XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Risoluzioni in Commissione:
Le Commissioni VIII e X,
premesso che:
l'accordo di Parigi sul clima è stato siglato il 12 dicembre 2015, nell'ambito della 21a Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfcc1) (Cop21), e firmato il 22 aprile 2016 a New York da più di centosettanta Paesi, presso la sede dell'Onu;
il 27 ottobre 2016 è stato approvato definitivamente dal Senato il disegno di legge A.S. 2568 recante ratifica ed esecuzione dell'accordo di Parigi collegato alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato a Parigi il 12 dicembre 2015;
l'Unione europea ha depositato il proprio strumento di ratifica il 4 ottobre 2016. Grazie al contributo dell'Unione europea sono stati soddisfatti entrambi i requisiti fissati per l'entrata in vigore dell'accordo, avvenuta il 4 novembre 2016;
gli elementi principali dell'accordo di Parigi possono essere così sintetizzati:
a) l'obiettivo di lungo termine (già concordato nelle precedenti Conferenze delle parti) di limitare l'incremento della temperatura entro i 2o C rispetto ai livelli preindustriali è stato confermato e, inoltre, è stato convenuto di proseguire gli sforzi per limitare l'aumento della temperatura di 1,5o C;
b) è stato previsto un meccanismo di revisione quinquennale (a partire dal 2020) degli impegni assunti (per renderli più ambiziosi) in termini di politiche, misure e strategie nazionali di mitigazione, tramite la presentazione, ogni cinque anni, da parte di ogni Paese, di un « nationally determined contribution»;
c) è stata riconosciuta la necessità di una differenziazione degli obblighi dei Paesi sulla base delle differenti realtà nazionali;
d) i Paesi industrializzati hanno confermato e rinnovato i propri impegni a favore del finanziamento del Green Climate Fund, meccanismo di assistenza finanziaria ai Paesi in via di sviluppo per l'implementazione di pratiche di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici;
nella seduta del 3 febbraio 2016, presso la 13a Commissione del Senato, si sono svolte le comunicazioni del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galletti sulla Conferenza COP21 di Parigi. In tali comunicazioni, il Ministro ha sottolineato che le azioni per affrontare i cambiamenti climatici che hanno preso forma di contributi nazionali volontari (INDC – Intended Nationally Determined Contributions), presentati dai governi nell'arco del 2015, consentiranno nei prossimi anni una deviazione sostanziale del trend delle emissioni rispetto alla situazione attuale;
tuttavia, il 6 ottobre 2016, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione (2016/2814(RSP)) che evidenzia come gli attuali INDC non siano sufficientemente ambiziosi per conseguire gli obiettivi dell'accordo e che esorta gli Stati membri dell'Unione europea a ridurre il loro livello di emissioni rispetto agli impegni attuali;
il Consiglio ambiente dell'Unione europea, il 30 settembre 2016, ha approvato le Conclusioni sui preparativi della conferenza di Marrakech, nelle quali, per quanto attiene al processo internazionale, ha espresso preoccupazione circa le conclusioni della relazione del Segretariato della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfcc1) secondo cui, al momento, mancano gli sforzi necessari a raggiungere l'obiettivo di lungo termine e ha invitato le parti a progettare un adeguato processo di bilancio globale che contribuisca a stimolare le azioni nazionali, l'ambizione globale e la cooperazione internazionale;
nella relazione del Ministro dell'ambiente sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, allegata al documento di economia e finanza (DEF) 2016, nota come «allegato Kyoto», viene riportata, per i settori «non-ETS (Emission Trading System)», una stima delle emissioni nazionali di gas-serra per gli anni 2013-2015 e 2020 (il cosiddetto scenario di riferimento) che tiene conto degli effetti, in termini di riduzione delle emissioni, delle misure attuate e adottate fino al dicembre 2014 ed elencate nell'allegato 2. In un apposito paragrafo (il paragrafo III.2), viene fornito un elenco di provvedimenti ed atti, completati e in corso di definizione, su efficienza energetica e fonti rinnovabili, considerati come «azioni da attuare in via prioritaria per il raggiungimento degli obiettivi annuali di cui alla decisione 406/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio»;
sulla base del mandato definito nelle conclusioni del Consiglio di ottobre 2014, la Commissione europea ha elaborato alcune proposte legislative di attuazione (in particolare, nel luglio 2015, ha pubblicato una proposta di ulteriore revisione della direttiva 2003/87/UE), che sono in esame di pari passo e in raccordo con la strategia sull'Unione dell'energia, avviata nel febbraio 2015 dalla Commissione europea, per conseguire l'obiettivo di un sistema energetico europeo in grado di garantire energia sicura, sostenibile, competitiva e a prezzi ragionevoli per i cittadini;
nel luglio 2016 la Commissione europea ha emanato una proposta di Effort Sharing Regulation, letteralmente «condivisione degli sforzi», in base alla quale ogni Stato membro deve ridurre entro il 2030, e con percentuali diverse a seconda dei Paesi, le emissioni di CO2 relative alle attività dei settori non industriali (cioè le emissioni da trasporto, costruzioni, agricoltura, gestione dei rifiuti). Questi settori sono anche detti settori «non-ETS» perché non partecipano all’Emission Trading System e che si applica invece ai settori industriali. Nel caso dell'Italia, la proposta dell’Effort Sharing Regulation prevede una riduzione delle emissioni al 2030 del 33 per cento rispetto al 2005;
l'Indc dell'Unione europea dovrà essere rivisto al rialzo, visto che esso prevede una riduzione del 30 per cento delle attività «non-ETS», dunque uno sforzo insufficiente rispetto al 40-50 per cento di riduzione delle emissioni che l'Europa dovrebbe attuare entro il 2050 per contribuire equamente, a livello internazionale, al contenimento del riscaldamento entro la soglia di 1,5o C;
con la ratifica dell'accordo di Parigi, l'Italia si è impegnata a mettere in atto politiche energetiche che favoriscano lo sviluppo di tecnologie rinnovabili pulite e a porre fine allo sfruttamento delle fonti fossili. La transizione energetica verso un'economia « zero carbon» richiede una programmazione politica precisa, con tappe intermedie che si allineano agli obiettivi di decarbonizzazione fissati a livello internazionale;
la promozione del petrolio e delle fonti fossili rispetto alle rinnovabili ha orientato il mercato energetico in maniera evidente, come dimostrano i dati relativi agli investimenti nei vari settori. Secondo uno studio del Fondo monetario internazionale del 2015, ripreso dal rapporto di Greenpeace «Rinnovabili nel Mirino», l'Italia è tra i primi 10 Paesi dell'Unione europea per investimenti sulle fonti fossili, per un totale di 12,8 miliardi di dollari americani nel 2012, aumentati a 13,2 miliardi di dollari nel 2014;
secondo un'analisi del Bloomberg New Energy Finance, gli investimenti sull'energia pulita in Italia nel 2014 sono diminuiti del 60 per cento rispetto al 2013 a causa di politiche energetiche contraddittorie;
i dati presentati nel rapporto «GreenItaly 2016», a cura della Fondazione Symbola e Unioncamere, delineano i vantaggi dal punto di vista della crescita economica e dell'occupazione legati alla promozione di un'economia basata su tecnologie innovative a basso impatto di carbonio;
sino ad oggi, la politica energetica italiana ha mostrato scarsa consapevolezza delle evidenze scientifiche e assoluta miopia in merito alle scelte strategiche da attuare. Diversi studi mostrano come un cambio radicale delle scelte energetiche potrebbe portare l'Italia alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra e all'indipendenza energetica. A tal proposito, è rilevante lo studio «Verso un'Italia low Carbon: sistema energetico, occupazione e investimenti», pubblicato dall'Enea, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo sostenibile nel 2013, che mostra come il passaggio ad un'economia a basse emissioni di carbonio entro il 2050 per l'Italia è tecnicamente ed economicamente fattibile;
ispirandosi alla Roadmap 2050, proposta dall'Unione europea per ridurre le emissioni di gas serra dell'80-95 per cento rispetto al 1990 entro il 2050, l'Enea ha considerato due scenari: un primo scenario di riferimento che si basa sulla Strategia energetica nazionale e le politiche energetiche attualmente esistenti; e un secondo scenario Roadmap 2050 che per mezzo di un percorso di decarbonizzazione porterebbe alla riduzione delle emissioni dell'80 per cento rispetto al 2005. Il secondo scenario si sofferma sugli sviluppi necessari delle politiche energetiche italiane, individuando i settori e le tecnologie su cui far leva per abbassare le emissioni nel lungo periodo. Enea rileva che per poter raggiungere gli obiettivi europei al 2050, la Strategia energetica nazionale non risulta «sufficiente a garantire il passaggio ad un'economia a basse emissioni di carbonio»;
per essere in grado di sfruttare l'enorme potenziale della transizione in corso, cogliendo la grande opportunità di rilancio economico e occupazionale per il nostro Paese, è necessario definire da subito un quadro certo di medio e lungo periodo, con scelte chiare in grado di tracciare i lineamenti di un nuovo programma industriale nazionale e di indirizzare gli investimenti non solo del settore energetico, ma di tutti i comparti coinvolti dalla transizione. L'alternativa è quella di una inevitabile perdita di competitività e della marginalizzazione delle imprese nazionali nel principale mercato globale del prossimo futuro, quello delle soluzioni e tecnologie green (che riguardano la produzione di energia, l'edilizia, i trasporti, i servizi, la pianificazione urbana, l'agricoltura, e altro);
la mancanza di una linea di sviluppo definita è tra le cause principali delle inefficienze che oggi caratterizzano il sistema energetico nazionale (dall'eccesso di capacità produttiva fossile al peso del meccanismo di incentivazione delle rinnovabili sulla bolletta elettrica). Un quadro certo di medio e lungo periodo consentirebbe ai soggetti che a diverso titolo intervengono sulle regole di questo settore di definire strumenti efficienti ed efficaci e agli attori che investono nelle tecnologie e soluzioni energetiche, ma anche al sistema del credito ad esempio, di raggiungere livelli adeguati di fiducia;
