XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 12 settembre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              nella notte del 24 agosto 2016 un terremoto di magnitudo 6.2 ha colpito alcune regioni italiane, con epicentro nei comuni laziali e marchigiani di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto, poi seguito da centinaia di scosse di assestamento;
              nel terremoto hanno perso la vita 295 persone, 386 sono state ferite, mentre 238 persone sono state estratte illese dalle macerie;
              il sisma ha causato la distruzione pressoché completa di interi comuni e loro frazioni, tra i quali Amatrice e Accumoli in provincia di Rieti, Arquata del Tronto, Acquasanta Terme, Montegallo e Montemonaco in provincia di Ascoli Piceno, oltre che seri danneggiamenti di edifici pubblici e privati in numerosi comuni del Lazio, dell'Abruzzo, delle Marche e dell'Umbria;
              la tempestività e l'operatività dei soccorsi sono state gravemente compromesse dalle condizioni dei territorio, aspro per morfologia e con strade difficilmente percorribili sia a causa del sisma sia a causa di problematiche preesistenti, tanto che secondo quanto dichiarato dal capo della Protezione civile il sistema «si è reso pienamente operativo alle 7 del mattino», mentre in alcune zone colpite i militari e la protezione civile sono riusciti ad arrivare solo dopo 7/8 ore dalla prima terribile scossa;
              in particolare, la strada statale Salaria, unica arteria di collegamento nei tratti interessati, è ridotta a un eterno cantiere, i cui lavori di ammodernamento e ampliamento vanno a rilento per problemi sorti con la ditta appaltatrice, per gli interventi della Sovraintendenza ai beni architettonici e paesaggistici del Lazio e per il fermo causato da presunte collusioni con la mafia rilevate nelle indagini svolte dalla magistratura di Catania, mentre il termine per il completamento dei lavori, calendarizzato per il 2017, sembra ora slittare ancora, anche a causa dei danni prodotti dall'evento calamitoso del 24 agosto 2016;
          il soccorso sanitario dei feriti è stato reso ancora più complicato dai danni riportali nel sisma dall'ospedale di Amatrice, che negli anni precedenti aveva rischiato di subire un declassamento in «casa della salute»;
              nella notte del terremoto, subito dopo la prima e più violenta scossa le comunicazioni telefoniche hanno subito un arresto che ha impedito alle vittime di chiedere aiuto, mentre la zona non è sufficientemente coperta dai gestori di telefonia mobile probabilmente perché non ritenuta commercialmente interessante;
              per la sua particolare posizione geografica, nella zona di convergenza tra la placca africana e quella eurasiatica, l'Italia è la nazione a maggiore rischio sismico del Mediterraneo, nella quale quasi la metà del territorio – dove vive il 40 per cento della popolazione – è soggetta a un grado di rischio particolarmente elevato;
              dal 1900 a oggi in Italia si sono verificati ben sessanta terremoti che hanno provocato danni gravi, venti dei quali hanno avuto effetti distruttivi tali da causare la morte di centoventimila persone, oltre che la devastazione di interi centri urbani e la paralisi per anni delle attività produttive nelle aree colpite;
              secondo alcuni studi una percentuale tra il venti e il cinquanta per cento dei decessi in occasione dei terremoti è causata da comportamenti sbagliati dei cittadini durante l'evento sismico;
              dopo il terremoto del 2002 in Puglia e Molise è stata emanata l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n.  3274 del 20 marzo 2003, recante «Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica», con la quale l'intero territorio nazionale è stato diviso in quattro zone a diversa pericolosità, eliminando le zone non classificate;
              il provvedimento ha dettato i principi generali sulla base dei quali le regioni, delegate dallo Stato in base al testo unico delle norme per l'edilizia, devono adottare la classificazione sismica del territorio e compilare l'elenco dei comuni con la relativa attribuzione a una delle quattro zone a pericolosità decrescente, nelle quali è stato riclassificato l'intero territorio nazionale;
              in base alla zonizzazione prevista dall'ordinanza del 2003, la zona 1, «a sismicità alta» nella quale ricadono 708 comuni, è la zona più pericolosa, soggetta al probabile verificarsi di fortissimi terremoti; nella zona 2, «a sismicità media» che comprende 2.345 comuni, possono verificarsi forti terremoti; nella zona 3, «a sismicità bassa», composta da 1.560 comuni, possono verificarsi forti terremoti ma con frequenza rara, mentre nella zona 4, che in base alla nuova classificazione include le aree precedentemente non catalogate, è considerata «a sismicità molto bassa», comprende 3.488 comuni dove i terremoti sono rari e la decisione se prescrivere o meno la progettazione antisismica è lasciata alle singole regioni;
              l'ordinanza del 2003 è stata aggiornata con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n.  3519 del 28 aprile 2006;
              in seguito al terremoto che ha coinvolto il comune de L'Aquila e i comuni limitrofi il 6 aprile dei 2009, con il decreto-legge 28 aprile 2009, n.  39, è stato istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze il fondo per la prevenzione del rischio sismico, con una dotazione di 44 milioni di euro per l'anno 2010, 145,1 milioni di euro per l'anno 2011, 195,6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, 145,1 milioni di euro per l'anno 2015 e 44 milioni di euro per l'anno 2016;
              le somme stanziate, stando a quanto riportato sul sito della protezione civile, rappresentano solo una minima percentuale, «forse inferiore all'1 per cento, del fabbisogno necessario per il completo adeguamento sismico di tutte le costruzioni, pubbliche e private, e delle opere infrastrutturali strategiche»;
              inoltre, allo stato attuale i finanziamenti si esauriscono con l'anno in corso;
              all'indomani del terremoto, il 25 agosto 2016, il Consiglio dei ministri ha chiesto al Ministro dell'economia e delle finanze di adottare il decreto per il differimento del pagamento dei tributi per i soggetti residenti nei comuni nei quali il terremoto ha provocato danni strutturali di gravità tale da impedire l'assolvimento degli obblighi fiscali da parte dei cittadini;
              in Italia sono oltre ventiquattro milioni le persone che vivono in zone a elevato rischio sismico,      

impegna il Governo:

          a riperimetrare le località colpite dal sisma del 24 agosto 2016 ai fini dell'esenzione dal pagamento dei tributi, rettificando la lista dei comuni, come risultante dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 1o settembre 2016, dalla quale risultano esclusi molti comuni danneggiati e comunque sismicamente a rischio, adottando criteri selettivi oggettivi;
          a favorire una rapida ricostruzione di tutti gli edifici danneggiati dal sisma, secondo i più aggiornati criteri anti-sismici ma nel pieno rispetto dell'identità urbanistica e architettonica dei luoghi, senza distinzione tra edifici di residenti e non residenti;
          ad assumere iniziative per disporre in favore delle popolazioni interessate la sospensione dei pagamenti di tasse e tributi fino alla fine della ricostruzione e ad attivarsi con somma urgenza per ricostruire il tessuto produttivo e industriale delle aree colpite dal sisma affinché si possa rimettere in moto l'economia locale;
          ad assumere iniziative per prevedere in favore di tutti i proprietari di case ricadenti nella zona «1» ad alto rischio, sull'intero territorio nazionale, la defiscalizzazione degli interventi volti a mettere in sicurezza la propria abitazione adottando criteri antisismici;
          a dare priorità, nel finanziamento diretto e indiretto dello Stato, alla realizzazione delle infrastrutture adeguate a garantire un efficace e tempestivo sistema di soccorsi: realizzazione ferrovie, aeroporti, eliporti, costruzione o modernizzazione strade, consolidamento viadotti e gallerie, conclusione delle opere in corso;
          a valutare la possibilità di destinare il montepremi dell'attuale estrazione del superenalotto in favore delle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto 2016 e degli interventi di ricostruzione;
          ad assumere iniziative per mantenere la piena operatività degli ospedali delle zone in questione in raccordo con le regioni affinché nei piani di riordino, razionalizzazione e riclassificazione, non vengano sguarnite di strutture sanitarie fondamentali a garantire la salvaguardia della vita umana e la tempestiva assistenza;
          a garantire attraverso precisi accordi con i gestori di telefonia mobile la copertura delle comunicazioni nelle stesse zone, anche se commercialmente poco interessanti, con ogni strumento e tecnologia possibili e a inserire nelle concessioni l'istituzione di aree wi-fi per scongiurare ogni rischio d'isolamento con possibili drammatiche conseguenze;
          a promuovere campagne d'informazione per migliorare la conoscenza del fenomeno sismico e realizzare una riduzione del rischio al verificarsi dei terremoti, mettendo in atto una costante e incisiva azione di informazione e sensibilizzazione volta a diffondere una cultura della prevenzione sismica nella popolazione e da parte degli amministratori pubblici;
          a realizzare un costante monitoraggio dei territorio ai fini del tempestivo aggiornamento della classificazione sismica e della relativa normativa, valutando adeguatamente il pericolo al quale sono esposti il patrimonio abitativo, la popolazione e i sistemi infrastrutturali;
          ad assumere iniziative per destinare maggiori risorse al fondo per la prevenzione del rischio sismico al fine di consentire la prosecuzione della sua attività nelle prossime annualità di bilancio e per attuare un piano di messa in sicurezza di tutti gli edifici pubblici e privati nelle zone a più elevato rischio sismico;
          a valutare la possibilità di realizzare politiche di riduzione della vulnerabilità dei singoli edifici finanziate con le risorse destinate al recupero e alla riqualificazione del patrimonio edilizio;
          a intervenire presso le istituzioni europee affinché siano stanziati fondi per l'adeguamento anti-sismico degli edifici pubblici e privati degli Stati membri dell'Unione flagellati da frequenti movimenti tellurici;
          a promuovere un corretto utilizzo degli strumenti ordinari di pianificazione, per conseguire nel tempo un riassetto del territorio che tenga conto del rischio sismico;
          a tenere conto della perimetrazione del rischio sismico in Italia, che configura una zona rossa dorsale lungo tutta la penisola in senso longitudinale, considerando che la fascia appenninica interessata è tradizionalmente quella meno infrastrutturata e richiede quindi un ripensamento del sistema dei collegamenti viari e ferroviari, fin qui organizzati da nord a sud e non da est a ovest per consentire una più veloce capacità d'intervento.
(1-01344) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».

Risoluzioni in Commissione:


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              in Italia la patata costituisce la produzione orticola più diffusa e importante dopo il pomodoro, con circa 50.000 pataticoltori, un investimento di circa 55/60.000 ettari, una produzione di circa 1,5/1,6 milioni di tonnellate, una produzione lorda vendibile di circa 700/800 milioni di euro per le patate da consumo e circa 100 milioni di euro per le patate da industria;
              la diffusione della coltivazione in tutte le regioni d'Italia consente la raccolta e la disponibilità per il consumo di prodotto fresco per circa 9 mesi l'anno, mentre nel resto d'Europa la raccolta si esaurisce in due mesi;
              la coltivazione ha un elevato costo di produzione, oltre 8.000,00 euro ad ettaro, che in Sicilia raggiunge 10-11.000 euro, per il costo del seme, la preparazione del terreno, nuove tecniche di irrigazione per ridurre il consumo idrico: la patata una coltivazione efficiente e sostenibile rispetto ad altre che necessitano di maggiori apporti idrici e per l'elevata professionalità e specializzazione dei pataticoltori che applicano tecniche agronomiche e di prodotto con un elevato tasso di innovazione, che consente una segmentazione dell'offerta tra il mercato fresco e quello della trasformazione industriale;
              il consumo di patate in Italia si attesta intorno a 2,2/2,3 milioni di tonnellate all'anno, soddisfatto oltre che con la produzione nazionale, con un'importazione di circa 700.000 tonnellate di patate da consumo fresco è di circa 150.000 tonnellate di patate destinate all'industria, a prezzi molto variabili da un anno all'altro, in relazione agli investimenti effettuati nei Paesi fornitori; la dipendenza dalle importazioni può influire, spesso negativamente, sulla capacità di programmazione degli operatori nazionali, con prezzi all'origine più bassi per i coltivatori;
              il settore della patata, fino alla riforma della politica agricola comune (regolamento dell'Unione europea 1308/2013), è stato l'unico comparto produttivo non regolamentato da una specifica organizzazione comune di mercato, e quindi non ha beneficiato di alcun sostegno comunitario; per evitare crisi di mercato gli Stati membri sono intervenuti con aiuti nazionali; in Italia, fin dal 1988, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha utilizzato risorse nazionali per avviare due interventi strategici per il mercato della patata;
              l'accordo interprofessionale per le patate destinate alla trasformazione industriale e lo stoccaggio privato per il prodotto, destinato al mercato del fresco, utile a dilazionare l'immissione del prodotto sul mercato; questi due interventi hanno consentito di diversificare gli investimenti nel corso degli anni e di mantenere in equilibrio il mercato, salvaguardando il reddito degli operatori del settore;
              in particolare, l'accordo interprofessionale per l'industria, concordato e sottoscritto dalle parti con continuità dal 1988 fino al 2015, ha permesso di aumentare il rifornimento delle industrie con patate italiane da 47.000 tonnellate fino a 200.000 tonnellate nel 2011; la riduzione delle importazioni dall'estero ha determinato un notevole risparmio per la nostra bilancia commerciale, oltre ad un significativo incremento di reddito per i pataticoltori italiani; la crescita del settore ha permesso di specializzare alcune aree del Paese verso una pataticoltura da industria (Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio, Abruzzo, Calabria), limitando le importazioni ai periodi di minore produzione nazionale (gennaio-marzo);
              tutto ciò è stato possibile con interventi mediamente di 6 milioni di euro l'anno, che rappresentavano appena lo 0,8 per cento della produzione lorda vendibile del settore stimata in 1 miliardo di euro; con il regolamento del Consiglio dell'Unione europea n.  1182/2007, di riforma del settore ortofrutticolo, fu deciso che gli interventi nazionali dovevano cessare al 31 dicembre 2011;
              a partire dal 2012 la patata non ha pertanto più beneficiato di alcun aiuto pubblico con l'eccezione del 2014 dove, utilizzando l'ultimo anno di applicazione dell'articolo 68 del regolamento dell'Unione europea n.  73/2009, è stato possibile aiutare il comparto con circa 3 milioni di euro destinati a sostenere la trasformazione industriale e la denominazione di origine protetta e indicazione geografica protette della patata;
              la coltivazione della patata ha dato un rilevante contributo socio-economico a tutte le regioni italiane, in particolare alle regioni meridionali e alle aree marginali e di montagna, dove la pataticoltura garantisce il mantenimento del tessuto economico e dell'occupazione; diventa pertanto strategico salvaguardare questa specificità, minacciata dall'assenza di una strategia di intervento a favore del settore;
              una politica forte a favore della pataticoltura italiana può consentire la diffusione della coltura nelle aree interne e di montagna, dove maggiore è il rischio di abbandono delle terre, permettendo così la crescita e il rilancio dei territori e delle economie locali,

impegna il Governo:

          ad attivare urgentemente le azioni previste dal piano nazionale per il settore pataticolo finanziato sin dal 2012 con circa 3 milioni di euro, in particolare nelle seguenti aree di intervento:
              a) lotta alle principali problematiche fitosanitarie della patata (elateridi, tignola della patata, epitrix specie di nuova introduzione, nematodi a cisti); fisiopatie (maculatura ferruginea);
              b) sviluppo di uno specifico progetto di ricerca genetica della patata e verifica dei risultati attraverso la realizzazione di campi sperimentali;
              c) azioni specifiche per la tracciabilità dell'origine della patata con l'impiego della tecnica degli isotopi;
              d) avvio di un programma di informazione al consumatore in materia di sicurezza alimentare;
          a proporre, in occasione della riforma di medio termine della politica agricola comune, l'inserimento della patata nella lista dei prodotti che possono beneficiare di aiuti accoppiati sulla base dell'articolo 52 del regolamento dell'Unione europea n.  1307/2013, così come già previsto dall'articolo 68 del regolamento dell'Unione europea n.  73/2009;
          ad assumere iniziative per rafforzare i rapporti di filiera attraverso il riconoscimento di A.O.P. nazionali previste dal regolamento dell'Unione europea n.  1308/2013;
          a costituire un osservatorio economico nazionale della patata che, attraverso l'analisi degli andamenti produttivi in Europa e in Italia, sia in grado di fornire agli operatori del settore utili elementi per definire al meglio le strategie commerciali.
(7-01081) «Zanin, Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Capozzolo, Carra, Cova, Cuomo, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Sani, Taricco, Terrosi, Venittelli».


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              la vite, a livello mondiale, è coltivata su oltre 7,5 milioni di ettari, di cui 3,4 nell'Unione europea; le varietà di vite catalogate sono oltre 17.000 delle quali circa 50 per cento utilizzate in vigneti professionali; le varietà di vite coltivate in Europa (di seguito viti europee) della specie V. vinifera subsp. sativa, derivano da un processo di addomesticamento di una specie selvatica, la V. vinifera subsp. sylvestris;
              l'esigenza di contrastare – dalla fine dell'800 – malattie quali l'oidio e la peronospora ha reso necessari per le viti europee trattamenti a base di zolfo e derivati del rame e, a partire dalla metà del secolo scorso, l'impiego di composti chimici di sintesi;
              nel contempo – per rendere le viti europee, particolarmente vulnerabili a tali fitopatologie, più resistenti sono stati realizzati incroci tra viti europee e viti americane che hanno portato alla creazione dei cosiddetti «ibridi di prima generazione» che si sono rapidamente diffusi soprattutto in Francia;
              poiché la diffusione di tali ibridi di prima generazione minacciava la sopravvivenza del patrimonio viticolo europeo, con produzione di vini di mediocre qualità ad elevato contenuto in alcool metilico – dannoso per la salute – i principali Paesi produttori (come Francia e Italia) hanno assunto iniziative per la messa al bando dei vini prodotti con tali ibridi;
              lo sviluppo della ricerca genetica volta ad individuare varietà di viti resistenti ai principali patogeni, per ridurre l'impiego di fitofarmaci, medianti incroci e selezioni, ha portato ad ottenere organismi resistenti ma del tutto simili alle varietà di «vinifera» note;
              negli ultimi 20 anni il tema della sostenibilità ambientale, della tutela della salute dei consumatori, degli operatori vitivinicoli e dei residenti nei distretti viticoli è diventato prioritario nel comparto vitivinicolo;
              in Europa, il comparto vitivinicolo assorbe il 65 per cento dei fungicidi utilizzati per la difesa di tutte le colture agricole pur interessando una superficie pari solamente al 3,5 per cento (fonte Eurostat 2007);
              le normative europee in tema di utilizzo di fitofarmaci sono sempre più stringenti, e hanno l'obiettivo di raggiungere, entro il 2025, la riduzione del 50 per cento delle quantità impiegate per il contenimento della principali patologie della vite, includendo anche i presidi fitosanitari ammessi in viticoltura biologica come il rame (Regolamento CE n.  473/2002);
              le malattie della vite che richiedono il maggior numero di interventi sono la peronospora e l'oidio presenti in Europa rispettivamente dal 1878 e 1845; la ricerca pubblica e privata cerca da tempo di dare risposte concrete al problema, anche attraverso la diffusione della viticoltura biologica, nell'intento di tutelare la salute, l'ambiente, la qualità e lo sviluppo della produzione vitivinicola;
              la ricerca pubblica italiana, dopo quasi 20 anni di attività in questo campo, è riuscita a creare nuove varietà resistenti a peronospora e oidio, caratterizzate da buone caratteristiche agronomiche e soprattutto enologiche, che le differenziano nettamente da quelle ottenute in altri Paesi (Germania, Rep. Ceca, Svizzera, Serbia, Ungheria), conseguendo così un vantaggio competitivo rispetto ad altri Paesi specializzati nella viticoltura come la Francia;
              si tratta di un risultato di eccezionale valore scientifico, con un impatto rilevante sulla filiera, sull'ambiente, sulla salute dei consumatori e dei coltivatori; nei vigneti con varietà resistenti di nuova generazione è possibile infatti una riduzione dell'80 per cento dei trattamenti necessari per il controllo della peronospora e dell'oidio; il numero medio degli interventi – da 13-15 per anno – si riduce in tal modo a 1 o 2 per anno, come documentato anche dall'Institut Coopératif du Vin (ICV) in Francia;
              le nuove varietà resistenti alle malattie realizzate in Italia sono state ottenute attraverso un programma di incroci che ha utilizzato come parentali di pregio le    migliori varietà commerciali e come parentali resistenti selezioni ottenute dopo numerose generazioni di reincrocio su «vinifera» di ibridi interspecifici prodotti all'inizio del secolo scorso; i ricercatori italiani hanno così ottenuto varietà che non si differenziano dalle varietà di «vinifera» note, se non per la conservazione lungo le generazioni di re-incrocio dei geni di resistenza alle malattie, tanto che le stesse si possono considerare a tutti gli effetti varietà di Vitis Vinifera e non ibridi, avendo oltre il 90 per cento del genoma delle «vinifere»; inoltre dal punto di vista ampelografico, agronomico e soprattutto enologico non esistono elementi concreti per non considerarle a tutti gli effetti come Vitis Vinifera, in quanto i parametri con cui si individuano nel vino gli ibridi di specie selvatiche, quali alcol metilico, fureanolo (sentore di fragola), metil-antralinato (sentore foxy) sono assenti o nettamente inferiori ai limiti fissati dalla normativa italiana che, tra l'altro, è più restrittiva di quella europea;
              in base alla normativa sui vigneti (regolamento n.  1308/2013 del 17 dicembre del 2013, accordo Stato/regioni del 25 luglio 2002, decreto legislativo dell'8 aprile 2010 n.  61, articolo 8, comma 6, le varietà di nuova generazione create in Italia non sono state classificate come Vitis Vinifera, ma iscritte al catalogo nazionale che ne prevede l'impiego limitatamente alla produzione di vini da tavola ed indicazione geografica protetta; si pregiudica così l'inserimento nelle denominazioni di origine controllata anche solo come vitigni complementari (che possono essere presenti nei DOC fino al 15 per cento in base al regolamento europeo n.  753 del 2002);
              inoltre, si limita in tal modo la coltivazione di tali varietà per la creazione di fasce tampone limitrofe ad insediamenti abitativi, corsi d'acqua, fiumi, ed aree vulnerabili dal punto di vista ambientale, dove le varietà resistenti potrebbero generare incremento di valore aggiunto senza alcun pregiudizio al contesto territoriale circostante;
              le 10 varietà resistenti attualmente costituite e iscritte in Italia, senza il riconoscimento utile a produrre DOC e Denominazione di origine controllata e garantita (DOCG), sono vincolate ad una limitata e non economicamente interessante diffusione nel nostro Paese, con un potenziale danno erariale per minori royalties dovute all'ente pubblico costitutore, valutato a regime in almeno 1,5-2 milioni di euro per anno (fonte: Sartori/VCR);
              le varietà resistenti di ultima generazione coltivate in Europa sono già iscritte in alcuni Paesi dell'Unione europea, quali Germania, Austria, Repubblica Ceca, Ungheria, come Vitis Vinifera; le nuove varietà resistenti prodotte dalla ricerca italiana verrebbero perciò paradossalmente autorizzate alla coltivazione come «vinifera» in quei Paesi, e potrebbero entrare nella denominazione di origine (DOC, DOCG) e quindi nei vini commercializzati come tali in tutta Europa, Italia compresa, mentre in Italia, non essendo classificate come Vitis Vinifera, tali varietà sono escluse dalla denominazione di origine (DOC, DOCG) e vincolate ad un limitato utilizzo, con grave ed evidente pregiudizio economico;
              nei citati Paesi dell'Unione europea si considera l'appartenenza di una nuova varietà alla Vitis Vinifera esclusivamente sulla base della somiglianza dei caratteri ampelografici alla specie Vitis Vinifera; i diversi criteri applicati in Italia impediscono alla produzione nazionale di competere ad armi pari con quelle di altri Paesi, nonostante le produzioni frutto della ricerca nazionale rispettino i più rigorosi parametri qualitativi dal punto di vista enologico, in particolare per la minor percentuale di alcol metilico, metil antralinato, furaneolo;
              i minori costi conseguenti all'utilizzo di varietà resistenti si valutano mediamente in circa 1.100 euro/ha/anno nel Nord Italia, 800 euro ha/anno nell'Italia centrale e 665 euro/ha/anno nel Sud Italia e nelle    isole; autorevoli studi di mercato dimostrano inoltre che il consumatore è disposto a pagare un differenziale di prezzo per i vini derivati da vigneti altamente ecosostenibili, la cui coltivazione è dunque profittevole anche nelle aree più difficili e svantaggiate dal punto di vista climatico, oggi a rischio di abbandono; l'impiego di tali varietà è quindi molto vantaggiosa per la viticoltura italiana nel suo complesso, sia in termini di competitività, sia in termini di capacità produttiva,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative volte a modificare le normative sui vigneti: regolamento n.  1308/2013 del 17 dicembre 2013, accordo Stato-regioni del 25 luglio 2002, decreto legislativo dell'8 aprile 2010, n.  61, articolo 8, comma 6;
          a classificare le varietà di nuova generazione come Vitis Vinifera quando rispettino le condizioni di seguito riportate:
                  a) qualora abbiano nel loro pedigree specie diverse da Vitis Vinifera, devono essere almeno 3 generazioni lontane dall'ultima ibridazione con una specie selvatica pura;
                  b) il loro contenuto in alcol metilico deve essere <0.20 ml/100ml di alcol totale per i vini bianchi e <0.25 ml/100ml per i vini rossi (stabiliti dal decreto-legge n.  82 del 20 febbraio 2006, articolo 11);
                  c) il loro contenuto di antranilato di metile, responsabile del cosiddetto «aroma foxy», deve essere sotto la soglia di percezione di 100 ppb (UIV laboratorio chimico-sensoriale);
                  d) il loro contenuto in furaneolo, responsabile del cosiddetto «sentore di fragola», deve essere sotto la soglia di percezione di 20 ppb (UIV Laboratorio chimico-sensoriale).
(7-01082) «Zanin, Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Capozzolo, Carra, Cova, Cuomo, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Sani, Taricco, Terrosi, Venittelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
          in attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 3 del patto per la salute 2014-2016, approvato con l'intesa Stato-regioni del 10 luglio 2014, e dall'articolo 1, commi 553-554, legge n.  208 del 28 dicembre 2015 (legge di stabilità 2016), è stato predisposto lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante «Definizione dei Livelli essenziali di assistenza», integralmente sostitutivo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 novembre 2001;
          secondo quanto affermato nella relazione illustrativa del suddetto schema, il provvedimento avrà un carattere effettivamente costitutivo, proponendosi come la fonte primaria per la definizione delle attività, dei servizi e delle prestazioni garantite ai cittadini con le risorse pubbliche messe a disposizione del Servizio sanitario nazionale;
          nel suddetto schema di decreto, la riabilitazione oncologica non è inserita tra le prestazioni garantite ai cittadini con le risorse pubbliche. Tale omissione è del tutto ingiustificata alla luce delle evidenze scientifiche e dei dati sulla prevalenza e sulla guarigione da tumore in Italia, nonché delle proiezioni sul numero di persone in vita dopo una diagnosi di tumore recente o lontana nel tempo. Il paziente con neoplasia rappresenta l'esempio più significativo in cui malattia e disabilità sono presenti simultaneamente, interagendo tra loro e determinando un fabbisogno riabilitativo peculiare rispetto a quello conseguente ad altre lesioni. Un assetto normativo e organizzativo che non consideri adeguatamente tale evidenza presenta pertanto una vistosa insufficienza, i cui effetti negativi sono destinati a moltiplicarsi e a generare a cascata costi per spesa inappropriata;
          nel 2013, nell'ambito dell'Unione europea, il cancro è stato responsabile della morte di quasi 1,3 milioni di persone, più di un quarto di tutte le morti (dati Eurostat presentati nel 2016). In Italia, il 30 per cento dei decessi è causato dal cancro e la spesa per i farmaci antineoplastici nel 2014 si è collocata al primo posto, seguita, per la prima volta, dai farmaci antimicrobici e dai farmaci del sistema cardiovascolare (confrontare: Costi, attività e risultati in Oncologia in ottica di popolazione: misurare il «valore» per governare la tempesta perfetta, in VIIIo Rapporto FAVO sulla condizione assistenziale del malato oncologico, 2016). Gli italiani sopravvissuti ad una diagnosi di tumore nel 2010 erano 2.587.347, pari al 4,4 per cento della popolazione. Nel 2015, secondo le recenti elaborazioni dell'Associazione italiana registri tumori (Airtum), sono stati diagnosticati 366 mila nuovi casi di tumore, ovvero circa mille nuovi casi al giorno, mentre i decessi sono stati 175 mila, ovvero il 30 per cento del totale (seconda causa di morte nel Paese). I pazienti in cura nel 2015 sono stati 3 milioni;
          il «costo» del cancro non è solo socio-sanitario, ma anche previdenziale: nel 2014 i tumori hanno rappresentato la causa prima del riconoscimento degli assegni di invalidità e delle pensioni di inabilità, con un trend in costante crescita nel corso degli ultimi anni (confrontare: Previdenza e assistenza sociale – L'impegno dell'INPS per la semplificazione amministrativa e l'appropriatezza delle valutazioni medico legali in VIIo Rapporto FAVO sulla condizione assistenziale del malato oncologico, 2015);
          nel prossimo futuro questi numeri sono destinati a crescere, in conseguenza degli attuali trend di prevalenza e di guarigione: la sopravvivenza al cancro è oggi sempre più possibile grazie alla disponibilità di nuove tecnologie per la diagnosi precoce, nonché alla diffusione e adesione a programmi di screening per la prevenzione, alla maggiore efficacia delle terapie, alla disponibilità di nuovi farmaci, soprattutto di quelli immunoncologici. La cronicizzazione delle malattie neoplastiche e la lungosopravvivenza di un numero crescente di pazienti saranno, dunque, due sfide cruciali per la tenuta del Sistema sanitario nazionale e del sistema previdenziale: è per questo che le necessità dei malati cronici o dei malati guariti avrebbero dovuto essere adeguatamente valorizzate nello schema di decreto;
          la riabilitazione oncologica, in particolare, avrebbe dovuto essere inserita nei nuovi LEA, come da tempo richiesto con forza dalle associazioni del volontariato oncologico, mentre l'attuale impostazione dello schema di decreto comporta la sua inclusione in modo disorganico e frammentato all'interno di diverse tipologie riabilitative riferite ad altri gruppi di patologie desunte dall’International Classification of Functioning Disability and Health dell'Organizzazione mondiale della sanità. Il mancato inserimento organico della riabilitazione oncologica nelle prestazioni garantite dai LEA denota un approccio superato alla terapia delle malattie neoplastiche, che concentra la propria attenzione soltanto sulla fase acuta della malattia. La variabilità del comportamento clinico del cancro e la diversità delle patologie dovuta alla localizzazione della malattia, all'aggressività, alla stadiazione, all'età del paziente, nonché al contesto economico-sociale di provenienza di quest'ultimo si proiettano invece in modo unitario nel percorso riabilitativo, la cui domanda è pertanto destinata a crescere, con conseguente, indispensabile riconoscimento autonomo del bisogno assistenziale complesso, quanto meno come area di attività. La soluzione adottata nel decreto sui nuovi LEA sceglie invece di privare la riabilitazione oncologica di uno specifico finanziamento adeguatamente calibrato sulle esigenze dei malati e polverizza le prestazioni correlate tra più voci, spesso associate a patologie diverse dal cancro. L'accesso alle singole voci è subordinato alla sussistenza di multipli requisiti (talora non soltanto clinici) che rendono difficoltoso l'accesso alla prestazione dei singoli pazienti, in particolare di quelli più deboli. Qualora il nuovo decreto venisse approvato nell'attuale stesura, nella migliore delle ipotesi, secondo gli interpellanti, il paziente verrebbe condannato a un percorso riabilitativo discontinuo, frammentato, ma soprattutto parziale, focalizzato esclusivamente sul recupero della funzione fisica lesa dalla malattia e non già sul completo recupero cognitivo, psicologico, sessuale, nutrizionale e sociale (recupero bio-psico-sociale). Nell'attuale difformità di garanzie delle prestazioni dei diversi sistemi sanitari regionali, sarebbe invece altissimo il rischio di totale assenza dell'indispensabile sforzo economico e organizzativo, omogeneo e uniforme su tutto il territorio nazionale, per l'attivazione dei percorsi di riabilitazione oncologica;
          tale omissione risulta ancor più inaccettabile alla luce del modello di riabilitazione in ambito oncologico promosso nel Quaderno del Ministero della salute n.  8 del 2011 «La centralità della Persona in riabilitazione: nuovi modelli organizzativi e gestionali» (pagine 82-85). Il gruppo di lavoro presieduto dall'allora Sottosegretario Francesca Martini e che ha visto impegnata in prima linea le associazioni di volontariato oncologico raccordate nella FAVO, aveva tracciato la via per il superamento definitivo dell'obsoleto approccio alla riabilitazione oncologica, che prevedeva la distinzione tra la riabilitazione della funzione lesa e la rieducazione delle altre funzioni per promuoverne, invece, un altro integrato e basato sul modello bio-psico-sociale. Il nuovo paradigma di riabilitazione oncologica provvede al ripristino dell'integrità o al miglioramento di tutte le funzioni lese dal tumore o dai suoi trattamenti, prendendosi carico della persona in tutte le fasi della malattia. Nel Quaderno del Ministero della salute si riconosce che «un'efficace terapia antitumorale non può prescindere da una precoce presa in carico riabilitativa globale che prevede una completa integrazione con chi si occupa del piano terapeutico strettamente oncologico e chi si occupa della terapia di supporto e delle cure di sostegno». La soluzione che si vorrebbe adottare per il rinnovo dei LEA per gli interpellanti si discosterebbe invece completamente dal modello bio-psico-sociale pensato per le malattie neoplastiche e per le loro peculiarità dal momento che la dispersione delle prestazioni di riabilitazione elencate nel nomenclatore delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale (di cui all'allegato 4 allo schema di decreto) non permette certo di valorizzare il disegno riabilitativo oncologico come percorso unitario per il miglioramento della qualità della vita del paziente, non soltanto da un punto di vista fisico, ma anche cognitivo, psicologico, nutrizionale, sessuale, sociale e lavorativo;
          anche le istituzioni comunitarie hanno riconosciuto la centralità della riabilitazione in ambito oncologico: la Commissione europea, infatti, ha recentemente approvato l'Azione congiunta sul controllo del cancro (CanCon), alla quale partecipano 17 Ministeri della Salute europei, tra cui quello italiano. Scopo del progetto è la produzione di linee guida, che saranno disponibili dal 2017, per definire nuovi standard di organizzazione per la riabilitazione in ambito oncologico;
          la scelta adottata nello schema di decreto determinerebbe la negazione di un supporto socioeconomico-assistenziale indispensabile per il malato, caricando sulle famiglie oneri economici e organizzativi per l'assistenza alla fase post-acuzie, che finirebbero per limitare gravemente le garanzie assistenziali delle fasce di popolazione più deboli, in particolare nelle regioni più povere d'Italia. Il costo sociale peraltro, non resta mai confinato esclusivamente all'ambito familiare, ma si scarica su tutta la collettività e quindi sulla finanza pubblica sotto forma di oneri indiretti (assegni di invalidità e altri trattamenti previdenziali connessi alla disabilità). Lo schema di decreto rischia dunque di riproporre una visione del Welfare settoriale e superata, fingendo di ignorare i riverberi delle scelte sanitarie e socio-sanitarie sui contigui settori della previdenza e dell'assistenza indiretta;
          il Documento tecnico di indirizzo per ridurre il carico del cancro per l'anno 2011-2013, ampliato e prorogato dalla Conferenza Stato-regioni e province autonome fino al 31 dicembre del 2016 (cosiddetto Piano oncologico nazionale) definisce chiaramente al paragrafo 3.2.4. la riabilitazione in ambito oncologico come il ripristino complessivo e olistico di tutte le funzioni che il tumore o le terapie possano aver alterato. L'obiettivo finale dei percorsi di riabilitazione è il recupero della qualità della vita del malato guarito o non guarito di cancro al fine di riprendere il più possibile le condizioni di vita normali, limitando il deficit fisico, cognitivo e psicologico e potenziando le residue capacità e competenze individuali. In tale, fondamentale atto di pianificazione della risposta alle malattie oncologiche si definisce la riabilitazione come «un investimento per la società» e non un costo, dal momento che «salvaguarda un patrimonio di esperienze umane, professionali e culturali e di potenzialità lavorativa che altrimenti andrebbe definitivamente perduto». Il piano oncologico nazionale delinea quindi la riabilitazione come un diritto del malato di cancro e per gli interpellanti non si comprende per quale motivo questo non trovi adeguata esplicitazione nello schema di decreto sui nuovi LEA;
          il mancato inserimento della riabilitazione oncologica tra i nuovi LEA determinerà un aumento della disuguaglianza nell'accesso alla risposta assistenziale riabilitativa sul territorio nazionale. Se la riabilitazione dovrà essere rimessa all'iniziativa organizzativa dei singoli contesti regionali, le insufficienze economico-organizzative di alcuni territori si proietteranno, come accade già ora, sulle diverse aree di attività con gravissime ricadute sui cittadini. Inoltre, la mancata previsione nazionale della riabilitazione oncologica all'interno delle garanzie dei LEA, determinerà un comodo alibi per le mancate risposte nei contesti regionali e locali che già attualmente sono in difficoltà nell'approntamento dei percorsi di riabilitazione oncologica;
          fortemente rappresentativo di una sanità che già oggi appare diseguale in modo preoccupante è la difficoltà di accesso (più volte registrata e denunciata dalle associazioni del volontariato oncologico aderenti a FAVO) alle prestazioni per la prevenzione e cura del linfedema. Non casualmente, tali difficoltà si concentrano soprattutto nelle regioni del centro-sud, e ciò nonostante tali attività e servizi siano già ora compresi nei LEA. Si può dunque facilmente intuire quanto alta e giustificata sia la preoccupazione che un approccio che appare agli interpellanti grossolano e disorganico alle garanzie della riabilitazione oncologica nel decreto sui nuovi LEA possa ulteriormente limitare la qualità e l'appropriatezza delle prestazioni sanitarie ai pazienti oncologici;
          è di tutta evidenza come si sia perfettamente consapevoli delle difficoltà nel rappresentare il setting di prestazioni di cui si compone la riabilitazione oncologica, nell'ambito del nuovo decreto, che ha obblighi di sistematicità. La stessa relazione illustrativa allo schema di decreto prevede peraltro come, nel caso di aree di attività in cui non siano disponibili o proponibili liste chiuse di prestazioni, sia possibile, nonché opportuno, provvedere almeno alla declinazione e definizione delle aree stesse. La compilazione di elenchi chiusi, come da tecnica normativa attinente allo scopo del provvedimento in esame, inevitabilmente rischierebbe di frammentare la riabilitazione oncologica nelle diverse prestazioni rieducative descritte nei nomenclatori. Sarebbe stato necessario pertanto riunire tutte le prestazioni di riabilitazione oncologica sotto un'unica autonoma voce da inserire nello schema di decreto in modo da valorizzare le specificità delle malattie neoplastiche e, conseguentemente, del loro trattamento riabilitativo;
          la difficoltà di rappresentazione economico-finanziaria del setting di prestazioni della riabilitazione oncologica è comunque superabile alla luce delle due esperienze regionali delle reti oncologiche della Valle d'Aosta-Piemonte e della Toscana che, tra le attività istituzionali, prevedono espressamente la riabilitazione del malato. Le prestazioni di riabilitazione sono state inserite nel percorso e finanziate direttamente dalle regioni. In particolare, la legge regionale Toscana n.  32 del 2012 inserisce tra le attività dell'Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica ISPO «la prevenzione terziaria con specifico riferimento al follow-up, al sostegno psicologico ed alla riabilitazione dei pazienti oncologici». Le attività di riabilitazione sono erogate dal centro regionale di riabilitazione oncologica in Rete;
          in Piemonte, il progetto «La Riabilitazione per i malati di cancro», avviato con determina regionale n. 425/28.1 del 27 ottobre 2003, è stato inserito nel contesto della rete oncologica regionale che prevede la completa presa in carico del malato, anche in fase riabilitativa, attraverso i Centri accoglienza e servizi (C.A.S.) ed i gruppi interdisciplinari cure (G.I.C.). Tali modelli mostrano come la valorizzazione delle peculiarità della malattie neoplastiche è possibile anche nella fase di riabilitazione e che la corretta individuazione del setting delle prestazioni necessarie, comuni a tutte le neoplasie e di quelle specifiche per tipologia, consente un impiego di risorse appropriato e una risposta adeguata al bisogno assistenziale. Tali modelli regionali, sia per quanto attiene ai profili meramente contabilistici, sia per quanto attiene ai profili organizzativi, dovrebbero poter essere esportati su tutto il territorio nazionale, come d'altronde conseguirebbe alla previsione della riabilitazione oncologica nei LEA;
          l'evidenza di «modelli virtuosi regionali» e di «best practices» già realizzate, da un lato conferma la possibilità di un approccio unitario e complessivo alle necessità della riabilitazione oncologica ma, purtroppo, dall'altra sottolinea il rischio di una «sanità a due velocità» che, in mancanza di una cornice nazionale di riferimento, premi le capacità economiche ed organizzative delle regioni italiane con sistema sanitario più solido ed evoluto, penalizzando inevitabilmente i ritardi delle regioni già oggi in difficoltà e punendo le fasce più deboli della popolazione italiana  –:
          quali siano i motivi per cui nello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante «Definizione dei Livelli essenziali di assistenza» non compaia la riabilitazione oncologica tra le attività, i servizi e le prestazioni garantite ai cittadini, con le risorse pubbliche messe a disposizione del Servizio sanitario nazionale;
          se – in coerenza con tutti i più recenti atti di programmazione sanitaria nazionale ed europea – non si ritenga opportuno dare immediata evidenza alle specificità del cancro nella fase della riabilitazione assumendo iniziative per rivedere nuovo schema di decreto, riconoscendo almeno un'area specifica di attività alle prestazioni e ai servizi compresi nella riabilitazione oncologica;
          quali altre diverse    iniziative potrebbero essere attivate dal Ministro della salute per garantire l'indispensabile unitarietà clinica di approccio globale e uniformità di garanzia delle prestazioni su tutto il territorio nazionale alle attività di riabilitazione oncologica;
          quali siano i margini di revisione dello schema di decreto e quali siano le effettive tempistiche di attivazione dei nuovi LEA;
          quali siano i dati in possesso del Ministro della salute sull'effettiva erogazione delle prestazioni di prevenzione e cura del linfedema risultanti dalle attività di monitoraggio e verifica condotte dal comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
(2-01458) «Vargiu, Vezzali, Fauttilli, Andrea Maestri, Matarrese, Palmizio, Dambruoso, Brignone, Carnevali, Latronico, Fitzgerald Nissoli, Fucci, Polverini, Gullo, Vecchio, Ciracì, Galgano, Marzano, Librandi, Plangger, Capua, Distaso, Bernardo, Rubinato, Bruno Bossio, Binetti, Carrescia, Marazziti, Censore, Labriola, Caruso, Malisani, De Mita, Piccione, Baradello, Pastorelli, Santerini».

