondo naturale del territorio dell'area di Milazzo con riferimento a ferro, manganese ed altri inquinanti, quali i metalli pesanti, si evidenzia che la conferenza di servizi istruttoria del 25 maggio 2016 – vista la diffusa presenza di superamenti delle CSC nelle acque di falda per i suddetti parametri – ha:
          incaricato Arpa Sicilia di monitorare i pozzi ubicati all'esterno dell'area sito di interesse nazionale e di convocare (entro 30 giorni dalla data di pubblicazione del verbale) una riunione tecnica con tutte le Aziende ricadenti all'interno del sito di interesse nazionale, al quale è stato chiesto di effettuare dei monitoraggi delle acque di falda al fine di concordare parametri, modalità, frequenza e durata dei monitoraggi;
          chiesto ad Arpa Sicilia di effettuare, caso per caso, le valutazioni in merito all'attribuibilità dei superamenti delle CSC a valori di fondo ed eventualmente determinare i valori di fondo da utilizzare per l'intero sito di interesse nazionale di Milazzo.

      Della questione è interessato anche il Ministero della salute, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, verranno forniti aggiornamenti.
      Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere attività di monitoraggio, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      D'INCÀ, BRUGNEROTTO, COLONNESE e PETRAROLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          dopo le segnalazioni da parte degli abitanti del territorio Bellunese, risalenti alla metà di giugno 2014, che denunciavano l'intensificazione del frastuono e rumori causati da jet militari che sorvolavano a bassa quota le dolomiti per esercitazioni militari, i fatti di cronaca di questi ultimi giorni, così come segnalato da vari quotidiani locali e nazionali, riportano il verificarsi di nuovi e più preoccupanti episodi che hanno generato anche attimi di panico nelle popolazioni interessate sia della Valbelluna sia di molti comuni della confinante provincia di Treviso;
          infatti, due boati improvvisi, procurati molto probabilmente da alcuni caccia militari, che infrangendo il muro del suono, avrebbero provocato i cosiddetti «boom sonici», hanno allarmato la popolazione tanto che l'intensità degli stessi ha fatto credere addirittura ad un fenomeno sismico o a un'esplosione;
          nell'area compresa tra i comuni di Sedico e Mel in provincia di Belluno, quella in cui il boato si è avvertito di più, le forti scosse hanno fatto tremare i vetri di porte e finestre, consigliando precauzionalmente l'evacuazione delle scuole a Trichiana, Mel e nella frazione di Villa di Villa. Molte persone, temendo un terremoto hanno abbandonato case e luoghi di lavoro riversandosi in strada e in pochi minuti i centralini dei vigili del fuoco sono stati tempestati di segnalazioni da parte di cittadini spaventati;
          i disagi, derivanti dalle esercitazioni militari nello spazio aereo che sorvola la Valbelluna, si ripetono oramai con una certa regolarità e le preoccupazioni di queste popolazioni sono dettate dal timore di pericolosi incidenti  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suindicati;
          se e quali iniziative intenda intraprendere per verificare se trovi conferma che l'origine dei boati sia da attribuire all'attività di addestramento di caccia militari e se tale attività addestrativa sia stata svolta nel pieno rispetto delle vigenti normative concernenti l'impatto ambientale e antirumore ed in materia di spazi aerei.
(4-09174)

      Risposta. — Nel condividere il sentimento di preoccupazione espresso dall'interrogante, non può non manifestarsi, in questa sede, un sentito rincrescimento per gli episodi accaduti.
      Per entrare nel merito delle questioni poste, si precisa che i due forti boati, di cui è cenno nell'atto di sindacato ispettivo, avvertiti l'11 maggio 2015 in Valbelluna, poco prima delle 10, possono essere ricondotti all'attività della missione con nominativo « Banshee», composta da due velivoli F-16 statunitensi, appartenenti al 31o Stormo Fighter Wing, di stanza ad Aviano.
      La missione, regolarmente programmata e autorizzata, prevedeva un volo di addestramento.
      La pianificazione della missione escludeva attività a velocità superiore a quella del suono e il suo profilo non prevedeva attività addestrativa a bassa quota.
      Durante tale volo un velivolo statunitense ha involontariamente superato la soglia cosiddetta Mach 1.0 in due occasioni.
      Il pilota, all'atterraggio, ha regolarmente segnalato l'avvenuto bang sonico alle autorità militari italiane ed americane.
      In merito agli ulteriori aspetti evidenziati nell'atto si rende noto che il Traffico aereo operativo condotto a bassissima quota (Boat) è specificamente regolato dalla direttiva «Regole del volo per il traffico aereo operativo» dello Stato maggiore dell'aeronautica.
      Essa prevede, fra le altre prescrizioni, che i voli operativi devono evitare il sorvolo dei centri abitati tranne alcune eccezioni espressamente previste, quali ad esempio quelle per voli reali di difesa dello spazio aereo nazionale o esigenze di soccorso.
      Riguardo, invece, all'attività a velocità superiore a quella del suono, essa è disciplinata nell'annesso 6 della stessa direttiva la quale chiarisce che deve essere effettuata sul territorio nazionale solo in specifiche aree e ad una quota non inferiore a circa 11.000 metri sul livello del mare e, comunque, non nell'area alpina.
      Inoltre, può essere effettuata solo di giorno (dalle 9 alle 20 locali) e durante giorni feriali.
      I velivoli stranieri che operino all'interno dello spazio aereo italiano sono sottoposti alle stesse regole del volo dei velivoli nazionali ed è espressamente previsto che prima di condurre l'attività richiesta, debbano dimostrare di avere piena conoscenza delle procedure nazionali.
      In particolare, l'attività di velivoli degli Stati Uniti appartenenti a unità permanentemente stanziate in Italia, è regolata dal documento «Rapporti Italia-USA. Procedura operativa in materia di addestramento» del luglio 1997, emanato dallo Stato maggiore difesa.
      Alla luce di ciò, con cadenza annuale, vengono sottoposte all'approvazione dei vertici militari nazionali, le richieste addestrative dei reparti americani stanziati in Italia per l'anno successivo.
      Si ricorda, inoltre, che, con protocollo d'intesa Italia-USA fu previsto quanto segue:
          nuove procedure per il volo a bassissima quota;
          nomina della «US Authority» ad ogni base utilizzata dalle forze USA, responsabile dell'attività di volo e dell'adesione alle regolamentazioni italiane;
          creazione delle figure di «Liaison Officers» nelle unità italiane e statunitensi per ottimizzare il flusso di informazioni;
          creazione di una Flight Safety Board per incontri periodici sul tema della sicurezza volo (trattasi di periodici approfondimenti sul tema della sicurezza del volo organizzati in ambito Aeronautica militare);
          revisione delle nuove procedure adottate al fine di assicurare che tutti i fattori pertinenti siano considerati (rotte di addestramento, operazioni di volo degli elicotteri e dei velivoli ad ala fissa);
          implementazione delle nuove procedure all'interno dei vari accordi bilaterali e tecnici esistenti o da attuare in futuro.
La Ministra della difesa: Roberta Pinotti.


      DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO, PETRAROLI e COZZOLINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          il 9 aprile 2015 sul sito di informazione www.formiche.net veniva pubblicato un articolo dal titolo «Agid, come sarà il dopo Poggiani» a firma di Valeria Covato nel quale venivano riportate, tra l'altro, informazioni afferenti alle spese sostenute dall'Agenzia per l'Italia digitale (Agid) negli anni 2013-2015;
          nel predetto articolo si riportava il link a un file in formato .xml disponibile sul sito della richiamata agenzia nel quale venivano elencate, tra le altre informazioni disponibili, le spese sostenute dall'agenzia per l'acquisto di software;
          in particolare, dal predetto file è possibile rilevare come Agid abbia acquistato da diverse società software di tipo proprietario per centinaia di migliaia di euro;
          in particolare, per l'acquisto di prodotti Microsoft, Agid avrebbe speso la somma di euro 87.550,00 per l'anno 2014;
          l'articolo 68 del decreto legislativo 82 del 2005 (cosiddetto codice dell'amministrazione digitale) prevede che «1. Le pubbliche amministrazioni acquisiscono programmi informatici o parti di essi nel rispetto dei principi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica, a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato:
              a) software sviluppato per conto della pubblica amministrazione;
              b) riutilizzo di software o parti di esso sviluppati per conto della pubblica amministrazione;
              c) software libero o a codice sorgente aperto;
              d) software fruibile in modalità cloud computing;
              e) software di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d'uso;
              f) software combinazione delle precedenti soluzioni.
          1-bis. A tal fine, le pubbliche amministrazioni prima di procedere all'acqui- sto, secondo le procedure di cui al codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006 n.  163, effettuano una valutazione comparativa delle diverse soluzioni disponibili sulla base dei seguenti criteri:
              a) costo complessivo del programma o soluzione quale costo di acquisto, di implementazione, di mantenimento e supporto;
              b) livello di utilizzo di formati di dati e di interfacce di tipo aperto nonché di standard in grado di assicurare l'interoperabilità e la cooperazione applicativa tra i diversi sistemi informatici della pubblica amministrazione;
              c) garanzie del fornitore in materia di livelli di sicurezza, conformità alla normativa in materia di protezione dei dati personali, livelli di servizio tenuto conto della tipologia di software acquisito;
      1-ter. Ove dalla valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico, secondo i criteri di cui al comma 1-bis, risulti motivatamente l'impossibilità di accedere a soluzioni già disponibili all'interno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codici sorgente aperto, adeguati alle esigenze da soddisfare, è consentita l'acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d'uso. La valutazione di cui al presente comma è effettuata secondo le modalità e i criteri definiti dall'Agenzia per l'Italia digitale, che, a richiesta di soggetti interessati, esprime altresì parere circa il loro rispetto»  –:
          quali ragioni tecniche abbiano indotto l'Agenzia per l'Italia digitale nell'ambito della valutazione comparativa svolta a dare preferenza a software di tipo proprietario secondo la modalità della licenza d'uso. (4-08995)

      Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame, con la quale si chiede di sapere quali ragioni tecniche abbiano indotto l'Agenzia per l'Italia digitale, nell'ambito della valutazione comparativa svolta per l'acquisto di software, a dare preferenza a quelli di tipo proprietario secondo la modalità della licenza d'uso.
      Sul sito dell'Agenzia, sezione amministrazione trasparente, è disponibile un file riepilogativo sull'assolvimento degli obblighi di pubblicazione di informazioni relative ai procedimenti di affidamento di lavori, servizi e forniture da parte delle stazioni appaltanti. All'interno di tale file sono contenute anche le informazioni relative all'anno 2014.
      Dall'esame del suddetto documento non appare confermata l'affermazione che l'Agenzia per l'Italia digitale abbia acquistato, nell'anno 2014, da diverse società software di tipo proprietario per centinaia di migliaia di euro. Esso dimostra invece che la cifra di euro 87.550,00 è riferita all'acquisto non di prodotti Microsoft, come indicato nel testo dell'interrogazione, bensì di servizi Microsoft.
      Trattandosi di servizi e non di prodotti software, non è necessario far ricorso alla valutazione comparativa cui fa riferimento l'interrogante e alla disciplina di cui all'articolo 68 del decreto legislativo n.  82 del 2005, entrambe riferite all'acquisto di programmi informatici o parti di essi.
La Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione: Maria Anna Madia.


      DELL'ORCO, SPESSOTTO, MANNINO, CRISTIAN IANNUZZI e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          In data 7 dicembre 1999 la Società autocamionale della Cisa Spa, concessionaria dell'Autostrada A15 Parma-La Spezia, stipula una convenzione con l'ente concedente ANAS, poi approvata con decreto interministeriale 21 dicembre, n.  611/Segr. Dicoter per la realizzazione di un raccordo autostradale di collegamento tra il Tirreno e il Brennero (Tibre). La Delibera CIPE 121/2001 include la voce «Asse autostradale Brennero-Verona-Parma-La Spezia» tra i sistemi stradali ed autostradali del corridoio plurimodale Tirreno-Brennero e l'asse autostradale Tirreno-Brennero nel Programma nazionale delle infrastrutture strategiche (legge 443 del 21 dicembre 2001). Il progetto, il cui primo stralcio di 9,5 chilometri, da Fontevivo a Trecasali (Parma), è oggi in fase di progettazione esecutiva, prevede la realizzazione di un corridoio autostradale di nuova realizzazione della lunghezza complessiva di 84 chilometri collegamento tra Fontevivo (Parma) e Nogarole Rocca (Verona) attraversando le Regioni Emilia Romagna e Lombardia e Veneto;
          dal punto di vista economico si tratta di un grosso investimento considerando che, come da delibera CIPE n.  2 del 22 gennaio 2010, il costo complessivo dell'opera, è ora di 2.730.965.654,5 euro;
          l'opera in questione è già stata oggetto di una precedente procedura di infrazione da parte della Commissione europea (procedura n.  2006/4419) chiusa con un accordo sottoscritto dal Governo italiano, dietro proposta dell'adora Ministro Altero Matteoli;
          dalla chiusura della procedura di infrazione si evince quanto segue:
              Autocisa spa ottiene la proroga della concessione al 2031 dietro impegno a costruire il tratto autostradale Fontevivo-Nogarole Rocca (84 chilometri);
          entro il 31 dicembre 2010 deve essere presentato il progetto definitivo relativo all'intero tracciato autostradale;
          il piano economico finanziario licenziato dalla VIII Commissione permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici) sottoposto all'approvazione dei due rami del Parlamento ed utilizzato per la rideterminazione al 2031 della durata della concessione, prevedeva il totale autofinanziamento da parte di Autocisa spa, senza nessun tipo di contributo in conto capitale da parte dello Stato italiano;
          dopo la chiusura della procedura di infrazione nei termini suddetti il Governo italiano, per il tramite del CIPE, emana la delibera n.  2 del 2010 del 22 gennaio 2010 che prevede quanto segue:
              a) autorizzazione e progettazione definitiva del solo primo tratto Fontevivo-Trecasali/Terre Verdiane di soli 12 chilometri, il cui costo, quale risulta dal quadro economico, è pari a 513.531.158,1 euro, di cui 302.788.160,4 euro per lavori;
              b) presa d'atto del nuovo piano economico finanziario che passa da 2.039 milioni di euro, autorizzati dal Parlamento italiano in data 22 novembre 2007, a 3.400 milioni di euro e che prevede tra le modalità di riequilibrio: incrementi tariffari nel periodo 2011-2018 del 7,5 per cento annuo; previsione di un contributo statale di 900 milioni di euro oltre IVA, da erogare a stato di avanzamento dei lavori; un valore di indennizzo finale pari a 1.730 milioni di euro, da garantire tramite la prestazione della garanzia a valere sul Fondo di garanzia sulle opere pubbliche (FGOP) di cui all'articolo 2, commi 264-270, della legge 24 dicembre 2007, n.  244 (legge finanziaria 2008), ai fini della sua bancabilità. Tali misure, ed in particolare il contributo statale di 900 milioni di euro, non erano contemplate dal piano sottoposto all'Unione europea per la chiusura della procedura di infrazione;
              c) l'inserimento della precisazione «che il primo lotto, oltre a costituire la naturale prosecuzione verso nord dell'autostrada della Ci sa, si collega alla viabilità ordinaria mediante l'autostazione Trecasali/Terre Verdiane e garantisce il futuro collegamento mediante la realizzazione dell'autostrada regionale Cispadana tra Carpi e Ferrara, tra i territori di Parma, Reggio Emilia, Modena e Ferrara e il mare Adriatico». Tale affermazione, a parere dell'interrogante, lascerebbe intendere l'intenzione di fermarsi con la costruzione del solo primo lotto autorizzato, avendo con lo stesso raggiunto l'obiettivo di congiungere le attuali autostrade A15 e A22 (situazione peraltro già esistente mediante l'intersezione dell'autostrada A15 con l'Autostrada A1);
          oltre ai sopra elencati benefici economici, il progetto in questione potrebbe beneficiare del credito d'imposta di cui all'articolo 18 della legge n.  183 del 2011, tenuto conto di quanto dichiarato dall'ex vice ministro dottor Ciaccia che, in un'intervista rilasciata ad un prestigioso quotidiano economico, ha individuato le opere pubbliche già autorizzate (e per le quali la misura del credito di imposta non costituirà base di gara) che potrebbero beneficiare degli aiuti previsti. Tra queste viene riportato il Corridoio Autostradale Tirreno-Brennero ed in particolare la costruenda tratta Fontevivo-Nogarole Rocca;
          complessivamente dunque il quadro finanziario dell'opera risulta estremamente poco chiaro: oltre ai costi lievitati enormemente negli anni, dai 1032,9 milioni di euro del 2001 ai 2731 milioni del 2010, rimane da appurare il previsto finanziamento pubblico di circa 900 milioni di euro, che al momento ancora non risulta coperto, come pure la questione del finanziamento pubblico ai sensi dell'articolo 33 del decreto-legge n.  179 del 2012, nonché la copertura dell'investimento con fondi privati considerato che Autocisa nel bilancio del 2009 ha dichiarato un utile di esercizio di appena 12,9 milioni di euro e debiti per un ammontare di 213 milioni mentre, nell'ultimo esercizio, l'utile è ridotto solo ad 1 milione di euro. Il rischio è che gran parte dei costi siano scaricati sugli aumenti dei pedaggi ovvero sui cittadini già aumentati in questi anni;
          a livello trasportistico il primo stralcio della Tibre non è un'opera strettamente utile a livello europeo ed infatti non rientra tra i trenta progetti prioritari dell'Unione europea (TEN-T). Inoltre per collegarsi all'Europa sarebbe molto più utile e prioritario il raddoppio e il potenziamento della Pontremolese e della tratta Parma-Suzzara-Poggio Rusco o, in alternativa a quest'ultima, della Parma-Piadena-Mantova-Verona che, secondo un recente Studio della Tibre srl, risulterebbe molto più economica e competitiva della Parma-Suzzara-Poggio Rusco. Si tratterebbe in ogni caso di linee ferroviarie che potrebbero realmente creare la connessione con gli assi ferroviari prioritari a livello europeo. Inoltre, come è noto, non solo i dettami europei sono quelli della cura del ferro per il trasporto merci ma, da alcuni anni, Austria e Svizzera hanno posto forti limitazione al traffico su gomma e in particolare ai TIR. Non terminare le suddette opere ferroviarie ricadenti nella stessa area, i cui lavori sono in corso ma non interamente finanziati e, contemporaneamente, iniziare anche il primo stralcio autostradale della Tibre rischia, in questa fase economica, di lasciare, per molto tempo, entrambe le opere incompiute e quindi inutili. Giova anche ricordare che l'Autostrada del Brennero e della Cisa non possono sopportare ulteriore traffico;
          l'inquadramento di questo nuovo raccordo autostradale risulta inoltre problematico a livello di sviluppo economico e ambientale del territorio. Avrà infatti un forte impatto ambientale su un'area agricola della provincia di Parma rinomata particolarmente per la produzione del parmigiano-reggiano, un'area che dovrebbe essere valorizzata come Food Valley e che invece vedrà un ulteriore consumo di suolo agricolo e che rischia di diventare una delle zone più inquinate d'Italia. Parma ad esempio ha livelli di PM 10, PM 2.5 sempre molto elevati e, per il 2013, ha riportato oltre 100 sforamenti del limite massimo previsto per il PM 10 ottenendo anche il triste primato 21 giorni consecutivi di sforamenti, con elevati rischi di sanzioni da parte dell'Unione europea. Proprio per ovviare a questa eventualità il ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha convocato per il 4 settembre scorso una riunione con i presidenti delle regioni Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna e Val d'Aosta e delle province autonome di Trento e Bolzano per affrontare i problemi dell'inquinamento atmosferico nel bacino padano e analizzare le possibili strategie da attuare per la soluzione. Nella lettera di convocazione il ministro ha ricordato anche che nell'aprile scorso la Commissione europea ha aperto «un nuovo caso di pre-contenzioso contro l'Italia sui temi dell'inquinamento atmosferico» e che «l'Italia sta affrontando da diversi anni un complesso contenzioso comunitario in materia di qualità dell'aria che ha portato, nel dicembre 2012, ad una sentenza di condanna, che non ha determinato seguiti sanzionatori per il nostro Paese per un mero vizio procedurale riscontrato dalla Corte europea di Giustizia nel ricorso inoltrato dalla Commissione europea»;
          è da chiarire inoltre l'attuale validità della valutazione di impatto ambientale (provvedimento del ministero dell'ambiente e tutela del territorio del 20 aprile 2004 resa su uno studio di impatto ambientale che risale al 2002) che non tiene conto delle variazioni territoriali intervenute successivamente a livello ambientale e legislativo. La Tibre interessa infatti le zone SIC-ZPS della Lombardia e del territorio di Parma che fanno parte della rete Natura 2000, nata per la protezione e la conservazione degli habitat. Gli ultimi aggiornamenti sulle Z.P.S., la regione Emilia Romagna li ha effettuati con delibere di giunta n.  167 del 13 febbraio 2006 e n.  456 del 3 aprile 2006, dunque non sembrerebbe essere stato valutato l'impatto ambientale sul Sic-ZpS Basso Taro, né sulla riserva naturale di Torrile e Trecasali istituita con provvedimento della regione Emilia Romagna nel 2010. È dubbio pertanto che la valutazione di impatto ambientale concessa a suo tempo si possa considerare ancora valida. La valutazione di impatto ambientale non può certo considerarsi un «diritto acquisito»: il Codice dell'ambiente (decreto legislativo n.  152 del 2006 e successive integrazioni) all'articolo 26, comma 6, prevede infatti che: «I progetti sottoposti alla fase di valutazione devono essere realizzati entro cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale. Tenuto conto delle caratteristiche del progetto il provvedimento può stabilire un periodo più lungo. Trascorso detto periodo, salvo proroga concessa, su istanza del proponente, dall'autorità che ha emanato il provvedimento, la procedura di valutazione dell'impatto ambientale deve essere reiterata»;
          come già detto, il progetto preliminare della nuova autostrada Parma (Fontevivo)-Verona (Nogarole Rocca), è stato sottoposto a VIA statale e approvato con delibera CIPE n.  94 del 2004 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n.  115 del 19 maggio 2005) che prendeva atto anche della positiva valutazione di impatto ambientale. Quest'ultima dunque ai sensi di legge risulterebbe essere già scaduta. È pur vero che la scadenza della VIA entro cinque anni è stata introdotta con il decreto legislativo del 16 gennaio 2008 n.  4 che espressamente ne prevede l'applicazione solo sui procedimenti avviati dopo l'entrata in vigore del provvedimento, ovvero dal 13 febbraio 2008, ma è pur vero che tale norma non può interpretarsi come una proroga «sine die» dei procedimenti precedenti dando loro lo statuto di «diritto acquisito». Questa ultima interpretazione sarebbe in palese contrasto non solo con i principi di buona amministrazione ma anche con diversi punti dello stesso Codice dell'ambiente, della Convenzione di Aarhus e della normativa europea in materia ambientale che prevedono continue azioni ex ante, in itinere ed ex post ai processi di decisione, nonché attività informative, di monitoraggio e possibili modifiche della valutazione di impatto ambientale se le condizioni cambiano. Pertanto appare evidente la necessità sottoporrà nuovamente il progetto di valutazione ambientale in rapporto alle mutate condizioni;
          bisogna infine aggiungere che diverse delle prescrizioni contenute nella VIA e nella delibera CIPE n.  2 del 22 gennaio 2010 non risulterebbero ancora applicate come si evincerebbe dalla delibera n.  101 del 2012 del comune di Trecasali dalla quale sembrerebbe che molte delle opere di compensazione, mitigazione e cautela previste dalla delibera del CIPE 2010 risultano disattese  –:
          se in vista del perseguimento dell'obiettivo europeo del consumo di suolo zero al 2050 e di una valorizzazione dei territori della parmensi noti in tutto il mondo, tra le altre cose, per la produzione del parmigiano-reggiano non si ritenga necessario sospendere la realizzazione del raccordo autostradale Tirreno-Brennero;
          se, in vista di una riduzione delle emissioni inquinanti e affinché sia interrotto il pre-contenzioso europeo sui temi dell'inquinamento atmosferico, non si ritenga sia necessario rivedere l'opportunità della realizzazione di nuove opere viarie previste dalla legge obiettivo ricadenti nell'area della pianura padana;
          se non si ritenga che per realizzare una continuità tra il Tirreno e il Brennero in linea con i dettami europei in termini di consumo di suolo, di inquinamento atmosferico ed in termini trasportistici, che prevedono un passaggio di una quota di trasporto merci dalla gomma al ferro, non sia più idoneo sospendere la realizzazione del raccordo autostradale Tibre spostando i fondi sui progetti ferroviari all'interno dello stesso corridoio Tirreno-Brennero e, in particolare, sulla realizzazione del raddoppio della Pontremolese e sulla tratta ferroviaria Parma-Suzzara-Poggio Rusco o, in alternativa, sulla Parma-Piadena-Mantova-Verona;
          se, in ordine ad una maggiore competitività dal punto di vista economico e trasportistico, non si ritenga di dover procedere ad una valutazione della proposta di tracciato ferroviario Parma-Piadena-Mantova-Verona presentata in un recente studio dalla stessa Tibre srl in alternativa alla tratta ferroviaria Parma-Suzzara-Poggio Rusco;
          se il Governo ha posto in essere tutti gli adempimenti previsti dall'articolo 108 TFUE, posto che le misure previste dall'articolo 18 della legge n.  183 del 2011, di cui potrebbe beneficiare anche Autocisa, così come esplicitate dalla delibera Cipe n.  1 del 2013 potrebbero configurarsi come aiuti di Stato ai sensi dell'articolo 107 TFUE;
          se, alla luce di quanto sopra esposto, non risulti del tutto evidente come il procedimento autorizzativo e gli accordi presi con la Commissione europea in sede di chiusura della procedura di infrazione n.  2006/4419, presentino molti punti in conflitto, e quali siano in proposito gli orientamenti di codesto ministero anche alla luce della concessione dell'ulteriore beneficio del credito di imposta che andrebbe a sommarsi agli incrementi tariffari ed al contributo statale già previsti dall'autorizzazione del CIPE;
          se non si ritenga scaduto il provvedimento di VIA relativo al progetto in questione e, comunque, se non si ritenga indispensabile sottoporre detto progetto ad un nuovo procedimento di VIA in considerazione delle variazioni a livello ambientale e legislativo intervenute successivamente al 2004, anno di emissione del provvedimento. (4-03452)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa alle possibili criticità afferenti la realizzazione del raccordo autostradale di collegamento tra il Tirreno e il Brennero (Tibre), per quanto di competenza, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      Preliminarmente si evidenzia che il testo del disegno di legge sul «contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato», è stato approvato dall'Aula camera il 12 maggio 2016 e trasmesso al Senato (S. 2383).
      Le finalità della legge sono il riuso e la rigenerazione urbana, oltre alla limitazione del consumo del suolo, e costituiranno principi fondamentali della materia del governo del territorio nonché norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, al fine di raggiungere l'obiettivo del consumo zero del suolo nel 2050, come richiesto dall'Unione europea. A tal fine, il consumo del suolo sarà possibile solo laddove non ci siano alternative al riuso delle aree già urbanizzate e nella rigenerazione delle stesse.
      In ordine alle questioni relative alla compatibilità ambientale dell'opera nonché alla possibilità di interventi alternativi maggiormente sostenibili ed ecocompatibili, si fa presente che l'opera in questione, come noto, rientra tra le infrastrutture ritenute strategiche e quindi è soggetta alle disposizioni previste al riguardo dalla cosiddetta legge obiettivo, secondo cui il Cipe, con propria delibera, approva il progetto preliminare e la compatibilità ambientale dell'opera. Detta delibera comprende integralmente le valutazioni ambientali effettuate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS) incluse le specifiche prescrizioni su aspetti progettuali e ambientali da attuare nelle successive fasi progettuali (progetto definitivo ed esecutivo) o nelle fasi di realizzazione ed esercizio dell'opera.
      La «VIA legge obiettivo», data la complessità delle opere strategiche, prevede quindi tre fasi obbligatorie che permettono di valutare preventivamente e di monitorare la presenza di eventuali impatti ambientali significativi durante l'intero processo di progettazione (preliminare, definitiva ed esecutiva) e nelle fasi di realizzazione ed esercizio dell'opera. In merito a tali aspetti, sono infatti attualmente in corso le istruttorie tecniche, avviate a settembre 2015, relative alla procedura di «verifica di attuazione ex articolo 185 comma 6 e 7 del decreto legislativo n.  163/2006, Corridoio Plurimodale Tirreno – Brennero. Raccordo Autostradale tra l'Autostrada A15 della Cisa Fontevivo (PR) e l'Autostrada A22 del Brennero – Nogarole Rocca (VR) – I lotto funzionale. Fontevivo-Trecasali/Terre Verdiane». Maggiori dettagli in merito a tali istruttorie sono disponibili sul Portale delle valutazioni ambientali VIA/VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (www.va.minambiente.it).
      Per quanto concerne, infine, la durata della validità del provvedimento di VIA, si evidenzia che attualmente il decreto legislativo n.  152 del 2006 prevede, all'articolo 26, che «I progetti sottoposti alla fase di valutazione devono essere realizzati entro cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale. Tenuto conto delle caratteristiche del progetto il provvedimento può stabilire un periodo più lungo. Trascorso detto periodo, salvo proroga concessa, su istanza del proponente, dall'autorità che ha emanato il provvedimento, la procedura di valutazione dell'impatto ambientale deve essere reiterata. I termini di cui al presente comma si applicano ai procedimenti avviati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n.  4».
      Poiché il provvedimento di compatibilità ambientale dell'opera autostradale oggetto dell'interrogazione risale al 2004, lo stesso è quindi escluso dall'applicazione della norma sopra riportata. Si fa tuttavia notare che, trattandosi di un'opera di legge obiettivo, come sopra illustrato, la verifica della compatibilità ambientale del progetto non si esaurisce nella valutazione di impatto ambientale sul progetto preliminare ma prevede, nelle due fasi successive:
          l'espletamento, ai sensi dell'articolo 28 decreto legislativo n.  152 del 2006 e degli articoli 166 e 185 comma 4 del decreto legislativo n.  163 del 2006, della procedura di verifica di ottemperanza delle prescrizioni impartite nel provvedimento di VIA (ricompreso nella delibera CIPE) e la verifica della rispondenza del progetto preliminare (su cui è stata effettuata la valutazione di impatto ambientale) al progetto definitivo;
          la verifica della rispondenza del progetto esecutivo al progetto definitivo ed il monitoraggio degli effetti dell'opera nella fase precedente alla sua realizzazione, durante la fase di costruzione e durante la fase di esercizio.

      Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato ed a svolgere attività di monitoraggio, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      DIENI, NESCI e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito dell'inchiesta della magistratura sullo smaltimento illegale di rifiuti tossici derivanti dall'attività di estrazione petrolifera nel Sud Italia, nota giornalisticamente col nome del sito di «Tempa Rossa», sarebbe emerso un filone calabrese della stessa che non può che destare seria preoccupazione per ciò che riguarda le ricadute sull'ambiente;
          a quanto emerge da fonti giornalistiche, infatti, sarebbero sei le persone indagate in Calabria;
          si tratterebbe di amministratori di aziende del settore ambientale, che sarebbero stati inseriti nell'inchiesta della procura della Repubblica di Potenza che ha condotto alle dimissioni del Ministro Federica Guidi;
          a quanto risulta dalle notizie apparse sulla stampa, tra cui su La Gazzetta del Sud in un articolo pubblicato il 5 aprile 2016, «alla Iam di Gioia Tauro negli anni 2013-14 sarebbero stati conferiti come rifiuti non pericolosi i quantitativi di liquido tossico provenienti da due diverse vasche di raccolta: 1854 + 315 tonnellate il primo anno e ben 25696 + 145 il secondo. Entrambe le tipologie di rifiuto sarebbero state sversate con codice CER 16 ma per le caratteristiche CER 19 02 04 (miscugli contenenti almeno un elemento pericoloso) e CER 13 05 08 (miscugli di rifiuti delle camere a sabbia e dei prodotti di separazione acqua/olio). A Bisignano la quantità di rifiuti smaltiti è pari a 1395 + 174 tonnellate nel 2013 e 844 + 769 tonnellate nel 2014. Stessa cosa alla Econet di Lamezia Terme: 14626 + 905 tonnellate nel 2013 e 65376 + 2956 nel 2014. Alla Mida Tecnologie ambientali di Crotone, infine, sarebbero state trattate 747 + 53 tonnellate nel 2013 e 1647 + 284 tonnellate nel 2014»;
          secondo gli accertamenti eseguiti dai carabinieri del Noe, gli scarti della lavorazione, anziché quali rifiuti pericolosi sarebbero quindi stati smaltiti quali rifiuti non pericolosi ed i danni più gravi sarebbero riscontrabili a Gioia Tauro (RC);
          non è chiaro ancora quali possano essere gli effetti sulla salute dei cittadini;
          da quanto emerge da altre notizie riportate a seguito dell'inchiesta dal sito www.reggiotv.it centinaia di migliaia di tonnellate di liquidi contenenti metidieanolammina e glicole trietilenico, sostanze tossiche smaltite però come acque di produzione, sarebbero state rilasciate in mare;
          al momento le notizie starebbero ridestando viva preoccupazione, anche per il fatto che evidentemente il sistema di vigilanza regionale, come non ha rilevato il danno nel momento in cui veniva prodotto, difficilmente dispone di dati attendibili per monitorarlo  –:
          se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa, di quali elementi dispongano sulla questione e quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di promuovere un pronto monitoraggio dei danni ambientali derivanti dallo sversamento di rifiuti pericolosi denunciato dall'inchiesta denominata «Tempa Rossa» e di impedire ulteriori catastrofiche ricadute sull'ecosistema e sulla cittadinanza.
(4-12789)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa agli illeciti nella gestione dei reflui petroliferi legati all'impianto estrattivo «Tempa Rossa», si rappresenta quanto segue.
      Preliminarmente, si evidenzia che la competenza in materia di autorizzazione di impianti produttivi nonché di gestione dei rifiuti, è in carico alle Amministrazioni regionali per i casi di cui all'articolo 196, comma 1, lettere d) ed e) del decreto legislativo n.  152 del 2006, e alla competente direzione generale di valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel caso di impianti di competenza statale ai sensi dell'articolo 7, comma 4-bis del citato Testo Unico ambientale.
      Inoltre, per quanto concerne il sistema di scarico nel sottosuolo, si fa presente che, ferma restando la competenza del Ministero dello sviluppo economico in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi, lo scarico di tali acque può essere autorizzato, ai sensi dell'articolo 104, comma 3, del decreto legislativo n.  152 del 2006, recante la disciplina degli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, dalle regioni nelle «unità geologiche profonde» da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti, ovvero in altre unità aventi le stesse caratteristiche. Le relative autorizzazioni sono rilasciate corredate delle necessarie prescrizioni tecniche tese a prevenire possibili inquinamenti di altri sistemi idrici ed ecosistemi.
      In merito alle attività di controllo è utile evidenziare, altresì, che ai sensi della normativa vigente in materia ambientale la competenza territoriale in ordine al controllo delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compreso anche l'accertamento delle violazioni di cui alla parte quarta del decreto legislativo n.  152 del 2006, spetta alla province o alle regioni alle quali tali poteri potrebbero essere stati trasferiti a seguito della riforma delle predette province.
      Nell'ambito delle specifiche competenze, le autorità locali sottopongono ad adeguati controlli periodici gli stabilimenti che smaltiscono rifiuti e, ai fini dell'esercizio di tali funzioni, possono avvalersi di organismi pubblici ivi incluse le agenzie regionali per la protezione dell'ambiente con specifiche esperienze e competenze in materia.
      Tanto premesso, con specifico riferimento allo sversamento dei rifiuti pericolosi denunciato dall'inchiesta «Tempa Rossa», con particolare riguardo al filone calabrese della stessa, si fa presente che, ferme restando le indagini ancora in corso, la gestione illecita dei rifiuti sembrerebbe ascrivibile ad attività legate allo scarico nel sottosuolo di sostanze diverse dalle acque risultanti dall'estrazione di idrocarburi.
      In particolare, come riferito dal Ministero della giustizia, in data 31 marzo 2016 sono stati eseguiti provvedimenti cautelari personali e reali da parte del giudice per le indagini preliminari distrettuale di Potenza. I suddetti provvedimenti cautelari costituiscono l'esito di un approfondito e complesso percorso investigativo, le cui indagini traevano origine da una presunta attività di illecito smaltimento dei rifiuti liquidi prodotti dall'impianto petrolifero di proprietà Eni s.p.a.
      Ad ogni modo, si fa presente che ho richiesto al Nucleo operativo-ecologico dei Carabinieri (Noe) di fornire ogni possibile elemento utile per le conseguenti iniziative ministeriali di prevenzione e minimizzazione degli eventuali impatti anche potenziali nonché di contestazione, relativamente ai diversi profili della vicenda in argomento.
      A tale scopo, ferma restando ogni diversa competenza di carattere regionale o di altre istituzioni, sempre su mia iniziativa, è stato inoltre costituito uno specifico gruppo di lavoro, a cui hanno partecipato il comandante del comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente, due rappresentanti dell'Ispra, e le competenti direzioni generali del Ministero dell'ambiente. Tale Gruppo di lavoro ha già formulato delle proposte tecniche finalizzate anche a rafforzare le attività di controllo e monitoraggio.
      Si segnala inoltre che è in corso l'esame del provvedimento relativo all'istituzione del sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, finalizzato ad armonizzare da un punto di vista qualitativo e quantitativo le attività delle agenzie sul territorio, nonché a realizzare un sistema integrato di controlli coordinati dall'Ispra. Le funzioni di indirizzo e di coordinamento tecnico dell'Ispra sono principalmente volte a rendere omogenee, attraverso norme tecniche vincolanti, le attività del Sistema Nazionale e a disciplinare i «livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali» (Lepta). Si tratta di una riforma di cui si avverte una assoluta necessità, poiché appare opportuno ed urgente realizzare un coordinamento volto a garantire uniformità di valutazione e giudizio in tutto il Paese sulle delicate questioni ambientali.
      Per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato, nonché a svolgere un'attività di monitoraggio nei confronti dei soggetti territorialmente competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      FAVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 5 maggio 1972 si verificava, in contrada Montagnalonga, in territorio di Carini (in provincia di Palermo), un disastro aereo che cagionava il decesso di 115 persone;
          in esito al disastro, la procura di Catania, competente territorialmente in quanto a bordo dell'aereo si trovava anche un magistrato in servizio presso gli uffici giudiziari di Palermo, ha, a suo tempo, avviato un procedimento penale per disastro e omicidio colposo, conclusosi con l'assoluzione di tutti gli imputati;
          le conclusioni dell'inchiesta hanno stabilito che la strage di MontagnaLonga dovesse essere archiviata come una tragica sciagura attribuibile a cause naturali o a errori umani dei piloti;
          nel 1976 un rapporto giudiziario a firma del vice questore di Trapani Giuseppe Peri indicava taluni elementi che consentirebbero di ipotizzare che la causa del disastro possa essere attribuita a un attentato;
          nel rapporto si faceva «espresso riferimento alla caduta dell'aereo come episodio inquadrabile nella c.d. strategia della tensione ed espressione di un vero e proprio attentato finalizzato ad indebolire la credibilità dello Stato»;
          altre circostanze, certamente degne di approfondimento, sono state offerte nel corso di spontanee dichiarazioni alla procura della Repubblica di Palermo dai familiari di alcune delle vittime;
          in particolare:
              il nastro della scatola nera dell'aereo era stato sostituito il 30 aprile 1972 e contestualmente strappato in modo da non potere più ricostruire le fasi antecedenti all'incidente, come risulta dalla sentenza della corte di appello di Catania, sez.l, del 13 giugno 1983 in cui, in relazione alla scatola nera, si afferma che «risulta che il nastro è stato trovato strappato in corrispondenza di un tempo di volo di circa sette ore dalla installazione»;
              non era stata svolta una perizia balistica sui corpi delle vittime;
              alcuni passeggeri erano stati ritrovati disintegrati, mentre altri, che sedevano nella parte della coda dell'aereo, erano integri;
              i piloti dell'ANPAC non avevano potuto visionare gli altimetri di bordo ed altri pezzi del relitto dell'aereo, perché il direttore dell'aeroporto di Boccadifalco non li aveva posti a loro disposizione;
              le perizie svolte ed acquisite nell'ambito del processo erano tra loro contraddittorie su vari punti, ed in particolare sulla ricostruzione dei percorsi e del piano di volo, come risulta dalle sentenze del tribunale penale di Catania, sez.I del 27 aprile 1982 e della corte di appello di Catania, sez.1, del 13 giugno 1983;
              l'inchiesta ministeriale fu svolta in appena nove giorni ed apparve fortemente sommaria nelle conclusioni a cui giunse;
              vi era stata anche la cancellazione e la manomissione dei nastri registrati dalla torre di controllo con cui il velivolo era in contatto;
              numerose testimonianze raccolte subito dopo i fatti convenivano sul fatto che si sarebbe verificato un incendio a bordo dell'aeromobile, evento perfettamente compatibile con l'esplosione a bordo di un ordigno, o con l'abbattimento dell'aeromobile da parte di ignoti;
          le numerose istanze per una riapertura dell'indagine, presentate nel corso degli anni dai familiari di alcune delle vittime, sono fondate su una serie, a giudizio dell'interrogante, assolutamente convergente, di prove dichiarative e di elementi fattuali;
          nessun seguito è stato offerto a queste istanze, nonostante l'imprescrittibilità dell'eventuale reato ipotizzato di strage;
          sarebbe opportuno effettuare, al fine di accertare l'eventuale matrice dolosa del disastro, ulteriori accertamenti e approfondimenti tecnici, chiesti dai familiari, e in particolare:
              1) esame dei rilievi di sopralluogo: i monconi, qualora l'aereo fosse giunto integro all'impatto con la montagna, si sarebbero dispersi su un'area relativamente ristretta, in caso di esplosione su un'area più ampia; in quest'ultimo caso, peraltro, anche i corpi dei passeggeri sarebbero stati oggetto di una «dispersione» di tipo casuale che potrebbe non seguire necessariamente la disposizione dei passeggeri secondo i posti assegnati all'imbarco;
              2) esame dei rilievi cadaverici e degli esami autoptici dei piloti all'epoca espletati, per verificare la lesività riscontrata e la natura delle lesioni, nonché di apprezzare eventuali segni indicativi di caduta dall'alto, proiezione o propulsione fuori dal mezzo;
              3) esame dei resti dell'aeromobile e del terreno, onde verificare lo stato dei resti (ad es., dei sedili, per accertare l'eventuale presenza di frammenti metallici di natura ultronea) ed effettuare indagini strumentali per la determinazione di eventuali residui di esplosivi;
              4) esame dei bagagli ed effetti personali delle vittime, per valutare lo stato al momento dell'impatto, nonché condurre esami tesi a verificare la presenza di eventuali residui di esplosivi;
              5) esame dei cadaveri, applicando tecniche medico-legali di indagine radiologica (Rx, TC spirale, RMN), ai tempi del disastro non in uso, onde accertare se nei corpi siano reperibili eventuali frammenti metallici o materiali ultronei ritenuti nelle varie sedi corporee;
              6) ricostruzione del volo sulla base di tutti i dati disponibili e su tecniche moderne di simulazione e algoritmi di calcolo aereomeccanico al fine di verificare tempi e rotta dell'aeromobile e modalità spazio temporali del disastro  –:
          se risulti al Governo se su uno o più atti relativi al disastro di Montagnalonga sia stato posto il vincolo del segreto di Stato;
          se siano state disposte indagini amministrative ulteriori in ordine alle cause del disastro aereo, e quali ne siano eventualmente gli esiti;
          se il Governo non intenda fornire alla magistratura ogni elemento utile in suo possesso, al fine di ogni iniziativa di competenza volta a chiarire la tragica vicenda.
(4-12096)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame concernente il disastro aereo verificatosi il 5 maggio 1972 in contrada Montagna Longa, in territorio di Carini (in provincia di Palermo), si trasmette la risposta elaborata in conformità agli elementi informativi comunicati al dipartimento per i rapporti con il Parlamento dalla segreteria tecnica dell'ufficio del Sottosegretario di Stato – autorità delegata per la sicurezza della Repubblica.
      Al riguardo, il dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), per quanto di competenza del comparto intelligence, ha riferito, in primo luogo, che la vicenda è stata oggetto di due distinte istanze di accesso agli atti in possesso degli organismi di informazione, presentate da alcuni familiari delle vittime negli anni 2011 e 2014 al fine di verificare la presenza di documentazione afferente il succitato incidente, alle quali lo stesso dipartimento ha fornito riscontro, escludendo la presenza presso il comparto di documentazione significativa sulla questione.
      Per quanto concerne il quesito formulato dall'interrogante volto a conoscere se riguardo al disastro sia stato posto il vincolo del segreto di Stato, l'Aise, l'Aisi e l'Ucse hanno comunicato che agli alti non risulta sia stato apposto ovvero opposto il vincolo del segreto di Stato su uno o più documenti relativi al disastro aereo di Montagna Longa.
      Per quanto attiene alle restanti richieste il Dis ha confermato che il comparto non dispone di elementi informativi di interesse e, in ogni caso, ha precisato che gli organismi di informazione hanno sempre assicurato la massima collaborazione nel dare riscontro alle richieste pervenute dall'autorità giudiziaria.
La Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento: Maria Elena Boschi.


      FAVA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          da due distinti articoli, pubblicati sul settimanale l'Espresso nel marzo e nell'aprile 2016, a firma del giornalista Fabrizio Gatti, si apprende che un gruppo di cittadini italiani gestisce a Las Vegas un giro di affari, operazioni commerciali e attività finanziarie, dai contorni poco chiari;
          dal giornalista viene evidenziato che si tratta di personaggi che, «nonostante risultino ufficialmente nullatenenti o quasi al fisco, hanno comprato società e ristoranti grazie a una girandola di conti correnti aperti negli Stati Uniti»;
          nell'inchiesta si riferisce anche di guadagni milionari ottenuti dagli stessi, in qualità di procacciatori di clienti o di semplici giocatori, nei casinò Aria e Bellagio, due tra i più prestigiosi della città dello Stato del Nevada;
          gli articoli raccontano della presenza di alcuni dei soggetti in questione nell'inchiesta «Rischiatutto» della Direzione distrettuale antimafia di Napoli sul riciclaggio di denaro nel gioco d'azzardo, in quella condotta dalla magistratura di San Marino sul tesoro della Banda della Magliana e inoltre in segnalazioni giunte all'FBI di Las Vegas e alla Guardia di finanza;
          negli stessi viene sottolineato che l'avvocato Dominic Gentile, console italiano a Las Vegas, è il difensore di «famosi assassini e criminali» ed è finito sui giornali per avere ottenuto come pagamento dell'onorario, da parte di due suoi clienti condannati per omicidio, il più noto locale di spogliarelli della città, il «Palomino Club», oggi di proprietà del figlio di Gentile;
          dalla lettura complessiva non emerge con chiarezza se su queste vicende e sui personaggi in esse coinvolti sia stata svolta un'attenta e puntuale attività di controllo da parte del console italiano Gentile  –:
          se non intenda assumere tutte le iniziative di competenza dirette verificare l'attività svolta dal consolato italiano di Las Vegas, con particolare attenzione alle vicende in questione;
          se non ritenga di dover riconsiderare l'opportunità dell'affidamento del ruolo di console onorario all'avvocato Gentile i cui comportamenti, descritti nell'articolo, non sembrano all'interrogante appropriati alla funzione di rappresentanza istituzionale che ne deriva e allo svolgimento dei compiti ad essa connessi. (4-13210)

      Risposta. — Si precisa innanzitutto che il signor Gentile non è più titolare dell'ufficio consolare onorario di Las Vegas. Il 25 marzo 2016 egli ha infatti cessato dall'incarico per il raggiungimento dei limiti anagrafici previsti dalla legge.
      La candidatura del signor Gentile all'incarico onorario era stata a suo tempo motivata non solo sulla base del suo qualificato curriculum vitae — è considerato uno dei più competenti ed apprezzati avvocati a Las Vegas — ma anche in virtù della stima e della reputazione di cui egli gode presso le autorità locali e, soprattutto, la collettività italiana.
      La sua nomina è avvenuta secondo la più rigorosa osservanza delle regole procedurali stabilite dal nostro ordinamento, il conferimento dell'incarico è stato preceduto dalle prescritte verifiche di sicurezza ed affidabilità sul possesso dei requisiti necessari all'esercizio del servizio consolare onorario. Parimenti anche le autorità statunitensi hanno condotto i dovuti accertamenti sul conto dell'avvocato Gentile e solo a seguito delle favorevoli risultanze il dipartimento di Stato di Washington ha comunicato alla nostra ambasciata il nulla osta all'esercizio delle funzioni onorarie (nulla osta che, nel sistema statunitense, si sostanzia nel rilascio della cosiddetta « Consular ID Card»);
      In merito alle specifiche accuse mosse da organi di stampa verso il signor Gentile, il consolato generale in Los Angeles — preposto alla sorveglianza delle attività del Consolato onorario in Las Vegas — ha fatto stato che il servizio del signor Gentile è sempre stato pienamente corretto e che non è mai stato oggetto di segnalazioni tali da comportare da parte della sede consolare, per quanto di sua competenza, un interessamento della magistratura italiana. Non risulta inoltre che le Autorità statunitensi abbiamo mai trasmesso al consolato generale di Los Angeles comunicazioni su eventuali attività illecite commesse dall'avvocato Gentile. Quest'ultimo, per contro, ha svolto, nel corso del suo mandato di console onorario, un assiduo e proficuo lavoro a favore dei connazionali, contraddistinto da «prontezza di azione ed efficacia».
      Nelle more dell'individuazione e della nomina di un sostituto alla titolarità dell'ufficio onorario, il consolato generale di Los Angeles ha nominato l'avvocato Gentile, corrispondente consolare. Si tratta di una consolidata prassi per evitare brusche interruzioni nelle attività di assistenza ai connazionali nelle circoscrizione di riferimento. L'incarico di corrispondente consolare ha peraltro una portata nettamente più limitata rispetto alla titolarità dell'Ufficio consolare onorario, trattandosi di un istituto non direttamente previsto dal diritto internazionale e privo quindi di qualsiasi rilevanza sul piano esterno. Il corrispondente consolare, infatti, non può rilasciare atti consolari di alcun tipo, non avendo poteri di firma. Svolge più che altro una funzione di collaborazione e «antenna» verso l'ufficio consolare da cui dipende, eseguendo i compiti di volta in volta affidatigli.
      Sulla base di quanto sopra, non si ritiene di dover assumere iniziative in merito alle funzioni svolte dall'avvocato Dominic Gentile.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Vincenzo Amendola.


      FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca — Per sapere – premesso che:
          negli spazi dell'università di Udine è stata recentemente ospitata una festa-convegno del Pd. Così facendo risulterebbero violati i principi di libertà, indipendenza, e imparzialità che dovrebbe mantenere l'università pubblica, visto che la legge nazionale n.  240 del 2010, all'articolo 1, comma 1, stabilisce che «le università sono sede primaria di libera ricerca e di libera formazione...», sancendo inoltre all'articolo 2, comma 1, l'attribuzione al rettore della «responsabilità del perseguimento delle finalità dell'università (...);
          anche lo statuto dell'università di Udine all'articolo 1, comma 1, sottolinea che «l'Università degli Studi di Udine... è sede primaria di libera ricerca e libera formazione... contribuendo con ciò allo sviluppo civile, culturale, sociale ed economico del Friuli». E lo stesso codice etico di ateneo nel preambolo afferma che «ricerca, didattica e studio debbono essere esercitate in uno spirito di libertà, intesa come indipendenza da qualsiasi pregiudizio o condizionamento ideologico». Inoltre, all'articolo 1, comma 2, si parla di «imparzialità razionale rispetto a tutte le prospettive culturali, religiose, politiche e scientifiche» e, all'articolo 11, comma 1, si afferma che «l'utilizzo del nome e del logo sono consentiti esclusivamente per scopi istituzionali», cioè appunto per libera ricerca e libera formazione. Infine, il disciplinare di ateneo recita che «gli spazi non vengono concessi per iniziative di carattere politico o simili»;
          lo stesso rettore dell'ateneo friulano, intervenendo sulla stampa locale, ha affermato che è opportuno chiarire le diverse violazioni ipotizzate a norme e regolamenti dell'ateneo di Udine;
          non calza il richiamo del rettore ad appuntamenti elettorali in cui nel passato i candidati hanno sfilato all'università, con esplicito riferimento ad Alessandra Guerra, approdata nel 2003 a palazzo Antonini da candidata alla presidenza della regione. L'intervento della Guerra si inquadrava infatti nella presentazione dei programmi dei tre candidati, organizzata da un gruppo di docenti della facoltà di lettere che, con l'autorizzazione dell'allora rettore Furio Honsell, avevano invitato Illy, Saro e Guerra a esprimersi sui problemi dell'università, nel pieno rispetto della par condicio sia pure in distinte giornate. Spazi quindi non concessi a un partito, ma a operatori universitari non espressione di qualche fazione politica;
          il Ministro interrogato intervenendo alla Camera dei deputati sulla questione, ha di fatto addossato la responsabilità dei fatti all'università di Udine, che avrebbe agito nell'ambito della propria, autonomia, valutando di «interesse generale» una festa-convegno di partito;
          ad avviso dell'interrogante il Ministro dovrebbe ribadire l'alto dovere politico e morale di preservare da attenzioni improprie la credibilità e l'autorevolezza dell'università di Udine e dell'istituzione universitaria più in generale  –:
          se il Ministro intenda rendersi disponibile a chiarire la propria posizione in ordine all'ipotesi di mancato rispetto delle norme sopracitate nell'azione del rettore, in riferimento alla festa-convegno del PD, promossa dal rettore stesso, a mezzo email indirizzata a tutto il personale e agli studenti, contenente il link al sito del Pd, evento a cui lo stesso rettore ha partecipato, intervenendo in vari momenti, e ospitata presso i locali dell'università, adottando ogni provvedimento di competenza. (4-12159)

      Risposta. — In riferimento alla questione posta dagli interroganti, circa l'utilizzo degli spazi universitari dell'Ateneo di Udine in occasione del convegno menzionato nel testo dell'interrogazione, appare opportuno, in via preliminare, precisare che tale materia rientra nell'ambito dell'autonomia universitaria.
      Infatti, le università godono, ai sensi dell'articolo 6, comma 1 della legge n.  168 del 1989, di una formale e sostanziale autonomia, riconosciuta dall'articolo 33 della Costituzione. In particolare, il suddetto comma recita che: Le università sono dotate di personalità giuridica e in attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si datino ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti.
      Nell'ambito di tale autonomia e nell'esercizio della discrezionalità del proprio ruolo, il rettore ha, quindi, ritenuto di ospitare l'iniziativa descritta nell'atto di sindacato ispettivo.

      Anche il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stato invitato al convegno unitamente ad altri numerosi rappresentanti degli organi istituzionali del settore tra cui i presidenti della CRUI, del CUN, dell'ANVUR, del CNSU, del CNR e a molteplici rettori professori e ricercatori di varie università italiane.
      Ciò nonostante, pur a fronte di prerogative che il rettore esercita nella sua piena autonomia, il Ministro ha ritenuto opportuno chiedere allo stesso immediati approfondimenti, che sono stati resi con nota scritta il cui contenuto, già esposto in precedenti atti di sindacato ispettivo, viene di seguito riassunto.
      Il rettore, in particolare, ha comunicato di aver attentamente valutato, nel rispetto della normativa di ateneo e nell'ambito della discrezionalità del proprio ruolo, di accogliere la richiesta di concessione degli spazi, visti i contenuti e la tipologia della manifestazione denominata: Più valore al capitale umano. Università, ricerca e alta formazione motori di sviluppo.
      Lo stesso ha dichiarato di essersi scrupolosamente attenuto al regolamento generale di amministrazione, finanza e contabilità che recita, all'articolo 60: L'Università, verificati l'interesse istituzionale e la convenienza, può concedere in uso spazi a soggetti pubblici e privati sia a titolo oneroso che a titolo gratuito, sulla base delle modalità definite da Regolamento sull'uso degli spazi.
      Riferisce, inoltre, il rettore, che tale disciplina supera quanto contenuto in un vecchio disciplinare dell'ateneo, privo di valore prescrittivo e comunque precedente al nuovo Regolamento di amministrazione, che prevedeva il divieto di uso degli spazi per iniziative di carattere politico o simili.
      Il rettore ha altresì, precisato che i costi degli spazi e dei servizi posti a disposizione dell'Università sono stati coperti interamente dagli organizzatori.

      La scelta di ospitare tale convegno è maturata, espone il rettore, nell'ambito della consolidata apertura dell'ateneo verso la discussione di tematiche relative al sistema universitario che, già nello scorso mese di luglio, avevano visto università di Udine promuovere tre giorni di confronto sui nuovi saperi e metodi del sistema universitario, coinvolgendo gran parte dei rettori italiani, guidati dal presidente della CRUI, imprese, giornalisti, enti pubblici e organizzazioni territoriali.
      Inoltre, da quanto emerge dalla nota trasmessa dal rettore, lo stesso, nell'ambito della propria discrezionalità, appare aver agito nel pieno rispetto della normativa di ateneo, ritenendo il tema del convegno di interesse istituzionale per l'università degli studi di Udine.
      Occorre, inoltre, considerare che l'iniziativa è stata condivisa dagli organi decisionali dell'ateneo.
      Pertanto, appare evidente che non spetta al Ministero fare valutazioni di merito se non quelle di rispetto della piena autonomia degli atenei che hanno una possibilità, offerta dalla legge, di decidere sulla base di principi discrezionali.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          con precedente atto di sindacato ispettivo n.  4-10960 l'interrogante richiamava l'attenzione del Ministro interrogato sul caso di un libro di testo utilizzato, nonostante le proteste dei genitori degli alunni, in una classe seconda di una scuola elementare di Aviano ed in una classe quinta di una scuola elementare di Trieste contenente espliciti riferimenti alla teoria cosiddetta «Gender»;
          in particolare, si poneva l'accento sull'assurdità di lasciare alla volontà degli insegnanti la funzione educativa su tematiche così importanti, come la sessualità e l'identità di genere, ponendo i bambini dinanzi a modelli sociali spesso discutibili e non condivisi dai genitori e sottraendo alla famiglia il proprio ruolo di educatrice morale e sessuale;
          con tale atto, quindi, l'interrogante chiedeva al Ministro se fosse a conoscenza di progetti organizzati da Arcigay e finanziati dalla regione Friuli Venezia Giulia e se non ritenesse di assumere le opportune iniziative normative volte a rendere effettivo l'esercizio del diritto all'educazione dei figli, costituzionalmente garantito ma sempre più disatteso dall'ideologia oggi imperante nelle scuole volta ad annullare l'identità sessuale dei figli;    
          con risposta del 15 giugno 2016 il Governo richiamando la nota ministeriale del 15 settembre 2015, n.1972, precisa che alle famiglie «spetta il diritto e il dovere di conoscere prima dell'iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano dell'offerta formativa (...)» e, con riguardo al caso sollevato dall'interrogante, «che, a norma dell'articolo 151 del decreto legislativo n.  297/1994 (Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione), l'adozione dei libri di testo spetta al collegio dei docenti di ciascuna istituzione scolastica, assicurando in ogni caso che le scelte siano espressione della libertà di insegnamento e dell'autonomia professionale dei docenti»;
          l'interrogante si ritiene totalmente insoddisfatto di tale risposta, elusiva della questione da lui posta;
          peraltro, la citata risposta conferma le preoccupazioni dell'interrogante e di molti genitori, posto che il piano dell'offerta formativa può prevedere percorsi educativi contro ogni forma di discriminazione – e dunque condivisibili dai genitori al momento dell'iscrizione dei propri figli – ed i libri di testo – scelti in totale autonomia dagli insegnanti possono essere poco obiettivi sull'argomento, espressione di idee non condivisibili dai genitori e strumento per influenzare i bambini/ragazzi  –:
          se il Ministro interrogato intenda rispondere in maniera esaustiva alle questioni sollevate, al fine di rassicurare, tutti quei genitori, allarmati da una ideologia oggi imperante nelle scuole volta ad annullare l'identità sessuale dei figli e da un insegnamento scolastico che, a giudizio dell'interrogante, in nome dell'autonomia, travalica l'ambito di formazione, esautorando i genitori della potestà educativa.
       (4-13711)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene riproposta la questione, già evidenziata nel precedente atto n.  4-10960 relativa al progetto: A scuola per conoscerci, interventi didattico-educativo e di formazione, aggiornamento per la prevenzione e il contrasto dell'omofobia e del bullismo omofobico a scuola della Regione Friuli-Venezia Giulia attraverso cui verrebbe, secondo Fonde interrogante, veicolata nelle scuole coinvolte la così detta teoria gender.
      A maggior chiarimento di quanto esplicitato nella risposta alla precedente interrogazione, sì evidenzia che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è impegnato a promuovere nelle scuole la cultura del rispetto delle differenze, nonché la consapevolezza dei diritti e dei doveri con l'obiettivo di formare cittadini responsabili. Proprio le autonomie scolastiche rappresentano il riferimento fondamentale per mettere in atto tutte quelle misure necessarie per prevenire e contrastare ogni forma di violenza e discriminazione. In tal senso, l'azione del MIUR si sostanzia nel fornire la cornice pedagogica, educativa e culturale nell'ambito della quale le scuole possono promuovere autonome iniziative.

      Più nello specifico, il ministero è intervenuto ripetutamente in presenza di informazioni non veridiche che si erano diffuse concernenti il disposto dell'articolo della legge n.  107 del 2015, proprio in merito alla così detta teoria gender.
      Con nota del 6 luglio 2015 e soprattutto con successiva nota del 15 settembre 2015 è stata difatti ufficializzata la posizione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al riguardo. Con la circolare n.  1972 diramata sia agli uffici scolastici regionali che ai dirigenti scolastici, è stato espressamente scritto che la finalità del citato comma 16 non è quella di promuovere pensieri e azioni ispirati ad ideologie di qualsivoglia natura, bensì quella di trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo ai diritti e ai doveri della persona costituzionalmente garantiti, anche per raggiungere e maturare le competenze chiave di Cittadinanza, nazionale, europea e internazionale, entro cui rientrano la promozione all'autodeterminazione consapevole e del rispetto della persona.

      Né a mente della legge 107, né a mente di altri atti di indirizzo di questo ministero rientrano, quindi le ideologie gender né l'insegnamento di pratiche estranee ai mondo educativo.
      Ispirandosi, invece, le azioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ad indicazioni di matrice europea oltre che nazionale si veda l'articolo 5 del decreto legge n.  93 del 2013 nelle quali non c’è traccia di ideologie di qualsivoglia natura, tanto meno della richiamata teoria gender.
      Con la circolare, è stata pertanto chiarita la portata della norma in discorso, che si ispira ai principi di pari dignità e non discriminazione di cui agli articoli 3, 4, 29. 37 e 51 della nostra Carta costituzionale, volta a far conseguire agli alunni un maggior rispetto delle diversità e delle pari opportunità.

      Anche in relazione all'attuazione della suddetta previsione legislativa, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca esercita il proprio ruolo istituzionale e di garanzia attraverso azioni mirate il più possibile condivise con tutti i soggetti interessati, le famiglie, gli studenti, le loro associazioni rappresentative e gli organi collegiali, in raccordo con le realtà del territorio.
      Alle famiglie, quindi, spetta esercitare il diritto, ma anche il dovere, di conoscere prima dell'iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del piano dell'offerta formativa e, per la scuola secondaria, sottoscrivere formalmente il patto educativo di corresponsabilità, valutando così il Piano dell'offerta formativa che i docenti affronteranno durante l'anno che dovrà, comunque, risultare coerente con le indicazioni per il curricolo, gli obiettivi e le finalità previste dall'attuale ordinamento scolastico e con le linee di indirizzo emanate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
      Alle scuole il compito – nelle forme e modalità che riterranno più opportune ed efficaci e che individueranno, sulla base dell'autonomia didattica e gestionale loro attribuita – di predisporre azioni nel rispetto delle citate linee di indirizzo generale che stanno per essere appositamente divulgate dal Ministero e saranno utili a monitorare e supportare le scuole nelle azioni previste dal richiamato comma.
      Venendo al progetto denominato «A scuola per conoscerci. Interventi didattici- educativi e di formazione/aggiornamento per la prevenzione e il contrasto dell'omofobia e del bullismo omofobico a scuola si precisa alla luce delle informazioni acquisite dai competente ufficio scolastico regionale che questo nasce nel 2009 con il sostegno e il contributo della regione Friuli Venezia Giulia e della facoltà di psicologia dell'università degli studi di Trieste e il patrocinio o il coinvolgimento a vario titolo dei comuni di Trieste, Udine e Pordenone, dalla Provincia di Gorizia, di Trieste e Pordenone, dalle Aziende per i servizi sanitari Triestina, Isontina, del Medio Friuli, Friuli Occidentale e Bassa Friulana.
      Il progetto è caratterizzato da finalità specifiche ed esclusive di contrasto al bullismo omofobico e non ad esempio, di educazione sessuale o affettiva.
      Esso è stato proposto alla valutazione delle scuole autonome della regione, molte delle quali io hanno inserito nei propri gialli dell'offerta formativa, nell'ambito delle iniziativa di educazione alla legalità e al contrasto al bullismo. Sono stati coinvolti dall'anno scolastico 2009/2010 oltre 7.000 studenti e circa 30 tra scuole medie e superiori del Friuli Venezia Giulia. In relazione a tale progetto la regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha erogato nel 2009 e nel 2011 un contributo per attività di particolare rilevanza ai sensi dell'articolo 8 della legge regionale n.  12 del 1995, Nell'anno 2014 e 2015 il progetto è stato finanziato dalla regione come progetto speciale.
      All'interno della comunità scolastica i destinatari del progetto sono gli studenti della scuola secondaria di primo e secondo grado, i docenti, i dirigenti, il personale ausiliario tecnico amministratore della scuola, i genitori degli studenti.

      Le scuole individuano le classi da coinvolgere è propongono agli psicologi eventuali temi o problematiche specifiche da affrontare.
      Non ci sono oneri a carico delle istituzioni scolastiche: essi sono posti a carico della regione Friuli-Venezia Giulia.
      Da una ricerca effettuata dall'università di Trieste – dipartimento di scienze della vita attraverso la somministrazione agli studenti di questionari costruiti per testare l'efficacia degli interventi di riduzione del pregiudizio sessuale nell'ambito di questo progetto, è risultato che il livello di omofobia si riduce dopo i due interventi condotti nelle classi tenendo conto di alcuni parametri, come il linguaggio e gli atteggiamenti.
      Per quanto riguarda il ruolo dell'ufficio scolastico regionale, si precisa che esso, a partire dall'anno scolastico 2014-2015, ha assunto esclusivamente il ruolo di diffusione iniziale di informazioni alle scuole della regione, non partecipando lo stesso alla rete delle scuole né alle specifiche iniziative di formazione.
      Pertanto, attualmente l'ufficio medesimo non è direttamente coinvolto in nessun aspetto della gestione del progetto in argomento.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      GREGORIO FONTANA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          sono passati sei anni dalla riforma del codice della strada che doveva aprire la possibilità per i comuni di installare semafori intelligenti, al momento tenuti spenti in numerose realtà in attesa di un decreto attuativo;
          i semafori intelligenti sono dispositivi a basso costo che permettono di migliorare la sicurezza stradale, in grado di passare dal giallo lampeggiante al verde o rosso nel caso si superino i limiti previsti, risultando più efficaci rispetto ai dossi e meno onerosi rispetto alle zone 30;
          tali dispositivi sono già installati in diversi comuni, in alcuni sono già operativi, in altri, come Bergamo, si è preferito attendere una normativa specifica per evitare eventuali contenziosi;
          dal punto di vista normativo si attende anche una soluzione chiara e definitiva per quanto riguarda i semafori pedonali con il conta secondi, già sperimentati in numerose città  –:
          se e in quali tempi il Governo provvederà all'emanazione dei decreti attuativi relativi ai semafori intelligenti e ai semafori pedonali conta secondi, al fine di consentire, nei comuni dove tali dispositivi sono già stati installati, un utile e conforme utilizzo di questi nuovi strumenti per garantire una maggiore efficienza e risparmio. (4-12928)

      Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      Come è noto l'articolo 60 della legge n.  120, del 29 luglio 2010 ha previsto che con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanare sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, siano definite le caratteristiche per l'omologazione e per l'installazione di tre tipologie di dispositivi: quelli finalizzati a visualizzare il tempo residuo di accensione delle luci dei nuovi impianti semaforici, quelli impiegati per regolare la velocità e quelli attivati dal rilevamento della velocità dei veicoli in arrivo.
      In relazione a tale previsione normativa sono state attuate sul territorio nazionale una serie di sperimentazioni riguardanti i dispositivi del primo tipo. A conclusione di dette sperimentazioni, accertato l'esito delle stesse, questo Ministero ha redatto una bozza di decreto che approva le norme inerenti le caratteristiche tecniche per l'omologazione e per l'installazione dei citati dispositivi.
      Il testo è attualmente all'esame del Consiglio superiore dei lavori pubblici, in qualità di massimo organo tecnico-consultivo dello Stato, per il parere e sarà poi sottoposto all'esame della Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
      In merito, poi, agli impianti impiegati per regolare la velocità, come si è già avuto modo di riferire in altri atti di sindacato ispettivo, questi non possono essere abbinati agli impianti semaforici, in quanto comporterebbero difformità rispetto alle prescrizioni di cui all'articolo 158 del regolamento di attuazione del codice della strada (decreto del Presidente della Repubblica 495 del 1992).
      Si fa presente, infine, che è in corso di predisposizione da parte dei competenti uffici di questo ministero una bozza di decreto per disciplinare le caratteristiche dei dispositivi che indicano la velocità tenuta dai veicoli in transito, ovvero attivati dal rilevamento della velocità. Anche in questo caso il decreto, in quanto norma tecnica, ai sensi dell'articolo 13 del codice della strada, dovrà essere inviato al Consiglio superiore dei lavori pubblici per il parere e successivamente dovrà essere trasmesso, ai sensi del citato articolo 60 della legge 120 del 2010, alla Conferenza Stato – città ed autonomie locali.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Graziano Delrio.


      FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          con la legge provinciale n.  15 del 2008, la provincia autonoma di Trento ha istituito il distretto agricolo del Garda Trentino avente le finalità di salvaguardia, qualificazione e potenziamento delle attività agro-silvopastorali; promozione della fruizione culturale, turistica e ricreativa dell'ambiente; valorizzazione e recupero paesistico e ambientale; promozione dell'equilibrio ambientale dell'area del distretto e delle zone circostanti;
          per l'istituzione del distretto agricolo e per coordinare le azioni e le attività di competenza degli enti interessati, la predetta legge provinciale ha previsto il raggiungimento di una intesa, promossa dalla provincia, con la comunità di valle Alto Garda e Ledro (42.955 abitanti) e i comuni di Arco (17.371 abitanti), Drena (550 abitanti), Dro (4.884 abitanti), Nago-Torbole (2.857 abitanti), Riva del Garda (16.859 abitanti) e Tenno (2.038 abitanti);
          la medesima legge provinciale n.  15 del 2008 ha stabilito che alla gestione del distretto e allo svolgimento delle funzioni la comunità di valle avrebbe dovuto provvedere mediante l'istituzione di un'apposita agenzia che avrebbe dovuto adottare il programma di attività del distretto definendone strategie obiettivi e priorità degli interventi e rendere, altresì, il parere in sede di formazione degli strumenti di pianificazione territoriale dei comuni interessati;
          l'articolo 7 della legge n.  15 del 2008 prevede che, ove la comunità di valle non provveda ad istituire il distretto entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge medesima, la provincia, previa diffida, eserciti i poteri sostitutivi previsti dal vigente ordinamento sentiti i comuni interessati;
          nel luglio 2011 si è proceduto all'attivazione di un tavolo di confronto tra i soggetti interessati, i cui lavori sono terminati nel febbraio 2013 con la redazione di una bozza di intesa istituzionale e di una bozza di regolamento dell'agenzia. Ciò nonostante, la provincia non ha mai provveduto alla sottoscrizione della predetta intesa istituzionale;
          la provincia autonoma, nonostante sia titolare del potere sostitutivo, previsto dal citato articolo 7 della legge n.  15 del 2008 nei confronti dei comuni, sinora ha omesso di attivarsi al fine di rendere operativo il distretto, impedendo così l'attuazione della legge con conseguente menomazione della tutela dell'ambiente e del paesaggio rientrante tra le finalità precipue della legge medesima;
          come risulta da notizie di stampa, dall'entrata in vigore della legge n.  15 del 2008, il territorio del Garda trentino è stato stravolto dalla lottizzazione selvaggia e dalla cementificazione che ne hanno minato la bellezza naturale;
          la tutela dell'ambiente e del paesaggio, rientrante tra le materie di legislazione esclusiva statale, ex articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nel nostro ordinamento giuridico costituisce un valore la cui protezione è fissata dai precetti costituzionali di cui agli articoli 9 e 32 della Costituzione e assume il valore di diritto fondamentale, come più volte affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n.  8 del 2004);
          lo statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, all'articolo 54, comma 1, n.  5, prevede che spetta alla giunta provinciale la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni comunali e sugli altri enti o istituti locali, compresa l'eventuale nomina di commissari ad acta, riservando allo Stato tali provvedimenti straordinari allorché siano dovuti a motivi di ordine pubblico e quando si riferiscano a comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, con ciò configurando uno straordinario intervento a tutela di interessi unitari. Un intervento straordinario di carattere centrale è previsto altresì dall'articolo 120 della costituzione, che la Corte costituzionale (sentenza n.  236 del 2014) ha ritenuto applicabile anche alle province autonome;
          sino ad oggi la mancata attuazione della legge n.  15 del 2008 e il mancato esercizio da parte della giunta provinciale del potere sostitutivo affidatole, hanno pregiudicato il diritto delle popolazioni interessate alla tutela dell'ambiente e del paesaggio. Tale mancata tutela impone un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme dello statuto di autonomia e comunque richiede un intervento di carattere centrale, intervento dal quale non può prescindersi tutte le volte in cui venga in considerazione un bene fondamentale di rango costituzionale, qual è l'ambiente, che altrimenti rimarrebbe sguarnito di qualsiasi salvaguardia, nonché tutte le volte in cui il soggetto cui sono affidate le relative funzioni di tutela ometta di esercitare le attribuzioni conferitegli dalla legge  –:
          se il Governo ritenga di dover valutare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio dei poteri di competenza, in particolare sulla base del richiamato articolo 54 dello statuto speciale della regione, per garantire la tutela dei diritti della popolazione della comunità di valle alla salvaguardia e qualificazione dei territori rispettivamente interessati. (4-12113)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi forniti dal commissariato del Governo per la provincia di Trento, si rappresenta quanto segue.
      La legge provinciale n.  15 del 2008 pone in capo alla comunità di Valle Alto Garda e Ledro le attività da porre in essere per la propria attuazione tanto che, come riportato nell'interrogazione, la comunità Alto Garda e Ledro si è attivata a partire dall'anno 2011 istituendo un tavolo di lavoro a cui sono stati invitati a partecipare tutti i soggetti attivi interessati (organizzazioni sindacali agricole, cooperative agricole, azienda di promozione turistica, aziende agricole singole, amministrazioni comunali, strutture della provincia autonoma).
      Il tavolo di lavoro, riunitosi numerose volte, ha predisposto due documenti: una bozza di intesa istituzionale tra provincia autonoma di Trento e Comunità Alto Garda e Ledro, riguardante tutti gli aspetti legati all'attuazione della legge n.  15 del 2008, e una bozza di regolamento dell'agenzia, istituto individuato dalla legge quale soggetto centrale di funzionamento e attuazione della legge.
      Nei mesi successivi è subentrato un periodo di riflessione in cui, alla luce della contrazione delle risorse finanziarie del bilancio provinciale e della continua diminuzione del numero del personale provinciale, è stato posto in discussione sia dall'amministrazione provinciale che dalle amministrazioni comunali il ruolo dell'agenzia come soggetto del distretto agricolo, preferendo orientarsi verso un'istituzione del distretto agricolo attraverso una forma gestionale molto più snella e meno onerosa per le casse pubbliche.
      Su tale approccio si sono espressi formalmente gli enti locali interessati, per una modifica della legge provinciale nel senso di uno snellimento degli organi di funzionamento ed un minor impatto finanziario sul bilancio provinciale.
      Per tutte queste considerazioni e per il continuo confronto posto in essere tra amministrazione provinciale, comunità di Valle Alto Garda e Ledro e amministrazioni comunali territorialmente interessate per individuare un percorso attuativo della legge il più condiviso possibile, non si sono di fatto concretizzate le condizioni per la provincia autonoma di Trento per esercitare il potere sostitutivo previsto dalla legge nei confronti della comunità di Valle.
      Ciò anche considerato che il territorio della provincia di Trento è presidiato adeguatamente dalla normativa vigente in materia di tutela e gestione del territorio, con particolare riferimento alla materia del governo del territorio (legge provinciale n.  11 del 2007) e alla materia dell'urbanistica e del paesaggio (legge provinciale n.  1 del 2008 e legge provinciale n.  15 del 2015), senza dimenticare che tutto il territorio provinciale è già assoggettato alla pianificazione urbanistica da parte del piano urbanistico provinciale (Pup 2008) e dei piani regolatori comunali, a cui si aggiungono il Pguap (piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche) per gli aspetti di sicurezza idraulica ed idrogeologica, e le pianificazioni di settore.
      Ciò posto, la legge n.  15 del 2008 più che rappresentare un ulteriore elemento di presidio del territorio, che come detto è già ampiamente garantito, costituisce un'opportunità per la valorizzazione delle risorse e delle produzioni tipiche che tale territorio esprime.
      In questo senso e per queste finalità, si auspica che il distretto agricolo venga comunque attivato, assicurando allo stesso una governance sobria e coerente con gli orientamenti di necessario efficientamento del sistema pubblico espressi a tutti i livelli istituzionali di Governo.
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomie: Enrico Costa.


      FRUSONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la Viscolube è un'azienda che si occupa di rigenerazione degli oli usati. In Italia Viscolube ha due stabilimenti di produzione con oltre 170.000 tonnellate/anno di capacità di trattamento olio usato, uno dei quali insiste sul territorio di Ceccano (FR);
          da quanto si apprende dai giornali, con una nota del 2 febbraio, l'Arpa Lazio comunicava che «i campionamenti e le relative analisi del sito Viscolube, hanno evidenziato sul bacino di landfarming la concentrazione del parametro ”idrocarburi pesanti” maggiore del 368% rispetto al valore previsto e che nelle acque di falda è stata riscontrata l'elevata concentrazione di inquinanti sia nei piezometri all'interno del sito che quelli posti a valle idrogeologica della barriera idraulica, dimostrando l'inefficacia della barriera con conseguente diffusione della contaminazione all'esterno del sito con grave rischio di inquinamento delle falde acquifere»;
          il sindaco di Ceccano a seguito della suddetta nota, emette un'ordinanza che vieta di attingere l'acqua dai pozzi privati presenti a meno di 500 metri dallo stabilimento Viscolube srl di via Monti lepini;
          anche sindaco del comune di Frosinone si dimostra preoccupato per i terreni inquinati, in quanto una porzione di essi riguarda proprio il territorio di Frosinone;
          in data 11 marzo 2016, il comune di Ceccano chiedeva, senza risposte, al ministero dell'Ambiente di riesaminare il progetto di messa in sicurezza del sito Viscolube alla luce delle analisi dell'Arpa;
          sempre da giornale di apprende che la Viscolube dal 2012 attenderebbe l'approvazione da parte del Ministero, di un piano volto a migliorare la messa in sicurezza, il quale resterebbe tuttora in attesa di una valutazione;
          da quanto dichiarato dall'amministratore delegato Lazzarinetti nel 2014 e nel 2015 sarebbe stata chiesta la convocazione di una conferenza di servizi per l'analisi della documentazione tecnica sui progetti di miglioramento presentati  –:
          se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
          se il Governo sia a conoscenza di tali ritardi e quali iniziative di competenza intenda assumere per superare tali lungaggini e per accelerare le procedure di ripristino ambientale;
          se, in nome della sicurezza ambientale e della salute dei cittadini, il Ministro interrogato non reputi doveroso, per quanto di competenza, riesaminare urgentemente il progetto di messa in sicurezza del sito e dei territori adiacenti, convocando al più presto possibile una Conferenza dei servizi. (4-12841)

      Risposta. — Con riferimento alle questioni poste dall'interrogante, sulla base delle informazioni acquisite dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
      Per quanto concerne gli aspetti relativi alla Valle del Sacco, si precisa che, a seguito della sentenza n.  7586 del 2014 del Tar Lazio, che ha annullato il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'11 gennaio 2013, nella parte in cui escludeva la Valle del Sacco dai siti d'interesse nazionale, è stata avviata dagli uffici del Ministero l'istruttoria per la ridefinizione del perimetro del sito di interesse nazionale in questione, in coerenza con quanto previsto dall'articolo 36-bis, comma 3, della legge n.  134 del 7 agosto 2012. In merito, si sono svolti numerosi incontri tecnici e conferenze di servizi istruttorie finalizzate all'approvazione della proposta di perimetro avanzata dalla regione Lazio. In ultimo, in sede di conferenza di servizi istruttoria del 15 dicembre 2015, è stata ritenuta condivisibile, da parte di tutti i soggetti pubblici coinvolti nel procedimento, la «Bozza di perimetrazione del Sito d'Interesse Nazionale Bacino del Fiume Sacco-Rev 5» trasmessa dalla regione Lazio in data 23 novembre 2015, ed è stato chiesto alla stessa regione di procedere, ai sensi dell'articolo 252, comma 3, del decreto-legislativo 152 del 2006, alla consultazione dei soggetti privati proprietari delle aree considerate interne al perimetro. A tal proposito, si rimane in attesa di ricevere, da parte della regione Lazio, gli esiti relativi alla consultazione dei soggetti privati proprietari delle aree considerate interne al perimetro.
      Premesso ciò, si comunica che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in questa fase transitoria, in un'ottica proattiva e di collaborazione tra le amministrazioni, ha convocato, per il giorno 26 maggio 2016, un tavolo tecnico istruttorio con tutte le Amministrazioni chiamate ad esprimere le valutazioni di competenza ai fini di una valutazione della documentazione trasmessa dalla società Viscolube s.p.a. sui progetti di miglioramento del sito. Durante lo svolgimento del suddetto tavolo tecnico, è stato concordato che l'Arpa Lazio, entro la data del 30 maggio 2016, dovrà trasmettere a tutti i partecipanti al Tavolo un report di validazione di tutte le analisi condotte sulla matrice acque di falde e ogni ulteriore dato utile alla valutazione circa l'efficacia/efficienza dell'intervento di messa in sicurezza operativa in corso. In tale sede è stato, altresì, concordato che il comune di Ceccano dovrà trasmettere a tutti i partecipanti, entro la data del 27 maggio 2016, la cartografia con l'ubicazione dei punti di campionamento effettuati; che l'Ispra, in considerazione dei dati a disposizione validati, nonché di tutta la documentazione relativa al progetto in corso, dovrà trasmettere, entro 15 giorni, una relazione in merito all'efficacia/efficienza delle misure di prevenzione attualmente in esercizio per le acque di falda; e, da ultimo, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provveda a convocare, entro la data del 15 giugno 2016, un secondo incontro finalizzato a valutare le risultanze della relazione che sarà trasmessa dall'Ispra.
      Infine, con specifico riferimento alla matrice suolo, si precisa che la società Viscolube s.p.a. dovrà trasmettere, entro la data del 20 luglio 2016, l'analisi di rischio (A.d.r.) finalizzata a valutare la sussistenza di eventuali rischi per la salute dei fruitori dell'area nonché, alla luce dei risultati della medesima A.d.r., una variante al progetto di messa in sicurezza operativa dei suoli attualmente in corso.
      Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche attraverso il coinvolgimento di tutti gli altri soggetti competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      GAGNARLI, LUPO, GALLINELLA, L'ABBATE, BENEDETTI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il decreto interministeriale 22 gennaio 2014, di adozione del piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, previsto dall'articolo 6 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n.  150, di attuazione della direttiva 2009/128/CE, ha aggiornato la normativa in merito all'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari, abrogando parte del decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n.  290, regolamento di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione alla produzione, alla immissione in commercio e alla vendita di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti;
          l'allegato VI del decreto interministeriale 22 gennaio 2014 contiene alcune disposizioni circa lo stoccaggio dei prodotti fitosanitari, fatte salve le disposizioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica n.  290 del 23 aprile 2001 e successive modificazioni e le disposizioni previste dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. In particolare, stabilisce che il deposito dei prodotti fitosanitari deve essere chiuso e ad uso esclusivo, che non possono esservi stoccati altri prodotti o attrezzature, se non direttamente collegati all'uso dei prodotti fitosanitari, e che lo stesso deposito può anche essere costituito da un'area specifica all'interno di un magazzino, mediante delimitazione con pareti o rete metallica, o da appositi armadi, se i quantitativi da conservare sono ridotti;
          l'articolo 24 comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001 n.  290, rimasto in vigore, stabilisce che «i prodotti fitosanitari ed i loro coadiuvanti, se classificati molto tossici, tossici o nocivi, sono conservati in appositi locali o in appositi armadi, ambedue da tenere chiusi a chiave», escludendo la segregazione in appositi locali o in appositi armadi dei prodotti fitosanitari classificati irritanti, come ad esempio quelli a base di zolfo;
          la classificazione di tossicità dei prodotti fitosanitari che prevedeva la distinzione tra prodotti, molto tossici, tossici, nocivi, irritanti e non classificati, tuttavia, è stata abrogata a far data dal 1° giugno 2015 dal Regolamento (UE) n.  1272/2008 (CLP – classification, labeling and packaging), nuovo regolamento europeo relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele pericolose;
          l'applicazione della riclassificazione prevista dal Regolamento (UE) n.  1272/2008 in Italia è obbligatoria dal 1° giugno 2015, anche se è possibile lo smaltimento scorte per prodotti immessi in commercio prima del 1° giugno 2015, fino al 31 maggio 2017;
          sia l'associazione dei produttori italiani di zolfo, sia i rivenditori, sia gli utilizzatori professionali temono che gli organi preposti al controllo, in tale situazione di non completa applicazione della nuova riclassificazione dei prodotti fitosanitari, possano irrogare sanzioni per il presunto non corretto stoccaggio dei prodotti a base di zolfo  –:
          se il Governo non ritenga opportuno ed urgente un chiarimento formale circa la modalità di stoccaggio dei prodotti fitosanitari a base di zolfo, precedentemente classificati tra gli irritanti, ovvero adottare un'iniziativa di coordinamento normativo tra discipline precedenti e successive con espresse abrogazioni, anche in considerazione dell'imminente inizio della campagna di vendita di tale prodotto chimico. (4-12846)

      Risposta. — In merito alle questioni riguardanti lo stoccaggio dei prodotti fitosanitari e, in particolare, la possibilità di escludere dalla segregazione in appositi locali o armadi chiusi a chiave i prodotti classificati irritanti, come ad esempio quelli a base di zolfo, il Ministero della salute intende porre in evidenza i punti di seguito riportati.
      La direttiva 128/2009/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi, all'articolo 13, concernente «Manipolazione e stoccaggio dei pesticidi e trattamento dei relativi imballaggi e delle rimanenze» dispone, tra l'altro, che «gli Stati membri adottino i provvedimenti necessari per assicurare che le operazioni eseguite da utilizzatori professionali e, ove pertinenti, da distributori, relativamente allo stoccaggio e alla manipolazione dei prodotti fitosanitari, compresi i prodotti non più utilizzabili, le rimanenze di prodotto e gli imballaggi, non rappresentino un pericolo per la salute delle persone o per l'ambiente».
      Per quanto concerne lo stoccaggio, lo stesso articolo 13 assegna, altresì, agli Stati membri il compito di individuare opportune misure affinché le aree destinate allo stoccaggio dei prodotti fitosanitari per uso professionale siano predisposte in modo da evitare fuoriuscite indesiderate, con particolare attenzione all'ubicazione, alle dimensioni e ai materiali da costruzione.
      Le citate norme comunitarie trovano attuazione nella legislazione nazionale attraverso il decreto legislativo n.  150 del 2012, articolo 10, comma 2 e articolo 17, e nel Piano nazionale d'azione per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, di cui al decreto interministeriale 22 gennaio 2014, che aggiungono ulteriori requisiti di sicurezza a quelli previsti dalla normativa preesistente, il Decreto del Presidente della Repubblica n.  290 del 2001 e le ulteriori norme applicabili in materia di sicurezza sul lavoro e prevenzione degli incidenti connessi alle sostanze pericolose, in particolare il decreto legislativo n.  81 del 2008 e il decreto legislativo n.  105 del 2015, estendendone peraltro l'obbligo a tutti gli utilizzatori professionali.
      Il decreto legislativo n.  150 del 2012, all'articolo 10, comma 2, lettera b), dispone che i requisiti già previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n.  290 del 2001, articolo 24, concernenti «Caratteristiche dei locali e prescrizioni per l'acquisto» sono applicabili «a tutti i prodotti fitosanitari destinati agli utilizzatori professionali», indipendentemente dalla loro classificazione di pericolo.
      Ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n.  150 del 2012, il Piano nazionale d'azione per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, nell'allegato VI – sezioni 1, 3 e 6, precisa ulteriori requisiti dello stoccaggio, sia per quanto concerne le modalità di conservazione dei prodotti che per le caratteristiche strutturali del deposito.
      Alla luce di quanto esposto e in relazione alle diverse richieste di chiarimento che sono pervenute a questo Ministero, è stata diffusa una nota circolare che chiarisce gli stessi aspetti oggetto della presente interrogazione parlamentare.
      In particolare, viene precisato che tutti i prodotti fitosanitari, compresi i prodotti a base di zolfo, non devono essere liberamente accessibili all'acquirente, ma esclusivamente al rivenditore e al personale preposto alla vendita, o ad altri soggetti espressamente autorizzati: ciò alla luce anche di quanto previsto dall'articolo 13 della direttiva 128/2009/CE e delle disposizioni dell'articolo 10, commi 1 e 3, del decreto legislativo n.  150 del 2012, in merito all'obbligo di informazione a cui il distributore è tenuto, all'atto della vendita, nei confronti dell'acquirente, sia esso professionale che non professionale, circa i rischi connessi all'uso dei prodotti fitosanitari e sulle corrette modalità di gestione di detti prodotti.
La Ministra della salute: Beatrice Lorenzin.


      GALATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          il Centro per il libro e la lettura (Cepell) è istituto autonomo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ed ha il compito di divulgare il libro e la lettura in Italia e di promuovere all'estero il libro, la cultura e gli autori nazionali;
          nel 2013 il Centro per il libro e la lettura ha avviato il progetto «Città del libro», mirato ad individuare forme organiche di promozione e collaborazione e concepito quale strumento che fornisca al pubblico tutte le informazioni relative agli eventi letterari organizzati sul territorio. Il progetto è connesso all'implementazione del portale web «Le città del libro», che ha l'obiettivo di aprire un canale di comunicazione con il pubblico, censire e dare visibilità alle città del libro, mettere a confronto esperienze e modelli organizzativi e favorire l'accesso alla documentazione testuale, fotografica ed audiovisiva prodotta nell'ambito delle singole manifestazioni; lo scopo è quello di fornire sulle iniziative organizzate dalle città del libro informazioni aggiornate, dettagliate, qualitativamente affidabili e facilmente accessibili;
          il sito web istituzionale del centro per il libro e la lettura www.cepell.it elenca i requisiti per il riconoscimento del titolo «città del libro», che sono i seguenti: essere un festival/manifestazione che abbia come obiettivo la promozione della lettura e dei libri, continuità dell'iniziativa nel tempo (almeno 3 anni), durata dell'iniziativa pari o superiore a 3 giorni, originalità e innovatività delle tematiche e/o delle formule organizzative, partecipazione di autori e/o editori di fama nazionale e internazionale, capacità di comunicazione e rilievo sui mezzi di informazione, ricaduta sullo sviluppo culturale del territorio (ad esempio, capacità d'attrattiva; rapporti consolidati con scuole e/o biblioteche), patrocinio e/o sostegno di un ente nazionale, capacità di autofinanziamento e di coinvolgimento di sponsor, capacità di coinvolgimento dei potenziali utenti;
          dal 2013, il comune di San Giorgio Morgeto, in provincia di Reggio Calabria, in adesione alla giornata mondiale del libro e del diritto d'autore, istituita e promossa dall'UNESCO e celebrata ogni anno in tutto il mondo nella data del 23 di aprile, organizza una serie di manifestazioni culturali e letterarie, con l'intento di promuovere la diffusione della lettura quale buona pratica quotidiana, su un territorio incluso in un'area caratterizzata da elevatissimi indici di dispersione scolastica, disoccupazione giovanile e scarsa propensione alla lettura, come risulta dalle ultime rilevazioni ISTAT. L'iniziativa, senza scopo di lucro e portata avanti su base esclusivamente volontaria e con lo sforzo profuso dal comune di San Giorgio Morgeto, è riproposta annualmente e dettagliatamente descritta sul sito web dedicato, www.unarosaunlibro.it. La manifestazione ha ottenuto il patrocinio della Commissione nazionale italiana per l'UNESCO, che ha rilevato come l'iniziativa sia coerente con i principi che ispirano le finalità dell'UNESCO, ed è divenuto un evento ormai tradizionale, anche perché conciliato con la festa patronale che ricade nello stesso giorno e quindi fortemente sentito dalla società civile, in specie dai bambini che partecipano attivamente;
          nel 2015, il comitato promotore dell'evento presso il comune di San Giorgio Morgeto, avendo riscontrato la sussistenza della propria manifestazione rispetto a tutti i requisiti necessari per il progetto «città del libro», richiede all'indirizzo istituzionale del centro per il libro e la lettura, informazioni rispetto alle procedure di partecipazione al programma e per valutare la possibilità di far inserire la città di San Giorgio Morgeto nell'elenco delle città riconosciute dal Cepell, appunto, come «città del libro» ed invia a tal fine, la documentazione necessaria alla presentazione dell'evento ed alla descrizione dello stesso. Da questa richiesta sono emerse varie anomalie, segnalate all'interrogante, nelle procedure di gestione dei progetti da parte del centro per il libro e la lettura: oltre ad una gestione meramente discrezionale; a giudizio dell'interrogante emergono quelli che appaiono profili di grave incompetenza nella valutazione dei progetti e scarsa propensione ad una valutazione oggettiva delle iniziative portate all'attenzione degli organi preposti;
          l'amministrazione risponde con grande ritardo e comunque dopo reiterate sollecitazioni e, cosa che all'interrogante appare ben più grave, denotando scarsa attenzione rispetto all'attività segnalata. L'amministrazione del Cepell preposta alla gestione del progetto, infatti, sostiene che la manifestazione non sia in possesso dei requisiti necessari, mentre invece gli stessi requisiti (con particolare riferimento alla durata in tre giorni, contestata dal Cepell) erano stati chiaramente evidenziati al momento della richiesta di informazioni, come è possibile documentare dalla intercorsa corrispondenza;
          emergono altresì secondo l'interrogante profili di scarsa competenza nella valutazione della manifestazione: l'amministrazione, nuovamente sollecitata e pregata di riesaminare la manifestazione, afferma che alla stessa non erano presenti autori di fama nazionale o internazionale. Anche questo dato appare all'interrogante facilmente confutabile, dato che nel programma inviato al Cepell erano ben evidenziati i nomi di almeno due importanti autori che hanno partecipato sia alla fiera del libro che alla conferenza introduttiva, e noti sia in Italia che all'estero, uno dei quali peraltro, è candidato al Premio Nobel per la letteratura;
          l'interrogante rileva come l'atteggiamento emerso da questa vicenda sia assolutamente incompatibile ed inconciliabile con i principi e criteri direttivi che dovrebbero guidare l'azione amministrativa e le attività degli enti ed istituti collegati al Ministero dei beni e delle attività culturali, o istituiti autonomi dello stesso, come lo è il Cepell. Il riferimento è ai principi di leale collaborazione istituzionale, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, divulgazione dei principi di premialità e meritocrazia, divulgazione, armonizzazione e promozione del dialogo tra territori e rafforzamento della coesione territoriale attraverso il vettore della cultura;
          nel caso di specie la questione appare ancor più inaccettabile, in considerazione della circostanza che la richiesta di partecipazione al programma nazionale proviene da una piccola comunità civile inserita in un contesto generale di grande ritardo di sviluppo sia economico che culturale; una comunità che nel tentativo di invertire le tendenze negative registrate sul territorio, con grande sforzo ed in spirito di leale cooperazione ed integrazione tra cittadini volontari ed istituzioni amministrative, nonché riponendo massima fiducia nelle istituzioni di governo centrale, promuove iniziative ed attività culturali dirette alle nobili finalità di innalzamento dei livelli di partecipazione civile ed inclusione sociale, di avvicinamento tra letteratura e giovani generazioni, coinvolgendo la società civile a tutti i livelli;
          appare inoltre impellente, alla luce del sempre crescente divario tra Nord e Sud del Paese, effetto anche della persistenza di livelli ancora importanti del digital divide, che le istituzioni e gli organi preposti alla valorizzazione del patrimonio culturale ed alla crescita culturale, prestino la massima attenzione a tutte le istanze provenienti dalla società civile e dalle formazioni sociali che operano per il progresso sociale e culturale delle comunità di appartenenza, in specie quando dette attività sono portate avanti su base volontaria e senza fini di lucro e con l'intento di sensibilizzare la società rispetto a temi di grande rilevanza, quali l'inclusione sociale, la disabilità, il patrimonio culturale e le nuove tecniche di comunicazione. Infine, l'interrogante rileva come sia essenziale, nel comparto della cultura, favorire pari opportunità di accesso a tutti i programmi di cooperazione e dialogo tra territorio ed istituzioni, includendo anche le unità amministrative più piccole, ed evitare ingiustificate discriminazioni tra gli enti territoriali della Repubblica  –:
          se il Ministro ritenga di poter avviare, conformemente al proprio ruolo di impulso e coordinamento delle azioni di tutela del patrimonio culturale, un'iniziativa di verifica sulla qualità delle attività realizzate dal Centro per il libro e la lettura e sull'adeguatezza delle modalità di valutazione e selezione dei progetti, rispetto alle finalità istituzionali di promozione della lettura su tutto il territorio nazionale. (4-12499)

      Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame, l'interrogante, riferita la vicenda relativa alla procedura di valutazione negativa, da parte del Centro per il libro e la lettura, della richiesta di inserimento di una iniziativa culturale del comune di San Giorgio Montoro (Reggio Calabria) nel progetto Le Città del Libro, chiede se l'Amministrazione «ritenga di poter avviare ... un'iniziativa di verifica sulla qualità delle attività realizzate dal Centro per il libro e la lettura e sull'adeguatezza delle modalità di valutazione e selezione dei progetti, rispetto alle finalità istituzionali di promozione della lettura su tutto il territorio nazionale».
      La direzione generale biblioteche, cui afferisce il Centro per il libro e la lettura, dopo aver effettuato le opportune verifiche ha comunicato quanto segue.
      Il 30 settembre 2015, la dottoressa Francesca Agostino, curatrice dell'evento culturale letterario San Giorgio. Una rosa, un libro, riproposto annualmente, sin dal 2013, dal comune di San Giorgio Morgeto nella data del 23 aprile (giornata mondiale del libro e del diritto d'autore), ha chiesto informazioni al Centro per il libro e la lettura – che cura la redazione del portale Le Città del Libro – sulla «procedura di candidatura alla selezione e costituzione dell'elenco delle città italiane del libro», presumendo il possesso da parte dell'iniziativa dei requisiti richiesti per tale inclusione.
      Tali requisiti derivano dallo scopo e dall'origine del portale Le Città del Libro, nato come espressione di un network di festival autocostituitosi su impulso della Fondazione per il libro la musica e la lettura di Torino e con l'appoggio dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) e del Centro per il libro e la lettura, per riunire in una rete di «eccellenze» le più importanti e significative manifestazioni italiane – festival, fiere e saloni – nel campo della promozione della lettura.
      A fronte di innumerevoli comunicazioni di eventi, il portale ne include meno di cento proprio in virtù dei requisiti, esattamente riferiti dall'interrogante, pubblicati nel sito del portale (www.cittadellibro.it/progetto.do) ossia: continuità dell'iniziativa nel tempo (almeno tre anni), durata dell'iniziativa pari o superiore a tre giorni, originalità e innovatività delle tematiche e/o delle formule organizzative, partecipazione di autori e/o editori di fama nazionale e internazionale, capacità di comunicazione e rilievo sui mezzi di informazione, ricaduta sullo sviluppo culturale del territorio, patrocinio e/o sostegno di un ente nazionale, capacità di autofinanziamento e coinvolgimento di sponsor, capacità di coinvolgimento dei potenziali utenti.
      L'iniziativa San Giorgio. Una rosa, un libro, organizzata a San Giorgio Morgeto nel 2015, durava tre giorni (dal 23 al 25 aprile) e, nel primo giorno prevedeva: l'apertura di una fiera del libro e dell'editoria, mercatino dell'usato; un convegno di apertura, coordinato da Francesca Agostino, su Letteratura e progresso, cultura e libertà nell'epoca dei new media, con cinque relatori: il sindaco, Marco Sorbara (assessore alle politiche sociali del comune di Aosta), Angiolo Pellegrini (generale dei Carabinieri e scrittore), Dante Maffia (scrittore), Rosanna Giovinazzo (docente del Liceo magistrale di Polistena), senza indicazioni dei titoli delle relazioni. Nel pomeriggio, dopo la premiazione dei vincitori del concorso scolastico Quale relazione tra cultura, legalità e sviluppo ? Perché leggere mi aiuta a crescere ?, era prevista la rassegna letteraria Incontri d'autore, con brevi presentazioni delle opere da parte di autori ed editori presenti in fiera; seguiva alle 19.00 la «Solenne concelebrazione Eucaristica in onore di San Giorgio martire».