naturalmente, tale quadro, per tradursi in realtà, dovrà essere economicamente sostenibile. Questo non potrà avvenire attraverso i classici meccanismi di incentivazione, spesso poco efficienti e scarsamente efficaci. La fattibilità economica della transizione sostenibile potrà essere garantita solo attraverso una riforma «di sistema» che ne garantisca la finanziabilità. Tale riforma dovrà basarsi, in primo luogo, su una revisione della fiscalità in chiave ecologica che, rispettando il principio della neutralità fiscale (nessun aumento di gettito complessivo), modifichi in modo profondo le convenienze degli investimenti verso tecnologie e interventi a basse emissioni di carbonio. In tale ambito sono diversi gli strumenti e le strategie che potranno essere attivate, da forme di carbon pricing a interventi di riallocazione/eliminazione dei sussidi dannosi, fino a facilitazioni di accesso al credito e strumenti di sostegno economico tarati sulle singole tecnologie;
la Commissione europea ha inviato nel 2015 al Governo italiano le Country Specific Reccomendations, con cui si redarguisce il nostro Paese per il ritardo nell'introdurre tasse modulate secondo il principio del «chi inquina paga», come la carbon tax, e nel rimuovere sussidi che risultano dannosi per l'ambiente, come quelli alle energie fossili. In Italia, secondo le suddette raccomandazioni, «rimangono lettera morta la revisione dell'imposizione ambientale e l'eliminazione delle sovvenzioni dannose per l'ambiente»;
l'attuale Strategia energetica nazionale (SEN), approvata nel 2013, appare del tutto inadeguata ad affrontare le nuove sfide poste dal mutato quadro internazionale in merito agli obiettivi, agli strumenti e alle politiche energetiche proposte,
impegnano il Governo:
a predisporre una nuova Strategia energetica nazionale, con un orizzonte operativo al 2030, preceduto da tappe di avvicinamento verificabili al 2020 e 2025, e indicazioni strategiche al 2050, che, partendo dai nuovi obiettivi climatici, delinei la trasformazione a cui andranno incontro il sistema energetico nazionale e i settori coinvolti nei prossimi decenni, fornendo indicazioni circa le caratteristiche degli strumenti che sosterranno tale trasformazione;
ad orientare la revisione della Strategia energetica nazionale al rispetto degli obiettivi sottoscritti con l'accordo di Parigi nel 2015 e definiti nel piano operativo alla conferenza di Marrakech, avendo come orizzonte temporale il 2050 e le indicazioni operative il 2030;
a rendere la Strategia energetica nazionale coerente con la Strategia di sviluppo a basse emissioni di carbonio e con la Strategia nazionale di sviluppo sostenibile, nel quadro di un impegno alla definizione di una strategia climatica nazionale;
a promuovere sistemi di generazione distribuita dell'energia, assumendo iniziative per liberalizzare e sostenere la produzione, l'autoconsumo e lo scambio di energia da fonti rinnovabili;
a promuovere la ricerca, le innovazioni tecnologiche nei diversi ambiti indicati, e sostenere l'applicazione e lo sviluppo di nuove tecnologie nel settore delle fonti energetiche rinnovabili, dei sistemi di accumulo e di distribuzione e nel settore dell'efficientamento energetico;
a promuovere la più ampia partecipazione pubblica nel processo di revisione della Strategia energetica nazionale, in modo tale da raccogliere proposte ed indirizzi anche da quei soggetti e portatori di interesse che, più di altri sono già impegnati in percorsi di transizione energetica e di decarbonizzazione;
a definire politiche di decarbonizzazione rafforzate, supportate anche da un'adeguata e coerente fiscalità ambientale, per rendere più convenienti le fonti rinnovabili con incentivi impliciti ai combustibili alternativi e all'efficienza, in grado di sostenere il raggiungimento degli obiettivi europei sull'economia circolare, rivedendo il sistema delle accise sulla base delle emissioni di CO2;
a promuovere e sostenere l'adozione di misure, sostegni e incentivi che contengano e riducano fortemente le emissioni di inquinanti – industriali, dei veicoli stradali e degli impianti di riscaldamento civili – ai fini del miglioramento della qualità dell'aria, soprattutto nel bacino padano nonché in tutte le altre aree del Paese gravate da situazioni di criticità;
a valutare la possibilità di avviare appropriate e immediate iniziative per la rimozione degli incentivi e dei sussidi diretti e indiretti all'uso di combustibili fossili, e per incrementare gli investimenti sulla ricerca e sullo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, sul risparmio energetico, nonché sull'efficiente produzione e uso dell'energia e definendo conseguentemente un piano nazionale energetico ispirato alle visioni strategiche espresse dagli indirizzi comunitari;
ad assumere iniziative per destinare interamente i proventi derivanti dalla vendita all'asta dei permessi di emissioni (ETS) al finanziamento di politiche di mitigazione ed adattamento ai cambiamenti climatici;
a rendere coerente la nuova Strategia energetica nazionale con le disposizioni previste dalla Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, elaborata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in collaborazione con la comunità scientifica nazionale;
a perseguire, in linea con la predisposizione del nuovo «pacchetto europeo», un modello di economia circolare, da realizzare promuovendo iniziative normative, investimenti in innovazione e ricerca finalizzati al riuso e al riciclo, l'introduzione di un indice che misuri la circolarità di prodotti e l'adozione di incentivi per prodotti ed aziende all'interno di filiere circolari, in modo da contribuire alla creazione di nuova occupazione;
ad incentivare e promuovere, per quanto di competenza e in collaborazione con gli enti territoriali, lo sviluppo di infrastrutture verdi in grado di sequestrare carbonio e compensare in parte le emissioni di gas serra, soprattutto in ambito urbano.
(7-01198) «De Rosa, Crippa, Busto, Daga, Mannino, Micillo, Terzoni, Zolezzi, Vallascas».
La III Commissione,
premesso che:
il 6 febbraio 2017 la Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato in maniera definitiva, con 60 voti favorevoli e 52 contrari, una legge che permette a Israele di legalizzare retroattivamente 3.800 alloggi che sorgono in sedici colonie nella «zona C» della Cisgiordania, costruiti su terreni di proprietà di palestinesi;
la legge in questione, definita provocatoria in molte capitali anche amiche di Israele, è stata voluta per evitare complesse battaglie legali tra i coloni e i proprietari dei terreni, i quali non possono opporvisi, ma possono chiedere un risarcimento, e anche perché la loro espropriazione di fatto non era mai stata approvata da una legge del parlamento e quindi risultava essere formalmente illegale;
appare evidente che il nodo vero della questione sta nel fatto che, storicamente, questi espropri illegali venivano fatti dall'esercito israeliano senza alcuna copertura politica e persino con condanne dalla stessa Corte suprema israeliana che non ne ha mai riconosciuto la legittimità; infatti, la stessa sarà presto investita del caso in esame e potrebbe dichiarare incostituzionale la citata legge; peraltro, si apprende da fonti stampa che il procuratore generale ha già fatto sapere che si guarderà bene dal difenderla;
questa grave decisione, a parare dei firmatari del presente atto, è da considerarsi un ostacolo alla soluzione a due Stati del conflitto israelo-palestinese e costituisce di fatto un primo serio passo verso un'annessione definitiva dei territori occupati nel 1967, durante la «guerra dei Sei giorni»; è da ricordare che il 27 febbraio 2015 alla Camera dei deputati venivano approvate una mozione di maggioranza, la n. 1-00745 che, tra l'altro, impegnava il Governo pro tempore «continuare a sostenere in ogni sede l'obiettivo della costituzione di uno Stato palestinese che conviva in pace, sicurezza e prosperità accanto allo Stato di Israele, sulla base del reciproco riconoscimento (...)», e un'altra, la n. 1-00746, più dilatoria poiché legata al riconoscimento di Israele da parte di Hamas;
la legge è stata duramente criticata dall'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), dalla Lega araba, dalla Turchia, dalla Giordania e dall'opposizione israeliana guidata dal laburista Isaac Herzog, che ha parlato di una possibile incriminazione di Israele da parte della Corte penale internazionale;
peraltro, il giorno dopo l'approvazione della citata legge, il 7 febbraio, le autorità europee hanno rimandato un incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu previsto per il 28 febbraio, che avrebbe dovuto sancire il disgelo nei rapporti tra Israele e l'Unione europea; merita qui ricordare che Israele resta un partner privilegiato dell'Unione europea (sotto tutti i punti di vista, nonostante le sue politiche nei confronti dei palestinesi) che però se, da un lato, non ha mai riconosciuto come legali le colonie, dall'altro dovrebbe sapere se sta importando prodotti che arrivano da località legali o meno; non va dimenticato, in tal senso che ci sono voluti ben 30 anni solo per arrivare all'etichettatura diversa dal made in Israel per le merci delle colonie ebraiche nei territori palestinesi occupati dirette in Europa;
la sottovalutazione, se non il disinteresse, dell'Europa per la citata legge amplifica la «vittoria» del Governo Netanyahu e della destra religiosa alla guida del Paese ma soprattutto del ministro Bennett, leader del partito dei coloni «Casa ebraica»; inoltre, l'insediamento alla Casa Bianca dell'alleato e neo-presidente Donald Trump, e la paralisi della comunità internazionale messa a nudo il mese scorso da quella che ai firmatari del presente atto appare l'insulsa dichiarazione finale della Conferenza di Pace di Parigi del 15 gennaio 2017 (nel documento finale veniva rinnovato blandamente l'appello a Tel Aviv e ai palestinesi affinché restaurassero il loro impegno per un accordo di pace evitando azioni unilaterali), ha vieppiù «irrobustito» la posizione del Premier israeliano che si sente incoraggiato a portare avanti la propria politica;
tuttavia, se gli Stati Uniti e l'Unione europea non faranno la propria parte per fermare l’escalation messa in moto dal Governo Netanyahu, la strada da percorrere sarà quella della giustizia internazionale e del ricorso alla Corte penale dell'Aja,
impegna il Governo:
a sostenere con forza, nelle opportune sedi europee e internazionali, la posizione fortemente contraria dell'Italia alla citata legge, in quanto in palese contrasto con il diritto internazionale e le risoluzioni e le mozioni dei Parlamenti europeo e italiano a favore della soluzione «due Stati due Popoli»;
ad assumere iniziative in sede europea volte a condizionare l'incontro che si sarebbe dovuto tenere con il Premier israeliano alla fine di febbraio 2017 al superamento della legge di cui in premessa e al blocco immediato dei nuovi insediamenti, come primi e necessari passi per avviare un dialogo preparatorio per il disgelo dei rapporti tra Unione europea e Israele.