Interrogazioni a risposta orale:


      RICCIATTI, SCOTTO, ZARATTI, PELLEGRINO, MELILLA, FRATOIANNI, PIRAS, QUARANTA, MARCON, COSTANTINO, NICCHI, SANNICANDRO, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, D'ATTORRE, DURANTI, FAVA, MARTELLI, FASSINA, GREGORI, KRONBICHLER e PANNARALE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il sisma del 24 agosto 2016 che ha colpito il centro Italia è al centro del lavoro che il Governo affronterà con decreto al prossimo Consiglio dei ministri. Superata la prima fase dell'emergenza, ora si deve passare alla fase della ricostruzione. Il quotidiano «Il Sole 24 ore» in data 8 settembre 2016 riporta brevemente gli obiettivi del Governo: «Definizione esatta del «cratere» (che per ora conta 17 comuni); risarcimenti per i danni causati dal terremoto, superando la distinzione tra prime e seconde case; gestione dell'anno scolastico e delle attività economiche (in particolare agroindustriali), allestimento delle residenze temporanee, sospensione di scadenze fiscali e tributarie, deroghe normative per velocizzare i tempi per opere e smaltimento di materiali;
          e poi ancora una prima cornice operativa per la struttura commissariale affidata a Vasco Errani, con indicazione di risorse, uomini e poteri. Questi sono i principali elementi del decreto che il Governo sta preparando per il Consiglio dei ministri e che rappresenta il primo provvedimento organico e articolato dopo il sisma del 24 agosto. Terrà insieme sia la fase che sta gestendo il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, sia l'attività che sarà avviata dal commissario per la ricostruzione;
          il testo ha tre grandi capitoli: la chiusura della prima fase di emergenza; la gestione delle persone rimaste senza casa e delle attività economiche; le prime basi operative per avviare la ricostruzione;
          uno degli elementi centrali è il risarcimento dei pesanti danni al patrimonio edilizio ed economico. Il risarcimento sarà assicurato a tutti quelli che hanno subito danni dal sisma. Questo principio, peraltro già sottolineato pubblicamente da De Vincenti a una settimana dal terremoto, non è in discussione. Ma proprio per assicurare la sua rigorosa applicazione – e allo stesso tempo bloccare a monte gli abusi e tentativi di allargare le maglie dei sussidi – la norma che si sta scrivendo a Palazzo Chigi specificherà che il danno dovrà essere documentato e dimostrato. Dunque, un perimetro che, all'interno del cratere, sarà circoscritto ai soli casi effettivamente legati alle scosse dal 24 agosto in poi;
          l'obiettivo del Governo è stringere i tempi e definire il testo in tutti i dettagli entro 7-10 giorni;
          un nodo ancora da sciogliere è quello delle seconde case. Dal territorio c’è una richiesta forte per superare ogni distinzione tra prima e seconda abitazione ai fini del risarcimento e della ricostruzione con criteri antisismici;
          d'altra parte, come hanno sottolineato i governatori di Umbria, Lazio, Marche e Abruzzo, il territorio colpito ha un altissimo numero di seconde case che, complessivamente, rappresentano anche una componente significativa dell'economia turistica locale;
          il pressing delle regioni è forte. «Le seconde case sono un tema che abbiamo posto e che va affrontato – dice la presidente dell'Umbria Catiuscia Marini — perché dopo il sisma ’97 abbiamo ricostruito, oltre alle prime case, solo le seconde case che erano funzionali alla sicurezza dell'agglomerato edilizio che comprendeva anche prime case. Ma soprattutto le seconde case hanno una funzione economica e di traino turistico: è la “fabbric” di questo territorio»;
          c’è poi il tema delle risorse. La ricognizione dei danni è ancora in corso e servirà a quantificare un primo ordine di grandezza per il fabbisogno della ricostruzione. Ma il censimento servirà anche ad attivare la richiesta formale a Bruxelles per attingere al fondo di solidarietà per l'emergenza (richiesta che va fatta dall'Italia entro 12 settimane dal sisma). Il Governo sfrutterà anche la possibilità, offerta dal fondo di Bruxelles, di destinare le risorse anche alla ricostruzione di infrastrutture stradali e altre opere pubbliche;
          poi ci sono i 50 milioni di euro, già stanziati a valere sul fondo nazionale di emergenza per le calamità. E c’è la possibilità, offerta dalla legge di bilancio, di trovare risorse anche spostando in modo semplificato e rapido i fondi tra diverse poste;
          vi sono, inoltre, norme specifiche anche per la tutela dei beni culturali e del patrimonio artistico. E c’è, infine, il complesso capitolo ambientale, con al centro il delicato aspetto della gestione delle macerie. Il testo prevede un vero e proprio piano delle macerie, approvato dal commissario, che precisa siti, flussi e modalità di raccolta. Con una selezione attenta delle macerie dei beni artistici e anche dei materiali con elementi: «pericolosi»;
          in verità molti sindaci marchigiani lamentano un'assenza di politiche a loro dedicate, nonostante le proprie realtà siano state colpite dal terremoto ed abbiano riportato danni sia alle abitazioni private che agli edifici pubblici: «Non c’è un Comune danneggiato dal sisma, ma c’è un intero comprensorio che ha subito danni importanti e che merita considerazione». Vanno all'attacco i sindaci marchigiani di Acquacanina, Bolognola, Camerino, Castelsantangelo sul Nera, Fiastra, Fiordimonte, Montecavallo, Muccia, Pieve Torina, Pievebovigliana, Serravalle di Chienti, Ussita, Visso;
          «Non accettiamo – scrivono – che il territorio che governiamo sia stato tenuto fuori dal provvedimento per le defiscalizzazioni in favore delle popolazioni terremotate e non accetteremo disegni arbitrari per inserire o escludere interi territori dalla cartina geografica già tristemente disegnata dal sisma in maniera inequivocabile e non interpretabile. Il terremoto ha purtroppo provocato danni dove i danni sono evidenti e per questo invitiamo chi di dovere a fare visita ai nostri comuni, tra i nostri sfollati e tra le lesioni delle nostre abitazioni private e dei nostri edifici pubblici, tra le nostre attività commerciali in ginocchio»;
          a queste vanno aggiunte anche le città di Tolentino, il cui sindaco Giuseppe Pezzanesi dichiara: «la nostra Città ha subito danni molto gravi che interessano sia edifici pubblici, a partire dal Palazzo comunale dichiarato inagibile, che private abitazioni con interi condomini evacuati, sia casa coloniche che attività economiche, oltre a quasi tutto il patrimonio storico culturale comprensivo del Castello della Rancia, dei luoghi di culto, dell'Auditorium San Giacomo, di parte del Palazzo Sangallo e di Palazzo Parisani Bezzi»;
          diverse le strade chiuse per garantire la pubblica incolumità causa la minaccia di cedimenti strutturali di numerosi immobili e tanti gli interventi già conclusisi con l'aiuto dei Vigili del Fuoco e pronti interventi comunali per garantire la viabilità a tutto il territorio;
          il ripetersi dello sciame sismico continua a provocare danni e molti cittadini si vedono costretti a richiedere approfonditi sopralluoghi per verificare la staticità delle proprie case»;
          salendo per le valli marchigiane il sisma ha schiaffeggiato con la sua potenza immane Amandola, Montefortino, Montemonaco e gli altri agglomerati sul versante ascolano, ma non ha risparmiato quello maceratese dove tra i più urticati c’è San Ginesio;
          già a Falerone le prime crepe, poi salendo altri sbarramenti a Sant'Angelo in Pontano, alle Ripe, finché passi dall'arco della porta Picena e nel centro abitato ti senti lontano mille miglia dalla tua normalità di mare ad appena un'ora di strada;
          «L'ex paese delle 100 chiese». Dappertutto blocchi, transenne, chi cammina guarda le case, indica col dito sfregi e storie che il foresto ignora, ma l'aria che respira non mente: il «paese delle cento chiese» non ne ha più una sana;
          misteriosamente o miracolosamente intatta la Collegiata, ma nel centro storico, come nel contado, tutta una sofferenza, un pericolo scampato, due vecchi sono usciti un istante prima che la loro casetta di campagna gli franasse addosso;
          inagibili i templi più importanti – San Francesco dell'anno Mille, San Gregorio neogotica –, critica la situazione della pinacoteca con la pala della Battaglia della Fornarina tra ginesini e fermani e sotto osservazione la sede della comunità montana e tutti i luoghi più importanti di questo borgo tra i più belli d'Italia, uno dei 184 con la bandiera arancione di eccellenza turistico-ambientale  –:
          se il Governo non intenda allargare la mappatura delle realtà colpite dal terremoto e come intenda procedere per garantire a tutte ed a tutti un ritorno alla normalità attraverso la messa in sicurezza o la ricostruzione delle abitazioni, degli edifici pubblici, delle strade e delle attività produttive;
          quali mezzi e risorse intenda mettere a disposizione affinché anche le realtà gravemente colpite nelle strutture ma senza vittime possano riprendere le normali attività. (3-02472)


      RICCIATTI, SCOTTO, ZARATTI, PELLEGRINO, MELILLA, PANNARALE, FRATOIANNI, PIRAS, QUARANTA, MARCON, GIANCARLO GIORDANO, COSTANTINO, NICCHI, SANNICANDRO, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, D'ATTORRE, DURANTI, FAVA, MARTELLI, FASSINA, GREGORI e KRONBICHLER. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il 15 settembre 2016 suonerà la campanella per 214 mila studenti nelle Marche, ma all'appello mancano mille insegnanti. Sono 241 gli edifici scolastici nelle Marche: 27 risultano lesionati dal terremoto del 24 agosto. Mancano pochi giorni all'inizio del nuovo anno scolastico ma è già caos tra carenza di organico, ritardi, mancanza di trasparenza e sedi inagibili per il sisma. Manuela Carloni, Flc Cgil Marche annuncia che «probabilmente, per il 15, non avremo tutti i docenti in classe sia perché alcune nomine sono da fare sia perché quelle a tempo determinato si faranno dopo il 15»;
          a destare preoccupazione sono soprattutto gli istituti dei luoghi colpiti dal terremoto: sono 27 le scuole che risultano lesionate nella regione Marche: per 24 c’è già la sostituzione, per altre 4, tutte nella zona dell'epicentro del sisma, per ora si useranno le tensostrutture in attesa dei prefabbricati. L'avvio è segnato da numeri di rilievo: sono 214.637 gli alunni pronti per la campanella e 20.844 i docenti che si accingeranno a seguire i ragazzi per tutto l'anno. A 5.966 unità ammonta l'organico Ata (amministrativo, tecnici ed ausiliari) mentre sono 42 i posti vacanti per i presidi;
          l'elenco delle strutture inagibili è elaborato dalla Protezione civile regionale ed è in continuo aggiornamento. Nelle zone colpite dal terremoto, ad Acquasanta Terme, sono inagibili la scuola per l'infanzia e la primaria; ad Acquasanta Picena c’è la scuola primaria e secondaria. Ad Arquata del Tronto, risultano inagibili l'elementare, la media e la materna; a Force è inagibile la materna, e anche in questo caso, ci sarà il modulo. A Montegallo, sono inagibili le scuole di Via Marcucci, a Falerone, la secondaria di primo grado ma, per l'avvio dell'anno scolastico, si userà un'altra struttura. Ed ancora: a Caldarola, è inagibile la scuola elementare e dell'infanzia e per questo si useranno altre strutture, a Camerino la scuola Betti è inagibile e si sposterà tutto nei locali della provincia; a Corridonia, sono inagibili la scuola primaria e dell'infanzia di Colburcolo e si useranno i moduli. L'elenco prosegue con Gualdo, dove sono inagibili la scuola media, elementare e materna e si useranno i container, a Loro Piceno è inagibile la scuola elementare ma ci si sposterà nella sede della media, a San Ginesio, l'istituto professionale della provincia andrà nei locali messi a disposizione del comune, mentre a Visso la scuola materna, inagibile, si sposterà in un altro plesso. Tra le scuole lesionate poi, ci sono quella dell'infanzia ed elementari di Falerone, di Sarnano, le Marconi di Loreto e le Trebbiani di Ascoli Piceno;
          nei giorni scorsi i sindacati di categoria hanno lanciato l'allarme: personale insufficiente, troppe procedure di trasferimento e ritardi, sono i principali problemi evidenziati, oltre al perdurare delle scosse sismiche che non garantiscono, di certo la serenità necessaria a bambini e ragazzi per potersi concentrare sugli studi ed agli insegnanti per poter svolgere la loro professione  –:
          se il Governo sia a conoscenza di tale situazione e quali iniziative concrete e urgenti intenda intraprendere per riparare ai problemi legati a vicende strutturali come personale scarso ed insegnanti trasferiti in una regione già fortemente colpita dal terremoto e che – ancora oggi – subisce scosse sismiche. (3-02473)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          un violento e tragico terremoto si è verificato il 24 agosto 2016 colpendo la regione Marche e precisamente la provincia di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata;
          Cingoli, in provincia di Macerata, chiamata «terrazza delle Marche», è una cittadina rinomata anche perché fornisce acqua a parte dell'entroterra maceratese sino ai piedi del Conero grazie al lago artificiale di Castreccioni, che con la sua diga, fornisce acqua potabile a circa centomila persone;
          sopra il lago di Castreccioni ci sono quattro ponti, di cui un grande viadotto con evidenti difetti strutturali sin dalla sua nascita nel 2012. Infatti un pool di ingegneri definiva il viadotto a grave rischio in caso di eventi sismici, con una probabilità di tenuta del 16 per cento;
          il sindaco di Cingoli, Filippo Saltamartini, si apprende da fonti si stampa, preoccupato della stabilità e contenimento della diga, ha scritto alla regione Marche e alla Presidenza del Consiglio dei ministri esprimendo preoccupazione per la popolazione e denunciando i costi insostenibili che gravano su un piccolo comune come quello da lui amministrato, per sostenere le opportune verifiche ai pilastri;
          tuttavia, secondo la Protezione civile della regione Marche, la diga di Castreccioni non comporta rischi e imminenti problemi;
          l'assessore alla Protezione civile della regione Marche, Angelo Sciapichetti, rispondeva al sindaco Saltamartini dichiarando che la diga è al sicuro, avendo subito le verifiche e i controlli degli esperti ed essendo stata controllata della direzione generale competente che non rilevava danni o problematiche particolari e per quanto atteneva al viadotto – che attraversa il lago – la Protezione civile regionale eseguirà le verifiche necessarie sui piloni nel più breve tempo possibile  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
          se non si ritenga opportuno – considerata la zona ad elevata sismicità e dopo il recente terremoto che ha devastato parte del territorio interessato – assumere iniziative di competenza per dare certezze e rassicurazioni alle popolazioni interessate dalla diga di Castreccioni anche mediante uno studio approfondito;
          poiché i piloni del viadotto del ponte che attraversa il lago di Cingoli ove è sita la diga, potrebbero essere stati danneggiati dal sisma, con conseguente pericolo di un cedimento dello stesso, se possa confermare – come già affermato dalla Protezione civile e dall'assessore Sciapichetti delle Marche – che non sussistano problemi strutturali, pur essendo stato rilevato, da parte di un pool di ingegneri quattro anni fa, non un pericolo immediato, ma    che, in caso di evento sismico, il viadotto avrebbe potuto cedere;
          quali iniziative si intendano mettere in campo per evitare un disastro simile a quello verificatosi il 9 ottobre 1963 nel Vajont, quando una frana del monte Toc precipitò nel bacino facendolo traboccare e inondando il paese di Longarone, causando 1.917 vittime, tra cui 487 bambini e ragazzi sotto i 15 anni;
          quali siano le risorse finanziarie stanziate al fine della messa in sicurezza di ponti e dighe per la parte di competenza del Governo.       (4-14128)


      BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nell'anno 2009, Bernardo De Bernardinis, era vice di Guido De Bertolaso a capo della Protezione Civile;
          De Bernardinis, viene accusato, insieme a tutti gli altri componenti della Commissione grandi rischi, di omicidio colposo, per avere, alla fine della riunione tenutasi all'Aquila il 31 marzo 2009, tranquillizzato la popolazione sull'effettiva portata dell'evento sismico in corso da diversi mesi nel capoluogo abruzzese;
          infatti, il 6 aprile 2009, il tragico terremoto che colpì la città dell'Aquila, provocò 309 morti e circa 1600 feriti;
          De Bernardinis viene quindi indagato dalla procura dell'Aquila e conseguentemente il tribunale dell'Aquila, con sentenza di primo grado ha riconosciuto la colpevolezza tra gli altri imputati, dello stesso De Bernardinis, condannandolo a due anni di reclusione, oltre all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e a ingenti risarcimenti a favore dei parenti delle vittime costituitisi parte civile, assieme al comune di L'Aquila;
          dopo i gravi fatti e nonostante l'inaffidabilità e incompetenza di De Bernardinis, nell'anno 2010, con il Governo presieduto da Silvio Berlusconi, lo stesso viene nominato presidente dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – Ispra;
          in seguito alla sentenza di primo grado emessa dal tribunale dell'Aquila del 22 ottobre del 2012, De Bernardinis, diede le dimissioni dall'incarico di presidente dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale;
          tuttavia le dimissioni vennero respinte dall'allora Ministro dell'ambiente del Governo Monti, Corrado Clini, cui spettava la vigilanza sul medesimo Ispra;
          con scadenza naturale del mandato di De Bernardinis, occorsa il 13 ottobre del 2013, l'allora Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta, su proposta del Ministro dell'ambiente, Andrea Orlando, dopo i pareri favorevoli delle commissioni parlamentari competenti, ha confermato nuovamente il 16 gennaio 2014, De Bernardinis presidente dell'Ispra fino all'anno 2017;
          con una nota del 10 marzo 2014, il magistrato istruttore della Corte dei Conti, faceva presente alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che la sezione controllo enti della Corte aveva rilevato che «... il dottor De Bernardinis risulta essere stato condannato in primo grado con la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici», pertanto la stessa Presidenza veniva chiamata a fornire ulteriori chiarimenti in merito, anche per quanto previsto in materia di incompatibilità di incarichi nella pubblica amministrazione dall'articolo 3 del decreto legislativo 39 del 2013, ovvero a ritirare il provvedimento di nomina;
          nell'aprile 2014, il nuovo Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, dopo aver acquisito dal Ministero dell'ambiente un'articolata relazione sulla vicenda, rispondeva alle osservazioni dei magistrati della Corte dei Conti, comunicando che tra reati che ostano al conferimento di incarichi nella pubblica amministrazione non figura quello di omicidio colposo, mentre per quanto attiene all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, essa diventa operativa soltanto quando la relativa sentenza di condanna sia passata in giudicato;
          pertanto, il 24 aprile 2014, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  66, vengono nominati i membri del Comitato operativo di Protezione civile e tra questi, da parte di Ispra, membro effettivo Bernardo De Bernardinis;
          nel novembre del 2015, la Corte di Cassazione conferma la condanna in via definitiva di De Bernardinis alla pena di reclusione di anni due per omicidio colposo e lesioni in relazione alle rassicurazioni infondate date alla popolazione aquilana alla vigilia del terremoto dell'Aquila dell'aprile 2009;
          si ritiene pertanto inopportuna l'attuale posizione di De Bernardinis in qualità di presidente del Consiglio di amministrazione dell'Ispra ed in qualità di membro effettivo Ispra in seno al Comitato operativo di Protezione civile sia perché lo stesso è stato condannato in via definitiva, sia per decenza e per rispetto ai tanti morti, ai feriti e a tutta la popolazione colpita dal terremoto del 24 agosto 2016 e a quella colpita dal terremoto del 2009 all'Aquila  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
          se non si ritenga incompatibile la permanenza di De Bernardinis in seno all'Ispra, in considerazione del fatto che lo stesso, è stato condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione a novembre 2015 a due anni di reclusione per aver dato rassicurazioni infondate alla popolazione, dopo la riunione della Commissione grandi rischi del 31 marzo 2009, mentre il 6 aprile 2009, il terremoto all'Aquila, provocò 309 vittime e migliaia di feriti distruggendo il centro storico dell'Aquila e in parte altri piccoli centri abruzzesi;
          quali siano le motivazioni in base alle quali, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 aprile 2014 n.  66, è stato nominato De Bernardinis quale membro effettivo dell'Ispra in seno al Comitato operativo di Protezione civile;
          se non si ritenga opportuna e giusta la revoca di De Bernardinis dagli incarichi ricoperti all'interno dell'Ispra, in quanto lo stesso risulta unico condannato in via definitiva nel processo «Grandi Rischi», e la sua conseguente rimozione dal Comitato operativo di Protezione civile quale membro effettivo.       (4-14129)