      Nei giorni successivi era previsto il mercatino dell'usato accompagnato da due esposizioni: quella della venerata statua lignea di San Giorgio e quella degli elaborati degli studenti delle precedenti edizioni e una conferenza-dibattito, coordinata da Francesca Agostino, intitolata Dal 4 settembre 1943 al 25 aprile 1945. La storia d'Italia nei ricordi degli abitanti di san Giorgio Morgeto.
      A giudizio del Centro per il libro e la lettura l'iniziativa non presenta i requisiti richiesti per l'inserimento nel portale.

      In particolare: soltanto nell'anno 2015 la durata della manifestazione è di tre giorni mentre nelle edizioni precedenti si trattava di un convegno di una sola giornata; manca quindi il requisito della continuità nel tempo. Non si rileva un'unità tematica né si riscontrano originalità e innovatività nelle tematiche o nelle formule organizzative. Le iniziative incluse nel portale Le città del libro, a differenza di quella organizzata dal comune di San Giorgio Morgeto, sono incentrate su temi unitari, chiaramente riconducibili alla promozione del libro e della lettura. Non c’è coinvolgimento di sponsor. Il numero degli ospiti è oggettivamente basso.
      Pertanto, la risposta negativa all'inclusione della manifestazione San Giorgio, Una rosa, un libro, nel portale dedicato a Le città del Libro, non appare fondata su valutazioni meramente discrezionali o – peggio – frutto di una sottovalutazione di una iniziativa indubbiamente meritevole ma correttamente riferita ai criteri indicati nel portale.
      Il Centro per il libro e la lettura, peraltro, a conferma della valutazione positiva espressa dall'iniziativa, ha proposto alla curatrice della manifestazione l'inserimento dell'iniziativa di San Giorgio Morgeto nel sito della campagna nazionale Il Maggio dei libri, che rappresenta la principale attività istituzionale del Centro stesso, con l'obiettivo di sottolineare il valore sociale della lettura nella crescita personale, culturale e civile, attraverso l'inserimento di iniziative e progetti in una banca dati nazionale e in un sito dedicato (www.ilmaggiodeilibri.it).
      Si ritiene, pertanto, che il Centro per il libro e la lettura, anche nel caso in questione, abbia correttamente applicato i principi e i criteri che devono guidare l'azione amministrativa, collaborando lealmente con le realtà istituzionali senza operare alcuna discriminazione tra enti territoriali.
      Con riguardo al territorio della Calabria, del resto, il Centro ha incluso, fra le manifestazioni descritte dal portale, iniziative di rilievo afferenti alla regione in quanto rispondenti alle caratteristiche ed alle finalità sopra specificate, quali ad esempio il Festival di Tropea, con 255 ospiti nell'edizione 2015 (fra cui Edoardo Boncinelli, Massimo Cacciari, Umberto Galimberti) oppure Trame. Festival dei libri sulle mafie di Lamezia Terme, caratterizzato da un forte tema unitario, sul qual si sono confrontati moltissimi fra autori, politici, giornalisti, fra i quali, Rosy Bindi, Maurizio De Giovanni, Mario Giordano, Giuseppe Sottile, Massimo Bray.
      In conclusione, questo Ministero intende assicurare all'interrogante che ritiene proprio specifico compito prestare la massima attenzione alle istanze provenienti dalla società civile e volte al progresso civile e culturale della comunità di appartenenza, specie in contesti difficili e svantaggiati, quali quelli evocati nell'interrogazione.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


      GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il SIN sito di interesse nazionale «Terni-Papigno», nel cuore della regione Umbria, è una delle 57 aree più contaminate d'Italia e per le quali lo Stato ha imposto un'urgente attività di bonifica;
          esso comprende due discariche di scorie di acciaieria, nei pressi delle quali, secondo quanto si apprende da dati diffusi dalle associazioni WWF e Italia Nostra Umbria, ci sarebbe una concentrazione molto elevata di nichel, addirittura di 10 volte superiore al limite annuale imposto dalla normativa benchmark con picchi mensili anche oltre le 23 volte;
          in Italia, l'ISPRA evidenzia che i siti potenzialmente contaminati sono oltre 15.000; tra questi, 57 sono stati definiti di «interesse nazionale per le bonifiche» (SIN) sulla base dell'entità della contaminazione ambientale, del rischio sanitario e dell'allarme sociale (DM 471/1999). Il decreto ministeriale 11 gennaio 2013 ha portato 18 siti di interesse nazionale nelle competenze regionali, poiché non più rispondenti ai requisiti previsti dai commi 2 e 2-bis dell'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, a seguito delle modifiche apportate dall'articolo 36-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83 (c.d. decreto «crescita»). In virtù del citato decreto ministeriale ad oggi i SIN sono 39. Il sito «Terni-Papigno» rientra tra questi;
          la regione Umbria, da oltre due anni, ha avviato un monitoraggio dell'area, al fine di acquisire dati circa la presenza di diossina, PCB e metalli pesanti negli alimenti di origine animale, e in particolare nel latte (ovino e caprino), provenienti dagli allevamenti della zona;
          nel primo semestre del 2013, sempre secondo quanto si apprende da comunicati stampa lanciati dalle due associazioni sopracitate, la regione avrebbe avviato ulteriori controlli, estendendo il raggio dei prelievi (circa 5 chilometri, analizzando 30 campioni di latte prelevati da 30 diversi allevamenti, dei circa 88 presenti nella zona) e allargando i controlli anche alle uova;
          le associazioni WWF e Italia Nostra Umbra in queste settimane hanno lanciato una petizione per chiedere alla regione Umbria di rendere noti i dati delle due analisi effettuate, finora rimasti sconosciuti, al fine di informare i cittadini circa lo «stato di salute» della terra nella quale vivono;
          il 25 settembre 2013 si è costituita la rete dei comuni per la bonifica dei SIN (quelli che ricadono in tali aree sono 187 per una popolazione di circa 4,5 milioni di abitanti) che ha elaborato la cosiddetta «Carta di Mantova» nella quale si chiede al Governo, e in particolare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di avviare con urgenza i processi di bonifica nonché il conseguente riconoscimento dello stato di crisi ambientale e sanitaria  –:
          se non ritenga opportuno, considerato il rilievo nazionale dell'emergenza dell'area «Terni-Papigno», contribuire alla diffusione di tali fondamentali informazioni, affinché la popolazione sia messa a conoscenza dello stato di inquinamento del territorio in cui vive ma soprattutto dei possibili rischi per la salute umana;
          a che punto siano la bonifica e il ripristino ambientale dell'area industriale siderurgica di «Terni-Papigno»;
          se abbia avviato o intenda avviare una campagna di informazione mirata per le popolazioni ricadenti nelle aree contaminate — indipendentemente dalla loro classificazione in siti di interesse nazionale o di interesse regionale —, affinché siano consapevoli del significato di vivere all'interno o nei pressi di un sito inquinato e delle motivazioni che hanno portato ad una tale grave definizione di emergenza.
(4-03957)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente le problematiche relative all'area Terni-Papigno, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      Il sito di interesse nazionale di Terni-Papigno è stato incluso nell'elenco dei siti di bonifica di interesse nazionale dal Decreto ministeriale n.  468 del 2001.
      L'area, all'interno del perimetro definito con decreto del Ministro dell'ambiente dell'8 luglio 2002, comprende un territorio di circa 650 ha interamente ricompreso nel Comune di Terni. Nel sito di interesse nazionale, oltre ad un'area vasta prevalentemente boschiva e agricola (circa 300 ha), sono presenti aree di proprietà pubblica (comune di Terni e Forze armate Esercito) e di proprietà delle società AST spa, Terna spa, ERG Hydro srl (ex EON,) Enel spa, Electroterni spa.
      In particolare, si evidenzia che le aree di competenza delle acciaierie AST costituiscono poco meno di un terzo dell'intero sito di interesse nazionale e sono principalmente così costituite:
          area stabilimenti (compreso area ex iutificio Centurini);
          area ex discarica AST limitrofa allo stabilimento su cui insistono impianti;
          area di discarica Località Valle.

      Le aree di proprietà del comune sono:
          l'area dell'ex lanificio Gruber;
          l'area ex stabilimento elettrochimico di Papigno e l'area limitrofa dell'ex discarica asservita allo stabilimento.

      Tanto premesso, relativamente allo stato degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica, si evidenzia che la caratterizzazione del sito di interesse nazionale è quasi completata (94 per cento).
      Ad oggi, si è in attesa dei risultati delle attività di caratterizzazione dell'area di competenza delle Forze armate esercito, il cui piano di caratterizzazione è stato approvato dalla conferenza di servizi decisoria del 22 settembre 2015, nonché gli esiti del piano di caratterizzazione delle acque superficiali e dei sedimenti relativo all'intero sito di interesse nazionale, trasmesso da Ispra e redatto congiuntamente ad Arpau, approvato dalla conferenza di servizi decisoria del 5 giugno 2012.
      In particolare, in alcune aree del sito di interesse nazionale, compresa l'area vasta boschiva e agricola (circa 300 ha), sono stati evidenziati puntuali superamenti delle Csc dei suoli, che in molti casi sono stati rimossi come misure di messa in sicurezza d'emergenza, la Conferenza di Servizi ha ritenuto concluso il procedimento per i suoli (concentrazioni < Csc) nell'area stabilimenti AST e nell'area Terna. Anche nell'area della electroterni la caratterizzazione dei suoli ha evidenziato assenza di superamenti delle Csc.
      Sono, invece, in corso approfondimenti sulle acque di falda in quasi tutte le aree del sito di interesse nazionale (area vasta, Erg hydro, Enel, Electroterni, aree comunali, aree AST), data la complessità idrogeologica del sito di interesse nazionale, soprattutto con riferimento alle aree di discarica. In particolare si segnala quanto segue.

Aree di proprietà del comune di Terni:
          L'ex stabilimento elettrochimico di Papigno è interessato – vista la storia quasi centenaria dell'area – dalla presenza di rifiuti soprasuolo e di strutture fatiscenti che sono oggetto di interventi (rimozione rifiuti e demolizioni). Si è in attesa delle indagini integrative sulle acque di falda al fine della trasmissione del progetto di bonifica dell'area.
          In particolare l'area dell'ex discarica di Papigno è stata oggetto di misure di messa in sicurezza d'emergenza. La caratterizzazione ha evidenziato la presenza di rifiuti fino alla profondità di 20 m dal p.c. Le analisi su 29 campioni di rifiuto hanno classificato i medesimi rifiuti come «Rifiuti speciali non pericolosi». Sono in corso indagini integrative al fine della predisposizione del Progetto di bonifica/messa in sicurezza.
          Area dell'ex lanificio Gruber. A seguito degli esiti della caratterizzazione sono emersi alcuni superamenti nei suoli delle Csc. A tal proposito il comune di Terni ha predisposto l'analisi di rischio che la conferenza di servizi istruttoria del 2 marzo 2015 ha esaminato e ne ha richiesto integrazioni.

          Sul punto, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 21 giugno 2016, ha richiesto al comune di Terni di comunicare lo stato aggiornato degli interventi in capo al medesimo comune, al fine della convocazione della conferenza di servizi.

Area di discarica località Valle di proprietà AST spa.
          Nel corso del procedimento di bonifica del sito di interesse nazionale è emersa la particolare complessità dell'area di discarica, la quale è risultata interessata da progetti di ampliamento, autorizzati in sede locale, dei corpi di discarica già presenti. Detti progetti prevedono in alcuni casi il sormonto dei vecchi corpi discarica. Il provvedimento provinciale di A.I.A. n.  1986 del 11 marzo 2010, rilasciato alla società AST, ricomprende anche l'area di discarica in questione (risulta avviato dalla Provincia in data 15 dicembre 2014 un procedimento di revisione dell'A.I.A.).
      In particolare, così come emerso nelle conferenze di servizi sul sito di interesse nazionale, si segnala che l'area ricomprende:
          un'area di rifiuti speciali categoria 2B esaurita di proprietà dell'Azienda (ubicata nell'area denominata «zona A»);
          un'area interessata dalla vecchia discarica comunale di RSU coltivata fino agli anni 90 (parte della discarica si sovrappone su vecchia discarica TKAST). Detta area, di proprietà AST, risulta ancora in comodato al comune di Terni;
          aree di discarica per rifiuti pericolosi, autorizzata dalla Provincia, attualmente in coltivazione (ubicata sia nell'area denominata «zona A» che nella «zona B»);
          una discarica di rifiuti speciali dismessa negli anni 70 (ubicata nell'area denominata «zona B») per la quale la Provincia di Terni ha trasmesso in data 11 marzo 2016 il «Certificato di avvenuta messa in sicurezza permanente».

      Inoltre, sotto l'area di discarica è presente una galleria stradale (Galleria «Tescino» aperta nel 2011). La competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è venuta a conoscenza delle costruenda galleria e strada solo a seguito di un sopralluogo congiunto con il comando carabinieri per la tutela dell'ambiente in data 9 settembre 2007.
      Nel corso delle indagini di caratterizzazione delle acque di falda dell'area sono emersi superamenti delle Csc per alcuni parametri, principalmente metalli, (superamenti presenti anche negli ultimi dati trasmessi a marzo 2016 da Arpau e relativi ad ottobre 2015).
      Peraltro, nel mese di gennaio 2014, Arpa Umbria ha riscontrato contaminazione nelle acque di percolamento all'interno della citata galleria Tescino. Successivamente, Anas e AST hanno predisposto misure di prevenzione/messa in sicurezza consistenti nell'intercettazione, raccolta e smaltimento delle medesime acque.
      La Conferenza di Servizi istruttoria del 2 marzo 2015 ha ritenuto necessario che il Comune ed Ast adottino misure di prevenzione/messa in sicurezza dei corpi discarica, volte alla riduzione della produzione di percolato ed a minimizzare il battente idraulico di percolato sul fondo della medesima discarica, così come previsto anche dal decreto legislativo n.  36 del 2003 in merito alla gestione del percolato.
      Vista la complessità idrogeologica e la storia dell'area nonché l'assenza di informazioni circa la presenza e/o l'efficienza dei presidi ambientali dei citati corpi rifiuti, con particolare riferimento alle vecchie discariche (in alcuni casi addirittura sovrapposte), è in corso di completamento un apposito studio idrogeologico di AST, al fine di chiarire l'individuazione della sorgente di contaminazione delle acque di falda. A tal proposito sono stati recentemente realizzati ulteriori 6 piezometri ad integrazioni di quelli già presenti così come stabilito nella conferenza di servizi istruttoria del 9 settembre 2015 (l'azienda ha comunicato che le attività di prelievo ed analisi sarebbero iniziate nel mese di giugno 2016).
      Ciò consentirà, inoltre, di implementare un'adeguata rete di monitoraggio, necessaria per verificare l'efficacia degli interventi di bonifica già realizzati e da realizzare nell'area.
      In merito alle acque di falda dei pozzi privati prossimi all'area di discarica, Arpa Umbria nell'ottobre 2015 ha trasmesso, così come richiesto dalla conferenza di servizi istruttoria del 2 marzo 2015, gli esiti di una nuova campagna di monitoraggio (settembre 2015) nonché una tabella riassuntiva comprensiva delle campagne precedenti (2012-2014). Arpau non evidenzia superamenti delle Csc per i parametri ricercati.

Area ex discarica AST limitrofa allo stabilimento.
      Sull'area di discarica insistono impianti e sono stati realizzati misure di messa in sicurezza d'emergenza consistenti in interventi di impermeabilizzazione della medesima area.
      Ad oggi, si è in attesa del completamento delle attività di caratterizzazione.
      Recentemente – come comunicato da Arpau e AST – nell'ambito delle attività/approfondimenti di caratterizzazione delle acque di falda sui pozzi esistenti e di nuova realizzazione, nell'area stabilimento e in prossimità dell'ex discarica limitrofa allo stabilimento sono emersi superamenti delle Csc. In particolare AST in data 16 maggio 2016 ha trasmesso gli esiti delle attività di campionamento delle acque di falda effettuate nel mese di marzo 2016. Dalle analisi effettuate in contraddittorio con Arpau (nota Arpau del 26 maggio 2016) emergono superamenti delle Csc per il parametro cromo VI, cromo totale, tetracloroetilene e solfati.

      A tal proposito l'Azienda ha comunicato di aver avviato l'adozione di misure di prevenzione, consistenti nell'emungimento delle acque di falda prelevate dai piezometri F8 e F9, nonché la volontà di procedere ad approfondimenti di caratterizzazione e di aver predisposto un apposito Piano (non ancora trasmesso). La suddetta Azienda ha, inoltre, proceduto, su richiesta di questo Ministero, alla valutazione del rischio sanitario per le sostanze volatili presenti in falda ed ha comunicato che dall'esame dei risultati ottenuti, il rischio calcolato risulta sempre accettabile, rispetto a tutte le vie di esposizione considerate. Ribadisce, altresì, che la valutazione va considerata di carattere preliminare e dovrà essere aggiornata a seguito dell'attuazione del Piano di caratterizzazione integrativo, una volta acquisiti tutti gli elementi conoscitivi funzionali per l'elaborazione dell'analisi di rischio.
      In data 22 giugno 2016, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha comunicato all'azienda che l'attività istruttoria sarà avviata alla completa acquisizione della sopracitata documentazione.
      Alla luce di quanto sopra relazionato, si rappresenta che tutte le informazioni relative allo stato qualitativo dei suoli e delle acque di falda del sito di interesse nazionale, nonché tutti i verbali relativi alle Conferenze di servizi, sono accessibili alla popolazione, in quanto i verbali delle Conferenze di servizi e delle riunioni, a partire dal 2014, sono stati pubblicati sul sito internet di questo Ministero (http://www.bonifiche.minambiente.it/page–anno–27.html).
      Ad ogni modo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere le valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      GALLINELLA, LUPO, GAGNARLI, PARENTELA, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il negoziato in corso tra l'Unione europea e gli Stati Uniti per la conclusione del partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti è ad un punto cruciale anche a seguito dell'approvazione, l'8 luglio 2015; da parte del Parlamento europeo della proposta di risoluzione recante raccomandazioni alla Commissione;
          la questione della protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche protette è uno dei capitoli negoziali più rilevanti soprattutto per il nostro Paese leader mondiale nella produzione di prodotti certificati;
          è indispensabile garantire che l'accordo includa disposizioni volte ad impedire l'uso illecito di denominazioni geografiche unionali ingannevoli per i consumatori e salvaguardare i regimi che contribuiscono in modo sostanziale alla loro protezione, posto che gli USA si oppongono da sempre alle richieste europee in tema di indicazioni geografiche;
          è altresì indispensabile che si forniscano informazioni chiare e succinte sull'origine dei prodotti e che si converga su standard comuni in tema di indicazione obbligatoria dell'origine in grado non solo di proteggere i consumatori ma anche di porre le condizioni di una equa concorrenza tra gli operatori economici nell'accesso ai rispettivi mercati;
          da quanto si apprende a seguito di incontri ufficiali con i responsabili europei del negoziato, una delle possibili soluzioni sarà l'inserimento nel TTIP (Transatlantic trade and investment partnership) di una lista di prodotti DOP ed IGP, per i quali l'esportazione nel mercato statunitense registra trend positivi ed in continua crescita, che beneficeranno del riconoscimento accordato dalla legge americana ai prodotti con marchi registrati  –:
          di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa, se sia già stato predisposto un elenco di prodotti DOP ed IGP da inserire nell'accordo affinché ne sia garantita la tutela, e se sarà reso pubblico. (4-13478)

      Risposta. — Mi stupisco che si continui a polemizzare sulla mancanza di trasparenza relativa al Ttip quando sarebbe bastata una semplice ricerca su internet per arrivare al seguente link: http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2016/march/tradoc_154386.GIPaperAnnex1%20FINAL_REV.pdf.
      Meraviglia quindi che un membro di un partito che promuove l'uso delle nuove tecnologie non abbia nemmeno provato a cercare sul sito della Commissione europea il dossier relativo ai prodotti Dop e Igp nelle trattative del Ttip.
      A dispetto delle critiche, evidentemente poco informate, da parte del partito dell'interrogante, l'Europa ha reso pubblici anche grazie alla forte pressione dell'Italia il mandato negoziale sul Ttip ed è impegnata in un aggiornamento costante sui round negoziali proprio in una pagina dedicata del sito della Commissione.
      Il nostro obiettivo in ogni caso è di assicurare una reale protezione alle indicazioni geografiche italiane, nel quadro del negoziato con la controparte. Per questo continueremo a vigilare sull'evoluzione del negoziato, affinché la Commissione prosegua la contrattazione con gli USA in modo da rispettare i termini del mandato, puntando a standard qualitativi e di sicurezza alimentari sempre più alti.
      Tornando alla lista dei prodotti citata dagli interroganti evidenzio che la suddetta rappresenta una short list, che comprende i prodotti che presentano maggiori interessi commerciali sul mercato USA. Tale lista potrà essere aggiornata nel corso dell'applicazione dell'accordo, mediante l'inserimento dei prodotti che presenteranno interessi commerciali sul mercato USA. La nostra volontà è quella di estendere il più possibile la tutela dei prodotti italiani, tenendo conto che questa lista rappresenta un elemento significativo anche per contrastare anche il fenomeno dell’italian sounding.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      GELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la libertà religiosa rappresenta un valore fondamentale della nostra Costituzione;
          è espressione di tale valore la possibilità di avere luoghi adeguati per l'esercizio di ciascun culto;
          nel gennaio 2013 è entrata in vigore l'intesa tra l'Unione Buddhista Italiana e Stato Italiano;
          la comunità buddista è perfettamente integrata e non ha mai manifestato alcuna forma di tensione con le autorità nazionali;
          sabato 27 giugno 2015 a Firenze il presidente del Consiglio Matteo Renzi, in occasione della firma dell'intesa tra Repubblica Italiana e l'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, che, insieme all'Unione Buddista Italiana, è tra le più grandi associazioni buddiste in Italia, ha lanciato un forte monito per la lotta al terrorismo e per la promozione di una cultura del rispetto e della tolleranza. Ciò a testimonianza di questo forte e rinnovato contesto di attenzione verso tutte le confessioni religiose che operano nel nostro Paese;
          nonostante quanto segnalato appare però difficile per le confessioni religiose, diverse dalla cattolica individuare e acquisire luoghi di culto idonei;
          a titolo esemplificativo può essere citato il caso delle monache e dei monaci buddisti che avevano provato sin dal 2004 a costruire un monastero nella frazione di Pomaia nel comune di Santa Luce in provincia di Pisa;
          nonostante un travagliato iter amministrativo, culminato anche in un ricorso al Tar della comunità buddista, poi ritirato, non si riescono a superare le difficoltà per la costruzione del citato luogo di culto;
          il 13 giugno 2014 il Dalai Lama nel corso di una sua visita, ha benedetto il luogo dove deve sorgere il monastero alla presenza del sindaco, del presidente della provincia e della regione Toscana, rappresentata da un assessore regionale;
          in quella occasione vi fu una grande partecipazione popolare a testimonianza di una profonda integrazione della comunità buddhista nel contesto locale;
          al di là della vicenda che appare esemplificativa sia dell'integrazione tra la comunità buddista sia delle difficoltà pratiche che possono emergere nella costruzioni di luoghi di culto, occorrerebbe un'iniziativa forte del governo per agevolare l'integrazione delle comunità che, anche in quanto provenienti da culture diverse, professano religioni diverse da quella maggioritaria  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda attivare per individuare un percorso che porti in tempi brevi a rimuovere gli ostacoli ancora presenti nell'integrazione tra le diverse culture individuando forme e modi per assicurare, anche a cittadini e stranieri che professano religioni minoritarie, di poter usufruire di idonei luoghi di culto. (4-09754)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, prendendo spunto dalle difficoltà incontrate da un gruppo di monaci e monache buddiste nel realizzare un monastero nel comune di Santa Luce, auspica l'intervento del Governo al fine di garantire la rimozione degli ostacoli che impediscono un'effettiva integrazione culturale fra cittadini e stranieri con particolare riferimento all'individuazione e acquisizione di luoghi di culto idonei alle confessioni religiose diverse da quella Cattolica.
      Al riguardo, va dato atto che il tema della regolarità dei luoghi di culto sotto il profilo urbanistico interseca quella dell'esercizio in forma associativa del diritto di libertà religiosa. Diritto che, come sancito dalla Corte costituzionale con diverse sentenze vertenti sull'edificazione dei luoghi di culto, va garantito in strutture a ciò idonee.
      Pur tuttavia, va sottolineato che, trattandosi di una tematica attinente in via prioritaria alla gestione del territorio, essa esula dalle dirette competenze dell'Amministrazione statale, ricadendo invece nelle specifiche attribuzioni delle Regioni e degli enti locali.
      Per quanto riguarda l'Istituto buddista «Lama Tzong Khapa» – uno dei principali luoghi di studio del buddismo tibetano in occidente – la Prefettura di Pisa ha riferito che lo stesso ha sede da circa quarant'anni in località Pomaia, frazione del comune di Santa Luce, e rappresenta una realtà bene integrata nel locale tessuto sociale, favorevolmente accolta dalla popolazione.
      Da tempo, inoltre, è attiva l'associazione «Sangha Onlus», che si prefigge lo scopo di raccogliere fondi per la costruzione di un monastero buddista.
      La predetta associazione risulta proprietaria dal 2007 di un terreno di circa 30 ettari, posto in località Poggio alla Penna, distante pochi chilometri dall'Istituto «Lama Tzong Khapa», in un'area facente parte di una vecchia cava di gabbriccio ormai abbandonata, individuata quale sede per la costruzione di un monastero buddista.
      Tale scelta, secondo quanto dichiarato dal rappresentante legale dell'Associazione, è stata dettata dalla volontà di costruire un luogo di culto simbolicamente sulla roccia, analogamente ai monasteri tibetani. Il progetto è stato presentato nel 2011 e prevede una struttura molto ampia, dislocata su quattro livelli, per un investimento complessivo pari a 14 milioni di euro.
      Tuttavia, come osservato dall'interrogante, la realizzazione del progetto ha incontrato notevoli ostacoli di natura tecnico-amministrativa, riconducibili alla possibilità di trasformare l'area da cava dismessa in area di culto edificabile.
      Nel 2012 il comune di Santa Luce ha respinto ufficialmente l'istanza di avvio dell'iter autorizzativo per la realizzazione del progetto, presentata dall'Associazione «Sangha Onlus», in quanto le normative succedutesi negli anni non avrebbero consentito variazioni al vigente PRG. In realtà finora gli amministratori non avrebbero ritenuto di effettuare varianti al piano regolatore, anche per evitare eventuali rimostranze da parte di altri cittadini le cui istanze per l'utilizzazione dell'area non sono state accolte.
      In un primo momento, il rappresentante della «Sangha Onlus» ha presentato ricorso al TAR per poi ritirarlo, prima che intervenisse la sentenza del giudice amministrativo, scegliendo la strada del dialogo con l'Amministrazione comunale.
      L'associazione, comunque, sembra aver manifestato la propria piena disponibilità a seguire tutte le indicazioni che potranno giungere dall'Amministrazione comunale, purché si compia finalmente l'iter procedurale necessario alla realizzazione del progetto.
      Il comune di Santa Luce, interpellato dalla prefettura di Pisa, ha assicurato di essere impegnata a stabilire un dialogo proficuo con tutti i cittadini e i soggetti che operano a vario titolo sul territorio, nel rispetto delle regole e con spirito di equità, confermando peraltro la propria volontà di inserire anche la proposta in questione nelle valutazioni finalizzate alle procedure di pianificazione urbanistica.
      La stessa Amministrazione ha comunicato più di recente che è in corso l'assegnazione dell'incarico per l'aggiornamento degli strumenti urbanistici che prevedono la revisione del Piano strutturale e la realizzazione del Piano operativo, come previsto dalla legge regionale Toscana vigente in materia.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.


      GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          in applicazione della legge 30 dicembre 2010 n.  240 e del Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011 con decreti direttoriali 222 del 2012 e 151 del 2013 sono state bandite per gli anni 2012 e 2013 tornate per il conferimento dell'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di I e II fascia;
          alcuni candidati, pur avendo ottenuto il giudizio favorevole di tre membri su cinque della commissione di valutazione, non sono stati dichiarati idonei poiché l'articolo 8, comma 5, del Decreto del Presidente della Repubblica 222 del 14 settembre 2011 richiedeva la maggioranza qualificata di quattro quinti;
          in esito ad alcuni ricorsi, il Tar del Lazio con diverse sentenze (nn.  12407, 12574, 12575, 13121 del 2015) ha dichiarato illegittima tale previsione della maggioranza dei 4/5;
          il Consiglio di Stato (Sezione Sesta) con sentenza depositata il 5 febbraio 2016, ha ribadito tale giudizio di illegittimità sulla norma in parola, dichiarando che deve ritenersi illegittimo l'articolo 8, comma 5, del Decreto del Presidente della Repubblica n.  222 del 2011, secondo il quale la Commissione delibera a maggioranza dei quattro quinti dei componenti, anziché a maggioranza dei componenti;
          specificamente, il Consiglio di Stato nella medesima sentenza ha rilevato la mancanza di una fonte primaria della previsione di maggioranze qualificate e ha segnalato che risulta, all'evidenza, impossibile pervenire ad un congruo e motivato giudizio negativo per una Commissione a maggioranza convinta del contrario;
          il Ministero, a seguito di tale sentenza e sulla scorta del parere dell'Avvocatura generale dello Stato, con Circolare del Direttore Generale ha riconosciuto che «l'annullamento della norma regolamentare in questione non possa ritenersi limitato alle sole fattispecie particolari, ma abbia efficacia erga omnes»;
          tuttavia, con la medesima circolare il Ministero circoscrive l'efficacia    solo ai candidati che a suo tempo avevano proposto ricorso e, infatti, fornisce indicazioni alle commissioni aperte e a quelle che dovranno insediarsi per effetto dell'annullamento di norma della maggioranza qualificata;
          in data successiva a quella della circolare del direttore generale del Ministero, il TAR del Lazio sezione terza) con sentenza depositata in data 3 marzo 2016 ha stabilito che «in considerazione del vizio accertato, non si ravvisa la necessità di rinnovare l'attività valutativa da parte di una commissione in rinnovata composizione. Il giudizio finale abilitativo è infatti già insito in quello in concreto deliberato dalla Commissione secondo il quorum deliberativo da considerare, oggi ma anche per allora, legittimo e sufficiente»; in altre parole «discende dall'effetto caducatorio/sostitutivo sull'articolo 8, comma 5, cit., prodotto dalle sentenze menzionate, che il titolo di abilitazione scientifica consegue al voto favorevole espresso dalla maggioranza (semplice e non qualificata) dei componenti della Commissione»;
          nel corso di una discussione in seno al Consiglio universitario nazionale, proprio su tale pronunciamento del TAR, alcuni autorevoli ed emeriti membri hanno espresso l'auspicio che il Ministero attribuisca, in autotutela, l'abilitazione a tutti coloro che hanno ottenuto il giudizio favorevole di tre membri su 5 della commissione e non ai soli ricorrenti al T.A.R.;
          il riconoscimento dell'abilitazione a tutti i candidati che avevano ottenuto un giudizio favorevole di tre membri su cinque si appalesa come giusto ed opportuno poiché:
              a) risponderebbe ai principi costituzionali e normativi vigenti;
              b) eliminerebbe la sperequazione a danno di studiosi e docenti che, pur non avendo fatto ricorso al T.A.R., sono sostanzialmente nelle stesse condizioni di diritto e di fatto;
              c) renderebbe effettivamente erga omnes l'applicazione del principio stabilito dalla sentenza del Consiglio di Stato;
              d) non comporterebbe alcun aggravio di oneri economico-finanziari aggiuntivi né per il Ministero che, sulla scorta della recente sentenza del TAR Lazio, non dovrebbe nominare una nuova commissione, e tantomeno per il sistema universitario nel suo complesso poiché i docenti saranno reclutati tenendo conto solo delle risorse già disponibili;
              e) eliminerebbe il contenzioso a cui il Ministero dovrebbe far fronte e che potrebbe aumentare nel corso del tempo  –:
          quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per favorire, attraverso la formalizzazione di un apposito provvedimento, il riconoscimento all'abilitazione per tutti i docenti universitari che hanno ottenuto la soglia favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il collegio di valutazione, ovvero dei suoi 3/5. (4-13278)

      Risposta. – Si rappresenta preliminarmente che le ragioni per le quali non si è consentita l'estensione soggettiva del giudicato ai candidati che non hanno tempestivamente proposto ricorso non dipende da scelte discrezionali dell'Amministrazione, bensì dall'applicazione di principi ampiamente consolidati nella giurisprudenza amministrativa.
      Questo Ministero, dopo che il Consiglio di Stato ha confermato il 5 febbraio 2016 l'annullamento della norma regolamentare dei 4/5 disposto dal Tribunale amministrativo regionale, ha provveduto a chiedere parere all'Avvocatura generale dello Stato in merito agli effetti di queste pronunce sul contenzioso in atto.
      L'Avvocatura ha chiarito che «gli effetti della sentenza eli annullamento si producono sui giudizi di non abilitazione adottati con 3 voti favorevoli al candidato e 2 contrari, relativi a provvedimenti impugnati o ancora impugnabili mentre restano fermi i giudizi non tempestivamente impugnati».
      Quindi, l'Amministrazione – in data 11 febbraio 2016 – ha invitato le Commissioni ASN, nominate in esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali, a dare applicazione al principio generale della maggioranza semplice per quei candidati non abilitati con 3 pareri favorevoli su 5 che avessero impugnato i giudizi delle commissioni o che risultassero ancora nei termini per farlo.
      Pertanto, per questi candidati si sta procedendo ad ottemperare i singoli provvedimenti giurisdizionali e, in applicazione del principio della maggioranza semplice, si sta provvedendo a dispone il conseguimento dell'abilitazione, come disposto dal giudice amministrativo.
      Si ribadisce, invece, che gli effetti della sentenza di annullamento – ossia l'applicazione del principio della maggioranza semplice – non si producono rispetto a quelle situazioni che, non essendo state impugnate nei termini, si sono ormai consolidate al tempo in cui il giudice non aveva ancora dichiarato l'illegittimità della stessa norma regolamentare.
      Questo principio è stato confermato anche dallo Consiglio di Stato, secondo il quale l'efficacia erga omnes dell'annullamento di atti normativi incontra «il limite delle situazioni esaurite». Ciò «comporta che i soggetti estranei al giudizio potranno far valere gli effetti connessi con il venir meno dell'atto individuale [...] sempre nei rispetto di detto limite» (Cons. Stato, Sez. VI, 21 agosto 1993, n.  585; Cons. Stato, Sez. IV, 4 maggio 2004, n.  2754).
      Per completezza, si informa che la prossima procedura per l'abilitazione scientifica nazionale, di imminente attivazione, sarà caratterizzata per tutti i candidati dalla regola di attribuzione dell'abilitazione con il voto favorevole di almeno 3 commissari su 5.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      GRILLO e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel giugno 1976 l'organizzazione neofascista Avanguardia nazionale fu disciolta dal Ministro dell'interno a seguito di numerosissime informative e segnalazioni delle forze dell'ordine e della magistratura per la sua pericolosità per l'ordinamento democratico della Repubblica italiana;
          si apprende dagli organi di stampa che a Roma si terrà il 25 e 26 giugno 2016 un raduno commemorativo di Avanguardia nazionale ad opera di una rediviva Avanguardia nazionale;
          in particolare, il blog Fascinazione, vicino agli ambienti delle estreme destre, scrive così il 18 giugno 2016: «In occasione del cinquantaseiesimo anniversario Avanguardia nazionale ha organizzato, a Roma, presso la sala convegni del ristorante La Fraschetta nel Campo, sita in via Tiburtina 949 una due giorni di dibattiti, incontri e conferenze. All'evento saranno presenti delegazioni di ex militanti di Avanguardia nazionale da tutta Italia, da Trieste alla Calabria»  –:
          se il Ministro interrogato sia informato dell'evento di cui in premessa;
          quali elementi abbia acquisito o intenda acquisire al riguardo, posto che detto evento, a giudizio degli interroganti, pare assumere una connotazione di esaltazione di una organizzazione neofascista posta fuorilegge da anni in connessione con la sigla Avanguardia nazionale che sembra rediviva malgrado sia stata disciolta. (4-13594)

      Risposta. – Come riportato nel testo dell'interrogazione in esame, il 25 e 26 giugno scorsi, presso la sala convegni del ristorante romano «La Fraschetta nel Parco», si è svolto un raduno-incontro di ex militanti di Avanguardia nazionale in occasione del 56o anniversario della fondazione del movimento.
      Al raduno, che si è svolto in forma privata e a cui sono stati ammessi solo gli invitati, hanno partecipato complessivamente 50 persone, molte delle quali in età avanzata, tra le quali quelle menzionate nell'interrogazione.
      Lo svolgimento dell'iniziativa, grazie anche al sito scelto, non ha determinato turbative per l'ordine e la sicurezza pubblica.
      Per le descritte modalità di svolgimento, il raduno non ha richiesto l'obbligo di preavviso all'autorità provinciale di pubblica sicurezza, in quanto tenutosi in un'area privata circoscritta non aperta al pubblico. Ciò alla luce delle pronunce della Corte costituzionale che hanno dichiarato illegittima la parte dell'articolo 18 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza che considerava pubblica anche una riunione che, sebbene indetta in forma privata, presentasse alcune caratteristiche proprie di riunioni non private, tra le quali in particolare il numero dei partecipanti.
      Ciò premesso, si assicura che le autorità provinciali di pubblica sicurezza e le forze di polizia dedicano la massima, costante attenzione alle attività di tutti i gruppi politici estremisti monitorandone costantemente le iniziative, al fine di cogliere il minimo segnale di turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica e ogni ipotesi di deviazione dalle regole del diritto e della pacifica convivenza.
      Tornando specificamente ad Avanguardia nazionale, si ha notizia di alcune riunioni effettuate da ex militanti del movimento in occasione dei vari anniversari della costituzione del sodalizio, alle quali hanno partecipato alcune decine di persone provenienti da diverse regioni.
      Si segnala anche che, secondo quanto acquisito nell'ambito dell'attività informativa, già nel corso dell'incontro svoltosi a Roma nel giugno 2015, in occasione del 55o Anniversario della costituzione del sodalizio, un noto esponente dell'estrema destra capitolina avrebbe manifestato il proposito di costituire una nuova formazione politica ispirata ad alcuni principi dell'esperienza di Avanguardia nazionale, attraverso l'apertura di «punti di riferimento» nella Capitale ed in altre province.
      Le DIGOS delle questure italiane, opportunamente sensibilizzate dalla direzione centrale della Polizia di prevenzione del dipartimento della pubblica sicurezza, non hanno finora rilevato elementi di riscontro di tale progettualità.
      Sono, comunque, in corso mirate attività di approfondimento anche relazione all'evento commemorativo oggetto dell'interrogazione, il cui esito, qualora dovessero emergere elementi di rilevanza penale, verrà comunicato all'autorità giudiziaria.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      CRISTIAN IANNUZZI, BUSTO e SEGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in provincia di Isernia, precisamente a Pozzilli, dal 1999, opera un inceneritore, gestito dalla società Hera Ambiente, nato come impianto a biomasse, autorizzato nel 2008 a bruciare da 20 mila a 100 mila tonnellate all'anno di CDR (combustibile derivato da rifiuto), senza AIA (autorizzazione integrata ambientale). Solo dopo una denuncia alla Comunità europea, l'impianto è stato obbligato ad effettuare l'AIA, autorizzazione che la società Hera Ambiente invece ottiene solo nel luglio 2015;
          in Italia, il 33 per cento della popolazione è esposta a valori eccessivi di particolato grossolano, fine e ultrafine, contro una media dei paesi dell'Unione europea dell'11 per cento. L'Unione europea ha aperto una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia per il superamento dei limiti in dieci regioni e il Molise è tra di esse, solo per il limite del Pm10, visto che solo dal 2014 le centraline gestite dall'Arpa Molise effettuano il monitoraggio del Pm 2,5, il cui valore limite annuo fissato in 25 μ3 è vincolante dal 1° gennaio 2015, nonostante sia stato dichiarato valore obiettivo dal 2010 dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n.  155;
          all'inceneritore ufficiale di Pozzilli si aggiunge, a pochi chilometri di distanza, il cementificio di Sesto Campano che emette dai suoi camini circa 400 tonnellate di polveri, rilevanti quantità di metalli pesanti in merito quali l'associazione «Mamme per la salute e l'ambiente onlus Venafro» e l'Isde Italia, durante un convegno in occasione delle «Giornate molisane ambiente e salute», tenutesi nell'aprile 2015, si esprimevano così: «Noi troviamo una matrice ambientale dove le emissioni di diossine ci sono e sono accertate perché abbiamo valori nell'ordine non lontano dal grammo, come emissione di Colacem, e di milligrammi, come emissioni annue di Hera. Tenendo presente che la diossina può durare nell'ambiente più di dieci anni, ogni anno si accumula l'anno precedente. Quindi abbiamo una situazione di vari grammi nell'ambiente e quando la pericolosità è a miliardesimi di milligrammo abbiamo miliardi di volte, sparsi nell'ambiente, quantità pericolose che possono accumularsi, attraverso la catena alimentare, nelle piante che diventano foraggio, negli animali e poi nell'uomo»;
          in Italia, e di conseguenza anche in Molise, la politica nazionale ha scelto l'incentivazione dell'incenerimento, contrariamente a quanto avviene in altri Stati europei e in contrasto con le direttive europee: infatti, tra l'altro, è stata ammessa la riclassificazione degli impianti di incenerimento per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani D10 a impianti per il recupero di energia R1;
          in particolare, l'articolo 35 del decreto-legge n.  133 del 12 settembre 2014, altrimenti detto «Sblocca Italia», prevede che tutti gli inceneritori vengano considerati «insediamenti strategici di preminente interesse nazionale»: di conseguenza, tali impianti possono incenerire i rifiuti urbani, i rifiuti speciali non pericolosi e i rifiuti speciali pericolosi a solo rischio sanitario, prodotti non soltanto localmente, ma nell'intero territorio nazionale fino a saturazione del carico termico, facendo così decadere i vincoli di bacino; il decreto stabilisce inoltre il dimezzamento dei tempi per le procedure di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale, nonché la costruzione di nuovi impianti;
          l'Italia, nel dicembre 2015, in occasione della XXI conferenza internazionale dell'Onu sui cambiamenti climatici, a Parigi, ha sottoscritto un protocollo d'intesa che impegna, in maniera vincolante, le nazioni partecipanti a riduzioni significative delle emissioni di anidride carbonica, il primo gas responsabile dell'innalzamento della temperatura terrestre;
          gli inceneritori o termovalorizzatori producono anche energia, ma le sue caratteristiche peculiari restano la combustione, con conseguente rilascio in atmosfera di inquinanti sottilissimi e dannosi alla salute, e la produzione di ceneri di scarto che, rappresentano, in peso il 30 per cento del rifiuto in ingresso bruciato. Ciò significa che, comunque, al termine del processo di incenerimento, i rifiuti in entrata vengono eliminati solo per il 70 per cento del loro volume, creando quindi un ulteriore problema, quello dello smaltimento delle ceneri stesse;
          si apprende dall'articolo «Pozzilli e Venafro nuova grande pattumiera dell'Abruzzo e dell'Italia», sul giornale Mediamolise del 6 febbraio 2016, che sia stata raggiunta una prima intesa per far incenerire i rifiuti abruzzesi nell'impianto Hera di Pozzilli, la cui capacità sarebbe interamente saturata solo con i rifiuti molisani e abruzzesi;
          secondo l'articolo «Accordo sull'inceneritore, a Pozzilli rifiuti tracciabili», pubblicato sul quotidiano primo piano Molise, il 10 febbraio 2016 la società Hera Ambiente è autorizzata a bruciare 93.800 tonnellate di Css (combustibile solido secondario), ma avrebbe chiesto di aumentare la capacità a circa 150 mila tonnellate e di poter trattare anche un tipo di Cdr di qualità inferiore, con una procedura che ha ottenuto un primo diniego dalla regione e verso la quale l'industria ha fatto ricorso al Tar Molise. Attualmente, meno del 10 per cento del prodotto termovalorizzato a Pozzilli è il residuo dei rifiuti del Molise, il restante 91 per cento proviene dall'Abruzzo (27,88 per cento equivalente a circa 27 mila tonnellate), dal Lazio (49,11 per cento), dalla Puglia (12,22 per cento), dalla Calabria (0,81 per cento) e dalla Campania (0,06);
          durante un convegno in occasione delle «Giornate molisane ambiente e salute», tenutesi nell'aprile 2015, il professor Tamino, citando dati dell'Arpa Molise, ha evidenziato come «incenerire 1 kg di rifiuti comporta l'uso di 7 kg di aria e 1 kg di suolo». Quindi, il biologo ha messo in guardia sull'ossido di azoto (soprattutto smog delle auto ma non solo), che «incide pesantemente sull'insorgere di malattie». «Il livello di diossina nel Venafrano non è elevatissimo ma segnala un pericolo» ... «il problema è che la diossina si accumula». Citando dati Arpa e Asrem, l'esperto ha scandito che «Hera Ambiente emette sostanze cancerogene nei limiti di legge ma è poi l'accumulo di queste sostanze (con emissioni provenienti anche da altri fattori ovviamente,) che fa male alla salute»;
          la piana di Venafro è una zona nota per le criticità ambientali sia riguardo i continui sforamenti dell'inquinante Pm 10, che sanitarie, per l'alto indice di malattie tumorali e l'accertata presenza nel circondario di diossina nel latte materno di caprini e ovini;
          già nel 2012, come riportano i giornali locali, l'ex consigliere regionale molisano, Massimo Romano, diffidò Michele Iorio e la regione Molise «ad adempiere al dettato legislativo del decreto-legge 155 del 2010». Decreto che doveva prevedere la bonifica dei territori inquinati e il rispetto delle direttive europee in materia di gestione dei rifiuti, oltre al rispetto della legge regionale n.  16 del 2011 per la tutela del territorio, che, in particolare, all'articolo 12, prevede la bonifica dell'area di Venafro, indicata dal collaboratore di giustizia Schiavone come cuore degli sversamenti illegali del basso Molise;
          ancora prima, tra il 2010 e il 2011, esplosero gli scandali Open Gates e Dark Report: la procura di Larino scoprì che, nei terreni agricoli del Cosib, venivano sversati illecitamente rifiuti tossici;
          da anni, alcune mamme del comune di Venafro, riunitesi in una onlus, si battono per difendere la salute della popolazione molisana interessata da un pericoloso aumento delle malattie tumorali e penalizzata anche da un progressivo indebolimento della sanità pubblica smantellata a favore di quella privata;
          dal giornale Primo piano Molise del 15 aprile 2015 si apprende che i dati forniti dalla stessa Hera Ambiente e raccolti nel piano di sorveglianza e monitoraggio esterno mostrano una significativa alterazione dell'ambiente per il constatato accumulo sul terreno di metalli particolarmente nocivi come cadmio, piombo, mercurio;
          oltre alla raccolta differenziata «spinta», pratica non ancora perseguita in Italia, esistono metodi alternativi quali il trattamento bio-meccanico dei rifiuti, attraverso cui il problema della parte bio-degradabile dei rifiuti viene risolta in modo naturale. I rifiuti vengono stoccati per una settimana in un grande container nel quale viene insufflata aria calda a 50-60° C. In questo modo vengono attivati i batteri aerobici che degradano la frazione biologica ancora presente nei materiali conferiti. Una volta risolto il problema della frazione bio-degradabile, la parte solida rimanente può essere agevolmente risposta in discarica o incenerita, minimizzando la produzione di liquami, odori e inquinanti. I costi del trattamento bio-meccanico sono pari ad un quinto del costo degli inceneritori e per la realizzazione di un impianto T.B.M si impiegano 2 anni rispetto ai 5 degli inceneritori;
          a Mestre è già in funzione un impianto di trattamento bio-meccanico. La parte biodegradata è utilizzata come fertilizzante e le balle di materiale secco vanno ad alimentare la centrale elettrica di Fusina;
          in Germania sono stati costruiti, negli ultimi 10 anni, parallelamente agli inceneritori esistenti, ben 64 impianti di trattamento bio-meccanico per circa 6.122.000 t/anno di MPC, contro i 17.500.000 di t/anno trattate dagli inceneritori;
          lo smaltimento dei rifiuti spesso è legato al traffico illecito: il maxi-processo Spartacus e le rivelazioni di Carmine Schiavone hanno dimostrato che le regioni industriali italiane quando hanno esaurito le proprie discariche, inviano i prodotti di scarto del Mezzogiorno;
          nel 2001, l'Ami (Azienda municipale imolese oggi ConAmi) acquistò per 9,3 milioni di euro dalla società Scr i terreni dell'area industriale ex Pozzi di Sparanise, in provincia di Caserta, zona che l'allora consigliere provinciale Nicola Cosentino definì «altamente inquinata». Poco dopo, l'Ami diventerà parte del Gruppo Hera. Nel giugno 2008, risulta che la Scr sia stata rappresentata nel consiglio di amministrazione di Hera Comm Med da Giovanni Cosentino, fratello del sottosegretario pro tempore Nicola Cosentino, allora indagato, nonché genero del boss Diana, oltre a Enrico Reccia, un allevatore di bufale, che fino al 2002 è stato presidente del collegio sindacale della Cooperativa Europa 2002, nella quale era sindaco anche l'imprenditore Salvatore Della Corte, arrestato nel 2006 dal Ros e condannato a due anni e 4 mesi perché accusato di aiutare il clan Zagaria nei suoi affari al Nord;
          attualmente, il presidente di ConAmi Stefano Manara è in totale conflitto di interesse, in quanto è, da una parte proprietario-controllore della discarica (come presidente di ConAmi) e, dall'altra, siede nel consiglio di amministrazione di Hera, società controllata che ricava profitti dalla discarica;
          il 27 febbraio 2016, l'assessore all'ambiente della regione Molise, Vittorino Facciolla, uno dei principali fautori dell'accordo per i rifiuti con l'Abruzzo, è stato nominato vicepresidente della giunta regionale: sembra che egli si trovi in conflitto di interessi per aver votato favorevolmente l'adozione del V.I.A. (delibera n.  62 del 21 febbraio 2014 della giunta regionale del Molise) riguardo ad un parco eolico nel comune di Montecilfone (Cb) ed aver in precedenza fornito una consulenza sullo stesso parco quale legale del comune di Montecilfone, incassando una fattura di oltre 4.000 euro dalla ditta interessata  –:
          quali iniziative il Governo, intenda adottare, urgentemente, contro l'inquinamento ambientale ed a protezione della salute, in particolare alla luce dei casi che riguardano i comuni di Pozzilli, Venafro, Roccaravindola già sottoposti a notevoli e molteplici criticità al fine di evitare il rischio di diffusione/contaminazione dovuto alla capacità dei venti di trasportare a grandi distanze le sostanze le polveri sottili emesse;
          se il Ministro della salute intenda promuovere nella piana di Venafro-Pozzilli una indagine epidemiologica anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, al fine di verificare, soprattutto nell'area circostante l'impianto di cui in premessa, gli accumuli di sostanze e metalli nocivi come diossina, cromo, cadmio piombo e altro;
          se il Governo, per quanto di propria competenza, intenda avviare azioni di monitoraggio in termini di quantità, qualità e tracciabilità dei rifiuti al fine di non disincentivare la raccolta differenziata, in modo tale che non siano vanificati i comportamenti virtuosi dei cittadini nella pratica di questa attività;
          se il Governo, alla luce dell'impegno vincolante preso con l'adesione del protocollo d'intesa in occasione della Conferenza di Parigi, non ritenga opportuno assumere iniziative normative, nell'ambito dell'attuazione della strategia nazionale ambientale ed energetica, per rivedere quanto disposto dall'articolo 35 del decreto-legge n.  133 del 12 settembre 2014 e per favorire una corretta gestione dei rifiuti che preveda la riduzione, il riuso, il riciclaggio e il recupero energetico dei rifiuti in altra forma che non sia la produzione di energia elettrica attraverso l'incenerimento, gestione che comporterebbe minori spese, vantaggi per l'ambiente e minori scarti da smaltire;
          se siano state avviate indagini a carico di amministratori e funzionari che, nel corso degli anni, avrebbero omesso di riscontrare la diffida del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi della legge 13 agosto 2010, n.  155 e successive modifiche, creando danni ingenti alla salute dei cittadini e all'ambiente;
          quali iniziative si intendano adottare per il contrasto ai conflitti di interesse ed alle ecomafie, con particolare riguardo al ciclo illegale dei rifiuti e alla consolidata presenza di infiltrazioni mafiose nelle imprese implicate nel traffico illegale dei rifiuti. (4-12369)

      Risposta. – Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      La normativa nazionale in materia di qualità dell'aria (decreto legislativo n.  155 del 2010 e successive modificazioni ed integrazioni) affida alle regioni e alla province autonome le attività di valutazione finalizzate a conoscere il contesto territoriale e quelle di pianificazione volte ad identificare gli interventi più efficaci per assicurare il rispetto degli standard di qualità dell'aria e ad assicurarne l'attuazione.
      Ai predetti enti territoriali compete quindi il monitoraggio degli inquinanti atmosferici, la predisposizione dei piani o programmi per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria, compresa l'individuazione dei soggetti deputati all'attuazione di tali Piani, nonché la trasmissione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle relative informazioni per l'invio alla Commissione Europea.
      A seguito dell'emanazione del decreto legislativo n.  155 del 2010, la regione Molise, per una corretta valutazione della qualità dell'aria, ha suddiviso il territorio regionale in 3 zone: «Area collinare», «Pianura (Piana di Bojano – Piana di Venafro)» e «Fascia costiera».
      In base alla nuova zonizzazione del territorio regionale (DGR n.  375 del 1o agosto 2014) i comuni di Pozzilli e Venafro, in provincia di Isernia, sono stati inseriti nella zona denominata «Pianura (Piana di Bojano – Piana di Venafro)», comprendente anche il comune di Campobasso.
      Nella provincia di Isernia la valutazione della qualità dell'aria ambiente è effettuata tramite quattro stazioni fisse di monitoraggio, di cui due posizionate nel comune di Venafro.
      I dati di qualità dell'aria misurati dalle stazioni di Venafro nel 2014 evidenziano alcune criticità in merito al materiale particolato PM10 ed al biossido di azoto NO2. Nello specifico, per il PM10 si registrano 44 giorni di superamento del valore limite giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 35 volte per anno civile), mentre per l'NO2 è stato superato il valore limite annuale previsto per la protezione della salute umana (40 μg/m3), con un valore di 44 μg/m3.
      Per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico la Regione Molise ha avviato il processo di definizione del piano di qualità dell'aria. Il «Piano regionale integrato per la qualità dell'aria Molise (P.R.I.A.Mo.)» costituisce lo strumento di pianificazione regionale per il raggiungimento, entro il più breve tempo possibile, dei valori limite nelle aree in cui il livello di uno o più inquinanti sia superiore e per il mantenimento del relativo rispetto nelle aree in cui i livelli degli inquinanti siano di sotto di tali valori limite.
      Considerato che ai sensi del decreto legislativo n.  152 del 2006 il P.R.I.A.Mo. deve essere sottoposto a Valutazione ambientale strategica (VAS), al fine di valutare preventivamente la significatività dei potenziali impatti che il piano può determinare sull'ambiente, con decreto della giunta regionale n.  829 del 24 dicembre 2015 per tale piano è stato formalmente avviato il procedimento per la valutazione ambientale strategica.
      Nel documento preliminare di piano sono stati individuati i principali settori responsabili dell'inquinamento atmosferico su cui intervenire e le relative linee di azione, tra cui quelle direttamente indirizzate a contrastare l'emissione di inquinanti atmosferici nonché interventi strutturali più generali che agiscono sulla qualità di processi, prodotti e comportamenti.
      In particolare, per il settore delle attività produttive, che ricomprende i macrosettori «combustione industriale», «attività produttive» e «uso dei solventi», il P.R.I.A.Mo. individuerà le misure necessarie ad una riduzione delle emissioni nei settori industriali caratterizzati da un'alta potenzialità emissiva, oltre a prevedere l'adozione di misure più restrittive di quelle comunitarie. Inoltre, all'interno del P.R.I.A.Mo. sarà prevista un'adeguata disciplina contenente le procedure tecniche atte a consentire ai gestori di poter adeguare gli impianti esistenti ai nuovi limiti di emissione e alle eventuali prescrizioni consequenziali. Per tale settore sono state individuate specifiche linee di azione per aziende soggette ad Autorizzazione integrata ambientale (AIA), per quelle non soggette ad AIA, e per cave e cantieri edili.
      A livello nazionale si segnala che, stante la competenza primaria delle regioni in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria, l'azione del Ministero dell'ambiente è stata mirata a garantire un costante e fondamentale supporto alle amministrazioni regionali e locali.
      In primo luogo, al fine di favorire un confronto istituzionale sul tema della valutazione e gestione della qualità dell'aria, è stato istituito, presso questo dicastero un coordinamento tra i rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero della salute, di ogni regione e provincia autonoma, dell'Unione delle province italiane (UPI) e dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci), nonché delle agenzie e degli istituti tecnici con competenze in materia ambientale (Ispra, Iss, Enea, Cnr). Nel contesto di tale coordinamento sono individuati gli indirizzi comuni per la valutazione della qualità dell'aria, anche in relazione agli strumenti di pianificazione.
      Inoltre, il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato da tempo un'azione di indirizzo e coordinamento di tutte le amministrazioni centrali aventi competenza in settori che producono emissioni in atmosfera al fine di definire una strategia volta all'individuazione di misure condivise da attuare congiuntamente su tutto il territorio nazionale.
      In particolare è stata avviata un'interlocuzione con le regioni del centro sud finalizzata a porre in essere soluzioni mirate e condivise per l'individuazione delle misure per il miglioramento della qualità dell'aria specifiche per tali territori, anche sul modello dell'accordo di programma per il bacino padano del 2013 che, come noto, ha permesso di individuare una serie di importanti interventi di risanamento della qualità dell'aria presso le regioni firmatarie.
      Infine, si segnala che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'Intesa tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
      In particolare, tra le misure di urgenza, che saranno attivate dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola, 7 giorni), protocollo prevede l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 chilometri orari nelle aree urbane estese al territorio comunale e alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
      Con riferimento alle possibili azioni volte ad incentivare la raccolta differenziata e promuovere comportamenti virtuosi in tal senso da parte dei cittadini, si segnala che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha tra le sue priorità l'emanazione del regolamento attuativo previsto dall'articolo 1, comma 667, della legge 27 dicembre 2013, n.  147, nel quale «sono stabiliti criteri per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall'utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servigio, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati, svolto nelle forme ammesse dal diritto dell'Unione europea».
      La promulgazione di questo regolamento, potrà garantire l'attuazione del principio «chi inquina paga» e di una metodologia più equa di determinazione della tariffa anche attraverso eventuali modalità di partecipazione dei diversi soggetti interessati.
      Inoltre, si fa presente che l'articolo 35, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n.133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n.  164, prevede che «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica».
      In primo luogo, si segnala che la finalità del decreto in questione è quella di ridurre il conferimento dei rifiuti in discarica (calcolato ad una percentuale massima del 10 per cento) e di sfruttare al meglio la rete impiantistica nazionale già esistente, delineando una potenziale linea strategica nazionale di medio lungo termine sulla gestione dei rifiuti per gli anni avvenire, in ottemperanza all'obiettivo di ottimizzazione della rete infrastrutturale dedicata al recupero energetico su scala nazionale previsto nell'ambito del «pacchetto economia circolare», presentato il 2 dicembre 2015 e in fase di consultazione.
      Con particolare riferimento alla strategia nazionale delineata dalle disposizioni dei decreti attuativi dello «sblocca Italia», si rappresenta, inoltre, che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha accolto la richiesta della conferenza Stato-regioni di istituire un comitato, presso la conferenza stessa, per la gestione integrata ed efficiente del ciclo dei rifiuti.
      Tale comitato avrà funzioni istruttorie, di raccordo e di coordinamento e concorrerà ad ottimizzare l'efficacia del sistema integrato di gestione dei rifiuti e assicurerà il monitoraggio e il coordinamento a livello nazionale per l'attuazione delle politiche di gestione dei rifiuti.
      Ad ogni modo si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
      Da ultimo, si segnala che la legge del 22 maggio 2015, n.  68 recante «Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente», ha introdotto nel libro II del codice penale titolo VI-bis, dedicato interamente ai delitti contro l'ambiente.
      Il nuovo titolo del codice penale prevede 6 nuove fattispecie di reati contro l'ambiente: il delitto di inquinamento ambientale (articolo 452-bis); il delitto di morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale (articolo 452-ter), il delitto di disastro ambientale (articolo 452-quater), il delitto di traffico ed abbandono di materiale di alta radioattività (articolo 452-sexies), il delitto di impedimento del controllo (articolo 452-septies); il delitto di omessa bonifica (articolo 452-terdecies).
      Della questione in esame sono stati, inoltre, interessati anche gli altri Ministeri competenti e, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a rendere noti i nuovi aggiornamenti.
      Per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          si richiama l'interrogazione parlamentare n.  4-08836 e la relativa risposta del sottosegretario per i beni e le attività culturali e il turismo Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua;
          nella stessa risposta si rileva che la Commissione cultura della Camera dei deputati, con l'attiva partecipazione del Ministero sta esaminando una «organica proposta normativa volta ad avviare una vera e propria politica di promozione della lettura, attraverso una varietà di strumenti, e in particolare l'istituzione del Piano d'azione nazionale per la promozione della lettura, da adottarsi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge». Una proposta che, come dichiarato dallo stesso sottosegretario, «si confida possa diventare legge in tempi ragionevoli» e «dovrà comunque essere corredata di una significativa dotazione finanziaria per poter produrre i risultati sperati»;
          oltre il consueto appuntamento letterario di luglio a Polignano a Mare con il festival, nell'ambito del «Libro Possibile» si contano diverse iniziative in ben 11 comuni baresi: il Libro Possibile Winter – Adelfia, Bari, Capurso, Cellamare, Gioia del Colle, Triggiano, Turi, Valenzano (da novembre ad aprile); il Vino Possibile – Polignano a Mare (Luglio); Episodi – Grotte di Castellana (da marzo a giugno); Il Carnevale Possibile – Putignano (gennaio-febbraio);
          il festival letterario «Il Libro Possibile» (che come già illustrato nella richiamata interrogazione deve scontare il drastico taglio dei contributi pubblici dei diversi enti) attende il riconoscimento da parte della regione Puglia dei seguenti contributi: euro 4.750 come saldo dell'anno 2013, euro 5.750 come saldo dell'anno 2014 ed euro 41.000 come intero contributo dell'anno 2015  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e con quali modalità ritenga possibile intervenire, per quanto di competenza, per garantire il futuro della manifestazione letteraria «Il Libro Possibile», punto fermo dell'offerta turistica e culturale dell'intera Puglia, alla luce degli ingenti e continui tagli sul versante «cultura» perpetrati negli anni e alla luce dell'inefficienza e della lentezza burocratica della regione Puglia nell'erogare i previsti contribuiti. (4-12921)

      Risposta. – Nell'atto ispettivo in esame, l'interrogante, evidenziate le difficoltà per il festival letterario Il libro possibile di Polignano a Mare (Bari) derivanti dalla mancata erogazione da parte della regione Puglia dei contributi già assegnati negli anni 2013-2014, chiede di conoscere con quali modalità il Ministero «ritenga possibile intervenire, per quanto di competenza, per garantire il futuro della manifestazione letteraria Il libro possibile».    
      Sempre in riferimento al festival di cui sopra, l'interrogante aveva già presentato l'interrogazione scritta n.  4-08836, alla quale è stata data risposta, a firma di Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario per i beni e le attività culturali.
      Nella sua precedente richiesta l'interrogante evidenziava che la manifestazione letteraria Il libro possibile, giunta nel 2014 alla sua XII edizione, si tiene annualmente nel comune di Polignano a Mare (Bari) per volontà dell'associazione culturale Artes e si propone di «portare il mondo del libro fuori dagli ambiti tradizionali di ricerca e diffusione per recuperare l'idea della “piazza” come agorà, luogo di incontro, di parole e di festa». Sottolineava, anche, la peculiarità della manifestazione nel «volontariato su cui si regge». Rilevava come nel 2015 fossero stati ridotti, e in alcuni casi addirittura scomparsi, i contributi di enti pubblici all'iniziativa che, invece, «rappresenta, a differenza di molle altre manifestazioni, un modello virtuoso e sostenibile di promozione culturale».
      Per quanto premesso, si chiedeva anche nel precedente atto di conoscere con quali modalità l'Amministrazione «ritenga possibile intervenire, per quanto di competenza, per garantire il futuro della manifestazione letteraria Il libro possibile».
      In considerazione delle caratteristiche analoghe delle due interrogazioni, è opportuno, prima di tutto, richiamare e confermare quanto esposto nella risposta fornita all'interrogazione n.  4-08836. In essa venivano illustrati gli interventi in favore della manifestazione letteraria Il libro possibile, promossi da questa amministrazione nell'ambito della propria competenza, limite giustamente sottolineato anche dall'Interrogante, trattandosi di materia, quale la promozione e organizzazione di attività culturali che, stante l'attuale articolo 117 della Costituzione, è nella competenza concorrente Stato-regioni.
      Nell'attuale assetto costituzionale, nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
      Entro tale quadro di riferimento ordinamentale si collocano le iniziative legislative in corso di esame in Parlamento, richiamate nella precedente risposta, che mirano al coinvolgimento di tutti gli attori impegnati nell'ambito per     «fare sistema» e dare concretezza ad un percorso strutturato, in grado di generare importanti ricadute culturali, sociali, economiche e di grande valorizzazione turistica dell'intero territorio nazionale.
      In tale ambito, lo si riconferma, sarà certamente possibile adottare nuovi, ulteriori strumenti di intervento per favorire le iniziative culturali radicate sul territorio, valorizzare infrastrutture e buone pratiche di promozione della lettura già esistenti, avviare nuovi progetti e attivare tavoli di concertazione, prestando attenzione alle fasce deboli della popolazione ed alla necessità di arginare differenze di genere e divari territoriali.
      Nel riconoscere il pieno valore della manifestazione letteraria Il libro possibile ai fini della diffusione del libro e dell'abitudine alla lettura nei vari livelli della società, si conferma che tali obiettivi sono quelli al cui raggiungimento è preposto anche il Centro per il libro e la lettura che interviene a sostegno con una serie di iniziative a carattere nazionale, come pubblicato sul sito istituzionale: www.cepell.it.
      Tra di esse, nella precedente risposta, si evidenziava quella relativa al portale Le Città del Libro: www.cittadellibro.it che, realizzato dal Centro per il libro e la lettura, istituto autonomo di questo Ministero, si propone di censire e dare visibilità alle città del libro; di mettere a confronto esperienze e modelli organizzativi; di favorire l'accesso alla documentazione – testuale, fotografica e audiovisiva – prodotta nell'ambito delle singole manifestazioni; di aprire un canale di comunicazione con il pubblico.    
      Nell'elenco delle Città del Libro è inserita anche la manifestazione di Polignano in quanto in possesso dei criteri richiesti.
      Per quanto riguarda le forme di sostegno economico, la concessione di contributi e di altri benefici economici da parte del Centro per il libro è fondata sul principio di sussidiarietà, di cui all'articolo 118 della Costituzione e avviene nei limiti dell'articolo 2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n.  34 del 25 gennaio 2010, Regolamento recante organizzazione e funzionamento del Centro per il Libro e la Lettura ed è disciplinata dal Regolamento di disciplina delle modalità, limiti e procedure da seguire per la concessione di contributi, di altri benefici economici e dell'utilizzo del logo, i cui testi sono pubblicati sul sito del Centro, al quale si può fare riferimento per una puntale conoscenza delle iniziative avviate dal Centro.
      Sin dal suo insediamento questa Amministrazione ha operato per incrementare le risorse destinate alla cultura. Un quadro completo delle iniziative realizzate è contenuto nel dossier 2 anni di Governo. Cultura e turismo, pubblicato sul sito del Ministero: http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Comunicati/visualizza_asset.html_980427413.html.
      Tra di esse, ritenendola di interesse, si segnala la misura introdotta dalla legge di stabilità 2016 che consente a tutti i contribuenti, nella dichiarazione dei redditi di quest'anno, di destinare il due per mille del proprio reddito in favore delle associazioni culturali iscritte in un apposito elenco istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
      Sul sito del Ministero è pubblicata la normativa che disciplina la misura fiscale: http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/Avvisi/visualizza_asset.html_1608256909.html.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


      LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          la promozione della lingua e della cultura italiane nel mondo è comunemente considerata uno degli strumenti più efficaci per corrispondere alla sempre elevata domanda di cultura italiana in ambito internazionale e per favorire la proiezione del nostro Sistema Paese in ambito globale;
          di recente, lo stesso Presidente del Consiglio Renzi, in occasione di visite compiute in diversi Paesi, ha avuto modo di ribadire che la promozione della lingua e della cultura italiane all'estero è una «priorità del Paese»;
          per le comunità italiane di origine, l'offerta di lingua e cultura italiane rappresenta un essenziale sostegno alla formazione di un loro consapevole profilo identitario e al percorso di integrazione interculturale nei contesti di insediamento;
          in un precedente atto parlamentare, l'interrogante ricordava come la comunità d'origine italiana in Canada abbia una dimensione di circa un milione e mezzo di persone, di cui 137.000 iscritti all'AIRE, e conserva profondi legami culturali con i luoghi di origine, essendosi formata in prevalenza nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale;
          tra gli enti che hanno assicurato la continuità dello studio dell'italiano e la trasmissione di esso alle nuove generazioni nell'area culturale del Quebec si è distinto il PICAI (Patronato italo canadese di assistenza agli italiani), che per oltre quarant'anni, con il sostegno delle autorità canadesi e del Governo italiano, è stato per migliaia di famiglie e per decine di migliaia di studenti un riferimento imprescindibile sul piano linguistico e culturale, radicandosi profondamente nella nostra comunità di origine;
          a tale ente gestore, nonostante l'ampio riconoscimento di cui gode presso la comunità italiana e presso le autorità canadesi, è stato prima progressivamente ridotto il contributo da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e poi, negli anni 2014 e 2015, sospeso del tutto;
          la motivazione del parere negativo che sarebbe stata addotta dalle autorità diplomatiche e consolari riguarderebbe il fatto che l'ente, nel corso degli anni, è riuscito a realizzare con il contributo richiesto alle famiglie per la frequenza dei corsi di lingua una riserva di fondi, dichiarata dallo stesso PICAI nella documentazione inoltrata al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che, a chiusura dell'anno finanziario 2015, ammontava a 336.800 dollari canadesi;
          nonostante l'assenza del contributo del Governo italiano, l'ente ha continuato il suo servizio a beneficio della comunità, organizzando in 12 scuole corsi per 1500 studenti, utilizzando a tal fine per un 35 per cento il contributo delle famiglie e per un 65 per cento anticipazioni di cassa dal proprio patrimonio;
          a seguito di tale scelta, sulla riserva residua di 336.800 dollari canadesi, nei primi mesi del 2016, ha inciso un ulteriore anticipazione di cassa di 268.350 dollari canadesi, resasi necessaria per concludere le attività didattiche dell'anno scolastico 2015-2016;
          la somma residua, pari a 68.450 non consente al PICAI, senza il ripristino del contributo pubblico, di assumere alcun impegno per l'avvio, a settembre, del nuovo anno scolastico 2016-2017, semmai sarà appena sufficiente per lo smobilizzo delle strutture impiegate per lo svolgimento dei corsi di italiano;
          tale stato di cose porterà alla fine dell'ultraquarantennale attività del PICAI e alla chiusura dell'ente intorno al quale ha ruotato l'apprendimento dell'italiano a Montréal e nell'area del Quebec, con un obiettivo arretramento dell'offerta linguistica in una realtà di forte tradizione italiana e di notevole peso demografico nel contesto canadese;
          una volta esaurita la riserva finanziaria dell'ente e, dunque, superata la situazione che avrebbe impedito il parere positivo delle autorità diplomatiche e consolari, sembra evidente l'esigenza di riammettere l'ente in tempi utili al finanziamento ministeriale, al fine di assicurare la continuità dell'attività di insegnamento del PICAI e l'apertura del nuovo anno scolastico, che avverrà, come è noto, nel mese di settembre  –:
          se non intenda    assumere iniziative anche alla luce della prevedibile reintegrazione dei fondi sul capitolo 3153, per la quale a quanto risulta all'interrogante c’è un impegno dello stesso Ministro, per prevedere un contributo ministeriale a favore del PICAI capace di integrare i proventi provenienti dalle famiglie e di scongiurare il blocco delle attività per il prossimo anno scolastico, con preoccupanti conseguenze sui livelli di offerta della lingua e cultura italiane a Montréal e in altre realtà del Quebec. (4-12897)

      Risposta. — Il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale svolge un'azione particolarmente intensa a favore della diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo, favorendo l'attuazione di corsi ad hoc attraverso contributi a valere sul capitolo di bilancio n.  3153 in favore dei nostri connazionali all'estero.
      Negli ultimi anni, la significativa riduzione di fondi a disposizione sul citato capitolo (passati da 27 milioni di euro del 2008 a meno di 10 milioni del 2014) e la progressiva contrazione numerica dei posti di contingente per il personale della scuola (da 1.024 a 624 unità) hanno imposto di ottimizzare l'offerta formativa proposta all'estero, con particolare riguardo alle attività promosse dagli Enti gestori, il cui numero è stato a sua volta contratto da ca. 250 ai 132 nel 2015.
      Tra i requisiti per accedere a contributi a valere sul capitolo ministeriale n.  3153, vi è la preesistente autonomia finanziaria dell'ente gestore: il contributo Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale può infatti essere erogato solo se marginale rispetto alle risorse proprie del richiedente. Al contempo, il possesso da parte dell'ente gestore di fondi propri in grado di coprire totalmente i costi dei corsi programmati è parimenti elemento che non consente l'erogazione di contributi di questo Ministero.
      La Farnesina riconosce agli enti gestori operativi in Canada e in particolare in Québec un importante ruolo nella promozione della lingua e cultura italiana.
      Il mancato finanziamento nell'anno in corso a favore dell'ente di nuova costituzione CESDA, alla luce di quanto sopra evidenziato, è da attribuire al fatto che questo non presenta ancora un livello di attività idoneo. Resta fermo che in futuro il potenziamento dell'attività, accompagnato dalla relativa dotazione di risorse proprie, gli consentirà di accedere ai fondi disponibili sul capitolo n.  3153.
      Con riguardo invece al PICAI, sia l'ambasciata in Canada che il consolato generale a Montréal hanno espresso parere negativo in merito alla richiesta di contributo presentata per il 2016, in considerazione del fatto che, sulla base del bilancio preventivo, l'ente in parola appare disporre di fondi propri sufficienti a coprire tutti i costi dei corsi programmati. Anche il COMITES di Montréal ha espresso sin dal 2014 parere negativo alla concessione di contributi Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Il PICAI, malgrado non usufruisca di contributi ministeriali dal 2014, ha infatti mantenuto negli anni in esame sostanzialmente inalterata l'offerta dei corsi a Montréal.
      Resta comunque fermo che in futuro, una volta forniti chiarimenti sulla questione finanziaria e in particolare sull'aspetto relativo alle risorse proprie e previo parere favorevole delle competenti autorità diplomatico-consolari, sarà possibile riconsiderare la situazione.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Mario Giro.


      LABRIOLA, PASTORELLI, SEGONI e FURNARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo i dati contenuti nel Rapporto rifiuti urbani 2014 redatto dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambienta (Ispra), nel 2013 la produzione nazionale dei rifiuti urbani si è attestata, a circa 29,6 milioni di tonnellate, facendo registrare una riduzione di quasi 400 mila tonnellate rispetto al 2012 (-13 per cento). Tale contrazione, che fa seguito ai cali già registrati nel 2011 e nel 2012, porta a una riduzione complessiva di circa 2,9 milioni di tonnellate rispetto al 2010 (-8,9 per cento). Il dato di produzione dei rifiuti urbani si attesta, nel 2013, a un valore inferiore a quello rilevato nel 2002 (29,9 milioni di tonnellate);
          in relazione alle modalità di smaltimento dei rifiuti urbani, il citato rapporto dell'Ispra specifica che nei 44 impianti di incenerimento operativi in Italia, sempre nel 2013, i rifiuti complessivamente inceneriti sono pari a 5,8 milioni di tonnellate, di cui 2,5 milioni di RU indifferenziati, circa 1,8 milioni di tonnellate di frazione secca, oltre 1 milione di tonnellate di combustibile solido secondario, 418 mila tonnellate di rifiuti speciali di cui quasi 35 mila tonnellate di rifiuti sanitari. I rifiuti speciali pericolosi, in prevalenza di origine sanitaria, ammontano a circa 49 mila tonnellate;
          l'andamento nel periodo 2003-2013, del quantitativo di rifiuti urbani inceneriti, compresa la frazione secca ed il combustibile solido secondario, mostra un progressivo incremento nel decennio pari al 70,3 per cento (passando da circa 3,2 milioni di tonnellata a 5,4 milioni di tonnellate). Tale aumento risulta più significativo se si rapportano le quantità incenerite con la produzione totale di rifiuti urbani che, nel 2013, fa registrare una diminuzione dell'1,2 per cento. Nel 2013 circa il 18,2 per cento dei rifiuti urbani prodotti viene incenerito;
          ormai da tempo alcune aziende produttrici di cemento («cementerie/cementifici»), utilizzano per la produzione di clinker (costituente principale del cemento) significative quantità di rifiuti e, in particolare, scorie da acciaieria (CER 100102 e 102020) e scorie pesanti da inceneritori (CER 190112), in parziale sostituzione di materie prime naturali (come argilla, calcare, bauxite    e altro) e con apporti e proporzioni diversificati a seconda dell'impianto;
          le scorie che residuano dai processi di incenerimento dei rifiuti solidi urbani verrebbero, dunque, sottoposte presso i cementifici a una operazione classificata di recupero (attività R5) nell'ambito della formulazione della farina cruda e, quindi, previa cottura, destinate alla produzione di clinker, successivamente utilizzato per la fabbricazione di cementi comuni e di altri prodotti per l'edilizia;
          l'utilizzo di rifiuti del genere, in particolare le scorie da incenerimento, determina un incremento di metalli pesanti nel cemento prodotto anche se (secondo i cementieri) al di sotto delle soglie previste dalle norme standardizzate per la qualificazione chimico-tecnica dei diversi tipi di cemento;
          al riguardo, il regolamento (CE) n.  1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio approvato il 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche (REACH), entrato in vigore il 1° luglio 2007, nell'obbligare alla registrazione – intesa come presentazione, da parte dei fabbricanti o degli importatori, di alcune informazioni di base sulle sue caratteristiche e, in mancanza di dati disponibili, nell'esecuzione di test sperimentali per caratterizzare le relative proprietà fisico-chimiche, tossicologiche e ambientali – di tutte le sostanze commerciali, consente (all'Allegato V) l'esenzione dagli obblighi di registrazione del clinker nel presupposto che esso sia compreso tra le «sostanze (che) non sono chimicamente modificate»;
          il citato regolamento REACH evidenzia che la natura e la praticabilità concreta dell'esenzione sono individuate nella «Guida all'allegato V – esenzioni dall'obbligo di registrazione Versione novembre 2012, Voce 10, nella quale viene altresì precisato che la nozione di «sostanza non modificata chimicamente» è spiegata ai punti 7 e 8, i quali includono le sostanze presenti in natura se non sono modificate chimicamente, così come definite ai sensi dell'articolo 3, paragrafi 39 e 40, del REACH;
          l'esenzione di cui ai citati punti 7 e 8 della guida all'allegato V del documento di orientamento richiede, pertanto, che le sostanze siano sostanze presenti in natura e che non siano modificate chimicamente; ciò comporta che in sede di applicazione dell'esenzione stessa dalla registrazione ad una sostanza, questa debba soddisfare entrambi i criteri;
          quanto sopra esposto vale evidentemente per i componenti «minerali» del clinker, ma si deve ragionevolmente ritenere che la estensione al clinker stesso vada considerata in funzione della sua concreta composizione, della presenza di sostanze secondarie (ad esempio metalli pesanti) e della funzione e dell'effetto che i diversi costituenti hanno nella cottura della farina cruda. In particolare, il ruolo delle scorie da incenerimento e/o da acciaieria nella «modificabilità» chimica del clinker va sottoposto ad attenta valutazione, caso per caso. Il ruolo di questi (e di altri rifiuti) non può, infatti, essere considerato del tutto identico a quello delle materie prime «naturali» e «non chimicamente modificate» che costituiscono la farina cruda per la produzione del clinker (composta principalmente da calcare, argilla, bauxite, minerale metallico del ferro e quarzo). Per quanto riguarda principali rifiuti utilizzati nelle cementerie, va rilevato, altresì, che le scorie di acciaieria (CER 100201 e 100202), si presentano sia come rifiuti (esentati dall'obbligo di registrazione al REACH ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2) sia come sostanze regolarmente registrate (esempio n.  CE 266-002-0). Esse vengono utilizzate in parziale sostituzione delle materie vergini costituenti la farina cruda per la produzione di clinker, compatibilmente con la rilevante presenza di ossidi di ferro. Le scorie pesanti da processi di incenerimento, sono esclusivamente rifiuti (CER 190112) che, in quanto tali, non sono soggetti a registrazione (articolo 2, paragrafo 2 del REACH) e vengono anch'esse utilizzate in parziale sostituzione delle materie vergini costituenti la farina cruda per la produzione di clinker, tenuto conto dei principali costituenti, ossidi di silicio, calcio, alluminio e ferro;
          sia le scorie d'acciaieria e sia quelle da inceneritore contengono metalli pesanti. Queste ultime, poi, contengono anche metalli (rottami ferrosi e non ferrosi), data l'impossibilità di una completa demetallizzazione, e non sono, quindi, costituite esclusivamente di componenti minerali;
          durante la cottura della farina cruda, composta anche da tali rifiuti, si verifica l'inglobamento nel clinker dei metalli pesanti presenti nelle scorie, mentre non va trascurato che il clinker viene successivamente sottoposto a macinazione, finalizzata alla produzione del cemento, con rilevantissimo aumento delle superfici di contatto e con incremento del rischio che i metalli pesanti vengano dispersi e/o rilasciati nell'ambiente;
          sulla base delle considerazioni sopra esposte, qualora il clinker sia prodotto utilizzando scorie da inceneritore o, eventualmente, anche altri rifiuti e/o sostanze ottenute dagli stessi con un analogo comportamento, non sembra possano essere mantenuti i criteri per l'esenzione applicabili, invece, al clinker prodotto a partire da farina cruda costituita da materie prime vergini o da rifiuti con diverso comportamento/reattività, dal momento che la sostanza in esame (il clinker prodotto utilizzando anche le scorie) non è presente in natura e che l'utilizzo di scorie da inceneritori dà luogo a un clinker chimicamente modificato (in quanto ottenuto da un rifiuto ben diverso dalle materie prime naturali che contiene). Fra l'altro, materiali come il ferro, il rame, il piombo, l'alluminio e lo zinco, ancora significativamente presenti nelle scorie dopo i trattamenti di demetallizzazione, non esistono in natura in forma di metalli;
          la guida all'allegato V soprarichiamata, ribadisce che «Il clinker viene prodotto a partire dalle materie prime calcare, argilla, bauxite, minerale metallico del ferro e quarzo...». Da tale assunto deriva necessariamente che l'esenzione di cui trattasi è limitata esclusivamente alle ipotesi di prodotto ottenuto da materie prime naturali, non modificate chimicamente o, comunque, lavorate con mezzi manuali, meccanici o gravitazionali;
          quanto sopradescritto crea inevitabili preoccupazioni sia in termini di salute ambientale che di rischi per la salute umana;
          l'utilizzo delle ceneri da combustione dei rifiuti nel ciclo produttivo del cemento prevede l'incorporazione delle ceneri tossiche da combustione nel clinker/cemento prodotto. Numerose osservazioni sperimentali hanno dimostrato come gli eluati delle scorie pesanti siano tutt'altro che inerti;
          le scorie prodotte dalla combustione dei rifiuti sono caratterizzate da un elevato contenuto di prodotti chimici estremamente tossici, il cui rilascio nell'ambiente può generare conseguenze gravi sulla salute umana;
          quando tali scorie vengono incorporate nel cemento, le caratteristiche fisiche di quest'ultimo risultano alterate in maniera direttamente proporzionale alla quantità di scorie impiegate e, nel breve termine, le alterazioni causate dagli agenti atmosferici naturali non sembrerebbero garantire il mantenimento dei limiti imposti dalla legge;
          nelle scorie pesanti è stato anche dimostrato un elevato contenuto di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), noti agenti cancerogeni;
          scorie pesanti costituiscono circa l'80 per cento    del residuo dell'incenerimento dei rifiuti e contengono varie sostanze a rischio di inquinamento ambientale, quali diossine (un chilogrammo di scorie pesanti contiene circa 34ng di diossine), metalli pesanti e composti organici di varia natura (principalmente composti aromatici);
          metalli pesanti possono migrare nel suolo e nelle falde idriche e rappresentare un serio rischio per la salute umana, trasmettendosi attraverso la catena alimentare ed esercitando azione genotossica a causa della produzione di un danno ossidativo alle catene del DNA;
          il riutilizzo delle scorie, inoltre, costituisce un importante fattore di rischio professionale, a causa principalmente dell'esposizione dei lavoratori a cromo e cadmio, attraverso inalazione e assorbimento transdermico;
          nei lavoratori esposti a ceneri da incenerimento contenenti IPA e diossine è stata segnalata un'alterata espressione genica del citocromo CYP1B1 nei leucociti periferici, di entità tale da considerare questa alterazione come marker di danno biologico professionale;
          l'acquisto e l'utilizzo del cemento prodotto con il clinker costituito anche da scorie da incenerimento dei rifiuti, costituisce un pericolo per la salute di chi vi è esposto nelle sedi più diverse (cantieri edili, edifici, condutture dell'acqua e altro) e della salubrità dell'ambiente nel momento in cui tali manufatti vengono demoliti e le macerie vengono smaltite in discarica  –:
          quali iniziative, anche di carattere normativo, intendano tempestivamente intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di assicurare la concreta fruizione da parte dei cittadini del diritto alla salute, costituzionalmente garantito, e di assicurare il rispetto della normativa vigente in materia di tutela dell'ambiente, eventualmente introducendo l'obbligo per le aziende produttrici di cemento di indicare in modo chiaro ed inequivocabile la composizione del cemento prodotto. (4-10681)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche connesse all'uso del clinker nella produzione di cemento, sulla base degli elementi acquisiti dall'Ispra, si rappresenta quanto segue.
      Le norme principali di riferimento in materia di sostanze chimiche sono il regolamento (CE) n.  1907/2006 (REACH), concernente l'immissione in commercio delle sostanze chimiche e il regolamento (CE) n.  1272/2008 (CLP), relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele.
      Il regolamento (CE) n.  1907/2006, denominato REACH (acronimo di Registration, Evaluation, Authorisation and restriction of CHemicals), è stato adottato dall'Unione europea per migliorare la protezione della salute dell'uomo e dell'ambiente dai rischi delle sostanze chimiche, stimolando nello stesso tempo la competitività dell'industria chimica europea. Come noto, per colmare le lacune conoscitive sulle sostanze chimiche, incentivare lo sviluppo di sostanze più sicure e migliorare la gestione del rischio, il regolamento prevede una serie di processi e strumenti.
      La registrazione costituisce il primo elemento. Le aziende hanno l'onere di dimostrare la sicurezza delle sostanze chimiche, pertanto sono tenute ad acquisire i dati sulle proprietà e gli usi delle sostanze che producono o importano in quantità pari o superiori a una tonnellata all'anno, e devono effettuare una valutazione dei pericoli e dei rischi potenziali che queste possono comportare. In assenza di registrazione, la sostanza non può essere fabbricata o immessa sul mercato.
      Successivamente, avviene il processo di valutazione da parte dell'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) e degli Stati membri delle informazioni presentate dalle imprese; tale processo consiste nell'esaminare la qualità dei fascicoli di registrazione. Un ulteriore strumento previsto dal regolamento REACH è quello di gestione del rischio atto a garantire, in particolare, che i rischi derivanti dalle sostanze chimiche siano adeguatamente controllati. La gestione del rischio è attuata attraverso importanti processi utilizzati in ambito comunitario, quali: restrizioni, autorizzazioni e classificazione armonizzata (CLH).
      Peraltro, per il cemento e le miscele contenenti cemento, il REACH, all'allegato XVII, alla voce n.  47 «composti del cromo VI» prevede, come restrizione, che il cemento e le miscele contenenti cemento non possono essere immessi sul mercato o utilizzati se contengono, una volta mescolati con acqua, oltre 2 mg/kg (0,0002 per cento) di cromo VI idrosolubile sul peso totale secco del cemento.
      A ciò si aggiunga che, con il regolamento (CE) n.  1272/2008 del 16 dicembre 2008 (CLP), l'Unione europea ha adottato i criteri di classificazione ed etichettatura del GHS. Tale regolamento relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele, entrato in vigore il 20 gennaio 2009, ha sostituito, dopo un periodo transitorio, la direttiva 67/548/CEE relativa alle sostanze pericolose e la direttiva 1999/45/CE relativa ai preparati pericolosi. Le nuove regole di classificazione sono diventate obbligatorie dal 1o dicembre 2010, per le sostanze, e dal 1o giugno 2015, per le miscele.
      In questo scenario normativo, l'ISPRA svolge, nell'ambito dei propri compiti istituzionali, le attività di valutazione del rischio ambientale delle sostanze chimiche, analizzandone le caratteristiche intrinseche di pericolosità, il destino e i possibili effetti sugli organismi e gli ecosistemi esposti. In particolare, essa rappresenta l'istituto tecnico-scientifico di riferimento per gli aspetti ambientali, che supporta le amministrazioni preposte all'attuazione del regolamento REACH e del regolamento CLP.
      Tanto premesso, per quanto concerne l'opportunità dell'esenzione per il clinker dalla registrazione ai sensi del regolamento REACH attualmente in vigore, tenuto conto che alcune aziende produttrici di cemento utilizzano, per la produzione di clinker (costituente principale del cemento), significative quantità di rifiuti e, in particolare, scorie da acciaieria e scorie pesanti da inceneritori, che possono contenere componenti pericolosi, in parziale sostituzione di materie prime naturali, si evidenzia quanto segue.
      L'esenzione per il clinker dall'obbligo di registrazione ai sensi del regolamento REACH è prevista sul presupposto che esso sia compreso tra le «sostanze che non sono chimicamente modificate» (allegato V). In particolare, come specificato nella guida all'allegato V, questo vale per il clinker prodotto a partire dalle materie prime calcare, argilla, bauxite, minerale metallico del ferro e quarzo.
      Peraltro, per quanto riguarda il riutilizzo, atteso che gli obblighi del REACH non si applicano al materiale di scarto finché questo non ha cessato di essere un rifiuto, essi si dovrebbero applicare quando un prodotto viene fabbricato dal materiale di scarto. Pertanto le sostanze provenienti da recupero eventualmente riutilizzate dovrebbero essere soggette all'obbligo di registrazione e della preparazione di un dossier con le informazioni necessarie a garantire il suo utilizzo nel rispetto della salute umana e dell'ambiente.
      Tuttavia, il caso del clinker è più complesso, perché il materiale non è un End of Waste. Il clinker, infatti, è un prodotto a tutti gli effetti, ma, per normale pratica industriale, per la sua produzione, da anni si utilizzano rifiuti in sostituzione di alcune materie prime.
      La questione al momento è ancora aperta, e l'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) non ha ancora risposto a come si pone il REACH rispetto a questa pratica.
      Secondo ECHA, il clinker è esentabile se rispetta alcune condizioni. Se, ad esempio, può essere dimostrato che la composizione del clinker prodotto con scorie non è significativamente differente da quella del clinker prodotto da materie prime naturali. Tuttavia, non si hanno sufficienti informazioni sulla sostanza, sia per quanto riguarda la composizione, sia per quanto riguarda il processo di produzione. In mancanza di sufficienti informazioni, necessarie per consentire una identificazione univoca della suddetta sostanza, non si può concludere se il clinker prodotto da residui di inceneritore possa o meno essere considerato come «non chimicamente modificato».
      Occorre, inoltre, evidenziare che il clinker costituito da scorie da incenerimento dei rifiuti, in quanto può contenere sostanze pericolose, deve essere valutato anche ai fini della classificazione prevista dal regolamento 1272/2008/CE (CLP) e, se del caso, classificato di conseguenza.
      Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, si fa presente che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina. In ogni caso, si rassicura che il Ministero continuerà a tenersi informato, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          a seguito degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, sono tornati alla ribalta argomenti legati alle diverse confessioni religiose: si è discusso molto sul significato del Crocifisso, delle feste religiose cattoliche, vissute in questo periodo dell'anno nelle scuole italiane, e si è riacceso il dibattito relativo all'uso del burqa e del niqab;
          il termine burqa individua due tipi di vestiti diversi: il primo è una sorta di velo fissato al capo che copre l'intera testa, permettendo di vedere solamente attraverso una finestrella all'altezza degli occhi e che lascia gli occhi stessi scoperti, o che lascia scoperti occhi e bocca, la quale rimane però coperta da una sorta di mascherina come nel cosiddetto bandar burqa. L'altra forma, chiamata anche burqa completo o burqa afghano, è un abito, solitamente di colore nero o blu, che copre sia la testa sia il corpo. All'altezza degli occhi può anche essere posta una retina che permette di vedere parzialmente senza scoprire gli occhi della donna;
          l'obbligo di indossare il burqa appare conseguenza di tradizioni locali, indipendenti dalle prescrizioni religiose dell'Islam; nelle norme coraniche ci si limita a imporre l'obbligatorietà del velo, infatti, la SURA XXIV:31 recita:
              «E di alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi, sì da mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare»;
          il burqa, da quanto si apprende storicamente, sarebbe stato introdotto in Afghanistan all'inizio del 1890 durante il regno di Habibullah Kalak fwnıAt, che lo impose alle duecento donne del suo harem, in modo tale da «non indurre in tentazione», gli uomini quando esse si fossero trovate fuori dalla residenza reale, divenendo così fino agli anni 50 un capo per le donne dei ceti superiori, da usare per essere protette dagli sguardi del popolo. Durante la guerra civile, quando venne instaurato il regime islamico, sempre più donne tornarono a indossare il velo fino al divieto assoluto di mostrare il volto, imposto a tutte le donne dal successivo regime teocratico dei tālebān;
          si apprende, da notizie di stampa, che il burqa oltre a non essere imposto dal Corano non sia nemmeno un simbolo del multiculturalismo e dell'integrazione, lo avrebbero affermato sia dall'Imam inglese Taj Hargey (intervista pubblicata su www.tempi.it del 18 luglio 2014) che Amina Afzali, leader del movimento delle donne afghane, in un comunicato radio a tutte le donne del Paese (www.republica.it mondo del 30 dicembre 2001);
          da un articolo, pubblicato da l’Eco di Bergamo il 3 dicembre 2015, si apprende che in regione Lombardia sia stata presentata alla giunta regionale dall'assessore alla sicurezza, protezione civile e immigrazione, Simona Bordonali, una proposta normativa per rafforzare le misure di sicurezza per l'accesso agli uffici della regione, delle aziende sanitarie e ospedaliere, contenente il divieto di indossare burqa, niqab, passamontagna e caschi integrali, al fine di difendere sia i dipendenti che gli operatori ed i visitatori;
          occorre far riferimento all'articolo 85 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (regio decreto n.  773 del 1931) e alla legge n.152 del 1975, il cui articolo 5 (come sostituito dall'articolo 2 della legge n.  533 del 1977 e successivamente modificato dall'articolo 10, comma 4-bis, del decreto-legge n.  144 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  155 del 2005), recita: «È vietato l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l'uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino. Il contravventore è punito con l'arresto da uno a due anni e con l'ammenda da 1.000 a 2.000 euro. Per la contravvenzione di cui al presente articolo è facoltativo l'arresto in flagranza.»;
          nella risposta dell'allora Sottosegretario per l'interno, Mantovano Alfredo, all'interrogazione n.  5-03443 dell'Onorevole Bertolini in merito all'utilizzo del burqa nel territorio italiano, si legge testualmente che «Il 14 luglio 2010, il Comitato per l'Islam italiano, presieduto dal Ministro dell'interno, ha predisposto un parere sull'uso del burqa e del niqab, inviato al presidente di codesta Commissione affari costituzionali della Camera e da me personalmente illustrato. A esso rinvio per la posizione del Governo e del Ministero dell'interno. Il Comitato ha sottolineato che l'uso in luogo pubblico di indumenti che coprono interamente il volto e rendono la persona irriconoscibile (quali il burqa e il niqab) deve rimanere vietato per ragioni di pubblica sicurezza, né presunte interpretazioni religiose costituiscono “giustificati motivi” per eludere tali esigenze di ordine pubblico. Quello del burqa e del niqab, dal punto di vista dei rapporti con l'Islam, non è un obbligo religioso che derivi dal Corano, né è riconosciuto come tale dalla grande maggioranza delle scuole giuridiche islamiche. La materia va dunque “deconfessionalizzata” e il Comitato ha suggerito che le leggi evitino ogni specifico riferimento all'Islam e a questioni che attengano al velo o alla condizione della donna musulmana, ribadendo che la riconoscibilità delle persone deve essere garantita»  –:
          se ritenga, alla luce di quanto espresso in premessa, di assumere iniziative per chiarire in maniera inequivocabile se sia legittimo l'uso del burqa e del niqab nei luoghi pubblici ed in quali circostanze;
          quali iniziative urgenti, data la situazione attuale di emergenza internazionale, intenda adottare al fine di uniformare la normativa che ne disciplina l'uso sul territorio nazionale;
          se intenda, di concerto con Comitato per l'Islam italiano, adottare iniziative univoche in merito all'uso di tali indumenti al fine di garantire la sicurezza e consentire alle forze dell'ordine l'immediata identificazione delle donne che ne facciano uso. (4-11408)

      Risposta. — L'atto parlamentare in esame pone l'attenzione sul dibattito relativo all'uso del burqa e del niqab da parte delle donne musulmane presenti in Italia, evidenziando in particolare il problema della compatibilità di tale uso con le leggi di pubblica sicurezza in materia di divieto di travisamenti che rendano difficoltoso il riconoscimento delle persone.
      In proposito, oltre a richiamare il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, l'interrogante fa riferimento anche a una proposta normativa presentata lo scorso anno dall'assessore alla sicurezza, protezione civile e immigrazione della giunta regionale della Lombardia.
      In relazione a ciò, appare evidente innanzitutto come la tematica in oggetto abbia implicazioni dirette sull'esercizio dei diritti di libertà religiosa, riconosciuti e tutelati dalla nostra Costituzione, in particolare dall'articolo 19.
      Come sempre avviene quando sono in gioco differenti diritti di rilievo costituzionale e come la Consulta ha manifestato chiaramente in più occasioni, si tratta di effettuare un equilibrato bilanciamento tra le diverse istanze per consentire al sistema giuridico di funzionare in maniera ottimale. Ciò può comportare, in alcuni casi, il sacrificio di un diritto a vantaggio di altri di rango superiore.
      Nel caso specifico, quindi, se da una parte si deve tener conto dell'esercizio corretto di un diritto fondamentale della persona quale quello della manifestazione della propria fede religiosa, dall'altra parte non si può trascurare il diritto primario alla sicurezza pubblica, che costituisce una garanzia irrinunciabile per la convivenza ordinata e pacifica all'interno di qualsiasi società.
      Si osserva al riguardo che già la Costituzione pone chiaramente i limiti per una corretta estensione dell'esercizio del diritto di libertà religiosa. L'articolo 19, infatti, recita che ciascuno può manifestare in qualsiasi forma la sua confessione di fede ed esercitarne anche pubblicamente il culto, «purché non si tratti di riti contrari al buon costume». Da questo inciso si evince come già nelle intenzioni del Costituente non tutti i comportamenti esterni che il singolo riconduce alla propria sfera religiosa possono considerarsi legittimi e tutelati, perché vi sono evidentemente delle esigenze primarie che vanno in ogni caso salvaguardate.
      Per quanto detto, si ritiene appropriata la risposta fornita dal Governo nel corso della XVI legislatura all'atto di sindacato ispettivo dell'onorevole Bettolini menzionato nella presente interrogazione.
      Nello specifico, fu precisato che nei confronti di coloro che indossano il burqa o qualunque altra velatura operano le limitazioni imposte dall'ordinamento vigente a salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, fra le quali rientrano gli obblighi di consentire e non ostacolare il riconoscimento della persona da parte degli agenti a ciò abilitati.
      Fu chiarito poi che, trattandosi di norma penale, ogni valutazione in merito all'ambito di operatività della stessa appartiene all'esclusiva attribuzione dell'autorità giudiziaria.
      Fu evidenziato anche come le forze di polizia abbiano comunque la facoltà di attivare i propri poteri di identificazione nei confronti della persona che circoli in luogo pubblico con il viso coperto, qualora esistano circostanze ambientali tali da costituire giustificato motivo di allarme per la sicurezza.
      Per quanto concerne infine il quesito relativo alle iniziative che si intendano intraprendere per affrontare il problema, si segnala che, con decreto del Ministro dell'interno dello scorso 23 dicembre, è stato istituito il Consiglio per le relazioni con l'islam italiano quale organismo a carattere collegiale con funzioni consultive, composto da esperti e studiosi della cultura islamica, che approfondisca la conoscenza dell'Islam presente in Italia. Il Consiglio, di cui fanno parte esperti esponenti del mondo dell'università e della cultura, svolge una funzione di supporto nelle relazioni tra il Ministero e le realtà del mondo islamico presenti in Italia.
      Nell'ambito di queste relazioni, il 20 gennaio 2016 è stato convocato dal Ministro dell'interno il tavolo di confronto con i rappresentanti delle comunità e associazioni islamiche.
      In seno a tale tavolo potranno essere affrontate, con l'apporto delle rappresentanze delle comunità musulmane, le questioni legate all'integrazione e alle varie criticità che si possono determinare.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.


      LAFFRANCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il problema delle cosiddette «polveri sottili» e dei conseguenti «blocchi del traffico» sono diventati delle questioni di rilevanza nazionale, tanto che lo stesso Governo ha deciso di affrontare in maniera urgente e coordinata la situazione convocando un tavolo tecnico-politico al quale il Ministro interrogato ha invitato il presidente della Conferenza delle regioni, Stefano Bonaccini e il presidente dell'Anci, Piero Fassino, nonché il Capo della protezione civile nazionale Fabrizio Curcio;
          sarà istituito un «Comitato di coordinamento ambientale» composto da presidenti di regioni e di città metropolitane, che avrà vari compiti, tra questi, il controllo della riduzione delle emissioni degli impianti;
          sono a disposizione 50 milioni di euro per finanziare pubblici e privati che vogliono impiantare colonnine elettriche all'interno delle città metropolitane;
          sono già falliti alcuni «tentativi tampone» tra i quali il ricorso alle targhe alterne a Roma e il blocco totale del traffico a Milano, con le polveri sottili in determinate circostanze sono addirittura aumentate;
          tali misure, così come hanno fatto notare anche autorevoli associazioni nazionali a difesa dell'ambiente e dei diritti dei cittadini e dei consumatori, sono calcate «su misura» per le «grandi città» e le aree metropolitane;
          la regione dell'Umbria è l'unica, a livello nazionale, che ha visto e vede interessata al «problema inquinamento» e «blocco del traffico» tutte e tre le principali città, nonché ambedue i capoluoghi di provincia;
          la città di Perugia è al 23° posto nella classifica dei comuni capoluogo, Terni al 40°, mentre Foligno è al 113° posto nella classifica delle città italiane;
          oltre alla tutela della salute dei cittadini, al decoro e alla salubrità delle città, occorre anche fare in modo di continuare a garantire l'immagine che l'Umbria è riuscita a costruirsi e guadagnarsi a livello internazionale come «Cuore verde d'Italia», facendo proprio della qualità della vita e del suo ambiente incontaminato i principali punti di forza ed attrattiva;
          l'Umbria rappresenta pertanto un caso unico, del tutto particolare a livello nazionale, e i provvedimenti previsti dal Governo potrebbero incidere solo in minima parte per la risoluzione o quantomeno riduzione del problema  –:
          se il Ministro interrogato abbia in qualche modo analizzato il «caso Umbria»;
          se intenda    riconoscere all'Umbria, per quanto di competenza, attenzioni e iniziative eccezionali e particolari;
          se abbia ricevuto da parte delle istituzioni locali dell'Umbria, e in particolare dalla regione, richieste o proposte di soluzioni ad hoc. (4-11639)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'inquinamento dell'aria nella regione Umbria, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      La normativa nazionale in materia di qualità dell'aria affida alle regioni e alle province autonome le attività di valutazione finalizzate a conoscere il contesto territoriale e quelle di pianificazione volte ad identificare gli interventi più efficaci per assicurare il rispetto degli standard di qualità dell'aria e ad assicurarne l'attuazione.
      A queste ultime compete quindi il monitoraggio degli inquinanti atmosferici, la predisposizione dei piani o programmi per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria (compresa l'individuazione dei soggetti deputati all'attuazione di tali Piani quali ad esempio la regione stessa o i sindaci) nonché la trasmissione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle relative informazioni per l'invio alla Commissione europea.
      Per una corretta valutazione della qualità dell'aria, la regione Umbria ha suddiviso il territorio regionale in 3 grandi zone omogenee: zona della collina e montuosa, zona di valle e zona della cronaca ternana. Nell'individuazione delle zone sono stati utilizzati i confini amministrativi degli enti locali che permettono una migliore gestione delle aree omogenee.
      La rilevazione delle concentrazioni degli inquinanti presso tali zone avviene tramite le centraline di monitoraggio e attraverso l'utilizzo di modelli statistici-matematici che permettono di simulare le concentrazioni al suolo dove non sono effettuate le misurazioni dirette.
      Per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico la regione Umbria ha adottato negli anni una serie di interventi (misure e piani) ed in particolare nel 2013 ha approvato il nuovo Piano regionale per la qualità dell'aria che, sulla base dei dati raccolti dalla rete regionale di monitoraggio della qualità dell'aria, ha individuato le aree attualmente a maggior rischio di inquinamento atmosferico nella regione, corrispondenti ai comuni di Perugia, Cordano, Foligno e Terni.
      Dall'analisi dei dati di inventario utilizzati per la definizione del piano nelle aree citate, con riferimento agli inquinanti maggiormente critici in Umbria, ovvero il materiale particolato PM10 ed il biossido di azoto NO2, il settore domestico, in particolare con riferimento alla combustione della legna, è risultato il settore dominante per le emissioni di PM10 ed il settore del traffico stradale quello prevalente per le emissioni di ossidi di azoto.
      A fronte di tale quadro emissivo, con particolare attenzione a queste aree, il Piano ha individuato una serie di misure di intervento con l'obiettivo di raggiungere livelli di qualità dell'aria che non comportino impatti negativi per la salute umana e per l'ambiente, coinvolgendo sia i singoli cittadini, invitandoli a modificare i propri comportamenti, sia i comuni, chiamati a una riorganizzazione delle proprie politiche e ad interventi strutturali.
      Le misure del piano si articolano in diverse tipologie di azione e riguardano principalmente iniziative per la riduzione del traffico leggero e pesante in corrispondenza dei maggiori centri urbani, nonché la diffusione di sistemi ad alto rendimento per la combustione domestica delle biomasse, in sostituzione delle attuali stufe, caldaie e caminetti, privi di particolari caratteristiche di efficienza e quindi molto più inquinanti.
      Le «misure tecniche di base» servono per affrontare le situazioni maggiormente critiche e più urgenti. Sono azioni che riguardano due ambiti, uno rivolto alla mobilità e l'altro al riscaldamento domestico alimentato a biomassa (legna e pellet) e rappresentano la condizione base per un generale miglioramento in tutta la regione già a partire dal 2015, con ulteriore miglioramento al 2020, relativamente alle concentrazioni di materiale particolato e biossido di azoto.
      Le «misure tecniche di indirizzo» riguardano le azioni (traffico, riscaldamento, produzione di energia, attività produttive e agricoltura) da intraprendere all'interno di programmazioni e pianificazioni di competenza comunale e regionale e mirano a promuovere una complessiva riduzione delle emissioni in atmosfera su tutto il territorio regionale.
      Le «misure transitorie» individuano una serie di azioni che devono essere adottate a livello locale dalle amministrazioni comunali per fronteggiare le situazioni di maggiore criticità della qualità dell'aria in attesa che le precedenti misure di più lungo periodo abbiano tempo di produrre gli effetti attesi.
      Infine le «misure di supporto» sono azioni di natura non tecnica che non intervengono direttamente sugli inquinanti ma sono finalizzate a governare le attività di gestione, monitoraggio e aggiornamento del Piano, nonché le campagne di informazione e divulgazione al pubblico.
      Il piano quindi si pone l'obiettivo di raggiungere ovunque, nel territorio regionale, gli standard di qualità dell'aria previsti dalla normativa europea. In particolare si propone di raggiungere il rispetto dei valori limite per le concentrazioni di materiale particolato e biossido di azoto nelle realtà urbane maggiormente a rischio da oggi al 2020 e di garantire il mantenimento dei livelli già tendenzialmente positivi sulla rimanente parte del territorio regionale.
      Parallelamente a questo intenso lavoro di pianificazione svolto a livello regionale, è stato garantito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un continuo e costante supporto alla Regione, per lo svolgimento di attività volte al risanamento della qualità dell'aria, sia di natura tecnica, tramite il Coordinamento di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 155 del 2010, sia di natura economica mediante due programmi di finanziamento istituiti ad hoc.
      In primo luogo il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, utilizzando le risorse del fondo previsto con decreto-legge 21 febbraio 2005, n.  16, recante «Interventi, urgenti per la tutela dell'ambiente e per la viabilità e per la sicurezza pubblica», convertito dalla legge 22 aprile 2005, n.  58, ha istituito un «Programma di finanziamenti per le esigenze di tutela ambientale connesse al miglioramento della qualità dell'aria e alla riduzione delle emissioni di materiale particolato in atmosfera nei centri urbani», pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n.  50 del 1o marzo 2007.
      Attraverso tale programma, che promuove interventi e progetti finalizzati all'attuazione, al monitoraggio, alla valutazione, all'aggiornamento ed alla comunicazione delle politiche di gestione della qualità dell'aria ed alla sensibilizzazione del pubblico, regione Umbria ha ricevuto un cofinanziamento di 20 milioni di euro per la realizzazione di 13 linee di intervento. Le linee di intervento co-finanziate dal Ministero dell'ambiente e delle tutela del territorio e del mare riguardano il trasporto pubblico locale, la riqualificazione energetica degli edifici, la mobilità alternativa nei centri storici e la riduzione delle emissioni del trasporto merci su gomma.
      Inoltre, utilizzando le risorse del fondo di cui sopra, la competente direzione generale del Ministero, ha predisposto, con decreto n.  735 del 2011, un Programma di finanziamenti per l'ammodernamento del parco circolante adibito al servizio di trasporto pubblico locale. Tale programma è stato successivamente integrato con decreto del Direttore generale per le valutazioni ambientali n.  544 del 2012.
      Tale Programma prevede l'assegnazione, alle sole regioni, di risorse complessive pari a 110 milioni di euro per l'acquisto di veicoli a ridotte emissioni inquinanti da destinare al trasporto pubblico locale. Per la regione Umbria sono state previste risorse pari ad euro 2.665.108,71. Al riguardo si segnala che in data 27 dicembre 2013 i competenti uffici del Ministero hanno approvato l'istanza, presentata della regione Umbria l'8 novembre 2013, di ammissione a finanziamento di due linee di intervento (Linea di intervento 1. Motori endotermici – veicoli di categoria M2 o M3 a metano euro VI o EEV; Linea di intervento 2. Motori ad alimentazione esclusivamente elettrica M3 a trazione esclusivamente elettrica).
      Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      LATRONICO, CIRACÌ e CHIARELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  179 del 2012, convertito dalla legge n.  221 del 2012, modificando l'articolo 62 del decreto legislativo n.  82 del 7 marzo 2005, istituisce l'Anagrafe nazionale della popolazione residente, ANPR;
          la norma ha previsto, al fine della realizzazione dell'intero sistema, la disponibilità di fondi pari a 15 milioni di euro per l'anno 2013 e di 3 milioni di euro per l'anno 2014;
          inoltre, l'articolo 10, comma 6, del decreto-legge n.  78 del 19 giugno 2015 prevede un ulteriore stanziamento cumulativo per la carta di identità elettronica e l'ANPR pari a 59,5 milioni di euro per l'anno 2015 e 8 milioni di euro per l'anno 2016, oltre a 2,7 milioni di euro all'anno a decorrere dal 2016;
          il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  194 del 10 novembre 2014 Allegato A, prevedeva il definitivo trasferimento delle anagrafi di tutti i comuni d'Italia all'interno dell'ANPR entro e non oltre la fine del 2015;
          il 12 novembre 2015, in sede di apposita conferenza stampa presso la Camera dei deputati il Ministro interpellato ha assicurato che due comuni, Cesena e Bagnocavallo avrebbero pienamente adottato l'ANPR e che tutti i comuni d'Italia l'avrebbero adottata entro il 2016  –:
          se risponda al vero che ad oggi nessun comune abbia effettivamente adottato l'ANPR e se persistano problematiche di carattere tecnico che hanno impedito l'adesione dei comuni previsti alla partenza del progetto;
          come siano stati utilizzati i fondi resi disponibili in mancanza dell'implementazione del progetto;
          quali siano i soggetti coinvolti nell'implementazione del progetto per conto del Ministero dell'interno e quali risorse abbiano percepito a fronte dell'eventuale lavoro sinora svolto. (4-13909)

      Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto l'interrogante chiede notizie sullo stato di attuazione dell'ANPR – Anagrafe nazionale della popolazione residente –, con particolare riferimento alla persistenza di criticità di carattere tecnico che impediscono ai comuni di aderire al progetto e alle modalità di utilizzo dei fondi stanziati per tale progetto.
      Si osserva preliminarmente che l'Anpr è stata istituita nominalmente nell'ottobre 2012. Nei tre anni successivi sono stati adottati i due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri necessari al subentro della nuova banca dati all'indice nazionale delle anagrafi, all'anagrafe degli italiani residenti all'estero e alle anagrafi comunali, nonché il decreto del Presidente della Repubblica contenente disposizioni per l'armonizzazione della disciplina anagrafica al nuovo sistema di tenuta dei dati anagrafici.
      Completato così nell'agosto 2015 il quadro normativo di riferimento, la società Sogei Spa, di cui l'amministrazione dell'interno si avvale a norma di legge, ha realizzato l'infrastruttura software Anpr al termine di una complessa fase di progettazione e sperimentazione che ha coinvolto 22 comuni pilota. Questa fase è stata puntualmente monitorata dal Dipartimento della funzione pubblica nell'ambito di incontri periodici a cui hanno preso parte anche l'Agenzia per l'Italia digitale e l'ANCI.
      A seguito delle positive verifiche funzionali effettuate nello scorso mese di maggio sulla citata infrastruttura software Anpr, la sperimentazione si è conclusa e sono state impartite istruzioni ai comuni pilota per avviare le operazioni preordinate al subentro effettivo dell'Anpr alle anagrafi comunali.
      In tale ambito, anche i comuni di Cesena e Bagnacavallo, a cui si fa esplicito riferimento nell'interrogazione, stanno procedendo al definitivo subentro nell'Anpr.
      Quanto ai rapporti intercorsi tra l'amministrazione dell'interno e la società Sogei spa per la realizzazione del progetto, si rappresenta che essi sono stati disciplinati da un protocollo d'intesa e dal relativo atto aggiuntivo.
      In relazione ai fondi stanziati dal decreto legge n.  179 del 2012, si precisa che l'importo originariamente previsto dal legislatore, pari a 15 milioni di euro, è diminuito per effetto dei tagli dovuti alle manovre di contenimento della spesa pubblica.
      Pertanto, per la realizzazione del progetto è stato impegnato l'importo complessivo di euro 11 milioni 920 mila euro, IVA inclusa, a finanziamento del contratto principale e del relativo atto aggiuntivo stipulati in esecuzione del predetto Protocollo d'intesa.
      A fronte delle prestazioni effettuate in esecuzione dei due citati contratti, la Sogei ha presentato resoconti periodici delle spese ammontanti complessivamente a più di 5 milioni di euro per le prestazioni rese al 30 aprile 2016 fra le quali sono comprese anche le spese di conduzione della banca dati dell'Ina-Saia e dell'Aire in attesa del completo subentro di tutti i comuni. Tali somme non sono state ancora liquidate.
      Si fa presente che tali contratti principali hanno fatto seguito ad altri rapporti negoziali con Sogei riguardanti prevalentemente conduzione delle citate banche dati dell'Ina-Saia e dell'Aire.
      Si comunica comunque che, in un'ottica di pubblica evidenza, tutti gli impegni di spesa e gli importi già liquidati sono visionabili sul sito del Ministero dell'interno alla sezione «amministrazione trasparente», «bandi di gara e contratti» del dipartimento per gli affari interni e territoriali.
      Si informa che, parallelamente, questa amministrazione ha avviato l'analisi per la realizzazione del progetto di integrazione, nell'ANPR, dell'archivio nazionale informatizzato dei registri di stato civile previsto dall'articolo 10 del decreto-legge n.  78 del 2015, individuando come partner tecnologico, anche per l'attuazione di questo progetto, la società Sogei.
      A tal fine, sono stati stanziati 5 milioni di euro per spesa di investimento – peraltro già impegnati con il contratto quadro sottoscritto il 21 dicembre 2015 –, nonché ulteriori risorse a titolo di spesa corrente, pari a 2,7 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2016. In attesa della definizione del regolamento di attuazione, tali somme non sono state ancora corrisposte.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      LOMBARDI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso:
          la legge n.  6972 del 17 luglio 1890, cosiddetta «Legge Crispi», sulle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, è stata superata dalla legge 8 novembre 2000, n.  328, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» e dal successivo decreto legislativo 4 maggio 2001, n.  207, con i quali – tra l'altro – sono state delegate le regioni a procedere alla riforma delle suddette istituzioni;
          la legge 8 novembre 2000, n.  328, all'articolo 10 detta i principi per l'inserimento delle ex Ipab nella rete dei servizi sul territorio, favorendo la trasformazione in aziende di servizi alla persona (Asp). Si assiste, quindi, ad una depubblicizzazione residuale, tramite la pretesa di una serie di requisiti tipici degli enti del terzo settore quali il richiamo all'efficienza, all'efficacia all'economicità di gestione, all'adozione di forme gestionali privatistiche (personale, contratti), all'attribuzione in capo alle stesse dei controlli formali e dei controlli dei risultati, alla possibilità di separare la gestione delle attività da quella dei patrimoni;
          il decreto legislativo n.  207 del 2001, in particolare, prevede, al capo II, che le Asp da personalità giuridica di diritto pubblico possano assumere una capacità di diritto privato che conferisce loro una serie di benefici previsti per le onlus (ad esempio erogazioni liberali), nonché permette loro l'esercizio di tutti i negozi funzionali al perseguimento dei propri scopi istituzionali e all'assolvimento degli impegni assunti in sede di programmazione regionale; tra questi si rilevano quelli di costituire società o fondazioni per svolgere attività strumentali a quelle istituzionali e per provvedere alla manutenzione del proprio patrimonio;
          con la riforma del Titolo V della parte II della Costituzione del 2001, la materia relativa ai servizi sociali e, quindi, alle Ipab è diventata residuale e di esclusiva competenza regionale;
          ad oggi, dopo quasi 16 anni dall'approvazione della legge n.  328 del 2000, la regione Lazio è una delle poche regioni italiane a non aver ancora proceduto a riformare le Ipab, lasciate in tal modo in una sorta di pericoloso limbo giuridico, foriero di incertezze normative, di confusioni e sovrapposizioni di competenze e di responsabilità e, soprattutto, di depauperamento di un ingente patrimonio immobiliare, frutto di lasciti privati, con un valore stimato per difetto in non meno di 1 miliardo e mezzo di euro;
          la mancata riforma delle Ipab ha, tra l'altro, favorito e continua a favorire il continuo ricorso a nomine politiche ai vertici di queste istituzioni; in assenza di trasparenza, ha agevolato il sistema cooperativo sociale, che ha – non di rado – sfruttato le Ipab fino al loro fallimento, ha determinato abusi, gravi illegittimità e distorsioni gestionali, alimentando ricorrenti scandali, arrivati alle cronache nazionali;
          da diverso tempo un uso distorto ed illegittimo dell'istituto del commissariamento da parte della regione Lazio sta privando queste Istituzioni dei legittimi e regolari organi statutari a vantaggio di commissari fiduciari, scelti discrezionalmente dal presidente della regione Lazio;
          l'Ipab SS. Annunziata di Gaeta, la più importante della provincia di Latina e tra le più importanti, per patrimonio, storia ed attività, della regione Lazio, proprio per superare il continuo ricorso discrezionale al sistema cooperativo locale per la gestione delle proprie strutture, ricorso che aveva determinato un enorme debito, aveva promosso, d'intesa con la regione, la costituzione di un proprio ente strumentale, ovvero una fondazione di partecipazione, prevista dallo statuto dell'Ipab, approvato con deliberazione della giunta della regione Lazio n.  695 del 2009;
          gli organi statutari dell'Ipab SS. Annunziata di Gaeta a partire dal 2014 avevano promosso importanti iniziative legali a tutela dell'Istituzione e per contrastare autonomi atti amministrativi e gestionali messi in piedi dal presidente pro-tempore dell'Ipab, dottor Raniero Vincenzo De Filippis, anche direttore della regione Lazio, sospeso poi dall'incarico a seguito delle misure restrittive alle quali è stato sottoposto dall'autorità giudiziaria per fatti commessi nell'esercizio delle sue funzioni di direttore regionale;
          con deliberazione della giunta regionale del Lazio n.  4 del 13 gennaio 2015, su proposta dell'assessore regionale, Rita Visini, si è provveduto a commissariare per sei mesi l'Ipab SS. Annunziata con la motivazione che lo statuto dell'ente, che prevede un consiglio di amministrazione di 6 membri, si sarebbe dovuto adeguare al decreto-legge n.  78 del 2010, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n.  122 e alla legge regionale n.  4 del 2013 e prevedere un consiglio d'amministrazione di non più di 5 consiglieri;
          come ripetutamente denunciato anche dagli ex organi dell'Ipab alla regione Lazio, alla procura della Repubblica di Roma, alla Corte dei conti e all'Anac, le motivazioni alla base del suddetto commissariamento sono illegittime, poiché la normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica non si applica direttamente alle Ipab e quella regionale le esclude categoricamente, nonché pretestuose, in quanto il commissariamento – come denunciato – sembrerebbe finalizzato al blocco delle iniziative di contrasto alle illegittimità della passata gestione dell'Ipab allora presieduta dal dottor De Filippis (mancata consegna dopo oltre 15 anni dei lavori di restauro del Complesso della SS. Annunziata, anomalie procedurali nell'ambito di lavori pubblici solo per citare alcuni esempi già oggetto di denunce alle preposte Autorità) e al superamento dell'organo strumentale dell'Ipab – la Fondazione di partecipazione – a vantaggio del sistema cooperativo sociale del territorio già attivato negli anni addietro;
          a dimostrazione della pretestuosità di tale commissariamento, così come denunciato dagli ex organi statutari dell'Ipab SS. Annunziata, è stato evidenziato come altre Ipab del Lazio continuino ad avere organi statutari superiori a 5 membri, come nel caso dell'Ipab «Baratta» di Priverno-LT (il cui presidente e alcuni membri del consiglio per statuto in vigore sono di nomina del Vescovo di Latina), che ha un consiglio d'amministrazione di ben 7 membri ed è tuttora, dopo oltre tre anni, in regime di prorogatio, senza che l'assessore regionale, Rita Visini, abbia mai avvertito l'esigenza di commissariarla, come è avvenuto al contrario per l'Ipab SS. Annunziata;
          il commissariamento suddetto, che ad avviso dell'interrogante sarebbe di dubbia legittimità, ha poi determinato la nomina inconferibile presso l'Ipab SS. Annunziata del signor Giovanni Agresti, nomina che è avvenuta attraverso una procedura che si è caratterizzata per una incredibile sequela di irregolarità ed illegittimità, che ha coinvolto la responsabilità del Presidente della regione Lazio, oltre a quella di funzionari e dirigenti regionali, al punto da portare il presidente dell'ANAC, dottor Raffaele Cantone, ad evidenziare (nella segnalazione del 22 dicembre 2015, prot. Anac 0174597) anomalie gravi, criticità e contraddittorietà in tutto l’iter che ha portato alla nomina del signor Agresti e al successivo annullamento del decreto, nonché nell'impianto complessivo anticorruzione della regione Lazio, invitando l'ente ad adottare opportune iniziative;
          a distanza di 15 mesi dal commissariamento dell'Ipab SS. Annunziata (commissariamento prorogato nel tempo) e nonostante due commissari e modifiche successive in ordine alle motivazioni del commissariamento (a dimostrazione che quando si è preceduto con il primo commissariamento sia stata adottata da parte della regione Lazio una motivazione assolutamente pretestuosa), ad oggi lo statuto dell'Ipab non è stato modificato (come prevedeva la prima delibera di commissariamento e il primo decreto di nomina del commissario), mentre una costante azione soprattutto da parte del secondo commissario regionale starebbe, a quanto risulta all'interrogante, determinando difficoltà all'organo strumentale dell'Ipab SS. Annunziata, con l'obiettivo di superarlo;
          tali azioni poste in essere dai due commissari nominati dalla regione Lazio, non prive secondo l'interrogante di profili di dubbia legittimità sarebbero supportate dall'assessorato regionale alle politiche sociali, nonché da altri uffici regionali, i quali sembrano continuare di converso a non svolgere adeguata azione di vigilanza sul complesso delle Ipab laziali, a partire – come si evidenziava – dall'Ipab «Baratta» di Priverno (LT);
          il commissariamento dell'Ipab SS. Annunziata secondo l'interrogante sta avendo gravissime ripercussioni sui servizi e sull'attività portata avanti direttamente o attraverso il proprio ente strumentale e sta comportando danni all'Istituzione e ai cittadini: dopo cinque stagioni teatrali presso il teatro Remigio Paone di Formia, con oltre 40 mila spettatori, da quest'anno il teatro è chiuso; la casa famiglia e la casa di riposo attualmente in funzione e che ospitano la prima circa 10 minori e la seconda circa 38 anziani, rischiano la chiusura; il sito dell'Ipab ristrutturato e per quattro anni quotidianamente aggiornato è da mesi in ristrutturazione; servizi e strutture pronti per l'attivazione sono stati inspiegabilmente bloccati e altro  –:
          di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda avviare, in collaborazione con le regioni, un monitoraggio in ordine alla situazione in cui versano le istituzioni pubbliche di beneficenza e assistenza e all'avanzamento del loro processo di riforma;
          se, agli esiti di tale monitoraggio, non ritenga opportuno assumere iniziative, anche in sede di conferenza Stato-regioni, che permettano di individuare un percorso di concreta evoluzione di tali istituti, nell'ambito della rete dei servizi sociali, secondo principi di efficienza, economicità e trasparenza, delineando ogni strumento utile ad evitare che si verifichino le criticità e le anomalie gestionali, che hanno interessato la Ipab ss. Annunziata di Gaeta. (4-12472)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
      Con la legge n.  328 del 2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) il Governo è stato delegato a disciplinare le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e a disciplinarne l'inserimento nella rete dei servizi pubblici del territorio di ciascuna regione, secondo i principi dettati dall'articolo 10 di detta legge.
      Con il decreto legislativo n.  207 del 2001 è stata prevista la trasformazione delle Ipab in Aziende pubbliche di servizi alla persona (Asp, che forniscono prestazioni remunerate in parte dall'utenza in parte dalla regione), ovvero in soggetti aventi personalità giuridica di diritto privato senza scopo di lucro. È stata inoltre prevista l'estinzione delle istituzioni per le quali risulti accertata l'impossibilità ad effettuare dette trasformazioni.
      Con la riforma del titolo V della Costituzione, essendo stata attribuita alle regioni la competenza esclusiva in materia di servizi sociali (ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, Costituzione), la disciplina delle Ipab è stata demandata alle regioni.
      A tutt'oggi solo undici regioni hanno legiferato in materia e non tutte le Ipab hanno subito il processo di trasformazione previsto dalla legislazione statale.
      Le regioni che hanno legiferato sono:
          Abruzzo, Basilicata, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Toscana, Trentino-Alto Adige, Umbria, Veneto;
          di dette undici leggi regionali solo la legge della regione Abruzzo n.  17 del 2011 (Riordino delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (Ipab) e disciplina delle Aziende pubbliche di servizi alla persona – Asp) è stata impugnata dal Governo.

      La Corte costituzionale, con sentenza n.  161 del 2012, ha accolto parzialmente tale ricorso e dopo aver premesso l'indubbia peculiarità di tali Istituzioni di natura pubblica, non catalogabili in precise categorie di enti pubblici, ha sottolineato come l'evidenziata peculiarità non impedisca la riconducibilità delle stesse alle regole degli enti locali, quanto alla specifica disciplina della spesa ed, in particolare, di quella – di carattere rigido – concernente il personale.
      Secondo la Corte le stesse ragioni sistematiche che inducono a ricomprendere la gestione delle Ipab nel complesso della finanza pubblica allargata ed a sottoporle a coordinamento della finanza pubblica riguardano anche le Asp, per le quali si accentua l'integrazione nella programmazione e nella gestione dei servizi sociali su base locale nonché l'esigenza che detta integrazione si ispiri a criteri di efficienza ed economicità. Ciò comporta la conseguente preclusione normativa ad un loro utilizzo che possa concretarsi in strumento elusivo dei limiti di spesa corrente ed, in particolare, di quella rigida di personale, il cui contenimento il legislatore concepisce come misura strutturale per il risanamento dei conti pubblici nella loro consolidata consistenza.
      Con la medesima sentenza la Corte ha ritenuto inoltre incostituzionali le norme della legge regionale che prevedevano la corresponsione di un'indennità al presidente e ai consiglieri di amministrazione delle Asp ritenendole in contrasto con il principio di coordinamento della finanza pubblica che afferma in modo incontrovertibile il principio di gratuità della partecipazione ad organi di enti che «comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche» (articolo 6, comma 2, prima parte, del decreto-legge n.  78 del 2010, convertito in legge n.  122 del 2010), potendosi dar luogo esclusivamente nei confronti di tali soggetti al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente.
      In ordine alla verifica della situazione in cui versano le istituzioni pubbliche di beneficenza e assistenza e all'avanzamento del loro processo di riforma, pur ribadendo che la competenza esclusiva in materia di servizi sociali è attribuita dalla Costituzione alle regioni, è intenzione governativa monitorare, per quanto di propria competenza, l'integrazione delle Ipab nella rete dei servizi sociali sull'intero territorio nazionale.
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomie: Enrico Costa.


      MAGORNO, AIELLO, BATTAGLIA, BARBANTI, BRUNO BOSSIO, CENSORE, COVELLO, OLIVERIO, STUMPO, BRUNO, GALATI, FALCONE, VENITTELLI, MANFREDI, FAMIGLIETTI, SGAMBATO, SANGA, GIOVANNA SANNA, MORANI, SBROLLINI, COVA, LODOLINI, ANZALDI, MARCO DI STEFANO, BAZOLI, PES, TARTAGLIONE, ROSSOMANDO, FRAGOMELI, ZOGGIA, CAPOZZOLO, LEVA, GALPERTI, LA MARCA, VALIANTE, MARANTELLI e PALMA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il consiglio comunale di Cosenza è stato sciolto anticipatamente in seguito alle dimissioni volontarie della maggioranza dei consiglieri comunali;
          conseguentemente alla decadenza del sindaco Mario Occhiuto l'amministrazione è stata affidata al commissario prefettizio;
          il rinnovo del consiglio comunale avviene con le elezioni amministrative del 5 giugno 2016;
          Mario Occhiuto ha riproposto la propria candidatura a sindaco;
          sulla stampa, nei giorni scorsi, è stata data notizia della possibile esistenza di una condizione di incompatibilità alla carica di sindaco nel caso di una eventuale rielezione di Mario Occhiuto;
          la possibile incompatibilità potrebbe derivare dalla sussistenza di un contenzioso tra Mario Occhiuto e il comune;
          il contenzioso sarebbe generato dal fatto che il tribunale ordinario di Cosenza avrebbe ordinato al comune di sostituirsi al debitore principale nel pagamento dei debiti personali contratti dallo stesso Mario Occhiuto;
          la decisione del tribunale di Cosenza, come nel caso del procedimento 2777/2013, sarebbe stata determinata dalla mancata evasione dei doveri del comune in quanto soggetto terzo pignorato;
          tutto sarebbe avvenuto dopo che era già stato disposto il pignoramento di 1/5 della indennità percepita da sindaco, a seguito della causa intentata contro Mario Occhiuto, dalla società Fimmi;
          tra le società che hanno intentato causa contro Mario Occhiuto risulta anche la società Porsche Financial Services;
          sarebbero numerosi gli atti di citazione presso il tribunale di Cosenza per l'accertamento dell'obbligo del terzo pignorato ex articolo n.  548 c.p.c., a causa dei debiti privati di Mario Occhiuto durante gli anni della sua permanenza nella carica di sindaco della città;
          in particolare, la stampa ha dato notizia che tra gli atti di citazione si registra quello intentato per il recupero di un debito a carico di Mario Occhiuto pari ad euro 1.777.609,09;
          nel suddetto atto di citazione sono state segnalate palesi irregolarità nella condotta dell'amministrazione comunale;
          il comune non si è costituito in giudizio e ne è stata dichiarata la contumacia;
          il comune, a quanto consta agli interpellanti, pare avrebbe omesso di accantonare le somme richieste per fronteggiare le istanze pervenute dai creditori di Mario Occhiuto  –:
          quali iniziative utili ed efficaci il Ministro interrogato intenda adottare affinché:
              il commissario prefettizio di Cosenza faccia rapidamente chiarezza sul quadro che si va delineando nella relazione tra i debiti personali di Mario Occhiuto e gli oneri e gli obblighi che la legge attribuisce al comune di Cosenza;
              si pervenga ad una esatta ricognizione dei procedimenti in cui, nel corso della intera precedente consiliatura comunale, il comune di Cosenza è stato coinvolto come terzo pignorato o sostituto del debitore principale;
              si accerti la sussistenza di eventuali contenziosi potenziali o in corso tra Mario Occhiuto e il comune di Cosenza, conseguenti ai suddetti procedimenti, che potrebbero dare luogo una possibile condizione di incompatibilità nel caso in cui Mario Occhiuto dovesse essere rieletto alla carica di sindaco;
              il commissario prefettizio, in presenza di irregolarità ed eventuali danni all'erario comunale, accerti l'esistenza di eventuali responsabilità a carico dei dirigenti del comune preposti all'espletamento degli uffici inerenti i suddetti procedimenti. (4-13623)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame si richiama l'attenzione del Ministro dell'interno sui procedimenti di esecuzione che alcuni creditori hanno promosso presso il tribunale di Cosenza per ottenere da Mario Occhiuto, ex sindaco di quel comune capoluogo, il pagamento di una serie di debiti personali. Il comune di Cosenza sarebbe coinvolto in tali procedimenti come terzo pignorato o sostituto del debitore principale.
      Al riguardo, l'interrogazione, nel sollecitare un'esatta ricognizione dei predetti procedimenti, chiede di verificare:
          se essi siano tali da determinare l'incompatibilità del signor Occhiuto a ricoprire la carica di sindaco, nel caso di una sua rielezione nelle imminenti consultazioni amministrative;
          se siano ravvisabili eventuali responsabilità, per irregolarità o danno erariale, a carico dei dirigenti comunali preposti alla trattazione dei procedimenti in questione.

      Occorre premettere che, a seguito delle consultazioni elettorali del 5 giugno scorso, Mario Occhiuto è stato eletto nuovamente sindaco di Cosenza e il successivo 7 giugno è intervenuta anche la sua proclamazione ufficiale alla carica.
      Venendo al merito delle questioni sollevate con l'interrogazione, si è rilevato che esse attengono, ratione materiae, alla sfera di autonomia accertativa, valutativa e decisionale del comune di Cosenza.
      Si è reso necessario, quindi, assumere gli elementi informativi presso il commissario straordinario, allora a capo dell'ente locale, che ha rappresentato quanto segue.
      I procedimenti riguardanti Mario Occhiuto, che hanno visto il coinvolgimento del comune come terzo pignorato o sostituto del debitore principale, sono complessivamente sei.
      Due di essi si sono estinti per mancata comparizione del creditore procedente e del debitore esecutato.
      Due procedimenti, quello intentato dalla società Fimmi e quello intentato per il recupero di un debito pari a circa 1 milione 770 mila euro, sono sospesi, essendo pendenti i giudizi civili di accertamento dell'obbligo del terzo ai sensi dell'articolo 548 del codice di procedura civile. Le relative udienze sono state fissate rispettivamente per i mesi di giugno e luglio 2017.
      In un altro procedimento, intentato dalla società Porsche Financial Services Italia, il comune ha regolarmente adempiuto l'ordinanza del giudice dell'esecuzione, provvedendo a trattenere in favore del creditore un quinto delle indennità di carica e di fine mandato dell'allora sindaco. Il trattenimento di tali somme si è ovviamente interrotto con la cessazione anticipata della consiliatura.
      In un ultimo procedimento, individuato con il numero 2777/2013, anch'esso menzionato nell'interrogazione, risulta che la società creditrice, dopo aver ottenuto dal Giudice dell'esecuzione l'ordinanza non munita di formula esecutiva che fa carico al comune, terzo pignorato, di pagare un debito dell'ex sindaco, non abbia dato corso all'esecuzione.
      Più di recente, dopo l'elezione di Mario Occhiuto a sindaco, l'amministrazione comunale, rispondendo alla richiesta di aggiornati elementi informativi, ha fatto sapere che né nel proprio data base tributario né nella banca dati Equitalia risultano pendenze o debiti a carico del sindaco medesimo.
      In relazione al quadro delineato in due successive battute dall'amministrazione comunale, l'accertamento della sussistenza o meno di cause di incompatibilità alla carica di sindaco compete ora al neoeletto Consiglio comunale, che vi provvederà in sede di convalida degli eletti, nella prima seduta della consiliatura e prima di deliberare su qualsiasi altro oggetto.
      Infine, quanto alle responsabilità a carico dei dirigenti preposti ai procedimenti in questione, il commissario straordinario ha informato di aver interessato l'autorità giudiziaria e la Corte dei conti, per la valutazione di profili di rilevanza penale o di danno erariale connessi all'eventuale inosservanza degli adempimenti di cui agli articoli 546 e 547 del codice di procedura civile.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      MARTELLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          viene chiamato knockout game ed è un fenomeno allarmante partito dagli Stati Uniti e che nelle ultime settimane ha fatto registrare alcuni episodi inquietanti anche in Italia;
          episodi, infatti sono stati segnalati a Roma, Venezia, Genova, Torino, Brescia e si teme che anche il ragazzo bengalese, Zakir Hoassin, morto a Pisa dopo 24 ore di agonia per l'aggressione a pugni da parte di ignoti, possa essere stato vittima di tale fenomeno;
          il «gioco» che tale non è consiste nell'aggressione da parte di gruppi di ragazzi di ignari passanti, senza alcun preavviso, provando a «stenderli» con un solo pugno e in questo considererebbe il divertimento;
          negli Usa si registrano già diverse vittime e il fenomeno è diventato materia per l'FBI ed ora il contagio ha attraversato l'Atlantico raggiungendo Inghilterra e Italia;
          destano molta preoccupazione questi fenomeni emulativi che trovano nella rete un micidiale strumento di diffusione;
          occorre una capillare sensibilizzazione delle fasce giovanili, a partire dalle scuole medie, per evitare il diffondersi di pratiche pericolose come appunto quella del knockout game  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda promuovere, di fronte al diffondersi di simili episodi, al fine di attivare misure, in sinergia tra forze dell'ordine e scuole, destinate ad informare i ragazzi circa l'assoluta pericolosità di tali pseudo «giochi» e ad arginarne il «contagio».
(4-13528)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione sul fenomeno del knockout game che, partito dagli Stati Uniti, si starebbe diffondendo anche in Italia, dove si sarebbero registrate già diverse aggressioni immotivate in danno di persone inconsapevoli, di cui una con esito mortale.
      Riguardo a quest'ultimo episodio, verificatosi a Pisa nella notte del 14 aprile 2014, si rappresenta che, già dopo pochi giorni, la squadra mobile aveva identificato il responsabile dell'omicidio in un cittadino tunisino regolarmente soggiornante all'epoca dei fatti, ma poi fuggito dall'Italia sottraendosi all'ordinanza di custodia cautelare in carcere di cui era destinatario.
      Le indagini hanno appurato che si è trattato di un atto di violenza immotivata, ma non sono emersi elementi tali da ricondurre l'episodio al knockout game.
      Su un piano più generale, si informa che, in base ai dati statistici, il fenomeno non ha una significativa incidenza sul territorio nazionale e, in buona parte dei casi, le indagini sui singoli episodi si sono concluse con l'identificazione dei responsabili.
      Risulta, comunque, di tutta evidenza come l'approccio al fenomeno non possa esaurirsi nell'attività info-investigativa delle forze di polizia, spesso difficoltosa in ragione dell'indeterminatezza della platea dei potenziali autori e delle potenziali vittime delle condotte in questione.
      Siamo di fronte ad atti i cui autori sono, nella generalità dei casi, adolescenti operanti secondo modelli culturali e dinamiche identitarie di gruppo in grado di affievolire la coscienza critica dei singoli verso comportamenti che possono avere effetti devastanti sulle vittime.
      Un ulteriore tratto distintivo è dato dall'effetto moltiplicatore dei social network, su cui i giovani autori usano postare brevi filmati per documentare e vantarsi della condotta delittuosa.
      Nell'ottica di apprestare nuovi strumenti utili al contrasto dei fenomeni di devianza giovanile, anche di rilievo penale come nel caso del knockout game, da tempo le forze di polizia collaborano con le istituzioni scolastiche nella diffusione tra i giovani studenti della cultura della legalità e dell'esercizio delle libertà personali nel rispetto dei diritti altrui.
      La scuola, infatti, rappresenta, insieme alla famiglia, la risorsa più idonea a preservare tali valori, che costituiscono condizione indispensabile per garantire la sicurezza e la convivenza civile.
      Sono stati avviati numerosi progetti in ambito nazionale e locale, anche in partnership con altre istituzioni, che hanno coinvolto gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado.
      In particolare, la polizia di Stato sta attuando da anni il progetto «Il poliziotto, un amico in più», che coinvolge studenti, insegnanti e famiglie sulle problematiche delle devianze giovanili, della sicurezza nel quartiere, dell'integrazione razziale, del rispetto delle regole di convivenza civile e dell'autonomia delle scelte.
      Parte integrante del progetto è lo svolgimento di un concorso in alcune città e province italiane di volta in volta prescelte, rivolto ai ragazzi che frequentano le scuole dell'infanzia, le scuole primarie e le scuole secondarie di I e II grado.
      Anche l'Arma dei carabinieri organizza incontri con gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori, curati dagli ufficiali dei Comandi competenti per territorio, che si avvalgono anche di personale scelto di volta in volta per le specifiche cognizioni tecnico-professionali.
      Si segnala, inoltre, che il Ministero dell'istruzione in partenariato con questa Amministrazione, nonché con l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, le università degli studi di Firenze e «La Sapienza» di Roma e alcune organizzazioni del privato sociale, sta realizzando dal 1o gennaio 2015 una nuova edizione del «Progetto Generazioni Connesse», co-finanziato dalla Commissione europea.
      Il progetto è finalizzato a rendere internet un luogo sicuro per gli utenti più giovani, attraverso un utilizzo positivo e consapevole del web, in modo da prevenire comportamenti devianti.
      Si ricorda, infine, che sempre lo scorso anno questa Amministrazione e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca hanno siglato un protocollo d'intesa, denominato «Accrescere nei giovani la cultura della legalità, la consapevolezza dell'importanza del rispetto delle regole e della sicurezza stradale ed informatica».
      Si ritiene, in conclusione, che il complesso delle iniziative appena illustrate testimonino del fattivo impegno del Governo, e in particolare dei Ministeri dell'interno e dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nella diffusione nelle giovani generazioni dei valori del rispetto della persona umana, del senso civico e della responsabilità individuale e collettiva, che affondano le radici nella nostra Costituzione.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      MARTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto si apprende dai media, il Conapo Sindacato autonomo dei vigili del fuoco ha messo in atto una serie di mobilitazioni su tutto il territorio nazionale per denunciare la disparità di trattamento retributivo e pensionistico esistente tra i vigili del fuoco ed il personale degli altri Corpi dello Stato ad ordinamento civile;
          il sindacato Conapo chiede di pervenire alla parità di trattamento mediante l'inserimento dei vigili del fuoco nel cosiddetto «comparto sicurezza» (con relative norme di perequazione previste dagli articoli 43 e 43-ter della legge n.  121 del 1981) o, in subordine, mediante l'estensione anche ai vigili del fuoco in applicazione dell'articolo 19 della legge n.  183 del 2010 (specificità lavorativa) di tali istituti retributivi e pensionistici da tempo riservati alle forze armate e di polizia in virtù del particolare servizio cui questo personale è sottoposto;
          in particolare, gli esponenti del sindacato Conapo chiedono di istituire per i vigili del fuoco (compresi i funzionari direttivi) lo scatto dell'assegno funzionale ai 17,27 e 32 anni di servizio, già dal 1987 in godimento agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 6 del decreto-legge n.  387 del 1987 convertito, con modificazioni, alla legge n.  472 del 1987), di perequare tutti gli importi della indennità di rischio agli importi della indennità pensionabile attualmente corrisposta alle analoghe qualifiche degli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile, di istituire i 6 scatti aggiuntivi utili sull'importo della pensione nella    misura già corrisposta, sin dal 1987, agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 6-bis del decreto-legge n.  387 del 1987 convertito, con modificazioni, dalla legge 472/1987), di istituire per il personale in uniforme dei vigili del fuoco l'aumento di servizio ai fini pensionistici di un anno ogni cinque così come già corrisposto, sin dal 1977, agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 3, comma 5 della legge n.  284 del 1977) e di istituire per il personale in uniforme vigili del fuoco direttivo e dirigente gli aumenti retributivi ai 13 e 23 e ai 15 e 25 anni di servizio, come attualmente già corrisposti (sin dal 1981) alle medesime qualifiche direttive e dirigenziali degli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 43, commi 22 e 23 e articolo 43-ter della legge n.  121 del 1981);
          al fine del reperimento delle risorse finanziarie occorrenti, il sindacato chiede di valutare anche la possibilità di utilizzare i risparmi di spesa derivanti dalla attuazione della legge n.  124 del 2015 relativa alla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, ad eccezione di quelli già vincolati per il riordino delle carriere delle forze di polizia  –:
          quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di equiparare il trattamento retributivo e pensionistico dei vigili del fuoco con quello degli altri Corpi dello Stato ad ordinamento civile mediante l'estensione delle norme esplicitate in premessa o l'introduzione di norme di analoga portata;
          se ritengano opportuno affrontare sin da subito tale problematica visto che la sperequazione retributiva e pensionistica denunciata perdura ormai da troppi anni. (4-13895)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante, richiamando le rivendicazioni avanzate dal sindacato autonomo Conapo, sollecita l'adozione di iniziative volte ad equiparare il trattamento retributivo e pensionistico dei vigili del fuoco a quello del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile.
      Si rappresenta innanzitutto che il rilancio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e la valorizzazione del suo personale anche sotto il profilo economico-retributivo costituiscono, da oltre un decennio, punti fondamentali nell'agenda del Governo in tema di sicurezza.
      Risale al 2004 un'incisiva riforma che ha ricondotto il rapporto d'impiego dei vigili del fuoco dal regime privatistico a quello di diritto pubblico, al pari di quanto era già previsto per gli altri corpi dello Stato chiamati alla difesa dei valori fondamentali della repubblica.
      Su tale base, il personale del Corpo nazionale è stato inquadrato nel comparto di negoziazione «Vigili del fuoco e soccorso pubblico», contiguo ma distinto dai comparti sicurezza e difesa previsti per il personale delle Forze armate e i Corpi di pubblica sicurezza in senso stretto.
      Da quel momento, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica, si sono susseguiti molteplici interventi legislativi diretti a realizzare il progressivo avvicinamento dell'ordinamento del personale del Corpo nazionale a quello delle Forze di polizia.
      Si ritiene utile ripercorrere le tappe di questo percorso normativo, all'interno del quale un primo passo particolarmente significativo è rappresentato dal decreto legge n.  185 del 2008 – confermato dalla legge n.  183 del 2010 – che ha riconosciuto la specificità del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al pari delle Forze armate e delle Forze di polizia, ai fini della definizione degli ordinamenti e della tutela economica, pensionistica e previdenziale.
      Va anche ricordato che con il predetto decreto legge n.  185, sono state, tra l'altro, destinate risorse aggiuntive all'istituzione di una speciale indennità operativa per il servizio di soccorso tecnico urgente espletato all'esterno.
      Successivamente, il processo di armonizzazione del trattamento economico è proseguito sia con il decreto n.  39 del 2009 (cosiddetto «decreto-legge Abruzzo»), in virtù del quale i vigili del fuoco si sono visti ripristinare l'indennità di missione, analogamente a quanto previsto per il personale dei comparti sicurezza e difesa, sia con il decreto legge n.  78 dello stesso anno, che ha autorizzato la spesa di 15 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2010, da destinare alla speciale indennità operativa citata prima.
      Sempre nel 2009, il decreto-legge n.  195 ha riconosciuto ai vigili del fuoco l'indennità di trasferimento.
      Più di recente, con la legge di stabilità 2014, sono stati reintrodotti il trattamento economico aggiuntivo per infermità dipendenti da causa di servizio e il diritto, a decorrere dall'anno 2014, agli assegni vitalizi ai familiari di invalidi vittime del terrorismo con invalidità non inferiore al 50 per cento.
      Da ultimo, la legge di stabilità 2016 ha destinato anche al personale del Corpo nazionale un contributo straordinario pari a 960 euro su base annua, al fine di fronteggiare le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale, per l'anno in corso.
      Svolta questa breve disamina delle iniziative pregresse, si assicura che l'amministrazione dell'interno proseguirà nella sua politica di attenzione verso quella componente fondamentale della protezione civile e del sistema generale della sicurezza del Paese che è il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e, in tal senso, continuerà ad adoperarsi per assecondare le legittime aspettative del personale.
      Ma occorre accettare l'idea che il superamento delle differenze retributivo-previdenziali tuttora esistenti rispetto alle Forze di polizia avverrà giocoforza attraverso un processo graduale, che il Governo porterà avanti, pur in un contesto caratterizzato da stringenti vincoli di finanza pubblica e, comunque, in una logica di contemperamento con gli altri interessi collettivi presenti nel Paese, ritenuti meritevoli di pari tutela e considerazione.
      Si informa, in proposito, che, nell’àmbito del progetto di riforma dell'ordinamento del personale dei vigili del fuoco, attualmente in fase di avanzata elaborazione, e in attuazione della cosiddetta legge Madia, è stata prevista l'istituzione di un fondo per il riconoscimento economico del ruolo operativo svolto dai vigili del fuoco, da impiegare per la corresponsione al personale di emolumenti fissi e continuativi, aventi natura pensionabile.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      MASSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          come riportato dalla stampa territoriale e in seguito ad un sit-in di protesta, che ha richiesto l'intervento di polizia municipale e dei Carabinieri, emergerebbe una grave situazione di disagio per circa trenta richiedenti asilo e rifugiati politici beneficiari del sistema di protezione ed accoglienza integrata Sprar del comune di Parabita (provincia di Lecce);
          nelle ricostruzioni giornalistiche si legge che: «Lo Sprar, ovvero la rete di enti locali che accedono ai finanziamenti ministeriali, è un protocollo d'intesa del 2001 stipulato dal Ministero dell'interno, dall'Anci e dall'Alto Commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR) rivolto a richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione sussidiaria e umanitaria. Il servizio, finanziato con i soldi pubblici del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, è gestito a Parabita, come a Lecce, Muro Leccese e Neviano, dall'associazione Integra onlus, in convenzione con i comuni, e prevede per 3 anni interventi di accoglienza che, oltre a vitto e alloggio, garantiscano anche percorsi individuali di inserimento socio-economico, fino all'autonoma integrazione degli immigrati. Dai racconti dei giovani ospitati a Parabita, però, e dai problemi urlati sotto il municipio, la situazione appare diversa. «Viviamo in dieci e non c’è acqua calda per tutti, lo scaldino non funziona bene. Fa freddo, e nemmeno i termosifoni funzionano – lamentano –. Abbiamo chiesto aiuto ma non l'hanno riparato». Sulla carta, uno dei principali doveri collegati al progetto è anche quello allo studio. Tutti sono obbligati a frequentare corsi di italiano e cultura generale, per raggiungere certificazioni e autonomia utili all'accesso al mondo del lavoro. L'assenza e la mancata partecipazione ai corsi – si legge nella convenzione – comporta l'esclusione dallo Sprar, che per alcuni vuol dire rimpatrio. Il pulmino che deve portarli nell'istituto convenzionato a Casarano, però, non passa più. «Per non essere cacciati via – spiega un ragazzo di appena 20 anni – ci siamo organizzati da soli. Andiamo a scuola con il treno e il biglietto ce lo paghiamo da soli. Due euro al giorno, tutti i giorni, tra andata e ritorno». «Oggi però non siamo andati – ammette un altro – perché soldi non ne avevamo». I ritardi e le lentezze burocratiche lamentate, infatti, riguardano anche la pocket money, la carta di credito prepagata dove dovrebbero essere caricati loro 10 euro al giorno per le spese alimentari e personali. «La carta non viene caricata da fine settembre, avanziamo ancora i mesi di ottobre e novembre», spiega un altro ragazzo, indicando le tasche vuote e l'impossibilità, delle volte, di comprare da mangiare. Per pagare il treno – spiegano – usano i risparmi dei mesi precedenti, anche se a quel trasporto scolastico, da contratto, avrebbero diritto gratuitamente»;
          viene riferita una visita ispettiva in data 25 giugno 2015 da parte del servizio centrale che ha evidenziato diversi disservizi;
          in particolare, emergerebbe una situazione di sostanziale conflittualità e relativo rimpallo di responsabilità tra il comune di Parabita e l'associazione Integra onlus, entrambi responsabili dello Sprar. Oggetto del conflitto appare essere la gestione dei fondi erogati dal Ministero dell'interno per la gestione triennale del progetto;
          si comprende dunque il grave allarme per la drammatica situazione di questi rifugiati, fuggiti da guerre e dittature sanguinose e l'urgenza di porre in essere azioni fattive per il ripristino dei servizi previsti dal protocollo di intesa Sprar  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda attivare, nell'ambito delle proprie competenze e prerogative, alla luce di quanto esposto in premessa e di quanto dovesse ulteriormente emergere. (4-11696)

      Risposta. — Il servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, coordinatore dei progetti SPRAR su tutto il territorio nazionale, ha effettuato dei sopralluoghi nel mese di giugno del 2015 nelle strutture ubicate nei comuni di Parabita, Neviano, Muro Leccese e Lecce, gestite dall'associazione «Integra onlus» nell'ambito dello SPRAR medesimo.
      I controlli hanno evidenziato che i predetti enti locali avevano svolto una capillare attività diretta a monitorare i progetti gestiti dall'associazione «Integra onlus» e a superare eventuali situazioni di criticità.
      In particolare, le verifiche degli enti locali hanno riguardato: lo stato degli immobili; la loro idoneità – anche sotto il profilo igienico-sanitario – ad essere destinati all'accoglienza dei migranti, ivi compresa la dotazione degli arredi e il regolare funzionamento degli impianti e del sistema di riscaldamento.
      Sono state compiute verifiche anche in merito alla regolarità nell'erogazione del pocket money giornaliero e all'effettiva partecipazione dei migranti alle attività di formazione propedeutiche alla permanenza nei progetti SPRAR. Inoltre, sono state valutate le iniziative promosse dall’équipe multidisciplinare interna per l'individuazione delle figure professionali richieste nel bando di aggiudicazione del servizio.
      Secondo quanto riferito dal citato servizio centrale, i report pervenuti dai quattro comuni, se pur suscettibili di integrazioni, hanno fornito sufficienti elementi sulle attività svolte, anche per quanto concerne la rimodulazione delle criticità individuate negli ambiti gestionali.
      Quanto appena detto vale anche per il comune di Parabita, che risulta aver fornito un dettagliato riscontro delle attività di monitoraggio e verifica effettuate di concerto con l'associazione capofila aggiudicataria del servizio in questione, informando anche sulle iniziative poste in essere per il miglioramento delle dinamiche progettuali.
      In particolare, dalle risultanze della visita in loco effettuata dal competente servizio comunale nello scorso mese di febbraio è emersa, tra l'altro, la necessità di trasferire i migranti ospitati nell'appartamento ubicato in via Volta – una delle abitazioni in uso al progetto – in altri moduli abitativi, ritenuti più idonei sia sotto il profilo igienico-sanitario, sia per le caratteristiche strutturali dell'immobile.
      Nella medesima circostanza, il comune di Parabita ha segnalato all'associazione «Integra» la necessità di eseguire lavori di manutenzione ordinaria anche per l'abitazione di via Leopardi che, all'atto del sopralluogo, presentava problematiche inerenti all'umidità.
      Per quanto concerne il servizio di trasporto dei migranti che da Parabita si recano al comune di Casarano per frequentare i corsi di lingua italiana, si riferisce che le criticità riferite dell'interrogante sarebbero state risolte dall'ente gestore mettendo a disposizione un proprio mezzo a garanzia del servizio. Si sottolinea comunque che, in assenza del mezzo di trasporto privato, i migranti hanno potuto sempre usufruire dei mezzi di trasporto pubblico (treno), in quanto provvisti di abbonamenti e di tickets giornalieri forniti direttamente dall'associazione gestore del progetto SPRAR.
      Per quanto concerne le difficoltà connesse all'erogazione dei pocket money giornalieri, il comune di Parabita ha riferito che i presunti ritardi sarebbero solo parzialmente attribuibili all'iter amministrativo finalizzato al pagamento, poiché a questo aspetto dovrebbe sommarsi anche la tempistica richiesta per le procedure di accreditamento dei fondi da parte dell'ente locale, che sconta a sua volta i tempi e la complessità delle rendicontazioni stabilite dalla vigente normativa.
      Si assicura, in ogni caso, che questa amministrazione continuerà a vigilare con attenzione sulle problematiche segnalate. Il monitoraggio dei progetti territoriali in favore dei migranti ospitati e la corretta esecuzione delle prestazioni previste dai progetti medesimi potranno assumere anche la forma di sopralluoghi congiunti da parte della prefettura di Lecce e del più volte citato servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.


      MATARRESE, D'AGOSTINO e PIEPOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto si evince dai dati pubblicati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti relativi all'anagrafe delle opere incompiute, persistono in tutta Italia centinaia di investimenti, attivati dalle amministrazioni, in opere pubbliche che, per cause diverse, non sono mai arrivate all'ultimazione dei lavori e di fatto sono delle incompiute. Questo stato di fatto potrebbe determinare un elevato spreco di risorse pubbliche nonché il mancato soddisfacimento delle necessità della collettività cui sono state destinate tali opere;
          i dati, rilevati da un rapporto di sintesi pubblicato dall'Istituto per l'innovazione e per la trasparenza degli appalti e compatibilità ambientale, ottenuti da segnalazioni degli enti locali interessati e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per quanto riguarda i lavori di rilevanza nazionale, evidenziano allo stato 692 opere incompiute al 31 dicembre 2013 che corrispondono ad un importo al lordo degli oneri pari a circa 3,5 miliardi di euro. I lavori eseguiti ammontano a 1,1 miliardi di euro (33 per cento), i lavori necessari al completamento ammontano a circa 1 miliardo di euro (30 per cento), gli oneri complessivi ammontano 1,3 miliardi di euro (37 per cento) e di questi ultimi non è nota la quota già spesa e quella residua. L'elenco delle opere comprende strade, impianti sportivi, ospedali, scuole, parcheggi, aeroporti e altre strutture pubbliche iniziate e mai ultimate;
          in particolare, le opere incompiute sono così suddivise sul territorio nazionale: Veneto 25, Campania 10, Lazio 82, Calabria 64, Valle d'Aosta 1, Piemonte 25, Liguria 18, Lombardia 19, Friuli-Venezia Giulia 13, Provincia autonoma di Bolzano 14, Toscana 43, Emilia-Romagna 24, Marche 20, Umbria 17, Abruzzo 33, Molise 18, Basilicata 37, Puglia 59, Sicilia 67, Sardegna 68, Ministero Infrastrutture e Trasporti 35;
          il 44 per cento delle opere incompiute riguardano nuove realizzazioni; se a queste sommiamo quelle per recupero e restauro si arrivano a contare 368 opere (54 per cento) per le quali la conclusione dell'intervento è necessaria per la fruibilità: per completarle servirebbero 775 milioni di euro al netto degli oneri;
          la maggior parte delle opere incompiute sono relative a infrastrutture sociali (62 per cento) e necessitano di 452 milioni di euro al netto degli oneri. Le infrastrutture di trasporto (39 per cento), invece, richiedono 359 milioni di euro al netto degli oneri per il completamento. Le 101 infrastrutture ambientali necessitano di 101 milioni di euro al netto degli oneri. Le infrastrutture a rete rappresentano circa un quinto delle opere incompiute e di queste la metà (51 per cento) richiedono, per essere completate, 154 milioni di euro al netto degli oneri;
          poco più della metà (51 per cento) delle opere hanno un valore superiore al milione di euro e di queste sono 99 quelle che superano la soglia comunitaria;
          il 51 per cento delle opere sono incompiute a causa della mancanza di fondi; seguono le interruzioni per cause tecniche (208, pari al 31 per cento) e quindi per il fallimento dell'impresa esecutrice (188, pari al 28 per cento);
          il 55 per cento delle opere non sono fruibili dalla collettività; 224 (33 per cento) sono fruibili con uso ridimensionato e appena 77 (12 per cento), invece, sono fruibili. Quanto allo stato di avanzamento ed alla previsione di utilizzo, quasi due su tre (416, pari al 63 per cento) sono state completate per una quota inferiore ai 4/5 e non lasciano prevedere un utilizzo anche ridimensionato dell'opera; 16 risultano essere state ultimate (in attesa di collaudo) e 69 con stato d'avanzamento maggiore dei 4/5;
          un dato interessante e confortante in merito alla possibilità di completamento di un rilevante numero di opere è desumibile dal dettaglio delle sette casistiche di livello di sviluppo previste dalla normativa vigente in materia, che evidenziano che per portare a termine le predette 85 opere con avanzamento superiore ai 4/5 sarebbero sufficienti «appena» 16 milioni di euro;
          i dati sono in continuo aggiornamento e secondo fonti di stampa sono destinati comunque a crescere in maniera rilevante in quanto sarebbero ancora molte le opere non censite che restano incompiute a causa di mancanza di fondi, di problematiche tecniche, a causa di sopravvenute nuove disposizioni di legge, per il fallimento dell'impresa appaltatrice o per mancato interesse al completamento da parte del gestore;
          in molti casi, il ritardo nell'ultimazione dei lavori, l'interruzione o la sospensione protratta negli anni comporta inevitabilmente il mancato rispetto dei costi preventivati per la realizzazione ed un rilevante aumento degli stessi  –:
          quali iniziative di propria competenza intenda adottare al fine favorire il completamento delle opere pubbliche incompiute in tempi certi e brevi onde poter scongiurare ulteriori aumenti di costi e con particolare riferimento alla possibilità di attivare un fondo ad hoc che possa finanziare l'ultimazione dei lavori nonché una serie di agevolazioni fiscali ed urbanistiche che possano incentivare l'intervento di risorse private anche in project financing o in specifici accordi di partenariato pubblico/privato. (4-09180)

      Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      Il nuovo codice degli appalti e delle concessioni (decreto legislativo n.  50 del 18 aprile 2016), nell'ambito delle disposizioni che riguardano la pianificazione, programmazione e progettazione dei lavori e delle opere, ha previsto all'articolo 21 l'adozione, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del Codice stesso, di un provvedimento interministeriale Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Ministero dell'economia e delle finanze, previo parere del CIPE e sentita la Conferenza unificata, volto a definire, tra l'altro, i criteri e le modalità per favorire il completamento delle opere incompiute, confermando così l'intenzione del Governo di affrontare tale rilevante problematica.
      Per quanto concerne le opere connotate da una prioritaria valenza istituzionale e strategica, è utile segnalare che nell'ambito delle disposizioni relative al superamento della cosiddetta legge obiettivo, proprio al fine di migliorare la capacità di programmazione e riprogrammazione della spesa per la realizzazione delle infrastrutture di preminente interesse nazionale, l'articolo 202 prevede l'istituzione, nello stato di previsione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di due Fondi:
          il fondo per la progettazione di fattibilità delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese, nonché per la project review delle infrastrutture già finanziate;
          il fondo da ripartire per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese.

L'individuazione delle risorse assegnate ai menzionati fondi è definita con uno o più decreti Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Ministero dell'economia e delle finanze, previo parere del CIPE. Inoltre, con uno o più decreti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono definite le modalità di ammissione al finanziamento della progettazione di fattibilità e l'assegnazione delle risorse del Fondo per la progettazione di fattibilità delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese ai diversi progetti, nonché le modalità di revoca.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Graziano Delrio.


      MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il carcere di Teramo ha un indice di sovraffollamento della popolazione carceraria del 72,50 per cento, infatti ha una capienza massima di 229 detenuti, ma ne ospita 395, cioè 166 in più;
          questo sovraffollamento determina condizioni di detenzione inaccettabili e contrarie alla funzione rieducativa della pena, come impone la Costituzione italiana, e alla normativa europea;
          nell'ultimo anno vi sono stati 9 casi di tentativi di suicidio e 34 atti di grave autolesionismo;
          il personale di polizia penitenziaria lavora in condizioni disagiate e con carichi pesanti  –:
          se non intenda assumere rapidamente iniziative volte a superare questa situazione di grave sovraffollamento del carcere di Teramo. (4-03326)

      Risposta. — Come noto, il tema del sovraffollamento carcerario ha rappresentato una delle prioritarie criticità con le quali ci si è dovuti confrontare sin dall'inizio di questa legislatura.
      Il complesso delle iniziative assunte ha, tuttavia, costituito l'occasione per avviare un ripensamento integrale dei modelli di esecuzione della pena, che potranno condurre ad un nuovo equilibrio tra esigenze di sicurezza della collettività, tutela delle vittime dei reati, concreta attuazione dei principi costituzionali e dei diritti fondamentali dell'individuo.
      Gli Stati generali dell'esecuzione penale, nati proprio dall'esigenza di avviare un ripensamento multidisciplinare dell'esecuzione della sanzione penale, potranno segnare una tappa importante lungo il percorso avviato dalla necessaria attuazione delle prescrizioni della Corte europea dei diritti dell'uomo.
      L'esito dei lavori, che hanno riunito oltre duecento diverse professionalità nella condivisa riflessione sulla pena e sul sistema penitenziario, è stato illustrato proprio nelle giornate del 18 e 19 aprile 2016 a Rebibbia, alla presenza del Capo dello Stato e di esponenti delle istituzioni e della società civile. Ha registrato l'interessata partecipazione del vice Segretario generale del Consiglio d'Europa e del Commissario europeo per giustizia.
      Ha «aperto l'orizzonte di una nuova cultura della pena» ed ha offerto alla pubblica riflessione una nuova prospettiva sul mondo del carcere.
      Questa nuova prospettiva, unitamente alla definitiva archiviazione della vicenda Torregiani, deliberata dalla Corte europea per i diritti dell'uomo nel marzo 2016, segna un passaggio avanzato del percorso riformatore intrapreso.
      In tal senso, le misure normative adottate e la centralità accordata dal Governo all'utilizzo sempre più ampio delle misure alternative al carcere, come elemento strutturale di una nuova politica di esecuzione della pena, emergono anche dalla nuova architettura offerta dal regolamento del Ministero della giustizia, che ha previsto l'istituzione del nuovo Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, coniugando la sperimentata capacità del settore minorile nel trattamento al di fuori del circuito penitenziario con l'esecuzione penale esterna per gli adulti.
      Il bilancio che può tracciarsi all'esito dell'applicazione delle norme che, su più fronti, hanno inteso restituire alla detenzione carceraria il carattere di extrema ratio, come previsto dalla Costituzione, è decisamente incoraggiante: al 31 maggio 2016, la popolazione carceraria è scesa a 53.873, di cui sono ben 42.535 i detenuti che si trovano in regime di esecuzione esterna.
      Ed è ancor più incoraggiante registrare il mutamento culturale sull'esecuzione della pena, grazie al lavoro straordinario svolto dalla magistratura e dalla polizia penitenziaria, ed anche all'apporto degli enti locali, sempre più chiamati ad offrire possibilità di lavoro esterno per i detenuti, come peraltro si sta sperimentando in occasione dell'anno giubilare in corso.
      I dati descrivono, dunque, un trend positivo, dimostrando da parte di avvocati e magistrati la condivisione di una comune cultura innovativa, concretamente orientata nella prospettiva di cambiamento e di attuazione del dettato costituzionale.
      Ulteriori spazi di intervento saranno aperti, in tal senso, dall'esercizio della delega al Governo per la riforma dell'ordinamento penitenziario, oggetto del disegno di legge, di iniziativa governativa, A.S. n.  2067, approvato dalla Camera dei deputati ed ora all'esame del Senato.
      Gli interventi normativi finalizzati alla riduzione delle presenze in carcere sono stati accompagnati dal rafforzamento degli strumenti a presidio dei diritti delle persone detenute, attraverso l'introduzione del nuovo articolo 35-bis dell'ordinamento penitenziario.
      Quale strumento complementare di tutela dei diritti è stato, inoltre, istituito il Garante nazionale delle persone private della libertà personale, figura che intende rappresentare da un lato un sostegno di particolare prossimità alle esigenze di protezione dei diritti delle persone private della libertà, complementare rispetto all'attività della magistratura di sorveglianza, e dall'altro lato un momento di interlocuzione e stimolo all'attività dell'amministrazione.
      L'istituzione della figura del Garante risponde ad una richiesta sollevata più volte a livello nazionale e soddisfa i principi che sono alla base del sistema di NPM, National Preventive Mechanism, previsti dagli articoli da 17 a 21 del protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002 (ratificato con la legge 9 novembre 2012, n.  195).
      Nel quadro così delineato si inseriscono anche i dati relativi alla popolazione detenuta nelle strutture penitenziarie abruzzesi.
      In particolare, alla data del 27 giugno 2016, la popolazione detenuta e internata presente nel carcere di Teramo è scesa a 308 unità, rispetto alle 363 registrate nell'anno 2014, a fronte di una capienza regolamentare di 255 posti detentivi.
      Nonostante l'esubero dei presenti rispetto alla capienza (calcolata, sulla base del decreto del Ministero della salute del 5 luglio 1975, in 9 mq per detenuto + 5 per ogni detenuto aggiunto), non risulta violata la disposizione della CEDU atteso che tutti i detenuti hanno a disposizione non meno di 3 mq, spazio detentivo minimo tutelabile, anche ai fini risarcitori.
      Le iniziative volte a ridurre il sovraffollamento hanno dispiegato effetti anche sul fronte dei fenomeni autosoppressivi e autolesionistici, in significativa flessione nel corso del tempo: nel periodo gennaio-luglio 2015, difatti, nelle carceri abruzzesi non si è registrato alcun suicidio, a fronte dei 5 casi del 2012, i 3 del 2011 ed i 4 del 2010; si sono verificati 17 tentativi di suicidio a fronte dei 47 casi del 2011, i 43 del 2009, i 39 del 2010; sono stati registrati 116 atti di autolesionismo, a fronte dei 236 del 2010, i 224 del 2011, i 209 del 2009.
      Sebbene in diminuzione, il dato complessivo non è, tuttavia, accettabile.
      Proprio per questo, il 23 maggio 2016 ho emanato una specifica direttiva in materia per l'elaborazione di un piano di azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, nella crescente tensione a migliorare il modello di monitoraggio e gestione del rischio di tale intollerabile fenomeno.
      La direttiva, che intende completare il quadro dei provvedimenti adottati dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria alla luce della recente riorganizzazione, in conformità alle indicazioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  84 del 2015, ricalca le specifiche linee guida dettate dall'Organizzazione mondiale della sanità, riprese anche dalla Conferenza unificata per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e valorizzate dal Comitato nazionale per la bioetica.
      Con essa ci si propone di introdurre – in armonia con le strategie di prevenzione e gestione proposte attraverso le nuove modalità detentive e, in particolare, con l'introduzione del sistema di vigilanza dinamica – un sistema maggiormente flessibile, in grado di attuare efficaci forme di controllo e, soprattutto, di approfondita conoscenza delle persone ristrette al fine di garantire risposte efficaci, intercettare e gestire le situazioni di maggiore disagio.
      Si inscrive, infine, nel complesso della revisione del sistema penitenziario in atto anche il cosiddetto piano carceri, congiuntamente delineato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministero della giustizia, e modulato secondo criteri di equa distribuzione della popolazione detenuta e degli spazi abitativi sul territorio nazionale.
      Anche sotto questo profilo, le riflessioni sviluppate sull'architettura carceraria, sulla migliore distribuzione e destinazione dei luoghi di esecuzione della pena rispondono all'esigenza di ottimizzare gli spazi e di conformarne l'uso nel rispetto della dignità della persona e della sicurezza della collettività.
      Nella programmazione per gli anni 2015-2010, è prevista la costruzione di un nuovo padiglione, per 200 posti, presso il carcere di Sulmona, i cui lavori sono in fase iniziale di esecuzione e per la cui realizzazione risultano stanziate somme pari a 15.610.904,53 euro.
      Proprio il 20 aprile 2016 si è, inoltre, riunito presso il Ministero della giustizia il Comitato paritetico per l'edilizia penitenziaria che, nel quadro delle complessive esigenze nazionali, ha preso atto dello stato di attuazione dell'intervento.
Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


      MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nell'istituto penitenziario di Lanciano (Chieti) vi è un sovraffollamento della popolazione carceraria del 40,30 per cento, infatti la capienza massima del carcere è di 196 detenuti, mentre quelli presenti sono 275 cioè 79 in più;
          ciò determina condizioni inaccettabili di vita dei detenuti, con fenomeni molto gravi come 8 casi di tentativi di suicidio e ben 22 casi di atti di autolesionismo nell'ultimo anno;
          il personale di polizia penitenziaria è costretto a condizioni di lavoro molto pesanti per far fronte alle esigenze di servizio del carcere  –:
          se non intenda assumere urgenti iniziative per riportare il carcere di Lanciano a condizioni accettabili di vivibilità per i detenuti. (4-03356)

      Risposta. — Come noto, il tema del sovraffollamento carcerario ha rappresentato una delle prioritarie criticità con le quali ci si è dovuti confrontare sin dall'inizio di questa legislatura.
      Il complesso delle iniziative assunte ha, tuttavia, costituito l'occasione per avviare un ripensamento integrale dei modelli di esecuzione della pena, che potranno condurre ad un nuovo equilibrio tra esigenze di sicurezza della collettività, tutela delle vittime dei reati, concreta attuazione dei principi costituzionali e dei diritti fondamentali dell'individuo.
      Gli Stati generali dell'esecuzione penale, nati proprio dall'esigenza di avviare un ripensamento multidisciplinare dell'esecuzione della sanzione penale, potranno segnare una tappa importante lungo il percorso avviato dalla necessaria attuazione delle prescrizioni della Corte europea dei diritti dell'uomo.
      L'esito dei lavori, che hanno riunito oltre duecento diverse professionalità nella condivisa riflessione sulla pena e sul sistema penitenziario, è stato illustrato proprio nelle giornate del 18 e 19 aprile 2016 a Rebibbia, alla presenza del Capo dello Stato e di esponenti delle istituzioni e della società civile. Ha registrato l'interessata partecipazione del vice Segretario generale del Consiglio d'Europa e del Commissario europeo per giustizia.
      Ha «aperto l'orizzonte di una nuova cultura della pena» ed ha offerto alla pubblica riflessione una nuova prospettiva sul mondo del carcere.
      Questa nuova prospettiva, unitamente alla definitiva archiviazione della vicenda Torregiani, deliberata dalla Corte europea per diritti dell'uomo nel marzo 2016, segna un passaggio avanzato del percorso riformatore intrapreso.
      In tal senso, le misure normative adottate e la centralità accordata dal Governo all'utilizzo sempre più ampio delle misure alternative al carcere, come elemento strutturale di una nuova politica di esecuzione della pena, emergono anche dalla nuova architettura offerta dal regolamento del Ministero della giustizia, che ha previsto l'istituzione del nuovo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, coniugando la sperimentata capacità del settore minorile nel trattamento al di fuori del circuito penitenziario con l'esecuzione penale esterna per gli adulti.
      Il bilancio che può tracciarsi all'esito dell'applicazione delle norme che, su più fronti, hanno inteso restituire alla detenzione carceraria il carattere di extrema ratio, come previsto dalla Costituzione, è decisamente incoraggiante: al 31 maggio 2016, la popolazione carceraria è scesa a 53.873, di cui sono ben 42.535 i detenuti che si trovano in regime di esecuzione esterna.
      Ed è ancor più incoraggiante registrare il mutamento culturale sull'esecuzione della pena, grazie al lavoro straordinario svolto dalla magistratura e dalla polizia penitenziaria, ed anche all'apporto degli enti locali, sempre più chiamati ad offrire possibilità di lavoro esterno per i detenuti, come peraltro si sta sperimentando in occasione dell'anno giubilare in corso.
      I dati descrivono, dunque, un trend positivo, dimostrando da parte di avvocati e magistrati la condivisione di una comune cultura innovativa, concretamente orientata nella prospettiva di cambiamento e di attuazione del dettato costituzionale.
      Ulteriori spazi di intervento saranno aperti, in tal senso, dall'esercizio della delega al Governo per la riforma dell'ordinamento penitenziario, oggetto del disegno di legge, di iniziativa governativa, A.S. n.  2067, approvato dalla Camera dei deputati ed ora all'esame del Senato.
      Gli interventi normativi finalizzati alla riduzione delle presenze in carcere sono stati accompagnati dal rafforzamento degli strumenti a presidio dei diritti delle persone detenute, attraverso l'introduzione del nuovo articolo 35-bis dell'ordinamento penitenziario.
      Quale strumento complementare di tutela dei diritti è stato, inoltre, istituito il Garante Nazionale delle persone private della libertà personale, figura che intende rappresentare da un lato un sostegno di particolare prossimità alle esigenze di protezione dei diritti delle persone private della libertà, complementare rispetto all'attività della magistratura di sorveglianza, e dall'altro lato un momento di interlocuzione e stimolo all'attività dell'amministrazione.
      L'istituzione della figura del Garante risponde ad una richiesta sollevata più volte a livello nazionale e soddisfa i principi che sono alla base del sistema di NPM, National Preventive Mechanism, previsti dagli articoli da 17 a 21 del Protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002 (ratificato con la legge 9 novembre 2012, n.  195).
      Nel quadro così delineato si inseriscono anche i dati relativi alla popolazione detenuta nelle strutture penitenziarie abruzzesi.
      In particolare, alla data del 27 giugno 2016, la popolazione detenuta e internata presente nel carcere di Lanciano è scesa a 226 unità, rispetto alle 292 registrate nell'anno 2014, a fronte di una capienza regolamentare di 204 posti detentivi.
      Nonostante il lieve esubero dei presenti rispetto alla capienza (calcolata, sulla base del decreto del Ministero della salute del 5 luglio 1975, in 9 mq per detenuto + 5 per ogni detenuto aggiunto), non risulta violata la disposizione della CEDU atteso che tutti i detenuti hanno a disposizione non meno di 3 mq, spazio detentivo minimo tutelabile, anche ai fini risarcitori.
      Le iniziative volte a ridurre il sovraffollamento hanno dispiegato effetti anche sul fronte dei fenomeni autosoppressivi e autolesionistici, in significativa flessione nel corso del tempo: nel periodo gennaio-luglio 2015, difatti, nelle carceri abruzzesi non si è registrato alcun suicidio, a fronte dei 5 casi del 2012, i 3 del 2011 ed i 4 del 2010; si sono verificati 17 tentativi di suicidio a fronte dei 47 casi del 2011, i 43 del 2009, i 39 del 2010; sono stati registrati 116 atti di autolesionismo, a fronte dei 236 del 2010, i 224 del 2011, i 209 del 2009.
      Sebbene in diminuzione, il dato complessivo non è, tuttavia, accettabile.
      Proprio per questo, il 23 maggio 2016 scorro ho emanato una specifica direttiva in materia per l'elaborazione di un Piano di azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, nella crescente tensione a migliorare il modello di monitoraggio e gestione del rischio di tale intollerabile fenomeno.
      La direttiva, che intende completare il quadro dei provvedimenti adottati dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria alla luce della recente riorganizzazione, in conformità alle indicazioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  84 del 2015, ricalca le specifiche linee guida dettate dall'organizzazione mondiale della sanità, riprese anche dalla Conferenza unificata per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e valorizzate dal Comitato nazionale per la Bioetica.
      Con essa ci si propone di introdurre – in armonia con le strategie di prevenzione e gestione proposte attraverso le nuove modalità detentive e, in particolare, con l'introduzione del sistema di vigilanza dinamica – un sistema maggiormente flessibile, in grado di attuare efficaci forme di controllo e, soprattutto, di approfondita conoscenza delle persone ristrette al fine di garantire risposte efficaci, intercettare e gestire le situazioni di maggiore disagio.
      Si inscrive, infine, nel complesso della revisione del sistema penitenziario in atto anche il cosiddetto Piano carceri, congiuntamente delineato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministero della giustizia, e modulato secondo criteri di equa distribuzione della popolazione detenuta e degli spazi abitativi sul territorio nazionale.
      Anche sotto questo profilo, le riflessioni sviluppate sull'architettura carceraria, sulla migliore distribuzione e destinazione dei luoghi di esecuzione della pena rispondono all'esigenza di ottimizzare gli spazi e di conformarne l'uso nel rispetto della dignità della persona e della sicurezza della collettività.
      Nella programmazione per gli anni 2015-2010, è prevista la costruzione di un nuovo padiglione, per 200 posti, presso il carcere di Sulmona, i cui lavori sono in fase iniziale di esecuzione e per la cui realizzazione risultano stanziate somme pari a 15.610.904,53 euro.
      Proprio il 20 aprile 2016 si è, inoltre, riunito presso il Ministero della giustizia il Comitato paritetico per l'edilizia penitenziaria che, nel quadro delle complessive esigenze nazionali, ha preso atto dello stato di attuazione dell'intervento.
Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


      MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'istituto penitenziario di Chieti ha un sovraffollamento della popolazione carceraria del 33 per cento avendo una capienza massima di 81 detenuti mentre quelli ospitati sono 111;
          ciò determina un livello inaccettabile delle condizioni di vita dei detenuti;
          nell'ultimo anno si è verificato 1 tentativo di suicidio e 1 atto di grave autolesionismo tra i detenuti;
          il personale di polizia penitenziaria subisce le difficoltà derivanti dal sovraffollamento della popolazione carceraria con turni e condizioni di lavoro pesanti  –:
          quali iniziative intenda intraprendere per riportare entro i limiti di capienza massima la popolazione carceraria dell'istituto penitenziario di Chieti.
(4-03450)

      Risposta. — Come noto, il tema del sovraffollamento carcerario ha rappresentato una delle prioritarie criticità con le quali ci si è dovuti confrontare sin dall'inizio di questa legislatura.
      Il complesso delle iniziative assunte ha, tuttavia, costituito l'occasione per avviare un ripensamento integrale dei modelli di esecuzione della pena, che potranno condurre ad un nuovo equilibrio tra esigenze di sicurezza della collettività, tutela delle vittime dei reati, concreta attuazione dei principi costituzionali e dei diritti fondamentali dell'individuo.
      Gli Stati generali dell'esecuzione penale, nati proprio dall'esigenza di avviare un ripensamento multidisciplinare dell'esecuzione della sanzione penale, potranno segnare una tappa importante lungo il percorso avviato dalla necessaria attuazione delle prescrizioni della Corte europea dei diritti dell'uomo.
      L'esito dei lavori, che hanno riunito oltre duecento diverse professionalità nella condivisa riflessione sulla pena e sul sistema penitenziario, è stato illustrato proprio nelle giornate del 18 e 19 aprile 2016 a Rebibbia, alla presenza del Capo dello Stato e di esponenti delle istituzioni e della società civile. Ha registrato l'interessata partecipazione del vice Segretario generale del Consiglio d'Europa e del Commissario europeo per giustizia.
      Ha «aperto l'orizzonte di una nuova cultura della pena» ed ha offerto alla pubblica riflessione una nuova prospettiva sul mondo del carcere.
      Questa nuova prospettiva, unitamente alla definitiva archiviazione della vicenda Torregiani, deliberata dalla Corte europea per i diritti dell'uomo nel marzo 2016, segna un passaggio avanzato del percorso riformatore intrapreso.
      In tal senso, le misure normative adottate e la centralità accordata dal Governo all'utilizzo sempre più ampio delle misure alternative al carcere, come elemento strutturale di una nuova politica di esecuzione della pena, emergono anche dalla nuova architettura offerta dal regolamento del Ministero della Giustizia, che ha previsto l'istituzione del nuovo Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, coniugando la sperimentata capacità del settore minorile nel trattamento al di fuori del circuito penitenziario con l'esecuzione penale esterna per gli adulti.
      Il bilancio che può tracciarsi all'esito dell'applicazione delle norme che, su più fronti, hanno inteso restituire alla detenzione carceraria il carattere di extrema ratio, come previsto dalla Costituzione, è decisamente incoraggiante: al 31 maggio 2016, la popolazione carceraria è scesa a 53.873, di cui sono ben 42.535 i detenuti che si trovano in regime di esecuzione esterna.
      Ed è ancor più incoraggiante registrare il mutamento culturale sull'esecuzione della pena, grazie al lavoro straordinario svolto dalla magistratura e dalla polizia penitenziaria, ed anche all'apporto degli enti locali, sempre più chiamati ad offrire possibilità di lavoro esterno per i detenuti, come peraltro si sta sperimentando in occasione dell'anno giubilare in corso.
      I    dati descrivono, dunque, un trend positivo, dimostrando da parte di avvocati e magistrati la condivisione di una comune cultura innovativa, concretamente orientata nella prospettiva di cambiamento e di attuazione del dettato costituzionale.
      Ulteriori spazi di intervento saranno aperti, in tal senso, dall'esercizio della delega al Governo per la riforma dell'ordinamento penitenziario, oggetto del disegno di legge, di iniziativa governativa, A.S. n.  2067, approvato dalla Camera dei deputati ed ora all'esame del Senato.
      Gli interventi normativi finalizzati alla riduzione delle presenze in carcere sono stati accompagnati dal rafforzamento degli strumenti a presidio dei diritti delle persone detenute, attraverso l'introduzione del nuovo articolo 35-bis dell'ordinamento pensionistico.
      Quale strumento complementare di tutela dei diritti è stato, inoltre, istituito il Garante nazionale delle persone private della libertà personale, figura che intende rappresentare da un lato un sostegno di particolare prossimità alle esigenze di protezione dei diritti delle persone private della libertà, complementare rispetto all'attività della magistratura di sorveglianza, e dall'altro lato un momento di interlocuzione e stimolo all'attività dell'amministrazione.
      L'istituzione della figura del Garante risponde ad una richiesta sollevata più volte a livello nazionale e soddisfa i principi che sono alla base del sistema di NPM, National Preventive Mechanism, previsti dagli articoli da 17 a 21 del Protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002 (ratificato con la legge 9 novembre 2012, n.  195).
      Nel quadro così delineato si inseriscono anche i dati relativi alla popolazione detenuta nelle strutture penitenziarie abruzzesi.
      In particolare, alla data del 27 giugno 2016, la popolazione detenuta e internata presente nel carcere di Chieti è risultata pari a 112 unità, rispetto alle 93 registrate nell'anno 2014, a fronte di una capienza regolamentare di 72 posti detentivi.
      Nonostante l'esubero dei presenti rispetto alla capienza – calcolata, sulla base del decreto del Ministero della salute del 5 luglio 1975, in 9 mq per detenuto + 5 per ogni detenuto aggiunto – non risulta, tuttavia, essere stata violata la disposizione della Cedu atteso che tutti i detenuti hanno comunque avuto a disposizione non meno di 3 mq, spazio detentivo minimo tutelabile, anche ai fini risarcitori.
      Le iniziative volte a ridurre il sovraffollamento hanno dispiegato effetti anche sul fronte dei fenomeni autosoppressivi e autolesionistici, in significativa flessione nel corso del tempo: nel periodo gennaio-luglio 2015, difatti, nelle carceri abruzzesi non si è registrato alcun suicidio, a fronte dei 5 casi del 2012, i 3 del 2011 ed i 4 del 2010; si sono verificati 17 tentativi di suicidio a fronte dei 47 casi del 2011, i 43 del 2009, i 39 del 2010; sono stati registrati 116 atti di autolesionismo, a fronte dei 236 del 2010, i 224 del 2011, i 209 del 2009.
      Sebbene in diminuzione, il dato complessivo non è, tuttavia, accettabile.
      Proprio per questo, il 23 maggio 2016 ho emanato una specifica direttiva in materia per l'elaborazione di un Piano di azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, nella crescente tensione a migliorare il modello di monitoraggio e gestione del rischio di tale intollerabile fenomeno.
      La direttiva, che intende completare il quadro dei provvedimenti adottati dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria alla luce della recente riorganizzazione, in conformità alle indicazioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  84 del 2015, ricalca le specifiche linee guida dettate dall'Organizzazione mondiale della sanità, riprese anche dalla Conferenza unificata per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e valorizzate dal Comitato nazionale per la Bioetica.
      Con essa ci si propone di introdurre – in armonia con le strategie di prevenzione e gestione proposte attraverso le nuove modalità detentive e, in particolare, con l'introduzione del sistema di vigilanza dinamica – un sistema maggiormente flessibile, in grado di attuare efficaci forme di controllo e, soprattutto, di approfondita conoscenza delle persone ristrette al fine di garantire risposte efficaci, intercettare e gestire le situazioni di maggiore disagio.
      Si inscrive, infine, nel complesso della revisione del sistema penitenziario in atto anche il cosiddetto Piano carceri, congiuntamente delineato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministero della giustizia, e modulato secondo criteri di equa distribuzione della popolazione detenuta e degli spazi abitativi sul territorio nazionale.
      Anche sotto questo profilo, le riflessioni sviluppate sull'architettura carceraria, sulla migliore distribuzione e destinazione dei luoghi di esecuzione della pena rispondono all'esigenza di ottimizzare gli spazi e di conformarne l'uso nel rispetto della dignità della persona e della sicurezza della collettività.
      Nella programmazione per gli anni 2015-2010, è prevista la costruzione di un nuovo padiglione, per 200 posti, presso il carcere di Sulmona, i cui lavori sono in fase iniziale di esecuzione e per la cui realizzazione risultano stanziate somme pari a 15.610.904,53 euro.
      Proprio il 20 aprile 2016 si è, inoltre, riunito presso il Ministero della giustizia il Comitato paritetico per l'edilizia penitenziaria che, nel quadro delle complessive esigenze nazionali, ha preso atto dello stato di attuazione dell'intervento.
      L'ampliamento di recettività del circuito penitenziario abruzzese contribuirà, pertanto, anche a ridurre le presenze detentive presso il carcere di Chieti.
Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


      MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'istituto penitenziario di Avezzano (L'Aquila) ha un sovraffollamento della popolazione carceraria del 39,20 per cento avendo una capienza massima di 8;
          51 detenuti mentre quelli ospitati sono 71;
          ciò determina un livello inaccettabile delle condizioni di vita dei detenuti;
          nell'ultimo anno si sono verificati 4 tentativi di suicidio e ben 26 atti di grave autolesionismo tra i detenuti;
          il personale di polizia penitenziaria subisce le difficoltà derivanti dal sovraffollamento della popolazione carceraria con turni e condizioni di lavoro pesanti  –:
          quali iniziative intenda intraprendere per riportare entro i limiti di capienza massima la popolazione carceraria dell'istituto penitenziario di Avezzano.
(4-03451)

      Risposta. — Come noto, il tema del sovraffollamento carcerario ha rappresentato una delle prioritarie criticità con le quali ci si è dovuti confrontare sin dall'inizio di questa legislatura.
      Il complesso delle iniziative assunte ha, tuttavia, costituito l'occasione per avviare un ripensamento integrale dei modelli di esecuzione della pena, che potranno condurre ad un nuovo equilibrio tra esigenze di sicurezza della collettività, tutela delle vittime dei reati, concreta attuazione dei principi costituzionali e dei diritti fondamentali dell'individuo.
      Gli Stati Generali dell'esecuzione penale, nati proprio dall'esigenza di avviare un ripensamento multidisciplinare dell'esecuzione della sanzione penale, potranno segnare una tappa importante lungo il percorso avviato dalla necessaria attuazione delle prescrizioni della Corte europea dei diritti dell'uomo.
      L'esito dei lavori, che hanno riunito oltre duecento diverse professionalità nella condivisa riflessione sulla pena e sul sistema penitenziario, è stato illustrato proprio nelle giornate del 18 e 19 aprile a Rebibbia, alla presenza del Capo dello Stato e di esponenti delle istituzioni e della società civile. Ha registrato l'interessata partecipazione del Vice segretario generale del Consiglio d'Europa e del Commissario europeo per giustizia.
      Ha «aperto l'orizzonte di una nuova cultura della pena» ed ha offerto alla pubblica riflessione una nuova prospettiva sul mondo del carcere.
      Questa nuova prospettiva, unitamente alla definitiva archiviazione della vicenda Torregiani, deliberata dalla Corte europea per i diritti dell'uomo lo scorso marzo, segna un passaggio avanzato del percorso riformatore intrapreso.
      In tal senso, le misure normative adottate e la centralità accordata dal Governo all'utilizzo sempre più ampio delle misure alternative al carcere, come elemento strutturale di una nuova politica di esecuzione della pena, emergono anche dalla nuova architettura offerta dal regolamento del Ministero della Giustizia, che ha previsto l'istituzione del nuovo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, coniugando la sperimentata capacità del settore minorile nel trattamento al di fuori del circuito penitenziario con l'esecuzione penale esterna per gli adulti.
      Il bilancio che può tracciarsi all'esito dell'applicazione delle norme che, su più fronti, hanno inteso restituire alla detenzione carceraria il carattere di extrema ratio, come previsto dalla Costituzione, è decisamente incoraggiante: al 31 maggio 2016, la popolazione carceraria è scesa a 53.873, di cui sono ben 42.535 i detenuti che si trovano in regime di esecuzione esterna.
      Ed è ancor più incoraggiante registrare il mutamento culturale sull'esecuzione della pena, grazie al lavoro straordinario svolto dalla magistratura e dalla polizia penitenziaria, ed anche all'apporto degli enti locali, sempre più chiamati ad offrire possibilità di lavoro esterno per i detenuti, come peraltro si sta sperimentando in occasione dell'anno giubilare in corso.
      I dati descrivono, dunque, un trend positivo, dimostrando da parte di avvocati e magistrati la condivisione di una comune cultura innovativa, concretamente orientata nella prospettiva di cambiamento e di attuazione del dettato costituzionale.
      Ulteriori spazi di intervento saranno aperti, in tal senso, dall'esercizio della delega al Governo per la riforma dell'ordinamento penitenziario, oggetto del disegno di legge, di iniziativa governativa A.S. n.  2067, approvato dalla Camera dei deputati ed ora all'esame del Senato.
      Gli interventi normativi finalizzati alla riduzione delle presenze in carcere sono stati accompagnati dal rafforzamento degli strumenti a presidio dei diritti delle persone detenute, attraverso l'introduzione del nuovo articolo 35-bis dell'ordinamento penitenziario.
      Quale strumento complementare di tutela dei diritti è stato, inoltre, istituito il garante nazionale delle persone private della libertà personale, figura che intende rappresentare da un lato un sostegno di particolare prossimità alle esigenze di protezione dei diritti delle persone private della libertà, complementare rispetto all'attività della magistratura di sorveglianza, e dall'altro lato un momento di interlocuzione e stimolo all'attività dell'amministrazione.
      L'istituzione della figura del garante risponde ad una richiesta sollevata più volte a livello nazionale e soddisfa i principi che sono alla base del sistema di NPM, National Preventive Mechanism, previsti dagli articoli da 17 a 21 del Protocollo opzionale alla convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002 (ratificato con la legge 9 novembre 2012, n.  195).
      Nel quadro così delineato si inseriscono anche i dati relativi alla popolazione detenuta nelle strutture penitenziarie abruzzesi.
      In particolare, alla data del 27 giugno 2016, la popolazione detenuta e internata presente nel carcere di Avezzano è scesa a 39 unità, rispetto alle 57 registrate nell'anno 2014, a fronte di una capienza regolamentare di 53 posti detentivi.
      Non si registra, pertanto, allo stato alcun esubero dei presenti rispetto alla capienza, calcolata, sulla base del decreto del Ministero della salute del 5.07.75, in 9 metri quadri per detenuto + 5 per ogni detenuto aggiunto.
      Anche nel periodo di superamento dei posti previsti, tuttavia, non risulta essere stata violata la disposizione della Cedu atteso che tutti i detenuti hanno comunque avuto a disposizione non meno di 3 metri quadri, spazio detentivo minimo tutelabile, anche ai fini risarcitori.
      Le iniziative volte a ridurre il sovraffollamento hanno dispiegato effetti anche sul fronte dei fenomeni autosoppressivi e autolesionistici, in significativa flessione nel corso del tempo: nel periodo gennaio-luglio 2015, difatti, nelle carceri abruzzesi non si è registrato alcun suicidio, a fronte dei 5 casi del 2012, i 3 del 2011 ed i 4 del 2010; si sono verificati 17 tentativi di suicidio a fronte dei 47 casi del 2011, i 43 del 2009, i 39 del 2010; sono stati registrati 116 atti di autolesionismo, a fronte dei 236 del 2010, i 224 del 2011, i 209 del 2009.
      Sebbene in diminuzione, il dato complessivo non è, tuttavia, accettabile.
      Proprio per questo, il 23 maggio scorso ho emanato una specifica direttiva in materia per l'elaborazione di un Piano di azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, nella crescente tensione a migliorare il modello di monitoraggio e gestione del rischio di tale intollerabile fenomeno.
      La direttiva, che intende completare il quadro dei provvedimenti adottati dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria alla luce della recente riorganizzazione, in conformità alle indicazioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  84 del 2015, ricalca le specifiche linee guida dettate dall'organizzazione mondiale della sanità, riprese anche dalla conferenza unificata per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e valorizzate dal comitato nazionale per la bioetica.
      Con essa ci si propone di introdurre – in armonia con le strategie di prevenzione e gestione proposte attraverso le nuove modalità detentive e, in particolare, con l'introduzione del sistema di vigilanza dinamica – un sistema maggiormente flessibile, in grado di attuare efficaci forme di controllo e, soprattutto, di approfondita conoscenza delle persone ristrette al fine di garantire risposte efficaci, intercettare e gestire le situazioni di maggiore disagio.
      Si inscrive, infine, nel complesso della revisione del sistema penitenziario in atto anche il cosiddetto piano carceri, congiuntamente delineato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministero della giustizia, e modulato secondo criteri di equa distribuzione della popolazione detenuta e degli spazi abitativi sul territorio nazionale.
      Anche sotto questo profilo, le riflessioni sviluppate sull'architettura carceraria, sulla migliore distribuzione e destinazione dei luoghi di esecuzione della pena rispondono all'esigenza di ottimizzare gli spazi e di conformarne l'uso nel rispetto della dignità della persona e della sicurezza della collettività.
      Nella programmazione per gli anni 2015-2010, è prevista la costruzione di un nuovo padiglione, per 200 posti, presso il carcere di Sulmona, i cui lavori sono in fase iniziale di esecuzione e per la cui realizzazione risultano stanziate somme pari a 15.610.904,53 euro.
      Proprio il 20 aprile si è, inoltre, riunito presso il Ministero della giustizia il Comitato paritetico per l'edilizia penitenziaria che, nel quadro delle complessive esigenze nazionali, ha preso atto dello stato di attuazione dell'intervento.
Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


      MERLO e BORGHESE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          in Europa e nel mondo ci si chiede che ruolo, oggi, giocherà il patrimonio artistico-culturale della maggior parte delle città culturali dell'Italia, nella società futura;
          la questione del patrimonio artistico-culturale è particolarmente attuale nell'agenda politica in Italia, in ragione di quella che appare agli interroganti una cieca politica di drastici tagli che la prossima legge di stabilità si prepara ad attuare per la cultura, partendo anche dalla privatizzazione del patrimonio culturale e dall'alleggerimento degli enti di tutela storica attualmente vigenti;
          nel nostro Paese, il patrimonio storico-artistico, però, appartiene in parte a cittadini privati che si trovano allo stato di fatto, in una situazione preoccupante e ciò anche a causa di inadempienza e disapplicazioni di leggi precedentemente emanate;
          non è stato corrisposto ai proprietari interessati quanto dovuto (circa 100 milioni di euro a quanto consta agli interroganti), a titolo di contributo ex articolo 31 del decreto legislativo n.  42 del 2004 per gli interventi di restauro o conservativi autorizzati e già collaudati da diversi anni, eseguiti su beni d'interesse storico-artistico  –:
          quale sia la ragione per la quale i fondi di cui in premessa non sono stati erogati ai proprietari che ne avevano diritto;
          se non ritenga che debbano essere elargiti almeno acconti a coloro che, pur avendone diritto, ancora non hanno ricevuto nulla, così da poter permettere ai proprietari di tali beni storici, specialmente nelle più belle città storiche d'Italia, la loro conservazione, in modo da non provocare ulteriori deterioramenti di beni che vengono amati da tutto il mondo per la loro bellezza storica. (4-11325)

      Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame, premesso che, secondo l'interrogante, lo Stato non avrebbe corrisposto ai privati quanto dovuto a titolo di contributo ex articolo 31 del decreto legislativo n.  42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) per gli interventi di restauro su beni d'interesse storico-artistico, si chiede di sapere quali siano i motivi per i quali i fondi non sono stati erogati e se il Ministero non ritenga di dover erogare acconti sulla somma dovuta a coloro i quali ancora non li hanno ricevuti.
      A tal proposito si fa presente quanto segue.
      Il tema sollevato dall'interrogante è cruciale poiché i contributi ai privati previsti dal codice dei beni culturali sono una forma di riconoscimento materiale, da parte dello Stato, della funzione sociale svolta dai proprietari di beni culturali vincolati, che lo affiancano nell'attività di conservazione e quindi nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio culturale. È del resto noto che i beni culturali privati, per il restauro dei quali si riceve un contributo, devono essere aperti alla pubblica fruizione, sulla base di apposite convenzioni.
      L'attuale situazione, circa il rapporto fra pubblico e privato, con particolare riferimento all'ambito richiamato dall'interrogante, non può essere considerata soddisfacente e del resto il grande tema del rapporto pubblico-privato nel campo dei beni culturali potrà richiedere nuove riflessioni e interventi, da collocare anche in una prospettiva più ampia.
      Per quanto riguarda il quesito circa l'erogazione dei contributi in conto capitale, questa avviene sulla scorta di una programmazione annuale, predisposta sulla base delle risorse disponibili, e secondo il criterio dell'ordine cronologico in ambito regionale, che costituisce rigoroso principio di riferimento.
      Nell'ambito di ciascuna regione, gli interventi sono inseriti nel programma, secondo gli elenchi inviati dai segretariati regionali e secondo il parere delle commissioni regionali, nonché dei direttori generali competenti per settore, in base all'ordine cronologico della data di collaudo dei lavori, fino ad esaurimento del
budget regionale disponibile, calcolato percentualmente sulla base degli interventi richiesti su tutto il territorio nazionale.
      Un altro principio utilizzato nell'erogazione dei contributi tiene conto dell'entità degli stessi, rateizzandone il pagamento secondo il seguente schema:
          da 0 a euro 300.000: pagamento totale del contributo;
          da euro 300.001 a euro 500.000: acconto del 50 per cento del contributo con saldo nell'anno successivo;
          oltre euro 500.000: acconto di un terzo del contributo e saldo mediante due rate successive.