(7-01197) «Manlio Di Stefano, Spadoni, Grande, Del Grosso, Scagliusi, Di Battista».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
il 15 marzo 2017 scadranno i termini oltre i quali sarà perseguita la vendita a «pezzi» della fabbrica di Villacidro, un tempo fiore all'occhiello nella costruzione e nella manutenzione delle carrozze ferroviarie italiane;
il 20 gennaio 2015 il Governo Renzi faceva divulgare uno spot televisivo in cui risultava che la vertenza Keller fosse stata risolta;
la società nel frattempo era fallita, a giudizio dell'interpellante, per l'insipienza e l'incapacità proprio del Governo Renzi;
si trattò di comunicazioni destituite di ogni fondamento proprio per la fine drammatica della società Keller;
inoltre, si è registrata un'improvvida quanto discutibile visita pre-referendaria del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio pro tempore Lotti il quale il 24 settembre 2016 teneva davanti allo stabilimento della Keller una conferenza stampa in cui affermava che avrebbe trasferito la vertenza addirittura a Palazzo Chigi;
gli impegni e le parole si sono sprecate a tal punto che il presidente del consorzio industriale di Villacidro nei giorni scorsi, nel solco delle improbabili previsioni dei rappresentanti di Palazzo Chigi e della stessa regione, ha immaginato di destinare il sito alle manutenzioni dei blindati militari nei carriponte ferroviari proprio della Keller;
lo stesso segretario della Cgil del Medio Campidano segnalava l'inverosimiglianza di tutto ciò;
la Keller Elettromeccanica spa era una tra le più importanti aziende private, interamente italiane, attive nella progettazione, costruzione e revamping di materiale rotabile nell'area industriale di Villacidro, nella provincia del Medio Campidano, nella regione Sardegna;
negli stabilimenti della Keller, la produzione di materiale rotabile spaziava dal trasporto passeggeri a quello merci, veniva effettuata in due stabilimenti produttivi – il più grande in Sardegna, il secondo in Sicilia – ed impiegava oltre 500 addetti;
la collocazione strategica dei due stabilimenti situati nell'area centrale del Mediterraneo, l'esperienza, gli specialisti qualificati, i sistemi produttivi di ultima generazione, le apparecchiature di controllo ed il continuo aggiornamento del personale, rendevano la Keller una realtà altamente competitiva;
la Keller aveva posto obiettivi di rilancio principalmente verso il Nord Africa, comunità di Stati indipendenti (ex URSS), regioni Balcaniche e regioni del Medio ed Estremo Oriente dove il tasso di sviluppo del mercato ferroviario era in continuo aumento;
la Keller opera in un territorio duramente provato dalla crisi economica e occupazionale e la ripresa produttiva costituirebbe un importante segnale per l'intera comunità;
l'intervenuto fallimento della Keller è stato, secondo l'interpellante il risultato di ritardi, false promesse di intervento finanziario, lassismo di una giunta regionale e di un Governo inadeguati;
annunci fallimentari, compreso lo spot del Presidente del Consiglio, e poi la «mazzata» con il fallimento che vanifica le speranze dell'intero territorio di Villacidro e di quello regionale più in generale, duramente provato dalla crisi economica e occupazionale;
la mancata ripresa produttiva dello stabilimento e il suo fallimento non solo mandano a casa oltre 400 lavoratori, ma costituiscono un colpo letale per il territorio e l'intera Sardegna;
gli annunci di incontri e di interessi vari si sono rivelati destituiti di fondamento e il 15 marzo 2017 tutto questo rischia di avviare una procedura di smantellamento davvero grave per la fabbrica di Villacidro;
il Governo deve immediatamente porre in essere procedure straordinarie per impedire alla pari di altre realtà lo smantellamento degli impianti e avviare una seria e concreta azione tesa all'individuazione di Villacidro interlocutori per rilevare l'azienda e farla ripartire;
occorre evitare in ogni modo lo smembramento della fabbrica;
regione e Governo devono mettere in campo un serio piano in grado di salvaguardare i livelli occupazionali e garantire la ripresa produttiva –:
se non ritengano di dover assumere iniziative straordinarie, per quanto di competenza, per impedire, alla pari di altre realtà, lo smantellamento degli impianti e avviare una seria e concreta azione tesa all'individuazione di validi interlocutori per rilevare l'azienda e farla ripartire nel più breve tempo possibile;
se e quali iniziative di competenza intendano assumere affinché possono essere bloccate le procedure di vendita frammentata degli impianti prevista dopo il 15 marzo 2017;
se non ritengano di valutare, nell'ambito della gestione integrata delle Ferrovie dello Stato italiane, la possibilità di assumere iniziative per favorire una gestione diretta dello stabilimento da parte delle partecipate statali al fine di garantire un servizio di assistenza e manutenzione dei mezzi, nel contempo ripristinando la connessione ferroviaria dei porti sardi;
se non si ritenga di promuovere, per quanto di competenza, joint venture internazionali in grado di ripristinare non solo le relazioni industriali interrotte per quelle che appaiono all'interpellante responsabilità istituzionali ma anche relazioni commerciali in grado di garantire un futuro industriale strategico alla fabbrica di Villacidro;
se non ritengano nel frattempo di dover assumere iniziative per assicurare a tutti i lavoratori della Keller le necessarie garanzie sociali in attesa del riavvio degli impianti stessi.
(2-01681) «Pili».
Interrogazioni a risposta scritta:
LOCATELLI, PASTORELLI e LO MONTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
il 14 febbraio 2017 il consiglio regionale del Veneto ha approvato la legge regionale che prevede modifiche ed integrazioni alla legge regionale 23 aprile 1990, n. 32, «Disciplina degli interventi regionali per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi» promulgate il successivo 21 febbraio (legge regionale 21 febbraio 2017, n. 6);
la modifica, al novellato comma 4 dell'articolo 8, prevede testualmente che: «Hanno titolo di precedenza per l'ammissione all'asilo nido nel seguente ordine: i bambini portatori di disabilità e i figli di genitori residenti in Veneto anche in modo non continuativo da almeno quindici anni o che prestino attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni, compresi periodi intermedi di cassa integrazione, o di mobilità o di disoccupazione»;
da un lato, si dà giustamente priorità a tutti quei bambini portatori di disabilità; dall'altro lato, è questa la ratio della proposta, essa «(...) è volta a favorire i cittadini che siano residenti o svolgano attività lavorativa in Veneto da un certo lasso di tempo: in particolare mira a far sì che nell'accesso ai servizi di asilo nido abbiano titolo di precedenza (...) i figli di cittadini che abbiano la residenza in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni o che svolgano la loro attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni»;
la nuova previsione regionale vuole, dunque, privilegiare quei cittadini che dimostrino di avere un legame con il territorio della regione per un determinato periodo di tempo, una previsione a giudizio degli interroganti oggettivamente discriminatoria –:
se il Governo non ritenga di valutare, con urgenza, se sussistano i presupposti per promuovere la questione di legittimità costituzionale, ai sensi degli articoli 2, 3 della Costituzione, avverso l'articolo 8, comma 4, della legge regionale del Veneto n. 6 del 2017. (4-15720)
ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
il 15 febbraio 2017 sul sito «stranieri in Italia» è stata pubblicata la notizia dal titolo «Precedenza ai figli dei veneti d.o.c nelle graduatorie degli asili nido. I bambini che hanno la sfortuna di avere mamma e papà immigrati, dall'estero o anche da un'altra Regione d'Italia, finiranno in coda»: conseguenza dovuta a una legge approvata il 14 febbraio 2017 dal consiglio regionale del Veneto, a maggioranza leghista (legge regionale 21 febbraio 2017, n. 6);
il testo presentato prevede che nella formazione delle graduatorie dei nidi, subito dopo i bambini con disabilità, abbiano la precedenza i figli di «genitori residenti in Veneto da almeno 15 anni», anche in modo non continuativo, o che comunque da almeno 15 anni lavorano nella regione;
anche se non ci sono distinzioni per cittadinanza e poiché il 20 per cento dei neonati in Veneto ha ormai entrambi i genitori stranieri, ad essere penalizzate saranno le famiglie straniere ma anche quelle italiane che si sono trasferite da poco nella regione: la regola «prima i Veneti» colpisce infatti indifferentemente tutti i nuovi arrivati;
i presentatori della legge, Maurizio Conte e Giovanna Negro, hanno dichiarato che «si debbano privilegiare quei cittadini che dimostrano di avere un serio legame con il territorio della nostra regione» e che «è giusto dare ancora un segnale dopo che il Governo ha impugnato il riconoscimento della minoranza del popolo veneto, è giusto dare priorità di diritti a chi vive e continua a credere nella propria terra, e quello del nido è un importante servizio a sostegno della famiglia»;
a giudizio degli interroganti, la legge, oltre a provocare ovvie conseguenze negative sulle famiglie più vulnerabili, è profondamente e volutamente discriminatoria, e rischia, se non impugnata dallo Stato, di diventare l'innesco di iniziative simili, populiste e razziste –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se non ritenga di assumere le iniziative di competenza per sollevare la questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, in relazione alla legge regionale veneta di cui in premessa.
(4-15725)
AFFARI REGIONALI
Interrogazione a risposta orale:
PELUFFO. — Al Ministro per gli affari regionali, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
dalla stampa nazionale e locale si apprende quanto segue: in data 16 settembre 2015 il consiglio regionale della Lombardia ha approvato una nuova legge regionale sul turismo che stanzia cinque milioni di euro in tre anni. Insieme alla legge è stato approvato anche un emendamento che concede la possibilità di accedere ai bandi di finanziamento regionale per «strutture ricettive alberghiere e non alberghiere» solo «qualora il fatturato o il ricavato dell'attività ricettiva degli ultimi tre anni sia integralmente derivante dall'attività turistica», specificando che «nel fatturato o ricavato non sono computate le entrate relative ad attività conseguenti a calamità naturali o altri eventi determinati da disastri naturali o incidenti di particolare rilevanza o altresì in esecuzione di specifici provvedimenti coattivi»;
in vigenza dell'attuale disciplina normativa che discende dal titolo V della parte II della Costituzione, e segnatamente dall'articolo 117, nonché della giurisprudenza uniforme della Corte costituzionale (ad esempio, sentenza n. 197 del 2003), la potestà normativa delle regioni in materia di turismo incontra dei limiti nelle leggi statali di principio e di coordinamento, oltre che nelle discipline di esclusiva competenza legislativa statale, come il diritto privato, il diritto penale, le norme giurisdizionali;
tale provvedimento, di fatto, penalizzerà nei bandi le strutture ricettive che in maniera volontaria danno accoglienza ai richiedenti asilo, scoraggiando gli albergatori lombardi che volessero mettersi spontaneamente a disposizione per iniziative di accoglienza, configurando così, ad avviso dell'interrogante, una violazione del diritto di asilo riconosciuto dai commi 2 e 3 dell'articolo 10 della Costituzione;
la formulazione della legge regionale, secondo l'interrogante viola il principio di concorrenza e di uguaglianza tra le aziende alberghiere, che non possono essere discriminate con l'esclusione dai bandi;
la normativa di cui trattasi penalizzerà anche le strutture ricettive che, sulla base di accordi con il Ministero dell'interno, danno ospitalità al personale delle forze dell'ordine fuori sede;
su tali questioni il Sottosegretario Bressa in data 31 gennaio 2017 ha fornito risposta all'interrogazione n. 3-02742, riservandosi di approfondire alcuni degli aspetti evidenziati al fine di offrire gli elementi più appropriati per la definizione del problema in questione –:
se, anche alla luce degli approfondimenti di cui sopra, non ritengano di assumere ogni iniziativa di competenza per salvaguardare il diritto di asilo e i principi di uguaglianza e libera concorrenza e garantire il rispetto degli accordi di coordinamento nazionale finalizzati all'ospitalità del personale di sicurezza fuori sede. (3-02817)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta orale:
LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il lago artificiale di «Pietra del Pertusillo», situato nel territorio dei comuni di Grumento Nova, Montemurro e Spinoso (Potenza), origina a seguito della costruzione, agli inizi degli anni ’60, della diga a sbarramento del fiume Agri, con lo scopo di rispondere a plurime esigenze, quali lo sfruttamento idroelettrico, l'irrigazione di un vasto territorio tra Basilicata e Puglia, nonché l'approvvigionamento idrico di vaste zone della Puglia, della Campania e di una buona parte della Basilicata;
il bacino ha un'importanza rilevante anche sotto l'aspetto naturalistico-ambientale, essendo «sito di interesse comunitario» della Rete Natura 2000. L'ecosistema del Pertusillo e il contiguo parco nazionale Appennino Lucano Val d'Agri, costituiscono un inestimabile patrimonio naturalistico-culturale e rappresentano un forte richiamo turistico per la zona;
attorno al bacino artificiale si trovano pozzi di estrazione attivi di idrocarburi e a pochi chilometri in linea d'aria è collocata la centrale di raccolta e trattamento denominata «Centro oli di Viggiano», un impianto di desolforizzazione facente parte della più vasta concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi conferita nel 2005 a Eni/Shell;