      FRUSONE, BARONI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
          in data 23 maggio 2013, l'azienda sanitaria locale di Frosinone ha inviato ai direttori di distretto e delle unità operative complesse di Frosinone – Sora-Cassino nonché al dottor Caterina Pizzutelli, al dottor A. Gargaro e al dottor Ganino, una nota (prot. 31210) firmata dal commissario straordinario dottor Luigi Macchitella, avente ad oggetto «Convocazione tavolo tecnico per l'attivazione degli Ambulatori Cure Primarie (Ambufest) e riportante la necessità di istituire tale tavolo tecnico in relazione alla formazione dei medici di medicina generale e alle procedure d'interfaccia tra le diverse unità operative, i costituendi ambulatori di cure primarie e la continuità assistenziale»; per tale finalità il tavolo veniva convocato in data 25 maggio 2016 presso la direzione generale;
          con atto deliberativo n.  000714 del 25 maggio 2016 avente ad oggetto «Recepimento dell'accordo aziendale con i medici di medicina generale e relativo disciplinare in attuazione del Decreto del Commissario ad Acta 000376/2014 – Approvazione progetto AMBUFEST», l'ASL di Frosinone approva il progetto sperimentale «ambulatorio cure primarie» di Frosinone – Cassino — Sora, per garantire la copertura dell'assistenza primaria il sabato, la domenica e i festivi, ai sensi dell'articolo 7 dell'accordo regionale che prevede, per l'appunto, la copertura assistenziale della rete territoriale delle cure primarie per le giornate indicate e i festivi;
          con il succitato atto deliberativo si è quindi convenuti di:
              a) ratificare l'accordo aziendale raggiunto in data 12 maggio 2016 con il quale si approva, tra l'altro, anche il disciplinare organizzativo per l'attività di medicina generale;
              b) disporre che per l'attuazione dell'accordo aziendale saranno adottati tutti i successivi provvedimenti di organizzazione e di funzionamento per regolamentare: lo svolgimento degli avvisi interni volti ad acquisire la disponibilità dei medici di medicina generale aderenti al progetto AMBUFEST e per acquisire la disponibilità e competenza dei medici che saranno individuati come Coordinatori organizzativi degli ambulatori di Frosinone – Cassino — Sora, le modalità di individuazione ed utilizzo della graduatoria e le modalità di turnazione;
              c) istituire un tavolo tecnico coordinato dal «dipartimento assistenza primaria e cure intermedie» e dai direttori di distretto, coadiuvati di volta in volta da specialisti e tecnici e dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei medici di medicina generale firmatari dell'accordo aziendale del 12 maggio 2016;
              d) imputare la spesa annuale pari a euro 145.000,00 nell'apposito capitolo di spesa per la remunerazione annuale del medici di medicina generale aderenti al progetto;
              e) stabilire che il citato accordo aziendale del 12 maggio 2016 e il disciplinare organizzativo costituiscono parte integrante e sostanziale dell'atto deliberativo medesimo;
          nel documento recante il «progetto sperimentale» ovvero il disciplinare organizzativo sull'ambulatorio delle cure primarie, allegato e parte integrante del succitato atto deliberativo, si evince che presso la sede degli ambulatori di cure primarie di Frosinone, Cassino e Sora dovrà essere garantita una dotazione minima organizzativa e tecnica, con la presenza di personale medico e infermieristico e si evince, altresì, che la gestione di tali ambulatori sarà a carico di tre Coordinatori organizzativi, individuati dal Direttore generale pro-tempore dell'azienda ASL di Frosinone, sentite le organizzazioni sindacali, tra i medici di medicina generale operanti nell'ambito aziendale, sulla base delle disponibilità e della documentata competenza, ai quali sarà riconosciuta un'indennità economica aggiuntiva e ai quali competerà, tra le altre cose, anche la predisposizione ed organizzazione dei turni di servizio e delle sostituzioni di personale;
          nel documento recante l'accordo tra la ASL di Frosinone e le organizzazioni sindacali provinciali di medicina generale sull'ambulatorio delle cure primarie, anch'esso allegato e parte integrante del succitato atto deliberativo del 25 maggio, accordo sottoscritto il 12 maggio 2016 e ratificato il medesimo 25 dicembre 2016, si evince e concorda «l'indizione e pubblicazione di avviso interno da parte della Direzione generale per l'acquisizione della disponibilità e della documenta competenza dei tre medici di medicina generale quali Coordinatori, organizzativi degli ambulatori di cure primarie di Frosinone, Cassino e Sora», nonché la definizione del loro trattamento economico;
          l'accordo sindacale succitato, per le organizzazioni sindacali è sottoscritto da: dottoressa Caterina Pizzutelli, già convocata, unitamente al dottor Alfonso Gargano e al dottor Francesco Ganino, al tavolo tecnico per l'attivazione degli Ambulatori di cure primarie, dal dottor Roberto Colantonio, dalla dottoressa Meri Nannucci e dal dottor Giovanni Magnante;
          con atto deliberativo n.  000750 del 1o giugno 2016 della asl di Frosinone, avente ad oggetto «Avviso interno per acquisire la disponibilità di tre medici di medicina generale quali Coordinatori organizzativi degli ambulatori di cure primarie di Frosinone, Cassino e Sora per l'attuazione del progetto ACP» e recante in premessa l'accordo sindacale aziendale del 12 maggio 2016, come ratificato con il succitato atto deliberativo n.  000714 del 25 maggio 2016, si approva l'indizione dell'avviso interno per l'acquisizione della disponibilità e competenza dei tre medici che assumeranno l'incarico di coordinatori degli ambulatori, allegando gli schemi di avviso interno e di domanda;
          in data 1o giugno 2016 è pubblicato sul sito internet della asl di Frosinone l'avviso interno per l'incarico dei tre coordinatori degli ambulatori, con scadenza 8 giugno 2016, e nel fare riferimento all'atto deliberativo n.  000714 del 25 maggio 2016, si invitano medici interessati a presentare, esclusivamente a mano al protocollo aziendale, la domanda in carta semplice, corredata da curriculum formativo e professionale;
          con atto deliberativo n.  000917 del 30 giugno 2016 della Asl di Frosinone, il commissario straordinario Luigi Macchitella, in riferimento all'avviso succitato per acquisire la disponibilità dei tre coordinatori per gli ambulatori di cure primarie di Frosinone, Cassino e Sora e in riferimento altresì ad altro avviso per il conferimento d'incarico di due coordinatori e due vice-coordinatori dei presidi ambulatoriali territoriali H24 di Anagni e Pontecorvo, delibera il conferimento degli incarichi di coordinamento o vice coordinamento a tutti i soggetti succitati ovvero sottoscrittori dell'accordo sindacale aziendale e convocati anche al tavolo tecnico per l'attivazione degli ambulatori delle cure primarie; più specificatamente di seguito le nomine:
              1. presidio ambulatoriale H24 di Anagni: dottor Peter Giansanti (coordinatore);
              2. presidio ambulatoriale H24 di Pontecorvo: dottor Roberto Colantonio (coordinatore);
              3. Ambulatorio Cure primarie di Frosinone: dottoressa Caterian Pizzutelli (coordinatore);
              4. Ambulatorio Cure primarie di Cassino: dottor Alfonso Gargano (coordinatore);
              5. Ambulatorio Cure primarie di Sora: Francesco Ganino (coordinatore);
          sembrerebbe agli interroganti di trovarsi di fronte ad una evidente e macroscopica «spartizione» di incarichi avvenuta tra i rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei medici di medicina generale e sotto l'egida della direzione generale della ASL di Frosinone, rappresentata dal commissario straordinario Luigi Macchitella, e con il beneplacito del direttore amministrativo dottor Vincenzo Brusca, del Direttore sanitario dottoressa Claudia Lucidi e del responsabile del procedimento dottoressa Francamaria Virgili;
          l'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 – Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche — oltre a prevedere che non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni, prevede che il conferimento di incarichi operato direttamente dall'amministrazione è disposto dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, d'interessi che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente; per il conferimento d'incarichi l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi;
          l'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n.  62 – Regolamento recante Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 — prevede che il dipendente pubblico si astiene dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi con interessi personali e tale conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall'intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici; il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza; il successivo articolo 16 del codice di comportamento dei dipendenti pubblici prevede che la violazione degli obblighi previsti dal codice integra comportamenti contrari ai doveri d'ufficio e, ferme restando le ipotesi di responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile del pubblico dipendente, essa è fonte di responsabilità disciplinare;
          l'articolo 6-bis della legge n.  241 del 1990 sul procedimento amministrativo, concernente il conflitto di interessi, prevede che il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale;
          ogni amministratore pubblico, e in particolar modo i direttori generali delle ASL cui è demandato il delicato compito di amministrare strutture ed enti che erogano servizi per la tutela della salute dei cittadini, deve operare secondo i principi generali che guidano l'attività amministrativa pubblica, ovvero secondo criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza;
          appare dunque stupefacente che i partecipanti ad un tavolo tecnico istituito dalla ASL di Frosinone per costituire gli ambulatori delle cure primarie, definendone finanche i compensi, siano i medesimi che, in virtù di tali progetti e accordi, hanno assunto gli incarichi di coordinamento ivi previsti e concordati, con il susseguente vantaggio personale sia di tipo professionale e sia di natura patrimoniale;
          appare grave agli interroganti che i soggetti che hanno assunto l'incarico di coordinatore fossero già a conoscenza delle modalità relative alla pubblicazione degli avvisi interni per acquisire la disponibilità agli incarichi, avvisi che sarebbero stati pubblicati in maniera fulminea sul sito internet della ASL di Frosinone e attualmente non sarebbero rinvenibili nella sezione amministrazione trasparente prevista dal decreto legislativo n.  33 del 2013, avvisi che peraltro contemplavano modalità di acquisizione delle candidature estremamente gravose sia con riguardo alla tempistica (8 giorni) sia con riguardo alla consegna delle domande (esclusivamente a mano);
          l'ASL di Frosinone non è nuova a nomine che poi si risolvono in una nullità insanabile come nel caso del dottor Carrano nominato direttore del distretto sanitario B, nonostante fosse un esterno e presidente provinciale della sigla sindacale FIMGG;
          appare necessario agli interroganti verificare le eventuali responsabilità civili, penali e amministrative di tutti i soggetti coinvolti negli accordi e negli atti deliberativi, verificando in particolare se la partecipazione agli atti endoprocedimentali che hanno condotto all'avviso pubblico e al susseguente conferimento degli incarichi da parte dei medesimi soggetti che poi hanno assunto tali incarichi, possa configurare oltre che una chiara violazione    della normativa sul conflitto d'interesse anche un abuso a danno dell'amministrazione e dei cittadini tutti;
          il Ministero della salute promuove e tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse delle collettività, e tale diritto passa anche attraverso un esercizio imparziale delle attività dei direttori generali delle ASL e di tutti i dipendenti che ci lavorano;
          il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ha il delicato compito di garantire che tutti gli amministratori pubblici e i dirigenti agiscano nel massimo rispetto dell'articolo 97 della Costituzione, assicurando un esercizio imparziale dell'azione amministrativa ed in tal senso il Consiglio dei ministri, proprio pochi giorni fa, ha approvato il decreto legislativo recante attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n.  124 con l'obiettivo di rendere le nomine dei direttori generali degli enti del SSN scollegate dagli interessi politici nonché di rendere efficace ed imparziale l'operato dei direttori generali, sanitari e amministrativi delle ASL, prevedendo ad esempio anche la decadenza del direttore generale in caso di violazione delle norme sulla trasparenza  –:
          se i Ministri interrogati, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro da disavanzi sanitari; siano a conoscenza dei fatti indicati in premessa;
          se non ritengano opportuno intervenire con urgenza, ciascuno per la parte di propria competenza, per verificare e valutare la sussistenza di situazioni di grave irregolarità che richiederebbero, ad avviso degli interroganti, la rimozione immediata dei soggetti responsabili dai loro incarichi. (4-14135)


      NACCARATO, CASELLATO, CRIVELLARI, NARDUOLO, FIORONI e COVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 50 comma 7 dello statuto della Federazione italiana rugby in seguito (FIR) obbliga la Federazione stessa ad approvare il proprio bilancio consuntivo entro il 30 aprile dell'anno successivo all'esercizio finanziario;
          lo stesso statuto prevede che il bilancio consuntivo, corredato dalla relazione del collegio dei revisori dei conti debba essere inviato al Comitato Olimpico Nazionale Italiano (in seguito CONI) per l'approvazione e successivamente pubblicato sul sito web della Federazione;
          ad oggi il bilancio consuntivo del 2015 della Federazione italiana rugby non risulta ancora approvato;
          nel corso dell'ultimo consiglio federale, tenutosi il 3 agosto 2016, è venuto meno il numero legale con il conseguente ulteriore ritardo nell'approvazione del bilancio stesso;
          tale ritardo ha sollevato forti perplessità all'interno della Federazione sulla gestione della vicenda da parte del presidente Alfredo Gavazzi, poiché il bilancio consuntivo è il più importante documento economico riguardante la vita e l'attività della Federazione e un simile ritardo rischia di nuocere all'intero mondo del rugby;
          il presidente della Federazione, di fronte ai dubbi sulla vicenda riportati dalla stampa (Il Gazzettino 8 agosto 2016), ha escluso che la mancata approvazione del bilancio sia da imputarsi alla mancata controfirma da parte del collegio dei revisori dei conti;
          se, al contrario, dovesse essere accertato il parere negativo dei revisori lo statuto federale impone la convocazione di un'assemblea generale straordinaria per l'approvazione del bilancio;
          la presidenza della Federazione italiana rugby ha assicurato che l'approvazione avverrà nel corso del prossimo consiglio federale che, tuttavia, non risulta ancora convocato;
          nello stesso tempo, il 3 agosto 2016, il consiglio federale ha convocato l'assemblea generale elettiva per il prossimo 17 settembre 2016;
          in tale consesso verranno rinnovate le cariche elettive e sussiste il rischio concreto che i tesserati della Federazione italiana rugby siano chiamati a rinnovare i propri organismi senza conoscere il contenuto del bilancio consuntivo 2015 che, come detto sopra, rappresenta il documento economico più importante per valutare l'operato degli stessi organismi dirigenti;
          in questo contesto va rilevato, inoltre, che il bilancio preventivo 2016, che doveva essere approvato entro il 30 novembre 2015, è stato pubblicato e reso disponibile sul sito della Federazione solo di recente, determinando ad avviso dell'interrogante    ulteriore deficit di trasparenza;
          rispetto al bilancio preventivo 2016, la relazione dei revisori dei conti allegata al bilancio stesso evidenzia una sovrastima di alcuni ricavi (pagina 3 della relazione dei revisori), per oltre novecentomila euro, che, se confermata, rivelerebbe una rilevante perdita di esercizio;
          in caso ai gravi irregolarità nella gestione il Consiglio nazionale del CONI, base all'articolo 6, n.  4, lettera F1 del proprio statuto, può deliberare il commissariamento della Federazione italiana rugby  –:
          di quali elementi disponga in ordine alle circostanze segnalate in premessa e se risultino iniziative adottate o in corso d'adozione da parte del CONI, in relazione alla situazione descritta. (4-14136)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


      LOCATELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
          da oltre un anno il Burundi si trova in una drammatica crisi politica innescata dalla decisione dell'attuale Presidente Pierre Nkurunziza di candidarsi per la terza volta alle elezioni presidenziali, violando le disposizioni della Costituzione burundese, nata dagli accordi di Arusha che hanno posto fine alla guerra civile durata vent'anni, che prevedeva che il Capo dello Stato non potesse rimanere in carica per più di due mandati;
          tale annuncio ha provocato l'esplosione di proteste, manifestazioni, violenti scontri e un tentativo di colpo di Stato, repressi dall'esercito e dalle forze di sicurezza con atti di repressione di inaudita violenza: radio e giornali chiusi, raid nell'università, arresti, omicidi, sparizioni;
          l'Alto Commissario dell'ONU per i diritti umani, Zeid Ra'ad Hussein, ha di recente definito sconvolgente l'aumento delle pratiche di tortura e maltrattamenti in Burundi, dove solo nel 2016 i casi registrati sono circa 400 (dall'inizio della crisi il numero è di quasi 600);
          le repressioni hanno prodotto un consistente flusso di rifugiati verso i campi profughi dei Paesi confinanti: oltre 250.000 persone hanno infatti trovato rifugio in Tanzania, Ruanda, Uganda e Congo, alloggiando in strutture drammaticamente inadeguate ad accogliere una folla di tali proporzioni;
          torture e sparizioni sono all'ordine del giorno e sono giunte testimonianze in ordine all'esistenza di fosse comuni nelle quali sarebbero stati accatastati i cadaveri delle vittime, secondo i racconti pervenuti sarebbero in prevalenza di etnia tutsi, circostanza che suscita molte preoccupazioni per il fatto che la crisi in atto possa innescare una guerra civile come quella che si è consumata in Ruanda tra il 1993 e il 1994;
          i tentativi per la composizione del conflitto in atto, ad opera del Presidente ugandese Museveni e della Comunità dell'Africa Orientale (EAC) sono purtroppo falliti;
          il Burundi ha sottoscritto, tra gli altri, il Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, la Convenzione ONU contro la tortura ed i trattamenti e le punizioni crudeli, inumani o degradanti, la Convenzione sui Diritti del Fanciullo, lo statuto della Corte penale internazionale;
          nel rapporto presentato nel mese di aprile 2016 al Consiglio di Sicurezza, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, definendo allarmante la situazione del Burundi, ha avanzato una serie di proposte tra cui l'ipotesi di inviare una missione di pace nel Paese, con l'invio di fino a tremila uomini, ovvero agenti di polizia da affiancare ai funzionari dell'ONU e dell'Unione Africana allo scopo di garantire la tutela dei diritti umani;
          i rapporti del 2014 e del 2015 di Amnesty International sul Burundi mettono in evidenza episodi di repressione, violazione delle libertà di espressione e di manifestazione, arresti illegali e ricorso alla tortura, documentando violenze di ogni tipo;
          il 25 aprile 2016 la procuratrice Fatou Bensouda della Corte Penale Internazionale ha annunciato un'indagine sulle violenze compiute in Burundi;
          la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato e il Comitato permanente per i diritti umani, istituito presso la Commissione esteri della Camera, hanno incontrato il 10 maggio 2016 Marguerite Barankitse, una delle principali figure di impegno civile e umanitario del Paese, e Leonidas Hatungimana, già portavoce del presidente Nkurunziza, entrambi costretti a riparare all'estero, il secondo essendosi espresso contro il terzo mandato;
          Marguerite Barankitse e Leonidas Hatungimana hanno voluto sottolineare di essere l'una di etnia tutsi, l'altro di etnia hutu, ad indicare che quello in atto in Burundi non è un conflitto di tipo etnico; hanno inoltre descritto e documentato le violenze perpetrate contro la popolazione civile dalle autorità burundesi, in particolare quelle contro donne e minori, confermando la presenza di fosse comuni;
          la signora Barankitse ha denunciato la chiusura da parte del Governo dell'ospedale Rema della «Maison Shalom», da lei fondata quindici anni fa, destinato in particolare alle donne in gravidanza, con conseguenze gravissime per le donne stesse e i bambini; l'interruzione forzata dell'erogazione di energia elettrica avrebbe portato alla morte di numerosi bambini in incubatrice  –:
          alla luce della prima conferenza ministeriale Italia – Africa, tenutasi a Roma mercoledì 18 maggio 2016, alla quale ha partecipato il Ministro degli esteri del Burundi, Alain Aimé Nyamitwe, e della eventualità che le autorità italiane abbiano chiesto di essere informate su quanto sta avvenendo nel Paese e abbiano affrontato con il Ministro burundese il tema della violazione dei diritti umani, invocandone il rispetto, e della libertà di espressione e di manifestazione, quali iniziative intenda adottare il Governo anche d'intesa con i partner dell'Unione europea, perché la condotta delle Autorità burundesi sia conforme agli atti ed alle convenzioni poste a tutela dei diritti umani che il Burundi ha sottoscritto; in coordinamento con gli altri Paesi dell'Unione europea e con le Nazioni Unite, per scongiurare il rischio di nuovi massacri in Burundi, per promuovere sanzioni economiche della comunità internazionale contro il Burundi sino a quando non verrà ripristinata la legalità e verrà posto termine alla repressione e per agevolare il percorso formale che potrebbe portare all'incriminazione del presidente del Burundi Pierre Nkurunziza dinanzi alla Corte penale internazionale. (3-02465)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta orale:


      PARENTELA, NESCI e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il Ministero della salute ha messo a disposizione un sito web in cui è possibile visualizzare e avere informazioni sulle aree di balneazione, attraverso un monitoraggio delle nostre coste. Per la regione Calabria sono emerse delle criticità soprattutto nel tratto tirrenico della provincia di Cosenza e in quello di Reggio Calabria. Il problema della balneabilità sarebbe collegato, oltre all'inquinamento, anche al malfunzionamento dei depuratori che non permettono sempre una completa rimozione dei contaminati dalle acque reflue, i quali si riversano nei torrenti più vicini per poi sfociare nei nostri mari;
          diciassette campionamenti sui venticinque eseguiti tra il primo ed il quattro luglio scorso lungo le coste della Calabria da Goletta Verde – la storica campagna di Legambiente dedicata al monitoraggio ed all'informazione sullo stato di salute delle coste e delle acque italiane – presentano una carica batterica elevata, superiore alle soglie stabilite dalla legge. Per 15 di questi punti, principalmente alle foci di fiumi, torrenti e scarichi, il giudizio è di «fortemente inquinato»;
          i campionamenti eseguiti lungo le coste calabresi hanno dato i seguenti risultati:
              sei i prelievi effettuati in provincia di Reggio Calabria, quattro dei quali giudicati «fortemente inquinati»: si tratta dei campionamenti eseguiti alla foce del torrente Menga (località Sabbie bianche) e presso lo sbocco dello scarico vicino al lido comunale entrambi a Reggio Calabria (per quest'ultimo punto va specificato che nonostante il «temporaneo» divieto di balneazione la zona è altamente frequentata da bagnanti); alla spiaggia presso lo scarico sul lungomare Cenide a Villa San Giovanni; alla foce del fiume Mesima a San Ferdinando. Carica batterica entro i limiti quella riscontrata, invece, alla spiaggia di fronte piazza Porto Salvo a Melito Porto San Salvo e alla foce del fiume Petrace a Marina di Gioia Tauro;
              dei cinque prelievi effettuati nel cosentino è risultato nei limiti di legge soltanto quello effettuato alla spiaggia del lido Diamante in località Torricella di Diamante. Fortemente inquinato, invece, il giudizio per i prelievi alla foce del canale sulla spiaggia libera di Villapiana Lido; alla foce del fiume Crati in località Laghi di Sibari a Cassano allo Ionio; alla foce del fiume Parise a Bonifati e alla foce del fiume San Francesco a Paolo;
              quattro i campionamenti nel crotonese, due dei quali fortemente inquinati: alla foce del fiume Esaro, a Crotone, e in prossimità del canale sulla spiaggia a destra del Castello a Isola di Capo Rizzuto. Entro i limiti invece l'altro prelievo a Crotone, sulla spiaggia del lungomare Magna Grecia, e alla foce del fiume Tacina a Steccato di Cutro;
              in provincia di Catanzaro ha dato esito positivo soltanto il campionamento eseguito alla spiaggia di Caminia a Stallettì. Fortemente inquinato, invece, il giudizio per le acque prelevate alla foce del fiume Fiumarella a Catanzaro Lido e alla foce del torrente Zinnavo a Lamezia Terme. Inquinato, invece, quello alla foce del torrente nei pressi del faro di Capo Suvero a Gizzeria;
              sei i prelievi effettuati in provincia di Vibo Valentia. Fortemente inquinati sono stati giudicati quelli compiuti alla foce del torrente Mandricelle, nella frazione Corrorino-Porticello di Joppolo; alla foce della fiumara Ruffa in località La Torre di Ricardi e alla foce del fiume Sant'Anna di Vibo Valentia. Inquinato il giudizio del prelievo agli scogli alla foce del torrente Britto a Marina di Nicotera. Entro i limiti quello alla foce del fiume Angitola, in località Calamaio di Pizzo Calabro. I tecnici di Legambiente – dopo diverse segnalazioni di cittadini attraverso il servizio Sos Goletta – hanno inoltre esaminato un campione d'acqua prelevato presso la spiaggia libera contrada di Riaci a Ricadi, anch'esso entro i limiti di legge. I bagnanti continuano in ogni caso a segnalare chiazze sospette in acqua in determinati orari e per questo si richiede all'amministrazione di effettuare ulteriori controlli per verificare la provenienza di questa criticità;
          dal dossier di Legambiente «La depurazione in Calabria: un contributo per affrontare il problema dello smaltimento dei fanghi» emerge come la regione Calabria abbia una potenzialità di depurazione pari all'81 per cento degli abitanti equivalenti totali, ma analizzando la reale capacità di trattare adeguatamente gli scarichi, il dato si abbassa notevolmente. Infatti, secondo l'Istat (dati al 2012) ad essere trattati in maniera adeguata è il 51,5 per cento del totale del carico generato;
          le succitate criticità sono state evidenziate anche nell'ultima procedura d'infrazione aperta dall'Unione europea nei confronti dell'Italia che comprende anche 130 agglomerati calabresi. Inadeguatezza che è già costata alla regione una condanna da parte della Commissione europea nel 2012 e che secondo i calcoli del Governo, comporterebbe, a partire dal 2016 e fino al completamento degli interventi di adeguamento richiesti, una multa di 38 milioni di euro all'anno. Per far fronte alla prima condanna del 2012 era stato stimato un fabbisogno per questa regione di circa 243 milioni di euro e di questi la delibera CIPE 60/2012 ne stanziava 160 milioni (più altri 83 milioni da altre risorse). Per ora sono state, però, sbloccate opere solo per 104 milioni di euro (8 interventi) e rimangono ferme ancora 10 opere per circa 140 milioni di euro a causa della mancanza di progetti concreti e immediatamente realizzabili a cui destinare i fondi, com’è ammesso dallo stesso Ministero dell'ambiente e dal presidente Oliverio che ha chiesto un «programma di efficientamento e rifunzionalizzazione degli impianti di depurazione nei comuni costieri della Regione Calabria» che riguarderà 100 amministrazioni comunali per 8 milioni di euro di interventi;
          oltre l'adeguamento degli impianti rimane anche il problema del loro sottoutilizzo. Infatti dall'analisi dei dati forniti alla regione Calabria emerge che alcuni impianti risultano utilizzati in maniera molto ridotta. Tra il 2012 e il 2013 gli impianti negli elenchi della regione sono aumentati, passando da 541 a 548; il numero di controlli è diminuito da 289 a 239 così come il numero di impianti controllati, passato dal 35,67 per cento al 26,64 per cento; il numero di controlli risultati conformi è aumentato passando dal 28,37 per cento al 58,58 per cento. Attualmente si nota che su circa 500 depuratori presenti sul territorio calabrese solo il 25 per cento dei comuni trasmette le informazioni sui fanghi di depurazione. Dai dati emerge inoltre che le quantità di fanghi prodotti sono, nella gran parte dei dati disponibili, non congruenti con i dati di letteratura che riportano una produzione di fanghi di circa 2-6 Kg per mc di acqua trattata;
          a quanto sinora asserito si aggiunga la cattiva gestione degli impianti di depurazione e del collettamento. Da notizie a mezzo stampa, infatti, gli interroganti apprendono che grave è soprattutto la presenza, diffusa lungo la costa, di scarichi a cielo aperto o mediante condotte, spesso non segnalate o addirittura volutamente occultate. Se l'apporto inquinante estivo dei corsi d'acqua è scarso, tranne che in occasione di piogge, assumono, invece, una certa importanza l'entità degli scarichi ed i flussi delle condotte, soprattutto se raccolgono le acque di scarico di insediamenti turistici, seconde case ed aree residenziali non collettate;
          non ci vorrà molto prima che il Governo firmi il decreto che porta al commissariamento della regione Calabria nel settore del trattamento delle acque e della depurazione. Al termine del periodo fissato, il Governo attiverà i poteri commissariali sostitutivi previsti dallo «Sblocca Italia» facendo ripiombare la regione Calabria, di nuovo, in una gestione commissariale che dal 1998 al 2008 ha avuto solo esiti fallimentari come evidenziato nella relazione finale dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) in merito alla gestione dei finanziamenti ricevuti dall'Ufficio del commissario delegato nell'ambito del Por Calabria 2000-2006, del 2010: gravi irregolarità amministrative, assoluta mancanza di controlli, appalti in deroga alle leggi violando le prescrizioni sul cofinanziamento dei programmi comunitari, assenza di collaudi, mancanza di relazioni sulla conclusione o sullo stato dei lavori, varianti e aumenti di spesa non giustificati;
          l'articolo 7, comma 6, del decreto-legge n.  133 del 2014, cosiddetto «Sblocca Italia», prevede: «Al fine di garantire l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa europea in materia di gestione dei servizi idrici, è istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un apposito Fondo destinato al finanziamento degli interventi relativi alle risorse idriche. Il Fondo è finanziato mediante la revoca delle risorse già stanziate dalla delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) 30 aprile 2012, n.  60/2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  160 dell'11 luglio 2012, destinate ad interventi nel settore idrico per i quali, alla data del 30 settembre 2014, non risultino essere stati ancora assunti atti giuridicamente vincolanti e per i quali, a seguito di specifiche verifiche tecniche effettuate dall'ISPRA, risultino accertati obiettivi impedimenti di carattere tecnico-progettuale o urbanistico ovvero situazioni di inerzia del soggetto attuatore. Per quanto non diversamente previsto dal presente comma, restano ferme le previsioni della stessa delibera del CIPE n.  60/2012 e della delibera del CIPE 30 giugno 2014, n.  21/2014, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  220 del 22 settembre 2014, relative al monitoraggio, alla pubblicità, all'assegnazione del codice unico di progetto e, ad esclusione dei termini, alle modalità attuative. I Presidenti delle Regioni o i commissari straordinari comunicano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'elenco degli interventi, di cui al presente comma, entro il 31 ottobre 2014»;
          l'interrogante ha appreso dalla risposta del Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare all'atto di sindacato ispettivo n.  5/05774, presentato in data 10 giugno 2015 dal MoVimento 5 Stelle, che: «sebbene la disposizione rimandi all'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la fissazione di criteri, modalità ed entità delle risorse da destinare al finanziamento degli interventi sempre in materia di adeguamento dei sistemi depurativi, la stessa norma non ha previsto l'assegnazione delle risorse revocate, in “entrata di bilancio dello Stato”». Quindi, in sostanza, il fondo attivato dallo «Sblocca Italia» appare bloccato dallo stesso Governo;
          il sopracitato deficit depurativo non risparmia nessuna provincia calabrese e rischia di compromettere la stessa economia turistica  –:
          se si intendano assumere iniziative per creare un sistema di coordinamento strutturato che sia fuori dalla logica del commissariamento con un mandato chiaro e limitato nel tempo che porti quanto prima ad attivare una gestione ordinaria delle risorse idriche che risponda a criteri di efficacia, efficienza e garantisca trasparenza nelle procedure di affidamento degli interventi e nell'utilizzo dei fondi a disposizione;
          se si intenda consentire ai comuni interessati, in via del tutto eccezionale, a fronte della situazione emergenziale in termini di tutela della salute, l'allentamento dei vincoli del patto di stabilità al solo fine di attuare il programma di efficientamento e rifunzionalizzazione degli impianti di depurazione nei comuni costieri della regione Calabria, onde evitare che la carenza di risorse impegnabili comprometta l'efficacia dell'azione intrapresa;
          se non ritenga necessario ed urgente, per superare le procedure di infrazione avviate dall'Unione europea, accelerare, per quanto di competenza, la realizzazione degli interventi, piuttosto che revocare le relative risorse per le quali ad ora manca anche un intervento normativo specifico o quantomeno colmare immediatamente la lacuna normativa relativa al Fondo istituito dall'articolo 7 comma 6 del decreto «Sblocca Italia»;
          se non      intenda adoperarsi, per quanto di competenza, affinché venga eseguita una mappatura subacquea completa che permetta di individuare la presenza di condotte non segnalate o addirittura volutamente occultate. (3-02464)


      BRUGNEROTTO, D'INCÀ, SPESSOTTO, BUSINAROLO e DA VILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          da organi di stampa si apprende di una allarmante situazione che riguarda l'inquinamento del fiume Fratta, dovuto alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche che vi sarebbero state sversate;
          la presenza di tali sostanze, i famigerati Pfas (che normalmente vengono prodotti per rendere impermeabili stoviglie, carta e stoffe), porrebbero ad alto rischio di inquinamento i corsi d'acqua e conseguentemente la potabilità della risorsa idrica, per tutti quei comuni, in particolare della «Bassa Padovana» e del «Basso Veneto» interessati dall'inquinamento del corso del «Fratta-Gorzone». Infatti, nel comune di Lonigo, in provincia di Vicenza starebbero per cominciare gli esami a campione previsti dal programma di biomonitoraggio voluto dalla regione Veneto e dall'Istituto superiore di sanità proprio per valutare l'incidenza dei Pfas sulla salute dei cittadini del Basso Veneto. Nello specifico sarà effettuato un prelievo di sangue a 80 cittadini delle Usl 5 e 6, precisamente nei, comuni di Brendola, Lonigo e Sarego, a pochi chilometri dai confini padovani, dove sono concentrati aziende e allevamenti agricoli che utilizzano pozzi con valori di Pfas superiori a quelli indicati dall'Istituto superiore di Sanità. Una seconda fase coinvolgerà successivamente altre 160 persone dell'Usl 5  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti;
          se e come intendano assicurare, per quanto di competenza, che siano state adottate tutte le opportune iniziative a salvaguardia del territorio, dell'ambiente e soprattutto della salute dei cittadini, al fine di scongiurare il rischio di disastro ambientale;
          con quali modalità e tempi intendano attivarsi, per il tramite della competente autorità di bacino, al fine di scongiurare il pericolo a cui è esposta la salute dei cittadini residenti nei territori suindicati. (3-02470)


      BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          già nel mese di maggio 2013 il Ministero della salute informava la regione Veneto e il dipartimento provinciale dell'Arpav di Vicenza, che uno studio dell'Irsa-Cnr aveva evidenziato la presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nelle acque potabili di alcuni comuni della provincia di Vicenza, raccomandando gli accertamenti necessari all'individuazione delle fonti di immissione delle sostanze in oggetto e l'attivazione delle conseguenti iniziative di tutela delle acque;
          la regione Veneto chiedeva quindi al Ministero della salute ed all'Istituto superiore di sanità (ISS) informazioni su eventuali rischi per la popolazione dovuti alla presenza dei PFAS nelle acque;
          il Ministero della salute nel mese di luglio 2013 inviava alla regione Veneto il parere dell'Istituto superiore di sanità, dal quale emergeva che anche se non vi era un rischio immediato per la popolazione, in applicazione del principio di precauzione, era necessario adottare adeguate misure per ridurre i rischi e controllare la contaminazione delle acque da destinare e destinate al consumo umano nei territori interessati;
          a seguito di tali indicazioni, L'Arpav procedeva ad effettuare dei campionamenti, volti all'individuazione dei possibili responsabili della contaminazione così come evidenziata nello studio Irsa-Cnr. I campionamenti svolti hanno interessato il collettore fognario Arica che recapita, nel corso d'acqua Fratta-Gorzone a Cologna Veneta, i reflui dei 5 depuratori della zona ovest del Vicentino; lo scarico di 5 impianti di depurazione (Trissino, Montecchio Maggiore, Arzignano, Montebello Vicentino e Lonigo) e gli esiti analitici portavano poi ad effettuare campionamenti anche allo scarico industriale, recapitante al depuratore di Trissino, della società Mitemi spa;
          dalle risultanze dello studio dell'Arpav, a quanto risulta agli interroganti sarebbe emerso che l'impianto di depurazione di Trissino, a cui è allacciata la Mitemi spa, contribuisce per il 96,98 per cento all'apporto totale di Pfas scaricati nel Fratta-Gorzone e sarebbe stato evidenziato che tali impianti di depurazione non erano in grado di abbattere questo tipo di sostanze, nonostante la Mitemi avesse installato un impianto di filtrazione mediante assorbimento a polimeri con capacità di abbattimento dichiarata di circa il 99 per cento. Appare quindi agli interroganti di tutta evidenza il nesso causale tra gli scarichi della Mitemi spa e la contaminazione della falda acquifera;
          nel frattempo si è venuto a delineare uno scenario inquietante che assume le caratteristiche di un vero e proprio disastro ambientale, allargatosi ad ampie aree del Veneto e che coinvolgerebbe 350 mila veneti in 78 comuni (tra le province di Verona, Vicenza e Padova), dove sono a rischio inquinamento i corsi d'acqua e conseguentemente la potabilità della risorsa idrica per tutti i comuni interessati;
          dal punto di vista ambientale, l'Arpav sta effettuando controlli senza soluzione di continuità, su tutto il territorio veneto che è stato valutato e suddiviso in diverse aree a seconda della presenza o meno e dell'entità degli inquinanti rilevati. Dal punto di vista sanitario i controlli pare che dovranno durare una decina d'anni per verificare nel tempo gli eventuali effetti sulla salute e farne una valutazione epidemiologica, con costi stimati in oltre 100 milioni di euro l'anno, da effettuarsi su tutti i residenti dell'area «di massima esposizione» delineata nei comuni di Albaredo d'Adige, Alonte, Arcole, Asigliano Veneto, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant'Anna, Brendola, Cologna Veneta, Legnago, Lonigo, Minerbe, Montagnana, Noventa Vicentina, Poiana Maggiore, Pressana, Roveredo di Guà, Sarego, Terrazzo, Veronella, e Zimella, per un totale di 109.029 persone. La sorveglianza è stata organizzata per tutti ed esente ticket e prevede l'effettuazione di una serie di esami: colesterolo totale, hdl, ldl; glicemia, emoglobina glicata; creatinemia e filtrato glomerulare; enzimi epatici: alt e aat; ormoni tiroidei: ths; acido urico; esame urine: microalbuminuria; pressione arteriosa. Il secondo livello prevede i necessari approfondimenti rivolti a coloro che dovessero presentare anomalie negli esami. Saranno poi chiamati a sottoporsi alla valutazione tutti i cittadini compresi tra 14 e 65 anni ed i controlli verranno ripetuti ogni 12 mesi;
          i fatti su esposti, dovuti all'emissione di dette sostanze, precludono i servizi naturali delle singole risorse coinvolte e determinano un evidente danno ambientale ed una vera e propria emergenza  –:
          se i Ministri interrogati intendano adottare iniziative normative volte ad assicurare la più ampia tutela della salute e dell'ambiente, così come previsto dal decreto legislativo n.  152 del 2006, obbligando in modo stringente l'operatore, ritenuto responsabile del danno ambientale, ad adottare immediatamente tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere ed eliminare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana, e ad adottare le misure immediate di ripristino necessarie. (3-02471)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


      TINO IANNUZZI e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          fin dal 28 aprile 2016 la Comunità dei sindaci (la Comunità del Parco) ha eletto i quattro componenti del Consiglio direttivo del Parco del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni, di sua competenza;
          il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con decreto del 26 aprile 2016 adottato di intesa con il presidente della giunta regionale della Campania, ha nominato il dottor Tommaso Pellegrino presidente del medesimo Parco;
          ciononostante, a distanza di più di quattro mesi, ancora non è stato emanato il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di nomina degli otto componenti del consiglio direttivo, designati quattro dalla Comunità del Parco, uno rispettivamente dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dall'ISPRA, dalle associazioni di protezione ambientale;
          tale ingiustificato e pesante ritardo determina una situazione di pregiudizio molto grave per il funzionamento di tutte le attività dell'Ente Parco, impedendo il corretto e doveroso governo dell'Ente medesimo in tutti i suoi organi;
          da notizie di stampa risulta che il decreto è stato finalmente adottato ed è in via di pubblicazione  –:
          quando e con massima urgenza, senza ulteriori gravi e dannosi ritardi, sarà finalmente pubblicato il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di nomina del consiglio direttivo dell'Ente Parco del Cilento, del Vallo di Diano e degli Alburni. (5-09429)