      E d'altra parte l'articolo 1, comma 26-ter, del decreto-legge n.  95 del 2012, ha disposto che, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto e fino al pagamento dei contributi già concessi alla medesima data e non ancora erogati ai beneficiari, sia sospesa la concessione dei contributi di cui agli articoli 35 e 37 del codice dei beni culturali.
      Pertanto, a partire dal 15 agosto 2012, non è stato più possibile rilasciare le «dichiarazioni di ammissibilità» ai contributi di cui ai citati articoli 35 e 37, da parte degli uffici competenti, neanche in relazione ad istanze pervenute al protocollo dei suddetti uffici in data antecedente al 15 agosto 2012.
      Viceversa tutti gli interventi per i quali sia stata rilasciata la dichiarazione di ammissibilità entro il 14 agosto 2012, saranno finanziati nei tempi consentiti dalle risorse disponibili.
      Al riguardo, si ricorda che la legge di assestamento del bilancio per l'anno finanziario 2015 ha stanziato 10 milioni di euro sul capitolo 7441/1 a decorrere dal 2015, per «l'estinzione dei debiti pregressi nei confronti dei proprietari, possessori o detentori di beni culturali ai sensi degli articoli 31, 35 e 36 del codice beni culturali e del paesaggio, per i contributi concessi fino al 15 agosto 2012».
      Si è trattato di un primo passo nella direzione giusta, e tuttavia il Ministero è consapevole della esigenza di provvedere ulteriormente, confidando anche nel sostegno del Parlamento.
      Ad ogni buon fine, si unisce uno schema con il
trend delle risorse per i contributi in conto capitale dal 2009 ad oggi, con l'avvertenza che il 2016 è ancora in fase di programmazione.

   ANNO Programma contributi   
    2009 17.670.782                
    2010 24.369.132                
    2011 23.663.485                
    2012 50.663.485                
    2013 15.047.923                
    2014 17.830.222                
    2015 10.136.445                
    2016 * 10,167.301                
* da programmare.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


      MERLO e BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          a Montréal, dove vivono circa trecentomila italocanadesi, dei quali circa trentamila iscritti all'AIRE, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale dal 2014 ha sospeso l'invio di contributi all'ente gestore PICAI (ente gestore dei corsi di lingua italiana), per presunte irregolarità amministrative;
          inoltre il Comites di Montréal ha espresso parere negativo alla concessione dei contributi al PICAI per il 2014, 2015 e 2016;
          le stesse autorità consolari e diplomatiche hanno da sempre auspicato la nascita di un nuovo ente gestore che rispondesse al profilo di trasparenza che includesse le forze vive della comunità italiana e fosse proiettato verso l'inserimento dei corsi di italiano nei curricula scolastici delle scuole del Quebec;
          dal 2014, in collaborazione con il console generale Enrico Padula, è nato il CESDA (Centro scuola Dante Alighieri) inaugurato proprio in occasione della visita del sottosegretario Mario Giro che in quell'occasione espresse il suo plauso a questa iniziativa da parte dei rappresentati dei maggiori organismi della comunità italiana di Montréal;
          il CESDA, inoltre, di fatto ha iniziato i corsi di italiano ed ha concluso apposite convenzioni con diverse commissioni scolastiche del Quebec volte all'inserimento dell'italiano nel curriculum scolastico  –:
          se intendano sostenere l'iniziativa della comunità italiana che nel 2015 ha dato vita al CESD-Centro Scuola Dante Alighieri, il cui consiglio di amministrazione è stato eletto dall'assemblea dei soci e risulta costituito da rappresentanti dei maggiori organismi della comunità italiana del Quebec, che opera con successo sul territorio, ben inserito nella realtà socio-politica del Quebec, e che ha già firmato con due tra le più importanti commissioni scolastiche dei Quebec la EMSB (English Montréal School Board), Marie Clarac e la (Sir Wilfrid Laurier School Board di Laval) delle convenzioni per insegnare l'italiano curriculare ed extracurriculare nelle scuole del Quebec. (4-11971)

      Risposta. — Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale svolge un'azione particolarmente intensa a favore della diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo, favorendo l'attuazione di corsi ad hoc attraverso contributi a valere sul capitolo di bilancio n.  3153 in favore dei nostri connazionali all'estero. Negli ultimi anni, la significativa riduzione di fondi a disposizione sul citato capitolo (passati da 27 milioni di euro del 2008 a meno di 10 milioni del 2014) e la progressiva contrazione numerica dei posti di contingente per il personale della scuola (da 1.024 a 624 unità) hanno imposto di ottimizzare l'offerta formativa proposta all'estero, con particolare riguardo alle attività promosse dagli enti gestori, il cui numero è stato a sua volta contratto da circa 250 ai 132 nel 2015.
      Tra i requisiti per accedere a contributi a valere sul capitolo ministeriale n.  3153, vi è la preesistente autonomia finanziaria dell'ente gestore: il contributo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale può infatti essere erogato solo se marginale rispetto alle risorse proprie del richiedente. Al contempo, il possesso da parte dell'ente gestore di fondi propri in grado di coprire totalmente i costi dei corsi programmati è parimenti elemento che non consente l'erogazione di contributi di questo Ministero.
      La Farnesina riconosce agli enti gestori operativi in Canada e in particolare in Québec un importante ruolo nella promozione della lingua e cultura italiana.
      Il mancato finanziamento nell'anno in corso a favore dell'ente di nuova costituzione CESDA, alla luce di quanto sopra evidenziato, è da attribuire al fatto che questo non presenta ancora un livello di attività idoneo. Resta fermo che in futuro il potenziamento dell'attività, accompagnato dalla relativa dotazione di risorse proprie, gli consentirà di accedere ai fondi disponibili sul capitolo n.  3153.
      Con riguardo invece al PICAI, sia l'ambasciata in Canada che il consolato generale a Montréal hanno espresso parere negativo in merito alla richiesta di contributo presentata per il 2016, in considerazione del fatto che, sulla base del bilancio preventivo, l'ente in parola appare disporre di fondi propri sufficienti a coprire tutti i costi dei corsi programmati. Anche il COMITES di Montréal ha espresso sin dal 2014 parere negativo alla concessione di contributi del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Il PICAI, malgrado non usufruisca di contributi ministeriali dal 2014, ha infatti mantenuto negli anni in esame sostanzialmente inalterata l'offerta dei corsi a Montréal. Resta comunque fermo che in futuro, una volta forniti chiarimenti sulla questione finanziaria e in particolare sull'aspetto relativo alle risorse proprie e previo parere favorevole delle competenti autorità diplomatico-consolari, sarà possibile riconsiderare la situazione.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Mario Giro.


      MINARDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          la produzione di prodotti base della dieta mediterranea Made in Italy, tra cui i pomodori, ha subito un grave rallentamento soprattutto a causa delle importazioni dal Marocco e dalla Tunisia;
          infatti, le importazioni di pomodori dalle due citate nazioni sono raddoppiate rispetto a gennaio del 2015 superando i contingenti di importazione fissati dall'accordo tra Unione europea e Marocco;
          l'accordo con il Marocco penalizza i produttori agricoli, perché nel paese africano è permesso l'uso di pesticidi pericolosi per la salute, vietati in Europa, ma anche perché le coltivazioni sono realizzate in condizioni di dumping sociale, per il basso costo della manodopera di quel Paese;
          la Commissione europea dovrebbe da subito attivare le clausole di salvaguardia previste dall'accordo citato vista la grave perturbazione del mercato dall'eccessivo aumento delle importazioni che rischia di ripercuotersi negativamente sul tessuto economico-sociale di territori come la Sicilia e la Calabria;
          l'Italia, infatti, produce oltre un milione di tonnellate di pomodoro da mensa in pieno campo ed in serra, con la Sicilia leader nel settore. Tra l'altro, è da sottolineare che con le importazioni di pomodoro dal Marocco, è aumentato il rischio di frodi, con il pomodoro marocchino venduto come italiano;
          inoltre, si rileva come le quotazioni al produttore agricolo siano crollate del 43,7 per cento nella prima settimana di gennaio;
          occorre, pertanto, intervenire non solo per salvaguardare un settore di grande importanza per la nostra economia soprattutto per la Sicilia, ma anche per garantire ai consumatori un prodotto di qualità  –:
          quali iniziative urgenti intenda adottare, per quanto di competenza, in sede europea, affinché sia garantita la produzione italiana del pomodoro a tutto vantaggio dei produttori soprattutto siciliani e sia assicurata la tutela dei consumatori. (4-11886)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, faccio presente che relativamente agli scambi commerciali di prodotti ortofrutticoli intercorsi tra Marocco e Unione europea dopo l'accordo siglato nel 2012, la Commissione europea sta costantemente effettuando, anche su pressione dell'Italia, il monitoraggio necessario a verificare il rispetto dell'accordo commerciale suddetto, in particolare per quanto riguarda le importazioni di pomodoro.
      Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, oltre a monitorare costantemente la situazione di mercato, è impegnato a portare all'attenzione dell'Esecutivo europeo, sia a livello di Consiglio europeo che in ambito di Comitati di gestione settoriali, la problematica rappresentata, al fine di valutare l'opportunità di intraprendere azioni mirate, anche eccezionali, nell'ambito delle misure previste nella regolamentazione comunitaria e negli accordi internazionali vigenti.
      Rilevo inoltre che, lo scorso 18 marzo, con il supporto dei Ministeri degli affari esteri e dello sviluppo economico, abbiamo già richiesto alla Commissione europea di attivare, con estrema urgenza, la clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 7 del protocollo n.  1, Allegato I, «accordo tra l'Unione europea e il regno del Marocco in merito a misure di liberalizzazione reciproche per i prodotti agricoli, i prodotti agricoli trasformati, il pesce e i prodotti della pesca».
      I competenti uffici del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, in collaborazione con la filiera di settore e i rappresentanti della regione siciliana, hanno quindi predisposto il pertinente
dossier tecnico a supporto della citata richiesta, inviato alla Commissione europea l'8 maggio scorso.
      Mi preme inoltre evidenziare che ci siamo altresì attivati presso la Commissione europea per richiedere un intervento in merito al livello dei prezzi di ritiro applicabili per taluni prodotti ortofrutticoli, tra i quali le diverse tipologie di pomodoro.
      Evidenzio inoltre che, sempre su nostra richiesta, la Commissione europea ha recentemente presentato una bozza di regolamento delegato che prevede la proroga al 30 giugno 2017 delle attuali misure di sostegno eccezionali a carattere temporaneo, conseguenti all'embargo introdotto dal Governo russo, per i produttori di taluni ortofrutticoli, tra i quali il pomodoro.
      Faccio infine presente che, per affrontare le problematiche esposte dall'interrogante, un valido strumento è rappresentato anche dall'incentivazione dell'associazionismo, attraverso il finanziamento di programmi di attività realizzati da organizzazioni di produttori ortofrutticoli riconosciute, che prevedono anche specifiche misure per prevenire ed affrontare situazioni di crisi di mercato. Tuttavia, l'efficacia di tale strumento è legata alla propensione dei produttori di aggregarsi che, nelle regioni meridionali, ed in particolare in Sicilia, risulta essere ancora bassa e vicina al 20 per cento della produzione ortofrutticola regionale.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      MIOTTO, NACCARATO e CAMANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          da alcuni mesi è in atto una controversia fra comuni, autorità scolastiche ed organizzazioni sindacali riguardante le mansioni del personale ATA delle scuole dell'infanzia statali, in particolare per quanto riguarda la somministrazione della merenda agli alunni, ritenuta una «funzione mista» dal personale dipendente, mentre i comuni ritengono non possa essere una funzione rientrante nelle competenze soggette alla corresponsione di apposita indennità aggiuntiva;
          con nota prot. 24840 del 26 settembre 2014 della città di Piove di Sacco (PD) rivolta al direttore dell'ufficio scolastico regionale per conoscenza al Ministero dell'università e della ricerca è stato chiesto se la merenda di metà mattinata consistente in un frutto o uno yogurt o una merendina che richiede un minimale servizio di assistenza da parte del personale ATA presente nei cinque plessi delle materne del territorio, rientri nelle funzioni miste oggetto dell'intesa fra Ministero dell'università e della ricerca, ANCI e organizzazioni sindacali del 2000;
          con ulteriore nota prot. 28568 del 30 ottobre 2014 rivolta al direttore dell'ufficio scolastico regionale veniva sollecitata una risposta al precedente interpello anche alla luce della preoccupazione manifestata dalla dirigente scolastica locale in ordine al pericolo di infortunio a cui sarebbero sottoposti i collaboratori scolastici nelle operazioni di sbucciatura o taglio della frutta e conseguente necessità di idonea copertura assicurativa;
          con nota della dirigente scolastica del 24 luglio 2015 veniva comunicato alla All'amministrazione comunale che in assenza della convenzione prevista per le funzioni miste, a partire dal 1° settembre 2015 non sarebbe stata garantita dal personale ATA la distribuzione della merenda di metà mattinata come era stato assicurata in via collaborativa fino a quella data;
          persistendo la mancata risposta agli interpelli sopraindicati, l'Amministrazione comunale rivolgeva i medesimi quesiti all'ANCI che rispondeva affermando che: «“l'assistenza necessaria durante il pasto” debba comprendere anche quelle attività materiali che i bambini non sono in grado di svolgere e che quindi si manifestano necessarie per la consumazione del pasto, quali sbucciare la frutta, così come a esempio tagliare la carne. La pulizia e il riordino dei tavoli dopo il pasto risulta invece a carico dell'Ente Locale»;
          con PEC n.  22878 del 6 agosto 2015 veniva sollecitata risposta ai chiarimenti formulati, rivolta agli uffici regionali di Roma del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ma permane assenza di risposta, nonostante siano state depositate due interrogazioni    il 1° ottobre 2015 in coincidenza della protesta dei collaboratori scolastici che si sono rifiutati di proseguire nella distribuzione delle merendine;
          anche ai predetti atti di sindacato ispettivo non è stata data risposta;
          dall'inizio dell'anno scolastico fino al 31 dicembre scorso, l'amministrazione comunale ha fatto ricorso alla collaborazione gratuita della impresa che fornisce la mensa anche per la distribuzione della merenda in monoporzione e ha spostato la fornitura della frutta a fine pasto. Nonostante queste modifiche organizzative il personale ATA ha segnalato che non intende aiutare i bambini nell'operazione di togliere l'incarto alla merendina, perché ritenuta una «funzione mista». Peraltro l'accollo di questa funzione alla impresa che fornisce la mensa comporterebbe un aumento di costi rilevante che fatalmente verrebbe trasferito alle famiglie. In altri comuni le predette mansioni sono svolte dal personale ATA senza ulteriori oneri, per cui necessita un chiarimento per non creare un intollerabile disservizio  –:
          se sia a conoscenza dei problemi esposti in premessa e che si presentano anche in altri territori;
          se non ritenga di dover cooperare per fornire una risposta all'amministrazione comunale di Piove di Sacco, anche tramite l'ufficio scolastico regionale, al fine di porre fine alla controversia che rischia di compromettere il buon funzionamento della istituzione scolastica. (4-11622)

      Risposta. — L'interrogazione in esame verte sulle cosiddette «funzioni miste» dei collaboratori scolastici, quei servizi che in passato erano svolti da personale dipendente del comune nelle scuole dell'infanzia e della primaria e che, a seguito dell'avvenuto passaggio allo Stato – ai sensi dell'articolo 8 della legge n.  124 del 1999 – del personale Ata prima dipendente dagli enti locali che era addetto anche a tali mansioni, sono state regolamentate con un protocollo d'intesa sottoscritto in data 12 settembre 2000 tra l'allora Ministero della pubblica istruzione, le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil e Snals, l'Associazione nazionale comuni d'Italia (Anci) l'Unione province italiane (Upi) e l'Unione nazionale comuni comunità enti montani (Uncem).
      Tale protocollo prevede l'attribuzione alle istituzioni scolastiche delle seguenti competenze in materia di mense scolastiche: ordinazione giornaliera dei pasti, pulizia mensa, ordinazione, sorveglianza e assistenza agli alunni, assistenza agli alunni disabili nei limiti di quanto previsto dal Ccnl.
      Rientra invece nella competenza degli enti locali lo scodellamento e distribuzione dei pasti, oltre il ricevimento dei pasti, la predisposizione della mensa, la sistemazione dei tavoli, la pulizia e il riordino dei tavoli e delle sedie, il lavaggio delle stoviglie e lo smaltimento dei rifiuti.
      Tale intesa, inoltre, ha stabilito che «qualora il servizio mensa (nella scuola o nel centro estivo eventualmente funzionante nel suo ambito) non fosse interamente svolto dal comune o da questo affidato a soggetti esterni, si precisa che le attività di spettanza degli enti locali, di cui alla precedente elencazione (dal punto “a” al punto “g”), vengono svolte dagli operatori scolastici ove siano stipulate le apposite convenzioni nel quadro del presente accordo» e che «gli oneri finanziari faranno carico all'ente locale».
      Per quanto riguarda le mansioni proprie del profilo di collaboratore scolastico, la tabella A – Profili di area del personale ATA allegata al vigente Ccnl comparto scuola (sottoscritto il 29 novembre 2007) chiarisce che il personale appartenente all'area A (collaboratore scolastico): «Esegue, nell'ambito di specifiche istruzioni e con responsabilità connessa alla corretta esecuzione del proprio lavoro, attività caratterizzata da procedure ben definite che richiedono preparazione non specialistica. È addetto ai servizi generali della scuola con compiti di accoglienza e di sorveglianza nei confronti degli alunni, nei periodi immediatamente antecedenti e successivi all'orario delle attività didattiche e durante la ricreazione, e del pubblico; di pulizia dei locali, degli spazi scolastici e degli arredi; di vigilanza sugli alunni, compresa l'ordinaria vigilanza e l'assistenza necessaria durante il pasto nelle mense scolastiche, di custodia e sorveglianza generica sui locali scolastici, di collaborazione con i docenti. Presta ausilio materiale agli alunni portatori di
handicap nell'accesso dalle aree esterne alle strutture scolastiche, all'interno e nell'uscita da esse, nonché nell'uso dei servizi igienici e nella cura dell'igiene personale anche con riferimento alle attività previste dall'articolo 47».
      Il citato Ccnl, quindi, sembra voler limitare le funzioni dei collaboratori scolastici all'assistenza necessaria durante il pasto nelle mense scolastiche.
      Tutto ciò premesso, con riferimento allo specifico caso segnalato dall'interrogante, si rendono di seguito le informazioni fornite dall'ufficio periferico territorialmente competente ovvero dall'ufficio scolastico regionale per il Veneto.
      In merito alla questione sollevata dall'amministrazione comunale di Piove di Sacco (PD) e cioè se rientri nelle normali mansioni dei collaboratori scolastici o nelle cosiddette «funzioni miste» la somministrazione della merenda agli alunni delle scuole dell'infanzia statali, si ritiene che tale servizio costituisca attività aggiuntiva rispetto alle citate mansioni previste dal Ccnl per lo specifico profilo professionale.
      Tale attività dovrebbe, quindi, rientrare nelle citate «funzioni miste», per lo svolgimento delle quali il protocollo del 2000 prevede che gli oneri siano a carico degli enti locali.
      Si esprime, infine, l'avviso che non rientri nelle competenze del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca o dell'Anci esprimersi in merito alla interpretazione autentica del Ccnl essendo tale competenza riservata, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 2 del citato Ccnl, alle parti che lo hanno a suo tempo sottoscritto (Aran e organizzazioni sindacali).

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 24 gennaio 2015 si è verificato l'ennesimo attentato a un amministratore locale della Sardegna, il sindaco del piccolo comune di Bultei, già destinatario di pesanti minacce di morte;
          la bomba, che è esplosa mentre il sindaco era nella propria casa con i familiari, fortunatamente ha provocato solo gravi danni materiali;
          l'attentato è l'ennesimo di una lunga serie e conferma la situazione gravissima in cui versa la sicurezza dei comuni sardi;
          gli attentati agli amministratori pubblici sono una piaga che colpisce la Sardegna da moltissimi anni, in particolare nelle zone interne e nelle aree svantaggiate dell'isola, dove i problemi di natura economica e sociali sono aggravati anche da una presenza dello Stato che con il trascorrere del tempo si è indebolita;
          è noto che una delle cause principali del fenomeno trovi origine nella grave situazione di disagio che stanno attraversando la Sardegna e i comuni, in particolare per la crescente disoccupazione, il taglio dei servizi essenziali (sanità, scuola, eccetera) e delle altre risorse destinate agli enti locali;
          questi fatti criminali sono una minaccia alla vita democratica e, pertanto, serve un immediato intervento del Governo e delle l'istituzioni che devono ritornare a essere, con i propri presidi e servizi, un baluardo di legalità e sicurezza per i cittadini;
          dall'ultimo rapporto sulla criminalità in Sardegna, si conferma il triste primato della regione nel numero di attentati agli amministratori, superando di gran lunga regioni dove storicamente sono presenti gravi fenomeni di criminalità organizzata di stampo mafioso;
          sono rimasti inascoltati tutti gli appelli che in questi anni le istituzioni sarde, ai massimi livelli, hanno rivolto allo Stato;
          in questi anni lo Stato ha effettuato pesanti tagli nel settore della sicurezza, lasciando alcune territori dell'isola con presidi di polizia e carabinieri del tutto insufficienti ad arginare questo fenomeno;
          dopo l'ultimo attentato è cresciuto di nuovo il clima di tensione e di paura che regna in alcune comunità, preoccupate per l'impossibilità per le proprie amministrazioni di poter svolgere le loro funzioni in piena sicurezza;
          quanto sta accadendo non può essere sottovalutato e chi difende gli interessi delle comunità locali (in particolare delle zone interne, che vivono una situazione di profondo abbandono da parte dello Stato) non può essere lasciato solo  –:
          quali misure intendano adottare per garantire la sicurezza degli amministratori pubblici in Sardegna, in particolare amministratori (sindaci e assessori) dei piccoli comuni e delle zone interne e svantaggiate vittime di gravi intimidazioni, atti di violenza e attentati di varia natura;
          quali provvedimenti vogliano assumere per debellare il fenomeno e ristabilire le condizioni di serenità e libertà necessarie a chi amministra la cosa pubblica;
          se non ritengano urgente convocare un tavolo di confronto per individuare interventi volti a scongiurare tali atti criminosi e a colpire finalmente i responsabili;
          se non ritengano opportuno predisporre un piano di intervento per la sicurezza degli amministratori locali in Sardegna, che preveda, tra le varie misure, anche interventi mirati ad alleviare il malessere sociale crescente nei piccoli comuni, nelle zone interne e in quelle in via di spopolamento, prime vittime del taglio dei servizi essenziali e delle altre risorse destinate agli enti locali. (4-07665)


      MURA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          continuano senza sosta gli attentati e le intimidazioni contro gli amministratori locali della Sardegna;
          in data 15 maggio 2015 il sindaco di Nurri, Antonello Atzeni, è stato destinatario di una busta da lettere contenente un proiettile;
          il giorno dopo, il 16 maggio, il presidente del consiglio comunale di Carbonia, Ignazio Cuccu, è stato vittima di un attentato incendiario: ignoti hanno cosparso di liquido infiammabile il portone del garage dell'abitazione dell'amministratore locale sardo;
          questi fatti criminali sono una minaccia alla vita democratica e, pertanto, serve un immediato intervento del Governo e delle l'istituzioni che devono ritornare a essere, con i propri presidi e servizi, un baluardo di legalità e sicurezza per i cittadini;
          la Sardegna, secondo l'ultimo rapporto sulla criminalità nell'isola, è la regione che, in rapporto alla popolazione, ha la percentuale più alta di attentati contro gli amministratori locali, superando di gran lunga regioni dove storicamente sono presenti gravi fenomeni di criminalità organizzata di stampo mafioso;
          sono rimasti inascoltati tutti gli appelli che in questi anni le istituzioni sarde, ai massimi livelli, hanno rivolto allo Stato;
          in questi anni lo Stato ha effettuato pesanti tagli nel settore della sicurezza, lasciando alcuni territori dell'isola con presidi di polizia e carabinieri del tutto insufficienti ad arginare questo fenomeno;
          la denuncia delle istituzioni locali e dei sindacati di polizia purtroppo non hanno prodotto alcun effetto. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: oggi fare l'amministratore locale in Sardegna è diventato pericoloso;
          troppo spesso gli amministratori locali della Sardegna sono stati oggetto di intimidazioni per aver garantito con imparzialità il loro ruolo di rappresentanza e per aver difeso il presidio delle istituzioni che nei comuni sono spesso lasciate sole  –:
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare per rafforzare la presenza di forze dell'ordine presso ciascun comune sardo;
          se il Governo    intenda farsi promotore di una specifica iniziativa normativa che introduca nel codice penale una nuova fattispecie di reato contro i pubblici amministratori. (4-09249)

      Risposta. — Prima di entrare nel merito della specifica questione sollevata con le interrogazioni indicate in oggetto, cioè la recrudescenza degli atti intimidatori in danno degli amministratori locali della Sardegna, si ritiene utile un'iniziale digressione sul fenomeno in generale.
      Le intimidazioni agli amministratori locali sono un atto odioso, che tende ad annullare la libera autodeterminazione delle persone chiamate a un ruolo pubblico e insinua rassegnazione e sfiducia nelle comunità. Ma soprattutto esse possono arrivare a determinare pericolose alterazioni delle regole e dei meccanismi della democrazia a livello locale, sviando i processi decisionali dall'interesse pubblico o peggio influenzando gli organismi elettivi e burocratici dell'ente locale in funzione degli interessi della criminalità organizzata.
      Per questo motivo, pur nella molteplicità dei contesti di esecuzione e delle modalità di realizzazione dei singoli atti, l'amministrazione dell'interno ha ritenuto che il fenomeno andasse valutato e affrontato nell'ambito di una visione unitaria.
      In tale ottica, dallo scorso mese di febbraio è operativo presso il Viminale un osservatorio permanente, con la partecipazione tra gli altri enti delle associazioni rappresentative delle autonomie locali, deputato a monitorare il fenomeno e a potenziare lo scambio di informazioni e il raccordo tra Stato ed enti locali, anche allo scopo di indicare strategie unitarie di prevenzione e contrasto e di proporre interventi normativi.
      L'Osservatorio ha anche il compito di individuare iniziative di supporto alle vittime, tenendo conto delle caratteristiche delle realtà territoriali in cui espletano il loro mandato. A tal fine, in sei prefetture pilota, tra le quali quella di Cagliari, è stata attivata, in via sperimentale, una sezione provinciale dell'osservatorio. La sperimentazione è propedeutica all'estensione delle sezioni provinciali a tutte le prefetture.
      Si sottolinea anche che è attualmente al vaglio parlamentare un disegno di legge sulla specifica materia, che costituisce il frutto del lavoro svolto da una commissione parlamentare di inchiesta appositamente istituita all'inizio di questa legislatura. Il provvedimento è stato approvato dal Senato nello scorso mese di giugno, con il pieno sostegno del Governo e ora se ne attende la calendarizzazione alla Camera.
      Venendo ora alla specificità della situazione in Sardegna, si rileva preliminarmente che gli episodi intimidatori nei confronti degli amministratori locali si sono manifestati un po’ su tutto il territorio regionale, sia pure non in maniera uniforme.
      Nel corso degli anni 2014 e 2015 e nei primi sei mesi del 2016, si sono verificati 259 atti intimidatori, di cui il 47 per cento in provincia di Cagliari, il 38 per cento in provincia di Nuoro e il 7,5 per cento sia nella provincia di Sassari che in quella di Oristano. Maggiormente colpite dal fenomeno sono risultate le zone interne dell'isola dove, probabilmente a causa di antichi retaggi culturali, la ritorsione violenta e la minaccia sono considerate ancora strumenti per rispondere alle ingiustizie percepite.
      Sono stati soprattutto i sindaci (46 per cento) a subire intimidazioni, seguiti dai componenti delle giunte (13 per cento), dal consiglieri comunali (anch'essi 13 per cento) e dai candidati alle elezioni (7 per cento). In alcuni casi (11 per cento) gli episodi hanno avuto ad oggetto beni di appartenenza degli enti locali.
      Gli eventi sono riconducibili, in gran parte, a questioni di natura personale, fondate sulla difesa dell'onore e sul sentimento di vendetta per presunti torti subiti, per asserite promesse non mantenute o per aspettative di impiego o di utilità economiche non concretizzatesi.
      Solo in via del tutto residuale gli atti intimidatori, anche per le modalità di commissione, fanno supporre la loro strumentalità rispetto ad interessi di gruppi criminali organizzati.
      Si rappresenta comunque che nessun episodio è stato mai rivendicato da gruppi di tal fatta, né sono emersi collegamenti tra singoli episodi che denotino l'esistenza di un disegno unitario di condizionamento dell'attività politico-amministrativa degli enti locali.
      Quanto alle modalità di manifestazione delle intimidazioni, sono stati rilevati soprattutto danneggiamenti di auto e di strutture pubbliche e private, nonché ingiurie e minacce in varie forme, tra le quali anche l'invio di missive contenenti proiettili. Non sono mancati, in numero nettamente minore, episodi più cruenti, quali aggressioni, incendi di beni pubblici e privati ed esplosioni di colpi d'arma da fuoco e di ordigni.
      Questo è il quadro della situazione, riferito – come si è detto – al biennio 2014-2015 e al primo semestre di quest'anno.
      In relazione a ciò, rilevo come l'azione di prevenzione e contrasto sia particolarmente complicata e gravosa, a causa del numero elevato dei potenziali obiettivi degli atti intimidatori, delle limitate capacità organizzative richieste per porli in essere e dell'omertà del contesto ambientale che fa talora da cornice alla loro commissione.
      L'attenzione al fenomeno è comunque elevatissima, come è testimoniato dalle misure organizzative assunte dalle strutture investigative locali e dal livello di protezione che viene assicurato agli amministratori locali esposti a rischio.
      Per quanto riguarda il primo aspetto, si ricorda che ancora nel marzo del 2011 è stato creato un dispositivo di «intelligence» in cui operano le squadre mobili e le Digos dell'isola, coordinate dagli omologhi uffici della questura di Cagliari. La struttura, d'intesa con le competenti autorità giudiziarie, raccoglie, elabora e tiene aggiornati i dati complessivi sul fenomeno in Sardegna.
      Ciò ha consentito di mettere a fattor comune un rilevante patrimonio informativo gestito ed alimentato dalle stesse Forze di polizia territoriali, che è correntemente utilizzato per le specifiche attività investigative.
      In ordine alle misure di protezione personale, si informa che sono 66 gli amministratori locali, di cui 40 sindaci, a tutela dei quali è stato attivato un dispositivo di vigilanza generica radiocollegata, a seguito delle riunioni interforze coordinate dai prefetti.
      La valutazione del loro livello di rischio è di tipo dinamico, essendo oggetto di riesame periodico finalizzato ad adeguare i dispositivi di protezione attuati, anche alla luce di eventuali sviluppi investigativi.
      Nell'ambito delle azioni dei pubblici poteri, si segnalano le iniziative delle Prefetture della Sardegna volte alla creazione di stabili sedi di raccordo e forme di collaborazione tra lo Stato, la regione e gli enti locali.
      È questo l'approccio a cui si ispira il protocollo triennale tra i prefetti della Sardegna, la regione e l'Anci isolana, siglato il 4 marzo dello scorso anno alla presenza del Ministro dell'interno, contenente tutta una serie di impegni degli organi firmatari a promuovere la legalità, a prevenire gli atti intimidatori e ad assicurare la tangibile vicinanza dello Stato agli amministratori vittime degli atti medesimi.
      Nel medesimo senso, si ricorda che il 5 maggio scorso si è insediata presso la prefettura di Cagliari la già citata sezione provinciale dell'Osservatorio nazionale sul fenomeno degli atti intimidatori, che in questi mesi si è riunita quattro volte per analizzare l'andamento del fenomeno e definire i possibili interventi.
      Le riunioni sono state l'occasione per approfondire, in particolare, le iniziative da adottare sui fronti della diffusione della legalità tra i cittadini, anche attraverso una maggiore informazione dei medesimi sugli istituti di partecipazione alla vita amministrativa dei comuni, nonché dell'implementazione dei servizi di controllo del territorio attraverso il coinvolgimento delle polizie locali e un più massiccio e razionale ricorso ai sistemi di videosorveglianza.
      In tali direzioni, sono state raggiunte importanti intese con i rappresentanti della regione, già trasfuse in un atto aggiuntivo al citato protocollo triennale, che è pronto per la sottoscrizione.
      Naturalmente, una strategia di approccio di più ampio respiro non può trascurare un caposaldo che chiama in causa l'Esecutivo nella sua collegialità e i diversi livelli di governo del territorio sardo.
      Si fa riferimento all'esigenza di sostenere l'affermazione di processi di rigenerazione territoriale, intervenendo sulle condizioni di fragilità e di malessere sociale presenti soprattutto nelle zone interne della Sardegna. In tal senso può giocare un ruolo fondamentale il patto per la Sardegna che il Governo e la regione stanno concertando proprio in questi giorni.
      È necessario poi che le legittime aspettative di riscatto e progresso non siano disgiunte da una ripresa di coscienza sul piano culturale e da una maggiore attenzione al rispetto dei valori legalitari, da considerare il migliore antidoto alle logiche dell'intimidazione e della sopraffazione.

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          Nello Trocchia è un cronista campano, collaboratore de «Il Fatto Quotidiano», de «In onda» su La7 e de «L'Espresso»;
          da sempre impegnato in inchieste di peso sulla criminalità organizzata, Trocchia è autore anche di numerosi libri, come «La Peste», in cui si racconta il sistema di complicità tra camorra e Stato nel business dei rifiuti;
          secondo quanto si legge su diversi organi di stampa («L'Espresso», «Il Fatto Quotidiano»), in un'informativa riservata, inviata con urgenza alla procura antimafia di Napoli, si riporta il contenuto di un'intercettazione in cui, con riferimento a Trocchia, il fratello di un boss dice: «A quel giornalista gli devo spaccare il cranio e dopo mi faccio arrestare»;
          su «L'Espresso» si legge che il dialogo, intercettato dalle cimici, «avrebbe dovuto attivare rapidamente la procedura che di solito si innesca in questi casi: la procura invia la nota degli investigatori alla procura generale, che a sua volta invia la documentazione in Prefettura. A questo punto il prefetto dovrebbe convocare il comitato per l'ordine e la sicurezza, l'organo, cioè, che decide eventuali misure da adottare per la tutela della persona “esposta a rischio”»;
          a distanza di trenta giorni, tuttavia, nulla è successo;
          secondo quanto risulta ancora a «L'Espresso», «la procura, a distanza di qualche giorno, ha inviato in procura generale il fascicolo. Da qui in poi se ne sono perse le tracce. Dalla Prefettura rispondono che ciò di cui si discute nei comitati dell'ordine e la sicurezza è materia riservata. Quindi non confermano né smentiscono l'arrivo dei documenti. Ma in ogni caso nessuna misura a protezione del giornalista è stata ancora presa. E neppure è stato informato ufficialmente che i due intercettati tramavano alle sue spalle, arrivando persino a pianificare una spedizione punitiva»;
          a parere dell'interrogante, il giornalista è evidentemente esposto ad un concreto pericolo anche perché l'informativa riporta, per quel che è emerso dai giornali, anche colloqui in cui i due fratelli sostengono infatti di avere individuato il luogo di lavoro di Trocchia e che quindi potrebbero agire senza problemi. Per questo motivo i militari dell'Arma definiscono le frasi captate dai microfoni come «esplicite minacce rivolte al giornalista del Fatto Quotidiano»  –:
          quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere per tutelare la sicurezza personale del giornalista Nello Trocchia. (4-09799)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante richiama l'attenzione sulla situazione di pericolo del cronista campano Nello Trocchia, destinatario di minacce da parte di un boss condannato per delitti di camorra, proferite nel corso di una conversazione telefonica tenuta con il fratello e intercettata in data 10 giugno 2015. Chiede, al riguardo, quali iniziative si intendano intraprendere per garantirne l'incolumità fisica.
      In proposito, si informa che il nominativo del giornalista è citato nella corrispondenza allegata alla documentazione fatta pervenire alla prefettura di Napoli il 4 luglio 2015 dalla procura generale della Repubblica presso la corte di appello di Napoli, ai fini della valutazione del profilo di rischio di un magistrato-sostituto procuratore della Repubblica.
      L'esame complessivo degli atti ha messo in rilievo anche le minacce nei confronti del giornalista, collaboratore di talune testate giornalistiche.
      Quindi, già il successivo 10 luglio, il questore di Napoli, previa intesa con il prefetto, ha attivato la misura di vigilanza generica radiocollegata presso l'abitazione del signor Trocchia, sita in un comune della provincia partenopea.
      Il dispositivo in argomento è stato poi ratificato di lì a pochi giorni, nella successiva riunione tecnica di coordinamento del 14 luglio.
      Successivamente, i prefetti di Roma e Milano hanno attivato la stessa misura presso il domicilio romano del giornalista e la sede de «
Il Fatto Quotidiano» in cui il medesimo lavora.
      Si soggiunge, infine, che l'esposizione al rischio del signor Trocchia è costantemente monitorata dalle competenti prefetture per ogni eventuale ulteriore provvedimento che dovesse ritenersi necessario.

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      NESCI e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto si legge su un articolo di Francesca Lagatta sulla testata web «Laspiapress.com», l'azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria non rifornirebbe di ricettari i medici operanti nella provincia reggina;
          stando alla ricostruzione giornalistica, in diverse sale d'attesa degli studi di medicina di base di Reggio Calabria e provincia è affisso infatti il cartello: «Si comunica che per mancanza dei ricettari non è possibile prescrivere alcunché»;
          tale situazione, peraltro, andrebbe avanti «dallo scorso mese di gennaio»: da allora, infatti, «numerosi pazienti hanno dovuto rinunciare alle cure perché le ”ricette rosse” non sono state consegnate con regolarità, costringendo i medici all'impossibilità di prescrivere i farmaci. Senza che nessuno sapesse neppure spiegare loro il motivo. Chi doveva prenotare una visita, un esame, o comprare un medicinale con le esenzioni previste, si è visto rifilare il due di picche, con rinvio a data da destinarsi. Compresi i pazienti con sospette malattie gravi o in corso»;
          a parere delle interroganti, quanto descritto richiede una soluzione immediata stante il fatto che, come segnalato nello stesso articolo, a rimetterci sono le persone indigenti, che rinunciano a cure o farmaci, non potendo, senza ricetta medica, usufruire delle previste esenzioni, col rischio concreto, dunque, che venga meno il riconoscimento di quanto previsto all'articolo 32 della Costituzione, che specifica, per l'appunto, che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della, collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»  –:
          se siano a conoscenza dei fatti suesposti;
          quali iniziative urgenti di competenza intendano assumere, anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, per favorire la risoluzione del problema evidenziato in premessa, in applicazione del succitato articolo della Costituzione. (4-11516)

      Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base dei dati trasmessi dalla prefettura – ufficio territoriale del Governo di Reggio Calabria.
      «Secondo quanto riferito dalla locale azienda sanitaria provinciale, all'uopo interessata, nell'anno 2013 sarebbero stati consegnati all'azienda predetta n.  104.421 ricettari, tutti assegnati ai medici prescrittori.
      Negli anni successivi, la regione Calabria avrebbe proceduto a una progressiva riduzione dei quantitativi assegnati: in particolare, per l'anno 2015, a fronte di una richiesta di n.  114.000 ricettari ne sono stati assegnati 56.320 con una decurtazione del 52 per cento.
      L'azienda ha rappresentato di avere più volte segnalato al competente dipartimento della regione la necessità di incrementare il quantitativo dei ricettari dal momento che le scorte residue non potevano soddisfare il fabbisogno del bacino provinciale dei medici di base.
      Al fine di sovvenire alle criticità e alle carenze, l'azienda ha riferito di avere effettuato una ricerca in ambito regionale e presso le regioni limitrofe riuscendo ad acquisire dalle aziende sanitarie di Crotone, Vibo Valentia e Palermo una scorta di modulari medici che hanno consentito di sopperire alle necessità fino alla consegna della fornitura da parte del poligrafico dello Stato.
      La consegna dei ricettari sarebbe avvenuta alla fine dello scorso mese di febbraio».
      La vicenda è stata costantemente monitorata dalla prefettura di Reggio Calabria che, sensibile alle istanze dell'Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri e delle sigle sindacali di categoria, ma, soprattutto, a salvaguardia della tutela del diritto alla salute dei cittadini, è intervenuta più volte in merito alla problematica in questione, interessando la regione Calabria e l'azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria.

La Ministra della salute: Beatrice Lorenzin.


      NESCI. – Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – Per sapere, premesso che:
          l'amministrazione comunale di Vibo Valentia, con la supervisione della sovrintendenza archeologica della Calabria, sta procedendo alla riqualificazione di via Paolo Orsi che, oltre ad essere una strada di collegamento con il cimitero del luogo, è via di grande valenza archeologica;
          stesso coinvolgimento della soprintendenza è stato determinante nella fase di progettazione dell'intervento, sia per il grande interesse storico del parco, sia perché a monte della strada vi è la zona del rinvenimento del tempio al Cofino, ovvero una delle aree del parco archeologico urbano, già finanziato con tre milioni di euro di cui lavori di allestimento attendono a breve di essere completati. È infatti proprio la via Paolo Orsi che, nell'ideale percorso del parco, mette in comunicazione la sommità della collina con il Belvedere, altra grande area di rilevanza storico-culturale della città compresa nel succitato istituendo Parco Archeologico;
          occorre sottolineare, dunque, che si tratta della riqualificazione del tracciato viario di una delle zone archeologiche più importanti della città di Vibo Valentia;
          secondo quanto si legge su Il Quotidiano del Sud del 15 aprile 2016, tali lavori stradali hanno fatto emergere di recente un ulteriore tratto delle monumentali mura greche dell'antica Hipponion, ma questi – si legge nel succitato articolo – «col placet della Sovrintendenza Archeologica della Calabria (complice verosimilmente la mancanza di fondi), anziché essere resi fruibili a studiosi e visitatori, finiranno di nuovo sotto terra»;
          se così fosse, sarebbe uno scempio;
          sul costone della stessa strada, infatti, si intravedono i resti di altre porzioni delle mura greche sopraffatti dalle macerie di risulta dei lavori in corso. Pietrame e resti di arenaria misti a terra impediscono addirittura di accedere alle mura greche indagate da Paolo Orsi;
          secondo quanto documentato ancora dalle cronache locali, i lavori sono eseguiti da una ditta per conto del comune sotto la supervisione diretta del personale della soprintendenza, vista l'enorme valenza storica del ritrovamento. Ma nonostante ciò, come detto, i resti verrebbero nuovamente sotterrati per far posto a una condotta idrica perché, a quanto pare, comune e soprintendenza archeologica della Calabria, per rispettare tempi e modi progettuali, non vogliono interrompere i lavori di posa dei tubi per lo scorrimento delle acque bianche su quei tratti nuovi, imponenti ed inediti delle mura di Hipponion;
          inoltre, come si legge ancora nell'articolo, «proprio ieri il Comune ha dato il via libera alla realizzazione del primo lotto dei lavori per il parco archeologico “Hipponion – Vibo Valentia” che riguarda anche quest'area»;
          da un lato, dunque, si cerca di preservare un sito archeologico di elevato pregio, mentre dall'altro, lo si affonderebbe a colpi di cemento;
          secondo quanto stabilito dall'articolo 85, comma 2, del decreto legislativo n.  490 del 29 ottobre 1999 («Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali»), «il Ministero (dei beni e delle attività culturali; nda) può con suo decreto ordinare l'occupazione temporanea degli immobili ove devono eseguirsi i lavori»  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti;
          quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere affinché i resti archeologici rinvenuti di cui in premessa vengano portati alla luce e pienamente tutelati;
          quali iniziative intenda assumere per il tramite della soprintendenza archeologica della Calabria e con ogni altro strumento a disposizione, per garantire la tutela del parco archeologico urbano di Hipponion – Vibo Valentia. (4-12898)

      Risposta. — Nell'atto ispettivo sopra descritto, l'interrogante, con riferimento ai resti archeologici rinvenuti durante l'esecuzione di lavori di riqualificazione di via Paolo Orsi, a Vibo Valentia, chiede quali iniziative si intenda assumere affinché tali resti rinvenuti siano portati alla luce e pienamente tutelati; e, inoltre, quali iniziative si intenda assumere per garantire la tutela del parco archeologico urbano di Hipponion.
      Come anche l'interrogante ricorda, l'esecuzione dei lavori di riqualificazione di via Paolo Orsi, in corso nel comune di Vibo Valentia, si è svolta sotto il costante controllo della competente soprintendenza archeologia della Calabria.
      Di seguito sono riportati i fatti principali della vicenda.
      Il comune di Vibo Valentia con delibera della giunta comunale n.  231 del 21 ottobre 2008 ha approvato il progetto preliminare inerente la «Messa in sicurezza e riqualificazione strada cimitero-Croce Nivera in Vibo centro» per l'importo complessivo di euro 600.000, finanziato con un mutuo da contrarre con la Cassa depositi e prestiti, ai sensi dell'articolo 33 della legge regionale 11 maggio 2007, n.  9, provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario (collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2007, articolo 3, comma 4, della legge regionale n.  8 del 2002).
      Il comune, con nota prot. n.  13424 del 16 marzo 2012 ha trasmesso alla competente soprintendenza per i beni archeologici della Calabria il progetto definitivo dei lavori, chiedendo sia il parere di competenza, ovvero le prescrizioni cui attenersi in fase di progettazione esecutiva, sia il nulla osta all'esecuzione delle opere di contenimento della strada che interessano un'area espropriata dal Ministero.
      La Soprintendenza, rilevato che nella progettazione inviata non era prevista né la somma da utilizzare eventualmente per lo scavo a mano né il compenso per l'archeologo, ha prescritto l'inserimento delle suddette somme nella successiva fase progettuale e l'assistenza in corso d'opera per tutti i tratti interessati da scassi o movimento terra (nota protocollo n.  7775 del 7 maggio 2012).
      Successivamente il comune ha inviato il progetto esecutivo dei lavori (nota protocollo n.  27772 del 6 giugno 2012).
      La soprintendenza ha rilasciato parere favorevole al progetto esecutivo, ribadendo le prescrizioni già impartite in precedenza (protocollo n.  10900 del 27 giugno 2012).
      I lavori, iniziati il 2 di febbraio di quest'anno, hanno riguardato, in via prioritaria, la pulizia della scarpata in prossimità delle frane che hanno interessato via Paolo Orsi. Le operazioni di scavo prodromiche, eseguite con mezzo meccanico, hanno messo in luce un filare di conci di arenaria (
petra mollis) con andamento semicircolare, ascrivibile, probabilmente, alla cinta muraria di età ellenistica di Hipponion, e in particolare a una torre circolare, come quelle già scoperte da Paolo Orsi. Dopo circa 30 metri di scavo lungo la scarpata in direzione est, sono emersi alcuni embrici disposti orizzontalmente, presumibilmente attribuibili ad una sepoltura sconvolta, vista la vicinanza con l'area di necropoli già nota e citata nelle premesse.
      Il funzionario di zona della soprintendenza ha effettuato un sopralluogo, il 4 febbraio 2016, insieme al responsabile unico del procedimento (di seguito RUP), al direttore dei lavori (di seguito DL), all'impresa esecutrice e all'archeologa incaricata dell'assistenza, per risolvere eventuali problemi e prendere le dovute decisioni in merito ai ritrovamenti.
      A seguito del sopralluogo, nella stessa giornata, nei locali dell'ufficio tecnico comunale, il funzionario di zona ha partecipato ad una riunione per stabilire i termini dell'ordine di servizio imposto dalla direzione dei lavori all'impresa (protocollo 01/2016), tramite il quale si è ordinata la messa a disposizione, per le indagini archeologiche, del personale necessario alle operazioni di scavo e pulizia delle emergenze.
      Nei giorni compresi tra il 5 e il 9 febbraio, immediatamente a nord della scarpata, lungo il tratto interessato dai suddetti rinvenimenti, a una distanza di circa 3 metri dal ciglio della strada esistente, su terreno sterile dal punto di vista archeologico perché trattasi di strato geologico, è stato autorizzato il posizionamento di gabbionate di contenimento, costituite da gabbie metalliche e riempimento in pietrame di varia pezzatura, mantenendo una dovuta distanza di rispetto dal filare di conci dell'ipotizzata torre circolare.
      Il successivo 10 febbraio, il funzionario di zona ha effettuato un altro sopralluogo presso il cantiere, durante il quale ha dato indicazioni all'archeologa incaricata dell'assistenza in merito alla tutela del filare di conci sopradescritti, con la raccomandazione di non coprire con terreno detta struttura rinvenuta, al fine di evitare successivi movimentazioni di mezzi nei pressi della stessa area che avrebbero potuto compromettere la conservazione della struttura.
      Il 17 febbraio 2016, il funzionario di zona ha organizzato un sopralluogo congiunto, insieme al RUP, al DL, all'impresa e all'archeologa incaricata dell'assistenza, per constatare lo stato dei lavori e invitare l'impresa esecutrice alla massima collaborazione nelle operazioni di scavo, compreso l'utilizzo, ove necessario, dei mezzi meccanici, ai fini delle indagini stratigrafiche. A tal fine, il DL, in data 18 febbraio, ha disposto un secondo ordine di servizio (protocollo 02/2016) per l'utilizzo, da parte dell'impresa esecutrice dei lavori, dei mezzi meccanici per poter coadiuvare le attività di scavo archeologico.
      Dopo una sospensione, dal 25 febbraio, dovuta alle forti piogge, i lavori sono ripresi il 22 marzo. In tale data, dopo essere stato rilevato graficamente e fotograficamente, è stato prelevato l'embrice disposto orizzontalmente, descritto precedentemente e interpretato come possibile sepoltura. Nella stessa giornata è stata individuata, nella parete esposta, in prossimità di un'altra frana, quasi in corrispondenza della curva verso il cimitero e dell'ingresso all'area archeologica delle mura greche, una tomba «alla cappuccina», con laterizio piano e laterizi disposti a doppio spiovente, con all'interno terreno e ossa.
      Nei giorni seguenti, constatato che le operazioni stabilite nel sopralluogo tenutosi il 23 marzo 2016 non erano realizzabili, poiché il cordolo previsto per lo scolo delle acque sul lato meridionale della strada avrebbe potuto ulteriormente arrecare danni alle strutture murarie già presenti e visibili su questo lato, la direzione lavori e la direzione scientifica, di comune accordo e per le vie brevi, hanno accelerato l'intervento previsto in progetto esecutivo per la regimentazione delle acque, invitando la ditta a realizzare la trincea per la posa della condotta semi-interrata, da posizionare sul lato settentrionale della strada, in senso longitudinale.
      Il 5 aprile sono quindi iniziati i lavori di scavo per la posa della tubazione da 700 millimetri di diametro, effettuando, con l'ausilio di mezzo meccanico da 250 quintali, una trincea larga metri 1,50 e profonda metri 1,80 dal piano stradale come da progetto.
      Lo scavo della trincea per il tubo delle acque bianche ha avuto inizio dal margine occidentale della strada e, per circa 46 metri verso est, non sono state individuate emergenze archeologiche, a parte sparuti frammenti ceramici e accumuli di pietrame non in connessione e, di conseguenza, tubo e pozzetti sono stati correttamente posizionati e interrati come da quota progettuale a metri -1,80.
      Il 6 aprile, a metri 46,80 dall'inizio della strada, è emerso il primo blocco squadrato di arenaria. Il mezzo meccanico è stato immediatamente fermato e si è proceduto, per due giorni, con lo scavo manuale per una lunghezza di metri 11,50. La trincea in questo tratto è stata ripulita, mettendo in evidenza le strutture murarie e gli strati terrosi a esse connessi, effettuando al contempo la documentazione grafica e fotografica. Tali emergenze affiorano a una quota di metri -1,20 dal piano stradale.
      Durante il sopralluogo congiunto con il RUP, il DL, l'impresa, il funzionario di zona e l'archeologa addetta alla vigilanza, svoltosi il giorno successivo, si è constatato che le strutture emerse nei giorni precedenti rappresentavano la prima vera emergenza ostativa alla realizzazione dell'opera prevista, sia in termini di ingombro che di quota per assicurare la necessaria pendenza alla tubazione. Si è decisa pertanto, di comune accordo, la prosecuzione della trincea per valutare la presenza di altre possibili strutture archeologiche, riservandosi di effettuare approfondimenti e ampliamenti d'indagine in un momento successivo.
      L'8 aprile, i lavori per lo scavo della trincea sono proseguiti verso Est per una lunghezza di metri 59,30 a una quota di metri -1,00 dal piano stradale esistente senza riscontrare strutture e stratigrafie archeologiche, fino al rinvenimento della superficie di un blocco di arenaria, ad una quota di metri -0,40 dal piano stradale. Nel frattempo, nel tratto libero da strutture archeologiche, l'impresa ha posizionato la tubazione e i relativi pozzetti.
      A seguito del sopralluogo svoltosi il successivo 11 aprile con il RUP, il DL, l'impresa, il funzionario di zona e l'archeologa addetta all'assistenza archeologica, per cercare la risoluzione dei problemi emersi nei giorni precedenti, è stato deciso, a scopo cautelativo visti i notevoli rinvenimenti dei giorni precedenti, di cambiare mezzo meccanico (da 250 a 50 quintali) e di proseguire lo scavo della trincea, ma è stato subito rinvenuto un importante allineamento E-W di conci di arenaria, disposti quasi parallelamente alla trincea, con un orientamento divergente di alcuni gradi verso Sud. Lo scavo a mezzo meccanico per la trincea è stato nuovamente sospeso e si è proceduto manualmente, mettendo in luce un interessante filare di blocchi di arenaria, a prima vista ben conservati.
      Il 13 aprile, proseguito lo scavo manualmente per circa 19 metri, si è constatato che l'allineamento di blocchi continuava con lo stesso orientamento. Dopo aver effettuato la pulizia delle strutture per la dovuta documentazione grafica e fotografica, sentiti il DL e il RUP, è stato deciso lo spostamento dell'asse della trincea.
      All'esito del sopralluogo svoltosi il 18 aprile per stabilire una temporanea sospensione dei lavori, utile per i dovuti accertamenti circa la tutela e la conservazione delle strutture archeologiche rinvenute, nonché a seguito delle indicazioni ricevute dal direttore generale dell'archeologia, avocante le funzioni di soprintendente archeologia della Calabria, il funzionario archeologo di zona ha disposto d'accordo con il DL, la sospensione temporanea dei lavori in attesa del sopralluogo del direttore generale fissato per il successivo 28 aprile.
      Nel corso di tale ultimo sopralluogo al quale, oltre al direttore generale Archeologia, hanno partecipato, tra gli altri, il sindaco del comune di Vibo Valentia, il RUP, il DL e il funzionario archeologo della soprintendenza archeologia della Calabria, è stato concordato quanto segue.
      L'autorizzazione data dalla soprintendenza il 27 giugno 2012 (nota prot. n.  10900) è da intendersi ancora produttiva di effetti limitatamente ai lavori di posa in opera della tubazione di dimensioni maggiorate che, dal piazzale del cimitero arriva fino al punto di intersezione della strada con l'accesso all'area archeologica dove sono fruibili le mura greche, per una lunghezza di circa 110 metri e a quelli di realizzazione, sull'altro lato della strada, del marciapiede che verrà costruito senza l'effettuazione di scavi, tranne lo scotico superficiale del terreno. per una profondità non superiore a 20/25 centimetri.
      La stessa autorizzazione è invece da intendersi sospesa per il tratto restante, per il quale andranno effettuate le necessarie indagini archeologiche preventive, ai sensi dell'articolo 25, comma 8, lettera
c), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.  50, Attuazione delle direttive 2014/23/Ue, 2014/24/Ue e 2014/25/Ue sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, al fine di determinare nell'ordine: estensione e profondità delle gabbionate da mettere ancora in opera per il contenimento del terreno a valle dell'area di sedime della strada, in prossimità del punto in cui la stessa è franata; tracciato della tubazione che deve essere realizzata in prosecuzione del primo tratto già assentito e che dovrà essere adeguato agli eventuali rinvenimenti conseguenti alle indagini archeologiche preventive; definizione dell'attraversamento del tracciato della tubazione rispetto alla strada di che trattasi, da stabilirsi a seguito di apposite indagini.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Dorina Bianchi.


      NESCI, PARENTELA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano «Gazzetta del Sud» del 4 aprile 2016, in un ruolo pubblicato alla pagina 17 si fa riferimento alla vicenda di un bimbo escluso dalla gita per un profilattico;
          nella riferita pagina si legge di un «alunno 12enne di una scuola del soveratese punito e umiliato davanti a tutti», con conseguente denuncia dai genitori «ai carabinieri»;
          in data 9 aprile 2016, durante la trasmissione «Che fuori tempo che fa», in onda in prima serata su Rai Tre, il conduttore Fabio Fazio e il (giornalista Massimo Gramellini hanno commentato il caso di cui sopra, di una scuola di Soverato (Cz) che ha negato il viaggio di istruzione a uno studente perché durante la gita dell'anno precedente ragazzino di undici anni era stato trovato in possesso di un preservativo, peraltro, ancora sigillato;
          tale vicenda ha suscitato clamore mediatico a livello nazionale, a seguito della pubblicazione di numerosi articoli e notte diffuse dai media;
          l'episodio descritto dalla stampa è accaduto presso l'Istituto Comprensivo «Ugo Foscolo» di Suverato (Cz), rappresentato dal dirigente scolastico pro tempore, professore Domenico A. Servello;
          in rata 26 marzo 2016, i genitori dello stesso minore ricevevano lettera raccomandata, a firma del dirigente scolastico, avente ad oggetto formale comunicazione di irrogazione di una sanzione disciplinare adottata dal consiglio di classe nei confronti del proprio figlio, implicante l'esclusione dello studente dal viaggio di istruzione in Campania dal 7 aprile 2016 e all'11 aprile 2016, senza specificarne le ragioni di fatto e di diritto a base della decisione;
          gli interroganti hanno potuto apprendere, come poi confermato dal dirigente scolastico, in una nota pubblicata sulla testata web «ildispaccio.it», che la reale motivazione della predetta sanzione era legata a un fatto accaduto durante il viaggio di istruzione dello scorso anno scolastico, consistito nell'aver trovato lo studente in possesso di un profilattico completamente sigillato, per il quale, tra l'altro, già nel mese di aprile 2015, genitori e dirigente scolastico, di concerto, avevano irrogato una «punizione» nei confronti dello studente, consistita nel sequestro del cellulare per oltre un mese;
          avverso il suddetto provvedimento disciplinari, in data 1° aprile 2016, è stato proposto ricorso amministrativo al dirigente scolastico;
          nelle more della decisione del ricorso è stato richiesto l'intervento del Garante per l'infanzia e l'adolescenza, nella persona di Marilina Intrieri, che però non ha assunto iniziative di competenza;
          in data 3 aprile 2016, i genitori del minore sporgevano querela, per il reato abuso dei mezzi di correzione o disciplina, nei confronti del dirigente scolastico e dei suoi collaboratori;
          in quella sede, gli stessi apprendevano la notizia che il dirigente aveva richiesto per iscritto l'intervento di forza pubblica – per il giorno 7 aprile 2016, alle ore 06.45 (orario di partenza previsto per il viaggio di istruzione) – contestualmente comunicando ai genitori che non era autorizzata la partenza del minore, circostanza questa comprovata da una nota pervenuta ai genitori;
          in data 6 aprile 2016, il dirigente finte scolastico rigettava il ricorso eccependo l'irricevibilità in fatto e in diritto dello stesso sulla scorta delle osservazioni: «a) L'atto a cui si fa riferimento prot. 00011/RIS non è un decreto bensì una semplice comunicazione; b) il decreto di provvedimento disciplinare emanato in data 26 maggio 2015 prot. n.  1910/C27, in seguito alla delibera del Consiglio di Classe del 25 maggio 2015, andava impugnato entro 15 giorni ricorrendo all'Organo di Garanzia Interno»;
          come noto, nessuna disposizione normativa vigente nell'ordinamento giuridico italiano prevede l'istituto del «decreto di provvedimento disciplinare», di conseguenza dallo scritto emergerebbe per gli interrogati una non conoscenza da parte del dirigente scolastico dell'IC «U.Foscolo» di Soverato della specifica materia, che, ad avviso degli interroganti, sarebbe una carenza incompatibile con il ruolo ricoperto;
          per gli interroganti risulterebbe palese la sproporzione tra la sanzione irrogata e il fatto contestato, mostrando la condotta posta in essere dall'istituzione scolastica esclusivamente scopo vessatorio e non educativo, di punizione esemplare tesa a colpire l'interiorità dell'alunno;
          l'Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di diffondere il più possibile l'informazione sulla sessualità nelle scuole;
          il caso riassunto evidenzia quanto sia urgente una seria azione educativa e di sensibilizzazione su tematiche di educazione sessuale, pari opportunità e non discriminazione nelle scuole, un simile provvedimento entrando, inoltre, in aperto contrasto persino con l'ultima campagna di prevenzione dell'Aids promossa dal Ministero della Salute «Uniti contro l'Aids», che raccomanda l'uso dei preservativo;
          la vicenda in esame rischia di aumentare i pregiudizi sulla sessualità, finendo per insegnare ai minori che essa è motivo di mortificazione e discriminazione  –:
          se sia a conoscenza dei fatti esposti;
          quali iniziative urgenti di competenza, anche di carattere ispettivo, intenda assumere per accertare i gravi fatti riassunti, con particolare riguardo al comportamento tenuto dal dirigente scolastico;
          quali iniziative intenda assumere, nella fattispecie e in generale, per favorire un'efficace azione educativa in tema di sessualità, pari opportunità e non discriminazione, anche al fine di evitare che nella scuola dell'obbligo vi siano, come sembra dimostrare la vicenda ricordata, gravi condizionamenti psicologici individuali nel percorso formativo che ai minori lo Stato deve garantire per specifico obbligo costituzionale. (4-13110)

      Risposta. — Su quanto segnalato nell'interrogazione in epigrafe sono stati acquisiti gli elementi informativi che di seguito si riportano.
      L'ufficio scolastico regionale, venuto a conoscenza della questione da un articolo apparso su un quotidiano locale, ha acquisito al riguardo una dettagliata relazione dal dirigente scolastico che riferisce sulla vicenda rappresentata.
      I fatti risalgono ad un viaggio di istruzione in Toscana, organizzato per le classi prime e seconde della scuola secondaria di I grado «U. Foscolo» nel mese di aprile 2015. In tale circostanza l'alunno in questione ha inviato al gruppo
whatsapp, creato per l'occasione da alcuni dei ragazzi partecipanti al viaggio, un messaggio contenente una frase molto lesiva ed offensiva nei confronti di una compagna, facendo riferimento ad un preservativo in suo possesso.
      La sanzione irrogata al ragazzo dal consiglio di classe nella seduta del 25 maggio 2015, pertanto, è dovuta specificamente al comportamento da lui tenuto nei confronti della compagna e non per il mero possesso del preservativo. Attesa altresì la richiesta da parte di alcuni genitori affinché la scuola avesse adottato provvedimenti di fronte ad un comportamento ritenuto lesivo nei confronti dell'alunna destinataria del messaggio e di tutte le altre ragazzine.
      Tale sanzione si è sostanziata nell'esclusione dal viaggio d'istruzione nel corso del successivo anno scolastico 2015/2016. Nella medesima seduta il consiglio ha stabilito comunque di assumere una serie di interventi affinché l'alunno non fosse oggetto di emarginazione da parte della classe.
      Il dirigente scolastico ha riferito che la decisione è stata preceduta da più colloqui avuti con i genitori dell'alunno in questione, al fine di trovare una soluzione condivisa ed equilibrata sotto forma di sanzione disciplinare ovviamente con una finalità esclusivamente educativa e «costruttiva» non certo punitiva.
      I genitori dello stesso, tuttavia, hanno ugualmente provveduto ad effettuare i versamenti delle quote per il viaggio di istruzione, manifestando quindi chiaramente la volontà di far partecipare il proprio figlio al viaggio contrariamente a quanto deciso dal consiglio di classe e concordato.
      A questo punto il dirigente scolastico ha dapprima avuto un nuovo incontro con i genitori in data 21 marzo 2016 per ricordare loro che, in base alla sanzione disciplinare, il figlio non poteva partecipare al viaggio, quindi ha riconvocato il consiglio di classe per verificare, considerato il tempo trascorso, l'esistenza della possibilità di rivedere il decreto di esclusione.
      Il consiglio, riunitosi in data 1o aprile 2016, è però rimasto fermo sulla decisione assunta nella seduta del 25 maggio 2015, nel pieno rispetto del regolamento di disciplina degli alunni dell'istituto comprensivo «Ugo Foscolo» che all'all'articolo 3, lettera
h), prevede la «Sospensione da attività specifica o da uno o più visite guidate o viaggi di istruzione» per le mancanze di cui all'articolo 2, comma 4, lettera b), dello stesso regolamento: «Mancanza di rispetto, anche formale, nei confronti del capo di istituto, dei docenti, del personale della scuola, dei compagni, delle istituzioni e comportamenti irriguardosi ed offensivi verso gli altri attraverso parole, gesti o azioni».
      Fin qui i fatti. Nel merito, il dirigente ha assicurato che la sanzione disciplinare doveva assumere, ed ha difatti assunto, esclusivamente una finalità educativa, mirando al rafforzamento del senso di responsabilità dell'alunno ed al ripristino di rapporti corretti all'interno della comunità scolastica, assicurando anche un principio di giustizia nei confronti di chi ha subito l'offesa e l'umiliazione.
      Tutti i componenti del consiglio di classe, dopo aver analizzato attentamente la situazione, hanno sempre concordato sul fatto che fosse necessario evitare la stigmatizzazione del comportamento dell'alunno e che l'adozione di sanzioni disciplinari più severe, probabilmente, avrebbe portato a classificare lo stesso in chiave negativa, producendo conseguenze deleterie sia a livello di rappresentazione sociale e di auto percezione, che di opportunità e di frequentazioni fuori dalla scuola.
      Inoltre, l'istituto «U. Foscolo», in tutte le sue componenti, ha sempre mantenuto un basso profilo su questa particolare vicenda, non facendo mai emergere nulla degli effettivi risvolti della stessa sia all'esterno che all'interno dell'istituzione scolastica (anche quando la scuola è stata oggetto dell'attenzione dei «
media»), al fine di tutelare tutti i minori, con particolare riguardo all'alunno in questione.
      Infine, è stato riferito che l'istituto ha intrapreso iniziative per favorire un'efficace azione educativa, in particolare è stato portato avanti un progetto di ampliamento dell'offerta formativa per le classi seconde della scuola sul cyberbullismo. Così come l'intervento di «esperti psicologi» nelle classi è stato voluto e programmato per approfondire appropriatamente le problematiche adolescenziali sul sesso.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      OCCHIUTO e SANTELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il codice dei contratti pubblici, servizi e forniture di cui al decreto legislativo n.  163 del 2006, abrogato dal nuovo codice di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n.  50, recava specifiche previsioni per le procedure di affidamento diretto, nonché specifiche misure per il calcolo del valore di appalti di servizi e forniture che presentano carattere di regolarità o sono destinati ad essere rinnovati entro un determinato periodo;
          lo stesso codice prevedeva, inoltre, che nessuna prestazione di beni, servizi potesse essere artificiosamente frazionata allo scopo di sottoporla alla disciplina delle acquisizioni in economia (divieto di artificioso frazionamento);
          nel nuovo e recentissimo codice entrato in vigore lo scorso aprile 2016, rimane confermato l'affidamento diretto, adeguatamente motivato, per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 40.000 euro, rispetto al quale deve comunque rispettarsi il principio del divieto di frazionamento artificioso (reso ancora più pregnante dall'obbligo di programmazione per gli acquisti di beni e servizi per importi unitari pari o superiore a 40.000 euro). Si devono peraltro richiamare sul punto le raccomandazioni dell'Autorità nazionale anticorruzione, dettate nella propria determinazione n.  12/2015 («Aggiornamento 2015 al piano nazionale anticorruzione»), ove, «con specifico riguardo alle procedure negoziate, affidamenti diretti, in economia o comunque sotto soglia comunitaria», si è suggerita l'adozione di «Direttive/linee guida interne che introducano come criterio tendenziale modalità di aggiudicazione competitive ad evidenza pubblica ovvero affidamenti mediante cottimo fiduciario, con consultazione di almeno 5 operatori economici, anche per procedure di importo inferiore a 40.000 euro»;
          in attesa delle linee guida dell'ANAC, che stabiliranno le modalità di dettaglio per supportare le stazioni appaltanti e migliorare la qualità delle procedure sotto-soglia, è comunque necessario rilevare, alla luce dei presupposti normativi citati, un fenomeno comune che riguarda in generale tutte le autonomie locali nel ricorso a procedure di affidamento diretto, divenute di fatto procedure ordinarie; anziché di carattere eccezionale come prevista dal Codice;
          la stessa Autorità nazionale anticorruzione, a seguito di un'analisi svolta sugli appalti di servizi e forniture in un periodo che va dal primo gennaio 2010 al 10 marzo di quest'anno in 116 comuni capoluogo, ha denunciato, in particolare, una sistematica disapplicazione delle norme in materia di calcolo del valore dell'appalto e di affidamenti diretti o in economia del codice dei contratti pubblici;
          oltre ai dati in merito agli affidamenti diretti nei principali comuni capoluogo del nostro Paese, sarebbe interessante analizzare se, ai fini dell'attenuazione di tale fenomeno, gli strumenti di indirizzo e controllo in capo agli amministratori abbiano ottenuto dei risultati significativi;
          ulteriore elemento informativo sarebbe l'analisi sulle dinamiche di aumento o diminuzione i tali fenomeni a seguito dell'elezione di una nuova amministrazione  –:
          quali siano i dati relativi alle procedure di affidamento dei lavori per servizi e forniture nei comuni di Milano, Torino, Firenze e Reggio Calabria, confrontando i valori percentuali sul totale degli affidamenti negli anni 2010 e 2014. (4-13507)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      Le modalità di gestione degli appalti pubblici, sotto il profilo della corretta applicazione della normativa e il rispetto dei principi di concorrenza e di trasparenza, attengono alla sfera di responsabilità delle singole stazioni appaltanti, fatto salvo il coinvolgimento dell'Autorità nazionale anticorruzione (Anac), quale soggetto deputato a vigilare sulla corretta applicazione della vigente normativa sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Peraltro, l'articolo 213 del decreto legislativo 50 del 18 aprile 2016 recante il nuovo codice dei contratti pubblici ha notevolmente ampliato le funzioni di controllo e vigilanza della suddetta Autorità.
      Pertanto, al fine di rispondere al quesito posto in ordine alle modalità di affidamento dei lavori, dei servizi e delle forniture da parte dei comuni nella considerazione che le procedure di affidamento diretto sono di fatto divenute procedure ordinarie anziché mantenere il carattere eccezionale come previsto nel codice, sono state assunte dettagliate informazioni presso l'Anac.
      Gli interroganti richiamano la disciplina previgente e quella attuale circa le modalità di calcolo del valore di appalti di servizi e forniture e, dopo aver ricordato che rimane valido, anche nell'attuale codice degli appalti e delle concessioni, il principio del divieto di frazionamento artificioso, sottolineano l'esigenza di attendere le linee guida dell'Anac che «stabiliranno le modalità di dettaglio per supportare le stazioni appaltanti e migliorare la qualità delle procedure sotto-soglia». Gli stessi riferiscono inoltre che l'Anac, a seguito di una analisi svolta sugli appalti di servizi e forniture nel periodo che va dal primo gennaio 2010 al 10 marzo 2016 in 116 comuni capoluogo, ha denunciato in particolare, una sistematica disapplicazione delle norme in materia di calcolo del valore dell'appalto e di affidamenti diretti o in economia del codice dei contratti pubblici.
      Con riferimento a quanto sopra, l'Anac ha precisato che con il comunicato del 19 febbraio 2015 sono stati resi pubblici gli esiti del monitoraggio svolto con riferimento ai comuni capoluogo di regione relativamente al periodo 2011-2014.
      La relazione, disponibile sul sito dell'Autorità all'indirizzo
www.anticorruzione.it, mette in evidenza che in gran parte dei comuni capoluogo di regione il ricorso alla procedura negoziata quale metodo di scelta del contraente è diffuso, tant’è che circa la metà di tali comuni nel periodo 2011-2014 ha utilizzato tale criterio per l'affidamento di più dell'80 per cento del numero di contratti, corrispondente a più di un terzo della spesa complessiva sostenuta per l'esecuzione di lavori e l'approvvigionamento di beni e servizi.
      Pertanto, il ricorso alla procedura negoziata in tutti i comuni presi in considerazione è in aumento, sia per i lavori, sia per i servizi, sia per le forniture rispetto alle precedenti rilevazioni.
      Per quanto riguarda la richiesta se il Governo è in possesso dei dati relativi alle procedure di affidamento dei lavori per servizi e forniture nei comuni di Milano, Torino. Firenze e Reggio Calabria, l'Anac ha rappresentato che l'indagine è stata estesa anche ai comuni di Milano, Torino. Firenze oltre ai comuni di Ancona, Aosta, Bari, Bologna, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, Genova, L'Aquila, Napoli, Palermo, Perugia, Potenza, Roma, Trento, Trieste e Venezia: non è stato oggetto di monitoraggio, invece, il comune di Reggio Calabria.
      Considerati i risultati dell'analisi di cui sopra, l'Anac ha ritenuto di condurre un'altra indagine incentrata sui comuni capoluogo di provincia e finalizzata a rilevare anche con riferimento ad essi l'attuale entità del fenomeno «distorsivo». L'esito dell'accertamento è stato reso noto con il comunicato del Presidente del 16 aprile 2016 cui si rinvia per i dati di dettaglio e che è scaricabile dal sito internet dell'Autorità all'indirizzo già indicato.
      Per effettuare l'indagine sono stati estrapolati dalla banca dati nazionale dei contratti pubblici, per ciascun anno, i dati relativi a forniture e servizi in economia affidati dal 1o gennaio 2010 al 10 marzo 2015, singolarmente di importo inferiore alla soglia comunitaria. che presentano carattere di regolarità o che risultano reiterati nell'arco temporale annuale, assunto come riferimento, e che nel complesso superano la soglia consentita. Ai fini dell'indagine, sono stati presi in considerazione anche gli appalti effettuati con affidamento diretto, cottimo fiduciario e affidamento diretto
ex articolo 5 della legge n.  381 del 1991, in quanto fattispecie che caratterizzano forme di procedura negoziata.
      Lo studio ha consentito di individuare un numero complessivo di 90 comuni (su un totale di 116 attualmente presenti sul territorio nazionale) interessati da anomali fenomeni di ripetizione contrattuale, ed indici di potenziale violazione del comma 10 dell'articolo 29 del vecchio codice. Sulla base di un'ulteriore estrapolazione, è altresì emerso che i comuni hanno proceduto ad affidamenti diretti o in economia, con identica Cpv (
Common procurement vocabulary) di dettaglio, reiterati nel corso del medesimo anno o di più anni consecutivi, per importi complessivi superiori al milione di euro, ossia pari a oltre 5 volte la soglia consentita per legge.
      In conclusione, Anac ha fatto presente che l'analisi ha permesso di evidenziare la sistematica disapplicazione delle modalità di calcolo del valore presunto dell'appalto previste dall'articolo 29 del codice e il conseguente utilizzo di procedure di scelta del contraente (affidamenti in economia; affidamenti diretti) che – qualora fosse stato rispettato il disposto del citato articolo 29 – non sarebbero state consentite.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Graziano Delrio.


      OLIARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ministeriale n.  674 del 3 febbraio 2016, «viaggi di istruzione e visite guidate», impone eccessivi controlli sul conducente e verifiche sui mezzi noleggiati;
          infatti, in base alla nuova circolare ministeriale, prima e durante una gita scolastica a bordo di un pullman dovranno essere effettuati controlli sullo stato di usura dei pneumatici e dell'efficienza dei dispositivi visivi e di illuminazione, sulla presenza dell'estintore e dei dischi con l'indicazione delle velocità massime poste sul retro del mezzo, sull'idoneità del conducente e sulla sua condotta durante il tragitto, sui documenti di viaggio;
          a questi nuovi obblighi sono tenuti non solo i docenti e i dirigenti scolastici, sovraccaricati di nuove responsabilità oltre a quelle dei ragazzi, ma anche l'intera categoria dei bus operator;
          come denunciato dalle associazioni di categoria, queste nuove disposizioni non solo non tengono conto dei ripetuti controlli a cui i mezzi delle aziende del settore sono sottoposti nel corso dell'anno, ma avranno anche forti contraccolpi economici nel comparto;
          come sottolineato da Confartigianato Liguria «A poco più di un mese dall'entrata in vigore, la circolare ha già avuto i suoi effetti negativi: sono già molte le prenotazioni per le gite scolastiche a essere state disdette. Questa norma potrebbe davvero mettere a rischio molti posti di lavoro e danneggiare enormemente le nostre piccole imprese. E non solo quelle di noleggio e trasporto: le conseguenze si riversano anche sull'indotto ricettivo»;
          in Liguria si contano circa 200 microimprese di noleggio e trasporto passeggeri: 120 in provincia di Genova, 25 a Imperia, 23 a La Spezia e 31 nel savonese  –:
          quali iniziative si intendano adottare per far fronte alle conseguenze negative derivanti dalle disposizioni contenute in questa nuova circolare ministeriale che danneggiano un settore la cui economia vive in buon parte sulle gite scolastiche e vanificano gli elementi positivi della stessa circolare, ossia l'importanza delle garanzie di sicurezza e di responsabilità nella scelta dell'impresa da parte della scuola, un aiuto contro abusivismo e concorrenza sleale. (4-12537)

      Risposta. — Si sottolinea, in via preliminare, che al tema della sicurezza nel trasporto professionale su strada, in particolare in occasione di viaggi e gite d'istruzione delle scuole, la polizia stradale dedica la massima attenzione. Il verificarsi di alcuni gravi incidenti in Italia e all'estero, l'età dei trasportati e la tendenza alla concentrazione delle gite in specifici periodi dell'anno, hanno reso sempre più necessaria l'esigenza di adottare tutte le misure idonee a scongiurare fattori di rischio.
      Proprio tenendo conto di questa esigenza, è stato stipulato in data 5 gennaio 2015 il Protocollo d'intesa tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, che, tra le varie attività, prevede la condivisione di iniziative finalizzate a rendere quanto più sicuro possibile il trasporto scolastico.
      Il servizio polizia stradale ha in tal modo fornito una serie di informazioni utili per l'organizzazione in sicurezza dei viaggi e delle gite d'istruzione, riassunte in un apposito
Vademecum, con cui vengono date indicazioni circa le modalità di selezione delle imprese di trasporto, la regolarità dei documenti da presentare, l'idoneità del conducente e le condizioni generali dei veicoli. Tali indicazioni hanno lo scopo precipuo di supportare le scuole.
      Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha pertanto diramato le descritte indicazioni alle scuole con nota della Direzione generale per lo studente n.  674 del 3 febbraio 2016, alla quale è stato allegato il citato
Vademecum.
      In tal modo l'amministrazione non ha inteso affatto attribuire nuovi e più onerosi compiti ai dirigenti scolastici e ai docenti accompagnatori, così aggravando le loro responsabilità. Il Vademecum in questione, che come sopra precisato è volto a facilitare l'attività delle scuole, non riveste difatti alcun carattere prescrittivo. Esso è uno strumento di supporto alle scuole le quali, ai sensi del Regolamento sull'autonomia di cui al decreto Presidente della Repubblica n.  275 del 1999, hanno piena autonomia organizzativa, anche in questo settore, e disciplinano nel dettaglio ciascuna uscita secondo le modalità deliberate dai rispettivi organi collegiali.
      Il
Vademecum, quindi, non attribuisce né potrebbe attribuire nuovi compiti o responsabilità al personale della scuola oltre quelli previsti dal codice civile e dal contratto collettivo nazionale di lavoro, ma ribadisce e riepiloga gli obblighi a cui sono tenuti i conducenti degli automezzi, nonché le certificazioni e le attestazioni di cui gli automezzi devono essere obbligatoriamente forniti.
      Conseguentemente, ai soli conducenti vanno addebitati i comportamenti forieri di rischio dagli stessi eventualmente posti in essere, così come sono esclusivamente le società di trasporto a dover rispondere per quanto concerne la verifica alla guida dei loro dipendenti e le condizioni del veicolo.
      L'obiettivo è che, sulla base delle indicazioni riportate nel
Vademecum, la scuola sia così in grado di segnalare al servizio polizia stradale, nell'ottica di una fattiva collaborazione, eventuali situazioni ritenute a rischio senza che ciò comporti per i dirigenti e i docenti alcun ulteriore obbligo né di sorveglianza sulla condotta del conducente né di accertamenti tecnici sull'automezzo.
      Quanto riferito è stato anche confermato da specifiche Faq pubblicate sul sito istituzionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e successivamente, in modo ulteriormente dettagliato, ribadito con nota della direzione generale per lo studente n.  3130 del 12 aprile 2016.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          da una notizia riportata sulla Gazzetta del Sud del 21 ottobre 2014 risulta che nella zona di Bisignano, in provincia di Cosenza, la cartiera di Mongrassano Scalo – costruzione vicina ad una scuola – oramai in disuso, ha i tetti di eternit, non particolarmente ben conservati;
          ormai da qualche tempo si è diffusa la conoscenza del rischio amianto. L'attenzione del mondo scientifico si è concentrata sulle caratteristiche di questo materiale, nonché sulle metodiche per l'individuazione e l'eliminazione dei rischi e dei danni dallo stesso provocati negli ambienti di vita e di lavoro alla salute delle persone e dei lavoratori;
          l'amianto era un materiale che veniva usato in passato per la sua economicità, ma con il passare del tempo e con gli approfondimenti tecnici il suo utilizzo si è rivelato nocivo per la salute dell'uomo, data la capacità del materiale stesso di rilasciare fibre potenzialmente inalabili, che provocherebbero gravi ed irreversibili patologie prevalentemente all'apparato respiratorio, malattie che si manifestano anche dopo molti anni dall'esposizione;
          per queste ragioni la legislazione ha da tempo disposto non solo la cessazione della produzione e della commercializzazione di qualsiasi materiale contenente fibre di amianto, ma ha anche dettato le regole per le cosiddette bonifiche (decreto-legge n.  277 del 1991 – decreto-legge n.  257 del 1992 – decreto ministero Sanità 6 settembre 1994 – decreto-legge n.  626 del 1994);
          ad oggi, nonostante le varie sollecitazioni da parte dei cittadini e degli organi competenti, non si è ancora provveduto ad un'opera di bonifica  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa e si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza al fine di tutelare la salute dei cittadini, anche promuovendo una verifica, da parte dei comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, sulla cartiera abbandonata di Montegrassano. (4-06648)

      Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
      Si fa presente, in via preliminare, che il decreto ministeriale n.  101 del 18 marzo 2003, concernente «Regolamento per la realizzazione di una mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, ai sensi dell'articolo 20 della legge 23 marzo 2001, n.  93», ha fissato le regole per la realizzazione della mappatura in parola.
      Tale decreto prevede che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano effettuino la mappatura dell'amianto sul proprio territorio individuando, in una prima fase, i siti con amianto e, in una seconda fase, quelli maggiormente a rischio.
      Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'amministrazione competente per la raccolta dati sulla mappatura dell'amianto.
      Lo stato delle bonifiche dei siti interessati dalla presenza di amianto ed i relativi dati sono stati raccolti, verificati e pubblicati sul sito
web www.bonifiche.minambiente.it, sul quale è stata, altresì, pubblicata una mappa relativa allo stato di aggiornamento delle rilevazioni effettuate, che dà la possibilità a tutti i cittadini di valutare l'azione di monitoraggio che le regioni stanno effettuando.
      La mappatura – aggiornata al novembre 2015 – rileva la presenza di oltre 44.000 siti con presenza di amianto.
      Attraverso questa mappatura è stato possibile individuare la presenza di amianto in categoria di rischio elevata (categoria 1 e 2) negli istituti scolastici e negli edifici pubblici in generale.
      Nell'evidenziare che il decreto ministeriale n.  101 del 2003 prevede che le regioni trasmettano i dati sulla presenza di amianto entro il 30 giugno di ogni anno, si deve rappresentare, tuttavia, che, allo stato attuale, non tutte le regioni hanno risposto alla richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa l'aggiornamento dei dati relativi alla mappatura amianto per il consuntivo 2014 e 2015 (sul punto si rinvia in ogni caso al
link: http: //www.bonifiche.minambiente.it/piano–amianto.html).
      Permane, inoltre, un problema di eterogeneità in ordine alle modalità di rilevamento, anche in presenza delle linee guida Inail, nonché in merito alla corretta acquisizione delle informazioni relative alla mappatura.
      Al riguardo, si segnala che, ad oggi, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è impegnato nell'attività di monitoraggio al fine di verificare lo stato di avanzamento degli interventi di bonifica di particolare urgenza.
      Tutto ciò premesso, con particolare riferimento al caso di specie si rileva quanto segue.
      Al fine di verificare lo stato ambientale dell'area di Bisignano, in provincia di Cosenza, in particolare il territorio ove ha sede l'ex cartiera di Mongrassano Scalo interessata dalla presenza di amianto, la competente direzione generale si è prontamente attivata richiedendo dettagliate informazioni agli enti territoriali competenti ed agli organi tecnici.
      L'Arpacal, di riscontro, ha comunicato che nell'aprile 2015 sono stati effettuati prelievi
indoor e outdoor di fibre aerodisperse presso gli edifici scolastici della scuola dell'infanzia primaria e secondaria dell'I.C. di Mongrassano in località scalo ferroviario. Tali prelievi, finalizzati alla verifica del rischio sanitario nei predetti edifici scolastici, richiesti dal Comune di Mongrassano a seguito della rimozione di lastre in cemento-amianto dalla copertura dei capannoni della «No Wovens Industries S.P.A.» in agro di Bisignano, al momento del prelievo, non hanno rilevato presenza di fibre di amianto aerodisperse.
      Della questione è interessato anche il Ministero della salute, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, verranno forniti aggiornamenti.
      Per quanto di competenza, si segnala che questo Ministero continuerà a tenersi informato sulle attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il Consorzio Villaggio Capo piccolo, complesso turistico sito in Isola di capo Rizzuto in provincia di Crotone, ha una ricettività di circa 1600 posti letto e occupa al suo attivo direttamente oltre trenta unità di personale dipendente, oltre 15 lavoratori, assunti da società operanti nel villaggio;
          nel corso degli anni, le acque del mare antistanti il villaggio hanno subito un notevole degrado si è arrivati fino all'emissione dell'ordinanza di divieto di balneazione, adottata dal sindaco di Isola di Capo Rizzuto nel 2012 e revocata nel 2013;
          la qualità delle acque è gravemente messa a rischio dalla principale fonte di inquinamento rappresentata dalla foce del torrente Vorga;
          il torrente Vorga, che si alimenta dalle acque del bacino Idrografico di Sant'Anna attraversa un fitto sistema di valloni posti ad ovest dell'abitato di isola Capo Rizzuto;
          l'inquinamento, causato da una insufficiente depurazione e dalla presenza di scarichi abusivi, specialmente di quelli da attività produttiva, sta deturpando pesantemente un ambiente di pregio, interessato anche dalla presenza dell'area marina protetta, con forti ricadute negative sulle prenotazioni turistiche;
          esistono progetti di adeguamento della depurazione non ancora coperti da sufficienti risorse; nelle more è necessario agire sul controllo sul territorio, intensificando le attività dell'Arpacal e dell'Asp nel periodo balneare;
          è comunque necessario trovare le risorse per finanziare gli interventi necessari, anche in aiuto alla stagione turistica che potrebbe subire grave nocumento da questa situazione di disagio;
          in ossequio alla direttiva quadro sulle acque (direttiva 2000/60/CE) le autorità nazionali sono tenute ad adottare tutte le misure per conservare in buono stato i corpi idrici;
          a parere dell'interrogante l'attenzione deve essere massima e deve essere dedicata ad un settore vitale per l'economia locale;
          i fatti esposti richiedono una immediata verifica al fine di salvaguardare la stagione turistica ormai iniziata che rappresenta per la Calabria, e in particolare per quel territorio, una delle più importanti fonti di reddito;
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere, anche promuovendo una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, in relazione alla situazione di criticità in cui versa l'area in questione anche in considerazione della grave ricaduta che potrebbe avere sia in termini di livelli occupazionali che di crescita economica. (4-10035)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'inquinamento che interessa l'area di Capo Rizzuto (Crotone) – consorzio villaggio Capo Piccolo, determinato soprattutto da una insufficiente depurazione e dalla presenza di scarichi abusivi, si precisa quanto segue.
      È necessario innanzitutto premettere che la depurazione si inserisce nel processo verticale del servizio idrico integrato (S.I.I.) composto appunto da acquedotto, fognatura e depurazione e che la normativa di settore, in particolare l'articolo 149, comma 1, del decreto legislativo n.  152 del 2006, affida agli enti di Governo d'ambito – in sede di predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito – il compito di condurre la ricognizione delle infrastrutture, la programmazione degli interventi e la redazione del piano economico finanziario.
      La regione Calabria è tra le regioni che ad oggi non hanno ancora provveduto a dare piena attuazione al servizio idrico integrato. Tale mancata attuazione comporta l'esistenza di criticità organizzative, gestionali ed infrastrutturali, con grave pregiudizio al territorio di riferimento e ai cittadini calabresi.
      La corretta gestione del servizio idrico integrato, secondo le norme vigenti, prevede appunto una struttura decisionale locale che fa capo agli enti di governo d'ambito a cui spetta la scelta del modello organizzativo del SII, la pianificazione degli interventi necessari a fornire un servizio di qualità, la redazione del piano economico e finanziario della gestione e l'affidamento del servizio ad un gestore unico, oltre che il controllo e la vigilanza sulla gestione.
      Pertanto, per la regione Calabria è fondamentale attuare l'organizzazione del servizio idrico integrato per superare un'ormai insostenibile frammentazione gestionale che equivale a carenze infrastrutturali, dispendio eccessivo e fuori controllo di risorse, pianificazione non aggiornata, tariffazione non coerente con la regolazione nazionale.
      La mancata attuazione del SII ha determinato, nel tempo, forti criticità nel settore fognario depurativo criticità che hanno scaturito l'avvio di procedure d'infrazione comunitarie per 141 agglomerati con carico generato maggiore di 2.000 a.e appartenenti alla regione Calabria.
      Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, consapevole delle diffuse situazioni di inadeguatezza ed inefficienza del sistema di fognatura e depurazione delle acque reflue ancora presenti nella regione Calabria, monitora costantemente e con la massima attenzione la situazione ed è impegnato ad intraprendere e portare avanti tutte le azioni di competenza volte alla risoluzione delle problematiche e a sollecitare la regione per far sì che la stessa ponga in essere tutto quanto necessario per il superamento delle criticità e per il raggiungimento del pieno rispetto della normativa comunitaria e nazionale. In particolare il Ministero monitora proprio il riordino del servizio idrico integrato disciplinato dall'articolo 3-
bis del decreto-legge n.  138 del 2011 e dall'articolo 7, dello sblocca Italia.
      Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 maggio 2015 la regione Calabria è stata diffidata in quanto alla data del 31 dicembre 2014 non aveva ancora provveduto ad individuare l'ente di Governo d'Ambito, così come prevede l'articolo 147, comma 1 del decreto legislativo n.  152 del 2006.
      Al momento, la regione, sottoposta a monitoraggio continuo da parte degli uffici del Ministero dell'ambiente e dell'autorità garante per l'energia elettrica e il gas, sta provvedendo a dare attuazione agli obblighi di cui alla diffida del 14 maggio. In particolare, la regione, con delibera di giunta n.  183 del 12 giugno 2015, ha identificato l'autorità idrica della Calabria (AIC) e, contestualmente, proposto al Consiglio regionale il disegno di legge regionale recante «Istituzione dell'ente di governo d'ambito per il servizio idrico integrato – Autorità idrica della Calabria – (AIC)»; con delibera di Giunta n.  256 del 27 luglio 2015 ha disciplinato il funzionamento dell'ente d'Ambito, fino all'effettivo insediamento degli organi dell'autorità, la gestione ordinaria è affidata al dirigente generale del dipartimento regionale infrastrutture, il quale, con provvedimenti 11097 e 1198 del 15 ottobre 2015, ha avviato le azioni propedeutiche all'affidamento del SII; con delibera di giunta n.  413 del 21 ottobre 2015 la giunta regionale ha approvato lo schema di deliberazione di giunta comunale di adesione dei comuni della Calabria all'autorità idrica della Calabria da adottarsi entro 15 giorni dalla notifica della medesima delibera 413/2015; con deliberazione 12 novembre 2015, n.  461, la giunta regionale ha approvato l'integrazione al disciplinare di funzionamento dell'Autorità idrica della Calabria; con decreto dirigenziale giunta regionale – dipartimento infrastrutture, lavori pubblici, mobilità del 14 ottobre 2015, n.  1063 sono state avviate le azioni propedeutiche all'affidamento del servizio idrico integrato e la struttura tecnico operativa dell'AIC è stata demandata alla predisposizione degli atti ed all'espletamento degli adempimenti necessari all'affidamento.
      Inoltre si precisa che con la delibera Cipe n.  60 del 30 aprile 2012 sono stati assegnati oltre un miliardo e 643 milioni di euro per finanziare 183 interventi – individuati dalle Regioni e ritenuti dalle stesse prioritari – nel settore idrico e volta a risolvere le situazioni di maggiore criticità nel sud (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Sicilia) del Paese.
      In particolare sono stati assegnati circa 160 milioni di euro alla regione Calabria per 16 interventi finalizzati a risolvere innanzitutto le criticità negli agglomerati interessati dal contenzioso comunitario e nei comuni della fascia costiera vibonese.
      Ulteriori risorse finanziarie per «Interventi sui sistemi depurativi soggetti e/o potenzialmente soggetti a procedura d'infrazione» sono state recentemente assegnate con il «patto per lo sviluppo della regione Calabria» siglato il 30 aprile 2016.
      Anche tali risorse sono comunque destinate a finanziare interventi per l'adeguamento di agglomerati già oggetto o potenzialmente oggetto di procedure d'infrazione.
      Nel mese di gennaio e febbraio 2016 si sono svolte due riunioni tra la competente direzione generale del Ministero e la regione Calabria per una verifica della situazione fognaria depurativa e le maggiori criticità emerse sono il ritardo nell'avvio degli interventi già programmati, l'assenza di una programmazione certa per tutte le altre situazioni di criticità e la mancanza di campionamenti che le regioni devono eseguire periodicamente agli scarichi degli impianti per verificare della conformità dei reflui ai limiti stabiliti dalla normativa nazionale e comunitaria in materia.
      In merito a quest'ultimo aspetto – mancanza di campionamenti reflui – si riporta, di seguito, quanto comunicato dalla Regione in argomento alla competente direzione generale l'11 aprile 2016: «si informa che la regione Calabria, nelle more della piena operatività dell'ente di gestione dell'ATO regionale e conseguente affidamento del Servizio al gestore unico
ex articolo 149-bis del decreto legislativo n.  152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, sta predisponendo, in concerto con l'ARPA regionale, un progetto finalizzato al monitoraggio in continuo della qualità degli effluenti, da attuarsi tramite la medesima Agenzia. Tale progetto prevede la riattivazione delle stazioni di campionamento attualmente dismesse, nonché la realizzazione di nuove centraline, allo scopo di coprire l'intero territorio regionale, con la periodicità e frequenta richieste in conformità alla normativa nazionale e comunitaria».
      Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio anche al fine di valutare il coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          da recenti notizie di stampa apparse sulla Gazzetta del Sud del 16 dicembre 2015 si apprende che nel Soveratese pericolose problematiche all'impianto elettrico rendono al buio alcuni dei tratti maggiormente frequentati e pericolosi della strada statale 106;
          risulta, sempre da notizie stampa, che il tratto antistante la galleria di Copanello e quello interno alla galleria «Santicelli» rimangono completamente al buio;
          tale situazione è stata prontamente segnalata dalla popolazione che ha chiesto l'immediato intervento dell'Anas per mettere in sicurezza il tratto stradale interessato, che sembra ormai in uno stato di totale abbandono;
          la popolazione che quotidianamente percorre questo tratto di strada ritiene che sia un diritto avere delle infrastrutture che consentano una mobilità con rischi ridotti. Purtroppo, senza adeguate e sicure strade i territori interessati sono costretti a vivere un forte isolamento sociale;
          oltre all'assenza di manutenzione, viene evidenziata l'eccessiva velocità degli automobilisti che potrebbe essere regolamentata attraverso l'introduzione di autovelox che scoraggino la persistente abitudine di eccedere i limiti imposti dal codice della strada;
          troppo spesso la Calabria soffre di grave carenza infrastrutturale e manutentiva e questo, purtroppo, fa aumentare sempre di più la distanza della regione con il resto del Paese;
          i fatti esposti in premessa sono, ad avviso dell'interrogante, preoccupanti e richiedono una immediata verifica al fine di salvaguardare la popolazione locale  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle informazioni apparse sulla Gazzetta del Sud e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per una tempestiva soluzione delle criticità di cui in premessa, promuovendo, se possibile, un tavolo di concertazione con le amministrazioni comunali interessate e l'amministrazione provinciale di Catanzaro.
(4-11861)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      In merito alla funzionalità degli impianti di illuminazione presenti nelle gallerie del tratto della Strada statale 106 Jonica, compreso fra i chilometri 163+000 e 176+000, nel territorio dei Comuni di Soverato, Montepaone, Montauro e Staletti, si segnala che gli impianti della galleria Santicelli sono stati ripristinati il 21 dicembre 2015, mentre quelli della galleria Copanello il giorno successivo.
      Si evidenzia, inoltre, che nel piano quinquennale Anas 2015-2019 è previsto un intervento di efficientamento degli impianti di illuminazione per entrambe le gallerie.
      In merito agli eccessi di velocità da parte degli automobilisti, si comunica che il Prefetto di Catanzaro al fine di individuare i tratti potenzialmente pericolosi ove installare i rilevatori di velocità utili all'accertamento delle violazioni del codice della strada e, conseguentemente, migliorare le condizioni di sicurezza per l'utenza ha convocato una riunione alla quale hanno partecipato i rappresentanti della Polizia stradale, dell'Anas nonché i sindaci della provincia di Catanzaro i cui territori sono attraversati dalla strada statale 106.
      Nel predetto consesso sono stati individuati i luoghi dove installare le apparecchiature per la rilevazione della velocità, tra i quali rientra, in particolare, il chilometro 172+150, compreso nel tratto della statale in argomento.
      Per l'installazione di dette apparecchiature l'Anas ha comunicato che è in attesa della conclusione dell'iter amministrativo di approvazione.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Graziano Delrio.