nella giornata del 19 febbraio 2017 è stato notato un anomalo cambio di colore delle acque del bacino del Pertusillo, che hanno acquisito un colore scuro. Non è la prima volta che cose analoghe accadano e la popolazione come pure gli amministratori locali sono, giustamente, preoccupati;
l'incidente fa seguito allo sversamento di idrocarburi in pozzetti dell'impianto di depurazione dell'Asi dovuto, come verificato dall'Eni, ad una perdita da attribuirsi ad uno dei serbatoi di stoccaggio del greggio stabilizzato presenti nell'impianto del centro oli di Viggiano;
tali accadimenti hanno fatto riesplodere il dibattito sullo stato di salute e sulla qualità dell'acqua del bacino del Pertusillo e sulla delicatezza e complessità della presenza dell'industria petrolifera sul territorio regionale. Da tempo, le associazioni ambientaliste denunciano fenomeni, che si ripetono ciclicamente, di eutrofizzazione e di elevate concentrazione di idrocarburi nelle acque, con contestuale emissione di cattivi odori, seri danni ai frutteti e moria di pesci;
la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati ha approvato, il 20 febbraio 2017, una relazione sulle questioni ambientali connesse a prospezione, produzione e trasporto di idrocarburi in Basilicata, un'indagine a tutto campo sull'industria petrolifera lucana;
nelle conclusioni della Commissione viene sottolineata l'asimmetria tra l'impatto delle attività industriali, in presenza del più grande insediamento in terra ferma di idrocarburi, e la percezione della inadeguatezza del primo livello di controllo e di regolazione che è quello regionale;
altro rilievo attiene all'impiego delle risorse finanziarie ricavate dalle royalty, stimate in 800 milioni di euro nel solo ultimo quinquennio, evidenziando l'incapacità, da parte di regione ed enti territoriali, di finalizzarne l'impiego verso strumenti che garantiscano un reale ed adeguato controllo ambientale e verso destinazioni produttive capaci di sostenere uno sviluppo duraturo e lungimirante del territorio lucano –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare per accertare le cause della situazione di cui in premessa e il reale stato qualitativo dell'acqua dell'invaso del Pertusillo;
quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al fine di prevenire il rischio di danno ambientale, anche valutando la predisposizione di strumenti normativi volti alla revisione della disciplina vigente. (3-02816)
Interrogazioni a risposta scritta:
PLACIDO, FRATOIANNI, PELLEGRINO, FASSINA, GREGORI, PAGLIA, MARCON, AIRAUDO, COSTANTINO, PANNARALE, PALAZZOTTO, GIANCARLO GIORDANO e DANIELE FARINA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
in data odierna sugli organi di stampa regionali della Basilicata sono comparse numerose fotografie riferite ad enormi macchie oleose all'interno della diga del Pertusillo in val D'Agri;
parlamentari e giornalisti hanno diffuso la notizia secondo cui essa sarebbe il risultato della fuoruscita di circa 20.000 metri cubi di petrolio dal Cova di Viggiano, senza che alcuna fonte istituzionale autorevole smentisse la notizia medesima;
l'incidente in questione sarebbe l'ennesimo di una lunga serie di episodi inquietanti verificatesi nelle scorse settimane in Val D'Agri, aventi ad oggetto affioramenti e/o ritrovamenti di sostanze oleose riconducibili alle attività del Cova presso pozzetti e vasche di impianti di depurazione –:
quali iniziative di competenza urgenti ed indifferibili i Ministri interrogati intendano promuovere per verificare la situazione sopra descritta e per informare le popolazioni dell'area circa i rischi connessi ai ripetuti incidenti citati in premessa. (4-15717)
CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
è notizia di stampa di queste ore, che una fuoriuscita d'idrocarburi da uno dei serbatoi di stoccaggio del greggio stabilizzato, dal Centro olio Eni Val d'Agri (COVA), in Basilicata, sta inquinando le acque del lago Pertusillo e i terreni limitrofi;
il 3 febbraio 2017, l'autorità giudiziaria ha posto sotto sequestro un pozzetto nell'area industriale di Viggiano e, nei giorni scorsi, la procura di Potenza ha avviato un'indagine;
in via precauzionale, l'Eni ha avviato le operazioni di svuotamento del serbatoio mettendolo fuori servizio per tutti i necessari interventi; tuttavia, è confermata dalla stessa società la presenza d'idrocarburi sul terreno in prossimità dei pozzetti della rete fognaria e, su richiesta dei sindaci dell'Alta Val d'Agri, sono state eseguite le analisi dei campioni sull'invaso del Pertusillo per accertare l'eventuale contaminazione del terreno;
inoltre, forte è l'allarme per quanto accaduto, perché il lago Pertusillo è l'invaso che alimenta l'acquedotto pugliese e finisce direttamente nelle case dei cittadini;
va segnalato inoltre che in Basilicata, negli anni addietro, ci sono stati episodici sversamenti di petrolio nel lago Pertusillo, compromettendo gravemente la risorsa più importante come l'acqua;
il parco nazionale della Val d'Agri ospita venticinque pozzi petroliferi attivi e le acque del lago sono usate per scopo irriguo e potabile, sia in Lucania sia in Puglia; inoltre, sono presenti numerose fertili aree agricole;
il petrolio in quelle zone sta creando seri danni alla salute delle persone, degli animali da reddito e all'agricoltura; infatti, gli abitanti lamentano un aumento delle patologie legate ai giacimenti e ai loro sversamenti –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
considerata la gravità dell'accaduto, se non ritengano necessario rendere pubbliche le informazioni sulla situazione generale dell'invaso del Pertusillo e sui risultati delle analisi condotte sulla qualità delle sue acque;
se siano state effettuate specifiche verifiche in relazione alla situazione in atto nella regione Puglia e quali esiti siano emersi sull'acqua distribuita nella rete idrica pugliese derivata dall'invaso del Pertusillo;
se il Governo, – considerato che i giacimenti di petrolio e gli eventuali sversamenti sono un enorme danno per l'ambiente e un rischio concreto per la salute umana – non intenda promuovere la predisposizione di un dossier, in riferimento alle conseguenze dello sfruttamento del petrolio nel nostro Paese e ai danni all'ambiente, agli animali, all'agricoltura e alla salute umana, assicurando ampia pubblicità alle relative risultanze.
(4-15722)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
da una petizione di change.org rivolta ai più alti livelli istituzionali e dalla stampa si apprende che nel più assoluto silenzio stanno chiudendo i corpi di ballo delle fondazioni liriche che, per legge, sono sovvenzionate proprio per tutelare e incentivare la tradizione culturale di musica, opera e balletto;
qualche giorno fa è stato chiuso il nono Corpo di ballo italiano, quello della Fondazione Arena di Verona; erano 13 i corpi di ballo delle 13 fondazioni lirico sinfoniche. Ora sono rimasti in 4. In Germania sono 50. In Francia, tra corpi di Ballo di teatri d'opera e compagnie di residenza municipali, sono 95. Queste nazioni perseguono una corretta politica di decentramento, avendo compreso che avere tanti centri di propulsione culturale e creativa sparsi nel territorio, nonostante i consistenti contributi pubblici, arricchisce di fatto quel territorio, con importanti ricadute positive sia a livello economico che culturale e sociale. Hanno evitato, cioè, di concentrare tutti i nuclei e motori culturali solo in due o tre metropoli principali della nazione, mantenendoli, invece, nella provincia normalmente esclusa dai grandi flussi di tendenza;
le fondazioni lirico sinfoniche ed i loro amministratori hanno il dovere storico di salvaguardare la storia culturale italiana nel suo complesso: musica, opera, balletto. A tale scopo, per legge dello Stato, esse sono sovvenzionate. È inammissibile considerare musica ed opera lirica, arti da sovvenzionare ed il balletto un costo da eliminare;
la legge di riferimento a tal proposito (legge n. 800 del 1967) è chiarissima, la parola balletto vi compare 15 volte e il balletto rientra con pari dignità tra le attività fondamentali fondazioni liriche. Nell'articolo 18 (programmi di attività) viene espressamente chiarito che le fondazioni devono impiegare artisti di nazionalità italiana e addirittura (comma 5) si dichiara: «Può essere consentito l'impiego di intere compagnie di canto o di balletto di nazionalità straniera per un numero di rappresentazioni non superiori al 5 per cento di quelle previste nel programma annuale, salve particolari esigenze, di ordine eccezionale, riconosciute dal Ministero del turismo e dello spettacolo»;
se ci fossero 13 fondazioni lirico sinfoniche con 13 corpi di ballo di 50 ballerini l'una, incluso direttori, maîtres de ballet, assistenti e collaboratori, costerebbero 26 milioni di euro lordi l'anno. Il che significa una spesa di poco più della metà, in quanto almeno il 40 per cento ritornerebbe allo Stato in contributi e tasse; senza considerare la loro attività, farebbero rinascere un'arte e tutto il suo infinito indotto, fatto di 15 mila scuole di danza, laboratori di scenografie, sartorie, industrie di abbigliamento specializzato, maestri, coreografi, pianisti;
oggi invece le fondazioni che hanno chiuso i corpi di ballo, acquistano gli spettacoli di balletto dall'estero, utilizzando, dunque, i fondi dei contribuenti italiani per finanziare e produrre i corpi di ballo russi, francesi, tedeschi, americani, estoni, inglesi;
la petizione peraltro afferma, non senza ragione che: «Ci sono 1 milione e 400 mila giovani che sognano di diventare ballerini (...) mentre non raggiungono il milione gli iscritti alle scuole di calcio (...) ma i loro sogni, chissà perché, non sono ritenuti degni di rispetto e considerazione al pari di quelli che studiano Musica e Canto (...) –:
se il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sia stato consultato in merito alle sopracitate decisioni di chiusura dei corpi di ballo delle fondazioni liriche, considerato che per l'interrogante tali azioni potrebbero porsi in contrasto con la normativa vigente, e quali iniziative intenda adottare al fine di garantire il rispetto di tale normativa e salvaguardare uno straordinario patrimonio italiano, anche attraverso l'immediata riapertura dei corpi di ballo nelle fondazioni liriche dove sono stati chiusi.
(2-01682) «Vignali».
GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta scritta:
VALERIA VALENTE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il regime di liberalizzazioni sulle professioni, introdotto con il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, ha disposto in merito alle tariffe professionali prima l'abrogazione dell'inderogabilità dei minimi, e in un successivo momento, con il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, la soppressione delle tariffe anche come semplice riferimento, prevedendo in caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il riferimento a parametri stabiliti con decreto ministeriale per la determinazione del compenso;
questo percorso di liberalizzazione dei compensi ha prodotto una forma incontrollata di deregulation, con effetti critici per il rapporto tra libero professionista e grande committenza (banche, assicurazioni, grandi imprese) tramite l'imposizione all'avvocato di clausole contrattuali «capestro» o la previsione di compensi non misurati e di clausole vessatorie;
la riforma dell'ordinamento forense, introdotta con legge n. 247 del 2012, intervenendo nuovamente sulla materia dei compensi, prevede ai sensi dell'articolo 13, comma 2, che il compenso spettante al professionista sia pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale, dovendosi ritenere che l'inciso «di regola» sia riferito tanto alla forma quanto al contenuto dell'incarico. Si prevede, poi, una libera pattuizione del compenso, vietando patti con i quali l'avvocato percepisca, in tutto o in parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa. Al comma 6, in caso di mancata pattuizione scritta del compenso, di liquidazione giudiziale del compenso, o quando la prestazione sia resa nell'interesse di terzi o nell'adempimento di doveri d'ufficio, è prevista la possibilità di applicare, per la determinazione del compenso, i parametri stabiliti ogni due anni dal Ministro della giustizia;
quello vigente rimane un sistema privo di copertura minima, nel caso in cui il compenso sia pattuito, potendo esso andare al ribasso senza alcuna previsione di garanzie rispetto a clausole anche palesemente vessatorie;
da questa condizione derivano le criticità, segnalate anche dal Consiglio nazionale forense, di convenzioni che presentano un eccessivo squilibrio contrattuale in favore del committente e non rispettose della proporzione tra compenso pattuito e qualità e quantità del lavoro svolto dal legale su mandato –:
se, sulla base di quanto riportato in premessa, il Governo abbia avuto modo, attraverso l'interlocuzione con il Consiglio nazionale forense, di approfondire la conoscenza delle molteplici convenzioni che, dirette a disciplinare i rapporti economici tra «clienti forti» e avvocati, presentano clausole con profilo vessatorio per i legali e se, al fine di evitare situazioni di abuso economico nei confronti dei professionisti, non ritenga urgente un'iniziativa atta a tutelare l'equo compenso dell'avvocato nei rapporti contrattuali con altri operatori economici, tra cui in particolare grandi imprese e società tra professionisti ed enti pubblici;
quali siano gli orientamenti del Governo in merito agli strumenti giuridici da utilizzare al fine di garantire una misura del compenso adeguata alla qualità e alla quantità dell'assistenza legale pattuita e offerta, oltre che all'importanza dell'opera e al decoro della professione forense nel rispetto del principio già contenuto nell'articolo 2233 del codice civile;
se il Governo intenda assumere iniziative normative che, individuando come vessatorie le clausole che determinano un eccessivo squilibrio contrattuale tra le parti in favore del committente, possa ristabilire la sostenibilità della attività forense, sottraendola alla posizione di forza di alcune specifiche tipologie di clienti e al soggettivo apprezzamento dei giudici.