      PASTORELLI e ZANIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          ritorna alla ribalta, per alcuni articoli apparsi sui quotidiani, il problema che investe l'area geografica della Laguna Nord di Venezia e, nello specifico, l'impatto sulla morfologia lagunare del moto ondoso sulle barene;
          la morfologia lagunare si articola principalmente in canali e ghebi, bassifondi, velme, paludi e barene, che si differenziano per il loro livello rispetto alle quote dell'escursione mareale;
          le barene, in particolare, sono veri e propri fondali lagunari corrispondenti alla fascia intertidale superiore, vale a dire fondali prevalentemente emersi, coperti da vegetazione alofila ma regolarmente sommersi nelle condizioni di normale alta marea. I caratteri morfologici, strutturali e funzionali sono condizionati dalle variabili legate alla sommersione in misura tale da poter considerare queste superfici un'estensione dell'ambiente acqueo. La morfologia delle barene, come quella dei fondali sommersi, è di fondamentale importanza per la salute della laguna capace di assicurare contemporaneamente più funzioni: protezione delle superfici emerse e delle sponde dei canali, orientamento e dissipazione delle energie delle correnti, cattura dei sedimenti, fitodepurazione, interscambio tra acque a diversa salinità;
          ai processi di erosione naturali si aggiunge un deleterio processo di erosione provocato dal moto ondoso dei natanti a motore che, non rispettando i limiti di velocità previsti dalle ordinanze, mettono quotidianamente a repentaglio la salute di queste aree contribuendo a modificarne le caratteristiche morfologiche;
          l'erorsione, dunque, e la mancata manutenzione delle barene che possono essere considerate come l'anello centrale di una lunga catena che unisce secondo ben precise successioni spaziali ambienti diversi con precise funzioni atte a mantenere integro l'ambiente lagunare sta determinando dei cambiamenti ambientali drammatici per la laguna veneziana;
          le barene appaiono dunque visibilmente aggredite dal moto ondoso generato dal traffico acqueo e dalla mancanza di una seria e coordinata manutenzione  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di salvaguardare l'importanza ecologica delle barene attraverso un sistema di contenimento dei processi di erosione che può essere attuato solo attraverso la predisposizione di un'adeguata manutenzione.
       (5-09430)


      TERZONI, ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il Governo, con l'articolo 35 del decreto-legge n.  133 del 12 settembre 2014 detto «Sblocca Italia», convertito dalla legge 11 novembre 2014, n.  164, si è attribuito la facoltà di predisporre un Piano nazionale per l'incenerimento dei rifiuti da approvare attraverso un successivo decreto;
          l'articolo 35 del decreto è stato successivamente impugnato davanti alla Corte Costituzionale dalla regione Lombardia; l'udienza è prevista per l'autunno inoltrato;
          lo schema attuato di decreto è stato presentato alla Conferenza Stato-regioni a settembre 2015, ricevendo un parere favorevole il 5 febbraio 2016, con il voto sfavorevole di Campania e Lombardia e la richiesta di alcuni emendamenti da parte di altre regioni, in particolare sui contenuti dei piani regionali sui rifiuti;
          il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha attivato il 15 marzo 2016 la procedura di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica del programma nazionale da approvare con il decreto, pubblicando il Rapporto Preliminare Ambientale relativo al Programma nazionale di impianti di incenerimento per rifiuti urbani ed assimilati;
          nel rapporto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i redattori interpretano la normativa ritenendo che il Piano nazionale sarà sovraordinato ai Piani regionali esistenti e a quelli in fase di redazione, che dovranno adeguarsi al quadro tracciato dal Governo nazionale. Resterà alle regioni, secondo i funzionari ministeriali, il compito di definire la localizzazione e l'iter amministrativo per la costruzione degli impianti che sulla base del decreto assumeranno la classificazione di «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale»;
          il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel rapporto preliminare rivolto alle sole autorità con competenze ambientali, sostiene che il piano debba essere escluso dalla fase pubblica di valutazione ambientale strategica. I redattori del rapporto sostengono, infatti, che non è possibile procedere a valutare gli effetti ambientali del piano poiché la redazione del piano corrisponde ad una fase programmatica;
          se il piano non verrà sottoposto a valutazione ambientale strategica completa verrà meno il confronto con cittadini, associazioni ed enti locali, obbligatorio per la fase completa;
          il piano prevede la costruzione di oltre dieci nuovi impianti per incenerire 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti in più all'anno nel Paese;
          da un punto di vista tecnico basterebbe prendere in considerazione le emissioni (di polveri, diossine, metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici e altro) per tonnellata di rifiuti incenerita in un impianto italiano e moltiplicarlo per le quantità di rifiuti che il Ministero vorrebbe far incenerire per avere un dato certo di inquinamento da cui partire per valutare gli effetti sull'ambiente di questo programma;
          nello scorso inverno l'intero Paese per settimane si è bloccato a causa dell'inquinamento da polveri sottili con gravi conseguenze sanitarie ed economiche;
          l'Italia è altresì sotto procedura d'infrazione proprio perché già ora non rispetta gli standard ambientali per la qualità dell'aria, con conseguenze catastrofiche dal punto di vista della salute dei cittadini e morti a decine di migliaia secondo le massime autorità comunitarie in campo ambientale;
          le ceneri derivanti dall'incenerimento di una così ampia quantità di rifiuti dovranno comunque essere oggetto di smaltimento e di tutto ciò non vi è traccia nel documento ministeriale;
          diverse regioni (Veneto, Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio, Campania, Emilia Romagna, Lombardia) nei loro pareri hanno evidenziato la necessità di sottoporre a valutazione ambientale strategica il programma, rilevando importanti criticità sia di carattere procedurale che tecnico; a mero titolo di esempio la regione Veneto ritiene che il documento presentato dal Ministero non soddisfi i criteri previsti dal decreto legislativo n.  152 del 2006 e che non sia perseguibile la strada indicata dal Ministero e, cioè, ricondurre la problematica a VAS regionali, in quanto stabilendo delle invarianti (il ricorso all'incenerimento) a cui le regioni dovrebbero attenersi strettamente verrebbe meno alla radice l'intento della VAS e, in particolare, il confronto tra alternative per la risoluzione delle problematiche di gestione e smaltimento dei rifiuti;
          in questo senso si ricorda che l'articolo 4 della direttiva 98/2008/CE individua una gerarchia per quanto riguarda le modalità di gestione dei rifiuti, ponendo l'incenerimento al quarto posto su cinque opzioni;
          la stessa Commissione europea (nota E-003288/2016) rispondendo all'interrogazione E003288/2016/riv.1 degli Eurodeputati Marco Affronte (EFDD), Laura Ferrara (EFDD), Marco Zullo (EFDD), David Borrelli (EFDD), Isabella Adinolfi (EFDD), Dario Tamburrano (EFDD) e Eleonora Evi (EFDD) ha chiarito recentemente che qualora un programma rientri nel campo di applicazione della direttiva 2001/42/CE deve essere sottoposto a Valutazione ambientale  –:
          se il rapporto preliminare ambientale di cui in premessa abbia recepito le richieste espresse da diverse regioni in Conferenza Stato-regioni circa la validità dei propri piani, già approvati o in via di aggiornamento, qualora escludano il ricorso all'incenerimento e quindi se il Ministro non ritenga di recepire immediatamente le indicazioni delle regioni e della Commissione europea attuando la procedura di assoggettabilità alle VAS del piano di cui in premessa che prevede la fase di confronto con i cittadini e le organizzazioni sociali, nonché con gli enti locali come i comuni, tenendo conto che l'impatto sulla qualità dell'aria e sulle altre matrici ambientali nonché sulla salute umana è facilmente desumibile. (5-09431)


      PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          «La geoingegneria – detta anche ingegneria del clima – è un vasto insieme di metodi e tecnologie che mirano ad alterare deliberatamente il sistema climatico al fine di alleviare l'impatto dei cambiamenti climatici»;
          il Panel Internazionale per il Riscaldamento Climatico (IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite nel suo Quinto Rapporto (AR5) del settembre 2013, ha nominato per la prima volta la geoingegneria come tecnica in grado di controllare il riscaldamento globale senza dover ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, richiamando SRM (acronimo che sta per Solar Radiation Management, cioè, in italiano, gestione – ovvero contenimento, ovvero mitigazione, riduzione, blocco, etc – della radiazione solare);
          nel predetto rapporto (AR5) non sono stati chiariti gli effetti dell'applicazione delle tecniche di alterazione deliberata del sistema climatico SRM e CDR (Carbon Dioxide Removal) sull'ecosistema;
          pur tuttavia vi è evidenza pubblica nei lavori dell'IPCC (WG I) del riferimento già nel titolo (capitolo 7) alla tecnica dell'SRM mediante irrorazione di «Nuvole e Aerosol», pratica di cui non vi è certezza scientifica circa gli effetti sull'ecosistema e, indirettamente, sull'uomo;
          l'uso di aerosol diffondenti in quota allo scopo di aumentare la riflettività (albedo) della Terra, richiama con forza il tema dell'ATRMF (active technical management of radioactive forcing), progetto di cui fu protagonista lo scienziato Edward Teller (E. Teller, R. Hyde e L. Wood «Global Warming and Ice Ages», 1997. E. Teller, R. Hyde e L. Wood «Active Climate Stabilization: Practical Physics-Based Approaches to Prevention of Climate Change», 2002) ed i cui studi risultano essere stati presentati a Erice, al «22-esimo seminario internazionale delle Emergenze Planetarie» ed a Washington, in occasione del Simposio dell'Accademia Nazionale d'Ingegneria;
          da un recente studio condotto presso l'aeroporto di Zurigo dall’Institute for Atmospheric and Climate Science, ETH Zurich, al fine di stabilire la composizione chimica dei gas di scarico delle turbine dei velivoli, è stato possibile riscontrare composti metallici tutti internamente mescolati con le particelle di fuliggine, tra cui cromo, ferro, molibdeno, vanadio, alluminio, bario, rame, piombo, nickel, manganese, titanio, zirconio, calcio, sodio, silicio, condizione anomala e impropria alla combustione;
          quanto precede parrebbe pertanto già smentire la circostanza che saremmo soltanto ad una fase di studio in laboratorio della tecnica dell'SRM, condizione peraltro non chiarita dal rapporto IPCC laddove si legge in modo contraddittorio che: «Fintantoché le concentrazioni di gas serra continuassero ad aumentare, si richiederebbe un aumento proporzionale di SRM, esacerbandone gli effetti collaterali». Con il chiaro riferimento ad un «aumento proporzionale», che confermerebbe viceversa il fatto di trovarsi ad una fase avanzata del progetto SRM e ad effetti collaterali che nel seguito il rapporto così sintetizza: «Inoltre, con grande probabilità, un aumento del SRM a livelli considerevoli comporterebbe il rischio che un'interruzione delle stesse, per qualsiasi motivo, risulti in un rapido aumento (entro un decennio o due) delle temperature superficiali a valori coerenti con la concentrazione di gas serra, il che sottoporrebbe a forte sollecitazione i sistemi sensibili ai cambiamenti climatici. Infine, l'SRM non sarebbe in grado di compensare l'acidificazione degli oceani dovuta all'aumento di CO2.»;
          la cooperazione tra lo Stato Italiano ed il Governo degli Stati Uniti sul tema del riscaldamento globale ha visto un'importante accelerazione a seguito della firma dell'accordo Italia-U.S.A. del 2002 definito «Piano dettaglio accordo Italia U.S.A. sul clima»;
          tale accordo non esclude l'applicazione della tecnica geoingegneristica dell'SRM, che pare invece contemplarla nel WORKPACKAGE 10 dal titolo «Esperimenti di manipolazione degli ecosistemi terrestri» (pag. 38);
          i recenti accordi di Parigi, volti a stabilizzare l'aumento della temperatura al di sotto dei 2oC, non mitigano le preoccupazioni ed i dubbi sulle applicazioni delle scienze geoingegneristiche al clima, posto che solo una drastica ed immediata riduzione della CO2 attraverso l'abbandono del fossile e un immediato processo di conversione alle fonti di energie rinnovabili potranno consentire di raggiungere l'ambizioso traguardo che è la salvaguardia del pianeta dal rischio della sua autodistruzione a causa dell'aumento della sua temperatura;
          a tutt'oggi non è dato sapere agli interroganti in che modo o forma il Governo italiano è impegnato nell'applicazione delle scienze geoingegneristiche in forza del richiamato trattato e degli atti successivi  –:
          alla luce di quanto esposto in premessa, al fine di tutelare l'ambiente dall'applicazione delle tecniche geoingegneristiche, quali accertamenti ed eventuali riscontri si siano avuti riguardo agli effetti collaterali sull'ecosistema ed il loro grado di inquinamento per l'uomo, l'ambiente e la biodiversità. (5-09432)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          si apprende da fonti stampa che in data domenica 28 agosto 2016 nella città di Falconara, a partire dalle ore 10.00, si sono diffuse nauseabonde esalazioni di idrocarburi – a tratti agliacee, simili a gas – a causa delle quali i cittadini, allarmati dal fenomeno odorigeno, hanno tempestato di chiamate i numeri per le emergenze ambientali del comune di Falconara Marittima, dei vigili del fuoco di Ancona, dell'agenzia regionale per la protezione ambientale, nonché dei Carabinieri della tenenza di Falconara Marittima;
          il fenomeno ha avuto una durata di quasi due ore;
          in un primo momento le esalazioni si sono diffuse nella zona del quartiere Fiumesino, proprio di fronte alla raffineria Api, e, poi, sono state sospinte dalla brezza verso la spiaggia e la città; in particolare sono state avvertite intensamente dai bagnanti che erano in spiaggia a Villanova intorno alle 10:30;
          alle 11:19 circa i vigili del Fuoco sono arrivati a Falconara da Ancona, avviando una serie di sopralluoghi prima in città con i rilevatori di gas, e, poi, intorno alle 12:31 presso la raffineria Api insieme ai tecnici dell'Arpam; nessun sopralluogo nella raffineria è stato effettuato dagli agenti della polizia municipale che, giunti sul posto, si sono limitati ad ascoltare le relazioni dei vigili del fuoco già    presenti;
          sempre da fonti stampa si apprende che la mattina del 28 agosto 2016 sono state avvistate due petroliere attraccate al pontile e all'isola della raffineria Api: forse si tratta della Ft Albaro e della Ft Quinto della compagnia Furtrans;
          le stesse fonti riferiscono della possibile presenza di una petroliera, non visibile dalla costa, anche alla monoboa SPM della raffineria;
          si tratta di una ricostruzione che sembrerebbe confermata anche da diversi giornali;
          sul Resto del Carlino del 6 settembre 2016 si legge che l'Arpam, in una lettera del 1o settembre 2016 indirizzata al Ministro dell'ambiente, all'Ispra, alla regione Marche ed al comune di Falconara, ha dichiarato di aver trasmesso gli atti alla procura di Ancona ed anche per conoscenza anche ai carabinieri del Nucleo ecologico ambientale;
          nel rapporto trasmesso alla Procura della Repubblica l'Arpam riferisce che «proveniva da una nave ormeggiata all'isola dell'Api un odore simile a quello avvertito dai residenti il 28 agosto scorso» (Resto del Carlino – Falconara – del 6 settembre 2016 «Risolto il mistero dei cattivi odori: provenivano da una petroliera – era ormeggiata all'isola dell'Api, l'Arpam informa la Procura»);
          dalle stesse fonti stampa si apprende che «stando a indiscrezioni, nella prima mattinata del 28 agosto, il personale dell'Api aveva segnalato ai responsabili aziendali l'emissione di un forte odore di idrocarburi dalla nave in attracco. Il comandante della nave cisterna aveva quindi modificato l'assetto delle valvole ed il fenomeno si era arrestato. Non è ancora ufficialmente accertato che la nube puzzolente provenisse direttamente dalla petroliera ... ...» (Resto del Carlino – Falconara – del 6 settembre 2016 «Risolto il mistero dei cattivi odori: provenivano da una petroliera – era ormeggiata all'isola dell'Api, l'Arpam informa la Procura»);
          nella stessa lettera dell'Arpam del 1o settembre si legge che la Capitaneria di Porto, cui l'Agenzia di protezione ambientale aveva chiesto supporto per l'ispezione delle strutture a mare, «ha comunicato per vie brevi che su una nave ormeggiata per effettuare il carico di olio combustibile sono stati avvertiti odori analoghi a quelli rilevati nell'ambito di Falconara Marittima» (Resto del Carlino – Falconara – del 6 settembre 2016 «Risolto il mistero dei cattivi odori: provenivano da una petroliera – era ormeggiata all'isola dell'Api, l'Arpam informa la Procura»);
          situazioni di criticità ambientale come quella verificatasi a Falconara Marittima nella mattina del 28 agosto 2016 coinvolgono, secondo l'interrogante, plurimi livelli di Governo;
          l'articolo 20 del decreto legislativo 13 agosto 2010 n.  155, «Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa», intitolato «coordinamento tra Ministero, regioni ed autorità competenti in materia di aria e ambiente», dispone, al comma 1, che «è istituito, presso il Ministero dell'ambiente, un coordinamento tra i rappresentanti di tale Ministero, del Ministero della salute, di ogni regione e provincia autonoma, dell'Unione delle province italiane (UPI) e dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Partecipano al Coordinamento rappresentanti dell'ISPRA, dell'ENEA e del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e di altre autorità competenti all'applicazione del presente decreto, e, su indicazione del Ministero della salute, rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, nonché, su indicazione della regione o provincia autonoma di appartenenza, rappresentanti delle agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente;
          il Coordinamento opera attraverso l'indizione di riunioni periodiche e la creazione di una rete di referenti per lo scambio di dati e di informazioni»; il comma 2 del medesimo articolo 20 individua, poi, le funzioni del Coordinamento previsto dal comma 1, stabilendo che tale organismo «... assicura, anche mediante gruppi di lavoro, l'elaborazione di indirizzi e di linee guida in relazione ad aspetti di comune interesse e permette un esame congiunto di temi connessi all'applicazione del presente decreto, anche al fine di garantire un'attuazione coordinata e omogenea delle nuove norme e di prevenire le situazioni di inadempimento e le relative conseguenze». Tra i partecipanti al Coordinamento, l'articolo 20 del decreto legislativo 13 agosto 2010 n.  155 indica, quindi, anche rappresentanti dell'ISPRA e dell'Istituto    superiore di sanità, nonché delle agenzie per la protezione dell'ambiente, regionali e provinciali  –:
          se i Ministri interrogati intendano convocare il Coordinamento di cui all'articolo 20 del decreto legislativo n.  155 del 2010 al fine di garantire una piena sinergia e cooperazione tra i diversi livelli di Governo coinvolti, in considerazione della insistenza della raffineria Api nel Sin di Falconara ed in una area ad elevato rischio di crisi ambientale, anche al fine della eventuale piena attuazione del «piano di emergenza esterno» predisposto dalla prefettura – U.T.G. di Ancona ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 17 agosto 1999 n.  334 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2005, nonché del «Piano operativo di pronto intervento» predisposto dalla capitaneria di Porto di Ancona e della verifica del loro corretto adempimento in data 28 agosto 2016, ove l'evento risultasse classificabile come incidente rilevante;
          se i Ministri interrogati intendano, per quanto di competenza, attivare tutti i poteri ispettivi conferiti dalla legge, anche al fine di reperire copia dei registri di carico/scarico delle navi dal pontile, dall'isola e dalla piattaforma SPM e di ogni altro documento utile ad individuare i serbatoi interessati dalle operazioni con le navi in data 28 agosto 2016, compresi i registri dei travasi di prodotti da un serbatoio all'altro e di quelli della marcia degli impianti di desolforazione della raffineria Api;
          se si possano rendere note il prima possibile tutte le informazioni di cui il Governo è in possesso in relazione al fenomeno odorigeno del 28 agosto 2016, anche al fine di favorire l'accertamento di eventuali responsabilità;
          se si intendano adottare tutte le iniziative necessarie ad evitare il ripetersi di fenomeni analoghi a tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini. (5-09435)

Interrogazioni a risposta scritta:


      RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nella città di Roma è in atto uno stato di vera e propria emergenza per quanto attiene al mancato smaltimento dei rifiuti, rispetto alla quale la neo insediata giunta sembra non riuscire a trovare una soluzione;
          stando al piano operativo trasmesso dall'Ama al sindaco e all'Assessore all'ambiente, nella capitale è presente una massa di rifiuti a terra stimata tra le duecento e le trecento tonnellate;
          nell'ambito delle polemiche scoppiate in merito alla questione assume particolare rilievo la vicenda dell'incontro, avvenuto in uno studio privato, tra il deputato del Movimento cinque stelle Stefano Vignaroli, un esponente del Consorzio laziale per i rifiuti Co.la.ri, il presidente di «Ama S.p.A.» Daniele Fortini e l'assessore capitolino all'ambiente Paola Muraro;
          il Co.la.ri. è di proprietà di Manlio Cerroni, già arrestato nel 2014 nell'ambito dell'inchiesta condotta dal Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri proprio in merito alla gestione dei rifiuti nel Lazio, e ha gestito la discussa discarica di Malagrotta sino alla sua chiusura;
          stando alle indiscrezioni riportate dal quotidiano La Repubblica nell'ambito di tale incontro sarebbe stato siglato un accordo con il Consorzio per il trattamento di duecento tonnellate di rifiuti indifferenziati in più da trattare quotidianamente negli impianti di sua proprietà;
          il deputato Vignaroli è il vice presidente della commissione parlamentare che si occupa degli illeciti nello smaltimento dei rifiuti, vale a dire una commissione d'inchiesta con poteri analoghi a quelli della magistratura che dovrebbe vigilare proprio su questi temi e, di conseguenza, a parere dell'interrogante, il suo incontro «segreto» con una società che è stata oggetto di indagine da parte della magistratura appare del tutto incompatibile con il suo ruolo;
          il decreto-legge 12 settembre 2014, n.  133, cosiddetto «sblocca Italia», nell'ambito della rete nazionale di termovalorizzatori, ha rilevato la necessità che la regione Lazio sia dotata di un impianto di duecentodiecimila tonnellate, oltre a dover costruire impianti di trattamento necessari a rispondere ad un fabbisogno residuo di compostaggio che ammonta a cinquecentomila tonnellate annue;
          il Ministro interrogato ha già avuto modo di esprimere la sua preoccupazione in merito alla vicenda dell'emergenza rifiuti a Roma nel corso del question time svoltosi il 3 agosto 2016 alla Camera e ha invitato i competenti organi comunali e regionali ad agire in fretta;
          la città di Roma, attraendo ogni anno decine di migliaia di turisti da tutto il mondo, costituisce la principale vetrina della nostra nazione, e deve essere in condizione di accoglierli degnamente senza montagne di rifiuti lungo le strade  –:
          se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere con riferimento alla grave situazione di cui in premessa. (4-14103)


      FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ricevuto dalla società Pengas Italiana s.r.l. con sede in Milano, che già ha inoltrato diverse domande di ricerca di idrocarburi, la richiesta di poter verificare la presenza di gas in territorio cremasco, in provincia di Cremona, tra Gallignano e Fontanella al Piano, al confine con la provincia di Bergamo;
          il progetto di estrazione si inserisce nel progetto di estrazione nell'area del comune bergamasco di Calcio;
          la richiesta fatta al Ministero riguarda un pozzo esplorativo della profondità di 2 chilometri, necessario a verificare eventuale presenza di idrocarburi;
          la perforazione avrebbe luogo a pochi metri dal borgo medievale di Soncino, attrazione turistica della Lombardia;
          il territorio di Soncino è indicato nell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n.  3274/2003, aggiornata con la delibera della giunta regionale della Lombardia dell'11 luglio 2014 n.  2129, entrata in vigore il 10 aprile 2016, come zona sismica 3, di conseguenza soggetto a possibili lievi scuotimenti;
          l'area coinvolta rientra in un'ampia zona già intensamente interessata da attività di stoccaggio gas in giacimenti esausti in cui si utilizza la tecnica di sovrapressione;
          i cittadini e le cittadine del territorio risultano preoccupati per l'eventualità di trivellazioni, che potrebbero comportare rischi e disagi;
          il sindaco di Soncino non era stato informato dell'operazione  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per evitare che il territorio del comune di Soncino e la Pianura padana in generale vengano interessati da nuove esplorazioni e possibile apertura di nuovi pozzi di sfruttamento di idrocarburi;
          quale sia l'orientamento del Ministro interrogato rispetto all'esigenza di convertire il fabbisogno energetico dell'Italia con fonti pulite e rinnovabili, come previsto dalle strategie europee dal nostro Paese sottoscritte ma non sufficientemente praticate. (4-14104)


      SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 22 agosto 2016 il presidente del comitato e Associazione salute e vita di Salerno ha consegnato al capitano del Nucleo operativo ecologico di Salerno copia di una denuncia precedentemente inviata alla Procura della Repubblica e sottoscritta da circa 400 cittadini abitanti nell'area circostante le strutture afferenti alle Fonderie Pisano & C.;
          la denuncia riguarda intollerabili miasmi e la presenza di polvere nere sottili di natura metallica che si sarebbero propagati nel periodo intercorrente tra il 1o ed il 9 agosto 2016;
          gli odori, acri e soffocanti, talmente intensi da tenere intere famiglie pressoché bloccate in casa per giorni, sarebbero coincise con il periodo di riapertura momentanea delle Fonderie Pisano & C. disposto dalla magistratura per consentire alcuni controlli da parte dell'Arpac;
          gli effetti delle esalazioni in questione si sono avvertiti anche nei giorni seguenti, con il rischio di gravi compromissioni della salute dei soggetti a rischio (come ad esempio anziani, donne in stato di gravidanza e cardiopatici);
          nelle fasi di chiusura delle Fonderie Pisano & C. disposte dalla regione prima e dalla magistratura poi sulla base di rilievi dell'Arpac, secondo la quale vi sarebbe un evidente pericolo per la salute della popolazione e per l'ambiente, la cittadinanza ha percepito e segnalato un miglioramento delle condizioni dell'aria;
          dagli atti dei procedimenti giudiziari relativi alla vicenda emerge che tra le cause del problema vi sarebbe un vetusto ed inadeguato sistema di captazione dei fumi di produzione e l'emissione di fumi contenenti polveri di natura cancerogena;
          ciò renderebbe l'impianto assolutamente incompatibile con il contesto urbano nel quale è inserito;
          due anni fa l'Arpac ha rilevato la presenza di piombo cadmio e altri metalli pesanti con valori superiori ai limiti di legge, ed analoghi risultati hanno avuto le analisi effettuate dall'ISDE poche settimane fa nelle acque del fiume Irno;
          il 4 aprile 2016 l'interrogante aveva già presentato un'interrogazione a risposta scritta ai Ministri interrogati sullo stesso argomento, in cui si segnalavano i rischi per la salute della popolazione locale e si chiedeva un intervento al fine di garantire il rispetto dei diritti lavorativi e occupazionali dei dipendenti della società e dell'altrettanto importante diritto alla salute degli stessi e degli abitanti della zona;
          a tale interrogazione non è tuttora stata data risposta, nonostante la gravità e l'urgenza della vicenda  –:
          se i Ministri interrogati non ritengano doveroso, urgente ed ormai improrogabile, per quanto di competenza, un intervento immediato al fine di garantire il diritto alla salute di chi abita nei pressi delle Fonderie Pisano & C. (4-14111)


      PRODANI, MUCCI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          «Natura 2000», istituita ai sensi della direttiva 92/43/CEE «Habitat» e recepita dal regolamento contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n.  357 e successive modifiche, è una rete ecologica dell'Unione europea per la conservazione della biodiversità; è costituita da siti di interesse comunitario (SIC) — individuati dai singoli Stati membri e successivamente designati come zone speciali di conservazione (ZSC) — e comprende anche le zone di protezione speciale (ZPS) istituite ai sensi della direttiva 2009/147/CE «Uccelli» sulla conservazione dei volatili selvatici, recepita nel nostro ordinamento dalla legge n.  157 del 1992 sulle norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio;
          le aree che costituiscono parte integrante di «Natura 2000» non sono riserve protette dove le attività umane sono escluse: la direttiva «Habitat», infatti, garantisce la protezione della natura tenendo anche «conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali» (articolo 2). Quindi, soggetti privati possono essere proprietari dei siti «Natura 2000», assicurandone però una gestione sostenibile sia dal punto di vista ecologico che economico, ed è prevista una valutazione d'incidenza (articolo 6) per gli interventi umani, demandata alle competenti autorità statali (nel caso italiano alle regioni);
          la valutazione è il procedimento di carattere preventivo al quale è necessario sottoporre qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative su un sito della rete Natura 2000, singolarmente o congiuntamente considerato insieme ad altri piani e progetti, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito stesso;
          il sito online www.magredinatura2000.it nella sezione «il SIC Magredi del Cellina — Regime di Tutela» spiega come tale sito «comprenda una serie di superfici già tutelate dalla norma regionale sia da un punto di vista naturalistico che paesaggistico:
              un'Area di Rilevante Interesse Ambientale (ARIA) individuata ai sensi della legge regionale n.  42 del 1996 denominata «Fiume Meduna e torrente Cellina» in cui il Piano Regolatore Generale Comunale deve mantenere contenuti di tutela, recupero e valorizzazione dell'ambiente e del paesaggio;
              un cospicuo numero di aree a prato stabile, per lo più di proprietà pubblica statale e regionale (Demanio militare e Demanio idrico regionale), censiti ed inseriti nell'inventario dei prati stabili di pianura ai sensi della legge regionale n.  9 del 2005 che ne impedisce la riduzione di superficie e la trasformazione colturale;
              una serie di superfici di tutela paesaggistica individuati ai sensi del decreto legislativo n.  42 del 2004 in cui fra l'altro vengono salvaguardati i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua (e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna) iscritti in appositi elenchi previsti dalle disposizioni di legge»;
          inoltre, il medesimo sito spiega che «il SIC Magredi del Cellina è ricompreso nella più ampia Zona di Protezione Speciale “Magredi di Pordenone” individuata ai sensi della “Direttiva Uccelli” in quanto area di fondamentale importanza per molte specie avifaunistiche (...) La Direttiva non solo protegge gli uccelli vietandone la cattura, l'uccisione indiscriminata e la distruzione di nidi e di uova, ma impone anche l'obbligo di conservare, mantenere e ripristinare una superficie sufficiente di habitat indispensabili alla loro vita; inoltre, questi ultimi debbono essere oggetto di specifiche misure di conservazione»;
          per queste ragioni nei «Magredi del Cellina», in quanto ZPS, valgono le «Misure di conservazione generali» previste dalla legge regionale n. 14 del 2007 e, in quanto SIC, sono già vigenti le «Misure di salvaguardia generali» approvate dalla legge regionale n.  7 del 2008. Tali misure, nel complesso vietano l'apertura e la realizzazione di nuove cave e discariche o l'ampliamento di quelle esistenti, l'eliminazione degli elementi naturali e seminaturali caratteristici del paesaggio agrario con alta valenza ecologica, lo svolgimento di attività di circolazione con veicoli a motore al di fuori dalle strade, la conversione ad altro uso delle superfici a prato o pascolo permanente;
          all'interno della ZPS «Magredi di Pordenone» di importanza comunitaria individuati ai sensi della direttiva «Uccelli» sono presenti ben 4 siti di Importanza comunitaria individuati ai sensi della direttiva «Habitat»: «Torbiera di Sequals», «Magredi di Tauriano», «Magredi del Cellina», «Risorgive del Vinchiaruzzo» (...);
          il quotidiano Il Gazzettino, sezione città di Pordenone del 17 luglio 2016, in un articolo dal titolo «Cellina Meduna, una parte destinata ai lanci dell'aerobrigata dell'UsArmy» riporta la notizia del rinnovo disciplinare dell'uso del poligono Cellina Meduna da parte di Mariagrazia Santoro, assessore alle infrastrutture e territorio della regione Friuli Venezia Giulia, alla 173esima Aerobrigata UsArmy di Vicenza. Il poligono ora presenta al suo interno una nuova area per le esercitazioni dell'Aerobrigata. La nota stampa illustra come: «(...) per quanto concerne gli altri utilizzatori del poligono (in primis il nostro esercito) l'attività in bianco con i carri armati potrà essere svolta anche nell'area conosciuta come “Magredi di Cordenons”, che da tempo era stata abbandonata per la contaminazione da torio radioattivo determinatasi con l'uso di missili controcarro (...)»  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
          quali siano i suoi orientamenti, per quanto di competenza, circa il rinnovo del disciplinare d'uso del poligono Cellina Meduna per l'utilizzo degli aviolanci della 173o Aerobrigata statunitense;
          quali iniziative, per quanto di competenza, intenda attuare per scongiurare eventuali conseguenze ambientali con rilevante incidenza sul sito di importanza comunitaria del Cellina derivanti dalle attività militari concesse dalla regione Friuli Venezia Giulia. (4-14134)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


      BORGHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          con la legge di stabilità 2016, grazie all'accoglimento di un emendamento dei parlamentari democratici Mauro Guerra, Chiara Braga, Daniele Marantelli, Maria Chiara Gadda, Angelo Senaldi, Enrico Borghi e Paola Bragantini, recepito nel comma 594, è stato ripristinato lo sconto fiscale alla pompa per le zone di confine di Piemonte e Lombardia;
          tale atto rifinanzia il provvedimento originario con il quale lo Stato concedeva alle zone di confine con la Svizzera e l'Austria – sulla base di specifiche leggi regionali che regolano le modalità – uno sconto fiscale alla pompa al fine di rendere competitive le stazioni di frontiera ed evitare in tal modo una perdita di gettito fiscale derivante dalla scelta degli automobilisti di usufruire delle stazioni di servizio svizzere;
          la particolarità della misura consiste nella stabilizzazione del contributo per lo sconto alla pompa, che diventa di 5 milioni di euro fissi all'anno a decorrere dal 1o gennaio 2017;
          spetta alle regioni interessate (Lombardia e Piemonte) stabilire le modalità operative del nuovo provvedimento, destinato ad essere applicabile nelle zone di confine;
          come disposto dal richiamato comma 594, il Ministero dell'economia e delle finanze deve adottare entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità 2016, uno specifico decreto ministeriale volto a determinare le modalità di ripartizione delle risorse tra le regioni interessate;
          la regione Lombardia risulta aver dato attuazione al provvedimento, mediante abilitazione della Carta regionale dei servizi (CRS) al fine di consentire ai cittadini delle zone interessate di beneficiare della riduzione del prezzo del carburante alla pompa, mentre non si hanno notizie o riscontri di un'attività in tal senso da parte della regione Piemonte, e che i ritardi nell'attuazione del provvedimento vanno a scapito dell'erario nazionale e degli automobilisti delle zone di confine piemontesi, Ossola e Verbano  –:
          se il Ministero interrogato abbia provveduto all'emanazione del decreto determinante le modalità di riparto delle risorse tra le regioni interessate;
          a quale livello sia il grado di istruttoria avviato dal Ministero dell'economia e delle finanze in collaborazione con la regione Piemonte, nonché con le altre regioni interessate dal provvedimento sopra richiamato, per dare attuazione a quanto previsto dal comma 594 della legge di stabilità del 2016. (4-14106)


      GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          alla fine del 2015 Apple Italia ha raggiunto un accordo con il fisco italiano per sanare l'evasione di quasi un miliardo di euro risalente al periodo 2008-2013 durante il quale il gruppo ha omesso di versare nella casse dell'erario italiano la quota Ires per un valore di 880 milioni di euro;
          l'accordo ha previsto che Apple pagasse soltanto un terzo del debito, pari a circa 318 milioni di euro, secondo quanto richiesto nei verbali di accertamento, costituendo di fatto un pregiudizio per i contribuenti italiani in generale, ed in particolare per coloro che, presentando pendenze con il fisco, sono dallo stesso fortemente vessati;
          qualche giorno fa, la Commissione europea, nelle vesti di Margrethe Vestager, commissaria alla concorrenza, ha condannato Apple a pagare all'Irlanda 13 miliardi di euro di tasse arretrate, che salirebbero quasi a 18 con gli interessi;
          la Commissione ha infatti ritenuto che l'Irlanda abbia permesso ad Apple di usufruire di benefici fiscali classificabili come aiuti di Stato  –:
          come il Ministro interrogato, alla luce di quanto deciso dalla Commissione europea, intenda procedere in merito alla posizione fiscale di Apple, tenuto conto del fatto che la transazione del fisco italiano con la multinazionale, intervenuta alla fine del 2015, risulta, alla luce dei fatti, costituire un probabile aiuto di Stato, nonché un danno economico alle casse dell'erario.
       (4-14107)


      DISTASO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in data 9 agosto 2016, come successivamente emerso, anche attraverso apposita richiesta di accesso agli atti rivolta al sindaco, il comune di Bari ha ricevuto, da parte dell'Ispettorato generale di finanza (Igf) della Ragioneria generale dello Stato, una relazione contenente corpose contestazioni relative ad irregolarità rilevate, nel periodo 2010-2015, riguardo alla consistenza ed alla gestione del Fondo di trattamento dei salari accessori nel comune di Bari;
          detta relazione conterrebbe altresì puntuali contestazioni in merito alla violazione dei diritti di mobilità nei concorsi e alla mancanza di un regolamento per l'acquisizione di beni e servizi;
          il danno ipotizzato, per le casse municipali, ammonterebbe a circa 50 milioni di euro;
          per mera coincidenza, sempre a fine agosto, in consiglio comunale si è discussa, e poi approvata (con soli diciotto voti favorevoli), una delibera che prende atto, a seguito di rilievi evidenziati dalla Corte dei Conti, dei correttivi apportati ai rendiconti di bilancio del comune per gli anni 2012 e 2013;
          si rileva, inoltre, come la periodica relazione interna al comune di Bari sulla regolarità degli atti, in relazione al primo semestre del 2016, abbia fatto emergere che il 47,3 per cento degli atti esaminati a campione sia risultato irregolare, in particolare a causa di difetto di motivazione;
          a parere dell'interrogante l'affermazione del sindaco di Bari sul fatto che l'attività dell'Igf abbia violato l'autonomia dell'ente locale e che l'eventuale controllo di legittimità possa avvenire solo ex post, dalla Corte dei Conti, è errata in considerazione di due aspetti, in quanto: invece di chiarire quanto fatto dal comune spiegandone la sostanza e l'asserita regolarità, si cerca di contestare l'attività di un organo dello Stato, istituzionalmente preposto a questo tipo di attività ispettive; in secondo luogo, i comuni, tramite la figura del segretario generale, hanno il dovere di compiere al loro interno tutti i necessari atti di controllo preventivo di legittimità;
          sempre a parere dell'interrogante, la vicenda sopra descritta, con le considerazioni che ne discendono, induce anche a una riflessione seria sul piano politico visto che in quattro dei cinque anni presi in esame dall'Igf, il comune di Bari era guidato da chi oggi ricopre la carica di presidente della regione Puglia;
          infine, è da considerare che la vicenda evidenzia la necessità di affermare un chiaro orientamento, da parte di tutti gli amministratori locali, a indirizzare la loro attività al principio della buona gestione, del bene della collettività e del contrasto agli sprechi di denaro pubblico  –:
          se quanto esposto in premessa, corrisponda al vero;
          se il Ministro interrogato, alla luce dei contenuti della relazione dell'Ispettorato generale di finanza, intenda fornire chiarimenti in merito:
              a) alle eventuali procedure in atto o da assumere per accertare eventuali ulteriori irregolarità nella gestione finanziaria del comune di cui in premessa;
              b) all'accertamento delle cause con riferimento alle irregolarità rilevate dall'Ispettorato generale di finanza. (4-14131)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


      COLLETTI, VACCA e DEL GROSSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la sentenza in merito alla discarica di Bussi e ai veleni prodotti dalla Montedison si è svolta a porte chiuse nel tribunale di Chieti il 19 dicembre 2014 e i 19 imputati sono stati tutti assolti dal reato di avvelenamento delle acque mentre, per il disastro ambientale, la Corte ha derubricato il capo d'imputazione in disastro colposo, per il quale è stata dichiarata la prescrizione. L'accusa, sostenuta dai pm Annarita Mantini e Giuseppe Bellelli, aveva chiesto condanne, per gli ex dirigenti e tecnici di Montedison, che andavano dai 4 ai 12 anni. I pm sostengono che alcuni imputati sapessero che l'acquedotto Giardino, a partire dal 1992, fosse stato inquinato. E l'acquedotto riforniva acqua a un bacino di 700 mila persone in tutta la Val Pescara. Inoltre, nel processo erano stati depositati documenti sul mercurio ritrovato nel 1972 nei pesci e nei capelli dei pescatori del porto di Pescara, a cui si aggiungevano le dichiarazioni di una dirigente dell'Arpa, messe a verbale dal comandante della Guardia forestale, Guido Conti: «... è stata accertata la presenza di sostanze potenzialmente a rischio per la salute umana... Sarebbe stato necessario vietare l'erogazione e la distribuzione delle stesse acque...»;
          da fonti di stampa si è appreso che 2 dei 6 giudici popolari che hanno emesso la sentenza in oggetto, hanno poi dichiarato a Il Fatto Quotidiano di non aver mai letto gli atti del processo: «Ci siamo rifatte alle slide viste in udienza e alle parole sentite in aula. Siamo disposte a confermare tutto dinanzi ai giudici se un magistrato ci chiama racconteremo la nostra verità»;
          i 2 giudici hanno inoltre raccontato che il 16 dicembre 2014, alcuni dei 6 giudici popolari, hanno cenato insieme con il presidente della corte d'assise, Camillo Romandini, e il giudice a latere, Paolo di Geronimo, in un locale pubblico di Pescara e che, a loro dire, il presidente Romandini avrebbe spiegato che, se avessero condannato per dolo gli imputati, e se poi questi ultimi si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero potuto citarli personalmente, chiedendogli i danni, con il rischio di perdere tutto quello che avevano. In riferimento a tali dichiarazioni e avvenimenti il presidente Romandini ha semplicemente dichiarato: «Non posso commentare perché sono tenuto alla segretezza di quanto accaduto in camera di consiglio»;
          l'idea che i giudici popolari non abbiano letto neanche gli atti, appare una mancanza ancor più grave, aggravata dal fatto dalla circostanza, ancora tutta da provare, del timore che sembra sia stato in loro ingenerato nell'intravedere il rischio di poter essere citati per danni  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti in premessa;
          se il Ministro interrogato intenda promuovere una ispezione ministeriale presso il tribunale di Chieti in relazione ai fatti esposti in premessa. (3-02468)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ROMANINI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          ai sensi del decreto legislativo 7 settembre 2012, n.  155, risulterebbe in corso di adozione un decreto ministeriale per la revisione della piante organiche degli uffici giudiziari di primo grado, in conseguenza alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie;
          sulla base della proposta elaborata dal dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, il tribunale di Parma risulterebbe escluso dagli aumenti dell'organico, in quanto, benché sulla base del numero dei residenti nel circondario abbia diritto ad un aumento di 4 giudici e un ulteriore giudice in ragione del numero medio delle sopravvenienze calcolato con riferimento al quinquennio 2006-2010, il positivo rapporto tra pendenze e sopravvenienze impedirebbe ogni ulteriore assegnazione;
          in questo modo il tribunale di Parma risulterebbe significativamente penalizzato rispetto a tutti gli altri tribunali dell'Emilia-Romagna per i quali sono invece previsti incrementi del numero dei giudici, talora in misura consistente, anche sulla base di situazioni nella sostanza quanto meno equivalenti sotto il profilo delle dimensioni del bacino d'utenza, e tuttavia apparentemente non gravate da pendenze e sopravvenienze confrontabili, per lo meno sotto il profilo qualitativo, con quelle attualmente in carico agli uffici giudicanti parmensi;
          analogamente, la proposta non riconosce alla procura della Repubblica di Parma alcun rafforzamento dell'organico, sebbene anche in questo caso la situazione dell'ufficio sia in concreto più gravosa rispetto a quella di altre procure emiliane paragonabili per dimensioni, per le quali sono invece previsti aumenti della pianta organica;
          i riscontri numerici sulla base dei quali sarebbero fondate le previsioni di potenziamento dell'organico elaborate dal Ministero, non terrebbero in adeguata considerazione il reale carico di lavoro degli uffici giudiziari di Parma che risente, inevitabilmente, della ricchezza e della vitalità del tessuto imprenditoriale provinciale classificata dal CENSIS al 12o posto su scala nazionale;
          è da non trascurarsi, inoltre il fatto che il circondario di Parma non è purtroppo esente dal fenomeno della criminalità organizzata;
          gli uffici giudiziari di Parma risultano essere ancora fortemente gravati dai procedimenti civili e penali scaturiti dal crack Parmalat che ancora li impegneranno per numerosi anni, con inevitabili ripercussioni sui tempi d'esame degli altri procedimenti  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della necessità di aumentare il numero dei magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari di Parma e se non ritenga di adottare tutte le più utili iniziative di competenza al fine di adeguare alle reali esigenze del territorio la dotazione organica dei giudici in servizio presso il tribunale di Parma. (4-14101)


      POLVERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          con provvedimento del direttore generale del personale e della formazione del 21 novembre 2003, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  30 del 16 aprile 2004, è stato indetto un concorso pubblico per esami a 397 posti nell'area C, posizione economica C1, profilo professionale di educatore penitenziario per adulti presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia;
          la relativa graduatoria è stata pubblicata il 15 dicembre 2008 sul bollettino ufficiale del Ministero della giustizia, n.  23;
          a marzo 2012 l'Amministrazione ha avviato l'assunzione dei vincitori;
          a causa del permanere del blocco per le assunzioni per l'Amministrazione penitenziaria, le procedure di assunzione non sono state completate, non essendo state rideterminate le piante organiche;
          attualmente, la graduatoria è stata scorsa fino al 474mo posto, con 413 idonei ancora in attesa di assunzione;
          l'attuale graduatoria è in scadenza per il 31 dicembre 2016;
          l'attuale pesantissima carenza di personale dell'area trattamentale, unita all'elevato numero di soggetti ristretti, rende estremamente arduo, se non impossibile, in moltissimi istituti l'adempimento del dettato normativo costituzionale (articolo 27) di attendere all'opera rieducativa nei confronti dei condannati, così come di fornire sostegno e supporto ai soggetti in attesa di sentenza definitiva;
          il personale da anni inserito nella graduatoria in questione ha dimostrato, attraverso il superamento delle prove concorsuali, di essere adeguatamente preparato ad implementare quanto previsto dall'ordinamento penitenziario e dal relativo regolamento di esecuzione in materia di trattamento dei soggetti detenuti; norme queste che oggi sono spesso disattese, a causa della già ricordata sproporzione numerica tra questo personale e i soggetti destinatari delle stesse (legge n. 354 del 1975, legge n. 663 del 1986, decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000);
          la prossima scadenza della graduatoria (31 dicembre 2016) rende urgentissima l'esigenza di procedere all'assunzione di tutti gli idonei utilmente collocati all'interno della stessa  –:
          se il ministro interrogato intenda, con la massima immediatezza,    attivare tutte le procedure necessarie all'assunzione dei 413 idonei concorso pubblico per esami a 397 posti nell'area C, posizione economica C1, profilo professionale di educatore penitenziario per adulti presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, oggi funzionari giuridico pedagogici, A3 F1. (4-14120)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      FREGOLENT. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          Ativa (Autostrada Torino Ivrea Valle d'Aosta) è una società per azioni partecipata anche da istituzioni pubbliche (circa il 18 per cento dalla    città metropolitana di Torino);
          la concessione di Ativa della tangenziale e del ramo piemontese dell'autostrada Torino – Aosta è scaduta il 31 agosto 2016;
          secondo le normative nazionali vigenti (articolo 78 del decreto legislativo 50 del 2016) per le concessioni autostradali in scadenza sono previsti bandi di gara pubblici;
          il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha concesso una proroga tecnica di 18 mesi ad Ativa in attesa di predisporre il bando di gara;
          nel mese di agosto 2016, a pochi giorni dalla scadenza della concessione, il consiglio di amministrazione di Ativa avrebbe annunciato di voler eliminare l'abbonamento attualmente previsto per gli utenti della tangenziale di Torino;
          tale decisione unilaterale coinvolgerebbe oltre 30mila famiglie residenti nella città metropolitana di Torino, causando aumenti sensibili del pedaggio rispetto ai 28,10 euro attualmente previsti dall'abbonamento;
          la cancellazione delle agevolazioni ed il conseguente aumento del pedaggio produrrebbe notevoli ricadute negative per la popolazione residente e per l'intero sistema economico locale, anche per l'evidente mancanza di strade funzionali alternative. Una maggiorazione del pedaggio (che rappresenta di fatto una ulteriore e pesante tassa per famiglie ed imprese) penalizzerebbe infatti migliaia di cittadini che ogni giorno usufruiscono di tali tratti stradali per motivi di lavoro o di studio, le attività ed i distretti produttivi della zona  –:
          se le notizie riportate in premessa relativamente alla cancellazione, da parte di Ativa, degli abbonamenti per la tangenziale di Torino corrispondano al vero e quali interventi urgenti, per quanto di competenza, possa mettere in campo il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per evitare aumenti ingiustificati del pedaggio da parte della società concessionaria nell'attuale periodo di 18 mesi di proroga da lui direttamente concesso.
(5-09434)

Interrogazioni a risposta scritta:


      FEDRIGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la cronaca nazionale registra spesso casi di tragedie e mancati sinistri a seguito dell'errata immissione in autostrade e tangenziali da parte di veicoli che imboccano tali carreggiate nella direzione opposta a quella di senso di marcia;
          da qualche anno, onde evitare il ripetersi di queste pericolosissime distrazioni da parte dei singoli conducenti, agli ingressi di numerose autostrade sono stati posti dei cartelloni di avviso con segnaletica di divieto a grandezza maggiorata;
          l'applicazione sul manto bituminoso di alcune frecce direzionali renderebbe, però, ancora più remoto tale rischio;
          il conducente sarebbe «accompagnato» per l'intera lunghezza della rampa di accesso e della corsia di accelerazione da questa semplicissima segnaletica orizzontale, notando a colpo d'occhio l'eventuale immissione nel senso opposto a quella delle frecce dipinte sull'asfalto  –:
          se non si ritenga di dover assumere iniziative per disporre, con apposito intervento regolamentare, l'applicazione di frecce direzionali lungo le rampe di accesso e le corsie di accelerazione delle autostrade e superstrade nazionali in modo da ridurre i pericoli di immissione contromano dovute a distrazione dei conducenti.       (4-14108)


      FRANCO BORDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 5 agosto 2016, alle ore 4, all'aeroporto di Bergamo Orio al Serio un aereo cargo in atterraggio è uscito di pista;
          lo scalo, secondo quanto riferito dall'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac), è stato chiuso per le operazioni di emergenza e riaperto alle ore 6.47;
          l'aereo «è finito lungo» (come si dice in gergo) e ha divelto le protezioni, oltrepassando un parcheggio, distruggendo così un paio di auto a noleggio e la carreggiata dell'ex statale 591 (la variante alla Cremasca, che dalla media pianura di Zanica e Urgnano porta allo scalo e in città, poi ha invaso parte della strada verso Orio). Nessun veicolo che circolava in strada è rimasto coinvolto, soltanto per puro caso;
          al momento dell'atterraggio del volo, su Bergamo era in corso un forte temporale;
          alcuni voli sono stati cancellati nelle primissime ore seguite all'incidente. In seguito, lo scalo è stato riaperto, ma molti voli sono stati cancellati, creando molti disagi ai viaggiatori. Ryanair, che opera numerosi collegamenti con lo scalo di Bergamo, ha dovuto cancellare i voli fino alle ore 8.10;
          l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (Ansv) ha aperto un'inchiesta di sicurezza di competenza e ha inviato un team investigativo all'aeroporto di Bergamo Orio al Serio. Lo ha reso noto la stessa Ansv, confermando che l'equipaggio composto da comandante e primo ufficiale è rimasto illeso, mentre «l'aeromobile è seriamente danneggiato»;
          si è svolto nella tarda mattinata del giorno 6 agosto in prefettura a Bergamo il coordinamento dell'emergenza con il settore viabilità della provincia di Bergamo al fine di fare il punto sulla situazione di Orio, dopo l'incidente della mattinata in cui erano presenti il questore, il prefetto, il sindaco di Orio, Sferiate, Grassobbio e Azzano, un responsabile della polizia locale di Orio, della stradale di Bergamo, oltre alla protezione civile, i vigili del fuoco, la Croce Rossa e i carabinieri. Il coordinamento ha comunicato che tra le 12 e le 24 ore l'aereo sarebbe stato rimosso completamente e posizionato in un'area verde nella zona limitrofa allo scalo;
          sarà necessario riasfaltare, rifare il guard-rail e riverniciare la segnaletica, nel frattempo tutta la viabilità sarà riorganizzata e reindirizzata sulla strade comunali del territorio di Grassobbio, Orio e Azzano;
          la procura di Bergamo ha aperto un fascicolo «modello 45», relativo quindi a fatti non costituenti notizie di reato, in relazione all'incidente accaduto a Orio;
          i disagi sono molti e, per chi frequenta la zona per diversi motivi, anche di importante natura;
          la tragedia è stata sfiorata ed è solo un caso che l'incidente sia avvenuto in un orario in cui le strade, l'aeroporto e le zone adiacenti l'aeroporto stesso, sono scarsamente frequentate;
          risulta incomprensibile come un fatto del genere, la fuori uscita di un    boeing dall'area aeroportuale, con invasione di strade e parcheggio, possa verificarsi nel nostro Paese  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato, per seguire la vicenda e per contribuire a far luce sulle cause dell'incidente, in modo tale da valutare se sussistono deficit infrastrutturali dello scalo che possano aver reso possibile la fuoriuscita del velivolo dall'area aeroportuale e se tutte le norme di sicurezza siano state rispettate;
          quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (Ansv) sia messa nelle condizioni di far luce sull'accaduto in tempi il più possibile rapidi;
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per evitare che episodi del genere possano ancora verificarsi presso l'aeroporto di Orio al Serio, oltre che a qualsiasi altro scalo nazionale, al fine di garantire la sicurezza e l'incolumità dei cittadini residenti nei dintorni, degli utenti e di tutti coloro che per qualsiasi motivo percorrono le strade adiacenti e accedono a tali aree. (4-14113)


      MINARDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 121 del codice del nuovo codice della strada (decreto legislativo 18 maggio 1992, n. 114) prevede che gli esami per la patente di guida siano effettuati da dipendenti del dipartimento per trasporti che devono avere determinati requisiti e frequentare corsi di formazione periodica;
          è da sottolineare, come in Italia, ed in special modo nella regione Sicilia, gli uffici della motorizzazione civile presentano gravi carenze di personale ed organizzative che non permettono un efficiente servizio per l'esame ed il rilascio della patente di guida. Tra l'altro, proprio nel territorio della stessa regione, gli operatori preposti all'effettuazione degli esami per il rilascio della patente di guida, sono precari. Questo complica in modo evidente la già grave situazione;
          ciò, in pratica, determina una forte contrazione del rilascio delle patenti di guida che danneggia gravemente soprattutto coloro che ottengono la patente per ragioni di lavoro (ad esempio i camionisti);
          è necessario, pertanto, che il Ministro intervenga per superare i problemi organizzativi e la carenza di personale che impedisce a molti    concittadini di avere la patente di guida e soprattutto di poter svolgere il loro lavoro come, ad esempio, la categoria dei camionisti precedentemente citati  –:
          se non sia necessario intervenire, predisponendo misure idonee a superare i problemi organizzativi e la carenza di personale che impediscono di effettuare gli esami di guida agli utenti e di procedere al rilascio della patente.       (4-14125)


      CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 31 agosto 2016 sulla provincia di Roma e di Latina, in particolare nel nord pontino, si è abbattuto un violento nubifragio che ha causato l'allagamento della strada regionale Pontina, ex strada statale 148, provocando incidenti e code interminabili a partire dall'uscita di Casalazzara (Aprilia) fino all'uscita di Pomezia nord, in direzione Roma, bloccando e congestionando anche la via Laurentina, la via Pontina Vecchia, la via del Mare e via dei Castelli Romani con gravi ripercussioni;
          le condizioni di grave dissesto e la totale mancanza di manutenzione, gravano pesantemente sull'incidentalità di questa arteria soprattutto quando le condizioni meteorologiche sono avverse: nella stagione estiva gli incendi provocano scarsa visibilità; in inverno, la pioggia impedisce agli automobilisti di valutare il reale stato dell'asfalto;
          la scarsa visibilità dovuta anche ad una illuminazione inesistente e l'asfalto consumato fanno della Pontina una delle arterie più pericolose d'Italia, sulla quale si verificano in media 2,57 incidenti per chilometro. Nel 2014 si sono verificati ben 865 incidenti sulla Pontina con 29 morti e 1400 feriti;
          gli utenti da decenni hanno ampiamente denunciato come purtroppo, la Pontina sia caratterizzata dalla costante presenza di buche profonde, avvallamenti, carenza di segnaletica verticale ed orizzontale e l'asfalto rattoppato, che si sfalda sotto il peso dei mezzi pesanti e provoca spesso detriti che, oltre a danneggiare le auto, mettono in pericolo la vita dei tanti automobilisti e motociclisti, spesso pendolari, che percorrono questa importante arteria di collegamento fra Roma e il sud;
          da fonti stampa, si apprende che il 5 settembre 2016 sono ripresi i cantieri presso gli svincoli e che per tutto il mese di settembre gli automobilisti saranno costretti a rispettare un limite di velocità di trenta chilometri orari nei pressi del cantiere in prossimità dello smottamento che ha causato il restringimento ad una sola corsia nel tratto compreso tra il chilometro 35+500 e il chilometro 35 all'altezza di Ardea  –:
          di quali elementi dispone il Ministro interrogato    circa i lavori per la messa in sicurezza dell'arteria Pontina;
          quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di contenere i disagi per gli utenti e garantire i collegamenti delle province di Roma e di Latina, anche prevedendo un aumento dell'offerta di viaggio ferroviaria. (4-14126)


      NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA e MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la società Tecnis s.p.a. è stata ultimamente al centro delle cronache in seguito all'arresto di alcuni suoi esponenti;
          in particolare, a seguito dell'indagine denominata «Dama nera», relativa alla gestione di alcuni appalti per lavori gestiti da Anas, risulterebbe che due membri del consiglio di amministrazione della Tecnis s.p.a., nonché proprietari della stessa, Francesco Domenico Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice, abbiano ottenuto appalti pubblici per lavori relativi ad importanti infrastrutture nazionali, quali, ad esempio, autostrade e porti, grazie ad uno scambio di tangenti;
          negli ultimi anni la Tecnis s.p.a. e le società comunque riconducibili agli imprenditori Costanzo e Bosco Lo Giudice, si sono aggiudicati numerosissimi appalti, soprattutto nel meridione, tant’è che Tecnis arriva ad impiegare circa 1.200 dipendenti e per questo viene considerata una tra le più importanti imprese del Sud Italia;
          la prefettura di Catania ha emesso un provvedimento interdittivo antimafia revocato nei confronti della Tecnis s.p.a. mentre la sezione misure di prevenzione del tribunale di Catania ha disposto l'amministrazione giudiziaria nei confronti della stessa Tecnis s.p.a., oltre che nei confronti di altre società del gruppo Artemis spa e Cogip Holding srl e il sequestro delle relative quote ed azioni societarie, al termine di un'indagine, che ha verificato la presenza di infiltrazioni malavitose nel corso degli ultimi 10 anni;
          tra gli altri, Tecnis S.p.A. risulta essere aggiudicataria di un appalto del valore di circa 70 milioni di euro poi lievitato nel corso degli anni a circa 154 milioni di euro, relativo al completamento della «Metroferrovia di Palermo» con chiusura ad anello dell'esistente ramo in esercizio a singolo binario compreso tra le stazioni Notarbartolo e la fermata Giachery, per il quale è stazione appaltante Rfi s.p.a., di proprietà al 100 per cento di Ferrovie dello Stato Italiane, a totale partecipazione pubblica, tramite la società controllata Italferr s.p.a.;
          i lavori per i sopra citati cantieri sono fermi o comunque procedono a ritmo lento e negli ultimi giorni stanno provocando gravissimi problemi alla circolazione cittadina palermitana, nonché ai flussi in entrata e in uscita dal porto di Palermo;
          ciò è particolarmente evidente per i residenti e i commercianti delle zone interessate dai cantieri, in particolare Via Emerico Amari, i quali da diverse settimane stanno protestando per i disagi che stanno subendo;
          i ritardi e i disagi nei cantieri sono tali che, Rfi, s.p.a. ha avviato le procedere per verificare eventuali inadempienze a carico di Tecnis s.p.a. che potrebbero portare alla risoluzione unilaterale del contratto;
          per quanto il completamento dell'anello ferroviario sia, secondo gli interroganti, una fondamentale infrastruttura urbana per una mobilità più sostenibile e moderna, i ritardi nell'esecuzione mostrerebbero l'incapacità della Tecnis di completare i lavori in tempi ragionevole, arrecando incalcolabili danni, anche economici, alla città, specialmente per i residenti e i commercianti delle zone interessante dai cantieri che rischiano o già sono stati costretti alla chiusura delle proprie attività  –:
          se il Governo sia a conoscenza della situazione relativa ai cantieri per l'anello ferroviario di Palermo, inclusi gli ingiustificati ritardi nell'esecuzione dell'opera e i gravi disagi arrecati alla cittadinanza;
          quali iniziative intende intraprendere, per quanto di competenza, per porre fine a tale situazione e garantire in tempi brevi e certi l'esecuzione dell'opera;
          quali siano stati i risultati delle verifiche intraprese da Rfi su eventuali inadempienze contrattuali da parte di Tecnis;
          se, nel rispetto di quanto previsto all'interno del contratto di appalto tra Rfi e Tecnis, siano sono state comminate sanzioni alla società aggiudicataria dell'appalto e se non ritenga possibile procedere alla risoluzione del contratto e assegnazione dello stesso alle altre società che hanno partecipato all'iniziale gara d'appalto. (4-14130)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      RICCIATTI, FAVA, COSTANTINO, D'ATTORRE, QUARANTA, SCOTTO, FRATOIANNI, MELILLA, DURANTI, PIRAS, NICCHI e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          sabato 3 settembre 2016, il quotidiano «Corriere Adriatico» edizione maceratese, pagina di Civitanova Marche, riportava la notizia di un blitz anti `ndrangheta a Civitanova, in cui è stato arrestato il genero di un capoclan.  I tentacoli della `ndrangheta si allungano su Civitanova, dato che viveva in città da un paio d'anni Emilio Rossi, 38 anni, sposato con la figlia di Felice Ferrazzo. Quest'ultimo è ritenuto il capoclan di una cosca della `ndrangheta che – secondo i carabinieri – aveva messo in piedi «un'isola felice» in sei regioni, dove ricostruire le proprie abitudini criminali usando lo spaccio di droga per finanziare attività illecite. A Civitanova Emilio Rossi – accusato di associazione a delinquere – era arrivato da un paio d'anni. Lì viveva con la moglie, la figlia del capo clan, e la famiglia. È finito dietro le sbarre nell'ambito di una maxi operazione partita dall'Abruzzo, insieme ad altre tredici persone, che vivono in sei regioni del centro e sud Italia. Emilio Rossi – secondo quanto ricostruito dai carabinieri di Pescara – gestiva alcune attività illecite del gruppo criminale;
          l'arresto si inserisce nell'ambito di una maxi inchiesta – una delle più grandi mai effettuate in Abruzzo e chiamata proprio «Isola Felice» che ha portato all'emissione di 25 custodie cautelari, di cui 14 in carcere e 149 indagati in sei regioni (Abruzzo, Molise, Calabria, Lazio, Marche e Sicilia) per associazioni di tipo mafioso, traffico di stupefacenti e di armi, estorsione e riciclaggio (reati contestati a vario titolo);
          il sostituto procuratore antimafia dell'Aquila, Antonietta Picardi, insieme al procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, hanno dichiarato: «È stata un'indagine complessa, cominciata in Abruzzo, conosciuto come snodo di sostanze stupefacenti, con un arresto di una persona con un grosso quantitativo. Si è risaliti a una filiera importante che aveva contatti con Sudamerica ed Olanda»;
          questo è solo l'ultimo episodio in ordine cronologico di vicende legate alla criminalità organizzata nelle Marche  –:
          se il Ministro interrogato non intenda verificare e monitorare i vari episodi di criminalità che accadono nelle Marche;
          se il Ministro interrogato non intenda aumentare il numero di forze dell'ordine preposte alla sicurezza;
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato al fine di intervenire urgentemente in merito alle vicende esposte in premessa. (5-09433)


      LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          un articolo del quotidiano on line «it.geosnews.com», pubblicato il 6 settembre 2016 riporta un episodio di aggressione tra extracomunitari verificatosi nella casa circondariale di Taranto. Secondo quanto riportato durante la rissa un senegalese avrebbe inneggiato all'Isis;
          un secondo articolo, pubblicato lo stesso giorno dalla testata «m.piovegovernoladro.info», segnala la sconcertante notizia di un ambulante extracomunitario che, durante una schermaglia tra ambulanti e commercianti, proprietari di negozi del centro di Taranto, avrebbe fatto il gesto «dei tagliagole»;
          tale episodio si sarebbe verificato a seguito della chiamata dei vigili urbani da parte di alcuni commercianti locali stanchi della presenza massiva e prolungata di bancarelle abusive;
          inoltre, si apprende dal quotidiano on line «tarantobuonasera.it», che nei giorni scorsi si sia verificato l'ennesimo sbarco di 581 profughi di cui 118 donne;
          la questione della sicurezza, connessa alla presenza di innumerevoli extracomunitari a Taranto e provincia, in particolare nell'ultimo periodo, è stata più volte affrontata dall'interrogante in precedenti atti di sindacato ispettivo;
          infatti, l'interrogante, a seguito dell'allarme terrorismo derivante dai fatti di Parigi, ritenendo tutti i porti pugliesi possibili accessi per cellule terroristiche, aveva inviato una richiesta formale alla prefettura di Taranto per avere contezza della presenza degli stranieri immigrati nella città e provincia, soprattutto a seguito degli ultimi sbarchi avvenuti nell'ambito dell'operazione «Triton»;
          dai dati trasmessi dalla prefettura si apprendeva che al 19 novembre 2015 il numero complessivo dei cittadini stranieri residenti sia pari a 6396, di cui 3560 uomini e 2836 donne e che, nel corso del 2015, nell'ambito dell'operazione Triton, siano avvenuti 20 sbarchi di navi civili e militari con un totale di 9025 migranti, di cui 7401 uomini, 1634 donne e 643 minori non accompagnati;
          a seguito di tali dati l'interrogante con l'interrogazione n.  5-07133 chiese al Ministro se fosse stato disposto un piano per intensificare i servizi di controllo del territorio;
          inoltre, a seguito della notizia dell'apertura del quarto hotspot italiano a Taranto nella interrogazione n.  5-08002 aveva chiesto se esistessero dei piani di intervento mirati concordati preventivamente con la questura e quali strategie il Governo intendesse adottare per un monitoraggio maggiore e più capillare degli immigrati che non avessero i requisiti per la richiesta di asilo, a garanzia della sicurezza per cittadini residenti nelle zone interessate onde prevenire l'aumento dei clandestini che inevitabilmente cadono nella rete della microcriminalità locale e come esso intendesse attivarsi, presso le sedi europee, per coordinare eventuali azioni comuni;
          a tali atti, tuttavia, non sono seguite risposte e poiché la situazione peggiora di giorno in giorno, anche e soprattutto a seguito delle notizie di stampa secondo le quali dalla Puglia probabilmente arrivano organizzatori di attentati terroristici, come nel caso di Salah Aabdeslam, sopravvissuto alla strage di Parigi, l'interrogante ritiene che il silenzio del Ministro non sia un segnale confortante per i cittadini di Taranto e della provincia, costretti ad assistere ogni giorno ad episodi di violenza e minacce da parte degli innumerevoli extracomunitari presenti sul territorio  –:
          quali siano, alla luce dei fatti espressi in premessa, le iniziative intraprese dal Ministro interrogato per intensificare i controlli sui profughi in arrivo a Taranto e su quelli già presenti;
          se si ritenga di intervenire, come già annunciato in altre sedi, inviando anche militari a supporto delle forze di pubblica sicurezza messe a disposizione dalla questura per un maggior controllo del territorio e per prevenire episodi di violenza e cattiva integrazione;
          quali iniziative intenda porre in essere per accogliere dignitosamente chi fugge dalla guerra e viceversa rimpatriare chi arriva sul territorio italiano con intenzioni diverse. (5-09440)

Interrogazioni a risposta scritta:


      SORIAL. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          a Brescia si starebbe rilevando la presenza di una moltitudine di atti di microcriminalità, come furti, rapine, truffe agli anziani, aggressioni, che negli ultimi mesi stanno diffondendo nella popolazione residente una percezione d'insicurezza, a prescindere dall'analisi dell'andamento dei reati stessi;
          si tratterebbe di reati che quasi ogni giorno, come in un bollettino di guerra, riempiono le pagine della stampa locale con titoli come: «Rapina in pieno giorno: aggredito alle spalle, colpito alla testa» (25 maggio), «Finto controllo per una truffa vera: 85enne derubata», (7 giugno 2016), «Aggressione al Supermedia: ribalta gli scaffali e poi picchia il commesso», (6 luglio), «Violenta rapina in strada: malata di cuore, viene aggredita e buttata a terra», (25 luglio), «31enne aggredito e derubato», (25 luglio), «Brescia, rubano un bancomat e si danno alla fuga», (1 agosto), «Brescia, 41enne aggredito e derubato in centro» (9 agosto);
          a creare disagio nella popolazione residente sono anche fatti di violenza di strada, spesso ripresi con il cellulare dai passanti, come quello avvenuto il 29 agosto 2016 in via Pallata, che si conferma, con via Milano, una delle più calde della città, in cui si vede un uomo fuggire in bicicletta, mentre un secondo uomo, a torso nudo, lo insegue brandendo un oggetto molto simile a un grosso coltello, episodio probabilmente legato al mondo dello spaccio;
          ma gli episodi di criminalità diffusa coinvolgerebbero tanto la periferia quanto il centro della città, come testimoniato dai negozianti della zona più volte rapinati; il 4 settembre 2016 sarebbe toccato ad una gelateria di piazza Vittoria, in pieno centro, la «Fabbrica del Gelato», svaligiata nella notte: il titolare dell'attività avrebbe raccontato di continui episodi di degrado e inciviltà avvenuti negli ultimi mesi davanti al suo negozio;
          la situazione sta mettendo a dura prova anche le stesse forze dell'ordine, spesso prese di mira: esempio emblematico della situazione è ciò che è accaduto il sabato 3 settembre 2016 notte nei pressi del «Social», locale notturno di via Ziziola, quando venti, forse trenta persone hanno circondato una volante della polizia e vi hanno lanciato contro bottiglie di vetro e altri oggetti più pesanti, probabilmente sassi, fino a mandare in frantumi il lunotto posteriore dell'auto; questo purtroppo non è un esempio isolato, visto che nell'ultimo anno diversi poliziotti hanno dovuto essere medicati in pronto soccorso per le conseguenze di quello che accade durante gli interventi sulla strada;
          la Cgia avrebbe lanciato di recente l'allarme sull'impennata degli episodi di cui sono vittime negozi e botteghe, fenomeno che ha subito negli ultimi 10 anni una crescita del 170 per cento; i reati di questo tipo ai danni delle piccole imprese, che sono poi quelle maggiormente in difficoltà rispetto alla crisi economica, risultano in fortissima crescita;
          secondo i dati del Ministero dell'interno e dell'Istat, nel 2014, si sono verificati mediamente 292 reati al giorno come furti e rapine, con una media dunque di un reato ogni 5 minuti;
          le rapine sono un problema con cui devono fare i conti, in particolare, i commercianti del centro-nord. Il 77,3 per cento dei furti nei negozi, poi, rimane impunito  –:
          se il Governo sia a conoscenza della delicata situazione che si trovano a vivere i cittadini bresciani, alle prese ogni giorno con una microcriminalità sempre più diffusa e impunita, come illustrato in premessa, e se non consideri dunque necessario intervenire, per quanto di competenza, per realizzare nuove strategie a contrasto di questo temibile fenomeno per ridurre di conseguenza la crescente percezione di insicurezza che investe la popolazione di Brescia, di cui in premessa;
          se il Governo non intenda altresì attivarsi per porre in atto tutte le azioni, da un lato, di prevenzione di quei reati che destano allarme sociale e, dall'altro, per implementare le misure necessarie a combattere gli elementi che sono il presupposto di base dell'illegalità, come il disagio sociale, la povertà e il degrado. (4-14102)


      SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 22 agosto 2016 è stato rinvenuto il bossolo di un proiettile esploso contro la sede dell'Arcigay situata a vico San Geronimo, a Napoli;
          si tratta di una struttura facente parte del patrimonio immobiliare comunale e per la quale l'Arcigay attende attualmente l'assegnazione definitiva;
          in tale struttura vengono attualmente erogati servizi gratuiti di assistenza alla cittadinanza sulle questioni di genere, e la struttura ospita inoltre uno sportello psicologico e legale sulle malattie a trasmissione sessuale;
          la sede in questione ospita, inoltre, uno dei più ricchi e importanti centri di documentazione in tema di persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (lgbt);
          non si tratta del primo caso di violenza avvenuto in quel luogo: negli scorsi mesi erano state forzate le porte della struttura, lasciate carcasse di animali all'ingresso e finanche dato vita a veri e propri presidi intimidatori ed armati che avevano costretto chi frequenta quel luogo a chiudersi dentro per ore;
          Napoli è da sempre riconosciuta come una città estremamente aperta e gayfriendly, ciononostante persistono inquietanti (seppur minoritarie) sacche d'odio ed intolleranza;
          il serio timore è che non si sia raggiunto ancora l'apice di questa evidente escalation di violenza e discriminazione, ed il rischio è che questo susseguirsi di intimidazioni porti le persone che frequentano la sede in questione ad allontanarvisi, rinunciando agli importanti servizi da essa offerti  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga doveroso ed urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per fare piena chiarezza su quanto accaduto e sulle motivazioni alla base delle violenze avvenute nei confronti della sede dell'Arcigay di vico San Geronimo.       (4-14105)


      PAGLIA e CASELLATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni 1-4 settembre 2016 si è tenuto a Revine (TV) il raduno denominato Ritorno a Camelot 2016;
          tale manifestazione aveva nelle sue premesse un carattere esplicitamente neo nazista, come facilmente riscontrabile da una verifica del programma dei concerti e delle conferenze;
          nonostante l'evidente offesa alla memoria del nostro Paese e il rischio di violazione delle disposizioni di legge che vietano la propaganda nazifascista, come denunciato da numerose associazioni a partire dall'ANPI locale, non si è evidentemente ritenuto di intervenire impedendo anticipatamente il raduno;
          fonti di stampa informano inoltre che la questura di Treviso, invitata a vigilare e reprimere eventuali gesti o parole inconciliabili con la nostra Costituzione antifascista e con recenti sentenze della magistratura, avrebbe risposto che in Italia tutti hanno diritto di parola;
          al termine della 4 giorni, è stata fatta circolare una foto ritraente 13 bambini e bambine intenti a fare il saluto romano, evidentemente con responsabilità dei genitori  –:
          quali siano state le misure assunte dalla questura di Treviso in occasione della manifestazione di cui in premessa evidentemente in contrasto con la legge n.  205 del 1993;
          se e come intenda intervenire per impedire per il futuro il ripetersi di simili eventi;
          se non ritenga di doversi attivare per contribuire a far luce sulla vicenda che vede coinvolti anche dei minori. (4-14112)


      GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel comune ferrarese di Sant'Agostino sono giunti il 5 settembre 2016    nove immigrati irregolari richiedenti asilo, apparentemente provenienti dalla Nigeria, che sono stati alloggiati in un hotel locale, situato nei pressi della piazza centrale del paese;
          il comune di Sant'Agostino si trova nel bel mezzo del cosiddetto «cratere» del sisma del 20 maggio 2012, ed in ragione di questa circostanza avrebbe dovuto essere escluso dagli oneri d'accoglienza degli immigrati che il Governo ha attribuito alle autonomie locali;
          il terremoto comportò, tra le altre cose, la necessità di abbattere l'edificio sede del Municipio, che era stato gravemente danneggiato, mentre nella frazione di San Carlo si registrò il raro fenomeno della liquefazione delle sabbie, con conseguente rischio di sprofondamento di diverse abitazioni;
          gli stranieri residenti nel comune di Sant'Agostino sono già pari al 10 per cento della sua popolazione;
          l'arrivo degli immigrati irregolari a Sant'Agostino è stato il risultato di un'azione combinata tra prefettura, Asp e privati, apparentemente con il tacito assenso del Comune, sottoposto al commissario prefettizio Adriana Sabato, peraltro temporaneamente fuori sede;
          non si hanno neppure notizie relativamente ai tempi di permanenza dei richiedenti asilo assegnati a Sant'Agostino:

          quali iniziative il Governo intenda assumere, e quando, per spostare ad altra località gli immigrati irregolari giunti a Sant'Agostino, comune terremotato il 20 maggio 2012. (4-14117)


      GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          durante la trasmissione del 9 settembre 2016 «L'Aria d'Estate» condotta su La7 dal dottor David Parenzo l'interrogante ha potuto ascoltare in diretta una intervista al sindaco di Riace che si vantava di aver ospitato nel suo comune oltre 500 «profughi e immigrati» come lo stesso ha dichiarato, in un rapporto tra immigrati e abitanti enormemente superiore alla media nazionale;
          l'accoglienza dei richiedenti asilo e ogni altro progetto di integrazione è un costo ingentissimo totalmente coperto da fondi pubblici;
          le cronache recenti hanno evidenziato nel passato una relazione, come nel caso di «Mafia Capitale», tra l'utilizzo spregiudicato di tali fondi e una presenza di immigrati superiore alla media  –:
          quali siano, nel comune di Riace, i soggetti deputati all'accoglienza dei richiedenti asilo, e degli immigrati regolari e quali i soggetti incaricati dei progetti di integrazione;
          se possa inoltre fornire un preciso rendiconto dell'ammontare complessivo dal 2014 ad oggi dei fondi destinati al comune di Riace per tali progetti e di quali siano i soggetti destinatari dei fondi statali erogati per progetti di accoglienza e integrazione. (4-14122)


      FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la normativa vigente in materia di concessione del porto d'armi limita ad alcune categorie di persone il riconoscimento del diritto a portare liberamente armi per la difesa personale;
          di tali categorie fanno parte, in primo luogo, il capo della polizia, i prefetti, i vice-prefetti, i questori e tutti gli ufficiali di pubblica sicurezza: ovvero i funzionari    della polizia di Stato e gli ufficiali dei carabinieri;
          sono altresì ammessi al beneficio i magistrati, sia pubblici ministri che giudici, nonché i magistrati onorari, compresi i giudici di pace, peraltro senza che siano richiesti l'accertamento di requisiti psicofisici particolari o della capacità tecnica di usare e maneggiare armi;
          possono altresì circolare armate le guardie particolari giurate, se munite di apposita licenza di porto d'armi, e i titolari di licenza di porto d'armi    per difesa personale;
          nell'elenco sono infine inseriti gli ufficiali in servizio permanente delle Forze armate, che non sono obbligati ad utilizzare le armi in dotazione e vengono provvisti, a richiesta, della licenza di porto d'armi;
          all'atto pratico, tuttavia, il rilascio del porto d'armi si rivela molto discrezionale, dando luogo a situazioni particolari, spesso oggetto di ricorsi alla magistratura amministrativa;
          fondamento del vigente regime in materia sono le norme di cui all'articolo 42, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n.  773 e all'articolo 73 del regolamento di cui al regio decreto 6 maggio 1940, n.  635, quest'ultimo articolo dispone che gli agenti di pubblica sicurezza possano portare senza licenza le armi di cui sono muniti solo durante il servizio o per recarsi al luogo in cui esercitano le proprie mansioni;
          è evidente però che, a rischiare maggiormente per la loro incolumità personale, sono proprio gli operatori delle forze di polizia impegnati in attività investigative e di contrasto alla malavita e non di certo alti funzionari, magistrati od alti ufficiali che, pressoché abitualmente, vengono tutelati da appositi servizi di scorta;
          in seguito all'aggravarsi dell'allarme legato al rischio accresciuto di attentati terroristici nel nostro Paese, il Ministro dell'interno ha recentemente invitato il personale delle forze dell'ordine a girare armato anche al di fuori dell'orario di servizio, presumibilmente servendosi allo scopo delle armi d'ordinanza;
          il porto occulto delle armi d'ordinanza risulta tuttavia impossibile, a causa del loro peso e relativo ingombro, circostanza che dovrebbe imporre una riconsiderazione dell'attuale orientamento delle prefetture a negare il porto d'armi agli agenti di pubblica sicurezza;
          in assenza di interventi correttivi, il personale delle forze di polizia risulta spesso impossibilitato ad intervenire quando fuori dal servizio, con conseguente riduzione della sua capacità di concorrere al mantenimento dell'ordine pubblico  –:
          quali iniziative il Governo intenda assumere per permettere al personale delle forze di polizia di poter effettivamente circolare armato fuori dall'orario di servizio, come prospettato dallo stesso Governo, dotandosi allo scopo di armi differenti da quelle d'ordinanza ed    idonee al porto occulto. (4-14123)


      CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          nel 2001 l'imprenditore Luigi Gallo avviava l'iter burocratico per ottenere le licenze autorizzative per aprire un distributore di benzina lungo l'asse mediano Nola-Villa. Literno, su un terreno di proprietà della moglie;
          l'iniziativa dell'imprenditore destava le attenzioni della malavita organizzata locale, le cui minacce e intimidazioni non consentivano al Gallo di completare i lavori, proprio mentre a poca distanza veniva aperto un distributore considerato vicino ai clan;
          Gallo non si rassegnava e decideva di denunciare le intimidazioni ricevute. Sulla base delle sue denunce, la direzione distrettuale antimafia di Napoli arrestava Nicola Cosentino, accusato di essere il referente nazionale del clan dei Casalesi, e i suoi fratelli Antonio e Giovanni;
          per i pubblici ministeri della direzione distrettuale antimafia Gallo era stato vittima di un piano ordito dai Cosentino per impedire l'apertura del suo distributore di benzina. Sempre nell'ambito dell'inchiesta partita dalle denunce di Gallo venivano successivamente processati e condannati Antonio e Pasquale Zagaria, fratelli del boss Michele;
          nel 2015 lo Stato italiano riconosceva i meriti di Luigi Gallo, inserendolo tra le vittime di criminalità organizzata, ritenendolo possibile beneficiario di risorse di cui al fondo antiracket del Viminale ed assegnandogli 326 mila euro per danno emergente e 129 per il mancato guadagno, somme che avrebbe dovuto spendere entro 12 mesi, come prevede la normativa del settore, per riaprire l'attività;
          Gallo si attivava subito per riaprire l'impianto, attraverso la riattivazione delle necessarie autorizzazioni. Tutte le richieste avevano buon esito, ad eccezione di quella rivolta all'Anas, cui dal 2003 l'imprenditore aveva, chiesto di sospendere il contratto al fine di non dover pagare i 30.000 euro annui di canone durante il lunghissimo periodo in cui l'impianto era rimasto forzatamente chiuso;
          il gestore delle rete autostradale non rilasciava il nullaosta, considerando decaduta la vecchia concessione e non più a norma l'impianto, dopo le nuove regole sulla sicurezza degli accessi stradali ai distributori;
          all'imprenditore non restava che presentare ricorso al Tar della Campania al fine di ottenere la rimozione del provvedimento negativo del gestore della rete autostradale; nel frattempo, le risorse di cui al fondo antiracket del Ministero dell'interno venivano revocate all'imprenditore, essendo scaduti i 12 mesi per il suo l'utilizzo;
          la revoca della somma erogata, anche se conforme alla disciplina legislativa, ha determinato di fatto una profonda ingiustizia nei confronti di un soggetto che non ha potuto utilizzare la somma erogata, non per sua responsabilità ma per circostanze esterne alla sua volontà;
          a parere dell'interrogante è evidente la necessità di rimediare a tale palese ingiustizia: a tal fine è necessario da una parte che il Ministro dell'interno proroghi il termine entro il quale il signor Gallo possa utilizzare la somma erogata dal fondo antiracket;
          per altro verso, si impone la necessità che il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nelle loro rispettive qualità di soggetto proprietario e autorità vigilante della società Anas, adottino, gli opportuni provvedimenti per consentire il rilascio all'imprenditore delle autorizzazioni necessarie all'apertura del distributore di benzina  –:
          quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di garantire al signor Gallo la possibilità di utilizzare le somme erogate dal fondo antiracket per la realizzazione del suo progetto imprenditoriale ostacolato prima dalla delinquenza organizzata e successivamente da un cortocircuito burocratico.       (4-14124)


      ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          ad agosto 2016 l'associazione studi giuridici sull'immigrazione (Asgi), con il rapporto «Le riammissioni di cittadini stranieri alla frontiera di Chiasso: profili di illegittimità», ha denunciato le numerose violazioni della normativa vigente riscontrabili nell'ambito dei respingimenti di cittadini stranieri effettuati negli ultimi mesi alla frontiera di Chiasso-Como;
          il rapporto riferisce i dati forniti dal corpo delle guardie di confine svizzera che tra luglio e agosto ha effettuato quasi 7.000 respingimenti di cittadini stranieri, irregolarmente soggiornanti, dalla Svizzera all'Italia: di questi, almeno 600 hanno riguardato minori non accompagnati. Per la maggior parte di loro sussistono i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale o di una protezione umanitaria perché provengono in prevalenza da Paesi come Eritrea, Somalia, Sudan e altro;
          sono circa 500 i migranti accampati (tra questi sono presenti minori non accompagnati, nuclei familiari con bambini e persone con disabilità) nei pressi della stazione di Como, dove vivono in condizioni assolutamente inadeguate che possono considerarsi alla stregua di «trattamenti inumani o degradanti» vietati dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
          si apprende da fonti di stampa che dal 13 luglio 2016 per molte altre persone, in gran parte già identificate, sono avvenuti trasferimenti forzati verso strutture di accoglienza meridionali, in particolare presso l’hotspot di Taranto, senza offrire adeguate informazioni sulla destinazione, che hanno provocato anche la divisione di nuclei familiari con minori. I trasferimenti sono avvenuti, secondo le notizie che si rinvengono sui blog, con pullman della ditta «Rampinini», che però, come risulta dal verbale della prefettura di Como, ha vinto la gara per il «servizio di trasporto migranti» solo successivamente: in data 25 agosto 2016, per il periodo 1o settembre 2016-31 dicembre 2016;
          le autorità svizzere giustificano i respingimenti affermando di dare attuazione all'accordo bilaterale con l'Italia del 1998 sulla riammissione delle persone in situazione irregolare e che non intendono chiedere asilo in Svizzera. Secondo l'Asgi, invece, molti dei migranti hanno tentato di presentare domanda ma non hanno potuto formalizzarla;
          in entrambe le frontiere, per le gravi carenze di servizi di interpreti e orientamento legale, verrebbero violati il diritto all'informazione e il diritto di accedere alla procedura per la domanda di protezione internazionale garantiti dalla normativa internazionale, europea e interna. Ciò impedisce alle persone respinte di godere del diritto ad essere ricongiunte ai familiari che si trovano in Svizzera o in altri Stati europei, ai sensi del Regolamento Dublino III, e vedono anche violato il loro diritto al rispetto della vita familiare tutelato dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
          secondo il rapporto Asgi si riscontrano numerose altre violazioni della normativa vigente:
              controlli sistematici delle autorità svizzere di frontiera sulle persone con caratteristiche somatiche tali da farle ritenere non di origine europea, in violazione delle norme che vietano i controlli sistematici alle frontiere interne dell'Area Schengen e della normativa antidiscriminazione;
              respingimenti di gruppi di migranti, compresi minori non accompagnati e disabili, senza alcuna valutazione su base individuale, che possono essere considerati «espulsioni collettive», vietate dalla normativa europea e internazionale;
              persone respinte che non hanno ricevuto alcun provvedimento scritto, e dunque senza alcuna possibilità di presentare ricorso, in violazione del diritto a un ricorso effettivo previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dalla normativa europea e interna;
              per i minori respinti non risulta esser stato nominato un tutore né dalle autorità svizzere né, tranne in pochi casi, da quelle italiane. Dopo la riammissione, la maggior parte sono stati collocati in una struttura non autorizzata all'accoglienza di minori e alcuni invitati a presentarsi autonomamente ai servizi sociali. Sono evidenti, quindi, le violazioni dei diritti dei minori stranieri non accompagnati garantiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e dalle norme europee e nazionali;
          la Corte di Cassazione ha ribadito il dovere della pubblica amministrazione di informare tutti i cittadini stranieri al loro arrivo della possibilità e del significato di avanzare una domanda di protezione internazionale (Cass., sez. VI civ., ord. 5926 del 25 marzo 2015). Tale principio risulta ancora rafforzato da quanto disposto dall'articolo 10-bis del decreto legislativo n.  25 del 2008, introdotto dal decreto legislativo n. 142 del 2015 e alla luce dell'articolo 8 della direttiva 2013/32/UE  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non ritenga opportuno verificare la regolarità delle procedure di riammissione dalla Svizzera verso l'Italia, in particolare presso la frontiera Chiasso-Como;
          se, alla luce delle citate normative non intenda attivarsi per garantire, in ogni luogo deputato a questo scopo, la presenza di mediatori culturali e di personale competente affinché vengano rispettate le garanzie che la legge prevede a tutela del diritto all'informazione dei migranti e dei minori e del diritto a presentare domanda di protezione internazionale;
          se il Governo intenda chiarire la ratio dei trasferimenti dalla frontiera di Chiasso alle strutture di accoglienza nel Sud Italia.
(4-14132)


      NUTI e D'UVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 23 luglio 2015 un'azienda chimica nel casertano, la Cle.Pr.In.  s.r.l. di Sessa Aurunca, molto conosciuta per il suo impegno sociale nel promuovere lo sviluppo della comunità locale e parte del ben noto consorzio «Nuova Cooperazione Organizzata», fu distrutta da un'incendio di comprovata origine dolosa;
          tale incendio è stato con ogni probabilità commissariato da parte della Camorra: infatti, i due proprietari dell'azienda, Franco Beneduce e Antonio Pisacascia, sono stati più volte autori di denuncia del racket e di minacce ricevute da parte del clan di camorra Esposito (detto dei Muzzoni, che opera nella zona al confine tra Caserta e Latina);
          i primi fatti risalgono al 2007 quando i due soci ricevettero una prima richiesta di assunzione nell'azienda del fratello del boss latitante, Gaetano Di Lorenzo, alla presenza di un funzionario comunale, e, in seguito, ricevettero un vero e proprio tentativo di estorsione. Da questa denuncia sono scaturiti diversi arresti tramutatisi poi in condanne. Da quel momento l'azienda ha subito un continuo susseguirsi di atti intimidatori che ne hanno gravemente danneggiato l'attività;
          il culmine di questi episodi è avvenuto nel luglio del 2015, quando, come sopra accennato, è stato appiccato un gravissimo incendio all'interno dell'azienda che l'ha parzialmente distrutta, mentre i due soci stavano partecipando ad una manifestazione contro la mafia presso il bene confiscato nella frazione di Maiano, affidato alla cooperativa «Al di là dei sogni» e dedicato alla vittima innocente di Mafia Alberto Varone, con il quale collaboravano attivamente nel campo del sociale;
          forse non casualmente, circa un anno dopo, il 6 luglio 2016, quattro ettari di alberi appartenenti al sopracitato bene confiscato «Alberto Varone» sono stati distrutti da un incendio anch'esso di comprovata origine dolosa;
          ciò che inquieta oltremodo gli interroganti, è il fatto che ad oggi, ad oltre un anno di distanza dai preoccupanti fatti del luglio 2015, non si ha ancora alcuna notizia riguardante le indagini sugli autori dell'incendio ai danni dell'azienda Cle.Pr.In.  s.r.l., mentre, con riguardo all'incendio ai danni del bene «Alberto Varane», bene pubblico appartenente allo Stato Italiano, desta allarme e incomprensione il fatto che nessun tecnico dei vigili del fuoco né funzionari del dipartimento della polizia scientifica, si siano recati sul luogo dell'incendio per operare gli opportuni rilievi;
          l'azienda Cle.Pr.In.  s.r.l. e il bene confiscato «Alberto Varone», secondo gli interroganti, sono senza dubbio due importantissime realtà impegnate nella lotta alla criminalità organizzata, in un territorio profondamente inquinato da infiltrazioni mafiose, come attesta il recente e continuo susseguirsi di atti intimidatori, oltre ai recenti e numerosi incendi di origine dolosa, in provincia di Caserta e nella confinante provincia di Latina;
          molto più recentemente, il 1o agosto 2016 è stato appiccato un incendio ad un altro bene confiscato alla mafia, a Teano, in un meleto dei terreni confiscati al clan Magliulo e gestito dal Consorzio Nuova cooperazione organizzata (Nco): questo terreno era già stato danneggiato nel 2015 quando furono incendiati dieci ettari di pescheto e, ancora prima, era stato danneggiato l'impianto di irrigazione;
          gli inquirenti indagano su collegamenti tra questo ultimo incendio e i precedenti danneggiamenti avvenuti ai danni del bene confiscato «Alberto Varone», facente parte del medesimo Consorzio;
          questi fatti, di inaudita ferocia, paiono essere, secondo gli interroganti, sottovalutati dagli organi inquirenti, mentre avrebbero grande rilevanza anche per ricomporre il complicato quadro di infiltrazioni da parte della camorra nel territorio che negli ultimi anni sta allargando il proprio predominio criminale nella zona del Pontino  –:
          se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
          quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, al fine di garantire un preciso impegno nella lotta alla criminalità organizzata di tipo mafioso nelle zone di confine tra le province di Caserta e Latina;
          quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, con riferimento al caso dei gravi danneggiamenti avvenuti ai danni dell'azienda Cle.Pr.In.  s.r.l. di Sessa Aurunca, del bene confiscato Alberto Varone, nonché dei terreni confiscati a Teano al clan Magliulo. (4-14133)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


      RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il 24 agosto 2016 una forte scossa di terremoto ha colpito quattro regioni italiane: Lazio, Marche, Umbria ed Abruzzo. Ad oggi si contano 294 vittime ed altre 3000 scosse sismiche. Al 31 agosto risultano allestiti 6316 posti letto di cui 4013 occupati;
          le cronache nazionali ed internazionali stanno documentando lo stato di emergenza (di 180 giorni affidando i poteri al capo della protezione civile), ma in un Paese dove il rischio sismico è di tutti i giorni la geologia è a rischio estinzione;
          le sedi di scienze della terra in Italia sono passate da 29 (nel 2010) a 8 (nel 2016), per effetto della riforma Gelmini del 2010 che ha imposto il taglio di tutti i dipartimenti che non raggiungano i 40 docenti, cioè, nel caso di scienze della terra, praticamente tutti. Alcune regioni, come Emilia Romagna, non hanno più neanche un dipartimento. Quello di Bologna, la prima sede italiana dedicata alla formazione dei geologi, è stata tagliata. Le 8 sedi rimaste sono alla Federico II di Napoli, alla Sapienza di Roma e poi a Bari, Pisa, Firenze, Torino, Milano e Padova. Le altre sono state accorpate ad altre aree, in dipartimenti « pot-pourri», sulla base di un tornaconto numerico e non di un progetto formativo vero e proprio. E Pisa e Firenze sono a rischio;
          il punto, ora, è che anche quelle otto sedi sopravvissute alle cesoie della riforma Gelmini rischiano di sparire. Se infatti il numero delle immatricolazioni, dopo il minimo storico del 2008, ha iniziato a crescere, quello dei docenti è in calo. Negli ultimi 10 anni c’è stato un decremento del 10 per cento, equivalente a circa 100 docenti, e le proiezioni per i prossimi 10 anni non sono migliori. Questo significa: blocco del turn over, calo del numero dei docenti all'interno di un dipartimento, chiusura. Per questo entro i prossimi 5 anni, anche i dipartimenti più grandi, come Pisa e Firenze, potrebbero trovarsi in grosse difficoltà. E tutto succede mentre nel resto d'Europa (e del mondo), la media dello staff docente dei dipartimenti è tra i 20-30 docenti;
          Rodolfo Carosi, professore ordinario all'università di Torino e rappresentante dei professori di geologia nel Consiglio universitario nazionale, ha così commentato su Ilfattoquotidiano.it: «Se da un lato la numerosità minima imposta dalla legge non comporta, e non sembra aver comportato a sei anni dalla sua applicazione, nessun reale risparmio per la spesa pubblica, dall'altro la nuova norma sta portando alla scomparsa di dipartimenti universitari storici con un'eccellente attività didattica e di ricerca, oltre che inevitabilmente alla perdita dell'identità culturale delle geoscienze»;
          l'Italia è uno dei Paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo, per la sua particolare posizione geografica, nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica. In 2500 anni, il Paese è stato interessato da più di 30mila terremoti di media superiore al quarto e quinto grado della scala Mercalli e da circa 560 sismi superiori all'ottavo grado. Tutta la zona dell'Appennino centromeridionale è considerata ad alto rischio sismico. E a questa si aggiungono aree della Calabria, della Sicilia, del Friuli e del Veneto. Solo la Sardegna è completamente salva. Secondo il. Consiglio nazionale dei geologi 24 milioni di persone vivono in zone ad alto rischio sismico in Italia;
          la risposta ad eventi così tragici non può e non deve essere il taglio alla formazione. La geologia – nonostante quella italiana abbia un'elevata qualità scientifica nazionale e internazionale, tanto che i risultati dell'Anvur, l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, la posizionino tra il quinto e il nono posto nel mondo – soffre della cronica carenza di finanziamenti per la ricerca scientifica; i cosiddetti fondi Prin, ad esempio, sono passati da 137 milioni di euro nel 2003 a soli 38,3 nel 2012 per scomparire nel 2013 e nel 2014. Con la conferma dei limiti numerici risultanti dal decreto sul dottorato di ricerca approvato nel 2013, poi, numerose scuole di dottorato in scienze della terra saranno costrette a chiudere. Ma sin dalle scuole medie, l'attenzione a questo settore è pari a zero: l'insegnamento di scienze della terra è infatti collocato nei primi anni degli ordinamenti didattici. «Così gli studenti – spiega Carosi – non hanno gli strumenti per la comprensione delle fenomenologie»  –:
          se la Ministra interrogata non intenda rimediare al taglio dei dipartimenti effettuato per effetto dalla cosiddetta riforma Gelmini assumendo iniziative affinché siano riaperti i dipartimenti in modo tale che in questi si formino esperti nel settore.       (3-02469)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CHIMIENTI, VACCA, LUIGI GALLO, MARZANA, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la costituzione delle graduatorie di merito (GM) al termine della procedura concorsuale è disciplinata dall'articolo 9 del decreto del direttore generale n. 105 del 2016 per la scuola dell'infanzia e primaria, dall'articolo 9 del decreto del direttore generale n. 106 del 2016 per la scuola secondaria e dall'articolo 9 del decreto del direttore generale n. 107 del 2016 per il sostegno;
          la graduatoria è compilata sulla base dei punteggi riportati nelle prove e della valutazione dei titoli, ai sensi dell'articolo 8 del decreto ministeriale n. 95 del 2016 per quanto concerne le prove e del decreto ministeriale n. 94 del 2016 per quanto concerne i titoli;
          all'articolo 9, comma 1, dei suddetti decreti del direttore generale viene riportato: «La commissione giudicatrice, valutate le prove e i titoli ai sensi dell'articolo 6, comma 5, procede alla compilazione della graduatoria di merito, inserendo i predetti candidati nel limite massimo dei posti messi a bando per ciascuna procedura concorsuale maggiorati del 10 per cento ai sensi dell'articolo 400, comma 15, del Testo Unico come modificato dall'articolo 1, comma 113, lettera g, della legge.»;
          come pubblicato dal sito Tuttoscuola, in un'elaborazione basata sui dati forniti dagli uffici scolastici regionali, al 7 settembre 2016 risulta che siano state approvate soltanto 409 delle 1.484 graduatorie di merito previste e conseguentemente che, sulla base dei risultati delle prove scritte, i vincitori (comprensivi della quota del 10 per cento di idonei) saranno in numero inferiore rispetto ai posti messi a disposizione nel bando;
          sempre secondo quanto pubblicato dal sito Tuttoscuola, in data 7 settembre 2016, considerando che le graduatorie di merito approvate sono il 27,6 per cento ma che a questa percentuale non corrisponde un egual numero di posti che saranno coperti, dal momento che molte risultano essere le graduatorie di merito con pochi posti, si può calcolare che la proiezione su tutti i 63.712 posti previsti a concorso comporterebbe circa 18.200 posti vacanti;
          alcune classi di concorso diverse vedono la partecipazione al concorso a cattedra di un'analoga platea di aspiranti, con la conseguenza che, in molti casi, i vincitori inseriti nelle graduatorie di merito risultano esserlo per le diverse procedure per cui hanno concorso. Dunque, al momento della loro scelta circa la classe di concorso per cui conseguire il ruolo, ne deriverà un mancato scorrimento delle graduatorie che lascerà numerose cattedre scoperte, vanificando in tal modo i sacrifici dei candidati e il lavoro svolto dalle commissioni;
          i posti vacanti non potranno essere assegnati nonostante la presenza di candidati idonei, e non tutti i vincitori del concorso riusciranno così ad ottenere l'assunzione nel triennio di durata della validità delle graduatorie di merito  –:
          se il Ministro interrogato    intenda considerare la possibilità di assumere iniziative normative volte ad eliminare la percentuale per il limite di idonei, creando un'unica graduatoria di merito comprensiva di tutti coloro che hanno superato le prove concorsuali, da utilizzarsi nell'ambito del triennio di validità al fine di coprire i posti che resteranno scoperti. (5-09438)