      PAGLIA, FRATOIANNI, PASTORINO, SCOTTO e QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          da giorni si assiste alla chiusura di fatto della frontiera italo-francese di Ventimiglia-Mentone da parte delle autorità francesi, limitatamente al passaggio di persone identificate come migranti e risultanti sprovviste di permesso di soggiorno;
          tale situazione è determinata dal rifiuto delle autorità transalpine di consentire il transito di migranti non ancora identificati in Italia e qui giunti attraverso il Mare Mediterraneo, unico canale a consentire di fatto l'accesso all'Europa a decine di migliaia di donne e uomini in fuga da guerre, violenza e situazioni di rischio estremo;
          si è così verificato l'afflusso di centinaia di migranti a Ventimiglia, che rivendicano il diritto a raggiungere le proprie famiglie in altri Paesi europei, senza che questo sia reso loro possibile e quindi confinati alla frontiera;
          nei giorni scorsi non si sono registrate situazioni di tensione, ma si è invece potuto assistere ad una continua manifestazione di solidarietà da parte dei residenti locali, che hanno supplito anche ad evidenti carenze dello Stato nella gestione dell'emergenza;
          a rompere questo equilibrio è intervenuto nella mattina del 16 giugno 2015 lo sgombero forzato e violento di decine di migranti dal piazzale antistante la frontiera, messo in opera dalle forze di polizia, anche con l'utilizzo improprio di un mezzo della CRI, evidentemente non utilizzabile a scopo di trasporto forzoso di esseri umani;
          a quanto si apprende, tale sgombero, che ha portato semplicemente allo spostamento dei migranti di 5 chilometri, tanto dista la stazione FS dalla frontiera, sarebbe avvenuto su input diretto del Viminale  –:
          se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e perché il Ministero abbia improvvisamente deciso di mettere in atto un'operazione chiaramente inutile, se non dannosa, sotto il profilo dell'ordine pubblico, e comunque lesiva della dignità di persone che manifestano semplicemente il diritto di ogni essere umano a stabilire la propria residenza laddove siano garantire condizioni minime di esistenza;
          se non ritenga per il futuro di doversi astenere da simili iniziative. (4-09523)

      Risposta. — L'interrogazione verte sulla situazione determinatasi al valico di confine italo-francese di ponte San Ludovico a Ventimiglia, in provincia di Imperia, che ha avuto inizio nel mese di giugno 2015 a causa dei flussi di cittadini extracomunitari che, sbarcati in Italia, raggiungevano il citato comune con l'intendimento di proseguire per la Francia e per i paesi del Nord Europa.
      I citati migranti si trovavano nell'impossibilità di conseguire il loro obiettivo a causa della sospensione degli accordi comunitari in materia di libera circolazione delle persone da parte delle autorità francesi.
      Tuttavia, tale contesto non scoraggiava i migranti che restavano a Ventimiglia con la speranza di riuscire ad oltrepassare in qualche modo il confine.
      Al fine di fronteggiare tale emergenza di carattere umanitario, dall'ultima decade di giugno 2015 è stato approntato, d'intesa tra il comune di Ventimiglia e la prefettura di Imperia, un centro di accoglienza temporanea per fornire assistenza ai migranti «in transito».
      Nel corso della estate 2015 sono stati ospitati nella struttura più di quattrocento migranti ed è stata fornita assistenza anche a quei migranti che insieme a esponenti «No Border» avevano occupato la scogliera della zona di confine tra Italia e Francia.
      L'attività del centro di accoglienza è proseguita fino al mese di maggio 2016, facendo registrare una media di circa 200 presenze giornaliere, scesi ad un centinaio nel periodo gennaio-marzo 2016. Tutti gli ospiti del centro sono stati regolarmente identificati.
      Con la ripresa dei flussi migratori, nel mese di aprile 2016 la prefettura ha pianificato alcuni trasferimenti, presso strutture site nelle altre province liguri, di migranti che avevano formulato istanza per il riconoscimento dello
status di rifugiato, per poter utilizzare il campo di Ventimiglia per l'accoglienza temporanea dei migranti «in transito».
      La presenza del centro, tuttavia, è stata fortemente contestata dai residenti della zona, dalle associazioni degli operatori economici, dai comitati spontanei e dalla stessa amministrazione comunale.
      Lo scorso mese di maggio, è stata disposta la chiusura del compendio summenzionato e, fin dai giorni successivi, la prefettura e l'amministrazione comunale, in piena sintonia, hanno elaborato una nuova soluzione per assistere i migranti «in transito».
      È stata, infatti, individuata un'area di proprietà di Rete ferroviaria italiana e di prossimo trasferimento al comune, dove verrà attrezzato un campo costituito da moduli abitativi, gestito dalla Croce rossa italiana, che provvederà anche al vitto con apposita cucina da campo.
      All'iniziativa dovrebbero collaborare anche la Caritas ed altre associazioni del volontariato locale per svolgere attività di mediazione culturale a favore dei migranti, in relazione alla quale è già stato chiesto anche l'intervento dell'ACNUR per la formazione ed il sostegno degli operatori.
      L'area in questione, anche grazie alla massima accelerazione impressa alle complesse procedure del caso, è stata predisposta sotto il profilo degli allacci idrico-fognario-elettrico con interventi effettuati, dopo la pulizia del sito, in pochissimi giorni e, il 6 luglio 2016 è iniziata l'installazione dei primi moduli abitativi.
      Per quanto attiene l'ordinanza adottata dal sindaco di Ventimiglia nei confronti dei migranti che nel mese di maggio 2016 avevano costituito una sorta di accampamento spontaneo lungo le rive del fiume Roja, la stessa è stata necessaria a seguito della relazione dell'ASL di Imperia che prospettava rischi igienico-sanitari per salute, non solo dei migranti, ma di tutti i cittadini di Ventimiglia.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.


      PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          dal 1° ottobre 2015 è operativa una riorganizzazione nazionale, decretata dal Ministero dell'interno, che ha privato del distaccamento territoriale dei vigili del fuoco (esclusi personale nautico e sommozzatori) il porto di Ravenna e l'area industriale ad esso collegata nonché l'area del Petrolchimico;
          si è in presenza di un porto industriale ad alto rischio potenziale;
          secondo la denuncia di esponenti sindacali di CISAL e CISL, il distaccamento territoriale dei vigili del fuoco del porto aveva tenuto negli ultimi tempi una media di 1.100-1.200 interventi annui, ovvero un terzo del totale sul livello provinciale;
          se sono da sottolineare come positivi l'incremento di 10-12 unità di uomini sull'organico provinciale dei vigili del fuoco nonché la trasformazione del distaccamento di Cervia da stagionale a permanente, per quanto appaia molto chiaro dai numeri degli interventi effettuati il drastico calo da estate a inverno, molto problematica appare invece la situazione del capoluogo lì dove è rimasto un unico distaccamento, quello della sede centrale, mentre rimane scoperta un'area strategica e a rischio come quella del porto;
          sempre secondo le preoccupazioni sindacali di cui sopra, non basterebbe il supporto delle squadre di Cervia, ora distaccamento permanente, alle squadre della sede centrale di Ravenna e la conferma sarebbe nei carichi di lavoro sproporzionati verificatisi durante gli interventi occorsi nel passato mese di ottobre;
          appare quanto meno bizzarro che un settore nel quale la tempestività è fondamentale, debba fare affidamento su squadre provenienti da Cervia in caso di interventi particolarmente complessi  –:
          sulla base di quali criteri sia stata approntata detta riorganizzazione nazionale che pare non tenere conto delle specificità locali, come ad esempio quella del porto di Ravenna;
          se non sia il caso di prevedere una riapertura del distaccamento territoriale dei vigili del fuoco del porto di Ravenna o quanto meno di valutare una redistribuzione degli effettivi presenti sui vari distaccamenti della provincia, in modo tale da rispondere alle esigenze del capoluogo. (4-10939)

      Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante è stata valutata con attenzione da questa Amministrazione nel momento in cui sono stati emanati il decreto ministeriale del 31 luglio 2015 relativo alla ripartizione delle sedi e della dotazione organica del personale del Cnvvf e la conseguente determina del Capo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco del 3 agosto 2015. Grazie a tali provvedimenti – si ricorda – è stato ultimato il riordino del dispositivo di soccorso nazionale dei vigili del fuoco sul territorio nazionale.
      Per il comando di Ravenna, il riordino prevede, anche sulla base delle indicazioni fornite dai vertici del comando medesimo e dei suggerimenti delle organizzazioni sindacali, la dislocazione dei distaccamenti di Faenza, Lugo, Cervia, distaccamento porto, oltre la sede centrale.
      Al riguardo, si evidenzia, da un lato, che l'organico del distaccamento del porto di Ravenna è costituito, da sempre, da specialisti nautici destinati, in via ordinaria ed esclusiva, alla condotta delle motobarche dei vigili del fuoco, dall'altro, che tra le sedi del comando di Ravenna non è mai stato previsto un distaccamento terrestre presso il citato porto.
      Comunque, fermo restando l'obbligo del rispetto dei numeri minimi previsti per ciascuna sede e ove le presenze giornaliere lo consentano, presso il distaccamento portuale continua ad essere prevista la dislocazione di una squadra in ausilio alla sede centrale, per interventi di soccorso tecnico urgente a bordo nave, in ambito portuale e in ambito urbano contiguo all'area portuale.
      Nel caso si concretizzi l'auspicabile incremento dell'organico, tale scelta potrà assumere carattere continuativo, al fine di soddisfare con maggiore tempestività le richieste di soccorso tecnico urgente provenienti dall'area industriale limitrofa al porto.
      Per completezza, si informa che la recente riclassificazione «in permanente» del distaccamento di Cervia ha reso necessario assegnare a tale sede il relativo personale operativo che, per ora, ammonta a n.  6 unità per turno rispetto alle 7 unità per turno previste in organico. L'assegnazione definitiva di tale personale è avvenuta il 1o ottobre 2015, al termine della prevista apertura estiva del distaccamento.
      Sul piano provinciale, si riferisce che l'attuale distribuzione del personale operativo dei vigili del fuoco tra le varie strutture territoriali – concordata con le organizzazioni sindacali – consente di limitare al minimo il numero delle sostituzioni presso le sedi distaccate, di fruire correttamente dei congedi e dei riposi compensativi, nonché di svolgere la prescritta attività formativo/addestrativa.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      PAGLIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nell'area ad alta densità abitativa del quartiere Santa Croce in Reggio Emilia, compresa tra via Talami, via Cefalonia e via delle Argonne, esiste uno stabilimento ferroviario in cui convergono treni diesel degli anni ’80 provenienti da comuni diversi di Fer, Tper e anche di Dinazzano Po;
          questi treni continuano ad essere in accensione tra le case senza schermature e ciò a partire dalle cinque di mattina con frastuono e grossi scarichi inquinanti;
          tale situazione non contribuisce certamente a mantenere l'aria salubre per i cittadini che abitano nei dintorni, compreso l'edificio scolastico Collodi;
          secondo le circostanziate denunce del locale Comitato Santa Croce, nel corso dell'anno 2015 si sono verificati almeno due episodi che hanno destato allarme tra la popolazione; nella passata primavera una densa nuvola di fumo permase a lungo nelle vicinanze e il 19 agosto 2015 si verificò un principio d'incendio a seguito dall'accensione accidentale di una torcia, le cui cause sono ancora ignote;
          a seguito delle proteste dei cittadini, l'Arpa attivò un monitoraggio dal 23 maggio al 23 giugno 2015 che accertò come ogni giorno si verificassero tre o quattro picchi altissimi di emissioni inquinanti quasi oltre la scala di misurazione, soprattutto di monossido e biossido d'azoto, durante l'accensione dei motori;
          i tecnici dell'ARPA sottolinearono come l'inquinamento sarebbe diminuito se si fossero sostituiti i molti treni vetusti, risalenti anche agli anni Sessanta;
          il Comitato chiede tre cose semplici: quanti treni partano dallo stabilimento di via Talami, quanti siano stati spostati per le accensioni e se ci siano ancora i treni di Dinazzano Po; se vi sia una autorizzazione per l'attività di questo stabilimento; se Fer e Tper possano mantenere in accensione i treni senza schermature e se lo possano fare con una quantità di treni che appare incompatibile con la densità di popolazione che abita il quartiere  –:
          se i Ministri interrogati non intendano intraprendere iniziative normative specifiche al fine di fermare il frastuono e gli scarichi inquinanti derivanti da attività come quelle descritte in premessa che compromettono l'ambiente e la salute della popolazione. (4-12569)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla qualità dell'aria e all'inquinamento acustico nell'area del quartiere Santa Croce in Reggio Emilia, dove è localizzato uno stabilimento ferroviario, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
      Per quanto attiene l'inquinamento acustico, si precisa che è in vigore un complesso impianto di norme a tutela dell'ambiente abitativo e dell'ambiente esterno, principalmente discendenti dalla legge 26 ottobre 1995, n.  447, legge quadro sull'inquinamento acustico.
      Nel caso di specie, occorre innanzitutto stabilire a quale tipologia di sorgente sonora è ascrivibile lo «stabilimento ferroviario», poiché la normativa di settore, a seconda della tipologia di sorgente sonora, pone a carico del gestore o del proprietario differenti adempimenti e valori limite.
      Il decreto del Presidente della Repubblica 18 novembre 1998, n.  459, recante il regolamento attuativo dell'articolo 11 della legge quadro sull'inquinamento acustico in materia di rumore derivante da traffico ferroviario (legge n.  447 del 1995), definisce l'infrastruttura ferroviaria «l'insieme di materiale rotabile, binari, stazioni, scali, parchi, piazzali e sottostazioni elettriche» (articolo 1, lettera
a)).
      Per tali infrastrutture è previsto che il gestore, nel caso di superamento dei pertinenti valori limite, presenti al Comune e alla Regione competente Piani di contenimento ed abbattimento del rumore che prevedano obiettivi di risanamento (articolo 10, comma 5, legge n.  447 del 1995 e articolo 2, decreto ministeriale 29 novembre 2000). Inoltre, nel caso di infrastrutture di interesse nazionale o di più Regioni, la competenza nell'approvazione di tali Piani è del Ministro dell'ambiente, previa acquisizione dell'intesa della conferenza unificata, ai sensi del decreto ministeriale 29 novembre 2000.
      Per le altre sorgenti di rumore, quali quelle industriali o ad esse ascrivibili, la citata legge quadro ed il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 novembre 1997, attuativo della stessa legge, prevedono che le imprese interessate si attengano ai valori limite stabiliti dalla zonizzazione acustica del territorio comunale di riferimento, incluso il valore limite differenziale. Nel caso di superamenti, esse devono presentare al comune un piano di risanamento.
      Inoltre, per quanto concerne gli aspetti legati alla qualità dell'aria, si rappresenta che nel comune di Reggio Emilia la valutazione della qualità dell'aria ambiente è effettuata tramite due stazioni fisse di monitoraggio: «San Lazzaro» e «Timavo».
      I dati di qualità dell'aria misurati da tali stazioni nel periodo 2013-2015 evidenziano criticità in merito al materiale particolato PM10 e all'ozono. Nello specifico, per il PM10, mentre il valore limite annuale previsto per la protezione della salute umana (40 μg/m3) non è stato superato in nessuna stazione del comune, il valore limite giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 35 volte per anno civile) è stato sempre superato nella stazione di tipo traffico urbano «Timavo». In particolare, per tale stazione, si registrano 56 giorni di superamento nel 2013, 50 giorni di superamento nel 2014 e 67 giorni di superamento nel 2015. Per l'ozono, misurato nella stazione di tipo fondo urbano «San Lazzaro», si verificano numerosi superamenti dell'obiettivo a lungo termine per la protezione della salute umana (120 μg/m3).
      Tanto premesso, come già segnalato dall'interrogante, nel 2015 la sezione provinciale di Reggio Emilia dell'Arpa Emilia-Romagna ha svolto una campagna di monitoraggio con un mezzo mobile all'interno della struttura ferroviaria di via Talami dal 26 maggio 2015 al 23 giugno 2015.
      Le stazioni prese a confronto per l'indagine sono le due stazioni fisse della rete regionale di monitoraggio della qualità dell'aria presenti nel comune di Reggio Emilia, «San Lazzaro» e «Timavo».
      L'indagine è stata finalizzata a caratterizzare la qualità dell'aria all'interno dell'area adiacente i quartieri residenziali di Santa Croce e, nel contempo, a verificare il rispetto dei valori limite definiti dal decreto legislativo n.  155 del 2010, ed eventuali scostamenti significativi rispetto ai valori rilevati dalle due stazioni di riferimento sopra citate. Un altro obiettivo dell'indagine consisteva nel valutare la presenza di eventuali impatti sulla matrice aria generati dall'attività svolta all'interno della struttura ferroviaria.
      Le misurazioni effettuate con il mezzo mobile hanno evidenziato risultati analoghi a quelli rilevati dalle stazioni fisse. Per tutti gli inquinanti monitorati (monossido di carbonio, benzene, biossido di zolfo, ossidi di azoto: monossido di azoto e biossido di azoto ed ozono), si è verificato il rispetto, per l'intero periodo di misurazione, dei valori limite che la normativa impone per gli inquinanti rilevati, fatta eccezione per l'ozono, per cui si osservano diversi superamenti dell'obiettivo a lungo termine.
      Nella medesima relazione, l'Arpa evidenzia che, per quanto riguarda i valori di biossido di azoto, pur rispettando i limiti normativi, l'andamento delle concentrazioni rilevate come media è tale da rendere l'area residenziale in esame paragonabile alla situazione, in termini di qualità dell'aria, di una zona ad elevato traffico. Lo stesso monitoraggio ha evidenziato, altresì, episodi puntuali di inquinamento dell'aria, soprattutto per gli ossidi d'azoto, che si ripetono più volte nel corso della giornata, della durata di circa quattro minuti l'uno. Tali episodi, secondo l'Arpa, si verificano verosimilmente in occasione dell'avvio e del riscaldamento dei motori diesel dei treni situati nella zona presa in esame, generando concentrazioni di inquinanti in aria significative, con ciò confermando che le criticità legate alla matrice aria nell'area indagata siano da attribuire principalmente alle fasi di accensione dei locomotori.
      Si segnala, inoltre, che la normativa nazionale in materia di qualità dell'aria (già citato decreto legislativo n.  155 del 2010) affida alle regioni le attività di valutazione e di pianificazione finalizzate a conoscere il contesto territoriale, identificare le misure più efficaci per il rispetto dei valori di qualità dell'aria ed assicurarne l'attuazione. Alle amministrazioni regionali compete quindi il monitoraggio degli inquinanti atmosferici e la predisposizione dei piani o programmi per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria, compresa l'individuazione dei soggetti deputati all'attuazione di tali piani, quali ad esempio la regione stessa o i comuni.
      In tal senso, si fa presente che la regione Emilia-Romagna, per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico, ha adottato, con delibera n.  1180 del 21 luglio 2014, la proposta di piano aria integrato regionale (PAIR2020), contenente le misure per il risanamento della qualità dell'aria, al fine di ridurre i livelli degli inquinanti sul territorio regionale e rientrare nei valori limite fissati dalla normativa vigente in materia, nonché le strategie di coordinamento dei vari livelli istituzionali e di integrazione della pianificazione settoriale.
      Infine, si evidenzia che la stessa regione da anni, assieme alle altre regioni del Bacino Padano, promuove attività comuni volte al raggiungimento degli obiettivi di qualità dell'aria imposti dalle direttive comunitarie e dalle norme nazionali di riferimento.
      Della questione in esame sono stati, inoltre, interessati anche gli altri Ministeri competenti e, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a rendere noti i nuovi aggiornamenti.
      Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, si fa presente che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina. In ogni caso, si rassicura che il Ministero continuerà a tenersi informato, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      PAGLIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          a Rovigo il 29 febbraio 2016, dopo nove anni di lavori, veniva inaugurato il nuovo carcere;
          in data 22 aprile 2016 tutti i detenuti della casa circondariale di Rovigo sono stati trasferiti presso il nuovo complesso, mentre gli uffici chiave dell'istituto (ufficio comando, matricola, servizi, N.T.P., ufficio contabile, segreteria generale e segreteria P.P. e altro) continuano a svolgere il proprio servizio presso la vecchia struttura;
          tale situazione comporta ovviamente gravi problemi gestionali, con conseguenti ripercussioni sul personale di polizia penitenziaria e amministrativo in termini di carico di lavoro, oltre che pregiudicare la piena efficienza delle procedure;
          appare infatti chiaro quale spreco di risorse si determini a causa dei continui spostamenti dalla vecchia struttura penitenziaria, ove sono presenti i servizi essenziali, a quella nuova in cui sono ristretti i detenuti;
          attualmente l'autorità dirigente della casa circondariale di Rovigo è inoltre assente dal servizio e lo sarà fino alla fine del mese di maggio 2016;
          dal 27 aprile 2016, il dottor Massimiliano Forgione ha assunto l'incarico di Direttore reggente dell'istituto penitenziario di Rovigo, che si svolge nell'ambito del provveditorato del Triveneto;
          il dottor Forgione fino al 26 aprile 2016 svolgeva l'incarico di direttore titolare della casa di reclusione di Sant'Angelo dei Lombardi, nell'ambito del provveditorato della regione Campania;
          in quanto direttore reggente, il dottor Forgione espleterà servizio di missione presso la casa circondariale di Rovigo e, con lui, anche altre tre unità di supporto provenienti dalla casa di reclusione di Sant'Angelo dei Lombardi;
          l'incarico di direttore reggente del dottor Massimiliano Forgione si protrarrà per circa tre mesi, con la conseguenza che, al rientro in servizio della sorella, la dottoressa Antonella Forgione, il nuovo istituto penitenziario di Rovigo, appena aperto ed ancora operativo, avrà due direttori penitenziari a dirigerlo;
          le spese di missione dei direttore reggente e delle sue tre unità di staff si sommano alle già ingenti spese sostenute dal Ministero della giustizia e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per realizzare la struttura del nuovo penitenziario di Rovigo ed alle ulteriori spese da sostenere per ultimare i lavori al fine di rendere la struttura pienamente operativa e funzionale;
          non risultano invece stanziamenti per incrementare la dotazione di personale, visto che attualmente quello in servizio si trova a gestire due istituti contemporaneamente  –:
          quali iniziative intenda immediatamente adottare per restituire normale operatività a una struttura che non può evidentemente reggersi su due direttori e due plessi, soprattutto a fronte degli ingenti investimenti impegnati per realizzare il nuovo carcere. (4-13062)

      Risposta. — L'interrogazione inerente il nuovo carcere di Rovigo pone in evidenza una realtà carceraria decisamente complessa ed articolata, rispetto alla quale l'impegno dell'amministrazione penitenziaria e l'attenzione del Ministro della giustizia sono stati rivolti nel massimo grado.
      Ciò non soltanto perché il 29 febbraio scorso il nuovo carcere di Rovigo è stato inaugurato, alla presenza del Ministro della giustizia, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e delle più alte cariche della regione, ma soprattutto perché sono in via di definitiva risoluzione le residue criticità che il varo di una struttura tanto complessa inevitabilmente ha comportato.
      L'opera in questione è stata, difatti, lungamente interessata da operazioni di collaudo statico e tecnico-amministrativo, di competenza del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e soltanto il 31 dicembre 2015 è stata provvisoriamente presa in consegna dall'amministrazione penitenziaria, ancorché priva di utenze, energia elettrica, gas, acqua e telefono.
      Il Ministero della giustizia ha avviato, anche nella fase di provvisoria acquisizione, tutte le iniziative necessarie per favorire la tempestiva funzionalità della struttura, ed anzi per assicurare le esecuzioni di lavorazioni aggiuntive, finalizzate alla sicurezza e alla funzionalità del nuovo istituto, emerse in corso d'opera.
      Tutte le attività realizzate si inseriscono coerentemente, peraltro, nel più ampio progetto di rivisitazione e ridefinizione dell'edilizia penitenziaria, residenziale e di servizio, negli istituti penitenziari del Paese e rientrano nell'ambito dei numerosi interventi, messi in campo nell'ultimo anno, per superare definitivamente la criticità del sovraffollamento attraverso l'adozione di misure strutturali realmente efficaci, come di recente riconosciuto anche da Strasburgo.
      Sono stati, infatti, emanati i decreti ministeriali di chiusura di alcuni istituti con caratteristiche non adeguate al nuovo modello detentivo ed è, altresì, proseguita l'attività istituzionale volta alla riqualificazione e valorizzazione del patrimonio demaniale in uso all'amministrazione penitenziaria, con l'obiettivo di conferire adeguate condizioni di dignità e vivibilità alle persone detenute e agli operatori in carcere.
      In tale contesto, il nuovo carcere di Rovigo si pone come una struttura innovativa, dotata anche delle più moderne tecnologie necessarie a garantire la sicurezza, che corrisponde ad un'idea evoluta di esecuzione della pena, in linea con i lavori degli stati generali dell'esecuzione penale.
      Il nuovo istituto conserverà la vocazione di casa circondariale, con annessa sezione di reclusione, destinata ad accogliere detenuti condannati in via definitiva e con fine pena superiore ai cinque anni, secondo una analisi complessiva delle esigenze del distretto e del rispetto dei vincoli di territorialità.
      Sarà così possibile perseguire l'obiettivo di deflazionare progressivamente gli istituti del Veneto, garantendo più elevati standard di vivibilità alla popolazione detenuta, che potrà usufruire di ampi spazi per attività trattamentali e risocializzanti. La situazione relativa al sovraffollamento, segnalata dagli interroganti, appare, peraltro, già in fase di miglioramento: a fronte della nuova capienza di 1839 posti, risultano, difatti, presenti 2144 detenuti, a fronte dei 2235 detenuti nell'ottobre dello scorso anno.
      Il carcere di Rovigo è, difatti, entrato effettivamente in funzione nel mese di aprile, ospitando i 27 detenuti già assegnati alla vecchia struttura ed accogliendo, nel corso del mese di maggio, coloro che, originariamente ristretti a Rovigo, erano stati trasferiti negli istituti di pena limitrofi, dopo la chiusura di parte del vecchio istituto.
      Dopo una prima fase di necessario rodaggio – che ha visto alcuni servizi, quale quello del vitto, dipendere ancora dal vecchio istituto – il nuovo penitenziario di Rovigo ha preso a funzionare in totale autonomia, con contestuale chiusura della vecchia struttura, avvenuta il 22 maggio scorso.
      Con l'assegnazione, alla data dell'8 giugno scorso, di 80 detenuti e la contestuale chiusura della vecchia struttura si persegue, pertanto, l'obiettivo di deflazionare progressivamente gli istituti del Triveneto garantendo più elevati standard di vivibilità alla popolazione detenuta del distretto, che potrà usufruire di ampi spazi per le attività trattamentali e risocializzanti.
      Oltre alle attività già avviate nel vecchio penitenziario, nella nuova struttura la Direzione si propone di realizzare progetti di peculiare rilevanza trattamentale, con particolare attenzione a progetti formativi che garantiscano l'acquisizione di qualifiche professionali, facilmente spendibili all'esterno.
      Alcuni di questi progetti sono stati presentati da enti di formazione accreditati, presenti sul territorio, con i quali la direzione si propone di stipulare protocolli d'intesa finalizzati alla realizzazione di corsi di formazione nel settore dell'agricoltura e di manutenzione del verde, corsi finalizzati all'acquisizione di titoli professionali, realizzazione di laboratori.
      La nuova struttura si presta, pertanto, ad avviare un innovativo percorso risocializzante.
      Il nuovo penitenziario è una struttura architettonica importante, capace di destinare ampi spazi, al chiuso ed all'aperto, non solo – come già ricordato – per l'insediamento di attività produttive in favore delle persone detenute, ma anche di ospitare, in termini residenziali, almeno 20 famiglie di operatori penitenziari negli alloggi allo scopo realizzati, e di offrire residenzialità ad almeno 150 appartenenti al corpo, nella nuova moderna caserma, dotata anche di attrezzature sportive.
      Ad oggi, sono già aperte le sei sezioni detentive e la caserma destinata al personale di polizia penitenziaria, arredati con manufatti prodotti in proprio dagli istituti dotati di lavorazioni industriali.
      Anche le operazioni di trasloco dal vecchio istituto sono state realizzate mediante esclusivo impiego di detenuti ammessi al lavoro esterno e con utilizzazione di automezzi ed attrezzature speciali in dotazione all'amministrazione penitenziaria, con abbattimento dei costi di almeno il 60 per cento.
      Ed è proprio a tal fine che sono stati trasferiti presso il nuovo complesso di Rovigo nove detenuti in regime di articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, provenienti da altri istituti del distretto che, cessate le contingenti esigenze, sono stati ricondotti negli istituti di provenienza.
      Come è inevitabile nel passaggio ad un nuovo modello detentivo, la piena funzionalità della nuova struttura ha evidenziato talune criticità, già risolte o in via di soluzione.
      In particolare, relativamente alla caserma agenti, sono stati resi fruibili circa 100 posti letto e sono stati emanati dal direttore generale del personale e delle risorse del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria i decreti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  314 del 2006, propedeutici alle procedure di assegnazione degli alloggi collettivi. Nel contempo, sono stati richiesti i fondi per il completamento degli arredi e delle suppellettili.
      Per quanto concerne l'organico di polizia penitenziaria del nuovo istituto, lo stesso è stato, di recente, implementato di ulteriori 12 unità rispetto alle 58 previste con decreto ministeriale del 2013, raggiungendo le 70 presenze.
      Fermo restando che saranno assicurate dalla competente direzione generale ulteriori dotazioni quando il penitenziario funzionerà a pieno regime, si rappresenta che il Provveditorato regionale ha, di recente, diramato un interpello distrettuale – per n.  10 unità – per contribuire a rafforzare l'organico, sebbene, allo stato, non si registrano particolari situazioni di difficoltà, tanto che il comandante del reparto ha potuto assicurare la piena fruibilità dei diritti soggettivi del personale, comprese le ferie estive, in misura addirittura superiore a quanto contrattualmente previsto.
      In esito all'interpello, la dotazione organica è stata incrementata di 4 unità nel ruolo degli agenti/assistenti, in attesa di nuove assegnazioni che saranno effettuate all'esito di ulteriori procedure selettive.
      Appare doveroso precisare, peraltro, che i numerosi sistemi tecnologici installati nel nuovo plesso (consolle per apertura/chiusura cancelli, interfono in uso ai detenuti, automatizzazioni varie, videosorveglianza attiva in sala operativa, eccetera), unitamente alle disposizioni inerenti l'utilizzo esteso della cosiddetta sorveglianza dinamica, già consentono una gestione razionale ed efficiente dei reparti detentivi, con modalità non praticabili nel vecchio e vetusto plesso.
      Al fine di assicurare la piena funzionalità della struttura, stante l'assenza per malattia del direttore, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha riferito di aver disposto l'invio in missione presso il carcere di Rovigo del direttore della casa di reclusione di S. Angelo dei Lombardi per tre giorni alla settimana e fino al 21 luglio 2016, data in cui avrà termine il periodo di congedo del direttore titolare.
      In considerazione dei tempi della missione e della complessità delle procedure da avviare, al direttore è stata assicurata la collaborazione di quattro unità di personale, due appartenenti al corpo di polizia penitenziaria e due al comparto ministeri.
      Pur attraverso le inevitabili criticità che la destinazione ad uso di una importante opera pubblica comporta, può quindi affermarsi che il nuovo carcere di Rovigo costituisce struttura innovativa, capace di destinare ampi spazi non solo all'insediamento di attività produttive a favore delle persone detenute, ma, soprattutto, a favorire l'integrazione con la società civile e con il mondo esterno, assicurando condizioni di dignità e decoro ai detenuti ed a quanti, a diverso titolo, sono chiamati ad operarvi.
      Il nuovo complesso di Rovigo potrà essere destinato a svolgere anche la funzione di polo formativo regionale, per gli operatori penitenziari del Triveneto, con un apprezzabile abbattimento dei costi.
      Si sperimenta, in tal modo, un nuovo modello di detenzione, maggiormente adeguato alle esigenze di risocializzazione della pena ed a garantire i diritti fondamentali dell'individuo.

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


      PAGLIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in data 22 aprile 2016 i detenuti della casa circondariale di Rovigo sono stati anzitempo trasferiti nel nuovo istituto penitenziario di Rovigo, nonostante questo fosse ben lungi dall'essere ultimato;
          nonostante le rassicurazioni provenienti dai superiori uffici (P.R.A.P. e altri) circa il fatto che la popolazione detenuta del nuovo istituto penitenziario di Rovigo sarebbe restata invariata fino a quando non fosse stato realizzato un incremento del personale di polizia penitenziaria, da alcuni giorni sono iniziati anche i trasferimenti di detenuti da altri istituti del Triveneto (Verona, Padova, e altri);
          a quanto risulta all'interrogante, per rendere funzionale il nuovo istituto penitenziario di Rovigo entro tempi brevissimi, anziché aspettare i tempi tecnici necessari per l’iter burocratico previsto dalla legge, per l'ammissione dei detenuti già ristretti presso la casa circondariale di Rovigo al lavoro esterno ex articolo 21 dell'ordinamento penitenziario sarebbe stato richiesto l'invio di ben 10 detenuti già in «articolo 21» da altri istituti penitenziari, di fatto non tenendo conto della competenza del magistrato di sorveglianza e dell'area giuridico-pedagogica in merito;
          il predetto trasferimento di 10 detenuti articolo 21 da altri istituti, comporterebbe altresì un ulteriore pregiudizio sia in termini di risorse economiche da sostenere per i relativi trasferimenti, sia in termini di ulteriore incremento del numero della popolazione detenuta del nuovo istituto e quindi, ancora una volta, senza considerare in alcun modo le esigenze del personale di polizia penitenziaria il quale, con queste premesse, in pochissimo tempo si troverà a dover far fronte ad un istituto con una popolazione detenuta più che doppia rispetto al contingente della polizia penitenziaria ivi in servizio  –:
          come intenda intervenire il Ministro interrogato per garantire l'adeguamento della pianta organica della polizia penitenziaria e la sua adeguata riorganizzazione alle intervenute nuove necessità. (4-13279)

      Risposta. — L'interrogazione inerente il nuovo carcere di Rovigo pone in evidenza una realtà carceraria decisamente complessa ed articolata, rispetto alla quale l'impegno dell'amministrazione penitenziaria e l'attenzione del Ministro della giustizia sono stati rivolti nel massimo grado.
      Ciò non soltanto perché il 29 febbraio scorso il nuovo carcere di Rovigo è stato e inaugurato, alla presenza del Ministro della giustizia, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e delle più alte cariche della regione, ma soprattutto perché sono in via di definitiva risoluzione le residue criticità che il varo di una struttura tanto complessa inevitabilmente ha comportato.
      L'opera in questione è stata, difatti, lungamente interessata da operazioni di collaudo statico e tecnico-amministrativo, di competenza del Ministro delle infrastrutture, e soltanto il 31 dicembre 2015 è stata provvisoriamente presa in consegna dall'amministrazione penitenziaria, ancorché priva di utenze, energia elettrica, gas, acqua e telefono.
      Il Ministero della giustizia ha avviato, anche nella fase di provvisoria acquisizione, tutte le iniziative necessarie per favorire la tempestiva funzionalità della struttura, ed anzi per assicurare le esecuzioni di lavorazioni aggiuntive, finalizzate alla sicurezza e alla funzionalità del nuovo istituto, emerse in corso d'opera.
      Tutte le attività realizzate si inseriscono coerentemente, peraltro, nel più ampio progetto di rivisitazione e ridefinizione dell'edilizia penitenziaria, residenziale e di servizio, negli istituti penitenziari del Paese e rientrano nell'ambito dei numerosi interventi, messi in campo nell'ultimo anno, per superare definitivamente la criticità del sovraffollamento attraverso l'adozione di misure strutturali realmente efficaci, come di recente riconosciuto anche da Strasburgo.
      Sono stati, infatti, emanati i decreti ministeriali di chiusura di alcuni istituti con caratteristiche non adeguate al nuovo modello detentivo ed è, altresì, proseguita l'attività istituzionale volta alla riqualificazione e valorizzazione del patrimonio demaniale in uso all'amministrazione penitenziaria, con l'obiettivo di conferire adeguate condizioni di dignità e vivibilità alle persone detenute e agli operatori in carcere.
      In tale contesto, il nuovo carcere di Rovigo si pone come una struttura innovativa, dotata anche delle più moderne tecnologie necessarie a garantire la sicurezza, che corrisponde ad un'idea evoluta di esecuzione della pena, in linea con i lavori degli stati generali dell'esecuzione penale.
      Il nuovo istituto conserverà la vocazione di casa circondariale, con annessa sezione di reclusione, destinata ad accogliere detenuti condannati in via definitiva e con fine pena superiore ai cinque anni, secondo una analisi complessiva delle esigenze del distretto e del rispetto dei vincoli di territorialità.
      Sarà così possibile perseguire l'obiettivo di deflazionare progressivamente gli istituti del Veneto, garantendo più elevati standard di vivibilità alla popolazione detenuta, che potrà usufruire di ampi spazi per attività trattamentali e risocializzanti. La situazione relativa al sovraffollamento, segnalata dagli interroganti, appare, peraltro, già in fase di miglioramento: a fronte della nuova capienza di 1.839 posti, risultano, difatti, presenti 2.144 detenuti, a fronte dei 2235 detenuti nell'ottobre dello scorso anno.
      Il carcere di Rovigo è, difatti, entrato effettivamente in funzione nel mese di aprile, ospitando i 27 detenuti già assegnati alla vecchia struttura ed accogliendo, nel corso del mese di maggio, coloro che, originariamente ristretti a Rovigo, erano stati trasferiti negli istituti di pena limitrofi, dopo la chiusura di parte del vecchio istituto.
      Dopo una prima fase di necessario rodaggio – che ha visto alcuni servizi, quale quello del vitto, dipendere ancora dal vecchio istituto – il nuovo penitenziario di Rovigo ha preso a funzionare in totale autonomia, con contestuale chiusura della vecchia struttura, avvenuta il 22 maggio scorso.
      Con l'assegnazione, alla data dell'8 giugno scorso, di 80 detenuti e la contestuale chiusura della vecchia struttura si persegue, pertanto, l'obiettivo di deflazionare progressivamente gli istituti del Triveneto garantendo più elevati standard di vivibilità alla popolazione detenuta del distretto, che potrà usufruire di ampi spazi per le attività trattamentali e risocializzanti.
      Oltre alle attività già avviate nel vecchio penitenziario, nella nuova struttura la Direzione si propone di realizzare progetti di peculiare rilevanza trattamentale, con particolare attenzione a progetti formativi che garantiscano l'acquisizione di qualifiche professionali, facilmente spendibili all'esterno.
      Alcuni di questi progetti sono stati presentati da enti di formazione accreditati, presenti sul territorio, con i quali la direzione si propone di stipulare protocolli d'intesa finalizzati alla realizzazione di corsi di formazione nel settore dell'agricoltura e di manutenzione del verde, corsi finalizzati all'acquisizione di titoli professionali, realizzazione di laboratori.
      La nuova struttura si presta, pertanto, ad avviare un innovativo percorso risocializzante.
      Il nuovo penitenziario è una struttura architettonica importante, capace di destinare ampi spazi, al chiuso ed all'aperto, non solo – come già ricordato – per l'insediamento di attività produttive in favore delle persone detenute, ma anche di ospitare, in termini residenziali, almeno 20 famiglie di operatori penitenziari negli alloggi allo scopo realizzati, e di offrire residenzialità ad almeno 150 appartenenti al corpo, nella nuova moderna caserma, dotata anche di attrezzature sportive.
      Ad oggi, sono già aperte le sei sezioni detentive e la caserma destinata al personale di polizia penitenziaria, arredati con manufatti prodotti in proprio dagli istituti dotati di lavorazioni industriali.
      Anche le operazioni di trasloco dal vecchio istituto sono state realizzate mediante esclusivo impiego di detenuti ammessi al lavoro esterno e con utilizzazione di automezzi ed attrezzature speciali in dotazione all'amministrazione penitenziaria, con abbattimento dei costi di almeno il 60 per cento.
      Ed è proprio a tal fine che sono stati trasferiti presso il nuovo complesso di Rovigo nove detenuti in regime di articolo 21 dell'OP, provenienti da altri istituti del distretto che, cessate le contingenti esigenze, sono stati ricondotti negli istituti di provenienza.
      Come è inevitabile nel passaggio ad un nuovo modello detentivo, la piena funzionalità della nuova struttura ha evidenziato talune criticità, già risolte o in via di soluzione.
      In particolare, relativamente alla caserma agenti, sono stati resi fruibili circa 100 posti letto e sono stati emanati dal direttore generale del personale e delle risorse del DAP i decreti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  314 del 2006, propedeutici alle procedure di assegnazione degli alloggi collettivi. Nel contempo, sono stati richiesti i fondi per il completamento degli arredi e delle suppellettili.
      Per quanto concerne, inoltre, l'organico di polizia penitenziaria del nuovo istituto, lo stesso è stato, di recente, implementato di ulteriori 12 unità rispetto alle 58 previste con decreto ministeriale del 2013, raggiungendo le 70 presenze.
      Fermo restando che saranno assicurate dalla competente Direzione generale ulteriori dotazioni quando il penitenziario funzionerà a pieno regime, si rappresenta che il Provveditorato regionale ha, di recente, diramato un interpello distrettuale – per n.  10 unità – per contribuire a rafforzare l'organico, sebbene, allo stato, non si registrano particolari situazioni di difficoltà, tanto che il comandante del reparto ha potuto assicurare la piena fruibilità dei diritti soggettivi del personale, comprese le ferie estive, in misura addirittura superiore a quanto contrattualmente previsto.
      In esito all'interpello, la dotazione organica è stata incrementata di 4 unità nel ruolo degli agenti/assistenti, in attesa di nuove assegnazioni che saranno effettuate all'esito di ulteriori procedure selettive.
      Appare doveroso precisare, peraltro, che i numerosi sistemi tecnologici installati nel nuovo plesso (consolle per apertura/chiusura cancelli, interfono in uso ai detenuti, automatizzazioni varie, videosorveglianza attiva in sala operativa, eccetera), unitamente alle disposizioni inerenti l'utilizzo esteso della cosiddetta sorveglianza dinamica, già consentono una gestione razionale ed efficiente dei reparti detentivi, con modalità non praticabili nel vecchio e vetusto plesso.
      Pur attraverso le inevitabili criticità che la destinazione ad uso di una importante opera pubblica comporta, può quindi affermarsi che il nuovo carcere di Rovigo costituisce struttura innovativa, capace di destinare ampi spazi, al chiuso e all'aperto, non solo all'insediamento di attività produttive a favore delle persone detenute, ma, soprattutto, a favorire l'integrazione con la società civile e con il mondo esterno, assicurando condizioni di dignità e decoro ai detenuti ed a quanti, a diverso titolo, sono chiamati ad operarvi.
      Il nuovo complesso di Rovigo potrà essere destinato a svolgere anche la funzione di polo formativo regionale, per gli operatori penitenziari del Triveneto, con un apprezzabile abbattimento dei costi.
      Si sperimenta, in tal modo, un nuovo modello di detenzione, maggiormente adeguato alle esigenze di risocializzazione della pena ed a garantire i diritti fondamentali dell'individuo.

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


      PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'area del SIC/ZPS (Siti di importanza comunitaria/Zone di protezione speciale) Biviere e Macconi di Gela, ricadente nei territori dei comuni di Gela, Niscemi e Butera in provincia di Caltanissetta, è stata dichiarata con delibera del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990 «area ad elevato rischio di crisi ambientale»;
          con decreto del Presidente della Repubblica del 17 gennaio 1995 è stato approvato il piano di risanamento, finalizzato alla riduzione ed eliminazione dei fenomeni di squilibrio ambientale;
          lo studio conoscitivo del piano aveva già evidenziato tra le principali fonti di inquinamento delle componenti ambientali, oltre agli insediamenti industriali del petrolchimico, anche la produzione agricola intensiva sotto serra;
          alla data odierna quasi nulla di quanto previsto dal piano di risanamento risulta essere stato attuato;
          in particolare, si deve segnalare il mancato avvio del processo di bonifica da parte di ENI nonché i gravi ritardi da parte della regione siciliana nell'adempiere alle misure di propria competenza;
          nell'area è attivo da ottobre 2012 il progetto «Life11 NAT/IT/000232- Leopoldia», finalizzato al ripristino del sistema dunale per la tutela della Leopoldia gussonei, una specie vegetale presente esclusivamente nelle aree del golfo di Gela;
          i risultati conseguiti dal progetto «Life Leopoldia» rendono ancora più incomprensibile il mancato utilizzo dei fondi previsti dal citato piano di risanamento ambientale del territorio della provincia di Caltanissetta (decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1995);
          il menzionato progetto Life ha richiesto interventi strutturali per la tutela e il ripristino delle aree interessate; in particolare, viene richiesto:
              il trasferimento dei demani statali situati nelle aree dunali di Macconi di Gela, attualmente occupati abusivamente o in concessione a serricoltori, al dipartimento regionale ambiente — demanio marittimo, per assicurarne la tutela e proteggere la linea di costa;
              l'approvazione del piano di gestione del SIC/ZPS Biviere di Gela;
              l'intervento del Dipartimento regionale rifiuti, per risolvere lo straordinario inquinamento di materiali plastici nella zona;
              l'attribuzione della scheda G «Biviere di Gela» del piano di risanamento, attribuita genericamente alla regione siciliana, all'ente gestore del Biviere di Gela, che da anni persegue gli obiettivi del piano di risanamento senza, però, averne, i fondi;
          l'ufficio piano di risanamento (dipartimento regionale ambiente — servizio VI), interpellato attraverso riunioni informali e tavoli tecnici interdipartimentali (29 luglio 2015-21 ottobre 2015), sostiene di non avere le risorse umane necessarie per l'aggiornamento del piano e che, in ogni caso, è necessario un decreto dell'assessore regionale;
          la Lipu Ente gestore, ha quindi richiesto ufficialmente l'attribuzione della titolarità della scheda per procedere all'aggiornamento e attuazione ma, dopo diversi mesi, a quanto consta all'interrogante non è riuscita ad ottenere una risposta né un appuntamento con il dirigente generale o l'assessore regionale;
          il decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1995 prevede il controllo da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sulle misure realizzate in attuazione degli obiettivi del piano di risanamento;
          non appare oltremodo rinviabile l'attuazione del piano di risanamento nel suo complesso, tanto per i significativi danni recati alla salute di chi vive nel territorio interessato quanto per consentire un'ipotesi di recupero anche a fini turistici e uno sviluppo economico e fruizione sostenibile dell'area  –:
          quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per promuovere l'attuazione delle misure previste nel piano di risanamento;
          in che modo e con quali risultati il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia svolto il compito di vigilanza e monitoraggio, assegnato dal decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1995;
          se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per avviare il programma di risanamento dell'area indicata nella parte di competenza di Eni.
(4-11515)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche ambientali concernenti l'area SIC/ZPS Biviere e Macconi di Gela, sulla base degli elementi forniti dalla competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela dei territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      Con delibera del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990 è stata dichiarata «Area di elevato rischio di crisi ambientale» quella costituita dai territori dei comuni di Gela, Butera e Niscemi, in provincia di Caltanissetta, per un'estensione complessiva di circa 671 chilometri quadrati e comprendente aree pubbliche e aree di soggetti privati.
      Con successivo decreto del Presidente della Repubblica del 17 gennaio 1995 è stato approvato il «Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Caltanissetta», i cui obiettivi fondamentali sono mirati, a livello generale, ad un miglioramento della qualità ambientale per le componenti atmosferica, idrica e del suolo, ad un contenimento del rischio per la sicurezza della popolazione derivante dalla presenza del Polo Petrolchimico, al risanamento ed eliminazione di situazioni specifiche di inquinamento del suolo, all'ottimizzazione dell'uso delle risorse, comprese quelle di natura paesaggistica, ed alla loro salvaguardia. A tal fine, sono stati individuati macro-obiettivi.
      Il 10 gennaio 2000, con decreto del Ministro dell'ambiente, è stato perimetrato il sito di interesse nazionale di Gela che ricade totalmente nel territorio del comune di Gela (CL) e che, per una parte, coincide con la richiamata «Area di elevato rischio di crisi ambientale».
      All'interno del perimetro del sito di interesse nazionale di Gela è possibile identificare aree sia di competenza di soggetti privati che di competenza pubblica. L'area privata, ricadente all'interno del perimetro del sito, ha un'estensione complessiva di circa 4,7 chilometri quadrati, mentre le superfici a mare sono pari a circa 46 chilometri quadrati.
      In merito ai procedimenti di bonifica delle aree, sia pubbliche che private, ricadenti all'interno della perimetrazione del sito di interesse nazionale di Gela, si evidenzia quanto segue.
      Il Ministero dell'ambiente, attraverso le conferenze di servizi, cui partecipano i soggetti pubblici e privati, esamina gli elaborati e i progetti delle aree ricomprese nel sito di interesse nazionale. Inoltre, indice incontri tecnici con le aziende, gli enti e le amministrazioni competenti, al fine di accelerare i procedimenti di bonifica.
      A tale proposito, si segnala che, a titolo collaborativo e di supporto alla regione siciliana, nel corso dell'ultima Conferenza di servizi del 18 febbraio 2016, sono stati esaminati anche i documenti relativi ad aree fuori il sito di interesse nazionale per i quali la titolarità dei relativi i procedimenti, ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n.  152 del 2006, appartiene alla regione medesima.
      Per il sito di interesse nazionale di Gela ad oggi si sono tenute in totale n.  27 conferenze di servizi istruttorie e n.  19 conferenze di servizi decisorie.
      Si rappresenta, inoltre, che la regione siciliana sta concludendo la proposta definitiva per la ridefinizione del perimetro del sito di interesse nazionale.
      In merito allo stato di attuazione degli interventi di caratterizzazione e bonifica per le aree comprese nel sito di interesse nazionale (in percentuale rispetto all'estensione del sito di interesse nazionale) si segnala che:
          il 99 per cento delle aree sono state caratterizzate (suoli e acque di falda);
          l'11 per cento delle aree hanno progetti di messa in sicurezza/bonifica dei terreni approvati;
          il 54 per cento delle aree hanno progetti di messa in sicurezza/bonifica delle acque di falda approvati.

      Sono stati emanati n.  14 decreti di approvazione e autorizzazione provvisoria di avvio dei lavori di progetti di bonifica suoli c/o acque di falda, che hanno riguardato n.  8 aree. E stato, inoltre, approvato un progetto di dragaggio dell'area portuale marino costiera.
      Per quanto riguarda, nello specifico, la citata area del Biviere, ricompresa nella perimetrazione del sito di interesse nazionale di Gela, si evidenzia che il piano di caratterizzazione dell'area (terreni, sedimenti lacustri e fluviali e acque di falda) è stato approvato nella conferenza di servizi del 18 dicembre 2005 e le attività, che si sono svolte tra gennaio e luglio 2012, sono state già validate dall'Arpa di Caltanissetta nel 2013.
      Al riguardo, si evidenzia altresì che la conferenza di servizi del 18 febbraio 2016 ha chiesto alla regione siciliana la trasmissione della relazione tecnica finale delle attività svolte nell'area del biviere di Gela, già validate da Arpa; e la relativa proposta di intervento, a tutti i soggetti pubblici partecipanti alla medesima Conferenza.
      Recentemente, la competente direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque (Sta) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha sollecitato la regione a trasmettere la predetta documentazione.
      Con riferimento alla Lipu ente gestore, si precisa che la stessa viene regolarmente invitata e partecipa alle conferenze di servizi istruttorie del sito di interesse nazionale di Gela, che si svolgono presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
      Inoltre, in via di ordine generale, si segnala che, in data 6 novembre 2014, è stato stipulato un protocollo di intesa tra raffineria di Gela Spa (e altre società del gruppo Eni), il Ministero dello sviluppo economico, la regione siciliana, il comune di Gela, confindustria Sicilia e le organizzazioni sindacali territoriali, e nel quale la raffineria di Gela si è impegnata a rendere disponibili aree interne al petrolchimico, strutture ed
utilities. Lo scopo è quello di favorire la realizzazione di progetti di terzi, che siano compatibili con gli obiettivi del protocollo stesso. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non rientra, comunque, tra i soggetti sottoscrittori del citato protocollo.
      Per quanto riguarda le specifiche aree di competenza di Eni, ricadenti nella perimetrazione del sito di interesse nazionale di Gela, e lo stato di attuazione degli interventi relativamente ai procedimenti di bonifica, si fa presente che la conferenza di servizi del 18 febbraio 2016 ha esaminato alcuni documenti tra i quali, l'analisi di rischio dei terreni della raffineria di Gela e delle aree Syndial e Isaf; la valutazione in merito all'efficienza idraulica ed efficacia idrochimica dei sistemi di contenimento delle acque sotterranee (monitoraggi 2014) dello stabilimento multisocietario nonché il progetto operativo di bonifica suoli isola 10 e 14 trasmesso da Versalis.
      Con riferimento all'analisi di rischio dei terreni della raffineria di Gela, si evidenzia che questa è stata oggetto di valutazione istruttoria da parte di Ispra, Iss e Aia Sicilia. L'azienda si è impegnata a trasmettere una revisione del documento Analisi di Rischio in modalità diretta dell'intera raffineria, con l'attivazione dei percorsi di inalazione dalla falda, sulla base delle osservazioni formulate da Ispra, Iss e Arpa.
      La citata conferenza di servizi, come già detto, ha esaminato anche il documento valutazione in merito all'efficienza idraulica ed efficacia idrochimica dei sistemi di contenimento delle acque sotterranee (monitoraggi 2014), contenente le risultanze delle campagne di monitoraggio delle acque sotterranee, condotte nel 2014, nelle aree dello stabilimento multisocietario di Gela e le valutazioni in merito all'efficienza idraulica e l'efficacia idrochimica dei sistemi di emungimento realizzati nell'ambito del progetto di bonifica delle acque di falda approvato. Successivamente, in data 24 marzo 2016, si è tenuto, sul punto, un incontro tecnico presso il Ministero dell'ambiente, al termine del quale l'azienda si è impegnata a trasmettere un documento sulle misure di prevenzione delle aree e a concordare con l'Arpa Sicilia un sopralluogo per l'individuazione delle sorgenti primarie di contaminazione.
      In merito al Progetto operativo di bonifica suoli isola 10 e 14, trasmesso da Versalis (ex Polimeri Europa), si segnala che lo stesso è stato ritenuto approvabile dalla conferenza di servizi del 18 febbraio 2016 nel rispetto di una serie di prescrizioni. La medesima conferenza di servizi ha chiesto alla regione siciliana di esprimersi in merito alla verifica di assoggettabilità a Via delle opere previste dal progetto, ai fini del perfezionamento del decreto di approvazione. Sullo stesso progetto, con nota del 22 marzo 2016, la direzione generale Sta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto alla regione siciliana di confermare quanto comunicato dall'azienda, ossia che gli interventi non sono sottoposti a Via. Si è in attesa di riscontro da parte della regione. La menzionata conferenza di servizi del 18 febbraio 2016 ha, infine, esaminato le analisi di rischio dei terreni delle aree Syndial e Isaf – per le quali la stessa conferenza ha chiesto alle aziende la descrizione delle misure di prevenzione adottate per impedire la diffusione della contaminazione e garantire l'assenza di rischi sanitari per i fruitori dell'area –, nonché, sulle suddette aree, una proposta di intervento e la rielaborazione dell'analisi di rischio sulla base delle prescrizioni formulate da Ispra. Recentemente, la società Syndial ha trasmesso il documento relativo alle aree di propria competenza, sul quale è stato chiesto il parere degli enti e istituti scientifici.
      Alla luce delle informazioni esposte, ed al fine di monitorare la messa in sicurezza del sito in parola, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      PALAZZOTTO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          l'avvocato Dominic Gentile ricopre l'incarico di console onorario italiano a Las Vegas, Stato del Nevada, USA;
          tale incarico è ricoperto dall'avvocato Gentile dal 26 novembre 2013;
          il consolato italiano a Las Vegas opera sotto il coordinamento del consolato generale d'Italia di Los Angeles;
          in data 2 aprile 2016 il settimanale L'Espresso ospita un'inchiesta a firma del giornalista Fabrizio Gatti relativa a sospette operazioni finanziarie nel territorio di Las Vegas e dello stato del Nevada effettuate da cittadini italiani già noti alle cronache giudiziarie;
          nello stesso articolo Gatti dà conto delle attività private del console onorario in Las Vegas, riportando circostanziati elementi;
          in particolare, emerge come il console onorario Gentile abbia patrocinato la difesa in alcuni casi di omicidio, conclusi con la condanna degli imputati, ottenendo come pagamento dell'onorario i servizi del «Palomino club», noto locale di strep-tease nella città di Las Vegas;
          dall'inchiesta di Gatti sembra emergere un notevole giro di affari che vede coinvolti cittadini italiani già al centro di attività investigativa da parte della FBI e della guardia di finanza;
          andrebbe escluso il rischio che, visto il ruolo e la funzione, l'attività amministrativa del consolato italiano a Las Vegas possa essere interessata dalle attività economiche e finanziarie descritte nell'articolo;
          appare in ogni modo singolare che l'attività dei numerosi cittadini italiani in Nevada non sia stata, a quanto risulta, segnalata adeguatamente dal consolato;
          in identica maniera i rapporti comprovati tra il console onorario e il comandante della polizia metropolitana di Las Vegas, che pare non adeguatamente attenta al fenomeno specificato in narrativa, danno adito secondo l'interrogante a possibili conflitti di interesse e sembrerebbero alludere ad una possibile sottovalutazione del fenomeno stesso  –:
          se non ritenga che, per quanto riportato in premessa, sussistano elementi tali da ritenere l'avvocato Gentile inidoneo alle funzioni consolari assegnate e, comunque, alla rappresentanza derivante dall'ufficio di console onorario d'Italia;
          se, alla luce delle rivelazioni contenute nell'articolo del settimanale l'Espresso, non si ravveda la necessità di un'attenta opera di valutazione sull'operato del consolato italiano a Las Vegas;
          se e di che natura sia stata l'opera di verifica e controllo da parte del consolato generale di Los Angeles nei confronti dell'operato del consolato dipendente di Las Vegas. (4-12964)

      Risposta. — Si precisa innanzitutto che il signor Gentile non è più titolare dell'ufficio consolare onorario di Las Vegas. Il 25 marzo 2016 egli ha infatti cessato dall'incarico per il raggiungimento dei limiti anagrafici previsti dalla legge.
      La candidatura del signor Gentile all'incarico onorario era stata a suo tempo motivata non solo sulla base del suo qualificato
curriculum vitae – è considerato uno dei più competenti ed apprezzati avvocati a Las Vegas – ma anche in virtù della stima e della reputazione di cui egli gode presso le autorità locali e, soprattutto, la collettività italiana.
      La sua nomina è avvenuta secondo la più rigorosa osservanza delle regole procedurali stabilite dal nostro ordinamento, il conferimento dell'incarico è stato preceduto dalle prescritte verifiche di sicurezza ed affidabilità sul possesso dei requisiti necessari all'esercizio del servizio consolare onorario. Parimenti anche le autorità statunitensi hanno condotto i dovuti accertamenti sul conto dell'avvocato Gentile e solo a seguito delle favorevoli risultanze il dipartimento di Stato di Washington ha comunicato alla nostra ambasciata il nulla osta all'esercizio delle funzioni onorarie (nulla osta che, nel sistema statunitense, si sostanzia nel rilascio della cosiddetta «
consular ID Card».
      In merito alle specifiche accuse mosse da organi di stampa verso il signor Gentile, il consolato generale in Los Angeles – preposto alla sorveglianza delle attività del consolato onorario in Las Vegas – ha fatto stato che il servizio del signor Gentile è sempre stato pienamente corretto e che non è mai stato oggetto di segnalazioni tali da comportare da parte della sede consolare, per quanto di sua competenza, un interessamento della magistratura italiana. Non risulta inoltre che le Autorità statunitensi abbiamo mai trasmesso al consolato generale di Los Angeles comunicazioni su eventuali attività illecite commesse dall'avvocato Gentile. Quest'ultimo, per contro, ha svolto, nel corso del suo mandato di console onorario, un assiduo e proficuo lavoro a favore dei connazionali, contraddistinto da «prontezza di azione ed efficacia».
      Nelle more dell'individuazione e della nomina di un sostituto alla titolarità dell'ufficio onorario, il consolato generale di Los Angeles ha nominato l'avvocato Gentile corrispondente consolare. Si tratta di una consolidata prassi per evitare brusche interruzioni nelle attività di assistenza ai connazionali nelle circoscrizione di riferimento. L'incarico di Corrispondente consolare ha peraltro una portata nettamente più limitata rispetto alla titolarità dell'ufficio consolare onorario, trattandosi di un istituto non direttamente previsto dal diritto internazionale e privo quindi di qualsiasi rilevanza sul piano esterno. Il corrispondente consolare, infatti, non può rilasciare atti consolari di alcun tipo, non avendo poteri di firma. Svolge più che altro una funzione di collaborazione e «antenna» verso l'ufficio consolare da cui dipende, eseguendo i compiti di volta in volta affidatigli.
      Sulla base di quanto sopra, non si ritiene di dover assumere iniziative in merito alle funzioni svolte dall'avvocato Dominic Gentile.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Vincenzo Amendola.


      PANNARALE, PALAZZOTTO e SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          notizie di stampa riferiscono che un docente dell'università di Messina, Dario Tomasello, al concorso per l'abilitazione in letteratura italiana contemporanea ha esibito testi che in verità si sono rivelati copiati da un altro autore;
          chi ambiva a conseguire l'abilitazione erano il dottor Dario Tomasello, associato dal 2006 presso l'università di Messina, e il dottor Giuseppe Fontanella anch'esso associato presso lo stesso ateneo;
          il dottor Dario Tomasello risulterà essere il vincitore del concorso del 2013;
          a seguito del mancato superamento del concorso da parte del dottor Giuseppe Fontanella, lo stesso ha voluto vedere gli elaborati del dottor Dario Tomasello e, con estrema sorpresa ha constatato che nei lavori del dottor Tomasello vi erano «non solo i pensieri ma le parole stesse di Amoroso» e a seguito di controllo «c'erano pagine e pagine non ispirate ma riprese da questo o quel libro con il copia incolla. Senza virgolette e citazione dei testi originali»;
          la nomina del dottor Dario Tomasello come ordinario a Messina fu sospesa e il rettore, Pietro Navarra, inviò tutta la documentazione al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e alla procura della Repubblica di Milano competente perché la commissione e le prove del concorso si svolsero nella città meneghina;
          giorni fa al rettore dell'università di Messina veniva recapitata una lettera del direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Daniele Livon, in cui si afferma che: «...visionata la documentazione la commissione (che lodava il vincitore anche per i contributi originali) ritiene di non dover modificare il giudizio di abilitazione già reso nei riguardi del professor Tomasello»  –:
          se il Ministro sia a conoscenza della vicenda narrata in premessa;
          se non si ritenga opportuno avviare un'attività ispettiva del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per far piena luce su quanto illustrato in premessa e, comunque, se non si intendano assumere iniziative per sospendere in maniera cautelativa il giudizio di abilitazione confermato dallo stesso direttore generale del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Daniele Livon, alla luce di quelle che sembrerebbero evidenti pratiche di plagio di opere altrui, in questo caso del professor Giuseppe Amoroso, che di fatto alterano l'originalità dei lavori presentati dal dottor Tomasello per l'abilitazione a ordinario in letteratura italiana contemporanea. (4-11994)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in epigrafe si evidenzia preliminarmente che, ai sensi della legge n.  240 del 2010 e dei relativi regolamenti attuativi (decreto del Presidente della Repubblica n.  222/2011 e decreto ministeriale n.  76/2012), il ruolo attribuito al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in materia di procedure per il conferimento dell'abilitazione scientifica nazionale (ASN) concerne l'indizione della procedura, la formazione delle commissioni e la pubblicazione degli atti, previa verifica della regolarità formale degli stessi. Conseguentemente, l'amministrazione non può sostituirsi alla Commissione giudicatrice nelle valutazioni tecniche e di merito.
      Tutto ciò posto, si riferiscono di seguito i passaggi intervenuti nella vicenda specifica segnalata con l'atto in oggetto.
      Il Ministero, informato dall'università degli studi di Messina della segnalazione sull'asserito plagio pervenuta da parte di un professore associato dell'Ateneo messinese in vista dell'apertura delle procedure di reclutamento per un posto di professore ordinario nel settore di Letteratura contemporanea, e al contempo per le vie brevi informato che della vicenda in oggetto era stata investita anche la procura della Repubblica di Milano, allo scopo di verificare quanto rappresentato nella documentazione inviata, avviava un'istruttoria tesa ad accertare la sussistenza e la rilevanza del presunto plagio.
      A tal fine informava, con nota direttoriale del 16 ottobre 2015, la commissione dell'abilitazione scientifica nazionale (ASN) che, nella tornata del 2012, ha conferito l'abilitazione al professore accusato di plagio, invitandola a verificare il contenuto della segnalazione.
      In considerazione delle difficoltà riscontrate nel far pervenire alla Commissione la copiosa documentazione, la competente direzione generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sollecitava il Presidente a recarsi presso la stessa per prenderne visione.
      All'esito dell'incontro con il presidente, la medesima direzione generale, con ulteriore nota del 16 dicembre 2015, invitava nuovamente la commissione a riunirsi.
      La Commissione quindi si riuniva presso il Ministero in data 21 dicembre 2015 e, preso atto della documentazione, concordava all'unanimità che, avendo concluso i lavori relativi all'ASN ed essendo decorso il termine di validità biennale della stessa, non poteva rivedere il proprio giudizio sul candidato, né doveva rivederlo, atteso che la valutazione per il conferimento dell'abilitazione doveva riguardare la rilevanza scientifica delle opere dello stesso. Alla luce di questo, la commissione riteneva, altresì, di non poter prendere una posizione sulla sussistenza del plagio.
      All'esito di quanto riferito dalla commissione giudicatrice, pertanto, l'amministrazione, informava, con nota del 30 dicembre 2015, il rettore dell'università degli studi di Messina in ordine alla impossibilità di addivenire a una modifica del giudizio di abilitazione già reso nei riguardi del professore accusato di plagio ed espressamente formulava riserva di adire le autorità preposte per il seguito di competenza.
      Atteso quanto sopra, si rappresenta che l'amministrazione, coerentemente con quanto si era riservata di fare, ha rinvenuto la necessità di acquisire un parere tecnico sulla sussistenza del plagio e pertanto ha proceduto, con decreto direttoriale n.  219 del 2016, alla nomina di un'apposita Commissione tecnico-scientifica incaricata di esaminare le opere oggetto di segnalazione. Ciò al fine di ottenere un'autorevole posizione tecnica sulla rilevanza e sulla sussistenza del plagio e in considerazione del fatto che questa tipologia d'indagine non può essere svolta dalla competente direzione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca senza l'ausilio di un organo dotato delle necessarie competenze tecniche.
      Infatti, va evidenziato che la legge n.  240 del 2010 ed i relativi regolamenti attuativi (decreto del Presidente della Repubblica 222/2011 e decreto ministeriale 76/2012) relativi all'ASN conferiscono al Ministero, per il tramite della Direzione generale competente, precisi e specifici compiti. In particolare, il ruolo attribuito dalla normativa si riferisce alla indizione della procedura, alla formazione della Commissione e alla pubblicazione degli atti previa verifica della regolarità formale degli stessi. Inoltre, l'Amministrazione non può sostituirsi alla commissione giudicatrice nelle valutazioni tecniche e di merito e che, fino all'accertamento del presunto plagio, non può adottare alcun provvedimento.
      La citata commissione tecnico-scientifica si è riunita alla fine di febbraio 2016 concludendo le proprie valutazioni che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha proceduto a trasferire alle competenti autorità giudiziarie per l'eventuale accertamento di possibili profili di illiceità che dovessero emergere dai fatti descritti, riservandosi, altresì, ulteriori atti che si ravvisassero opportuni rispetto agli ulteriori profili di interesse della sopra descritta vicenda.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      PANNARALE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          la Puglia è la prima regione produttrice di ciliegie in Italia con una media di circa 400-500 mila quintali l'anno, su una superficie coltivata di circa 20 mila ettari (circa il 40 per cento della produzione cerasicola italiana);
          la produzione regionale pugliese, risulta concentrata nella provincia di Bari che da sola concorre per il 96 per cento circa alla produzione totale regionale con le sue 47 mila tonnellate prodotte ogni anno; infatti, quella di Bari è la prima provincia italiana per la produzione di ciliegie, raccogliendo oltre il 34 per cento della produzione nazionale, questa è concentrata in circa 17 mila ettari;
          circa il 70 per cento della produzione provinciale di ciliegie, si realizza nella zona del sud-est barese che interessa i comuni di Conversano, Turi, Sammichele, Castellana Grotte, Putignano, Noci, Alberobello, Casamassima, Acquaviva delle Fonti e Gioia del Colle;
          in molti di questi comuni, l'economia agricola si basa proprio sulla coltura della ciliegia che rappresenta una voce rilevante del prodotto interno lordo di questo territorio infatti ben oltre il 40 per cento del territorio agricolo di questo comprensorio è rappresentato da impianti cerasicoli (ISTAT 2010);
          le temperature verificatesi questo inverno, classificato come il più caldo di sempre a livello climatologico, facendo registrare una temperatura media sulla superficie della terra e degli oceani, addirittura superiore di 1,13 gradi rispetto alla media del ventesimo secolo, hanno fatto sentire i loro effetti anche nella zona del sud-est barese, privando le piante di ciliegio di quei valori bassi (freddi invernali) indispensabili per la successiva formazione dei frutti, condizione necessaria per tutte le Drupacee (pesco, susino, albicocco, ciliegio e mandorlo) al cui gruppo la coltura del ciliegio appartiene, condizione naturale che quando non è rispettata a causa di temperature elevate nei mesi invernali (gennaio-febbraio) ha come conseguenza un calo drastico della produzione;
          questo fenomeno climatologico eccezionale (alte temperature invernali) abbinato al calo del 22 per cento delle precipitazioni registrate nei mesi da gennaio ad aprile del 2016 ha sconvolto le coltivazioni di ciliegio, riducendo in modo significativo (anche oltre il 60 per cento) la produzione delle varietà precoci di ciliegio nel comprensorio del sud-est barese, questo sia per mancata allegagione (formazione) dei frutti sia per la mancata invaiatura (crescita e colorazione) e successiva maturazione degli stessi, rendendoli così non commerciabili;
          a questo fenomeno si sono aggiunti i gravi danni provocati dagli eventi calamitosi quali piogge torrenziali e grandinate di portata eccezionale associate ai cali repentini delle temperature sino a toccare valori invernali, verificatesi nel mese di maggio che non hanno lasciato scampo «all'oro rosso» di Puglia, azzerando quasi del tutto la futura maturazione e commercializzazione delle varietà medio-tardive, tra cui la pregiata «Ferrovia di Turi», produzione tipica e di alta qualità della provincia di Bari, un frutto molto delicato destinato esclusivamente al consumo fresco in Italia e, principalmente all'estero; per questa destinazione le drupe devono essere mantenute integre nella pezzatura, nella compattezza e nel sapore, tutte caratteristiche compromesse da questa ondata di clima anomalo che ha reso i frutti deformi, piccoli, insipidi, spaccandoli ed esponendoli così a successivi attacchi da parte di patogeni vegetali, tutte cause queste che rischiano di mettere sul lastrico l'intera economia di un comprensorio, oltre a compromettere in modo definitivo la produzione futura di quella che viene definita una eccellenza del made in Italy;
          risulta all'interrogante che il 13 maggio 2016, a firma del sindaco del comune di Turi, è stata recapitata all'assessorato regionale all'agricoltura, la richiesta di attivazione dello stato di calamità per i mancati freddi invernali e la conseguente mancata allegagione dei ciliegi e delle drupacee in generale. È importante sottolineare come nel documento non sia stato menzionato nessun altro tipo di evento calamitoso (come, per esempio, le piogge prolungate ed il conseguente cracking) che avrebbero meglio descritto la serie di eventi climatici che ha coinvolto il comprensorio del sud-est barese e i reali da i provocati e sofferti dagli operatori del settore;
          il 17 maggio 2016 l'assessorato alla agricoltura ha inviato il suo perito il quale ha riscontrato la mancata allegagione di ben oltre il 60 per cento del prodotto cerasicolo  –:
          quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda porre in essere per far fronte alla drammatica situazione del comparto cerasicolo del sud-est barese illustrata in premessa;
          se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Governo non intenda assumere iniziative per procedere alla dichiarazione dello stato di calamità naturale per il territorio interessato verificando con maggiore certezza e puntualità la reale portata dei danni subiti dagli operatori del settore. (4-13351)

      Risposta. — In merito alle problematiche di natura mercantile segnalate, faccio presente che il comparto degli ortofrutticoli, ciliegie comprese, è sostenuto attraverso l'incentivazione dell'associazionismo quale strumento per affrontare insieme e meglio le problematiche del mercato e le eventuali crisi che si dovessero presentare.
      Nello specifico, la regolamentazione europea, completata da disposizioni attuative nazionali, prevede il finanziamento di programmi di attività, attuate da organizzazioni di produttori riconosciute, attraverso aiuti da parte dell'Unione europea, per una quota generalmente pari al 50 per cento, che per taluni interventi, può raggiungere il 100 per cento per la realizzazione di azioni finalizzate a incrementare e salvaguardare la qualità dei prodotti, migliorare le condizioni di commercializzazione, promuovere i prodotti e prevenire e gestire crisi di mercato.
      Tra gli interventi finanziabili, segnalo gli apprestamenti per la difesa da grandine e pioggia (reti di protezione) come strumento di prevenzione delle conseguenze negative derivanti da situazioni meteorologiche avverse.
      Faccio presente, tuttavia, che la potenzialità nell'utilizzo degli interventi in favore dei produttori agricoli è strettamente connessa alla capacità di aggregazione dei medesimi che nelle regioni meridionali, tra le quali la Puglia, risulta essere ancora relativamente bassa.
      Per quanto concerne invece, le iniziative destinata al riconoscimento dello stato di calamità naturale nei territori ricadenti nella provincia di Bari, ove si sono verificati danni alle piantagioni di ciliegie, faccio presente che sono in via completamento e integrazione gli adempimenti della competente regione Puglia.
      Una volta pervenuti al Ministero tutti gli elementi richiesti dalla norma si dovrà tenere conto anche delle limitazioni relative alle produzioni agricole assicurabili per il rischio grandine ed eccesso di pioggia, escluse ora dalla risarcibilità.
      Il Ministero riconferma la piena collaborazione con la regione per acquisire gli elementi richiesti dalla legge e provvedere rapidamente all'istruttoria di competenza per l'eventuale emissione del decreto di declaratoria.
      In tal senso, potranno essere attivate le misure compensative a favore delle imprese agricole tra cui contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno della produzione lorda vendibile ordinaria, prestiti ad ammortamenti quinquennali per le maggiori esigenze di produzione aziendali nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo, proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso e l'esonero parziale (fino al 50 per cento) dal pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali propri e dei propri dipendenti.
      Con l'occasione, ricordo che gli interventi previsti dal citato decreto legislativo, per il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali possono essere attivati a condizione che il danno sulla produzione lorda vendibile risulti superiore al 30 per cento ed esclusivamente per le avversità e le colture danneggiate non comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi le cui polizze sono agevolate da un contributo statale fino al 65 per cento della spesa premi sostenuta.
      Vorrei tuttavia segnalare che gli strumenti
ex ante, come quello assicurativo, si sono dimostrati nel corso del tempo nettamente più efficaci rispetto agli interventi compensativi assicurando, infatti, oltre 7 miliardi di euro di produzione lorda vendibile agricola.
      Peraltro, coloro che sottoscrivono polizze assicurative agevolate, in caso di danno, incassano gli indennizzi assicurativi in tempi molto più brevi e in misura più adeguata alle perdite subite rispetto agli interventi compensativi.
      In merito alle problematiche di natura mercantile, segnalo che il comparto degli ortofrutticoli, ciliegie comprese, è sostenuto attraverso l'incentivazione dell'associazionismo quale strumento per affrontare insieme e meglio le problematiche del mercato e le eventuali crisi che si dovessero presentare.
      Nello specifico, la regolamentazione europea, completata da disposizioni attuative nazionali, prevede il finanziamento di programmi di attività, attuate da organizzazioni di produttori riconosciute, attraverso aiuti da patite dell'Unione europea, per una quota generalmente pari al 50 per cento, che per taluni interventi, può raggiungere il 100 per cento, per la realizzazione di azioni finalizzate a incrementare e salvaguardare la qualità dei prodotti, migliorare le condizioni di commercializzazione, promuovere i prodotti e prevenire e gestire crisi di mercato.
      Tra gli interventi finanziabili, segnalo gli apprestamenti per la difesa da grandine e pioggia (reti di protezione) come strumento di prevenzione delle conseguenze negative derivanti da situazioni meteorologiche avverse.
      Faccio presente, tuttavia, che la potenzialità nell'utilizzo degli interventi in favore dei produttori agricoli è strettamente connessa alla capacità di aggregazione dei medesimi che nelle regioni meridionali, tra le quali la Puglia, risulta essere ancora relativamente bassa.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


      PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la Commissione europea ha deferito l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea per violazione degli articoli 3 e 4 della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane. Tra gli inadempienti imputati al nostro Paese si riporta la mancata dotazione per molte città italiane – tra queste Crotone – di reti fognarie idonee a raccogliere e convogliare la totalità delle acque reflue urbane oltre ad aver disatteso la prescrizione di sottoporre gli scarichi ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente;
          nell'ambito della programmazione straordinaria del dipartimento finalizzata al superamento delle procedure di infrazione comunitaria (programma stralcio straordinario di interventi inseriti nel piano nazionale per il sud), nella seduta del CIPE del 30 aprile 2012, sono stati deliberati 16 interventi d'area, ritenuti prioritari nel settore ambientale della depurazione delle acque reflue urbane, per circa 218 milioni di euro, di cui 160 milioni di euro di quota pubblica;
          l'ottimizzazione e completamento dello schema depurativo dell'agglomerato di Crotone – è uno degli interventi cantierabili di cui all'allegato 1 – Accordo di Programma Quadro Depurazione delle Acque – con un costo di intervento di 2 milioni di euro. L'ATO di Crotone ha individuato il soggetto gestore dell'intervento nella società in house SOAKRO S.p.A e sono stati previsti da 65 a 90 giorni per lo svolgimento della gara e aggiudicazione, 360 giorni per la realizzazione dell'intervento e 90 giorni per la sua entrata in funzione. Ritenuto necessario un intervento finalizzato alla realizzazione di un by-pass dei liquami all'impianto di depurazione (linea biologica) già realizzato presso il nucleo industriale di Crotone con la conseguente demolizione dell'attuale impianto di depurazione ubicato nell'area urbanizzata si è programmato il ripristino funzionale del collettamento dei reflui fognari prodotti nella città di Crotone all'impianto di depurazione comunale sito in loc. Papaniciaro, e la piattaforma depurativa del Consorzio di sviluppo industriale di Crotone, situata in località Passovecchio;
          il depuratore di Crotone da circa un anno è sostanzialmente «bloccato» e non depura nulla. La gravissima situazione finanziaria della società SOAKRO spa, oggi fallita, che gestiva l'ambito territoriale ottimale della provincia di Crotone (ATO 3), ha impedito una corretta gestione degli impianti di tutta la provincia;
          in aggiunta a tutto ciò occorre considerare che il dipartimento provinciale Arpacal di Crotone, per tutto il 2015, non ha effettuato nessun tipo di controllo, a causa di un depotenziamento della sede, causato dal trasferimento presso altre sedi del personale assunto su Crotone (15 unità);
          gli impianti di depurazione a fanghi attivi, come sono tutti quelli della provincia di Crotone, producono un eccesso di fanghi che devono essere rimossi dagli impianti. Questi fanghi sono rifiuti speciali, che devono essere smaltiti in discarica con costi che oscillano mediamente tra 120-150 euro/tonnellate oltre Iva. Solo l'impianto di Crotone produce circa 20 tonnellate di fanghi di supero al giorno (umidità 25 per cento), che dovrebbero essere rimossi, per assicurare un equilibrio tra carico inquinante in ingresso e un'attività biologica corretta. Questi fanghi se non sono rimossi «bloccano» un impianto;
          gli impianti di Crotone sono obsoleti e sottodimensionati. Senza scendere nei dettagli tecnici, si può sintetizzare la carenza del depuratore nei seguenti punti:
              a) gli impianti sono sottodimensionati per numero di abitanti equivalenti, ciò significa che teoricamente dovrebbero essere trattati liquami per 72.000 AE, mentre in realtà arriva un carico inquinante di almeno 87.360 AE;
              b) il carico inquinante unitario considerato negli anni ’80, quando sono stati fatti lavori di ammodernamento agli impianti, è notevolmente inferiore a quello reale che andrebbe considerato (BOD5 specifico applicato: 30 g/abitante * giorno – BOD5 – specifico da normativa: 60 g/abitante * giorno);
              c) le vasche di denitrificazione del comparto biologico dovrebbero avere un volume di reazione pari a 3.830 metri cubi, mentre il volume delle vasche attuali è di 1.005 metri cubi; questo implica che la denitrificazione, per avvenire in queste condizioni, necessita di rapporti di riciclo elevati, cioè occorre far ritornare nell'impianto un volume grande di reflui, invece di farli uscire, con conseguente maggiorazione dei costi energetici;
              d) la produzione dei fanghi di supero giornaliera è il triplo di quella prevista, cioè 3.493 chilogrammi di sostanza secca invece di 1.264 chilogrammi, che con un grado di umidità di circa il 18 per cento, corrisponde a una produzione di rifiuti di circa 20 tonnellate/giorno, con un costo di 2.400 euro/giorno;
              e) gli impianti sono dotati di una linea di trattamento fanghi (digestione anaerobica) che avrebbe permesso una considerevole riduzione dei fanghi (35-40 per cento) e un loro recupero energetico, peccato non sia mai entrata in funzione;
              f) i fanghi prodotti in queste condizioni, dopo un semplice passaggio alla nastro pressa, non hanno nemmeno le caratteristiche per essere smaltiti in discarica tal quali, perché non hanno un contenuto di residuo secco di almeno il 25 per cento; ciò obbliga a considerare lo stoccaggio dei fanghi nei letti di essiccamento per consentire un abbattimento dell'umidità, oppure si dovrebbero ulteriormente trattare con un trattamento chimico fisico, ad esempio l'aggiunta di calce viva, e un ulteriore aumento dei costi;
          nelle scorse settimane tutti i reflui di Crotone by-passando il depuratore sono confluiti direttamente nel fiume Esaro. Non è che le cose siano cambiate di molto, perché con il depuratore «bloccato» sostanzialmente i reflui non subivano nessuna depurazione e venivano scaricati nel torrente Papaniciaro, il quale dopo poche centinaia di metri riversavano comunque nel fiume Esaro. L'impatto visivo è però notevole. Lo scarico fognario cittadino sotto gli occhi di tutti  –:
          quali siano stati i lavori sinora realizzati per l'ottimizzazione dello schema depurativo dell'agglomerato di Crotone a fronte dei 2 milioni di euro destinati e quali siano i lavori restanti per il suo effettivo completamento;
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto denunciato in premessa, quale sia il loro orientamento e se non ritengano di dover promuovere una verifica del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di monitorare livelli di inquinamento marini e torrentizi;
          se intendano promuovere per il tramite dell'Istituto superiore di sanità un'approfondita indagine epidemiologica per valutare e qualificare gli effetti dell'inquinamento del fiume Esaro sulla salute dei cittadini;
          se non si ritenga opportuno avviare dei controlli più stringenti sulla gestione degli impianti di depurazione sul territorio italiano, a fronte dei numerosi illeciti portati alla luce in questi anni dai carabinieri del NOE e dalle altre forze dell'ordine, ipotizzando anche un'iniziativa normativa volta al rafforzamento dei controlli, nell'ambito del sistema delle agenzie per la protezione dell'ambiente.
(4-12338)

      Risposta. — Con riferimento alle questioni poste dall'interrogante, si rappresenta quanto segue.
      È necessario innanzitutto premettere che la depurazione si inserisce nel processo verticale del servizio idrico integrato (S.I.I.) composto appunto da acquedotto, fognatura e depurazione e che la normativa di settore, in particolare l'articolo 149, comma 1, del decreto legislativo n.  152/2006, affida agli enti di Governo d'ambito – in sede di predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito – il compito di condurre determinate attività quali la ricognizione delle infrastrutture, nonché la programmazione degli interventi e la redazione piano economico finanziario.
      La regione Calabria è tra le regioni che ad oggi non hanno ancora provveduto a dare piena attuazione al servizio idrico integrato.
      Tale mancata attuazione comporta l'esistenza di criticità organizzative, gestionali ed infrastrutturali, con grave pregiudizio per il territorio di riferimento e per i cittadini calabresi.
      La corretta gestione del servizio idrico integrato, secondo le norme vigenti, prevede appunto una struttura decisionale locale che fa capo agli enti di Governo d'ambito a cui spetta la scelta del modello organizzativo del S.I.I., la pianificazione degli interventi necessari a fornire un servizio di qualità, la redazione del Piano economico e finanziario della gestione e l'affidamento del servizio ad un gestore unico, oltre che il controllo e la vigilanza sulla gestione.
      Pertanto, per la regione Calabria è fondamentale attuare l'organizzazione del SII per superare un'ormai insostenibile frammentazione gestionale che equivale a carenze infrastrutturali, dispendio eccessivo e fuori controllo di risorse, pianificazione non aggiornata, tariffazione non coerente con la regolazione nazionale.
      Le criticità infrastrutturali nel settore fognario depurativo della, regione Calabria, derivanti soprattutto, come sopra illustrato, dalla mancata attuazione del S.I.I. ha fatto sì che ad oggi 141 agglomerati con carico generato maggiore di 2.000 a.e. sino interessati da contenzioso comunitario (13 agglomerati procedura d'infrazione 2004/2034 — 128 agglomerati Procedura d'infrazione 2014/2059) per mancata conformità dei sistemi fognari e depurativi ai requisiti fissati dalla direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane.
      Particolarmente grave appare la situazione in 13 dei 141 agglomerati in argomento, per i quali la recente lettera di messa in mora del 10 dicembre 2015, emessa dalla Commissione europea nell'ambito della procedura d'infrazione 2004/2034, rende concreto il rischio di applicazione di sanzioni pecuniarie per mancata attuazione della Sentenza del 19 luglio 2012.
      Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a conoscenza delle criticità segnalate, monitora costantemente e con la massima attenzione la situazione ed è impegnato ad intraprendere e portare avanti tutte le azioni di competenza volte alla risoluzione delle problematiche e a sollecitare le regioni per far sì che le stesse pongano in essere tutto quanto necessario per il superamento delle criticità e per il raggiungimento del pieno rispetto della normativa comunitaria e nazionale.
      In particolare, questo Ministero si occupa del riordino del SII disciplinato dall'articolo 3-bis del decreto legge n.  138 del 2011 e dall'articolo 7, dello Sblocca Italia.
      Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 maggio 2015 la regione Calabria è stata diffidata in quanto alla data del 31 dicembre 2014 non aveva ancora provveduto ad individuare l'Ente di Governo d'Ambito, così come stabilito dall'articolo 147, comma 1 del decreto legislativo 152 del 2006.
      Al momento, la regione, sottoposta a monitoraggio continuo da parte degli uffici del Ministero dell'ambiente e dell'Autorità garante per l'energia elettrica ed il gas, sta provvedendo a dare attuazione agli obblighi di cui alla diffida del 14 maggio 2015. In particolare, la regione, con delibera di giunta n.  183 del 12 giugno 2015, ha identificato l'autorità idrica della calabria (AIC) e, contestualmente, proposto al Consiglio regionale il disegno di legge regionale recante «Istituzione dell'ente di governo d'ambito per il servizio idrico integrato – Autorità idrica della Calabria – (AIC)»; con delibera di Giunta n.  256 del 27 luglio 2015 ha disciplinato il funzionamento dell'ente d'ambito. Fino all'effettivo insediamento degli organi dell'autorità, la gestione ordinaria è affidata al dirigente generale del dipartimento regionale infrastrutture, il quale, con provvedimenti 11097 e 1198 del 15 ottobre 2015, ha avviato le azioni propedeutiche all'affidamento del S.I.I.. Inoltre, con delibera di Giunta n.  413 del 21 ottobre 2015 la giunta regionale ha approvato lo schema di deliberazione di giunta comunale di adesione dei comuni della Calabria all'Autorità idrica della Calabria da adottarsi entro 15 giorni dalla notifica della medesima delibera 413/2015; con deliberazione 12 novembre 2015, n.  461, la giunta regionale ha approvato l'integrazione al disciplinare di funzionamento dell'AIC; con decreto dirigenziale giunta regionale — dipartimento infrastrutture, lavori pubblici, mobilità del 14 ottobre 2015, n.  1063 sono state avviate le azioni propedeutiche all'affidamento del servizio idrico integrato e la struttura/tecnico operativa dell'UIC è stata demandata alla predisposizione degli atti e all'espletamento degli adempimenti necessari all'affidamento.
      Si precisano di seguito le iniziative – di carattere economico e legislativo – adottate da questo Ministero, dal 2012 ad oggi, per fronteggiare le criticità e dare impulso alle Regioni, tra cui anche la Regione Calabria, per accelerare gli interventi di messa a norma degli agglomerati. Infatti, con la delibera Cipe n.  60 del 30 aprile 2012 sono stati assegnati oltre un miliardo e 643 milioni di euro per finanziare 183 interventi – individuati dalle Regioni e ritenuti dalle stesse prioritari – nel settore idrico e volta a risolvere le situazioni di maggiore criticità nel Sud (Basilicata – Calabria – Campania — Puglia – Sardegna — Sicilia) del Paese.
      In particolare per la regione Calabria sono stati assegnati circa 160 milioni di euro per 16 interventi finalizzati a risolvere le criticità in 15 agglomerati – 13 dei quali interessati dalla citata procedura d'infrazione 2004/2034 – e nei Comuni della fascia costiera vibonese.
      Si è costituita presso il Ministero dell'ambiente un'unità tecnica specialistica e, così come previsto dall'accordo di programma quadro rafforzato, siglato con la Regione in data 5 marzo 2013, tutti gli interventi in argomento sono stati esaminati dalla struttura sopra citata per una verifica dell'efficacia e dell'efficienza delle elaborazioni progettuali presentate rispetto al vincolo di conseguire l'obiettivo ossia la risoluzione del contenzioso comunitario.
      Sulla base di quanto comunicato dalla regione Calabria a gennaio del 2016 i 13 agglomerati oggetto della procedura d'infrazione 2004/2034 dovrebbero raggiungere la conformità ai requisiti della direttiva 91/271/CEE entro il 2018/2019.
      Nel mese di gennaio e febbraio 2016 si sono svolte due riunioni tra la competente Direzione generale del Ministero e la regione Calabria per una verifica della situazione e le maggiori criticità emerse sono il ritardo nell'avvio degli interventi in argomento, l'assenza di una programmazione certa per tutte le altre situazioni di non conformità – riferimento ai 128 agglomerati interessati dalla procedura d'infrazione 2014/2059 – e la mancanza di campionamenti che le regioni devono eseguire periodicamente agli scarichi degli impianti per verificare della conformità dei reflui ai limiti stabiliti dalla normativa nazionale e comunitaria in materia.
      Al fine di accelerare la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione in ordine all'applicazione della direttiva 91/271/CE, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha attivato la Procedura di Commissariamento prevista dall'articolo 7, comma 7, del decreto legge 12 settembre 2014, n.  133, convertito con legge 11 novembre 2014, n.  164.
      Tale procedura ha portato alla nomina di appositi commissari straordinari.
      In particolare, per la regione Calabria sono stati commissariati 5 interventi, a servizio di 11 agglomerati, per un importo pari a euro 27,3 milioni.
      Per tutti gli interventi sopra citati, il Commissario straordinario è il direttore generale della regione Calabria — dipartimento ambiente e territorio.
      Per la città di Crotone, agglomerato interessato dalla procedura d'infrazione 2004/2034 ed oggetto specifico dell'interrogazione in argomento, si rappresenta che:
          1.    la già citata delibera Cipe 60 del 2012 ha finanziato l'intervento – codice ID 33461 – «Ato 3 Crotone — Ottimizzazione e completamento dello schema depurativo dell'agglomerato di Crotone»;
          2.    il già citato accordo di programma quadro rafforzato ha individuato il comune di Crotone quale soggetto attuatore dell'intervento;
          3.    l'intervento in argomento – ID 33461 – rientra tra i 5 interventi commissariati (articolo 7, comma 7, decreto-legge 12 settembre 2014, n.  133) sopra citati;
          4.    in data 4 aprile 2016 apposita convenzione attuativa è stata stipulata tra il Commissario straordinario e Sogesid S.p.A.;
          5.    con ordinanza del commissario straordinario (n.  3 del 19 aprile 2016) l'ing. Pizzo Giovanni interno alla Sogesid s.p.a. è stato nominato RUP ex articolo 10 del decreto legislativo 163 del 2006.