(4-15715)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
CARLONI, TINO IANNUZZI, IMPEGNO, MANFREDI, SALVATORE PICCOLO, TARTAGLIONE, VALERIA VALENTE e SGAMBATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
si è appreso attraverso organi di stampa che, in data 20 febbraio 2017, un uomo è stato aggredito da una cosiddetta «baby-gang» all'interno della stazione «piazza Amedeo» della linea 2 della metropolitana di Napoli, gestita da Trenitalia secondo contratto di servizio 2015-2023, stipulato con la regione Campania in data 28 dicembre 2016;
il malcapitato è stato aggredito attraverso l'uso improprio di un estintore dell'impianto antincendio, ed attraverso il lancio delle pietre componenti la massicciata ferroviaria;
per sfuggire all'assalto, sempre secondo gli organi di stampa, l'aggredito è scappato dalla stazione, telefonando al 113, ma non ha ricevuto risposta alla chiamata, trovando inoltre chiuso il vicino commissariato di zona (presidio «San Ferdinando»). Quando finalmente ha ricevuto assistenza da una pattuglia, gli aggressori si erano già dileguati;
Trenitalia dichiara di non aver ricevuto alcuna segnalazione in merito al fatto, sollevando il dubbio che gli addetti di stazione non abbiano segnalato i guasti trovati e che le forze dell'ordine abbiano comunicato quanto successo all'azienda;
tutte le stazioni della linea 2 di Napoli presentano tornelli installati ma inattivi, non consentendo così un pre-filtraggio che distingua tra passeggeri ed eventuali vandali, né risulta operante, a quanto si apprende dagli organi di stampa, un servizio di videosorveglianza, né risulta presente un servizio di controllo con polizia privata. Allo stato attuale, dunque, si può dire che tali stazioni siano nei fatti non presidiate nella loro interezza;
la totalità delle stazioni necessiterebbe di interventi di recupero strutturale, versando in condizioni precarie, ed insistendo su una linea inaugurata nel 1925. Inoltre, quasi nessuna delle stazioni è accessibile ai diversamente abili: a ciò dovrebbe porre rimedio l'accordo stipulato fra comune di Napoli e Rete ferroviaria italiana (RFI) nel maggio 2015, ma che è ancora lungi dall'essere attuato;
tale situazione di disagio si somma alle frequenze del servizio spesso non adatte ad una linea metropolitana, che conta più di 77.000 passeggeri/giorno. Servizio che viene erogato il più delle volte con materiale rotabile vetusto (automotrici Ale 724, in servizio dal 1982), inadatto ad un servizio di tipo metropolitano, solo in parte supportato dai nuovi treni denominati «Jazz». Tale anzianità dei vettori comporta frequenti guasti, con conseguenti corse saltate, tempi di attesa prolungati e relativo affollamento delle banchine, che comportano rischi in termini di sicurezza, nonché un'esperienza di viaggio per i numerosi pendolari e turisti poco piacevole;
inoltre, il progetto del potenziamento del nodo di Napoli elaborato da Rete ferroviaria italiana (RFI) nel 2003 prevedeva l'attivazione sulla linea 2 di due ulteriori stazioni, denominate «Traccia» e «Galileo Ferraris». In particolare, la prima, praticamente completata, presenta due uscite: una a servizio del rione Luzzatti, ed una, attraverso un tunnel pedonale, su via Traccia, rompendo così lo storico isolamento urbanistico del rione (circa 7000 cittadini). Lo stato di abbandono di un'opera pubblica nei fatti pronta all'uso rappresenta un grave spreco di risorse pubbliche, nonché un sottoutilizzo del servizio metropolitano della linea 2 –:
se i Ministri interrogati siano al corrente della situazione descritta in premessa;
se sussistano i presupposti per promuovere, per quanto di competenza, le opportune verifiche al riguardo;
se intendano attivarsi affinché si possano predisporre le misure necessarie volte a salvaguardare i diritti di chi giornalmente usufruisce di un servizio, come quello offerto da Trenitalia, in condizioni di dignità e sicurezza;
se intendano assumere le iniziative di competenza per l'apertura delle stazioni «Traccia» e «Galileo Ferraris». (5-10685)
LABRIOLA, MOTTOLA, ANDREA MAESTRI, TURCO e PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
la zona demaniale del porto di Cervia fu data in concessione alla Marina di Cervia Spa nell'aprile del 1973 per 50 anni dal Ministero della marina mercantile con l'atto n. 724 del 28 aprile 1973 e successivo atto formale di concessione n. 10773 del 7 maggio 1986;
il decreto legislativo n. 118 del 1998 ha conferito funzioni e compiti amministrativi alle regioni e ai comuni in fatto di demanio marittimo; infatti, diverse regioni, con diverse leggi regionali, hanno conferito ai propri comuni costieri l'esercizio di tutte le funzioni amministrative relative al demanio marittimo, intendendosi per beni demaniali quelli elencati nell'articolo 822 del c.c. e nell'articolo 28 del codice della navigazione e, cioè, il lido del mare, la spiaggia, i porti, le rade, le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa e salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare, i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo;
in virtù dell'articolo 47 del codice della navigazione il comune di Cervia con proprio atto n. 52528 del 3 dicembre 2012 ha avviato un procedimento amministrativo di decadenza della concessione demaniale marittima del porto turistico di Cervia, procedimento archiviato con successivo atto n. 50903 del 17 settembre 2015, per poi avviare un nuovo procedimento di decadenza con delibera n. 219 del 17 novembre 2015;
la legge del 28 dicembre 2015, n. 208, nel disciplinare la materia, ex articolo 1, comma 484, fino al riordino della disciplina demaniale ha sospeso le procedure amministrative per la «sospensione, revoca e decadenza», avviate rispetto alle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, e per le concessioni demaniali rispetto alle quali sussistano contenziosi sull'applicazione dei criteri di calcolo dei canoni (come nel caso della Marina di Cervia);
inoltre in data 27 gennaio 2017 il Governo pro tempore ha approvato un disegno di legge recante «Delega al Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime lacuali e fluviali ad uso turistico e ricreativo» nel quale si ribadisce che tutti i procedimenti di decadenza sono sospesi – si veda il richiamo alla legge del 7 agosto n. 160 del 2016 e alla legge del 28 dicembre 2015, n. 208, comma 484 – fino al complessivo riordino della materia demaniale;
successivamente in data 8 novembre 2016 il comune di Cervia con le determine dirigenziali n. 1446 e n. 1448 ha dichiarato la decadenza dalle concessioni demaniali marittime tutte ex articolo 47 codice della navigazione, sull'assunto del mancato adempimento degli oneri concessori. A seguito dell'impugnazione di tali determine da parte di Marina di Cervia spa, il Tar del Lazio le ha sospese con sentenza del 13 dicembre 2016 (n. 07921/2016 Reg. Prov. Cau – n. 04198/2016 Reg. Ric.) rinviando la trattazione all'udienza collegiale del giorno 9 gennaio 2017;
l'11 febbraio 2017 il comune di Cervia avrebbe rilasciato affido/concessione alla Servimar –:
se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
se non ritenga di assumere iniziative volte a chiarire la corretta interpretazione e applicazione della normativa in merito alla sospensione dei procedimenti amministrativi di sospensione, revoca o decadenza delle concessioni demaniali per evitare discordanze nell'applicazione dei princìpi normativi in materia. (5-10686)
INTERNO
Interrogazione a risposta in Commissione:
TIDEI. — Al Ministro dell'interno — Per sapere – premesso che:
pochi giorni fa si è avuta notizia di un episodio di violenza ai danni di una giovane ragazza su un convoglio ferroviario partito da Roma in direzione Civitavecchia;
le cronache riportano di un uomo di 68 anni, di origini campane, che durante il tragitto si è dapprima seduto vicino ad una ragazza per poi cominciarla ad importunarla pesantemente, palpeggiandola parti intime e tentando di baciarla;
una passeggera accortasi di quanto stava accadendo è intervenuta in difesa della ragazza subendo anch'essa minacce;
allertate le forze dell'ordine vie telefono gli agenti del commissariato di Civitavecchia hanno arrestato l'uomo in stazione;
nel corso delle indagini è emerso che l'uomo era stato recentemente arrestato per reati analoghi ed era colpito da ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa quale aggravamento della precedente misura del divieto di dimora;
l'episodio pone ancora una volta l'esigenza di un rafforzamento dei controlli lungo le tratte ferroviarie ed, in particolare, per quella tra Civitavecchia e Roma frequentata giornalmente da migliaia di pendolari –:
quali iniziative Governo intenda assumere al fine di potenziare gli organici della polizia ferroviaria in servizio lungo la tratta Roma-Civitavecchia. (5-10687)
Interrogazione a risposta scritta:
PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
sono passati 5 anni dagli eventi sismici che nel maggio 2012 devastarono la Bassa Padana e, ad oggi, centinaia di cittadini non dispongono delle case loro spettanti, con la costruzione degli edifici privati ancora in fase di ultimazione;
numerose piccole aziende dei 9 comuni più colpiti del cratere del sisma hanno dovuto cessare l'attività in seguito ai gravi danni strutturali subiti e non hanno beneficiato ancora della riqualificazione prevista dal percorso di ricostruzione;
nei comuni più danneggiati del modenese, ad esempio (Cavezzo, Mirandola, San Felice sul Panaro, Concordia sulla Secchia, Novi di Modena, Camposanto, San Prospero, San Possidonio e Medolla) alcuni edifici versano ancora in fase di ricostruzione o, come nel caso del comune di Finale Emilia, il municipio non è ancora stato ricostruito;
centinaia di famiglie, quindi, hanno ancora necessità di assistenza da parte del welfare regionale e locale e dei servizi sociali a causa degli ingenti danni (sociali, morali, umani ed economici) subiti;
il 7 febbraio 2017 il prefetto di Modena avrebbe comunicato ai sindaci dei 9 comuni, facenti parte del «cratere» colpito dal terremoto del maggio del 2012, l'imminente arrivo di 220 profughi da collocare nella cosiddetta «area nord»;
si tratterebbe di una comunicazione avvenuta nonostante lo stato di emergenza derivante dagli stessi eventi sismici sia stato prolungato fino al 31 dicembre 2018 (dal decreto-legge n. 201 del 30 dicembre 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21 del 25 febbraio 2016);
a giudizio dell'interrogante, i comuni colpiti dal sisma del 2012 non sono in alcun modo nelle condizioni strutturali ed organizzative di accogliere gruppi di profughi, permanendo a tutt'oggi nel lungo e difficile percorso della ricostruzione post-sisma –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione enunciata in premessa e se trovi conferma l'intenzione di gravare il percorso della ricostruzione post-sisma, in ambito pubblico e privato, dell'arrivo di 220 profughi;
se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per ricollocare le eventuali risorse previste per l'accoglienza, la ricerca di strutture e l'assistenza quotidiana dei profughi, destinandole all'assistenza dei terremotati e di coloro che sono ancora impegnati al ristabilimento dello status quo dopo il terremoto del 2012, mantenendo ciò come l'assoluta priorità fino alla cessazione dello stato di emergenza in data 31 dicembre 2018, come previsto dal decreto-legge n. 201 del 30 dicembre 2015 citato in premessa.