      SGAMBATO, TINO IANNUZZI e MANFREDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          i docenti precari educatori dei convitti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento dal 2002, cioè da quando hanno conseguito l'abilitazione con concorso bandito dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e appartenenti alla classe di concorso PPPP, tranne che per le fasi di immissioni in ruolo ordinarie, nel 2015 non sono stati coinvolti nel piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge n. 107 del 2015 ed, inoltre, non hanno potuto partecipare alle procedure concorsuali;
          gli educatori, tuttavia, sono a tutti gli effetti insegnanti e appaiono di difficile comprensione la ragione per cui essi sono stati ignorati in occasione sia del piano assunzionale, sia del concorso a cattedra;
          la legge n. 107 del 2015 stabilisce, infatti, che l'appartenenza alle graduatorie ad esaurimento sia il requisito fondamentale per accedere al piano assunzionale nazionale, per le fasi B e C e il personale educativo ne fa parte al pari dei docenti: gli educatori precari hanno superato un concorso di abilitazione, come i docenti di disciplina;
          il loro inquadramento è equiparato, in tutto e per tutto, ai docenti della scuola primaria, sia secondo il decreto del Presidente della Repubblica n. 417 del 1974 (articolo 121), sia sulla base di una serie di espressioni della Corte dei conti e del Tar del Lazio. Non è un caso che esista la classe di concorso di appartenenza del personale educativo: la L030 «Pedagogia e didattiche speciali dell'insegnamento, ordine scuola PPPP», collocata dall'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 1988 n. 399 nell'area funzione docente e finalizzata alla formazione ed educazione degli alunni convittori e semiconvittori;
          in particolare, il Tar del Lazio terza sezione bis N. 07769/2016 REG.PROV.COLL. N. 13985/2015 REG.RIC., con sentenza emanata il 6 luglio 2016, ha accolto il ricorso del personale educativo stabilendo, tra l'altro, che il bonus di 500 euro destinato all'autoformazione e all'aggiornamento spettasse anche a tali figuri professionali in virtù dell'equiparazione del titolo abilitativo di personale educativo nelle istituzioni educative al titolo abilitativo all'insegnamento nella scuola primaria;
          tuttavia, gli educatori continuano ed essere relegati nelle istituzioni convittuali, sempre più ridotte di numero e con mobilità pressoché inesistente. Il personale educativo continua poi ad essere trattato come se non fosse parte integrante del nostro sistema scolastico ed educativo. Né può accedere al concorso a cattedra, poiché la classe di concorso L030 (III), equiparata in tutto e per tutto ai docenti della scuola primaria, non viene evidentemente considerata un'abilitazione a tutti gli effetti con e quella invece conseguita dai docenti nella classe di concorso EEEE;
          appare incomprensibile la mancata possibilità di migrazione professionale verso la scuola primaria, per il personale educativo, nonostante l'equiparazione, mentre è permesso il contrario. Il personale educativo, infatti, è equiparato giuridicamente (ex articolo 121 decreto del Presidente della Repubblica n. 417 del 1974) ed economicamente (ex articolo 129 e 133 del Ccnl attualmente in vigore) ai docenti della scuola primaria;
          tuttavia, i docenti educatori precari delle graduatorie ad esaurimento non possono presentare domanda di aggiornamento/mobilità tramite il sistema POLIS, ma affidarsi al più obsoleto sistema di trasmissione cartacea, a discapito della trasparenza, chiarezza e velocità;
          inoltre, non possono esprimere le preferenze per più di tre sedi, mentre gli altri docenti possono scegliere tra 20 province diverse la propria destinazione. Né possono chiedere la mobilità interprovinciale sulla base della legge n. 107 del 2015 che deroga il vincolo triennale escludendo, tuttavia, gli educatori;
          l'educatore non può poi prestare attività educativa all'interno delle scuole, poiché non è prevista la figura dell'educatore per le attività di progettazione, coordinamento, gestione e realizzazione degli interventi educativi;
          eppure l'equiparazione, come già detto, è stata ulteriormente confermata da recenti provvedimenti giurisdizionali del tribunale amministrativo regionale del Lazio del luglio 2014 e del Consiglio di Stato nonché, da ultimo, dalle autotutele amministrative delle università di Roma 3 e della Basilicata che hanno previsto l'accesso ai candidati in possesso di abilitazione dei personale educativo alle prove preselettive al tirocinio formativo attivo sul sostegno della Scuola Primaria;
          tra l'altro, con l'ordinanza cautelare del Consiglio di Stato e la sentenza passata in giudicato del tribunale amministrativo regionale del Lazio (2014) l'abilitazione a personale educativo conseguita a seguito del concorso ordinario è «considerata equipollente all'abilitazione all'insegnamento nella scuola primaria»;
          la totale esclusione del personale educativo dalla legge n. 107 del 2015, ha sicuramente delle ripercussioni negative su tale categoria di «docenti», non considerati tali e sebbene uguali non usufruiranno della soppressione della cosiddetta riforma Gelmini che prevede organici bloccati dal 2009 (decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009); delle immissioni in ruolo straordinarie su tutto il territorio nazionale, nelle fasi B e C; della bonus card pari ad euro 500 per la formazione prevista da CCNL, (articolo 129 – azioni funzionali all'attività educativa – comma 4, che stabilisce: «Rientra altresì nell'attività funzionale all'attività educativa la partecipazione ad iniziative di formazione e di aggiornamento programmate a livello nazionale, regionale o di istituzione educativa»);
          inoltre, la deliberazione n.  58 del 12 novembre 1992 della Corte dei conti sancisce, segnatamente agli educatori del personale educativo, che l'attività da essi svolta è qualificata come «insegnamento» e ragguagliabile a quella degli insegnanti di scuola primaria;
          l'articolo 398, comma 2, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 stabilisce l'applicabilità al personale educativo delle disposizioni concernenti lo stato giuridico ed il trattamento economico dei docenti elementari, con espresso ragguaglio al ruolo dei «professori di scuola primaria»;
          l'articolo 3 del DDG del 13 luglio 2011 sancisce la partecipazione a pieno titolo per il personale educativo al concorso a dirigente scolastico;
          risulta doveroso precisare, che l'ordinanza del Consiglio di Stato e la Sentenza del TAR Lazio entrambe del 2014 ed entrambe passate in giudicato e la successiva ordinanza cautelare n. 4823/2016 depositate al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, hanno stabilito la possibilità per il personale educativo abilitato di partecipare ai bandi per l'ammissione ai corsi di specializzazione per le attività di sostegno e al concorso docenti scuola primaria, contrariamente a quanto disposto dal decreto ministeriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 249 del 10 settembre 2010 e successive modificazioni e integrazioni, sulla base della mera equipollenza tra abilitati sui posti di personale educativo e abilitati all'insegnamento nella scuola  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga che i docenti educatori precari delle graduatorie ad esaurimento stiano subendo una palese disparità di trattamento e se al riguardo, non ritenga opportuno procedere all'applicazione della normativa, che prevede la mobilità nella scuola primaria e da riconoscimento dell'abilitazione quale titolo di accesso alla classe di concorso EEEE.       (5-09439)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MINARDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la legge    n.  107 del 2015, cosiddetta «Buona scuola», ha previsto che il trasferimento dei docenti avvenga in quattro fasi denominate A, B, C, e D. In estrema sintesi, la prima fase concerne i vecchi assunti che continuano a richiedere il trasferimento in una o più scuole, ma solo all'interno della provincia in cui si trovano. Le altre tre fasi riguardavano i nuovi assunti 2015/2016 con il piano previsto dalla citata legge e coloro che vogliono cambiare regione, circa 100 mila insegnanti, una parte dei quali andrà a finire negli ambiti territoriali a disposizione dei dirigenti scolastici per la chiamata diretta. I neoassunti citati attendevano quindi la loro sede definitiva: uno dei 319 ambiti territoriali in cui è stato suddiviso il territorio nazionale;
          ciò ha determinato che molti insegnanti, anche in età avanzata e con problemi familiari, residenti nelle regioni del Sud d'Italia siano costretti a svolgere la loro attività nel Settentrione del nostro Paese, lasciando le proprie famiglie con gravi disagi personali;
          tra l'altro si sono verificate delle disfunzioni nel sistema informatico del Ministero nella gestione contemporanea di migliaia di domande di trasferimento. Infatti i trasferimenti della scuola dell'infanzia e della primaria, che si dovevano effettuare per il 26 luglio 2016, sono slittati;
          occorre, inoltre, chiarire la questione delle assegnazioni provvisorie in Sicilia che, da notizie apprese dalla stampa, permette ai docenti di poter accedere alle classi di concorso per il sostegno. Infatti è necessario sapere con esattezza quali siano i criteri e quante persone possano accedere a questi contratti nella regione Sicilia;
          sembra che questi posti siano quasi tutti a Catania ed a Palermo a fronte di un numero esiguo di posti disponibili nelle province di Ragusa e di Enna. A ciò si aggiungerebbe la mancata possibilità di richiedere l'assegnazione in altra provincia della stessa regione;
          ciò comporta un'evidente penalizzazione, per quanto riguarda l'assegnazione dei docenti di sostegno, delle province più piccole  –:
          se non si ritenga indispensabile assumere iniziative per rivedere i criteri contenuti nella legge cosiddetta della «Buona Scuola» al fine di operare l'assegnazione delle cattedre in modo congruo e al fine di non penalizzare i docenti del Mezzogiorno costretti ad allontanarsi dalle proprie famiglie per poter svolgere la loro attività professionale;
          quali siano i criteri di assegnazione degli insegnanti di sostegno in Sicilia visto che probabilmente, da quanto appreso dalla stampa, verranno penalizzate le province di Ragusa e di Enna. (4-14110)


      BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          dal mese di dicembre 2015, Marco Ugo Filisetti, originario di Bergamo, è il nuovo direttore generale dell'ufficio scolastico regionale delle Marche;
          su segnalazione di alcuni dipendenti della pubblica amministrazione, in data 26 aprile 2016, con una lettera indirizzata alla presidente della provincia di Ancona, Liana Serrani, le segreterie regionali sindacali FLC, CISL, UIL e SNALS, segnalavano una situazione alquanto anomala e delicata;
          infatti, parrebbe che il direttore Generale Filisetti, utilizzerebbe a fine personale e abitativo, di alcuni dei locali posti all'interno dell'edificio di proprietà della provincia, dove è sita la sede dell'ufficio scolastico territoriale di Ancona e regionale delle Marche, in cui è situato l'ufficio scolastico territoriale di Ancona;
          suddetta occupazione a titolo personale di parte degli uffici pubblici si protrarrebbe da qualche tempo e dovrebbe riguardare due locali distinti, siti uno al primo piano dotato di diverse attrezzature per riscaldare e cucinare il cibo, ed uno al quarto piano con mobilio utile a trascorrere la notte;
          tuttavia sono state segnalate operazioni – come ad esempio lo sgombero di un intero archivio per il tramite del personale interno all'ufficio scolastico regionale – atte a rendere disponibile un intero alloggio, sempre a uso personale;
          in data 10 maggio 2016, la provincia di Ancona, settore III – area gestione edilizia scolastica e istituzionale con lettera avente numero di protocollo 47757, rispondevano alla richiesta di chiarimenti delle organizzazioni sindacali regione Marche del 26 aprile 2016;
          l'ufficio competente della provincia comunicava e chiariva che l'amministrazione provinciale non era a conoscenza dei fatti e pertanto non aveva autorizzato quanto si stava verificando;
          comunicava inoltre che il Filisetti, all'atto del suo insediamento abbia richiesto le planimetrie catastali della sede dell'ufficio scolastico con le destinazioni d'uso delle sue diverse parti;
          ciò nonostante e in considerazione dei fatti, in data 28 giugno 2016, le segreterie regionali scuola dei sindacati, chiedevano un incontro urgente con il settore III – UO gestione dell'edilizia scolastica di Ancona anche per informare che nel frattempo era stato segnalato da alcuni dipendenti della struttura dell'ufficio scolastico territoriale di Ancona e regionale delle Marche, che il Filisetti avrebbe proceduto con nuovi e successivi allestimenti abitativi all'interno della struttura pubblica  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
          se ciò corrisponda al vero, in considerazione della situazione che si è venuta a creare – ormai di dominio pubblico – che andrebbe a mettere in una posizione alquanto imbarazzante e non consona il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
          se non ritenga di dover intervenire tempestivamente, con gli strumenti in suo possesso, affinché si ponga fine a tale inusuale e sgradevole condizione;
          se, dal punto di vista tecnico e amministrativo tale eventuale iniziativa messa in atto dal Filisetti sia corretta, posto che essa, ad avviso degli interroganti, non appare di buon esempio per tutti i lavoratori che evidenziando tale situazione devono subirne le conseguenze;
          se l'uso abitativo di parte di uffici destinati alla pubblica amministrazione e più precisamente all'archivio e altre parti della direzione scolastica della regione Marche rispetti le regole della dovuta trasparenza e se sia opportuno e consono – anche per questioni di sicurezza –, che il Filisetti utilizzi a soli fini personali utenze pubbliche e faccia uso a fini abitativi di spazi destinati ad attività d'ufficio;
          se non si ritenga per responsabilità istituzionale e rispetto del decoro della pubblica amministrazione e dei lavoratori pubblici, di dover assumere, nel caso quanto sopra esposto corrisponda al vero, iniziative disciplinari nei confronti del Filisetti. (4-14116)


      PAGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          come è ormai noto, attraverso vari articoli pubblicati sulle riviste specialistiche nonché sulla stampa nazionale, sono stati resi pubblici gli esiti della mobilità straordinaria che ha visto coinvolti circa 207.000 docenti di vari ordini e gradi;
          numerosi sono stati gli errori attribuiti all'algoritmo utilizzato, la cui formula ancora oggi resta segreta e nascosta, facendo in tal modo sorgere dubbi sulla sua utilizzazione;
          non è ancora chiaro, infatti, il motivo per cui debba rimanere ancora nascosta in contrapposizione ad ogni buon senso e soprattutto ai principi di trasparenza a cui tutte le pubbliche amministrazioni sono soggette. Polemiche e critiche sono apparse sui social media relativamente a questa sorta di «deportazione di massa» di docenti, «sradicati» delle loro famiglie per andare a prendere servizio in una sede lontana da casa;
          anche le generazioni di docenti passate hanno affrontato disagi e sedi lontane con spirito di sacrificio: oggi però si assiste a qualcosa di diverso e incomprensibile, quasi ad una scelta dell'amministrazione di dividere le famiglie, quando esiste ancora un organico copioso a cui si può attingere per trasferire e ricongiungere i nuclei familiari;
          un organico definito di fatto ma praticamente stabile e quindi di diritto a cui attingere per le assegnazioni provvisorie. Di questi errori il Ministero ha preso atto, dimostrando consapevolezza, e a tal fine ha voluto porre rimedio istituendo le segreterie di conciliazione qualora l'errore del movimento venisse accertato;
          i dati ufficiali trasmessi dal Ministero indicano quasi 5000 richieste di conciliazione di cui solo il 2 per cento circa ammesse (2600 domande accolte su 5000 richieste), in risposta alle quali il Ministero ha proposto, in molti casi, soluzioni irricevibili dai docenti danneggiati dal malfunzionamento dell'algoritmo. Un numero comunque elevatissimo, considerato che i computer sono semplici macchine che eseguono formule matematiche e algoritmi. Tutti questi errori lasciano mal pensare, non a un cattivo funzionamento della macchina, il cui errore è in misura percentuale trascurabile, bensì a scelte attribuibili all'amministrazione del Ministero. Ma anche qui si assiste ad una difficile, per non dire incomprensibile, scelta dell'amministrazione di scegliere con chi conciliare e con chi no;
          alla luce di questi fatti, viene spontaneo chiedersi se non fosse più opportuno ritirare i movimenti assegnati e perfezionare ulteriormente l'algoritmo con il contributo di tutti, rendendolo pubblico. Costituisce, infatti, una prassi ormai consolidata nella scuola pubblica quella di stipulare contratti a termine con docenti in via provvisoria fino al momento della presa di servizio di docenti aventi diritto in base alla graduatoria. Questi contratti vengono stipulati dal dirigente scolastico con il docente che ha la piena consapevolezza che, aggiornate le graduatorie, ci possa essere forse un altro docente individuato per la stipula del nuovo contratto;
          sarebbe stato, quindi, più ragionevole per l'amministrazione ritirare il movimento, iniziando così l'anno scolastico con i docenti che fino a quel momento avevano svolto il servizio in quella scuola, in attesa del movimento corretto senza errori e così senza inutili tentativi di conciliazione;
          un movimento certamente più ampio che avrebbe dato la possibilità di ricongiungere le famiglie attingendo all'organico di fatto, senza così chiedere l'assegnazione provvisoria, situazione precaria per definizione;
          si assiste, da un lato, a numerosi casi di docenti con punteggi bassi assegnati a destinazioni non lontane dal luogo di residenza e, inoltre, a casi di docenti con numerosi anni di precariato, con punteggi altissimi mandati chilometri lontani da casa;
          tutto questo è davvero paradossale, scritto nero su bianco nel contratto integrativo sulla mobilità (Contratto collettivo nazionale 2016/2017. Chi è entrato di ruolo prima fase 0 e A, viene dopo rispetto a chi è entrato di ruolo dopo di lui fase B e C;
          il tentativo di far rientrare i docenti non trasferiti nelle loro case e famiglie è cosa buona, pur tuttavia non si possono dare in assegnazione provvisoria le cattedre di sostegno a docenti di ruolo senza titolo di specializzazione per tale incarico, a scapito della parte più debole, ossia i diversamente abili;
          quali iniziative il Governo intenda, intraprendere al fine di evitare questi episodi di trasferimento di docenti che appaiono all'interrogante del tutto irragionevoli, al fine di pervenire ad una equa giustizia sociale, nonché alla salvaguardia dell'istituto della famiglia. (4-14118)


      MORANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          dalla stampa si apprende che una lettera, indirizzata alla presidente della provincia di Ancona, è stata scritta da alcune organizzazioni sindacali della scuola per denunciare una situazione per così dire «imbarazzante» che si starebbe verificando all'interno dell'ufficio scolastico regionale delle Marche;
          pare, infatti, che il direttore generale Marco Ugo Filisetti avrebbe trasformato il suo ufficio, di proprietà della provincia, in appartamento privato;
          dalla lettera in questione emerge una situazione che, se corrispondesse alla realtà, presenterebbe dei profili decisamente inquietanti: il dirigente, infatti, utilizzerebbe questi locali a fini personali e abitativi, quando gli stessi dovrebbero fungere solamente da ufficio e da archivio;
          l'amministrazione non avrebbe autorizzato però alcun cambio di destinazione d'uso;
          nel marzo 2016 la responsabile dell'aerea gestione edilizia scolastica ha effettuato, su richiesta dello stesso Filisetti, un sopralluogo per visionare i locali archivio posti al piano terra;
          proprio l'archivio sarebbe la pietra dello scandalo di questa vicenda perché a quanto pare Filisetti, dopo aver manifestato alla provincia l'intenzione di riordinare il materiale, avrebbe fatto sgomberare il locale per adibirlo ad abitazione privata;
          oltre alle spese aggravate per l'utilizzo di acqua e luce, tutte a carico della provincia e quindi della collettività, emergerebbe anche il profilo della responsabilità in caso di eventuali incidenti o infortuni  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga di dovere assumere iniziative, per quanto di competenza, atte a far luce su questa vicenda, al fine di accertare se quanto denunciato dalla stampa e dalle organizzazioni sindacali corrisponda al vero, e, se così fosse, quali iniziative tempestive intenda adottare al fine di accertare le responsabilità di questo dirigente e di consentire che sia riportato alla sua corretta destinazione di uso un bene destinato all'utilizzo pubblico. (4-14119)


      CAPARINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la presente interrogazione muove i presupposti fattuali e giuridici dal piano straordinario di immissione in ruolo del personale docente della scuola pubblica, disposto dall'articolo 1, commi 95 e seguenti, della legge 13 luglio 2015, n.  107 («Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti») e dal successivo piano straordinario di mobilità professionale per l'anno scolastico 2016/2017, disposto dall'articolo 1, comma 108, della stessa legge, reso operativo dal Contratto collettivo nazionale integrativo (CCNI) dell'8 aprile 2016 e dalla contestuale e conseguente ordinanza Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n.  241/2016 dell'8 aprile 2016;
          migliaia di docenti precari sono stati lesi nei loro diritti nel momento in cui:
              l'assegnazione definitiva della sede di servizio (disciplinata dall'articolo 136 del decreto legislativo n.  297 del 1994, il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione, attualmente in vigore) nell'ambito della graduatoria provinciale ad esaurimento GAE in cui era inserita prima dell'assunzione in ruolo, dopo l'assunzione a tempo indeterminato con decorrenza giuridica 1o settembre 2015 e il superamento dell'anno di    formazione e prova (disciplinato dagli articoli 437, 438 e 440 del decreto legislativo n.  297 del 1994,    dall'articolo 1, commi 115 e 120, della legge n.  107 del 2015), è stata modificata per l'interrogante contra legem trasformandola in assegnazione provvisoria di sede, in contrasto con gli articoli 399, comma 3, 473, commi 4 e 7 del decreto legislativo n.  297 del 1994 e con l'articolo 1, comma 99, della legge n.  107 del 2015, l'articolo 2, comma 2, CCNI Comparto Scuola del 2 febbraio 2015 e l'articolo 7, comma 2, CCNI Comparto Scuola del 13 maggio 2015;
          i docenti gravati da quella che appare all'interrogante un'illecita modificazione del quadro legislativo di riferimento sono stati obbligati a partecipare forzatamente, sulla base degli articoli 1, 7 e 2, comma 3, CCNI Comparto Scuola dell'8 aprile 2016, – che per l'interrogante può essere considerato nullo in parte qua – alla procedura di mobilità straordinaria del personale docente disciplinata dall'articolo 1, comma 108, della legge n.107 del 2015, per ottenere una sede lavorativa diversa da quella di assegnazione definitiva, a centinaia di chilometri di distanza dalla propria residenza e dal proprio nucleo familiare, oltre che dall'originaria sede di effettiva nomina in ruolo, in flagrante violazione anche dell'articolo 399, comma 3, del decreto legislativo n. 297 del 1994;
          per comprendere l'estrema gravità dei comportamenti assunti dall'amministrazione scolastica e dunque dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca nei confronti delle migliaia di lavoratori e lavoratrici, docenti assunti nelle cosiddette fasi b) e c) dell'articolo 98 della legge n. 107 del 2015 del cosiddetto piano straordinario di assunzioni del precariato scolastico, occorre ripercorrere, in estrema sintesi, le principali vicende legislative che hanno condotto a quella che all'interrogante appare l'attuale situazione di «follia» nella gestione organizzativa del lavoro in un fondamentale settore del pubblico impiego, quale è quello della scuola;
          in data 8 aprile 2016 è stato stipulato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dalle organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL di Comparto, ad eccezione della GILDA-UNAMS, il Contratto collettivo nazionale integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A. per l'anno scolastico 2016/2017, a cui faranno seguito le modifiche all'articolo 1, comma 108, della legge n. 108 del 2015, introdotte con decorrenza dal 29 maggio 2016 a seguito dell'articolo 1-bis del disegno di legge n. 42 del 2016, a sua volta inserito in sede di conversione della legge n. 89 del 2016;
          la disciplina ordinaria vigente in materia di trasferimenti di personale docente e il rapporto «gerarchico» tra le fonti di diritto in subiecta materia di organizzazione degli uffici e di mobilità del personale, dal momento che nessuna modifica sul punto è stata realizzata dalla legge n. 107 del 2015 e, in specie, dai commi 73 e 118 dell'articolo unico, disposizioni che si sono limitate a delineare l'organico dell'autonomia con la ripartizione dell'originario ambito territoriale provinciale dell'organico di diritto in ambiti territoriali subprovinciali (che hanno sostituito l'ambito comunale), con assegnazione del personale docente in una sede definitiva presso il nuovo ambito territoriale subprovinciale, su cui operare dall'anno scolastico 2016/2017 la nuova mobilità professionale per i trasferimenti del personale docente;
          la disciplina vigente in materia di trasferimenti a domanda del personale docente è compiutamente delineata dagli articoli 462-466 del decreto legislativo n. 297 del 1994, mentre la mobilità d'ufficio è regolata dagli articoli 467-469 del testo unico sulla scuola e riguarda esclusivamente in caso di soppressione di posto o di cattedre o l'accertata situazione di incompatibilità ambientale di permanenza del personale docente nella scuola o nella sede (articolo 467, comma 1);
          gli ambiti dei trasferimenti a domanda sono quello comunale (sostituito dall'ambito territoriale subprovinciale, nell'organico dell'autonomia), come disciplinato dall'articolo 464 del testo unico, che sono disposti con precedenza rispetto ai trasferimenti da comune diverso; quelli provinciale e interprovinciale, disciplinati dall'articolo 465 del decreto legislativo n. 297 del 1994;
          l'articolo 470    del decreto legislativo n. 297 del 1994 sulla mobilità professionale individua rigorosamente gli spazi della contrattazione collettiva nazionale integrativa, nessuno dei quali va a modificare la disciplina dei trasferimenti a domanda, né quella dell'assegnazione provvisoria di sede di cui all'articolo 475 dello stesso testo unico;
          è anche noto che le modifiche introdotte dalla cosiddetta riforma «Brunetta» all'articolo 2, commi 2 e 3-bis    del testo unico sul pubblico impiego hanno radicalmente riformato l'originario rapporto tra legge e contrattazione collettiva nella regolamentazione dei rapporti di lavoro pubblici, laddove la contrattazione collettiva nazionale può derogare alle disposizioni di legge soltanto ove la stessa fonte legale lo preveda e nei limiti in cui essa disponga, comminando con la sanzione della nullità le regole contrattuali che derogano alla legislazione senza alcuna autorizzazione. Inoltre, l'articolo 40, comma 1, del decreto legislativo n.  165 del 2001 esclude espressamente dalla contrattazione collettiva nazionale e integrativa le materie attinenti all'organizzazione degli uffici;
          le citate disposizioni di legge del testo unico sulla scuola in materia di trasferimenti a domanda e di mobilità professionale sono state illegittimamente derogate dal CCNI dell'8 aprile 2016 nei confronti di tutto il personale docente assunto nell'anno scolastico 2015/2016 all'esito delle fasi «B» e «C» del piano straordinario di immissioni in ruolo;
          ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del CCNI dell'8 aprile 2016, «le disposizioni relative ai trasferimenti e ai passaggi contenute nel presente titolo si applicano ai docenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato con sede definitiva, ivi compresi quelli titolari sulla provincia e quelli titolari sui posti delle dotazioni organiche di sostegno (DOS) della scuola secondaria di II grado, ed a quelli immessi in ruolo senza sede definitiva ai sensi dell'articolo 399 del decreto legislativo 297 del 94, i quali partecipano alle operazioni di trasferimento contestualmente ai docenti di ruolo con sede definitiva, nonché al personale insegnante tecnico pratico degli EE. LL. transitato nello Stato con la qualifica di insegnante tecnico-pratico»;
          in buona sostanza, il CCNI dell'8 aprile 2016 poteva operare nei confronti dei docenti assunti nelle fasi «B» e «C» del piano straordinario della legge n. 107 del 2015, in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 399, commi 1-2, del decreto legislativo n. 297 del 1994, solo in quanto «docenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato con sede definitiva», dal momento che soltanto docenti delle fasi «0» e «A», peraltro arbitrariamente in base a disposizioni amministrative e non alla norme legali e contrattuali (che lo vietavano e lo vietano), potevano essere considerati tra i soggetti «immessi in ruolo senza sede definitiva ai sensi dell'articolo 399 del decreto legislativo 297 del 94»;
          l'articolo 399, comma 3, del decreto legislativo n. 297 del 1994 vieta espressamente ai docenti neo assunti o di nuova assegnazione di sede di poter presentare domanda di mobilità professionale prima del triennio di permanenza nella sede, con conseguente inapplicabilità della procedura di mobilità professionale ai docenti delle fasi «B» e «C» del piano straordinario (e di tutti gli assunti nell'anno scolastico 2015/2016);
          l'articolo 2, comma 3, CCNI 8 aprile 2016 inventa, contra legem, la mobilità professionale a domanda o d'ufficio per i docenti immessi in ruolo nelle fasi B e C del piano straordinario di assunzioni: «3. I docenti immessi in ruolo nelle fasi B e C del piano straordinario di assunzioni partecipano alla mobilità al fine di ottenere la titolarità su ambito territoriale. A tal fine i docenti assunti da graduatorie di merito partecipano alla fase B dei movimenti prevista dall'articolo 6 con preventivo accantonamento numerico dei posti nella provincia di nomina provvisoria. I docenti assunti da graduatorie ad esaurimento partecipano alla fase C prevista dall'articolo 6 per tutti gli ambiti nazionali. Per entrambe le categorie, in caso di non accoglimento delle preferenze parzialmente espresse la mobilità avverrà d'ufficio partendo dal primo ambito territoriale espresso. In caso di non presentazione della domanda la mobilità avviene d'ufficio considerando per gli assunti da graduatoria di merito tutti gli ambiti territoriali della provincia e per gli assunti da graduatoria ad esaurimento tutti gli ambiti nazionali. L'assegnazione d'ufficio avverrà nel primo ambito disponibile a partire da quelli della provincia di immissione in ruolo e sulla base delle tabelle di viciniorietà degli ambiti e delle province previste dall'apposita OM.»;
          l'articolo 2, comma 3, del CCNI 8 aprile 2016 si pone in contrasto, secondo l'interrogante, con gli articoli 399, comma 3, 436, 462, 467, 470, 475, comma 4, del decreto legislativo n. 297 del 1994 e l'articolo 7, comma 2, del CCNI 13 maggio 2015, che alle disposizioni di legge si era conformato sul divieto di assegnazione provvisoria di sede agli assunti in ruolo con decorrenza giuridica dal 1o settembre 2015, obbligando invece, a parere dell'interrogante, con modalità di dubbia legittimità i docenti immessi in ruolo nelle fasi B e C del piano straordinario di immissioni in ruolo a partecipare ad una procedura di mobilità professionale che era per gli stessi vietata dalla legge;
          va, peraltro, segnalato che il CCNI 8 aprile 2016 appare all'interrogante radicalmente nullo, oltre che inesistente per aver disciplinato su materia esclusiva dal campo di applicazione della contrattazione collettiva nel pubblico impiego e in contrasto con le norme vigenti, anche per la    violazione dell'articolo 40-bis del decreto legislativo n.  165 del 2001, perché la delegazione di parte pubblica non poteva procedere alla stipula del contratto integrativo in mancanza della relazione tecnico-finanziaria e della relazione illustrativa certificate dai competenti organi di controllo (comma 2), nonché del parere positivo congiunto di compatibilità economico-finanziaria della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica e del Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, da esprimere anche con silenzio-assenso entro trenta giorni dalla data di ricevimento delle due relazioni;
          le modifiche all'articolo 1, comma 108, della legge n.  107 del 2015, introdotte in sede di conversione con decorrenza dal 29 maggio 2016 dalla legge 26 maggio 2016, n.  89 di conversione del decreto-legge n.  42 del 2016, in cui è stato introdotto l'articolo 1-bis, le cui disposizioni possono essere utilizzate a sanare ex post l'illegittima mobilità professionale imposta ai docenti delle fasi «B» e «C» del piano straordinario di immissioni in ruolo dal CCNI dell'8 aprile 2016; confermando invece le predette modifiche, per le ragioni già ampiamente illustrate, si verificherebbe, per l'interrogante, la strumentalità, l'arbitrarietà e la dubbia legittimità dell'intera operazione «congiunta» di reclutamento e di mobilità professionale extra ordinem;
          ovviamente, è sufficiente una semplice operazione informatica e un sistema operativo di non particolare complessità per realizzare quanto previsto dall'articolo 1, comma 73, della legge n. 107 del 2016, cioè l'assegnazione del personale docente assunto ai sensi del comma 98, lettere b) e c), dell'articolo unico della stessa legge agli ambiti territoriali a decorrere dall'anno scolastico 2016/2017 (sostituendo cioè l'indicazione dell'ambito comunale in cui la sede definitiva è allocata con il nuovo ambito territoriale, coincidente con il territorio comunale o dimensioni più ampie subprovinciali), senza effettuare alcuna mobilità professionale che, peraltro, è stata consentita anche agli assunti nelle fasi «0» e «A» per l'anno scolastico 2015/2016, ma soltanto a domanda, pur essendo espressamente vietata dall'articolo 399, comma 3, del decreto legislativo n.  297 del 1994  –:
          se il Ministro intenda porre rimedio urgente, anche assumendo iniziative normative emergenziali, disponendo la reintegrazione dei docenti che hanno, ad avviso dell'interrogante, illegittimamente subito la «mobilità professionale per l'anno scolastico 2016/2017» nella sede di assegnazione definitiva e di prima nomina effettiva, in cui è stato superato l'anno di formazione e prova, partendo dall'acclarato presupposto che secondo l'interrogante l'articolo 2, comma 3, del CCNI 8 aprile 2016 è totalmente nullo, tamquam non esset, nella parte in cui obbliga i docenti interessati dal piano straordinario di mobilità a presentare domanda di mobilità professionale vietata dall'articolo 399, comma 3, del decreto legislativo n.  297 del 1994 per la già avvenuta assegnazione definitiva della sede in cui era stato superato il periodo di formazione e prova, il tutto in conformità ai principi sanciti dagli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione in relazione alla clausola 5 dell'accordo quadro comunitario sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE e agli articoli 8, 14, 17 della CEDU in combinato con l'articolo 1, protocollo 1 addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in correlazione alle succitate normative interne. (4-14121)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          l'articolo 1, comma 282, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha disposto la proroga della sperimentazione, avviata per il triennio 2013-2015, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (articolo 4, comma 24, lettera b), e poi prorogato anche per l'anno 2016 dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2015), concernente la possibilità per la madre lavoratrice dipendente o iscritta alla gestione separata (ivi comprese le libere professioniste che non risultino iscritte ad altra forma previdenziale obbligatoria e non siano pensionate) di richiedere, in sostituzione anche parziale, del congedo parentale, un contributo economico da impiegare per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia erogati da soggetti pubblici o da soggetti privati accreditati, per un massimo di sei mesi;
          il successivo comma 283 ha previsto di estendere l'applicazione sperimentale del « voucher baby sitting» anche alle madri lavoratrici autonome o imprenditrici, nel limite di spesa di 2 milioni di euro per l'anno 2016, demandando ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanarsi, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro sessanta giorni, la definizione dei criteri di accesso e delle modalità di utilizzo del beneficio per le nuove categorie interessate;
          nonostante il termine indicato sia ormai trascorso, non risulterebbe ancora adottato il decreto in parola così da rendere, allo stato attuale, inaccessibile il fondo alle lavoratrici autonome o imprenditrici alle quali è destinato;
          il 3 agosto 2016 con il messaggio n. 3285 l'Inps ha comunicato l'esaurirsi del previsto stanziamento di 20 milioni di euro per l'anno 2016 per il « voucher baby sitting» per le lavoratrici dipendenti ed in attesa delle eventuali rideterminazioni da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha disposto di non prendere in considerazione ulteriori istanze  –:
          se il Ministro interrogato non intenda provvedere con la massima sollecitudine all'adozione del decreto necessario a dare attuazione allo stanziamento di 2 milioni di euro per l'anno 2016 destinati ai « voucher baby sitting» per le madri lavoratrici autonome o imprenditrici;
          se non ritenga altresì di assumere le iniziative di competenza per integrare per il 2016 lo stanziamento di 20 milioni di euro previsto articolo 1, comma 282, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 per i « voucher baby sitting» destinati alle lavoratrici dipendenti o iscritte alla gestione separata INPS;
          se abbia considerato l'opportunità di assumere iniziative per prorogare anche per l'anno 2017 la sperimentazione « voucher baby sitting» tanto per le lavoratrici dipendenti quanto per le autonome o imprenditrici.
(2-01459) «Patrizia Maestri, Gnecchi, Damiano, Di Salvo, Bonomo, Paola Boldrini, Carnevali, Arlotti, Rostellato, Venittelli, Terrosi, Rubinato, Vico, Moretto, Montroni, Murer, D'Incecco, Mariani, Scuvera, Tullo, Mognato, Miotto, Camani, Malpezzi, Carloni, Romanini, Patriarca, Albanella, Amato, Antezza, Albini, Zanin, Piazzoni, Casellato, Rocchi, Gasparini, Rotta, Lattuca».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      ROSTELLATO, VENITTELLI, OLIVERIO, CRIVELLARI, GNECCHI, DI SALVO, ARLOTTI, GIACOBBE, MICCOLI, ROTTA, BOCCUZZI, GRIBAUDO, CASELLATO, BARUFFI, INCERTI, ALBANELLA, PATRIZIA MAESTRI, PARIS, MOGNATO, ROMANINI, MARCO DI MAIO, GALPERTI, IORI, LATTUCA, IACONO, CRIMÌ, CAPODICASA, RAGOSTA, BASSO, MORETTO, MANFREDI, BOSSA, CURRÒ, CARLONI, TIDEI, DE MENECH e CAPOZZOLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'inquadramento legislativo dei cosiddetti lavori usuranti nel sistema normativo italiano è al momento attuale ancora in fase di definizione;
          il primo punto di riferimento legislativo è tuttavia il decreto legislativo 11 agosto 1993, n.  374, che affronta la tematica in maniera più organica, fornendo una prima definizione del concetto di lavoro usurante e cercando al contempo di definire un elenco di questo tipo di mansioni;
          l'articolo 1 del decreto definisce come lavori usuranti «quelli per cui è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee»;
          al decreto è allegata una tabella con indicate le attività con la natura predetta. Tra le categorie di lavori considerati usuranti rientrano anche i marittimi imbarcati a bordo;
          il tema è poi ripreso nella legge 27 dicembre 1997, n.  449, che all'articolo 59, comma 11, afferma che «i criteri per l'individuazione delle mansioni usuranti sono stabiliti con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, della sanità, per la funzione pubblica e per gli affari regionali, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su parere di una commissione tecnico-scientifica, composta da rappresentanti delle amministrazioni interessate e delle organizzazioni maggiormente rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori»;
          il decreto che successivamente è stato emanato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (decreto ministeriale 19 maggio 1999, n.  208), pur definendo i criteri attraverso i quali individuare le mansioni usuranti e pur richiamando le attività usuranti individuate dalla tabella A, effettua un'ulteriore semplificazione, definendo tra le attività usuranti i «lavori espletati in spazi ristretti», con carattere di prevalenza e continuità ed in particolare le attività di costruzione, riparazione e manutenzione navale e le mansioni svolte continuativamente all'interno di spazi ristretti, quali intercapedini, pozzetti, doppi fondi, di bordo o di grandi blocchi strutture;
          la dicitura «marittimi imbarcati a bordo» (come specificato nella tabella A del decreto legislativo 11 agosto del 1993 n.  374) non risulta più essere inclusa «letteralmente» tra quelle particolarmente usuranti ma «inserita» nella macrocategoria «lavori espletati in spazi ristretti»;
          il pescatore esercita la propria attività in ambienti angusti, su superficie instabile e in movimento e tale attività è causa di notevoli danni alla colonna vertebrale, al bacino, alle ginocchia e alle articolazioni in generale; inoltre, l'attività lavorativa nella pesca si svolge per la maggior parte di notte o in condizione di scarsa luce, situazione che rende ancora più complicato il lavoro a bordo;
          la nuova normativa dovrebbe ritenersi estesa anche ai marittimi imbarcati a bordo e già riconosciuti come appartenenti ad una categoria di lavori particolarmente usuranti come da esplicito richiamo alla tabella A già approvata nel 1993 e mai abrogata e gran parte delle condizioni che caratterizzano il lavoro usurante sono presenti in ogni sezione e qualifica di bordo di ogni singola nave a prescindere dalla tipologia e dal servizio svolto  –:
          se la disciplina dei lavori usuranti non sia applicabile ai marittimi imbarcati a bordo, come per legge già previsto, e se non intenda assumere iniziative normativi affinché venga inserito letteralmente il lavoro a bordo delle navi da pesca fra le mansioni usuranti, con ogni conseguenza di legge. (5-09437)