      Infine, con riferimento al sistema dei controlli, nel ribadire la competenza specifica che, in materia di controlli agli scarichi, la normativa nazionale assegna agli enti locali e rimandando a quanto già sopra dettagliato in merito alla carenza di controlli che fino ad oggi ha caratterizzato la regione Calabria, si riporta, di seguito, quanto comunicato dalla Regione alla competente Direzione generale del Ministero in data 11 aprile 2016: «Sì informa che la regione Calabria, nelle more della piena operatività dell'ente di gestione dell'ATO regionale e conseguente affidamento del Servigio al gestore unico ex articolo 149-bis del decreto legislativo 152 del 2006 e ss.mm.ii., sta predisponendo, in concerto con l'ARPA regionale, un progetto finalizzato al monitoraggio in continuo della qualità degli effluenti, da attuarsi tramite la medesima Agenzia. Tale progetto prevede la riattivazione delle stagioni di campionamento attualmente dismesse, nonché la realizzazione di nuove centraline, allo scopo di coprire l'intero territorio regionale, con la periodicità e frequenta richieste in conformità alla normativa nazionale e comunitaria».
      Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio anche al fine di valutare il coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      PARENTELA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          se la giustizia in Italia è lenta non è solo per l'eccessivo numero di leggi e per «l'elefantiaco» sistema giudiziario, ma vi è un problema apparentemente meno importante: la mancanza di personale. Gli uffici giudiziari sono, infatti, probabilmente il comparto pubblico che ha più buchi di organico: le stime parlano di 9 mila dipendenti «mancanti». Negli ultimi anni molti degli archivisti, commessi, impiegati che mancano nei tribunali sono stati rimpiazzati da «precari della giustizia», non solo giovani laureandi o neolaureati ma anche lavoratori cassa integrati o in mobilità, utilizzati come «tirocinanti»;
          la prima regione a pubblicare il bando, nel 2010, per un'opportunità di lavoro e formazione on the job è stata la regione Lazio che erogava 300 euro al mese di compenso da aggiungere all'indennità di disoccupazione e mobilità o alle spettanze della cassa integrazione. Nel tempo, poi, si è assistito al proliferare di bandi regionali e provinciali lungo l'intera penisola visto il prezioso contributo dei «tirocinanti» per la macchina giudiziaria. Quella che viene descritta come un'opportunità in realtà, in molti casi, è una scelta obbligata in quanto il rifiuto «alla partecipazione all'iniziativa comporta il decadimento dai trattamenti previdenziali legati alla mobilità»;
          con la legge di stabilità per il 2013, la n.  228 del 2012, la questione tirocinanti diventa di competenza del Ministero della giustizia: nell'articolo 1, comma 25, lettera c), della legge si stabilisce, infatti, la ripartizione delle spese che per il solo anno 2013 consente «ai lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e ai disoccupati e inoccupati che a partire dall'anno 2010 hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari, il completamento del percorso formativo entro il 31 dicembre 2013, nel limite di spesa di 7,5 milioni di euro»;
          con decreto 20 ottobre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  257 del 4 novembre 2015, viene indetta una «procedura di selezione di 1502 tirocinanti ai fini dello svolgimento, da parte di coloro che hanno svolto il periodo di perfezionamento di cui all'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111, di un ulteriore periodo di perfezionamento della durata di dodici mesi». Con provvedimento del 3 novembre 2015 del direttore generale del personale e formazione dell'organizzazione giudiziaria, vengono indicati, poi, termini e modalità per la presentazione della domanda di partecipazione;
          su tutto il territorio nazionale i tirocinanti presenti sono 2600, quindi con la sopracitata procedura di selezione ne restano esclusi 1100. Altro problema, non di poco conto, è la disomogenea distribuzione dei posti nelle varie regioni d'Italia: nelle regioni come il Trentino dove non vi sono tirocinanti i posti disponibili sono 43, mentre, in Calabria, dove i tirocinanti sono ben 670, i posti messi a disposizione sono soltanto 23. Ciò comporta che un calabrese si trova costretto a fare domanda anche in regioni del Nord, dove avrebbe maggiori probabilità di essere chiamato per poi dover lavorare e sopravvivere un anno a 400 euro lordi al mese, lontano da casa;
          ad oggi, la prima selezione è stata fatta e, le graduatorie, a livello nazionale, pubblicate: su 1502 posti a concorso la copertura è stata di 1182 unità. L'articolo 12 del decreto ministeriale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 novembre 2015 dispone che «i posti non assegnati all'esito della procedura di selezione di cui al presente decreto costituiranno oggetto di una nuova procedura disposta con successivo decreto»  –:
          se sia nelle intenzioni del Governo provvedere celermente, con apposito decreto, all'indizione di una nuova procedura per la copertura dei posti non assegnati, al termine della procedura indetta con decreto 20 ottobre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  257 del 4 novembre 2015, e se, al contempo, non si ritenga opportuno che vengano redistribuiti i posti vacanti nelle regioni con un maggior numero di tirocinanti come nel caso della Calabria citato nelle premesse.
(4-13287)

      Risposta. — L'interrogante chiede informazioni in ordine alle iniziative finalizzate alla stabilizzazione dei cosiddetti tirocinanti, da tempo impiegati, a vario titolo, presso gli uffici giudiziari, ed il cui status era, da tempo, in attesa di definizione.
      La ricerca di strumenti organizzativi a supporto degli uffici è stata una delle priorità del mio mandato e, in questa prospettiva, sono state, per la prima volta, rese disponibili risorse per assicurare staff di assistenza al magistrato.
      Nel delineato contesto ed al fine di risolvere una questione ormai stagnatasi a seguito di una serie di proroghe normative, si è ritenuto di poter inserire in un percorso professionalizzante anche coloro che stavano già effettuando gli stage presso le cancellerie, prevedendo – con il decreto-legge n.  83 del luglio 2015 – che tali soggetti possano partecipare, all'esito di una adeguata selezione e per un periodo di dodici mesi, all'ufficio per il processo, attribuendo loro, altresì, una borsa di studio mensile di 400 euro.
      Con successivo decreto interministeriale è stata, pertanto, indetta la procedura di selezione di 1.500 tirocinanti, all'esito della quale sono stati assegnati 1.231 posti a quanti si sono classificati in posizione utile nelle graduatorie; di questi, tuttavia, solo 1.115 si sono presentati effettivamente presso gli uffici di destinazione per sottoscrivere il progetto formativo.
      Alla luce di quanto premesso, mi preme sottolineare come non già di «precariato della giustizia» – come, ormai, viene definito tale fenomeno – si tratti, bensì di lavoratori già in mobilità, o in stato di disoccupazione, rispetto a lavori in precedenza svolti in altri settori.
      Si tratta, pertanto, di una realtà sociale certamente da considerare ed alla quale il Ministero della giustizia ha, con senso di responsabilità, riservato grande attenzione, prevedendo non una mera proroga dei tirocini già svolti, come in precedenza avvenuto, bensì un vero e proprio percorso professionalizzante, di durata maggiore rispetto ai precedenti e, soprattutto, con un riconoscimento finale.
      Lo svolgimento del tirocinio costituisce, infatti, titolo preferenziale nell'ambito di tutte le procedure concorsuali indette dalla Pubblica amministrazione.
      La migliore risposta ai tirocinanti che, certamente, sono stati una risorsa per gli uffici giudiziari, va dunque cercata non in soluzioni transitorie – peraltro, allo stato, non percorribili a normativa vigente – ma in risposte che determinano la crescita di professionalità per una seria prospettiva di reinserimento nel mondo del lavoro.
      L'emendamento al decreto-legge sul processo amministrativo telematico, approvato il 12 luglio scorso dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati, opera in questa prospettiva, prevedendo nuove assunzioni nel Ministero della giustizia attraverso una procedura in cui, certamente, i tirocinanti potranno spendere il titolo e, soprattutto, le competenze acquisite.
Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


      PES. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sebbene l'uso dell'amianto, dichiarato cancerogeno dalla comunità scientifica internazionale già negli anni Sessanta, sia stato vietato nel nostro Paese con la legge n.  257 del 1992), la sua pericolosa eredità rimane tuttora, soprattutto a causa del lungo periodo di latenza delle malattie asbesto-correlate, in particolare del mesotelioma, uno dei tumori più aggressivi: passano perfino 40-45 anni tra l'inizio dell'esposizione all'amianto e il momento in cui si manifesta la malattia;
          in Sardegna, la provincia di Oristano è stata la zona di maggior concentrazione di fabbriche per la lavorazione dell'amianto, la Sarda, gruppo Eternit in città e la Cèma sarda a Marrubiu, che producevano manufatti di cemento-amianto e derivati, sono state dismesse nei primi anni degli anni 90’, ma fino a tale data il minerale è stato largamente utilizzato non solo nelle strutture industriali, commerciali e zootecniche, ma anche nelle abitazioni e nelle strutture pubbliche quali asili, scuole, palestre, tribunali, ospedali e condutture idriche ad uso agricolo e potabile;
          i cittadini di Oristano, tra cui alcuni ex lavoratori delle fabbriche citate, si sono costituiti in Associazione denunciando gli effetti nocivi causati all'esposizione diretta e indiretta del minerale e chiedendo finanziamenti finalizzati e adeguati alla bonifica dei siti inquinati, più controlli sanitari e riconoscimenti più ampi, estesi anche ai familiari dei lavoratori che sono stati a contatto con l'amianto e agli abitanti dei centri vicini alle fabbriche;
          la consistenza fibrosa dell'amianto rilascia nell'aria fibre inalabili che possono causare gravi danni, principalmente all'apparato respiratorio, ma, come ricordato, l'incubazione della malattia può essere lunghissima, secondo l'Istituto superiore della sanità, il picco di mortalità per amianto potrebbe avvenire dal 2015 e 2020, o perfino nel 2040 e non colpisce solo gli ex lavoratori, ma anche i loro familiari, o i cittadini che vivono nelle vicinanze dei territori inquinati e quindi l'emergenza amianto non è finita con la chiusura delle fabbriche;
          per portare a compimento la lotta contro l'amianto occorre urgentemente bonificare il territorio, dopo aver realizzato una puntuale mappatura della presenza del minerale e dei suoi derivati nel suolo e nell'ambiente e individuato le discariche specializzate in cui saranno trasferite le fibre tossiche, dopo averle «resinate», ossia fuse  –:
          se nel piano settennale di bonifica dei siti inquinati dall'Eternit, annunciato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, siano previsti fondi di bonifica per la Sardegna e in particolare per Oristano dove era presente la fabbrica Sardit, gruppo Eternit;
          attraverso quali misure saranno individuati in modo inequivocabile i siti da bonificare;
          se le misure adottate per Casale Monferrato potranno essere estese anche alla Sardegna, in particolare ad Oristano, in considerazione del fatto che, alla pari di altri territori nazionali, la città ancora piange le vittime dell'amianto il cui numero potrebbe aumentare. (4-07050)

      Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      Il decreto ministeriale n.  101 del 18 marzo 2003, concernente «Regolamento per la realizzazione di una mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenta di amianto, ai sensi dell'articolo 20 della legge 23 marzo 2001, n.  93», ha fissato le regole per la realizzazione della mappatura in parola.
      Tale decreto prevede che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano effettuino la mappatura dell'amianto sul proprio territorio individuando, in una prima fase, i siti con amianto e, in una seconda fase, quelli maggiormente a rischio.
      Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'amministrazione competente per la raccolta dati sulla mappatura dell'amianto.
      Si fa presente che, fino al 2010, nell'ambito di un'apposita convenzione con questo Ministero, la raccolta dei dati è stata curata dall'Inail e faceva rilevare circa 24.000 siti con presenza di amianto.
      A partire dal 2014, invece, lo stato delle bonifiche dei siti interessati dalla presenza di amianto ed i relativi dati sono stati raccolti, verificati e pubblicati sul sito web www.bonifiche.minambiente.it, sul quale è stata, altresì, pubblicata una mappa relativa allo stato di aggiornamento delle rilevazioni effettuate, che dà la possibilità a tutti i cittadini di valutare l'azione di monitoraggio che le Regioni stanno effettuando.
      La mappatura dei siti d'amianto – aggiornata al novembre 2015 – fa rilevare oltre 44.000 siti.
      Per quanto riguarda i programmi di finanziamento per gli interventi di bonifica, si rappresenta che la legge 23 marzo 2001 n.  93 aveva già previsto uno stanziamento pari a circa 8,9 milioni di euro per la realizzazione di una mappatura completa sul territorio nazionale nonché per la realizzazione degli interventi di bonifica urgente.
      Il 50 per cento di detto importo è stato assegnato e già trasferito alle regioni per la realizzazione della mappatura in questione, mentre il restante 50 per cento è stato trasferito ai soggetti beneficiari degli interventi di bonifica di particolare urgenza.
      Occorre, inoltre, evidenziare, con specifico riferimento agli interventi di bonifica nei siti di interesse nazionale (SIN) contaminati da amianto, che la legge di stabilità 2015 ha previsto, per la prosecuzione delle bonifiche, lo stanziamento di euro 45.000.000,00 per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017, di cui euro 25.000.000,00 annui a favore dei comuni di Casale Monferrato e di Napoli.
      Al fine di dare seguito al sopra citato disposto normativo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto a regioni e comuni ricadenti nei siti di interesse nazionale contaminati, di proporre gli interventi di bonifica da amianto da finanziare a valere sulle risorse in oggetto.
      Ad oggi, ad accezione del comune di Casale Monferrato, si fa presente che nessuno degli altri soggetti beneficiari ha presentato la documentazione sopra citata, necessaria per procedere all'erogazione delle risorse.
      Sempre con riferimento ai programmi di finanziamento per gli interventi di bonifica, si fa presente che il cosiddetto collegato ambientale (articolo 56, legge n.  221 del 28 dicembre 2015) attribuisce, nel limite di spesa di 5,667 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, alle imprese che effettuino nell'anno 2016 interventi di bonifica da amianto su beni e strutture produttive, un credito d'imposta nella misura del 50 per cento delle spese sostenute per i predetti interventi. Le disposizioni per l'attuazione della citata norma sono adottate con apposito decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il cui iter procedurale è in corso.
      Il cosiddetto collegato ambientale prevede, inoltre, l'istituzione, presso il Ministero dell'ambiente, del fondo per la progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica di beni contaminati da amianto, con una dotazione finanziaria di 5,536 milioni di euro per l'anno 2016 e di 6,018 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018. Il funzionamento del Fondo sarà disciplinato con apposito decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individuerà anche i criteri di priorità per la selezione dei progetti da ammettere a finanziamento.
      Tutto ciò premesso, in relazione al caso di specie si rileva quanto segue.
      Con riferimento agli interventi di bonifica di particolare urgenza, il già citato decreto ministeriale 18 marzo 2003, n.  101 ha individuato e finanziato, sulla scorta dei risultati forniti dalla predetta mappatura, le aree che presentano le maggiori criticità e che necessitano, pertanto, di immediata bonifica nell'ambito del territorio nazionale.
      In particolare, nell'ambito di tale finanziamento, alla regione Sardegna sono stati assegnati euro 244.818,20.
      Come si è precedentemente illustrato, il decreto ministeriale in oggetto stabilisce che spetta alle regioni – che si avvalgono degli organismi locali di salvaguardia della salute e dell'ambiente (Arpa e Asl) – la competenza per l'individuazione sul territorio nazionale di situazioni di rischio collegate alla presenza di amianto.
      Si ricorda, infine, che la norma speciale di cui all'articolo 33-bis del decreto ministeriale 12 settembre 2014, n.  133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n.  164, ha stabilito che «Nell'anno 2015 le spese per interventi di bonifica dall'amianto effettuati dal comune di Casale Monferrato nel perimetro del sito di bonifica di interesse nazionale di “Casale Monferrato”, a valere e nei limiti dei trasferimenti erogati nel medesimo anno dalla regione Piemonte, nonché i trasferimenti stessi, sono esclusi dal patto di stabilità interno del medesimo comune».
      Ad ogni modo, si fa presente che, relativamente l'articolo 1, comma 707, della legge n.  208 del 2015 (legge di stabilità 2016) stabilisce che a decorrere dall'anno 2016 cessano di avere applicazione le disposizioni concernenti la disciplina del patto di stabilità interno degli enti locali. Viene però imposto agli enti il pareggio di bilancio nel solo saldo finale di competenza. Pertanto, dal 2016, gli enti locali devono conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali. Per completezza di informazione, si segnala che per l'anno 2016, ai fini del pareggio del bilancio, non sono considerate le spese sostenute dagli enti locali per interventi di bonifica ambientale (comma 716), conseguenti ad attività minerarie, effettuati mediante utilizzo di avanzo di amministrazione e con assunzione di mutui. Riguardo agli interventi di bonifica ambientale, l'esclusione opera nel limite massimo di 20 milioni di euro.
      Della questione è interessato anche il Ministero della salute, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, verranno forniti aggiornamenti.
      Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato, nonché a svolgere una complessiva attività di monitoraggio e di sollecito nei confronti di tutti gli altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      PIAZZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          Roma è stata colpita da un violento e prolungato nubifragio nei primi giorni di febbrai che 2014 ha provocato moltissimi danni nella Valle Galeria. Non solo cantine, ma anche negozi e appartamenti allagati, intere famiglie evacuate, altre isolate in casa;
          i danni sono ingenti proprio perché in una zona come questa, piena di impianti industriali inquinanti, attraversata dal Rio Galeria, che è stato certificato come uno dei corsi d'acqua più inquinati d'Italia e che ora è esondato spargendo i suoi veleni nelle campagne, si è aggiunto l'inquietante allagamento dell'inceneritore dei rifiuti ospedalieri dell'AMA;
          in questo impianto confluiscono, per essere inceneriti i rifiuti di tutti gli ospedali del Lazio: l'allagamento del piazzale dove erano stoccati questi rifiuti ne ha causato la dispersione e anche la rottura;
          i contenitori vengono consegnati ermeticamente sigillati dalle strutture ospedaliere ed è tassativamente vietato aprirli da parte degli operatori dell'impianto, perché possono essere altamente pericolosi e infettivi. Molte immagini apparse sui mezzi di informazione mostrano la rottura di tali contenitori con evidenti striature rosse nell'acqua che fanno pensare a del sangue che sia uscito e si sia sparso, trasportato dall'acqua chissà dove;
          i rifiuti vengono classificati in base all'origine in rifiuti urbani e rifiuti speciali e in base alle loro caratteristiche di pericolosità in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi;
          le autorità locali del corpo di polizia municipale di Roma (Comando XII di Monteverde) hanno posto sotto sequestro penale il 2 febbraio 2014 l'area adibita abusivamente a discarica di rifiuti per violazione dell’ex decreto-legge n.  152 del 2006 per inquinamento di terreno agricolo per fuoriuscita di petrolio in località via di Ponte Malnome;
          questo si aggiunge al già gravissimo stato di inquinamento delle falde acquifere e dell'aria che la zona di Malagrotta da anni affronta in continua emergenza evidenziando un vero e proprio disastro ambientale  –:
          quali iniziative di competenza intenda adottare per valutare il danno all'ambiente e le possibili ricadute sulla popolazione della zona intrecciando tutti i parametri di breve, medio e lungo termine;
          se non intenda reperire mezzi e fondi sufficienti per garantire all'Italia, in tempi brevi, un trattamento efficace ed efficiente del ciclo dei rifiuti, in linea con la normativa europea, specie in questo Paese in cui il territorio rappresenta l'elemento fondamentale per la sua economia, dato che dalla sua tutela dipendono settori strategici quali l'agro-alimentare, il gastronomico, il turistico legato sia alla bellezza paesaggistica che al patrimonio artistico che lo vedono al primo posto nel mondo. (4-03743)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      Dalle informazioni acquisite dai competenti uffici di Roma Capitale risulta che, a seguito dell'evento alluvionale del febbraio 2014, l'agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA) della regione Lazio – congiuntamente con la Polizia di Roma Capitale, i presidenti dei municipi XI e XII e personale della protezione civile – ha effettuato un sopralluogo presso il sito AMA, nel corso del quale i competenti gruppi di polizia locale hanno posto sotto sequestro i terreni esterni agli stabilimenti. A tutela della salute pubblica è stata, contestualmente, emanata l'ordinanza sindacale n.  25 del 6 febbraio 2014 con la quale è stato interdetto l'utilizzo dei pozzi d'acqua per l'irrigazione agricola e per l'abbeveraggio del bestiame sino al ripristino delle condizioni ordinarie.
      Relativamente alla dispersione di rifiuti sanitari ospedalieri fuoriusciti dall'impianto AMA di Ponte Malnome, si rappresenta che il dipartimento tutela ambientale di Roma Capitale ha convocato la Conferenza dei Servizi finalizzata all'approvazione ex, decreto legislativo n.  152/2006 e legge regionale Lazio n.  27/1998 del «Piano di caratterizzazione – Risultati dell'indagine preliminare dell'area adiacente allo stabilimento e successivi aggiornamenti delle indagini sulla dispersione dei rifiuti ospedalieri in località Ponte Malnome» presentato da AMA s.p.a.
      La conferenza dei servizi – valutata la documentazione prodotta da AMA, tenuto conto della relazione dei CTU incaricati dal Giudice nell'ambito del procedimento penale RGNR 11823/2014 e dei pareri espressi dagli enti intervenuti – ha ritenuto esaustive le indagini eseguite dopo la rimozione dei rifiuti, stabilendo che la conclusione del caso dovesse essere formalizzata da AMA s.p.a. mediante l'auto certificazione che, a norma di legge, chiude il procedimento amministrativo di notifica di evento di contaminazione.
      In ordine allo sversamento di prodotti idrocarburici e scarti petroliferi presso la ex Raffineria di Roma s.p.a, ed al possibile inquinamento delle acque di falda, si rende noto che la Società proprietaria ha trasmesso la relazione conclusiva delle attività di messa in sicurezza di emergenza svolte nelle aree interessate dall'evento di contaminazione, allegando una relazione tecnica nella quale si dichiara che, all'esito di campionamenti ed analisi di laboratorio, gli interventi di messa in sicurezza si ritengono conclusi.
      L'Arpa Lazio ha confermato la conformità dei terreni in sito ai limiti tabellari della normativa di settore in accordo alla destinazione urbanistica dell'area.
      Pertanto, all'esito delle operazioni di messa in sicurezza adottate dalle due società e sulla base della relativa documentazione agli atti del dipartimento tutela ambientale di Roma Capitale, è da escludersi la presenza di contaminazione residua dopo l'avvenuta rimozione dei rifiuti sanitari e degli idrocarburi dispersi.
      Inoltre, si fa presente che questa amministrazione, agendo secondo la logica dell'economia circolare, del riciclo e della rigenerazione delle risorse, si sta già da tempo adoperando per colmare i ritardi e le lacune nella gestione dei rifiuti.
      Al riguardo, tra le diverse misure, si ricorda che l'articolo 35, comma 1, del decreto – legge 12 settembre 2014, n.  133 (così detto «decreto Sblocca Italia»), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n.  164, prevede che «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di bollano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale all'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica».
      La finalità del decreto in questione è quella di ridurre il conferimento dei rifiuti in discarica (calcolato ad una percentuale massima del 10 per cento) e di sfruttare al meglio la rete impiantistica nazionale già esistente, delineando una potenziale linea strategica nazionale di medio lungo termine sulla gestione dei rifiuti per gli anni avvenire, in ottemperanza all'obiettivo di ottimizzazione della rete infrastrutturale dedicata al recupero energetico su scala nazionale previsto nell'ambito del «
pacchetto economia circolari».
      Con specifico riferimento alla strategia nazionale delineata dalle disposizioni dei decreti attuativi dello «Sblocca Italia», si rappresenta, inoltre, che questo Ministero ha accolto la richiesta della conferenza Stato-regioni di istituire un comitato, presso la conferenza stessa, per la gestione integrata ed efficiente del ciclo dei rifiuti.
      Tale Comitato avrà funzioni istruttorie, di raccordo e di coordinamento e concorrerà ad ottimizzare l'efficacia del sistema integrato di gestione dei rifiuti e assicurerà il monitoraggio e il coordinamento a livello nazionale per l'attuazione delle politiche di gestione dei rifiuti.
      Alla luce delle informazioni esposte, questo Ministero continuerà a svolgere le attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          le agenzie di stampa hanno riportato nei giorni scorsi l'intenzione del Governo di emanare un decreto relativo all'individuazione di un numero considerevole di nuovo inceneritori/termovalorizzatori da realizzarsi in diverse regioni italiane;
          tali inceneritori verrebbero di fatto imposti alle regioni con un provvedimento che appare all'interrogante pregiudizievole delle stesse competenze in capo alle regioni;
          tra le regioni indicate nel paventato decreto ci sarebbe anche la regione autonoma della Sardegna;
          tale eventualità comporterebbe, a giudizio dell'interrogante, non solo la violazione sostanziale delle prerogative autonomistiche ma anche di quelle ordinarie;
          un nuovo inceneritore in Sardegna potrebbe essere realizzato, secondo l'interrogante, solo con due ipotesi: regione complice o commissariata;
          il piano per gli inceneritori che si starebbe progettando a Palazzo Chigi si può attuare infatti, a giudizio dell'interrogante, solo se la regione è pienamente complice o se viene commissariata;
          le norme sono chiare e le competenze esplicite;
          l'articolo 196 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152 «Norme in materia ambientale» assegna alla regione competenze dirette per la predisposizione, l'adozione e l'aggiornamento dei piani regionali di gestione dei rifiuti e l'approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti, anche pericolosi, e l'autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti;
          se il Governo dovesse adottare un piano comprendente la Sardegna lo farebbe, secondo l'interrogante, in dispregio di tali norme e comunque con la palese complicità del governo regionale;
          in entrambi i casi si tratterebbe, per l'interrogante, di una gravissima lesione delle competenze regionali e soprattutto della presa d'atto di una giunta regionale incapace di difendere e gestire la propria autonomia regionale;
          è fin troppo evidente che in una simile decisione si innescano, secondo l'interrogante, profili di dubbia legittimità costituzionale sia per quanto riguarda la competenza delle regioni, sia per quanto riguarda quella esclusiva delle regioni a statuto speciale;
          è fin troppo evidente che il richiamo all'interesse nazionale, secondo l'interrogante, che il Presidente del Consiglio dei ministri vorrebbe anteporre, a giudizio dell'interrogante, anche sulla scelta di un inceneritore è solo l'anticamera di quella che appare all'interrogante una svolta autoritaria che mira a cancellare le regioni, e soprattutto quelle speciali, per accentrare il tutto sul livello statale, partendo dai rifiuti, passando per le ricerche petrolifere e arrivando allo stoccaggio dei rifiuti nucleari;
          quello preannunciato è un piano fin troppo chiaro a chi ha una visione complessiva dell'agire del Governo che, secondo l'interrogante, norma dopo norma, sta introducendo il principio della supremazia statale su ogni genere di scelta, imponendo un richiamo, che per l'interrogante risulta infondato e autoritario, al supremo interesse nazionale;
          con questo approccio si sta creando un vulnus devastante per la già flebile autonomia speciale della Sardegna;
          respingere questo progetto di nuovo inceneritore è un atto dovuto, secondo l'interrogante, per tre ragioni: per la competenza ambientale della regione, per l'impatto ambientale di un nuovo inceneritore nell'isola, per l'aggressione all'autonomia regionale attraverso la clausola dell'interesse preminente nazionale;
          se il Governo andrà avanti in questo piano, che a giudizio dell'interrogante appare scellerato e se la regione asseconderà tale deriva, occorrerà mettere in campo, secondo l'interrogante, un'opposizione dura e serrata senza mezzi termini per bloccare un inceneritore che appare all'interrogante una violazione del principio autonomistico senza precedenti;
          si tratterebbe, secondo l'interrogante, di un'operazione legata al circuito dei produttori di inceneritori e alla vasta lobby politica che sostiene tale processo;
          il popolo sardo non consentirà a nessuno una decisione di questa gravità;
          è inaccettabile, per l'interrogante, che si crei ad arte un interesse, l'ennesimo, di valenza nazionale da imporre sulla Sardegna  –:
          se il Governo intenda realmente approvare un tale decreto;
          se abbia condiviso con la regione Sardegna tale ipotesi;
          su quali basi tecniche e giuridiche il Governo si accingerebbe di assumere iniziative normative in materia;
          se non intenda soprassedere al fine di rispettare il potere delle regioni di pianificare la gestione dei rifiuti e il loro smaltimento. (4-11578)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      L'articolo 35, comma 1 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.  133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n.  164, prevede che «Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica».
      Sulla base di quanto sopra, lo schema di decreto, che verrà adottato in esito alla conclusione del procedimento di verifica di assoggettabilità a VAS ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo n.  152 del 2006, rappresenta la concreta attuazione della normativa comunitaria in tema di gestione dei rifiuti, secondo i criteri sanciti dall'articolo 4 della direttiva quadro (2008/98/CE), con il principale obiettivo di ridurre al minimo le forme di smaltimento in discarica dei rifiuti urbani e assimilati.
      L'obiettivo del legislatore è quello di individuare a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati ed, al contempo, fissare il fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilati.
      Il procedimento di individuazione del fabbisogno residuo di incenerimento è stato condotto tenendo in specifica considerazione ogni singola pianificazione regionale vigente, nonché tutti i dati aggiornati specificamente forniti dalle regioni nel corso delle riunioni a livello tecnico e politico della Conferenza Stato-regioni, in ordine agli obiettivi di riduzione della produzione dei rifiuti in termini quantitativi e sull'ipotesi di raggiungimento dell'obiettivo minimo di raccolta differenziata, pari al 65 per cento in tutte le regioni. Gli impianti, costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale e realizzano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantendo la sicurezza nazionale nell'autosufficienza del ciclo di gestione integrato dei rifiuti, così come richiesto dall'articolo 16 della direttiva 2008/98/CE.
      Per quanto attiene il criterio del riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, l'individuazione delle regioni all'interno delle quali localizzare gli impianti è effettuata sul presupposto che ciascuna macroarea (Nord, Centro, Sud, Sicilia, Sardegna) debba rendersi tendenzialmente autosufficiente nel complessivo ciclo di produzione e gestione dei rifiuti, ivi compresa, naturalmente, l'attività di incenerimento dei rifiuti stessi. L'individuazione del fabbisogno è stata formulata in totale aderenza con i principi della normativa nazionale ed europea, con l'obiettivo inderogabile di creare una rete integrata di impianti che assumono valore strategico ambientale.
      Si fa presente, inoltre, che l'individuazione della capacità attuale di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati in esercizio o autorizzati è stata effettuata sulla scorta dei dati forniti dall'Istituto superiore per la protezione dell'ambiente (ISPRA) e da FederAmbiente. I dati sono stati successivamente aggiornati sulla base delle indicazioni fornite dalle regioni e dalle province autonome e dai gestori degli impianti all'esito delle riunioni tecniche tenutesi presso la segreteria della Conferenza Stato-regioni il 20 marzo 2015 ed il 9 settembre 2015.
      La Conferenza Stato-regioni nella seduta del 20 gennaio 2016 ha espresso parere favorevole sullo schema di decreto ai sensi del citato articolo 35, comma 1 del decreto-legge n.  133 del 2014.
      La regione Sardegna, come già evidenziato, è stata considerata come macroarea a sé stante per le proprie caratteristiche insulari, pertanto, la stessa regione deve raggiungere l'autosufficienza nella gestione e trattamento dei propri rifiuti urbani e assimilati compreso l'incenerimento.
      Inoltre si evidenzia che, a norma dell'articolo 196 del decreto legislativo n.  152 del 2006, rimane incardinato in capo alle regioni il compito di declinare ulteriormente a livello territoriale le scelte strategiche che il Legislatore nazionale ha effettuato.
      La concreta realizzazione delle nuove infrastrutture di incenerimento sarà, pertanto, il risultato delle attività di verifica e di coordinamento a livello regionale, provinciale e locale svolte dalle regioni competenti in sede di aggiornamento degli strumenti di pianificazione esistenti.
      Alla luce delle informazioni esposte, questo Ministero continuerà a svolgere le valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      PLACIDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il decreto ministeriale del 30 dicembre 1987 sanciva l'accordo di programma per la reindustrializzazione della Valbasento;
          a tal fine, nel marzo del 1990, nasceva ufficialmente Tecnoparco (società partecipata dalla regione Basilicata per il tramite del Consorzio industriale di Matera proprietaria del 40 per cento dell'impianto), per i servizi industriali e tecnologici, soggetto deputato cioè alla vendita di servizi reali alle imprese;
          a causa del fallimento del progetto, il consorzio industriale di Matera nel 1996 decideva che Tecnoparco doveva imboccare la strada dello smaltimento di rifiuti liquidi provenienti anche da altre regioni;
          dopo alcune deroghe (rispetto alla prescritta certificazione ambientale), nel 2008 Tecnoparco otteneva la prima autorizzazione integrata ambientale (D.G.R. 1022 del 18 giugno 2008), aggiornata nel 2009 e nel 2010, per smaltire circa 1 milione di metri cubi di reflui annui, oltre a quelli conteggiati come interni;
          in data 6 novembre 2014, veniva inviata una «relazione screening radiometrico c/o Tecnoparco» da pare dall'Agenzia regionale per protezione dell'ambiente della Basilicata (ARPAB) che veniva acquisita al protocollo del comune di Pisticci con numero 0026001;
          nella citata, relazione l'ARPAB afferma che da rilievi effettuati su campioni prelevati da autobotti provenienti dal Centro Oli Val d'Agri di Viggiano (COVA) è stata riscontrata la presenza di radionuclidi 9 volte superiore alla quantità presente nell'acqua potabile e in misura minore tali sostanze sono state rilevate anche nei fanghi depositati negli impianti;
          in particolare, la radioattività rilevata, a detta dell'ARPAB, era dovuta a radionuclidi di tipo alfa;
          in data 14 novembre 2014, l'amministratore delegato di Tecnoparco, Michele Somma, a seguito della diffusione dei dati da parte del comune di Pisticci, dichiarava che «i dati resi noti dall'ARPAB chiariscono che non c’è nessun dato radiologico allarmante»;
          in data 15 novembre 2014 in regione Basilicata si svolgeva un tavolo tecnico per affrontare le problematiche relative allo smaltimento delle acque di strato, presso gli impianti di Tecnoparco di Pisticci Scalo, provenienti dal centro oli di Viggiano;
          all'incontro partecipavano il presidente Marcello Pittella, il comune di Pisticci, il comune di Ferrandina, l'ARPAB, l'assessore regionale all'ambiente Aldo Berlinguer, il dirigente del dipartimento ambiente, i rappresentanti dell'Eni e la Confindustria di Basilicata;
          l'ARPAB, in questa occasione, sosteneva che le quantità e la natura di radionuclidi rilevate non costituiscono pericolo per la salute umana;
          tuttavia, nel corso della riunione emergevano dubbi relativi alle quantità sversate nel tempo e agli effetti prodotti sull'ambiente tanto che la regione ha deciso di chiedere l'intervento dell'Istituto superiore per la ricerca e lo studio ambientale e dell'Istituto superiore della sanità per uno studio approfondito delle variabili che la complessità della situazione richiede. Quindi si aggiornava la riunione a martedì 25 novembre 2014. Nelle more si stabiliva di condurre altre indagini per meglio definire i termini della problematica relativa alle quantità di sostanze radioattive rilevate, con l'ausilio degli organismi citati;
          lo smaltimento dei reflui con presenza di sostanze radioattive avviene in un impianto, quale quello della Tecnoparco, la cui autorizzazione integrata ambientale non è certo che contempli il trattamento di quelle sostanze;
          tale circostanza ha spinto le istituzioni locali a sollevare il problema di quali codici CER escano dal COVA di Viggiano;
          le quantità di acqua cosiddetta di vegetazione sono assolutamente trascurabili, infatti le quantità giornaliere risultanti dall'attività del COVA sono da 10 a 18 chilogrammi per ogni barile di petrolio lavorato e quindi dell'ordine di circa 1.500 tonnellate/giorno;
          in tale acqua, vi sarebbe radioattività dovuta sia ai minerali presenti nella roccia fratturata proveniente dalla crosta terrestre, estratta insieme al petrolio, sia a materiali addizionati nel processo di trivellazione ed estrazione;
          qualora grosse quantità di acqua, trattata in centri non idonei, risultassero contenenti radioisotopi, ciò rappresenterebbe un grave pericolo per l'uomo. Inoltre, concreto è il passaggio di questi radioisotopi nella catena alimentare  –:
          di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa, in particolare se il quantitativo di acqua trattata rappresenti un pericolo per le popolazioni del territorio, per la salute e per la catena alimentare;
          quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità e dell'Istituto superiore per la ricerca e lo studio ambientale, per fare chiarezza sulla situazione e su eventuali rischi per l'uomo e per l'ambiente. (4-06971)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dai competenti enti territoriali, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
      La società Tecnoparco, partecipata dalla regione Basilicata, è nata nel 1990 per fornire servizi industriali e tecnologici alle imprese ma poi è stata riconvertita ed opera oggi prevalentemente nel settore della gestione dei rifiuti.
      La questione relativa alla gestione dei reflui derivanti dal centro oli di Viggiano risulta già nota a questo Dicastero, per via di presunte irregolarità sulle quali sono comunque in corso attività da parte delle autorità inquirenti, che potrebbero fornire ulteriori elementi sulla specifica questione.
      In merito alla radioattività segnalata, risulta che lo
screening radiometrico eseguito dall'Agenzia regionale per la protezione ambientale della regione Basilicata (ARPAB) presso l'impianto, con il quale ha preso via la presente vicenda, è stato trasmesso al Comune di Pisticci, nel cui territorio risulta operativo l'impianto, generando molta preoccupazione nei residenti. Tuttavia sia l'Arpab che Tecnoparco hanno più volte dichiarato che i valori radiometrici effettivamente rilevati sono comunque nella norma per la tipologia di materiali trattati. Risulta, infatti, che i fluidi connati sono caratterizzati da valori di radioattività più elevata rispetto a quelli superficiali sia per ragioni naturali, ovvero dovute alla lunga permanenza con radionuclidi caratterizzanti la roccia serbatoio, che artificiali, dovute invece all'impiego di radionuclidi utilizzati come traccianti nelle operazioni di prospezione e ricerca del giacimento.
      Con riferimento alle prescrizioni contenute nel decreto di autorizzazione dell'impianto Tecnoparco, si fa presente che la titolarità dei procedimenti autorizzatori per la realizzazione e l'esercizio degli impianti di gestione dei rifiuti, è attribuita alle competenti autorità regionali. Tuttavia si ritiene che, anche se i rifiuti sono radioattivi, e non rientrano nella disciplina del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, in quanto tale tipologia di rifiuti ne è formalmente esclusa ai sensi dell'articolo 185 comma 1 lettera
d), l'autorità regionale competente, anche sulla base delle indicazioni fornite da Arpab e dagli enti ed amministrazioni coinvolte in sede di conferenza dei servizi, come stabilito dalla disciplina relativa all'autorizzazione integrata ambientale di cui al titolo III-bis della parte II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152, può valutare le caratteristiche dei rifiuti in ingresso ed in uscita dall'impianto stabilendo e verificando i limiti, a ciò comunque previsti, dalla normativa sulla protezione radiometrica. Tale valutazione potrebbe essere attivata proprio sulla base delle emergenze radiometriche riscontrate, ed essere pertanto svolta anche in una fase successiva di riesame dell'autorizzazione stessa.
      Sull'argomento, secondo gli aggiornamenti forniti dalla regione Basilicata, si fa presente quanto segue:
          in data 25 novembre 2014 si è tenuta una riunione presso il dipartimento ambiente della regione Basilicata, allo scopo di discutere della relazione prodotta da Arpab in merito allo
screening radiometrico effettuato. L'Arpab ha chiarito che non vi sono elementi di preoccupazione, pur ribadendo la necessità di monitorare l'area;
          in data 26 gennaio 2015 si è svolta un'ulteriore riunione presso il medesimo dipartimento, allo scopo di acquisire l'avanzamento delle indagini radiometriche svolte da Arpab e le risultanze della valutazione congiunta con Ispra, i cui rappresentanti erano presenti all'incontro;
          in data 3 marzo 2015 si è tenuto presso il dipartimento Ambiente un nuovo tavolo di confronto sulle tematiche in questione;
          con ordinanza n.  58 del 14 maggio 2015 il sindaco del comune di Pisticci ha ordinato la sospensione immediata per 30 giorni del conferimento dei rifiuti provenienti da estrazioni petrolifere presso l'impianto in parola;
          con ordinanza n.  80 del 5 giugno 2015 il sindaco del comune di Pisticci ha disposto la revoca dell'ordinanza n.  58 del 14 maggio 2015.

      Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi elementi informativi si provvederà a fornire aggiornamenti.
      Per quanto di competenza il Ministero continuerà a tenersi informato, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          da ormai più di un anno Ventimiglia è a centro della questione migranti;
          un anno fa il caso di Ventimiglia era stato al centro dell'attenzione dei media nazionali quando circa 100 migranti avevano occupato gli scogli davanti alla frontiera con la Francia che era stata chiusa;
          la situazione è rimasta sostanzialmente immutata e solo l'apertura di un centro di accoglienza temporaneo gestito dalla Croce Rossa Italiana aveva permesso di gestire la situazione;
          nel corso della sua recente visita a Ventimiglia il Ministro Alfano ha affermato: «vengo qui non per sapere cose che già so, ma per risolvere: abbiamo piano concreti per affrontare a risolvere questa situazione, siamo qui per dire che abbiamo già inviato 60 poliziotti e altrettanti uomini dell'esercito» [fonte: Il SecoloXIX 16 maggio 2016];
          il Ministro ha inoltre spiegato che «c'era una situazione di grave emergenza, ma ora [il centro di accoglienza temporaneo] dev'essere chiuso»;
          il centro di accoglienza è stato chiuso il 10 maggio 2016, da un giorno all'altro, nonostante fornisse assistenza, secondo le stesse dichiarazioni del ministro Alfano, a circa 200 migranti al giorno;
          nessuna misura alternativa è stata messa in atto e il sistema dei centri Sprar non è ancora operativo e in grado di fronteggiare l'emergenza;
          prima e dopo la visita del Ministro Alfano la prefettura di Imperia ha disposto il trasferimento di centinaia di migranti presso altre strutture;
          la CRI di Ventimiglia dichiara inoltre che i migranti sparsi in città sarebbero ancora, ad oggi, tra i 250 e i 300 e che l'emergenza non è finita;
          lungo il torrente Roja nei pressi di via Tenda circa 100 migranti vivono accampati in tende di fortuna, senza nessun tipo di assistenza fornita dallo Stato  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della reale situazione di Ventimiglia e quali misure intenda a questo punto mettere in atto per gestire la situazione, quanto siano costate le operazioni di trasferimento dei migrati di Ventimiglia presso altre strutture e se il Ministro abbia a disposizione numeri precisi dell'emergenza, stime per i prossimi mesi e un quadro completo e dettagliato di quanto è stato fatto finora. (4-13349)

      Risposta. — Con l'interrogazione si chiedono chiarimenti riguardo alla situazione determinatasi al valico di confine italo-francese di ponte San Ludovico a Ventimiglia, in provincia di Imperia, che ha avuto inizio nel mese di giugno 2015 a causa dei flussi di cittadini extracomunitari che, sbarcati in Italia, raggiungevano il citato comune con l'intendimento di proseguire per la Francia e per i paesi del Nord Europa.
      I citati migranti si trovavano nell'impossibilità di conseguire il loro obiettivo a causa della sospensione degli accordi comunitari in materia di libera circolazione delle persone da parte delle autorità francesi.
      Tuttavia, tale contesto non scoraggiava i migranti che restavano a Ventimiglia con la speranza di riuscire ad oltrepassare in qualche modo il confine.
      Al fine di fronteggiare tale emergenza di carattere umanitario, dall'ultima decade di giugno 2015 è stato approntato, d'intesa tra il comune di Ventimiglia e la prefettura di Imperia, un centro di accoglienza temporanea per fornire assistenza ai migranti «in transito».
      Nel corso della scorsa estate sono stati ospitati nella struttura più di quattrocento migranti ed è stata fornita assistenza anche a quei migranti che insieme a esponenti «
No Border» avevano occupato la scogliera della zona di confine tra Italia e Francia.
      L'attività del centro di accoglienza è proseguita fino allo scorso mese di maggio, facendo registrare una media di circa 200 presenze giornaliere, scesi ad un centinaio nel periodo gennaio-marzo 2016. Tutti gli ospiti del centro sono stati regolarmente identificati.
      Con la ripresa dei flussi migratori, nello scorso mese di aprile la prefettura ha pianificato alcuni trasferimenti, presso strutture site nelle altre province liguri, di migranti che avevano formulato istanza per il riconoscimento dello status di rifugiato, per poter utilizzare il campo di Ventimiglia per l'accoglienza temporanea dei migranti «in transito».
      La presenza del centro, tuttavia, è stata fortemente contestata dai residenti della zona, dalle associazioni degli operatori economici, dai comitati spontanei e dalla stessa amministrazione comunale.
      Nel mese di maggio 2016, è stata disposta la chiusura del compendio summenzionato e, fin dai giorni successivi, la prefettura e l'amministrazione comunale, in piena sintonia, hanno elaborato una nuova soluzione per assistere i migranti «in transito».
      È stata, infatti, individuata un'area di proprietà di rete ferroviaria italiana e di prossimo trasferimento al comune, dove verrà attrezzato un campo costituito da moduli abitativi, gestito dalla Croce rossa italiana, che provvederà anche al vitto con apposita cucina da campo.
      All'iniziativa dovrebbero collaborare anche la Caritas ed altre associazioni del volontariato locale per svolgere attività di mediazione culturale a favore dei migranti, in relazione alla quale è già stato chiesto anche l'intervento dell'Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati per la formazione ed il sostegno degli operatori.
      L'area in questione, anche grazie alla massima accelerazione impressa alle complesse procedure del caso, è stata predisposta sotto il profilo degli allacci idrico-fognario-elettrico con interventi effettuati, dopo la pulizia del sito, in pochissimi giorni e, il 6 luglio 2016 è iniziata l'installazione dei primi moduli abitativi.
      Per quanto attiene l'ordinanza adottata dal sindaco di Ventimiglia nei confronti dei migranti che nello scorso mese di maggio avevano costituito una sorta di accampamento spontaneo lungo le rive del fiume Roja, la stessa è stata necessaria a seguito della relazione dell'ASL di Imperia che prospettava rischi igienico sanitari per salute, non solo dei migranti, ma di tutti i cittadini di Ventimiglia.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.


      RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel territorio del quinto municipio di Roma Capitale, nel quartiere Centocelle, è presente l'istituto comprensivo denominato «Via Tor de Schiavi 175», all'interno del quale è sita anche la sede della scuola media statale «G. Massaia»;
          all'interno di tale ultima struttura vi è un immobile residenziale assegnato a coloro che svolgevano il ruolo di custode della scuola come alloggio di servizio;
          nonostante tale servizio non sia più attivo l'immobile risulta ancora assegnato all'ex custode;
          nella serata del 27 giugno 2015 l'ex custode, di anni 84, si è reso responsabile di una violenta aggressione ai danni della vicepreside dell'istituto, la quale è stata ferita gravemente alla gola e al torace con un forcone;
          a seguito di tale aggressione il custode è stato accusato di tentato omicidio e a suo carico sono stati disposti dalle autorità competenti gli arresti domiciliari, da scontare all'interno del plesso scolastico di via di Tor de’ Schiavi;
          i genitori degli alunni ritengono inaccettabile tale decisione ritenendola suscettibile di mettere gravemente a rischio l'incolumità dei bambini e del corpo docente, e per questo il 2 settembre 2015 hanno svolto una manifestazione davanti al plesso scolastico per esprimere il proprio disappunto;
          in data 10 settembre 2015, su richiesta del presidente del consiglio di istituto, si è svolta un'assemblea straordinaria con i genitori degli alunni e alla presenza della dirigente scolastica per discutere della questione;
          il corpo docenti si è rivolto sia alle forze dell'ordine sia ai magistrati che hanno disposto la misura cautelare, chiedendo di rivedere la propria decisione in considerazione della particolare posizione dell'abitazione del soggetto;
          la mancata soluzione della questione rischia di pregiudicare la normale ripresa delle attività scolastiche, perché i genitori si rifiutano di portare a scuola i propri figli se la situazione dovesse rimanere inalterata  –:
          quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere rispetto ai fatti di cui in premessa, al fine di garantire l'incolumità e la sicurezza di alunni e docenti e l'ordinato e regolare svolgimento dell'attività scolastica. (4-10356)

      Risposta. — Con riferimento a quanto rappresentato dall'interrogante con l'interrogazione in esame in merito all'incolumità e la sicurezza di alunni e docenti della scuola media statale «G. Massaia» dell'Istituto comprensivo «Via Tor de Schiavi 175» di Roma, si ritiene opportuno fornire di seguito le informazioni acquisite, per competenza, dal Ministero dell'interno con nota del 16 dicembre 2015.
      In particolare, in seguito all'aggressione avvenuta in data 26 giugno 2015 da parte dell'ex custode della scuola in parola in danno della vice-Preside del citato istituto, il responsabile è stato tratto in arresto.
      Il Tribunale ordinario di Roma, a seguito di istanza presentata dall'ex custode, in data 17 luglio 2015, non essendo risultati ulteriori domicili, ha disposto la sostituzione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari presso l'abitazione del predetto, ubicata al 50 piano dello stabile ove ha sede il suddetto istituto scolastico, il cui accesso avviene attraverso un'entrata in comune con il plesso scolastico mediante una scala collegata ai restanti piani ove sono presenti le aule degli alunni.
      All'inizio dell'anno scolastico 2015/2016, i docenti e i genitori degli alunni hanno manifestato un forte disappunto circa il suddetto provvedimento, esternando le proprie preoccupazioni per l'incolumità dei minori frequentanti la scuola.
      In considerazione di tali proteste, il commissario di pubblica sicurezza «Prenestino», deputato ai controlli della persona sottoposta al regime degli arresti domiciliari, ha inoltrato all'autorità giudiziaria competente una nota informativa rappresentando l'incompatibilità del luogo di detenzione nonché le oggettive difficoltà nel controllo della persona sottoposta a restrizione durante le ore in cui presso l'istituto non si svolge attività didattica.
      Il 16 settembre 2015, in ottemperanza a quanto disposto dal giudice per le indagini preliminari il giorno precedente, l'ex custode, sempre in regime degli arresti domiciliari, è stato trasferito presso il reparto di cardiologia dell'ospedale «Sandro Pertini» al fine di essere sottoposto a visita specialistica.
      In data 14 ottobre 2015, lo stesso è stato trasferito presso una più ideona struttura ricettiva ove tuttora permane, individuata dalla R.s.a. (residenza sanitaria assistenziale) di viale Emilio Longoni che accoglie utenti che necessitano di assistenza sanitaria in regime residenziale.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione dell'articolo 2, comma 2, del decreto del Ministro dell'interno 31 luglio 2015, n.  2394, il capo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha emanato il decreto 3 agosto 2015, n.  100, recante norme per la ripartizione delle dotazioni organiche tra le sedi permanenti dei vigili del fuoco, che ha classificato come «SD3» i distaccamenti provinciali di Ostuni e Francavilla Fontana, del comando di Brindisi, prevedendo per gli stessi una dotazione organica di trentaquattro operativi per sede, da dividere nei diversi turni;
          rispetto alle dotazioni organiche presenti e precedentemente previste il personale delle suddette sedi è stato potenziato, virtualmente, di cinque unità operative a sede, vale a dire una unità per turno, attraverso le procedure di mobilità nazionale dei vigili del fuoco che hanno avuto luogo in gennaio;
          la scelta di potenziare queste sedi trae origine dall'intento di fornire delle risposte più omogenee al territorio in merito a parametri obiettivi, quali i numeri d'intervento di soccorso tecnico urgente, la complessità del territorio per superficie, popolazione, attività industriali, distanze dalla sede centrale ed altro, al fine di offrire un servizio più efficace, efficiente e rispondente alle richieste di soccorso del cittadino;
          in tali territori, infatti, nella maggior parte delle operazioni di soccorso è necessario intervenire con due automezzi, sia che si tratti di incendi, sia che si tratti di allagamenti, e il personale attualmente assegnato alle stazioni potrebbe, quindi, risultare insufficiente, anche considerata la necessità di lasciare qualcuno a presidio delle sedi;
          secondo le indicazioni dello stesso dipartimento l'attuazione delle nuove piante organiche porta ad un risparmio economico rispetto alle sostituzioni nelle sedi distaccate  –:
          se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e se non ritenga di assumere le iniziative necessarie affinché il potenziamento delle piante organiche nelle sedi di cui in premessa sia effettivamente attuato. (4-11387)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede di adottare le necessarie iniziative affinché vengano potenziate le sedi dei distaccamenti di Ostuni e Francavilla Fontana.
      Ai fini dell'inquadramento complessivo della questione sollevata dall'interrogante, si rappresenta preliminarmente che il Ministero dell'interno ha predisposto, a legislazione vigente e con riduzione di spesa, un progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, mirato ad ottimizzare le risorse esistenti e a razionalizzare il funzionamento delle strutture.
      Il progetto, partendo dalle esigenze del territorio, ha ridefinito la mappatura delle sedi (centrali e distaccate), riclassificandole in base ad indicatori riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale.
      L'analisi, effettuata sulla base di dati oggettivi, ha consentito di bilanciare nel miglior modo possibile la distribuzione del personale nei vari comandi provinciali, garantendo le esigenze di sicurezza e tutela di tutti i territori.
      Con decreto del Ministro dell'interno del 30 aprile 2015, n.  103, adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sono state rimodulate, anche sulla base delle intervenute variazioni legislative, le dotazioni organiche di cui alla tabella A allegata al decreto 13 ottobre 2005, n.  217.
      Con successivo decreto del Ministro dell'interno 31 luglio 2015 – menzionato nell'interrogazione – è stata effettuata la ripartizione delle dotazione organiche del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e la revisione complessiva dei distaccamenti, dei reparti e nuclei speciali e dei presidi antincendio presso gli organi costituzionali.
      Infine, con decreto del Capo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco 3 agosto 2015 – anch'esso menzionato nell'interrogazione – si è provveduto, ferma restando la dotazione organica complessiva dei comandi provinciali dei vigili del fuoco, alla ripartizione della dotazione organica del personale operativo non specialista, appartenente al ruolo dei vigili del fuoco e al ruolo dei capi squadra e dei capi reparto, tra i distaccamenti permanenti dei medesimi comandi.
      Si rappresenta, inoltre, che il dispositivo di soccorso dei vigili del fuoco non viene articolato nei territori in maniera rigida, in quanto l'articolo 1, comma 2, del citato decreto del Capo del Corpo nazionale prevede che esso possa essere temporaneamente rimodulato dai comandanti provinciali, responsabili dell'organizzazione dei servizi di soccorso pubblico, in presenza di motivate esigenze territoriali.
      In merito ai distaccamenti di Ostuni e Francavilla Fontana, si osserva che il suddetto progetto li ha riclassificati in SD3, con una dotazione organica teorica di 34 unità cadauno (2 capi reparto, 8 capi squadra, 24 vigili), maggiore di un'unità di personale per turno rispetto alla precedente pianta organica. Ciò in accoglimento di un disegno di riorganizzazione del servizio di soccorso delle sedi operative della provincia, presentato dal comandante dei vigili del fuoco di Brindisi, in accordo con le organizzazioni sindacali.
      Ulteriori potenziamenti potranno essere presi in considerazione solo in presenza di un mirato intervento legislativo che dovrà farsi carico di reperire la necessaria copertura finanziaria.
      A tal proposito, si comunica che questa amministrazione ha avviato un percorso legislativo volto a consentire, mediante la riduzione degli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario, un ulteriore potenziamento di 400 unità di personale operativo, da attingere alle due graduatorie vigenti fino al 31 dicembre 2016.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      REALACCI, PIAZZONI, CHAOUKI e PILOZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          da un articolo de Il Manifesto pubblicato il 16 maggio 2014, ripreso poi dalle pagine online di numerosi quotidiani nazionali, come La Repubblica, si apprende che gli appartenenti alla numerosa comunità indiana dei Sikh impiegati in nero o con contratti stagionali nel lavoro agricolo dell'area pontina verrebbero «dopati» per non sentire fatica e dolore, ovvero per lavorare di più;
          a denunciare lo sfruttamento è infatti un dossier della onlus «InMigrazione», che ha intervistato i braccianti indiani della zona agricola in provincia di Latina. Quella dell'agro pontino è infatti la seconda comunità sikh d'Italia, dopo Novellara (RE). La richiesta di forza-lavoro non qualificata da impiegare come braccianti nella coltivazione delle campagne ha incentivato la migrazione e convinto molti sikh a stabilizzarsi nelle provincia di Latina. Secondo le stime della Cgil, la comunità arriva a contare ufficialmente circa 12 mila persone, anche se è immaginabile un numero complessivo di 30 mila presenze;
          sarebbe stato messo poi in atto un vero e proprio mercato nero di oppiacei e anfetamine, al costo di 10 euro a dose, magari da mescolare al «Chai» il tè dei Sikh; ciò caratterizza un'altra barbara declinazione della già nota schiavitù messa in atto da «caporali» e «padroncini» senza scrupoli;
          quotidianamente nell'agro pontino un esercito silenzioso di uomini si reca a lavorare nei campi, spesso tutti i giorni della settimana e senza pause. Raccolta manuale di ortaggi, semina e piantumazione per 12 ore al giorno filate sotto il sole, chiamando «padrone» il datore di lavoro, subendo vessazioni e violenze di ogni tipo, irrorando nocivi agro-farmaci senza alcuna protezione. Quattro euro l'ora nel migliore dei casi, con pagamenti che ritardano mesi, a volte mai erogati, violenze e percosse, incidenti sul lavoro mai denunciati e «allontanamenti» facili per chi tenta di reagire;
          il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori in agricoltura è purtroppo una piaga storica dura da estirpare nel nostro Paese. Primariamente ha interessato i nostri connazionali e negli ultimi tre decenni gli immigrati regolari e non  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della terribile vicenda sopraddetta e se essa corrisponda al vero;
          quali iniziative urgenti di polizia e di controllo delle condizioni di lavoro nella provincia di Latina, anche per tramite dell'ispettorato provinciale del lavoro, dotato di opportune risorse umane per la verifica, intendano mettere in atto al fine di spezzare questa forma criminale di schiavitù, che non onora l'Italia e le numerose produzioni agroalimentari di qualità della provincia pontina. (4-04854)

      Risposta. — In riferimento all'atto parlamentare in esame, con il quale si richiama l'attenzione del Governo sui fenomeni del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori in agricoltura, con specifico riferimento alla provincia di Latina, anche sulla base delle informazioni fornite dal Ministero dell'interno, si rappresenta quanto segue.
      In via preliminare, occorre evidenziare che il Governo, insieme al Parlamento, è fortemente impegnato a contrastare questo deplorevole fenomeno, anche attraverso il coinvolgimento delle istituzioni nazionali e territoriali, delle associazioni di categoria, nonché delle organizzazioni sindacali e dei cittadini stessi.
      Più in particolare, per quanto di competenza, si rappresenta che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – nell'ambito del documento di programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2015 adottato dalla Commissione centrale di coordinamento (di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n.  124 del 2004) ha pianificato una serie di interventi nel settore agricolo in specifici ambiti regionali, quali Puglia, Campania, Calabria e Basilicata. La vigilanza è stata programmata e svolta in sinergia con altri soggetti istituzionali (Arma dei carabinieri, Aziende sanitarie locali, Corpo forestale dello Stato, Guardia di finanza) al fine di verificare i rapporti di lavoro sotto diversi profili e valutare, tra l'altro, le possibili connessioni con fatti di reato (ad esempio il traffico di esseri umani).
      Nel contesto di tali sinergie interistituzionali promosse dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si rappresenta che è stato stipulato uno specifico protocollo d'intesa con l'Automobile club d'Italia (ACI) al fine di consentire agli ispettori del lavoro di individuare, in tempo reale, il nome del proprietario dei mezzi utilizzati per il trasporto dei lavoratori. Confrontando queste informazioni con le altre raccolte durante le ispezioni o provenienti dalle altre banche dati a disposizione è possibile identificare i cosiddetti caporali.
      I dati dell'attività ispettiva svolta nel 2015 nel settore agricolo mostrano risultati molto positivi sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Sono state effettuate, infatti, 8.662 ispezioni – con un incremento del 59,4 per cento rispetto al 2014 pari a 5.434 ispezioni in più – che hanno consentito di individuare 6.153 lavoratori irregolari, di cui 3.629 in nero, e 180 stranieri privi di permesso di soggiorno. Sono stati accertati, inoltre, 713 casi di interposizione di manodopera/caporalato e 186 violazioni della normativa sull'orario di lavoro. Sono stati, altresì, riqualificati 82 rapporti di lavoro e individuati 35 minori impiegati irregolarmente. Sono stati adottati, infine, 459 provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale.
      Per quanto concerne gli accertamenti nel settore agricolo condotti nella provincia di Latina nel 2015, si rappresenta che sono stati effettuati 84 accessi ispettivi che hanno consentito di individuare: 128 lavoratori irregolari, di cui 102 in nero, nonché 22 casi di interposizione di manodopera/caporalato. Le verifiche condotte hanno mostrato un tasso di irregolarità del 68,5 per cento.
      Anche il documento di programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2016 dedica particolare attenzione al contrasto del lavoro sommerso, ai fenomeni di sfruttamento dei lavoratori nonché al caporalato. In particolare, sono stati pianificati interventi nel settore agricolo in specifici ambiti regionali, quali Puglia (nello specifico le province di Foggia, Taranto e Bari), Campania (in particolare la Piana del Sele e l'Agro Nocerino-Sarnese), Lazio (nello specifico l'Agro Pontino). A tale proposito, al fine di rafforzare l'efficacia dell'attività ispettiva, anche in vista dell'approssimarsi della stagione estiva, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha organizzato apposite
task-force ispettive.
      Per quanto concerne, invece, l'attività investigativa svolta dalla questura di Latina, il Ministero dell'interno ha reso noto che è emersa la diffusione del cosiddetto «Caporalato etnico». Tale fenomeno si è affiancato prepotentemente alle forme tradizionali di sfruttamento del lavoratore e consiste nell'attività di reclutamento dei braccianti stranieri ad opera di propri connazionali che fanno poi da tramite con gli imprenditori agricoli. Su questo fenomeno sono in corso da tempo specifiche attività d'accertamento.
      Per quanto attiene il contrasto ai reati in materia di stupefacenti nell'Agro pontino, il Ministero dell'interno ha reso noto che, nel periodo compreso tra giugno 2014 e giugno 2016, i militari del Comando provinciale Carabinieri e del Nucleo ispettorato del lavoro di Latina hanno tratto in arresto, per «detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti», n.  9 cittadini indiani e sequestrato circa 2,4 kg di «papavero essiccato in capsule». Dalle indagini sin ora condotte, non sono emersi casi di assunzione di sostanze stupefacenti per finalità connesse allo sfruttamento lavorativo dei braccianti indiani. I Carabinieri hanno, inoltre, condotto accertamenti nei confronti di 76 imprese agricole, che hanno consentito di individuare 39 lavoratori «in nero», 23 dei quali indiani, ed hanno adottato sanzioni amministrative per circa 224 mila euro. Da ultimo, il Ministero dell'interno ha reso noto che l'autorità giudiziaria ha delegato l'Arma dei carabinieri allo svolgimento di indagini – tuttora in corso e coperte da segreto istruttorio – atte a verificare possibili ipotesi di sfruttamento di lavoratori stranieri che operano nella suddetta area.
      Com’è noto, il caporalato costituisce, purtroppo, un problema storico del nostro Paese sul quale si è intervenuti ripetutamente e, anche di recente, in termini legislativi. Evidentemente gli avvenimenti, anche tragici, che si apprendono dai media costringono a ritornare su questo argomento, imponendo una riflessione in ordine alle azioni, alle norme ed ai comportamenti più adeguati per far fronte a tale situazione. Il problema, dunque, non va affrontato in maniera emergenziale bensì strutturale perché si ripropone ogni anno con le medesime modalità e nei medesimi territori in relazione alla stagionalità del raccolto.
      Nell'ottica di un rafforzamento delle politiche di contrasto al lavoro irregolare e sommerso in agricoltura, il decreto legge n.  91 del 2014 ha istituito la «rete del lavoro agricolo di qualità», con la quale è stato introdotto un meccanismo che premia, con un minor carico di controlli, le imprese che si contraddistinguono per regolarità nei vari ambiti dell'attività da esse svolte. Alla «rete del lavoro agricolo di qualità» sovraintende una cabina di regia che ha il compito di: deliberare sulle istanze di partecipazione; redigere e aggiornare l'elenco delle imprese che partecipano alla rete; escludere quelle che perdono i requisiti: formulare proposte al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in materia di lavoro e di legislazione sociale nel settore agricolo.
      Si evidenzia, altresì, che con il decreto legislativo n.  149 del 2015 è stato istituito l'ispettorato nazionale del lavoro che integra in un'unica struttura i servizi ispettivi del Ministero del lavoro, dell'Inps e dell'Inail, La sua completa operatività determinerà un'ulteriore razionalizzazione e una maggiore efficacia delle ispezioni, evitando duplicazioni di interventi ed una più meditata programmazione dell'attività di vigilanza.
      Nell'ambito delle azioni recentemente poste in essere da questo Governo, si fa presente che il 27 maggio 2016 è stato sottoscritto dai Ministri Poletti, Alfano e Martina un protocollo di intesa contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura. L'intesa, sottoscritta anche dall'ispettorato nazionale del lavoro, da diverse regioni, dalle organizzazioni sindacali, dalle associazioni di categoria e da alcuni rappresentanti del cosiddetto terzo settore, ha come finalità principale sostenere e rafforzare gli interventi di contrasto al caporalato e allo sfruttamento su tutto il territorio nazionale, a partire dai territori più interessati da tale fenomeno. Tra le azioni principali previste dal protocollo si annoverano: la stipula di convenzioni; per il servizio di trasporto gratuito dei lavoratori per il tragitto casa/lavoro: l'istituzione di presidi medico-sanitari mobili; il potenziamento delle attività di tutela ed informazione ai lavoratori.
      Si ricorda, inoltre, che il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge contenente disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni di lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. Tale provvedimento legislativo, ora all'esame del Senato, mira a garantire una complessiva e maggiore efficacia dell'azione di contrasto, introducendo modifiche significative in diversi testi normativi al fine di prevenire e colpire in modo organico e mirato tale fenomeno criminale nelle sue diverse manifestazioni.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Massimo Cassano.


      REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          sono frequenti e lontani nel tempo gli allarmi di cittadini, agenzie di stampa e web, social media e quotidiani di Roma sul moltiplicarsi di discariche abusive, fonderie di metalli di provenienza illecita, come ad esempio da furti di rame o dal furto di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, forni di esercizio abusivo dell'attività di panificazione all'interno dei numerosi campi rom autorizzati e non;
          il caso del quartiere «La Barbuta» è emblematico. Il territorio tra il grande raccordo anulare ed il comune di Ciampino, è sempre più degradato. Dove non arrivano i roghi illeciti e pericolosi ci sono le discariche a cielo aperto, con la più grande varietà di rifiuti: carcasse di automobili, materassi, materiali plastici, mobili di legno, copertoni, vestiti, buste di immondizia. Isole di spazzatura lungo tutto il perimetro dell'insediamento attrezzato, che si ingrandiscono giorno dopo giorno;
          discariche illegali, fusioni di metalli, roghi di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e materiali plastici sono, oltreché non consentiti dalla legge, estremamente pericolosi per la salute dei cittadini e per l'ambiente, favorendo una sorta di mercato criminale e di concorrenza sleale, che comporta il mancato pagamento degli oneri di conferimento, verso gli operatori autorizzati e sottraendo inoltre preziose materie prime seconde alle filiere produttive legali e lavoro onesto  –:
          se i Ministri interrogati, nel rispetto delle competenze di Roma Capitale e del comune di Campino, intendano verificare, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, lo stato dell'aria e delle acque nelle zone interessate dalle sopraddette attività criminali, mappandole, e se non intendano esercitare una maggiore attività repressiva di tale fenomeno. (4-06639)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche afferenti il quartiere «La Barbuta», a Roma, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dai competenti uffici di Roma capitale, si rappresenta quanto segue.
      Il campo nomadi «La Barbuta» venne costituito nel 1994 per accogliere gli insediamenti già ubicati in via Rapolla, zona Quarto Miglio all'interno del parco degli Acquedotti, ed in via Massenzio Masia, zona di Piscine di Torre Spaccata, oltre ad altri piccoli insediamenti sparsi nel territorio dell'allora Municipio X (oggi municipio VII). Il campo, essendo definito «temporaneo», non era fornito né di acqua diretta (l'acqua era portata ogni giorno con cisterne dell'Acea) né di fognature, condizioni queste che contribuirono ad aumentare il degrado ambientale. Solo molto tempo dopo fu realizzato l'allaccio all'acquedotto.
      Negli anni successivi, in attuazione delle linee programmatiche afferenti il progetto denominato «Piano Nomadi», che ha visto la partecipazione della Prefettura e delle organizzazioni di volontariato a fianco di Roma capitale, alcuni campi ed insediamenti spontanei vennero chiusi e si realizzarono i villaggi attrezzati.
      Nel 2012, quindi, il vecchio insediamento «La Barbuta» veniva demolito ed i suoi abitanti, insieme ad altri nuclei familiari provenienti dai campi di Via Baiardo e di Tor de Cenci, venivano trasferiti nel nuovo villaggio attrezzato per l'assegnazione dei nuovi moduli abitativi: 162 moduli suddivisi in 8 lotti, corredati di acqua, luce e gas, cassonetti per i rifiuti, con presidio della Croce rossa e possibilità di spazi per le attività ricreative dei bambini. L'attuale villaggio ospita 443 persone. È inoltre presente un insediamento di circa 200 persone, esterno all'area nomadi propriamente detta, dove si trovano famiglie di Sinti italiani (ex giostrai).
      In merito all'accumulo di rifiuti, giacenti sia all'esterno che all'interno del villaggio ed al fenomeno degli incendi verificatisi all'interno dell'insediamento, è stato chiarito da Roma capitale che, preliminarmente, Ama S.p.a. provvede periodicamente o su specifica chiamata alla raccolta dei rifiuti, alla rimozione dei materiali ed alla bonifica dei luoghi, per il mantenimento delle condizioni igienico-sanitarie. In proposito, si fa presente che sono stati avviati interventi volti al rifacimento della condotta idrica a servizio del villaggio e dell'impianto elettrico ormai obsoleto.
      Nel corso dei vari controlli effettuati dalla polizia locale, si è riscontrata all'interno del villaggio una serie di condotte criminose, per le quali i soggetti responsabili, là dove individuati, sono stati deferiti all'autorità giudiziaria.
      È stato anche accertato che molti dimoranti nel villaggio traggono parte dei propri mezzi di sostentamento proprio dal recupero di materiali dai cassonetti, distribuiti nel territorio metropolitano, e dalla vendita di materiali ferrosi, attività che alimenta i roghi tossici per il recupero dei metalli. Tale attività di recupero ha determinato, nel tempo, nelle aree limitrofe al villaggio, la formazione di discariche abusive e lo smaltimento illegale di ingenti cumuli di rifiuti di varia natura e provenienza, anche mediante incenerimento a terra, con la conseguente emissione di fumi acri e tossici, fonte di potenziale pericolo di danno per l'ambiente e per la salute pubblica.
      All'esterno del villaggio, verso il grande raccordo anulare, si verificano inoltre conferimenti abusivi di calcinacci e materiali inerti di risulta di vario genere, probabilmente da parte di soggetti che operano nel settore dell'edilizia in modo sommerso e che, di conseguenza, evitano di servirsi delle discariche regolari.
      Già nell'anno 2013 la polizia locale – tramite il servizio di pattugliamento, svolto sia con vigilanza fissa sull'area sia, per un breve periodo, con vigilanza dinamica sugli automezzi pesanti transitanti in zona – aveva rilevato irregolarità e posto sotto sequestro due discariche abusive per una superficie totale di circa 16.000 mq, attivate da residenti nel villaggio su terreni limitrofi di proprietà comunale, rinvenendo tra i rifiuti circa 600 kg di Eternit, prontamente rimossi dal dipartimento tutela ambientale di Roma capitale.
      Al fine, poi, di non consentire lo scarico di rifiuti con automezzi, si è provveduto a delimitare l'esterno del campo con barriere
new jersey – rivelatesi particolarmente efficaci, quali disincentivo allo scarico dei materiali – seppure limitatamente ad una parte del perimetro del campo, per scarsità di risorse finanziarie.
      Recentemente, a seguito di riunioni svoltesi tra gli Uffici capitolini interessati e la Prefettura, sono state adottate ulteriori iniziative mirate a scoraggiare il conferimento di rifiuti nelle discariche abusive, sorte nei pressi del villaggio «La Barbuta»:
          l'ampliamento del perimetro, delimitato con le barriere
new-jersey;
          l'implementazione da parte di Ama S.p.a. della fornitura di cassoni di grandi dimensioni;
          il mantenimento del pattugliamento della zona da parte della polizia locale;
          il reperimento delle risorse per procedere con una bonifica generale dei rifiuti accumulati. A breve dovrebbero partire le azioni conseguenti.

      Nonostante l'evidente complessità della situazione, resta fermo l'impegno dell'amministrazione nel prevenire e reprimere eventuali comportamenti dannosi posti in essere dagli abitanti degli insediamenti, affinché siano individuati i responsabili e si proceda nei loro confronti con provvedimenti sanzionatori e segnalazioni alle autorità competenti.
      Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere le attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, nonché a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri enti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il decreto n.  82 del 2011 regolamenta la gestione dei pneumatici fuori uso al fine di ottimizzare il recupero, prevenire la formazione di rifiuti e tutelare l'ambiente;
          ad oggi i produttori, secondo il quadro normativo ed operativo vigente, devono: dichiarare i quantitativi immessi di pneumatici nuovi sul mercato nazionale; raccogliere e gestire il 90 per cento in peso della quantità di quella immessa; raccogliere presso tutti i punti di generazione di PFU a livello nazionale; rendicontare la gestione entro il 31 maggio di ogni anno (la gestione non deve essere a scopo di lucro); destinare gli avanzi di gestione al ritiro di depositi di PFU abbandonati (anche detti stock storici) e contribuire alla gestione dei PFU derivanti da demolitori (ACI PFU);
          si evidenzia, che in un quadro generale piuttosto positivo che ha consentito in questi anni il recupero di ingenti quantità di pneumatici, sono state osservate alcune anomalie. Tra queste anomalie si sottolinea la mancanza di trasparenza in quanto alcuni soggetti operanti nel settore:
              a) non paiono essere iscritti a Consorzi;
              b) non paiono aver presentato domanda di gestione diretta al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
              c) paiono applicare gli eco-contributi (solitamente un mix di quelli più bassi di ogni categoria) senza aver sottoposto al Ministero modalità di calcolo e determinazione;
              d) non paiono applicare il contributo ambientale per i PFU;
              e) non effettuano attività di raccolta diffusa, ma solo locale;
              f) non contribuiscono alla gestione PFU derivanti dai veicoli a fine vita gestiti da ACI;
          inoltre, si lamenta l'assenza di un database in cui siano raccolti le informazioni sui depositi di PFU abbandonati presenti in Italia, la cui bonifica è demandata ai Consorzi di produttori e importatori;
          in queste settimane ci sono stati degli incontri tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le associazioni di categoria con lo scopo di verificare la possibilità di una revisione o aggiornamento della normativa sugli PFU  –:
          se non intenda, nell'ambito della revisione e dell'aggiornamento della normativa e delle procedure nel settore dei pneumatici fuori uso, assumere iniziative per:
              a) istituire un registro nazionale dei produttori (semplice elenco on line), nel quale pubblicare i nominativi dei soggetti iscritti in forma individuale o associata in modo che il mercato diventi trasparente e si autoregoli e che i consumatori possano contattare e scegliere tra i vari soggetti obbligati alla raccolta e verificare l'entità dell'eco contributo nonché l'effettiva attività svolta, al fine di garantire che i soggetti preposti al controllo beneficino di trasparenza e facilità di verifica in merito alla rendicontazione;
              b) ribadire l'obbligo di raccolta PFU a livello nazionale o almeno (nel caso di sistemi individuali) in tutte le regioni in cui vengono venduti pneumatici ai propri clienti, così evitando che a fronte di contributo identico a quello dei consorzi nazionali alcuni operatori raccolgano soltanto in zone limitrofe alla sede, a discapito di chi deve effettivamente coprire il territorio;
              c) creare un database dei depositi abbandonati di PFU a cui i sistemi possano attingere per estrapolare le informazioni sui depositi e coordinare meglio gli interventi di raccolta straordinaria che già svolgono. (4-11345)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche afferenti il sistema di gestione dei pneumatici fuori uso (Pfu), sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      Si fa presente, in via preliminare, che l'Italia è tra le poche realtà nazionali ad avere costituito un apposito sistema per la gestione degli pneumatici fuori uso (Pfu) con risultati importanti in termini di tutela ambientale.
      Il comitato di gestione degli Pfu provenienti dai veicoli fuori uso, istituito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto ministeriale n.  82 del 2011, nel secondo report di attività presentato il 14 aprile 2016 ha evidenziato che nel 2015, dal punto di vista della raccolta, sono state gestite oltre 22.000 tonnellate di Pfu da veicoli a fine vita, il 15,5 per cento in più rispetto all'anno precedente. Il quantitativo raccolto è stato destinato per il 100 per cento al riciclo, evitando l'emissione in atmosfera di quasi 45.000 tonnellate di CO2, e, così, producendo un risultato che conferma l'importanza del sistema di gestione degli Pfu per la salvaguardia ambientale.
      Nel 2015 si è anche registrata, a beneficio dei consumatori, una diminuzione del contributo ambientale. Grazie ad un lavoro mirato all'efficientamento sempre maggiore del Sistema, le riduzioni sono state del 42 per cento per il contributo riservato agli autoveicoli e, addirittura, del 50 per cento per quello della categoria «autocarri» (C1, C2).
      Sotto il profilo normativo ed operativo, si evidenzia che il principio comunitario della responsabilità estesa del produttore relativo al bene immesso al consumo è stato introdotto nel nostro ordinamento dall'articolo 228, comma 1 del decreto legislativo n.  152 del 2006. Tale disposizione prevede che sia «fatto obbligo ai produttori e importatori di pneumatici di provvedere, singolarmente o in forma associata e con periodicità almeno annuale, alla gestione di quantitativi di pneumatici fuori uso pari a quelli dai medesimi immessi sul mercato e destinati alla vendita sul territorio nazionale».
      Gli obblighi di raccolta e gestione dei quantitativi di pneumatici fuori uso equivalenti agli pneumatici immessi nell'anno precedente sono dunque estesi a tutti i produttori ed importatori di pneumatici e alle loro eventuali forme associate; i generatori di pneumatici fuori uso possono, pertanto, richiederne il prelievo da ognuno dei produttori, importatori o loro eventuali forme associate.
      In particolare, il decreto ministeriale 11 aprile 2011, n.  82 recante il «Regolamento per la gestione degli pneumatici fuori uso (PFU), ai sensi dell'articolo 228 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152 e successive modificazioni e integrazioni» disciplina la gestione degli pneumatici fuori uso, al fine di ottimizzarne il recupero, prevenirne la formazione e proteggere l'ambiente.
      A tale riguardo, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
      L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
      Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di valutare possibili revisioni.
      Con specifico riguardo alla revisione del decreto n.  82 del 2011 si informa che le esigenze rappresentate dall'interrogante sono all'attenzione del Ministero. In particolare, le problematiche concernenti l'istituzione di un registro nazionale dei produttori ed importatori di pneumatici, la raccolta degli Pfu, e i cumuli degli stessi abbandonati nei siti di stoccaggio autorizzati alla data di emanazione del decreto, sono oggetto di monitoraggio e valutazione nell'attuale fase di aggiornamento del provvedimento.
      Al fine di individuare una migliore e più efficace regolamentazione del sistema Pfu, il Ministero si sta inoltre attivando per organizzare un incontro con la partecipazione dei soggetti di filiera.
      Lo stesso Ministero ha, infine, provveduto a segnalare alla Guardia di finanza le anomalie riscontrate nel sistema di gestione degli Pfu e, in particolare, quelle dovute all'immissione sul mercato di pneumatici nuovi o usati provenienti dall'estero, non dichiarati e quindi al di fuori dell'osservanza sia di regole ambientali che fiscali.
      Tanto premesso, si rassicura l'interrogante che tali criticità sono tenute in considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà anche per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          accrescere e curare meglio il verde urbano è un'indiscutibile e primario interesse generale. Gli alberi sono un argine alla fragilità idrogeologica del territorio, trattengono polveri sottili, assorbono anidride carbonica, contribuiscono a combattere sia l'inquinamento urbano che i mutamenti del clima, che dipendono secondo Legambiente, per circa il 20 per cento dalla deforestazione;
          in Italia, la situazione del verde urbano è contraddittoria: ci sono città che hanno standard di verde per abitante di assoluta eccellenza, ma circa un terzo dei comuni capoluogo ha una dotazione di verde molto bassa, sotto i 5 metri quadrati per abitante;
          la legge 14 gennaio 2013, n.  10 prevede l'obbligo per gli Enti locali di incrementare gli spazi verdi urbani e le cinture verdi, e di adottare misure volte a favorire l'assorbimento delle polveri sottili e ridurre l'effetto «isola di calore». Da ultimo, viene ribadito anche l'obbligo significativo di piantare «un albero per ogni neonato», già introdotto in Italia con la cosiddetta legge Cossiga-Andreotti, legge n.  113 del 29 gennaio 1992;
          più in dettaglio si prevedono poi anche misure per favorire le pareti verticali verdi, le tutele delle aree verdi esistenti di pertinenza degli edifici, le coperture verdi a fine di risparmio energetico, la tutela rafforzata delle piante monumentali, nonché la costituzione di un «Comitato per lo sviluppo del verde pubblico» presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il compito di promuovere l'attività degli enti locali in conformità a quanto previsto dalle legge stessa e di redigere un piano nazionale per la realizzazione di aree verdi permanenti intorno alle maggiori città. È inoltre stabilito che il 21 novembre di ogni anno si celebri la «Giornata nazionale degli alberi»;
          si tratta quindi di una legge di buon senso e civiltà che deve dare un contributo importante al miglioramento della qualità dell'aria e al naturale assorbimento delle acque piovane nei nostri insediamenti urbani. Uno strumento al servizio del verde architettonico, alla bio-architettura che contribuisce a uno sviluppo urbano sostenibile, alla bellezza e alla qualità della vita delle nostre città e dei nostri paesaggi;
          a quanto risulta all'interrogante quanto previsto dalla legge 14 gennaio 2013, n.  10 sul verde urbano non risulta sufficientemente implementato dagli enti locali  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione e se essa corrisponda al vero;
          se, per quanto di competenza e anche avvalendosi dei dati in possesso del già costituito «Comitato per lo sviluppo del verde pubblico», e della Conferenza Stato Regioni, non vogliano fornire dati concernenti lo sviluppo del verde urbano, dell'impianto di alberi per ogni nato, delle coperture verdi, della tutela degli alberi monumentali, del bilancio arboreo, anche con l'ausilio della Conferenza Stato-regioni;
          se i Ministri interrogati non intendano, per quanto di competenza, promuovere politiche di cura del patrimonio arboreo nazionale, considerato che tale attività è infatti di interesse, nazionale e raccoglie lo spirito della Giornata mondiale della Terra 2016 che promuove il progetto di piantare un albero per abitante del pianeta da qui al 2020 e concorre a rispettare gli obiettivi di riduzione della CO2 stabiliti alla COP21 di Parigi.
(4-12941)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa allo sviluppo degli spazi verdi urbani, sulla base delle informazioni acquisite dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      In via preliminare, si segnala che, in attuazione della legge n.  10 del 14 gennaio 2013, recante «Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani» è stato istituito, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 3 «Monitoraggio sull'attuazione della legge 29 gennaio 1992, n.  113» della sopra citata legge, il comitato per lo sviluppo per il verde pubblico.
      Lo stesso comitato, anche nel corrente anno, ha puntualmente espletato quanto indicato nello stesso articolo 3, al punto e), ossia, ha provveduto a predisporre una relazione, da trasmettere alle Camere entro il 30 maggio di ogni anno, recante i risultati del monitoraggio e la prospettazione degli interventi necessari a garantire la piena attuazione della normativa di settore.
      In tale relazione sono presenti diverse informazioni inerenti la legge n.  10 del 2013 e, in particolare, le attività svolte dal comitato e le relative delibere emanate nell'ultimo anno, lo stato di attuazione dell'articolo 7 relativo agli alberi monumentali, le attività tecnico scientifiche dell'Ispra a supporto delle conoscenze sul verde urbano e della stessa relazione annuale nonché le iniziative propedeutiche al piano nazionale del verde urbano.
      Si rimanda, pertanto, a questa recente relazione, presente anche sul sito del ministero, all'indirizzo web: http://www.minambiente.it/pagina/relazione-annuale, che soddisfa le molteplici questioni sull'argomento.
      Infine, per quanto di diretta competenza del ministero, si fa presente che il 31 maggio scorso è stato emanato il decreto esplicativo delle modalità di messa a dimora di piantine in aree pubbliche in occasione della giornata nazionale degli alberi, di cui all'articolo 1 della stessa legge n.  10 del 2013.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          come si evince da alcuni test effettuati dal magazine il «Salvagente» per il dossier «Glifosato – il veleno nascosto», nelle acque di alcune località del biellese e del modenese, precisamente nei comuni di Brusnengo e Campogalliano, sono state riscontrate tracce della sostanza «Ampa», un metabolita del glifosato. Ciò significa che l'acqua è entrata in contatto col glifosato e che la sostanza si è accumulata e poi trasformata ovvero metabolizzata;
          oltretutto, come sottolinea, Giovanni Dinelli, professore di agronomia e culture erbacee all'università di Bologna, «i campioni sono stati raccolti all'inizio di marzo, momento dell'anno in cui è più difficile riscontrare tracce di questa molecola che, tuttavia, è sempre di difficile ricognizione e non tutti i laboratori sono in grado di riuscirci»;
          il glifosato è un principio attivo più usato al mondo negli erbicidi diserbanti. Fa parte dei cosiddetti erbicidi totali — quelli che agiscono su tutte le specie vegetali e, pertanto, sugli infestanti sia mono sia dicotiledoni. Il glifosato è un prodotto del gruppo americano Monsanto, che finora vende erbicidi con glifosato sotto il nome di «Roundup». Nella prassi il glifosato non è usato come principio attivo unico, ma in combinazione con agenti bagnanti (tensioattivi), che aumentano in modo mirato la velenosità dell'erbicida;
          la Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro), nel marzo 2015, ha classificato il glifosato come «probabilmente cancerogeno per l'essere umano». Per questo la ISDE (International society of doctors for environment) ha chiesto al Parlamento europeo e alla Commissione europea di bandire la produzione, il commercio e l'utilizzo di queste sostanze su tutto il territorio europeo;
          i rischi causati da questo principio attivo sono ormai noti. Al riguardo, bisogna ricordare che recentemente, in Germania, si è riusciti a rilevare la presenza di glifosato e dei suoi metaboliti nella popolazione in generale non solo nell'urina, ma anche nel latte materno;
          in Italia, ad oggi, nessuno monitora la presenza di glifosato o del suo metabolita «Ampa» nell'acqua potabile. E la situazione non migliora sul fronte delle acque di superficie visto che l'unica regione che cerca l'erbicida della discordia è la Lombardia. Quello che più preoccupa è la sicurezza dell'acqua che sgorga nei nostri rubinetti visto che le analisi del «Test-Salvagente», in due case, hanno trovato positività superiori ai limiti. Ma né le Arpa regionali, né le aziende che forniscono l'acqua ai cittadini controllano non essendo obbligate a farlo  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione;
          se non ritengano opportuno, anche per tramite delle agenzie specializzate dei rispettivi dicasteri e per quanto di competenza, mettere in campo iniziative volte a rendere obbligatorio il monitoraggio, da parte degli enti preposti su tutto il territorio nazionale, della presenza del glifosato e di sostanze chimiche ad esso correlate nell'acqua potabile e ad uso agricolo. (4-13048)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa all'utilizzo del glifosato quale principio attivo di alcuni erbicidi e del prodotto dal nome commerciale Roundup che incorpora il predetto principio attivo, nonché al rinvenimento di tracce di acido ammino metil fosfonico (AMPA), che ne costituisce il prodotto di degradazione in ambiente acquatico, nelle acque dei comuni di Campogalliano (Provincia di Modena) e Brusnengo provincia di Biella), sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministero della salute nonché dagli affari territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
      Come noto, nel novembre 2015 l'EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha concluso la valutazione dei dati presentati dall'industria produttrice e delle informazioni messe a disposizione dallo IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità) in riferimento al prodotto Roundup, l'erbicida contenente il principio attivo denominato glifosato.
      Nell'aprile 2015, lo IARC aveva concluso la propria valutazione, ritenendo che il principio attivo in questione dovesse essere classificato come «probabile cancerogeno per gli esseri umani», mentre l'EFSA è giunta alla conclusione che risulta improbabile che il glifosato sia cancerogeno per l'uomo.
      Alle stesse conclusioni dell'EFSA è giunto anche lo stato membro rapporteur (Germania) che ha esaminato sia le informazioni dello IARC sia i dati sperimentali forniti dall'industria produttrice.
      In questo quadro di incertezza scientifica a livello internazionale, la commissione europea ha ritenuto opportuno il rinvio della decisione attesa entro dicembre 2015, relativa al ritiro o al mantenimento del glifosato sul mercato, impegnandosi a presentare entro il 30 giugno 2016 una proposta di decisione da sottoporre al voto degli stati membri, nell'ambito del comitato permanente istituito ai sensi dell'articolo 58 del regolamento (CE) n.  178 del 2002.
      Il 16 maggio 2016 la Commissione congiunta FAO e OMS, che ha il compito di stabilire i limiti massimi dei residui di pesticidi ammissibili nelle derrate alimentari, ha dichiarato che «è improbabile che l'assunzione di glifosato attraverso la dieta sia cancerogena per l'uomo» (« Summary Report from the May 2016 Joint FAO/WHO Meeting on Pesticide Residues (JMPR)»).
      Nel corso dei lavori del comitato permanente piante, animali, alimenti e mangimi (sezione fitosanitaria) svoltisi a Bruxelles il 7-8 marzo 2016 e il 18-19 maggio 2016, la delegazione italiana ha manifestato il proprio avviso contrario alle proposte di rinnovo dell'autorizzazione del glifosato presentate dalla Commissione Ue rispettivamente per 15 e per 9 anni.
      Nell'ultima riunione del citato comitato, tenutasi il 6 giugno 2016, la commissione europea ha sottoposto al voto degli stati membri una nuova proposta che prevedeva il rinnovo temporaneo dell'autorizzazione (comunque non oltre il 31 dicembre 2017) per consentire all'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) di concludere i lavori in corso per la classificazione armonizzata del glifosato. Riguardo a quest'ultima proposta, la delegazione italiana insieme ad altre delegazioni, tra cui quella francese e quella tedesca, si sono astenute, andando così a costituire una «minoranza di blocco» (in tale contesto l'astensione equivale ad un voto contrario). La commissione ha pertanto annunciato che sottoporrà nelle prossime settimane la decisione al «Comitato di appello».
      In questo quadro, nel caso in cui la proposta della Commissione Ue fosse approvata, i prodotti erbicidi a base di glifosato potrebbero continuare ad essere commercializzati anche successivamente al 30 giugno 2016, fino ad una nuova decisione europea conseguente alla classificazione dell'ECHA (attesa entro marzo 2017).
      Nel caso in cui la sostanza attiva fosse classificata dall'ECHA come probabile cancerogeno, il suo impiego nei prodotti ad azione erbicida non sarebbe più ammesso sul territorio dell'Unione europea.
      Viceversa, qualora la classificazione del glifosato non indicasse questo tipo di pericolo o altri pericoli equivalenti, l'impiego del glifosato potrebbe continuare.
      Al di là della divergenza delle opinioni scientifiche sugli aspetti di tossicità per l'uomo da parte degli organismi scientifici internazionali sopra citati, è opportuno sottolineare che nel parere dell'EFSA sono state evidenziate alcune lacune di informazione riguardanti il potenziale di contaminazione delle acque superficiali, non adeguatamente considerate nella proposta di decisione presentata dalla Commissione europea.
      A tale proposito l'ISPRA, sulla base dei dati di monitoraggio ambientale delle acque superficiali e sotterranee presentati di recente («Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2013-2014» – edizione 2016), ha evidenziato una contaminazione diffusa e significativa delle acque superficiali da parte del glifosato e del suo principale metabolita AMPA.
      Gli ultimi dati di monitoraggio si riferiscono anche alla regione Toscana, che dal 2014 si è aggiunta alla Lombardia, unica regione fino al 2013 ad aver inserito il glifosato (dal 2003) e il suo metabolita AMPA (dal 2007) nei piani di monitoraggio delle acque.
      La posizione contraria dell'Italia al rinnovo dell'autorizzazione del glifosato è stata motivata anche dalla constatazione che questa sostanza e il suo metabolita, se ricercati, risultano presenti e in quantità significative specialmente nelle acque superficiali.
      Pertanto, anche nell'ipotesi in cui in sede europea fosse approvata la proposta di rinnovo dell'autorizzazione del glifosato, le amministrazioni italiane dovrebbero coerentemente mettere a punto appropriate misure di mitigazione del rischio.
      Sulla base degli elementi forniti dal Ministero della salute, si forniscono di seguito le seguenti precisazioni.
      In ordine alle procedure autorizzative relative agli agenti bagnanti, si sottolinea che i coadiuvanti, cui appartengono i bagnanti, non sono tesi ad aumentare la velenosità della sostanza attiva, ma ad aumentare l'assorbimento della stessa da parte dell'infestante target e, quindi, come risultato complessivo, a diminuire la quantità di sostanza attiva da utilizzare.
      Di conseguenza, in termini di pericolosità della sostanza attiva per l'uomo e per l'ambiente, l'uso di coadiuvanti permette di ridurre l'impatto quantitativo del glifosato.
      Si precisa che i coadiuvanti, sebbene ciò non sia ancora stato espressamente disposto dalle misure comunitarie di attuazione del regolamento (CE) n.  1107 del 2009, sono sottoposti a procedura autorizzativa da parte del Ministero della salute, la quale prevede la valutazione preliminare dei potenziali rischi che comporta l'associazione tra il prodotto fitosanitario ed il coadiuvante. Tale procedura è stata anche sottoposta all'attenzione della Commissione Ue, al fine di accelerare l'emanazione di un regolamento che disponga per tutti gli stati membri una procedura autorizzativa obbligatoria e comune per i coadiuvanti.
      Con riferimento inoltre alla situazione specifica del comune di Campogalliano (provincia di Modena) e della regione Emilia-Romagna, l'assessore regionale alle politiche per la salute ha comunicato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare quanto segue.
      A seguito delle notizie pubblicate il 23 aprile 2016 sulla rivista «Test – Il Salvagente», che riferiva della presenza di AMPA in un campione di acqua prelevato dalla rete di Campogalliano ed analizzato presso un laboratorio di Latina, l'azienda Usl di Modena ha preso contatti con il servizio regionale competente e con l'agenzia regionale per la prevenzione, per l'ambiente e l'energia (ARPAE), al fine di poter eseguire le opportune analisi per verificare l'effettiva presenza del glifosato e del suo metabolita AMPA. ARPAE ha già acquisito le competenze tecniche per il controllo analitico di tali sostanze, ma non dispone, come nella maggior parte delle regioni, della strumentazione adeguata per un loro monitoraggio efficace. Pertanto, nell'ambito degli accordi interagenziali, l'agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (ARPAT) si è resa disponibile ad analizzare per conto di ARPAE i campioni di acqua prelevati nel territorio della regione Emilia-Romagna.
      Si specifica che l'acquedotto in questione, gestito da AIMAG S.p.A., è alimentato da cinque pozzi siti in comune di Campogalliano e serve, oltre a Campogalliano, i comuni di Soliera, Novi di Modena, alcune aree del comune di Carpi e il comune di Moglia in provincia di Mantova, per un totale di circa 30.000 abitanti.
      L'azienda Usl in data 2 maggio 2016 ha quindi prelevato alcuni campioni di acqua dai cinque pozzi di approvvigionamento e da tre punti della rete di distribuzione a Campogalliano, Novi e Soliera e li ha inviati al laboratorio ARPAT di Livorno, richiedendo nel contempo all'ente gestore di eseguire analisi in autocontrollo. Sono stati puntualmente prelevati alcuni campioni, analizzati presso il laboratorio Hera di Sasso Marconi.
      Si sottolinea che le analisi eseguite per la determinazione del glifosato e di AMPA hanno dato tutte esito negativo (concentrazioni inferiori al limite di rilevabilità che è pari a 0,005 microgrammi/L) nei campioni esaminati dai laboratori coinvolti, sia nell'ambito del controllo ufficiale sia in autocontrollo.
      Al di là delle decisioni che assumerà la commissione europea rispetto al rinnovo o meno dell'autorizzazione del glifosato prossima alla scadenza, la Regione Emilia-Romagna ha comunque valutato, insieme ad ARPAE, di predisporre idonee azioni di controllo analitico di tale molecola e del suo principale metabolita (AMPA), tali da consentire una conoscenza dell'entità della loro presenza nell'ambiente ed ha già avviato un primo monitoraggio esplorativo in quanto il periodo di uso prevalente di tale erbicida è compreso tra maggio e ottobre. Le analisi relative ai suddetti campioni, come da accordi tra le due agenzie regionali, saranno effettuate dal laboratorio di ARPA Toscana, uno dei due laboratori del sistema agenziale attualmente attrezzati.
      Per la predisposizione del piano, nell'ambito del monitoraggio finalizzato alla classificazione dello stato ambientale delle acque, si è operata una valutazione dei corsi d'acqua da sottoporre a controllo, sulla base dell'utilizzo del glifosato nelle aree drenanti. La scelta delle aree ritenute significative si è tradotta nella selezione di 20 stazioni della rete ritenute maggiormente idonee per una copertura territoriale degli areali stessi in base ai seguenti criteri:
          numero di riscontri positivi di fitofarmaci analizzati da ARPAE;
          preferenza per sezioni di chiusura di bacino e sottobacino;
          stazioni della rete ambientale anche ad uso potabile.