(4-15719)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazioni a risposta scritta:
ASCANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
come noto, l'articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 269 e successive modificazione e integrazioni, stabilisce che: «l'istruzione impartita per almeno dieci anni è obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno d'età»; tale obbligo d'istruzione è stato peraltro innalzato a decorrere dall'anno scolastico 2007/2008;
inoltre, l'articolo 1 del decreto ministeriale 22 agosto 2007, n. 139, recita che: «l'istruzione obbligatoria è impartita per almeno 10 anni e si realizza secondo le disposizioni indicate all'articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296», così come anche la circolare Ministeriale del 30 ottobre 2010, n. 101, il cui articolo 1 dispone che «nell'attuale ordinamento l'obbligo di istruzione riguarda la fascia di età compresa tra i 6 e i 16 anni»;
orbene, il decreto ministeriale 31 dicembre 2001, n. 481, disciplina l'attività di vigilanza sull'adempimento dell'obbligo scolastico in combinato disposto con le disposizioni di cui alla legge 28 marzo 2003, n. 53, e all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 14 aprile 2005, n. 76;
nello specifico viene stabilito che alla vigilanza sull'adempimento dell'obbligo di istruzione provvedono:
a) il sindaco, o un suo delegato, del comune ove hanno la residenza i giovani che, in virtù delle disposizioni vigenti, sono soggetti al predetto obbligo di istruzione;
b) i dirigenti scolastici delle scuole di ogni ordine e grado statali e paritarie;
c) i genitori dei minori o coloro che a qualsiasi titolo ne facciano le veci (e che sono tenuti ad iscriverli alle istituzioni scolastiche o formative);
d) la provincia, attraverso, i servizi per l'impiego in relazione alle funzioni di loro competenza a livello territoriale;
e) i soggetti che assumono, con il contratto di apprendistato, i giovani tenuti all'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione, nonché il tutore aziendale;
dall'esame di tutta la normativa citata, si evidenzia la precisa responsabilità diretta dei dirigenti scolastici nel compito di vigilare sull'adempimento dell'obbligo scolastico degli studenti: questi devono controllare che gli alunni iscritti nelle loro scuole frequentino effettivamente e regolarmente le lezioni e, in presenza di soggetti a rischio dispersione, sono tenuti a convocare tempestivamente la famiglia del minore per chiarire le responsabilità dei genitori in ordine all'adempimento dell'obbligo scolastico;
a fronte di queste previsioni ordinamentali, i dati diffusi dall'Istituto nazionale documentazione innovazione ricerca educativa (I.N.D.I.R.E.), e aggiornati a marzo 2016, non sono confortanti: la percentuale che segna la dispersione scolastica (nel cui dato confluisce quello della violazione dell'obbligo scolastico) è del 15 per cento. Pur essendo considerevolmente sceso rispetto al 2009, il dato risulta ancora distante dall'obiettivo prefissato a livello europeo: il 10 per cento entro il 2020;
inoltre, i fatti di cronaca recente segnano un incremento della tendenza all'evasione scolastica, specialmente nel sud d'Italia dove, nel giro di pochi mesi, sono state inoltrate diverse denunce alla procura della Repubblica da parte dei comandi della compagnia dei carabinieri e della polizia di Stato –:
quali iniziative intenda adottare per contrastare il fenomeno dell'evasione scolastica e garantire il rispetto delle previsioni ordinamentali esistenti in materia.
(4-15711)
CIMBRO, LA MARCA, ZAN, MIOTTO, BECHIS e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
la prima firmataria del presente atto, quale membro della delegazione presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, assegnata alla Commissione cultura, è rapporteuse del rapporto « Youth against Corruption»; la premessa da cui muove il rapporto è che – in un quadro endemico di corruzione, specie in alcuni Paesi d'Europa, Italia e Grecia in testa – i giovani abbiano un ruolo come agenti di cambiamento;
solo dalle giovani generazioni può venire la scossa contro l'apatica rassegnazione (quando non l'esplicita accettazione) di quella che spesso prende le forme della «corruzione ambientale», vale a dire la norma di funzionamento del sistema;
le istituzioni democratiche hanno un interesse strategico a sostenere il ruolo dei giovani, sia attraverso azioni di sensibilizzazione, sia attraverso progetti formativi per i giovani, offrendo sostegno finanziario a progetti da loro elaborati per il contrasto della corruzione negli ambienti a loro familiari – ad esempio, quello educativo di cui sono i protagonisti – come vittime stesse della corruzione e, (purtroppo) talvolta, anche come autori o beneficiari della corruzione;
in questo sforzo di empowerment delle nuove generazioni si deve tener conto del ruolo e della diffusione dei social network, e dunque della necessità di capire come possano essere utilizzati nel modo giusto;
l'indagine e la raccolta di informazioni ha interessato un campione di Stati membri del Consiglio d'Europa considerati tra i più corrotti, secondo le attuali statistiche. Una fact-finding mission è stata condotta in Italia nelle giornate del 1o e 2 febbraio 2017, alla presenza delle associazioni e delle reti giovanili civili impegnate su questo tema, nonché di rappresentanti parlamentari, delle università e dell'Anac;
il 17 febbraio 2017 si è tenuta una tavola rotonda all'università di Tor Vergata organizzata dai promotori del master universitario sull'anti-corruzione, insieme a rappresentanti dell'attivismo civico contro la corruzione, e in questa occasione è stato sollevato il quesito sulle eventuali politiche attuate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per promuovere il contrasto dei fenomeni corruttivi, mediante la prevenzione e l'educazione formale e informale ai giovani, coinvolgendo gli stessi come attori della lotta alla corruzione;
in questi giorni ricorre il 25o anniversario di «Mani pulite» e molta attenzione è stata dedicata all'analisi del contesto attuale che, a dire di molti, non è poi così radicalmente cambiato –:
quali iniziative siano in atto e quali in corso di predisposizione per dare impulso alla compiuta attuazione dell'articolo 1, comma 7, lettere d) ed e) della legge n. 107 del 2015, che prevede quali obiettivi formativi prioritari la cittadinanza attiva e democratica e i comportamenti ispirati al rispetto della legalità.
(4-15716)
SBROLLINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il consiglio regionale del Veneto ha approvato una legge (legge regionale 21 febbraio 2017, n. 6) che dà la priorità negli asili nido comunali ai bambini i cui genitori siano residenti in Veneto da almeno 15 anni. In particolare il consiglio ha modificato la legge del 1990 inserendo due nuovi criteri: il primo prevede che, nello stilare la graduatoria che consente di accedere ai nidi, si dà priorità ai bambini che sono diversamente abili; il secondo stabilisce che ottengono più punti quei genitori che risiedono da almeno 15 anni o che dallo stesso tempo lavorano (Cassa integrazione guadagni e disoccupazione comprese) in Veneto. Le nuove regole approvate valgono solo per le strutture educative comunali: in Veneto sono 263 (sono 12 quelli statali) sparse in 172 comuni. I posti per bambini nelle strutture pubbliche sono 11.550 e sempre nella regione Veneto sono 8.600 i piccoli da 0 a 2 anni inseriti nelle paritarie private;
questo voto rappresenta, secondo l'interrogante, l'ennesimo provvedimento fortemente ideologico approvato dal consiglio regionale Veneto e sostenuto anche dalla giunta del governatore Luca Zaia. Con questa normativa si intende negare l'integrazione, anzi, si cerca di ostacolarla. Questa nuova legge, ad avviso dell'interrogante, non è solamente sbagliata, è un danno enorme alla ricchezza culturale ed economica del territorio Veneto;
così facendo si intende implicitamente creare differenze tra bambini veneti e quelli «non veneti»; anche molte famiglie, già attualmente residenti nella regione, si troverebbero discriminate. Tali incentivi, che premiano solamente chi risiede e lavora in Veneto da molto tempo creerebbero discriminazione non solo rispetto alle famiglie straniere comunitarie o extracomunitarie, ma anche rispetto a qualsiasi famiglia italiana che negli ultimi 15 anni abbia scelto di vivere nella regione Veneto o che desidererebbe farlo in futuro;
il testo approvato limita la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, costruendo invece discriminazioni che non possono essere accettate. Il Governo può impugnare il provvedimento entro 60 giorni dalla sua pubblicazione, così come accaduto recentemente, sempre in Veneto, con la legge regionale che definiva il popolo veneto una «minoranza nazionale», prevedendo che ad esso spettassero i diritti per le «minoranze» stabiliti dalla convenzione quadro del Consiglio d'Europa;
l'autonomia delle regole che hanno gli enti territoriali, in particolare le regioni, su questioni di carattere amministrativo e di graduatorie per l'accesso ai servizi formativi e scolastici non può assolutamente ledere i diritti fondamentali di chi vive in Italia;
i deputati del Partito Democratico eletti in Veneto si opporranno in tutti i modi a questo provvedimento ritenuto propagandistico e discriminatorio –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e quali siano i suoi orientamenti in merito;
se il Governo intenda valutare se sussistano i presupposti per sollevare le questioni di legittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, in relazione alla citata legge della regione Veneto. (4-15727)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta scritta:
PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
ad un lavoratore modenese con 30 anni di contributi versati da lavoratore dipendente e con successivo cumulo di contributi afferenti alla gestione separata (provenienti da prestazioni a voucher), con verificata possibilità di anticipare il requisito da 67 anni a 63 e 7 mesi, la locale sede dell'INPS avrebbe negato la collocazione in pensione a partire dal 1o gennaio 2017, opponendo la mancata maturazione del diritto;
a seguito di verifica effettuata dal patronato INCA Cgil, sarebbe stata confermata la previsione iniziale, motivata con il fatto che negli ultimi 4 anni l'operaio sia stato pagato a voucher;
la sede dell'INPS di Modena non sarebbe infatti abilitata all'accredito dei contributi da lavoro a voucher, in attesa di indicazioni da parte della sede nazionale;
è del tutto evidente che, se confermata, la notizia sarebbe incredibile, perché rappresenterebbe una terribile lesione del diritto dei lavoratori, che oltre a vedersi costretti a lavorare in assenza di contratto, con la retribuzione affidata a un buono orario, sarebbero anche privati del diritto alla pensione;
è inutile aggiungere che anche solo una giornata di pensione negata ad un solo lavoratore sarebbe un arbitrio intollerabile, a fronte di contributi regolarmente versati –:
se corrisponda al vero che le sedi periferiche dell'INPS non siano autorizzate ad accreditare i versamenti contributivi derivanti da voucher;
in caso di risposta negativa, come si intenda intervenire in relazione a quanto starebbe avvenendo presso le sedi dell'Inps che, come quella di Modena, starebbero negando un diritto ai lavoratori;
in caso di risposta positiva, perché siano mai state date le opportune e doverose disposizioni e come si intenda agire per rimediare al più presto a una lacuna inaccettabile. (4-15718)
MINARDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
i lavoratori Asu della Sicilia svolgono da anni (circa 20) la loro attività in impieghi socialmente utili. Ricevono un sussidio dall'Inps molto limitato tramite una convenzione effettuata dallo stesso istituto con la regione siciliana;