      GNECCHI, DAMIANO, ALBANELLA, ARLOTTI, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DI SALVO, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GRIBAUDO, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROSTELLATO, ROTTA, SIMONI, TINAGLI e ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          come noto, quale unica modalità graduale per l'accesso al trattamento pensionistico, il comma 15-bis dell'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  214 del 2011 (la cosiddetta manovra «Salva Italia») ha disposto:
          «15-bis. In via eccezionale, per i lavoratori dipendenti del settore privato le cui pensioni sono liquidate a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive della medesima: a) i lavoratori che abbiano maturato un'anzianità contributiva di almeno 35 anni entro il 31 dicembre 2012 i quali avrebbero maturato, prima dell'entrata in vigore del presente decreto, i requisiti per il trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2012 ai sensi della tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n.  243, e successive modificazioni, possono conseguire il trattamento della pensione anticipata al compimento di un'età anagrafica non inferiore a 64 anni; b) le lavoratrici possono conseguire il trattamento di vecchiaia oltre che, se più favorevole, ai sensi del comma 6, lettera a), con un'età anagrafica non inferiore a 64 anni qualora maturino entro il 31 dicembre 2012 un'anzianità contributiva di (meno 20 anni e alla medesima data conseguano un'età anagrafica di almeno 60 anni;
          l'Inps, con la circolare 35/2012 ha prescritto che le predette disposizioni si applicano ai lavoratori ed alle lavoratrici, che alla data di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto-legge che reca modifiche al decreto in esame (28 dicembre 2011), svolgono attività di lavoro dipendente nel settore privato, nonostante la norma non prevedesse suddetto vincolo;
          con riferimento al disegno di legge n.  201 del 2011 — manovra «salva Italia» — rispetto all'emendamento che introduceva il comma 15-bis, risulterebbero stimati in 55.000 i soggetti interessati alla regole speciali per i lavoratori dipendenti del settore privato che avrebbero maturato, sulla base della normativa previgente, i requisiti nell'anno 2012, per i quali l'accesso al pensionamento è consentito ad una età non inferiore a 64 anni, con i seguenti oneri, calcolati su un importo medio di pensione di 17.100 euro per soggetto: 10 milioni di euro nel 2012, 25 nel 2013,20 nel 2014, 23 nel 2015, 425 nel 2016, 635 nel 2017, 450 nel 2018, 200 nel 2019 e 50 nel 2020  –:
          quante siano le pensioni liquidate per i lavoratori, occupati il 28 dicembre 2011 nel settore privato, a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive della medesima alla data del 31 agosto 2016, secondo le disposizioni sopra richiamate, suddivise per mese, canale di uscita (vecchiaia o tabella B, allegata alla legge n.  243 del 2004 e successive modificazioni), sesso e i conseguenti oneri fino ad agosto 2016. (5-09441)

Interrogazione a risposta scritta:


      LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante ha ricevuto la segnalazione di alcuni lavoratori, attualmente alle dipendenze di Hitachi Rail Italy S.p.A. (ex Ansaldobreda) che sono stati esposti alle fibre di amianto nel periodo in cui sono stati dipendenti della società Sofer di Pozzuoli (Napoli);
          il Ministero del lavoro e della previdenza sociale ha riconosciuto tale esposizione dalla data di assunzione e fino al 18 ottobre 2000; pertanto, tali soggetti appartengono alla categoria dei lavoratori per i quali vengono applicati i benefici previdenziali previsti dai commi 7 e 8 dell'articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n.  257;
          tuttavia, le riforme del sistema pensionistico che si sono succedute negli ultimi anni e, in particolare, le modifiche introdotte dalla cosiddetta «legge Fornero», non sembrano tenere conto della realtà di tali lavoratori con aspettativa di vita ridotta;
          conseguentemente, per tali lavoratori l'accesso alla pensione è negativamente condizionato da due fattori penalizzanti: da un lato dal continuo incremento, anno dopo anno, dell'anzianità contributiva minima prevista per legge e, dall'altro, dall'applicazione della riduzione sul trattamento pensionistico per il fatto che la loro età anagrafica sarà inferiore a quella minima prevista (oggi 62 anni, probabilmente 67 anni quando matureranno i requisiti contributivi per accedere alla pensione di anzianità);
          quindi, mentre una legge dello Stato li inquadra come lavoratori da tutelare e da mandare in pensione in anticipo rispetto ad un lavoratore normale, un'altra legge li «costringe» a rinunciare a questa tutela per evitare una consistente penalizzazione sul trattamento pensionistico  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga di doversi attivare, anche nell'ambito delle iniziative normative che l'Esecutivo ha preannunciato in materia previdenziale, affinché sia sanata la contraddizione delineata in premessa che penalizza ingiustamente una categoria di lavoratori già duramente colpiti dall'esposizione ad un agente patogeno così nocivo. (4-14109)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta orale:


      TENTORI, TERROSI, TARICCO, ZANIN, CENNI, COVA, MARIANI, FOSSATI e SCUVERA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nel luglio 2013 a Castellanza in provincia di Varese è stato identificato per la prima volta il coleottero chiamato Ophraella communa originario del Nord America, introdotto in Oriente sul finire dello scorso secolo, che si è rapidamente diffuso in tutta la Lombardia, oltre che nel Canton Ticino, in particolare rinvenendo la specie nelle province di Como, Varese, Milano, Lecco e Pavia;
          i primi campioni sono stati affidati al laboratorio fitopatologico del servizio fitosanitario regionale e dopo essere stati identificati a livello specifico su base morfologica, tale determinazione è stata confermata attraverso l'analisi del Dna;
          dalle prime informazioni e dalle notizie comparse sugli organi di stampa si apprende che si tratta di una specie oligofaga associata alle Asteraceae Heliantheae, sottotribù Ambrosiinae ed Helianthinae, ma con preferenza per Ambrosia artemisiifolia (pianta erbacea infestante che provoca allergie), che compie più generazioni all'anno, svolge gran parte del suo ciclo sulla parte aerea della pianta e le cui larve e adulti si alimentano principalmente delle foglie, sulle quali vengono anche deposte le uova, ma non trascurano i fiori;
          il coleottero ha localmente causato sull’Ambrosia gravi defogliazioni e un generale intristimento delle piante colpite, che risultano aver subito danni rilevanti nelle condizioni d'infestazione più severe e in alcuni casi l'effetto in pieno campo e paragonabile a un diserbo selettivo;
          i rilievi aerobiologici condotti nelle stazioni di monitoraggio dei pollini d'interesse allergologico di Legnano, Magenta e Rho (Milano) hanno evidenziato una notevole diminuzione delle concentrazioni di Ambrosia;
          l’Ophraella communa è stata posta in passato all'attenzione in diversi Paesi per un possibile utilizzo come agente di controllo biologico dell’Ambrosia;
          se la diffusione dell’Ophraella communa sul nostro territorio sarà confermata, la presenza dell’Ambrosia e i danni che essa produce potrebbero ridursi considerevolmente, sollevando le pubbliche amministrazioni locali da pesanti oneri per il controllo dell'infestante;
          la bibliografìa riguardante le specie cosiddette «aliene» introdottesi in Italia comprende numerosi insetti causa di gravi danni agli ecosistemi locali oltre che al comparto agricolo, come ad esempio il cinipide che danneggia fortemente la produzione di castagne;
          i cicli biologici sono complessi e quindi un insetto come l’ Ophraella communa apparentemente utile e con ricadute inizialmente positive, potrebbe essere fonte di ulteriori problemi ad esempio in merito all'impatto sugli ecosistemi del territorio, all'equilibrio con la pianta ospite o alle altre specie erbacee che eventualmente potrebbero essere attaccate una volta terminata l’Ambrosia  –:
          se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e se sia intenzione del Governo valutare il possibile utilizzo della Ophraella communa come agente di controllo biologico dell’Ambrosia procedendo ai dovuti approfondimenti su eventuali effetti collaterali legati all'ingresso di questo nuovo coleottero nell'ecosistema del territorio;
          se il Governo intenda approfondire il problema dei controlli alle frontiere per mettere in campo provvedimenti volti a limitare gli indesiderati ingressi di specie cosiddette «aliene» negli ecosistemi locali. (3-02466)


      GAGNARLI e PAOLO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          recentemente la Germania ha annunciato che, dal 2017, i pulcini maschi nati negli allevamenti di ovaiole — circa 30 milioni — non saranno più uccisi a meno di 24 ore dalla nascita, come attualmente avviene;
          l'eliminazione dei maschi degli allevamenti di ovaiole è prevista dall'Unione europea, in quanto tali esemplari, per le loro particolari caratteristiche (sono infatti più piccoli e con un livello di accrescimento più lento rispetto agli altri), non possono essere destinati alla produzione di carne e risultano quindi poco interessanti per il mercato avicolo tuttavia, il metodo di eliminazione utilizzato (appena nati e riconosciuto il sesso da figure specializzate del settore vengono soffocati o tritati in un macchinario a lame rotanti) non rientra certamente in quelli che garantiscono il benessere animale;
          l'idea della Germania, alla quale hanno già fatto eco altri Stati europei tra i quali la Francia, sarebbe quella di determinare il sesso del pulcino già nella fase embrionale, prima della schiusa, così da poter poi destinare le uova ad altri usi. Il costo aggiuntivo di questa operazione si aggirerebbe intorno ai due centesimi a uovo;
          anche in Svizzera si stanno sperimentando altri metodi di allevamento per evitare questa strage di pulcini maschi, a esempio quello di sviluppare una razza di polli in cui il maschio possa essere allevato come animale da carne e la femmina utilizzata per la produzione di uova;
          secondo la CIWF (Compassion in World Farming) al momento non sono ancora disponibili dati su questo particolare aspetto per il nostro Paese, né sui costi di eliminazione dei pulcini e sul successivo smaltimento delle carcasse;
          relativamente agli allevamenti di ovaiole, sempre in Germania si stanno studiando metodi per vietare, sempre a partire dal 2017, il debeccaggio delle galline negli allevamenti di ovaiole, praticato per evitare situazioni di cannibalismo attraverso allevamenti in cui le condizioni degli animali sono di stress e sovraffollamento  –:
          se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali siano i numeri in Italia dei pulcini maschi soppressi negli allevamenti di galline ovaiole;
          se, in base all'esempio fornito dalla Germania, ma anche da altri Paesi europei, intenda portare avanti iniziative, anche normative, per modificare lo stato degli allevamenti di ovaiole;
          quali siano i costi di queste uccisioni e dello smaltimento delle carcasse;
          se intenda intervenire anche con riferimento al metodo del debeccaggio, al fine di una maggiore garanzia del benessere animale negli allevamenti italiani.
(3-02467)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      ROSTELLATO, TERROSI, CARRA, CAPOZZOLO, VENITTELLI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          le piogge di maggio e giugno 2016 che hanno investito il Nord Italia hanno causato la mancata fioritura di numerose specie mellifere come il tiglio e l'acacia;
          tale fenomeno sta determinando l'azzeramento della produzione di miele per la maggior parte degli apicoltori padovani, determinando un aumento del prezzo del miele che oscilla tra il 10 e il 20 per cento;
          per un'azienda di medie dimensioni, la perdita economica si è attestata a –60 per cento;
          a denunciarlo è la CIA di Padova (Confederazione italiana agricoltura) la quale ha stimato che nel corso del 2016 la produzione di miele per gli apicoltori padovani si è ridotta dell'80 per cento;
          a salvarsi parzialmente è stato chi ha operato il trasporto delle arnie in regioni diverse del territorio nazionale, come il Piemonte, le Marche o la Toscana. Una scelta che, comunque, ha comportato gravi costi che si aggiungono poi a quelli per l'acquisto di prodotti per sconfiggere le malattie come la varroa e alle innumerevoli documentazioni che, come tutti gli agricoltori, sono costretti a presentare;
          non di meno è la questione della morìa delle api, ripetutamente denunciata dagli apicoltori nel corso degli anni, e determinata dall'uso di pesticidi, in primis il glifosato, per il cui utilizzo è stata appena concessa una proroga da parte dell'Unione europea;
          ora, oltre a dover far fronte al mancato guadagno e a costi fissi pesantissimi, gli apicoltori dovranno farsi carico anche dell'alimentazione delle api rimaste: molte, non riuscendo a produrre il miele, hanno sciamato, abbandonando le arnie, mentre quelle rimaste non hanno di che cibarsi;
          in base ai dati ufficiali, che negli ultimi anni sono stati presentati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali alla Commissione europea, il patrimonio apistico italiano si attesta da tempo su 1.100.000 alveari e circa 75.000 apicoltori e di questi circa 7000 sono identificabili come imprenditori apistici;
          secondo lo studio di settore ISMEA-Osservatorio gli apicoltori professionali costituiscono una ristretta minoranza – in Italia come in Europa e nel mondo – (meno del 2 per cento), ma detengono una parte consistente del patrimonio apistico totale;
          il prodotto principale dell'alveare è il miele, che grazie alle sue peculiarità di alimento naturale ha conquistato una buona immagine presso il consumatore italiano. Circa il 60 per cento degli apicoltori produce solo miele, essendo la diversificazione produttiva prerogativa delle aziende di ampie dimensioni;
          secondo gli ultimi rilevamenti (fonte ISMEA) la produzione media annua di miele è attualmente di 11.100 tonnellate, quantità che soddisfa circa la metà del fabbisogno interno  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave problematica esposta in premessa;
          quali siano le azioni che il Ministro interrogato intenda porre in essere in merito all'utilizzo del glifosato, pesticida che sta determinando la morìa delle api e di cui, nel contempo, l'Unione europea ha prorogato la concessione;
          se il Ministro interrogato intenda, al fine di favorire d'apicoltura nel nostro Paese, assumere iniziative per prevedere, anche attraverso l'utilizzo dei fondi europei, strumenti che agevolino economicamente la nascita di nuove attività, prevedendone un regime agevolato, incentivi o finanziamenti agevolati alle nuove, imprese che praticano l'apicoltura;
          se il Ministro interrogato intenda avviare iniziative che permettano la riduzione e semplificazione delle pratiche burocratiche per la nascita di nuove attività in tale settore, per ridurre costi e tempi.
       (5-09436)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta scritta:


      PAGANO. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito delle nomine dei rappresentanti delle associazioni come membri dell'Osservatorio nazionale contro la pedofilia e pedo-pornografia, non risulta l'Associazione Meter onlus fondata da don Fortunato Di Noto, antesignana (da 25 anni) nella lotta alla pedofilia in Italia e all'estero;
          si registra quindi l'esclusione di una delle associazioni più attive, competenti e credibili nella lotta alla pedofilia e pedo-pornografia. È da richiamare la proficua azione di contrasto svolta in collaborazione con la polizia postale e delle comunicazioni (protocollo ufficiale dal 2008);
          da 21 anni questa associazione promuove la Giornata nazionale dei bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e della indifferenza contro la pedofilia, sostenuto e patrocinata dalle più alte cariche dello Stato italiano;
          essa fornisce alla polizia postale italiana e alle polizie estere una mole di segnalazioni, riscontrabili, che hanno permesso indagini con arresti contro la pedo-pornografia e lo sfruttamento dei minori. È stato don Fortunato Di Noto, con la sua Meter onlus, collaboratore in numerosissimi tavoli europei e nazionali, oltre che internazionali, a contribuire alla stesura di leggi e di iniziative popolari per la sensibilizzazione del fenomeno criminale a difesa dei bambini;
          l'associazione offre puntualmente campagne nazionali di sensibilizzazione sul triste fenomeno dello sfruttamento sessuale dei bambini. Collabora, qualora viene richiesto, con le procure distrettuali. Accompagna le numerose vittime di pedofilia che si presentano al Centro nazionale Meter per l'accoglienza e l'accompagnamento;
          negli ultimi dieci a    ha segnalato alla polizia postale italiana e a quelle estere circa 130.000 siti puri di pedo-pornografia favorendo importanti inchieste con risvolti internazionali. Contrasta la pedofilia culturale, e a tal proposto, attraverso i canali parlamentari, promuove nuove    leggi nel contrasto al fenomeno di normalizzazione, perseguito da ultimo con la Convenzione di Lanzarote;
          per tale ragioni, non si comprende la esclusione dal tavolo di lavoro dell'Osservatorio nazionale  –:
          quali siano i motivi che hanno portato all'esclusione dell'Associazione Meter onlus dall'Osservatorio nazionale contro la pedofilia.       (4-14115)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


      MUCCI, PRODANI, QUINTARELLI, BRUNO BOSSIO, CARROZZA e CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto-legge 23 dicembre 2013, n.  145, «Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC-auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015», convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n.  9, si prevede, all'articolo 6, comma 1, che, al fine di favorire la digitalizzazione la connettività e l'ammodernamento tecnologico delle piccole e medie imprese, nell'ambito di apposito Programma operativo nazionale della programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari, sono adottati interventi per il finanziamento a fondo perduto, tramite voucher di importo non superiore a 10.000 euro;
          ai fini dell'attuazione di quanto previsto era necessaria l'adozione di un decreto ministeriale che, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze emana il 23 settembre 2014 e che è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 novembre 2014;
          con una nota del 28 gennaio 2015, pubblicata sul sito istituzionale del Ministero dello sviluppo economico si precisa che «il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, 23 settembre 2014 (...) stabilisce lo schema standard di bando e le modalità di erogazione dei contributi previsti dall'articolo 6, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n.  145 (...). Come è altrettanto noto, il decreto interministeriale rinvia a un decreto direttoriale la definizione dei moduli da utilizzare per presentare la domanda di accesso al contributo e dei termini di apertura dello sportello telematico, oltre che l'indicazione del riparto su base regionale delle risorse finanziarie disponibili. In proposito, si conferma quanto già a suo tempo pubblicato nel sito in merito all'apertura del predetto sportello: il decreto direttoriale sarà adottato immediatamente dopo la pubblicazione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze cui è demandata, ai sensi delle norme contenute nel decreto-legge n.  145/2013, la determinazione dell'ammontare dell'intervento nella misura massima di 100 milioni di euro  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle notizie sopra riportate;
          quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati abbiano intenzione di adottare al fine di rendere finalmente operativi i finanziamenti di cui in premessa. (4-14114)


      D'INCÀ. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          a seguito delle continue e ripetute segnalazioni di disservizi e dell'assenza anche prolungata della linea telefonica nella Valle di Schievenin (nel comune di Quero Vas in provincia di Belluno), si è appreso che ciò era stato la conseguenza della scelta operata dalla società Tim, a partire dal mese di luglio 2016, di spegnere il proprio ripetitore lasciando scoperti, dall'unico segnale di telefonia mobile che copre quell'area, gli abitanti e le attività commerciali;
          l'area in questione attualmente risulta essere coperta da un flebile segnale che molto spesso si interrompe, perché proveniente dalla lontana Marghera;
          la problematica di scarsa o assente copertura del segnale telefonico, unitamente alla scarsa ricezione del segnale radiotelevisivo, persiste in molte aree collinari, montane, alpine e appenniniche o comunque periferiche e a bassa densità di popolazione e determina di fatto una grave situazione di «digital divide»;
          nelle suddette zone le centrali telefoniche, nella grande maggioranza dei casi, sono obsolete e necessitano d'interventi di sostituzione di strumentazioni, mentre la copertura della rete di telefonia mobile è piuttosto scadente sia per le caratteristiche geografiche che per l'assenza di un adeguato numero di ripetitori, determinando così in quelle aree un aumento maggiore dei rischi legati alla sicurezza;
          infatti, a titolo di esempio, da articoli di stampa si riporta la vicissitudine accorsa, nel mese di agosto 2016, proprio nella zona in questione (comune di Quero Vas), ad un escursionista padovano, D.Z., che dopo aver contattato il servizio di soccorso del 118, a seguito di una distorsione alla caviglia durante una camminata nella parte alta della Valle di Schievenin, ha riscontrato difficoltà a mantenere costanti i contatti telefonici con la squadra di soccorso alpino di Feltre che tentava di raggiungerlo sul posto dell'incidente;
          il servizio di telefonia domestica è riconosciuto dalla «giurisprudenza italiana» come un bene essenziale, la cui mancanza può comportare anche risarcimenti dovuti al disagio psico-fisico derivante dallo stata di reiterato isolamento nelle comunicazioni (sentenza del tribunale di Grosseto, 30 gennaio 2015) e l'Unione europea inquadra l'accesso ai servizi di telefonia, comunicazione e internet come diritto fondamentale della persona;
          il servizio di comunicazione telefonica, pur essendo oramai da anni gestito da privati, ha una funzione di utilità pubblica, sociale, commerciale, sanitaria e, non ultimo, di sicurezza e la mancanza nelle aree cosiddette «disagiate» di adeguati servizi (come una completa copertura della banda larga) aumenta ulteriormente la discriminazione verso quei cittadini e quei comuni che a malapena riescono ad usufruire di obsolete reti internet  –:
          se non ritenga di adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo, affinché tutti i gestori di telefonia ammodernino definitivamente tutte le centrali e le reti telefoniche nelle aree citate e in tutto il territorio nazionale, garantendo un adeguato servizio ed eguali diritti a tutti i cittadini, indipendentemente dal luogo di residenza e dal relativo bacino di utenza e se intenda attivarsi, per quanto di competenza, per favorire il ripristino tempistico del servizio di telefonia mobile nella valle di Schievenin al fine di garantire un servizio fondamentale alla comunità. (4-14127)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Zardini e Damiano n.  5-07270, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gnecchi.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Businarolo e altri n.  5-08504, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ferraresi.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Sottanelli n.  5-09128, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rabino.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Lombardi n.  5-09241, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cominardi.

Pubblicazione di testi riformulati.

      Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta in Commissione Scuvera n.  5-09312, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  664 del 29 luglio 2016.

      SCUVERA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          in questi giorni i lavoratori dello stabilimento metalmeccanico Cameron di Voghera (acquisito nel 2015 dalla statunitense Schulberger), tra i leader a livello internazionale nella produzione di valvole per oleodotti, sono in sciopero per l'incertezza circa gli investimenti e l'occupazione dei circa 700 dipendenti (considerando anche gli occupati nella consociata Leeden di Voghera);
          a metà 2016 circa 80 contratti a termine, tra operai e impiegati, non sono stati rinnovati;
          a febbraio 2015 l'impresa ha fatto ricorso alla cassa integrazione, aperta per circa 250 persone con rotazione settimanale, ma poi utilizzata solo in piccola parte;
          a ottobre 2015 l'azienda, a fronte di una produzione sostanzialmente invariata rispetto agli anni precedenti e dopo soli 7 mesi, chiude la cassa integrazione ordinaria per avviare la procedura di cassa integrazione straordinaria;
          ad ottobre 2016 scadrà la cassa integrazione, ma dal management non vi sarebbe ancora stata alcuna comunicazione sui piani strategici futuri, malgrado la necessità di incontri chiarificatori su obiettivi, strategia e piano industriale  –:
          quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere per salvaguardare l'occupazione e vista la rilevanza per l'economia provinciale di questo importante stabilimento metalmeccanico. (5-09312)

      Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Russo n.  4-14076, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  668 del 5 agosto 2016.

      RUSSO e SARRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 31 maggio 2016 il consiglio regionale della Campania ha approvato la proposta di legge «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione per la procedura dei direttori delle Aziende Sanitarie e ulteriori misure di razionalizzazione»;
          in particolare, l'articolo 1, comma 1, della legge regionale sopra citata, nel modificare l'articolo 18-bis della legge regionale n.  32 del 1994, in materia di conferimento degli incarichi di direttore generale delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, abroga il comma 5 e sostituisce il comma 6 del medesimo articolo 18-bis;
          i commi 5 e 6 dell'articolo 18-bis sopra citato prevedevano per la nomina dei direttori generali delle asl, una doppia selezione: la prima, ad opera di una commissione di esperti, volta alla formazione di un elenco regionale di idonei al conferimento degli incarichi di direttore generale; la seconda, avviata con apposito avviso pubblico rivolto esclusivamente agli iscritti negli elenchi, ad opera di un'altra commissione di esperti, volta a proporre al presidente della regione ed alla giunta una rosa di cinque candidati con i migliori punteggi;
          le disposizioni previste nella legge della regione Campania 8 giugno 2016, n.  15, sia pur in linea con i principi stabiliti in materia dall'articolo 3-bis del decreto legislativo n.  502 del 1992 si pongono a giudizio degli interroganti in evidente contrasto con la legge 7 agosto 2015, n.  124 (cosiddetta legge Madia) che, all'articolo 11, prevede una delega al Governo in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici ufficiali e specificatamente, alla lettera p), anche con riferimento agli incarichi di direttore generale, direttore amministrativo, direttore sanitario e di direttore dei servizi sociosanitari;
          il legislatore ha previsto che il decreto di delega dovrà prevedere, quale principio in materia di tutela della salute ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, una «selezione unica per titoli, previo avviso pubblico, dei direttori generali in possesso di specifici titoli formativi e professionali e di comprovata esperienza dirigenziale, effettuata da parte di una commissione nazionale composta pariteticamente da rappresentanti dello Stato e delle regioni, per l'inserimento in un elenco nazionale degli idonei istituito presso il Ministero della salute, aggiornato con cadenza biennale, da cui le regioni e le province autonome devono attingere per il conferimento dei relativi incarichi da effettuare nell'ambito di una rosa di candidati costituita da coloro che, iscritti nell'elenco nazionale, manifestano l'interesse all'incarico da ricoprire, previo avviso della singola regione o provincia autonoma che procede secondo le modalità del citato articolo 3-bis del decreto legislativo n.  502 del 1992, e successive modificazioni»;
          il 19 luglio 2016 la commissione affari sociali (XII) della Camera ha espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n.  124, (305) sul quale si sono espressi la Conferenza delle regioni e delle province autonome nonché il Consiglio di Stato;
          nel testo dello schema di decreto e in entrambi i pareri resi dalle citate istituzioni si conferma la necessità di mantenere un meccanismo di nomina che, da un lato, preveda la formazione di un elenco, in questo caso nazionale, dal quale le regioni devono attingere e dall'altro, una procedura selettiva per titoli e colloquio, previo avviso pubblico dell'incarico da ricoprire, volte a determinare una rosa (rectius «terna») di nominativi tra i quali il presidente della regione individua il candidato più idoneo; nella terna proposta non possono essere inseriti coloro che abbiano ricoperto l'incarico di direttore generale, per due volte, presso la medesima azienda ospedaliera o il medesimo ente del servizio sanitario nazionale;
          è dunque evidente secondo gli interroganti, che la legge regionale in questione si pone in netto contrasto con la normativa nazionale vigente violando l'articolo 117 della Costituzione, soprattutto nella parte in cui non prevede un'adeguata selezione da attuarsi per il tramite di un sistema cosiddetto bifasico come già presente nel vigente articolo 3-bis del decreto legislativo n.  502 del 1992;
          il sistema di nomina dei direttori generali come stabilito dalla legge regionale 8 giugno 2016, n.  15, si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale che ha censurato ogni norma contrastante con il sistema di stabilità gestionale e di indipendenza funzionale del direttore generale (Corte costituzionale n.  104 del 19 marzo 2007; Corte costituzionale 5 febbraio 2010, n.  34);
          il Ministero della salute con nota del 6 luglio 2016 ha ritenuto che le disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 1, della legge regionale Campania n.  15 del 2016 possano essere censurate per la violazione del «principio di ragionevolezza», laddove sopprimono le procedure per la nomina dei direttori generali delle asl e ripristinano procedure che, pur compatibili formalmente con quanto previsto dall'articolo 3-bis del decreto legislativo n.  502 del 1992 e successive modificazioni, operano una reformatio in peius rispetto alla garanzia di trasparenza ed imparzialità che il legislatore ha inteso assicurare con la riforma operata con la legge n.  124 del 2015, al fine di garantire il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa;
          nonostante le evidenti criticità sopra riportate, il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, durante le sedute di giunta del 13 e 20 luglio 2016 ha provveduto, sulla base della legge regionale n.  15 del 2016, alla nomina dei direttori generali dell'asl Napoli 1, Napoli 2 e Napoli 3, dell'azienda ospedaliera dei Colli, dell'asl di Caserta e dell'asl di Salerno;
          il 28 luglio 2016 il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Maria Anna Madia e del Ministro interrogato, ha approvato, in esame definitivo, il decreto legislativo di attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n.  124, in materia di dirigenza sanitaria;
          nello specifico il decreto istituisce presso il Ministero della salute un elenco nazionale di quanti hanno i requisiti per la nomina a direttore generale delle aziende sanitarie italiane. L'elenco sarà stilato da una Commissione istituita presso il Ministero della salute e composta da 5 esperti che parteciperanno a titolo gratuito. Il direttore generale dovrà essere scelto all'interno di una rosa individuata da una commissione regionale tra gli iscritti all'albo nazionale in possesso di comprovati requisiti di merito. L'operato del direttore generale è sottoposto a valutazione e, in caso di gravi motivi o di una gestione che presenta un disavanzo importante, entro 30 giorni dall'avvio del procedimento, la regione provvede alla sostituzione. Il testo recepisce le indicazioni dei pareri parlamentari e tiene conto delle osservazioni della Conferenza unificata e del Consiglio di Stato;
          nella stessa sede, il Consiglio dei ministri ha esaminato la legge della regione Campania n.  15 del 2016 e deciso di non impugnarla, nonostante tale legge preveda che il presidente della giunta possa nominare direttamente il direttore generale e sopprime il secondo livello di valutazione, da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali;
          gli interroganti rilevano l'assoluta mancanza di ragioni di urgenza per procedere alla nomina dei direttori generali con una procedura difforme da quella introdotta con la legge delega e con il decreto legislativo, già vigente in Campania, atteso che tale asserita urgenza, invocata in tutte le sedi dall'attuale presidente della regione, è stata causata, ad avviso degli interroganti, dall'avere bloccato, per un anno intero le procedure già avviate dall'ente, concluse, o in via di conclusione, con l'individuazione delle cinquine di tecnici qualificati, nel cui ambito si sarebbero potute effettuare da tempo le nomine  –:
          se il Governo non intenda chiarire le motivazioni che hanno determinato la decisione di non impugnare la legge della regione Campania n.  15 del 2016, nonostante l'evidente violazione del principio di ragionevolezza rilevato dal Ministero della salute. (4-14076)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta in Commissione Fabbri n.  5-08026 del 7 marzo 2016;
          interrogazione a risposta in Commissione Terzoni n.  5-09008 del 27 giugno 2016;
          interrogazione a risposta immediata in Commissione Locatelli n.  5-09201 del 19 luglio 2016.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta in Commissione Tentori e altri n.  5-02479 del 27 marzo 2014 in interrogazione a risposta orale n.  3-02466;
          interrogazione a risposta scritta Brugnerotto e altri n.  4-08502 del 20 marzo 2015 in interrogazione a risposta orale n.  3-02470.
          interrogazione a risposta in Commissione Colletti e altri n.  5-05613 del 14 maggio 2015 in interrogazione a risposta orale n.  3-02468;
          interrogazione a risposta in Commissione Parentela e altri n.  5-06207 del 29 luglio 2015 in interrogazione a risposta orale n.  3-02464;
          interrogazione a risposta in Commissione Gagnarli e Paolo Bernini n.  5-07345 del 13 gennaio 2016 in interrogazione a risposta orale n.  3-02467;
          interrogazione a risposta in Commissione Romanini e Patrizia Maestri n.  5-08599 del 9 maggio 2016 in interrogazione a risposta scritta n.  4-14101.
          interrogazione a risposta scritta Brugnerotto e D'Incà n.  4-14043 del 5 agosto 2016 in interrogazione a risposta orale n.  3-02471.