      In generale la regione Emilia-Romagna ricerca i prodotti fitosanitari nelle acque superficiali e sotterranee (comprese quelle destinate alla potabilizzazione), nelle acque potabili, negli alimenti di origine vegetale e animale e nei mangimi attraverso monitoraggi e piani di controllo annuali che seguono le indicazioni delle norme comunitarie e nazionali di settore.
      Per acque destinate alla potabilizzazione si intendono tutte le tipologie di acqua destinate ad essere immesse nella rete, prelevate a monte del processo di potabilizzazione (superficiali o sotterranee), o anche in uno stadio intermedio del processo stesso. Tali acque, prima di essere immesse in rete, subiscono, a cura dei gestori acquedottistici, trattamenti idonei a rendere tali acque «potabili» cioè conformi a quanto previsto dalle normative di settore (decreto legislativo n.  31 del 2001). Più in particolare, le sostanze ricercate e rilevate devono essere in concentrazioni inferiori ai valori di parametro indicati dalla norma stessa.
      Dall'ultimo report del 2014 sui risultati del monitoraggio ambientale della regione Emilia-Romagna risulta che nelle acque potabili tutti i campioni sono conformi ai limiti di legge indicati dalla citata norma nazionale specifica (decreto legislativo n.  31 del 2001) anche in aree dove sono state rilevate quantità di pesticidi in percentuali maggiori nelle rispettive fonti di approvvigionamento, a dimostrazione dell'efficacia dei trattamenti di potabilizzazione eseguiti dagli enti gestori.
      Il monitoraggio regionale, così come impostato, è sufficientemente rappresentativo per evidenziare la presenza di quanto ricercato a livello ambientale nel territorio dell'Emilia-Romagna, ma saranno sicuramente utili anche i dati dei gestori acquedottistici che hanno la responsabilità della qualità dell'acqua potabile erogata e l'esperienza di Campogalliano.
      L'analisi di questo quadro, orientata in prima battuta alle fonti superficiali di approvvigionamento, per le motivazioni già espresse, potrà quindi consentire una valutazione della situazione e le azioni da intraprendere soprattutto e prioritariamente laddove se ne ravvisi la necessità. Per quanto riguarda nello specifico le acque potabili, l'eventuale presenza di glifosato nelle acque superficiali e la relativa concentrazione, potrà orientare i soggetti competenti ad un controllo analitico mirato, anche all'acqua di rete erogata dagli acquedotti, unitamente ad una sua ispezione per verificare anche lo stato degli impianti e i relativi trattamenti di potabilizzazione.
      La regione Emilia-Romagna ha pertanto comunicato che non ritiene utile in questa fase ricercare il glifosato e il suo metabolita nelle acque potabili, senza avere prima un quadro della loro presenza ambientale nel territorio regionale.
      In conclusione, alla luce del processo attualmente in corso e delle decisioni che saranno assunte entro breve a livello europeo, il Governo valuterà le iniziative più opportune da adottare in merito, al fine di assicurare la protezione dell'ambiente e la tutela della salute umana.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      RIZZO, FRUSONE, ARTINI, BASILIO e CORDA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la legge 24 aprile 1941 n.  392 e il decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998 n.  187 stabiliscono che i comuni ricevono un contributo dal Ministero della giustizia per le spese sostenute relative ai locali destinati ad uffici giudiziari;
          tale contributo viene erogato in una prima rata in acconto e in una seconda a saldo; il comune di Caltagirone per gli anni 2010, 2011 e 2012 ha sostenuto per gli uffici giudiziari una spesa pari ad euro 3.130.000,00 senza ricevere nessun acconto sugli stessi delle spese affrontate, in spregio alla normativa che prevede l'erogazione di un acconto all'inizio di ogni esercizio finanziario pari al 70 per cento del contributo erogato nell'anno precedente per il periodo transitorio di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n.  187 del 1998  –:
          quale sia il motivo per il quale il comune di Caltagirone non abbia ancora ricevuto il quanto dovuto e quanto tempo sia ancora necessario affinché il Ministero della giustizia eroghi tali somme.
(4-03466)

      Risposta. — Mediante l'atto ispettivo in esame, gli interroganti sottolineano – nel contesto anteriore al trasferimento al Ministero della giustizia delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari – le esigenze del comune di Caltagirone in relazione alla liquidazione dei contributi riferibili alle annualità pregresse.
      Come noto, la legge di stabilità 2015 ha radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni, per effetto della legge 24 aprile 1941, n.  392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico.
      Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, nella prospettiva di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre 2015, adottando nuove misure organizzative tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.
      Al fine di raccogliere attraverso il metodo del confronto i contributi dei soggetti coinvolti dall'attuazione del nuovo modello di gestione, il Ministro della giustizia ha, in particolare, istituito un tavolo tecnico permanente, aperto alle amministrazioni interessate, per la coerente definizione degli indirizzi politici delle amministrazioni centrali e per il monitoraggio delle attività necessarie alla relativa, coerente, attuazione.
      È stata, pertanto, avviata e consolidata una proficua interlocuzione con gli enti istituzionali coinvolti, in special modo con l'associazione dei comuni, italiani, grazie alla quale si è pervenuti all'adozione congiunta di una convenzione quadro, sperimentando la praticabilità di forme di collaborazione tra amministrazione centrale ed amministrazioni periferiche in termini di assistenza e supporto.
      È stato, poi, adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 agosto 2015, che assume la peculiare funzione – nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del regolamento di organizzazione dell'intero apparato ministeriale – di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delinearne i compiti e a definirne i rapporti con 1 ’amministrazione centrale.
      Nell'ottica di potere efficacemente gestire ed assicurare sul territorio la continuità dei servizi di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria, in precedenza svolte dal personale dei comuni già distaccato, comandato o comunque specificamente destinato presso gli uffici giudiziari, si è sostenuta l'introduzione – nel decreto-legge 27 giugno 2015, n.  83 – dell'articolo 21-quinquies, che prevede come gli uffici giudiziari possono continuare ad avvalersi dei servizi forniti dal predetto personale comunale, sulla base di accordi o convenzioni da concludere in sede locale.
      In tale quadro, va sottolineato come il Ministero della giustizia sia attivamente impegnato anche nella promozione delle attività formative dei soggetti coinvolti nel procedimento di spesa. Dal settembre 2015, difatti, si sono svolti periodici incontri di riflessione – l'ultimo dei quali proprio il 16 giugno scorso – condivisa sul nuovo modello di gestione con il procuratore generale presso la Corte di cassazione ed i procuratori generali presso le Corti d'appello, anche al fine di delineare linee guida comuni.
      Analoghe iniziative sono state rivolte – su impulso del Ministro e con la collaborazione della scuola superiore della magistratura – ai dirigenti, giudiziari ed amministrativi, per agevolare una nuova cultura dell'innovazione.
      L'impianto delle misure che hanno delineato il passaggio al nuovo modello di gestione della spesa si è incentrato, pertanto, sulla edificazione di comuni basi culturali e su un rinnovato rapporto con gli enti locali, soprattutto con i comuni, chiamati a sostenere la giurisdizione secondo un rinnovato equilibrio, che intende valorizzare il patrimonio di esperienze ed il ruolo di prossimità tradizionalmente svolto per potenziare i rapporti tra il cittadino e le istituzioni.
      Ed è proprio grazie al sostegno dei comuni ed alle sinergie sviluppate in sede locale che la transizione si è svolta senza evidenziare particolari disservizi, pur con le inevitabili difficoltà che il cambiamento ha comportato.
      Nel passaggio al nuovo modello di gestione si iscrive anche la definizione dei contributi ancora dovuti ai comuni in virtù della pregressa gestione diretta della spesa.
      Preme, difatti, sottolineare anche in questa sede come proprio la prospettiva di un corretto avvio del nuovo sistema abbia orientato l'impegno del Ministero nel regolare, definitivamente e al più presto, le posizioni pendenti, al fine di poter procedere in modo più funzionale gli impegni della nuova gestione.
      Il Ministro della giustizia ha adottato tutte le iniziative necessarie a far fronte alle spettanze dei comuni, nel quadro legislativo di riferimento e con i limiti finanziari dettati dalle disposizioni normative che hanno regolato la quantificazione e la liquidazione dei rimborsi.
      L'interrogazione offre l'occasione per rappresentare come il procedimento di liquidazione dei contributi sia particolarmente complesso.
      Sul punto va, preliminarmente, rilevato come – ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998, n.  187 – la determinazione del contributo da erogare ai comuni dovesse essere assunta, annualmente, con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, sulla base dei consuntivi delle spese effettivamente sostenute.
      Con il fine di allineare le scelte di politica economico-finanziaria con i generali obiettivi di contenimento della spesa pubblica fissati anche in ambito comunitario, il decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95 – convertito dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini – aveva, poi, previsto per il Ministero della giustizia risparmi – in misura non inferiore a 30 milioni di euro per l'anno 2012 e a 70 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 – in termini di minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari.
      I tempi e l'entità dei contributi erogabili sono stati, pertanto, essenzialmente condizionati dalle misure di risparmio previste dal citato decreto-legge n.  95 del 2012: oltre ad attendere che le spese siano indicate a consuntivo dei bilanci comunali e sottoposte poi al vaglio della commissione di manutenzione, la liquidazione è disposta con decreto interministeriale a firma dei Ministri della giustizia, dell'interno e dell'economia e delle finanze, secondo rigide percentuali di rimborso.
      Con riferimento all'anno 2012, dalle informazioni assunte presso il Ministero dell'economia e delle finanze e attraverso le competenti articolazioni ministeriali consta come il decreto interministeriale volto a rideterminare i contributi per le spese sostenute e rendicontate dai comuni abbia assegnato una somma pari a circa 77 milioni di euro, fino alla concorrenza dell'importo stanziato sul capitolo 1551, da imputarsi all'esercizio finanziario 2013.
      Per lo stesso esercizio era già stato erogato – con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo dicastero del 5 marzo 2014 – un acconto pari a circa 65 milioni di euro.
      Lo stesso decreto interministeriale ha determinato nel 25,88 per cento circa delle spese effettivamente sostenute dai comuni la misura del rimborso liquidabile.
      Con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo dicastero del 7 dicembre 2015 si è, pertanto, provveduto all'erogazione del saldo e, per alcuni comuni, è stata operata la decurtazione degli importi erogati in acconto per le annualità precedenti, risultati eccedenti rispetto al contributo effettivamente determinato.
      Il decreto per le spese sostenute nell'anno 2013, inoltre, è stato già firmato dal Ministro della giustizia e – il 13 maggio scorso – dal Ministero dell'interno, ed è, allo stato, in attesa della sottoscrizione del Ministro dell'economia e delle finanze.
      Per venire incontro alle difficoltà rappresentate dai comuni, la direzione generale delle risorse ha disposto – con decreto in data 12 febbraio 2016 – l'erogazione dell'acconto per le spese sostenute nell'anno 2014, precisando come per tale operazione occorra fare riferimento all'importo determinato per il contributo delle spese sostenute nell'anno 2012 che risulta, allo stato, liquidato in via definitiva.
      Lo stanziamento di bilancio del capitolo 1551 nello stato di previsione del Ministero della giustizia risulta, inoltre, pari a circa 111 milioni di euro per il 2014 e 133 milioni di euro per il 2015.
      Per quanto riguarda, infine, l'anno 2015, si sta procedendo all'esame dei rendiconti al fine della determinazione dei contributi spettanti ai comuni sino al 31 agosto 2015.
      Saranno, in ogni caso, poste in essere tutte le azioni che – nell'ambito delle disponibilità finanziarie assegnate a questo dicastero – possano soddisfare, nella misura più adeguata le aspettative dei comuni, sede di uffici giudiziari.
Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


      FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 25 giugno 2016 nella città di Palermo hanno avuto luogo due distinti omicidi;
          tra le ore 13 e le ore 14 nella zona di Borgo Nuovo un uomo di 68 anni, Vincenzo Barbagallo, è rimasto ucciso e figlio di 48 anni, Domenico, ferito da alcuni proiettili fatti esplodere, secondo la ricostruzione fornita dai Carabinieri, da un vicino di casa, Francesco Lo Monaco, 49 anni;
          all'origine di questa prima tragedia ci sarebbe una lite domestica, le mogli di Lo Monaco e Barbagallo avrebbero litigato intorno alle 13 e quando la situazione sembrava essere tornata alla normalità sarebbe nata una discussione ben più animata tra i mariti, poi sfociata nel delitto;
          intorno alle ore 23, nella zona di Cruillas, in piazza Lampada della Fraternità, un giovane di 27 anni, Roberto Frisco, ha perso la vita per una coltellata all'addome;
          questa seconda tragedia che ha portato anche al ferimento di 4 persone, avrebbe avuto origini in una maxi rissa scoppiata tra le famiglie «rivali» dei Frisco e dei Lo Piccolo, combattuta con martelli ed un coltello;
          sono risultati feriti anche il padre della vittima, Giuseppe, di 54 anni, e il fratello Francesco di 31 anni oltre a due componenti della famiglia Lo Piccolo, Salvatore, 19 anni, e il fratello Nunzio, 23;
          come ricordato anche dai rappresentanti del sindacato di polizia Consap, il bilancio di sangue è pesantissimo e deve portare ad una attenta riflessione, almeno in uno dei due casi è sicuramente da escludere che il delitto possa considerarsi di tipo mafioso;
          si segnala, nell'ultimo periodo un aumento della violenza in città, con particolare riguardo ai crimini violenti;
          la città di Palermo, secondo i dati forniti dai sindacati di polizia, è la terza in Italia, dopo Napoli e Bari, per numero di omicidi e tentati omicidi  –:
          se non ritenga di doversi attivare celermente affinché sia predisposto un accurato piano di sicurezza pubblica destinato alla città di Palermo, volto a prevenire e reprimere la criminalità.
(4-13794)

      Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante richiama l'attenzione del Ministro dell'interno su due omicidi avvenuti lo scorso 25 giugno nella città di Palermo, chiedendo l'adozione di urgenti iniziative per la predisposizione di un accurato piano di sicurezza pubblica per il capoluogo siciliano, volto a prevenire e reprimere la criminalità.
      In relazione a tali episodi delittuosi, già dettagliatamente descritti nell'interrogazione, ci si limita a riferire che, per l'accertamento delle responsabilità penali, sono in corso indagini a cura dell'Arma dei carabinieri. Si evidenzia, inoltre, che tutte le persone coinvolte nella rissa avvenuta nel quartiere Cruillas sono state tratte immediatamente in arresto dal personale dell'Arma medesima prontamente intervenuto.
      Tanto premesso e venendo alla specifica sollecitazione contenuta nell'interrogazione, si informa che il sistema di sicurezza volto alla prevenzione e repressione dei reati nella città di Palermo è basato sull'attuazione di un piano di controllo del territorio coordinato tra la polizia di stato e l'Arma dei carabinieri, che consente una capillare presenza delle Forze di polizia all'interno delle tre macro aree in cui è stata suddivisa l'area metropolitana.
      Il modulo operativo adottato viene rafforzato, da diversi anni, mediante la predisposizione, con cadenza settimanale, di un mirato piano di controllo integrato del territorio che vede il coinvolgimento di tutte le Forze di polizia, nonché della Polizia locale e di altri enti, impegnati in un'azione corale volta a contrastare fenomenologie di criminalità diffusa, nonché forme di abusivismo commerciale, di disturbo della quiete pubblica ed altre illiceità connesse alla cosiddetta «movida».
      In tale contesto, si inserisce, altresì, il piano di azione coordinato, ormai sperimentato da più di un anno, denominato «Modello Trinacria», teso a sviluppare, sulla base delle direttive impartite dal Ministro dell'interno, l'attività di prevenzione e controllo su tutto il territorio regionale, con l'obiettivo, tra gli altri, di incrementare anche l'efficacia dei dispositivi di protezione attuati nei confronti di soggetti sottoposti a misura di tutela personale.
      L'insieme di queste misure, unitamente alla costante attività svolta dagli organi investigativi, ha fatto registrare – nel primo semestre di quest'anno rispetto all'analogo periodo del 2015 – una tendenziale riduzione di reati efferati, quali tentati omicidi ed omicidi dolosi consumati, con un decremento, con particolare riferimento a tale ultima fattispecie, di oltre il 40 per cento.
      Analogo trend in diminuzione si registra, anche in relazione a reati predatori quali rapine e furti, a fronte, peraltro, di un aumento nel corrente anno dei provvedimenti di arresto e fermo per siffatte tipologie di reato da parte della polizia di Stato.
      Si rappresenta, per completezza, che il dispositivo territoriale delle Forze di polizia in servizio a Palermo è costituito da 3.035 appartenenti ai ruoli operativi della polizia di Stato, da 1.836 militari dell'Arma dei carabinieri, nonché da 872 militari della Guardia di finanza che, pur svolgendo prevalenti compiti di polizia economica e tributaria, concorrono anch'essi ai piani coordinati di controllo del territorio.
      Si segnala, in proposito, che risale appena allo scorso mese di giugno l'ultimo incremento della dotazione effettiva della polizia di Stato nella città di Palermo, pari a 16 unità di personale del ruolo degli agenti ed assistenti.
      Ulteriori incrementi saranno attentamente valutati in occasione delle future immissioni in ruolo di agenti, previste per il prossimo mese di novembre, compatibilmente con le risorse disponibili e le emergenti necessità degli uffici e dei reparti del territorio nazionale.
      Si aggiunge che, in occasione di servizi straordinari di prevenzione generale, il dispositivo territoriale di polizia viene supportato da aliquote dei reparti prevenzione crimine della polizia di Stato e delle compagnie di intervento operativo dell'Arma dei carabinieri.
      Si ricorda, infine, che il piano nazionale di impiego delle Forze armate nell'ambito dell’Operazione strade sicure, adottato nello scorso mese di febbraio, contempla l'assegnazione al prefetto di Palermo di un contingente complessivo di 125 militari impiegati nella vigilanza a siti ed obiettivi sensibili cittadini. Ciò ha consentito di liberare da tale incombenza un significativo contingente di forze dell'ordine, che è stato, quindi, destinato all'intensificazione delle attività informative e investigative.
      In conclusione, si ritiene che il quadro delineato consenta di affermare che la situazione della sicurezza pubblica nella città di Palermo è sostanzialmente sotto controllo grazie al costante e sinergico impegno di tutte le istituzioni preposte.
      Si assicura che le forze di polizia continueranno a mantenere alta l'attenzione, al fine di cogliere segnali premonitori e accadimenti che rendano necessaria l'adozione di ulteriori misure di prevenzione o contrasto dei fenomeni criminosi.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      ROSATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          come già evidenziato nella precedente interrogazione n.  4-18122 presentata nella passata legislatura e rimasta priva di risposta, le regole e le disposizioni dell'autorità doganale prevedono l'espletamento di alcune procedure tra le quali anche controlli fisici sulle merci di importazione nei porti italiani. Sebbene le finalità di detti controlli siano corrette e trovino fondamento anche nel diritto europeo, tuttavia il sovrapporsi di norme e il ripetersi di alcune prassi tendono ad allungare il tempo di transito delle merci di importazione presso le dogane dei porti italiani;
          una certa lentezza nell'espletamento degli oneri burocratici comporta per gli operatori economici una incertezza sui tempi di transito, quindi il rischio di ritardi nella consegna delle merci, e talvolta anche dei costi aggiuntivi rispetto alle stesse procedure effettuate presso altri porti europei;
          questa inefficienza del sistema doganale italiano sta già producendo dei danni alle casse erariali e agli operatori nel settore della logistica che sono stati quantificati, dalla Confetra, in 12 miliardi di euro, in ragione del fatto che sempre più, le merci destinate anche al nord Italia vengono consegnate nei porti dell'Europa del nord, nonostante quattro giorni di navigazione aggiuntivi;
          in assenza di un efficace coordinamento tra le amministrazioni coinvolte nel processo di sdoganamento, e in attesa che si costituisca lo sportello doganale unico (previsto dal legislatore italiano nel 2003, prima ancora di quello europeo), per effettuare un'operazione di importazione o esportazione, gli operatori devono presentare circa 68 istanze a 18 amministrazioni differenti, trasmettendo talvolta informazioni identiche o simili; e costi e tempi di questa eccessiva burocratizzazione della procedura ricadono negativamente sulle imprese. Per il settore agroalimentare, particolarmente importante per il prodotto interno lordo italiano in considerazione del fatto che negli ultimi anni ha visto crescere la propria fetta di mercato su scala mondiale, le istanze da presentarsi sono circa 77, indirizzate a 17 amministrazioni o enti diversi;
          come dichiarato dal Ministro delle politiche agricole, forestali e alimentari in una intervista al Corriere della Sera, domenica 13 aprile, l'eccessiva burocratizzazione delle procedure per l'esportazione dei nostri prodotti del settore comporta un'attesa finanche di 19 giorni in dogana;
          le dogane italiane non sono operative a turno continuo ed è previsto che il pagamento dei diritti doganali debba avvenire con la modalità dell'assegno circolare che va consegnato fisicamente all'ufficio competente;
          gli standard europei su tempi di transito e costi rendono più convenienti le operazioni nei porti di altri Paesi europei dove, peraltro, le operazioni avvengono 24 ore al giorno e si registrano modalità di pre-clearing, ovvero parte delle operazioni doganali avvengono mentre i container sono in navigazione rendendo ancora più rapido il passaggio delle merci nel perimetro portuale  –:
          se il Governo intenda attuare, attraverso l'Agenzia delle dogane, una politica di semplificazione delle procedure di sdoganamento delle merci in importazione ed esportazione, con particolare riferimento alle prassi in uso nei porti italiani così da garantire: il passaggio a piattaforme telematiche delle pratiche di sdoganamento, la possibilità di correzione autonoma per le operazioni telematiche in procedura domiciliata, la previsione di un solo nulla osta sanitario a fronte di una unica dichiarazione doganale;
          al fine di rendere più competitivo il sistema portuale italiano, se il Governo intenda garantire la operatività 24 ore al giorno dei porti, per l'invio telematico delle operazioni doganali e l'adozione della modalità di pre-clearing per l'espletamento delle operazioni medesime;
          alla luce del fatto che vi sono diverse modalità di pagamento che consentono un'utile tracciabilità, se il Governo non ritenga di prevedere la possibilità di pagare i diritti doganali con altri mezzi elettronici, così da consentire una maggiore praticità agli operatori economici;
          a che punto sia l’iter di attuazione dello sportello unico doganale e quali tempi siano previsti dal Governo perché possa essere operativo;
          quali iniziative i Ministri intendano adottare, ciascuno per la propria competenza, per ridurre gli oneri burocratici segnalati in premessa e quali iniziative i Ministri intendano promuovere per tutelare e favorire il particolare settore dell'agroalimentare, punta di diamante dell'economia del nostro Paese. (4-04489)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante rileva che l'espletamento delle attuali procedure doganali di importazione ed esportazione nei porti nazionali provoca un allungamento del «tempo di transito» delle merci nei porti stessi, generando una perdita di competitività del sistema portuale italiano rispetto a quello di altri stati membri, nonché costi aggiuntivi per gli operatori economici del settore.
      Pertanto, al fine di rendere più competitivo il sistema portuale italiano, l'interrogante sollecita iniziative volte a:
              garantire l'operatività 24 ore al giorno dei porti, per l'invio telematico delle operazioni doganali e l'adozione della modalità di pre-clearing per l'espletamento delle operazioni medesime;
              prevedere la possibilità di pagare i diritti doganali con altri mezzi elettronici, così da consentire una maggiore praticità agli operatori economici.

      Inoltre, l'interrogante chiede a che punto sia l’iter di attuazione dello sportello unico doganale e quali tempi siano previsti perché possa essere operativo, e più in generale quali iniziative si intendano adottare per ridurre gli oneri burocratici connessi alle procedure di sdoganamento delle merci nei porti italiani.
      Al riguardo, sentiti l'agenzia delle dogane e dei monopoli e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si rappresenta quanto segue.
      Per quanto concerne l'eccessiva burocratizzazione delle procedure doganali nei porti italiani, giova osservare che il riferimento fatto dall'interrogante al termine di 19 giorni (necessari per completare un'operazione di export) è tratto dal rapporto «Doing business 2014» redatto dalla Banca Mondiale, in particolare dalla sezione «Trading across Borders» del predetto rapporto, che misura tempi e costi associati all'intero ciclo di import/export compresi tempi e costi connessi alla componente logistica (sbarco/imbarco, inoltro delle merci fino al porto di partenza/punto di destinazione).
      Tempi e costi sono rilevati da un questionario compilato da 7 operatori individuati dalla stessa Banca mondiale la cui identità è mantenuta riservata.
      Il questionario riguarda un caso di specie identico per tutti i paesi: l’import/export, via mare di un container standard, effettuato da una piccola/media impresa nazionale con sede nella capitale dello stato attraverso il principale porto marittimo nazionale (per l'Italia, Genova), nel periodo giugno 2012-giugno 2013.
      Secondo i dati estratti dalle risposte fornite dagli operatori, per le suddette operazioni sono necessari in Italia 7 giorni per ottenere il titolo di credito relativo alla transazione commerciale, 1 giorno per il rilascio del certificato di origine, 2 giorni per le operazioni doganali (di cui 1 per compilazione e presentazione della dichiarazione, 1 per eventuale controllo fisico delle merci) e 9 giorni per i documenti e nulla osta rilasciati da altri 18 enti /amministrazioni, per un totale di 19 giorni complessivi.
      Tuttavia, deve notarsi che i tempi attribuiti agli uffici doganali non corrispondono ai tempi effettivi; il metodo adottato dalla Banca mondiale «arrotonda» comunque ad 1 giorno anche intervalli di tempo inferiori al minuto (nel 2013 il 96,82 per cento delle operazioni doganali è stato svincolato in un lasso di tempo che varia tra 12 secondi e 5 minuti).
      Si aggiunga che i tempi sono calcolati non tenendo conto della simultaneità di alcune operazioni, né dei benefici della cosiddetta «procedura domiciliata» (ossia lo svolgimento delle formalità e degli eventuali controlli doganali direttamente presso la struttura dell'azienda esportatrice utilizzata da oltre l'82 per cento degli operatori).
      A tal proposito deve rilevarsi che nella graduatoria internazionale del rapporto 2014 l'Italia era collocata alla al 65o posto nel ranking generale e al 56o posto nella classifica specifica dell'indicatore «Trading across borders».
      L'agenzia delle dogane e dei monopoli, mediante contatti diretti con Banca d'Italia e Banca mondiale, si è attivata per rappresentare l'inefficienza dell'indicatore e del metodo di rilevazione, tanto che nell'edizione «Doing Business 2015» (dati 2014), l'Italia si colloca al 37o posto del ranking relativo all'indicatore «Trading across Borders», scalando ben 19 posizioni.
      Nell'ultima edizione del rapporto «Doing Business 2016» (dati 2015), l'agenzia delle dogane e dei monopoli evidenzia che la metodologia adottata è stata radicalmente modificata per quanto attiene l'indicatore Trading across Borders.
      In base a detta nuova metodologia, l'Italia si colloca al 1o posto nel ranking di settore, guadagnando ben 36 posizioni.
      In particolare, alla luce delle misurazioni effettuate dall'agenzia stessa prendendo a base i dati 2014 e adottando la metodologia messa a punto dall'organizzazione mondiale delle dogane (cosiddetta «Time Release»), il tempo medio per lo sdoganamento delle merci nei porti italiani è pari a 10 ore, con un minimo di 22 minuti ed un massimo di 79 ore.
      Tanto premesso, l'agenzia riferisce di essere da tempo impegnata nell'individuazione di ogni possibile miglioramento operativo finalizzato alla facilitazione dei traffici e alla riduzione dei costi per le imprese.
      Un primo passo per la diminuzione dei tempi di sdoganamento è stato, senz'altro, l'impulso dato ad alcune semplificazioni previste nel diritto dell'Unione europea, come il rilascio dello status di operatore economico autorizzato, che consente a tali soggetti l'autorizzazione allo sdoganamento telematico all'esportazione h 24 e la facoltà di scelta per gli operatori del luogo dove effettuare il controllo.
      L'agenzia ha, inoltre, attivato procedure telematiche per l'inoltro delle merci selezionate al luogo di controllo, scelto dall'operatore, attraverso un corridoio controllato con sistemi di geo-localizzazione GPS e monitorato grazie all'interoperabilità con la piattaforma logistica nazionale (PLN).
      L'agenzia delle dogane fa presente che tali procedure hanno costituito un banco di prova per l'introduzione di ulteriori innovazioni per la semplificazione del ciclo import/export e la decongestione degli spazi portuali. Le nuove procedure consentono la movimentazione di container dal punto di sbarco fino al magazzino di temporanea custodia di un nodo logistico di destinazione senza ulteriori formalità doganali, attraverso corridoi controllati su strada e ferroviari (Fast Corridore) monitorati rispettivamente dalle piattaforme PLN e PIL/PIC (piattaforme per il monitoraggio ferroviario).
      Inoltre, come evidenziato anche dall'interrogante, nella prospettiva di semplificazione delle procedure di sdoganamento delle merci nelle strutture portuali un ruolo fondamentale è svolto dall'implementazione dello sportello unico doganale, che costituisce uno strumento finalizzato ad attuare una «regia di convergenza» tra le amministrazioni coinvolte nel processo di sdoganamento tramite la digitalizzazione e l'integrazione delle certificazioni e dei procedimenti di rispettiva spettanza, assicurando una effettiva riduzione dei costi e dei tempi per le imprese.
      Detto sportello, attivato sin dal 2008 in collaborazione con il Ministero dello sviluppo economico per il trattamento di alcuni titoli di importazione ed esportazione, dal 2011 lo strumento è operativo con il Ministero degli affari esteri, per il trattamento delle licenze di importazione/esportazione dei materiali di armamento, e dal 2013 è stata attivata l'interoperabilità con il Ministero della salute, che ha competenza per il rilascio di circa l'80 per cento dei certificati/nulla osta necessari allo sdoganamento delle merci.
      Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sottolinea, altresì, che lo sportello unico doganale consente di realizzare una coerente integrazione dei processi della logistica e del trasporto attraverso una migliore circolazione delle informazioni tra i diversi soggetti coinvolti in tali processi garantendo tempi di «dialogo» molto ridotti tra i diversi attori dei processi medesimi e rendendo il sistema maggiormente coerente con il più generale assetto organizzativo del porto e dei nodi logistici di riferimento.
      Una fase di sperimentazione dello sportello unico, che ha coinvolto, in prima battuta, i porti di Civitavecchia e di Ravenna e via via altri porti, è stata avviata e sono stati conseguiti risultati molto positivi.
      Quanto all'utilizzo della procedura «pre-clearing» presso i porti italiani, auspicato dall'interrogante quale strumento per il rilancio della competitività del sistema portuale e per la riduzione dei tempi di sdoganamento, l'agenzia delle dogane e dei monopoli evidenzia di aver già reso operativa tale semplificazione procedurale sin dal 2010.
      A decorrere dall'ottobre 2013, detta procedura è stata sostituita presso i principali porti italiani da una procedura denominata «Sdoganamento in mare», la quale consente la presentazione anticipata della dichiarazione doganale rispetto all'arrivo della nave nel porto di destinazione.
      Tale strumento è ammesso soltanto per le merci che richiedono certificazioni di competenza di amministrazioni con le quali è attiva l'interoperabilità nell'ambito dello sportello unico doganale, a condizione che le spedizioni in container avvengano su navi mercantili per le quali è assicurato il monitoraggio dell'autorità marittima (capitaneria di Porto).
      Infine, con riferimento alla richiesta dell'interrogante di adottare iniziative volte a consentire agli operatori commerciali di effettuare il pagamento dei diritti doganali con «altri mezzi elettronici» per rendere più agevole e pratico l'adempimento dell'obbligazione, deve osservarsi quanto segue.
      Già da tempo, l'agenzia delle dogane e dei monopoli ha intrapreso un percorso di adeguamento delle strutture doganali agli standard di riscossione nazionali e internazionali, nell'ambito del quale – oltre all'avvio dei pagamenti con bonifico bancario – ha attivato una sperimentazione con gli operatori economici e Banca d'Italia, estesa a tutti gli operatori economici ed a tutto il territorio nazionale a partire dal mese di aprile 2014.
      Considerati gli esiti positivi della sperimentazione, il 1o dicembre 2015 il direttore dell'agenzia, d'intesa con il Ragioniere generale dello stato e sentita la Banca d'Italia, ha emanato il provvedimento contenente le disposizioni per l'utilizzo della modalità di pagamento o di deposito dei diritti doganali mediante bonifico bancario/postale.
      La procedura in parola consente di effettuare un unico pagamento tramite i sistemi di «remote banking», per tutte le dichiarazioni doganali presentate presso un qualsiasi ufficio del territorio nazionale, assicurando l'afflusso diretto delle somme su di un apposito conto di Tesoreria dello stato.
      L'agenzia delle dogane e dei monopoli ha previsto di dotare, entro il 31 dicembre 2016, di almeno un apparecchio POS ogni proprio ufficio territoriale (circa 200 apparecchi «POS»), per semplificare i pagamenti effettuati da operatori occasionali e viaggiatori; la prima fase di dotazione si è conclusa il 31 dicembre 2015 con l'installazione, in coerenza con il corrispondente impegno assunto nella convenzione 2015 tra l'agenzia ed il Ministero dell'economia e delle finanze, di 47 POS presso gli uffici a maggior traffico.
      Infine, è opportuno ricordare che, ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n.  157 recante «Misure per la revisione della disciplina dell'organizzazione delle agenzie fiscali, in attuazione dell'articolo 9, comma 1, lettera h), della legge 11 marzo 2014, n.  23», le agenzie fiscali dovranno procedere alla riorganizzazione delle proprie strutture in funzione del riassetto dei servizi di assistenza, consulenza e controllo al fine di facilitare gli adempimenti tributari, anche grazie all'impiego di nuove e più avanzate forme di comunicazione con il contribuente.
      Detta riorganizzazione è destinata a stimolare l'incremento della competitività delle imprese italiane e a favorire, altresì, l'attrattività degli investimenti in Italia da parte delle imprese estere che intendono operare nel territorio nazionale.
La Sottosegretaria di Stato per l'economia e le finanze: Paola De Micheli.


      SANTELLI e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la dichiarazione di presentazione delle liste dei candidati al consiglio comunale e delle collegate candidature alla carica di sindaco, per ogni comune, deve essere sottoscritta, a norma dell'articolo 3 della legge 25 marzo 1993, n.  81, e successive modificazioni da un determinato numero di elettori stabilito in base ai risultati pervenuti dell'ultimo censimento sulla popolazione del medesimo comune;
          la firma degli elettori, a norma dell'articolo 28, secondo comma, e dell'articolo 32, terzo comma, del testo unico 16 maggio 1960, n.  570 e successive modificazioni, deve essere apposta su appositi moduli riportanti il contrassegno di lista, il nome, cognome, luogo e data di nascita di ciascuno dei candidati, nonché il nome, cognome, luogo e data di nascita di ognuno dei sottoscrittori;
          ai sensi dell'articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n.  53, e successive modificazioni, la firma di ogni sottoscrittore deve essere autenticata da notaio, giudice di pace, cancelliere e collaboratore delle cancellerie delle corti d'appello, dei tribunali o delle sezioni distaccate dei tribunali, segretario delle procure della Repubblica, presidente della provincia, sindaco, assessore comunale, assessore provinciale, presidente del consiglio comunale, presidente del consiglio provinciale, presidente del consiglio circoscrizionale, vice presidente del consiglio circoscrizionale, segretario comunale, segretario provinciale, funzionario incaricato dal sindaco, funzionario incaricato dal presidente della provincia nonché consigliere provinciale o consigliere comunale che abbia comunicato la propria disponibilità, rispettivamente, al presidente della provincia o al sindaco;
          nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, la dichiarazione di presentazione di lista deve contenere anche l'indicazione di due delegati, incaricati di assistere alle operazioni di sorteggio delle liste, di designare i rappresentanti di lista presso ogni seggio elettorale e presso l'Ufficio centrale (articolo 32, settimo comma, numero 4), del testo unico 16 maggio 1960, n.  570). La facoltà di indicazione dei delegati è prevista anche nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti, ai fini della loro assistenza alle operazioni di sorteggio delle liste e della designazione dei rappresenti di lista presso ogni seggio elettorale (articolo 30, ultimo comma, del testo unico 16 maggio 1960, n.  570 e successive modificazioni, e articolo 16, comma 3, della legge 21 marzo 1990, n.  53);
          nell'ambito della competizione elettorale che interessa il comune di Cosenza per il turno amministrativo 2016, risulta agli interroganti che siano state denunciate palesi irregolarità dalle liste concorrenti che hanno avuto accesso agli atti. È stato infatti rilevato che nella documentazione della lista «Oltre i colori», l'atto relativo alle firme dei sottoscrittori risulta essere palesemente fotocopiato e sul medesimo atto non originale è stato apposto il timbro di autentica;
          altre palesi irregolarità risultano su diverse liste, sempre collegate al medesimo candidato a sindaco: una lista risulta mancante dell'atto principale essendo stato depositato, come evidenziato dal verbale, dopo la scadenza del termine previsto per la presentazione mentre in un'altra lista manca l'indicazione del luogo dell'autentica in tutti gli atti secondari. Un'altra lista con diverso candidato a sindaco indica, invece, la data di autentica antecedente di un mese alla data delle sottoscrizioni;
          nonostante le evidenzi irregolarità riguardanti la presentazione delle candidature, la commissione elettorale ha proceduto all'ammissione delle liste sopra citate  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se sia valido un documento che, mirante ad attestare l'autenticità delle firme dei sottoscrittori di una lista, risulti essere una fotocopia a colori su cui è stato apposto il timbro di validazione;
          se risulti se la commissione elettorale, rilevata la presenza di un atto che appare palesemente falso come l'autentica di una serie di firme applicata su fotocopia, abbia provveduto ad inviare gli atti alla procura della Repubblica competente. (4-13193)

      Risposta. — Le questioni rappresentate nell'interrogazione – relative alle procedure per l'elezione del consiglio comunale e del sindaco di Cosenza dello scorso mese di giugno – attengono, ratione materiae, alla sfera di autonomia accertativa, valutativa e decisionale della commissione elettorale circondariale di quel comune capoluogo.
      Interpellato dalla prefettura, tale organismo ha riferito preliminarmente che l'esposto da cui trae spunto l'atto di sindacato ispettivo è un’«istanza di esclusione liste/candidati in autotutela» depositata presso la commissione in data 12 maggio 2016 a firma di un delegato della lista denominata «Forza Cosenza».
      Tuttavia, con successiva nota del 17 maggio 2016, il medesimo delegato di lista ha comunicato di voler rinunciare in autotutela all'esposto, in maniera incondizionata.
      Quanto al merito delle questioni sollevate, la commissione ha rappresentato quanto segue.
      In riferimento alla lista «Per Cosenza oltre i colori», la commissione ha verificato la correttezza formale dell'autenticazione del relativo pubblico ufficiale, a seguito della quale, ai sensi degli articoli 2699 e seguenti del codice civile, vi è piena prova, fino a querela di falso, delle dichiarazioni delle parti che il pubblico ufficiale attesti essere avvenute in sua presenza.
      Con riferimento alla lista « Orgoglio Brutio», implicitamente citata nell'interrogazione, la commissione ha ovviamente tenuto conto della ricevuta del segretario comunale, dalla quale risultava che solo l’«atto principale» era stato prodotto tardivamente rispetto alla scadenza delle ore 12,00 del sabato 7 maggio 2016. Tuttavia, secondo quanto risulta dal dettagliato verbale dell'8 maggio 2016, la commissione ha ritenuto che, anche in assenza dell'atto principale, grazie alla restante documentazione depositata entro il predetto termine di legge, fossero comunque presenti gli elementi essenziali prescritti dalla legge per poter ammettere tale lista alla competizione elettorale. Questa «prova di resistenza» è avvenuta, in particolare, decurtando dal numero complessivo delle valide sottoscrizioni della lista quelle contenute, appunto, nell'atto principale.
      Con riferimento alla lista «Prima Cosenza», implicitamente citata nell'interrogazione, la commissione ha ritenuto di aderire al filone giurisprudenziale improntato al favor partecipationis, ritenendo che l'indicazione del luogo formalmente «sfuggita» nell'autentica da parte di un consigliere provinciale di atti separati di autentiche, ma contenuta in un'analoga sua autentica delle sottoscrizioni dell'atto principale della stessa lista regolarmente avvenuta in Cosenza, non potesse portare ad una radicale nullità di tali autenticazioni, peraltro corredate da numerosi timbri dell'ente provincia di Cosenza. Tale indirizzo improntato – come detto – al favor partecipationis risulta, del resto, suffragato da più di una pronuncia del Consiglio di Stato (Sezione III), il quale, proprio in occasione delle elezioni comunali del 5 giugno 2016 ha avuto modo di precisare che la tipologia di autentica in materia elettorale, più che a quella prevista e disciplinata dalla legge notarile, vada accostata all'autentica prevista dai citati articoli 2699 e seguenti del codice civile, limitandosi a dare pubblica fede circa le dichiarazioni rese dalle parti in presenza del pubblico ufficiale, senza soffermarsi sulla data e, appunto, sul luogo dell'autentica.
      Con riferimento, infine, alla lista «Movimento 5stelle», anch'essa implicitamente citata nell'interrogazione, la commissione ha comunicato che non risulta rispondente al vero che «la data di autentica» sia «antecedente di un mese alla data delle sottoscrizioni» dei promotori contenute nell'atto principale, poiché, è invece chiaro che la predetta data di autentica da parte di un funzionario del comune di Cosenza coincide con la data di sottoscrizione dell'atto stesso da parte dei singoli firmatari.
      Resta fermo che, in ogni caso, eventuali doglianze circa l'ammissione di liste possono essere fatte valere in sede di ricorso giurisdizionale amministrativo.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      SBERNA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la raccolta differenziata è un sistema di raccolta dei rifiuti che consente di raggruppare quelli urbani in base alla loro tipologia materiale, compresa la frazione organica umida, e di destinarli al riciclaggio, e quindi al riutilizzo di materia prima;
          la raccolta differenziata, dunque, risponde a due problemi legati all'aumento esponenziale della produzione di rifiuti: il consumo di materia prima che diminuisce grazie al riciclo e la riduzione delle quantità destinate alle discariche e agli inceneritori;
          inoltre, dalla gestione integrata dei rifiuti può venire anche un contributo importante alla lotta ai cambiamenti climatici e all'inquinamento dell'aria. Secondo stime di Legambiente, chi oggi ricicla la metà dei propri rifiuti riduce la CO2 e i gas climalteranti emessi in atmosfera di una quantità tra i 150 e i 200 chili all'anno;
          nel nostro Paese l'attività di raccolta differenziata dei rifiuti urbani e assimilati sta evolvendo sempre più verso il sistema del cosiddetto «porta a porta» nel quale i rifiuti, divisi nelle case dei cittadini, sono recuperati a domicilio dai comuni;
          il suddetto sistema di raccolta è riconosciuto come la tecnica più efficace al fine di preservare e mantenere le risorse naturali. In molti territori italiani ha infatti raggiunto ottimi risultati e in altri viene adottata proprio per aumentare la percentuale di differenziata e allinearsi alle direttive e normative europee;
          le imprese che provvedono, alla raccolta dei rifiuti sono iscritte all'Albo nazionale gestori ambientali, istituito dal decreto legislativo n.  152 del 2006, che succede all'albo nazionale gestori rifiuti disciplinato dal decreto legislativo n.  22 del 1997;
          l'Albo si trova presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e prevede un Comitato nazionale, con sede presso il medesimo Ministero, e sezioni regionali e provinciali, con sede presso le camere di commercio dei capoluoghi di regione e delle province autonome di Trento e Bolzano;
          la deliberazione 30 gennaio 2003 del Comitato nazionale ha stabilito i criteri e i requisiti per l'iscrizione all'albo delle imprese che svolgono le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti;
          esse devono avere una dotazione minima di mezzi e personale per essere iscritti nella categoria 1 che, a sua volta, è suddivisa in classi a seconda del numero della popolazione servita. Ad ogni classe è assegnata una portata utile complessiva in tonnellate che i veicoli utilizzati per la raccolta dei rifiuti devono rispettare;
          i bandi delle gare di appalto prevedono il rispetto del tonnellaggio tenuto conto della somma degli abitanti serviti dalla stessa azienda contestualmente: tuttavia molti dei comuni italiani che optano per il sistema del «porta a porta» sono caratterizzati da strade molto strette e percorribili solo da mezzi di modeste dimensioni con portata molto più bassa di quella richiesta per l'iscrizione della categoria 1;
          può verificarsi così che con soli tre paesi le aziende possono rientrare nella categoria 1D che prevede 30 tonnellate di portata utile e con la portata utile media di 10/15 quintali per mezzo vengono richiesti 25 automezzi ma utilizzati realmente solo 10;
          le aziende si trovano quindi a dover dimostrare di possedere tutti gli automezzi indicati nella suddetta delibera senza poi utilizzarli con un notevole dispendio di risorse  –:
          quali iniziative intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, perché le dotazioni minime di mezzi e personale previste dall'attuale normativa per la raccolta dei rifiuti siano adeguate alle reali condizioni in cui si trovano ad operare le suddette imprese. (4-11366)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ai requisiti minimi per l'iscrizione all'albo delle imprese che svolgono le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      Con la deliberazione 30 gennaio 2003, del comitato nazionale dell'albo gestori ambientali, istituito dal decreto legislativo n.  152 del 2006, sono stati stabiliti i criteri e i requisiti minimi (dotazione di veicoli e di unità di personale) per l'iscrizione all'albo delle imprese che svolgono le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti.
      Con riferimento all'iscrizione nella categoria 1 (raccolta e trasporto dei rifiuti urbani) detta deliberazione individua:
          a) all'allegato «A», le dotazioni richieste per il complessivo servizio di igiene urbana, basate sulla portata utile complessiva dei veicoli espressa in tonnellate di cui l'impresa deve disporre.
          b) all'allegato «B», tab 1B, le dotazioni minime richieste alle imprese che intendono iscriversi nella categoria 1 per svolgere esclusivamente lo specifico servizio di raccolta differenziata di rifiuti urbani. Queste ultime sono basate sul numero minimo di veicoli, a prescindere dalla portata utile dei veicoli stessi.

      Si specifica, pertanto, che, ai fini dell'iscrizione nella categoria 1 per lo svolgimento dello specifico servizio di raccolta differenziata di rifiuti urbani, classe D, all'impresa viene richiesta la disponibilità di n.  2 veicoli e non di trenta tonnellate di portata utile.
      D'altronde, la deliberazione 30 gennaio 2003, ha tenuto conto proprio dell'esigenza rappresentata dalle associazioni degli operatori economici di «adeguare i requisiti minimi richiesti per l'iscrizione alle realtà operative quali risultano dall'esperienza acquisita nel corso dell'operatività dell'albo nonché dalla esigenza di semplificare le procedure d'iscrizione garantendo, al tempo stesso, la permanenza delle garanzie di tutela dell'ambiente e le necessarie condizioni per assicurare servizi efficienti ed efficaci.
      Alla luce delle informazioni esposte, questo ministero continuerà informato e a svolgere le attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 10 giugno 2015 nel corso di un'intercettazione è emersa la volontà, da parte di un boss condannato per camorra e del fratello, di punire in maniera esemplare il cronista dalle cui inchieste erano nate le indagini che avevano portato alla cattura del suddetto boss;
          il fratello del boss asseriva in quella conversazione di voler «spaccare il cranio» al giornalista in questione;
          il cronista oggetto delle minacce è Nello Trocchia, giornalista campano autore di libri-inchiesta su mafie e corruttele e collaboratore del Fatto Quotidiano, del programma «In onda» di La7 e dell'Espresso;
          la cosa è stata immediatamente segnalata attraverso un'informativa riservata alla procura antimafia di Napoli;
          nonostante sia passato ormai un mese da allora, tuttavia, Nello Trocchia non ha ancora ricevuto nessuna misura di protezione;
          la procedura volta a garantire un'azione di tutela è ben collaudata e solitamente tempestiva, fatta di passaggi attentamente codificati: la procura deve inviare la nota degli investigatori alla procura generale, che a sua volta invia la documentazione in prefettura;
          a questo punto il prefetto dovrebbe convocare il Comitato per l'ordine e la sicurezza, ovvero l'organo che decide eventuali misure da adottare per la tutela della persona «esposta a rischio»;
          non si spiega come mai una procedura così chiara e solitamente rapida non sia ancora arrivata a compimento;
          da quanto si apprende la procura, a distanza di qualche giorno dalla ricezione dell'informativa, avrebbe effettivamente inviato alla procura generale il fascicolo, ma da lì in poi ne sono perse le tracce;
          ciò di cui si discute nei Comitati per l'ordine e la sicurezza è materia riservata, quindi la prefettura non ha rilasciato dichiarazioni sulla vicenda;
          ciò che è certo è che al momento nessuna misura a protezione del giornalista è stata presa;
          l'elenco dei giornalisti minacciati di ritorsione per il loro operato è ormai estremamente lungo;
          il rischio è che progressivamente venga messa a repentaglio la possibilità stessa di esercitare la professione giornalistica e tutelare fino in fondo l'esercizio della libertà d'informazione;
          tra il 2006 e il 2014 sono stati registrati 2.300 casi accertati di violenza nei confronti di giornalisti, con una stima di altri fatti che eleverebbe il numero a circa diciottomila episodi intimidatori;
          solo nei primi sei mesi dell'anno il Centro europeo per libertà dell'informazione di Lipsia (ECPMF) ha contato 206 minacce ai danni dei giornalisti italiani;
          i fatti narrati sono riportati, tra l'altro, nell'articolo «Al giornalista devo spaccargli il cranio». Boss minaccia collaboratore del Fatto.it. Ma dopo un mese protezione non arriva» pubblicato 1'8 luglio 2015 dall'edizione online de «Il Fatto Quotidiano»  –:
          se non ritenga doveroso ed urgente intervenire al fine di verificare le motivazioni per cui non sono state ancora adottate misure per la tutela di Nello Trocchia;
          se non ritenga doveroso ed urgente agire in modo da garantire che le più adeguate misure di tutela disponibili vengano adottate immediatamente;
          se vi siano altri casi analoghi in questo momento nel Paese e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di evitare che episodi di questo tipo possano ripetersi. (4-09792)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame, gli interroganti richiamano l'attenzione sulla situazione di pericolo del cronista campano Nello Trocchia, destinatario di minacce da parte di un boss condannato per delitti di camorra, proferite nel corso di una conversazione telefonica tenuta con il fratello e intercettata in data 10 giugno 2015. Chiedono al riguardo, quali iniziative si intendano intraprendere per garantirne l'incolumità fisica.
      In proposito, si informa che il nominativo del giornalista è citato nella corrispondenza allegata alla documentazione fatta pervenire alla prefettura di Napoli il 4 luglio 2015 dalla procura generale della repubblica presso la Corte di appello di Napoli, ai fini della valutazione del profilo di rischio di un magistrato-sostituto, procuratore della Repubblica.
      L'esame complessivo degli atti ha messo in rilievo anche le minacce nei confronti del giornalista, collaboratore di talune testate giornalistiche.
      Quindi, già il successivo 10 luglio, il questore di Napoli, previa intesa con il prefetto, ha attivato la misura di vigilanza generica radiocollegata presso l'abitazione del signor Trocchia, sita in un comune della provincia partenopea.
      Il dispositivo in argomento è stato poi ratificato di lì a pochi giorni, nella successiva riunione tecnica di coordinamento del 14 luglio.
      Successivamente, i prefetti di Roma e Milano hanno attivato la stessa misura presso il domicilio romano del giornalista e la sede de « Il Fatto Quotidiano» in cui il medesimo lavora.
      Si soggiunge, infine, che l'esposizione al rischio del signor Trocchia è costantemente monitorata dalle competenti prefetture per ogni eventuale ulteriore provvedimento che dovesse ritenersi necessario.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


      SECCO, BRUNETTA e MILANATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
          la strada statale 47 della Valsugana (SS 47), che diviene strada provinciale nel tratto da Padova a Cittadella (SP 47), è un'arteria stradale statale e provinciale italiana, il cui percorso si sviluppa tra le regioni Veneto e Trentino-Alto Adige, avendo origine a Padova e terminando a Trento, dopo avere percorso parte della pianura padana e attraversato la Valsugana;
          il tracciato Veneto lungo il quale si sviluppa l'infrastruttura è il seguente: lascia la città di Padova dirigendosi verso nord-ovest. All'estrema periferia nord-occidentale del Capoluogo, si innesta con la tangenziale di Limena. Il tratto iniziale è a quattro corsie, poi la strada si riduce ad una normale arteria extraurbana, con sede ampia, a carreggiata singola e alcuni (brevi) attraversamenti urbani;
          da Cittadella, ove assurge al rango di strada statale, si dirige verso nord, in direzione Bassano del Grappa (Vi), la cui bretella urbana è dotata di una tangenziale, a doppia carreggiata per senso di marcia. Dopo tale centro iniziano i primi rilievi alpini, e la SS 47 percorre la valle del fiume Brenta, ove si alternano tratti a quattro corsie con più lunghi tratti a carreggiata unica. Risultano frequenti attraversamenti di piccoli centri abitati, ove la velocità si riduce improvvisamente e la pericolosità di incidenti aumenta drasticamente, sino a Valsatagna. Successivamente, si sviluppa un lungo tratto di strada a carreggiate separate e quattro corsie, simile come caratteristiche ad una superstrada, sostanzialmente privo di incroci a raso;
          poco oltre Primolano (Vi), la strada lascia il territorio Veneto ed entra nella regione autonoma del Trentino Alto Adige: il primo centro di rilievo attraversato dall'arteria è Grigno (Tn), dove termina il troncone di superstrada (lungo 25 chilometri) e l'infrastruttura ritorna a carreggiata unica. Infine, l'ultimo tratto che inizia a Pergine Valsugana (Tn) e si dirige verso Trento è nuovamente in forma di superstrada a doppia carreggiata, senza intersezioni a raso. Al termine del percorso, la SS 47 si innesta nella strada statale 12 del Brennero e dell'Abetone a nord del capoluogo alpino;
          la summenzionata arteria, nel tratto ricompreso fra le località trentine, è gestita dalla provincia autonoma di Trento sulla base di quanto disposto dal decreto legislativo del 2 settembre 1997, n.  320, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n.  381, e delega alle province autonome di Trento e Bolzano di funzioni amministrative dello Stato in materia di viabilità»; nel tratto da Padova a Cittadella è sotto la giurisdizione della provincia di Padova, mentre nel restante – tra Cittadella e il confine col Trentino – è sotto il controllo dell'Anas;
          da notizie in possesso del primo firmatario del presente atto e da verifiche esperite dallo stesso, il tratto veneto gestito da Anas versa in uno stato di totale incuria ed abbandono al punto che, quest'ultima è stata costretta, nel mese di febbraio del 2015, ad emettere un'ordinanza volta alla riduzione della velocità per garantire la sicurezza nella percorribilità della medesima, nel tratto compreso tra Carpané e Primolano, abbassando il limite di 90 chilometri orari a 70 chilometri orari sostenendo che il piano viabile in entrambi i sensi di marcia presentasse in tratti saltuari diffusi ammaloramenti, anche con distacco di parti di materiale bituminoso;
          a tal proposito, sono oramai parecchi anni che gli automobilisti pendolari, i residenti e i turisti, che attraversano per svariate ragioni l'infrastruttura, ne lamentano il dissesto (rimanendo però inascoltati), a causa delle numerose buche pericolose e dei pezzi di bitume che si staccano e, volando, provocano danni alle carrozzerie e ai cristalli della auto ma Anas, oltre all'emanazione di predetta ordinanza, null'altro avrebbe fatto;
          negli ultimi tempi, il malcontento è aumentato in considerazione del fatto che, al contrario di quanto accadde dal lato vicentino in questione, nel limitrofo territorio trentino la manutenzione viene ottemperata regolarmente;
          inoltre, nel tratto veneto la manutenzione straordinaria viene svolta con gravi ritardi rispetto alle richieste d'intervento. L'asfalto risulta deteriorato in molte zone, le buche raggiungono dimensioni pericolose e il falcio dell'erba viene eseguito soltanto quando questa raggiunge il metro d'altezza. Il viadotto di San Marino riporta molti giunti deteriorati e la loro manutenzione non avviene da anni. L'installazione di barriere new jersey al centro della carreggiata volte ad evitare collisioni fra gli automezzi, più volte richieste e promesse, non è mai avvenuta. Inoltre, la rumorosità in centro a Carpané ha raggiunto dei limiti intollerabili e, sebbene la situazione sia chiara e conosciuta all'ente gestore dell'infrastruttura, gli interventi non sono mai stati posti in essere;
          infine, sono state inoltrate numerose segnalazioni per la rimozione della discariche abusive e l'incivile abbandono dei rifiuti lungo la succitata arteria stradale;
          da ulteriori notizie in possesso degli interroganti, la regione del Veneto, al fine di aumentare la capacità dell'arteria e di ridurre i tempi di collegamento con il Trentino e quindi col nord Europa avrebbe individuato, in comitato paritetico con la provincia autonoma di Trento, uno scenario di comune interesse riguardante i collegamenti trasportistici tra Veneto e Trentino, così articolato: un corridoio di collegamento viario tra la Valle dell'Astico, Valsugana e Valle dell'Adige; un'ottimizzazione dei collegamenti tra la SS 47 della Valsugana e la SS 12 del Brennero in provincia di Trento ed un efficientamento dei collegamenti che percorrono la Valsugana in territorio veneto, che prevedano interventi sulla SS 47 per risolvere le criticità presenti e sovra rappresentate;
          a giudizio degli interroganti, la situazione in cui oggi versa la SS 47 della Valsugana è grave, indecente e pericolosa e rappresenta, da un lato un pessimo biglietto da visita per i turisti che dal Nord Europa la percorrono per raggiungere le località balneari e cittadine venete e viceversa per quelli che vogliono recarsi nei territori del Feltrino e della valle del Primiero, e dall'altro un vero e proprio rischio costante per la sicurezza della viabilità  –:
          quali orientamenti il Governo intenda esprimere data l'urgenza della circostanza, in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per porre rimedio all'annosa questione che vede coinvolta l'arteria stradale SS 47 Valsugana, nel tratto di competenza dell'Anas ricompreso fra Cittadella (Pd) e il confine nord con la regione Trentino Alto Adige;
          se non si ritenga necessario utilizzare i «fondi Odi» – per lo sviluppo dei comuni di confine – allo scopo di mettere in sicurezza l'infrastruttura, in attesa di ulteriori sviluppi del progetto di potenziamento, vista l'interconnessione esistente con gli interessi dei comuni confinanti bellunesi, vicentini e dell'intera valle del Primiero;
          se si intenda assumere urgenti iniziative, alternative all'utilizzo dei «Fondi Odi», per garantire la massima fruibilità dell'arteria infrastrutturale SS 47 della Valsugana ai residenti, pendolari e turisti in essa circolanti. (4-13876)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      In merito alla manutenzione del tronco della strada statale 47 «della Valsugana» in gestione diretta Anas, compreso tra Cittadella e il confine con il Trentino-Alto Adige, si informa che, nel tratto compreso tra Carpenè e Primolano, durante i mesi di marzo e aprile 2015, sono stati eseguiti lavori di asfaltatura per il ripristino del piano viabile, per un importo complessivo lordo pari a circa 246 mila euro.
      Nel corso del primo semestre del corrente anno, Anas ha provveduto ad effettuare i seguenti interventi:
          distese di pavimentazioni, in tratti saltuari, tra le progressive chilometro 30+200 e chilometro 63+750, per un importo di circa 250 mila euro:
          disgaggio di massi pericolanti dalle pareti rocciose, nel tratto compreso tra i km 68+950 e km 69+000, per un importo di circa 50 mila euro.

      Inoltre, ha comunicato che sono di imminente avvio gli interventi di ripristino e rafforzamento della sovrastruttura stradale ammalorata, in tratti saltuari della strada statale 47, dal chilometro 30+450 (località Cittadella) al chilometro 73+000 (località, Primolano), per i quali si è provveduto all'affidamento in regime di Accordo quadro (articolo 59, comma 4 del decreto legislativo n.  163 del 2006), per un importo di circa 870 mila euro; l'ultimazione dei lavori è prevista per ottobre 2016.
      Sul tratto in argomento, al fine di garantire la sicurezza dell'utenza e sino al ripristino del fondo stradale, Anas nel mese di febbraio 2015 ha introdotto la limitazione della velocità di percorrenza a 70 km/h.
      Per quanto attiene al viadotto sito in località San Marino, nel quadro delle quotidiane attività di sorveglianza, Anas provvede a monitorare lo stato di efficienza e, in caso di usura, procede alla sostituzione dei giunti di dilatazione. Tra l'altro, per incrementare gli standard di sicurezza del tratto, nei mesi di novembre e dicembre 2015, Anas ha installato di una barriera spartitraffico di tipo new jersey, per un importo di circa 730 mila euro; è in fase di studio un intervento per il prolungamento dello spartitraffico centrale.
      La medesima società ha altresì segnalato che provvede con regolarità alle attività di potatura e sfalcio d'erba lungo i margini stradali, ad eccezione dei territori delimitati dai centri abitati, che come è noto rientrano nella competenza delle amministrazioni locali.
      Si fa presente, inoltre, che nella bozza del contratto di programma 2016-2019, tuttora in corso di predisposizione, da stipulare con Anas, questo Ministero ha previsto una serie di interventi di manutenzione straordinaria da realizzare lungo la strada statale 47:
          lavori di eliminazione della strettoia in località Solagna dal chilometro 49+700 al chilometro 50+240;
          fornitura e posa in opera di barriere di sicurezza, attenuatori d'urto in tratti saltuari dal chilometro 30+000 al 73+000;
          eliminazione dell'incrocio a raso al chilometro 59+000 in Comune di San Nazario;
          lavori di adeguamento delle opere di protezione del cavalcavia San Nazario dal chilometro 60+500 al chilometro 61+700 con posa in opera di spartitraffico e rifacimento cordoli con barriere guard-rail integrate con fonoassorbenti;
          ripristino statico di opere d'arte, sostituzioni appoggi e giunti, rifacimento cordoli e protezioni laterali;
          lavori di ripristino giunti di dilatazione dal chilometro 59+000 al chilometro 73+000;
          rafforzamento della sovrastruttura stradale tra CHILOMETRO 30+000 e chilometro 50+000:
          miglioramento della sicurezza stradale mediante l'esecuzione di pavimentazione antiskid tra il chilometro 50+000 e il chilometro 73+000.

      Per quanto attiene alla presenza di discariche abusive e all'incivile prassi di abbandono di rifiuti lungo i margini delle infrastrutture stradali, si ricorda che le attività relative al settore igienico-sanitario esulano dai doveri istituzionali di Anas; infatti, l'articolo 14 del Codice della strada, prevede, per ragioni eventualmente connesse alla «sicurezza e alla fluidità della circolazione» l'obbligo per l'ente gestore della strada della pulizia/rimozione di quanto ostacoli la sicurezza della viabilità.
      Tuttavia, Anas segnala che per risolvere l'annosa problematica della rimozione dei rifiuti presenti al di fuori del sedime stradale ma adiacenti allo stesso, ha in corso di sottoscrizione un protocollo di intesa con l'Associazione nazionale comuni italiani (Anci).
      Infine, in merito all'utilizzo dei fondi ODI, è stato interessato il Dipartimento per gli affari regionali in quanto l'individuazione degli interventi e le modalità di gestione delle risorse è in capo al Comitato paritetico per la gestione delle risorse finanziarie, composto dai presidenti pro tempore della regione Lombardia e della regione Veneto, dal Ministro per gli affari regionali e dai presidenti delle Province autonome di Trento e di Bolzano.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Graziano Delrio.


      SIBILIA e DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il progetto per la realizzazione della cosiddetta metropolitana leggera di Avellino ha visto la luce nel lontano 2005 e prevedeva un sistema filoviario lungo 11 chilometri, con una distanza media tra le fermate di circa 300 metri (per 36 fermate in totale) e con un passaggio – ogni sei minuti nelle ore di punta – di undici veicoli a emissioni zero, capaci di trasportare ognuno circa 70 persone e dotati di pianali ribassati per l'accesso ai disabili;
          l'opera, per cui è stato previsto un investimento di circa 24 milioni di euro, il 60 per cento provenienti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il 40 per cento dei fondi europei, non è stata ancora realizzata nonostante siano trascorsi più di 10 anni;
          l'attuale tragitto dovrebbe andare dalla rotonda di borgo Ferrovia a rione Valle, andata e ritorno, passando per via Francesco Tedesco, via Circumvallazione, via Guerini, via Testa, piazza D'Armi, via Colombo, via Cavour. In via Roma i veicoli, il cui costo complessivo ammonta a 6,5 milioni di euro, si sganceranno dai fili elettrificati per proseguire, grazie a un motore a diesel, fino a piazza Castello;
          secondo quanto si legge sul sito on line di informazione locale www.ilcarluccio.net, in un articolo pubblicato il 10 gennaio 2016 ed intitolato «Metro leggera, spesi 2 mln a chilometro: più della Salerno-Reggio», «i lavori per la metro leggera di Avellino hanno viaggiato alla ragguardevole media di 1,1 chilometri l'anno. Tre metri e 5 centimetri al giorno. Senza considerare che quest'opera ha visto avvicendarsi ben tre assessori regionali ai trasporti, quattro assessori comunali ai trasporti e quattro all'ambiente, due sindaci ed almeno una generazione di Avellinesi, passata per intero all'altro mondo senza aver avuto mai il piacere di salire sugli undici mega bus, ad alimentazione ibrida, elettrica e diesel (con certificazione Euro 5 già superata dalla normativa europea prima ancora della messa su strada)»;
          nonostante le dichiarazioni pubbliche di imminente completamento dell'opera, salvo poi i continui slittamenti della data, ad oggi mancano tutti gli elementi di corredo come le pensiline e i pannelli informativi alle fermate, mentre la posa della palificazione è avvenuta in maniera selvaggia in tantissime arterie cittadine, creando non solo disagi ai pedoni e alla mobilità delle persone diversamente abili lungo i marciapiedi, ma anche preoccupazioni ai proprietari di appartamenti che si sono visti installare i pali a distanza di poche decine di centimetri dai balconi con il rischio di un aumento dei furti nelle case più facilmente raggiungibili;
          questa palificazione selvaggia ha dato il via ad una mobilitazione generale, che è sfociata in una petizione popolare, e ha suscitato l'attenzione anche dei media nazionali;
          in data 29 aprile 2016 l'interrogante ha presentato al sindaco di Avellino una richiesta di sospensione dei lavori della metropolitana leggera per motivi di sicurezza al fine di avviare una seria riflessione sulla installazione dei pali e rimediare a scelte discutibili che stanno creando malumori nei cittadini avellinesi  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quale sia il costo dettagliato di quel 60 per cento del finanziamento posto a carico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e se non ritenga opportuno – per quanto di competenza – porre in essere ogni iniziativa di competenza per concludere una vicenda che dura da oltre 10 anni. (4-13080)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al sistema filoviario di Avellino, occorre premettere che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Mit) svolge funzioni in materia di sicurezza dei sistemi di trasporto ad impianti fissi e provvede all'erogazione dei contributi statali afferenti capitoli di spesa a carico della Direzione generale per i sistemi di trasporto ad impianti fissi e il trasporto pubblico locale.
      In tale ambito gli uffici competenti del Mit hanno rilasciato in data 15 settembre 2011 con decreto direttoriale n.  R.D. 207 il nulla osta tecnico ai fini della sicurezza sul progetto relativo al sistema di trasporto filoviario per la città di Avellino ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980 n.  753, e hanno espresso parere favorevole in linea economica, subordinatamente alle osservazioni e prescrizioni della Commissione interministeriale 1042/69, per l'importo di euro 24.709.251,84 di cui euro 14.825.551,20 pari al 60 per cento del costo dell'opera a carico dello Stato.
      Riguardo le modalità di erogazione dei fondi, è opportuno evidenziare che gli stessi vengono svincolati dai competenti uffici di questo Ministero a seguito di presentazione dei Sal sulle opere realizzate, e previa verifica dell'avanzamento lavori. L'erogazione dei fondi, per stato di avanzamento, viene effettuata in percentuale alla quota di contribuzione statale sull'intera opera.
      Si comunica, inoltre, che i lavori sono stati appaltati all'impresa Ati Sirti Spa (mandataria) – Imet Spa e Vanhool ny-Vassloh Gmgh (mandataria) – ed a tutt'oggi il comune di Avellino, quale soggetto attuatore, ha emesso 12 Sal per un ammontare di euro 18.479.098,76 comprendenti anche la fornitura di 11 filoveicoli: ad oggi il contributo statale erogato ammonta ad un importo pari a euro 7.368.712.79.
      In merito alle iniziative poste in essere per addivenire alla conclusione dell'opera, si premette che i filobus rientranti nell'appalto, sono stati oggetto del decreto dirigenziale n.  R.D. 310 del 31 ottobre 2014, secondo il quale per i filoveicoli di fine serie è stata concessa una deroga, fino al 30 giugno 2016, (Regolamento 595 del 2009 – euro 6); tale deroga avrebbe permesso la immissione in servizio degli 11 filoveicoli, dotati di motori endotermici euro 5, destinati all'impianto in oggetto, non oltre il richiamato termine del 30 giugno del 2016;
      A tale scopo sono state condotte dagli uffici della direzione generale e dall'Ustif di Napoli nel giugno scorso le verifiche e prove per l'immissione in servizio dei filobus; a seguito di tale attività con provvedimento del 24 giugno 2016 l'Ustif ha rilasciato il nulla osta tecnico per la sicurezza, con alcune prescrizioni, per l'immissione in servizio degli undici filobus, e con provvedimento in data 29 giugno 2016 il comune di Avellino ha concluso la procedura per l'autorizzazione alla circolazione di mezzi, nel rispetto pertanto della scadenza del 30 giugno 2016 prevista dal citato decreto direttoriale n.  310 del 2014.
      Ad oggi, comunque, la linea filoviaria, pur essendo idonea all'immissione in servizio dei filobus, non risulta ancora completa per l'apertura al servizio pubblico; nella configurazione attuale verrà, comunque, utilizzata per le attività di preesercizio.
      Infine, per quanto riguarda le problematiche esposte dagli interroganti inerenti la mancanza di pensiline, i pannelli informativi e l'installazione pali, l'ufficio territorialmente competente ha evidenziato che i lavori, in relazione a quanto si è potuto constatare in corso d'opera, appaiono sostanzialmente conformi al progetto approvato, ancorché con alcune varianti della direzione lavori.
      Tuttavia, considerate le criticità emerse i competenti uffici del Mit hanno provveduto in data 30 maggio 2016 a richiedere agli uffici tecnici del comune in questione notizie in merito alle modifiche disposte dalla direzione lavori ed alle norme cui è stato fatto riferimento per le stesse.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Graziano Delrio.


      SIBILIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il Conapo, Sindacato autonomo dei vigili del fuoco, ha messo in atto una mobilitazione per denunciare la situazione lavorativa cui sono sottoposti gli stessi vigili del fuoco;
          i sindacalisti del Conapo tra cui i rappresentanti di Benevento, hanno riferito della grave sperequazione retributiva (300 euro al mese in meno) e previdenziale rispetto al corrispondente personale impiegato nelle attività operative degli altri Corpi dello Stato;
          questo trattamento appare ancora più paradossale se si considera che i vigili del fuoco risultano essere ai primi posti nel gradimento degli italiani in quanto ad efficienza e, tra l'altro, sono sottoposti ad un rischio lavorativo non comune;
          in particolare, il Conapo chiede di pervenire al medesimo trattamento mediante l'inserimento del corpo del cosiddetto «comparto sicurezza» applicando le norme di equiparazione delle retribuzioni già applicate per le forze di polizia ai sensi dell'articolo 43 della legge n.  121 del 1981 o, in subordine, di estendere anche      ai vigili del fuoco, con specifici provvedimenti di attuazione dell'articolo 19 della legge n.  183 del 2010 (specificità lavorativa), taluni istituti retributivi e pensionistici già riservati alle forze armate e di polizia;
          in particolare, il Conapo chiede di istituire per i vigili del fuoco (compresi i funzionari direttivi) lo scatto dell'assegno funzionale ai 17, 27 e 32 anni di servizio, già dal 1987 in godimento agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 6 del decreto-legge n.  387 del 1987 convertito, con modificazioni, dalla legge n.  472 del 1987), di perequare tutti gli importi della indennità di rischio agli importi dell'indennità pensionabile attualmente corrisposta alle analoghe qualifiche degli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile, di istituire i 6 scatti aggiuntivi utili sull'importo della pensione nella misura già corrisposta, sin dal 1987, agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 6-bis del decreto-legge n.  387 del 1987), di introdurre per il personale in uniforme dei vigili del fuoco l'aumento di servizio ai fini pensionistici di un anno ogni cinque così come già corrisposto, sin dal 1977 agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 3, comma 5 della legge n.  284 del 1977) e di prevedere per il personale in uniforme dei vigili del fuoco direttivo e dirigente gli aumenti retributivi ai 13 e 23 e ai 15 e 25 anni di servizio, come attualmente già corrisposti (sin dal 1981) alle medesime qualifiche direttive e dirigenziali degli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 43, commi 22 e 23, e articolo 43-ter della legge n.  121 del 1981);
          al fine del reperimento delle risorse finanziarie occorrenti il sindacato propone di utilizzare i risparmi di spesa derivanti dalla attuazione della legge n.  124 del 2015 relativa alla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche  –:
          in che modo il Governo intenda rispondere alle richieste – argomentate in premessa – di parità di trattamento retributivo e pensionistico avanzate dai vigili del fuoco aderenti al Conapo. (4-13326)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, richiamando le rivendicazioni avanzate dal sindacato autonomo Conapo, sollecita l'adozione di iniziative volte ad equiparare il trattamento retributivo e pensionistico dei vigili del fuoco a quello del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile.
      Si rappresenta innanzitutto che il rilancio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e la valorizzazione del suo personale anche sotto il profilo economico-retributivo costituiscono, da oltre un decennio, punti fondamentali nell'agenda del Governo in tema di sicurezza.
      Risale al 2004 un'incisiva riforma che ha ricondotto il rapporto d'impiego dei vigili del fuoco dal regime privatistico a quello di diritto pubblico, al pari di quanto era già previsto per gli altri corpi dello Stato chiamati alla difesa dei valori fondamentali della Repubblica.
      Su tale base, il personale del Corpo nazionale è stato inquadrato nel comparto di negoziazione «Vigili del fuoco e soccorso pubblico», contiguo ma distinto dai comparti sicurezza e difesa previsti per il personale delle Forze armate e i Corpi di pubblica sicurezza in senso stretto.
      Da quel momento, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica, si sono susseguiti molteplici interventi legislativi diretti a realizzare il progressivo avvicinamento dell'ordinamento del personale del Corpo nazionale a quello delle Forze di polizia.
      Si ritiene utile ripercorrere le tappe di questo percorso normativo, all'interno del quale un primo passo particolarmente significativo è rappresentato dal decreto legge n.  185 del 2008 – confermato dalla legge n.  183 del 2010 – che ha riconosciuto la specificità del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al pari delle Forze armate e delle Forze di polizia, ai fini della definizione degli ordinamenti e della tutela economica, pensionistica e previdenziale.
      Va anche ricordato che con il predetto decreto legge n.  185, sono state, tra l'altro, destinate risorse aggiuntive all'istituzione di una speciale indennità operativa per il servizio di soccorso tecnico urgente espletato all'esterno.
      Successivamente, il processo di armonizzazione del trattamento economico è proseguito sia con il decreto n.  39 del 2009 (cosiddetto «decreto legge Abruzzo»), in virtù del quale i vigili del fuoco si sono visti ripristinare l'indennità di missione, analogamente a quanto previsto per il personale dei comparti sicurezza e difesa, sia con il decreto legge n.  78 dello stesso anno, che ha autorizzato la spesa di 15 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2010, da destinare alla speciale indennità operativa citata prima.
      Sempre nel 2009, il decreto legge n.  195 ha riconosciuto ai vigili del fuoco l'indennità di trasferimento.
      Più di recente, con la legge di stabilità 2014, sono stati reintrodotti il trattamento economico aggiuntivo per infermità dipendenti da causa di servizio e il diritto, a decorrere dall'anno 2014, agli assegni vitalizi ai familiari di invalidi vittime del terrorismo con invalidità non inferiore al 50 per cento.
      Da ultimo, la legge di stabilità 2016 ha destinato anche al personale del Corpo nazionale un contributo straordinario pari a 960 euro su base annua, al fine di fronteggiare le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale, per l'anno in corso.
      Svolta questa breve disamina delle iniziative pregresse, si assicura che l'amministrazione dell'interno proseguirà nella sua politica di attenzione verso quella componente fondamentale della protezione civile e del sistema generale della sicurezza del paese che è il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e, in tal senso, continuerà ad adoperarsi per assecondare le legittime aspettative del personale.
      Ma occorre accettare l'idea che il superamento delle differenze retributivo-previdenziali tuttora esistenti rispetto alle Forze di polizia avverrà giocoforza attraverso un processo graduale, che il Governo porterà avanti, pur in un contesto caratterizzato da stringenti vincoli di finanza pubblica e, comunque, in una logica di contemperamento con gli altri interessi collettivi presenti nel Paese, ritenuti meritevoli di pari tutela e considerazione.
      Si informa, in proposito, che, nell'ambito del progetto di riforma dell'ordinamento del personale dei vigili del fuoco, attualmente in fase di avanzata elaborazione, e in attuazione della cosiddetta legge Madia, è stata prevista l'istituzione di un fondo per il riconoscimento economico del ruolo operativo svolto dai vigili del fuoco, da impiegare per la corresponsione al personale di emolumenti fissi e continuativi, aventi natura pensionabile.
      A questo si aggiunge che prima della pausa estiva si aprirà, presso il Dipartimento della funzione pubblica, il tavolo per il rinnovo del contratto, che riguarderà in maniera abbastanza significativa anche i vigili del fuoco.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


      SORIAL, COMINARDI e ALBERTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          si apprende da fonti di stampa che alla regione Lombardia sarebbero giunte di recente quattro domande di nuove discariche a Brescia, per un totale di 5,5 milioni di metri cubi di rifiuti da smaltire, questo nonostante nell'intera provincia bresciana siano già presenti 113 discariche, delle quali 68 sono legali, per un quantitativo di rifiuti che supera i 50 milioni di metri cubi;
          le richieste sono quelle di A2A (il sito Bosco Stella a Castegnato) e di Garda Uno (la Castella, al confine tra Rezzato e Buffalora), per 2 milioni di metri cubi ciascuna, mentre su Montichiari c’è la richiesta di Padana Green (1 milione di metri cubi di amianto) e l'ampliamento della Edilquattro (400 mila metri cubi);
          l'indice di pressione ambientale, inserito nel piano rifiuti regionale, che vieta nuovi siti di smaltimento in territori già compromessi, escluderebbe la possibilità di implementare nuove discariche a Castegnato e a Montichiari visto che, secondo le regole, se si sono già smaltite più di 160 mila tonnellate di rifiuti per chilometro quadrato non ci possono essere nuove autorizzazioni; nella vicina Bosco Sella riposano 4 milioni di metri cubi di scorie, mentre per la Castella questa regola non potrebbe essere applicata, ma ci sono altre criticità: la presenza di una falda troppo alta e la vicinanza con il futuro parco delle cave di interesse sovracomunale;
          negli ultimi tempi la provincia di Brescia è stata definita dai media la «Terra dei Fuochi del Nord» per i numerosi casi di allarmi ambientali legati alle attività delle ecomafie, tipiche del territorio posto tra le province di Caserta e Napoli denominata «terra dei fuochi»: dai ritrovamenti di discariche abusive di rifiuti pericolosi seppelliti sotto il manto stradale della A4, agli impianti per lo smaltimento di rifiuti pericolosi chiusi e abbandonati con la loro pesante eredità sul territorio, alle cave trasformate in discariche illegali;
          le province della Lombardia sono da tempo interessate da numerosi episodi di grave inquinamento ambientale relativi anche alla presenza di discariche abusive, come quella di Cavenago d'Adda (Lodi) che è stata oggetto di sequestro; si tratta di un fenomeno di particolare gravità, come emerso nelle tante indagini portate avanti negli anni dalle forze dell'ordine e dalle relazioni parlamentari della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti;
          il rapporto Ecomafia 2013 di Legambiente conferma come la Lombardia detenga tra le regioni del Nord il triste record di presenza della criminalità organizzata di stampo mafioso nel ciclo dei rifiuti speciali e pericolosi, che da soli ammontano all'80 per cento di tutti i rifiuti che transitano in Lombardia;
          la provincia di Brescia conta la presenza di numerose attività industriali ed agricole dal notevole potenziale inquinante e, in particolare, ben 187 aziende IPPC (integrated pollution prevention and control) nel settore industriale, 217 aziende IPPC nel settore agricolo, 20 aziende a rischio di incidente rilevante (soggette a notifica) e 20 aziende a rischio di incidente rilevante (soggette a rapporto di sicurezza) e nella sua provincia la più alta densità di impianti di smaltimento di rifiuti pericolosi e non; inoltre, nell'ovest bresciano, nell'area compresa tra Castegnato, Ospitaletto, Passirano e Paderno, Legambiente ha censito 21 discariche dismesse: il cratere di 22 ettari della Bosco Sella (5 milioni di metri cubi di rifiuti dell'ex Asm), i siti Pianera e Pianerino (contenenti il pcb della Caffaro), Codenotti, Gervasoni, Bettoni, Arici e Bonara, la Vallosa a Passirano, la Del Bono e la Gottardi a Ospitaletto, a Sorelle Vianelli a Paderno  –:
          se il Governo non intenda attivarsi affinché il territorio bresciano, martoriato già da troppe discariche legali e illegali, come esposto in premessa, sia costantemente monitorato per verificare l'entità e la diffusione delle situazioni più gravi, migliorando gli strumenti di controllo della tracciabilità dei rifiuti nel più ampio quadro dell'innovazione e della modernizzazione della pubblica amministrazione, al fine di tutelare la sicurezza dei cittadini e dell'ambiente;
          se il Ministro non consideri necessario intervenire, per quanto di competenza, e attraverso quali iniziative anche normative, affinché i territori con un elevato indice di pressione ambientale siano preservati da ulteriori discariche che aggraverebbero situazioni già critiche. (4-10200)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il tramite della competente amministrazione regionale della Lombardia, con specifico riferimento ai progetti di discarica, si rappresenta quanto segue.
      Si fa presente, in via preliminare, che l'indice di pressione ambientale, introdotto dal piano regionale di gestione dei rifiuti (Prgr) 2014-2020 quale nuovo criterio localizzativo per gli impianti di rifiuti, consiste in un metodo di calcolo del «fattore di pressione» per le discariche, utile per tenere conto delle particolari condizioni ambientali dei territori e per definire maggiori distanze di salvaguardia.
      Il nuovo criterio si applica alle istanze inerenti progetti di trattamento di rifiuti presentate successivamente all'entrata in vigore del piano regionale (20 giugno 2014). Alle istanze presentate prima di tale data, invece, sono applicati i criteri localizzativi previgenti.
      Con riferimento ai progetti di discarica oggetto dell'interrogazione parlamentare, la regione lombardia ha specificato che le 4 nuove istanze sono relative a:
          1. discarica di Bosco Stella nel sito di Castegnato/Paderno Franciacorta presentata da A2A s.p.a.;
          2. discarica Castella nel sito di Rezzato presentata da Garda Uno S.p.a.;
          3. discarica Padana Green nel sito di Montichiari presentata da Padana green S.r.l.;
          4. discarica Edilquattro nel sito Montichiari presentata da Edilquattro S.r.l.

      Tutte le istanze sono state presentate antecedentemente l'entrata in vigore del Prgr 2014-2020, ad eccezione dell'istanza Edilquattro a cui si applicano, quindi, i nuovi criteri localizzativi.
      In relazione a tale ultima istanza, la provincia di Brescia, autorità competente per la valutazione di impatto ambientale (Via), rilevata la sussistenza di un motivo ostativo alla realizzazione dell'opera rappresentato dal superamento del valore di soglia del fattore di pressione per le discariche, con atto n.  6848 del 2014, ha disposto il diniego dell'autorizzazione.
      Per gli altri tre procedimenti autorizzativi – ad oggi in corso di istruttoria Via da parte della regione Lombardia – il superamento del fattore di pressione nell'ambito interessato, seppur non possa essere opposto automaticamente come fattore escludente la possibilità di realizzare l'impianto, è comunque oggetto di valutazione da parte dell'autorità competente in sede di Via e di rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia).
      Con riferimento alla richiesta dell'interrogante di procedere ad un monitoraggio ambientale del territorio, la regione ha rappresentato a questo dicastero che l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa) della Lombardia effettua già un'attività di controllo che si articola come segue:
          controllo in ambito Aia con focus sulle discariche;
          verifiche di conformità ai sensi del decreto legislativo n.  36 del 2003 nelle fasi di costruzione, avvio alla gestione, chiusura/ apertura lotti e post gestione delle discariche soggette ad Aia;
          approfondimenti su specifiche aree di discarica.

      Si segnala, in particolare, che il Dipartimento di Arpa Brescia, nell'ambito del progetto Plumes finanziato dalla regione, ha effettuato il monitoraggio delle acque di falda su alcune aree ove erano state riscontrate problematiche di inquinamento, al fine di delineare il pennacchio di contaminazione e possibilmente individuarne la sorgente.
      Arpa Lombardia, inoltre, ha condotto approfondimenti con monitoraggi idrogeologici, chimici e radiometrici delle acque sotterranee della discarica Metalli Capra di Capriano del Colle e sulla cava Piccinelli di Brescia, interessata dalla presenza di rifiuti contaminati da Cesio 137. Le misurazioni effettuate dall'agenzia non hanno messo in evidenza tracce, neanche minime, di Cesio 137 nei campioni delle acque di falda prelevati dalla rete piezometrica di controllo.
      Sull'argomento, tra le diverse misure, si ricorda che l'articolo 35, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n.  133 (cosiddetto «decreto Sblocca Italia»), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n.  164, prevede che «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica».
      La finalità del decreto in questione è quella di ridurre il conferimento dei rifiuti in discarica (calcolato ad una percentuale massima del 10 per cento) e di sfruttare al meglio la rete impiantistica nazionale già esistente, delineando una potenziale linea strategica nazionale di medio lungo termine sulla gestione dei rifiuti per gli anni avvenire, in ottemperanza all'obiettivo di ottimizzazione della rete infrastrutturale dedicata al recupero energetico su scala nazionale previsto nell'ambito del «pacchetto economia circolare».
      Con specifico riferimento alla strategia nazionale delineata dalle disposizioni dei decreti attuativi dello «sblocca Italia», si rappresenta, inoltre, che questo Ministero ha accolto la richiesta della Conferenza Stato-regioni di istituire un comitato, presso la Conferenza stessa, per la gestione integrata ed efficiente del ciclo dei rifiuti.
      Tale comitato avrà funzioni istruttorie, di raccordo e di coordinamento e concorrerà ad ottimizzare l'efficacia del sistema integrato di gestione dei rifiuti e assicurerà il monitoraggio e il coordinamento a livello nazionale per l'attuazione delle politiche di gestione dei rifiuti.
      Ad ogni modo, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
      In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      TARICCO, MARCO DI MAIO, ANTEZZA, RAGOSTA, BONOMO, AMATO, CAPONE, TINAGLI, PREZIOSI, BORGHI, LODOLINI, PRINA, NICOLETTI, PATRIARCA e DE MENECH. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
          la Siae, nata nel 1882, opera esercitando il monopolio legale sulla protezione e sull'esercizio dell'intermediazione sui diritti d'autore;
          la legge che ancora oggi regola il suo funzionamento è la n.  633 del 1941, ormai datata, e lega pertanto la sua modalità operativa a concetti e modelli di tutela del diritto d'autore e del copyright che mostrano seria difficoltà ad interpretare le complessità del presente;
          l'Italia è rimasta uno dei pochi Paesi dell'Unione europea (assieme all'Austria) ad avere norme che prevedono un monopolio legale sulla gestione dei diritti d'autore, mentre nella maggioranza degli altri Paesi europei la tutela è esercitata da un mercato libero e concorrenziale, in attuazione dei trattati comunitari che prevedono la libera circolazione di persone, merci e servizi; la stessa Corte di giustizia europea ha sostenuto che il monopolio è una condizione patologica del mercato che, nell'ottica degli obiettivi comunitari, può essere preservata solo se garantisce particolare efficienza, cosa che allo stato dell'arte sembra non caratterizzare l'azione della Siae;
          la legge 23 dicembre 1996, n.  650, recente esenzioni sui pagamenti dei diritti alle associazioni di volontariato iscritte nei registri da due anni, alle Onlus configurate così come da articolo 10 del decreto-legge n.  460 del 1977, nonché «alle associazioni; comitati, fondazioni ed agli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, costituiti da almeno due anni, i cui statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, prevedano espressamente ed in via esclusiva lo svolgimento di attività dirette ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari, in uno o più dei seguenti settori: assistenza sociale e socio-sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, tutela dei diritti civili» concernono alcuni casi specifici e ne escludono la maggior parte, costringendo così realtà spesso autofinanziate e motivate dalla sola volontà di promozione della musica tra le giovani leve a pagare tasse onerose, a volte tanto onerose da costringere le suddette realtà alla rinuncia dell'effettiva realizzazione dell'evento, con conseguente perdita di ricaduta culturale, formativa e di intrattenimento sul territorio;
          la legge n.  30 del 1997 ha introdotto (articolo, 6 comma 4) disposizioni in conseguenza delle quali sono libere le utilizzazioni: a) dei repertori di «pubblico dominio»; b) delle musiche della tradizione popolare di autore anonimo; c) delle opere comunque non rientranti tra quelle amministrate dalla Siae. In questi casi parrebbe quindi non essere dovuto nessun compenso per il diritto d'autore; per repertorio di «pubblico dominio» s'intende il complesso delle opere non più soggette a tutela per il decorso del termine di 70 anni post mortem autore (o del coautore per le opere scritte in collaborazione) previsto dalla legge n.  633 del 1941 e successive modifiche ed integrazioni;
          il 29 agosto 2006 con propria lettera, la direzione generale della Siae diramava alle sue sedi periferiche, una nota con protocollo 2/1346/PS, con chiarimenti relativi alle istruzioni operative fornite con la nota 2.782 del 13 giugno, con precisazioni che «in merito alla possibilità prevista dall'articolo 7 di sostituire il programma musicale con una autocertificazione», indicavano che: «- In conseguenza della legge 30/97 che ha abolito il diritto demaniale ed abrogato gli articoli 175 e 176 della legge 633/41, le utilizzazioni delle opere di pubblico dominio sono libere; – La redazione del programma musicale può, pertanto, essere sostituita, qualora ne venga fatta esplicita richiesta, da una dichiarazione in fede rilasciata dai soggetti organizzatori. L'autocertificazione deve essere presentata anticipatamente rispetto all'evento e può essere prodotta soltanto nel caso in cui il repertorio programmato preveda l'esecuzione di composizioni interamente di pubblico dominio o non tutelate. Tale dichiarazione dev'essere corredata da un elenco dettagliato dei brani che saranno utilizzati o, in sostituzione, da locandine, programmi di sala o altra documentazione idonea a consentire alla SIAE di verificare la correttezza di quanto segnalato. Ove si ritenga opportuno, potranno essere disposti accertamenti per riscontrare la rispondenza tra il repertorio eseguito e quello dichiarato»;
          parrebbe però che questa deroga non sempre venga applicata in modo puntuale e che la Siae richieda in molti casi la compilazione del relativo «programma musicale» con il conseguente pagamento dei diritti;
          questo, nonostante molte esecuzioni di musica classica per attività formative riconosciute, concorsi musicali ed esecuzioni bandistiche promossi da enti pubblici e, inoltre, molte manifestazioni ed eventi finalizzati alla promozione dell'educazione musicale, svolte senza finalità di lucro da associazioni, fondazioni e agli altri enti di carattere privato o da enti pubblici, svolgano la loro attività negli ultimi anni senza alcun aiuto o contributo da parte di enti pubblici;
          inoltre, pare che il concorso musicale venga spesso considerato non un'iniziativa unitaria, comprensiva di tutte le sue parti, compresi i saggi dei concorrenti, bensì un'iniziativa composta da parti singole e distinte e pertanto spesso siano imposti tanti permessi quante sono le parti del concorso, considerati i saggi e il concerto di apertura come separate manifestazioni da autorizzare come singoli spettacoli; al contrario, l'attività culturale nei concorsi musicali è chiaramente unica, e il mancato rispetto di questa unicità risulta così in moltissimi casi oneroso oltre il limite della correttezza, e le imposte e le tasse complessivamente arrivano a raggiungere talvolta (superare la sostenibilità, soprattutto perché molti dei soggetti gestori o co-gestori sono (senza scopo di lucro ed in gran parte motivati da solo amore per la musica  –:
          quali iniziative il Ministro intenda porre in atto per chiarire l'esclusione dal campo di applicabilità della norma sui pagamenti dei diritti d'autore, onde evitare possibili vessazioni e generare invece uno stimolo alla realizzazione di attività volte alla sola promozione della musica e alla formazione delle giovani leve di artisti;
          se il Ministro non ritenga necessario assumere iniziative per chiarire con una circolare, se del caso che le esecuzioni di musica classica svolte in occasione di attività formative riconosciute, concorsi musicali ed esecuzioni bandistiche, promossi o svolti da enti pubblici in occasione di manifestazioni di valore artistico e culturale, oltreché le attività svolte e organizzate da associazioni, comitati, fondazioni ed agli altri enti di carattere privato, nonché da enti pubblici, con finalità di promozione culturale della musica e senza scopo di lucro, sono comunque escluse dall'obbligo dei diritti SIAE e che comunque lo sono con certezza le opere musicali di autori scomparsi da oltre 70 anni;
          se non ritenga di assumere iniziative per chiarire che il concorso musicale è una unitaria iniziativa, comprensiva di tutte le parti, compresi i saggi dei concorrenti, e che quindi non è possibile che siano imposti tanti permessi e tante imposte correlate, quante sono le parti del concorso, e che quindi sono sempre da considerare i saggi, il concerto di apertura e tutte le fasi del concorso quali elementi di una unica manifestazione da autorizzare unitariamente in quanto parti di unica attività culturale. (4-12160)

      Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame, l'interrogante, con riferimento a difficoltà applicative e interpretative di disposizioni riguardanti casi nei quali non è dovuto il pagamento del diritto d'autore (iniziative di associazioni di volontariato e onlus, esecuzioni di repertori di «pubblico dominio», concorsi e saggi musicali promossi da enti pubblici), chiede di conoscere quali iniziative si intenda porre in essere per chiarire detti dubbi; se non si ritenga opportuno emanare una circolare per chiarire che «le esecuzioni di musica classica svolte in occasione di attività formative riconosciute, concorsi musicali ed esecuzioni bandistiche, promossi o svolti da enti pubblici in occasione di manifestazioni di valore artistico e culturale, oltreché le attività svolte e organizzate da associazioni, comitati, fondazioni e dagli altri enti di carattere privato, nonché da enti pubblici, con finalità di promozione culturale della musica e senza scopo di lucro sono comunque escluse dall'obbligo dei diritti SIAE e che comunque lo sono con certezza le opere musicali di autori scomparsi da oltre 70 anni»; e se, infine, non si ritenga di «assumere iniziative per chiarire che il concorso musicale è una unitaria iniziativa, comprensiva di tutte le parti, compresi i saggi dei concorrenti, e che quindi non è possibile che siano imposti tanti permessi e tante imposte correlate, quante sono le parti del concorso».
      La legge 22 aprile 1941 n.  633 (di seguito LDA), come recita il suo titolo, disciplina la protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. Tale
corpus normativo, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, non è affatto «datato» poiché ha accolto, nel tempo, le novelle disposte dal legislatore allo scopo di rendere compatibile il quadro normativo interno con quello europeo e internazionale, anche al fine di rispondere adeguatamente all'evoluzione delle modalità di fruizione dei contenuti da parte degli utenti.
      In tale ambito, nel rispetto dei princìpi di funzionamento dell'Unione europea e delle più recenti pronunce della giurisprudenza della Corte di giustizia, la SIAE svolge in esclusiva l'attività di intermediazione per i diritti d'autore, in tutti i settori artistici, garantendo agli aventi diritto l'adeguata remunerazione del lavoro creativo.
      L'attività esercitata dalla società implica la predisposizione e l'implementazione delle procedure idonee all'identificazione delle opere utilizzate, proprio al fine di stabilire se per esse sia dovuto il compenso previsto o, al contrario, siano liberamente utilizzabili poiché in pubblico dominio, ovvero non in tutela presso la SIAE.
      La compilazione del programma musicale è prevista dal regio decreto 18 maggio 1942, n.  1369, Regolamento di esecuzione della legge 22 aprile 1941, n.  633, quale obbligo per coloro che ha richiamato l'articolo 51 sopra citato quale norma «che impone l'obbligo (...) di compilare il programma musicale» aggiungendo che «(...) l'inosservanza di tale obbligo è autonomamente sanzionata dall'articolo 64 dello stesso Regolamento ed integra fattispecie contravvenzionale diversa dal delitto di cui all'articolo 171, 1o comma, lett. b) della l. 633/1941».
      È in effetti possibile, in concreto, che si delineino le seguenti situazioni: l'utente intende eseguire solo opere musicali in tutela presso la SIAE: in tal caso occorre il programma musicale, peraltro oggetto di specifica condizione contrattuale nell'ambito delle licenze rilasciate dagli uffici SIAE; l'utente intende eseguire opere musicali in tutela SIAE, ma anche altre in pubblico dominio e/o non in tutela SIAE: in tali casi il programma musicale soccorre per distinguere altresì l'esecuzione delle opere in pubblico dominio, per le quali nulla è dovuto, da quelle in tutela, nonché al fine di consentire le verifiche sulle eventuali modifiche alle originarie programmazioni; l'utente intende eseguire solo opere in pubblico dominio o non in tutela presso la SIAE: in questo caso è possibile produrre agli uffici incaricati una autocertificazione in tal senso, ovvero anche compilare lo stesso programma musicale, fruendo della consulenza degli uffici SIAE per qualificare con esattezza il regime giuridico delle opere, nel caso di particolari fattispecie, come l'elaborazione di un'opera in pubblico dominio, sottoposta ad uno specifico regime di tutela: anche in questo caso la SIAE può effettuare dei controlli al fine di rilevare eventuali modifiche delle originarie programmazioni.
      Ne consegue che non vi è affatto un collegamento automatico, come invece ipotizzato dall'interrogante, tra la compilazione del programma musicale e il pagamento dei diritti.
      Con riguardo al trattamento del concorso musicale e alle altre tematiche volte a escludere dal pagamento dei diritti d'autore l'utilizzo di musica nell'ambito di attività formative, concorsi musicali, promossi o svolti da enti pubblici in occasione di manifestazioni di valore artistico e dirigono «l'esecuzione di opere musicali di qualsiasi natura, anche ai fini del controllo sulle esecuzioni di opere soggette al pagamento del diritto demaniale» (articolo 51).
      L'espressione «anche», contenuta nella norma evoca obbligo generale che riguarda ogni tipologia di opera musicale, senza alcuna distinzione tra opere in tutela e opere in pubblico dominio peraltro soggette, fino alla sua abolizione, al pagamento del diritto demaniale.
      Nell'ambito della disciplina del diritto demaniale infatti il legislatore aveva introdotto, in chiave sistematica e in via generale ed astratta, uno strumento operativo che consentisse all'ente deputato alla gestione delle opere, l'efficace controllo dell'esecuzione di «opere musicali di qualsiasi natura», prescindendo da ogni genere di qualificazione.
      Come evidenziato dall'interrogante, successivamente gli articoli 175 e 176 della LDA, disciplinanti il diritto demaniale, sono stati abrogati dall'articolo 6 della legge 28 febbraio 1997, n.  30, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n.  669, recante disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997. Tale caducazione, pur avendo certamente travolto le disposizioni applicative direttamente connesse alla norma primaria, non sembra aver intaccato la disciplina dell'articolo 51 del citato regio decreto, non contrastante con la norma espressamente abrogata.
      Dunque, vero è che le disposizioni sul diritto demaniale sono state abrogate, ma certamente non lo sono quelle concernenti il pubblico dominio, la cui presenza nel nostro ordinamento rivela, anche oggi, la necessità di disporre di strumenti utili alla verifica della ricorrenza o meno di tale fattispecie, nelle differenti occasioni di spettacolo.
      A riprova della vigenza ed operatività della norma sul programma musicale, negli ultimi anni vi sono state pronunce giurisprudenziali, anche con riferimento al tema della falsa compilazione. Una per tutte: con sentenza n.  16181 del 2013 la Corte di cassazione sez. III penale, culturale, fermo il principio, che permea la nostra carta costituzionale e la normativa di matrice europea, della tutela del lavoro e del diritto alla remunerazione del lavoro intellettuale, quale è quello artistico, risulta che la SIAE abbia da tempo concluso accordi con istituzioni di alta formazione artistica e musicale (AFAM).
      Tali intese sono volte a strutturare un sistema di benefici in considerazione dell'elevato livello culturale, didattico e formativo dell'attività di esecuzione delle opere dell'ingegno nell'ambito di dette istituzioni. Tra gli elementi di negoziazione e di intesa tra le parti rivestono importante peso e significato i temi dell'unitarietà dei concorsi musicali e della cosiddetta scomponibilità degli stessi, con riguardo alle procedure di autorizzazione e di pagamento dei relativi diritti.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Dorina Bianchi.


      TARTAGLIONE, LUCIANO AGOSTINI, ASCANI, CAPELLI, CARLONI, CARNEVALI, CENSORE, CIRACÌ, COVELLO, D'INCECCO, DE MENECH, GIANNI FARINA, FEDI, TINO IANNUZZI, IORI, MANFREDI, MARANTELLI, SALVATORE PICCOLO, QUINTARELLI, ROMANINI, SGAMBATO, VECCHIO e ZOGGIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la legge 8 ottobre 2010, n.  170, recante «Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico», all'articolo 5 prevede che «gli studenti con diagnosi di DSA hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari». Aggiunge, inoltre, che «agli studenti con DSA sono garantite, durante il percorso di istruzione e di formazione scolastica e universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione, anche per quanto concerne gli esami di Stato e di ammissione all'università nonché gli esami universitari»;
          il decreto ministeriale n.  5669 del 12 luglio 2011, all'articolo 6 prevede che «per le prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale programmati a livello nazionale o da parte delle università, sono previsti tempi aggiuntivi, ritenuti congrui in relazione alla tipologia di prova e comunque non superiori al 30 per cento in più rispetto a quelli stabiliti per la generalità degli studenti, assicurando altresì l'uso degli strumenti compensativi necessari in relazione al tipo di DSA»;
          le «Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento», allegate al decreto ministeriale n.  5669 del 12 luglio 2011, non sono altrettanto chiare e sembrano limitare l'utilizzo degli strumenti compensativi e dispensativi, salvo i casi di particolare gravità di DSA;
          il paragrafo 6.7 delle linee guida relativo a «Gli Atenei» statuisce, infatti, che «la presentazione della certificazione diagnostica, al momento dell'iscrizione, permette di accedere anche ai test di ammissione con le seguenti modalità:
              la concessione di tempi aggiuntivi, rispetto a quelli stabiliti per la generalità degli studenti, ritenuti congrui dall'Ateneo in relazione alla tipologia di prova e comunque non superiori al 30 per cento in più;
              la concessione di un tempo aggiuntivo fino a un massimo del 30 per cento in più rispetto a quello definito per le prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale programmati a livello nazionale o dalle università ai sensi dell'articolo 4 della legge 2 agosto 1999, n.  264;
              in caso di particolare gravità certificata del DSA, gli Atenei – nella loro autonomia – possono valutare ulteriori misure atte a garantire pari opportunità nell'espletamento delle prove stesse...»;
          il decreto ministeriale 3 luglio 2015, n.  463, recante «Modalità di svolgimento per i corsi di laurea a ciclo unico ad accesso programmato a.a. 15/16», stabilisce,    all'articolo 11, comma 2, che «i candidati con diagnosi di disturbi specifici di apprendimento (DSA), di cui alla legge n.  170 del 2010 ... devono presentare idonea certificazione rilasciata da non più di 3 anni da strutture del SSN o da specialisti e strutture accreditati allo stesso. A tali candidati è concesso un tempo aggiuntivo pari al 30 per cento in più rispetto a quello definito per le prove di ammissione»;
          le linee guida per lo svolgimento delle prove di ammissione di cui al citato    decreto ministeriale n.  463 del 2015, allegate alla nota ministeriale n.  13672 del 6 agosto 2015, hanno disciplinato le modalità e i contenuti delle prove di accesso ai corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico a programmazione nazionale, secondo le quali al punto «Studenti con disabilità o affetti da disturbi specifici dell'apprendimento», è specificato che:
              «i candidati con certificazione ex legge n.  104 del 1992 e i candidati affetti da DSA hanno diritto:
                  a tempo aggiuntivo rispetto a quello previsto per lo svolgimento della prova (i candidati con certificazione ex legge 104/1992 nella misura massima del 50 per cento e solo se ne formulano specifica richiesta; i candidati affetti da DSA sempre al 30 per cento di tempo aggiuntivo, a prescindere da specifica richiesta);
                  a strumenti compensativi ulteriori necessari in ragione della specifica patologia. Sono strumenti compensativi ammessi: calcolatrice non scientifica, videoingranditore, affiancamento di un tutor. Non sono ammessi i seguenti strumenti: dizionario e/o vocabolario; formulario; tavola periodica degli elementi; mappa concettuale; personal computer/tablet/smartphone...»;
          il paragrafo    6.7 delle linee guida allegate al decreto ministeriale n.  5669 del 2011, così come il decreto ministeriale    n.  463 del 2015 e le relative linee guida dell'agosto 2015 sembrano, a giudizio degli interroganti, essere in contrasto con quanto stabilito dalla legge n.  170 del 2010 e dal decreto ministeriale n.  5569 del 2011. Tali linee guida impediscono, infatti, il ricorso ad alcuni strumenti quali i personal computer con correttore automatico dell'ortografia o limitano alcuni supporti o attività di sostegno (ad esempio tutor) solo a «casi di particolare gravità certificata di Dsa». Tale limite, però, non si riscontra quando lo studente con diagnosi di DSA si trova a sostenere gli esami universitari. Si determina così un circolo vizioso: un giovane con diagnosi di DSA è adeguatamente supportato quando sostiene esami universitari, ma non quando deve sostenere l'esame di ammissione all'università, con l'evidente rischio di essere penalizzato rispetto agli altri candidati  –:
          se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per modificare l'articolo 11, comma 2,    del decreto ministeriale 3 luglio 2015, n.  463, nonché le relative linee guida adottate nell'agosto 2015, così come il paragrafo 6.7 delle linee guida allegate al decreto ministeriale del 12 luglio 2011, n.  5669, in quanto esse, a giudizio degli interroganti, si pongono    in contrasto con l'articolo 5 della legge n.  170 del 2010 e con l'articolo 6, comma 8, del decreto ministeriale n.  5669 del 2011. (4-12602)

      Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame si precisa, preliminarmente, che il decreto ministeriale n.  463 del 2015 e le Linee guida del 6 agosto 2015 riguardano le prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico per l'anno accademico 2015/2016. Relativamente alle prove di accesso ai corsi di laurea in questione per il prossimo anno accademico 2016/2017 è stato emanato il decreto ministeriale 30 giugno 2016. n.  546 e verranno emanate apposite linee guida.
      Ciò posto, si rappresenta che non si rileva alcuna situazione di contrasto tra le previsioni della legge n.  170 del 2010 e del decreto ministeriale n.  5569 del 2011 con le linee guida del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 6 agosto 2015, nella parte in cui queste ammettono – tra gli strumenti compensativi ulteriori concedibili ai candidati affetti da disturbi specifici dell'apprendimento (DSA) – esclusivamente la calcolatrice non scientifica, il videoingranditore e l'affiancamento di un tutor e non anche i personal computer con correttore automatico dell'ortografia.
      L'assenza del contrasto è dimostrata dalla circostanza che le prove di ammissione ai corsi di laurea a programmazione nazionale consistono nella somministrazione di test a risposta multipla in formato cartaceo e non in prove computer based. A ciò va soggiunto che l'utilizzazione dei correttori ortografici computerizzati non sarebbe di alcuna utilità pratica nelle prove in questione, in cui il candidato è chiamato a scegliere un'opzione di risposta tra quelle proposte e non a redigere un testo.
      Non trova riscontro, inoltre, l'inciso secondo cui le linee guida del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca consentirebbero l'utilizzazione degli strumenti compensativi ulteriori solo nei «casi di particolare gravità certificata di DSA». Sul punto, è opportuno sottolineare che dette Linee guida consentono ai candidati – con diagnosi di DSA in possesso di idonea certificazione rilasciata da non più di 3 anni da strutture del Servizio sanitario nazionale da specialisti e strutture del Servizio sanitario nazionale da specialisti e strutture accreditati dal Servizio sanitario nazionale – di fruire degli strumenti compensativi ulteriori necessari in ragione della specifica patologia.
      È evidente, quindi, che le linee guida del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca pongono in capo agli Atenei l'obbligo di fornire a tutti i candidati in questione, in possesso di idonea certificazione, gli strumenti compensativi ulteriori necessari in ragione della specifica patologia, purché ricompresi nel novero degli strumenti ammessi.
      Per ciò che attiene all'affermazione secondo cui le limitazioni previste per le prove di ammissione ai corsi di laurea non si riscontrerebbero quando lo studente con diagnosi DSA si trova a sostenere gli esami universitari, si osserva che la struttura delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale (test a risposta multipla in formato cartaceo) non giustifica l'utilizzazione degli altri strumenti compensativi di cui lo studente affetto da DSA può fare richiesta per lo studio e per gli esami universitari (mappe concettuali per la memorizzazione dei programmi d'esame, tutor per il supporto, correttori ortografici, ecc.).
      Si sottolinea, infine, che le linee guida del 6 agosto 2015 sono state condivise con la Conferenza nazionale universitaria delegati per la disabilità.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.