necessario avviare un percorso di stabilizzazione di detto personale e superare le continue proroghe di rinnovo del loro contratto che non possono essere sine die;
è opportuno, pertanto, trovare una soluzione efficace ed efficiente per questa tipologia di lavoratori attraverso una vera e propria stabilizzazione che permetta agli stessi di svolgere la loro attività nel migliore dei modi;
occorre, quindi, favorire la stabilizzazione dei precari, Asu che, tra l'altro sono indispensabili per la loro attività, che viene svolta regolarmente, e per l'acquisizione delle competenze maturate nel corso degli anni –:
quali iniziative intenda adottare, nell'ambito delle sue competenze, per avviare un percorso normativo che definisca un quadro di regole certe per la stabilizzazione dei precari Asu al fine ridare dignità a questi lavoratori che per anni hanno svolto la loro attività in modo efficiente ed efficace. (4-15723)
FRATOIANNI, FASSINA e GREGORI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il Molise si è battuto per ottenere il riconoscimento dell'area di crisi industriale complessa ex articolo 27 della legge n. 134 del 2012 avvenuto con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 agosto 2015 perché non disponeva di risorse minime per politiche attive del lavoro; vista la mancata firma dell'accordo di programma nazionale, la regione Molise ha adottato il 30 dicembre 2016 la delibera n. 638 con cui sottrae parte dei 52 milioni di euro stanziati dallo Stato per saldare i pagamenti delle mobilità in deroga a 2 mila lavoratori molisani per il triennio 2014-2016, per stornarli sulle politiche attive a sostegno dei dipendenti delle aziende in crisi dall'Ittierre allo Zuccherificio passando per la (Gam) e la filiera avicola, attivando in tal modo uno scontro tra lavoratori delle aziende in crisi e lavoratori in mobilità;
la regione Molise per il periodo 2007-2013 ha beneficiato di 102 milioni di euro di fondo sociale europeo POR/FSE orientati all'istruzione e al lavoro, nel mentre per il periodo 2014-2020 è stata costretta a sopportare un taglio di 55 milioni di euro, vedendosi attribuire 47 milioni di euro da destinare, quanto a 35 milioni, all'istruzione, alla formazione e al lavoro, e, quanto a 12 milioni, al nuovo obiettivo tematico 9 di contrasto alla povertà;
ad oggi si registra la mancata profilazione ai sensi del decreto legislativo n. 150 del 2015 che impedisce ogni negoziazione in sede di predisposizione dell'accordo di programma ex articolo 27 della legge n. 134 del 2012; nel frattempo la celere definizione di tale accordo nazionale è di fondamentale importanza perché stabilisce i fondi aggiuntivi del Governo sulle politiche attive e quindi sulla ricollocazione dei lavoratori, sull'autoimpiego e sull'incentivo all'esodo;
Fai, Flai, Uila e Ugl Agroalimentare, unitamente ai lavoratori ed alle rappresentanze sindacali unitarie, il 18 febbraio 2017 hanno rinnovato l'appello alle istituzioni regionali e nazionali e a tutte le forze politiche regionali e nazionali, affinché si adoperino fattivamente per ricercare una soluzione che consenta di concludere positivamente la vertenza per ridare certezze e dignità lavorativa ai dipendenti Gam e alle loro famiglie e, al contempo, rilanciare lo sviluppo economico-produttivo del Molise;
la società Agricola Vicentina, controllata del gruppo Amadori ed unica aggiudicataria dei beni della filiera avicola molisana, ha illustrato durante le varie riunioni al Ministero dello sviluppo economico le linee guida del piano industriale, che prevedono un investimento totale di circa 47 milioni di euro per la riconversione e ricostruzione dell'incubatoio, degli allevamenti e del macello, da attuarsi ciascuno con delle tempistiche specifiche, ma nell'incontro tenutosi nella giornata del 15 febbraio 2017, presso il Ministero dello sviluppo economico, tra le organizzazioni sindacali, la dirigenza Gam, la regione Molise, e l'amministratore delegato di Amadori e i vertici della società Agricola Vicentina, non è emersa la possibilità di un reimpiego integrale di tutti i 280 lavoratori, né nell'immediato né in prossimo futuro –:
se si intenda assicurare la presenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali alla riunione in programma il 28 febbraio presso il Ministero dello sviluppo economico che avrà ad oggetto il prosieguo del confronto tra il gruppo Amadori, il Governo, la regione Molise e le parti sindacali;
se non si ritenga necessario assumere iniziative per sostenere la ripresa produttiva, economica ed occupazionale del Molise attraverso finanziamenti nazionali aggiuntivi da inserire nell'accordo di programma sull'area di crisi industriale complessa finalizzati prioritariamente alla ricollocazione occupazionale dei lavoratori della Gam, dell'Ittierre e delle imprese dell'indotto individuate dalla regione Molise. (4-15724)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta scritta:
SIMONETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
nell'anno 2016 si è registrato un incremento record delle importazioni di riso dall'estero. In Europa, infatti, sono state importate circa 1.380.000 tonnellate di riso lavorato – pari al 65 per cento in più rispetto alla campagna 2008/2009 – delle quali circa 370 mila dai Paesi meno avanzati (P.M.A.). Il nostro Paese ha un territorio di circa 237 mila ettari, è il primo produttore in Europa e nella filiera operano 4.265 aziende risicole, nelle quali lavorano circa 5.000 addetti, 100 aziende risiere, delle quali 6 detengono complessivamente il 50 per cento del mercato, e il volume di affari per il riso lavorato è di circa 1 miliardo di euro;
la regione Piemonte è la realtà risicola più importante nel nostro Paese, in quanto conta circa 70 mila ettari di colture di riso, con 1.100 aziende e una produzione di oltre 5 milioni di quintali, con una evidente valenza economica per le imprese del territorio;
negli ultimi anni in Piemonte, e precisamente nella provincia di Biella, si sono persi circa 300 ettari di coltivazione di riso a causa della concorrenza sleale di Paesi del sud est asiatico e dell'Est Europa;
Paesi come la Thailandia, Cambogia e Myammar esportano riso in Europa a dazio zero – i dazi all'importazione da questi Paesi sono stati aboliti nel 2009 – invadendo il mercato italiano e mettendo a rischio le produzioni nostrane, soprattutto piemontesi. Il riso importato dai questi Paesi, oltre ad essere esente da dazi, non è neanche soggetto a tutta una serie di regole fondamentali per la commercializzazione in Italia;
il riso proveniente dai suddetti Paesi del sud est asiatico è di qualità indica e viene oggi utilizzato nella produzione di risotti, mettendo, così, a rischio una preparazione che oramai era divenuta un prodotto tipico del food made in Italy, in quanto venivano utilizzate esclusivamente varietà prodotte in Italia. Inoltre, l'arrivo dall'estero di riso lavorato indica sta provocando lo spostamento delle semine verso la varietà Japonica con gravi squilibri di mercato;
nella provincia di Biella sono circa 250 gli addetti del comparto del riso, ai quali si aggiungono un centinaio circa di dipendenti di aziende che lavorano per l'indotto ovvero ditte che producono concimi, diserbanti e sementi. Nell'ultimo periodo hanno già chiuso 2 aziende e le restanti 97 sono state costrette a ridimensionare gli ettari di superficie coltivabile;
quello che preoccupa e penalizza gli operatori del settore è la mancanza di trasparenza in etichetta sull'origine del riso come pure l'esenzione dai dazi sulle importazioni per il riso proveniente dai Paesi meno avanzati –:
se non intendano assumere iniziative per rendere applicabile, anche per il riso e per i prodotti a base di riso, la disciplina sull'etichettatura di origine dei prodotti agroalimentari, così come è accaduto per i prodotti lattiero-caseari, e come sta avvenendo, con procedura in corso presso la Commissione europea, per il grano e la pasta, al fine di evitare la chiusura di molte aziende, soprattutto piemontesi, nonché per tutelare la salute dei consumatori e preservare e valorizzare il riso made in Italy, che è una realtà per qualità, tipicità e sostenibilità;
se ritengano opportuno assumere le iniziative di competenza in sede di Unione europea per l'attivazione della clausola di salvaguardia, prevista dal sistema di preferenze generalizzate (SPG), per il ripristino dei dazi doganali verso i Paesi meno avanzati che esportano riso in Europa e in Italia, purtroppo già negata in passato dall'Unione europea senza una quantificazione evidente dei danni, al fine di prevenire il rischio di ulteriori perdite economiche per i risicoltori italiani e per dare una prospettiva di sviluppo del settore risicolo. (4-15714)
SALUTE
Interrogazioni a risposta scritta:
FEDRIGA e PAGANO. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
è notizia pubblicata su Repubblica.it quella dello svolgimento a Roma, per contrastare l'enorme ricorso all'obiezione di coscienza che in molte regioni d'Italia rende sempre più difficile accedere all'aborto, di un concorso riservato a ginecologi non obiettori di coscienza, fortemente voluto dal governatore del Lazio;
il concorso, lanciato la primavera scorsa ed oggi concluso, è stato finalizzato esclusivamente al servizio di interruzione volontaria di gravidanza, per cui i vincitori, secondo quanto previsto all'articolo 12 del bando, «verranno assegnati al settore del Day Hospital e Day Surgey per l'applicazione della legge 104»;
dall'articolo di stampa si apprende che nelle prossime settimane due dirigenti-medici dedicati alla legge n. 104 del 1992 entreranno nell’équipe di interruzione volontaria di gravidanza dell'ospedale San Camillo Forlanini e non potranno appellarsi all'articolo 9 della legge, pena il licenziamento;
secondo le dichiarazioni del direttore generale dell'ospedale, Fabrizio d'Alba, infatti, «se chi ha vinto il concorso farà obiezione nei primi sei mesi dopo l'assunzione potrebbe rischiare il licenziamento perché sarebbe inadempiente rispetto al compito specifico per cui è stato chiamato», mentre dopo, passato il periodo di prova, il rifiuto a fare interruzioni volontarie di gravidanza potrebbe avere come conseguenza «la mobilità o addirittura la messa in esubero»;
il concorso «no-obiettori» indetto dal San Camillo rappresenta a parere degli interroganti un delicato precedente a rischio di emulazione in altre regioni italiane e di cancellazione di un sacrosanto diritto normativamente tutelato e riconosciuto, quello all'obiezione di coscienza –:
se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, il Governo intenda adottare in merito a quanto esposto in premessa, considerato che, ad avviso degli interroganti, il bando di concorso di cui in premessa rappresenta una modalità discriminatoria di reclutamento del personale, e che, a norma di legge, è prevista la possibilità di cambiare idea nel corso della carriera lavorativa;
quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, in linea generale, per salvaguardare l'obiezione di coscienza che è tutelata e garantita nel nostro ordinamento e che sarebbe fortemente compromessa ove potessero verificarsi modalità di licenziamento come quello indicato in premessa. (4-15712)
VALLASCAS. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il presidio ospedaliero San Giuseppe di Isili, nel territorio dell'ex azienda asl n. 8 di Cagliari, dal 1o gennaio 2017 area socio-sanitaria locale dell'azienda tutela salute (legge regionale n. 17 del 2016), da tempo attraverserebbe una fase di crisi, per effetto delle misure di contenimento della spesa e di ottimizzazione delle risorse, che progressivamente avrebbero determinato, secondo quanto riportano numerosi articoli di stampa, un ridimensionamento del ruolo del presidio;
questa circostanza sarebbe confermata dalle disposizioni della regione in materia di razionalizzazione della rete ospedaliera, che avrebbero ridotto la tipologia dei servizi offerti, con un declassamento da presidio ospedaliero di base a presidio di area disagiata;
a questo si aggiungerebbero numerose criticità che avrebbero causato gravi disagi agli utenti: da tempo è stato chiuso il reparto di ostetricia, dal mese di marzo dello scorso anno sono chiuse le sale operatorie, mentre di recente si sarebbero registrate delle criticità nel reparto di diabetologia;
questa situazione avrebbe determinato degli innegabili disagi con gravi rischi per la salute e l'incolumità dei pazienti, oltre a configurarsi come potenziale interruzione di pubblico servizio;
alcuni organi di stampa hanno rilevato che la chiusura del punto nascita avrebbe determinato l'insorgere di situazioni ad alto rischio per l'incolumità di partorienti e neonati; riferiscono infatti che «nel comune di Esterzili è nato un bambino in casa, a Nurri invece ne è nato uno nel tragitto per arrivare in ospedale. Credo che questi esempi facciano capire bene in che situazione ci troviamo»;
la chiusura del blocco operatorio, in fase di ristrutturazione, avrebbe determinato la chiusura del reparto di chirurgia, con una conseguente riduzione delle attività di erogazione dei servizi che costringe i pazienti del territorio a lunghi spostamento verso i presidi di Cagliari e Muravera;
il 29 gennaio 2017, il quotidiano Unione Sarda ha pubblicato un resoconto sulla situazione al San Giuseppe di Isili riportando la dichiarazione del sindacato degli infermieri Nursind secondo i quali «In questi giorni si è assistito a indecenti condizioni assistenziali. Pazienti ricoverati perfino in locali-magazzino vicino a strumentazioni diagnostiche e frigoriferi, ambienti che nulla hanno a che fare con le stanze di degenza. Situazione che si ripercuote anche sul personale, con gli operatori che ricevono ordini di servizi spostandosi da un reparto all'altro»;
la deliberazione della giunta regionale in materia di razionalizzazione della rete ospedaliera non prevede la chirurgia generale h24 a Isili, circostanza che, secondo amministratori e popolazioni del territorio, oltre a comportare un ridimensionamento dei servizi offerti, è il segnale della volontà di una progressiva dismissione del presidio;
vista la gravità della situazione, un gruppo di cittadini si è riunito nel Comitato sanità bene comune impegnato nella salvaguardia del presidio sanitario, in considerazione della centralità che riveste;
il presidio è punto di riferimento per un ampio territorio, dal Sarcidano, alla Barbagia di Seulo, all'alta Trexenta, a parte della Marmilla, per una popolazione di circa 45-50 mila abitanti, prevalentemente anziani; inoltre, si tratta di territori che distano dai 70 ai 100 chilometri dai presidi sanitari più vicini (Cagliari e Muravera);
il ridimensionamento, in un territorio vasto e con una rete viaria vecchia (che rende problematici gli interventi del 118), rischia di privare un'ampia porzione del territorio sardo di un punto di riferimento per la salvaguardia della salute, oltre a configurarsi, secondo l'interrogante, come potenziale interruzione di pubblico servizio –:
di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
se si intenda promuovere una verifica del comando dei carabinieri per la tutela della salute in relazione alle critiche condizioni di assistenza e di degenza nella struttura ospedaliera di cui in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano adottare per verificare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza nei confronti di un'ampia porzione della popolazione della Sardegna. (4-15721)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazioni a risposta scritta:
FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
la vertenza Almaviva per i lavoratori romani si è conclusa il 22 dicembre 2016 con il licenziamento dei 1666 lavoratori della sede di Roma (il più grande licenziamento collettivo degli ultimi quarant'anni);
per gli oltre 800 dipendenti del sito di Napoli, invece, dopo che era stato loro proposto un vergognoso accordo (salvaguardia dell'occupazione con perdita del trattamento di fine rapporto e la rinuncia agli scatti di anzianità, con una decurtazione del salario di oltre il 12 per cento il 16 febbraio 2017, è stato stipulato un nuovo accordo la cui approvazione sarà ora sottoposta a referendum tra i lavoratori medesimi;
guardando all'evoluzione dei fatti, in questa partita il ruolo giocato dal Governo desta non poche perplessità;
il 30 maggio 2016, presso il Ministero dello sviluppo economico e in presenza di rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, viene sottoscritto un verbale di accordo che chiude una procedura di licenziamento per circa 3.000 addetti distribuiti sui siti di Palermo, Napoli e Roma. L'accordo prevede il ricorso agli ammortizzatori sociali per 36 mesi;
il 3 agosto, Simest, società controllata dalla Cassa depositi e prestiti, acquisisce una partecipazione azionaria di AlmavivA Do Brasil, società che opera nel settore dei call center, per un importo di 50 milioni di real (circa 15 milioni di euro), pari al 5 per cento del capitale sociale;
nel mese di settembre, Almaviva, disconoscendo l'accordo di maggio, riapre le procedure di licenziamento annunciando la chiusura dei siti di Roma e Napoli;
il 22 dicembre viene firmato in sede ministeriale un accordo che prevede il licenziamento immediato dei lavoratori occupati presso il sito di Roma e a far data dal 1o aprile 2017 di quelli di Napoli, salvo il raggiungimento di un accordo che riduca il costo del lavoro;
il 16 febbraio 2017, a Napoli, viene sottoscritto un nuovo accordo che, come sopra ricordato, è ora sottoposto al referendum dei lavoratori;
la situazione di cui in premessa, nella quale a giudizio dell'interrogante è ravvisabile un sostanziale conflitto di interesse, ha, di fatto, messo il Governo nella condizione di non poter svolgere nel migliore dei modi il proprio ruolo nella gestione della vertenza –:
se esista una relazione tra la chiusura dell'accordo del maggio 2016, privo di riferimenti industriali e che riduceva temporalmente il ricorso agli ammortizzatori sociali, e la decisione di una società riconducibile all'area di influenza del Governo di acquisire quote di partecipazione di una controllata di Almaviva;
per quali motivi si sia scelto di acquisire quote di azioni di un call center brasiliano;
per quali ragioni, a differenza di tutti gli altri investimenti realizzati da Simest, l'investimento su AlmavivA do Brasil non sia stato pubblicizzato sul sito, avendone avuto notizia solo grazie ai media brasiliani;
come sia stata fatta la valutazione sul prezzo di 15 milioni di euro per il 5 per cento del pacchetto azionario, considerato l'esiguo capitale sociale di AlmavivA do Brasil;
se il Governo sia a conoscenza dello spostamento di attività relative a commesse pubbliche svolte nei siti di Roma e Napoli in altri siti. (4-15713)
CICCHITTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
la direttiva per l'efficienza energetica (2012/27/UE) ha individuato alcuni obiettivi strategici da raggiungere tramite la diffusione su larga scala di sistemi elettronici di misurazione dell'energia elettrica, cosiddetti, sistemi «intelligenti» (smart metering) di seconda generazione;
in particolare, la citata direttiva mira a promuovere l'efficienza energetica negli usi finali, aumentando la consapevolezza dei comportamenti di consumo dei clienti, e a favorire la concorrenza nei servizi post-contatore e di messa a disposizione dei dati al cliente e a terze parti designate dal cliente stesso;
il decreto legislativo n. 102 del 2014 di recepimento della direttiva di efficienza energetica ha affidato all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) la predisposizione delle specifiche abilitanti dei sistemi di misurazione intelligenti;
l'8 marzo 2016 l'Aeegsi ha pubblicato la delibera n. 87 che definisce le specifiche funzionali per i contatori intelligenti;
la stessa Aeegsi, nel novembre 2016, con la deliberazione n. 646, ha definito i criteri per il riconoscimento dei costi dei sistemi di smart metering di seconda generazione e le modalità di predisposizione dei relativi piani pluriennali di installazione da parte delle imprese di distribuzione –:
se il Governo possa fornire chiarimenti, per quanto di competenza, circa i concreti benefici per il cliente finale derivanti dall'adozione di questi nuovi sistemi di misura, con particolare riferimento alla possibilità per i cittadini di ottenere fatturazioni più precise, tempestive e trasparenti;
se il Governo possa fornire informazioni, in quanto di competenza, anche in merito agli effetti sulle bollette dell'energia elettrica di questo programma di investimento. (4-15726)
Apposizione di una firma ad una mozione.
La mozione Rosato e altri n. 1-01508, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Colaninno.
Apposizione di una firma ad una interrogazione.
La interrogazione a risposta orale Baldelli e Gelmini n. 3-02781, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palmieri.
Pubblicazione di un testo riformulato.
Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in commissione Pili n. 5-10678, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 747 del 23 febbraio 2017.
PILI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
un gruppo di pazienti di Iglesias affetti da sclerosi multipla ha pubblicamente denunciato la gravissima situazione legata alla riduzione del budget alle strutture riabilitative del territorio del Sulcis Iglesiente e non solo;
si tratta di una circostanza che sta comportando la mancata proroga o il ridimensionamento (con la riduzione delle ore) dei programmi riabilitativi che, per i malati di sclerosi multipla come per quelli affetti da altre patologie, sono fondamentali per ritardare il più possibile la perdita dell'autosufficienza;
si tratta di un servizio di vitale importanza, un'ancora alla quale si aggrappano i pazienti con la speranza di mantenere la propria autonomia, seppure già minata dalla malattia;
i pazienti hanno deciso di rivolgere il loro grido d'aiuto: «non toglieteci questa speranza di contrastare gli effetti della malattia, non impediteci di proseguire la riabilitazione mirata a rinforzare la fascia muscolo scheletrica e farci sentire un po’ meno limitati nelle nostre attività quotidiane. Anche quelle, per voi, più normali»;
si parla continuamente di «riorganizzazione sanitaria» e «risparmio»;
per i pazienti colpiti da questa malattia si tratta di una visione distorta e inaccettabile;
anche se si ragionasse in termini ragioneristici, a giudizio dell'interrogante inauditi, i pazienti affetti da sclerosi multipla che perdessero la propria autonomia non genererebbero nessun tipo di risparmio, che è comunque un concetto deprecabile così applicato alla salute;
la precoce non autosufficienza avrebbe ricadute imponenti sulla stessa spesa sanitaria;
è necessario altresì assicurare il funzionamento della risonanza negli ospedali della stessa asl del Sulcis per i pazienti affetti da sclerosi, considerato che da mesi non è più possibile effettuare nemmeno prenotazioni o si registrano tempistiche inaccettabili rispetto alle esigenze cliniche –:
se non ritenga il Governo di prendere in considerazione questo accorato appello e – al tempo stesso – di valutare la possibilità di assumere con urgenza ogni iniziativa di competenza per assicurare i livelli essenziali di assistenza legati ad un grave problema sociale e sanitario come quello enunciato. (5-10678)
Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.
Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: Interrogazione a risposta in Commissione Simone Valente n. 5-09252 del 22 luglio 2016.