      TOFALO, PETRAROLI, SIBILIA e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la nave HEDIA il 14 marzo 1962 nel sud del Mediterraneo in prossimità dell'isola di La Galite, a poco più di venti miglia nautiche al largo della costa Tunisina e in prossimità del confine con le acque algerine, di 2.300 tsl, battente bandiera liberiana, salpata il giorno 10 da Casablanca in Marocco e in rotta per Venezia con un carico di fosfati, al comando del padrone marittimo Federico Agostinelli di Fano, con a bordo diciannove uomini d'equipaggio tutti italiani, tranne un britannico del Galles, sta affrontando il mare in burrasca. Alle ore 10,00 invia un messaggio radio a Venezia dove si trova l'agente della società armatrice. Il messaggio dice: «10.00 Galite 6512 n807 persistendo passeremo sud Sicilia Hedia». La nave trasmette il suo messaggio mentre si trova in una zona di mare molto frequentata non solo dal traffico mercantile, ma anche da navi militari statunitensi, sovietiche, francesi e italiane, tutte dotate di apparecchiature radio e radar con caratteristiche ben superiori rispetto a quelle in dotazione alle navi mercantili. Dopo quel messaggio la Hedia non dà più notizie. Attesa a Venezia per i giorni 18 o 19 marzo non vi arriverà mai. La nave scompare con l'intero equipaggio;
          sempre nel 1962, alcuni mesi dopo la scomparsa della Hedia, sul quotidiano di Venezia Il Gazzettino del 14 settembre compare un articolo accompagnato da una telefoto ANSA scattata alcuni giorni prima, il 2 settembre, dal fotografo di guerra inglese Jim Howard per conto dell'agenzia francese UPI (United Press International) di Parigi. La telefoto mostra un gruppo di persone con caratteristiche somatiche europee composto da una ventina di uomini nei giardini del consolato francese di Algeri. Pur avendo subito riproduzioni e trasmissioni, l'immagine è sufficientemente chiara da permettere il riconoscimento dei visi. La didascalia della foto dice: «Algeri. Un gruppo dei prigionieri europei rilasciati ieri dagli algerini attende nei giardini del Consolato francese che si concludano le formalità burocratiche». Fonti imprecisate dicono che lo stesso giorno in cui la foto è stata scattata il consolato sia stato attaccato dai guerriglieri algerini e dato alle fiamme e anche se non confermata la notizia appare credibile;
          errori, omissioni, cose dette e smentite, affermazioni ambigue, foto misteriose avvolgono la vicenda della Hedia in una nebbia. Molto di quanto avvenuto dopo quel 14 marzo 1962 contrasta con la linearità costituita dall'ipotesi del semplice affondamento. Tenendo conto della situazione di guerra in cui si trovava la zona di Mediterraneo in cui la nave è scomparsa e delle vicende legate ai traffici di armi che durante quella guerra hanno visto protagoniste tante navi, ad avviso degli interroganti è possibile formulare anche alcune ipotesi che vadano al di là di quella ufficiale  –:
          se intendano rendere noto ogni utile elemento in possesso del Governo che riguarda la nave HEDIA;
          quali iniziative di competenza intendano adottare per fare luce sulla vicenda. (4-10090)

      Risposta. — In merito al caso della scomparsa della nave Media, si precisa che è stata effettuata una ricerca sulla documentazione conservata presso l'archivio storico della Farnesina. Dal riesame del carteggio non sono emersi nuovi elementi rispetto a quanto fu a suo tempo rappresentato, anche nelle risposte fornite dai Governi di allora ad alcuni atti di sindacato ispettivo presentati nel corso della III e IV legislatura.
      Si conferma, nondimeno, che il caso fu seguito molto attentamente dal Ministero degli esteri e da quello della Marina mercantile, sia direttamente che tramite le rappresentanze diplomatiche in Francia, Algeria e Tunisia, per non lasciare nulla di intentato nella ricerca dei marinai italiani dispersi. Sulla vicenda svolse un'inchiesta anche il Comitato internazionale della Croce Rossa, senza tuttavia pervenire ad alcun risultato positivo.
      Quanto all'episodio menzionato nell'interrogazione sul presunto riconoscimento, in una fotografia raffigurante europei prigionieri in Algeria, di alcuni membri dell'equipaggio della Hedia, si assicura che all'epoca furono svolte indagini approfondite presso le autorità francesi ad Algeri, Orano e Roma e presso la locale Croce rossa, da cui emerse che in realtà si trattava di detenuti francesi liberati in Algeria. Fu peraltro consentito alle autorità italiane di consultare gli elenchi dei detenuti liberati, in modo da poter escludere la presenza di cittadini.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Vincenzo Amendola.


      VARGIU. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il comma 1-bis dell'articolo 32 del decreto legislativo n.  151 del 2001, aggiunto dall'articolo 1, comma 339 lettera a), della legge n.  228 del 2012 ha introdotto la possibilità di fruire del congedo parentale su base oraria;
          tale normativa è stata inserita nel nostro ordinamento con il recepimento della direttiva 2010/18/Ue del Consiglio europeo dell'8 marzo 2010;
          il succitato articolo 32 demanda alla contrattazione collettiva di settore le modalità per l'applicazione e la fruizione di tale congedo;
          nonostante la norma sia in vigore per il settore del lavoro pubblico dal 1° gennaio 2013, essa continua di fatto ad essere inapplicata dal momento che non appare ancora chiaro quale sia il livello di contrattazione collettiva richiesto dalla legge;
          a seguito dell'interpello n.  25 presentato il 22 luglio 2013 dalle tre sigle sindacali CGIL-CISL-UIL, la direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha riconosciuto che per contratto collettivo di settore possano essere intesi anche i contratti collettivi di secondo livello, in quanto nella norma richiamata non vi è alcun esplicito rimando al contratto collettivo nazionale;
          il medesimo quesito posto tuttavia il 2 agosto 2013 dall'università degli studi dell'Insubria alla Presidenza del Consiglio dei/Ministri-Dipartimento della funzione pubblica riceveva una risposta diametralmente opposta, laddove si affermava che: «Ad oggi, per quanto riguarda il settore del lavoro pubblico, i contratti non hanno ancora provveduto al recepimento di tale norma e pertanto per l'applicazione della disposizione in questione l'Amministrazione dovrà attendere il recepimento attraverso il contratto collettivo di comparto o la contrattazione quadro;
          alla luce di quest'ultima interpretazione del Dipartimento della funzione pubblica, molti enti pubblici non hanno potuto riconoscere i congedi parentali su base oraria ai genitori lavoratori;
          un'ulteriore circostanza aggravante è rappresentata dal fatto che nel settore pubblico i contratti collettivi nazionali sono bloccati dal gennaio 2010 e la possibilità che tale norma possa essere recepita ed introdotta dalla contrattazione appare purtroppo remota  –:
          quali iniziative, per quanto di rispettiva competenza e anche alla luce del fatto che è già trascorso un anno e mezzo dall'entrata in vigore del comma 1-bis dell'articolo 32 del decreto legislativo n.  151 del 2001 aggiunto dall'articolo 1, comma 339 lettera a), della legge n.  228 del 2012, intendano adottare al fine di fare definitiva chiarezza sulla controversa interpretazione della norma, dando così piena operatività ad un principio di giustizia già codificato in materia di sostegno della maternità e della paternità e di conciliazione della vita familiare con le esigenze lavorative. (4-05043)

      Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame con la quale si chiedono chiarimenti in merito alla possibilità per il lavoratore di fruire del congedo parentale su base oraria ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 32 del decreto legislativo n.  151 del 2001.
      L'articolo 32 demanda alla contrattazione collettiva di settore l'attuazione delle modalità per la fruizione del congedo in parola nonché i criteri di calcolo della base oraria e di equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa.
      In merito all'applicazione delle disposizioni al personale della pubblica amministrazione, il dipartimento della funzione pubblica si è espresso ritenendo che occorre attendere il recepimento attraverso il contratto collettivo nazionale di comparto o la contrattazione nazionale quadro. Infatti, la regolamentazione degli istituti relativi al rapporto di lavoro per il settore pubblico è demandata al livello di contrattazione nazionale che interviene sulla base degli atti di indirizzo del competente comitato di settore.
      In assenza delle relative previsioni, non può operare la contrattazione collettiva di secondo livello. Infatti, da un lato la materia in questione, per le novità introdotte, deve essere regolamentata a livello nazionale in modo tale da essere applicata in maniera uniforme per tutti i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, dall'altro la contrattazione integrativa può intervenire solo nelle materie indicate dalla contrattazione nazionale e nei limiti dalla prima definiti.
La Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione: Maria Anna Madia.


      VARGIU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 6, comma 3 del decreto ministeriale 7 maggio 2015 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo disciplina le agevolazioni fiscali per la riqualificazione delle strutture turistico-alberghiere previste dal decreto-legge 31 maggio 2014, n.  83, convertito, con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n.  106 recante disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo;
          i crediti di imposta di cui al succitato decreto sono riconosciuti, per gli anni 2014, 2015 e 2016, nel limite di spesa annuo complessivo di 20 milioni di euro per l'anno 2015 e di 50 milioni di euro per gli anni dal 2016 al 2019 e fino ad esaurimento delle risorse disponibili in ciascuno degli esercizi medesimi;
          l'agevolazione consiste in un credito di imposta del 30 per cento ed è concessa a ciascuna impresa nel rispetto dei limiti e delle condizioni di cui al regolamento (UE) n.  1407/2013 della Commissione europea del 18 dicembre 2013 e, comunque, fino a un importo massimo di 200 mila euro per le spese sostenute nei tre anni d'imposta (2014, 2015 e 2016);
          la norma prevede altresì che possano fare richiesta le strutture alberghiere (alberghi, villaggi-albergo, residenze turistico-alberghiere, alberghi diffusi) e altre strutture individuate come tali dalle specifiche normative regionali vigenti al 1° gennaio 2012 e con almeno 7 camere;
          le spese agevolabili sono quelle sostenute per:
              a) ristrutturazione edilizia (rinnovo e sostituzione di parti anche strutturali degli edifici, demolizione e ricostruzione anche con modifica della sagoma, miglioramento sismico, realizzazione o integrazione dei servizi igienico-sanitari e tecnologici, frazionamento o accorpamento di unità immobiliari, sostituzione di serramenti esterni e interni, sostituzione di pavimentazioni);
              b) restauro e risanamento conservativo;
              c) riqualificazione energetica (globale, sull'involucro edilizio, di sostituzione degli impianti di climatizzazione, impianti da fonti rinnovabili);
              d) eliminazione delle barriere architettoniche (rifacimento di scale, ascensori e servoscala, realizzazioni di bagni e sistemi domotici per disabili);
              e) acquisto di mobili, componenti d'arredo, cucine professionali, arredi out-door, attrezzature sportive e per centri benessere;
          le imprese che intendevano usufruire del suddetto credito di imposta avevano tempo fino alle ore 16 del 16 ottobre 2015 per registrarsi sul portale dei procedimenti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, caricare l'istanza e l'attestazione di effettività delle spese sostenute;
          dalle ore 10 del 19 ottobre è invece scattato il click day, ovvero il via libera alle suddette domande online, con la procedura cosiddetta «a sportello», che prevede la velocità di accesso al portale informativo come unica priorità premiale ai fini della concessione del beneficio;
          la sproporzione tra il numero dei potenziali aventi titolo e l'esiguità complessiva delle risorse messe a disposizione ha comportato che, dopo appena un minuto e 50 secondi dall'inizio delle operazioni sul sito, fosse esaurita ogni possibilità di accesso ai benefici del bando;
          conseguentemente, una vasta platea di utenti registrava la totale impossibilità di procedere con le operazioni via web riducendosi la partecipazione al bando ad una vera e propria sconcertante e avvilente lotteria, che ha penalizzato gli utenti residenti in aree con minor infrastrutturazione telematica o con maggior traffico informatico;
          non è altresì possibile escludere che ci siano stati momenti di malfunzionamento del sito, anche legati al sovraffollamento di utenti connessi contemporaneamente al portale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
          il decreto ministeriale 7 maggio 2015 non prevede alcuna ripartizione perequativa territoriale degli interventi di sostegno e, conseguentemente, gli unici parametri rilevabili tra i vincitori del bando sono la partita IVA e la denominazione dei beneficiari, che non consentono di rilevare né la sede legale, né la sede operativa dei vincitori, impedendo di individuare eventuali anomale concentrazioni territoriali dei vincitori che supporterebbero i ragionevoli dubbi sul malfunzionamento del sito e sulle debolezze e criticità della procedura di bando;
          in particolare, la presenza nel Paese di vaste aree disagiate e con scarsa copertura di rete ha determinato grandi difficoltà, da parte di numerose strutture turistico-alberghiere operanti in Sardegna, di essere ammesse alle agevolazioni fiscali di cui sopra;
          l'Hotel Residence «Ulivi e Palme» di Cagliari è soltanto una delle numerose strutture ricettive sarde che ha tentato puntualmente e invano di partecipare al bando on line, venendo beffata da disservizi tecnologici assolutamente indipendenti dalla volontà del potenziale beneficiario  –:
          se il Governo sia consapevole che la procedura informatica utilizzata per il bando, soltanto apparentemente neutra, invece che garantire identiche opportunità a tutti, si è trasformata in una grave fonte di sperequazione, escludendo sostanzialmente dai benefici del bando tutte le imprese che si sono scontrate con disservizi informatici indipendenti dalla propria volontà;
          se il Governo sia in grado di escludere che una parte significativa di tali disservizi informatici sia stata conseguente al sottodimensionamento della capacità di risposta del portale ministeriale rispetto alla grande quantità di richieste di accesso;
          se non si ritenga che tale situazione oggettiva abbia inficiato la stessa regolarità del bando e dell'assegnazione delle risorse;
          se non si ritenga pertanto di consentire l'ampliamento della platea dei beneficiari, attraverso un nuovo finanziamento del bando, che consenta di sanare le ingiustizie verificatesi;
          quali interventi tecnici si intendano mettere in atto al fine di evitare che un analogo disservizio possa ripetersi in futuro, nel caso di bandi a sportello con procedure simili a quella descritta;
          quali specifici correttivi intenda introdurre nell'ambito della disciplina regolamentare dei prossimi bandi di cui al decreto ministeriale 7 maggio 2015, al fine di:
              a) garantire una equa distribuzione territoriale degli incentivi, che non penalizzi le aree geografiche già strutturalmente più deboli del Paese;
              b) assicurare a tutti gli operatori le stesse possibilità di accesso alle agevolazioni fiscali attraverso i bandi on line, evitando che i benefici del bando siano legati a fattori fortunosi, connessi alla efficienza temporanea delle reti informatiche. (4-11643)

      Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame descritto, l'interrogante, premessi i disservizi che sarebbero avvenuti in occasione della presentazione delle domande on-line per il credito d'imposta da parte delle strutture turistico – alberghiere, e ricordato come molte strutture – ad esempio in Sardegna – siano state svantaggiate dall'inadeguatezza dei servizi informatici, chiede di sapere se il ministero sia in grado di escludere che una parte significativa di tali disservizi informatici sia stata conseguente al sottodimensionamento della capacità di risposta del portale ministeriale rispetto alla grande quantità di richieste di accesso e se non ritenga che tale situazione oggettiva abbia inficiato la stessa regolarità del bando e dell'assegnazione delle risorse, sollecitando per il futuro l'adozione di meccanismi non discriminatori.
      Al riguardo si comunica quanto segue.
      Nella sua interrogazione l'interrogante fa riferimento all'articolo 6 del decreto ministeriale 7 maggio 2015 previsto dal decreto-legge n.  83 del 2014, convertito nella legge n.  106 del 2014 che ha previsto, per il triennio 2014-2016, il riconoscimento di un credito d'imposta a favore delle imprese alberghiere esistenti alla data del 1o gennaio 2012 che abbiano effettuato interventi di ristrutturazione.
      Un primo stanziamento di 20 milioni di euro è stato erogato per le spese sostenute dalle imprese ricettive nell'anno finanziario 2014, mentre per le spese sostenute nei successivi esercizi finanziari la dotazione economica è di 50 milioni di euro.
      L'interrogante lamenta che potenziali aventi titolo non hanno potuto accedere al portale secondo le tempistiche prestabilite per inoltrare la loro domanda, anche a causa di disservizi informatici.
      A tal proposito si precisa che il click day, relativo alla ristrutturazione degli alberghi per l'anno 2014, è iniziato il giorno 19 ottobre 2015 alle ore 10.00, e non risultano essersi verificati disservizi nel sistema informatico del ministero causa dell'elevato numero di domande inviate, tant’è che in meno di cinque minuti sono state acquisite 2.673 domande su 3.012 presentate entro le ore 15,59 minuti 57 secondi e 637 millesimi del giorno 22 ottobre 2015.
      Si sono utilmente collocate in graduatoria 748 domande, in quanto i fondi a disposizione si sono esauriti in meno di un minuto.
      Prima del click day le imprese ricettive hanno potuto registrarsi sul portale dei procedimenti e compilare la domanda con tutti i dati e le informazioni necessarie.
      In tal modo l'utente ha potuto scaricare in formato pdf la propria istanza, nonché la certificazione sull'effettività delle spese sostenute, validate con l'apposizione della firma elettronica digitale rispettivamente del legale rappresentate e del certificatore terzo.
      Ai sensi del decreto ministeriale 7 maggio 2015, articolo 5 comma 1, il Ministero sceglie la modalità telematica più idonea per l'acquisizione delle domande.
      Optando per la piattaforma ministeriale del portale dei procedimenti, già in essere all'interno dell'amministrazione, si è potuto verificare in tempo reale, durante l'inserimento dei dati da parte del legale rappresentante dell'impresa, il requisito soggettivo indispensabile per l'ammissione, grazie al collegamento web Service con Infocamere.
      Sempre grazie alla piattaforma è stato possibile, in modo agevole verificare i requisiti oggettivi e formali delle medesime domande, evitando inutili nonché gravosi rigetti in fase di successiva istruttoria di accertamento.
      Questo procedimento ha costituito per tutti gli utenti una preziosa facility procedurale di grande rilievo, corroborata da una continua e costante assistenza tecnica ad opera dei tecnici preposti via telefonica e/o telematica tramite e-mail.
      Anche l'elaborazione dell'elenco degli ammessi al beneficio fiscale è stata condotta tramite computo millesimale di acquisizione delle domande pervenute al portale del procedimenti, senza possibilità alcuna di manomissioni. In sostanza, il click day ha rappresentato l'ultima fase di una articolata procedura telematica, che ha avuto il pregio di porre tutte le imprese in condizione di parità, consentendo anche a quelle minori di organizzarsi.
      Si rappresenta inoltre che l'utilizzo di canali di invio differenti, come la posta elettronica certificata, avrebbe potuto comportare diversi tipi di problemi: mancato invio o mancata ricezione per motivi diversi o la individuazione del tempo di invio non abbastanza precisa o univoca. Infine la necessità di una lavorazione manuale dell'elenco dei beneficiari, suscettibile oltretutto di errori, non avrebbe assolutamente garantito l'osservanza della stretta tempistica definita dal decreto ministeriale 7 maggio 2015 per quanto riguarda la pubblicazione del suddetto elenco, che deve avvenire entro 60 giorni a partire dal termine ultimo di presentazione delle domande.
      In sostanza, il metodo del click day, per quanto si esponga a critiche quali quelle avanzate dall'interrogante, presenta il vantaggio di coniugare certezza, rapidità e trasparenza. Invero la sua applicazione in questo caso ha messo in luce il divario fra aventi titolo a chiedere il beneficio fiscale e risorse effettivamente disponibili. Se da un lato quindi ciò dimostra che il decreto-legge ha saputo intercettare una esigenza reale, dall'altro impegna Governo e Parlamento a valutare la possibilità di reperire risorse aggiuntive, beninteso nel quadro definito dalle compatibilità della finanza pubblica.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Dorina Bianchi.


      VIGNAROLI, COLONNESE, NUTI, DI BENEDETTO, DALL'OSSO, TONINELLI, SPADONI, DI BATTISTA, LUIGI DI MAIO, NESCI, COZZOLINO, CASO, CECCONI, BARONI, MUCCI, GALLINELLA, BUSTO, SEGONI, DAGA, LIUZZI, PARENTELA, COMINARDI, DI VITA, ALBERTI, DEL GROSSO, VACCA, DELLA VALLE, CASTELLI, DA VILLA, ZOLEZZI, SIBILIA, L'ABBATE, SCAGLIUSI, VILLAROSA, MANLIO DI STEFANO, CANCELLERI, SPESSOTTO, DELL'ORCO, BENEDETTI, D'AMBROSIO, BRUGNEROTTO, ZACCAGNINI, COLLETTI, FRUSONE, MARZANA, LOREFICE, PESCO, MASSIMILIANO BERNINI, TOFALO, TURCO, TERZONI, CORDA, CIPRINI, SARTI, MICILLO, DE LORENZIS, PAOLO BERNINI, D'UVA, FICO, SORIAL, TRIPIEDI, BASILIO e CARINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
          in esito alla valutazione delle informazioni raccolte a seguito dell'indagine EU-Pilot 629/09/ENVI, da cui è emerso che parte dei rifiuti depositati non sono sottoposti a previo trattamento, in violazione dell'articolo 6, lettera a), della direttiva europea 1999/31/CE relativa alle discariche dei rifiuti, i servizi della direzione generale ambiente della Commissione europea hanno deciso di proporre alla Commissione stessa l'apertura di una formale procedura d'infrazione (2011/4021) contro la Repubblica italiana;
          in data 17 giugno 2011, la Commissione, accogliendo la proposta dei servizi della direzione generale ambiente, ha inviato al Governo italiano una lettera di costituzione in mora ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). La procedura d'infrazione è stata ormai trasmessa dalla Commissione alla Corte di giustizia europea, la quale potrebbe sanzionare l'Italia con una condanna e una mega multa che potrebbe elevarsi fino ad un milione di euro al giorno – multa che andrebbe a gravare ingiustamente sui cittadini italiani;
          la risoluzione del Parlamento europeo del 24 maggio 2012 per un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse 2011/2068 al punto 32: «invita la Commissione a razionalizzare l’acquis in materia di rifiuti, tenendo conto della gerarchia dei rifiuti e della necessità di ridurre i rifiuti residui fino a raggiungere livelli prossimi allo zero; chiede pertanto alla Commissione di presentare proposte entro il 2014, allo scopo di introdurre gradualmente un divieto generale dello smaltimento in discarica a livello europeo e di abolire progressivamente, entro la fine di questo decennio, l'incenerimento dei rifiuti riciclabili e compostabili; ritiene che queste iniziative debbano essere accompagnate da idonee misure transitorie, tra cui l'ulteriore sviluppo di norme comuni basate sul concetto di ciclo di vita; invita la Commissione a rivedere gli obiettivi per il riciclaggio per il 2020 della direttiva quadro sui rifiuti; ritiene che un'imposta sullo smaltimento in discarica, già introdotta da alcuni Stati membri, potrebbe contribuire al raggiungimento di tali obiettivi»;
          la scelta di Monti dell'Ortaccio come sito alternativo a Malagrotta ha già destato grandi preoccupazioni alla Commissione per le petizioni del Parlamento europeo, che l'ha visitato nel mese di luglio 2012, in quanto si tratterebbe di un ulteriore sito idrogeologicamente inidoneo per la presenza di una falda acquifera affiorante esposta a grave rischio di inquinamento da percolato e caratterizzato anche da vicinanza con le case (500 metri dall'abitato) oltre che essere sita nella Valle Galeria, già dichiarata a rischio di incidente rilevante (decreto legislativo n.  334 del 1999, Seveso II);
          vanno considerati i preoccupanti valori emersi da un'indagine dell'ISPRA (ottobre 2010) finalizzata ad accertare i livelli di inquinamento nell'atmosfera e nella falda acquifera nell'area Valle Galeria-Malagrotta in cui si concentrano, nonostante il decreto legislativo n.  334 del 1999, Seveso II, la discarica più grande d'Europa un inceneritore di rifiuti ospedalieri, un gassificatore, una raffineria petrolifera, delle cave, un cementificio «[...] il quadro qualitativo delle acque sotterranee nell'area di Malagrotta risulta fortemente compromesso e i dati analizzati mostrano una contaminazione diffusa su tutta l'area causa delle attività industriali [...]»;
          in recenti video dei cittadini (riprese del 18 maggio e 7 giugno 2013) residenti della Valle Galeria (già inviati all'attenzione della Commissione europea) vengono riprese le azioni relative allo sversamento di rifiuto «tal quale», in aperto contrasto con le direttive europee in materia  –:
          quali siano le iniziative specifiche e concrete messe in atto dal Governo e in particolare dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, o in procinto di essere messe in atto, per far fronte all'emergenza rifiuti di Roma e per uscire dalla procedura d'infrazione europea in maniera positiva e senza rovinose penalizzazioni in linea con le indicazioni contenute nella risoluzione del Parlamento europeo;
          quali relazioni e trattative siano a proposito intercorse fra il Ministero dell'ambiente e della tutela dei territorio e del mare e la Commissione europea con riferimento all'ultima proroga della discarica di Malagrotta, ai tentativi di gravare con nuovi impianti inquinanti in un'area a grande rischio ambientale (Valle Galeria) e di allargare il sito nella limitrofe cave sempre di proprietà del privato monopolista, ovvero Testa di Cane (sotto sequestro) e Monti dell'Ortaccio. (4-00833)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente l'emergenza rifiuti a Roma e la conseguente apertura di una procedura d'infrazione comunitaria, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      La procedura di infrazione n.  2011/4021 è stata avviata nel maggio 2012 per la non conformità alla normativa europea sulle discariche di rifiuti (direttiva 1999/31/CE in combinato disposto con la direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE) della discarica di Malagrotta e di altre discariche laziali. In esito a tale procedura, il 15 ottobre 2014, la Corte di giustizia europea, su ricorso della commissione, ha dichiarato l'Italia inadempiente rispetto agli obblighi su di essa incombenti in forza della normativa europea sulle discariche (C-323/13).
      In particolare, la Corte di giustizia ha riconosciuto che l'Italia ha violato le norme in materia di rifiuti relativamente al loro conferimento in sette discariche del Lazio: cinque a Roma (Malagrotta, Colle Fagiolata, Cupinoro, Montecelio-Inviolata e Fosso Crepacuore) e due di Latina situate a Borgo Montello.
      L'Italia, ad avviso della corte, non ha adottato tutte le misure necessarie per evitare che i rifiuti urbani fossero conferiti nelle discariche dei sei siti in questione senza subire un trattamento adeguato, con la differenziazione delle diverse sezioni e la stabilizzazione della frazione organica.
      Inoltre secondo la corte, un'ulteriore violazione da parte dell'Italia sta nella mancata creazione, nella» regione Lazio, di una rete integrata ed adeguata di impianti di gestione dei rifiuti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili.
      In riferimento alla prima violazione, si ricorda che ancor prima dell'emanazione della sentenza di condanna nella causa in oggetto, il Ministero dell'ambiente ha adottato idonee misure al fine di garantire l'applicazione, su tutto il territorio nazionale, della direttiva, in particolare con l'invio della nota interpretativa del 6 agosto 2013 a tutte le regioni e alle province autonome, con la quale ha chiarito definitivamente il regime applicabile ai sensi della normativa comunitaria e nazionale, circa l'ammissibilità dei rifiuti in discarica.
      In tal modo, in piena conformità con quanto affermato dal giudice comunitario nella sentenza, è stato precisato che per idoneo trattamento dei rifiuti urbani da conferire in discarica, s'intende un'adeguata selezione delle diverse frazioni dei rifiuti e la stabilizzazione della frazione organica.
      A seguito della sentenza, la regione Lazio ha poi confermato che in tutte le discariche del Lazio, a partire dal mese di marzo 2014, i rifiuti conferiti sono sottoposti ad un idoneo trattamento ai sensi della direttiva discariche.
      Le informazioni sono state trasmesse dal dipartimento per le politiche europee alla Commissione europea.
      Permangono tuttavia gravi criticità in riferimento alla mancata creazione di una rete integrata di gestione dei rifiuti urbani nella regione Lazio, documentate nel rapporto rifiuti dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) riferite ai dati del 2014 e confermate dalla regione in quanto, nonostante il Lazio risulti dotato di una capacità di trattamento di tutti i rifiuti prodotti in ambito regionale, si registra, a seguito della chiusura della discarica di Malagrotta, una deviazione di ingenti flussi di rifiuti prodotti nella regione a destinazioni extraregionali.
      Tale situazione va affrontata con urgenza dalla regione attraverso la programmazione d'idonei interventi con la pianificazione regionale in corso di revisione che dovrà prevedere la realizzazione di ulteriori impianti onde evitare un aggravamento del contenzioso comunitario e un possibile secondo deferimento in Corte di giustizia per non completa esecuzione della prima sentenza.
      Ad ogni modo, si segnala che con l'ultima tornata di decisioni del collegio dei commissari europei del 25 febbraio u.s., l'Italia ha ulteriormente migliorato il trend positivo degli ultimi anni, passando complessivamente da 89 procedure di infrazione (registrate tra fine 2014 e fine 2015) a 83 procedure.
      Con specifico riferimento alle procedure di infrazione riguardanti il Ministero dell'ambiente, dall'insediamento dell'attuale Governo ad oggi sono state archiviate 17 procedure di infrazione rispetto alle 35 allora pendenti, e si è passati da un numero di 53 progetti pilota (EU Pilot) – che risultavano aperti a febbraio 2014 – a 34 di quest'anno, con soli 6 nuovi casi avviati nel corso del 2015.
      Tanto premesso, per quanto concerne l'impianto di incenerimento nel territorio laziale di valle Galeria a Malagrotta, si rappresenta che dall'analisi puntuale condotta dalla competente direzione generale del mio ministero, che ha tenuto conto degli elementi forniti dalla regione Lazio, l'impianto di incenerimento in questione (di Malagrotta) è ricompreso nell'attuale e vigente programmazione regionale in materia di gestione dei rifiuti ed è provvisto di titolo autorizzativo valido ed è stato messo in funzione nell'estate del 2008 per la sola linea realizzata.
      Allo stato attuale l'impianto risulta fermo e inattivo, nonché realizzato solo in parte rispetto al progetto approvato dalla regione Lazio.
      Infine, in ordine alle attività di bonifica e risanamento ambientale dell'area di Malagrotta nel comune di Roma, si evidenzia che sono deputate all'assolvimento, ex lege, gli enti territoriali (comune, provincia e regione).
      Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      VIGNAROLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 26 ottobre 2009, la Commissione, europea ha avviato un'indagine EU Pilot sulla violazione dell'obbligo di trattamento dei rifiuti previsto all'articolo 6, lettera a), della direttiva 1999/31, riguardante la discarica di Malagrotta, nella regione Lazio;
          con lettere del 4 e del 9 dicembre 2009, le autorità italiane hanno riconosciuto che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva autorizzato la regione Lazio a collocare, fino al 31 dicembre 2009, rifiuti tal quali in detta discarica. Il 2 marzo 2011, le stesse autorità hanno informato la Commissione che tutti i rifiuti conferiti in discarica a Malagrotta dovevano essere considerati come rifiuti trattati ai sensi dell'articolo 2, lettera h), di tale direttiva;
          in data 17 giugno 2011, la Commissione ha inviato una lettera di diffida alla Repubblica italiana per violazione dell'articolo 6, lettera a), di detta direttiva, nonché degli articoli 4 e 13 della direttiva 2008/98, violazione constatata in diverse discariche della regione Lazio. In tale lettera, è stato precisato che da una lettura combinata di tali disposizioni deriva che il trattamento ai sensi della direttiva 1999/31 deve avere l'effetto di evitare o ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente nonché i rischi per la salute. Pertanto, la mera triturazione e/o compressione dei rifiuti indifferenziati, che non includa un'adeguata selezione delle diverse frazioni dei rifiuti nonché una qualche forma di stabilizzazione delle stesse frazioni, non risponderebbe agli obiettivi menzionati. La Commissione ha altresì contestato alla Repubblica italiana di aver violato l'articolo 16 della direttiva 2008/98/CE in ragione del deficit di capacità di trattamento meccanico-biologico, che risulterebbe dal piano regionale di gestione dei rifiuti, tanto nel SubATO di Roma, in cui si trova la discarica di Malagrotta, quanto nel SubATO di Latina ed in quello di Rieti;
          il 12 agosto 2011, le autorità italiane hanno risposto che il deficit di capacità di TMB nel SubATO di Rieti era compensato dall'eccedenza di capacità di un altro SubATO. Riguardo ai SubATO di Latina e di Roma, hanno fatto notare che i deficit di capacità di TMB erano stati ridotti dall'anno 2011 e che, in futuro, sarebbero stati colmati grazie alla realizzazione di impianti di TMB;
          non soddisfatta di tale risposta, la Commissione, con lettera del 1° giugno 2012, ha inviato un parere motivato alla Repubblica italiana, invitando quest'ultima a conformarvisi entro due mesi dalla ricezione;
          con lettere del 3 e del 6 agosto 2012, la Repubblica italiana ha riconosciuto l'esistenza di un deficit di capacità di TMB per i SubATO di Latina e di Roma. Per quanto riguarda quello del SubATO di Latina, ha indicato che esisteva un possibilità di compensarlo utilizzando la capacità residua di TMB di un SubATO vicino. Riguardo al SubATO di Roma, la Repubblica italiana ha affermato che vi sarebbe stata una riduzione di detto deficit di più della metà entro l'anno 2014. Ha inoltre sottolineato che era stato sottoscritto un protocollo d'intesa relativo alla chiusura della discarica di Malagrotta ed alla promozione della raccolta differenziata dei rifiuti urbani di Roma;
          il 10 gennaio 2013, la Repubblica italiana ha informato la Commissione dell'adozione di misure supplementari, tendenti alla riduzione dei deficit di capacità di TMB, tra cui la costruzione di una discarica temporanea per lo stoccaggio di rifiuti trattati in una località del comune di Roma e l'adozione di un cronoprogramma preciso delle sfide che le autorità competenti e le imprese titolari degli impianti dovevano affrontare;
          il 19 marzo 2013, tale Stato membro ha avvisato la Commissione delle difficoltà incontrate nell'attuazione delle diverse misure menzionate, pur affermando che queste erano in corso di realizzazione;
          la Commissione, ritenendo la situazione ancora insoddisfacente sotto il profilo della normativa dell'Unione in materia di rifiuti, ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea;
          la Corte di giustizia dell'Unione europea, il 15 ottobre 2014, ha condannato l'Italia per: 1) non aver adottato tutte le misure necessarie per evitare che una parte dei rifiuti urbani conferiti nelle discariche del SubATO di Roma, ad esclusione di quella di Cecchina, ed in quelle del SubATO di Latina non venisse sottoposta ad un trattamento che comprendesse un'adeguata selezione delle diverse frazioni dei rifiuti e la stabilizzazione della loro frazione organica, venendo meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del combinato disposto degli articoli 1, paragrafo 1, e 6, lettera a), della direttiva 1999/31/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti, nonché degli articoli 4 e 13 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive; 2) non aver creato, nella regione Lazio, una rete integrata ed adeguata di impianti di gestione dei rifiuti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili, venendo meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/98  –:
          se la procedura di infrazione 2011/4021, vista la chiusura della discarica di Malagrotta avvenuta a ottobre 2013, sia da considerarsi archiviata;
          quali contestazioni – nel caso di risposta negativa alla prima domanda – avanzate dalla Commissione europea siano ancora pendenti sull'Italia;
          se – nel caso di risposta negativa alla prima domanda – l'Italia, in relazione alla procedura di infrazione 2011/4021, non rischi un nuovo deferimento alla Corte di giustizia europea ai sensi dell'articolo 260 del TFUE;
          se risulti se la regione Lazio ottemperi ad oggi a quanto stabilito dalla Corte di giustizia europea ovvero se rispetti gli obblighi su di essa incombenti in forza dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE. (4-09192)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente l'emergenza rifiuti nel Lazio e la conseguente procedura d'infrazione comunitaria, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      La procedura di infrazione n.  2011/4021 è stata avviata nel maggio 2012 per la non conformità alla normativa europea sulle discariche di rifiuti (direttiva 1999/31/CE in combinato disposto con la direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE) della discarica di Malagrotta e di altre discariche laziali. In esito a tale procedura, il 15 ottobre 2014, la Corte di giustizia europea, su ricorso della commissione, ha dichiarato l'Italia inadempiente rispetto agli obblighi su di essa incombenti in forza della normativa europea sulle discariche (C-323/13).
      Nella sentenza, la corte ritiene che nella regione Lazio, nel SubAto di Roma, con esclusione della discarica di Cecchina ubicata nel comune di Albano Laziale, e nel SubAto di Latina, i rifiuti conferiti in discarica non sono sottoposti al necessario idoneo trattamento. In particolare, la Corte di giustizia ha riconosciuto che l'Italia ha violato le norme in materia di rifiuti relativamente al loro conferimento in sette discariche del Lazio: cinque a Roma (Malagrotta, Colle Fagiolara, Cupinoro, Montecelio-Inviolata e Fosso Crepacuore) e due di Latina situate a Borgo Montello.
      L'Italia, ad avviso della corte, non ha adottato tutte le misure necessarie per evitare che i rifiuti urbani fossero conferiti nelle discariche dei sei siti in questione senza subire un trattamento adeguato, con la differenziazione delle diverse sezioni e la stabilizzazione della frazione organica. La corte ha sottolineato, in particolare, che la nozione di «trattamento» comprende i processi fisici, termici, chimici o biologici (inclusa la cernita), che modificano le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero.
      Inoltre secondo la corte, un ulteriore violazione da parte dell'Italia sta nella mancata creazione, nella regione Lazio, di una rete integrata ed adeguata di impianti di gestione dei rifiuti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili.
      In riferimento alla prima violazione, si ricorda che ancor prima dell'emanazione della sentenza di condanna nella causa in oggetto, il Ministero dell'ambiente e della e della tutela del territorio e del mare ha adottato idonee misure al fine di garantire l'applicazione, su tutto il territorio nazionale, della direttiva, in particolare con l'invio della nota interpretativa del 6 agosto 2013 a tutte le regioni e alle province autonome, con la quale ha chiarito definitivamente il regime applicabile ai sensi della normativa comunitaria e nazionale, circa l'ammissibilità dei rifiuti in discarica.
      In tal modo, in piena conformità con quanto affermato dal giudice comunitario nella sentenza, è stato precisato che per idoneo trattamento dei rifiuti urbani da conferire in discarica, s'intende un'adeguata selezione delle diverse frazioni dei rifiuti e la stabilizzazione della frazione organica.
      A seguito della sentenza, la regione Lazio ha poi confermato che in tutte le discariche del Lazio, a partire dal mese di marzo 2014, i rifiuti conferiti sono sottoposti ad un idoneo trattamento ai sensi della direttiva discariche.
      Le informazioni sono state trasmesse dal dipartimento per le politiche europee alla Commissione europea.
      Inoltre, per quanto riguarda lo stato di attuazione delle misure programmate per il rafforzamento dell'offerta di trattamento meccanico biologico nella regione Lazio, sono stati forniti alcuni necessari aggiornamenti dei seguenti interventi:
          realizzazione di un ulteriore impianto di trattamento meccanico biologico nel comune di Guidonia in fase collaudo e di prossima autorizzazione all'esercizio per 180.000 tonnellate/anno;
          autorizzazione di ulteriori impianti di trattamento meccanico biologico da realizzare nei comuni di Bracciano e Colleferro entrambi per una capacità di 150.000 tonnellate/anno e nel comune di Roma per una capacità di 312.600 tonnellate/anno.

      Tanto premesso, occorre tuttavia evidenziare, con riferimento alla mancata creazione di una rete intentata di gestione dei rifiuti urbani nella regione Lazio, che, nonostante la suddetta regione risulti dotata di una capacità di trattamento di tutti i rifiuti prodotti in ambito regionale, si registra, a seguito della chiusura della discarica di Malagrotta, una deviazione di ingenti flussi di rifiuti prodotti nella regione a destinazioni extraregionali. Tale situazione va affrontata con urgenza dalla regione attraverso la programmazione d'idonei interventi con la pianificazione regionale in corso di revisione che dovrà prevedere la realizzazione di ulteriori impianti onde evitare un aggravamento del contenzione comunitario e un possibile secondo deferimento in corte di Giustizia per non completa esecuzione della prima sentenza ai sensi dell'articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
      Nell'aggiornare il piano di gestione dei rifiuti urbani, la regione Lazio dovrà tenere in debito conto le conclusioni alle quali è giunto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nell'ambito del lavoro istruttorio svolto per la predisposizione dello schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 35 dello «Sblocca Italia». Lo schema di regolamento individua per la regione Lazio la necessità di realizzare una nuova infrastruttura di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati con una capacità pari a 210.00 tonnellate/anno al fine di assorbire integralmente il proprio fabbisogno per il recupero energetico di rifiuti.
      Ad ogni modo, si segnala che con l'ultima tornata di decisioni del Collegio dei commissari europei del 25 febbraio 2016 l'Italia ha ulteriormente migliorato il trend positivo degli ultimi anni, passando complessivamente da 89 procedure di infrazione (registrate tra fine 2014 e fine 2015) a 83 procedure.
      Con specifico riferimento alle procedure di infrazione riguardanti il Ministero dell'ambiente, dall'insediamento dell'attuale Governo ad oggi sono state archiviate 17 procedure di infrazione rispetto alle 35 allora pendenti, e si è passati da un numero di 53 progetti pilota (EU Pilot) – che risultavano aperti a febbraio 2014 – a 34 di quest'anno, con soli 6 nuovi casi avviati nel corso del 2015.
      Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      ZACCAGNINI, PELLEGRINO, ZARATTI, AIRAUDO e NICCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in data 19 novembre 2014, il settimanale «L'Espresso» pubblicava il seguente articolo a firma di Stefania Maurizi, dal titolo: «Ambiente, l'altro dramma di Terni» nel quale si descriveva come: «[...] In queste settimane la città umbra vede drammaticamente calare le prospettive per il suo futuro. E più voci intrecciano la terribile emergenza occupazionale con un'altra situazione, non meno preoccupante: la situazione ambientale, legata agli impianti della Thyssen.  [...] Cinque anni fa, «l'Espresso» aveva condotto un'inchiesta sulla situazione ecologica a Terni dopo la strage di operai nel laminatoio di Torino: l'acciaieria umbra era già nel mirino delle inchieste per i problemi ambientali. Oggi, proprio mentre lo scontro tra la Thyssen e i lavoratori è ai massimi livelli, l'azienda è indagata dal sostituto procuratore Elisabetta Massini per le infiltrazioni di acqua contaminata da metalli pesanti della discarica di Villa Valle, un'infrastruttura cruciale per le operazioni della multinazionale in Italia. Una delle ragioni che tiene l'azienda tedesca a Terni – città che a differenza di Taranto o Genova è lontana dal mare – è proprio la possibilità di avere questa discarica a pochissima distanza dallo stabilimento: questo permette alla multinazionale di abbattere i costi dello smaltimento degli scarti della lavorazione. [...] Qualche giorno fa la sezione locale di «Italia Nostra» e il Wwf hanno chiesto l'intervento delle istituzioni per affrontare contemporaneamente entrambi i problemi: «La Thyssen va commissariata», ha dichiarato Andrea Liberati di «Italia Nostra», denunciando «l'avvelenamento delle acque di falda, dei suoli e dell'aria». Le scorie prodotte dalla sola fabbrica sono «circa mezzo milione di tonnellate all'anno, cioè praticamente i rifiuti pericolosi prodotti dall'acciaieria di Terni sono più di tutti i rifiuti solidi urbani prodotti dagli abitanti della regione Umbria», spiega a «l'Espresso» il direttore del dipartimento di Terni dell'Arpa, Adriano Rossi. Il caso Villa Valle è esploso in tutta la sua gravità quando Anas ha cominciato i lavori per la realizzazione della galleria Tescino della nuova strada Terni-Rieti, con il tunnel che si è inspiegabilmente diretto sotto la collina dei veleni. Con gli scavi è cominciata a sgorgare acqua contaminata dal micidiale cromo esavalente»;
          Terni è uno dei 44 centri oggetto dello studio SENTIERI (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio inquinamento), poiché presenta un SIN (Sito d'interesse nazionale per le bonifiche) che è l'ex discarica di Papigno. Dal sito «ternioggi.it» si apprende che lo studio dell'Iss non è comunque il solo a mettere in evidenza come i cittadini della Conca paghino con la propria salute l'inconsapevole convivenza con tanti veleni. Ci sono dossier dell'Arpa, appelli di associazioni, pareri di medici e professori espressi di recente e nel corso degli anni passati. Le loro voci si sono spesso levate alte occupando qualche pagina di giornale per poi sistematicamente cadere nel dimenticatoio, chiuse nell'armadietto della cattiva coscienza. E mentre l'eco delle denunce sulle gravi conseguenze per la salute si spegnevano, intanto Terni accendeva un inceneritore dietro l'altro, continuava ad essere inondata di polveri degli stabilimenti delle acciaierie e progettava una viabilità sostanzialmente priva di piste ciclabili. Una combinazione di fattori che non poteva che dar luogo ad «un'orgia» di polveri sottili permanentemente presenti nell'aria. Una presenza talmente radicata da essere ormai diventata parte integrante dell'ambiente: come spiega una relazione dell'Arpa pubblicata nel maggio 2012, alti valori di nichel e cromo sono ormai entrati a far parte anche della composizione dei suoli dell'area ternana;
          in data 24 novembre 2014 sul sito Tuttoggi.info si legge un articolo a firma di Sara Cipriani dal titolo «Analisi diossina e pcb nelle uova a Terni: Wwf e Italia Nostra chiedono i risultati» nel quale si descrive come: «C’è diossina nelle uova di Terni ? E negli ortaggi ? E nella carne ? Questa sono le domande che WWF Umbria e Italia Nostra Terni, a voce dei rispettivi presidenti Rinaldi e Liberati, rivolgono alla ASL 2 Umbria e a tutti i soggetti a vario titolo responsabili del monitoraggio e delle analisi dell'area SIN Terni-Papigno e Borgo Rivo. Cos’è un'area SIN – S.I.N. acronimo di Siti di Interesse Nazionale, sono delle aree (circa quaranta in tutto il Paese) che necessitano di interventi di bonifica del suolo, del sottosuolo o delle acque superficiali e sotterranee per evitate danni ambientali e sanitari [...] L'Umbria ha Terni – Nel cuore verde d'Italia esiste un solo SIN, a Terni, localizzato nello specifico nell'area di Papigno e Borgo Rivo, le aree a ridosso delle Acciaierie, in posizione di caduta, che possono essere soggette ad eventuali contaminazioni da metalli pesanti, diossina e PCB: tutti elementi altamente cancerogeni. Le uova contaminate – In queste aree, monitorate dalla competente Asl2, le ultime analisi effettuale su matrici alimentari avrebbero dato esito positivo alla presenza di diossina e policloro bifenili. Le uova analizzate, avrebbero reso risultati di livelli più alti del limite consentito per il consumo umano, per le due componenti chimiche. Nello specifico: Borgorivo (2 casi), San Liberatore (1 caso) e voc. Valle (1 caso);
          rispetto al tema delle acciaierie e dell'inquinamento da esse prodotto è degno di nota l'esempio di Acciaierie di Calvisano, che con un progetto nell'aprile 2008 dal titolo «I risultati di una gestione sostenibile. Migliorie Tecniche e Buone Pratiche» ha presentato dei, nuovi investimenti impiantisti realizzati all'interno dall'azienda collegata al gruppo Feralpi, in virtù del protocollo d'intesa sottoscritto tra l'amministrazione di Calvisano e l'acciaieria, che prevedeva una serie d'interventi di adeguamento degli impianti e la modifica della zonizzazione acustica. Su iniziativa volontaria, l'azienda si è impegnata affinché, grazie all'applicazione di svariate migliorie tecnologiche ed impiantistiche, potessero essere raggiunti tali risultati. Così è stato: molti degli adeguamenti e delle modernizzazioni apportate hanno già ottemperato ai dettami previsti anche dall'autorizzazione integrata ambientale. Inoltre, gli investimenti ambientali stanziati dalla società per circa 2 milioni di euro sono andati ben oltre agli accordi sottoscritti. L'azienda, grazie all'applicazione delle migliori tecniche disponibili, ha inoltre utilizzato un numero significativamente inferiore di quote di Co2 rispetto all'allocazione per la quale era stata autorizzata in virtù del protocollo di Kyoto. Il percorso intrapreso verso una logica condivisa di sostenibilità ambientale è un esempio di buona prassi nel settore delle acciaierie che ha prodotto anche dei risultati economici degni di nota  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati e quali azioni intendano intraprendere;
          se non reputino opportuno informare, per iscritto, la popolazione residente nel citato S.I.N. in merito ai relativi pericoli dell'area, anche alla luce degli esiti prodotti dai relativi Studi sentieri 1 e 2 (Ministero della salute);
          se i Ministri abbiano mai perimetrato le cosiddette zone di pericolo anche alimentare e se intendano farlo;    
          se i Ministri interrogati abbiano mai ritenuto di assumere iniziative, per quanto di competenza, per inibire l'allevamento e la coltivazione nelle intere zone suddette e in eventuali altre contigue, anche considerando gli altissimi tassi di concentrazione di nichel, cromo e altri metalli pesanti nei suoli (fonte: Arpa Umbria), tipici marker dell'inquinamento originato dalla produzione delle acciaierie, nonché alla luce della presenza di discariche industriali Thyssen Krupp, scorie siderurgiche e altro materiale, oltre a Rifiuti solidi urbani fino al 1998, solo limitatamente messe in sicurezza e impermeabilizzate, collocate oltretutto in posizione geograficamente dominante rispetto alla sottostante città, oggetto di ulteriore estensione proprio in questi giorni;
          se i Ministri non reputino opportuno promuovere delle linee guida, nell'ambito della produzione industriale, seguendo esempi virtuosi come quello di cui in premessa delle Acciaierie di Calvisano.
(4-07279)

      Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      In via preliminare, si fa presente che le informazioni relative allo stato qualitativo dei suoli e delle acque di falda del sito di interesse nazionale sono accessibili alla popolazione in quanto i verbali delle conferenze di servizi e delle riunioni, a partire dal 2014, sono state pubblicate sul sito internet (http://www.bonifiche.minambiente.it/page–anno–27.html) di questo Ministero. Ad oggi sono stati posti sul sito tutti i verbali relativi alle conferenze di servizi tenutesi dall'istituzione del sito di interesse nazionale.
      Fermo restando le competenze del Ministero della salute e della Asl con riferimento agli aspetti sanitari relativi alla presenza di coltivazioni (o alimenti di origine animale) nel Terni Papigno, nel corso di un sopralluogo del Ministero dell'ambiente e del Noe dell'ottobre 2007 è emerso che nelle aree adiacenti il confine della discarica erano presenti uliveti e coltivazioni di ortaggi.
      Questo Ministero, pertanto, si è attivato richiedendo ad Asl e all'Arpa, territorialmente competenti, di intraprendere opportune verifiche, tenuto conto della riscontrata presenza di uliveti e coltivazioni di ortaggi nelle aree prossime alla suddetta discarica nonché della presenza di operatori in cantieri ubicati in aree potenzialmente contaminate.
      A seguito un successivo sopralluogo effettuato presso la discarica il 7 novembre 2007, l'Arpau ha comunicato che:
          gli uliveti e le altre piante adiacenti il confine della discarica sono di proprietà della Tkast e dovranno essere rimossi in quanto ubicati in aree che saranno oggetto di ampliamento della discarica così come autorizzate;
          i campioni di terreno top-soil che sono stati prelevati dalla Tkast risultano non contaminati. In particolare il campione di terreno top-soil TS01, prelevato in prossimità dell'orto coltivato, evidenzia l'assenza di contaminazione per tutti gli inquinanti ricercati.

      Le opportune verifiche sulle suddette aree adiacenti la discarica sono state richieste alla Asl competente anche dalla conferenza di servizi decisoria del 21 maggio 2008 e dalla (conferenza di servizi decisoria del 18 novembre 2010.
      A tal proposito, al fine di acquisire un parere definitivo ed ottemperare a quanto già prescritto dalle citate conferenze di servizi, la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente ha richiesto alla Asl, in data 11 gennaio 2011, di attivare un monitoraggio delle matrici vegetali.
      Nel corso della conferenza di servizi istruttoria del 22 luglio 2011, la ASL4 ha presentato documentazione in riscontro a quanto richiesto dalle precedenti conferenze, relativamente ad aspetti di propria competenza. In particolare, in merito all'area dell'ex discarica dismessa limitrofa allo stabilimento TK-AST, la ASL4 ha consegnato il documento di valutazione dei rischi elaborato ai sensi del decreto legislativo n.  81 del 2008, relativa alla società Ilserv, e gli esiti dell'indagine ambientale condotta dall'università di Urbino, per conto della medesima Società, nel reparto Metal Recovery. In particolare, l'indagine Ambientale riporta che l'attività «...è stata mirata alla verifica della concentrazione degli inquinanti potenzialmente presenti nel reparto quali le polveri e i metalli, sia in posizioni fisse sia mediante la determinazione delle concentrazioni espositive riguardanti le diverse figure professionali del reparto». Dagli esiti di detta indagine emerge che «...i valori trovati sono contenuti entro i rispettivi valori di TLV... Dalla citata documentazione consegnata dalla ASL si rileva, inoltre, che il servizio di igiene degli alimenti e della nutrizione della medesima ASL ha dato avvio al programma di campionamento delle matrici vegetali.
      La conferenza di servizi decisoria del 5 giugno 2012 ha, inoltre, preso atto delle valutazioni trasmesse dalla ASL4, in data 20 dicembre 2010, in merito alla presenza di uliveti e coltivazioni di ortaggi in aree prossime al corpo rifiuti.
      Infine, in data 2 marzo 2015, si è tenuta la conferenza di servizi istruttoria il cui verbale, disponibile sul sito internet di questo Ministero, riporta le comunicazioni e le informazioni acquisite dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, relativamente alle tematiche in questione.
      In sintesi emerge che nel corso della riunione tecnica del 7 ottobre 2014, tenutasi presso questo Ministero, la Asl ha informato di aver riscontrato su un campione di uova prelevato in un allevamento familiare sito in prossimità dell'ingresso della discarica, un valore di PCB non diossina simile di 230+-18 ng/g, molto al di sopra del limite massimo (40 ng/g). A tal proposito questo Ministero ha richiesto la trasmissione di dette informazioni a tutti i soggetti interessati dal procedimento di messa in sicurezza e bonifica, in quanto necessarie a definire, per i profili di competenza, le priorità degli interventi di prevenzione e messa in sicurezza.
      Successivamente, in data 11 novembre 2014, la ASL – nel comunicare gli esiti dei monitoraggi dei contaminanti ambientali nelle matrici vegetali e negli alimenti di origine animale prodotti nel Sin – non ha ritenuto necessaria l'adozione di provvedimenti cautelativi a tutela della salute.
      In riscontro, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 1o dicembre 2014, ha richiesto alla Asl e ad Arpau di relazionare sullo stato di qualità del suolo e delle acque di falda nelle aree interessate dalle attività di campionamento da parte di Asl, nonché una valutazione sulla necessità di realizzare ulteriori indagini nelle predette aree e l'adozione di eventuali misure di prevenzione.
      La Asl, di conseguenza, ha comunicato la chiusura dell'allevamento familiare, posto in prossimità della discarica, nel quale sono stati riscontrati elevati valori di PCB non diossina simili nelle uova.
      In data 11 febbraio 2015, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ribadito ad Arpau la necessità di acquisire un quadro ambientale della matrici suolo, sottosuolo ed acque di falda specifico delle aree interessate dal campionamento di Asl all'interno del Sito di Interesse Nazionale per le conseguenti valutazioni.
      Successivamente alla (conferenza di servizi istruttoria del 2 marzo 2015, Arpau ha trasmesso (luglio 2015) gli esiti degli appositi campionamenti della matrice suolo effettuati in tutti i punti in cui Asl ha rinvenuto campioni positivi e campioni con valori superiori al limite di azione.
      A tal proposito si evidenzia che su 13 punti, solo 2 ricadono all'interno del SIN. La suddetta Agenzia – a seguito di campionamento dei pozzi esistenti (2 pozzi) in prossimità dei citati punti – ha evidenziato assenza di contaminazioni. Inoltre sui 13 punti campionati, ARPAU ha rilevato solo 5 superamenti della CSC per uso verde-residenziale, mentre un solo punto dei citati 5 ricade all'interno del SIN (032TR504) con una concentrazione di berillio 2,6 mg/kg (CSC Colonna A 2 mg/kg).
      Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere attività di monitoraggio sulle problematiche rappresentate.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in data 31 marzo 2015, la Società recuperi la Torre s.r.l., veniva autorizzata dall'amministrazione provinciale di Viterbo a riprendere le attività di recupero rifiuti non pericolosi dell’ex cava del Bucone. Il materiale versato, classificato R10, è, costituito da fanghi di cartiera provenienti dalle cartiere del lucchese, i quali, per poter essere trasferiti nei siti di ripristino ambientale, necessiterebbero di adeguati trattamenti, come prevedono le normative vigenti in materia, in quanto potrebbero contenere additivi, sostanze allergizzanti e andare incontro a processi fermentativi incontrollati. L'amministrazione comunale di Soriano nel Cimino ha uno spiccato e forte interesse di tutelare e salvaguardare il proprio territorio comunale; la passata amministrazione ha più volte sollecitato gli organismi di controllo (Arpa Lazio, amministrazione provinciale, carabinieri, Corpo forestale) affinché controllassero che le operazioni di recupero si svolgessero nel corretto rispetto della normativa di legge. A seguito delle sollecitazioni, la provincia di Viterbo richiedeva alla Società Recuperi La Torre s.r.l. una relazione geologica sul sito oggetto di recupero, che è stata successivamente trasmessa all'ARPA Lazio dalla provincia stessa. L'ARPA Lazio preso atto, inviava alla provincia, e, per conoscenza alla ditta, richieste di osservazioni tecniche ed integrazioni allo studio geologico ed al piano di monitoraggio. Solo successivamente alla presentazione della documentazione da parte della ditta, veniva autorizzata di nuovo dalla provincia l'attività di recupero. Stante agli eventi descritti, durante una riunione con i cittadini di Soriano, sono emerse perplessità e dubbi sull'attività di recupero, in quanto zone limitrofe alla cava sono interessate dal cattivo odore, ed i cittadini sono fortemente preoccupati per le conseguenze che potrebbero derivare alla pubblica incolumità;
          ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.  22, l'esercizio delle attività di riciclaggio e di recupero dei rifiuti deve assicurare la massima protezione dell'ambiente e controlli costanti, diretti e efficaci, e i rifiuti devono essere recuperati senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero creare pregiudizio all'ambiente. Al fine di garantire un elevato livello di tutela dell'ambiente e controlli efficaci l'articolo 33 del predetto decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.  22, stabilisce che le attività di recupero possono essere sottoposte a procedure semplificate sulla base di apposite condizioni e norme tecniche che debbono delineare e specificare in particolare: a) le quantità massime impiegabili; b) la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti, nonché le condizioni specifiche di utilizzo degli stessi; c) le prescrizioni necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti e metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente. Ai sensi dell'articolo 33, comma 7, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.  22, la procedura semplificata sostituisce l'autorizzazione di cui all'articolo 15, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n.  203, limitatamente alle variazioni qualitative e quantitative determinate dai rifiuti sottoposti ad attività di recupero semplificate, e che pertanto a tali fini e necessario fissare i limiti di emissione per ciascuna delle attività di recupero predette. L'articolo 1 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 recita: «Le attività, i procedimenti e i metodi di recupero di ciascuna delle tipologie di rifiuti individuati dal presente decreto non devono costituire un pericolo per la salute dell'uomo e recare pregiudizio all'ambiente, e in particolare non devono: a) creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora; b) causare inconvenienti da rumori e odori; c) danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse»;
          inoltre, vi è da citare l'ordinanza n.  167 del 2012, emessa dal sindaco del comune di Soriano nel Cimino, nella quale si evince che la Società Recuperi la Torre s.r.l. entro 20 giorni dalla notifica della stessa doveva provvedere alla posa in opera di barriere frangivento e l'immediata osservanza delle prescrizioni impartite dall'organo competente in sede autorizzativa e nella fattispecie dall'amministrazione provinciale di Viterbo con determinazione di gestione n.  08/940/G del 26 agosto 2011. La relazione dell'ARPA Lazio, prot. n.  0014840 del 21 febbraio 2013, si evince che la società ha provveduto, come richiesto dall'ordinanza sopra citata alla posa in opera di una barriera frangivento; nella stessa si legge quanto segue, così integralmente riportato: «Sia lungo il perimetro dell'impianto, in particolare lungo la strada di accesso al sito, sia all'interno dell'alveo di cava, è stato avvertito un odore acre, riconducibile ai rifiuti presenti nella cava»;
          sarebbe opportuno che vengano attivate tutte le procedure necessarie ad accertare l'attività di recupero e che sia effettuata un'ulteriore analisi epidemiologica al fine di avere un quadro aggiornato della situazione  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al riguardo, eventualmente promuovendo una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente in relazione allo stato dei luoghi al fine di garantire la tutela dei cittadini della zona coinvolta. (4-11097)

      Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti anche dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
      Si fa presente, in via preliminare, che la società Recuperi La Torre s.r.l. risultava iscritta nel registro provinciale delle ditte che svolgono attività di recupero rifiuti non pericolosi in procedura semplificata ai sensi dell'articolo 216 del decreto legislativo n.  152 del 2006, per lo svolgimento dell'attività di recupero rifiuti non pericolosi presso il sito ex cava del Bucone in località Crocetta, nel territorio del comune di Soriano nel Cimino (VT), nonché in possesso dell'autorizzazione n.  34/14/I.A. del 14 novembre 2014 rilasciata dalla provincia di Viterbo ai sensi dell'articolo 269, comma 2 e dell'articolo 281, comma 1, del decreto legislativo n.  152 del 2006.
      In data 16 aprile 2015 lo sportello unico per le attività produttive (SUAP) del comune di Soriano nel Cimino ha inoltre rilasciato l'autorizzazione unica ambientale n.  1 del 2015 ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n.  59 del 2013 per il rinnovo dell'attività di recupero rifiuti non pericolosi svolta in procedura semplificata ai sensi del già citato articolo 216 del decreto legislativo n.  152 del 2006, e per le emissioni in atmosfera riferite all'attività svolta dalla ditta Recuperi La Torre s.r.l. presso il medesimo sito.
      In esito alla richiesta della provincia di Viterbo, l'Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA) della regione Lazio ha effettuato una campagna di monitoraggio dell'aria condotta in prossimità del sito in questione, i cui esiti sono stati trasmessi alle autorità competenti in data 14 marzo 2016.
      Sulla base di tali esiti e di quanto convenuto nel corso della riunione tenutasi in data 18 marzo 2016 presso la sede dell'Azienda sanitaria locale (ASL) di Viterbo, sono stati adottati rispettivamente:
          dal sindaco, in qualità di massima autorità sanitaria locale, l'ordinanza n.  31 del 18 marzo 2016 di sospensione da parte della società Recuperi La Torre s.r.l. del conferimento dei rifiuti presso l'ex cava in località Crocetta, nelle more del ripristino della situazione ambientale;
      dal dirigente del settore ambiente ed energia della provincia di Viterbo, la determinazione n.  584 del 22 marzo 2016 di sospensione dell'iscrizione al registro provinciale per le attività di recupero rifiuti non pericolosi in procedura semplificata, relativa all'impresa Recuperi La Torre s.r.l., nonché dell'autorizzazione n.  34/14/I.A. del 14 novembre 2014 rilasciata alla medesima ditta dalla provincia di Viterbo.
      Successivamente, il sindaco del comune di Soriano nel Cimino ha adottato due ulteriori ordinanze contingibili e urgenti:
          la prima (ordinanza n.  49 del 2016) per l'accertamento del livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) in località Crocetta da parte della società Recuperi La Torre s.r.l.
          la seconda (ordinanza n.  50 del 2016) relativa alla presentazione, da parte della stessa società, di una proposta tecnica per la messa in sicurezza del sito in località Crocetta.

      Da ultimo, si rappresenta che è stata indetta, per il giorno 14 giugno 2016, presso la sede dell'amministrazione provinciale di Viterbo, la conferenza dei servizi tra regione Lazio, provincia di Viterbo, comune di Soriano nel Cimino, ARPA Lazio e ASL di Viterbo per Tesarne della documentazione presentata dalla società Recuperi La Torre s.r.l., e per la definizione delle successive procedure e adempimenti.
      Tanto premesso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato sulle attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo n.  152 del 2006, all'articolo 27, comma 5, lettera d), dispone che nello studio d'impatto ambientale siano indicate le principali alternative prese in esame dal committente, ivi compresa la cosiddetta «opzione zero», con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell'impatto ambientale;
          le stazioni appaltanti sono obbligate ad aggiornare annualmente i propri preziari, come prescritto dall'articolo 133 del decreto legislativo n.  163 del 2006;
          tale obbligo è stato introdotto dalla legge n.  311 del 2004 (comma 550, articolo 1 della legge finanziaria 2005) la quale ha previsto una durata temporanea del singolo preziario prescrivendo che «i preziari cessano di avere validità il 31 dicembre di ogni anno e possono essere transitoriamente utilizzati fino al 30 giugno dell'anno successivo per i progetti a base di gara la cui approvazione sia intervenuta entro tale data»;
          con sentenza 3468/07 il TAR della Puglia, II sezione di Lecce, ha stabilito che è motivo di nullità della gara d'appalto l'adottare prezzi a base d'asta non aggiornati;
          da fonti di stampa si apprende che «per lo scolmatore del Bisagno c’è un impegno di spesa del Governo». Tale notizia è confermata sul sito Italiasicura.governo.it, che lo quantifica in: 45 milioni di euro per il 1° stralcio dello scolmatore torrente Fereggiano; 10 milioni di euro per il 2° stralcio, relativo ai rii Noce e Rovare e 165 milioni per la realizzazione dello scolmatore del torrente Bisagno;
          la delibera del CIPE n.  32 del 20 febbraio 2015, che all'articolo 1 assegna una dotazione finanziaria da destinare agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, in particolare a quelle ricadenti in aree metropolitane e urbane, e all'articolo 2 stabilisce che la dotazione sia assegnata a seguito dell'emanazione di un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri;
          il parere tecnico del Consiglio superiore dei lavori pubblici evidenzia alcune criticità del progetto definitivo sullo scolmatore del Fereggiano: in particolare, il parere tecnico alla pagina 47 sottolinea come «la portata di dimensionamento dell'opera sia stata definita in maniera convenzionale senza sviluppare un apposito studio idrologico riferito ai bacini idrografici di interesse». Come dire che sul bacino del Fereggiano, del Rovare e del Noce non siano stati effettuati studi adeguati ad un'opera del genere; un'opera, si intende sottolinearlo, dal valore di 45 milioni di euro per la realizzazione del solo primo stralcio del primo lotto cioè la sola captazione del rio Fereggiano. La captazione del rio Rovare e del Rio Noce rappresenta il secondo stralcio del primo lotto e ha un costo aggiuntivo di 13 milioni e trecentomila euro per un costo complessivo del primo lotto pari a euro 58,3 milioni. Questo secondo stralcio del primo lotto è da destinarsi ad una seconda fase mediante l'impiego dei ribassi di gara (cfr. pagina 29), mentre il secondo lotto è rappresentato dal prolungamento dello scolmatore fino alla Sciorba. La relazione prosegue affermando che «le stime del tempo di ritorno della portata di progetto definiscono probabilmente in modo non sufficientemente preciso per il rischio residuo di inondazione per incapacità dell'opera di scolmo di convogliare la portata in arrivo da monte», ovvero il progetto viene accusato di essere stato fatto su stime, calcoli e previsioni dello scorso secolo (sulla base di tabelle vecchie di 30 anni, cfr. pagina 48);
          il Consiglio superiore, inoltre, sottolinea un altro aspetto molto importante: nella relazione geologica, a pagina 54, si sottolinea la necessità di valutare la interazione tra le possibili frane, già verificatesi durante l'alluvione del 4 novembre, e lo scolmatore. Occorre pertanto prevedere «interventi mirati a mitigare l'erosione sui versanti e/o stabilizzare pendii a rischio di frana a causa di eventi pioggia eccezionali»: chiaramente la concomitanza, non così eccezionale come dimostrano i recenti esempi, di una frana e di una piena del fiume «comprometterebbe di fatto la funzionalità delle opere previste»;
          altro elemento che, a parere del Consiglio merita maggiori approfondimenti, è quello riguardante l'utilizzo dei materiali e la «durabilità della superficie interna del rivestimento di galleria con particolare riferimento ai possibili fenomeni di abrasione in relazione ai valori di scabrezza di progetto»: è previsto che lo scolmatore del Fereggiano lavori in maniera ottimale «in pressione» e che in caso di eventi meno rilevanti rispetto ad episodi di piena (quelli per intenderci con tempo di ritorno di 25-35 anni) il deflusso mostri comportamenti instabili sollecitando continuamente e pericolosamente la superficie di rivestimento della galleria (pagina 49) e quindi portandola velocemente ad una sua rapida erosione e rovina. Per questo motivo sarebbe fondamentale ad avviso degli interroganti, che nel computo di spesa complessivo venisse già inserita una clausola recante un preventivo dei costi di gestione e di manutenzione di un'opera che per il suo corretto funzionamento avrà un alto costo di manutenzione;
          altro punto problematico evidenziato dalla relazione sembra essere quello dello sbocco a mare (pagina 50): va verificato infatti, si legge nella relazione, il funzionamento che consideri le portate contemporaneamente in arrivo dalla galleria Fereggiano e dalla galleria Bisagno, allo scopo di quantificare il rigurgito che può interessare questa ultima»;
          il fatto, poi, che lo scolmatore, funzioni in pressione (caso unico al mondo) può compromettere il corretto funzionamento dello stesso nel caso in cui la piena sia contemporanea ad eventi meteo marini intensi: per questo il Consiglio superiore chiede di approfondire questa criticità come era stato, del resto, già prescritto per il progetto definitivo dello scolmatore del Bisagno nel 2007 (pagina 51);
          il Consiglio esprime ancora un'altra perplessità riguardo le opere di presa dello scolmatore originariamente previste in maniera ottimale nel progetto del 2007 attraverso numerose simulazioni e la prevista realizzazione di una vasca con gradino che aveva la funzione di trattenere i corpi flottanti e la gran parte dei solidi trasportati dalla corrente. Il progetto attuale invece prevede un ridimensionamento delle dimensioni generali e la conseguente sostituzione del gradino di fondo con il restringimento che, così come previsto oggi, non sarebbe più in grado di trattenere adeguatamente quanto trasportato dalla corrente;
          erano state presentate alternative possibili, valutate positivamente dal professor Giovanni Menduni, docente di idraulica al politecnico di Milano e attualmente commissario straordinario per il terremoto in Lunigiana, che, oltre a ridurre i costi e i tempi di realizzazione, avrebbero ridotto notevolmente anche l'impatto ambientale dell'intera opera;
          ad oggi non risulta agli interroganti l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri richiamato nella delibera del CIPE n.  32/2015, pertanto i fondi statali per la realizzazione delle opere risultano indisponibili;
          per l'opera in questione è stato usato in larghissima parte il prezzario ANAS 2005;
          l'opera in questione è sempre stata individuata come fondamentale per contribuire alla messa in sicurezza della città di Genova, visto l'ingente onere finanziario che si prospetta per le casse dello Stato e nel suo parere il Consiglio superiore dei lavori pubblici aveva evidenziato una serie di osservazioni estremamente pertinenti e circostanziate tali da far dubitare delle stesse basi della progettazione (dalla stima della portata alle modellazioni fisiche alla suddivisione in lotti per arrivare anche al conto economico);
          nel modello dell'imbocco non sarebbero state compiute valutazioni reali sulla presenza di macrocorpi quali automobili e alberi limitandosi solo alla presenza di un'automobile e una lavatrice. Senza tema di cadere nella mera speculazione scientifica, si poteva cogliere l'opportunità di cercare le condizioni estreme di collasso delle parti d'opera, per poi valutare se erano realistiche (per mero esempio e per facilitare la comprensione: 5-10-15 automobili insieme, con e senza alberi, con varie portate di piena) o meno. Nel caso fossero stati considerati casi realistici, tali risultanze dovevano essere riverberate sulla progettazione in corso;
          nel pomeriggio del 9 ottobre 2014 nel comune di Genova nella mattinata si verificarono precipitazioni intense. Nel pomeriggio le precipitazioni si fermarono, per poi riprendere a tarda sera e poi con intensità la notte. Alle ore 23,30 circa esondò il torrente Bisagno. L'acqua invase le strade e trascinò auto parcheggiate. Sino alle tre di notte, a causa degli allagamenti, parte della città rimase senza corrente. In alcune zone l'interruzione si prolungò per uno-due giorni. Anche il rio Fereggiano, che determinò l'alluvione del 2011, esondò e allagò la zona di via Fereggiano e di corso Sardegna. Le acque del torrente Bisagno arrivarono sino all'altezza di un metro e ottanta e trascinarono molte auto incastrandole nei pressi dei tunnel pedonali e stradali accanto alla stazione Brignole;
          il 10 ottobre poco dopo la mezzanotte il torrente Sturla esondò allagando numerose strade e trascinando auto in sosta. E verso le 00,30 la zona di Brignole fu interamente allagata, come nell'alluvione 2011 e nelle varie precedenti, l'acqua invase anche la seconda parte verso valle di via XX Settembre. Poco dopo alle ore 00,45, i vigili del fuoco recuperarono il corpo di un uomo, morto annegato, nel tunnel allagato tra via Canevari e la stazione Brignole che fu identificato due ore dopo. Alle ore 01,00 circa i vigili del fuoco trassero in salvo una persona, intrappolata in auto, pochi metri fuori dal tunnel tra via Canevari e la stazione Brignole, incastrata tra le altre trascinate dal Bisagno. L'autostrada A12 venne chiusa tra Bivio A12/A7 Milano-Genova e Genova Nervi per l'allagamento di Corso Europa in direzione Genova alle ore 02,00. Si calcola che in 24 ore le precipitazioni ammontarono a 395 mm. I danni calcolati derivati da quell'evento alluvionale sul territorio regionale ligure superarono i 250 milioni di euro, 25 soltanto per la città di Genova. Gli altri comuni alluvionati sono stati quarantatre, in provincia di Genova. Durante l'alluvione fra l'altro fu completamente allagata la metropolitana presso la stazione di Genova Brignole, frequentata da migliaia di persone ogni giorno e fu grazie alla tarda ora che non ci furono ulteriori danni alle persone data anche la mancata dichiarazione dello stato di allerta. Nel corso della discussione della legge di stabilità 2015 a compensazione dei danni ricevuti dalla città di Genova si decise di finanziare la costruzione di un ulteriore tratto di linea metropolitana a Genova, prosecuzione da Brignole al Levante genovese senza una previa messa in sicurezza idrogeologica (come era stato richiesto dall'emendamento Zolezzi);
          alle prime piogge autunnali nel 2015 nuovamente il Bisagno è stato prossimo all'esondazione. In pratica Genova sta rischiando una catastrofe immane e il percorso per la messa in sicurezza dell'area del centro cittadino passa per un progetto opinabile che anche se realizzato verosimilmente non garantirebbe alcuna sicurezza, visto anche l'incremento graduale della frequenza e dell'intensità di eventi meteorologici avversi. Le procedure in corso di assegnazione degli appalti sono state oggetto di ricorso e non appaiono rispondere alla necessità e urgenza della messa in sicurezza di quelle aree, che apparentemente potrebbero giovarsi solo della rinaturalizzazione delle aree con una progressiva decostruzione  –:
          se sia stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio di ministri necessario per sbloccare gli importi stanziati dal Governo;
          se si ritenga opportuno assoggettare il progetto definitivo revisionato al parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici al fine di verificare il rispetto delle prescrizioni emesse;
          se il Governo ritenga opportuno lo svolgimento di ulteriori simulazioni su modelli fisici che permettano, data la peculiarità del contesto genovese, di valutare in modo credibile gli scenari possibili in caso di alluvione;
          se il Governo ritenga opportuno adoperarsi per la produzione di progetti in cui si valuti l'opzione decurtazione di infrastrutture ed edifici lungo le sponde del tratto terminale del Bisagno. (4-10697)

      Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
      Al fine di arginare le criticità legate al dissesto idrogeologico, tenuto conto anche della naturale fragilità del territorio italiano, a partire dal 2014 l'azione del Governo è stata finalizzata ad affrontare in modo più efficace sia la programmazione che l'attuazione degli interventi.
      A tale scopo, con il cosiddetto «sblocca Italia», sono state definite nuove regole per la programmazione, in coerenza con un quadro effettivo del rischio e garantendo criteri di trasparenza nella selezione degli interventi.
      L'attività del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in termini di prevenzione al dissesto idrogeologico, è iniziata su scala nazionale dai primi mesi del 2010, con la sottoscrizione con le regioni interessate degli accordi di programma che individuano e finanziano interventi urgenti per la messa in sicurezza della popolazione e del territorio. L'attività ha coinvolto anche le autorità di bacino ed il dipartimento della protezione civile.
      Attualmente, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in coordinamento con la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, sta procedendo alla predisposizione della nuova programmazione degli interventi. In particolare, Ministero e struttura di missione stanno lavorando con le regioni e le province autonome alla definizione del piano razionale di prevenzione e di contrasto al dissesto per gli anni 2015-2023, nell'ambito del quale è stato già approvato, nel settembre scorso, il «Piano stralcio per le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta al rischio di alluvioni», costituito da una sezione attuativa e già finanziata (33 interventi per 654 milioni di euro) e da una sezione programmatica (99 interventi per 650 milioni di euro) destinata a futuro finanziamento.
      Il piano nazionale potrà essere finanziato attraverso le risorse di bilancio ordinarie e le risorse della politica di coesione nazionale ed europea. Per quanto riguarda le risorse ordinarie, è stata prevista l'assegnazione di 150 milioni di euro nell'anno 2016, 50 milioni di euro nell'anno 2017, 150 milioni di euro nell'anno 2018.
      Si evidenzia poi che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 ha definito il piano stralcio aree Metropolitane, con il quale sono stati finanziati gli interventi caratterizzati da un livello prioritario di rischio idraulico, tempestivamente cantierabili e ricadenti nell'ambito delle aree metropolitane, nonché delle aree urbane con alto livello di popolazione a rischio.
      Nella sezione attuativa del piano stralcio, come già evidenziato, che individua 33 interventi sul territorio nazionale per un importo statale complessivo di oltre 654 milioni di euro, è stato previsto lo stanziamento a favore della regione Liguria di complessivi euro 315.000.000.00, di cui euro 275.000.000,00 di finanziamento statale MATTM.
      In particolare, sono stati finanziati i seguenti interventi: la realizzazione dello scolmatore del torrente Bisagno nel comune di Genova (euro 165.000.000,00); il completamento dell'adeguamento idraulico-strutturale del tratto terminale del torrente Bisagno (euro 95.000.000,00); il compimento dello scolmatore del torrente Bisagno 1o Lotto Fereggiano (euro 45.000.000,00); l'attuazione dello scolmatore del torrente Bisagno 1o Lotto Ferregiano, relativo ai Rii Noce e Rovare) (euro 10.000.000,00).
      Inoltre, nella sezione programmatica del medesimo Piano, sono stati inseriti i seguenti 4 interventi per un importo totale di euro 51.200.000,00 e di un importo richiesto di euro 48.500.000.00:
          Realizzazione del canale scolmatore dei torrenti San Siro e Magistrato nel comune di S. Margherita Ligure (euro 33.000.000,00);
          Sistemazione idraulica del Rio Fegino (euro 5.700.000,00);
          Lavori di regimazione idraulica del Rio Rezza (euro 2.500.000,00);
          Realizzazione del by-pass del Rio Noce (euro 10.000.000,00).

      Successivamente, secondo le previsioni del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è stato sottoscritto un accordo di programma stipulato tra lo scrivente Ministero, la Presidenza del Consiglio dei ministri, la regione e il sindaco della città metropolitana di Genova, registrato in data 21 dicembre 2015 alla Corte dei conti.
      Per quanto riguarda l'esecuzione di test su modelli fisici, in base a quanto dichiarato nella documentazione progettuale inserita nel sistema Rendis (Repertorio nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo), questi risultano effettuati nel caso dei progetti definitivi inerenti il torrente Fereggiano) ed il 2o (Rii Noce e Rovare) del 1o lotto dello scolmatore sul Bisagno, mentre sono demandati ad una successiva fase le realizzazioni di simulazioni su modelli fisici per l'intervento relativo alla realizzazione dello scolmatore sul Bisagno nel comune di Genova.
      Per quanto riguarda la rimozione di edifici e infrastrutture situati in aree a rischio idrogeologico, si evidenzia che con la legge 28 dicembre 2015, n.  221 (cosiddetto collegato Ambientale) sono stati rafforzati i vincoli a tutela dell'assetto idrogeologico, con particolare riferimento ad interventi di rimozione o demolizione di immobili abusivi realizzati in aree soggette a rischio idrogeologico elevato, per i quali sono stati stanziati 10 milioni di euro.
      Nell'ambito della promozione e realizzazione di attività finalizzate alla prevenzione dei rischi, ed in particolare del rischio alluvione, il dipartimento della protezione civile sta portando avanti da 3 anni, su tutto il territorio nazionale, la campagna di comunicazione denominata «Io non rischio Alluvione», con l'obiettivo di informare e sensibilizzare i cittadini. Tale campagna è promossa e realizzata dal dipartimento con la collaborazione di alcuni Centri di competenza scientifici e delle regioni e province autonome. L'iniziativa si inserisce nella più ampia campagna di comunicazione nazionale «Io non rischio», nata nel 2011 per sensibilizzare la popolazione sul rischio sismico e successivamente estesa nel 2013 anche al rischio maremoto.
      A supporto della politica di delocalizzazione, all'interno dei Piani di gestione rischio alluvioni (Pgra) per il raggiungimento degli obiettivi sono state sviluppate, tra le altre, misure di prevenzione che intervengono a governare l'uso del territorio anche tramite azioni di rimozione e rilocalizzazione di edifici e attività in aree a rischio idrogeologico. In particolare, nel Pgra del bacino regionale della Liguria, tali azioni corrispondono alla misura M21.
      In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


      ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          Trieste è uno dei 40 siti nazionali da bonificare, tra le aree più inquinate della penisola;
          via Errera spicca, anche rispetto a tanti altri siti più noti, per la varietà dei contaminanti presenti, con concentrazioni nei suoli e nelle acque sotterranee con valori ben oltre i limiti di legge, come risulta della caratterizzazione riassunta nel recente verbale del 25 novembre 2015 della conferenza di servizi istruttoria tenutasi presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
          la contaminazione, oltre i limiti di legge, comprende diossine, policlorobifenili, Ddt, gran parte dei metalli pesanti (dal cobalto al cromo esavalente passando per il mercurio e il piombo) e numerose altre sostanze estremamente pericolose, tra cui cancerogeni accertati, mutageni e tossici. La «pesante contaminazione» (per usare un'espressione dell'ARPA) riguarda sia i suoli (in realtà gran parte sono rifiuti) sia la falda. Quest'ultima, come segnala l'ARPA Friuli Venezia Giulia ha addirittura un Ph di 1,2, praticamente è una sostanza acida;
          questi dati, si riferiscono al piano di caratterizzazione, approvato nel 2004 e realizzato e consegnato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2012 (otto anni fa). Nella Relazione tecnica «Esecuzione di rilievi a mare a finalità archeologiche mediante ecoscandaglio multibeam e sub-bottom profiler nell'area antistante l'ex discarica a mare di via Errera (Trieste)» tra l'altro, si può leggere «...il rilevamento “ha evidenziato una morfologia della spiaggia sommersa essenzialmente uniforme”; si registra una rottura di pendenza variabile tra 7 e –10 metri, lungo tutta la fascia indagata, esito dell’“onda di fango” dell'attività di discarica condotta in passato nell'area»;
          il sito è posto direttamente a contatto con il mare, con una situazione estremamente compromessa e nota da anni, visto che i primi campionamenti sul campo risalgono proprio al 2004 (con ulteriori integrazioni nel 2009 e nel 2010);
          ad oggi non sono chiare le misure cautelative poste in loco visto la mancanza di eventuali bonifiche atte a mitigare il danno prodotto, diviene, pertanto, necessario ogni possibile presidio posto a tutela dell'ambiente e della salute (un capping per intercettare le acque di pioggia; una barriera idraulica e altro);
          il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ente responsabile del SIN, il 27 dicembre 2012, secondo quanto riportato nel verbale citato, chiese «l'adozione di immediate e idonee misure di messa in sicurezza/prevenzione delle acque di falda»;
          l'autorità portuale comunicò di essere intenzionata a mettere in emungimento i piezometri più contaminati (in realtà solo il Pz9). Il 23 ottobre scorso il Ministero, a quasi tre anni dalla lettera del 27 dicembre 2012 e a dodici anni dalle prime caratterizzazioni, ha richiesto di conoscere le misure adottate, chiedendo a Provincia ed ARPA le valutazioni circa «l'efficacia e l'efficienza» delle stesse. Nel verbale della Conferenza dei servizi del 25 novembre 2015 ARPA risponde direttamente a tale richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sostenendo di «non avere elementi tecnici oggettivi per poter provvedere ad una valutazione in tal senso». La conferenza di servizi si chiude con due richieste all'autorità portuale:
              a) entro 60 giorni dalla notifica del verbale di presentare un progetto di messa in sicurezza permanente;
              b) è necessaria l'immediata implementazione (così nel testo) di idonee misure di prevenzione atte ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori delle aree, già richieste dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nella nota del 27 dicembre 2012;
          il sito è a pochi chilometri dal centro cittadino della città di Trieste, tale da dare adito a nuovi e importanti elementi tecnici oggettivi per poter provvedere ad una valutazione;
          si evidenzia il grave stato dei luoghi che rendono complessa la valutazione di questo sito contaminato da diossina nel top-soil, nonché nel suolo profondo, con, ad esempio, il ciclo di allagamento/asciugamento e il continuo passaggio di mezzi pesanti su una strada sterrata usata quotidianamente per un impianto di inerti che è a pochi chilometri di distanza;
          non risulta chiaro all'interrogante nei verbali e nelle lettera cosa intenda il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per il termine «immediato»  –:
          se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti su esposti;
          se il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, non intenda garantire, in accordo con gli enti territoriali preposti, l'attuazione del progetto di messa in sicurezza permanente del sito in esame;
          se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza e in accordo con gli enti territoriali preposti, non intenda assumere direttamente l'onere della immediata implementazione di idonee misure di prevenzione atte ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori delle aree;
          se il Governo, per quanto di competenza e in accordo con gli enti territoriali preposti, non intenda assumere le iniziative necessarie affinché venga limitato o vietato il passaggio del traffico veicolare o pedonale, ivi presente, fintanto che non siano garantite le norme sulla sicurezza e salvaguardia ambientale. (4-12384)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al Sito di interesse nazionale di Trieste, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
      In via preliminare, occorre evidenziare che la conferenza di servizi del 25 novembre 2015 sul SIN di Trieste ha esaminato il documento «Risultati del Piano di caratterizzazione area ex-discarica a mare di Via Errera nel porto di Trieste», trasmesso dall'autorità portuale Trieste e acquisito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 8 giugno 2012.
      Nella più ampia area oggetto del suddetto piano di caratterizzazione ambientale dell'ex discarica di via Errera, Trieste, approvato dalla conferenza dei servizi decisoria del 19 maggio 2004 con diverse prescrizioni recepite in fase di esecuzione, sono ricomprese le aree sottoposte ad indagine ambientale denominate «B+D» (oggetto di realizzazione del Terminal GNL) e l'area contermine denominata «Adiacente B+D».
      La suddetta area è caratterizzata dalla presenza di materiali alloctoni, per uno spessore che arriva anche a 20 metri, accumulati nel corso degli anni al di sopra dei sedimenti limo-argillosi marini naturali e la linea di costa originale degli anni ’70 è progredita per oltre 50 metri verso mare.
      Tali materiali, dal punto di vista granulometrico, sono caratterizzati da una matrice limo sabbiosa inglobante ghiaia eteromorfa ed etero dimensionale: all'interno di questo livello di materiali, sono stati rinvenuti residui vetrosi, metallici, vegetali, plastica, nylon ecc., tipicamente ascrivibili ad un'area utilizzata in passato come discarica di rifiuti urbani ed edili.
      Nell'area in oggetto sono state eseguite le indagini previste dal citato piano di caratterizzazione approvato per l'ex discarica di via Errera, in tre diverse fasi più una quarta integrativa:
          fase I (anno 2004): 6 sondaggi, 10 saggi meccanici, 4 piezometri e 4 prove Lefranc;
          fase II (anno 2009): 8 sondaggi, 4 piezometri e 2 prove Lefranc;
          fase III (anno 2010): 13 sondaggi, 7 piezometri e 3 prove Lefranc;
          fase Integrativa (anno 2010, contestualmente alle indagini di Fase III): 5 sondaggi, 1 piezometro, 1 saggio meccanico.

      Nel complesso, sono stati eseguiti n.  11 saggi meccanici e n.  32 sondaggi a carotaggio continuo, di cui n.  16 attrezzati a piezometri. Durante l'esecuzione delle indagini sono stati prelevati n.  186 campioni di terreno, n.  16 campioni classificati come rifiuto solido, n.  27 campioni superficiali top soil e n.  16 campioni di acqua di falda. Tutte le attività di campionamento sono state condotte alla presenza dell'ARPA Friuli Venezia Giulia. Dal confronto con le CSC (Concentrazioni Soglia di Caratterizzazione) fissate dalla tab. 1 e dalla tab. 2, All. 5, titolo V - Parte Quarta, del decreto legislativo n.  152 del 2006, nell'area in esame sono stati rilevati i seguenti superamenti:
          nel
top soil, n.  4 superamenti riscontrati a carico di PCCD/PCDF in corrispondenza dei sondaggi S19, S20, S21 e S25 durante l'esecuzione delle indagini di fase III;
          nei suoli, diffusi superamenti a carico di metalli (antimonio, cadmio, cobalto, nichel, stagno, mercurio, rame, piombo, zinco, cromo VI), idrocarburi leggeri C2, idrocarburi pesanti C»12, PCB, benzo-a-antracene, benzo-a-pirene, indeno-1,2,3cd-pirene, IPA totali, diossine (PCDD/PCDF) e fitofarmaci (somma DDD, DDE, DDT), con presenza di due
hot spot per Idrocarburi pesanti C>12 in corrispondenza dei sondaggi S7 e S19, di un hot spot per zinco in corrispondenza del sondaggio S6, di un hot spot per rame in corrispondenza del sondaggio S23;
          nelle acque di falda, una diffusa contaminazione a carico di metalli (antimonio, arsenico, berillio, cadmio, cobalto, cromo totale, ferro, manganese, piombo, nichel, alluminio, mercurio, selenio, tallio, zinco, boro, cromo VI), fluoruri, solfati, idrocarburi totali (come n-esano), benzo-a-antracene, benzo-a-pirene, benzo-b-fluorantene, benzo-k-fluorantene, benzo-g,h,i-perilene, dibenzo-a,h-antracene, indeno-1,2,3cd-pirene, IPA totali, PCB, 1,2-dicloropropano e fitofarmaci (somma DDD, DDE, DDT). Inoltre, in corrispondenza del piezometro S11/P9, si è riscontra la presenza di hot spot per fluoruri, solfati, arsenico, berillio, cobalto, cromo totale, ferro, manganese, nichel, piombo, boro e idrocarburi totali (come n-esano); in corrispondenza dei piezometri S13/P4 e S12/P10 si è riscontra la presenza di hot spot per alluminio e ferro;
          durante l'esecuzione delle indagini di fase I (2004) sono stati rinvenuti rifiuti in n.  10 punti di campionamento (S8, S9, S10, S11, S12, SM3, SM4, SM6, SM7 e SM10), a profondità estremamente variabili (0.5=13.9 m dal p.c.); i campioni prelevati sono stati analizzati per l'attribuzione codice CER 17.05.03 «terre e rocce, contenenti sostanze pericolose» e sono stati quindi classificati come «rifiuto speciale pericoloso» ai sensi della normativa vigente all'epoca (decreto legislativo n.  22 del 1997 e decreto ministero 13 marzo 2003).
      Atteso il quadro ambientale delineato dai risultati delle indagini sopraesposti, il Ministero dell'ambiente, in data 21 giugno 2012, ha richiesto formale parere istruttorio ad ISPRA, all'Istituto Superiore della Sanità e all'ARPA FVG sugli esiti della caratterizzazione e, in data 27 dicembre 2012, nelle more della validazione delle suddette indagini da parte di ARPA FVG, ha richiesto l'adozione di immediate idonee misure di messa in sicurezza e prevenzione delle acque di falda. L'autorità portuale di Trieste (APT), in riscontro, ha comunicato di voler procedere alla messa in emungimento dei piezometri maggiormente contaminati.
      Più recentemente, ossia in data 23 ottobre 2015, la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente ha richiesto ad APT informazioni circa le misure adottate, nonché a provincia ed ARPA FVG valutazioni circa l'efficacia ed efficienza delle stesse.
      La conferenza di servizi del 15 novembre 2015, acquisiti i pareri di ISPRA e ARPA FVG, considerato che il terrapieno di via Errera, oggetto di indagine ambientale, è stato sede di una discarica per rifiuti speciali presumibilmente autorizzata, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n.  915 del 1982, dalla regione Friuli Venezia Giulia, dal 1984 al 1987, tenuto conto che per tutte le matrici ambientali, ed in particolare per le acque sotterranee, risultano diffusi e significativi superamenti delle relative CSC che attestano la diffusione della contaminazione, ha richiesto all'autorità portuale di Trieste la presentazione, entro 60 giorni dalla notifica del verbale di conferenza, di un progetto di messa in sicurezza permanente dell'area di discarica di via Errera, ai sensi dell'articolo 240 del decreto legislativo n.  152 del 2006. Contestualmente ha richiesto l'immediata implementazione di idonee misure di prevenzione, atte ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori delle aree, già richieste dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota del 27 dicembre 2012.
      Occorre, inoltre, evidenziare che, in data 28 gennaio 2016, l'APT ha comunicato l'avvio delle attività di sfalcio, recinzione e raccolta/cernita rifiuti presenti, quali prime misure di prevenzione, evidenziando contestualmente di non poter sostenere gli oneri per l'attuazione degli interventi di bonifica, dovendo gli stessi essere a carico del soggetto responsabile della contaminazione.
      Successivamente, l'autorità portuale Trieste ha quindi trasmesso lo «Studio di fattibilità della messa in sicurezza permanente dell'area della ex discarica a mare di via Errera». La documentazione trasmessa costituisce lo studio di fattibilità degli interventi di messa in sicurezza permanente necessari ad eliminare il rischio sanitario e ambientale connesso alla contaminazione della discarica di via Errera.
      La superficie interessata, che ricomprende l'area di discarica, risulta di circa 11 ha, con oltre 700 metri di costa a mare rivolta a sud e con uno sviluppo, in direzione ortogonale alla costa, variabile fra 125 metri verso ovest a circa 275 metri verso est (200 metri circa di larghezza in media).
      L'area di progetto interessa anche aree in concessione demaniale sia a est (verso l'inceneritore di AcegasAPS-Amga), sia a ovest (verso il terminale petrolifero SIOT), che l'APT già prevede di revocare per la realizzazione delle opere.
      Inoltre, il citato progetto di messa in sicurezza permanente prevede la conterminazione delle matrici ambientali suoli e acque di falda attraverso la realizzazione di un capping superficiale e di un barrieramento fisico a valle e a monte dell'area.
      L'intervento è articolato in più fasi e prevede un monitoraggio sia in corso d'opera che post opera, ed è scandito come segue:
          1) realizzazione delle opere necessarie all'accessibilità e all'interdizione ai non addetti ai lavori (sfalcio e recinzione), realizzazione della barriera sommersa (tipo reef-ball), costruzione dei pozzi di drenaggio 01500 lungo la pista principale della discarica e la posa della tubazione di raccolta delle acque emunte;
          2) realizzazione delle opere lato mare, previa predisposizione del
bubble screen a monte della barriera sommersa (tipo reef ball). In particolare, verrà realizzata la pista necessaria alla costruzione dei pali secanti, verranno realizzati i pali e sarà disposta la tubazione di drenaggio perimetrale. Successivamente, si procederà al capping superficiale. Gli interventi descritti saranno organizzati per fasi operative in successione a fasce di -50 metri;
          3) realizzazione della trincea drenante e del diaframma in cemento bentonite lato terra, ai fini di creare un perimetro «chiuso» e controllato internamente in modo dinamico grazie all'emungimento dai pozzi 01500 mm.

      Si stima che gli interventi di messa in sicurezza della discarica di via Errera ammontino a 27.470.000 euro, IVA esclusa.
      Lo «Studio di fallibilità della messa in sicurezza permanente dell'area della ex discarica a mare di via Errea» è stato esaminato dalla conferenza di servizi istruttoria dell'11 aprile 2016 (successivamente aggiornata al 28 aprile 2016), nel corso della quale sono stati acquisiti e riportati a verbale anche i pareri espressi da ISPRA, ARPA FVG e regione Friuli Venezia Giulia.
      All'esito dell'esame istruttorio, la conferenza di servizi ha richiesto all'autorità portuale di Trieste la trasmissione, entro 30 giorni dalla notifica del relativo verbale, di un documento riassuntivo delle misure di prevenzione attuate, atte ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori, così come previste nella fase 0 e nella fase 1 del più volte citato documento «Studio di fattibilità della messa in sicurezza permanente dell'area della ex discarica a mare di via Errera». In particolare, la conferenza di servizi ha richiesto, fermo restando il mantenimento di tutte le misure di prevenzione già in essere, di rimuovere tutti i rifiuti superficiali depositati in modo non controllato sull'area compresi i rifiuti in cumulo in area N-E, di cui deve essere fornita una stima volumetrica ed una caratterizzazione merceologica; nonché, di effettuare un monitoraggio di tutti i piezometri presenti in sito, al fine di verificare lo stato qualitativo delle acque sotterranee e la necessità di mettere in atto ulteriori misure di prevenzione per impedire la diffusione della contaminazione.
      Si evidenzia, infine, che la suddetta conferenza di servizi ha richiesto alla provincia di Trieste di procedere ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n.  152 del 2006, all'individuazione del soggetto responsabile della contaminazione.
      Alla luce delle informazioni esposte, ed al fine di monitorare la messa in sicurezza del sito in parola, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.